Ascolta il tuo cuore

di Lady Lee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non è difficile come sembra ***
Capitolo 2: *** I problemi nascono per essere risolti ***
Capitolo 3: *** Sei come un tesoro tutto da scoprire ***
Capitolo 4: *** Torna da me ***
Capitolo 5: *** Ti aspetto ***
Capitolo 6: *** Ho bisogno di te ***
Capitolo 7: *** Devo solo essere compreso ***
Capitolo 8: *** Speranza ***
Capitolo 9: *** Rimani con me ***
Capitolo 10: *** Ci sarò sempre ***
Capitolo 11: *** Devi scriverla tu la tua storia ***



Capitolo 1
*** Non è difficile come sembra ***


Era successo tutto molto velocemente, troppo velocemente.
Beast Boy aveva di nuovo tentato di fare uno dei suoi orribili scherzi a Raven, che appena se ne accorse gli lanciò addosso uno specchio, ma non uno qualunque; gli lanciò lo specchio che le serviva per la meditazione, quello per l’entrata nel Nevermore.
E così, Beast Boy, si ritrovò nella mente di Raven più velocemente del previsto.
Di nuovo.
"Pensare di sostituire i vestiti di Raven con abitini rosa in pizzo forse non è stata una buona idea.’’ Pensò, camminando per le strade della mente della sua amica con passo felpato per non farsi sentire dalle emozioni.
Nonostante il suo silenzio, Felicità si accorse di lui e, facendo svolazzare allegramente il suo mantello rosa gli venne incontro urlando di gioia.
-Beast Boy! Da quanto tempo!
Il mutaforma sospirò rassegnato, preparandosi a ricevere un caloroso abbraccio, che non tardò ad arrivare.
-Cosa ci fai qui di nuovo, eh?- chiese l’emozione.
-Devo tornare a casa, qui ci sono finito per sbaglio.- disse Beast Boy freddamente.
-Ah, beh, se la metti così…- il tono di voce di Felicità cambiò completamente: non era più caloroso, ma distaccato, proprio come la voce monotona della Raven di sempre. Forse si era offesa per la risposa poco incoraggiante del ragazzo.
-Logica ti indicherà la strada. Buon viaggio, caro.- detto questo, si dileguò prima che il mutaforma potesse dire qualcosa.
Mentre camminava, Beast Boy si rese conto che il ‘’paesaggio’’ nella mente della sua compagna di squadra era cambiato.
Il cielo era azzurro e l’ambiente luminoso. Non c’erano pietre ovunque, ma grandi piazzali fluttuanti decorati con disegni viola o argento.
-Logica!- chiamò, per farsi aiutare a tornare a casa.
-E non urlare! Ti sento, non sono sorda!- rispose una voce squillante dietro di lui, spaventandolo per la troppa irruenza.
-Felicità mi ha detto che mi avresti riportato a casa.- disse silenziosamente.
Logica sbuffò e roteò gli occhi. –No, veditela da solo. Non ho tempo da perdere, la strada te la indicherà qualcun altro, io me ne devo andare.
Beast Boy si arrabbiò, ma cercò di mantenere la calma.
Possibile che nessuno voleva accompagnarlo alla torre? Come avrebbe fatto a trovare la strada da solo?
Continuò a camminare, senza sapere dove andare, pur di tornare a casa.
Passeggiava da un po’ immerso nei suoi pensieri, quando si scontrò contro un’emozione con il mantello di un lilla chiaro, che manteneva lo sguardo basso.
-Scusa, non ti avevo visto.- mormorò la ragazza con la voce flebile.
-No, no, non preoccuparti. Ehm… ma tu chi sei?- domandò il mutaforma curioso.
-Io sono Amore.
Beast Boy spalancò gli occhi sorpreso.
Capiva che Raven avesse delle emozioni come Rabbia, Logica, Tristezza, e, sì, anche Felicità.
Ma che tra suoi sentimenti ci fosse Amore, lo rendeva piuttosto confuso.
-Come mai sei qui?- la voce dolce dell’emozione lo distolse dai suoi pensieri.
-Oh, è una lunga storia.- rispose il ragazzo. –Potresti indicarmi la strada per tornare a casa?
Amore, sempre con lo sguardo basso, disse:- Certo, vieni con me.
Al mutaforma sembrava impossibile aver trovato qualcuno che l’avrebbe fatto tornare indietro.
‘’Allora qui non sono tutte maleducate.’’ Pensò, mentre l’emozione lo guidava verso una pietra nera.
-Bene, ora non mi resta altro che pronunciare la formula magica e potrai tornare a casa tranquillamente.- sussurrò Amore. –Azarath Metrion Zinthos…
Davanti ai suoi occhi color smeraldo si aprì un portale.
Mentre stava per varcarlo, Beast Boy fu richiamato all’attenzione dalla voce bassa dell’emozione. –No Beast Boy, non è impossibile. Non è difficile come sembra.
Non capendo il significato di quelle parole, il mutaforma entrò nel portale e si ritrovò alla T-Tower.
Solo più tardi, con il passare del tempo, comprese quello che gli aveva detto Amore.
Ma Raven non ne fu molto contenta.
Beast Boy lo capì quando, trovatasi davanti ad una montagna di vestitini e gonne rosa, fucsia e rosse in pizzo nel suo armadio, la maga urlò, facendo tremare le fondamenta della torre:- BEAST BOY!
In fondo era vero, pensò il mutaforma, non era stato poi così difficile.
 

Ecco il primo capitolo! 
ok, questa è la mia prima long... spero che vi piaccia!
per favore, fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione, datemi  delle dritte per continuare la storia al meglio e, eventualmente, scrivete le vostre critiche.
A presto al prossimo capitolo!
     Lee

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Capitolo 2
*** I problemi nascono per essere risolti ***


Ah, maggio.
Il mese più bello di tutta la primavera, con il sole e le passeggiate tra amici, gli uccellini che cinguettano, il pensiero che ormai l’estate è vicina, e… il ballo annuale di beneficenza organizzato dal sindaco di Jump City.
Forse quella festa era l’unica cosa brutta che accadesse nel mese di maggio, Beast Boy la odiava.
Tutte quelle persone che discutevano degli argomenti più strani, i logorroici discorsi del sindaco e il semplice fatto di dover indossare abiti formali e scomodi, rendeva il mutaforma ancora più nervoso.
Aveva già programmato di rimanere, per tutta la durata dell’evento, seduto su una sedia in disparte. Senza farsi vedere da Robin, ovviamente.
Il leader dei Titans, infatti, pensava che il ballo di beneficenza fosse un modo per interagire con persone diverse, conoscere gente; perciò, invogliava anche gli altri membri del gruppo a conversare con i partecipanti e interessarsi ai discorsi altrui.
Secondo Beast Boy, invece, Robin partecipava alla festa solo per essere elogiato dal sindaco e fare bella figura con gli ospiti.
Così, quella sera, il mutaforma si era ritrovato a parlare con Cyborg e ad aiutarlo ad aggiustare il suo orologio.
-Beh, questa non ci voleva. Ti rendi conto B? Si è rotto l’orologio, quello che mi avete regalato al mio compleanno.- disse il robot, svitando con un cacciavite dei pezzi dall’orologio.
-Avanti Cy, non importa. Va’ a parlare con quella ragazza mora lì in fondo, prima sembrava essersi interessata a te.- gli suggerì l’amico.
-Oh, d’accordo.- sospirò Cyborg, riponendo l’orologio guasto nella tasca della giacca.
-Hai visto Raven?- chiese poi Beast Boy.
-No, ma perché vuoi saperlo? Ti interessa?- domandò il robot, alzando lo sguardo e osservando il suo amico negli occhi.
-Volevo parlare un po’ con lei…- rispose timidamente il ragazzo, arrossendo.
-Uh uh, B.B. c’è qualcosa che devi dirmi, amico?- domandò Cyborg con voce maliziosa. 
Beast Boy arrossì ancora di più, spostò lo sguardo altrove e non parlò.
Sì, effettivamente, aveva qualcosa da dire a Cyborg, pensò.
Ma come avrebbe fatto? Gli avrebbe confessato tutto, e poi? Avrebbe sorbito le prese in giro del suo amico senza poter fare niente? 
E poi, non sapeva neanche bene cosa avrebbe detto, se avesse parlato.
Forse era innamorato di Raven, forse no.
Forse lei non avrebbe ricambiato, e allora avrebbe dovuto lasciar perdere, smettere di pensare a lei.
Si soffermò su questo pensiero, che fece sobbalzare il cuore del mutaforma. Non poteva immaginare la sua vita senza Raven.
Perché, in fondo, anche quando si arrabbiava, era dolce, era bella.
Anche quando non rideva alle sue battute, aveva qualcosa che attirava l’attenzione di Beast Boy.
Perciò, almeno per quella sera, non avrebbe detto niente a Cyborg, avrebbe tenuto tutto per sé.
-Voglio solo parlare con lei, tutto qui.- affermò guardando il suo amico.
-Scommetto venti dollari che non riuscirai a parlare con Raven nemmeno per un minuto.- rispose il robot in tono di sfida.
-Affare fatto, allora.
Cyborg trattenne una risata. –Ora vado B.B., io ho una ragazza con cui ballare e chiacchierare, senza rischiare di morire.
-Preparati a sganciare i soldi…
Le ultime parole di Beast Boy non le sentì perché, con passo veloce, il robot si era incamminato verso il centro della sala per arrivare dalla ragazza che aveva catturato la sua attenzione.
Il mutaforma intanto, cercava Raven con lo sguardo e, quando la vide, era con le spalle appoggiata al muro che osservava il suo bicchiere pieno d’acqua.
Indeciso, Beast Boy si avvicinò a lei e disse:- Tutto bene, Rae?
La maga sollevò lo sguardo, sorpresa.
Le sembrava strano che il mutaforma si fosse interessato a lei, perché forse avrebbe preferito discutere di argomenti futili e insensati con qualche ragazzino appassionato di videogame.
“Hai visto? È venuto a parlare con te!” esclamò una vocina nella sua testa.
Raven riconoscendo quella voce, disse: “No, no, no. Non è venuto per me, Amore.”
“Avanti Rae-Rae, non fare la timida, parla con lui…”
“Basta! Amore, vai via e non infastdire Raven.” Intervenne Coraggio, con voce ferma. “Ma anche tu, bella, cerca di non fare così altrimenti sembrerai una tonta!”
Prima che la ragazza potesse dire qualcosa, le sue emozioni si dileguarono.
Ripensò alle parole di Coraggio e Amore. Non avrebbe dovuto fare la timida. Però, senza un apparente motivo, ogni volta che si ritrovava a parlare con Beast Boy sembrava spaventata dall’idea di dire qualcosa di sbagliato.
-Ho solo un po’ di mal di testa.- si limitò a dire, con la voce rauca.
-Oh, beh, è normale, con tutta la confusione che c’è qui dentro.- rispose il mutaforma, per sembrare gentile. –Che ne dici di uscire un po’ fuori? Magari prendere un po’ d’aria ti farebbe bene…
Raven non si aspettava una simile offerta da Beast Boy. Quella sera era davvero cordiale ed educato con lei, forse troppo.
-Va bene.- disse in un soffio, e cominciò a camminare facendo lo slalom tra la gente.
Il ragazzo la seguiva, sorpreso dal fatto che la maga avesse accettato l’invito.
Quando furono fuori dalla grande porta d’entrata dell’hotel nel quale si svolgeva la festa, Raven sospirò.
Rimasero per qualche minuto in silenzio, mentre Beast Boy la guardava incantato dalla sua bellezza. Gli batteva il cuore all’impazzata, si sentiva strano, come se fosse… innamorato.
La candida pelle veniva illuminata dal chiarore della luna, rendendola ancora più bella. Osservò il suo vestito nero e si soffermò in particolare sulla cintura rossa che aveva in vita, era come se gli ricordasse qualcosa; come se l’avesse già vista da qualche parte.
-Rae,- disse, con il tono basso. –Dove hai preso quella cintura?
Lei alzò lo sguardo e arrossì leggermente:- Non l’ho presa io, in realtà.
-Te l’ha prestata Starfire?
-No, è che non ne avevo altre. Visto che qualcuno ha riempito il mio armadio di vestiti rosa e rossi, io mi sono accontentata di un abito che non avevo intenzione di mettere e che si è salvato per caso e una cintura rossa, l’unica decente che sempre quel “qualcuno” ha messo nel mio guardaroba.
Ecco perché ricordava la cintura.
L’aveva messa lui nell’armadio della compagna.
-Beh… non devi fartene un problema, ti sta benissimo.- disse, con le guance rosse.
-G-grazie B.B....- rispose lei, abbassando gli occhi per evitare lo sguardo del mutaforma.
Ma cosa stava facendo? 
Arrossire, lei? Arrossire ad un complimento, per giunta? Non si riconosceva. Non era quella la Raven che vedeva ogni giorno.
Anzi, non era quella la Raven che voleva vedere.
Lei doveva rimanere distaccata, non poteva permettersi di arrossire davanti a un complimento di Beast Boy.
-Ti va di fare due passi?
La voce del mutaforma la distolse dai suoi pensieri. Annuì debolmente e cominciò a camminare assieme a lui.
-Qualcosa non va?- chiese Beast Boy dopo un po’.
-No è solo che…- si bloccò. 
Stava per parlare dei suoi prolemi con Beast Boy? Non era cosa da lei.
Non era cosa da lei neanche pensarlo, neanche immaginarlo.
-Solo che…?- la incitò a continuare lui.
Non poteva parlarne, pensò Raven.
Non poteva farlo.
Non poteva, ma voleva.
-Ti è mai capitato di voler fare qualcosa ma non poterla fare?- domandò alzando la voce.
Quella domanda colpì Beast Boy come una freccia.
C’era qualcosa che la maga desiderava fare, ma non avrebbe potuto?
-Sì, mi è successo.- affermò con voce sicura.
Certo, e gli stava accadendo anche in quel momento.
Avrebbe voluto confessare il suo amore a Raven, ma non avrebbe potuto. E non ne sapeva neanche il motivo.
-E… e tu come hai risolto questo problema?
Stava chiedendo un consiglio a Beast Boy? Assurdo.
Ma cosa le stava succedendo? 
Forse nel bicchiere c’era qualcosa in più, oltre all’acqua.
-Io il mio problema non l’ho ancora risolto, Rae.
-Ma se non riuscissi a risolvere il mio?
Era spaventata a quel pensiero.
-Tutti i problemi nascono per essere risolti.
Quelle parole fecero riflettere molto Raven.
Lei però, non aveva ancora capito che anche il suo problema era nato per avere una soluzione.
-Dici sul serio?- chiese, per avere una conferma.
-Dico sul serio,- disse Beast Boy in un soffio. –Il vero problema, in realtà, è trovare la soluzione al problema. Capisci?
La maga annuì.
Il fatto di poter dare consigli a Raven faceva sentire il mutaforma importante per lei, gli faceva capire che per la ragazza contava il suo parere. Ed era vero.
Anche se non l’avrebbe mai ammesso, perché in fondo, “Rae è pur sempre Rae.” pensò Beast Boy.
-Penso si sia fatto tardi… torniamo dentro?- chiese, guardando Raven negli occhi.
-Sì, sì, d’accordo.
Così i due si incamminarono verso l’hotel, senza parlare.
Il silenzio che li avvolgeva era magico, il silenzio che c’è tra gli innamorati, quello che vale più di mille parole.
Poco lontano dalla loro destinazione, una voce interruppe quel silenzio urlando.
-Raven! Beast Boy! Sbrigatevi, ma dove vi eravate cacciati? Vi siete persi il discorso del sindaco!- era l’inconfondibile voce di Robin.
Il mutaforma roteò gli occhi. Certo, il discorso del sindaco. Era una fortuna non averlo dovuto ascoltare.
E Raven non era da meno. In fondo, lei odiava tutte quelle formalità.
Anche Cyborg non le sopportava. 
Beast Boy lo seppe durante la loro conversazione nel lungo corridoio della T-Tower. Il robot stava parlando al suo amico della serata all’hotel, quando, improvvisamente, si ricordò della scommessa.
-Allora? Cosa è successo con Raven?- chiese curioso.
Il mutaforma avrebbe raccontato tutto, e si sarebbe preso volentieri i venti dollari; ma poi ci riflettè su.
Sarebbe stato come tradire la fiducia di Raven. Lei si fidava di lui, e molto proabilmente non le sarebbe piaciuto sapere che Beast Boy avesse parlato di tutto con Cyborg. Avrebbe mantenuto quel segreto.
-No, avevi ragione tu.- disse, con voce bassa. –Non abbiamo parlato per niente.
Poi tirò fuori dalla tasca una banconota tutta stropicciata e la mise nella fredda mano metallica del suo amico.
-Oh, dai su. Non fartene un problema.- sospirò il robot con tono apprensivo.
-No figurati, tanto si sa che tutti i problemi nascono per essere risolti.- sentenziò Beast Boy.
Poi, con passo deciso e con un grande sorriso, si avviò verso la sua camera sotto lo guardo sorpreso del suo amico.

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Capitolo 3
*** Sei come un tesoro tutto da scoprire ***


Con il passo leggero e lo sguardo rivolto alla grande finestra in fondo al corridoio Raven camminava per arrivare al tetto.
Sperava di essere sola, per poter pensare un po’ in compagnia delle stelle e della luna.
Pensare a quello che le stava succedendo. Al perché si sentiva così strana ogni volta che parlava con Beast Boy.
Beast Boy, già.
Sembrava assurdo pensare che il mutaforma la rendesse nervosa e insolitamente timida.
Eppure era la verità, e, Raven l’aveva imparato, non bisognava nasconderla. Ma c’erano tante cose, tante verità che lei teneva nascoste dentro di sé, nascoste nel profondo del suo cuore, e non le avrebbe dette a nessuno. E questo era quello che pensava fino a quella sera. Fino a che non incontrò Beast Boy. Pensava che non avrebbe parlato di niente, e invece quella sera, con il mutaforma, cambiò la sua idea.
Lo vide seduto per terra, sul tetto, che scrutava il cielo silenziosamente, quasi non si volesse far vedere dalla luna, che illuminava i suoi grandi occhi verdi e li rendeva lucidi, trasformando il suo sguardo in uno specchio che rifletteva le sue emozioni: confuse, ma allo stesso tempo profonde.
Sentendosi osservato, Beast Boy girò piano il capo, e, riconoscendo Raven, mormorò:-Cosa ci fai qui, Rae?
-Volevo pensare un po’, ma se vuoi posso andare via, non voglio diturbarti.- rispose lei, con voce fredda.
-Puoi rimanere, se ti va.
La maga, inizialmente incerta, si sedette accanto a lui e si mise a guardare le stelle lucenti che riempivano il buio di quella notte.
Era ancora più bella sotto la luce delle stelle, pensò Beast Boy.
Si accorse della sua bellezza… insolita, che lui definiva “unica”.
Proprio come lei e come i sentimenti che gli faceva provare. Sentimenti forti, profondi, che lasciavano impronte pesanti nel suo cuore.
Osservando il suo sguardo, Beast Boy si accorse che Raven era particolarmente concentrata nei suoi pensieri.
-A volte vorrei capire a cosa tu stia pensando…- sussurrò.
La maga gli lanciò un’occhiata perplessa.
Poi sospirò e disse:-A volte vorrei capire come ti vengono queste domande assurde.
-Io… le penso.
Sì, gli capitava spesso di pensare a Raven, e gli venivano in mente tante domande strane. C’erano delle volte nelle quali si chiedeva la marca delle sue scarpe, altre nelle quali non si soffermava solo sui piccoli dettagli.
Anche quando era arrabbiata, lui la osservava, e pensava a lei.
-Mi piacerebbe davvero saperlo.- disse con voce bassa.
-Vuoi sapere a cosa penso?
-Sì.- fu una risposa netta, decisa.
Raven era molto sorpresa da quella domanda. Le sembrava strano che Beast Boy pensasse cose del genere, così strane e insolite.
-Penso alla mia vita, a quello che mi sta succedendo.
-Capita anche a me di pensare a questo. A come tutto stia cambiando. Sai, mi piacerebbe anche sapere più cose su di te.
-Basta guardarmi quando leggo. Allora potresti capire come sono fatta.
Lei non lo sapeva, ma al mutaforma capitava molto spesso di guardarla mentre leggeva.
Eppure avrebbe voluto sapere altro sul suo conto, era persuaso da un’incredibile curiosità.
“Sei come un tesoro tutto da scoprire” pensò, riferendosi a Raven.
-Ma, d’altronde, sai già tante cose su di me.- affermò la maga.
-Credi?- chiese Beast Boy.
Poi, il mutaforma si avvicinò notevolmente alla maga, per incatenare il suo sguardo con il proprio, perdendosi in quei profondi occhi viola che ogni volta lo facevano sentire innamorato.
Anche Raven osservava i suoi occhi verdi come gli smeraldi, grazie ai quali si sentiva protetta e coccolata, al sicuro da chiunque avesse voluto farle del male.
E il mutaforma ci teneva a lei, così  come Raven amava Beast Boy.
-È meglio che vada…- mormorò la ragazza, con la voce tremante  e le guance rosse.
-D’accordo…- rispose lui, con la voce triste e lo sguardo mesto.
La maga si alzò lentamente e si diresse verso la sua stanza, pensando al ragazzo che la faceva sentire innamorata.
Intanto, un paio di occhi verdi scrutavano il cielo e osservavano l’immagine di una ragazza dai capelli viola impressa nei loro pensieri.   
E avrebbero continuato a guardarla, anche una volta chiusi, quando Beast Boy si addormentò pensando alla sua bellezza unica che gni volta lo rendeva diverso, lo rendeva innamorato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Torna da me ***


Il rumore nero dell’allarme riecheggiò per tutta la torre.
Dopo quell’avviso, i Titans si recarono sul luogo indicato dal grande schermo: un quartiere buio e malfamato nella periferia di Jump City.
E quello che videro non fu ciò che si aspettavano.
-Lascia quella donna!- urlò Robin.
C’era un uomo che teneva una signora, puntandole una pistola sulla testa e minacciando di spararle.
Starfire si avvicinò a lui e disse, cercando di matenere la voce calma:-Noi non vogliamo farti del male. Posa la pistola e…
L’uomo le tirò uno schiaffo, facendo preoccupare i suoi amici, in particolare il leader del gruppo, che subito gli diede un calcio.
Beast Boy ammirava Robin per il suo coraggio. Quell’essere sempre pronto a combattere per difendere i propri amici, quell’avere le idee chiare e sapere sempre cosa fare.
Non bisogna tirarsi mai indietro, pensava. Bisogna essere coraggiosi e combattere chi ti ostacola. Se lo ripeteva sempre, e ogni volta ne era più convinto.
Ma in quel momento avrebbe voluto scappare, di fronte alla scena che gli si mostrava.
Robin, arrabbiato, tirava colpi ben assestati all’uomo.
Un pugno, poi un altro. Un calcio rotante e una botta con il bastone.
Cyborg invece teneva tra le possenti braccia la donna ferita, Raven curava con i suoi poteri l’amica ferita.
E Beast Boy ammirava anche lei. Raven, la maga dai capelli viola che lo lasciava col fiato sospeso.
Guardava come stesse curando Starfire nel disperato bisogno di rivedere quel sorriso, quella risata. E allora, mentre osservava quegli occhi ametista incontrare finalmente quelli verdi di Starfire, gli tornò in mente quanto aveva scoperto di Raven. E il motivo per cui l’ammirava.
Mai avrebbe pensato che la maga potesse essere così fragile, dentro di sé. Mai avrebbe pensato che fosse così premurosa e attenta a quello che accadeva ai suoi amici.
E in fondo anche lei ci teneva a loro. Infatti, notando la situazione di difficoltà nella lotta di Robin, pronunciò le parole per un incantesimo, e l’uomo fu legato.
-Lasciami andare!- gridò arrabbiato. –Devi lasciarmi in pace!
Con forza poi, si liberò e subito con un gesto violento fece cadere Raven.
Fu a quel punto che Beast Boy non ce la fece più a rimanere a guardare.
Con lo sguardo di fuoco si trasformò in una trigre, e corse verso l’uomo stendendolo sulla strada.
Ansimando e ruggendo, il mutaforma lo teneva ancorato per terra.
Ma l’uomo aveva ancora la pistola in mano.
Quello che Beast Boy ricordava di ciò che accadè in seguito è lo sguardo di Raven spegnersi, perdere luminosità, dopo il rumore di uno sparo.
Il corpo della maga cadde sull’asfalto, il sangue colava copioso.
Starfire sgranò gli occhi. Lacrime solitarie rigavano il volto della donna che Cyborg, sconvolto, stringeva tra le braccia.
Poi il suono di un’ambulanza, la polizia, i richiami di Robin e le voci disperate dei suoi compagni.
Tornato in forma umana, Beast Boy alzò lo sguardo al cielo e poi, con rabbia tirò un urlo che squarciò il manto nero della notte.
Lacrime copiose gli rigavano il volto e la rabbia gli impediva di pensare.
Ma perché stava succedendo a lui?
Ancora un urlo, più disperato, più forte.
Il suo cuore si stava frantumando, tutto crollava, nulla aveva un senso.
Ricordava poco di quella sera, la disperazione e la tristezza.
Il cielo squarciato dalle urla e la solitudine fredda.
Fredda come quella notte.
Fredda come il nulla.
Fredda come il suo cuore, un cuore disperso alla ricerca di Raven.
E, nel silenzio, parole innamorate colmavano il vuoto. Sussurri d’amore, sussurri di speranza.
“Ti aspetto, Raven. Torna da me.”
 
 
 

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Capitolo 5
*** Ti aspetto ***


-Cosa sappiamo su di lui?
La voce fredda di Robin aveva qualcosa di diverso dal solito. Era più triste, più distaccata. E Starfire e Cyborg gliel’avevano fatto notare. Ma lui, noncurante, aveva risposto con un sospiro, e gli amici avevano capito.
Era successo. Basta.
Il vuoto, il gelo. Era successo.
E perciò anche le loro voci, calde e affettuose, si erano trasformate ed erano diventate piene di tristezza e solitudine.
-Si chiama Glen Miller.- sentenziò Cyborg, lo sguardo fisso sul monitor del computer. –Ha cinquantasei anni. Ha un negozio di elettronica qui a Jump City. Da pochi anni la moglie, Katherine Stern, è morta in un incidente aereo assieme al figlio Steve. Ora vive con la figlia maggiore, Malika. Ma da quando non c’è più Katherine…
-Non ha sopportato la sua perdita.- disse Starfire in un soffio.
Smettere di piangere dopo la perdita di qualcuno a noi caro non è semplice, i Titans lo sapevano bene.
È come perdere una parte di te, una parte dei tuoi pensieri, delle tue parole che prima erano rivolte a questa persona che però non ci sono più, al loro posto il silenzio. Il silenzio che diventa quasi un amico, perché non ne puoi fare a meno, in fondo hai bisogno di quella quiete.
Solo dopo riesci a comprendere di dover colmare quel vuoto. Di dover dare un senso a quello che ti sta succedendo. Ma purtroppo nessuno lo sa come fare a dare un senso ai propri sentimenti: arrivano e ti investono, ti consumano e ti fanno soffrire.
-Andiamo a fare una visita a Malika?- chiese Cyborg, che aspettava ordini da Robin.
-No, prima andiamo all’ospedale. Dobbiamo portare B.B. a casa…
Beast Boy era rimasto tutta la notte all’ospedale, non era tornato alla torre neanche per la colazione e il pranzo del giorno dopo.
Era seduto sulle poltroncine fuori dalle camere del reparto di terapia intensiva. Osservava Raven dal vetro sulla parete, e tristi lacrime gli rigavano gli occhi.
Lo sguardo spento e mesto, il mutaforma non si era mosso da quel posto neanche per un minuto.
Guardava il corpo esile della maga nascosto dalle candide lenzuola, i suoi occhi viola che gli riempivano il cuore di felicità ora erano chiusi, il volto graffiato e aveva una fasciatura all’altezza dell’addome. Guardando quella benda, il ricordo della scorsa sera gli tornò in mente e un’altra lacrima bagnò la sua guancia.
Una pistola. Uno sparo.            
È vero, pensò Beast Boy, bastano poche cose per renderti triste.
Il sorriso al volto gli era stato portato via da una pistola e uno sparo.
Il disperato tentativo di salvare Raven, il sangue e l’espressione sconvolta sulla faccia di tutti.
E poi lui aveva cominciato ad urlare disperato, a infrangere il suo silenzio. Il silenzio che lei amava tanto.
Quelle grida erano tutti i suoi sentimenti che uscivano fuori, irrompevano e si facevano sentire. I sentimenti che volevano arrivare al cuore di Raven, volevano avvolgerla e riempirla d’amore.
Così si era ritrovato sulla poltroncina fuori dalla camera 321 ad osservare la maga.
Non l’avrebbe abbandonata, le avrebbe fatto compagnia per tutto il tempo, fino alla fine.
Fino alla fine di quell’incubo. E poi avrebbero fatto parte entrambi di un nuovo sogno, un sogno d’amore.
Ma per ora era lì, fermo, senza parlare.
Medici dal camice bianco e infermiere con sorrisi rassicuranti gli passavano davanti: qualcuno si fermava a guardarlo, a chiedergli se avesse bisogno d’aiuto o se avesse voluto entrare nella stanza di fronte a lui. La 321, la camera di Raven. La sua risposta però era sempre la stessa, scuoteva la testa e rimaneva in silenzio.
Non voleva neanche entrare nella camera. Aveva paura.
Una volta dentro si sarebbe davvero reso conto di come stavano le cose, di quanto stesse male la maga, e come lui non voleva accettarlo.
Era solo un brutto sogno, pensava. Ma gli risultava sempre più difficile crederci davvero, credere che fosse solo un incubo.
Era impossibile capire la realtà. Capire la realtà senza esserci dentro.
Quello che voleva fare non era altro che scappare dalla verità, non tornando a casa perché senza di lei non avrebbe avuto un senso; non entrando a parlarle perché lei non l’avrebbe rimproverato dicendogli di stare zitto.
Erano quelle le cose che gli mancavano, le piccole azioni qotidiane, che appartenevano alla sua realtà, che l’avrebbero fatto sentire oppresso e vuoto.
E allora lui rimaneva fuori da quel mondo, rimaneva fuori dalla realtà e andava in un mondo tutto suo. Questo lo aiutava, a volte, ad essere più felice. Ma in quel momento il suo mondo era pieno di tristezza, e non poteva farci niente perché non poteva impedire alle lacrime di scivolargli sulle guance.
Il tocco di una mano sulla sua spalla lo distolse dai suoi pensieri, la voce mesta ma rassicurante di Robin gli sussurrò:-B….
Lui alzò lo sguardo.
-Che ne dici di tornare a casa? Ti fai una doccia, ti cambi, mangi qualcosa e poi…
Il mutaforma tornò a guardare Raven attraverso il vetro con gli occhi lucidi.
-Temo sia un “No”, Robin.- disse Cyborg, mentre anche lui osservava l’amica.
I tre rimasero in silenzio per alcuni minuti, a sperare nella guarigione di Raven, a guardare il suo corpo esile disteso sul letto; finchè i singhiozzi di Starfire riempirono l’aria.
Il leader si girò verso di lei e la strinse tra le braccia, sussurrandole amorevolmente:-Non piangere, Star. È tutto a posto.
-Io… non ce la faccio a vederla in questo stato, non ce la faccio…
Le calde lacrime rigavano il suo volto triste, il volto di una ragazza alla quale era stata tolta un’amica.
Certo, Raven non era l’ideale tipologia di amica che tutti desiderano. Ma a lei andava bene così com’era, con in suoi difetti e i suoi pregi.
Erano amiche, semplicemente amiche.
Non erano perfette, né l’una né l’altra, ma si volevano bene, e questo era importante.
-Non si muoverà da qui, Rob. È tempo sprecato.- disse Cyborg, alludendo a Beast Boy.
-Portiamo Star a casa e tornerai tu stasera, Cy. B.B. non può dormire qui.
Beast Boy lanciò uno sguardo arrabbiato al suo amico, uno sguardo veloce e tagliente. Non si sarebbe mosso di lì.
“Ti aspettto, Rae.” Si ripeteva.
Lui sarrebe rimasto ancora ad osservarla, nel profondo silenzio che lo avvolgeva, e l’avrebbe aspettata. Perché non avrebbe ma potuto continuare il suo viaggio, la sua avventura.
Non senza di lei.
 
 Ciao a tutti! ^^
volevo dirvi un po’ di cosine…Allora, intanto, comincio con il ringraziare tutti coloro che leggono, recensiscono o hanno inserito tra preferite/ricordate la mia storia. Grazie, mi rendete davvero felice (=
Poi, volevo dirvi che questo capitolo doveva parlare anche di un altro avvenimento, più… avventuroso, per così dire, ma poi è venuto troppo lungo (non esageratamente, ma più lungo rispetto ai precedenti) e quindi mi sono dovuta fermare.
Inoltre volevo dirvi che ho inserito l’OOC perché il personaggio di Beast Boy è leggermente diverso. È triste per Raven e depresso, e perciò non ha il carattere così infantile che ha nel cartone animato.
Infine, volevo dirvi che ho alzato il rating per come procederà la storia. L’ho alzato solo ora perché ho nuove idee, diverse da come mi aspettavo volessi continuare.
L’ultima, l’ultimissima cosa è che volevo scusarmi perché ad aggiornare ci metto un po’. Mi spiace davvero tanto, ma con l’arrivo dell’esate avrò più tempo per pubblicare.
Oops, mi sono dilungata un po’ troppo…Vi saluto
! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Ho bisogno di te ***


Glen Miller si avvicinò a Beast Boy per scrutarlo, osservarlo.
L’impressione che ebbe il ragazzo fu quella che l’uomo stesse cercando di capire se quelle sul suo volto fossero veramente delle lacrime.
E lo erano.
Beast Boy piangeva, perché non riusciva più a reprimere la sua tistezza. Le emozioni disordinate che provava lo rendevano diverso: più mesto e inattivo, quasi fosse spento, senza la solita luce che aveva negli occhi tutti i giorni.
Stava così male per via della salute di Raven.
Era tornato a casa, quel giorno, ma non aveva parlato neanche un po’. Anche gli altri Titans erano tristi, e soffrivano.
Ma lui provava tale dispiacere da riuscire a starsene in silenzio, a non combinare, come suo solito, guai e disastri.
Poi si era recato in prigione, camminando per le strade di Jump City, rivivendo ogni momento passato al fianco di Raven; ogni gioia, ogni dolore. Ogni promessa e ogni litigio.
Per lui era come se la maga fosse ancora lì, pronta a rimproverarlo dopo una bravata, a cacciarlo dalla propria stanza.
In fondo amava quando lei era arrabbiata.
Pensava che fosse bella con quello sguardo di fuoco, ogni volta che era infuriata. E poi amava sentire urlare il suo nome per tutta la torre.
Era stato accolto dall’atmofera di tensione che c’era in carcere, dalla curiosità dei detenuti che sbirciavano cosa succedesse attraverso le sbarre.
Qualcuno di loro lo riconosceva, erano stati proprio i Titans a portarli lì.
Gli altri comunque sapevano di chi si trattasse, chiunque l’avrebbe riconosciuto. E anche a quegli uomini faceva uno strano effetto vederlo in quello stato, abbandonato alla sua tristezza.
Commenti sulla sua espressione mesta rieheggiavano nell’aria, ma Beast Boy non ci faceva caso, non se ne curava.
Da quando era succeso non gli importava più di nulla, e nulla aveva un senso. Non senza di lei.
Una volta resosi conto che quelle goccioline sulle guance del ragazzo erano delle lacrime, Miller corrugò la fronte.
-Dovrei odiarti.
Cominciò a parlare Beast Boy, con la voce fredda e distaccata.
-Dovrei odiarti, per ciò che hai fatto.
-E perché non lo fai? Perché non mi odi?- chiese Glen, colpito dalle parole del mutaforma.
Parole che, effettivamente, non avevano senso.
Lui avrebbe dovuto provare rabbia, oltre al dolore. E avrebbe dovuto odiare Miller, perché era tutta colpa sua.
Ma poi ci pensò. E forse tutto quell’odio non faceva altro che peggiorargli le cose, peggiorare la situazione e il suo stato d’animo.
Perciò ci riflettè su.
Poi arrivò ad una conclusione: non sempre dal male deriva l’odio.
Raven stava male, le avevano sparato. Glen Miller le aveva sparato.
Quindi Beast Boy stava male, a causa dell’orribile gesto di quest’uomo; che, non pensandoci, aveva premuto il grilletto della pistola con un colpo secco.
Ricordava ancora le sue lacrime disperate e le urla. E poi… l’odio.
L’odio di tutto: verso il mondo, verso le pistole, verso se stesso. Ma quell’odio faceva danni, lo faceva morire dentro. Soffocava la sua anima e le sue emozioni.
Allora si era chiesto il perché di tutto quell’odio, e se fosse davvero necessario, se fosse l’unico sentimento che provava.
La risposta fu no.
Lui era triste, addolorato, e non voleva odiare Glen Miller.
Ma come riuscire a non provare un’emozione così devastante verso una persona che gli aveva rovinato la vita? Era come dover dimenticare, e lui non voleva.
Però, aveva bisogno di un’altra cosa. Aveva altri sentimenti i quel momento, altre emozioni disordinate nel suo cuore.
-Ho bisogno di comprensione. E tu in questo momento sei l’unico capace di comprendermi.
Comprensione.
Una parola, un sentimento, un’emozione.
Qualcosa di forte, di indispensabile per tutti. Anche per Beast Boy.
Aveva bisogno di comprensione, di qualcuno che capisse veramente ciò che provava in quel momento. E, paradossalmente, l’unico che era capace di comprendere i sentimenti del mutaforma era anche l’unica causa della sua rabbia e del suo dolore.
Miller si lasciò sfuggire una risatina.
-Tu l’amavi, vero?- chiese, con la sua voce rauca.
-No, io la amo. La amavo, la amo e la amerò ancora, per sempre.
Glen poteva capirlo.
Sua moglie era morta, ed era svanito tutto. Il mondo per lui  era crollato.
La sua vita era precipitata assieme all’aereo, a Katherine, la moglie; e a Steve, il figlio.
-Anche io amavo mia moglie.- disse, mantenendo lo guardo basso. –Anzi, sai che ti dico? Hai ragione tu, giovanotto. L’amavo, la amo, e la amerò ancora.
Beast Boy si alzò dalla sedia con l’accenno ad un sorriso.
Salutò Miller con un cenno del capo e uscì dal carcere di Jump City, osservando il cielo ormai oscurato dalla notte buia.
Guardando il riflesso della Luna sull’acqua del mare, pensò a Raven.
Alla luce nei suoi occhi ametista, a quei rari sorrisi, che ogni volta che coloravano il volto della maga lo rendevano felice.
Ma ora era preoccupato per il sua salute, si domandava se ce l’avrebbe fatta.
Tristi lacrime solcavao le sue guance, un dolore profondo lo avvolse completamente, si sentiva solo e… incompreso.
Tutti soffrivano.
Starfire piangeva ogni giorno e Robin cercava di consolarla, ma forse neanche lui era sicuro di quello che diceva. “Andrà tutto bene” ripeteva, ma Beast Boy in quella situazione non ci vedeva nulla di bene.
Anche Cyborg era triste.
Ora che Raven era all’ospedale, nessuno avrebbe rimproverato il mutaforma per i suoi stupidi scherzi. Però Beast Boy non li faceva più quegli scherzi, non si divertiva a prendere in giro il robot, non giocava ai videogiochi con lo spirito competitivo di una volta.
Pensava che ormai senza Raven tutto era spento, ed era vero.
Ma il ragazzo verde si sentiva incompreso. Triste e incompreso.
Starfire aveva perso un’amica speciale, e anche Robin.
Cyborg considerava la maga una sorella minore da proteggere.
Ma Beast Boy… lui aveva perso un’amata, che era diverso.
Lui l’amava, ma non come si amano i fratelli, o gli amici, o i genitori.
Lui l’amava più di ogni altra cosa.
Lui l’amava, e non poteva sopportare che stesse male.
Lui l’amava, e non poteva impedire alle lacrime di lasciare segni sulle proprie guance.
Così, nel silenzio di una notte buia, un ragazzo con il cuore infranto si aggirava per le strade di Jump City piangendo.
Un ragazzo che aveva bisogno di essere compreso.
“Ho bisogno di te.” Sussurrava, mentre la luna pallida risplendeva nel cielo.
Aveva bisogno della sua amata.
Aveva bisogno della sua Raven.

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Capitolo 7
*** Devo solo essere compreso ***


Ciao! ^^
Eccomi, finalmente, con il 7° capitolo! (Avete l'antidepressivo a portata di mano? Ce ne sarà bisogno.)
Intanto, vorrei approfittarne per ringraziare voi che recensite, avete inserito tra preferite/ricordate/seguite la storia e semplicemente leggete. Grazie, grazie, grazie (': 
Poi, prima di lasciarvi alla lettura, volevo dirvi una cosina... sabato parto! Vado per due settimane in Scozia. E voi vi starete dicendo "Che me ne frega?" e avete ragione, in effetti... è solo che non so quando riuscirò ad aggiornare. Perciò, per leggere il prossimo capitolo, dovrete aspettare un pochino. Forse prima di partire scriverò l'ottavo capitolo, ma non vi prometto niente. Tuttavia, mi impegnerò per pubblicare il prima possibile!
Bene, io vi saluto! Buona lettura!


Il pallore lunare riempiva il buio di quella notte.
Il riflesso della Luna sull’acqua creava una magica atmosfera, le poche stelle luminose brillavano nel manto nero del cielo notturno.
Beast Boy camminava a passi lenti per le strade cupe di Jump City, che a quell’ora della notte sembrava una città fantasma.
Stava tornando a casa, Robin l’aveva chiamato infuriato e gli aveva ordinato di tornare alla T-Tower. Ma non ne aveva voglia.
Forse perché quella non gli sembrava più una vera casa, da quando non c’era Raven. Per sentirsi veramente bene aveva bisogno della presenza della maga.
Succedeva così, gli serviva la sua presenza. Aveva bisogno di sentire il suo profumo nell’aria, ascoltare la sua voce e osservarla di nascosto. 
Nella voce triste di Robin si poteva sentire della rabbia. Non aveva ancora perso la sua autorevolezza, nonostante tutto quello che stava succedendo.
La solitudine fredda accompagnava Beast Boy alla torre, ma una voce familiare lo distolse dai suoi pensieri.
-Ehi, Logan!
Il buio nel vicoletto fece spazio alla sagoma di un ragazzo alto, con i capelli castani ed un sorrisino sul volto.
Beast Boy conosceva quel sorriso. Conosceva quella voce. Conosceva quel ragazzo.
Alzò lentamente lo sguardo, che prima era chinato verso l’asfalto, per puntare gli occhi verdi in quelli marroni del giovane di fronte a lui.
L’espressione sul viso del mutaforma era mesta, aveva gli occhi lucidi e le guance erano solcate dai segni delle lacrime.
-Josh, non ci vediamo da molto.- disse, con voce flebile.
-Eh già.- sospirò. –Sono passati anni, ma tu rimani lo stesso di sempre. O mi sbaglio, Gar?
Non aveva intenzione di rispondere a quella domanda.
Certo che sì, si sbagliava.
Lui era cambiato. In meglio, anche.
Era diventato una persona migliore, con il passare del tempo.
L’amore l’aveva trasformato. Raven l’aveva trasormato.
-Almeno ora ce l’hai la ragazza?- chiese il ragazzo con i capelli castani, con un sorrisino malizioso dipinto sul volto.
Beast Boy conosceva anche quel sorriso.
Josh Parker era famoso per i suoi sorrisi. Le ragazze li amavano. Gli bastava rivolgere loro uno sguardo rapido e quel maledetto sorrisino per farsi adorare come se fosse un Dio.
Era nella stessa squadra di baseball del mutaforma, il ragazzo verde ricordava le cheerleaders che impazzivano per Josh.
-Ce l’hai la ragazza?- aveva chiesto Parker.
No, la ragazza non ce l’aveva. Ma amava Raven con tutto se stesso.
E se fosse stata bene, allora lui non sarebbe stato lì; e magari, a quell’ora, alla domanda “ce l’hai la ragazza?” avrebbe risposto di sì.
-No.- disse, lo sguardo basso e la voce fredda. –Ma non ti interessa.
Josh rise. –Nessuna ragazza si fidanzerebbe con te, Garfield.
-Ho detto che non ti interessa.- ringhiò Beast Boy di rimando.
Poi, senza salutare, senza dire nulla, il mutaforma ricominciò a camminare verso casa, le lacrime calde che gli sfioravano le guance.
Decise di tornare alla torre, alrimenti Robin si sarebbe arrabbiato ancora di più di quanto non lo fosse già.
Anche se in quel momento quello arrabbiato era proprio B.B., era infuriato con il mondo perché gli stava portando via Raven.
Sentiva il bisogno di odorare il profumo dei suoi capelli, aveva voglia di chiacchierare con lei.
-Sei solo un perdente Logan.
La voce di Josh riempì nuovamente il silenzio.
Quelle parole taglienti fecero girare Beast Boy, che si avvicinò al ragazzo lentamente, fissandolo.
-Come dici scusa?- chiese, mantenendo i propri occhi puntati in quelli di Parker.
-Dico che mi sembri un perdente.- disse Josh, la voce ferma e il tono di sfida. –Perché stai piangendo?
Il mutaforma si sfiorò le guance con la mano, si bagnò la pelle con una lacrima e socchiuse gli occhi per prendere un profondo respiro.
-Qualcuno a cui tengo in questo momento è…- non finì la frase, ma il ragazzo di fronte a lui aveva capito.
-“Qualcuno a cui tieni” è la ragazza che ti piace?- chiese, mantenendo quel dannato tono imponente che B.B. odiava.
Sì, Raven era qualcuno a cui teneva. Era la ragazza che gli piaceva.
Non poterla avere in quel momento lo rendeva triste, perciò non impediva a quelle lacrime pesanti cariche di sentimenti di solcargli il volto.
-Non ne vale la pena Logan. Non piangere, sembri un perdente.
Ma come fare a non piangere?
Quei sentimenti erano troppo forti per essere soppressi, quella tristezza era troppo profonda.
-Io non sono un perdente. Sono innamorato, è diverso.- sussurrò piano, fissando gli occhi scuri di Josh.
-Piangere per amore. Roba da ragazzine di tredici anni.- rise. –Sei un perdente.
Piangere per amore.
Era diventata quasi un’abitudine, uno strano rituale. Piangere, macchiarsi di calde lacrime che racchiudevano sentimenti. Urla, dolore, rabbia e amore.
Josh non poteva capire. E Beast Boy non poteva accettare di essere chiamato perdente, perché soffriva e… amava.
Sentì la rabbia ribollire nel sangue, un improvviso nervoso.
Senza quasi pensarci, in uno scatto di ira, il braccio del mutaforma si allungò verso il ragazzo, e gli tirò un pugno sul naso.
Il sangue vermiglio colava e bagnava le labbra di Josh, che intanto si asciugava dal liquido passandosi una mano sul volto.
-Logan, che ti prende?- domandò, con un tono a metà tra il sorpreso e l’arrabbiato.
Non lo sapeva nanche Beast Boy cosa stesse succedendo.
Si sentiva in dovere di battersi per Raven, per i propri sentimenti.
-Non è con un pugno sul naso che ti dimostri forte.
Un calcio arrivò dritto nella pancia di Josh, che si lasciò sfuggire un gridolio di dolore.
Ancora rabbia, odio, disprezzo. Ancora tristezza e debolezza.
Un altro pugno, poi un calcio all’addome. Il ragazzo moro si accasciò sull’asfalto, sanguinando e gemendo, senza forze.
L’espressione sul volto del mutaforma era terrificata, da ciò che lui stesso aveva fatto. Urlò disperato, distruggendo il silenzio della notte.
Corse con tutto il fiato che aveva, per scappare dalla realtà, troppo difficile e triste, che lo tormentava. Illuminato dal candido sguardo della Luna, correva per arrivare a casa.
Sperava che una volta arrivato si sarebbe svegliato, scoprendo che era tutto un incubo. Ma non lo era.
Quando, silenziosamente, entrò alla T-Tower, trovò Robin, Cyborg e Starfire che lo osservavano sorpresi.
Il leader si avvicinò Beast Boy con un’espressione delusa sul volto. Quasi fosse triste, quasi non volesse rimproverarlo.
-Si può sapere perché l’hai fatto?
Non lo sapeva. Ma aveva bisogno di essere compreso. Perché Robin sicuramente non avrebe capito, non ci sarebbe riuscito.
Il motivo per cui aveva picchiato Josh non esisteva, ma ora quello che Beast Boy desiderava era sentirsi compreso. Ricevere l’affetto di qualcuno che potesse capirlo.
-Tu sei un eroe: le persone le dovresti salvare, non picchiare!- Robin alzò leggermente il tono della voce, mentre Starfire, dietro di lui, piangeva.
“Devo solo essere compreso.” Una frase che si faceva spazio fra i suoi pensieri.
-Se continui così non… non so che fare. Giurami che non lo farai più. Per favore.
Furono quelle ultime due parole che fecero girare il mutaforma, già pronto ad andare nella sua stanza.
-Te lo prometto.
Una promessa fatta a Robin andava mantenuta. Non l’avrebbe deluso.
Poi, con una lacrima che gli solcava il volto triste, entrò nella propria camera, l’accenno ad un piccolo sorriso e i pensieri su Raven e i suoi magnifici occhi viola.

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Capitolo 8
*** Speranza ***


Ehilà! Sono tornata! Dopo la Scozia, dopo tutto quello che è successo in tre settimane, sono ancora viva!
Perdonate il mio ritardo con l'aggiornamento, ma davvero in questo periodo c'è una confusione tale nella mia testa... xD
Allora, intanto vorrei ringraziere sempre tutti voi che recensite, avete inserito tra preferite/seguite la mia storia e anche voi che semplicemente la leggete, grazie mille! (sappiate che non mi stancherò mai di ringraziarvi...!)

Un grazie in particolare va ad AlexRae00, che mi segue sempre e mi fa emozionare con le sue recensioni <3 :3
Volevo dirvi, inoltre, che da un po' di tempo ho tolto l'OOC, seguendo il consiglio di Lady Maryon, che ringrazio perchè è sempre molto gentile =^)
Infine, vi chiedo una cosina piccola piccola... visto che oggi è il mio compleanno, come regalo me la lasciate una recensione piccina piccina? Grazie in anticipo (:
Bene, io vado a festeggiare il mio compleanno! Vi lascio al capitolo, spero vi piaccia ;)
A presto!


La luce e il chiarore dell’alba si diffondevano sullo spumeggiare del mare sotto la baia di Jump City. Il sole era sorto, e i colori caldi accoglievano un nuovo giorno riflettendosi sulle onde che si infrangevano sugli scogli, che Beast Boy riusciva a vedere ai suoi piedi.
Guardava l’aurora restando in silenzio, pensando che a lei sarebbe piaciuto essere lì. A Raven piaceva l’alba, con i suoi colori e le prime luci del giorno.
Seduto sul tetto, le gambe che dondolavano nel vuoto e lo sguardo fisso verso il cielo immenso, il mutaforma sentì una strana sensazione appena l’immagine di una Raven felice gli passò per la mente. Riusciva a vedere il suo sguardo contento, l’espressione rilassata e un sorriso sul volto.
Avvertì un brivido lungo tutta la schiena, poi il suo cuore cominciò a battere più forte, seguendo un ritmo diverso, dettato dall’amore e… dalla speranza.
Speranza: una parola tanto diffusa quanto difficile da compredere, tanto usata quanto utile.
In quel momento era proprio quello di cui aveva bisogno. Doveva sperare, e cercare di pensare che forse sarebbe andato veramente tutto bene.
Ma non era facile.                                            
Aveva provato a dimenticare, ma poi aveva capito che non ne valeva la pena, che non era necessario.
Aveva provato anche a non piangere, ma a cosa sarebbe servito? Non avrebbe dimostrato nulla.
Sarebbe rimasto quello di sempre, con o senza lacrime. Era la ragione del suo pianto che gli avrebbe cambiato la vita.
Ora però sentiva quella strana sensazione, la speranza, che gli si diffondeva in tutto il corpo, che forse l’avrebbe aiutato a non sentirsi così solo in quella mattina in cui osservava l’alba.
Guardando lo sguardo concentrato e l’espressione con un pizzico di felicità sul volto di Beast Boy, a Robin venne da sorridere. Si sedette accanto a lui, non disse niente.
Quei lunghi silenzi avevano cominciato a significare tanto per il mutaforma, da quando non c’era Raven a richiederli. Ogni tanto gli sarebbe piaciuto dover sentire ancora la sua voce arrabbiata, urla su urla per chiedere silenzio. Per un attimo, quasi tutte le volte, qualcuno smetteva di parlare, giusto per dare alla maga il tempo di rendersi conto che non ci sarebbe stata alcuna calma.
Aveva imparato a restare in silenzio, forse.
Aveva capito che era importante, contava davvero qualcosa sentire, anche solo per un minuto, nessun atro rumore al di fuori di quello delle lancette dell’orologio.
Però, non era bravo a mantenere il silenzio. Non quanto Robin.
Quella mattina fu il contrario. Fu proprio il leader del gruppo a interrompere la quiete, con grande sorpresa di Beast Boy.
-Oggi andiamo a farle visita, verrai?
Il mutaforma sospirò, poi guardò Robin alla ricerca del suo sguardo sotto la maschera. Annuì, e si rigirò ad osservare il cielo.
-Forse non ci credo davvero, ma ho voglia di pensare che andrà veramente tutto bene.- disse, la voce bassa e triste.
-Sarebbe più facile crederci, se ti dicessi che anche io voglio pensarlo?- un mezzo sorriso dipinse il volto di entrambi.
-Sarebbe più facile, se non ci fossero cose difficili.- sentenziò il mutaforma.
-Ma cosa faremmo senza le cose difficili? Quali ostacoli dovremmo affrontare?
-Non dovremmo guadagnarci la felicità, e questo non sarebbe neanche così positivo, se ci pensi.
Robin aveva un’espressione interrogativa e confusa. Effettivamente, aveva sempre pensato che a Beast Boy sarebbe piaciuto non dover sudare per ottenere qualcosa.
In generale, pensava che al mutaforma sarebbe piaciuto non dover muovere un dito, avere tutto alla sua portata.
-Non ti piacerebbe vivere con tutto quello di cui hai bisogno?
-Quello di cui ho bisogno è qualcosa che devo guadagnarmi. Non avrei la necessità di questa cosa, se fosse già mia.- disse il ragazzo verde, con un leggero sospiro.
Il leader dei Titans rivolse il suo sguardo al mare, riflettendo sulle parole di B.B..
Robin si era guadagnato tutto quello che aveva: una squadra, degli amici, una casa. Queste cose le aveva desiderate; e quel desiderio, quella voglia di ottenere la felicità, erano state la sua forza, qualcosa che l’aveva spinto ad andare avanti.
Cos’era però che dava la forza e il coraggio di andare avanti a tutti, in quel momento?
Beast Boy ci aveva pensato. E ci pensò anche il leader.
Ad una stessa domanda, una stessa risposta. Robin la sussurrò quella risposta, e il mutaforma riuscì a sentire quella parola, anche se pronunciata piano.
Una sola parola, più forte di altre cento messe insieme.
-Speranza…                   
B.B. si girò di scatto.
-Speranza.- ripetè Robin.
Il ragazzo verde accennò ad un sorriso rivolto all’amico.
-Speranza.- disse, convinto.
-Speranza!- urlarono in coro, guardandosi.
Ci fu tra i due uno sguardo d’intesa, e improvvisamente si sentirono più felici. Pensarono che non avrebbero deluso Raven, che avrebbero continuato a sperare.
Così, quel pomeriggio, all’ospedale, Robin e Beast Boy sapevano cosa avrebbero detto all’amica.
Starfire pianse, dopo aver mormorato qualcosa alla maga. Parole rassicuranti, probabilmente, che però non riuscivano a rassicurare nemmeno se stessa. I dottori dicevano che poteva sentirli, perciò anche Cyborg, con le lacrime agli occhi, le si avvicinò e le augurò di rimettersi in fretta.
Robin decise di sussurarle la parola “speranza” nell’orecchio,  e le accarezzò la fronte. Poi, si diresse verso Star e l’abbracciò, stringendola amorevolmente.
B.B. non entrò, neanche quel giorno.
Rimase seduto fuori, a guardarla, gi occhi lucidi e lo sguardo mesto, attraverso il vetro.
Nessuno gli disse niente, però. Gli sembrò anche strano, il fatto che i suoi amici non avessero insistito.
Forse aveva tante cose da dirle, aveva tanta speranza da trasmetterle, ma non ce l’avrebbe fatta. Non in quel momento, non sarebbe entrato nella stanza di Raven.
Osservava il suo volto pallido e le labbra serrate, gli occhi chiusi e i capelli viola che erano posati sul cuscino.
Una lacrima calda gli bagnò la guancia. Poi un’altra.
Poteva vedere Robin che stringeva Starfire tra le braccia, entrambi piangevano. Cyborg, lo sguardo triste rivolto alla maga di fronte a lui, non si seppe trattenere.
-Rae, torna presto.- sibilò la tamaraniana, con un filo di voce.
S’incamminò verso la porta e uscì, seguita dal leader e dal robot.
Si fermarono un attimo a guardare Beast Boy, ma lui non levò gli occhi dalla grande vetrata che lo separava da Raven.
Non sarebbe entrato nella stanza, questo i suoi amici l’avevano capito. Ma quando B.B. pensava che fossero andati via, gli comparve davanti un Robin affannato: aveva corso.
-Speranza…- disse il ragazzo mascherato, aspettando una risposta.
Il mutaforma socchiuse gli occhi, si asciugò le lacrime con la punta delle dita e poi guardò il suo leader negli occhi con espressione mesta.
Ripetè quella parola, piena di vita e di forza.
E poi, come se avesse ritrovato un coraggio perso da tempo, si alzò dalla poltroncina su cui era seduto.
Aprì la porta, che produsse un sono simile ad un cigolio. Entrò, con le lacrime agli occhi.
Le lacrime di un innamorato che cerca la sua amata in un mare di speranza.

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Capitolo 9
*** Rimani con me ***


Richiuse la porta alle sue spalle, e si asciugò un’altra lacrima silenziosa.
Osservò il corpo di Raven disteso sul letto, avvolto tra le candide lenzuola; i lunghi capelli viola erano sparpagliati disordinatamente sul cuscino.
Si avvicinò piano, attento a non fare rumore.
Sentiva una strana sensazione, una morsa al cuore. Socchiuse gli occhi per un secondo, sperando di potersi trovare, anche solo per un attimo, in un mondo in cui Raven stesse bene.
Scappare dalla verità.
L’aveva desiderato di nuovo, aveva implorato a se stesso di evitare di pensare, convincersi che era solo un incubo.
Ma non ce l’aveva fatta, si era ritrovato di nuovo a piangere, a disperarsi e distruggersi, solo per… amore.
Sospirò, e si sedette sulla sedia accanto al letto di Raven.
-Ciao.- sussurrò, con voce flebile. –È strano parlare con te senza ricevere risposta, sai? Non è lo stesso se non mi rimproveri dicendomi di stare zitto.
Si passò una mano sulla guancia bagnata dalle lacrime, e guardò le palpebre leggere della maga, che coprivano i suoi magnifici occhi viola.
Pensò a quanto gli mancassero i suoi sguardi.
-I medici dicono che tu possa sentirmi, ma che probabilmente quando ti sveglierai dimenticherai tutto ciò che ti dirò.
Un po’ gli dispiaceva, gli sarebbe piaciuto che lei conservasse quella conversazione, e che una volta guarita dal coma gli potesse dire: “Grazie B.B.”, perché lui le era stato vicino mentre era in ospedale.  
Forse non aveva neanche bisogno di quel “grazie” per sentirsi appagato, e se Raven non avesse mai saputo che Beast Boy era andato a parlarle non sarebbe stato un male: si domandava quante sciocchezze avrebbe detto, essendo triste e abbattuto.
-Il fatto è che senza di te io mi sento perso.
Le sfiorò la mano fredda, poi la strinse più forte.
-C’è solo… buio, quando non ci sei tu.- disse, con la voce mesta. –Ma, io mi chiedo, cos’è il buio? I bambini ne sono spaventati, tutti gli altri sono curiosi di sapere cosa vi si nasconde, oppure accendono la luce e lo fanno svanire. A te piace il buio, vero Rae?- fece una pausa, quasi aspettasse una risposta che non sarebbe mai arrivata.
-A me il buio fa paura. E la mia paura del buio è la paura di quello che non conosco, che non so e che potrebbe farmi del male. È impossibile dire di non essere ansiosi di accendere la luce, quando è spenta. Ma prima o poi dovremo sorpassare il buio. Bisogna avanzare a testa alta, proprio lì, dove nessuno ti vede. Può sembrare una cosa idiota, ma non lo è.
Se fai qualcosa quando nessuno ti guarda sei sicuro di voler fare quel gesto per te stesso, e non per dimostrare di essere forte agli altri. Quando si cammina nelle strade del Buio incontri tanti pericoli, ostacoli; e non bastano due occhi per vederli ed evitarli. Ne servono quattro.
Non bastano due mani per toccare, due gambe per camminare. Ne servono quattro.
Per questo noi camminiamo insieme. Per sentire meglio quel rumore sospetto, ma anche per perderci insieme. Uno sbaglio diventa una cosa giusta se fatto con un amico, con una persona alla quale vuoi bene.
Per questo, Rae, noi ci teniamo la mano.- B.B. si fermò un attimo, le accarezzò la fronte e continuò a parlare con la voce tremolante, sull’orlo delle lacrime:- Per condividere quel piccolo attimo di felicità, per osservare la luce in fondo alla strada e gioire. Ogni tanto io inciampo. Troppo spesso, forse? È perché voglio che tu mi insegni a seguire il suono del mare, è perché voglio guardare la luna splendere vicino a te.
A volte inciampi anche tu. Ma, in fondo, cosa importa?
Noi ci rialziamo sempre, ci togliamo la polvere dai vestiti e continuiamo la battaglia dopo una ferita. Io spinto dalla tua forza e tu dalla mia. E, mano nella mano, camminiamo di nuovo su quella strada, sotto lo sguardo del resto del mondo e il buio immenso, alla ricerca di una luce che, nei nostri cuori, abbiamo trovato già.- si sfiorò la guancia con il pollice, per toccare una lacrima che cadde sulla mano di Raven, rigandola.
Beast Boy sospirò. Si avvicinò al suo volto esitando, incerto.
Poi, senza pensarci, le lasciò un piccolo bacio sulla fronte, con leggerezza.
-Guarisci presto, Rae.- sussurrò, sentendo il cuore battere a mille.
Si alzò dalla sedia, e aprì la porta per andarsene. Si girò un’ultima volta per osservare il volto della ragazza.
Poi, mentre varcava la soglia dell’entrata con lo sguardo basso, sentì una voce.
Sentì quella voce.
La sua voce.
-B.B., non andartene. Rimani con me.
 

Ehilà!
Eccomi qui, con enorme ritardo, a postare il capitolo alle 23.47.
Mi scuso, è quasi un mese che non aggiorno, mi dispiace :c
Ultimamente non so dove ho la testa, ed ho qualche problemino… sì, insomma, ‘’affari di cuore”.
Parlando d’altro: qui fa un caldo di pazzi! Yeeee! (anche se ho scritto ‘Yeeee!’ non sono veramente felice =.= ho il cuore infranto e il cervello bollito dal caldo :c)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! E se vi va mi farebbe piacere ricevere una recensione. Mi fareste felice :)
Grazie per aver letto ^^ e grazie a quelli che hanno recensito e recensiranno!
A presto!

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Capitolo 10
*** Ci sarò sempre ***


                                                                                                                A Giulia, che c'è sempre.
                                                                                                                           Ti voglio bene.

 

Il suo cuore prese a battere più velocemente e cominciò a sudare.
B.B. si girò di scatto verso Raven, l’espressione sorpresa, felice, confusa.
-R-Raven?- sussurrò.
-B…Beast… ho caldo…- ansimò la maga.
Lui spalancò gli occhi, ancora incredulo, poi realizzò che la ragazza si era svegliata, allora un sorriso enorme gli si stampò in faccia.
Mormorò la parola “speranza” a Raven, e uscì dalla porta facendola sbattere rumorosamente.
Corse per il corridoio dell’ospedale e cercò il medico, gli indicò la stanza 321 e aspettò fuori, seduto sulla poltroncina con la quale oramai aveva confidenza.
Non poteva crederci, era come se un sogno si stesse realizzando, come se tutta la tristezza provata fino a quel momento stesse diventando felicità.
Aveva le famose farfalle nello stomaco, una sensazione bellissima gli penetrava nelle ossa, si sentiva bene.
Gli tremavano le mani.
Sospirò.
Socchiuse gli occhi, e quello che vedeva era tutto colorato, allegro; le pareti bianche e tristi dell’ospedale erano diventate prati verdi, arcobaleni, giardini pieni di sogni.
Sospirò di nuovo.
Si portò una mano al petto per ascoltare il battito del suo cuore, veloce e irruento come una tempesta.
Si chiese se stesse sognando, immaginando tutto.
Così riaprì gli occhi per accertarsi di essere ancora all’ospedale.
Gli sarebbe piaciuto volare via con il pensiero, magari avrebbe portato con sé Raven, sarebbero scappati lontano, soli loro due, ma uniti come non mai. E poi la loro storia avrebbe avuto un lieto fine, sarebbero stati felici insieme.
Forse neanche desiderava avere tutto così facilmente, la sua Rae era bella proprio perché difficile, impossibile.
Sospirò ancora.
Richiuse gli occhi. Pensò al suo amore per la maga.
Un altro sospiro.
L’amore. “Che bello,” gli dicevano, “l’amore è una cosa bellissima.”
Sì, lo è. E non poteva dire che non era vero, perché l’amore è tutto, troppo. Felicità, tenerezza, passione. Ma anche rabbia, tristezza, diversità.
E Beast Boy e Raven erano quello, un insieme di emozioni, pezzi di un puzzle che solo in due potevano completare.
Sollevò le palpebre e prese il T-Comunicator dalla tasca, scrisse un messaggio veloce a Robin, in cui gli chiedeva di andare con urgenza all’ospedale.
E poi sprofondò nuovamente nella poltrona, osservando la targa con il numero della stanza di fronte a lui.
321.
Un numero che ormai aveva un proprio significato, un numero che forse avrebbe preferito ricordare come uno tra tanti, invece di dover pensare che fosse il numero della camera di Raven quando tutto ciò era successo.
Con la maga era così: per lui tutto prendeva un nuovo aspetto, la maggior parte delle volte positivo.
Quanto avrebbe pagato per averla lì con lui in quel momento? Per poterla stringere, abbracciare, per fare in modo che nulla fosse successo?
Strinse le spalle, abbassò il capo. Sembrava un cucciolo indifeso.
Cercò di uscire dal mondo, e ci riuscì: non sentì più nulla, neanche il rumore leggero della sedia a rotelle di Raven che gli andava incontro.
Vederlo preoccupato, triste,  diede una sensazione di estrema tenerezza alla maga, quando lo vide.
Un brivido le corse lungo la schiena.
Si avvicinò a Beast Boy con cautela.
Lui era ancora rannicchiato, gli occhi chiusi e il battito del cuore a mille.
-Ehi, B.B…- sussurrò piano, la voce roca.
Lui spalancò gli occhi, riconoscendo la ragazza che aveva accanto.
Sorrise.
Non disse niente.
E parole erano sparite, per la troppa felicità forse, e in gola gli rimaneva solo una risata spezzata dalle lacrime di gioia.
-Beast Boy, sono felice di rivederti.
Deglutì.
Si mise una mano al petto, sentiva il cuore battergli fortissimo.
La guardò insistenetemente, poi riuscì a realizzare quello che stava succedendo.
-RAVEN!- gridò, alzandosi di scatto.
Rideva, felice.
Contemporaneamente piangeva, lacrime salate ma piene di amore, contentezza.
Il suo sguardo vivido si spense per un attimo quando notò che lei era su una sedia a rotelle.
Ma non ci fece caso, l’abbracciò, piangendo.
-Anche io sono felicissimo di rivederti, Rae. Mi sei mancata.- disse piano, stringendola con tutta la forza che aveva, attento però a non farle male.
Le accarezzò i capelli corvini con dolcezza.
Lei si lasciò cullare dalle braccia muscolose del ragazzo, condividevano un attimo di felicità insieme.
Non parlarono.
Non c’era bisogno di parole, non servivano a nulla.
Solo il battito dei loro cuori, e il dolce profumo dell’amore che alleggiava nell’aria.   
Felicità, contentezza, amore, speranza, tenerezza: l’immagine di Beast Boy e Raven abbracciati, lui inginocchiato per arrivare alla sua sedia a rotelle, trasmetteva queste emozioni.
I loro compagni riuscirono a sentire quei sentimenti quando li videro, entrando nel reparto di terapia intensiva.
Quando Robin aveva ricevuto il messaggio, non si sarebbe aspettato di poter rivedere il sorriso sul volto di B.B., aveva temuto il peggio.
La prima volta dopo settimane, riuscì a sentirsi sollevato.
Piangendo, Cyborg fu il primo a interrompere quel momento tra i due.
-Raven! Raven!
L’abbracciò, insieme a Starfire e Robin.
E finalmente si sentiva quella leggerezza e quella felicità nell’aria, finalmente sul loro volto c’era un sorriso.
Dopo una tempesta, dopo una guerra, Raven aveva vinto.
Ancora una volta.
Il dottore, affiancato da un’infermiera, si avvicinarono sorridendo inteneriti.
-Fortunatamente, signorina Roth, è tutto a posto.
Il mutaforma aprì la bocca per chiedergli della sedia a rotelle, cosa fosse successo, ma il medico lo precedette.
-La sedia a rotelle è temporanea, è perché la ragazza è troppo debole adesso, probabilmente non riuscirebbe a camminare. Perciò ha bisogno di riposo.
I Titans annuirono e Raven sorrise leggermente verso i suoi amici.
“Com’è bella.” Pensò Beast Boy, guardandola.
I capelli scuri, lunghi, le cadevano sulle spalle e incorniciavano il suo volto, più pallido del solito.
Gli occhi grandi erano lucidi, ma avevano uno sguardo stanco.
C’era ancora qualcosa in lei che non andava.
Si ricordava dei suoi amici, li aveva riconosciuti; ma nei suoi occhi non c’era quella luce di sempre.
-Ragazzi, andiamo?- propose Cyborg. –Torneremo domani.
Beast Boy scosse il capo. –Io rimango qui.
-Ascolti, io le consiglierei di tornare a casa.- intevenne il medico.
-No, ho detto di voler rimanere qui.- il tono del mutaforma si fece più autoritario, la voce più forte.
Il dottore e l’infermiera si allonatanarono.
-Voglio restare con lei.- indicò la maga, che aveva lo sguardo perso.
Ma B.B. non ci fece caso, per l’ostentazione di quel momento.
Starfire non disse niente.
Aveva imparato con il tempo a comprendere il suo amico verde, capire che se si compartava in quel modo era perché voleva ottenere qualcosa di importante.
Robin fece un cenno a Cyborg.
-E vada. Rimani qui, stasera. Falle compagnia.- sentenziò il leader, poi sorrise a Raven.
Ci fu uno scambio di sguardi fra i ragazzi, poi il robot e la tamaraniana si incamminarono verso l’uscita, affiancati da Robin che li raggiunse dopo aver sussurrato “speranza” a Beast Boy.
Solo a quel punto, la maga parlò:-Grazie, Beast Boy. È bello sapere che tu mi voglia fare compagnia.
Non lo guardò negli occhi. Lui sorrise.
-Adesso vai a riposare, Rae.
La accompagnò nella stanza, l’aiutò a stendersi sul letto e si mise accanto a lei.
-Ehi, Rae…- disse dopo un po’.
-Mh?
-Devo dirti una cosa.
La guardo negli occhi, si avvicinò.
Di nuovo notò che non c’era la solita luce, in lei, ma nuovamente non ci fece caso, pensando che forse era solo la stanchezza.
-Sappi che io ci sarò sempre per te, in ogni momento.- sussurrò, accarezzandole il volto. Sentiva le guance di Raven diventare più calde.
Lei sorrise timidamente, arrossendo. Si girò dall’altro lato del letto, mormorando un piccolissimo -Grazie- che era più grande di qualunque altra cosa per Beast Boy.
Poi si addormentarono entrambi, felici.
B.B. pensando a lei. Come sempre, d’altronde. Era inevitabile.
Amarla, era inevitabile.




YEEEEEEEEEEEEE.
Innanzitutto, voglio scusarmi per l'enorme ritardo.
Mi dsipiace davvero molto :c

Anche perchè il capitolo era pronto il 9 settembre, poi però per errore non ho salvato il file e così l'ho riscritto. Ma comunque è andato perso, perchè il 14 era di nuovo pronto ma sempre per sbaglio non ho apportato le modifiche al file esistente.
Ultimamente non è proprio un bel periodo, poi è anche ricominciata la scuola... va be', lasciamo stare tutto ciò.
Finalmente, RAE STA BENEEEE!!!!!!!!! *facciamo una festa? Ah, giusto, ci deve pensare B.B. ;)*
Oh, ho una precisazione da fare riguardo al capitolo: quando dico "....il dolce profumo dell'amore che alleggiava nell'aria.", so che l'amore non profuma, ma è una licenza poetica u.u
Infine, mi scuso di nuovo per il ritardo non giustificato e ringrazio tutti coloro che mi seguono :)
GRAZIE. 
Per ultima cosa faccio di nuovo gli auguri alla mia Giulietta (zoey19 su EFP)  :P alla quale è dedicato il capitolo.
Un grazie speciale anche per lei. :)
Vi chiedo una recensione piccola piccola per sapere cosa pensate della storia! Grazie in anticipo.
A prestooooo!



 

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Capitolo 11
*** Devi scriverla tu la tua storia ***


                                                                                                               {Scusate, scusate, scusate, scusate per l'enorme ritardo.}

 
La luce fioca filtrava dalla finestra, le tende lasciavano passare pochi raggi sfumati che irradiavano la stanza di Raven, rendendo la camera quasi più allegra e meno macabra nel suo pallore.
La maga si svegliò piano, muovendosi cautamente sotto le coperte, notando che era sola: nessuna infermiera, nessuno dei suoi amici. Ai piedi del letto c’era un grande fascio di eleganti calle, profumate e dolci. Nonostante avesse la vista un poco appannata, riuscì a intravedere un bigliettino giallo scritto in viola.
Buongiorno Rae-Rae.”
Riconobbe la grafia di Beast Boy, si chiese come mai non fosse rimasto a farle compagnia anche quella mattinata. Chiamò un medico con il campanello dietro di lei, quando arrivò si limitò a parlare a monosillabi, preparandosi con l’aiuto di un’infermiera e decise di andare a fare un giro per l’ospedale.
-Voglio vedere le altre persone.- aveva detto, gli occhi grandi sembravano persi nel vuoto.
Il dottore scrollò le spalle. –Mi chiami per ora di pranzo.- le raccomandò.
Il corridoio dell’ospedale era gelido, il pavimento azzurrino sembrava una lastra di ghiaccio.  Era ancora sulla sedia a rotelle, osservava il mondo attorno a lei dal basso. C’erano mamme e bambini che si tenevano per mano, anziani e ragazzi, persone di ogni età che sorridevano appena o piangevano. Altri avevano sul volto un’espressione neutra, fredda e incolore.
Svoltò l’angolo e vide il cartello dove terminava il reparto, ne iniziava un altro, nuove storie di persone diverse e altre famiglie le passavano davanti agli occhi. Le loro parole coloravano l’aria, o la appesantivano con singhiozzi e lacrime.
Girò ancora verso sinistra, prendendo un corridoio più piccolo, vedeva la sagoma di un ragazzo su una sedia a rotelle che guardava fuori dalla vetrata: il panorama era spettacolare, Jump City risplendeva sotto il sole. Si mise vicina a quel ragazzo osservando la baia della città e la T-Tower che spiccava sul suo isolotto. Le mancava casa sua. Le mancavano i suoi libri, i suoi amici, e… sì, le mancava qualcos’altro.
Non seppe capire se si trattasse della sua stanza, del suo ordine, del profumo della salsedine. Arrivò a pensare che le mancassero le lunghe passeggiate al centro commerciale con Stella (sotto costrinzione, ovviamente), o, addirittura, le squallide battute di Beast Boy.
Il ragazzo accanto a lei aveva i capelli castani e gli occhi scuri, lo sguardo addolorato e le labbra serrate. Aveva l’espressione assorta, si girò appena quando si accorse di Rachel.
-Oh, ciao. Scusami, non ti avevo sentito arrivare.- disse piano, quasi sussurrando. –Io sono Louis.
Le porse la mano, lei la strinse appena e sorrise lievemente. –Rachel, piacere.
-Sì-, mormorò Louis. –So chi sei. Quel giorno, quando ti hanno portata qui, ti ho vista attraverso il vetro della camera. C’erano i Titans che piangevano, in lontananza.
Rachel era sorpresa, per un momento quasi si era dimenticata chi fosse lei veramente, il suo dovere da Titan. Si chiese se durante quelle settimane che era stata in coma fosse successo qualcosa a Jump City, se i suoi amici si fossero trovati in difficoltà, se avessero avuto bisogno di aiuto.
Si consolò al pensiero che stava parlando dei Titans, insomma, i guardiani della città da parecchi anni.
Le voci di infermiere indaffarate riecheggiavano in lontananza,  ma Rachel percepiva il mondo come se fosse ovattato, confuso e disordinato. Sembrava che nulla avesse un senso, era tutto… vuoto.
-Tu invece perché sei qui?- chiese a un certo punto la ragazza, continuando a fissare la baia attraverso la vetrata.
-Un incidente d’auto- sentenziò Louis. –L’autista della macchina che mi è venuta contro era ubriaco, io ero distratto…  e adesso eccomi qui. Non posso correre, camminare, seduto su una sedia a rotelle… probabilmente per sempre.- la sua voce si spezzò e delle lacrime gli scivolarono sul volto.
-Mi dispiace, Louis, davvero. So che non te lo meriti.
Seguirono attimi di silenzio, di riflessione. Nessuno dei due provò a parlare, e fu in quel silenzio che Rachel ricordò la voce di Beast Boy; ma non era allegra come al solito, e nemmeno stridula o acuta. Era triste, strozzata dai singhiozzi e allo stesso tempo dolce. Le tornarono in mente delle parole in ordine non preciso, non avrebbe saputo dire quali.
Fu Louis a interrompere quel silenzio: -È strano, vero, come a volte riceviamo proprio quello che non meritiamo? Che poi non ho mai capito se davvero ci sono cose che meritiamo oppure no. Siamo sempre a chiederci perché dobbiamo soffrire, sempre a ripeterci che dovremmo stare bene, che tutto dovrebbe sorriderci. A questo punto anche gli altri dovrebbero esssere così felici, giusto? Eppure non lo sono.  Io adesso sono convinto di meritare questo dolore, perché so che la famiglia del ragazzo che quella notte era ubriaco sta soffrendo come me. Quindi non scapperò dal dolore, lo accetterò. E sai, forse era un premio questo, che la vita mi ha voluto dare. Scoprirò piano se tutto ciò ha dei vantaggi.
Rachel rimase un attimo a pensare, avvolta da una strana sensazione di vuoto.
-Dei vantaggi? Non è un’offerta al supermercato, no che non ha dei vantaggi. Ma puoi pur sempre crearteli, devi scrivere tu la tua storia.- disse, guardandolo negli occhi scuri.
–Meglio che vada, però conto di rivederti, Rachel. Mi ha fatto piacere conoscerti.- sorrise appena, la maga lo salutò con un gesto della mano.
Rimase sola. Il silenzio inondò  la sua mente, sciogliendosi nei suoi pensieri, sgretolandosi e frantumandosi come se si trattasse di barriere indistruttibili. Sentiva però ancora la voce di Beast Boy che sussurrava qualcosa.
 “Speranza…”  Riuscì a distinguere la prima parola, che riempiva la sua testa e le impediva di ritornare a quel buio ineteriore che, in fondo, aveva desiderato ritrovare.
Non aveva idea di cosa fare, dove andare. Non voleva leggere, non voleva parlare, voleva solo… cosa voleva? Non avrebbe saputo spiegarlo.
Il nulla, il vuoto la avvinghiavano e tenevano stretta lontana da quel mondo caotico dell’ospedale. Sentiva di aver bisogno di qualcosa, la solitudine ghiacciata le incuteva terrore. Eppue l’aveva amata tanto quella solitudine, l’aveva amato tanto quel buio. Le tornarono in mente altre parole di Beast Boy.
“A te piace il buio, vero Rae?...” aveva la voce spezzata, poi subito il suo pensiero si sfumò.
Sentì dei passi, delle voci lontane che seppe distinguere da tutte le altre. “Eccoli” pensò.
-Buongiorno amica Raven!- esclamò Stella, stringendola in un forte abbraccio.
Gli altri la salutarono con degli enormi sorrisi sulle labbra, pacche sulle spalle, parole rassicuranti.
Socchiuse gli occhi per un attimo, rivide il buio, la paura, i ricordi. Riaprendoli, rivide Beast Boy, e sentì un strana sensazione che nemmeno lei sarebbe riuscita a spiegare, rivide la felicità.
 
 



LALALALAAAA
Scusate veramente tanto per l'enorme ritardo. Come state? Io non molto bene, ho cominciato maggio con la febbre.
Ultimamente è stato un brutto periodo... capita. Ci si sente soli, persi, confusi. E per fortuna ci sono i libri che ci confortano. 
Ma finalmente eccomi qui con il capitolo! Buona Pasqua in ritardo, auguri a tutti giovani scrittori per il vostro lavoro (qualunque sia!) :)
Niente scuola: c'è ponteeee! *festa!*
Spero di ricevere i vostri pareri nelle recensioni! Mi auguro vi sia piaciuto e grazie per aver letto! 
A presto! 


 

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