Stigma

di Deep_Strife
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Contatto ***
Capitolo 2: *** Noia ***
Capitolo 3: *** Incontro ***
Capitolo 4: *** Conoscenza ***
Capitolo 5: *** Passato ***
Capitolo 6: *** Happy Birthday ***



Capitolo 1
*** Contatto ***



L







Un altro caso, con un altro detective. Possibile?

Eppure mi avevano assicurato che questo famoso detective, conosciuto al mondo con il nome di Bones, era un maniaco dell’anonimato quasi quanto me, e aveva un sorprendente QI. Nonché un’insana abitudine di risolvere i casi ascoltando musica rock o heavy metal.

Esistevano davvero delle persone al mondo che erano praticamente identiche a te? Al momento non lo sapevo, ma aspettavo un contatto con questo famoso Bones… tramite computer, ovviamente.

Per questo mi stupii, quando Watari entrò nella stanza con il computer portatile sotto un braccio e un’aria pressoché perplessa.

- Cosa succede, Watari?

- Il detective… si è rifiutato di farsi vedere da me. Dice che se vuoi avere un contatto, dovrete essere anonimi entrambi. Ha già collegato la TV, vai sul canale 60.-

Premetti i pulsanti finchè non arrivai al canale 60, dove la schermata era bianca. Niente scritte. Niente di niente.

- Salve, Detective.

Mi salutò una voce metallica, tuttavia dal timbro decisamente brioso. Avvicinai le labbra al microfono, e dissi

- Salve. Parlo con il detective Bones?

- Esatto.

Bones…Bones, come Ossa…interessante…

- Immagino che voglia parlare del caso.

Suggerì la voce. Io annuii, quindi presi un cioccolatino e cominciai a masticarlo.

- Già. Da quello che abbiamo scoperto…-

Andammo avanti per diverse ore. Bones aveva opinioni nette, un’intelligenza affilata… un bel tipo.
Ero sempre più tenato di chiedere un contatto diretto. Il detective sembrava avere un’intelligenza pari quasi alla mia, e una mentalità molto simile… sarebbe stato un incontro interessante.

IL caso da risolvere, in sé, non era particolarmente difficile, solo molto, molto inquietante: un kiler che, dopo avere violentato le vittime, le crocifiggeva. Ma non prima di aver disegnato loro una stella sul dorso della mano sinistra: il chiodo passava esattamente al centro della stella.

- Una mania

- Forse una compulsione.- asserì il mio collega con voce distratta. Sentii un leggero fruscio. Stava probabilmente controllando delle cartelle.

- Posso fare una domanda al di fuori del caso?

- Prego.- rispose. Sentii di nuovo quel fruscio. Forse proveniva da una stanza delle mie, però.

- Perché Bones, Ossa? Ci sono milioni di altri nome meno inquietanti di questo.-

- Perché L?... O forse devo dire Coil? O Deneveu? Sei tutti e tre i migliori detective al mondo. Complimenti, collega. – anche se la voce era protetta dall’alterazione metallica, sentii comunque che il tono brioso era sparito, sostituito da uno asciutto.

- Scusa.- dissi, alzando le spalle come se avesse potuto vedermi.

- Mi dispiace, ma ora devo chiudere il collegamento. Tenterò di cavare qualcosa dai dati che mi hai dato. Ci sentiamo.-

CLICK. La schermata biaca, ora, era solo bianca. Un senso di vuoto nell’anima. Un’empatia sprecata.

- ^^^ -









Bones







Spensi il microfono e mi tirai giù le maniche della maglia. Quando lasciai cadere la testa in avanti, ciuffi neri mi finirono sul viso, al che li spostai e mi guardai le mani.

Non avevo mai incontrato una persona con la pelle chiara e fredda come la mia. In estate era utile, ma quel continuo freddo mi intristiva; era come aver sempre le mani nel ghiaccio.

Sul palmo delle mani avevo delle cicatrici… degli stigmi. Forse è più corretto chiamarli stigmi. Chi mi aveva piantato dei chiodi nelle mani non lo aveva fatto con garbo.

… Diciamo che, se avevo preso quel caso, era più per vendetta personale che per vendetta alle vittime.
Orribile? Forse.

Ovviamente l’assassino non era lo stesso ma… chi si contenta gode.

Ma mandare una persona in galera, vedere il suo viso mentre si rende conto che per il resto della vita non avrà più libertà, una degna punizione ai crimini commessi… io vivo per quei momenti.

Misi nello stereo un disco dei System of a Down, seguito a ruota da uno dei Nightwish, e mentre mi stendevo sul divano con una cartella zeppa di documenti fra le mani, pensai al mio collega.

Gli avevo risposto male, vero. Mi dispiaceva.

Avevo troncato la discussione. Mi dispiaceva anche questo.

Chissà, pensai, mentre Methin mi portava un dolce tipico dell’India, il cui profumo si espandeva ormai da tutta la cucina, chissà se, anche con la voce meccanizzata, ha capito che sono una donna.
.
Sorpresa! La mia prima ficcy di DN… Bones è un personaggio che voglio caratterizzare bene, mi piace molto, per il momento… anche perché non ho la più pallida idea di come sarà più avanti!! Voi che ne pensate? Lasciatemi almeno qualche recensioncina…pliiiiiiis!!!! …Al massimo per dirmi che la fanfic fa schifo ;)

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Capitolo 2
*** Noia ***



Bones



Il telefono squillò. Quale? Il fisso della cucina, quello dello studio, quello della sala riunioni, il cellulare di Methin… sentii la tasca posteriore dei jeans vibrare. Chiaro.

E sì che ero sicura di averlo perso, quel cellulare… almeno, lo speravo: da quando gli omicidi in america erano cessati improvvisamente, per cominciare in spagna, mi toccava un contatto giornaliero con, via via col passare dei giorni, prima un poliziotto, poi il capo del poliziotto, poi il capo del capo, poi il capo del capo del capo, poi…insomma.

Era il quarto giorno che ricevevo una chiamata da Barcellona, quindi si trattava di aspettare…due, tre giorni, prima di arrivare al capo della polizia e smetterla con le cazzate?

- Hola…-

- Può parlare in inglese, Detective. – mi istruì una voce dall’accento spagnolo.

Grazie del permesso.

Mi buttai

- Non è lo stesso. Devo sillabarlo? Non- è- lo- stes- so. Quante volte lo devo dire? E’ un emulatore. Gli indizi riscontrati lo evidenziano chiaramente!-

Un brusio. Probabilmente ero in vivavoce. Porca vacca.

- Può parlare più lento?- chiese con aria seria la voce.

- Ma certo…-

E via! Rispiegare tutto daccapo. Un divertimento sfrenato, soprattutto per chi, come me, non aveva nient’altro di più importante da fare.

- … capito?-

Altro brusio. E che cavolo.

- Hasta luengo.- sospirai, quindi misi giù il ricevitore.

Accidenti. Non sentivo da una settimana L…o Coil? O Deneveu?

Mah. Avevo progettato di chiamarlo per un altro collegamento, ma la telefonata degli spagnoli, anzi, LE telefonate degli spagnoli mi avevano un po’ scombussolata.

- Methin!-

Chiamai, così che il mio… collaboratore? Maggiordomo? Colf?

… collaboratore, no. L’unico aiuto che mi dava nei casi era lo scarrozzarmi da una parte all’altra. Maggiordomo… per quanto riguardava i suoi ruoli, probabilmente la descrizione sarebbe stata azzeccata, ma quanto all’aspetto non c’eravamo proprio: con il suo metro e settanta scarso, tracagnotto, con la pelle scura e le sue origini (per non parlare del suo accento) Turche, Methin era piuttosto la cosa più vicina a un padre che avessi mai avuto. L’originale era stato una vera fregatura, ma Methin si preoccupava per me, e questo mi bastava.

- Methin… puoi organizzare un altro collegamento audio con L, per favore?-

- Quando?- chiese, dirigendosi verso la TV

- Oggi. Adesso, magari.- sbadigliai, appoggiandomi al dorse della sedia su cui ero seduta a gambe incrociate.

Methin ,mentre trafficava con i cavi, mi sgridava

- Sorridi un po’ di più, no? Prima di questo caso eri cambiata… in meglio. Sorridevi, scherzavi, un sacco. Guarda che ti rimando in terapia, sai? Credevo che avessi superato tutto, ma guarda come sei messa…-

Lasciai che continuasse a parlare. Aveva ragione, che dire?

Ma… superare, si può. Dimenticare è impossibile.





L



Ma che vita era?

Il caso andava avanti, Bones non si faceva sentire, io morivo di noia.

Giravo sulla mia sedia, a ogni giro afferravo al volo un cioccolatino. Solo che quel continuo continuare a girare e mangiare, non so…

- Qualcosa non va, L?-

- Ho la nausea.- risposi, continuando a girare sempre più velocemente

- Sei verde, ragazzo mio.-

Annuii, anche se penso che non si vedesse, tanto andavo veloce…talmente tanto che la sedia si rabaltò, spedendomi a terra come un missile sulla cera che Watari aveva appena passato. Swiiiff.

Mentre, steso a terra a stella sul pavimento pulito, tentavo di scacciare i contorni sfumati delle figure per tornare a vederle nitide, ripensai a un gioco della mia infanzia.

Delle sfide con me stesso: se non riesco a trattenere il fiato per 2 minuti interi, domani il sole non sorgerà. Se riesco a camminare su tutta la sbarra senza perdere l’equilibrio, il mondo sarà salvo.

Sfide stupide, impossibili. Giochi da bambini soli che non sanno come passare il loro tempo, che usufruiscono unicamente della compagnia di un maggiordomo e di un panda do peluche.

Mi facevo pena solo a pensarmi. Da solo. Ero messo proprio bene.

- L, il detective Bones ha chiesto un altro collegamento.-

Voglia di fare, saltami addosso. Mi alzai

- Bene.- asserii, passandomi una mano fra i capelli arruffati

- Quando?

- Adesso. E’ già collegato.- disse Watari, uscendo.

Presi la sedia e la sollevai, quindi mi sedetti e presi il microfono

- Salve.-

- Salve.- rispose lui, quindi aggiunse

- Senti, L.. se vogliamo risolvere il caso, sarebbe meglio farlo in due. Sbaglio?-

- Stai proponendo un incontro?-

- Allora è vero quelo che si dice sul tuo leggendario QI! …sì, sto proponendo un incontro.-

Raddrizzai un poco la schiena. Forse la noia sarebbe passata, dopotutto.

- Bene. Dove proponi?-

- Non sarò un maestro dell’anonimato come te, però ho un altro fattore a mio vantaggio; sono molto meno famoso di te. Quindi, o il nostro killer ha un collaboratore, o è riuscito a scovarmi..-

- Rivelandosi molto più furbo di quanto pensassimo.-

- Esatto, oppure non corro rischi e vengo in macchina. Accompagnato, ovvio.-

- Dove ci incontriamo?-

- Quanti palazzi hai, intestati a tuo nome? Scegline uno.-

Ci pensai un po’ su.

- Mi collegherò appena mi verrà in mente.-

- D’accordo. Ci sentiamo.-

CLICK. Fine collegamento.

Un timido sorriso mi affiorò alle labbra. Un caso interessante.





Heilà!!...in questo chappy spero di essrmi concentrata sia su Bones che su L.. non faccio favoritismi, io! XD XD XD Grazie a voi tre che avete recensito, ho gradito molto! …e, per favore, recensite ancora. Mi piacciono le recensioni. Io amo le recensioni, io vivo per le recensioni (e qui vi sfido a trovare la citazione! XD XD) …grazie mille ancora, al prossimo chappy!! Suggerimenti, consigli e (soprattutto) critiche.

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Capitolo 3
*** Incontro ***



L



Dove ci si trova per un incontro di lavoro?

Palazzo all’angolo della strada?

Albergo in periferia?

Appartamento in centro?

… per farla breve, in quale posto si sarebbe notato meno l’incontro di collaborazione fra due detective di fama mondiale?

Mumble mumble.

- Perché non qui? Lo farò entrare nella sala riunioni, se sarà lui ti chiamerò. In caso contrario…-

Bravo, Watari… così nel caso non fosse lui ce l’avremmo in pugno. Grandioso.

E se anche fosse stato un sostituto, o più semplicemente un complice del killer ( cosa di cui dubitavo fortemente)… poco male. Un appiglio è sempre un appiglio, no?







Bones



Methin mi scortò in macchina fino all’uomo vestito da maggiordomo. Era lui?

… vero che la con la voce alterata non si può mai dire, ma se era lui era a) molto più vecchio di quanto pensassi e b) molto meno furbo di quanto mi aspettassi.

Scesi dalla macchina e feci cenno a Methin di andare. Anche in caso di aggressione me la sarei cavata facilmente. Cintura munita di radar. Cellulare. Quasi cintura nera in un’arte marziale di cui nemmeno ricordavo il nome, quindi figuriamoci se mi ricordavo le mosse…ma sai mai se! Possono sempre servire.

Il signore mi sorrise e mi porse la mano

- Sono l’assistente di L. Dovrò farle alcune domande per accertarmi che lei sia la persona che stiamo aspettando.

Bè, certo. Mica poteva essere così idiota. E idiota io a pensarlo.

- Che giorno è oggi?

- Sa che per la sua età è molto attraente?

Mi scoccò un’occhiata fintamente severa, e io abbassai lo sguardo sulle mie scarpe.

- Sul serio, non lo so. Posso calcolarle l’ora dalla posizione del sole, ma proprio non so che giorno sia oggi. A malapena mi ricordo che serve almeno un pasto al giorno per il mantenimento.-

Lui mi guardò un secondo e commentò

- Lo vedo. Mi segua, per favore.-

Normalmente avrei domandato. Non mi sarei schiodata da quel maledetto garage fino a che non avessi ottenuto una risposta.

MA…ma lo seguii. Aveva un tono che non ammetteva repliche. Sembrava mio nonno, pace all’anima sua.

Mentre camminavo, sentivo la borsa a tracolla che mi sbatteva contro il ginocchio sinistro, dandomi un ritmo lento e strascicato, così accellerai il passo, conscia che, se fossimo stati in un circuito di atletica, quel signore anziano mi avrebbe doppiata in men che non si dica.

Fui portata in una stanza bianca. Con un divano bianco. E un tavolo bianco.

- Sembra di essere dentro a un Raffaello Rochet.- dissi, e a quel punto cominciarono le domande. Le solite. A che casi avevo lavorato? Con chi? Quando?

Una volta congedato Watari (così aveva detto di chiamarsi) rimasi sola. Sola in una stanza bianca.







L



Ero seduto dietro la massiccia porta rinforzata, aspettando che Watari uscisse.

Un minuto.

Due minuti.

Tre minuti.

Santa polenta, che noia.

Watari uscì e mi squadrò

- E’ Bones.- annunciò

Bene. Mi alzai per entrare, ma Watari aggiunse

- Mi sa che resterai sorpreso.- quindi girò sui tacchi e se ne andò.

Sorpreso? E perché?





Bones



..e fu in quel momento che entrò L.

Devo dire che non me lo aspettavo così. Più giovane di quanto pensassi. Magro all’inverosimile, data l’altezza. Con delle occhiaie molto accentuate. Un piccolo panda.

Capelli neri, occhi neri. Un po’ incurvato, e a piedi nudi.

E’…alternativo.

Mi fissava in modo strano. Come uno che per il compleanno si aspetta una moto e vede che ha ricevuto un paio di vecchi schettini scassati.

- …che cosa c’è?- trovai il coraggio di chiedere. Quegli occhi neri come gocce di petrolio mi stavano esaminando molto più di quanto lo avessero fatto quelli di qualunque altra persona. Sembravano pronti a sfogliarmi l’anima, e non provando nessun sentimento nel farlo.

Non rispose alla mia domanda.

E’ in queste situazioni che lo capisco… il silenzio ha un suono. E a volte, il suono del silenzio è più assordante di quello della parola.







L



- ..cosa c’è?-

Cosa c’è? E me lo chiede pure?

Mai me la sarei aspettata così. Tanto per cominciare, femmina. Piccola, con la pelle chiarissima, capelli neri lunghi fino alle scapole e grandi occhi viola che mi scrutavano attentamente. Watari la definirebbe minuta.

E com’era vestita… jeans neri, anfibi ai piedi, una t-shirt senza maniche nera con il disegno di un teschio (Jack Skeletron!! ND Me) e, nonostante il caldo, dei manicotti bianchi e neri che partivano dal polso e le coprivano i palmi delle mani, lasciando libere le dita.

Un ciuffo nero le finì davanti agli occhi, e lei se lo scostò con un gesto impaziente della mano, come se ci fosse stata abituata.

Dopo aver notato che non rispondevo, mi disse

- Ti assicuro che sono Bones, e che non sono qui per ingoiarti in un sol boccone.- il ciuffo le ricadde di nuovo sull’occhio, e lei frugò nella tasca finchè non trovò una molletta viola con cui se lo fissò.

- Non si abbinano mica. Bianco, nero e viola.- sentii la mia voce che criticava.

- Bè, sai com’è, non ho forcine per ogni occasione. E soprattutto il copri lampada che si abbina così bene a questi vestiti l’ho dimenticato a casa.- replicò.

Guardandola più attentamente, mi accorsi di diversi dettagli che avevo saltato prima: una cicatrice profonda sullo zigomo, una striscio orizzontale e bianco. Un tatuaggio sul braccio. La borsa a tracolla di Nightmare before Christmas.

-L?- mi accorsi che mi stava porgendo la mano.

- Piacere.- dissi, sringendogliela.

Non un collaboratore, una collaboratrice.

Yu- Hu-hu.

Hey hey!!! Speravate di esservi liberati di me? Ennò, sia io che L che Bones vi tormenteremo ancora per un pò! ...ringrazio milioni di volte e mi inchino davanti alle recensioni...graziegraziegrazie!!! ..in questo capitolo spero di aver dato una descrizione di Bones più dettagliata...fisicamente, almeno. Che ne dite? Do you like my girl?

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Capitolo 4
*** Conoscenza ***



Bones



- …abbiamo insomma tra le mani un dipinto di enorme valore che…-

-…i know, i know all about your motives inside, and your decision to hide…-

Rimasi incerta qualche secondo: il presentatore noioso sull’orecchio destro, con una forte erre moscia e modi affettati, oppure “Headstrong” che mi rimbombava sull’orecchio sinistro?

…non fu una scelta difficile; con l’alluce schiacciai il tasto della TV, quindi sprofondai nel divano, con le cuffie nelle orecchie. Alzai il volume della musica finchè non fu solo il sottofondo delle mie azioni, ma parte di me, finchè non mi riempii la testa delle parole dei Trampt

- … headstrong, to take you anyone, I know that you are wrong and this is not when you belong…-

Lasciai che la cartella piena di schede mi cadesse sul viso. Relax.

Dunque… da Filadelfia non può essersi spostato fino a New York in 10 minuti, no? …Ha degli spostamenti strani, si avvicina sempre di più a New York… ma c’è un complice per forza, se non consideriamo il fatto che questo tizio abbia la capacità di piegare la dimensione spazio- temporale…che cazzata…

-… I can’t give anything away… I won’t give anything away…-





L



- Ma cos’è che sta facendo? Riflette? Dorme? Cazzeggia? Cosa?-

Stavo osservando la mia collega dalle telecamere, mentre mi morsicavo insistentemente il pollice. Bones era seduta, anzi meglio, era stravaccata a gambe incrociate sul divano, con la cartella del caso che le copriva il viso, e le cuffie del lettore mp3 infilate nelle orecchie.

Comoda, sicuro. Impegnata, forse. Attiva, sicuramente no. E che cavolo.

Scesi le scale ed entrai nella stanza

- bè?- esclamai.

Non era difficile trovare una scusa per prendersela con lei quando avevo le balle girate, ora che la conoscevo un po’: musica troppo alta. Carte incasinate, perse o sparse. Silenzi offesi e improvvisi. Inoltre era, poco ma sicuro, la persona più spensieratamente indisponente che avessi mai conosciuto.

Aveva sete quando era finita l’acqua.

Fame quando il frigo della base era vuoto.

Non lo faceva apposta, ma tant’era…almeno, credo che non lo facesse apposta.

Lei sollevò appena le palpebre e si sfilò le cuffie, da cui usciva ancora musica.

- Com’è spiare un detective all’opera?- chiese, fingendo indifferenza e guardandomi con gli occhi stretti.

Indisponente, indisponente, indisponente..sono troppo educato anche per pensare altri insulti.

- Cosa stai dicendo?

- Insomma, dici “vado in bagno” un quarto d’ora fa, poi, PUFF! , sparisci. E visto che ci sono più telecamere qui che alla Casa Bianca…-

- Non vuol dire nulla.- affermai, sedendomi e dandole le spalle. Dall’infanzia mi era rimasto il brutto vizio di arrossire leggermente quando dicevo delle bugie da nulla.



Bones



Qualcuno poteva aiutarmi a capire quello strano essere? Un giorno era dolce come uno zuccherino e mi offriva dolci caramelle a quantità industriali, il giorno dopo era capace di rimproverarmi senza sosta dalla mattina quando mi svegliavo alla sera quando cadevo in stato semi comatoso fra i cuscini (duri) del divano (scomodo).

E non ero nemmeno sicura che si zittisse mentre dormivo.

L era l’esatto opposto di ogni uomo con cui avessi mai avuto contatto, anche indiretto: trasandato, disinteressato a tutto ciò che lo circondava (tranne i casi del momento e le sue adorate torte alla fragola), polemico, indisponente. Ma. MA.

Ma a differenza di qualunque altro imbecille dal bell’involucro e l’encefalogramma appiattito, sapeva sfruttare la propria intelligenza al meglio.

Astuto, brillante, sveglio. La peggiore persona che un malvivente vorrebbe alle calcagna. Un modello unico da imitare al’istante.

Ma, nonostante questo, è da tenere conto che non era famosa per la mia pazienza, e che lui era dispettoso come una biscia, quando ci si metteva.

- Insomma!- esplosi, mentre lui si lamentava per il lettore mp3 che, a detta sua “lasciavo ovunque intralciasse”

- Questo è il mio modo di lavorare!...e comunque dubito che un ovale di metallo grande 5 cm dia così tanto fastidio! Ascolta, se se ne va il mio mp3, me ne vado anch’io! Tanto il caso praticamente è risolto, no? Ti puoi benissimo arrangiare.-

Lui stette zitto per un attimo, e quando si girò aveva dipinto in faccia un sorriso timido. L’unico che gli avessi visto fare nelle mie due settimane di permanenza, da quando avevo fatto armi e bagagli ed ero stata rinchiusa nella stanza Raffaello Rochet.

- Vuoi una fetta di torta?



L



Mamma mia, che voglia di dolce che avevo.

Una torta fragola e panna sarebbe il massimo.

Bones accettò, un po’ spiazzata… ma chi, sano di mente, avrebbe rifiutato?

Mentre mi dirigevo verso il carrello, che Watari aveva strategicamente piazzato vicino alla porta, il dolce fu sostituito in un lampo con un altro alimento di dubbia origine.

- Esperimento culinario!- esclamò trionfante Methin, uscendo con la torta in mano.



- Scusalo – disse Bones, sorridendo

- Crede di essere Pinin Cipollina.-

- E’ un credo fondato?- chiesi, annusando l’alimento… un dolce. Senz’altro un dolce.

- Devo ammettere che nella maggior parte dei casi si tratta di un credo fondato.-

- E tu?-

- Oh, io so scolare benissimo la pasta e come verso l’acqua io non la versa nessuno. Mi ci sono voluti dieci anni per riuscire a versarla in un bicchiere senza spanderne nemmeno una goccia.-

- Noooo…. Giura!-

- Sul serio.- disse lei, guardandomi attentamente mentre assaggiavo un pezzo di dolce. Buono.

La voce di Methin arrivò all’improvviso dagli altoparlanti

- E’ buono?-

- Methin!- esclamò Bones

- Buono. – confermai.

- Troppo zucchero?-

- E’ perfetto.- dissi, convinto, prendendone un altro boccone.

- Te l’avevo detto io…- sentii la voce di Methin ovattata, e la risposta stanca di Watari, prima che si spegnesse il microfono

-… non era mica una gara…-

Bones rimase zitta una ttimo, incerta se scusare o no il comportamento di un uomo che aveva il semplice difetto di essere un generoso entusiasta.

- Non credo che ti chiederò di scusarlo.- disse, sedendosi. Quel giorno indossava una t- shirt a righe nere e grigio scuro, jeans grigio- blu con una catena pendente dal fianco sinistro, all star bianche, una fascia a righe bianche e nere sui capelli, da cui lasciava uscire un ciuffo nero e scalato. E gli immancabili manicotti.

- Perché tieni i guanti? Fa caldo.-

- Ho delle cicatrici.-

- Non mi danno fastidio.-

Lei alzò le spalle, come a dire “come vuoi”, quindi si sfilò i guanti.

Una massa di tessuto cicatriziale al centro dei palmi, e anche sul dorso, cicatrici perfettamente rotonde.

- Erano chiodi grossi, quelli di legno.- spiegò, con un sorriso nervoso che non le toccò gli occhi.

- Mi spiace. Chi..-

- Non lo so.-

- Rimettili. Forse, in fondo, mi danno fastidio.-

- Grazie.- si coprì in fretta e tornò la ragazza puntigliosa e indisponente di prima. Una metamorfosi miracolosa.



Bones


- Mi dispiace. Chi…-

- Non lo so.-

Bugiarda.



L



Era circa l’una di notte quando Bones si addormentò. Strano, piuttosto presto…ma forse era da considerare il fatto che da 29 ore non dormiva.

- Methin, sei sicuro che sta bene?-

Chiesi, venti minuti dopo. Lui scrollò la spalle con un’espressione confusa.

La ragazza era raggomitolata su sé stessa in posizione quasi fetale, ma non aveva l’aria serena.

Le toccai le dita bianche, che erano freddissime, più del solito.

La guardai attentamente per valutarne il colorito… è difficile dire se una persona con la pelle bianca sia pallida, ma io volevo provarci.

Fu mentre avvicinavo la mia faccia alla sua, che Bones, aprì gli occhi.

- Scusa, è…-

Dissi, tentando di spiegarle perché il mio naso era a cinque centimetri dai suoi occhi. Mi alzai e mi sitemai sulla sedia. Lei cadde in avanti, sulle ginocchia, e mi prese le meni.

- Non era mio padre…-

Disse, con tono straziato.

Cosa?





Heilà! Questo chappy non mi piace molto… non so, lunghetto è lunghetto, ma mi sa di vuoto. Vabbè, spero che vi piaccia lo stesso… comunque vi avverto: Bones di questi tempi è piuttosto prepotente, quindi, come avete visto, una piccola parte di questo capitolo è dedicata a lei, mentre lo sarà quasi totalmente il prossimo. Nel prossimo chappy…scopriremo… il vero nome di Bones! Olè! Chi le ha fatto quelle stigmati…e perché! Olè! …grazie mille mille mollissime per le recensioni… ditemi sinceramente se questo capitolo vi piace, così considererò o no se andare avanti… grazie!

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Capitolo 5
*** Passato ***



PASSATO

10 anni prima

Bones



Stavo sfogliando svogliatamente il libro di storia, senza capirne una parola di più dell’ora precedente. La seconda guerra mondiale non ne voleva sapere di entrarmi in testa.



Questo lo ricordo bene. Se chiudo gli occhi e con la mente torno indietro a ripensare alle decine…centinaia di episodi che hanno segnato la mia infanzia, quel libro ce l’ho impresso in mente. Lo vedo ancora… le due colonne scritte in caratteri piccoli, le immagini con le didascalie ai lati e la cartina grossolanamente imprecisa in fondo alla pagina.





Avevo i capelli lunghi, che mi cadevano lisci fino a metà della schiena. Le unghie mangiucchiate e le pellicine spaccate e sanguinanti. Le maniche lunghe. Anche a casa, col caldo; coprivano le minuscole cicatrici che, sulle mie braccia, andavano rimarginandosi.

C’era un crocefisso appeso sopra il mio letto, conclusione ovvia della follia religiosa di mia madre che, nonostante le sue insistenze, non riusciva a portarmi a messa neanche una maledettissima domenico. Non so quante volte in vita mia avevo tentato di staccare quel cadavere. Staccarlo, distruggerlo, eliminarlo.

Scavavo con le unghie sul legno nel tentativo di scalfirlo; a ogni scheggia che mi entrava sotto le unghie, imprecavo e piangevo,ma non smettevo i miei tentativi. Inutili, aggiungerei. Il viso del Cristo mai una sola volta aveva smesso di fissare, assente e moribondo, il soffitto della mia stanza.

Volevo vendicarmi di lui.

Tutti i pianti che non lo avevano impietosito, tutte le preghiere sprecate.

I suoi occhi fissavano l’oblio, il vuoto.

Mi chiedevo come facesse.

Finché non diventarono opachi i miei.





Presente

L



- Ma cos…-

- Io non ho fatto niente di male!- esclamò Bones.

…e la detective impossibile con cui avevo lavorato fino a quel momento, dov’era finita? In quegli occhi angosciati non la trovavo.

- Non hai fatto nulla di male, a parte provocarmi un infarto alle coronarie…mi spieghi che hai, gentilmente?-





10 anni prima

Bones



- Marie!- trasalii. I passi si avvicinarono e io, non potendo bloccare la porta, mi accontentai di sedermi a gambe conserte sul letto.

Mio padre, John Midnight, mi squadrò con un sguardo canzonatorio e strafottente. Guai grossi, pensai. Quando mi guardava così, non andava a finire bene, mai.

- …Per fortuna che eri in chiesa, he?-

Deglutii e mi feci coraggio

- Domani mi interrogano. Pensavo che…-

- Che fosse più importante lo studio. Più lo studio che la salvezza, giusto? Tanto tu a queste cose non ci credi. Vero? Pensi che avrai una vita felice dopo la morte solo perché hai dei begli occhioni e un sorriso simpatico?-

Rimasi zitta, mentre una goccia di sudore freddo mi colava giù per la schiena. Mio padre mi guardò storto.

- Qui. – disse. A passi strascicati, estremamente a malincuore, lo raggiunsi.

Tutto, va bene tutto. Basta che mi lasci stare.

Si abbassò fino a guardarmi negli occhi. Feci per abbassare lo sguardo, ma lui mi tenne per il mento
- Sei una bella ragazzina. Ma questo lo sai, giusto?- quindi si fermo a riflettere.

- Visto che non sono il tuo vero padre – disse infine, lentamente, con un’espressione negli occhi castani che non gli avevo mai visto, - immagino che non ci siano problemi. Voglio il tuo bene Marie, lo sai. Metto a rischio la mia purezza, per salvare la tua.-

Tuttavia, mentre mi spingeva all’indietro passandomi le mani sulla schiena, e nonostante sapessi benissimo che non era lui mio padre, ma solo un uomo che quando avevo tre anni aveva sposato mia madre dandole un’altra figlia…non mi sentii particolarmente in colpa.

Spaventata, sì. Terrorizzata.

Ma.. chi era stata maltratta, picchiata e sminuita in tutti quegli anni? Io.

Chi veniva puntualmente ignorata nella vita quotidiana? Io.

Chi era considerata la progenie del peccato?...Mai la mia sorellastra Cecile. Solo io.

Quelle attenzioni..per quanto perverse, mi sembravano dovute.





Presente

L



- Cosa…-

- Tornò più volte…ma…io…- le si spezzò la voce, facendo terminare la frase in un pianto silenzioso e straziante.

Le poggiai una mano sulla spalla.

- Cosa non fu colpa tua?-

Mi guardò con gli occhi lucidi, prese fiato e cominciò.





Passato

Bones



La sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (in alcuni casi anche fino all'innamoramento) nei confronti del proprio rapitore. Viene talvolta citata anche in riferimento ad altre situazioni simili, quali le violenze sulle donne o gli abusi sui minori e tra i sopravvissuti dei campi di concentramento (wikipedia)





Violenza sulle donne. Era stata violenza? Era stato…

Che cosa mi viene in mente

…era stato stupro?

Smettila. Smettila subito.

Di sicuro non si era premurato che per me l’esperienza non fosse traumatica.

E nemmeno le successive.

Chiusi il libro e lo buttai in un angolo.

Avevo la sua attenzione, non mi offendeva più. Questo bastava.





Presente

L



…Tirò fuori tutto, come un dente orribilmente guasto che la anneriva. La ascoltai, in silenzio.





Presente

Bones



- …e quando lui veniva da me..una parte di me capiva che la cosa era orribile, ma era impotente. Ma…ma l’altra parte di me, quando lui arrivava…era…-

Compiaciuta.

- …era…-

Contenta…basta prenderti in giro da sola, ti prego…

Deglutii e ricominciai. Ero determinata a farcela.

- Quando veniva da me – ripetei lentamente

- Una parte di me…- chiusi gli occhi

- …una parte di me era felice.-



L



- Ma poi arrivò il giorno in cui mi svegliai, e dissi no, no, no, no. E il risultato…- le si spense la voce, e mi mostrò semplicemente i palmi delle mani.

Cicatrici che le attraversavano i palmi da parte a parte.

Stigmi.





Bones



Avevo quasi detto tutto

- Tuttavia…- ripresi. Ero stremata.

- …da quel giorno non mi tirai più indietro…perché tutti sapevano che la sua preferita era Cecile, ma quando veniva da me, ero io la sua preferita. Ero io quella che amava di più.





L



Ormai Bones non lacrimava più, anzi, stava quasi per tornare alla sua normale espressione. Il dente era uscito, il mistero svelato. Il carattere pungente spiegato. Spiegato perché quando mi avvicinavo per controllare i risultati dal suo computer, lei si allontanava un poco. Spiegati i momenti di mutismo.

- Bones…- chiesi, titubante

- …sicura che vuoi lavorare al caso?-

Lei mi guardò stupita

- Non capisci?...questo caso è la mia vendetta, la mia salvezza. Non ti mollo adesso che ce l’abbiamo quasi.-

Fece un sorriso nervoso, un po’ forzato

- E poi, ammettilo, se siamo arrivati fin qui è solo grazie a me.-

…eccola, è tornata.







Heilà, tribù di lettori! ^^ …tribù…esagerata che sono!!!! Spero che questo chappy vi sia piaciuto e vi abbia chiarito un po’ le idee…mi rendo conto che sto trascurando L in un modo vergognoso..ma mi farò perdonare, questo è l’ultimo capitolo in cui Bones ha l’esclusiva…giuro ^^ Lasciatemi qualche recensioncina per dirmi se vi è piaciuto…e per suggerirmi cosa scrivere nel prossimo. Grazie tantissime a quelli che mi recensiscono, vi adoro un sacco…grazie ^^

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Capitolo 6
*** Happy Birthday ***



Bones



Mio dio, che idiota dovevo essere sembrata. Idiota, abbindolata, ingenua, stupida.

- Devo uscire un attimo.- dissi, avviandomi alla cieca verso la porta, che spalancai con foga.

Corsi verso il bagno: piccolo, freddo spoglio. Perfetto per flagellarmi in pace.

Mi lasciai cadere a peso morto lungo la parete

- Ahio.- mugolai quando raggiunsi terra

- Che cosa succede?-

- Ho battuto il sedere.- risposi a Watari, che si appoggiò con fatica sui talloni per arrivare a guardarmi in faccia.

- Non penso sia nulla di tragico.-

- Potrei essermi schiacciata l’ultima vertebra della schiena…in quel caso soffrirei di dolori alla schiena per tutta la vi…-

- Si vede che non provi i dolori della vecchiaia, Bones.-

- Lo dici tu.- risposi, tirando su col naso

- Forse fuori sembrerò giovane, ma dentro sono un rudere. Sai che ti dico?! Ho ventidue anni e sono già in menopausa. Ti suggerisce nulla? Il mio organismo è più vecchio di me.-

- Allora fra di noi c’è più feeling di quanto pensassimo. Forza, dammi le mani.-

- Penso di averle sventolate abbastanza per oggi.-

- Hai mai pensato ad una cura col laser?-

Sospirai. Se voleva farmi perdere la pazienza ci era pericolosamente vicino. Avevo un indice di sopportazione molto basso, conseguentemente scattavo come una vipera incazzata ad ogni piccola provocazione.

Ma Watari mi piaceva. Perché arrabbiarsi?

- No, preferisco coprirmi. Anche se si potesse toglierle, me le terrei. Dopotutto, una cicatrice è solo una parte di pelle più nuova. Che ricordi qualcosa di brutto è un conto, ma… e poi, fanno molto dark.-

- Le cicatrici?-

- No, i manicotti.-





L



Terzo giro di briscola con Methin, e quelli ancora non tornavano

- Mi sa che ho vinto… 68 punti.-

- Di pochissimo. Un’altra partita e vedrai come ti batto.- puntualizzai, piccato

- Vuoi farmi ridere? Non puoi vincere contro le mie carte.-

- Va a quel paese.-

Un dialogo da quarta elementare. Mi voltai e presi a battere energicamente le dita sulla tastiera del computer.

- Giochi a pimball oppure ti occupi di qualcosa di cui non so nulla.- chiese Bones, rientrando.

La guardai sottecchi. Era sempre mortalmente pallida, ma per fortuna aveva perso quell’aria da crollo nervoso imminente che mi aveva preoccupato.

Ringraziai silenziosamente il cielo che non fosse emo, sennò a quest’ora si sarebbe fatta un bel cappio al collo di vene tagliate. Che schifo.

- Non sto giocando a pimball.- risposi, tentando disperatamente di chiudere la finestra che avevo aperto.

- Vedo.- disse Bones, con l’ombra di un sorriso che le attraversava le labbra.

Bones, o Marie?

Se l’avessi chiamata Marie ci sarebbe stata una morte immediata, ma non la sua. Sarebbe stata la morte di un qualcuno che, seduto in modo bizzarro su una sedia girevole, stava tentando di vincere una partita a spider contro il computer. Probabilmente, pensai con un sospiro, neppure quelle carte erano mie.





Bones



Perdere a spider contro il computer…che pena.

Contro Methin, che era stato campione regionale di non so quale gioco negli anni ’80 era un conto, ma contro un computer… mi veniva quasi da ridere. Quasi.





L



- Che noia…- mi lasciai sfuggire uno sbadiglio. Il killer lo avevamo praticamente preso. Non c’era più nulla su cui lavorare; ci si poteva rilassare.

- Sei sempre annoiato.- disse distrattamente Bones. E in effetti….

Non ricordo un periodo della mia vita in cui non fossi annoiato. Le chiacchiere dei miei coetanei mi annoiavano. I ragionamenti degli adulti, non al pari con la mia intelligenza, idem.

Gli sport? Rari quelli in cui non vincessi.

Gli studi? Pfui. Non fatemi ridere, per favore.

Mi misi a giocherellare con l’mp3 di Bones che, in un giro mortale, si staccò e andò a schiantarsi contro un quadro, facendolo precipitare al suolo.

Silenzio. Un lungo, pesante silenzio.

Mi rannicchiai sulla sedia, tentando di rendermi più piccolo ed invisibile che potevo, e arrischiai un’occhiata a Bones.

Occhi spalancati, labbra strette, mani a pugno appoggiate sulle cosce. Ecco a voi la versione demoniaca della mia collega, pronta a planarmi addosso e a seppellirmi di parole. Quasi sempre rimproveri, strapazzi e parolacce di cui non conoscevo neanche l’esistenza. Sapevo per esperienza anche che, trattandosi del suo adorato mp3, se avesse potuto avrebbe preso una spranga di ferro e me l’avrebbe volentieri deformata in faccia.

Mi preparai psicologicamente alla scarica di insulti che sarebbero sicuramente seguiti…

Meno tre, meno due, meno uno…

Niente.

Si era alzata, aveva raccolto l’mp3 dando un calcio al quadro e spedendolo in un angolo.

Espressione corrucciata. Male.

Ohoh. Espressione sconfitta. Merda.

Sospiro disperato. Qui è meglio scappare.

- E’ da buttare.- annunciò Bones, lanciando a Methin l’mp3

- Mettimelo nella tasca del chiodo, appena torniamo a casa gli faccio un vero funerale ateo.-





Bones



Vero funerale ateo = Lo butto giù dallo scarico del cesso.

Povero mp3.





L



Methin mise il “cadavere” nella tasca del chiodo di pelle appeso all’attaccapanni, si frugò in tasca ed estrasse un i pod che lanciò a Bones. Nero, con disegnate sopra delle ossa. Bones.

- Buon non compleanno!- esclamò, quindo si volto verso Watari

- In realtà era martedì scorso, quindi sarebbe effettivamente un regalo di compleanno…-

Lei gli sorrise, un sorriso dolce e sincero. Il primo e ultimo che le vidi fare.

- Grazie, Methin.-

- A questo punto mi dovresti pure ringraziare.- borbottai.

Un libro che ti viene scagliato addosso a velocità esagerata è un ringraziamento?





Bones



Se il libro che gli ho tirato è un ringraziamento?!

A me pare di no.









E ora, qualche delucidazione sulla fanfic! Non richieste, ovviamente, ma nessuno mi ha chiesto nemmeno di scrivere questa schifezza, giusto?

Allora. “Stigma” mi è venuto in mente grazie a uno stupendo manga a colori disegnato dal genio delle mangaka, Kazuya Minekura (manga che consiglio a tutti, insieme a Saiyuki, il mio manga preferito, della stessa autrice). Stigma, appunto.

La definizione di Stigma era

“Stigma. Marchio.

Marchio impresso sul corpo.

Marchio psicologico.”



Dopo aver letto questo, di Bones sapevo tutto, tranne il nome e il marchio; ho scelto come marchio psicologico lo stupro, a mio parere uno dei traumi peggiori che può subire una persona, e come marchio sul corpo le famose cicatrici. Le stigmati.

Per Methin ho copiato pari pari il grandissimo personaggio (il mio preferito insieme a Doris) di “Kebaba for Breakfast”.

L… è L. Solo un po’ più spensierato e annoiato. Spero di non averlo fatto troppo OOC. E, aproposito, Bones ha deciso di chiamare l’i pod “L pod”

Grazie a mille a tutti quelli che leggono e non recensiscono, ma soprattutto a quelli che leggono e recensiscono. Magari ce ne sono pure alcuni che non leggono e recensiscono e altri che non leggono e non recensiscono, quindi ringraziamo anche loro!

Grazie ^^

Per chi è curioso, allego un’immagine di Bones…almeno saprete come è fatta!






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