There's room for two six feet under the stars di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 1 *** Parte prima ***
There's room for two six feet under the stars cap1
«Buongiorno
ragazzi, come sono andate le vacanze?» è l'inutile
tentativo
della professoressa di letteratura di interessare quella che tra tutte
è la sua classe più scalmanata e meno rispettosa
delle
regole,
che invece preferisce di gran lunga continuare a chiacchierare e
tirarsi
palline piuttosto che darle anche la minima soddisfazione.
Sbuffo,
annoiato, e mi sporgo in avanti per cercare Alex e chiedergli di
sedersi accanto a me, come tutti gli altri giorni. Ovviamente non
c'è. Alex è il mio migliore amico da anni e la
mia
sbandata
più decisa da qualche mese, e ha una salute bizzarra: non si
ammala per mesi e se ne lamenta in continuazione, poi prende
freddo per dieci minuti e finisce a letto con un febbrone da cavallo
per
giorni e giorni, con conseguente smarrimento da parte mia. Non che non
abbia amici in classe, sono ben apprezzato da una mezza dozzina di
persone e se le
altre mi sfottono non lo fanno di certo davanti ai miei occhi,
quindi tutto sommato penso che la situazione vada abbastanza bene;
ma lui è Alex, è diverso, e ogni volta che manca
da scuola mi
sento un po' più scarico e maldisposto. Nessuno è
al
corrente di quello che provo nei suoi confronti se non Zack,
comunque, a cui mi sono confidato quasi unicamente perché la
sua
aria timida e riservata semplicemente non gli permettono di andare in
giro a sputtanare gli altri, anche se volesse. E poi dai, è
un
bravo ragazzo.
Insomma,
fatto sta che Alex non si è presentato a scuola questa
mattina,
e io ho dovuto passare sei ore della mia esistenza a rimuginare su come
farlo
sorridere questo pomeriggio, quando andrò a trovarlo e
portargli
compiti dei che né io né lui faremo mai. O
almeno,
vorrei poter dire di averlo fatto: quei due coglioni di Zack e Rian
hanno pensato bene di rendermi partecipe di tutte le interessantissime
svolte nelle loro faccende amorose, nelle loro vite quotidiane e nel
loro rendimento scolastico, cose di cui non me ne frega un dannato
accidente.
Ma insomma, se voglio continuare a poter contare su qualcuno quando il
mio migliore amico è assente, devo fare buon viso a cattivo
gioco e
assecondarli.
Mi sono messo ad
ascoltare con aria quasi interessata i loro racconti e
stavo per giungere a una conclusione piccante sulle vacanze del
batterista, quando Nick è entrato nell'aula, con mezz'ora di
ritardo
e un numero spropositato di strilli da parte della professoressa, che
continuava ad essere ignorata da chiunque tranne il solito aspirante
scrittore che non si è ancora reso conto di quanto in
realtà
lei non abbia la minima idea di come diventare famosa; e si
è seduto
davanti a me.
«Jack,
ciao!» ha esordito come sempre, senza proprio riuscire a
capire
che a me sta sinceramente e totalmente antipatico e che se potessi non
gli rivolgerei mai la parola. Mi ha ammollato una
sonora pacca sulla spalla e io ho sbuffato trai denti, bofonchiando un
ciao
in rimando, ma lui non ha gettato la spugna e mi ha rivolto il suo
sorriso più smagliante. «Ma che hai fatto, hai
tentato il
suicidio durante le vacanze?» ha scherzato, prendendomi il
braccio e alzandolo in alto. Il mio umore è sprofondato
ulteriormente sotto terra e il mio cervello ha elaborato
meccanicamente una risposta, che mi è uscita dalle labbra
senza che
neanche ci pensassi.
«Ti
ricordo che sono di ritorno da sette giorni di montagna, dove ho avuto
come minimo trentaquattro frontali con pini, ginepri e compagnia
bella» ho sibilato, riuscendo a sembrare pure più
sincero di quanto non
sembri di solito quando mento, e lui ha riso di gusto, immaginandomi
andare a cozzare contro cespugli e quant'altro.
«Ma
che scemo, non ci posso credere» mi ha sfottuto, lasciando
andare il mio braccio e posandosi il suo davanti alla bocca. Ho
abbozzato
un sorriso e l'ho mandato a cagare mentalmente, ma gli altri sembravano
non essersene neanche accorti. Mi sono sentito meglio. Se la sono
bevuta alla grande.
«E Alex
dov'è?» ha domandato quindi Nick, sentendosi parte
del gruppo e sorridendo a tutti con aria smagliante.
«È
malato» ho risposto, spostando lo sguardo verso la cattedra,
dove la
prof imprecava nervosamente.
«Ceerto»
ha ridacchiato fra sé e sé il moro, scuotendo la
testa, «è quello che dicono tutti quando fanno
sega. Dov'è ora?»
«Alex non
fa mai sega» gli ho ricordato con una punta di risentimento,
e lui ha sorriso, portando le mani vicino al volto.
«Ehi,
calmo, stavo solo scherzando» si è scusato con una
risata,
per
poi tornare a chiacchierare allegramente coi miei amici. Ho sospirato.
A
loro non sta antipatico, quindi me lo ritrovo attorno tutti i santi
giorni, tranne quando c'è Alex e Nick capisce che non ho
intenzione di concedergli la minima attenzione; allora si limita a
girarci attorno,
salutarci vivacemente quando c'incontra nei corridoi e a fermarci con
la scusa più stupida giusto per fare due chiacchiere e
interrompere i nostri discorsi. Ad Alex è sembrato una
persona
molto
sola che non ricevendo abbastanza affetto a casa ne cerca tra i muri
scolastici, ma io non gli ho dato neanche la
possibilità di pensare che avrebbe potuto unirsi a noi,
qualche
volta, e l'ho messo al corrente dell'astio che provo nei suoi
confronti da quando l'ho conosciuto. Alex non ha indagato oltre,
anche se all'inizio ha indugiato nel lanciargli un'altra occhiata da
lontano, e sapevo non avrebbe fatto altre domande. È questo
il
bello
della nostra amicizia: non devo giustificare il perché di
come
mi senta o perché mi comporti in un determinato modo
piuttosto che in un altro in presenza di certe persone, e anche per
Alex funziona così; ci apriamo sì l'uno con
l'altro,
ma non ci obbligheremmo mai a farlo. Rispettiamo ognuno lo spazio
e i tempi dell'altro, e se qualcosa ci preoccupa parliamo,
affrontiamo il problema e lo risolviamo insieme, come solo due
migliori amici sanno fare. E in effetti, è quello che
purtroppo
siamo. Ma non è per questo che ultimamente ho ceduto al
fascino
delle lame, affatto. Alex ha sempre avuto la capacità di
farmi star bene, accollargli una responsabilità del genere
rasenta la follia pure in questo momento, nonostante i miei nervi
facciano fatica a connettere e funzionare a dovere. Se un giorno
dovessi dare la colpa a Lex per quello che ho fatto a me stesso
sparatemi pure, non
meriterei di vivere.
Prima che partiate
coi film mentali, sappiate che non ho un passato di
violenze, che non mi ha mai molestato nessuno se non qualche matto
sull'autobus che da dietro mi aveva scambiato per una ragazza per poi
pensar bene di fare qualche bel massaggio al mio simpatico
fondoschiena, che a scuola i bulli non mi pestano e che non sono mai
stato gettato in un secchio della spazzatura poco prima dell'inizio
delle lezioni, come succede a tutti i ragazzi dei telefilm che passano
in TV durante le vacanze estive. No, gente,
mi dispiace
ma Jack Barakat non ha mai dovuto affrontare niente del genere e
ringrazia il cielo per la vita che ha passato finora, coi suoi alti e
bassi, i suoi pregi e difetti. No, il mio problema è un
altro, e
penso si possa riassumere con una sola parola: me.
Non fraintendiamoci,
sono un gran simpaticone e se mi prendete dal
verso giusto posso anche farvi passare delle serate indimenticabili, ma
sotto questa copertura di pimpante casinista batte un cuore che si
è imprigionato da solo molti anni fa, continuando a
rifinirsi la
gabbia giorno dopo giorno. Credo che il problema maggiore sia che sono
un amante dell'estremo - sono casinista fino al midollo, non riesco a
stare fermo un attimo che sia un attimo, passo dalla depressione
più profonda alla felicità più assurda
in pochi
istanti, se esco non mi fermo mai alla terza birra ma finisco con
l'ubriacarmi e limonare con gli alberi, quando suono non smetto
finché non mi sanguinano le dita, se voglio attirare
l'attenzione passo subito ai metodi rumorosi e poco tradizionali e
tralascio quelli più politically correct, quando sono in
giro mi
sentono arrivare da tre isolati di distanza, se vado ad una festa non
c'è possibilità che io non sfasci qualcosa;
potrei andare
avanti così per anni e trovare comunque qualcosa da dire al
riguardo, non è normale. Vorrei poter dire che mia madre
è esasperata e cerca di cacciarmi fuori da casa tutte le
volte
che può, o che mio padre mi sbraita sempre addosso per farmi
dare una calmata e tornare coi piedi per terra, ma né lui
né lei ci sono mai, quindi per ricevere una sgridata dovrei
urlarmi contro da solo, e francamente mi sembra un po' triste come
cosa. Probabilmente è per questo che sono così
esagerato:
visto che facendo il bravo non ottengo abbastanza attenzioni sono
costretto a ricorrere a mezzi che altrimenti preferirei evitare e
ficcarmi nelle situazioni più improbabili, così i
miei
sono costretti a prendersi dei permessi da lavoro per portarmi a casa e
farmi una
ramanzina, e irrimediabilmente passiamo del tempo assieme come una vera
famiglia. Trovo infinitamente deprimente che il nostro rapporto si sia
ridotto a una routine del genere, ma lasciandomi libero come
l'aria fin da piccolo i miei genitori mi hanno come messo da parte, al
punto che se ci penso ora mi viene da dubitare che mi abbiano mai
davvero dato un'educazione. Probabilmente esagero perché la
cosa
mi ferisce, in fondo quando ci sono, non sono dei genitori niente male,
anzi. Si sono sempre fidati ciecamente di me, mi hanno sempre
considerato un ragazzo coscienzioso e in grado di prendersi cura di
sé, e se mi hanno lasciato solo così a lungo
avranno
avuto i loro motivi, non lo facevano perché la cosa li
divertiva. Solo che, motivi o non motivi, non ho passato un'infanzia
come quella di tutti i miei amici. Ho letto troppo, mangiato troppo,
pianto troppo, disegnato troppo, urlato troppo - un'altra parte della
mia vita segnata dagli estremi, per farla breve.
Poi è
morto nonno, e il migliore amico di papà; un cugino
ha contratto una grave infezione e un altro è caduto vittima
del
cancro; il mio gatto ci ha lasciati e in seguito pure il suo rimpiazzo;
e quando piangevo ero solo, solo come un cane. Credo che la perdita
più grave sia stata quella di mio nonno, ha fatto
così
male che ancora oggi evito di pensarci perché è
una
ferita non cicatrizzata e il suo sorriso mi attorciglia le
budella tutte le volte che lo incontro in fotografia.
Un altro mio
problema è che per quanto possa essere proiettato
nel presente o nel futuro, vivo nei ricordi. Basta entrare nella mia
stanza per rendersene conto: è tappezzata di poster
musicali,
disegni, volantini e cazzate varie, ma le foto, le lettere delle mie
ex-fidanzate, i regali che mi hanno fatto nel corso degli anni, persino
un articolo che parla della mia città risalente a ormai
sette
anni fa, è tutto rimasto, tutto esposto, tutto allo stesso
posto
di quando l'ho sistemato la prima volta. Sono un maniaco in queste
cose, e anche se mi rendo conto che la
loro presenza non ha una buona influenza su di me, togliere questi
pezzi di storia dai ripiani della libreria e strappar via gli inviti
dalle pareti mi sembra una cosa insensibile e sbagliata, quasi fossero
parte di me. E in effetti lo sono, ma questo ci riporta al primo
problema, cioè che sono un pazzo estremista che non prova
nessuna via di mezzo come gli altri comuni mortali ma che deve sempre
distinguersi e attaccarsi morbosamente a qualsiasi cosa gli sia
regalata senza un doppio fine. Ho carenze d'affetto, che ci volete fare?
Un altro problema
forse è che non riesco a esprimere i miei
sentimenti come dovrei. Rido, canto, chiacchiero come tutti gli altri e
a prima vista non sono niente di anormale, ma il punto è che
- e
non sono molti quelli che riescono a diventarmi così amici
da
rendersene conto - non riesco a piangere, urlare, dare di matto o
spaccare qualcosa quando mi sento giù. Avete presente quelle
giornate di merda, ma così di merda, che una volta tornati a
casa vorreste solo seppellirvi e lasciarvi morire per non essere
costretti a soffrire un secondo di più? Ecco, io quelle
giornate
le passo come se niente fosse. Torno a casa, prendo la chitarra, suono,
canticchio, faccio brutti pensieri, vado a fare una passeggiata, magari
passo a rompere un po' i coglioni a Alex, ma è tutto
lì.
Vorrei morire, ma so che c'è gente che soffre molto
più
di me e che va avanti comunque con un sorriso grande come una casa
stampato sulla faccia, e non sento il permesso di poter piangere o
lamentarmi anche solo parzialmente della mia vita. Ho amici che si
tagliano, amici che hanno tentato più volte il suicidio,
amici i
cui genitori sono le merde peggiori del pianeta, amici che fumano,
amici che bevono, amici che semplicemente non ce la fanno
più a
tirare avanti in questo mondo, e non mi sento come se potessi davvero
piangere e sentirmi male per me stesso. Non ne ho il diritto, non sono
nella loro situazione. E poi dopo l'acquazzone c'è sempre
l'arcobaleno, quando ci si sente male bisogna sempre tener duro ed
aspettare che la tempesta passi prima di fare scelte avventate, e tutte
queste cose qua. Le ho ripetute agli altri così tante volte
che
mi sono penetrate sottopelle e non riesco più a spingerle
via;
le sento premere con insistenza e marcire sgraziatamente tra le mie
ossa, deluse dal fatto che sia umano e che ogni tanto il peso del mondo
cada addosso anche a me, quasi non me lo potessi permettere.
Chissà, forse non posso davvero; fatto sta che
però ora
non riesco più a permettermi di rimaner giù un
secondo.
Può morirmi il cane, può morirmi il gatto,
può
morirmi perfino il mio dannato pesce rosso: rimarrei impassibile, e
così per tutto il resto delle tragedie che possono
capitarmi. E
qui la gente di solito dice 'che fortuna sfacciata! E hai pure il
coraggio di lamentartene? Magari fossi anch'io così, sai che
pacchia', ed è qui che si sbaglia: non è bello,
non
è positivo, non è una cosa di cui vantarsi e
andar fiero,
è una cosa che ti logora dentro ogni giorno di
più, che
ti fa sentire strano, diverso, che non ti permette di farti prendere
sul serio dagli altri o da te stesso. All'inizio ne sei contento, ti
dici 'daje, finalmente le cose cominciano a girar bene', ma bastano
poche settimane per renderti conto che no, le cose non hanno cominciato
a girar bene, perché la tua parte più sensibile e
fragile
è stata uccisa, sepolta e abbandonata, e tu sei rimasto
lì, con l'illusione che un giorno possa tornare. Cominci a
sentirti smarrito, a gettarti nei problemi degli altri per non dover
affrontare il tuo, e più il tempo passa più ti
convinci
di esserti sbagliato, che ti sei solo abituato alle sfuriate della vita
e che se ti capitasse l'occasione saresti più che in grado
di
piangere e soffrire come qualunque altro essere umano; ma quando poi
l'occasione si presenta e senti la tua mente divagare, slittar via da
quel soggetto e spostarsi su quel disco appena uscito che ti piace
tanto e non vedi l'ora di ascoltare, allora ti rendi conto che
c'è davvero qualcosa che non va, che non puoi più
continuare a ignorarlo. Ma nello stesso momento in cui lo realizzi, il
tuo cervello si focalizza su qualcos'altro e ti convince a ignorare la
cosa,
la seppellisce nei meandri del tuo inconscio e fa in modo che tu te ne
dimentichi per un po', giusto il tempo di smaltire quell'ultima
coltellata alla pancia, e quando poi te ne ricordi, sottovaluti la
faccenda un'altra volta; e il giro ricomincia. Tipo il simbolo
dell'Ouroboros, il serpente greco che si mangia la coda, solo che per
gli gnosticisti e gli ermetisti aveva un significato positivo; di
sicuro quando lo disegnavano non pensavano a un ciclo di
autodistruzione individuale, dove noi stessi siamo i nostri peggior
nemici. Non sono sicuro di quando esattamente io sia riuscito a non
ignorare più il problema e ad afferrare il toro per le
corna, ma
di preciso so che quando mi sono sfogato al riguardo, Alex c'era e mi
ha abbracciato, dicendomi che per me ci sarebbe sempre stato e che
potevo contare su di lui in qualsiasi momento della giornata, non solo
durante il giorno; e la cosa per un momento mi ha aiutato, mi ha fatto
sentire amato e quanto il mio migliore amico fosse davvero una persona
speciale, ma ora che sono qui, seduto alla mia scrivania, il senso di
vuoto è tornato, e non so come affrontarlo.
E questo ci porta
dritti a un altro problema: mi sento perennemente e
costantemente solo, anche se so di non esserlo e che se glielo
permettessi, tante persone si farebbero avanti per diventare mie
amiche. Il brutto è che sono introverso, ho problemi ad
aprirmi
con gli altri e fargli capire che per me sono importanti e che ci tengo
davvero a loro, e a meno che voi non siate Alex, non mi sentirete mai
parlare apertamente dei miei problemi o di quello che (non) succede a
casa. Quando ci vediamo e comincio a parlare, mi sento fuori posto
perfino con lui, ma so che è la cosa giusta da fare e
continuo a
fare uscire questa matassa intricata di pensieri che mi transitano in
gola, in attesa di venir rilasciati contro l'unico ragazzo che abbia
davvero mai tenuto a me; e quando ho finito di parlare sento di aver
fatto un passo avanti, perché ora che le parole sono fuori
non
posso più mentire a me stesso, ed è pur sempre
qualcosa.
Che poi i consigli di Alex calzino a pennello nella mia situazione
è irrilevante, anche se fosse l'imbecille più
incompetente del pianeta andrei lo stesso a chiedergli come comportarmi
e come affrontare la giornata; è il fatto che sia il mio
migliore amico ad essere importante, non il resto. Lui riesce a
capirmi, aiutarmi, ma più di tutto riesce ad ascoltarmi e
confortarmi quando ce n'è bisogno, e nessuno al mondo
è
in grado di farlo come lui. Alex è l'unica persona
nell'universo
a essere in grado di non farmi sentir solo quando le crisi cominciano
ad attanagliarmi ed è l'unica persona nell'universo a sapere
vita, miracoli e morte di me, che di norma agli altri non dico neanche
cos'ho mangiato a colazione. Alex è speciale, la persona
più bella del mondo, e senza di lui sarei davvero perso,
dico sul serio.
Sfortunatamente,
questo ci porta ancora una volta a un problema, che
posso identificare con il primo che ho elencato: ritengo Alex la
persona più speciale del pianeta, l'unica in grado di
cambiarmi
la giornata con una pacca sulla spalla e un 'ehi, ti va di uscire
questo pomeriggio?', il solo capace di farmi sentire qualcosa quando ho
i miei attacchi d'apatia e il mondo intero mi sembra uno spreco di
spazio. Per me Alex è fantastico, la persona più
dolce e
disponibile del mondo, quello di cui davvero non riuscirei mai a fare a
meno; è l'incarnazione estrema della perfezione umana, se
vogliamo farla breve, e lo amo come mai sono riuscito ad amare
qualcun altro, ma proprio per questo non posso permettermi di essere
completamente sincero con lui, ho paura di perderlo e cadere nel buio
più completo, senza più alcun appoggio. Non che
il mio
affetto e il mio attaccamento per lui possano essere ridotti a un 'ho
bisogno di aiuto e lui è l'unico che c'è, meglio
che mi
accontenti o rimarrò solo come un cane', assolutamente.
Senza di
lui tutto perderebbe significato, a partire da questo diario che sto
scrivendo ora, e molto probabilmente mi suiciderei nel giro di poco
tempo. Il mio mondo gravita attorno a lui e la cosa non potrebbe essere
più viscerale e profonda di quanto non sia ora; il nostro
rapporto è senza dubbio il miracolo più bello che
mi sia
mai capitato e non potrei perdonarmi di rovinarlo. Per questo sono
sempre zitto e impassibile quando mi parla delle sue cotte, per questo
mantengo sempre il sorriso quando mi racconta di come qualcuna ci abbia
provato con lui, per questo ingoio il rospo con nonchalance quando
rivolge la sua attenzione a qualcuno che non sono io. Fa male da
morire, ma perderlo sarebbe infinitamente peggio, e tutto sommato non
fingo mai fino in fondo: mi fa piacere quando mi racconta di essere
felice, quando la sua ragazza gli fa un regalo inaspettato e lui ci
rimane di stucco, quando arriva con un sorriso a trentadue denti e mi
dice 'Jack, mi sono innamorato'. Perché okay, non sono io
quello
che ama, ma sono io quello a cui va a dirlo, il primo con cui condivide
ogni cosa che accade nella sua vita, e finché la situazione
lo
soddisfa per me non ci sono problemi, i suoi occhi vivaci sulla mia
pelle mi bastano. Certo, prima o poi arriverò ad avere
bisogno
di qualcosa di più concreto per riuscire a tirare avanti
come
faccio ora, ma finché quel tempo è lontano non
importa,
voglio dare tutto me stesso per vedere quel suo bel sorriso aleggiare
sulle sue labbra il più a lungo possibile. Sticazzi del
resto.
Più
melenso e pesante di un frullato di caramelle mou e canditi,
vai così! Spero non apra mai gli occhi o sarà
imbarazzante.
Busso alla porta e
ciondolo sull'uscio, spostando il peso da un piede all'altro
finché qualcuno non viene ad aprirmi.
«Oh, ciao
Jack» mi saluta sua madre, sorridendo e facendosi da parte
per lasciarmi passare, «vieni pure».
La ringrazio ed
entro, lanciando un'occhiata alle scale. «Alex è
di sopra?» domando. Annuisce.
«Sta
un po' meglio, la febbre si è abbassata ieri
notte»
m'informa allegramente, poi aggiunge un 'divertitevi e chiamatemi se
serve, io torno in cucina' e se ne va, asciugandosi le mani chiare sul
grembiule. Salgo le scale stando ben attento ad essere il
più
silenzioso possibile, voglio sapere cosa fa Alex quando non
sono
in giro e non ha nessuno a tenerlo coi piedi per terra, magari ha
qualche hobby fuori dal comune di cui io non so l'esistenza e che in
futuro potrebbe aiutarmi per... qualche cosa. La gente dice che la
curiosità è donna, ma se mi conoscesse
probabilmente
cambierebbe radicalmente il proverbio per aggiustarlo meglio a me. Non
è colpa mia, il mondo è troppo interessante per
non
essere esplorato tutto, e poi le persone nascondono sempre le cose
più salienti, quindi uno è letteralmente
costretto a
ricorrere a metodi alternativi per conoscerle a fondo e farsi un'idea
del loro vero aspetto. Peccato che non sia mai riuscito a cogliere Alex
alla sprovvista in questi anni, sarebbe interessante sapere cosa gli
passa davvero per la testa quando non c'è nessuno attorno a
potergli fare la ramanzina; secondo me nasconde qualche oscuro segreto
di cui non può proprio svelare nulla causa conseguenze
devastanti, altrimenti non sarebbe sempre sul chi-va-là e si
sarebbe lasciato cogliere in fallo almeno una volta. Forse la prendo
troppo sul personale e dovrei farmi una bella spaghettata di cazzi
miei, ma Jack la vecchietta di paese scoprirà il suo segreto
prima o poi, e quando lo farà potrà ritenersi
contento e
soddisfatto. Oh.
«Jack»
esclama lui appena metto la mano sul pomello, prima ancora di
cominciare ad aprire la porta. Come cazzo fa?
«Ehilà,
malato grave» lo saluto entrando nella stanza, per poi
sbracarmi
sulla sedia davanti alla scrivania e lasciar cadere i
libri per
terra, come se mi trovassi in camera mia, «Che mi
racconti?»
«Che
ho appena finito di leggere un libro strano; parla di un uomo che
andando in bicicletta cade e prende una botta in testa, e quando
riprende i sensi si rende conto che la sua vita non lo soddisfa davvero
e va a vivere in mezzo ai boschi con un cucciolo d'alce di nome Bongo,
solo che poi un militante di destra decide di prenderlo ad esempio e
piazza una tenda accanto alla sua, solo che a lui gli umani non
piacciono, così quando anche un altro suo amico va a vivere
lì, prende, costruisce un totem dedicato al padre e se ne
va» mormora, senza fare una pausa tra una frase e l'altra.
«Wow»
commento, impressionato «qualcuno che sta più
fuori di te».
Mi lancia un cuscino
con una smorfia divertita sulle labbra e non provo
neanche ad evitarlo, mi limito a far finta che non sia mai neanche
stato tirato e che sia solo un frutto dell'immaginazione febbricitante
di Alex.
«Com'è
andata oggi a scuola?» domanda, mentre io finisco di fare il
distaccato.
«Una
palla, come al solito. Quando ti degni di tornare fra noi comuni
mortali?» gli chiedo, inarcando il sopracciglio. Si lascia
cadere
all'indietro, contro il cuscino, e sospira storcendo il labbro, in
quella che riconosco come una smorfia a metà fra l'amaro e
il
compiaciuto. Gli piace sapere che mi manca, al bastardo, lo posso
giurare su mia madre.
«Spero
presto, stare qui immobile è un taglio delle vene»
risponde francamente. Annuisco, pensieroso. Lui si volta a guardarmi,
tirandosi su di nuovo, e mi guarda con più attenzione.
«Jack, non
è che è successo qualcosa oggi?»
domanda di nuovo, con quella sua aria innocente e preoccupata.
«Niente
di rilevante a parte Nick e le sue battute terribili» lo
tranquillizzo, spostando lo sguardo verso la grande libreria alla sua
destra, che abbiamo montato assieme un numero considerevole di anni fa.
Tace, capisce che non sono in vena di parlare e annuisce, cambiando
argomento per evitare di lasciar cadere un silenzio opprimente e fuori
luogo.
«Immagino
ti stia divertendo molto con lui» ghigna, guardandomi dritto
negli occhi e rigirando il coltello nella piaga.
«Molto
più di quanto non faccia con te, stronzo» ribatto,
concedendogli una fugace occhiata divertita.
«Allora
perché non sei con lui, in questo momento?»
m'incalza,
vincendo anche quest'ultima finta battaglia, come sempre.
«Certo che
sei proprio una palla» faccio con un sorriso esasperato,
alzando lo sguardo al cielo con un sospiro sonoro.
«Consapevole
e fiero di esserlo» si compiace, sorridendo docilmente. Ahh,
quel sorriso.
«Oggi Nick
ha detto che avevi fatto sega» butto lì dopo un
po', lui si acciglia e risponde con un 'ah'. «Gli
ho detto che si sbagliava e lui ha detto che l'ho presa troppo sul
personale. Mi chiedo se lui non lo farebbe, col suo migliore
amico»
Alex annuisce e ci
rimugina un po' su, poi mi guarda. «Non credo ce l'abbia, un
migliore amico» nota.
«Be',
può anche darsi» scrollo le spalle, indifferente
«in effetti è simpatico quanto un'anguilla nelle
mutande».
«Sei una
bestia»
commenta scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, mentre io
continuo a giocherellare con una penna, lo sguardo perso davanti a me e
la sua risata genuina che mi rimbomba in testa. Mi sento in un altro
mondo, come se avessi appena fatto un viaggio di cinquecentomila
chilometri in una manciata di secondi, solo con la mente
però.
«A parte
questo, Bassam, che mi dici?» fa quindi lui, costringendomi a
tornare nella sua stanza.
«Niente di
che William, se non che non devi chiamarmi Bassam» ribatto,
abboccando all'amo come mio solito.
«D'accordo,
non ti chiamerò Bassam, ma a una condizione»
riprende, mi vede annuire distrattamente e continua: «Mi
devi dire che cazzo ti succede, perché quando sei assorto
non
è mai per caso». Mi guarda con quei suoi occhioni
enormi
color gelso bianco e non abbassa lo sguardo, deciso come ogni volta che
sa di fare la cosa giusta, e rimane così, immobile,
finché non sospiro, scuoto la testa e abbasso le spalle in
segno
di resa. A quel punto il mondo riprende a esistere.
«Huhh, in
realtà non so come cominciare» biascico
controvoglia, alzando le sopracciglia e guardando qualcos'altro.
«Be',
l'inizio mi sembra un ottimo punto» m'incalza Alex,
abbozzando un
sorriso leggero. La battuta mi scivola addosso; mi alzo e mi vado a
sedere sul letto accanto a lui, lui si fa da parte e lascia che mi
sdrai al suo fianco, docilmente, senza insistere ulteriormente al
riguardo. Sa che gliene parlerò, ma non vuole mettermi
fretta.
Per qualche secondo nella stanza aleggia il silenzio, ma un silenzio
ovattato, piacevole, non un silenzio pesante e fuori posto; uno di
quelli che ti coccolano quando non hai le parole per esprimerti e senti
addosso la pressione del momento, uno di quelli che ci sono spesso fra
noi e che mi danno l'opportunità di sentire il suo respiro
infrangersi contro la mia pelle, quando ci troviamo abbastanza vicini.
Vivrei di questi silenzi, mi ricaricano come poche cose e mi riempiono
di pace e tranquillità, sensazioni che raramente riesco a
trovare nella mia vita quotidiana, lontano da casa Gaskarth. Secondo me
si fanno di qualche strana droga poco famosa o s'iniettano incenso e
tisane direttamente in endovena, perché sono sempre placidi
e
rilassati, pronti a ridere e a prendere sottogamba le situazioni
più ansiolitiche; non è assolutamente normale.
Però forse non sono loro a iniettarsi la roba, forse tengono
delle candele speciali accese tutto il giorno e tutta la notte
così che tutta la casa sia impregnata della loro allegria,
perché quando vengo qui mi sento meglio anch'io e i miei
problemi si ridimensionano notevolmente, quindi devo essere anch'io
sotto l'effetto di questa strana sostanza di cui non riesco a
identificare la composizione. Ma sì, okay, sto divagando e
non
va bene, non ora che Alex si aspetta un bel resoconto fatto per bene e
la mia testa è più vuota di.. di.. più
vuota del
cartone del latte che ho lasciato in frigo stamattina, ecco. Ma non
è questo il punto, ho divagato ancora, il punto è
che non
ci sono parole per dirgli quello che provo e che, porca puttana, ho le
spalle al muro.
«Huhh»
borbotto un'altra volta, e lui si gira a guardarmi con quei suoi occhi
enormi e pieni di buone intenzioni. Urgh.
«Io...
credo di essermi tagliato durante le vacanze» butto
lì,
cercando di farla sembrare come una cosa di poco conto. Lo sento
sussultare tra i denti serrati e fisso ancora più
intensamente
il pavimento alla mia destra, improvvisamente diventato la cosa
più interessante dell'universo. Non so come continuare il
discorso, già non avevo idea di come aprirlo, figuriamoci di
come portarlo a termine, soprattutto con lui accanto che mi sonda il
cervello con lo sguardo. Porcoddue, Jack.
«E, huhh,
non... non credo mi abbia fatto schifo» continuo, spostando
lo sguardo verso la base della sua scrivania, «ma
allo stesso tempo non sono sicuro che mi abbia aiutato in qualche
modo... Mi ha svuotato la testa, che fa sempre bene se sei costretto a
convivere con il mio cervello ventiquattr'ore su ventiquattro, ma non
mi ha fatto sentire accettato, non mi ha fatto sentire come se qualcosa
fosse effettivamente migliorato, quindi non credo sia stato davvero
utile». Annaspo per trovare le parole ma è
dannatamente
difficile, vorrei alzarmi e andarmene lasciando tutto in sospeso, ma la
presenza di Alex al mio fianco mi tiene incatenato al letto e mi
costringe a proseguire. Deglutisco.
«Però
quando mi sono disinfettato il braccio ed ho disinfettato il coltello
prima di affondarmelo nella carne mi sono sentito come se avessi la
situazione in mano - che è anche vero se ti fermi a pensarci
-
e, non lo so, mi sono sentito bene. Sapere che ho ancora il controllo
su qualcosa che mi riguarda, su qualcuno dei miei sentimenti e su una
parte del mio cervello mi ha fatto sentire più... normale,
comune, come se non ci fosse niente di sbagliato in me»
mormoro.
«Non
c'è nulla di sbagliato in te» ribatte Alex, io lo
guardo e
distolgo lo sguardo subito dopo, senza riuscire a sostenerlo.
«Non
è quello che mi dicono i sogni» rispondo,
«ma grazie. Il pensiero conta».
Sento che mi stanno
salendo le lacrime e cerco di mandarle via; ci
manca solo questa. Alex se ne rende conto, fa guizzare lo sguardo in
giro, poi si sporge e mi abbraccia, appoggiando la testa sul mio petto
e deglutendo. Oh, Dio.
«Jack,
tu sei fantastico, non c'è nulla che sbagli» mi
sussurra,
guardandomi dal basso. Sembra profondamente addolorato.
«Non lo
so, Alex» commento scuotendo debolmente la testa,
«un
secondo me lo dico anch'io, il secondo dopo sono per terra con la testa
tra le mani a piangere come un deficiente perché le voci mi
dicono che non ne faccio una buona. Io ce la metto tutta, cerco di
guardare tutti i miei lati positivi e tengo il conto delle buone azioni
che faccio ogni giorno, ma il mio inconscio conosce tutti i passi falsi
che ho fatto e supera le mie liste di tantissimo senza il
minimo
sforzo. Io mi piaccio, in linea di massima, ma è tutto
così...» mi stringo la testa fra le mani
«non
lo so. Confuso. Caotico, direi; non ci capisco nulla di nulla. Ho paura
di essere incinto, ho degli sbalzi d'umore pazzeschi»
termino,
ridendo nervosamente per scacciare la tensione che si è
venuta a
creare. Alex mi scruta preoccupato e non so come sentirmi. Da una parte
sono sollevato perché mi sono levato il peso dal petto,
dall'altra mi prenderei a schiaffi perché le cose che ho
detto
ho già smesso di sentirle o le ho espresse male, come ogni
volta
che provo a parlare dei miei sentimenti, e la cosa mi lascia sempre un
po' deluso.
«Senti
'lex... non preoccuparti. Davvero. È che è un
periodo un
po' così e non mi sono sentito capace di fare nient'altro se
non
quello, ma so che è sbagliato e vedrò di
tenermene
lontano nei prossimi tempi» chiarisco. Lui tace.
«Rimani
a dormire qui, oggi» dice finalmente, con un tono dolce ma
che
non ammette repliche, e io annuisco. Rimango lì in silenzio,
con
Alex accoccolato contro il petto, e respiro, flebilmente, di nuovo
libero di perdermi nell'infinito che si nasconde oltre l'armadio del
mio amico. Sento il suo calore su di me e comincio istintivamente a
giocherellargli coi capelli, lui chiude gli occhi e sorride piano,
allentando la tensione dei muscoli. Messo a voce, il mio problema non
sembra neanche poi così grave, e nel pronunciare l'ultima
frase
mi sono sentito diverso, come se credessi davvero in ciò che
ho
detto. Che poi è anche vero, ho abbastanza cazzi per la
testa di
mio e l'ultima cosa di cui ho bisogno è crearmi un altro
problema da solo, senza contare che comunque non voglio continuare a
ferirmi inutilmente e mettere in ansia pure Alex per qualcosa che non
può aiutarmi in nessun modo. Ma è sbagliato anche
solo
dire che voglio smettere; voglio dire, quando mai ho cominciato? Tre
tagli non sono tagliarsi, tre cicatrici non sono un segno indelebile,
un cuore infranto non è perduto per l'eternità,
sono
tutte cose a cui si può rimediare e a cui
rimedierò
presto, giusto il tempo di stabilizzare i miei sentimenti. Distolgo lo
sguardo dal muro e osservo Alex, che nel frattempo si è
addormentato e soffia silenziosamente sul mio petto, le iridi che si
muovono freneticamente da sotto le palpebre chiuse. Sorrido e gli
lascio stare i capelli, spostandogli i ciuffi dal viso, rimango in
silenzio per un po' e mi volto verso la porta quando questa si apre,
dopo il bussare delicato di sua mamma.
«Tutto
okay, ragazzi?» domanda, infilando la testa dentro. Sorride
alla
vista del figlio e m'invita a uscire con un gesto della testa, per poi
chiudersi gentilmente la porta alle spalle quando la raggiungo davanti
alla tromba delle scale.
«Siete
riusciti a studiare un po'?» chiede premurosamente,
cominciando a scendere.
«Non
molto, a dir la verità» rispondo, seguendola in
salotto e
poi in cucina. Si siede su una sedia e mi fa cenno di imitarla, ma
quando prendo posto si alza e si dirige verso la credenza, dalla quale
tira fuori due bicchieri azzurri. Si avvicina al frigo e apre l'anta,
indugia un attimo e poi si volta verso di me, per ricevere conferma
della mia solita bevanda, così sorrido e lei tira fuori del
succo d'arancia e una bottiglia di latte. Torna da me, mi versa del
succo e si riempie il bicchiere di latte, poi incrocia le gambe e
sospira, soddisfatta dalla sua pausa di metà pomeriggio.
«State
lavorando a qualche nuovo progetto?» domanda con un interesse
spontaneo che l'ha sempre caratterizzata.
«Ho
qualcosa in mente ma preferisco aspettare che guarisca prima di
proporglielo» ammetto, scuotendo la testa.
«Approvo»
annuisce, dando un altro sorso al suo latte, «ora come ora
Alex ha il cervello completamente in pappa. Spero sia la febbre e che
non si
sia innamorato di un'altra, le sue ragazze sono così poco
cordiali quando me le presenta». Tacciamo e beviamo un po' in
silenzio, poi lancio un'occhiata al forno e noto il suo grembiule
buttato a casaccio sul piano.
«Cucinato
qualcosa?» chiedo, indicando col mento le ciotole infarinate
che emergono dal lavello.
«Assolutamente
sì» esclama, «ricetta
speciale. In realtà è la prima volta che la
sperimento,
però ho seguito tutte le istruzioni alla lettera e penso sia
venuta alla grande. Ti va di fermarti a cena e provarla?»
Mi piace la sua
spontaneità, è difficile non volerle bene.
«Perché no, tanto mi aspettava un'altra serata di
pizza e TV».
La mamma di Alex
è una creatura minuta, pallida, con gli stessi
spinaci incasinati che caratterizzano tutta la famiglia, ed
è
una persona con cui è facile parlare, anche se non ci
condividi
praticamente nulla. Le viene naturale cercare sempre un argomento che
possa interessare entrambi e in questi anni non è mai
capitato
che se la prendesse con me per qualcosa che aveva combinato suo figlio,
suo marito o il suo capo. Non penso di averla proprio mai vista
arrabbiata, a dire la verità, ma so che può
essere molto
decisa quando vuole: quando eravamo piccoli, io ed Alex eravamo delle
vere calamità su due piedi, e visto che mia madre passava la
mattina presto e ci portava a scuola, a venirmi a prendere erano i
genitori di Alex. Arrivavamo a casa sua, facevamo merenda con le prime
vaccate che trovavamo nella parte bassa della credenza e poi
sfrecciavamo fuori alla velocità della luce, per goderci il
più possibile quei pomeriggi e fare i giochi più
pericolosi che ci venissero in mente; poi quand'eravamo troppo esausti
per continuare a correre e fare la guerra al prossimo, rientravamo e ci
sbracavamo sul divano a guardare i cartoni animati. Il problema si
poneva quando fuori pioveva, tirava vento o c'era un brutto tempo in
generale e ci era quindi vietato stare all'aria aperta: potete
benissimo immaginare di cosa sono capaci due ragazzini irrequieti
abituati a poter contare su spazi aperti e che per divertirsi si
prendono regolarmente a botte che di punto in bianco vengono rinchiusi
in una casa sì a due piani, ma comunque considerevolmente
più piccola e piena di mobili rispetto al giardino in cui
stanno
sempre. Aggiungete a questi due ragazzini e all'ambiente sfavorevole
una bella quantità di zucchero, bevande frizzanti e cartoni
ultra-violenti, dategli qualche giocattolo con cui creare delle storie
e bam, avete un salotto distrutto assicurato. Mia madre c'avrebbe
sbroccato come una pazza per ore, facendoci sentire le peggio merde del
pianeta, ma la mamma di Alex si è limitata a raccogliere i
cocci, buttarli nella spazzatura, tornare da noi e dirci di non farlo
mai più, ma con un tono così serio e autoritario
che
né io né lui abbiamo più trovato il
coraggio di
spaccare qualcosa nella sua bella casetta. Insomma, è sempre
stata una donna tutta d'un pezzo, e credo che poche persone si
sarebbero accollate la responsabilità di badare ad un
ragazzino
in più, specialmente appena arrivate in città da
un altro
paese, quindi ai miei occhi è il triplo più
determinata
di tutte le altre mamme che conosca. Ma credo che il miglior tratto di
lei sia che non si è mai rassegnata con me: si è
sempre
mostrata gentile, aperta, pronta a prestarmi un pigiama e ad invitarmi
a cena nei momenti in cui i miei tardavano e io vagavo da solo per la
casa senza sapere cosa fare; non si è mai lamentata quando
mi
presentavo da loro agli orari più assurdi, anche durante le
vacanze, per fare un salutino ad Alex e passare qualche ora con lui,
né tantomeno si è mai arrabbiata con me
perché
facevo troppo casino e non stavo fermo un attimo, contagiando pure suo
figlio con la mia iperattività. Per me è una
donna
grandiosa; se dovessi scegliere mia madre nella prossima vita, senza
alcun dubbio la mia scelta ricadrebbe su di lei. Specialmente se come
fratello avessi Alex.
«Dì
un po' Jack, tu non hai niente da raccontarmi? Niente gossip, niente
cose piccanti?» domanda sornionamente dopo un po',
accavallando
le gambe e posando il mento sulle dita intersecate tra loro, senza
traccia di malizia nella voce.
«Zero via
zero, il buon vecchio Jack non interessa alle ragazze»
rispondo, evitando in parte la domanda. Stringe le labbra.
«Dici
davvero? Mi sembra piuttosto strano, non sei mica brutto»
commenta.
«Mi sa che
sono troppo per gli standard della mia scuola, se fossi da un'altra
parte mi salterebbero addosso» scherzo.
«Non ci
allarghiamo» ridacchia lei, socchiudendo gli occhi e
riaprendoli alla sua destra. «Guarda
che tempo... se foste stati un minimo più piccoli, tu e Alex
sareste schizzati fuori e chissenefrega della febbre. Vi state
rammollendo, ragazzi».
«La
vecchiaia incombe, signora mia, l'artrite non mi permette
più di
prender parte a certi futili giuoghi da infanti» ribatto.
«Ma
come te ne esci?» esclama lei corrugando le sopracciglia, un
sorriso aleggiante sulle sue labbra fine e rosse. Si alza per andare a
portare i bicchieri nel lavello e la seguo docilmente, anche se il mio
non si trova più a tavola, e osservo con attenzione la
precisione con cui mette a posto tutto. Un bip-bip preregistrato ci
annuncia che la lavastoviglie ha terminato il suo ciclo e la apro
automaticamente, cominciando a mettere i piatti nel ripiano alto della
credenza di vetro, poi passo ai bicchieri e alle posate. La mamma di
Alex nel frattempo se n'è andata e mi sento un po' un
deficiente
a fare i lavori a casa sua senza neanche la sua presenza accanto, ma
visto che ho cominciato tanto vale finire. Lancio un'occhiata
all'orologio e vedo con stupore che è passata quasi un'ora
da
quando sono sceso al piano terra, ma non mi scombussolo più
di
tanto e porto a termine il mio lavoro in un paio di minuti, tranquillo.
«Ehi
Jack, dì un po', te lo ricordi questo?» mi sento
chiamare
dall'altra stanza. Mi affretto a raggiungerla e la trovo seduta sul
divano con in mano una scatola di metallo piena di graffi e adesivi
mezzo strappati che non vedevo da anni.
«Eccome
se me lo ricordo» ribatto, sedendomi al suo fianco. Quando
eravamo piccoli avevamo trovato questa scatola, che all'epoca era di un
bel blu elettrico, in garage e l'avevamo ribattezzata come nostra
scatola dei ricordi, e per tutti i mesi dell'estate avevamo continuato
a metterci dentro tutto ciò che ci sembrava speciale e che
non
volevamo finisse sotto gli occhi degli adulti. Non pensavo l'avesse
conservata, così quando la prendo in mano mi batte un po' il
cuore.
«Quanti
anni sono passati?» sorride lei, socchiudendo dolcemente gli
occhi, «Sei? Sette?»
«Sette e
quattro mesi» rispondo sovrappensiero, le dita che
accarezzano la chiusura della scatola. «Però
è la scatola dei segreti, non posso fartela
vedere» mi
ricordo tutto d'un tratto, per poi pensar subito che ormai doveva
conoscerla come le sue tasche, visti gli anni in cui era stata
dispersa, e arrossire lievemente tra me e me. Lei ride, cristallina.
«Hai
ragione, vorrà dire che aspetterò altri sette
anni e
quattro mesi prima di aprirla con i vostri nipotini» scherza,
poi
si alza, si alliscia la maglietta e se ne va un'altra volta, senza
lasciarmi tempo per ribattere.
«Cosa
intendi con 'i vostri nipotini'? Procreare a ventitré anni
è rovinarsi la vita» esclamo di rimando, e la
sento ridere.
«Procreare
è migliorarsi la vita, Jack» ribatte dall'altra
stanza, «quando sarai grande capirai cosa intendo».
«Temo
passerà molto tempo prima che io lo faccia allora»
constato, pensando che comunque, oltre a non aver un cazzo di successo
col mondo femminile, sono pure innamorato di un maschio, quindi campa
cavallo che l'erba qui è na foresta.
«Non
essere così negativo, secondo me qualcuno che ti
accetterà tutta la vita lo troverai presto»
insiste,
tornando.
«Anzi,
secondo me potresti già averlo trovato. Quanta gente
c'è
a scuola vostra? Milleduecento, milletrecento persone? E vuoi dirmi che
in mezzo a loro non c'è uno straccio di qualcuno che riesca
a
farti pensare al vostro futuro assieme?»
«Be',
oddio, non l'ho mai vista sotto questo punto di vista»
ammetto, accigliandomi «ma
credo che la risposta continui a essere 'no, mi spiace, non ho
intenzione di seppellirmi sotto cacca e pannolini entro i prossimi
vent'anni'»
«Sei
impossibile» scuote la testa lei, ma con
positività «vedrai
che presto incontrerai qualcuno che ti farà cambiare idea e
che cambierà completamente la tua visione del
mondo; e
quando succederà, vedremo chi aveva ragione»
«Affare
fatto» dico, porgendole la mano «ma chi perde paga
pegno».
Mi da' uno
scappellotto sulla spalla come a dire 'ma non puoi mai essere serio
tu?', poi sorride e me la stringe con forza.
«Va bene,
sfida accettata. Ma vedrai che sarai tu ad ammettere di aver avuto
torto, Barakat» commenta, decisa.
«Continua
a sperarci» ribatto, poi ci alziamo e ci separiamo per far
scena. Ho già detto che amo quella donna?
Alex non
scende a cena. Suo padre è fuori città per
lavoro, quindi io e sua madre mangiamo da soli, il silenzio rotto solo
dall'eco ovattato della televisione, accesa più per riflesso
che
per effettivo interesse – il
papà di Alex guarda sempre il telegiornale quando cenano,
così si tiene informato su tutto ciò che affligge
il
mondo e il giorno dopo può permettersi di leggere il
giornale e
distrarsi un po', se ha qualche affare importante per le mani e non
riesce a concentrarsi come vorrebbe sulle notizie – e
a essere sinceri la cosa mi fa sentire solo da morire. Il piatto
speciale della mamma di Alex non è poi così
eclatante ma
la riempio di complimenti lo stesso, cosa che lei sembra apprezzare di
buon grado; finiamo di mangiare e ci separiamo discretamente, senza
sottolineare troppo la cosa. Torno in camera del mio amico, apro il
secondo cassetto dell'armadio a muro e tiro fuori una sua maglietta; mi
sfilo la mia e mi cambio, poi vado in bagno e tiro giù dal
mobiletto il mio kit «nottata
fuori programma», provvisto di uno spazzolino e un paio di
vestiti puliti. Mi lavo i denti sovrappensiero e torno di
là,
sistemo i vestiti sulla sedia davanti alla scrivania e mi siedo sul
materasso accanto a lui.
Alex è di
una carineria assurda quando dorme. Mi dispiace quasi
per chi non ha mai avuto l'opportunità di vederlo: io mi
fermo a
dormire a casa sua una volta alla settimana da tipo otto anni, e prima
capitava che mi fermassi ancora più spesso, eppure non c'ho
ancora fatto il callo. E lo dico oggettivamente, è una cosa
che
penso da sempre, da molto prima che m'innamorassi di lui; Alex che
sogna è la cosa più bella del mondo e non puoi
non
pensarlo, che tu sia etero, gay, lesbica o una talpa. È
semplicemente fantastico, non so neanche come descriverlo; mi manda gli
ormoni in pappa, porca paletta, e non sono un tipo che normalmente si
emoziona a guardare gli altri dormire, quindi potete benissimo
immaginare come stia messo e perché mi stia sforzando
così tanto di ricordare gli elementi della tavola periodica,
di
cui non mi è mai importato un accidente e di cui non mi
servirò mai e poi mai nella mia vita futura. Oddio, vorrei
poter
urlare.
Il bello di avere
come amico Alex, è che non s'imbarazza mai di
niente se lo conosci da un po'; dorme con te, si fa vedere nudo da te,
ti confida i suoi problemi, ti lascia fare tutto ciò che
vuoi a
casa sua, si fida di te come di pochi, a momenti ti regala perfino le
chiavi della porta d'ingresso col permesso di usarle ogni volta che ti
gira. Non conosco nessun altro come lui, è completamente
fuori
eppure è sempre cosciente di sé; non credo
abbiano ancora
inventato un termine adatto a descrivere le persone come lui, ma detto
sinceramente a me basta il suo nome per descriverlo e sentire scariche
elettriche invadere le mie vene. Non lo so, è come se al suo
nome fosse collegato un sistema d'elettrodi che perdono il controllo
ogni qualvolta una persona parla di lui o di qualcosa che gli piace;
tipo un antifurto che scatta quando qualcun altro si permette di
rigirarsi il suo nome fra i denti e farlo suo per una manciata di
secondi: se viene tenuto nascosto troppo a lungo mi allarmo e attivo
un qualsiasi sistema di difesa che gli faccia cambiare argomento, senza
però dare a vedere il motivo della mia preoccupazione.
Insomma,
in mezzo ai problemi e alle stramberie anche il sottoscritto
è
un ingranaggio che funziona a dovere in questo universo contrastante
che è Baltimora e i suoi giovani abitanti, e anche se ogni
tanto
crollo, l'amore mi porta sempre a galla e mi rimette al timone di
questo dannato casino che è la mia vita. E già
che
parliamo di vita, possiamo fare un altro sbarco sulle spiagge
dell'anima più importante dell'intero oceano e rimettere i
piedi
per terra, visto che Alex sta cominciando a svegliarsi e fra pochi
secondi mi spingerà accanto a sé, come tutte le
altre
volte. Non riesco a ricordarmi com'è cominciata questa
tradizione, però dormiamo insieme da sempre, abbracciati uno
all'altro come se fuori imperversasse una tormenta e noi fossimo
smarriti tra i ghiacci più remoti della Siberia, protetti
solo
dal calore dei nostri corpi pressati guancia contro guancia; ma credo
che sia cominciato tutto quando eravamo davvero piccoli e crollavamo
più o meno in contemporanea davanti alla TV:
la mamma di Alex ci notava, spegneva l'apparecchio, si tirava su le
maniche e ci prendeva in braccio assieme, poi saliva le scale con
qualche sbuffo, ci posava sul letto e ci toglieva i pantaloni, sempre
macchiati dalle zolle di terra e fango, e ci sistemava sotto le
coperte, a volte con una maglietta, a volte senza. Alex allora
cominciava a tremare e cercava la mia mano nel dormiveglia, mugolando
finché non la trovava; a quel punto la stringeva e se la
portava
accanto al viso, respirandoci flebilmente sopra, mentre io rotolavo
verso di lui e sistemavo la testa nell'incavo del suo collo, senza poi
spostarmi fino alla mattina successiva. Ci svegliavamo come se non
fosse successo nulla e ci lanciavamo giù per le scale,
irrompendo in cucina con la stessa foga di chi non mangia da anni un
pasto decente, e la signora Gaskarth sorrideva, mettendo il latte a
tavola. A me piaceva riempire la tazza di latte e appoggiarmi con la
testa sul palmo a osservare i cereali che scricchiolavano, gonfiandosi
sempre di più, mentre Alex preferiva metterci anche del
cacao in
polvere e inzupparci dentro i biscotti, riempiendo tutto il tavolo di
macchie e briciole. Non finivamo mai le nostre colazioni, scappavamo
sempre a giocare dopo qualche cucchiaiata; però è
un
ricordo a cui penso con molta felicità quando metto piede in
questa casa. Anche se, in effetti, ogni ricordo qui è
più
che felice.
«Jack»
mugola Alex come previsto, tastando il materasso accanto a me per
cercarmi «vieni a letto».
Lo scavalco cercando
di non cadergli addosso e scivolo sotto le coperte
in silenzio, tirandomele su fin sopra il collo; lui mi
concede mezzo minuto, poi decide che ha aspettato fin troppo e
rotola dalla mia parte, prendendomi la mano nella sua.
«Vedi di
guarire presto» mormoro, lui socchiude gli occhi e sorride,
sornione. Intreccia le dita con le mie.
«Lo
sai, insieme siamo imbattibili» commenta pacatamente, poi
chiude
gli occhi e appoggia la guancia sulla mia mano, addormentandosi
nuovamente. Scotta contro la mia pelle, probabilmente ha avuto una
ricaduta e la febbre si è alzata mentre io ero
giù, e
aspettava me per abbandonarsi definitivamente al mondo dei sogni. Gli
sposto una ciocca dagli occhi, delicatamente, e gliela sistemo dietro
le orecchie, ripetendo il gesto qualche altra volta per rilassarmi e
permettere alla mia mente di divagare come suo solito, quando le ombre
emergono dai loro nascondigli, ma stasera non riesco a concentrarmi su
niente che non sia la mia vita. Ma non macroscopicamente, sarebbe
troppo comodo; stasera tutto ciò su cui riesco a
concentrarmi
è qualche spezzone di vita quotidiana ben definito e allo
stesso
tempo opaco, che dovrebbe avere un qualche significato che non sono
ancora riuscito a cogliere ma che invece è di viscerale
importanza per me e ciò che mi circonda; e devo ammettere
che la
cosa mi lascia un po' inquieto. Mi capita spesso di pensare a cose a
cui non so dare una risposta, o a cose di cui ho paura anche solo a
immaginare la soluzione, ma in genere quando lo faccio sono solo e ho
le stelle sott'occhio. Invece in questo momento sono in compagnia del
primo ragazzo che abbia mai amato, in una stanza quadrata con le
tapparelle tirate e una TV accesa in
lontananza e mi
sento strano, come se non avessi capito fino in fondo qualcosa che
invece dovrei aver capito tanto tempo fa, e il suo respiro continua a
infrangersi ritmicamente sulla mia pelle, distraendomi ogni due secondi
e impedendomi di ragionare lucidamente. Mi è capitato
più
volte di pensare che Alex mi ricambiasse, anche in minima parte, ma
ogni volta sono stato costretto a ricredermi quando mi presentava la
sua nuova improvvisa fiamma, ma a volte mi chiedo cosa succederebbe se
prendessi davvero coraggio e mi dichiarassi. Non è il tipo
che
mi sputerebbe in faccia, mi urlerebbe di portare il mio culo da frocio
fuori da camera sua e di non farmi più vedere fino alla fine
dei
miei giorni, ma non è neanche il tipo che rimarrebbe
impassibile, del tipo 'okay, va bene, vedremo cosa farci. Ora possiamo
riprendere il progetto di chimica per favore?'. Più volte mi
sono immaginato una sua eventuale reazione, ma ogni volta che lo
faccio, la risposta cambia - vuoi a causa del mio umore, vuoi a causa
del tempo, vuoi a causa di una sua qualsiasi frase, vuoi a causa della
quantità di zuccheri presenti nel mio sistema, vuoi a causa
della sua rottura con qualche ragazza, a causa di qualsiasi cosa
insomma - e finora non sono mai arrivato ad una conclusione
soddisfacente, sebbene ne abbia elaborate decine. Non ho mai chiesto a
Zack cosa ne pensi e tantomeno ho intenzione di farlo; un conto
è dirgli che mi sono preso una bella cotta per Alex,
un'altra
è andare lì da lui, ammettere i trentamila
complessi che
mi faccio ogni giorno e mettermi a smontarli uno a uno, col rischio di
rafforzarne qualcuno e farmi vedere più vulnerabile di
quanto
voglio che la gente mi veda. Va bene, okay, ho una cotta praticamente
senza speranza, ma parlare di quanto mi piaccia non
migliorerà
le cose in nessun modo, tanto meno farà aprire gli occhi ad
Alex, quindi perché abbassare la guardia e farlo? In
realtà non so neanche perché mi sia confidato,
visto che
comunque non mi sento meglio di prima e non ho mai pensato che qualcosa
sarebbe potuto cambiare, ma egoisticamente parlando, penso di averlo
fatto perché, nel remoto e assurdo caso in cui io riesca a
aprirmi con lui e rivelargli ciò che provo, e lui confermi i
miei sentimenti con un bacio, allora nessuno dei ragazzi
potrà
dire 'cazzo, ma perché nessuno ci ha detto niente?' e
mettere su
il muso. Lo so, sono una merda, ma d'altra parte che bene mi porta
lasciare che sappiano che sono innamorato perso di un ragazzo etero e
costantemente mezzo impicciato con qualche gnocca di questa o quella
scuola? Mi umilio e basta, alla fine. Anzi no, 'umilio' no, nessuno
può umiliarsi nell'innamorarsi di Alex Gaskarth, semmai
viene
investito da una luce speciale e assume un aspetto completamente
diverso agli occhi di tutti; ma il senso è che
già non
godo poi di tutto questo appoggio, figuriamoci se si spargesse la voce
che sono innamorato di un ragazzo che non solo è il mio
migliore
amico, ma che non mi caga neanche di striscio. Cioè, dai, mi
chiuderei da solo il coperchio della bara dopo essermi scavato la
tomba, gettato contro dei fiori e fatto la cerimonia da solo,
interpretando sia il prete che i miei genitori e gli altri quattro
gatti che vi presenzierebbero. Una fine insignificante di un ragazzo
poco determinante. Ma quando mi giro e guardo Alex negli occhi non
posso non pensare che andrà tutto bene, che anche se non mi
ricambiasse mi rimarrebbe comunque accanto, e che in fin dei conti male
non può finire. Mi fa sentire a casa, come se mi trovassi
nel
posto giusto nel momento giusto, e non mi da' mai l'impressione di non
volermi tra i piedi, come invece succede con i miei genitori; ha sempre
pronto un sorriso per me e non esita mai se gli dico che non mi sento
bene: esce dalla finestra, salta sul ramo e scende dalla casa
sull'albero per non incappare in sua madre e si fa di corsa la sua
strada fino al semaforo, dove lo aspetto con un'enorme tazza di
cappuccino in mano e gli occhi gonfi di gratitudine. Ogni volta che
compare sono la persona più felice del mondo, ma non credo
lo
capisca fino in fondo - voglio dire, fino a qualche paia di mesi fa non
l'avrei capito davvero neanche io, eppure ora un suo sguardo
è
tanto importante quanto un weekend senza lavoro con i miei genitori, e
per me i miei sono una cosa importantissima. Non lo so, è
come
se Alex avesse occupato con la sua perfezione ogni spazio vuoto del mio
animo, spingendomi a vedere il bicchiere né mezzo pieno
né mezzo vuoto, ma completamente pieno di
positività e
affetto da parte sua, che in ogni periodo del giorno c'è
sempre
stato; e se mi fermo un attimo a pensarci è una cosa che mi
da'
i brividi. In questi anni è diventato così
essenziale per
me che la cosa quasi mi spaventa. Dovrebbero benedire chi l'ha
inventato. E anche se praticamente tutte le mie serate si concludono
con questa riflessione, non riesco a non sorridere come uno scemo ogni
volta che ci penso e realizzo che non importa quale sia il mio umore,
cosa mi sia successo durante la giornata o cosa mi abbiano detto i miei
compagni di corso, alla fine Alex è sempre la cosa
più
importante della mia vita e senza di lui niente sarebbe più
lo
stesso. Per questo poi quando mi dorme accanto mi sento così
strano: è a pochi centimetri da me, è
più vicino
di quanto decine di altre persone potrebbero mai sperimentare nella
loro vita, ed è abbracciato alla mia dannata mano, non a una
ragazza, non a un cuscino, ma alla mia mano, alla mia stupida, magra,
irrilevante mano; e c'è avvinghiato seriamente, con amore,
non
avvinghiato così, tanto per; c'è avvinghiato con
forza
perché vuole starci avvinghiato e rimanerci tutta la notte,
non
solo ora che ha bisogno di addormentarsi. C'è qualcosa di
magico
in questo, c'è qualcosa di magico in lui, e a volte mi
chiedo se
standogli così accanto non riesca a diventare magico
anch'io,
giusto quel che basta perché mi noti, perché mi
dica ehi,
Jack, sai che oggi i tuoi capelli sono proprio una figata,
perché mi sorrida col cuore pensando a quanto cavolo
significhi
per lui e quanto cavolo starebbe male senza di me, perché mi
guardi negli occhi, mi prenda il viso fra le mani e...
Porca miseria, mi
sono addormentato un'altra volta. Quando faccio
questi pensieri non so mai quando sono lucido e quando invece sono
già crollato - in genere distinguo le due cose solo al
risveglio, quando la realtà mi prende a pesci in faccia e mi
ricorda che sono sì un innamorato, ma non un ricambiato, e
che
questi castelli in aria mi feriscono più di quanto creda - e
anche quando mi sveglio non è che sia poi così
diverso. I
frammenti del sogno interrotto mi si sovrappongono alla visione
normale, creando accostamenti surrealmente belli che mi fanno venire la
pelle d'oca e intrecciare lo stomaco, e quando mi volto a guardare Alex
ho sempre l'impressione che sappia che l'ho sognato ma che taccia per
mantenere vivo il nostro rapporto, ma anche se l'illusione svanisce
appena i sensi riprendono il controllo, forse è davvero
così, forse si è davvero accorto di qualcosa e me
lo
nasconde perché mi vuole troppo bene per perdermi. Mi tiro
su e
mi appoggio coi gomiti per il poco che mi è concesso, visto
che
Alex è ancora attaccato alla mia mano, respiro, chiudo gli
occhi
e mi concentro su ciò che mi circonda, rilassando i muscoli.
La
camera di Alex ha un odore speciale, un misto fra quello dolce del
ragazzo che la occupa, il mio e quello delle decine di libri e CD
che sovrastano tutto dall'alto della libreria, squadrando chiunque
metta piede nel loro regno e comunicandogli un senso di
familiarità e calma caratteristico del loro proprietario.
Espiro
silenziosamente e mi rimetto giù, chiudendo nuovamente gli
occhi; lascio vagare i pensieri e mi concentro sul ticchettio
dell'orologio del bagno, che ha una cadenza soffice e regolare, udibile
solo quando dentro tutto tace; e per un po' di tempo faccio finta che
il resto del mondo non esista. Una ventina di minuti dopo, Alex si
sveglia.
Mugola qualcosa
d'incomprensibile, si stropiccia un occhio con
la mano libera e lascia ciondolare le dita davanti al volto per un paio
di secondi, prima di ritrarle e voltarsi verso di me. Dal canto mio, ho
chiuso gli occhi appena in tempo e ho visto abbastanza video con me che
dormo per essere perfettamente in grado di riprodurre il lieve russare
che mi caratterizza quando non sto affrontando un incubo;
così
appesantisco un po' il mio respiro, rilasso il più possibile
i
muscoli e continuo con la mia messinscena. Alex tace, sento il suo
sguardo appannato bucarmi la pelle e la cosa mi mette leggermente a
disagio; sfila le sue dita dalle mie e si tira un po' su, staccando il
suo corpo dal mio. Probabilmente deve andare in bagno, penso, ma non
sento il materasso sollevarsi e mi rendo conto di essermi sbagliato,
rimanendoci male per la mano. Ma chi lo sa, forse sto sudando come un
maiale e non me ne rendo conto perché non posso toccarmi
dall'esterno, e in questo caso è meglio che si sia staccato,
così almeno domattina non si sveglierà madido di
sudore e
io potrò evitare di vergognarmi come un cane. Emetto un
verso
giusto per fargli sapere che nel mio sogno è accaduto un
imprevisto ma non mi muovo, rannicchiato con la mano sul suo cuscino,
in attesa del suo ritorno, e lo sento respirare lentamente, a quello
che sarà un terzo di metro di distanza. Forse ha un attacco
di
nausea o mal di pancia, dopotutto ha la febbre e non è
neanche
venuto a mangiare un boccone prima; forse dovrei smetterla di fingere e
andargli a prendere una pasticca giù in cucina
così che
possa sentirsi meglio; ma l'unica cosa che faccio è
aspettare e
rilassare ancora di più i muscoli, concedendomi il lusso di
aspettare la sua prossima mossa prima d'intervenire in qualche modo, ma
la cosa non sembra dispiacergli. Seduto sulle ginocchia, respira e
tace, avvolto da un manto di silenzio e sogni interrotti; tace e
aspetta qualcosa, ma cosa non lo posso sapere. Aspetto cinque minuti
poi apro gli occhi, magari sta proprio male. Sposto lo sguardo su di
lui e incontro il suo, vivo, profondo, pieno di mistero e sicurezza;
rimaniamo a fissarci per un po' senza dire nulla, poi si alza e va in
bagno. Io rimango fermo. Ho la pelle d'oca e solo quando è
fuori
dal mio campo visivo mi permetto di cominciare a tremare. Il mio
cervello è scomparso, non riesco a pensare a nulla e nulla
riesce ad attirare la mia attenzione; rimango immobile e attendo,
sciogliendomi dentro l'ambiente circostante; attendo e rimango
immobile, deglutendo. Quando torna si corica al suo solito posto senza
dire una parola, guardando verso il muro, si tira la coperta fin sopra
la spalle e poi l'abbassa, porgendomi la mano. La stringo in silenzio e
rimaniamo fermi per un po', poi è lui a rompere il mantello
taciturno che ci ha ricoperti.
«Ci
hai mai pensato a perché siamo sulla terra?»
domanda,
sistemandosi sulla schiena e girandosi a guardarmi in volto.
«Continuamente»
rispondo, facendo vagare stancamente le iridi sul soffitto. Una delle
cose a cui penso di più, credo.
«Io non ci
ho mai fatto troppo caso» ammette francamente, spostando lo
sguardo verso l'infinito, «ma
ultimamente penso molto ad altro. Dì un po', Jack,
distruggeresti mai qualcosa di perfetto solo per renderlo
bellissimo?»
Lo guardo.
«Non lo so. Perfetto non implica di per sé che
quel qualcosa sia già bellissimo?»
«Dipende
da cosa si parla. Un maiale può anche essere un
esemplare
perfetto, ma non per questo è bellissimo».
«Hai un
modo molto poetico e dolce di esprimere i concetti» commento.
«Allora può darsi di sì, probabilmente
lo farei.»
«E se una
volta bellissimo, quel qualcosa non riuscisse più a tornare
come prima?» insiste, tornando a guardarmi.
«Be',
me ne farei una ragione. La perfezione non esiste» ribatto,
scrollando le spalle. Sembra abbastanza soddisfatto dalla mia risposta,
così rimane in silenzio e rimugina per un po', mentre io
respiro.
«Jack,
non tagliarti più» esclama dopo un po', piantando
lo
sguardo sulla mia pelle. Non rispondo, perdendomi nell'infinito, lui si
accoccola nell'incavo tra il mio mento e il mio petto e tace, le dita
nuovamente intrecciate con le mie, dolcemente. Appoggio la testa contro
la sua e inspiro il suo odore, riempiendomene i polmoni fino a farmi
male; espiro silenziosamente e deglutisco, tornando a guardarlo.
«Prometto»
mormoro, annuendo abbozzatamente un paio di volte. Respira a fondo,
sorride come un idiota e si stringe forte contro il mio petto,
imprimendo la forma della sua testa su di me.
«Ti voglio
bene Jack» sussurra, le labbra che mi solleticano la pelle.
«Ti voglio
bene anch'io, Alex» dico, accarezzandogli i capelli. Vorrei
che questo momento durasse per sempre.
«Grazie»
dice dopo un po', mi lancia un ultimo sorriso, sbadiglia e chiude
docilmente gli occhi, senza spostarsi. Spero solo che non si metta a
badare al mio battito cardiaco, perché penso che fra un po'
il
sangue mi sarà pompato direttamente fuori dal torace, altro
che
nelle vene. Si addormenta subito e io con lui, portandomi la gioia nel
viaggio.
Note: In
realtà l'ho scritta come una one shot quindi non lascia in
sospeso o nulla, solo che sta diventando davvero troppo lunga per
essere pubblicata come un capitolo solo e non avevo altra scelta se non
dividerla in più parti, quindi se rimanete un po' 'Ma che
cazz', sappiate che è colpa mia fino a un certo punto ghjkg.
Che poi in realtà questo capitolo potrebbe essere diviso in
due per la lunghezza ma okay, è stata un impresa trovare un
primo spacco vagamente adatto, figuratevi a trovarne due. Boh grazie se
siete arrivati qui, vi amo tutti cwc
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Capitolo 2 *** Parte seconda ***
there's room for two six feet under the stars cap2
Quando la sveglia comincia a suonare e apro gli occhi, Alex
è
ancora aggrovigliato a me, mi soffia addosso con la sua aria calma e
rilassata di ogni giorno e sorride, pacioso, mentre sogna
chissà
cosa; e non so in che modo sia riuscito a spostarlo ed alzarmi per
andare a vestirmi, se ci penso non riesco a non darmi del deficiente
patentato. Ma se salto scuola e mia madre lo viene a sapere va a finire
che mi manda in collegio, quest'anno le ho dato già
abbastanza
problemi a sentire quel che dice, e se mi salta in mente di pisciare mi
srotola le budella, parole sue. Quindi a malincuore sono dovuto
sgusciare via dalle braccia di Alex, lasciandomi alle spalle il suo
odore, il suo calore e la sua stretta rincuorante, per dirigermi verso
il posto che più detesto la mattina presto, il mio liceo
schifio
pieno di gente schifia e materie schifie. Che poi chiariamo, la scuola
può pure essere interessante se ti capitano le materie
giuste,
ma se ciò che studi lo scegli quando sei fatto allora non
puoi
proprio sperare di cavartela con lezioni fighe e minimamente utili per
il tuo futuro, anzi; molto probabilmente capiterai in aule di
letteratura capitanate da una professoressa che sembra avere una paura
matta dei suoi stessi studenti, scienze della comunicazione, economia,
recitazione et similia, dove trovare un qualche amico simpatico
è un'impresa altrettanto dura che farti promuovere senza
carenze. Insomma, mi sparerei da solo per ciò che mi sono
scelto, e butto nuovamente in campo il fatto della tomba: sono un
deficiente con tendenze masochiste per farla breve.
Quando entro in classe
sono accolto come al solito da un'aria pesante e
viziata, contornata da una ventina di ragazzi che urlano e strepitano
fin da quando cominciano a radunarsi davanti al portone dell'edificio,
verso le sette e un quarto, e da una lavagna strabordante di disegni e
prese in giro d'insegnanti e alunni. Prendo posto vicino alla finestra,
dove mi metto di solito, lascio cadere lo zaino accanto a me e alzo lo
sguardo verso l'esterno, sovrappensiero; quando ecco che Nick,
accompagnato dalla sua aria gaiamente eccitata, si fa largo fra la
folla dirigendosi verso di me, sventolandomi un sorriso smagliante
sotto il naso. Cos'avrà da essere così felice di
primo
mattino, lo sa solo lui. E purtroppo fra poco anch'io.
«Eeeehiii,
Jaaack!» gongola, percorrendo di corsa gli
ultimi due metri, «indovina cos'è
successo!»
«Hai trovato
una ragazza?» butto lì, visto che ultimamente si
stanno fidanzando tutti. Viva la primavera!
«Uh? No, non
sono innamorato di nessuna» ribatte, accigliandosi
leggermente. Scrollo le spalle, rassegnandomi.
«Non ne ho
idea allora, mi arrendo» esclamo con un sospiro che lui
interpreta come un segno d'eccitazione condivisa.
«Mi
trasferisco!» annuncia mettendosi i pugni sui fianchi.
«Che cosa? E
dove?» domando, perdendo per un attimo il mio aplomb
distaccato. Dio, grazie, grazie, grazie!
«A un isolato
da casa tua» risponde subito, come se stesse
fremendo da ore per dirlo a qualcuno altrettanto emozionato.
«No, aspetta,
cosa?» ripeto, la mascella che a momenti mi cade per terra.
«Massì,
hanno licenziato mamma, così abbiamo preso in affitto una di
quelle villette a schiera come la tua, visto che sono molto meno care;
e visto che avevo già amici in zona, i miei hanno preferito
optare per venire qui intorno» mi spiega.
«Non ci posso
credere» boccheggio, spiazzato.
«Lo so,
è fantastico» conferma lui, sfoggiando un
altro sorrisone a cinquantamila denti, «non vedo
l'ora!»
«Tutti
ai posti» esclama nel frattempo la professoressa, entrando in
classe con un pacco di compiti sotto il braccio e una tazzina bianca di
caffè nella mano sinistra; gli alunni migrano ai
loro banchi e
io rimango di nuovo da solo, incredulo.
«Brutte,
bruttissime notizie» scrivo velocemente; poi prima d'inserire
il
destinatario mi blocco e osservo il cellulare con aria indecisa, me lo
rinfilo in tasca dopo aver salvato il messaggio e lascio stare.
Avvertirò dopo Alex, meglio lasciarlo dormire
finché
può; e poi per ora non ho abbastanza informazioni per
svegliarlo
e metterlo al corrente della situazione in modo soddisfacente, tanto
vale aspettare nuovi riscontri e informarlo durante la ricreazione.
Tiro fuori quaderno, astuccio e diario e comincio a scarabocchiare sul
banco, elaborando tra me e me una maniera per evitare d'invitare Nick
ai futuri barbecue di quartiere e rimanere comunque nei limiti
dell'educazione, secondo la fissazione di quella maniaca di mia madre,
ma nessun metodo mi soddisfa fino in fondo. Che accollo, cazzo.
Comunque la prof comincia a spiegare, quindi posso tranquillamente
isolarmi nel mio mondo di fantasia senza rischiare di essere
interrogato. Oh, gaudio.
La ricreazione arriva
più lentamente di quanto sperassi
inizialmente, accompagnata dal trillo acuto della campanella e dallo
sbuffo seccato della professoressa, ancora lontana dalla fine della
spiegazione; sguscio via dal mio banco prima che a Nick possa saltare
in mente di raggiungermi e continuare la nostra conversazione e mi
dirigo verso il bagno assieme agli altri ragazzi, che, sbadigliando,
commentano quanto sia stata una palla la lezione e quanto vorrebbero
tornarsene a casa a dormire. Se penso che io stamattina stavo
dormendo abbracciato ad Alex mi vengono i brividi, ma non è
il
caso che lo dica o ci pensi, ho davanti ancora quattro noiosissime ore
che intendo passare arroventandomi il cervello per trovare un modo di
salvaguardare il mio vicinato, e non per farmi film mentali sul nostro
futuro assieme.
«Ehi Barakat,
noi andiamo alla macchinetta a prenderci qualcosa
da mettere sotto i denti, vieni anche tu?» propone Rian.
«Puoi
scommetterci le chiappe, so che muori dalla voglia di offrirmi un
caffè» esclamo subito, girandomi di scatto. Quello
che non
mi aspetto è di avere un capogiro e cadere a terra come una
pera
cotta, davanti agli occhi a metà tra il divertito e
lo
sgomento dei miei amici, che corrono subito verso di me e mi posano una
mano sulla spalla, apprensivamente ma comunque sul punto di scoppiare a
ridere, quasi non fossi neanche loro amico.
«Jack? Tutto
okay, bello?» ride Rian, ma la risata gli
muore tra le labbra quando fissa il suo sguardo sul mio, appannato.
«Rian,
ci vedo doppio» mormoro in un sussurro, sgranando gli occhi e
piantandoli dentro ai suoi, grandi e neri; deglutisce, digrigna la
mascella e stacca la mano dalla mia spalla, senza smettere di guardarmi
per un secondo.
«Vado
a cercare aiuto, non ti muovere» mi dice, in un tono
spaventato e
serio che non credo di avergli mai sentito usare; annuisco fievolmente
e lo guardo schizzar via, mentre il castano rimane lì con me
e
mi si avvicina, inginocchiandosi.
«Ce la fai ad
alzarti?» mi domanda lentamente, lanciandomi un'occhiata
soffice, e io scuoto la testa, deglutendo.
«Non
saprei che mano stringere» aggiungo; Zack annuisce e lascia
la
mano premermi contro la spalla, delicatamente, poi dopo un po' si alza
e viene a sedersi accanto a me, guardandomi negli occhi.
«Vuoi
che chiamiamo Alex?» chiede, senza staccare lo sguardo da me
per
neanche un istante. Sono tentato da dirgli sì, chiamalo,
chiamalo e digli che sto male e ho bisogno di lui e che non ci capisco
niente e ho paura, poi mi torna in mente che non è
neanche
venuto a scuola oggi e scuoto la testa, senza volerlo caricare di
ulteriori problemi; lui si limita ad annuire in silenzio e rimaniamo
là un altro po', osservando il nulla. Provo a tirarmi in
piedi
appoggiandomi a lui ma le gambe mi cedono prima che io sia anche solo a
metà strada, e dopo Zack non mi permette di fare altri
tentativi, temendo che possa spaccarmi il cranio contro il pavimento.
Rian arriva dopo quattro, cinque minuti, ma il tempo passato sembra
un'eternità; alle sue spalle c'è l'infermiera
della
scuola, una donna forte e decisa che ormai ci conosce come le sue
tasche per quanto spesso ci facciamo male e veniamo a farci mettere due
cerotti da lei, ma questa volta è diverso, lo capisco dal
suo
sguardo. Si china su di me e mi guarda negli occhi, puntandomi contro
una luce; annuisce soddisfatta quando vede le mie pupille dilatarsi e
armeggia un po' dentro la sua borsa bianca per tirare fuori
qualcos'altro.
«Hai
mangiato qualcosa di strano fra ieri e oggi?» mi domanda,
chiudendo le dita attorno a un oggetto allungato. Mi viene in mente il
piatto della mamma di Alex e mi lascio scappare un sorriso,
però
so che non è quello ad avermi fatto male, l'ho
già
assaggiato altre volte a casa di alcuni parenti, quando ero
più
piccolo.
«Hai
preso qualche botta in testa, qualcosa che possa averti lasciato
tramortito o intontito?» insiste, ma davanti al mio no storce
la
bocca. «Hai per caso bevuto qualcosa prima di venire qui o -
dio non voglia - durante la ricreazione?»
Scuoto la testa
un'altra volta, e solo ora mi accorgo che mi fa un male cane.
«Da quant'è che non mangi?»
Biascico un 'ieri sera
verso le otto e mezza', poi mi ricordo della
colazione e rettifico, aggiungendo che stamattina mi sono preso una
tazza di caffè e una di cereali, anche se poi non ho finito
né l'una né l'altra; lei annuisce e rimette a
posto
l'attrezzo, probabilmente quello sbagliato, senza nascondere un velo di
fastidio per non aver trovato subito quello giusto.
«Aspetta,
fammi provare una cosa» dice dopo un po', spostandomi la
frangetta dalla fronte e rimanendo in attesa qualche secondo, in
silenzio. «Potrei
bollirci un uovo sulla tua fronte» commenta, alzandosi in
piedi e
dirigendosi verso il lavandino; tira fuori un fazzoletto, lo bagna e
torna indietro, premendomelo contro la testa con delicata decisione.
«Tienilo
lì, vado a chiamare a casa» mi annuncia; io
annuisco
docilmente e rimango seduto circondato dai miei amici, sospirando
silenziosamente fra me e me. Non troveranno nessuno a casa.
Probabilmente verrà a reclamarmi la zia, che poi mi
farà
una ramanzina per averla costretta a prendere un permesso da lavoro, o
se sono abbastanza fortunato la mamma di Alex, ma a casa il telefono
squillerà per ore senza che nessuno lo senta. Sono quasi sul
punto di avvertire la dottoressa di non provarci neanche, tanto
è inutile, poi rinuncio e torno a concentrarmi sulla pezza
che
mi sgocciola sulla fronte, mentre un rivolo d'acqua mi corre lungo la
guancia, si getta oltre il collo e mi bagna la maglietta,
infastidendomi.
«Vado a
prenderti un the» fa dopo un po' Rian, alzandosi in
piedi, togliendosi la polvere dalle gambe e uscendo dal bagno.
«Jack, non
c'è nessuno a casa, vero?» domanda Zack, voltando
poco il volto per guardarmi annuire.
«Qual
è il secondo numero d'emergenza?» chiede di nuovo,
stavolta fissando il vuoto davanti a sé.
«Non ne
hanno» rispondo, sospirando rassegnato «ma
forse chiameranno dai Gaskarth, visto che siamo sempre
insieme».
Annuisce;
«Sarebbe una cosa buona» commenta, poi si alza,
tira fuori dalla tasca un altro fazzoletto e lo inumidisce.
«Credi che si
arrabbieranno, ad avere un altro malato tra i
piedi?» domando quando me lo passa, e lui scrolla le spalle.
«Non vedo
perché dovrebbero» ribatte.
«Quello che
pensavo anch'io» mormoro, «ma dopotutto la gente
è strana».
Rian torna con il the,
me lo passa e dopo qualche minuto entra pure la dottoressa,
massaggiandosi il collo.
«Accidenti,
non so che dire, ho chiamato sia tua madre che tuo padre ma hanno
entrambi la segreteria telefonica, e non ho nessun altro che abbia la
delega per farti uscire» mi dice, squadrandomi con
preoccupazione. «Da chi puoi andare?»
«Sono stato
mezzo adottato dalla famiglia Gaskarth» dico, lei annuisce e
corruga la fronte.
«Oh,
quelli» si stupisce. «Ce li ho ben presenti,
sono personcine molto a modo e lei è molto gentile. Vado a
chiamarli».
Quando ha ormai girato
i tacchi e percorso tutto il corridoio, Rian si gira verso di me e mi
stropiccia i capelli.
«Dai
campione, vedrai che nel giro di pochi giorni sarai di nuovo
sano come un pesce» sorride, ritirando indietro la mano.
«So
che muori dalla voglia di tornare alle spiegazioni della Tidell ma non
preoccuparti, ti porteremo noi i compiti, non ne perderai neanche
una» scherza poi, e mio malgrado mi lascio scappare un
sorriso.
Che scemo.
«Ha risposto
al secondo squillo, una vera padrona di casa»
commenta la dottoressa, comparendo dal nulla. «Mette
in moto la macchina e ti viene a prendere, comincia a preparare lo
zaino; ma vedi di non affaticarti troppo per un paio di giorni
o
non ti passerà mai. In caso di peggioramenti chiamami
pure» si raccomanda, poi mi aiuta a tirarmi in piedi e lascia
che
siano i miei amici ad accompagnarmi in classe a recuperare la mia roba.
La campanella è suonata da ormai venti minuti e i miei
compagni
sono nel bel mezzo di una lezione, ma quando la professoressa vede la
mia faccia pallida annulla la nota e permette a Zack e Rian di restare
con me fino all'arrivo di chi si prenderà cura di me,
lanciandomi uno sguardo apprensivo quando lascio l'aula per la seconda
volta, stavolta accompagnato dallo zaino. Nick mi chiede come sto ma mi
prendo il permesso di ignorarlo e arranco fuori dalla porta, sempre
aggrappato al braccio di Rian; ci fermiamo dopo pochi metri per
permettermi di riprendere fiato, ricominciamo a camminare e arriviamo
finalmente nell'androne, dove fra poco dovrebbe comparire la mamma di
Alex con un grande sorriso a metà fra il 'cavolo,
è colpa
mia' e il 'be', almeno potrò rimediare'. Mi siedo sugli
scalini
e mi prendo la testa fra le mani, mentre Zack mi accarezza
premurosamente la schiena. Arriva dopo dieci minuti col respiro
ansimante, come se avesse corso.
«Oh Jack,
eccoti qui» esclama venendomi incontro
«scusa se c'ho messo tanto, ma ho incontrato un sacco di
traffico».
Poi nota gli altri e le
labbra le s'increspano in un sorriso sollevato:
«Ehi, ragazzi! Grazie per avergli tenuto compagnia!»
«Ehilà,
signora Gaskarth» la risalutano loro, un po' a disagio ma
comunque contenti che sia arrivata.
«Alex
vi saluta tutti e ci tiene a dirvi che gli mancate» precisa,
pimpante, e loro sorridono, alzandosi in piedi. Mi danno l'ultimo
saluto e mi lasciano andare, poi salutano gentilmente anche lei e se ne
vanno, tornando svogliatamente in classe.
«Vieni,
ho parcheggiato proprio qui di fronte» mi mormora, passandomi
un
braccio attorno alle spalle per aiutarmi. La ringrazio, mi appoggio a
lei e barcolliamo assieme fino all'uscita; poi sblocca la macchina,
apre la portiera e mi lascio cadere sul sedile di dietro, atterrando
con un tonfo morbido mentre lei si mette al volante.
«Mi sa che
Alex ti ha attaccato la febbre» commenta,
lanciandomi un'occhiata dallo specchietto retrovisore. Gorgoglio.
«Grazie per
essermi venuta a prendere, i miei sono fuori
città e torneranno fra qualche giorno» mormoro
stancamente.
«Di
nulla, ma faresti meglio a dormire ora. Ti sveglio io quando arriviamo,
non preoccuparti» mi tranquillizza. Sorrido, appoggio la
testa al
finestrino e socchiudo gli occhi, offuscando ulteriormente la mia vista
già compromessa. Crollo subito.
«Ehi, Jack,
svegliati» mi chiama con dolcezza, scuotendomi delicatamente
la spalla. «Siamo
arrivati. Ti ho preparato un letto in camera di Alex, ma non sono
abbastanza forte da prenderti in braccio e portarti su per le scale. Mi
dai una mano?»
Apro gli occhi e la
trovo a qualche centimetro di distanza da me, e per un istante mi sembra
più stanca di me.
«Arrivo»
gorgoglio, passandomi una mano sugli occhi e alzandomi facendo leva
sull'altra. Lei mi porge il braccio e io lo afferro, grato; camminiamo
lentamente per incontrare la porta di casa già aperta e ci
dirigiamo verso le scale, che saliamo impiegandoci quella che mi sembra
un'eternità, poi lei mi lascia davanti alla stanza di Alex.
Mi
ha davvero preparato un letto, noto stupendomi; mi giro per dirle un
grazie un po' impastato ma lei è già scesa,
così
mi limito a sorridere, entrare e lasciarmi cadere sul letto,
scontrandomi con l'abbraccio morbido del piumone. Alex dorme nel letto
accanto al mio, le pupille che corrono freneticamente sotto le palpebre
serrate, ma non ho abbastanza forza per rialzarmi e accovacciarmi al
suo fianco, così mi limito ad afferrargli la mano e a
tenergliela stretta finché non mi addormento, dopo pochi
secondi.
Quando
mi sveglio la stanza ha smesso di girare, il silenzio mi circonda e
Alex si è svegliato da poco, è scivolato nel mio
letto e
sta aspettando che apra gli occhi; così quando lo faccio non
devo neanche cercarlo per la camera per trovarlo.
«Come stai,
Bassam?» mi domanda, soffice.
«Non
chiamarmi Bassam» ribatto, chiudendo di nuovo le palpebre, e
sento che ride.
«Sembra che
Nick dovrà fare a meno della tua presenza oggi»
commenta, e stavolta sono io a ridere. Che scemo.
«Mi ha
chiesto come stavo quando stavo uscendo, ma non credo di avergli
risposto» mormoro.
«Gentile
però» osserva, tornando a osservare il soffitto.
«Ero pallido
come una mozzarella, se lo stavano chiedendo tutti» ribatto
cocciutamente; e lui lascia perdere.
«Quando
tornano i tuoi?» chiede poi, continuando a far
scorrere lo sguardo sul bianco che ci sovrasta. Scrollo le spalle.
«Li conosci,
se gli arriva qualche altra richiesta sono capacissimi di fare
retromarcia e tornare fra due anni».
«Jack
Gaskarth. Suona di merda, non trovi?» commenta, sornione.
«Non credere
che Alex Barakat sia meglio» ribatto.
«Secondo me
ormai hai perso il diritto di chiamarti Barakat, sei diventato un
Gaskarth» ride.
«Daje,
passiamo da un cognome di merda a uno ancora più
assurdo» commento, mezzo compiaciuto.
«Guarda che
ti butto fuori» minaccia, fingendosi piccato.
Poi torna a sorridere. «T'immagini se fossimo
fratelli?»
Sarei un ardente
sostenitore dell'incesto, allora, ma dico un'altra
cosa. «Secondo me ci avrebbero già venduti agli
zingari»
«Addirittura
venduti? Regalati dopo la prima settimana» ride «e
poi restituiti al mittente con una lettera di lamentele lunga un
chilometro e mezzo. Direi che siamo fortunati ad essere solo
amici».
Mi fa male il cuore.
'Solo amici' e 'fortunati ad essere' non dovrebbero mai essere
accostati, mai, neanche per sbaglio.
«Be',
oddio, magari saremmo come quei bambini dei film che vengono scoperti
da qualche star mentre bighellonano per i vicoli strimpellando una
chitarra e vengono scritturati per incidere decine di dischi»
commento.
«Può
anche darsi, ma onestamente la vedo molto, molto
dura» ammette. «E poi non sei così
bravo»
«Ma
vaffambrodo, parla lui» lo spingo e lui ride.
«Lo sai che
sei molto più bravo di me Jack, non c'è
bisogno di dirlo» mormora; poi tace un attimo. «Mi
ha detto mamma che avevi in mente qualcosa ma che volevi farmela
sentire quando sarei stato bene, che ne dici di fare uno strappo e
farmela ascoltare ora?» dice. Lo osservo, stranito. Non
pensavo
gliel'avesse detto.
«Non ho la
chitarra a portata di mano» osservo.
«Questo lo
vedo, però hai una lingua e delle corde vocali.
Spara» insiste, guardandomi dal basso.
«Non posso
fartela sentire dopo? È imbarazzante» mi ritraggo,
arcuando le sopracciglia.
«Cioè,
non ti sei vergognato a dormire nudo con me e ti vergogni a cantarmi
quattro righe? Dai, non fare il coglione e fammi sentire»
ribatte, allegramente ma deciso. Prendo un respiro profondo e cerco di
non arrossire come un idiota.
«Okay. Ma sai
che sono negato a cantare, non sfottermi» chiarisco.
«Non ti
sfotterò. Vai» sorride.
«Okay,
er, non è finita, in realtà è poco
più che
un abbozzo, e con una melodia sotto sarebbe cento volte più
carina-»
«Jack!»
esclama, soffocando una risata. Oh Dio, non ce la posso fare.
«Okay, okay,
ce la posso fare. Okay» iperventilo quasi, mi sento un
deficiente. Vorrei essere un libro, aiuto.
«In
teoria dovrebbe esserci una parte prima di questa, però non
c'ho
ancora pensato e non lo so, non è che finora mi sembri tutta
sta
meraviglia di pezzo ma okay, andiamo»
prendo un respiro e comincio a cantare, vergognandomi come un ladro che
si accorge di star svaligiando la casa sbagliata dopo settimane di
appostamenti. «Memories
never seem to fade; you were the best part of my life, my last regret.
Now, I've walked this line a thousand times before, it hurts too much
to bear. For you I'd tear out my own heart and write our names
together. Your love is the barrel of a gun so tell me, am I on the
right end? I could be nothing but a memory to you, don't let this
memory fade away»
Mi fermo
improvvisamente e mi passo una mano sulla faccia,
stirandomela. Oddio che imbarazzo immondo; uccidetemi, vi prego.
«Te l'ho detto, è incompleta e fa schifo, con la
chitarra
sarebbe sembrata almeno decente» farfuglio, lui mi ferma.
«Sei uno
scemo Jack, è bellissima; rilassati» ride, mentre
io comincio a riprendere colore.
«È
bellissima» ripete, tornando a poggiare la testa
contro il mio petto «vorrei averla scritta io».
Non lo vorresti
davvero, mi viene da dirgli, ma taccio e accetto il complimento.
«Sicuramente
cantata da te farà molto più effetto, ma non so
se agli
altri potrebbe piacere. Dopotutto è sdolcinata».
«E
allora?» ribatte, guardandomi con un sopracciglio alzato
«Sdolcinata
non significa uno schifo, e poi non è neanche
così
sdolcinata come pensi. È bellissima e basta, il resto non
conta». Torna a sistemarsi nell'incavo del mio petto.
«Non lo so,
ho paura che sia una gran stronzata» ammetto, guardando il
soffitto, ma lui scuote la testa.
«Non hai il
diritto di commentare, okay?» m'incalza.
«Okay»
rido. Soddisfatto, torna a guardarmi, la mano stesa sul mio stomaco.
«Jack, mi
scrivi una canzone?» mormora.
«Cosa»
rido di nuovo, senza capire. Lui, che oltre a cantare suona e compone,
vuole che io scriva qualcosa per lui?
«Dai,
provaci. Dopo otto anni di amicizia qualcosa dovrò
pur ispirarti, no?» insiste, facendo una smorfia divertita.
«Alex la
febbre ti da' alla testa, torna a dormire» ribatto,
imbarazzatissimo.
«Io una
canzone te l'ho scritta» dice. Mi volto a guardarlo.
«Seriamente?»
domando.
«Huh-uh.
Ma non ti dirò mai qual è» sogghigna
soddisfatto
poi, beccandosi una schicchera. Ha scritto decine di canzoni, come
diavolo dovrei fare a riconoscere la mia in mezzo a tutta quella roba,
sempre che sia tra quelle che ho ascoltato?
«Alex sei un
pezzo di merda» mi lamento, e lui accetta di buon grado la
cosa, poi torna a guardarmi.
«Me la
ricanti?» chiede, improvvisamente serio. Deglutisco
e ricomincio, poi finisco e lui si rimette a guardare la porta.
«Non
so se ti ricordi, ma quando eravamo piccoli siamo andati a giocare a
paintball, una volta. Abbiamo eliminato subito i nostri genitori, e in
men che non si dica la battaglia è finita con l'essere me
contro
te, senza più nessun altro concorrente in campo. Ci siamo
rincorsi per ore, infrattandoci in tutti i nascondigli più
assurdi e saltando ovunque per evitare i proiettili di vernice, e alla
fine ci siamo trovati faccia a faccia, io senza più
munizioni,
tu con uno o due colpi rimasti. Ci siamo guardati e stavo per dirti 'va
bene, hai vinto', ma tu hai sparato a un bersaglio e hai detto 'cavolo,
mi sa proprio che siamo pari.' Sei stato molto carino»
mormora,
lo sguardo perso nel vuoto.
«Oh»
mormoro «non me lo ricordavo».
Alex tace e annuisce
un'altra volta, poi abbandona l'infinito e si concentra su di me.
«Secondo
me chiunque si trovi nella stessa situazione, con te indifeso e pronto
ad arrenderti e con in mano una pistola carica di proiettili, e scelga
di spararti contro, non può essere che un coglione da
abbattere
senza pietà».
Sorrido, lo stomaco mi
fa fizzle. Lo dice sempre anche Alex, quando è felice e si
sente caldo dentro.
«Senti
Alex» riprendo dopo un po' «tu che ne pensi dei
transessuali?»
Lui mi guarda e ride,
poi continua a sorridere. «Stai cercando di dirmi che vuoi
diventare una donna, Jack?»
«Huh? No,
neanche per sogno» esclamo, ma lui continua a ridere.
«Ho la febbre, Cristo santo, lasciami vivere!»
«Ti
piacerebbe» scherza, poi storce le labbra in una smorfia
allegra e riprende: «Oddio,
non mi opererei mai per diventare una ragazza, ma se qualcuno vuole
passare all'altro sesso è liberissimo di farlo, sono affari
suoi
e sono felice per lui o lei se ci riesce; non credo che la cosa mi
riguardi più di tanto». Sorrido, mi piace che sia
aperto.
«Proseguendo
su questo argomento, l'altro giorno al supermercato c'erano due ragazzi
e una ragazza e lei parlava in continuazione con quello più
alto, e sembravano troppo fidanzati di lunga durata. Mi sono chinato
per prendere il latte, mi sono rialzato e c'erano i due ragazzi che si
davano un bacio sulle labbra mentre lei trotterellava in giro con in
mano un pacco di non so cosa, completamente tranquilla»
racconta,
inclinando la testa verso sinistra. Il mio battito rallenta di colpo e
lui ci mette un po' prima di riprendere a parlare, come se si fosse
ridisegnato la scena davanti agli occhi.
«Non pensavo
che ci fossero membri della comunità
LGBT nei dintorni»
commenta semplicemente, scrollando le spalle.
«Non si
può mai conoscere davvero la gente che ci
circonda» convengo, pregando che continui.
«Questo
è vero. Solo che a volte vorrei che venissero alla scoperta,
non
c'è niente di male ad amare qualcuno uguale a noi,
c'è
del male nel negare agli altri la possibilità di essere
felici;
ma se nessuno dice niente allora non si potrà mai chiarire
le
idee a tutti quelli che sono per l'unione uomo-donna e che a quelle
omosessuali sputano in un occhio, perché diranno 'eh, ma il
problema non si pone, non c'è nessuno che possa star male
per le
nostre idee', quando invece qualcuno c'è sempre, e di solito
è quello che meno ti aspetteresti» mormora,
osservando il
soffitto.
«Voglio
dire, se adesso Rian arrivasse e mi dicesse 'ehi Alex, devo dirti una
cosa' e poi bam, scoprissi che è gay e che vuole dirlo a
tutta
la scuola, allora sarebbe un pugno in faccia a tutti quelli che non
credono neanche esistano, i gay, e qualcosa succederebbe nella nostra
città, anche se magari le cose non cambierebbero poi
così
radicalmente. Però sorgerebbe davvero il problema delle
coppie e
dell'accettazione, e forse anche tutti gli altri riuscirebbero a fare
un passo avanti e dire 'okay, ho aspettato troppo a lungo; sono stanco
di nascondere ciò che sono' e bam! Cambiano le carte in
tavola».
«Gli
direbbero che è normale nell'adolescenza e che
è soltanto bicurioso» osservo, abbassando lo
sguardo.
«E
se anche fosse? Come io sono stato libero di mettermi con Siv e
baciarla per strada, un altro dev'essere libero di stare insieme alla
sua metà e camminare per strada a testa alta, senza timore
di
essere bottigliato» ribatte.
«Mi
piace come la pensi» dico, quando lui è tornato a
chiudere
gli occhi e si è lasciato alle spalle il suo discorso.
«Bene»
sorride «questa città ha bisogno di
gente come noi». Poi tace un attimo, si tira su coi gomiti e
mi
si avvicina.
«Hai
ancora la febbre?» domanda; scrollo le spalle e rispondo che
non
lo so, ho le mani calde quindi non si capisce. Lui annuisce, si sporge
e afferra il termometro dal comodino, si acquatta di nuovo contro di me
e me lo passa, lentamente.
«Misurati»
mormora con tono serio, io lo fisso e lui contraccambia, poi capisce e
mi spinge energicamente.
«Solo a
quello pensi» esclama, alzando gli occhi al cielo.
«Io
non ho detto nulla veramente, hai fatto tutto da solo» mi
discolpo, prendendogli il termometro di mano e sistemandomelo sotto
l'ascella, mentre lui torna al suo posto e sbuffa, divertito. Potrei
abituarmi alla sua presenza.
«Jack»
mi chiama un'altra volta, io rispondo con un 'mh?' e piego la testa per
riuscire a guardarlo in faccia.
«Sono felice
che i tuoi ti lascino sempre a casa nostra».
«Fizzle»
squittisco, e mi sembra di scorgere un po' di colore sulle sue guance
pallide. Mi stringe.
«Non volevo
attaccarti la febbre» dice quindi, il viso premuto contro il
mio braccio.
«È
il duro prezzo per frequentarti» ribatto, storcendo le labbra
in una smorfia palesemente finta «Ma
se mi permette di prendermi una pausa dalle lezioni della Bowden e
starti accanto più del solito, allora venga pure quando le
pare».
«Grazie
Jack» sorride, socchiudendo gli occhi. Quando sono
con lui, gira tutto attorno al suo sorriso e ai suoi occhi.
«Di
nulla» dico alla fine, giocherellando coi suoi capelli.
«È
permesso? È l'ora delle medicine» cinguetta la
signora
Gaskarth dopo aver bussato alla porta, aprendola prima uno spiraglio e
poi quasi completamente, entrando nella stanza con in mano un misto di
pacchi e pacchetti di tutti i colori. Che tempismo, ragazzi. Si dirige
verso il figlio e gli passa un involucro biancastro, raccomandandogli
di prendere una pasticca ogni ora, possibilmente a stomaco vuoto.
«Vediamo
un po' cos'abbiamo per te, Jack» fa poi, posando le scatole
sulla
scrivania, prendendo posto sulla sedia con naturalezza e mettendosi a
esaminarle una per una, attentamente; ne trova un paio che la
soddisfano e le mette da parte, ignorando completamente il fatto che
Alex sia spalmato su di me e stia praticamente facendo le fusa sul mio
petto.
«Huh-uh!»
esclama, alzando un pacco e scattando in piedi. Si dirige verso di noi
e me lo mostra dall'alto, al che aggrotto la fronte e strizzo gli
occhi, facendole capire che non ci vedo nulla da sdraiato, calcolando
che è pure controluce; si siede per terra e mi sventola
davanti
alla faccia il pacchetto, più colorato di quello del figlio.
«Ogni
tre ore a stomaco pieno, puoi anche fare a meno dell'acqua»
mi
spiega, alzandosi e posando la scatola sul comò.
«Mi pare di
capire che non abbiate voglia di scendere a mangiare,
però» commenta, posandosi le mani sui fianchi.
«Per
me non c'è problema, ma se volete che vi porti il pranzo qui
dovete dirmelo ora, visto che sto per uscire».
Fisso prima Alex poi il
sorriso di sua madre, poi di nuovo lui. «Io qualcosa la
mangerei» ammetto, alzando la mano.
«Alex?»
domanda lei, sollecitando una sua risposta «Entro stasera
magari?»
«Prendo
qualcosa anch'io» dice, annuendo qualche volta per
convincersi «ma dove stai andando?»
«Ehh,
sapessi» sogghigna lei, punzecchiandolo «Penso
di esserci stasera, in caso mangiatevi a vicenda. Dicono che la carne
umana sia molto nutriente» scherza. Alex le fa la linguaccia.
«Molto
divertente» commenta, e lei gli fa una smorfia di rimando,
avvicinandosi alla porta e lasciandosi l'arsenale di medicine alle
spalle; la sentiamo scendere le scale e poi più niente per
una
manciata di secondi, nei quali Alex starnutisce. Quando ricompare sullo
stipite della porta, ha in mano un vassoio con dentro due piatti fondi,
cucchiai, bicchieri, tovaglioli, acqua e un recipiente pieno di brodo
di pollo, che ci prega vivamente di non rompere perché deve
restituirlo a un'amica. La ringraziamo, lei ci augura di sentirci
meglio presto e se ne va, chiudendosi la porta alle spalle e avviando
la macchina dopo qualcosa come cinque minuti, che passano con una
lentezza stratosferica ma comunque piacevole, visto che siamo ancora
avvinghiati l'uno all'altro. Non ho molta fame ma non si può
dire lo stesso per Alex, che mugola, infastidito dal doversi alzare,
rotola verso il bordo del letto passandomi sopra e si spinge verso la
scrivania, senza però voler lasciare la sua postazione.
Rimane
lì per un po', a soppesare i pro e i contro dell'alzarsi,
lanciando ogni tanto qualche occhiata ai piatti di zuppa per
assicurarsi che siano ancora lì; capisco l'antifona e mi
tiro
giù dal letto con un mugolio, barcollando faticosamente
prima di
arrivare alla scrivania e rovinare sulla sedia. Dio, la testa.
«Ohh,
Dio» mormoro stordito, portandomi una mano alla fronte con
una smorfia «mi gira tutto»
Alex alza la testa
verso di me, vede che sono sbiancato, si sente in
colpa e mi viene incontro, sedendomisi accanto e guardandomi
apprensivamente. «Jack, devi mangiare
qualcosa» dice poi, e quando scuoto la testa insiste.
«Dico
davvero, se vuoi guarire devi mantenerti in forze; hai bisogno del
cibo» pigola, avvicinandomi il piatto e un cucchiaio e
invitandomi con gli occhi a prenderne un po', giusto per dare al mio
corpo un po' d'energia. Mugugno di nuovo.
«Ho lo
stomaco sottosopra» mormoro, ma Alex non mi sposta il piatto
da davanti.
«Vuoi tornare
a letto?» domanda quando capisce che non attacca, e io
annuisco flebilmente, deglutendo.
«Vieni,
ti aiuto io» si offre, passandosi un mio braccio attorno alla
spalla e aggrappandosi col suo al mio fianco sinistro; mi accompagna
nei movimenti e non mi permette di buttarmi contro il materasso,
obbligandomi a sedermi prima, prende dal tavolo le medicine di entrambi
e le lascia accanto a me, così che possa prenderle senza
muovermi troppo, poi finalmente mi sorride e si stende accanto a me. Mi
tende la mano, la stringo e mi rannicchio contro di lui, lasciandomi
circondare dal suo abbraccio, e chiudo gli occhi. Quando li riapro
è notte fonda.
Non credo che la mamma
di Alex sia tornata, durante il mio sonno fuori
programma: i piatti sono ancora sul tavolo, dove li abbiamo lasciati, e
accanto a loro continua ad esserci il brodo, anche se ormai il suo
vapore non s'immette più nell'aria; ma ho fatica a credere
anche
che sia rimasta fuori fino a quest'ora lasciando a casa due adolescenti
febbricitanti, quindi non so davvero dove battere la testa. Che, a
proposito, è ancora a pochi centimetri dal mento di Alex,
che
respira con cadenza tranquilla e regolare e mi circonda con le braccia
da quelle che saranno ormai tre, quattro ore, senza avermi lasciato
andare la mano. Non so se è la febbre a intontirmi o
l'amore,
però cazzo, non riesco a pensare.
«Alex?»
mormoro, più per essere sicuro che stia dormendo che
perché ho davvero qualcosa da dirgli. Non mi risponde e
sorrido,
in qualche modo sollevato, stringendomi più a lui e
fermandomi a
osservargli il petto, imprimendomelo nella memoria il più
dettagliatamente possibile, per quando sarà lontano e non
potrò guardarlo quanto e come voglio. Da così
vicino
riesco a sentire i battiti del suo cuore e la cosa mi fa avvampare non
poco, al punto che comincio a provare un caldo insopportabile, di
quelli che o te ne liberi o cominci a sudare come un maiale senza
alcuna possibilità di fermarti; così appena me ne
accorgo,
allarmato, cerco di distogliere il pensiero, concentrar
l'attenzione su qualcosa di fresco e corrente e distrarre un po' i miei
ormoni, ovviamente senza riuscirci. Sguscio via velocemente
dall'abbraccio di Alex, maledicendomi tra me e me, mi sfilo la
maglietta con foga e l'appallottolo accanto al letto, senza badare a
dove finirà; mi tuffo di nuovo tra le braccia del mio amico
e
spero di non aver rovinato anche questo momento, accovacciandomi il
più vicino possibile a lui. Mormora qualcosa e contrae
istintivamente i muscoli della mano, senza trovare la mia; grugnisce
qualcos'altro e mi sbrigo a stringerla, intrecciando le mie dita con le
sue. Sembra rilassarsi e mi rilasso anch'io, aspettando un paio di
minuti prima di appoggiare anche l'altra mano sul suo petto,
avvinghiandomi alla sua maglietta.
Quando dorme posso
essere chi voglio
e pretendere che i miei desideri siano reali, non importa quanto
assurdi essi siano; non c'è nessuno a riportarmi coi piedi
per
terra e dirmi 'ehi, bello, è tutto frutto della tua
immaginazione', così posso montarmi la testa e far finta di
essere il suo ragazzo - o forse preferirebbe che fossi la sua ragazza?
-, permettendomi di guardarlo, guardarlo e riguardarlo, al punto che se
fosse possibile sarebbe sciupato e sgualcito, come quel libro che
proprio non riesci a mettere giù nei momenti tristi e che
malgrado tutto ti porti sempre con te. Ecco, non c'è posto
in
cui io vada che Alex non visiti con me, anche se il vero lui non ne
è al corrente; e nei momenti come questo, quando tutto dorme
e
io e lui siamo gli unici esseri umani nei paraggi, mi sento in cima al
mondo, la persona più fortunata e benedetta del pianeta.
Pace,
silenzio e il ragazzo che amo stretto tra le braccia; cosa potrei
desiderare di più? Forse che mi amasse, ma mi basta stargli
accanto per essere felice; dopotutto è l'essere
più
speciale dell'universo, stargli accanto è di per
sé una
qualche grazia divina.
«Jack...»
mormora dopo un po', senza aprire gli occhi, con il suo solito tono
impastato da sogno appena scomparso. Gli rispondo girando la testa
verso di lui, ma continua a non guardarmi e a tenere le palpebre
serrate. Credo stia sognando.
«Jack»
ripete, con un tono più deciso stavolta, meno soffice e
più addolorato; e il suo cuore accelera il battito.
«Jack»
mi chiama un'altra volta, irrigidendo i muscoli del braccio e spostando
la testa dall'altra parte, la mascella serrata e le sopracciglia
corrugate in un'espressione tutt'altro che felice. Comincia a dimenarsi
e un rivolo di sudore gli scorre lungo la guancia, andando a perdersi
tra i muscoli del collo; mi spavento e gli stringo più forte
la
mano, scuotendogli la spalla.
«Alex,
ehi Alex svegliati, è soltanto un sogno»
farfuglio,
accarezzandogli il palmo. Apre gli occhi di scatto, sgranandoli, e
punta lo sguardo verso di me, a metà tra l'atterrito e il
confuso, fa per aprire la bocca ma la richiude subito, limitandosi a
buttarsi in avanti e stringermi a sé, tremandomi contro. Gli
accarezzo i capelli e gli sussurro che va tutto bene, ci sono io qui,
non ti succederà niente; lui annuisce stentatamente e mi
lascia
parlare, il volto affondato nel mio petto nudo, poi si stacca e mi
guarda in faccia, le iridi lucide e dilatate.
«Jack, non
abbandonarmi» mormora all'improvviso, aggrappandosi al mio
sguardo.
«Non
potrei mai» dico, circondandolo con le braccia. Non aggiunge
altro ma scoppia a piangere, prima disperatamente, poi
riprendendo
il controllo di sé stesso; si asciuga gli occhi e respira a
fondo un paio di volte, ricomponendosi del tutto.
«Okay,
penso di aver finito» commenta, rispondendo con una risata
nervosa al mio sguardo preoccupato; abbozza un sorriso stanco, mi
prende le mani e mi tira verso di sé, facendomi accoccolare
sul
suo grembo. Mi abbraccia di nuovo e appoggia il viso sulla mia spalla,
inclinandolo verso destra. «Scusa se non sono stato
lì ad impedirtelo» mormora.
«Sappi che
sei la persona più importante della mia vita»
dice, baciandomi delicatamente la nuca.
«Grazie
di esistere» sussurra poi, chiudendo gli occhi arrossati e
sorridendo dolcemente. Mi volto a guardarlo e mi sembra tanto fragile
quanto il filo di una ragnatela; mi viene da baciarlo ma mi trattengo,
ricambiando l'abbraccio però.
«Ti va di
parlarne?» propongo, ma lui scuote la testa.
«Sto
bene» dice «ho solo bisogno di realizzare che
era solo un sogno dettato dalla febbre. Va tutto bene».
Annuisco docilmente e rimaniamo lì così, a
cullarci l'un
l'altro, finché i nostri cuori non cominciano a battere
all'unisono, sovrastando il silenzio che ricopre tutto il vicinato. Un
cane abbaia e il rombo di una moto invade una via non troppo lontana da
qui, poi tutto torna silente e lui fa per aprire la bocca,
richiudendola poi con una smorfia stanca.
«Grazie per
prenderti cura di me ogni giorno» faccio invece, osservando
le mie dita affusolate assieme alle sue.
«Ti voglio
bene».
«Ti
voglio bene anch'io» mormora, poi approfitta del fatto che mi
sono spostato per stiracchiarmi e si alza, dirigendosi verso la
scrivania. Prende in mano il piatto e torna a sedersi sul bordo del
letto, guardandomi.
«Ormai
farà un po' schifo, ma devi prenderlo per la
medicina» mi ricorda.
«Posso
cominciare da domani, dubito che tra tre ore sarò sveglio
per prenderne la seconda dose» osservo.
«Jack, hai
sentito quanto sei caldo?» m'incalza, e io mi
ricordo all'improvviso di non avere più la maglietta.
«Okay, forse
sono un po' caldino» ammetto «ma non ho davvero
fame».
«Non mangi
per fame, mangi per necessità» mi fa
notare. Il ragionamento non fa una grinza, ma non mi va davvero.
«Ho lo
stomaco chiuso, ti giuro che domani mangio tutto quello
che vuoi» prometto; mi guarda, sospira e lascia stare.
«Okay, ma
vedi di ricordartelo» si arrende, rimettendo il
piatto sulla scrivania e lanciando un'occhiata alla sveglia.
«Sembra che
siamo destinati a diventare creature della notte» commenta
poi «sono le quattro».
Si
siede accanto a me e poso la testa sulla sua spalla. «Ti
ricordi
quando i tuoi sono dovuti tornare in Inghilterra e ti hanno lasciato
una settimana a casa mia per risparmiarti il viaggio, e noi eravamo
così eccitati che la prima notte l'abbiamo passata in
bianco, a
parlare, parlare, parlare? Quando finalmente ci siamo addormentati
albeggiava, e il pomeriggio dopo ci siamo ammalati tutti e due, facendo
prendere un colpo della madonna a mia mamma, che pensava fossimo usciti
di nascosto o qualcosa del genere, e che non riusciva a capire come
diavolo avessimo fatto a superare la porta chiusa.
Io mi sentivo stanchissimo, ma tu sembravi fresco e riposato come una
rosa e correvi avanti e indietro per la stanza per farmi ridere,
fregandotene della febbre. Anche allora eri premuroso da
morire»
mormoro. Sorride piano, sospirando.
«Mi piace
quando ricordi il passato» dice, socchiudendo gli
occhi «mi fa sentire caldo dentro». Mi guarda.
«Grazie
per essere venuto a trovarmi, Jack. Mi piace stare con te».
Chiude nuovamente gli occhi e lascia ciondolare la testa sulla mia per
un po', poi quando i nostri respiri si sincronizzano si butta sul
materasso e mi tira giù con sé.
«Qualche ora
fa ha telefonato tua madre» mi avvisa di punto in bianco
«voleva
parlare con te riguardo la telefonata che ha ricevuto dalla
scuola, ma le ho detto che stavi dormendo e che stavi male, e che
avrebbe fatto meglio a richiamare un'altra volta, perché non
avevo nessuna intenzione di svegliarti. Ha detto che si farà
sentire presto».
La notizia mi lascia un
po' sconsolato. Non voglio che torni in
città e mi porti via da qui. «Ha detto
quando?»
chiedo. Scuote la testa e mi sento un po' più tranquillo, ma
rotolo verso di lui in ogni caso, aggrappandomi alla sua maglietta e
chiudendo le dita attorno alle sue; lui mi guarda e capisce,
così mi stropiccia i capelli e sorride.
«Non ti
preoccupare, non aveva il tono di chi muore dalla voglia
di tornare in città» mi tranquillizza
«però
potrebbe farlo se peggiori, quindi ti conviene tornare sotto le coperte
e tenerti al caldo il più possibile». Seguo il suo
consiglio e torno sotto il piumone, lui si toglie la maglietta e fa lo
stesso, guardando distrattamente il soffitto nel riabituarsi al tepore.
«Vedrai che
guarirai presto e tornerai a essere il cazzone
pimpante di prima» soffia dopo un po', sorridendomi
«il
primo passo è riposarsi, e direi che noi possiamo esserne
definiti campioni». Rido sotto i baffi e lui lo percepisce,
allentando la tensione dei muscoli; affonda la testa nel cuscino e mi
s'avvicina un altro po', mi prende la mano e sorride ancora.
«Buonanotte,
Jack» miagola sofficemente.
«Buonanotte,
Alex» ribatto, restituendogli il sorriso. Si addormenta quasi
subito, stremato.
In questi due giorni mi
sembra di vivere in un dormiveglia, scandito
dai rintocchi dell'orologio e dai sorrisi di Alex, e non sono mai
sicuro di essere sveglio o nel pieno di un sogno, quando qualcosa
accade. Dicono che per capire se si dorme o meno bisogna darsi un
pizzicotto sul braccio e vedere se fa male o no, ma cosa impedisce a un
sogno di essere realistico e farti provare dolore? Temo di aver bisogno
di un nuovo metodo per orientarmi, ma non riesco a trovarne uno adatto.
«Ehi,
ragazzi, posso entrare?» domanda nel frattempo la padrona di
casa, bussando delicatamente sulla porta di noce con le nocche e
aprendosi un varco nel non sentire risposta da parte nostra. Socchiudo
gli occhi e fingo di dormire; non ho voglia d'intrattenere una
conversazione ma non sono abbastanza lucido da alzarmi e andare in
bagno per poi tornare una volta che se n'è andata,
così
preferisco fare l'ameba e pretendere di non essermi accorto della sua
presenza. Entra dopo aver aperto lentamente la porta, così
da
evitare di svegliarci con uno scricchiolio, si dirige verso la
scrivania e emette un verso preoccupato nel vedere che non abbiamo
toccato il brodo, ieri sera; poi però se ne fa una ragione e
sistema le cose nel vassoio, pronta a riportarsele giù alla
prima occasione. Prende in mano il vassoio, esita e sento che lo
rimette giù; e a questo punto non può che essersi
girata
a guardarci, entrambi abbracciati e senza maglietta, in una situazione
a dir poco equivoca e decisamente imbarazzante da spiegare. Non sento
sbuffi infastiditi né si lascia scappare commenti di alcun
genere; rimane a guardarci per un po', si avvicina, ci sistema le
coperte e se ne va, portandosi dietro le stoviglie. Dopo un po' apro
gli occhi e incontro il suo sguardo, mentre lei ciondola appoggiata
alla parete e sorride sornionamente.
«Jack
paga pegno» si limita a dire, poi mi lancia un sorriso di
vittoria e se ne va sul serio, scomparendo oltre le scale. Ora
sì che potrei cuocerci un uovo sulla mia fronte, porca
miseria.
Mi volto a guardare Alex e noto con sollievo che sta ancora dormendo,
così scivolo fuori dal letto, agguanto qualche vestito da
terra
e mi dirigo verso il bagno, facendo meno rumore possibile. Per quanto
sia controindicato per uno con la febbre, ho bisogno di una doccia e di
lavarmi di dosso un po' di questa incertezza, magari poi mi viene anche
qualche bella idea per fare impressione su Alex e levare dalla testa di
sua madre l'impressione - corretta, ma dettagli - che sia completamente
cotto perso di suo figlio, dato che la cosa potrebbe anche diventare
imbarazzante se non chiarita con un'opportuna distorsione dei fatti.
Mi
chiudo la porta alle spalle, mollo i vestiti nel lavandino e apro
l'acqua, aspettando appoggiato al muro che si faccia abbastanza calda;
quando decido che soddisfa pienamente i miei standard, mi spoglio,
sistemo un asciugamano vicino all'apparecchio ed entro, chiudendomi
subito alle spalle l'anta. L'acqua mi picchietta con decisione contro
la pelle e chiudo gli occhi per non farmi accecare; con la mano tasto
in giro finché non trovo la manopola e a quel punto abbasso
l'intensità del getto, asciugandomi la faccia con il polso e
cercando con lo sguardo lo shampoo. Lo trovo sul fondo della cabina, mi
siedo e me ne metto un po' sul palmo, passandomelo poi fra i capelli.
Ho deciso che farò la doccia da seduto, così se i
vapori
mi faranno girare la testa un'altra volta non correrò il
rischio
di svenire, cadere e spaccarmi la testa contro il vetro, rischiando fra
l'altro che a soccorrermi sia Alex e che a vestirmi prima di portarmi
al pronto soccorso sia sempre lui. Avvampo al solo pensiero; se
succedesse una cosa del genere morirei d'imbarazzo prima che per la
ferita, altro che 'ragazzo impassibile', come mi chiamano a scuola,
basta che ci sia lui intorno perché la mia solita baldanza
abbia
un fremito e stramazzi al suolo.
Comunque sto per
passare al secondo
giro che qualcuno irrompe nella stanza, e il qualcuno è
ovviamente Alex.
«Jack,
telefono» dice a volume alto, per sovrastare lo scroscio
dell'acqua, avvicinandosi alla doccia.
«Alex non so
se lo vedi ma sono piuttosto occupato» ribatto, tirandomi in
piedi e togliendomi la schiuma di dosso.
«È
tua madre, è già la quarta volta in dieci
minuti che chiama» insiste, premendo il cellulare contro
l'anta
appannata.
«Ecco, tutto
sistemato» dico, facendo scorrere l'anta, prendendo il
cellulare in mano e premendone il tasto rosso.
«Jack,
forse non è il caso di farla incazzare» mi fa
notare
mentre il telefono ricomincia a trillare, imperterrito. Sospiro.
«Mamma,
sono io e sono nel bel mezzo di una doccia, cosa
c'è?»
rispondo, pacatamente ma parlando il più velocemente
possibile
per liberarmene presto. Lei mi sommerge con un fiume di parole e io mi
mordo un labbro, annuendo a voce nella speranza che si sbrighi, ma
purtroppo sembra intenzionata a tirare la cosa per le lunghe. Sospiro
un'altra volta, in modo abbastanza sonoro, e mi appoggio all'anta,
passandomi una mano sulla faccia in segno di disperazione; lei parla
per altri due, tre minuti senza lasciarmi il tempo di fiatare o
controbattere, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è che
comincia a fare freddo e che mi scappa da starnutire, quindi quando mi
chiede come sto sono costretto a farle ripetere la domanda.
«Oh, ehm,
bene direi» rispondo «ma mi sono appena
alzato, quindi è relativo. Posso tornare alla mia
doccia?»
Mi saluta riempiendo di
baci e abbracci tutti quanti, poi finalmente
riesco ad attaccare. Alex è ancora lì che mi
guarda.
«Che
voleva?» domanda alzandosi dal water e venendo a riprendere
il telefonino.
«Tutto
e niente, ha detto che non può tornare in città
ma che
comunque cercherà di liberarsi il prima possibile, che a lei
e
papà dispiace non poter essere qui e che tua madre
è una
santa e non devo farla esaurire» dico, scrollando le spalle.
«Mamma
non è una santa, temo che abbia solo una gran predilezione
per
te» commenta, al che sorrido e chiudo l'anta. Apro l'acqua,
rabbrividisco nel sentirne il tepore e riprendo in mano lo shampoo,
passandomelo velocemente fra i capelli; mi sciacquo un'altra volta e
poi chiudo definitivamente l'acqua, strizzandomi i capelli e
scrollandomi le gocce di dosso.
«Alex, mi
passeresti l'asciugamano?» chiedo, scorrendo
l'anta e tirando fuori la mano, che incontra subito la stoffa.
«Gracias»
dico, strofinandomelo addosso velocemente e legandomelo attorno alla
vita, poi esco. Alex sta cazzeggiando al cellulare, ma quando mi sporgo
per vedere che sta facendo di preciso alza lo sguardo e mi sorride,
infilandoselo in tasca.
«Sai, pensavo
che visto che oggi mamma va a trovare zia potremmo guardarci un
film»
dice, io ribatto con un 'mi sembra una grande idea' e proseguo verso
l'altra parte del bagno, dove afferro un asciugamano azzurro e mi
asciugo i capelli, mentre lui guarda lo specchio davanti a
sé e
continua a parlottare, lasciandomi cambiare in pace.
«L'altra
settimana papà è tornato a casa con questa
montagna di
DVD che
gli hanno regalato al lavoro, solo che visto che né lui
né mamma sono grandi fan della televisione alla fine non ne
abbiamo visto ancora nessuno» spiega, gesticolando.
«E
visto che stiamo male entrambi e che non sei abbastanza in forze da
fare qualsiasi cosa ti vada di fare normalmente, potremmo riscaldare il
brodo di ieri o farci un the e metterci a guardare qualcosa, tanto per
passare il tempo».
«Mi sembra
grandioso» commento, mettendo a posto
l'asciugamano azzurro e infilandomi la maglietta «tu hai
un'idea?»
«Di che film
vedere, dici? Bho, non è che me ne intenda molto»
risponde «anche
perché da quando sono arrivati a casa non gli ho ancora dato
un'occhiata, quindi non so cosa aspettarmi. Preferisco decidere con te,
mi sembra più adatto».
Annuisco, gli lancio
un'occhiata per verificare che stia ancora
fissando lo specchio e m'infilo rapidamente le mutande, al che lui si
massaggia la testa e tira nuovamente fuori il cellulare, lanciandogli
un'occhiata fugace.
«C'è
questa tipa, una certa Sharon, che mi sta tempestando di messaggi da
quando mi sono alzato» spiega davanti al mio sguardo
interrogativo; io annuisco ma lui sospira, abbassando le spalle
«Non
ho la più pallida idea di chi sia e non sono interessato a
lei,
ma fa finta di non capire e io non posso dirglielo apertamente, sarebbe
troppo stronzo».
«Da' qua, ci
parlo io» ribatto col tono meno geloso che possiedo, tendendo
la mano per prendergli il telefono.
«Jack, non
credo che sia una buona idea» farfuglia lui, restio a
passarmi l'apparecchio.
«Ah-ah,
non Jack, Jean, che si scuserà e dirà che sei
troppo
occupato per risponderle direttamente» lo interrompo.
«Sarebbe
scorretto» mormora, ma all'ennesima scarica di messaggi di
Sharon
allunga la mano e distoglie lo sguardo, esasperato «tutta
tua, Jean».
Mi sporgo, prendo il cellulare e digito una risposta gentile ma
abbastanza acida da farle capire che deve girare al largo da queste
acque, poi poso il telefono sul lavandino e incrocio le braccia.
«Missione
compiuta» mi limito a dire, poi m'infilo i pantaloni e
appendo
l'asciugamano bagnato, con Alex che guarda apprensivamente il suo
telefono, sperando che il mio intervento non sia stato troppo brusco, e
si torce le mani.
«Andiamo?»
lo esorto dopo essermi asciugato superficialmente i capelli; lui
risorge dal sogno ad occhi aperti e annuisce, seguendomi docilmente
prima in camera e poi giù per le scale, in salotto. Ho
portato
due coperte, così in caso di bisogno non dobbiamo alzarci e
fare
tutta la strada a ritroso, e le poso sul bordo del tavolino-poggiapiedi
davanti al televisore, mentre lui è scomparso in cucina a
cercare chissà cosa. Mi sdraio sulla poltrona con un sospiro
soddisfatto e sporgo la testa per cercare di capire cosa stia
combinando Alex nell'altra stanza, ma da come sono messo non vedo
nulla, così lascio perdere e trovo una posizione comoda in
cui
sistemarmi, aspettando il suo ritorno.
«Mamma
ci ha lasciato scritto cosa dobbiamo riscaldare e cosa invece non
dobbiamo neanche azzardarci a toccare» mi dice emergendo
dalla
cucina con in mano un foglio ripiegato, che apre, liscia con la mano e
legge velocemente «e
a quanto pare tutte le cose più buone ci sono negate. Mi sa
che
dovremo ripiegare sul the senza latte, sui biscotti della salute e su
un brodo o di pollo o di verdure, altrimenti possiamo metterci a
cucinare e farci una pasta in bianco». Mi guarda e scrolla le
spalle, poi commenta: «Sinceramente a me non va tanto di
cucinare».
«Il
brodo di pollo va benissimo» annuisco; lui conferma con aria
assorta e torna indietro, facendomi cenno di rimanere seduto. Passo lo
sguardo sui libri e sui mobili che adornano la stanza, poi la
curiosità - o la gelosia? - si fa troppo forte e prendo il
cellulare di Alex, abbandonato sul tavolino, scorrendo lo schermo fino
ad arrivare al nome 'Sharon', di cui mi sbrigo a controllare le foto su
un social network. Una bionda con delle belle curve e delle ciglia
lunghissime, annerite da qualche prodotto di cui non conosco il nome,
che nella maggior parte delle foto del profilo sorride a braccetto di
un'amica e un bicchiere di birra, come se la vita per lei fosse solo un
gran momento di festa. Mi sento montare il fastidio e la mia parte
possessiva mi suggerisce di scagliare il telefono contro il muro, se
non proprio di dirle chiaramente di smetterla di ronzare attorno ad
Alex; ma per fortuna ho ancora un po' di buonsenso e mi limito a
rimettere il cellulare dove l'ho trovato, appena in tempo per sentirlo
imprecare contro un fornello che non vuole saperne di accendersi.
Afferro il primo oggetto che mi capita a tiro e comincio a stringerlo
con diverse intensità, frustrato, e mi viene spontaneo
chiedermi
come quella tipa sia arrivata a interessarsi ad Alex, se lui non la
conosce nemmeno; poi mi tornano in mente le foto e la birra e mi
rispondo che devono essersi incontrati a qualche festa di quelle a cui
lui partecipa sempre, per un motivo o per l'altro, e mi si corrode lo
stomaco nel pensare a lei come una rivale. Che poi, 'rivale';
sicuramente ha molte più possibilità lei di me di
riuscire a trovarsi un posto nel suo cuore, e la cosa mi manda in crisi
se mi ci soffermo troppo a lungo. Dio, perché sono nato
maschio,
e perché Alex non poteva nascere almeno bisessuale?
Perché, perché, perché?
«Jack,
tiepido o caldo?» mi urla in tutta risposta lui, facendo
riecheggiare un rumore di piatti fino al salotto.
«Come
ti pare, mi è assolutamente indifferente» grido di
rimando, poi torno a prendermi la testa fra le mani, stremato, e
ondeggio avanti e indietro, soffocando un mugolio tra i denti. Alex
arriva dopo un po', mi guarda accigliato e si siede.
«Tutto okay
Jack?» domanda, stranito; io mi tolgo le mani
di dosso e annuisco vivacemente, sporgendomi verso il piatto.
«Solo un po'
di mal di testa» mento con un sorriso «scegliamo un
film?». Lui esita e mi guarda.
«Se hai mal
di testa non è il caso, magari poi ti torna la
febbre» mormora, e mio malgrado mi sento tiepido dentro.
«Ma ti pare,
scialla» dico «non
è così forte, dev'essere perché non mi
sono
asciugato bene i capelli, prima. Scegli pure, per me non c'è
alcun problema; anzi. Almeno così non passiamo la giornata a
dormire».
«Se lo dici
tu» accetta, con un malcelato velo di
preoccupazione «però non voglio essere io a
scegliere».
«Okay allora,
ti passerò una pellicola a caso e come va,
va» sorrido, poi mi alzo e prendo la busta contenente i DVD,
riportandola sul divano e posandomela davanti. Leggo qualche titolo di
sfuggita, infilo una mano nel sacco e tiro fuori il film vincente, che
inserisco nel lettore con un 'dio ce la mandi buona', poi torno sulla
mia poltrona e il film comincia.
A nemmeno
metà film sono sul punto di crollare e fatico a tenere
gli occhi aperti, ma tiro fuori il cellulare e comincio a giocarci,
sperando che mi tenga sveglio, e in una decina di minuti il sonno
è passato completamente. Alex è nella poltrona
parallela
alla mia, si sta mordendo le unghie e sembra totalmente assorto, cosa
che lo rende ancora più dolce, ma mi costringo a guardare da
un'altra parte e mi concentro sul protagonista del lungometraggio, che
sta cercando in maniera piuttosto vana di accendere un fuoco e cuocersi
della carne dopo una giornata di duro lavoro.
Mi sono chiesto
più volte se sono gay, bisex o questa cotta sia
solo un caso isolato del tipo 'bisogna provare prima di scartare', ma
purtroppo non sono mai arrivato a darmi una risposta, e questa cosa mi
lacera. Non ci troverei niente di male se mi piacessero solo gli
uomini, ma vorrei saperlo e mettermi l'anima in pace, non restare qui a
farmi domande su domande a cui solo il tempo potrà trovare
risposta; è devastante e si aggiunge alle mie altre
insicurezze,
che anche quando credevo di essere etero erano tante e non hanno certo
bisogno di un'ulteriore spinta per cadermi addosso. E se non fosse una
cosa poi così malvista potrei anche farmene una ragione e
dirmi
'vabbè dai, ti sei innamorato di un ragazzo, e allora?' e
continuare con la mia vita di tutti i giorni; ma in una
città
come questa essere un minimo diverso ti garantisce centinaia di
occhiate in ogni spazio, come se fossi una bestia rara, se non degli
insulti aperti; e vorrei sapere se è una cosa seria, prima
di
ritrovarmi schedato a vita. Se fossi davvero gay o bi allora
sopporterei le occhiate più facilmente, perché
diavolo,
è la mia vita e i miei impulsi sessuali riguardano solo me;
ma
se fosse una sbandata da una botta e via e il fatto non si riproponesse
più, e venissi comunque guardato come se fossi un alieno,
non
credo riuscirei a farmene una ragione e sbattermene le palle tanto
bene, perché comunque, a dispetto di quello che lascio
vedere
agli altri, ho bisogno di appoggio e affetto come ogni altra persona al
mondo, e così me ne verrebbero negati a bizzeffe. Anche
perché poi c'è la possibilità che Alex
mi lasci da
solo, e in tal caso perderei ogni ragione per vivere, quindi non lo so.
Vorrei tanto saperlo e farmene una ragione, come va va; ma purtroppo
l'unica è aspettare, e non è che sia una cosa che
mi
piaccia tanto.
«A che
pensi?» chiede Alex in un momento di pausa, mentre
il protagonista si concede il suo tanto bramato sonnellino.
«A tutto e a
niente» rispondo, eludendo in parte la domanda.
«Mi sembra
molto interessante» dice, fingendo una smorfia convinta
«allora
ti lascio ai tuoi ragionamenti». Torna ad accoccolarsi sulla
poltrona e si stringe le ginocchia al petto, posandoci sopra la testa,
poi la inclina un po' verso di me e si concentra sulla pellicola,
nuovamente assorto. Oddio, che carino che è porca miseria,
perché non sono la sua ragazza e non posso baciarlo quando
mi
pare? Strizzo occhi e labbra il più forte possibile e quando
li
riapro il batticuore è diminuito notevolmente, mentre lui
è rimasto nella stessa posizione e mi guarda accigliato.
«Jack? Sicuro
di star bene?» domanda, aggrottando le sopracciglia.
«Mai
sentito meglio in vita mia» mento, poi prendo il piatto e
mando
giù un po' di brodo, abbozzando un sorriso. Mi guarda,
ancora
più accigliato, ma fa finta di credermi e distoglie lo
sguardo
da me, per posarlo sullo schermo.
«Mi
passeresti una coperta?» rompe il silenzio un'altra volta,
tendendo la mano verso di me. Ne afferro una, mi sporgo e gliela do;
lui la prende con due mani, ringrazia e la apre, stendendosela addosso;
poi apre la bocca, esita e la richiude.
«Ti serve
qualcosa?» domando, ma lui scuote la testa.
«No
no, tutto a posto» mi tranquillizza, poi appoggia la schiena
alla
poltrona e respira. Finisco di mangiare, poso il piatto sul tavolino e
mi volto a guardarlo, ma noto che è ancora assorto nei suoi
pensieri, così mi alzo e prima che possa dirmi niente mi
sdraio
sgraziatamente su di lui, facendolo scoppiare a ridere.
«Sei troppo
ossuto Alex, non va bene per un cuscino» mi
lamento dopo averlo costretto a stendere le gambe, e lui ride.
«Senti
chi parla» ribatte, però continua a sorridere e
smette di
arrovellarsi la testa con qualunque cosa stesse rimuginando su prima,
che è un bene considerando la faccia che aveva assunto. Mi
sistemo un po' meglio e lui si lascia scappare un 'ouff' mentre lo
schiaccio, per poi emettere un sospiro di sollievo quando mi fermo e ci
rimetto sopra la coperta.
«Buon Dio
Jack, sei peggio di uno schiacciasassi» ride,
anche se vedo che fa fatica a muovere il petto. Mi sposto un po'.
«Come hai
detto che si chiama questo capolavoro cinematografico?»
domando quindi.
«Non l'ho
detto» sorride «ma comunque non ne ho idea,
non è che m'interessi più di tanto», e
io annuisco.
«Sì,
non è particolarmente entusiasmante» convengo, lui
indica
con un cenno il telecomando, io lo prendo e glielo passo.
«Cambiamo?»
propone, io accetto con un 'deo gratias' e lui mi dice di scegliere un
altro film, magari non un altro western possibilmente; così
mi
alzo e vado a frugare nella busta, riemergendo con un'altra pellicola.
Tiro fuori la prima e infilo nel lettore la seconda, poi metto il
western nella scatola, la rimetto dentro al sacco e torno a
spaparanzarmi su Alex.
«Comunque
secondo me la protagonista era piuttosto carina»
commenta dopo un po' lui, mentre compare la pubblicità.
«La bionda
dici? Bho, secondo me non era niente di speciale» ribatto. I
suoi commenti sulle attrici non mi toccano.
«Ti sei preso
cotte per ragazze molto più brutte» mi ricorda,
scherzando.
«Al cuor non
si comanda» dico, e mi colpisce quanto sia vero e quanto poco
ci abbia mai fatto caso.
«Hai anche
ragione» sorride, poi mugola, si sposta e
raccoglie una cosa da terra «devi prendere la medicina,
Jack».
«Oh, mi era
completamente passato di mente» esclamo,
tirando fuori una pasticca «tu l'hai già
presa?»
«Sì,
prima di pranzo» mi tranquillizza con una pacca
sulla schiena «ma ormai io sono praticamente guarito,
quindi».
«Oh»
commento di nuovo, deluso «quindi domani torni a
scuola?»
«Non
se tu stai male» dice, e io sorrido. Appoggio la testa sulla
sua
spalla e mando giù la pasticca, mentre il film
comincia.
«Comunque
più di tre, quattro giorni non dovrebbe durarti, io sono
guarito
in quattro ma perché non ho preso nulla».
«Speriamo
bene allora» dico, realizzando che una volta tornati a scuola
non
potrò più passare le giornate a letto abbracciato
ad Alex
e rimanendoci un po' male, per poi però scacciare
l'espressione
con uno starnuto.
«Ah, a
proposito, mi sono arrivati dei messaggi da Rian e Zack
che ci augurano di guarire e di tornare presto» aggiunge.
«Mi
è sembrato molto buffo perché anche se non gli
abbiamo
detto niente erano sicuri che stessimo assieme» ride.
«Ohum, a me
è arrivato un messaggio da...» tiro
fuori il cellulare dalla tasca per controllare
«Nick».
Alex soffoca una risata
nel vedere che mi sono rabbuiato ma prende il
telefono prima che possa eliminare l'sms, lo legge e risponde da parte
mia, quindi me lo ripassa e scuote la testa, come se fossi un bambino
poco cresciuto e lui il baby-sitter.
«Certo che
dovresti dargli più corda» commenta, ridendo sotto
i baffi «senza
di te sembra davvero perso». Gli do una spinta e lui
ridacchia,
mentre gli mimo un 'non ci penso neanche' e mi rimetto il telefono in
tasca.
«Ah»
esclamo dopo un attimo «ah, non ti ho detto l'ultima notizia
che lo riguarda».
«Sono tutto
orecchi» scherza «ma se stai alzato non vedo
nulla».
Mi sdraio e sembra
apprezzare, poi pianta le iridi nelle mie e apro la bocca.
«Si trasferisce».
«Be', mi
sembra grandioso» esclama, anche se la cosa non lo
tocca minimamente «dovrai esserne piuttosto
contento».
«Il punto
è dove si trasferisce» mugugno io
«quel bastardo viene ad abitare a un isolato di distanza dal
mio».
Nonostante tutta la sua
buona volontà scoppia a ridere e riceve
una mia occhiata torva, ma ci vogliono un paio di decine di secondi
perché riesca a farsi passare la ridarella. «Non
ci credo, ti prego dimmi che scherzi» farfuglia.
«Magari»
sospiro «l'altro
giorno è venuto al mio banco a dirmelo e sembrava la persona
più felice del mondo; a momenti si metteva a saltare e
ballare
dalla felicità, guarda». Scoppia a ridere un'altra
volta e
la mia disperazione sale ulteriormente.
«E
cosa pensi di fare, togliere il tuo cognome dal cancello e fingere di
chiamarti in un altro modo quando busserà alla tua porta a
chiedere di te? Perché mi sembra sì stupido, ma
non
abbastanza da cascarci» ride.
«No, ti
giuro, non puoi capire; sono disperato» esclamo «va
a finire che mamma comincerà a mandarmi a casa sua piuttosto
che
da te perché abita più vicino ed 'è un
bravo
ragazzo che ha tanto bisogno di un amico, lo sai vero,
tesoro?'»
«Mi sa che
stai esagerando» fa lui divertito, dandomi una pacca sulla
spalla «magari
non le piacerà neanche un po' e ti vieterà di
frequentarlo, oppure non arriverà proprio a conoscerlo
perché la fermeremo prima»
«Oddio ti
prego sì, non potrei sopportare di ritrovarmelo
a pranzo le poche volte che ci sono anche loro» guaisco.
«Dai,
scialla, vedrai che un modo lo troviamo» mi tranquillizza, al
che mi giro e lo fisso con apprensione.
«Se
si accolla oltre ogni dire e non riesco più a sopportarlo mi
offri asilo politico?» domando, pregandolo con gli occhi.
«Okay,
ma non credo ce ne sarà bisogno» ride, io mi
tranquillizzo
e sospiro sonoramente, tornando a posare la testa sul suo petto.
«Massimo massimo Abbie gli manderà un messaggio e
gli
dirà di smetterla di rubargli il ragazzo».
«Oddio ti
prego sì, ti amerei» ribatto, forse con
più foga del dovuto, e lui ride.
«Va bene
allora, gli manderò un messaggio» acconsente,
stropicciandomi i capelli con calma.
«Sharon?»
domando io, e a quel punto scrolla le spalle.
«Non
si è più fatta sentire, Jean deve aver fatto
proprio un
bel lavoro» commenta, e stavolta sono io a ridere.
«Bene,
una seccatura in meno a cui pensare» dico, nel frattempo
qualcuno
nel film spara e mi fa prendere un colpo; non me l'aspettavo
minimamente, credevo fosse un film lento e pacioso. Alex mi guarda con
un ghigno e io mi sposto su di lui, schiacciandolo; si lascia sfuggire
un altro 'ouff' e chiede una tregua con gli occhi, cosa che io accetto
docilmente.
«Diosanto,
sei tutto pelle e ossa ma quanto pesi» gorgoglia, mentre io
torno alla mia posizione iniziale.
«Non sarai tu
troppo gracilino per reggermi?» lo sfotto di rimando,
consapevole di non pesare praticamente niente.
«Può
anche darsi» mormora con un respiro sonoro; io sorrido e
rotolo
di lato, graziandolo. La tipa del film sta fuggendo da qualcuno e per
non farsi trovare si è infrattata in una casa abbandonata,
ovviamente senza corrente elettrica o uscite di sicurezza, e sta
cominciando a rendersi conto di aver fatto una gran stronzata, al punto
che ha già le lacrime agli occhi ed è sul punto
di
crollare emotivamente, quasi l'avessero già catturata. Alex
non
sembra particolarmente interessato al suo destino, credo che
più
che altro si sia di nuovo perso nei suoi pensieri, ma non potendo
entrare nella sua testa mi concentro su qualcos'altro di più
accessibile e cerco di passare il tempo. Denise - nel frattempo sono
riuscito a scoprirne il nome - si è chiusa a chiave nel
salotto,
ha tirato tutte le tende e si è rintanata sotto una
scrivania a
tremare, la pistola carica stretta tra le mani e tenuta accanto al
viso; ma in qualche modo sembra essersi ripresa, così
l'ambiente
sembra meno tetro. Alex assume un'aria sempre più appannata
secondo dopo secondo e Denise riprende il controllo dei sensi man mano
che il tempo passa, potrebbero completarsi perfettamente se solo lei
non fosse solamente la protagonista di un film scadente che non ho mai
sentito nominare prima; e se non fosse che lo disturberei, credo lo
direi pure ad Alex, tanto per distrarlo e fargli fare altre due risate.
Mi sembra così stanco ultimamente, non credo dovrebbe
tornare a
scuola domani, e neppure dopodomani; credo che sarebbe una buona cosa
se si prendesse una vacanza, una volta tanto, e smettesse di
preoccuparsi sempre di tutto e di tutti, anche se questo
significherebbe lasciarmi una settimana a cazzeggiare coi miei demoni
senza nessuno accanto. Credo gli farebbe bene ma so che non gli piace
sentirselo dire, quindi me lo tengo per me, sperando che se ne renda
conto da solo prima di avere un crollo emotivo ben peggiore di quello
di Denise; ma so anche che probabilmente quando se ne
renderà
conto farà finta di niente e reprimerà il suo
inconscio,
ferendosi ancora di più. Il mio piccolo, fragile Alex. Mi
chiedo
se mi ricambierà mai.
«Stai sempre
a pensare tu?» mi domanda con un sorriso, improvvisamente
caduto dalle nuvole.
«Senti chi
parla» lo punzecchio «io pensavo alla nostra amica
qua, tu a che pensavi?»
«Come hai
detto prima? A tutto e a niente» dice, e non posso evitare di
sentirmi un bel po' preoccupato.
«E questi
tutto e niente cosa riguardano? La scuola?» butto
lì con una nonchalance poco credibile.
«Non voglio
guastarmi il film pensando alla scuola» ride
«e poi ti pare che mentre questa viene uccisa penso ai
compiti?»
«Ma che ne
so, tu sei strano» mi difendo «e poi
Denise è intelligente, vedrai che riuscirà a
sfuggirgli»
Mi guarda con un'aria a
metà tra il divertito e lo stupito, a
cui ribatto con un 'che c'è? Lo sto seguendo il film', lui
scuote la testa con un sorrisone e annuisce fra sé e
sé.
«E poi sono io quello strano, eh?» ripete,
sornione.
Annuisco vivacemente.
«Decisamente.
Strano come te non conosco nessun altro» annuisco, sostenendo
fedelmente la mia idea.
«E tu come ti
definiresti?» domanda, appoggiandomi la testa sulla spalla.
«Be', intanto
direi che sono un gran figo» comincio «poi
proseguirei con un gran bel pezzo di ragazzo, molto simpatico e pieno
di qualità, che tutti ammirano e cercano di imitare ogni
giorno
della loro vita, che però ha un cuore troppo grande e, visto
che
gli dispiace non poter essere amico di tutti, preferisce avere un amico
solo a cui tiene più di sé stesso».
Alex fa un
sorriso enorme. «Ma non dimentichiamoci che comunque
è un gran bel pezzo di figo» insisto.
«E oltre a
strano, io come sarei?» chiede, mettendomi in
difficoltà.
«Be',
oddio, prima di tutto una rottura di coglioni enorme che se non fosse
per me non avrebbe proprio amici e verrebbe isolato drasticamente da
tutti giorno dopo giorno, poi un ragazzo speciale di cui non potrei
mai, mai, mai fare a meno».
«Mi piace
quando fai così» mormora, guardandomi con
affetto, e io mi sciolgo mentalmente, abbozzando una risata.
«Non ci fare
l'abitudine, si vede che sto male» ribatto, e
lui fa una smorfia, stringendomi più forte il braccio.
«Sei uno
scemo» scherza; io convengo con un 'lo so' e
appoggio la testa sulla sua, dolcemente. Vorrei non guarire mai.
Quando mi sveglio sua
madre sta infilando la chiave nella toppa mentre
parla animatamente al telefono con un qualche probabile cliente, e ci
vogliono all'incirca due minuti prima che riesca ad aprire il portone
con un'esclamazione di gioia, che viene prontamente soppiantata da un
sorriso quando nota il mio sguardo su di sé. Mi saluta con
un'alzata di sopracciglia e continua a chiacchierare, abbandonando la
borsa sul mobiletto d'ingresso e passandosi una mano fra i lunghi
capelli chiari; prosegue la sua discussione in cucina e torna
da
me solo dopo un po', appalesandosi con uno sbuffo liberatorio, contenta
di essersi levata dalle scatole anche quell'ennesima seccatura fuori
programma e di potersi rilassare.
«Passato una
bella giornata?» domanda sedendosi sul bracciolo del divano.
«Mi sento
molto meglio» rispondo, «e mamma ti ringrazia per
prenderti cura di me ancora una volta».
«La
prossima volta che chiama dille che le lascerò il conto
ospedaliero» scherza tirandosi indietro i capelli con le mani.
«A proposito,
che pegno paghi?»
Quasi mi strozzo nel
sentirglielo dire. «Ecco, di questo volevo parlare, io non
pago proprio nessun pegno» ribatto.
Fa
una smorfia a metà fra il deluso e il 'ma quanto devo
aspettare
ancora?', lascia stare la sua coda e concentra la sua attenzione su di
me, guardandomi come se stessi cercando di negare che il ghiaccio
è freddo. «E come mai?»
«Perché
continuo a non volere figli e non sono innamorato di Alex»
rispondo, fingendomi distaccato.
«Ah
no?» m'incalza lei, sorridendo sotto i baffi.
«No»
insisto, sentendomi avvampare le orecchie «e sono ben lungi
dal cambiare idea».
«Va
bene, se lo dici tu non posso che crederti. Ma sappi che anche chi
mente paga pegno» commenta alzandosi in piedi e rifacendosi
velocemente la coda, dandomi le spalle per qualche manciata di secondi;
«e tu che pegno paghi, Jack?»
«Te la
smetti? Ti ho detto che non ho cambiato idea» esclamo, ma so
che mi sono già tradito da solo.
«E
io ti ho detto che ti credo, ma se non sei il primo a credere in
ciò che dici non andrai avanti con questo gioco»
sorride
infatti con aria di vittoria; raccatta la borsa e scompare in un'altra
stanza, mentre io rimango fermo come un carciofo ad arrossire su ogni
centimetro di pelle visibile e disponibile, pronto a prendere a
capocciate qualsiasi superficie in grado di spaccarmi il cranio in un
ristretto numero di colpi. L'unica cosa che ci manca è che
Alex
abbia sentito tutto, ma per mia fortuna dorme della grossa abbracciato
a uno dei super-ricamati cuscini bianchi di sua madre, quindi
è
tutto okay. Più o meno. Mi alzo e vado a cercare Isobel; di
chiarire o continuare a negare non se ne parla neanche, ma magari
riesco a convincerla a tenere la bocca chiusa e a far finta di non aver
proprio mai fatto quel commento, che sarebbe più che
grandioso
considerando che ne va della mia sanità mentale. L'unico
problema è che è tutto silenzioso da morire e che
non
riesco a percepire nessuno spostamento attorno a me, quasi lei non
fosse proprio entrata in casa; e visto che ho la fronte che scotta non
mi stupirei troppo se fosse stata solo un'allucinazione causata dalla
febbre troppo alta, così lascio perdere e giro i tacchi,
spegnendo la luce del corridoio prima di abbandonarlo.
«Boo!»
esclama saltando fuori dal sottoscala; io sobbalzo e mi lascio scappare
un rantolo spaventato, ansimando.
«Ommioddio»
gemo portandomi una mano al cuore
«ommioddio non me l'aspettavo, ommioddio che trauma,
oddio».
Lei
replica con la stessa risata cristallina del figlio e si copre la bocca
con le dita, divertita. «Avresti dovuto vedere la tua faccia,
sei
stato qualcosa di meraviglioso» commenta, mentre io cerco di
recuperare un minimo di contegno.
«Senti,
riguardo alla conversazione di prima-»
«Uh-huh!
Avevo ragione, ti piace!» m'interrompe con un'espressione
trionfante.
«Assolutamente
no!» m'intestardisco «ma mi piacerebbe se te lo
tenessi comunque per te».
Mi squadra un attimo,
ritraendo la mano dalla bocca, poi inclina il capo verso sinistra.
«E io cosa ci guadagno?»
«Be', hum, la
mia più profonda e sincera gratitudine?» propongo.
Finge di esitare,
soppesando le due cose. «Troppo poco gossip»
giudica infine «manca di avventura».
«Ma cosa,
'avventura'!» esclamo «non siamo in
televisione, non puoi uscirtene così; cioè, non
è
normale».
Mi fa la linguaccia:
«se non c'è avventura, che vita
è?»
«La vita che
vorrei in questo momento» ribatto «potresti non
dirglielo, per favore?»
«D'accordo,
immagino tu voglia dichiararti in uno di quei modi esagerati che usano
i vostri coetanei nei film; spero solo che non ci metta troppo o
diventerà noioso» commenta storcendo la bocca,
come se
stesse parlando di una telenovelas.
«Non
ho la minima intenzione di dichiararmi ad Alex, lo vuoi capire
sì o no?» insisto, pur sapendo che è
inutile.
«Questo lo
capisco benissimo» sorride «ma capisco pure che ti
piace».
«Cos'è
che non capisci di 'no'?» intigno.
«Il fatto che
non sia seguito da 'non è vero che non mi piace
Alex'» ride. Servita su un piatto d'argento.
«Okay,
va bene, forse mi piace giusto un po', ma se non te lo tieni per te ti
brucio le peonie, okay?» ammetto, cercando di spostare la sua
attenzione su qualcos'altro e di non arrossire, per quanto sia ormai
inutile tentarci, visto il mio bel colorito.
«Oddio lo
sapevo; Jack paga pegno, Jack paga pegno» esclama lei,
canzonandomi allegramente.
«Sì
ma il tuo non è stato un comportamento
corretto» mugugno, conscio che non conti assolutamente niente.
«Hai ragione,
ma il tuo lo è stato?» ribatte,
sorniona. Colpito e affondato. «Solo, dichiarati presto, o
qui
morirò dalla noia»
Avvampo
definitivamente. «Non ci penso neanche, ci manca solo
questa!» scatto con un'imbarazzante vocetta stridula.
Lei mi guarda con un
sorriso deciso. «Tira fuori le unghie
Barakat, o qualcun altro ci metterà le mani sopra».
«Per quanto
ne so potrebbe già star sotto per un'altra
ragazza» ribatto, amareggiato.
«Hai
anche ragione, ma se non ci provi come puoi saperlo davvero? E poi vi
ci vedo bene come coppia, dovresti buttarti una volta per tutte e come
va va; non credo smetterebbe di parlarti o niente, quindi»
insiste, appoggiandosi al muro.
«Anche lui e
Sally Morton sarebbero una bella coppia, però a lei lui non
piace e viceversa» le ricordo.
«Non puoi
innamorarti di una che si chiama Sally» commenta alzando le
sopracciglia e facendo una smorfia.
«Hai capito
il concetto» dico espirando dal naso, con un tono che non
accetta repliche «non
mi dichiarerò né ora né mai, sarebbe
fiato
sprecato. Potresti per favore tenertelo per te, adesso?»
«Sta'
tranquillo Jack, non una parola uscirà da queste
labbra»
sorride, mimando di chiudersi la bocca a chiave con un lucchetto e
stropicciandomi affettuosamente i capelli prima di girare su
sé
stessa e andarsene per la sua strada. Dovrei sentirmi più
rilassato e a mio agio ma mi sento un vortice nel petto, ho paura di
essermi rovinato da solo un'altra volta.
«Complimenti
genio» mi dico sottovoce, scuoto la testa e torno in salotto
con
il mondo sulle spalle. Alex dorme ancora; trovo un posto comodo al suo
fianco e rimango accoccolato accanto a lui, lo sguardo perso
nell'infinito, ma nulla viene a infrangere quel muro di silenzio che si
è interposto fra me e il resto del mondo, cosa che invece
vorrei
tanto. Non credo proprio che Isobel possa andare a ridirglielo, ci
mancherebbe altro; ma in questo modo le persone a conoscenza del mio
segreto sono due, e da due nasce tre, e poi quattro, e poi cinque, e
poi qualche voce di corridoio arriverà anche a lui,
rovinandomi
definitivamente. Mi stringo la testa fra le dita e cerco di scacciare
la negatività, ma i brutti pensieri s'insinuano da ogni dove
e
si nascondono dietro quelli belli, appalesandosi lentamente, nella
maniera che più è in grado di colpirmi; e
nonostante
tutto il mio impegno non riesco a mantenermi positivo, come dice sempre
di fare Alex. Stringo i denti, scuoto la testa e mi volto dall'altra
parte; non riesco a guardarlo in faccia ora. Ho paura; di nuovo. Paura
che qualcuno possa dirglielo, paura che possa scapparmi come sabbia fra
le dita, paura che qualcuno possa portarmelo via e che io non possa
farci niente, paura che si renda conto che non sono la persona adatta a
lui, paura che apra gli occhi e capisca perché sono sempre
in
giro quando va a comprare qualcosa, paura che rimanga deluso qualora mi
dichiarassi, paura che le cose fra noi cambino, paura che mi lasci da
solo. Di solito vedo la mia cotta con una benevola rassegnazione e mi
dico 'okay bello, sei innamorato perso dell'ultima persona che avresti
potuto immaginare di poter desiderare, buffa la vita eh?', ma ogni
tanto ho degli sprazzi di dolorosa lucidità in cui la
consapevolezza di star lanciando sassi contro una finestra chiusa a
doppia mandata mi colpisce e mi costringe a fermarmi un attimo, per
rendermi conto per davvero che Alex è il mio migliore amico
da
oltre otto anni e che sto sprecando il mio tempo rincorrendo il suo
riflesso, perché il massimo che ci può essere fra
due
qualsiasi amici di lunga data è appunto amicizia,
fratellanza
forse; ma aspirare a qualcosa di più profondo e magari
tentare
la fortuna lanciandosi in un'avventura più imprevedibile
porta
quasi sempre a periodi di sofferenza da entrambe le parti, e, a parte
qualche raro caso fortunato, a una rottura lacerante e amara per tutti
e due, sebbene sia sempre devastante accettare il fatto di non poter
proseguire in questo modo e rassegnarcisi completamente. Alex
è
il mio migliore amico e lo è sempre stato; anche con le
migliori
intenzioni fra noi due non potrebbe mai esserci più che
amicizia
o un rapporto del tipo 'ti amo e lo sai ma non riesco a dimostrartelo
perché mi sento troppo fuori luogo a dirtelo'; e una
situazione
del genere non farebbe del bene né a me né a lui,
senza
contare che metterebbe in difficoltà anche Zack e Rian, che
sono
le persone che più sono costrette a convivere con noi.
Potrei
baciarlo, abbracciarlo, fargli regali carini e portarlo a spasso nel
parco quando tutta la città dorme, ma ci sarebbe sempre un
velo
di disagio nascosto dietro ogni mio gesto e non è quello che
voglio per noi. Sarebbe una catastrofe, cazzo. Io voglio farlo sentire
amato, a casa, come se non ci fosse altro posto in cui dovrebbe essere
se non fra le mie braccia; voglio proteggerlo dal mondo ed esserci,
quando il mio guscio non sarà più abbastanza e i
frammenti di vetro cominceranno ad impazzare verso di lui; voglio
fargli da scudo col mio corpo e mettergli il mio cuore fra le mani, con
nulla se non un sorriso a spiegare tutto. Voglio essere ciò
che
credeva di aver perso, quello che non avrebbe mai pensato di poter
sperimentare, l'unica persona in grado di portarlo sulle nuvole quando
il resto della sua vita appartiene alla terra; voglio essere il suo
piano d'emergenza e quello principale, voglio semplicemente essere.
Cosa potrei mai desiderare di più se non esistere al suo
fianco,
e cosa mai potrebbe rendermi più felice?
Invece no, dovevo
nascere maschio, migliore amico di tutto il mondo e
neanche così attraente, così che senza un
miracolo non mi
noterà mai neanche per sbaglio; e ciliegina sulla torta,
dovevo
far sì di non essere in grado di nascondere le mie emozioni
e di
farmi sgamare da nientemeno che la mamma dell'oggetto di ogni mia
fantasia; perché sennò che gusto c'è?
Mi prendo la testa fra
le dita e stringo la mascella con tutta la forza
che mi è possibile trovare in questo momento; poi di colpo
l'attacco svanisce com'è arrivato, lasciandomi stordito e
con un
retrogusto amaro nascosto dietro ai denti, dove nei momenti migliori un
sentore di caffè si lascia scoprire e cullare dalla mia
lingua;
e tutto ciò che rimane è la desolazione e la
consapevolezza che nell'ombra accanto a me qualcosa si è
mosso.
Isobel probabilmente. Magari prima ha lasciato qui qualcosa - l'ha
più ripresa la borsa? - ed ora è giustamente
venuta a
riprendersela, oppure era solo curiosa di vedere come stessero andando
le cose ed è entrata quatta quatta per evitare di farsi
cogliere
con le mani nel sacco; chi lo sa. Sinceramente non m'interessa
più di tanto. Mi prendo la punta del naso fra le dita -
'nasone,
te la smetti di fare il broncio o devo venire lì a ucciderti
di
solletico?' mi echeggia involontariamente in testa, accompagnato dal
sorriso di Ri -, espiro profondamente un paio di volte e rimango
immobile con gli occhi chiusi per un po', per dare a chiunque sia qui
con me il tempo di andarsene; poi li riapro e mi accoglie
l'oscurità di prima, accentuata dalla luce appena spenta.
«Tutto okay
Jack?» mi sento domandare da non so nemmeno più
chi.
«No; no,
affatto» mormoro stancamente, alzandomi dopo aver fatto leva
sulle mie ginocchia «vado
a letto». Non sento risposta, ma non sono sicuro di star
davvero
ascoltando. Arranco su per le scale e mi lascio cadere sul letto,
vuoto. Vuoto, vuoto, vuoto; solo questo sento. Non mi accorgo neanche
di star piangendo, come non mi accorgo in primo momento delle braccia
che mi cingono. Non voglio che mi cingano, non voglio che mi ricordino
cosa non posso avere. Non voglio che vengano sprecate con me
soprattutto, ma non ho la forza di spingerle via e le lascio bruciare
contro la mia pelle.
Stavolta mi addormento
che piango. Fra le braccia di Alex,
silenziosamente, lontano anni luce ma vicino, piango. E non basta il
suo calore a riscaldarmi il cuore.
|
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Capitolo 3 *** Parte terza ***
there's room for two six feet under the stars cap3
Quando mi sveglio è pomeriggio inoltrato, la faccia mi tira
e la
stanza è vuota. Della luce filtra dalla tapparella
semialzata,
le lenzuola accanto a me sono sfatte e fredde e nella confusione del
dormiveglia mi rendo conto che alcuni libri mancano all'appello dalla
libreria. Alex dev'essere andato a scuola, alla fine.
Mi tiro a sedere e mi
sento lo sguardo pesante; spero non si senta in
colpa per avermi lasciato qui. Non può passare la vita
standomi
sempre dietro, non è giusto e non gli fa bene in nessun
modo. «Lo porti giù, Jack». Afferro la
chitarra e suono.
Certe volte quando sono
lucido mi chiedo come sia cominciato tutto.
Come abbia fatto ad innamorarmi di Alex, come me ne sia accorto la
prima volta, come sia riuscito ad affrontare quell'oceano di veleno che
mi sentivo sgusciare sottopelle ogni volta che lo vedevo con una
ragazza, quando non ci avevo ancora fatto il callo; e in pochi istanti
i come invadono la mia mente, accucciandosi in ogni meandro libero e
occupando lo spazio degli altri ricordi, scacciandoli sgarbatamente a
loro piacimento; e quando succede non ho altra scelta che mettermi in
disparte e lasciarmi trasportare da quella massa di pensieri decisi e
indipendenti, per di più domande senza risposta e
convinzioni
che di vero hanno solo la paura. Posso solo sedermi, intrecciare le
dita e chiudere gli occhi, accarezzando silenziosamente quella
processione di dubbi e insicurezze, sperando che presto le risposte
emergano di loro spontanea volontà. Potrei dire che in quei
momenti la mia mente non mi appartiene e avrei solo ragione -
è
come se per un tempo che può variare dai dieci secondi alle
due
ore Jack smettesse di esistere e al suo posto comparisse
un'entità in grado di far finta di rilassarsi, respirare e
sembrare normale, ma che in realtà non ha nessun potere su
ciò che succede nel suo subconscio, le sue intenzioni
fievoli
soffi di vento allontanati dalla marcia decisa dei sogni interrotti, e
tutto ciò che mi rimane da fare mentre nel mio cervello
divampa
il caos è trovarmi un posto comodo e perdermi nella
sinuosità della distruzione, trasportato dal suo essere
surrealmente affascinante. E quando tutto finisce, quando la pazzia si
assopisce e la ragione ritrova la via di casa, non sono mai io a
raccogliere del tutto i cocci - non senza aiuto almeno. Ed è
così complicato ottenere aiuto quando non sai spiegare
nemmeno a
te stesso cosa stia succedendo dentro la tua testa; ed è
così pesante guardarsi attorno per cercare una mano e
vedersi
rispondere con occhi crucciati e sopracciglia aggrottate quando tutto
ciò di cui avresti bisogno è un abbraccio; ed
è
così assurdo trovarsi davanti alla possibilità di
non
avere nessuno a sostenerti tranne chi ti fa perdere in maniera
così sregolata il controllo giorno dopo giorno; ed
è
così normale finire col rifiutare ogni comodità
pur di
non esporre lui alla pazzia, pur di tenerlo al di fuori di
ciò
che ti sta divorando l'anima sempre di più, fino a farti
desiderare di essere qualcos'altro.
Quando la
realtà comincia a fondersi con l'immaginazione e
inizio a perdere il controllo dei sensi faccio sempre in modo di
allontanarmi da tutti, per non arrecare danno a nessuno. La gente non
capisce e non capirebbe neanche se mi prendessi un attimo e glielo
spiegassi in tutta tranquillità, quindi meglio non farle
proprio
venire in mente nulla e starmene sulle mie finché l'attacco
non
finisce, come se fosse la cosa più normale del mondo e non
ci
fosse nulla di sbagliato in me. Credo di non averne mai parlato neanche
ad Alex e non riesco a non essere felice della mia decisione,
perché in questo modo lui è salvo e
continuerà ad esserlo a lungo, senza doversi arrovellare il
cervello pure su quest'imprevisto. Che poi anche se volessi non saprei
come fare - non riesco a capirmi da solo, figuriamoci se posso
pretendere che qualcun altro, seppur sia il mio migliore amico da tutta
la vita, mi metta le mani sulle spalle, mi guardi dritto negli occhi e
mi dica 'so cosa fare'. Utopia allo stato puro, al punto che non
è neanche utopia, è solo un'altra espressione
della
follia. E io non sono folle, non sono pazzo, sono solo stanco e
bisognoso d'affetto, alla ricerca di un qualcosa che possa rendermi
felice ed essere solo mio in ogni istante del giorno; e forse la cosa
che mi ferisce di più è l'essere consapevole di
aver
trovato quel qualcosa di speciale, ma sapere anche che non
sarò mai la sua unica speranza. Quanto doloroso
può
diventare un amore disilluso?
Sono le cinque e mezza
ormai, ho preso le mie medicine da un paio d'ore
e di Alex ancora nessuna traccia. Spero che non l'abbiano messo in
detenzione e che sia solo uscito coi ragazzi, cogliendo l'occasione per
andare a farsi una passeggiata e prendere una sana boccata d'aria dopo
giorni di poltrire e combattere la febbre. Ho cominciato a leggere
quattro libri e tre ne ho abbandonati, per noia o perché non
mi
piacevano; e questo si sta salvando così a lungo solo
perché faccio fatica a mantenere lo sguardo focalizzato
sulle
parole e quindi non riesco a concentrarmi abbastanza per trovarci dei
difetti. Con uno sbuffo, mi sporgo e lo lascio cadere sul comodino,
tornando a scompigliarmi i capelli con le mani. L'attesa mi lacera.
«C'è
qualcuno in casa?» colgo finalmente la sua voce; il mio cuore
ha un guizzo e mi tiro a sedere.
«Occhio a
tutti,
sta arrivando l'infermiera» mi urla da di sotto, sfilandosi
la
giacca e lanciandola sul divano. Sale le scale in mezzo minuto,
canticchiando qualcosa fra i denti, e quando entra in camera
è
decisamente pimpante e di buonumore.
«Allora»
esclama, sprizzando radiosità da ogni dove «ti
senti meglio?».
Annuisco e lui fa un
sorriso enorme, portandosi le mani ai fianchi. «Be',
meraviglioso, perché domani sera usciamo!»
«Wo, wo, wo,
frena un attimo, cosa?» controbatto, aggrottando le
sopracciglia e rimanendoci di sasso. Cosa cavolo?
«Mi rendo
conto
che siamo ancora convalescenti e che non è l'idea
più
geniale del mondo, ma ho parlato con la dottoressa oggi e ha detto che
vista la velocità con cui mi è passato tutto non
dovremmo
preoccuparci, si tratta solo di una forma un po' più
violenta
dell'influenza che sta girando in questi ultimi tempi. Ha detto che
prendere una boccata d'aria ti avrebbe fatto bene e che un po' di cibo
alla griglia sarebbe stato più invitante rispetto al brodo;
mi
ha praticamente costretto a prometterle che ti ci avrei
portato» spiega abbozzando una risata, sedendosi ai piedi del
letto.
«E dove
dovresti portarmi scusa?» dico, senza sapere come comportarmi.
«Come 'dove'?
Jack domani c'è la festa di quartiere e siamo invitati, te
ne sei dimenticato?» ride.
«In ogni caso
l'ultima parola l'avrai tu, però credo che di medicina lei
ne
sappia molto più di noi due messi insieme e che dovremmo
darle
retta; chissà, magari ci divertiamo pure»
aggiunge,
sorridendo francamente. Oddio che carino che è.
«Hu, er, va
bene» acconsento, preso alla sprovvista «ma da chi
si fa? Dai coniugi Cross come l'anno scorso?»
«Hai presente
quella signora ansiosa che incontriamo spesso quando prendiamo il
caffè al bar alla fine della strada? A quanto pare
è la
moglie del signor Harroway, quello che ci saluta sempre quando
c'incontra in giro, e a quanto pare è lei che organizza
tutto e
offre il giardino» risponde liscio, massaggiandosi i palmi e
battendoseli sulle cosce.
«Ah, hu,
grandioso» commento, aggiungendo un annuire piuttosto vago.
Non ho la minima idea di chi stia parlando.
«Com'è
andata oggi a scuola?» domando per cambiare argomento.
«Be' oddio
avrebbe potuto essere migliore» espira lui, per niente
colpito «però
sono stati tutti molto carini e mi hanno fatto le feste quando mi hanno
visto entrare. Hanno subito detto che erano preoccupatissimi, che
volevano chiamare per avere mie notizie ma che avevano paura di
disturbare, che nel frattempo non erano andati molto avanti e che se
avessi voluto mi avrebbero prestato i loro appunti, che erano
estremamente contenti di rivedermi e che gli dispiaceva fossi stato
male così a lungo. Poi quando la folla è defluita
Nick mi
ha chiesto come stessi e si è offerto di venirti a trovare,
ma
gli ho detto che eri contagioso e che probabilmente non era il caso di
andare a gettarsi nella tana del lupo senza protezioni; mi è
sembrato un po' deluso ma ha capito e non ha insistito più,
anche se ha detto che chiamerà per sapere
qualcos'altro».
«Oddio ma
perché a me» piagnucolo, e Alex scuote la testa
con un piccolo sorriso.
«Si direbbe
che gli manchi immensamente» commenta pacioso
«dovresti
tenertelo stretto, non trattarlo male». Lo guardo per un paio
di
secondi e l'idea che mi stia comportando come Nick ai suoi occhi mi
sfiora con la delicatezza di una farfalla e la velenosità
viscosa di una salamandra - spero davvero di non essere opprimente
quanto lui o intimamente ne soffrirei da morire, sarebbe l'ultima cosa
che vorrei mai accadesse fra noi due. Alex mi guarda, i suoi occhi
hanno un guizzo di vitalità e ride di colpo, scacciando
l'idea
che mi si era dipinta in viso con la mano.
«Non
intendevo farti la morale, puoi comportarti come meglio
credi» ride spontaneamente, coprendosi la
bocca. «Sta
a vedere se ora sono in grado di stare lì a dirti
dove
sbagli e cosa invece dovresti migliorare; figurati».
Mi sento più
leggero ma il dubbio rimane, così lo metto a tacere
abbozzando un sorriso. «Bene, a parte quest'ultimo
particolare, che mi dici? Com'è andata la tua
giornata?» mi chiede quindi.
«Così
così, ho preso le mie medicine, letto e fissato fuori dalla
finestra» butto lì con una scrollata di spalle.
«Se vuoi puoi
studiare con me la lezione della Tidell per domani, così la
finisci di annoiarti» scherza tirando fuori il libro.
«Guarda,
soffro molto nel dirtelo, ma credo sia meglio se studi da solo,
così non posso distrarti» mi fingo addolorato.
«Ma no
guarda, mi
farebbe un piacere infinito invece, così non sarò
l'unico
a godere di una simile fortuna» insiste.
«Sei proprio
un
pollo» scherzo, lanciando il libro sulla scrivania. Sappiamo
entrambi che non lo apriremo mai e proprio per questo ripetiamo la
scenetta tutte le volte, come a convincerci che in realtà ci
proviamo, solo che a causa d'imprevisti che non dipendono da noi alla
fine non è mai aria e lo studio passa sempre in secondo
piano;
ma non è davvero colpa nostra.
«Credo sia
meglio che tu rimanga a casa da scuola domani» riflette Alex,
buttandosi con la schiena sul letto «così
almeno limitiamo un po' i rischi. Sei sicuro di farcela domani sera?
Non dirmi di sì per farmi contento, non voglio che tu stia
male».
«Non
preoccuparti, ce la faccio benissimo» sorrido «al
massimo mi prendo una sdraio e mi faccio una bella dormita».
«Se ti
dovessi
sentir male dimmelo però - giriamo i tacchi all'istante e
torniamo a casa a guardarci un film».
«Rilassati,
non sto andando a morire» scherzo, lui mi spinge la spalla.
«Certo che si
vede proprio che sei guarito» ridacchia alzando gli occhi al
cielo. Io abbozzo un sorriso.
«Ci saranno
anche
gli altri?» chiedo dopo un paio di minuti di silenzio. Si
gira a
guardarmi, aggrottando le sopracciglia.
«Sai che non
ne ho idea?» risponde, cadendo dalle nuvole
«però
immagino di sì, ci sono sempre in queste occasioni.
Di
solito dove c'è una festa ci sono loro, e poi per te
potrebbe
anche essere l'occasione per conoscere nuova gente, visto che di questi
tempi ti stai chiudendo da morire. Da quant'è che non mi
parli
di ragazze - sei mesi? Sette mesi? Non è da te, amico. Okay
che
non ci s'innamora tutti i giorni, ma qualche tipa l'avrai pur
notata».
So che sta scherzando
ma un brivido mi gela la schiena. «Sarà che ho
notato tutto il notabile» mormoro, pallido.
«Oh, andiamo,
è impossibile. C'è sempre qualcuno da notare,
soprattutto
se si parla di ragazze. Questa sera almeno ci sarà di
sicuro;
dovrebbero venire un paio di amiche della figlia della padrona di casa,
oltre a lei, quindi nuovi pesci entrano nel lago» ridacchia
«e la caccia si fa più divertente».
Sento lo stomaco
stringermisi e annodarsi ai polmoni, fa improvvisamente un freddo
terribile.
Poi di colpo scoppia a
ridere. «Dio, mi sento un imbecille a parlare
così» dice con un sorriso raggiante «fa
così film scadente e ammuffito che non riesco a immaginare
chi
ci crede davvero così. Cioè, è
assurdo, no?»
Mugugno fievolmente, so
che non si aspetta conferma. «Però davvero,
stasera sarà divertente. Lascerà il
segno».
Annuisco
fra me e me,
preoccupato. Non c'è niente di speciale nella festa,
è un
party a base di barbecue che si svolge una o due volte l'anno a casa di
qualcuno del quartiere, che si offre di fornire vitto e alloggio in
cambio di una quindicina di dollari a partecipante; e non
c'è
niente di speciale neanche nella signora che l'organizza, senza offesa
per il marito. Forse si riferisce alle ragazze che la loro figlia ha
invitato, ma se non le conosce neanche di vista come fa a sapere che
stasera non andrà in bianco quando ci proverà con
loro? E
se non sa neanche se i nostri amici vengono a cazzeggiare e a bersi una
birra con noi, perché mai dovrebbe essere così
eccitato
all'idea di andarci?
Realizzarlo
è come venire colpito in faccia da un asteroide rovente.
Ci va per vedere
qualcuna di preciso, qualcuna a cui basta che si
avvicini per sentirsi meglio, qualcuna che è per lui
ciò
che lui è per me; ci va per vedere qualcuna di preciso e non
posso fare niente per cambiare i suoi sentimenti.
Mi sono trovato in
questa situazione tante volte in questi mesi, ma
ogni volta la nausea è difficile da trattenere. Le lacrime
ancora ancora, basta che ti concentri ardentemente su qualcos'altro,
pretendi di star sbadigliando e te le asciughi con qualche grugnito, in
modo da sembrare naturale; ma la nausea non ti colpisce a scoppio
ritardato e non può essere scambiata per qualcos'altro,
è
il dettaglio che più di tutti colpisce chi ti sta di fronte.
E
in questo momento Alex è sdraiato accanto a me, non ha
ancora la
testa fra le nuvole e io sto sprofondando verso il centro della terra,
silenziosamente, mentre tutto in questa stanza perde
vitalità.
Ogni volta mi sembra di morire, trovarmi a fianco qualcuno che mi
disidrata goccia per goccia, senza risparmiarmi le torture
più
traumatiche; e ogni volta mi trovo a desiderare che sia vero, piuttosto
che dover rimanere lì a guardare Alex innamorarsi e
disinnamorarsi, impotente e conscio della mia posizione. Sono due tipi
di morte, il risultato raggiunto è lo stesso; ma come lo
raggiungi è totalmente diverso e la cosa più
importante.
Morire psicologicamente è mille volte peggio di morire
fisicamente, perché anche se ti senti al pieno delle forze,
anche se sai che il tuo corpo è perfettamente in grado di
reggere il colpo, sai che la tua anima non ce la fa, che la tua mente
è ormai allo stremo e che i tuoi sentimenti implorano
pietà secondo dopo secondo; ti ritrovi a desiderare le cose
sbagliate per te e chi ti circonda, perdi la cognizione del tempo e
della realtà, e tutto ciò che ha a che fare con
te
diventa una trappola, un altro modo del mondo per sottometterti; e ti
stanca così tanto, così tanto, che a un certo
punto le
tue difese crollano per forza, e con loro crolli anche tu e tutto
ciò in cui hai sempre creduto. Ti senti così
vuoto,
così nero, così sfruttato e abbandonato che non
riesci
neanche a descrivere i tuoi sentimenti; arrivi al punto di non riuscire
a pensare ad altro che a cose brutte, a cui non vorresti pensar mai,
che vorresti rinnegare ed esiliare nella parte più remota
della
tua mente, e da lì è solo una strada in discesa
con
qualche accenno di risalita ogni tanto, e la distruzione acquista un
significato molto più viscerale; un significato che non puoi
esprimere a voce, che non puoi comunicare con le parole, che solo chi
l'ha provato è in grado di capire; e quando arrivi a
provarlo
daresti qualsiasi cosa per tornare nell'ignoranza, qualsiasi.
Ma in questo momento
non è la cosa a lungo termine che
m'interessa, è quest'attimo, l'ora, l'abbraccio sgraziato
dei
brividi e la patina opaca della paura, il suo sguardo che sonda il
soffitto e potrebbe posarsi su di me in qualsiasi istante; è
questo senso d'irrimediabile piccolezza che mi debilita, questa
costante insufficienza che mi sgomenta; è come se tutto
ciò che facessi non fosse mai la mossa corretta, come se
dicessi
le cose giuste troppo sgarbatamente o troppo presto, come se non
riuscissi mai a cogliere l'occasione adatta al momento adatto. Mi sento
così fuori luogo, come se non fossi neanche in gara per
lottare
per un pezzo del suo cuore, e questo continuo sminuirmi mi ferisce,
manco fossi la persona più cattiva del mondo. Sono un
ragazzo
onesto, che cerca di non ferire mai nessuno e quando gli capita fa
sempre la buona azione; mi faccio in quattro per aiutare e far ridere
gli altri, non litigo coi miei ogni santo giorno e non mi presento a
lezione vestito in modo indecente; faccio a botte con chi se lo merita
e difendo i miei amici ad ogni costo, a mensa non tiro il pranzo contro
gli altri, non rubo i soldi ai ragazzi più piccoli e quando
me
lo chiedono dispenso pure consigli - ho tanti pregi in confronto ad
altre persone della mia età, sono un ragazzo perfettamente
normale. E chissenefrega se sono gay, chissenefrega se sono etero,
chissenefrega se sono bi - vorrei solo essere amato dall'unica persona
capace di dare un senso a tutta questa sofferenza, dall'unica persona
in grado di farmi sentire una fenice quando in realtà sono
solo
un altro ragazzino con la testa piena di sogni e le tasche piene di
sassi. Ma invece quella persona è innamorata di un'altra, e
tra
poco più di ventisei ore saranno assieme, respireranno la
stessa
aria e condivideranno la stessa risata, prestandosi un sorriso a
vicenda quando non ci sarà più bisogno delle
parole; e io
sarò a pochi metri di distanza da loro, invischiandomi
sempre di
più nella loro rete man mano che proverò a
scappare, e
corteggerò tutta la sera un bicchiere d'alcolico sempre
pieno,
costringendomi poi a passare il resto della notte abbracciato al bagno,
in compagnia dei rimorsi più neri. A una cert'ora
smetterò di vomitare, m'infilerò nel letto
accanto a lui
e guarderò il buio scivolare dietro le palpebre, lasciando
spazio a una luce man mano più sobria e disinfettata; e
mentre
l'alba dipingerà la stanza, il rimorso diventerà
troppo
opprimente e mi renderò conto di cosa mi sto facendo, ma
scuoterò la testa e penserò ad altro.
Aspetterò
che l'intera città prenda vita attraverso le sue mansioni
cicliche, poi, dopo essermi assicurato che i pericoli della notte siano
stati debellati del tutto, chiuderò gli occhi e
cadrò in
un sonno leggero, simile al dormiveglia; sentirò Alex
muoversi
al mio fianco e a seconda del significato dei suoi gesti
metterò
in atto qualcosa di diverso ma familiare, che da sempre tranquillizza
entrambi. E quando saremo entrambi svegli, inventerò una
scusa
per il mio bere recidivo e lo convincerò che volevo solo
divertirmi, senza cercare di dimenticare nulla; lui mi
guarderà
negli occhi, io sosterrò il suo sguardo con uno finto e lui
espirerà dal naso, senza insistere ulteriormente. Oppure
salterà quest'ultimo passaggio e mi racconterà
della sua
serata, troppo emozionato per collegare la mia devastazione fisica alla
sua riottenuta felicità, frutto improvviso di un'impresa
azzardata, e io sorriderò con lui, condividendo la sua
gioia, mentre
dentro appassirò e mi accartoccerò su me stesso,
dilaniato dal mio
stesso salvatore.
Ma
questo domani, dopo che avrò avuto l'occasione di rovinarmi
e
risparmiarmi i particolari più dolorosi della serata - ora
c'è solo la
paura di quello che potrà accadere, di quello che
potrà esser fatto, di
quello da cui non potrò fuggire; e mentre la paura banchetta
con le
infinite possibilità del futuro io sono lasciato qui, in
preda a me
stesso, alla deriva da ogni forma di aiuto che possa circondarmi in
questo momento, e tutto mi sembra così senza speranza,
così ghiacciato,
così lontano. Vorrei slanciarmi di lato, stringere la mano
di Alex con
tutta la forza che ho in corpo e strizzare gli occhi fino a piangere,
senza dovergli poi spiegar nulla, ma il pensiero mi scivola davanti con
la placida consapevolezza che non mi aiuterebbe in nessun modo e lascio
che si sciolga assieme al resto dei miei deliri. Gli piace qualcuna. E
non qualcuna di così, passeggera, una persona che a vederla
ti rimane
impressa per i primi tre minuti e poi comincia a svanire; ma una
persona che noti in mezzo a una folla di migliaia di ragazzi, che ti
dà
l'energia per restare in vita centinaia d'anni con un sorriso, che ti
modella come vuole con uno sguardo e che col suo profumo scandisce il
ritmo delle tue giornate; una persona di cui è impossibile
fare a meno,
che al solo pensiero di poterci passare una serata insieme ti fa
bollire il sangue nelle vene e salire gli ormoni a mille. Una persona
come Alex insomma. Ha trovato una ragazza alla sua altezza e domani
sera la incontrerà, le offrirà da bere, ci
parlerà e si convincerà
sempre di più che è quella giusta, quella apposta
per lui, e allora
ciao ciao Jack, perfino i film mentali ti diranno arrivederci. Oddio -
non ce la posso fare.
«Sembra che
sulla tua testa ci sia un raduno di nuvole nere, si può
sapere che hai?» chiede di colpo.
Lo
guardo roteando le pupille e senza spostarmi, con la miglior 'faccia da
persona impassibile che non stava pensando a nulla in particolare' che
possiedo, poi sbatto le palpebre e torno a fissare il soffitto.
«Niente,
temo sia stato uno scherzo della tua immaginazione. Qui va tutto alla
grande, non c'è niente che potrebbe andare meglio. Tutto
okay» commento.
«Sicuro?»
insiste, un po' destabilizzato.
«Come che la
Terra gira» ribatto, aggiungendoci un pugnetto contro le
nocche per tranquillizzarlo.
«Vuoi che
chiami e
dica che non veniamo più? Non hai affatto una bella
cera» propone, ignorando il pugnetto.
«Ehi,
calmati, va tutto bene» mi affretto a rispondere
«l'hai
detto tu, domani lascerà un segno; non andarci è
del tutto fuori
questione. Va tutto per il meglio, quindi non preoccuparti, okay?
Sarà
una serata a dir poco grandiosa». Esita.
«Chi
è il mio campione?» scherzo con una voce buffa,
porgendogli un'altra volta il pugno. Suo malgrado ride.
«Barakitty,
sei
proprio un idiota» scrolla la testa, io abbozzo un sorriso.
Guardarlo mi fa venire da piangere, ma non devo.
«Ti va se
chiamo i
ragazzi e gli chiedo che fanno?» propongo, tirandomi a sedere
e
guardandolo di sfuggita. Annuisce.
«Mi sembra
un'ottima idea» commenta storcendo le labbra in una smorfia
d'approvazione «io
intanto vado in bagno». Lo guardo uscire, aspetto che la
porta
del bagno si chiuda dietro di lui e mi alzo in piedi, raccattando il
cellulare dal tavolo e dirigendomi giù per le scale; esito
un
attimo, urlo che sto uscendo un secondo e vado a sedermi sul
marciapiede davanti al loro cancello, dando le spalle alla porta in
modo da accorgermi se qualcuno esce. Rimango immobile per qualche
secondo, lo sguardo perso nel vuoto, poi le lacrime cominciano a uscire
ed io a tremare, strizzando gli occhi in silenzio. Vorrei che il
cemento che mi circonda mi mangiasse e mi digerisse, senza lasciar
nulla ma un guscio vuoto impossibile da ferire. Piango a dirotto per
forse mezzo minuto, poi mi obbligo a smettere, mi asciugo gli occhi e
chiamo Zack.
«Jack, bello,
che
mi dici? Stai meglio?» mi accoglie subito la sua voce,
sinceramente felice di sentirmi. Tiro su col naso.
«Tutto bene,
sì... che mi sai dire del barbecue del vicinato? Ci
vieni?» domando, passandomi una mano sulla faccia.
«Quello di
domani dici? Penso di sì, perché?»
chiede.
«Bho,
così, veniamo anche noi ma volevo sapere un po' con chi
avrei passato la serata» rispondo.
«Be' con lui,
mi pare ovvio» ride «oppure ha in mente una notte
di sesso sfrenato?»
«Non so
riguardo al sesso, ma qualcuna in mente ce l'ha» mormoro,
inumidendomi le labbra. Zack smette di ridere.
«Ah, cazzo.
Bello, mi dispiace, scusa, non avevo idea» farfuglia
«senti,
se vuoi possiamo andare a farci un giro e sti gran cazzi della festa;
ci appalesiamo giusto il primo quarto d'ora e poi chi s'è
visto
s'è visto, giriamo i tacchi».
«Non sarebbe
una cattiva idea» commento, poi resto un attimo in silenzio e
tiro su col naso, espirando lentamente. «Ma
così mi tormenterei pensando a cosa sia successo, non credo
sia
il caso...». Lo sento annuire attraverso il telefono.
«Certo,
sì,
ho capito, hai più che ragione... però non credo
che
stargli attorno ti aiuti molto di più» nota con
gentilezza.
«Lo so,
è
che... se lo vedo almeno so cosa aspettarmi, capisci? Se invece sono da
un'altra parte non posso sapere cosa succede, cosa non succede,
praticamente mi getto da un aereo senza paracadute» sospiro,
disegnando dei cerchi nel selciato con le dita. «D'altra
parte se non lo vedo posso pure illudermi, ma se succede qualcosa e lo
vengo a sapere da qualche voce sarà molto peggio di averlo
visto
con i miei occhi».
Zack sospira
sonoramente, credo stia scuotendo la testa o quantomeno cercando
un'altra via d'uscita. «Aspettati compagnia domani»
dice alla fine «non ti lasceremo solo un secondo».
Annuisco e abbozzo un sorriso.
«Grazie Zack.
Ci
vediamo domani» mormoro, poi chiudo la chiamata e poso le
braccia
sulle ginocchia, accoccolandoci la testa sopra; respiro nel silenzio
per un po', poi sospiro, mi siedo per bene e compongo svogliatamente il
numero di Rian.
«Jack,
ehi, come
stai?» mi risponde al quinto squillo con voce affaticata;
probabilmente ha appena finito gli allenamenti.
«Tutto
okay, mi chiedevo se saresti venuto domani» dico,
mordicchiandomi distaccatemente il labbro. Ci pensa su.
«Massì
dai, perché no? Ci becchiamo lì?»
propone, schiarendosi la gola.
«Andata. A
domani» lo saluto, lui attacca e io rimango fermo per un
altro
po' a rigirarmi il cellulare fra le dita, poi decido che è
passato troppo tempo, mi tiro in piedi e rientro in casa, fermandomi a
pulirmi le scarpe sul tappetino. Nell'ingresso vuoto rimbomba l'eco
della voce di Alex, al telefono con qualcuno. Faccio un po' di casino
per fargli capire che ci sono e lui riattacca sbrigativamente con un
'mi manchi anche tu, a domani', al che si affaccia sulle scale e mi
sorride.
«Allora? Che
hanno detto?» domanda, affrettandosi a scendere.
«Vengono
tutti, ci vediamo direttamente là» rispondo,
cercando di eliminare quel 'mi manchi' dalla memoria «per te
va bene o preferisci che gli dia un altro appuntamento,
chessò, prima di andare?»
«No no,
è perfetto» si sbriga a chiarire, poi si calma.
«Vuoi vedere qualcosa?» propone, allegro.
«Veramente
vorrei prendere un'altra boccata d'aria» dico, sentendomi
addosso una stanchezza infinita «per te è
okay?»
«A me va
benissimo, basta che non ti allontani troppo o ti sentirai
male» poi esita un attimo: «ce l'hai il telefono?»
«Sì,
non preoccuparti» mormoro «in caso ti
chiamo». Lui annuisce, mi dà una pacca sulla
spalla e abbozza un sorriso.
«A dopo
allora» mi saluta «vedi
di non strafare». Ricambio il saluto e mi dirigo nuovamente
verso
la porta, facendo uno sforzo immenso per non strascicare i piedi
durante il tragitto; ma quando me la chiudo alle spalle non mi sento
per niente meglio. Un alito di vento mi sfiora il viso ma lo sento a
malapena, avvolto dai pensieri come sono, così barcollo
verso
destra e proseguo alla cieca, guidato passivamente dai miei piedi. Quel
'mi manchi anche tu' potrebbe anche essere rivolto a qualcun altro, non
necessariamente a una ragazza; d'altra parte chi lo dice che a
un
maschio non possano mancare anche i ragazzi? Magari si riferiva a un
altro suo amico che per puro caso domani si troverà alla
festa,
e visto che non si vedono da tanto tempo a causa dell'influenza non
vedono l'ora di rincontrarsi e scambiarsi le ultime novità
su,
che ne so, chitarre, dischi, videogiochi, partite di football, roba del
genere. Nessuno lo vieta, no? Quindi calmati nasone, potrebbe esser
stato chiunque, non per forza lei - anzi, ti pare che siano
già
arrivati a quel punto senza che nessuno ne abbia detto nulla? Va tutto
bene, non preoccuparti, sei solo spaventato; vedrai che è
solo
suggestione.
Mi prendo la punta del
naso fra le dita e mi fermo per fare dei respiri
profondi, cercando di calmarmi. Non può esserci una ragazza,
Alex te l'avrebbe sicuramente detto se si fosse innamorato; quindi
tranquillo, respira, vedrai che nel giro di tre giorni non ci penserai
neanche più su; va tutto per il meglio, va tutto bene, devi
solo
calmarti e respirare, re-spi-ra-re.
Quando riapro gli occhi
mi rendo conto di star piangendo. E fanculo
tutto, mi sposto dalla strada, mi accascio in un punto seminascosto da
una siepe e piango finché le lacrime non si stufano di
uscire;
poi mi alzo, mi tolgo la polvere dai pantaloni, mi asciugo gli occhi e
torno sui miei passi, svuotato. Spero che non mi stia aspettando.
Fortunatamente quando
rientro è in camera che studia per
l'interrogazione a tappeto di matematica - non che capisca i
procedimenti, però almeno così la teoria sa
ripeterla -
così posso scivolare in bagno senza doverlo prima
incontrare. Mi
lavo velocemente la faccia con dell'acqua fredda ed evito di osservarmi
allo specchio - so benissimo che aria devo avere, posso sistemarmi un
po' i capelli ma sicuramente non si vedono tracce di pianto. Questa
è una cosa bella del mio corpo, posso piangere e disperarmi
quanto mi pare ma guardandomi in faccia non me lo si vedrà
mai
addosso, mai. È tanto una benedizione quanto una sfortuna,
perché non posso contare su una pacca solidale da parte dei
miei
amici se prima non mi hanno visto piangere o comunque buttarmi
giù, e a volte ce ne vuole una inaspettata.
«Com'è
andata la tua passeggiata?» mi chiede Alex quando rientro in
camera, io scrollo le spalle e mi siedo sul letto.
«Bho,
normale» rispondo «sono arrivato fino alla curva e
mi sono seduto ad osservare il cielo per un po'».
«E
com'era?» sorride.
«Sembrava
dipinto con degli acquerelli» sorrido a mia volta.
«Ragazzi,
sono a casa» urla invece Isobel dal piano di sotto, lasciando
cadere delle buste sul tavolo.
«Ciao
mamma» grida di rimando Alex, lasciando il libro di
matematica sul tavolo «vuoi che scendiamo?»
«Ma
sì dai,
facciamo un po' di conversazione» risponde, Alex mi fa un
cenno
allegro con la testa e ci dirigiamo in cucina, senza però
scapicollarci giù per le scale. «Come
va?» domanda lei, bevendo un bicchier d'acqua.
«State meglio?»
«Huh-uh,
molto meglio» rispondo, abbozzando un sorriso.
«Ah
sì? Mi fa piacere sentirlo» dice, posando il
bicchiere nel lavello «ma forse è meglio se domani
stai a casa».
«Gliel'ho
detto
anch'io, poi comunque domani andiamo al barbecue quindi è
meglio
se è riposato» interviene Alex.
«Da quando
t'intendi di medicina, tu?» ribatte Isobel, sorniona, e lui
le fa la linguaccia.
«A che ora
programmate di uscire?» domanda quindi, tirandosi indietro i
capelli con una molletta.
«Sette e
mezza, otto penso» butta sul vago Alex «tanto
comunque lì c'è già gente, quindi non
ci annoiamo».
«E i vostri
amici a che ora arrivano?» s'informa, lo sguardo di Alex cade
su di me.
«Ah, er,
verso le sette e mezza anche loro mi sembra» rispondo, senza
averne la più pallida idea.
«E verso che
ora contate di tornare?» domanda. Alex scrolla le spalle,
come a dire che non ci aveva ancora pensato.
«Non lo so,
l'una, le due» propone, ma lei boccia il tutto con un gesto
secco della mano, scuotendo il capo.
«Non se ne
parla neanche» ribatte decisa «sei
appena guarito e Jack è ancora sull'orlo del ricaderci,
sarei
un'incosciente a lasciarvi andare e star fuori così a lungo
di
punto in bianco. A mezzanotte e mezza, l'una meno un quarto
massimo, dovete essere qui, meglio se ce la fate prima ma assolutamente
non un minuto dopo o finite nei guai; ci siamo capiti?»
Annuisco.
Può sembrare severissima dai toni che assume, ma alla fine
Isobel è una donna che ti viene molto incontro per fortuna.
«Tu non
vieni?» domando e lei mi guarda con aria intenerita.
«Questi
barbecue
sono organizzati soprattutto per voi giovani, noi adulti facciamo una
cena un po' più calma alla fine della strada, quindi non
credo
c'incontreremo» risponde, e improvvisamente mi ricordo che
è così da almeno sette anni.
«Forse
è meglio se domani non torniamo a mezzanotte e tre
quarti» ride Alex.
«E va bene
via, i
dettagli più importanti li abbiamo sistemati»
espira
Isobel con soddisfazione, annuendo vistosamente «ora avete la
facoltà di apparecchiare, mentre io metto su l'acqua e cerco
d'inventarmi un sugo».
La cena passa
velocemente, senza argomenti degni di nota, e presto
torna il mio momento preferito del giorno: l'andare a dormire. In
realtà sono già sotto le coperte e sull'orlo
dell'addormentarmi da parecchio, ma non ho idea di dove sia andato a
finire Alex quindi cerco di rimanere sveglio con tutte le mie forze. La
casa è silenziosa - dal salotto ogni tanto arriva l'eco di
uno
sparo ma per il resto l'unico segno di vita è dato dal
danzare
delle luci della televisione contro il muro subito attaccato alle scale
- ma mi fa strano pensare che sia uscito in giardino. Voglio dire,
è appena guarito da una brutta influenza, sarebbe stupido
rischiare subito di riprendersela a causa di una passeggiatina
notturna, tanto più che non ha neanche il bisogno di fumare
o,
o... o fare una telefonata importante in santa pace. Okay, questo
è maledettamente plausibile. Cazzo. Mi stringo il cuscino
sulla
faccia per evitare di urlare e grazie al cielo dopo un po' mi
addormento, risparmiandomi il dolore dell'attesa. Quando mi risveglio
però lui c'è.
Lancio un'occhiata
all'orologio sul comodino e noto stancamente che
sono quasi le quattro; dovrei andare in bagno ma sono troppo impastato
dal sonno per volermi alzare e spingere lontano dal letto, quindi
mugolo e scaccio l'idea. Muovo leggermente le dita e con mio grande
sollievo incontro quelle di Alex, che mi stringono premurosamente. Man
mano che riacquisto sensibilità mi accorgo che non
sono
solo le mie mani a essere strette dalle sue, ma tutto il mio corpo -
senza essermene accorto per la stanchezza, ho dormito dandogli la
schiena, circondato dalle sue braccia, e ora che l'ho notato non posso
evitare di sentirmi bollente ovunque. Avvampo totalmente e poggio
nuovamente la testa sul cuscino, il sangue che mi pompa sonoramente
nelle tempie - si è addormentato abbracciandomi, cazzo,
abbracciando me, Jack, il nasone; il sottoscritto, cazzo. Sto per
esplodere di gioia, non posso farcela. Lo guardo con la coda
dell'occhio e vedo che sta dormendo placidamente, soffiando
silenziosamente fuori le brutte sensazioni e inspirando invece
tranquillità, e non riesco a capacitarmi del fatto di essere
qui, fra le sue braccia, mentre qualche ora fa era con la testa su un
altro pianeta, troppo impegnato a pensare a qualche altra ragazza per
darmi la minima attenzione. Gli stringo più forte la mano e
chiudo gli occhi, sorridendo. L'idea che stia abbracciando me
perché non può abbracciare lei non mi sfiora
neanche per
un attimo e mi addormento felice, avvolto dal suo calore.
La mattina dopo quando
si alza per andare a scuola inciampa e si
aggrappa alla sedia, facendo abbastanza rumore per svegliarmi; esita
qualche secondo ma vedendo che continuo a tenere gli occhi serrati tira
un sospiro di sollievo e va in bagno, rimettendosi le cuffie. Torna in
camera dopo forse cinque minuti, senza maglietta. Lo guardo armeggiare
con le ante dell'armadio e rovistare fra i cassetti alla ricerca di
qualcosa di carino, ma più che sui vestiti mi concentro sul
suo
petto magro, esitando all'altezza del bacino. Strizzo le palpebre e mi
giro dall'altra parte. Torna a dormire, Jack.
Passo la mattinata a
leggere e scarabocchiare pezzi di canzoni sul
quaderno di letteratura, sovrappensiero. Ora che ho dormito e
metabolizzato leggermente la cosa, il fatto che Alex possa essersi
innamorato di qualcuna e che non veda l'ora di andare alla festa per
incontrarla non mi sembra più l'unica opzione plausibile.
Certo,
rimane la più probabile, ma non dev'essere necessariamente
così; alla fine potrebbe davvero trattarsi di una vecchia
amica
o di un amico perso di vista, oppure di un parente o di comunque
qualcuno che ha cambiato città ma prima viveva qui nei
dintorni.
Cioè, dai, perché no? In fondo è
sempre più
frequente che la gente si sposti per lavoro o perché un
parente
sta male, quindi non è così impossibile che sia
successo
anche con questa persona; che poi vogliano parlarsi al riparo da
qualsiasi paio d'orecchie è ancora più normale, a
nessuno
piace che gli altri origlino le proprie conversazioni. Quindi credo di
poter prendere un respiro profondo e rilassarmi, magari stasera non
sarà poi così grave. La speranza prima di tutto,
no?
«Vieni
qui» mormoro, sporgendomi e abbracciando la chitarra. Magari
riesco a finire la canzone.
«I said I'd
never
forget your face, vaulted away inside my head, and memories never seem
to fade» muovo lentamente le dita sulla tastiera, alla
ricerca
degli accordi giusti. Ho sognato questa scena, so già cosa
fare.
«You were the best
part of my life, my last regret» la chitarra esita sotto il
mio
tocco insicuro, ma le parole sembrano scritte per suonare bene solo se
accompagnate da queste corde, non mi sento a disagio. «Now
I've walked this line a thousand times before, it hurts too much to
bear» il suono si fa più forte, ho già
provato
questa parte abbastanza da saperla riprodurre a occhi chiusi.
«For
you I'd tear out my own heart and write our names together»
la
mia voce si abbassa per un istante ma l'attimo dopo sono di nuovo
sicuro dell'intonazione che devo prendere. «Your
love is the barrel of a gun so tell me, am I on the right end? I could
be nothing but a memory to you» senza volerlo, comincio a
tremare
e in pochi secondi sto piangendo violentemente, stringendo la chitarra
fino a farmi male. Rimango curvo sullo strumento per un tempo che non
riesco a decifrare, poi soffio via una lacrima che mi sta per cadere
dal naso e deglutisco, tenendo
lo sguardo basso «don't let this memory fade away».
Lascio
andare la chitarra, la poso sul letto accanto a me e faccio un respiro
profondo, mordendomi il labbro. Esito qualche secondo, poi deglutisco
di nuovo, mi alzo e vado a farmi una doccia. Sarà di ritorno
presto, andrà tutto bene. Tutto bene.
«Jack!»
urla rientrando in casa, lanciando freneticamente lo zaino all'ingresso
e affrettandosi a raggiungermi.
«Ehilà,
come mai così di buon'umore?» domando, mettendo
giù il libro.
«Non
indovinerai mai chi ho incontrato per strada» esclama
eccitato con un sorriso a trentadue denti.
«Il tuo
cervello forse?» dico, lui alza gli occhi al cielo e scuote
la testa, senza farsi rovinare la giornata.
«Molto
simpatico ma non ci sei andato neanche vicino. Te lo dico?»
aspetta un attimo, poi esclama: «Lisa!».
Devo aver fatto una faccia diversa da quella che si aspettava,
perché mi chiede se me la ricordo; rispondo di sì
e lui
torna a sorridere, felice. «Cioè
non so se mi abbia visto ma era lì, cavolo, era proprio
lei» continua, scavalcando il bracciolo del divano con un
salto e
venendomisi a sedere accanto «a qualcosa come cinque, sei
metri da me, capisci?»
«Figata, ma
questo dove?» lo assecondo.
«Proprio
quaggiù, a mezzo chilometro da casa» risponde
adrenalinico «chissà che ci fa qui, non ci viene
mai».
«Magari ha
qualche amico nei paraggi oppure sta semplicemente cazzeggiando in
giro» suppongo, e lui annuisce.
«Già,
dev'essere così; però che figata, eh?»
gongola,
lasciandosi cadere pesantemente contro lo schienale del divano.
«In effetti
era parecchio che non si faceva sentire» realizzo.
«Vero?
Dev'essere stata parecchio impegnata ultimamente, chi lo sa»
conviene Alex, riflettendoci.
«Be' dai,
è una gran bella cosa» esclamo «speriamo
venga anche lei alla festa di domani, sarebbe bello
rivederla».
«Più
che
bello direi, non le parliamo seriamente da un casino di
tempo»
s'infervora, eccitato. Comincia a parlare ma ben presto stacco l'audio,
so per esperienza che il suo monologo durerà ancora almeno
una
mezz'oretta.
Lisa è una
ragazza della nostra età che prima veniva a
scuola con noi e usciva col nostro gruppetto tutto il tempo, ma poi i
suoi genitori hanno trovato un lavoro più retribuito in
un'altra
città e sono andati a vivere lì, portandola via
con loro.
Credo sia passato qualche mese dall'ultima volta che i suoi riccioli
biondi hanno messo piede a Baltimora, e decisamente più
tempo
dall'ultima volta in cui ha fatto un giro nel nostro quartiere. Non
è che ci siano stati grossi rancori fra noi, ma tempo fa
Alex mi
ha convinto a uscirci perché a quanto pare le piacevo
parecchio,
solo che alla fine c'è finito a letto mentre noi
cominciavamo
finalmente a conoscerci, quindi diciamo che è un po' saltato
tutto. Non so dire fino a che punto ci sia rimasto male, ma alla fine
mi è passata. Siamo ancora migliori amici, scherziamo
ancora,
facciamo ancora battute sporche e se capita commentiamo pure le ragazze
che ci passano sotto il naso. Insomma, tutto okay. Però a
differenza mia, che quando la vedo rimango assolutamente indifferente,
per qualche motivo Alex si emoziona ancora a incontrarla per strada
quando non se lo aspetta. Sarà che era particolarmente brava
sotto le coperte e gli è difficile non ricordarselo quando
la
vede, non saprei; ma non mi è sembrata una ragazza poi
così eccezionale neanche la prima volta che l'ho vista,
figuriamoci ora. Però adesso è tornata, quindi
immagino
tornerà con noi. Chi lo sa.
«Ah, per
pranzo
abbiamo dell'insalata di riso» mi ricordo, anche se so che
è l'ultima cosa a cui sta pensando adesso.
«Ma certo che
sì» dice infatti, da tutt'altra parte con la
testa «sono sicuro che sarà
più che felicissima di rivederti».
«Be'
sì, in effetti faccio spesso colpo sulle insalate»
sorrido sotto i baffi mentre rimugina.
«Credi che le
andrà bene se proverò a avvicinarla? Dopotutto
non ci
vediamo da secoli ed eravamo buoni amici prima».
«Non vedo
perché non dovrebbe andarle bene» ammetto
«alla fine non credo che le sia dispiaciuto».
Si gira a guardarmi
come se se lo fosse appena ricordato e mi rendo
conto della gaffe; ma ci ride sopra prima che possa farlo
io. «Figurati se è quello il
problema» dice mettendosi la mano davanti alla
bocca «quello le è piaciuto
sicuro».
«Troppa
sicurezza fa male» lo sfotto «ma
credo comunque che non esista proprio il problema. Voglio dire, non le
hai fatto niente di male, perché non dovrebbe volerti
vedere?»
Scrolla le
spalle. «Le conosci le ragazze, non si capisce mai
come ragionino» commenta, franco.
«Secondo me
se le regali un fiore la conquisti anche stavolta» scherzo;
lui scuote la testa e ride di nuovo.
«Probabilmente
hai
ragione, la situazione non è così
tragica» ammette
rincuorato, tirandosi su dopo aver fatto leva sulle ginocchia
«dai,
andiamo a vedere un po' cosa ci ha lasciato mamma, ho una fame che non
ti dico». Si avvia verso la cucina e lo seguo, alzando gli
occhi
al cielo. Il mio pollo preferito.
«L'insalata
di riso è nel primo ripiano, sopra i noodles
precotti» lo informo entrando nella stanza.
«Ah davvero?
Grande» esclama tirando fuori la vaschetta dal frigo
«ce
n'è una quantità industriale, ci
durerà per
mesi». Apro la credenza e metto due piatti sul tavolo,
aggiungendo due tovaglioli e due forchette; ai bicchieri ci pensa Alex,
che poi comincia a mettersi un po' d'insalata nel piatto, dopo avermi
chiesto se volevo essere il primo a mangiare.
«Che avete
fatto oggi a scuola?» domando quando ha finito di servirsi
«ti ha più interrogato matematica?»
«Non ci ha
neanche provato» scuote la testa masticando un primo boccone
«meglio perché non mi ricordavo nulla».
«Per il resto
tutto okay?» chiedo, abbassandomi per evitare di far cadere
troppo riso.
«Nick chiede
come stai e ti manda i suoi più calorosi saluti»
mi sfotte abbozzando un sorriso. Mi rannuvolo.
«E i ragazzi
hanno detto che si faranno trovare alle sette e mezza vicino al tavolo
del punch» aggiunge, addolcito.
«Questa
è una gran bella cosa» commento, riprendendomi
«e magari hai chiesto anche a qualcun altro?»
«In
realtà no, tanto alla fine ci si ritrova tutti, volenti o
nolenti» ammette, giocherellando col cibo.
«Mi sembra
giusto» annuisco «e, hum, nient'altro da
aggiungere?»
«C'è
un
raduno per coppie miste questo week-end, un paio di quartieri
più a est, lo organizza la chiesa giù
all'angolo... credo
che tu e Nick sareste molto ben accetti» scherza, godendosi
la
mia espressione contrariata.
«Dio, parlare
di queste cose con te è bellissimo» ride di gusto
«abbocchi
sempre al primo colpo; non importa quanto sia cliché
ciò
che dico, abbocchi ogni singola volta. Sempre, sempre, sempre. Dio,
Jack, sei meraviglioso, cazzo».
Non è che mi
senta molto lusingato ma ammetto che ha tutta la ragione del mondo
dalla sua. Abbozzo un sorriso.
«Comunque,
seriamente parlando, è andato tutto come al solito. Tidell
che
spiega e viene ignorata, ore successive in un coma irreversibile,
ricreazione troppo corta e troppo affollata, bagni schifosi e
caffè troppo annacquato» commenta.
«Insomma,
solita roba. Lauren si è beccata una nota perché
si
rifaceva il trucco al posto di ascoltare la lezione, e credo ci siano
stati dei problemi fra lei e il ragazzo perché
oggi flirtava con mezza classe».
«Come se ci
fosse qualcuno pronto a sfidare le ire di un quaterback simile per
entrare nelle sue mutande» ribatto.
«Hai centrato
il punto» conviene divertito «dovevi
vedere la sua faccia mentre si voltavano tutti dall'altra parte, non
credo si sia mai sentita così indesiderata in vita
sua».
Scoppio a ridere assieme a lui, non credo le sia mai successo.
«E alla
ricreazione? Avete seguito le sue tracce per un po'?»
domando, tornando a masticare.
«Guarda, ti
basta sapere che si è slacciata un po' i bottoni della
camicia e sono scappati tutti» ridacchia.
«Oddio e
lei?» non ce la vedo proprio, soffoco al solo pensiero.
«Lei niente,
s'incazzava e persisteva, umiliandosi ancora di
più»
risponde allegro, servendosi un'altra forchettata.
«E a voi non
ha detto nulla?»
«Be' no,
ecco, una
cosa l'ha detta» resta un attimo in silenzio, annuendo fra
sé con l'aria mezzo rassegnata di chi è abituato
ad avere
a che fare con i pettegolezzi più assurdi e non sa come
prenderli «ci ha
provato spudoratamente con Ri ma è passata Cassadee che l'ha
uccisa con lo sguardo, quindi ha lasciato perdere. Zack si è
girato dall'altra parte con un'aria da 'ommioddio questo muro
è
veramente interessantissimo' così non ha neanche potuto
tentare,
poi ha visto me, ha fatto una smorfia e ha detto 'ma che ci provo a
fare, tanto questo è frocio', poi se n'è
andata».
L'atmosfera si
è improvvisamente raffreddata. «Oh»
è l'unica cosa che riesco a spiccicare «mi
spiace».
Scrolla le spalle,
indolente «Non importa. Non c'è nulla di sbagliato
nell'essere gay, non lo prendo come un insulto».
Però riesco
a vedere che c'è rimasto male. «Se ti
può consolare crede che io sia un ermafrodito»
dico.
«Ma sappiamo
entrambi che non c'è proprio vicina» ribatte,
abbozzando un sorriso.
«Okay, questo
era decisamente gay» esclamo, ridendo sotto i baffi
«ma
tanto sticazzi di quello che dice Lauren, alla fine la cagano solo
perché la dà facilmente. Se gli altri perdessero
un solo
secondo ad ascoltarla, si ritroverebbe sola».
«Hai
anche ragione» ammette, ma devo aver mascherato male la mia
apprensione perché poi sorride e aggiunge:
«è
tutto okay, davvero. Non preoccuparti. Può dire quel che le
pare
su di me, sono cavoli miei chi e cosa mi piace - di sicuro non vado a
farmi influenzare da quello che pensa una ragazza del
genere».
Annuisco, un po' rassicurato.
«E gli altri
che hanno fatto?» domando.
«Si sono
girati
entrambi con gli occhi sgranati e sono rimasti senza parole con me; poi
dopo un po' che lei aveva girato l'angolo Zack si è portato
una
mano alla fronte e ha detto 'be', adesso le ho proprio sentite
tutte'» abbozza un sorriso «ora che ci penso,
è stato un commento simpatico. Ebbravo Zack».
«Certo che un
pacco di affari suoi ogni tanto non le farebbe male»
commento, piccato.
«'Se devi
dire
cose sgradevoli tanto vale che non apri bocca'» conviene
Alex,
alzandosi per portare il piatto sporco nel lavandino «tanto
più che su di lei ci si potrebbero scrivere delle trilogie
intere senza trovare un dettaglio carino».
Seguo il suo esempio
mentre apre l'acqua «Tanto quest'anno non lo supera di sicuro
coi voti che si ritrova» dico.
«Non vedo
l'ora di
lasciarmela alle spalle» soffia, e so per certo che per lui
la
situazione in classe è più pesante. Io me la cavo
un po'
meglio perché sono il pagliaccio della situazione, quindi la
gente mi tollera più facilmente, ma quella che ho scelto io
è la strada facile, fra noi due quello speciale è
Alex.
Essendo il ragazzo amabile che è, anche se non parla molto
pian
piano si sta facendo apprezzare anche dagli individui più
falsi
e superficiali dell'istituto; ma per ora fa fatica a integrarsi in
classe perché non ha molto in comune con quelli che ci
circondano, che non esitano a metterlo da parte e cercarlo la maggior
parte delle volte solo per tornaconto, visto che con loro non si
arrabbia mai. Dice che non gli interessa particolarmente star simpatico
'a quell'inutile banda di piccioni' e che quindi possono trattarlo come
gli pare, ma probabilmente non riuscire a fare amicizia lo fa sentire
un po' diverso e solo, ed è un pensiero brutto
perché
è tutto ciò che vorrei essere e dovrebbe essere
amato.
Lo osservo trafficare
distrattamente con bicchieri e posate sotto il
getto d'acqua fredda, poi quando chiude il rubinetto e si volta verso
di me mi limito ad aprire le braccia e invitarlo con un cenno del capo.
Non dice nulla ma si avvicina e si stringe a me, lo circondo e
rimaniamo avvolti così per un po', a respirare assieme nel
silenzio totale.
«Non mi era
mai
successo prima» mormora dopo un po', sento le ciglia muoversi
lentamente su e giù lungo il mio petto.
«È
un'infame» ribatto, accarezzandogli i capelli «i
tuoi sentimenti, qualunque essi siano, riguardano solo te».
Non ha il respiro
affannato, ma so che si sente pesantissimo. «La gente non
dovrebbe giudicare dall'aspetto» sussurra.
«Non
è colpa tua se lo fa, purtroppo i pregiudizi esistono da
sempre» soffio, senza fermare le dita «e
poi mica è un difetto avere il senso dei colori, non sai
quante
ragazze darebbero un rene per avere un fidanzato che se ne
intenda».
Ride per qualche
secondo. «Secondo te sono troppo effemminato,
Jack?» chiede poi.
«Devo essere
sincero? Per niente; sei perfetto così, è Lauren
che non
ci capisce un cazzo» rispondo, e lui sorride.
«Grazie»
mormora dolcemente «Lauren può anche farsi
fottere».
«Credimi, ci
sta
sicuramente provando in tutti i modi» scherzo, in tutta
risposta
lui mi stringe fino a togliermi il fiato.
«Ouff»
esalo, spalancando gli occhi; poi allenta la presa e ricomincio a
respirare, lasciandogli una mano fra i capelli.
«Alex, Cristo
santo, non farlo mai più» squittisco «a
momenti vomitavo la milza».
Ride e lo stringo
più forte, posando la testa sulla sua. «Non
importa quello che dice Lauren, tu sei e rimarrai fantastico, okay? Sei
etero? Tanto meglio per le ragazze, guadagnano un gran bel premio.
Preferisci i maschi? Perfetto, li avrai comunque tutti ai tuoi piedi.
Non devi preoccuparti di quello che pensano gli altri, puoi essere
felice in ogni caso».
«E tu e gli
altri sareste felici se fossi gay? Non avreste paura?» soffia.
«Paura di
cosa? Se
all'improvviso ti svegliassi e ti piacessero i maschi sarebbero affari
tuoi, non nostri; e le cose fra noi rimarrebbero comunque le stesse -
forse riusciremmo perfino a convincere Ri ad accompagnarti per locali,
pensa».
Lo sento sorridere.
«E tu saresti felice?» chiede, alzando lo sguardo
verso di me.
«La persona
più felice del mondo. A me basta che tu riesca a essere te
stesso e contento di ciò che sei, il resto conta
poco o
niente» lo tranquillizzo dolcemente, tornando ad
accarezzargli i
capelli. Dio, sarei felice da morire.
«Certo che
Lauren
è proprio sfortunata» commenta dopo qualche
secondo, arricciando le labbra in una smorfia soddisfatta
«anche
se fossi gay riuscirei a essere più felice di quanto
è
lei nei suoi sogni più sfrenati. Mi spiace per
lei».
Rimango in silenzio
alla frase - devo ammetterlo, mi ero fatto un gran
bel film mentale su lui che faceva coming out fra le mie braccia, io
che gli dicevo che avevo anch'io qualcosa da dirgli e mi dichiaravo e
lui che mi diceva che provava le stesse cose per me, poi ci baciavamo e
aiuto a cuccia cuore. Alex lo nota, ride e mi guarda.
«Jack? Tutto
okay?» scherza, io mi sbrigo ad annuire.
«Assolutamente,
ogni tanto mi prende» mi paro il culo, lui ride di nuovo e mi
sorride.
«Sei proprio
un tipo strano tu» commenta «sarà per
questo che siamo sempre stati amici».
Gli do un pizzicotto
allo stomaco e si piega in avanti con una risata «Strano a
chi?» lo stuzzico, continuando.
«Strano chi?
Chi?». Continua a ridere e si aggrappa alla mia maglietta -
non
me l'aspetto così inciampo su di lui.
«Ommioddio
Jack levamiti di dosso, pesi un quintale» esclama riprendendo
fiato, ancora vittima della ridarella.
«Ma senti chi
parla, perché non hai idea di quanto pesi tu!»
ribatto, divertito.
«Sicuramente
meno
di te, manco na trebbiatrice riuscirebbe a superarti» mi
sfotte
mettendomi una mano sotto il petto e spingendo verso l'alto,
sollevandomi di qualche centimetro. Mugugno perché mi
è
difficile respirare, ma da così il suo viso mi sembra ancora
più bello quindi tengo la bocca chiusa finché il
braccio
non gli crolla e cado di nuovo su di lui.
«Attenzione,
atterraggio numero due riuscito» distorco la voce, lui mi
spinge
di lato con una risata e rimane sdraiato. Mi tiro sui gomiti e mi volto
a guardarlo, questa situazione mi sembra stranamente buffa.
«Sai Jack,
vorrei che momenti così durassero per sempre» si
volta verso di me «io, te e quest'infinità di
risate».
Sorrido. «Lo
faranno, non ho la minima intenzione di abbandonarti».
«Ne
sono felice» sorride sinceramente «non
sopravviverei».
«Grazie di
esistere, lex» mormoro, improvvisamente avvolto da un'ondata
di calore e felicità «senza
di te il mondo sarebbe terribilmente grigio». Allunga la mano
verso di me e la stringo stretta, poi rimaniamo zitti per un po',
sdraiati sul pavimento ad osservare i giochi di luce che si riproducono
sul soffitto. Tutto attorno a noi è chiaro e di buonumore -
mi
sento come se in questo momento potessi fare tutto senza mai fallire e
quando guardo le nostre dita intrecciate non posso non pensare che in
effetti non ho bisogno di tentare nulla, la gioia ce l'ho
già
accanto.
«Alex?»
lo chiamo dopo un po', si gira a guardarmi.
«Dimmi»
risponde, squadrandomi.
«Se mai te ne
andassi, ti rincorrerei e ti porterei indietro». Sorride
dolcemente.
«Grazie
Jack» mormora «non potrei sperare di
meglio».
Torno a fissare il
soffitto con un sorriso ancora più grande
dipinto sulle labbra. Qualcosa mi dice che non lo perderò
mai, e
voglio credere in questo qualcosa con tutte le forze che abbia mai
posseduto, senza esitazioni.
Dopo un po' Alex si
alza e mi tira su con sé, si dirige verso il
salotto e si spaparanza con un sospiro soddisfatto sulla poltrona
dell'altroieri, invitandomi a fare lo stesso con un gesto del capo.
Obbedisco e mi siedo sulla poltrona dirimpetto alla sua, poi mi
stiracchio e mi metto comodo, tentato dal sistemarmi coi piedi verso
l'alto e la testa al loro posto.
«Abbiamo
quattro ore prima di andare al barbecue» conta sulle dita
«che facciamo?»
«Ti va di
provare un po'?» propongo dopo averci pensato su.
«Ci
sta» conviene Alex annuendo «vado a prendere le
chitarre, così magari mi musichi pure la canzone».
Si alza e corre su per
le scale, mentre io rotolo giù dalla
poltrona e mi sistemo in una posizione normale; ricompare dopo due
minuti e mi porge la chitarra acustica di prima, poi posa sul tavolo
una ventina di fogli bianchi e di spartiti da riempire, assieme a una
penna e a una matita, e mi guarda tutto allegro.
«Così
magari butti giù le note e la mettiamo nel raccoglitore con
le altre» dice e io annuisco.
«Preferisci
che
prima scriva o suoni?» domando, più per guadagnare
tempo
che altro - so già come risponderà.
«Suona,
così se qualcosa non ti convince del tutto possiamo
rivederla
assieme» dice infatti, sedendosi sul bracciolo. Annuisco,
imbraccio lo strumento e comincio a pizzicare le corde, dopo aver
controllato di non aver scordato la chitarra dopo il mio set di
stamattina; decido di non alzare lo sguardo per non rischiare di
scoppiare a piangere inutilmente e dopo un attimo di esitazione
comincio, deglutendo.
«Ho fatto un
sogno
stanotte, e quando mi sono svegliato avevo le parole per la prima
parte. Sii cattivo, mi piacerebbe se diventasse una buona
canzone» mormoro, finendo di suonare le note iniziali.
Attacco a
cantare premendo gli occhi sulla tastiera - l'imbarazzo in questi
momenti è qualcosa di inevitabile anche se in effetti ci
siamo
sempre messi a nudo per quanto riguarda i sentimenti, ma più
che
altro ho paura di lasciarmi scappare qualcosa senza rendermene conto -
quindi non so che espressione possa aver assunto. Non credo di volerlo
sapere.
«Jack,
perché non li componi tu i nostri pezzi?» dice
semplicemente quando poso la chitarra e respiro a fondo.
«Perché
abbiamo il miglior compositore della contea e sostituirlo sarebbe una
gran cazzata» ribatto, imbarazzatissimo.
«Dico sul
serio, è da paura» insiste «e dire che
l'hai pure sognata, cioè io non ne sarei capace».
«Smettila e
aiutami a trascrivere le note» faccio goffamente, sporgendomi
per prendere i fogli e la penna.
Ride sotto i baffi e
prende la chitarra dal mio grembo, lasciandomi libero di scrivere, poi
ci ripensa e mi dà indietro lo strumento, prendendosi i
fogli
«Dimenticavo che non so le note, suona tu e io
trascrivo».
In una mezz'oretta ce
la caviamo - ci avremmo messo anche meno ma una pausa caffè
ci stava eccome.
«Pausa
gelato?» propongo, ho ancora un languorino.
«Aspetta,
idea migliore» m'interrompe, poi tace un attimo
«pausa affogato».
«Meraviglia,
vado
a prendere i soldi» esclamo, saltando in piedi e dirigendomi
in
camera. Raccatto cinque dollari da una tasca della borsa e torno
giù di corsa, Alex fa un sorrisone e si avvia verso la porta
con
le chiavi in mano.
«Oggi mi
sembra una giornata magnifica» commenta, annuisco e ci
lanciamo verso la gelateria.
Le sette e mezza
arrivano dopo un pomeriggio passato all'insegna di
chitarre riaccordate ogni due secondi, fogli che volano via col vento,
affogati al caffé rovesciati sugli spartiti appena compilati
e
risate fin troppo contagiose. Arriviamo nel giardino del party che gli
invitati sono ancora pochi - noto con delusione che i ragazzi non sono
ancora qui.
«Alex,
Jack!» ci chiama la padrona di casa, smettendo di parlare con
una donna.
«Buonasera»
salutiamo, avvicinandoci, e in un lampo mi accorgo di non avere la
minima idea di quale sia il suo nome.
«Purtroppo
non
sono molti quelli ad essere già arrivati, però se
volete
potete tranquillamente cominciare a mangiare» dice con un
sorriso
«o fare un giro in casa, come volete. Fate come se foste da
voi, d'accordo?»
Ringraziamo e lei torna
dalla sua amica, che nel frattempo l'ha
aspettata sorseggiando un bicchiere di punch. Mi guardo intorno e ho
come l'impressione di essere già stato qui, anche se sono
sicuro
che questa sia la prima volta che ci metto piede; guardo Alex e penso
che forse prova la stessa cosa anche lui. Non glielo chiedo e comincio
a camminare verso destra, curiosando un po' in giro; lui mi segue
docilmente - non abbiamo nulla da fare ma sarebbe scortese andarcene e
tornare più tardi ora che la padrona di casa ci ha visti e
salutati, quindi non è che abbiamo molte altre alternative.
«Come te la
cavi dietro a un barbecue?» domando dopo un po'.
«Non lo so e
non lo voglio sapere» risponde francamente «non
credo sarei molto bravo».
«Forse hanno
bisogno d'aiuto in cucina» suppongo «andiamo a
impicciarci?»
«Sicuramente
farà passare il tempo» conviene Alex, avviandosi
con me all'interno della sala.
Alla fine non
c'è alcun bisogno di noi, però ficchiamo il
naso nel salotto e decretiamo che i divani sono abbastanza comodi per i
nostri gusti, e che se non li soddisfano appieno poco ci manca;
così quando usciamo almeno quindici minuti sono passati di
gente
ce n'è parecchia. Troviamo i ragazzi vicino al tavolo e ci
avviciniamo, salutandoli.
«Allora
è vero che sei guarito» esclama un Rian
soddisfatto, servendosi un bicchiere di punch.
«Grazie al
cielo
sì, mi sembrava di vivere sulle montagne russe»
rido. Con
la coda dell'occhio noto Cassadee alle spalle del fidanzato che
chiacchiera con una sua amica, mi sporgo verso di lei e le faccio un
allegro «ciao anche a te Cass!».
Si gira e mi
nota, mi rivolge uno stupitissimo «ommioddio Jack non ti
avevo
proprio visto!», mi afferra per il braccio e mi trascina
verso di
sé: «devo assolutamente presentarti qualcuno,
è un miracolo che ti sia fatto trovare così
presto!».
Non faccio resistenza
ma mi lancio un paio di occhiate disperate alle
spalle mentre vengo portato verso il tavolo del cibo,
ricevendo in
cambio risate e qualche pollice alzato; nel frattempo Cass getta parole
al vento, parlando di qualcosa di cui ho perso da tempo il soggetto, e
scoppia in qualche risatina per mettermi a mio agio. Arriviamo al
tavolo, si riavvia rapidamente i capelli, sorride prima a me poi a una
ragazza, poi ci avvicina.
«Jack, questa
è Kailey, una mia compagna di corso. Kailey, questo
è Jack» miagola, presentandoci.
«Er,
ciao» mormoro porgendole goffamente la mano «come
va?»
«Bene grazie,
tu?» ribatte lei, stringendomela saldamente. Rispondo con un
'sì, anch'io tutto bene' e Cass s'illumina.
«Bene, vedo
che il ghiaccio è rotto» trilla «vi
lascio a conoscervi, ci vediamo dopo».
La guardo scomparire un
po' spaesato, mi volto a guardare Kailey e noto che sta sorridendo
radiosamente verso di me.
«E
così...» mormoro, senza sapere come continuare.
Odio quando Cass mi combina appuntamenti a mia insaputa.
«Hmm, vediamo
un po'» rimugina un po' lei «tu studi letteratura
assieme a Ri, giusto?»
Annuisco lentamente,
mantenendo il silenzio. «Ecco, mi sembrava di averti
già visto» esclama abbozzando un altro sorriso
«e per caso abiti alla fine della strada?»
«Non proprio,
un paio di case a destra giù all'incrocio»
rispondo, a disagio.
«Oh be', ci
sono andata vicina» ride, mentre io abbozzo un sorriso e tiro
su col naso.
«Tu invece
dove
stai?» mi sento in dovere di chiedere, più che
altro per
limitare le ire di Cass quando saprà che i suoi sforzi sono
andati come al solito tutti a monte e che non ho combinato niente anche
stavolta.
«Hai presente
il supermercatino indiano vicino alla rotonda? Terzo piano»
risponde allegramente, al che annuisco.
«Fate spesa
lì?» chiedo, lo sguardo perso oltre le sue spalle.
«In
realtà non ci passiamo mai, non ci piace troppo la cucina
speziata» ammette con un velo d'imbarazzo.
«A me
piacciono molto i burrito» dico, cercando di scorgere i
ragazzi dietro di lei.
«Davvero?»
esclama, come se fosse una vera scoperta «piacciono
tantissimo anche a me, e pure i nachos!»
«Non saprei
esprimermi sui nachos» commento «ma i burrito sono
il culmine dello sviluppo umano».
«Qualcosa mi
dice che sei un cliente affezionato di Tacobell» ride
«io invece preferisco cucinarmeli da sola».
«Ammetto di
essere un po' pesaculo per quanto riguarda la cucina» dico,
alzandomi sulle punte «ma
d'altra parte se possono prepararmelo altri ad un costo più
che
conveniente non vedo perché non dovrei accettare».
«Chissà
che ci mettono dentro» mi fa notare, e finalmente scorgo Alex.
«Qualsiasi
cosa sia, quello che crea è il paradiso» ribatto,
cercando di capire cosa stia facendo.
«Fa strano
sentirti parlare di cibo, sei magro come uno stecco» dice
allegra
mentre io strizzo le palpebre per riuscire a distinguere meglio le due
silohuette nella penombra - è una donna quella che gli sta
facendo compagnia?
«Questione di
metabolismo; quando crescerò probabilmente
diventerò un
panzone» commento mantenendo il distacco - Alex sta offrendo
da
bere alla ragazza, lei accetta e ridono assieme.
«Speriamo di
no» esclama con aria mesta «ma
almeno tu non vivi perennemente a dieta», si circonda la
pancia
con le braccia e guarda in basso con una smorfia. Alex e la tipa si
avvicinano un po' a noi, lei gli mette la mano sul braccio.
«È
uno spreco di tempo, stai benissimo così» la
tranquillizzo, il cuore che accelera «anzi,
sicura di non voler mettere qualcosa sotto i denti?»
aggiungo,
avvicinandomi al cibo e quindi alla coppietta.
«Non si
rifiuta
ciò che è gratis» commenta, seguendomi
docilmente
con un'aria più che felice. Mi riempio il piatto senza
guardare,
girato verso di loro, poi sento Kailey ridere e mi volto verso di lei
aggrottando la fronte.
«Non ci
credo, ti piace quella roba?» ridacchia, indicando qualcosa
di giallognolo che sovrasta la mia carne.
«Lo
trovo meraviglioso» mento, senza capire cosa
sia «dovresti assaggiarlo».
«Forse
lo farò» sorride, servendosi uno spiedino. Alex e
la tipa sono più vicini, troppo vicini.
«Hmm, quefto
fpiedino è davvewo buoniffimo» bofonchia Kailey
dopo un
morso, io annuisco distrattamente. Me lo sto immaginando o lei ha la
mano attorno al suo fianco?
«Ma tu non
hai fame?» domanda, costringendomi a distogliere lo sguardo.
«Eh? No
sì
sì, è solo che penso di aver visto qualcuno che
conosco
laggiù e non riesco a capire se sia davvero lui».
«Probabilmente
lo
è, è stato invitato tutto il vicinato»
ragiona dopo
aver mandato giù il boccone.
«Già,
probabilmente hai ragione» convengo, addentando la mia
robaccia giallastra «buono».
«Sì?»
ribatte con un'aria poco convinta.
«Sì,
dovresti provare» insisto, avvicinandole il piatto. Mentre
lei lo
fissa con disgusto e curiosità assieme, torno a spiare i
movimenti dei due e scopro con sgomento che non sono più
dove mi
aspettavo di trovarli. Setaccio velocemente tutto il giardino con gli
occhi, terrorizzato, e li ritrovo a chiacchierare in un angolino,
separati dagli altri.
«Hmm, hai
ragione, è davvero buono» mormora lei
restituendomi il piatto.
«Vero?»
concordo senza guardare, le previsioni più catastrofiche che
mi affollano la mente.
«Mi chiedo
cosa sia, forse peperoni» butta lì - Alex si
sporge verso la sua accompagnatrice e ride di nuovo.
«I peperoni
hanno
un gusto più deciso, probabilmente è verza
bollita»
rispondo, lo stomaco che mi si chiude.
«T'intendi di
cucina?» domanda stupita.
«Quel che
basta per sopravvivere, i miei non sono mai a casa» dico.
«Davvero non
ci sono mai? Ma è terribile, mi dispiace tanto» si
stupisce «se vuoi posso ospitarti io ogni tanto».
«Grazie mille
ma non è un problema, praticamente vivo a casa di
Alex» ribatto, osservandolo insistentemente.
«E sua mamma
non si arrabbia?» chiede mentre mi stringo la punta del naso.
«Eh? Ah no
no, è molto disponibile invece» dico «mi
vuole bene, a volte l'aiuto a cucinare».
«E hai la tua
camera pure da loro?» insiste, sinceramente interessata. La
tipa ha di nuovo la mano sul suo fianco.
«No, mi
sistemano un materasso in camera di Alex e dormo
lì» rispondo, sempre più spaventato.
«Caspita,
dev'essere dura» mormora, impressionata.
«Potrebbe
essere
più facile» convengo, mordendomi il labbro.
È lei
che doveva incontrare, che non posso sconfiggere.
«E quando
Alex non può che cosa fai?» domanda, inclinando la
testa.
«Sto a
casa» dico distrattamente «mi mangio un film,
guardo una pizza, passo il tempo».
«Ti mangi un
film?» ride «è divertente come
cosa?»
«Abbastanza,
diciamo che ti tiene occupato» rispondo - la mano di lei non
è più sul suo fianco, ma solo perché
ha trovato
qualcosa di meglio da fare sulla sua spalla. Mi stringo di nuovo la
punta del naso, deglutendo.
«Jack, ti
senti bene?» chiede lei, sfiorandomi apprensivamente il
braccio con le dita «tutto a posto?»
«No, in
realtà no» mormoro, portandomi una mano alla testa
«è
meglio se vado a sedermi. Grazie della compagnia Kailey, ora
è
meglio che vada». Apre la bocca per dire qualcosa ma mi
allontano
prima che possa articolare nulla, dirigendomi verso il giardino e
scontrandomi con tutti quelli che incontro. Quando sono abbastanza
isolato dagli altri mi lascio cadere su una panchina di legno e tiro un
pugno contro il bracciolo, ottenendo un'ulteriore conferma del fatto
che non sono arrabbiato con loro, solo terribilmente ferito e
dolorante; e rimango fermo con le mani penzoloni per un po', a radunare
i pensieri e cercare di non piangere - cosa difficile, avendoli proprio
davanti agli occhi.
Ma forse quello che fa
più male è sapere di aver
avuto ragione ancora una volta, di aver riconosciuto i segni
premonitori della tempesta senza però averci potuto far
nulla,
di essere stato solo uno spettatore paralizzato in quello che potrebbe
essere l'atto tragico più importante della mia vita. Non che
ci
sia stato niente che avrei potuto fare e non ho fatto - le cose sono
andate come dovevano andare e non c'è niente che avrei
potuto
cambiare per far sì che in questo momento loro due non
fossero
insieme - ma anche quando sai di essere ininfluente non riesci a
perdonarti i risultati.
La cosa vitale
è che lui è lì, a venti,
venticinque metri da me, e al suo fianco c'è una ragazza,
una
ragazza con cui ride, scherza, beve e si diverte, una ragazza che non
si fa problemi a mettergli la mano sul fianco o sulla spalla, una
ragazza che a quanto pare trova piacevolissimo aggrapparglisi al
braccio e non lasciarlo più andare.
Sono tentato dal
piangere, tanto da qui non mi vedrebbe nessuno, ma
scuoto la testa e mi limito a spostare lo sguardo sull'erba che mi
cresce tutt'intorno, ricoperta da un sottile velo di giallo e
movimentata dal passaggio di qualche insetto che non sono in grado di
captare. Affondo il viso fra le dita e in qualche modo il calore mi
dà un po' di sollievo, anche se non rimango in questa
posizione
a lungo.
«Posso
sedermi?». Zack si sistema accanto a me dandomi solo una
breve occhiata. Si concentra sulla coppia.
«È
lei?» domanda, senza aver davvero bisogno di una risposta.
«Temo proprio
di sì» dico comunque, tornando ad osservarli
mestamente. Respira sonoramente.
«È
bella» commenta, tirando le labbra.
«È
il suo tipo» metto a fuoco il suo pensiero, abbassando gli
occhi.
«Te l'ha
presentata?» domanda ancora, cercando di scorgerle qualche
dettaglio del viso.
«No, sono
stato rapito da Cassadee e sono caduto vittima di uno dei suoi
appuntamenti a sorpresa».
«Meglio
così allora» soffia, espirando dal naso. Sposta lo
sguardo
da me a lei, poi si sofferma sul buio della notte.
«Vuoi che
andiamo ad impicciarci?» propone, ma io scuoto la testa.
«Preferisco
guardarlo da un posto sicuro e non espormi, così non
dovrò perdere».
Rimane in silenzio e
apprezzo, annaspando di nuovo fra le onde di pensieri che mi
sbilanciano la mente.
«Zack,
potresti prendere qualcosa da bere?» domando flebilmente, lui
annuisce e si avvia.
L'eco della musica e
delle risate mi arriva attutita e rimbalza contro
il mio scudo di vetro, scivolandomi via lungo la pelle, e per un
secondo mi chiedo se non sia meglio andare da loro e trasformare la
coppia in un trio caciarone; poi scuoto la testa e lascio perdere -
solo perché la mia serata fa schifo non deve star male pure
Alex.
Zack torna dopo tre
minuti con in mano due bottiglie di birra, me ne passa una e posa
l'altra sull'erba, sedendosi.
«Cosa pensi
di fare?» chiede dopo un po', girandosi verso di me. Poso la
bottiglia e mi asciugo le labbra.
«Non ne ho
idea» mormoro «aspetterò che si separino
un attimo e mi appolperò ad Alex, immagino».
Tacciamo insieme,
mentre io torno a bere.
I due stanno ancora
chiacchierando, muovono le mani con convinzione e
sembrano spassarsela parecchio. Ridono spesso, soprattutto lui, anche
se è lei quella che cerca più di tutti il
contatto
fisico, e questo mi dà un po' di speranza. Forse Alex non
è davvero convinto di quello che fa, forse è
davvero solo
un'amica di vecchia data.
Continuo
a guardarli e l'idea mi muore davanti, cerco con le dita l'altra
bottiglia e lenisco la paura con il sapore aspro della birra, conscio
che senza mangiare qualcosa mi ubriacherò presto. Mando
giù un altro lungo sorso. Non so cosa sarebbe meglio, se
diventare così ubriaco da non capire più nulla e
soffrire
domani anche per oggi o rimanere sobrio e domani soffrire un po' di
meno perché qualcosa l'ho già data. Nel dubbio
finisco la
birra, mi alzo barcollando un po' e mi trascino verso il banchetto del
cibo, dove il mio piatto giace abbandonato ancora praticamente
intoccato. Zack mi segue e bada per me a dove cammino, stringendomi il
braccio quando metto un piede in fallo, e sembra felice quando mi vede
buttar giù un po' di carne, oltre all'alcol. Quando finisco
la
salsiccia e poso il piatto sul tavolo lo afferra e me lo rimette
davanti, pregandomi con gli occhi di mangiare qualcos'altro; abbasso lo
sguardo e obbedisco docilmente, senza protestare, poi afferro un'altra
bottiglia di birra e me la porto alle labbra. So che non gli piace
quando bevo per lasciar fuori l'immagine di Alex che si diverte con
qualche ragazza, ma mi aiuta a non impazzire.
«Jack, che ne
dici di farci una passeggiata?» propone in alternativa.
Scuoto la testa.
«Non posso
allontanarmi, potrebbe succedere di tutto».
«Anche se
stai qui a guardarli non potrai fare nulla per impedirlo» mi
ricorda preoccupato.
«Lo so
ma...» non so cosa dire ma qualcosa devo spiccicarla.
«Rimaniamo, per piacere. Non posso permettermelo».
Sospira sonoramente, me
la dà vinta e riempie il piatto con altro cibo, indica la
panchina e lo ringrazio con gli occhi.
«Jack,
ehi!» mi chiama qualcuno, non riesco a capacitarmi sia Alex.
«Ehi»
ribatto, voltandomi e cadendo dalle nuvole.
«Si
può sapere dove ti eri cacciato?» mi domanda,
visibilmente felice.
«Cass mi
aveva organizzato un appuntameno a sorpresa» rispondo, lui
scoppia a ridere.
«Davvero? Ci
prova ancora?» esclama «certo che è
proprio assurdo». Abbozzo un sorriso. Felice che sia felice.
«Piuttosto,
senti qua» s'interrompe di punto in bianco
«c'è una persona che voglio farti
vedere».
Spero non abbia notato
che ho stretto la mano di Zack con tutte le mie forze. Lui mugola
sottovoce e chiude gli occhi.
«Ah
sì?» dico, fingendomi stupito «e
chi?»
«È
una
sorpresa» gongola, poi mi prende e mi trascina via dopo un
velocissimo 'ciao Zack!'. Ci fermiamo accanto al tavolo del punch ma
per fortuna non c'è nessuna ragazza ad aspettarci,
così
lui si gratta la nuca, stupito.
«Non riesco a
capire, le avevo detto di aspettarmi qui» mormora, e qualcuno
ci
assale alle spalle con un 'boo'. Trasale visibilmente e si gira di
scatto, portandosi la mano al petto.
«Non te
l'aspettavi vero?» ride una ragazza, non mi va di girarmi a
guardarla in faccia.
«Sei
un'infame, lo
sai che queste cose con me funzionano sempre» si arrabbia per
finta lui, lasciando spazio a un enorme sorriso sulle labbra fine. Lei
ride e mi sento improvvisamente seppellir vivo, vorrei morire sul colpo.
Poi un telefono
squilla, sento un 'merda' sottovoce e lei che risponde
con un 'pronto' squillante, per poi fare cenno ad Alex di aspettarla un
attimo, perché la telefonata è importante e non
può proprio rimandare.
«Fa' pure con
calma Noel» la tranquillizza lui, guardandola allontanarsi
con una sicurezza felice, rilassata.
In un istante mi torna
in mente una delle sue vecchie canzoni, una di
quelle di cui non vuole svelare il significato perché
evidentemente sono troppo personali per essere raccontate apertamente,
e la sensazione di prima si ripropone, più decisa e
violenta.
Annaspo per un po' d'aria ma non riesco a trovarne, così
mormoro
un 'torno subito' e scappo via prima che possa dirmi nulla,
andandomi a sedere nel buio sul prato opposto a loro, le
ginocchia
tirate su contro il petto e le mani a coprirmi il volto. Non sto
piangendo né voglio farlo, ma mi sento così
terribilmente
pesante e lacerato che non riesco a fare altro che nascondermi da tutto
e tutti, intenzionato a evitare tutto il più possibile. Mi
sposto i capelli dalla faccia e respiro, incrociando le gambe e
posandoci sopra i gomiti, mi reggo la fronte coi palmi e cerco di
rallentare i battiti, ormai fuori controllo.
Okay, quella
è la Noel della canzone, quella dal ruolo
così importante che potrebbe distruggere il legame fra due
migliori amici, quella che si deduce essere andata a letto con Alex
all'interno di una macchina e che a quanto pare è il mix
perfetto per mandarlo su di giri, quella che aspettava con ansia e che
ha finalmente rivisto, che io non eguaglierò mai e che
osserverò sempre dal basso in alto senza osare un confronto,
perché so che se ci provassi verrei stracciato su tutti i
fronti
- è quella Noel ed è qui, a qualche ventina di
metri di
distanza, e ad Alex mancava, mancava così tanto che era su
di
giri solo nel dirmi che saremmo andati alla festa, e io non so che
fare, perché è tornata e lui è felice,
e io voglio
che sia felice lui, non io, ma non riesco ad esserlo nel vederlo ridere
e la cosa mi lacera, e più di tutto ho paura,
perché ora
che è tornata starà solo con lei e
cesserò di
esistere, e anche se esisterò non sarà
più come
prima, e cazzo, ho un fiume in piena nel cervello, mi sento travolgere
e trascinare e non riesco a far nulla. Non riesco a far nulla neppure
quando Alex mi si appalesa alle spalle e mi abbraccia, neppure quando
lei si avvicina a noi e lui le fa segno di andar via - rimango come
sono e tremo, tremo da morire, finché lui non mi tira su di
peso
e mi sistema premurosamente sul suo grembo, avvolgendomi con le braccia
e posando il viso sulla mia spalla. Vorrei guardarlo ma non ce la
faccio, fa male, e nel frattempo mi sento bruciare ovunque, senza
sapere se è colpa della birra o dell'amore. Alex mi mette
una
mano sulla fronte e non riesco a vedere la sua espressione, ma so di
essere piuttosto pallido.
«Ti porto a
casa Jack» dice immediatamente, sfilandosi il giacchetto e
posandomelo in fretta sulle spalle,
cerca di farmi alzare ma invece di mettermi in piedi scoppio a piangere
e lo mando nel panico - comincia ad accarezzarmi il braccio ma
più mi tocca più i singhiozzi diventano forti,
percepisco
la paura nelle sue dita.
«Jack, calmo,
va tutto bene» farfuglia, inginocchiandosi davanti a me e
stringendomi la testa contro il petto «ora ce ne andiamo
okay? Va tutto bene, si sistemerà tutto te lo giuro, va
tutto bene». Continuo a singhiozzare disperatamente per un
altro paio di minuti, mentre lui cerca
di calmarmi e mi stringe il più forte possibile, poi a un
certo
punto mi fermo e mi ricompongo, smettendo di tremare. Alex mi guarda
ancora più spaventato e mi porta una mano sul collo, come a
controllare che sia ancora vivo, e non trattiene un sospiro di sollievo
nel sentire il battito, impazzato che sia. Mi stringe la testa contro
il suo petto ancora più forte e mi bacia la nuca, poi si
stacca
e mi tira su con sé, passandosi il mio braccio sinistro
attorno
al collo e sistemandomi saldamente una mano sull'anca destra.
«Va tutto
bene, okay Jack? Ti sto portando a casa»
dice voltandosi verso di me, io annuisco flebilmente e comincia a
camminare lentamente verso l'uscita, sorreggendomi. Scorge il profilo
di Zack e devia verso di lui, facendolo voltare.
«Zack, quanto
ha
bevuto?» chiede, lanciandomi un'occhiata di preoccupato
rimprovero. Guardo dall'altra parte e poi abbasso lo sguardo,
respirando silenziosamente. Zack scruta le mie occhiaie e deglutisce,
poi scuote la testa.
«Quando stava
con
me due bottiglie e mezzo al massimo, ma ha mangiato»
risponde, e
sento lo sguardo di entrambi premermi contro. C'è un attimo
di
silenzio e so che Alex è incazzato, quindi riapro gli occhi
e li
fisso su Zack, pregandolo tacitamente. Lui capisce, respira
sonoramente, s'inumidisce le labbra e si scompiglia i capelli.
«Senti, era
con me, avrei dovuto tenerlo d'occhio io» dice «lo
riporto io a casa. Tu rimani pure, c'è una ragazza che non
fa
altro che girare chiamandoti, forse è il caso che tu vada da
lei
piuttosto. Tanto stavo per andarmene, non mi costa nulla allungare di
qualche chilometro e lasciarlo a casa». Lo guarda arcuando le
sopracciglia e lo guardo anch'io, Alex sembra ragionarci ma poi scuote
violentemente la testa.
«No, no non
se ne parla» nega «l'ho trascinato qui io ed
è giusto che ora stia con lui».
Abbasso lo sguardo, mi
sento sempre più debole. Zack mi guarda apprensivo e lo
prego di nuovo, ma stavolta esita.
«Dico
davvero,
sembra una pazza, forse è davvero il caso che tu vada a
cercarla. Resto io con Jack, torniamo a casa, se necessario vomitiamo e
poi andiamo a dormire; non è un problema. Non guastarti la
festa» insiste.
«Guardalo in
faccia e dimmi che posso non preoccuparmi» ribatte Alex,
guardandomi in preda all'ansia «è gentile da parte
tua ma non posso lasciarlo solo, se sta così è
anche colpa mia».
Zack è
costretto ad annuire, io deglutisco. Non avevo pensato sarebbe successa
una cosa del genere.
«Dico agli
altri
che ce ne andiamo e ci avviamo, okay?» mi avverte abbozzando
un
sorriso, poi chiede un attimo a Zack di sorreggermi e corre ad
avvertire gli altri, probabilmente solo Noel e Ri. Zack rimane in
silenzio per un po', poi si passa una mano sulla faccia e s'inumidisce
nuovamente le labbra, guardando l'orizzonte.
«Era questo
il tuo piano?» chiede. Mi vergogno come un cane.
«No»
soffio flebilmente «non avevo nessun piano. Non mi era mai
successo».
«Seriamente,
quanto hai bevuto?» insiste.
«Due e mezzo,
massimo tre. Non progettavo nulla, davvero». Lo guardo e
deglutisce davanti al mio pallore.
«Sarà
ma è un bel casino» commenta «sembri sul
punto di tirare le cuoia».
«A volte lo
spero tanto» mormoro. Zack pianta gli occhi nei miei e non
riesco a sorreggere il suo sguardo.
«Dici che
Alex mi odia?» domando, sospirando rassegnatamente.
«No, non
credo proprio» sospira a sua volta «ti
vuole un bene dell'anima, è solo preoccupato. Solo che se
stavolta non è riuscito ad arrivare fino in fondo con quella
ragazza, non illuderti che la prossima volta la cosa si
ripeta».
«Già,
lo so...» mormoro, le palpebre improvvisamente di cemento
«vedo tutto sfocato».
«Fra poco
sarai a
letto a dormire, non preoccuparti» sorride con dolcezza,
spostandomi delicatamente una ciocca dalla fronte e sistemandomela
dietro l'orecchio «Cristo santo, sembri un cadavere ma sudi
come un maiale».
Qualche minuto dopo
Alex è di ritorno, si riavvolge il mio braccio attorno al
collo e mi sorride affettuosamente.
«Ora ti porto
a
casa Jack, va tutto bene» mi dice, poi cominciamo ad
avviarci.
Ringrazio solo che abita così vicino.
Quando mi risveglio
sono sul divano con una coperta di pile addosso e
una busta del ghiaccio sulla testa, accerchiato da un paio di cuscini,
un termometro e una scatola di fazzoletti. Pensavo che mi avrebbe
pulsato terribilmente la testa, ma stranamente la birra non mi ha dato
problemi, quindi riesco a ragionare abbastanza lucidamente. Sento delle
voci ovattate provenire dalla cucina, una è sicuramente
quella
di Alex. Sono tentato dall'alzarmi e raggiungerlo di là, poi
mi
ricordo che gli ho rovinato la serata e lascio perdere, probabilmente
non vuole vedermi.
«E ora cosa
conti di fare?» dice una voce che non coincide con quella di
Isobel.
«Non lo so,
ma così non può più andare»
risponde Alex.
Improvvisamente la
paura prende il sopravvento e realizzo che avevo ragione, lui qualcosa
sa.
«Sono
d'accordo ma non puoi parlargliene così all'improvviso,
rischi di rovinare il vostro rapporto» obietta.
Il cuore smette di
battermi e la cassa toracica mi si restringe fino a togliermi il
respiro. Sa che mi piace.
«Cosa dovrei
fare allora? Ho aspettato il più possibile ma le cose non
sono migliorate affatto» ribatte.
«Io... hai
ragione, solo che non mi sembra il momento adatto. Voglio dire, hai
visto come sta, no?»
«Posso anche
aspettare a farlo, ma alla fine l'effetto sarà sempre lo
stesso» le fa notare.
Oddio, vuole dirmi che
nonostante tutto non mi ricambia.
«Lo so, ma
adesso ha bisogno di te come non mai, Alex».
«Oh andiamo
Lisa,
non è questo il punto. Anch'io ho bisogno di lui, ma prima
di
tutto ho bisogno di sapere che possiamo davvero fidarci l'uno
dell'altro, e se non ne parliamo non potrò mai davvero
mettermi
l'anima in pace». Sembra stanco oltre ogni dire, non riesco a
non
odiarmi per avergli rovinato anche questa giornata. Gli occhi mi si
riempiono di lacrime ma cerco di ricacciarle indietro a forza, mi tiro
a sedere e mi tolgo la borsa del ghiaccio dalla testa, lasciandogliela
sul tavolino. Non voglio continuare a fare il peso, è meglio
se
torno a casa e lo lascio vivere. Mi tolgo di dosso la sua felpa, la
piego e la sistemo ai piedi del divano, mi metto in piedi e vengo
accolto da un capogiro improvviso. Aspetto che passi, stringo i denti e
vacillo fino alla porta - le voci dalla cucina si sono abbassate
ancora, ma dal tono che riesco a recepire capisco che non è
una
chiacchierata rose e fiori -, appoggio la mano sulla maniglia e apro la
porta. Mi accoglie una ventata di aria fresca e mio malgrado
rabbrividisco, ma non voglio ripensarci e mi richiudo silenziosamente
la porta alle spalle, poi prendo un respiro profondo e arranco verso
casa mia. Dev'essere ancora piuttosto presto, perché sento
gli
schiamazzi della festa e almeno quindici finestre hanno la luce accesa,
ma per strada ho la fortuna di non incontrare nessuno. Mi sento la
testa leggera e il corpo pesante, sono a metà strada quando
tutto si spegne. All'inizio sento un freddo terribile avvolgermi e
chiudermi nella sua morsa, poi più niente. Grazie.
«Jack!
Jack!»
Alex mi sta chiamando e apro gli occhi a fatica, indolenzito. Si piega
su di me e mi tira su il torace, guardandomi terrorizzato «Si
può sapere che cazzo ti passa per la testa? Che cazzo stai
facendo?»
Una ragazza si avvicina
ma non riesco a metterla bene a fuoco, anche se
credo sia Lisa. Ha l'aria spaventata quando si china sul marciapiede e
incontra il mio sguardo vago, ma forse è un'impressione.
«Aiutami a
portarlo dentro, ha le labbra blu» sento esclamare Alex, che
nel
frattempo mi ha caricato sulla schiena e ha cominciato a correre verso
casa «porca miseria Jack, saresti potuto morire assiderato,
te ne rendi conto?»
Chiudo gli occhi,
tenerli aperti mi costa un'energia indicibile. «Non voglio
essere un peso» mugolo.
«Tu non sei
affatto un peso Jack, che diavolo ti viene in mente?» esclama.
«Ti ho
sentito prima» mormoro, le parole escono lentamente
«non voglio rovinare il nostro rapporto».
Alex trasale ma prima
che possa dirmi qualcosa chiudo un'altra volta gli occhi e mi
riaddormento, distrutto.
Stavolta quando mi
sveglio sono le quattro del mattino e sono nel letto
di Alex, con la borsa dell'acqua calda fra le gambe e il busto cinto
dalle sue braccia. A fatica noto che questa non è la
maglietta
con cui sono uscito e avvampo nel pensare ad Alex che mi spoglia e mi
riveste, poi il ricordo della chiacchierata fra lui e la ragazza mi
colpisce e rimango immobile ad assorbire il fatto, conscio che questa
potrebbe essere l'ultima notte in cui dormiamo insieme. Lo stomaco mi
si arriccia e cerco di mandar giù il groppo che mi si
è
venuto a creare in gola, ma non riesco a sentirmi meglio. Mi tiro su
coi gomiti e noto un'altra sagoma, dall'altra parte della stanza. Lisa.
Dorme nel letto che Isobel ha preparato per me, quindi Alex ha
preferito di concedermi un'ultima notte felice prima di mettere le cose
in chiaro fra di noi. Mio malgrado non riesco a non sorridere della sua
gentilezza, mi rimetto giù e mi addormento fra le sue
braccia.
Fosse anche l'ultima
volta, ma sono felice.
Mi risveglio per
l'ultima volta quest'oggi che sono le nove del mattino
e la luce del sole filtra nella camera. Lisa se n'è
già
andata - se a fare colazione o proprio del tutto non ne ho idea,
però riesco a vedere che il suo letto è vuoto -
mentre
Alex è ancora a letto accanto a me, il viso illuminato da un
raggio e i capelli scompigliati dal sonno. So che è sveglio.
«Ehi»
lo saluto con un tono da scuse.
«Ehi»
ribatte, posando lo sguardo su di me. «Stai meglio?»
«Scusa per
ieri» mormoro «non volevo rovinare niente. Sono un
coglione».
«Avresti
potuto
evitare di scappare di casa a maniche corte e in preda alla febbre a
mezzanotte meno venti, quello sì, ma non hai rovinato
nulla» ribatte dolcemente «stavi male, portarti a
casa e metterti a letto era il minimo».
«Però
così non può più andare»
concludo, le parole
mi mozzano il fiato. Alex deglutisce e abbassa lo sguardo.
«Vedi,
è che...» esita qualche
secondo, come a sciogliere le parole «a me piace starti
accanto e
mi fa sentir bene svegliarmi la mattina e vederti dormire al mio
fianco, ma allo stesso tempo mi fa morire dentro sempre di
più». Tace e io vorrei solo scoppiare a piangere -
so
benissimo dove vuole arrivare ma ho paura di sentirglielo dire.
«Non
sei tu il problema, dio solo sa quanto non lo sei, ma io non... non
riesco più ad andare avanti così. Fa troppo
male».
Respira a lungo prima di continuare, mi viene da pensare che forse
è il mio turno di aprir bocca ma prima che possa farlo
riprende
e s'inumidisce le labbra. «A
volte mi sveglio e penso 'fanculo tutto, posso benissimo continuare in
questo modo', ma ci sono giorni in cui apro gli occhi e cade tutto a
pezzi, e io non sono abbastanza forte da piegarmi e raccogliere i
cocci. E so che non è la cosa giusta da dire o da fare
perché hai i tuoi casini e sono mille volte peggio di quello
che
sto passando io, ma non ce la faccio davvero a tenermi tutto dentro.
Più vado avanti e più le cose diventano serie,
più
siamo vicini più mi sembra che sia la cosa sbagliata, e non
è giusto perché sei il mio migliore amico e
significhi
così maledettamente tanto per me e io non... non... non
riesco
ad andare avanti. Significhi l'universo per me, eppure ogni volta
c'è questa cosa che mi blocca, che m'impedisce di essere me
stesso fino in fondo, e mi distrugge, perché il nostro
rapporto
si è sempre basato sulla sincerità completa e ora
non ci
riesco più, e so che è la cosa sbagliata ed
è
tutta colpa mia. Mi sveglio la mattina, ti guardo e ho questa
consapevolezza dentro al petto, e più i giorni passano
più non so come dovrei comportarmi, e più la
ignoro
più è difficile andare avanti ed è
così,
così... indescrivibile, pesante, mi si piazza addosso e non
riesco a pensare, parlare o fare niente, e l'unico modo di uscirne
è parlarne con te, ma così rischio tutto per
qualcosa che
non so neanche quanto possa aiutarmi e io.. io non so più
che
fare. Sei il mio universo e ti stai richiudendo su di me, qualunque
cosa io faccia, e ho paura che non ci sia una vera via d'uscita se non
la cosa che più mi spaventa al mondo, e non voglio arrivare
a
quello. Non voglio perderti, non sopravviverei. Vorrei solo che tutto
tornasse come prima e che tutto questo non fosse mai accaduto,
così saremmo gli amici di sempre con i problemi di sempre, e
ora
io non dovrei esser qui a parlarti di una cosa che mi lascia
completamente spiazzato e lacerato dentro e che ho paura mi
porterò dietro per sempre». Fa una pausa per
annaspare
alla ricerca di un po' d'aria, si morde le labbra. «Io
non... non so come dirtelo, non so come dirmelo, non ho la minima idea
di cosa fare, ma ogni giorno che passa vedo che questa cosa diventa
più forte, e ho paura di essere arrivato a un punto in cui
non
posso più combatterla. È troppo per me, non ce la
faccio
davvero. E so che non è colpa tua, come del resto non
è
colpa di nessuno, solo che non so più come fare, ma le cose
non
possono andare avanti così, io non... devono
cambiare».
Stavolta tace a lungo
anche se vedo che cerca le parole, e il suo sguardo è un
misto di paura, ansia e dolore.
«Io...
eliminerò tutto alla radice, vedrai» mormoro
«ma ho bisogno che tu mi perdoni un'ultima cosa».
Ho capito dove vuole
andare a parare, ormai non ho più nulla da perdere. Ho perso
lui.
Mi giro verso il suo
viso, metto via la mia parte razionale e lo bacio.
Così, senza aggiungere altro o guardarlo negli occhi, una
mano
sul cuscino e l'altra sul materasso accanto al mio bacino - poggio le
labbra sulle sue e lo bacio, dimenticando il resto. Non so se per lo
stupore, per lasciarmi un bel ricordo di lui o perché lo
vuole
davvero, ma schiude le labbra e lascia che le nostre lingue
s'incontrino e si riconoscano, e per la manciata di secondi
più
belli della mia vita mi asseconda e lascia che la sua bocca diventi la
mia, mentre il mio cuore batte come non ha mai fatto prima e tutto
perde significato. Quando mi stacco apro gli occhi e incontro il suo
sguardo, ma ne scappo subito.
Non dice niente, si
accoccola contro il mio petto e porta la mano all'altezza del mio
cuore, poi mi guarda.
«Rifallo»
mormora. Gli passo una mano dietro al collo e lo avvicino a me, ma
stavolta partecipa anche lui al bacio, mi divora le labbra e mi
tranquillizza i sensi, mentre io divento un'insieme di esplosioni e
reazioni chimiche troppo fuori controllo per essere calmate. Si stacca
dopo un po', e so che stavolta devo guardarlo per forza.
«Credo di
star per
piangere» soffia, posa di nuovo il viso contro il mio petto e
sento due gocce bagnarmi, seguite da altre due e due ancora. Rimaniamo
lì così, lui che piange in silenzio e io che
fisso il
muro, senza riuscire a realizzare niente di quello che è
successo, e per un po' nessuno parla, il silenzio rotto solo dai nostri
respiri. Ho baciato il ragazzo della mia vita, lui mi ha chiesto di
rifarlo e ora piange, e non sono sicuro del perché.
«Alex, io...
Scusa» mormoro, le lacrime che mi offuscano la vista. «Ho rovinato tutto.
Ti prego, non odiarmi».
Alza il viso dal mio
petto, mi guarda e mi sorride come non faceva da anni, mentre due
lacrime gli rotolano lungo le guance. «Jack, sei la cosa
più bella che potesse capitarmi» dice, e sento che
è sincero.
Strizzo le palpebre e
lascio che la cosa mi avvolga, piangendo sofficemente, lui mi stringe e
mi bagna il braccio.
«Alex, ti amo
da
morire» dico passandomi una mano sul viso, lui non risponde
ma lo
sento sorridere, e per la prima volta da tanto tempo sono felice per
davvero, in ogni angolo del mio essere. Stringo Alex a me con una mano
e con l'altra mi asciugo inutilmente gli occhi, deglutendo per
calmarmi, e mi sembra improvvisamente tutto così radioso e
pieno
di gioia che non riesco a non scoppiare a ridere. Piangendo, stretto al
ragazzo della mia vita, rido e tremo, e tutto ciò che ci
circonda mi sembra la cosa più bella del pianeta, bella
quasi
quanto lui.
«Barakitty»
mormora, e io lo guardo «senza
di te non sopravviverei». Sorride e mi bacia, in un attimo
che
registro come il nostro primo vero bacio, e se il tempo si è
mai
fermato davvero, dev'essere successo in questo istante.
Rompiamo il
bacio quando qualcuno bussa alla porta - facciamo appena in tempo a
separarci che entra una ragazza.
«Noel?»
suppongo, senza riconoscere i capelli castani fermati da un cappello.
«Maddai,
conosci
il mio secondo nome?» si stupisce lei con una risata, mentre
Alex
si alza e mi lascia a letto da solo, stropicciandosi decisamente gli
occhi con le mani per nasconderle i segni del pianto e fingere che vada
tutto bene.
«Ma che cosa,
non capisco» farfuglio aggrottando le sopracciglia, lei passa
il cappello ad Alex e torna a guardarmi.
«Ma come, non
mi
riconosci? Okay che mi sono tinta i capelli, ma non mi sono trasferita
da neanche sei mesi e la mia faccia e la mia voce sono rimaste le
stesse» finge di offendersi, mi si accende una lampadina in
testa
e sussulto.
«Lisa»
boccheggio, sgranando gli occhi «non ci credo, ti prego dimmi
che non sto sognando».
«Sei bell'e
sveglio Barakat, mi dispiace per te» ride «e hai
più che bisogno di rimediare alla gaffe il più
presto possibile».
«Aspetta, eri
tu con cui--» ricollego la sua faccia a ieri sera e trasalgo
«ommioddio».
«Già,
ommioddio» commenta lei con un sorriso «non ti
è bastato sentirti male e scappare da casa per
evitarmi».
«Ommioddio,
non ci credo» ripeto «vi prego ditemi che
ieri non ho interrotto niente».
Alex mi guarda con una
faccia divertita da 'che cosa vuoi aver interrotto?', Lisa scoppia a
ridere.
«Certo che
sei
proprio lento di comprendonio» soffia, poi frega un'altra
volta
il cappello ad Alex e torna verso la porta.
«Ero venuta a
dirvi che Isobel vi vieta di portare altre ragazze a dormire dopo le
feste se lei non è a casa e non offrite loro la camera degli
ospiti, e che la colazione è pronta; se siete interessati
sapete
dove trovarla» ride, poi esce e se ne va. Resto a guardare la
porta decisamente spaesato, Alex abbozza un sorriso e si siede sulle
mie gambe incrociate, prendendomi le mani fra le sue.
«Quindi
quello di ieri non era un appuntamento?» chiedo.
«No»
sorride, guardandomi negli occhi. Mormoro un 'oh' e deglutisco.
«Allora devo
scusarmi due volte» dico «ho bevuto
perché non riuscivo a vedervi ridere».
«Non fa
niente» ribatte «io mi sono messo con un sacco di
ragazze diverse per ingelosirti».
«Vuoi dire
che non ti piaceva Syv?» chiedo.
«Sì
che mi piaceva, ma come amica» precisa «non
c'è mai stato niente di fisico fra noi. Solo quando ero
ubriaco».
Abbozza un sorriso.
«Peccato che non sembrassi mai geloso».
«Lo
ero» ammetto «ma non avrei mai pensato di poterti
fare ingelosire». Sorride.
«E io invece
non
riuscivo a guardarti chiacchierare con nessuno. Però con
Nick ti
ci vedo bene davvero» scherza.
«Passo oltre
solo perché ora non potrà più girarmi
attorno» ribatto.
«E
perché non dovrebbe?» domanda, baciandomi a stampo.
«Perché
sennò Alex, meglio conosciuto come Abbie, gli
spaccherà
il culo» rispondo fra un bacio e l'altro.
«Whoa, frena,
perché dovrei farlo?» ride «io sono per
la pace».
«Perché
altrimenti Jean cederà alle avances di Lauren»
rispondo, ricattandolo «Seriamente, non ti dà
fastidio che mi stia sempre attaccato? Io m'incazzerei come una
bestia».
«Visto quanto
ti sta simpatico non vedo perché dovrei considerarlo un
rivale» dice, baciandomi.
«Tu
allontanalo e basta, il perché non ha importanza»
taglio corto, lui ride e poi tace.
«Fallo di
nuovo» mormora, io sorrido e vengo accolto dalle sue labbra
schiuse. Lisa apre la porta con un 'avete tutto il giorno per
amoreggiare, venite a far colazione' e Alex le lancia un libro, ridendo
senza staccarsi da me. Lei evita il lancio socchiudendo la porta e
ride, ma poi la riapre e vi si appoggia.
«Seriamente
ragà, Isobel si sta scazzando» insiste divertita
«fareste
meglio a scendere prima che salga lei a prendervi a calci in
culo». Rimette la mano sul pomello e fa per andarsene, poi si
rigira verso di noi. «Jack,
dammi retta e cambia maglietta, quella macchia umida sembra molto
equivoca». Stavolta sono io a lanciarle un libro, ma lei ride
comunque.
«Dai, avete
cinque minuti contati» ci sollecita «vi aspettiamo
in giardino».
Se ne va per davvero e
rimaniamo a fissare la porta divertiti, poi Alex mi prende il viso fra
le mani e mi bacia a stampo.
«Forza,
andiamo a cambiarci» dice, alzandosi e trascinandomi per il
braccio «non voglio rovinarmi la giornata».
Fruga nell'armadio e mi
lancia una maglietta, quindi ne prende una per
sé e se la infila velocemente, raccogliendo poi i pantaloni
da
terra; io mi metto i miei jeans e lo osservo cercare di darsi una
sistemata ai capelli, poi si arrende e mi fa cenno di scendere
giù per le scale. Arrivati in salotto l'eco di qualche
risata ci
raggiunge, accompagnato da quello di un cucchiaino che sbatte contro un
piatto, e nell'uscire in giardino la prima immagine che ci accoglie
è la tavola imbandita su cui fanno colazione le due donne,
una
col cappello e l'altra coi capelli legati.
«Alla
buon'ora!» esclama Lisa, esasperata «ancora un po'
e mi sarebbe cresciuta la barba!»
«Mi
sembra di conoscerla quella maglietta» scherza invece Isobel
mentre mi siedo davanti a lei «anche
se forse sta meglio a te che a Alex». Alex le fa la
linguaccia e
lei ricambia, passandogli la bottiglia del latte. «Avete
visto che giornata meravigliosa? Per fortuna il freddo di ieri sera
è durato appunto solo ieri sera».
«Sei passata
al forno stamattina?» domanda Alex, sporgendosi verso il cibo.
«Era tutto
chiuso, è inutile che cerchi i dolci» risponde
«però
se proprio vuoi c'è una torta a raffreddare giù
in
cucina, se è vado a prenderla. Voi ragazzi ne volete un
po'?»
«Be' oddio,
se proprio insisti» commenta felice Lisa «ti aiuto
a portarla qui?»
«Massì
dai, un po' di supporto morale non fa mai male» accetta
alzandosi da tavola «così porti la
panna».
Le due si allontanano e
la sensazione è che abbiano voluto
lasciarci da soli apposta, ma la cosa non mi dispiace affatto. Vedo che
Alex mi sorride e arrossisco, ricambiando impacciatamente, poi un
'oplà' ci annuncia l'arrivo della torta.
«Et
voilà» gioisce Isobel con soddisfazione,
spostandosi a
destra del suo capolavoro e tirando via il panno che ricopre una
scritta 'Jack + Alex', contorniata da un
enorme cuore di glassa al
cioccolato. Sgraniamo entrambi gli occhi ed esclamiamo all'unisono
'Isobel!' e 'mamma!', arrossendo. Lei sbuffa e si sposta una ciocca
dietro l'orecchio.
«Ammazza
quanto siete noiosi» commenta imbronciata mettendosi le mani
sui fianchi e inclinando la testa «ve
l'ho detto, mancate di avventura». Alex la guarda storto, io
abbasso lo sguardo perché la situazione m'imbarazza troppo.
«Non venitemi a dire che non è un'idea carina,
avanti» esclama quindi recuperando il sorriso «il
mio spirito avventuroso rimedia al vostro troppo pudico!»
«Vado a
sotterrarmi» commenta Alex prendendosi la testa fra le dita.
«Ah, ah, ah,
ma
come sei simpatico. Almeno quando ho avuto la mia avventura lesbo io
non c'ho messo tre anni a dichiararmi» ribatte lei facendogli
la
linguaccia, poi cambia tono «qualcuno vuole una fetta di
torta?»
Alex ripete un paio di
volte 'perché a me?', ma per non saper
né leggere né scrivere io una fetta la prendo
volentieri.
«Ecco, bravo
Jack che mi dà soddisfazione» esclama passandomi
il pezzo con su scritto 'Alex' «e tu Lisa?»
«Giusto un
assaggio, sono a dieta» risponde, sorridendo ma facendo cenno
di no con la mano.
«Ragazzi,
siete di una mosceria esemplare» sospira Isobel, addolorata
«ma che v'insegnano a scuola oggigiorno?»
«A non
diventare come te» risponde Alex, a cui lei ha appena passato
un piatto, e suo malgrado Isobel ride.
«Ragazzi,
sono
felice di non far parte della vostra generazione; ho paura mi annoierei
a morte» scherza. Poi si ferma a contemplarci e noi
ricambiamo lo
sguardo, bloccandoci nel bel mezzo delle nostre azioni - Alex che
giocherella col cibo, Lisa che sorride e io a bocca aperta con la
forchetta a mezz'aria - e lei ride.
«Siete
tremendi» commenta, e io riprendo a mangiare.
«Buona»
esordisco dopo un po', lei ferma la forchetta e la rimette nel piatto,
soddisfatta.
«Ohh,
finalmente qualcuno che mi apprezza!» esclama, io
arrossisco «comunque
ha chiamato Joyce, dice che sarà di ritorno
questo pomeriggio e che passerà a prenderti verso le tre e
mezza
quattro, quindi fatti trovare pronto».
Ci rimango male e dalla
sua faccia direi che pure Alex non è tanto contento.
«Dice che se
vuoi andare pure tu, sei il benvenuto» si rivolge al
figlio «e
in effetti mi pare una buona idea, una serata di
tranquillità e
relax non mi farebbe schifo per niente dopo questa settimana
allucinante». Alex sorride tanto.
«Dio, si vede
lontano un miglio che vi piacete» miagola prendendosi il viso
fra le mani «era ora che vi decideste».
«Sì,
grazie per la torta mamma» ribatte imbarazzato Alex alzandosi
da tavola «io
avrei da fare, ci vediamo quando ci vediamo, ciao ciao»
insiste,
andandosene senza rivolgerci le spalle fino all'ultimo. Quando se
n'è andato, Isobel ride.
«Oddio, vista
la reazione potrei prenderlo in giro per sempre» commenta
scuotendo la testa, poi mi guarda e indica la porta con un cenno del
capo, sorridendo «avanti, vai, aspetta solo te».
Guardo lei, Lisa e poi
la porta, afferro il piatto e mi affretto a
raggiungerlo. Finisco la torta per le scale e lascio piatto e forchetta
sul mobile fuori da camera sua, socchiudo la porta e lo trovo in piedi
davanti all'armadio aperto.
«Ecco dov'era
finita» mormoro notando la mia maglia dei Blink.
«La
rivuoi?» domanda, prendendola e passandomela.
«Preferisco
ce l'abbia tu» scuoto la testa, lui sorride e la rimette
dentro.
«Mia madre
è una pazza, ma in effetti avrei potuto farmi avanti mesi
fa» mormora.
«Averti ora
non mi fa schifo per niente» ribatto, lui si alza e mi
sorride, guardandomi negli occhi.
«Se mai
dovessi andartene, sappi che ti rincorrerei e ti riporterei
indietro» mi quota.
«Perché
senza di te non sopravviverei» concludo. Finiamo di guardarci
e
lo stringo, affondando il viso nella sua spalla.
«Ti amo
Jack» sussurra, ci stacchiamo e mi guarda di nuovo.
Mi prende il braccio, mi accarezza dolcemente i tagli e
sorride «riempiremo tutto questo vuoto e vinceremo
questa battaglia insieme, okay?»
Annuisco e mi sento il
petto esplodere di gioia. «Ripetilo»
soffio.
«Ti amo Jack.
Ti amo come nessun'altra cosa al mondo» mormora, mi passa una
mano dietro al collo e mi bacia.
Mi bacia, e io mi sento
la persona più importante del mondo. Tra
le braccia del ragazzo della mia vita, respiro e scoppio a piangere, e
divento la persona più importante del mondo per davvero,
mentre
tutto il resto perde di significato. Tra le braccia del ragazzo della
mia vita, tremo, chiudo gli occhi e mi sento un oceano, e ritrovo in
lui l'unica barca in grado di solcarmi e non venir ferita. Tremo, e
niente importa più, e la sua pelle chiara diventa il faro di
cui
ho sempre avuto bisogno, che mi accarezza e mi ricorda che posso
farcela, non sono uno spreco di tempo. Tremo, e sento il mio amore per
lui non finire mai, e in un attimo realizzo che non è
necessario
che il tempo si fermi davvero perché le cose rimangano
così per sempre, ma che c'è un universo a parte
che ci
circonda e accada quel che accada, saremo infiniti per
l'eternità. Tra le sue braccia vivo e muoio, eppure
esisterò per sempre, e quest'universo non
sbiadirà mai.
Diventeremo il cielo e la terra e resteremo abbracciati all'infinito, a
scambiarci messaggi d'amore e di speranza che nessun altro
potrà
captare ma che tutti sentiranno dentro, e così come le
foglie
cambiano colore, il nostro amore si farà più
intenso e
vivo, e il nostro ricordo vivrà per sempre negli occhi l'uno
dell'altro. E mentre tutti cercano il loro per sempre e non si godono
il presente, noi vivremo proiettati in uno spazio tutto nostro, dove il
tempo non conterà niente e girerà tutto attorno
ai nostri
tocchi e ai nostri pensieri, e più cercheranno di capirci
più ci avvolgeremo l'uno dentro l'altro e scompariremo nel
profumo dell'altro, in una danza infinita, sempre uguale e sempre
diversa; e quando gli altri si stuferanno di cercare di scoprire il
nostro punto debole, ci accasceremo su un mare di spartiti e ci
guarderemo negli occhi, e scoppieremo a ridere al pensiero di tutti
quelli che non sono in grado di vedere nella loro metà il
presente, il futuro e il passato, lo spazio e l'oceano, la musica e il
tremore, il respiro e la gioia; ci tenderemo la mano senza dire una
parola e la stringeremo con tutta la delicatezza che ci sarà
possibile, chiuderemo gli occhi e saremo nel sogno, in una
realtà dove non esiste null'altro che una lenta e dolce
melodia
arcana, ci stringeremo l'uno all'altro e balleremo fino a crollare per
la stanchezza, riducendoci a un fragile mucchio di baci e sospiri
portati via dal vento. Tra le sue braccia tutti gli universi nascono e
vivono, e con loro nasciamo e viviamo anche noi, morendo solo per
rinascere su un'altra stella, sempre incastrati l'uno all'altro, e
rinasceremo l'ultima volta come due sprazzi di energia, destinati a
rincorrersi e acchiapparsi fino alla fine dei tempi, in un arcobaleno
illuminato da colori mai scoperti e brividi mai provati, e quando
finalmente ci abbracceremo per l'ultima volta tutto si farà
chiaro e diventeremo una cosa sola, chiusi nel guscio di una goccia
d'acqua. Qualcuno si fermerà e ci osserverà, poi
se ne
andrà con l'impressione di aver sentito una melodia
sconosciuta,
stranamente dolce e lenta, e quando arriverà a casa
abbraccerà la sua metà, la bacerà e
non ci
penserà più, mentre lei giurerà
stranamente di
aver sentito una musica avvolgerle il petto e rischiararle la mente, e
comincerà a ballare e lo prenderà per la mano,
perdendosi
in piroette infinite e promesse taciute, e in quella frazione di
secondo in cui in tutti e due risuonerà la nostra melodia,
la
scintilla si riaccenderà e noi torneremo a rincorrerci,
nascondendoci nel vento e negli steli del fiori che ondeggiano sotto la
pioggia, piegati da quell'improvvisa ondata di musicalità e
luce, e tutto ciò che toccheremo comincerà a
cantare,
perdendosi in balli, sorrisi e frasi cominciate e mai finite, e tutto
ciò che riusciremo a dire sarà che ci amiamo, e
come una
stella che muore ci romperemo in mille pezzi e finiremo in ogni angolo
di mondo, senza mai separarci e lasciarci la mano.
Rinasceremo uno
dentro l'altro, una, due, infinite volte, e tutto ciò di cui
avremo mai bisogno sarà il tocco dell'altro, e nel momento
stesso in cui le nostre dita si riconosceranno fra mille, l'universo si
sarà fermato e avrà cominciato a ruotare
attorno a
noi, dando vita a tante altre piccole lamelle di luce, che a loro volta
salveranno persone e creeranno universi, e tutto ciò che
servirà a mandarli avanti sarà l'amore, e il
nostro
incontro è fuoco, amore mio, fuoco e speranza,
perché fra
noi nulla si scioglierà mai. Bruceremo all'infinito e
diventeremo cenere solo per dar vita e sostenere nuovi amori, e vivremo
e nasceremo all'infinito, per poi riaprire gli occhi e ritrovarci in
piedi nella nostra camera, mano nella mano, circondati dal mondo e
lontani da tutti, e guardandoci negli occhi non avremo bisogno di dirci
nulla, ci abbracceremo e ci salveremo ancora una volta, senza che
nessuno ci capisca mai. Tra le braccia di Alex tutto esiste e niente
importa, e attorno a noi si creano oceani di possibilità e
sfumature, e quando all'improvviso l'odore di salsedine
arriverà a stuzzicarci le narici ci guarderemo negli occhi e
ci scopriremo a casa, circondati dagli 'oh' degli altri, che per quanto
ci provino non capiranno mai quello schizzo di colore nelle strade e
quella punta di elettricità attorno a Baltimora, e mentre
loro si gratteranno le teste noi ci affretteremo nei sottopassaggi e
ruoteremo su noi stessi con le braccia al cielo, sfrecciando man mano
più veloci per ogni trillo di bicicletta e stella cadente
che percepiremo, e mentre il sole si tufferà nel cemento, ci
lasceremo cadere sulle tegole del tetto e ci ritroveremo nel sogno, a
dipingere buone azioni e colorare abbracci, per poi riaprire gli occhi
solo per scoprire che le pareti attorno a noi non sono mai state
così vive e pronte a sostenerci. Perché fra le
sue braccia, tutto nasce, si sviluppa e finisce, ma come ogni certezza
il nostro amore sarà l'eccezione che conferma la regola, e
mentre appassiremo l'uno negli occhi dell'altro, le luci esploderanno
una dopo l'altra in mille farfalle e fiammelle e avvolgeranno l'anima
di tutti in un manto di cotone e nuvole, trasportandoli in alto,
lontano dai loro problemi. E quando tutti apriranno i loro occhi per
davvero, sarà quando ci dissolveremo in uno stormo di
colombe e raggiungeremo la nostra vera libertà, librandoci
nell'infinito senza più dover tornare, tornando ad essere
l'energia primordiale che ha cominciato tutto e ci ha fatti conoscere.
Ma per ora siamo ancora
solo Jack e Alex, e tutto ciò a cui riesco a pensare
è che lo amo, e lo amerò sempre. Dal suo respiro
sento che per lui è lo stesso e mi basta per essere felice.
Jack e Alex, Alex e Jack - due nomi creati apposta per completarsi e
incastrarsi in modi sempre nuovi, per due persone che ora che si sono
trovate non usciranno più l'una dagli occhi dell'altra.
Potrei chiedere di più?
Forse un'altra fetta di
torta, ma non si può aver tutto dalla vita suppongo. Per ora
ho il ragazzo della mia esistenza, e direi che mi basta. Non sarebbe
potuta andarmi meglio. Gli passo le mani sulle guance e mi sorride.
«I won't let
this memory fade away». Lo stringo e chiudo gli occhi. Il
viaggio è appena iniziato, ma so che, nel bene e nel male,
saremo sempre una fiamma ardente e andrà tutto bene, fino
alla fine. E a me basta.
Cominciamo a ballare, e
tutto attorno a noi muta.
A me basta.
Angolo
dell'autrice:
se siete arrivati fino a qui sappiate che vi amo, mi sono affezionata a
questa ff come non mi succedeva da tanto tempo e tutte le recensioni
carine che ho ricevuto mi hanno fatta sentire la scrittrice
più brava del mondo, siete tutti delle personcine
meravigliose e potessi vi stropiccerei tutti -stropiccia-. Verso la
fine mi sono chiusa con Le Luci e credo si capisca fin troppo, ma anche
se stona col resto del racconto alla fine ho deciso di lasciare
quest'ultima parte perché non sono brava coi finali e mi
piacciono le cose in cui non si capisce mai fino in fondo quello che
vuole dire l'autore (forse dovrei darmi alle poesie ermetiche). Se ci
sono costrutti linguistici di dubbia correttezza è
perché leggo troppo in inglese e francese e ormai non so
più parlare bene nessuna lingua, quindi se ci sono casini vi
prego ditemelo che correggo cwc grazie mille per essere arrivati alla
fine, lo apprezzo tanto. Siete bellissimi.
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