così...semplicemente di artemide82 (/viewuser.php?uid=8693)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un giovane e interessante studente del Village ***
Capitolo 2: *** un'acrobata sospesa nel cielo ***
Capitolo 3: *** due egoisti egocentrici affetti da crisi maniacali ***
Capitolo 4: *** così...semplicemente ***
Capitolo 5: *** Ci vuole un pazzo per riconoscerne un'altro ***
Capitolo 6: *** due occhi blu ***
Capitolo 7: *** uno strano concetto di facilità... ***
Capitolo 8: *** liberi pensieri protetti da un impenetrabile muro d'acqua ***
Capitolo 9: *** notte parigina ***
Capitolo 10: *** una piccola concessione ***
Capitolo 11: *** disordine esterno e ordine interiore ***
Capitolo 1 *** un giovane e interessante studente del Village ***
Non scrivo questa
storia per fini di lucro, è solo un innocente divertimento.
Non intendo offendere nessuno. E non conosco Jared Leto, quindi è
ovvio che la mia è una storia di pura invenzione
L'autunno era sceso su New York in
punta di piedi quell'anno, le foglie degli alberi resistevano ancora
sui rami e davano sfoggio di tutta la loro sfolgorante bellezza
tingendosi di rosso e oro, l'aria aveva cominciato a farsi fresca e
l'asfalto riluceva sotto le carezze di una tenue pioggerellina nella
sera ormai inoltrata.
Viola salutò come ogni sera
Martin che chiudeva la piccola libreria in cui entrambi lavoravano e
incamminandosi lentamente lungo la strada insolitamente tranquilla
del Village si accese una sigaretta cercando ripararla con la mano
dalle sottili e leggere gocce di pioggia.
Quello era il suo angolino di mondo, il
posto che si era scelta. Aveva attraversato l'oceano dalle splendenti
campagne toscane alla grande mela un paio di anni prima per
frequentare un master alla Columbia, ma poi aveva trovato molto di
più. Niente di così eccitante e metropolitano, anzi, si
poteva tranquillamente dire che il suo mondo era geograficamente più
piccolo adesso che le sue giornate si dividevano tra il suo piccolo
appartamento condiviso, la libreria ed il Moby's Bar. Ma era la gente
che la conquistava, quell'ambiente così intellettualmente
stimolante in cui si era trovata e che l'aveva accolta come mai le
era successo prima.
Aveva cominciato a frequentare il
Moby's con la sua coinquilina Maggie, una minuta ragazza della
Luisiana grande appassionata di Jazz e letteratura russa, perché
in quel locale si faceva musica dal vivo, letture di poesie, si
proiettavano film espressionisti e qualsiasi altra cosa stuzzicasse
la fantasia di Robert, il proprietario, e della sua affezionata
clientela. E adesso quella era la sua famiglia, l'avevano aiutato a
trovare un lavoro dopo il master che le permettesse di vivere nel
quartiere e le lasciasse il tempo di scrivere, la sostenevano e le
coloravano l'esistenza con le loro idee, la loro fantasia, la loro
arte. Viola sapeva che questo era solo un periodo della sua vita, che
prima o poi ognuno di loro avrebbe preso strade diverse, ma per
adesso, a 25 anni, credeva di poter rimandare scelte più
importanti e definitive e godersi a pieno quella fase di vita da
moderna Bohemien Newyorkese. Da qualche tempo, poi, pareva che
l'Italia e la lingua italiana fosse di moda negli states, e così
Viola aveva trovato un modo per arrotondare il suo stipendio: ogni
giovedì sera suonava e cantava al Moby's la musica dei
cantautori italiani, ed ogni serata era arricchita da una
presentazione dell'autore e da opuscoli con i testi tradotti delle
canzoni che avrebbe interpretato, come da tradizione del locale. Si
era lanciata nel progetto con passione e i “suoi giovedì
sera” come li chiamava Bob, stavano riscuotendo un certo
successo.
Ma adesso, mentre tornava a casa sotto
la pioggia autunnale, era solo mercoledì e lei camminava
leggera stringendosi nel suo cappotto verde acido preso per pochi
dollari al mercatino, pensando che avrebbe mangiato velocemente
qualcosa prima di passare al bar per incontrare gli amici e ascoltare
il concerto di quella sera.
Quando entrò al Moby's quella
sera si accorse subito che c'era qualcosa che non andava. Il piccolo
palco in fondo al locale era vuoto e questo era strano, a quell'ora
il gruppo di supporto avrebbe già dovuto cominciare a suonare.
Il robusto uomo di mezzaetà si
voltò e non appena la vide qualcosa gli brillò negli
occhi:
- è il cielo che ti manda –
le disse prendendola per le spalle – il gruppo di supporto non
si è fatto vedere e gli Strinkes sono in ritardo. Sali sul
palco e canta qualcosa!
- E cosa?! - chiese la ragazza stupita
- qualsiasi cosa, improvvisa...ma
intrattienili!- concluse mettendole una chitarra in mano
- Ok... - rispose prima di salire sul
palco e recuperare il suo sgabello dall'angolo, sfoderando il più
meraviglioso dei sorrisi imbarazzati ad un pubblico che praticamente
conosceva uno per uno.
Il taxi lasciò Jared all'inizio
di una strada del Village. Era a NewYork per girare un film. Le
riprese in città sarebbero cominciate da lì a pochi
giorni per durare poche settimane prima di ripartire per una location
meno costosa. Ma lui era voluto arrivare con qualche giorno
d'anticipo per rilassarsi, riordinare le idee e cercare di
concentrarsi sul suo personaggio: un giovane squattrinato che
sopravviveva a New York nutrito dai suoi sogni. C'era stata una fase
della sua vita in cui quella realtà era stata veramente la
sua, ma erano passati anni, aveva avuto successo e le cose erano
cambiate. Così adesso provava a ritornare sui suoi passi, a
rituffarsi ancora in quelle situazioni per cercare di ricordare e
rivivere appieno le sue emozioni di allora.
Alzò gli occhi dai suoi passi e
lo sguardo gli cadde sull'ingresso di una piccolo locale da cui
arrivavano attutiti sulla strada le note di una chitarra che suonava
in versione acustica una canzone dei Nirvana. Decise di entrare. Si
sistemò ad un tavolo in fondo alla sala da cui poteva avere
una panoramica completa delle persone che bevevano e cantavano
accompagnando la giovane ragazza sul palco...era lì per
osservare dopotutto.
Viola si stava divertendo, aveva
cominciato a suonare qualche canzone che amava ed il pubblico
sembrava soddisfatto di quel fuori programma, cantavano con lei e
facevano richieste e l'atmosfera era diventata calda e piacevole.
Mentre le sue mani suonavano gli ultimi
accordi di About a Girl abbracciò con uno sguardo la sala e fu
allora che lo vide entrare, qualcosa scattò in lei: il suo
stomaco si contrasse ancor prima che il cervello avesse appieno
realizzato quello che aveva visto. Ma ne fu certa, in un attimo.
Quello che si era appena seduto ad un tavolo appartato in fondo al
locale era uno dei suoi musicisti e attori preferiti. Quello era
Jared Leto.
Gli applausi la riscossero mentre si
accorgeva con sollievo di aver comunque terminato la canzone
nonostante la sorpresa, cercò con lo sguardo Bob che gli fece
cenno di cantare un'ultima canzone.
Una sola.
Abbassò un attimo gli occhi e
sorrise tra sé. Aveva deciso quale sarebbe stata senza ombra
di dubbio.
Prese un bel respiro e cominciò
a parlare:
- bene, vi comunico che state per
liberarmi di me, a chi fosse interessato ricordo che domani sera
sarò di nuovo su questo palco con il mio solito repertorio
del giovedì... ma per concludere voglio suonare un ultimo
pezzo. Amo molto la prossima canzone, e siccome vedo che l'autore è
presente tra noi questa sera, credo che sia corretto chiedergli il
permesso di suonarla – una piccola pausa, decise che non
avrebbe detto il suo nome, non voleva creargli disturbo, anche se
era certa che nessuno lo avrebbe infastidito comunque in quel
locale, a volte capitava gente famosa ed erano tutti abituati a
rispettare la privacy degli altri. Riprese guardando dritto verso
quel ragazzo in fondo al locale – Signor Bartolomew Cubbins –
anche a quella distanza poté vedere che due brillanti occhi
azzurri si alzavano sorpresi su di lei – crede che potrei
suonare un suo pezzo?
Un sorriso disarmante ed un cenno della
mano che la invitava a procedere.
Gli sorrise a sua volta prima che le
note di Oblivion si spandessero nell'aria.
Viola cantò la canzone come
tante volte aveva fatto da sola nella sua stanza. Quando terminò
sorrise agli applausi e fece un piccolo inchino, guardò Jared
e vide con sollievo che anche lui applaudiva nella sua direzione.
Presentò il gruppo e scese dal palco, dirigendosi al bancone
dove Bob la aspettava con già una Corona's per lei in mano, le
strizzò l'occhio e le disse solo:
- Brava. E grazie.
le allungò con discrezione il
compenso che sarebbe dovuto essere dello scomparso gruppo di
supporto e tornò al lavoro. La ragazza si voltò
appoggiando i gomiti al bancone e bevve un sorso di birra, gli occhi
le tornarono ancora al tavolo in fondo al locale ma con una nota di
tristezza si accorse che era vuoto. Poi di scatto si voltò,
improvvisamente conscia di una presenza al suo fianco.
Jared era lì, e sorrideva.
Era ancora più incredibilmente
bello e affascinante di quanto avesse sospettato.
- forse è la prima volta che
sento suonare una mia canzone da qualcun'altro – esordì
- e ti è piaciuto? - chiese
lei, ormai senza più imbarazzo
- Si...mi è piaciuto, anche se
fa uno strano effetto. Come ti chiami?
- Viola
- Piacere, io sono Bartolomew
Lei rise, e Jared pensò che
aveva uno splendido sorriso, un sorriso sincero che le illuminava il
volto e le faceva brillare gli occhi.
Cominciarono a parlare, con
naturalezza. Jared le raccontò del perché fosse in
città, del film e del personaggio che doveva interpretare
- beh, se ti può essere utile
possiamo fingere che tu sia solo un giovane e interessante studente
del Village conosciuto una sera in un locale – disse allora
Viola, e adesso che parlavano vicini per sentirsi nonostante la
musica si chiese se in quel momento per lei c'era qualche
differenza...e si rispose che : no, in quel momento, se c'era, lei
non riusciva a coglierla.
- Si potrebbe fare – rispose lui
– e dimmi: cosa chiederesti adesso al...com'era? “Giovane
e interessante studente”?
- la verità? Gli chiederei se
non avesse voglia di bere un the a casa mia, visto che quasi non
riesco a sentire cosa dice con tutto questo rumore.
- E al musicista e attore famoso cosa
chiederesti? - disse lui dopo una pausa, guardandola dritta negli
occhi
- Niente probabilmente – rispose
sinceramente lei.
Jared parve riflettere un attimo su
quelle parole, ma quando i suoi occhi tornarono a guardarla era
sicuro, sereno
- benissimo allora, il giovane
studente dice che è una splendida idea...fammi strada.
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Capitolo 2 *** un'acrobata sospesa nel cielo ***
Grazie
a tutti coloro che hanno letto, apprezzato e commentato il primo
capitolo, vi posto il secondo. Buona lettura!
Pochi minuti dopo erano
nel piccolo appartamento che Viola divideva con Maggie. La ragazza
trafficava col bollitore nella cucina troppo piccola perché
riuscisse a starci più di una persona alla volta ma ben
equipaggiata di prodotti freschi e spezie di ogni tipo, era evidente
che qualcuno in quella casa amava cucinare.
La piccola cucina prendeva
aria affacciandosi direttamente su un salotto piccolo e stracolmo di
libri, riviste e dischi, la luci erano calde e soffuse e gli anonimi
mobili che arredano le case in affitto erano abilmente dissimulati da
stoffe multicolori abbinate con gusto, alle pareti libere dalle
librerie erano appesi poster e riproduzioni incorniciate di quadri
famosi del periodo post-impressionista e espressionista: Loutrec,
Modigliani, Soutine... Lo stereo suonava in sottofondo Drown degli
Smashing Pumpkins e Jared, dopo aver chiesto educatamente il
permesso, curiosava per la stanza sbirciando i titoli dei libri.
L'atmosfera era intima e rilassata, non parlavano, solo ogni tanto si
sbirciavano l'un l'altra sorridendosi.
- che tipo di the vuoi? -
chiese Viola pacatamente
- non so...che cos'hai? -
rispose lui alzando il naso da un libro di poesie di Wilde
- di tutto un po': Nero,
verde cinese, Java, bianco, al bergamotto e al gelsomino.
- Gelsomino per me
La ragazza lasciò
cadere in due mug un pizzico di foglie di the e bianchi fiori
essiccati che toccando l'acqua bollente sprigionarono subito il loro
profumo, poi si diresse nell'altra stanza, porse una tazza a Jared e
sedette sul tappeto con le le gambe incrociate appoggiando le spalle
al piccolo divano. Lui ripose il libro al suo posto e la imitò.
- hai un sacco di libri
italiani... - disse poi soffiando piano sulla superficie del liquido
- Sono italiana. E mi
piace leggere i libri in lingua originale quando posso. Quelli in
latino con testo a fronte poi preferisco averli con la traduzione in
italiano, riesco a ricostruire meglio le frasi
- Caspita...Com'è
che sei finita qui a New York?
- Sono venuta un paio di
anni fa per frequentare alcuni corsi di letteratura e arte
americana, poi però mi sono trovata bene...e sono rimasta.
- E che progetti hai per
il tuo futuro? - chiese incuriosito
Lei sorrise.
- e chi lo sa? Sto
scrivendo un libro, al momento, ma quanto a dirti dove sarò e
che farò da qui ad un anno...non ne ho la più pallida
idea.
Lo disse in modo sereno,
continuando a sorridere, gli occhi che brillavano più che mai,
fu quindi facile per lui indovinare che amava quell'incertezza,
quelle infinite possibilità che ancora le si aprivano davanti.
Che non aveva fretta di esplorarne qualcuna abbandonandone altre, che
riusciva a godere appieno il presente.
Continuò a
chiederle di lei e della sua vita, delle sue passioni e, intanto che
continuavano a parlare e la voce sussurrata e a tratti aspra di Billy
Corgan usciva a basso volume dallo stereo come un discreto
sottofondo, si lasciò completamente risucchiare da lei, dalla
bellezza della sua mente a tratti contorta e misteriosa ma impregnata
di autentica passione per la bellezza, per la vita...da
quell'irresistibile caos in cui era riuscita a trovare in qualche
modo un equilibrio.
La vedeva leggiadra come
un'acrobata camminare su una fune sospesa ad un'altezza vertiginosa
in un cielo limpido, con la sola certezza della precarietà
della sua situazione, pronta con il sorriso ad affrontare ogni sfida
che avrebbe stuzzicato la sua fantasia. Era completamente diversa da
quello che lui era stato alla sua età, ma in lei riconosceva
quella fiducia nelle proprie capacità, quella innata curiosità
per la scoperta e per l'esplorazione di ogni forma di espressione,
bellezza, piacere che sentiva anche sue.
E qualcosa si mosse dentro
di lui, un'ebrezza che investiva corpo e testa, il desiderio di lei,
di esplorare la sua femminilità, di fondersi con quel corpo e
con quella mente, di immergersi per un momento in quel turbinio
colorato che era la sua vita. Ma c'era una cosa...qualcosa che
dovevano chiarire, qualcosa che gli premeva puntualizzare.
E quando lei con un gesto
aggraziato sfilò il semplice fermaglio di legno che gli
raccoglieva i lunghi capelli castani si mosse e con delicatezza
raccolse una ciocca di capelli sistemandogliela dietro l'orecchio, e
fissò i suoi occhi azzurri in quelli scuri di
lei con uno sguardo che era impossibile non cogliere subito, lei
rimase immobile, sostenendo il suo sguardo in attesa che parlasse,
perché le era chiaro che volesse dire qualcosa che gli stava a
cuore.
Lei annuì
sorridendo invitandolo col suo silenzio a continuare
- e forse può
essere un gioco divertente fingere che io sia solo uno studente un
po' passatello del college, ma quello che è stato con te
stasera sono semplicemente io, e quello che io sono è un
attore e un musicista, abbastanza bravo e abbastanza famoso e non
posso proprio farci niente... pensi di riuscire ad accettarlo o mi
discriminerai per questo?
Viola non rispose, lo
osservò a lungo negli occhi, riflettendo: discriminarlo? Era
assurdo accostare quella parola alla sua persona ma in
quell'occasione sostanzialmente corretto, non metteva una croce su di
lui in quanto tale, ma all'immagine che avrebbe potuto avere di sé
stessa se fosse andata a letto con uno famoso per poi scoprire che
questo era esattamente quello che lui pensava di lei. Quindi in
definitiva il suo dubbio era questo: si fidava a sufficienza della
persona che aveva davanti e sperare che lui realmente la capisse e
l'apprezzasse per quello che era? poi qualcosa la distrasse
minimamente, una frase che usciva dallo stereo, una frase di una
canzone che adorava e che diceva: “ the impossible is possible
tonight, bilieve in me as I believe in you...tonight”, e decise
di dare ragione a quella canzone: senza una parola si alzò in
piedi e dopo un attimo in cui si godette il velo di perplessità
che attraversò lo sguardo di Jared gli tese la mano
invitandolo ad alzarsi e senza lasciarlo lo guidò per il breve
corridoio oltre la porta della sua camera da letto.
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Capitolo 3 *** due egoisti egocentrici affetti da crisi maniacali ***
Graziegraziegrazie
delle recensioni! Posto oggi perché ho un po' di tempo, anche
se non ci saranno sempre aggiornamenti così fulminei.
Spero
che vi piaccia anche questo capitolo.
Rimasero in piedi uno di
fronte all'altra a guardarsi negli occhi nella penombra della stanza
resa azzurrina dalle luci della città che filtravano dai vetri
della finestra. Aveva ricominciato a piovere stancamente ed il
battere lento delle gocce era percepibile tra le scie delle auto
sull'asfalto bagnato due piani più sotto.
Jared restò a
contemplarla per un tempo infinito, poi lentamente si avvicinò
e senza far aderire i loro corpi la baciò piano, le labbra
che giocavano dolcemente e le lingue che si sfioravano appena, voleva
scoprirla a poco a poco, prendersi tutto il tempo di questo mondo se
fosse stato necessario. Il bacio fu breve e delicato, poi tornò
a guardarla mentre senza neanche sfiorarle la pelle le toglieva il
dolcevita, poi si mosse portandosi alle spalle di lei, lei che
restava immobile godendo di ogni sensazione amplificata dalla
lentezza e dal silenzio.
Jared risalì con un
impercettibile carezza dei polpastrelli le sue braccia mentre la
pelle le si riempiva di brividi, ed il respiro si spezzò
quando sentì il suo alito caldo sul lobo dell'orecchio mentre
le labbra riservavano lo stesso trattamento delle mani al suo collo.
E Viola pensò,
ancora con lucidità (anche se aveva il sospetto che presto
questa l'avrebbe abbandonata), che Jared si accostava a lei come se
stesse facendo musica, come se lei fosse uno sconosciuto e prezioso
strumento musicale nelle sue mani che scopriva ed esplorava
lentamente, per poi, con mani esperte, strapparle un suono, e poi
un'altro, finché le sue corde non avrebbero vibrato
all'unisono con lui e la sua passione.
Ora i baci sulla sua nuca
si erano fatti più profondi e le mani, dopo aver disceso la
schiena lungo la spina dorsale, si allargavano intorno alla sua vita
fino a raggiungere e annientare in un unico gesto la resistenza
dell'agganciatura dei suoi jeans che calarono lungo le sue gambe
sotto la gentile pressione di lui. Scivolò fuori dai suoi
pantaloni e si voltò perché le sue mani la invitavano
la a farlo. La guardò negli occhi con un piccolo sorriso, e
lei capì che gli stava passando il comando del gioco.
Si allontanò di
qualche centimetro così da poterlo percorrere interamente con
lo sguardo e sentì che il sospiro che non era riuscita a
trattenere era tremante, così come lo era la sua intera
persona all'idea di poter scoprire, esplorare, possedere quell'essere
intriso di tanta bellezza racchiuso in corpo che aveva l'idea potesse
realmente rasentare la perfezione di quell'ideale maschile che così
preciso e perfetto popolava i suoi pensieri.
Sfiorò il suo corpo
attraverso la semplice maglietta nera che indossava, il sentirlo
fremere sotto il suo tocco le dette l'incredibile e totale percezione
della suo essere reale, del suo essere uomo sotto le sue mani,
spazzando via quell'immagine eterea che albergava nella sua mente per
sostituirla con una sicuramente più concreta, e anche
decisamente migliore si disse Viola mentre scopriva il suo torace
bianco e disegnato. Passò la punta delle dita sulla linea di
ogni muscolo, dividendo il suo sguardo tra il suo corpo e i suoi
occhi che a tratti si chiudevano per il piacere, la testa gli si
rovesciò impercettibilmente all'indietro ed l'incavo tra il
collo e la clavicola fu un richiamo irresistibile per la sua bocca
che pazientemente iniziò ad esplorarlo seguendo con intensità
fluttuante il tocco delle sue mani che, come dotate di vita propria,
erano arrivate a risalirgli la schiena.
Jared si mosse, ormai
deciso a passare ad un registro più alto, con un gesto fluido
le slacciò il reggiseno e l'attirò a sé, pelle
contro pelle, e cercando la sua bocca in un bacio profondo e sensuale
si lasciò cadere sul letto trascinandola con sé.
La pioggia doveva essere
cessata, ma non ne era troppo sicura, non aveva ancora ripreso
totalmente il controllo del suo corpo e ancora questo cercava di
riprendere fiato allacciato al corpo altrettanto ansimante di Jared
mentre l'orgasmo che li aveva colti entrambi nello stesso momento
fluiva lentamente da loro lasciandoli inermi.
Non si era sbagliata con
quel pensiero su Jared, la musica e il sesso, convenne poi Viola con
sé stessa.
Si sentiva talmente bene
che le venne da ridere e la prima cosa che disse fu una battuta:
Lui rise con lei,
allungando la mano verso il comodino per prendere una sigaretta dal
pacchetto lì sopra
Lei annuì
passandogli l'accendino per poi stringersi ancora di più a lui
sotto le coperte nel tepore dei loro corpi ancora un po' sudati.
Restarono in silenzio per
un po', l'unico rumore la combustione della sigaretta che
continuavano a passarsi.
Fu lei a parlare per prima
- com'è la tua
vita Jared...?
Lui sorrise, quella
domanda aveva un preciso significato: quello che lei lo accettava
totalmente, così com'era.
- Movimentata. Sempre in
giro a suonare o per qualche film, le interviste, i
paparazzi...scrivere, provare...
- e ti piace? - domandò
Viola anche se aveva già intuito la risposta
- ogni minuto. Ho
lavorato molto, sono maturato come persona e come artista e adesso
ho continue conferme che il mio lavoro è apprezzato. È...
stimolante. Certo comporta delle rinunce nella mia vita privata, ma
per adesso non ne ho sentito troppo il peso...che dirti?
Probabilmente sono solo un tremendo egoista egocentrico, e mi sa
anche un pochino stronzo. - concluse tra il serio ed il faceto.
Viola si era voltata sulla
pancia appoggiandosi sui gomiti per guardarlo bene in faccia, e non
poté fare a meno di ridere a quelle parole
- che c'è, non ci
credi? Non fare l'errore di donarmi virtù che non ho,
potresti rimanere delusa.
- In realtà ti
stavo prendendo proprio sul serio, Jared. È che in qualche
modo questo di te lo avevo intuito, forse perché anche di me
penso si possa dire lo stesso in tutta onestà...voglio dire,
stavo bene qui e non sono tornata a casa, con tanti saluti a chi mi
stava aspettando. Ma sentivo che questa per me era l'unica strada
possibile, perché era l'unica che mi faceva sentire bene con
me stessa, e se ci avessi rinunciato sarei morta...morta dentro.
Certo, può essere considerato onorevole detto così, ma
penso che tu sappia meglio di me quanto terreno bruciato ti fai
intorno seguendo la tua felicita. Ma siccome chi è egoista ed
egocentrico di solito è particolarmente indulgente con sé
stesso finisce con l'esserlo anche con quelli in cui rivede i suoi
peccati. Per quanto ti riguarda... Non credo che tu potresti fare
nient'altro, per te deve essere come una droga: lo spingere
l'acceleratore della tua vita fino al limite invece di stancarti
credo che finisca per darti energia, per farti sentire sempre
meglio, e Dio ci aiuti, sempre più attivo.
- Come diavolo fai a
inquadrarmi così bene? Da dove esci fuori tu? - le chiese lui
guardandola a metà tra lo stupito e l'ammirato
- Come faccio a
inquadrarti così bene, dici? - rispose lei divertita –
incredibile intuito, certo... ma anche un piccolo aiuto da parte
della scienza. Di' hai mai studiato psichiatria?
Non di recente...aspetta
un momento: stai dicendo che sono pazzo?
Lei rise piano, di gola
- ti sei mai chiesto
qual'è il confine tra genio e follia? Secondo me è
talmente labile da non esistere. Ci sono follie che sono socialmente
accettate, acclamate addirittura...e la chiamiamo genialità.
Sto dicendo che se ti guardi i criteri di diagnosi dei disturbi
psichiatrici è facile trovarne in tutti noi, chi più
chi meno. Certo, purché siano persone speciali. È quel
tocco di follia che rende il mondo e le persone così
incredibilmente affascinanti a volte, fuori dal grigiore della
massa.
- E da che patologia
sarei affetto, dottoressa?
- Da quella comune a
molti artisti, anzi, forse proprio quella che li rende tali: tu sei
un maniacale, Jared. Semplicemente i tuoi pensieri viaggiano
velocissimi e su più binari, ti colpiscono e ti esaltano,
portandoti a vivere ed agire con una velocità frenetica, a
volte senza dormire, mangiare...i medici che sono privi di fantasia
le chiamano crisi maniacali, io e te semplicemente ispirazione. Se
poi ci aggiungi un'altro sintomo tipico della malattia...l'ego
smisurato...
Lui ridacchiò
scostandole con delicatezza i capelli dal viso
- Non dico tutto questo
per sminuirti, anche se forse trovare per forza un nome alle cose ed
ed etichettarle sistematicamente le sminuisce...sai che ti dico?
Abbandoniamo la scienza e torniamo alla letteratura con un
avverbio e un aggettivo: tu sei “semplicemente
straordinario”, Jared.
A lui non restò
altro che baciarla.
- Posso dormire qui? - le
chiese poi
- Certo che puoi. -
rispose lei dandogli le spalle e lasciando che i loro corpi
aderissero completamente in un abbraccio così perfetto che
presto li avrebbe donati al sonno
- c'è un ora
precisa a cui vuoi essere svegliato domattina?
- No, non ti preoccupare
tanto a qualche ora cominceranno a chiamarmi sul cellulare –
rispose lui sprofondando il viso tra i suoi lunghi capelli che
profumavano di frutta e stringendosi al corpo di lei ancora di più
- guarda che l'hai spento
il cellulare – provò a ricordargli
- tanto meglio – fu
la sua risposta appena borbottata mentre già Morfeo si
impossessava di lui.
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Capitolo 4 *** così...semplicemente ***
Scusate il ritardo!! tante
prove in itinere questa settimana! Cercherò di non farvi
aspettare più così tanto...
...E grazie per le
recensioni, siete troppo buone...continuate pure ad esserlo! :)
Il rumore di qualcuno che
si muoveva in cucina svegliò Viola la mattina dopo, lanciò
uno sguardo assonnato all'orologio da polso e si accorse che erano le
nove meno un quarto del mattino. Maggie si preparava per andare al
lavoro.
Voltò la testa
verso Jared e lo vide lì, profondamente addormentato, i
capelli scompigliati sul viso ed un braccio sotto il cuscino, così,
nell'incoscenza e nel completo abbandono, il suo volto perdeva
quell'aria maliziosa che il suo sguardo gli regalava e acquisiva una
bellezza ed una grazia quasi angelica. Il suo respiro era profondo e
regolare, e lei decise di lasciarlo dormire ancora un po', era così
rilassato che sarebbe stato un delitto svegliarlo.
Così la ragazza
scivolo piano fuori dal letto e silenziosa come un gatto infilò
un paio di pantaloncini corti ed una felpa sformata prima di uscire
in punta di piedi dalla stanza.
Maggie stava versando in
quel momento il caffè, un maglioncino nero a collo alto ed
capelli raccolti con naturale scompostezza sulla nuca, con quella
grazia che era tutta sua.
Le disse a bassa voce
porgendo anche a lei una tazza fumante.
Viola si arrampicò
su uno sgabello e sorbì lentamente il caffè sorridendo
all'amica.
Le fece notare con la
curiosa confidenza di chi si racconta sempre tutto, indicando con un
cenno della testa la giacca di Jared che giaceva ancora sulla
spalliera del divano.
Lei si limitò a
sorridere, senza arrossire.
- e a giudicare da come
sei radiosa stamattina, e da quello che ho sentito ieri sera
rientrando... deve essere stato un incontro piacevole. Chi è?
Lo conosco?
Viola rimase un attimo in
silenzio, non sapendo cosa rispondere.
- beh...si e no. - disse
sinceramente poi
- In che senso scusa?
-Nel senso che sai chi è,
ma non lo conosci di persona.
- Oh, ti prego, dimmi che
è quel ragazzo biondo e bellissimo che viene ogni tanto da
Bob!
L'amica rise
- sei fuori strada.
- Dai dimmi chi è!
Fece per aprire bocca ma
prima che potesse dire qualsiasi cosa la porta della sua camera da
letto si aprì e un Jared spettinato e con gli occhi ancora
lucidi di sonno apparve dal corridoio.
Viola guardò
fugacemente l'amica e la vide immobile, un'espressione stupita in
faccia, decise di venirle in aiuto.
- Jared, questa è
la mia coinquilina, Maggie.
Disse con l'aria più
naturale che le fu possibile.
Lui sfoderò un
sorriso abbagliante anche di primo mattino
- Ciao, io sono Jared.
- Piacere di conoscerti
Jared. - rispose Maggie ancora un po' scossa
- Viola ti dispiace se
uso il bagno?
- Certo che no, se vuoi
farti una doccia gli asciugamani e l'accappatoio blu sono i miei, e
dovrebbe esserci uno spazzolino nuovo nell'armadietto del bagno.
- Grazie...Maggie, è
stato un piacere conoscerti.
Dopo di che scomparve di
nuovo. Maggie si voltò con una faccia buffissima verso l'amica
e sillabò con le labbra
Lei annuì
- è ufficiale, sei
la mia eroina! - concluse afferrando il suo zainetto – adesso
vado se no faccio tardi al lavoro. Passo a prenderti stasera così
mi racconti tutto a cena.
Si avviò verso la
porta, la aprì e esitò un attimo
- ciao Jared! - urlò
poi in direzione del bagno
- ciao Maggie! - arrivò
la risposta un po' attutita da dietro la porta.
Straordinaria Maggie, non
si poteva non adorarla.
Viola finì di bere
il caffè, poi tornò in camera da letto seguita dal
rumore della doccia, aprì le imposte della finestra e si
distese a guardare il cielo, azzurro anche se un po' velato, di quel
giovedì. Dopo pochi minuti il rumore dell'acqua cessò e
poco dopo Jared apparve sulla porta avvolto nel suo accappatoio, i
capelli ancora umidi.
Si lasciò cadere
accanto a lei, appoggiandosi sui gomiti.
- buongiorno –
disse dolcemente
- buono davvero –
rispose sporgendosi a baciarlo sulle labbra. - Hai fame?
- Da lupi!
Mezz'ora dopo sedevano una
di fronte all'altro al piano della cucina, con in mezzo tutto quello
che erano riusciti a trovare nella ben fornita dispensa.
- senti Viola –
disse lui bevendo un sorso di the – io resto in città
per qualche settimana... ti andrebbe di rivedermi?
Lei lo osservò da
sopra la sua fetta di pane e marmellata, uno sguardo aperto e sereno.
- In genere abbandono gli
uomini dopo averli sedotti – scherzò – ma nel tuo
caso vedrò di fare un'eccezione.
Jared sorrise
- Sai dove abito, dove
esco la sera...ed il pomeriggio lavoro nella libreria in fondo alla
strada. Vieni quando vuoi...mi piacciono le sorprese.
Jared restò
sorpreso, pensava che gli avrebbe lasciato il numero del suo
telefono, ed invece gli aveva detto semplicemente dove trovarla.
Nessun appuntamento. Solo l'implicita richiesta di cercarla. Era
inusuale in qualche modo, ma doveva ammettere che gli piaceva quella
casualità, quella naturalezza...e d'altra parte tra loro non
eran nato tutto in quel modo? Così...semplicemente.
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Capitolo 5 *** Ci vuole un pazzo per riconoscerne un'altro ***
Rieccomi! Sono come un
raffreddore: prima o poi ritorno.
Prima di andare avanti
solo una nota, forse dovevo farla all'inizio, ma tanto vale farla
adesso: avrete notato che sparse per il racconto ci sono riferimenti
precisi a canzoni (o film come nel caso di questo capitolo). Non sono
fatte a caso...è ciò che mi ha ispirato, se riuscite a
trovarle vi consiglio di leggere ogni parte con la sua musica in
sottofondo, perché con quel sottofondo sono state scritte. Se
per qualcuna trovate difficoltà chiedete pure, vi dirò
dove trovarla. Ora vi lascio al quinto capitolo
Nel primo pomeriggio Jared
si chiuse alle spalle la porta della sua camera d'albergo, aveva
accompagnato Viola al lavoro e dopo aveva camminato a lungo per le
strade affollate appena baciate dal sole autunnale, aveva voglia di
farlo: di camminare lentamente, di distaccarsi da lei lentamente.
Rimase a lungo in piedi di
fronte alla finestra guardando le sfumature a tratti violente delle
foglie del parco che si stendeva sotto di lui, le dita che
giocherellavano distrattamente col telefono nella tasca destra, senza
la reale voglia di accenderlo.
Voleva godersi ancora un
attimo, un attimo di pace, godersi ancora quella fuga, quel suo
segreto...
E improvvisamente capì
una cosa, non avrebbe raccontato a nessuno di Viola, neanche a
Shannon con il quale in genere non aveva segreti, voleva che restasse
una cosa solo sua, lei e il suo mondo sarebbero restate il suo
personale nascondiglio a New York, il suo personale rifugio dalla
vita.
Ecco, pensò con un
sorriso: adesso poteva decidersi a tener premuto per cinque secondi
quel benedetto tasto verde del suo cellulare.
********************************
Il sabato sera successivo
al suo incontro con Jared Viola lo passò come sempre al
Moby's Bar, quella sera Bob aveva deciso di proiettare un cartone
animato d'autore del 1986 (“When the Wind Blows” di J.T.
Murakamy, musiche di David Bowie e Roger Waters), per “sensibilizzare
i suoi ragazzi sul tema dell'energia nucleare” come aveva detto
nel presentarlo.
Lei aveva già
visto quel film qualche anno prima, in Italia, in un minuscolo cinema
di un paesino sperduto, in una notte d'inverno di cui ricordava
perfettamente le lame di vento gelido toglierle la sensibilità
alla faccia, le luci gialle far risaltare le superfici in pietra
delle facciate delle antiche case addormentate, e lo ricordava in
modo così nitido proprio perché quella proiezione
l'aveva scossa profondamente. E mentre usciva dal locale per
accendersi una sigaretta, incapace di parlare e di restare dentro a
bere con gli altri, si chiese per quale motivo aveva deciso di
sottoporsi un'altra volta a quella tortura. Sarebbe dovuta restare a
casa a scrivere il suo libro, invece di scendere e continuare a
credersi più coraggiosa di quello che in realtà era.
Si strinse nel cappotto
anche se la sera non era affatto fredda, sentendo dentro un bisogno
di calore che non aveva niente a che vedere con la temperatura. In
quel momento aveva bisogno d'amore, di bellezza, di Vita, di
aggrapparcisi disperatamente con le unghie. Avrebbe dato qualsiasi
cosa per vedere gli occhi blu di Jared apparire nella notte. Prese un
lungo tiro dalla sigaretta sperando che la nicotina la stordisse come
una martellata e si appoggiò al muro del locale.
Una figura racchiusa da un
cappotto grigio si mosse dall'ombra e le si avvicinò. Era lì
da un po', l'aveva vista dentro e aveva visto il suo dolore dipinto
nel volto, nel modo in cui continuava a muoversi sulla sedia senza
posa, gli occhi tuttavia incollati allo schermo, e aveva deciso di
attenderla fuori, certo che sarebbe fuggita non appena i titoli di
coda avessero cominciato a scorrere.
Non disse niente, le mise
una mano sulla spalla, cautamente, e quando lei si voltò, il
volto pallido e gli occhi due enormi pozzi scuri e lucenti, fu pronto
ad accoglierla nel suo abbraccio, per farle sentire la sua presenza.
Si ritrovarono in un
attimo nella camera di lei, allacciati con passione e disperazione,
le mani intense e attente a risvegliare ogni sensazione, frenetiche
nel cercarsi, felici nell'essersi trovate.
Nel cuore della notte,
mentre sedevano entrambi sul letto sfatto e Where to Begin dei My
Morning Jacket suonava nello stereo a Viola sembrò di
respirare finalmente di nuovo. I suoi pensieri vagavano mentre
sorrideva tra sé e per pura abitudine, come se avesse dovuto
scriverle, andava cucendo e disfacendo frasi in infinite maniere
perché le parole ed il loro suono riuscissero a trascinare chi
le avrebbe lette fino a quella stanza, su quel letto, a vivere quel
momento, quella pace. Quando alzò di nuovo gli occhi su Jared
vide che nel buio la osservava con incredibile attenzione. Non poté
fare a meno di arrossire colta in un momento del tutto privato, lui
le sfiorò il viso, e parlò:
- il tuo umore è
mutevole, segue ogni sfumatura del tuo pensiero, ed il tuo pensiero
spazia lontano con incredibile intensità. A volte sei così
lontana,silenziosa, gli occhi che fissano un punto senza vederlo,
eppure, facendo un po' d'attenzione si possono vedere cieli azzurri
o incredibili nuvole cariche di tempesta in loro, aridi deserti
spazzati dal vento o foreste ristorate dalla pioggia. vorrei poter
riuscire a a venire con te in quei momenti.
Lei sorrise
- in qualche modo
potrai presto... Nei momenti di cui parli io sono nel mio mondo
privato, io sono il Dio durante la creazione del mio personale
universo...in altri termini sto scrivendo nella mia testa quello che
poi fermerò sulla carta. Ed il libro di cui ti parlavo l'altra
sera è quasi finito, oramai.
- Potrò
leggerlo, quando sarà finito? - Viola pensò che da
quella frase si capiva che Jared era un'artista: ogni persona che
crea qualcosa in cui mette tutto se stesso, che sia un libro, una
canzone, un quadro non lo lascerà mai vedere a nessuno finché
non sarà finito, finché non lo riterrà pronto ad
affrontare il mondo, perché in esso sta la sua anima, la sua
vulnerabilità.
- Certo che potrai, e se
uscirà ne avrai una copia in anteprima. Bob mi ha messo in
contatto con un professore di letteratura alla NYU. Lui ha letto i primi
capitoli e mi ha detto che se una volta finito il libro sarà all'altezza di
quella apertura mi presenterà ad un importante editor per
farlo pubblicare.
- è bellissimo...è
questo quello che vuoi? - chiese curioso di scavare tra i suoi sogni
- Diventare una scrittrice di professione?
- Io voglio scrivere, e
questo puoi star certo continuerò a farlo, comunque vada. Se
poi il libro venisse pubblicato e avesse pure successo...non nego
che gratificherebbe il mio ego.
- ce la farai –
disse Jared, sicuro come di una promessa.
- come puoi dirlo?
- ho intuito per
queste cose, ci vuole un pazzo per riconoscerne un altro.
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Capitolo 6 *** due occhi blu ***
SCUSATE SCUSATE SCUSATE
QUELLO CHE NON PUO' PIU' NEMMENO DEFINIRSI RITARDO. A MIA DISCOLPA
DICO SOLO CHE IO PER SCRIVERE HO BISOGNO DI ISPIRAZIONE E CON QUELLO
CHE HO DOVUTO FARE IN QUESTO PERIODO L'ISPIRAZIONE SAREBBE SFUGGITA A
CHIUNQUE.
HAVE FUN
La
finestra era aperta, l'aveva lasciata così perché
l'aria che iniziava a profumare di primavera nonostante fosse in una
delle più caotiche metropoli del mondo le ricordasse che la
natura tende ad essere più forte di ogni folle impresa umana.
Sedeva
alla piccola scrivania che da poco tempo aveva trovato la sua nuova
dimora in quell'affollato salotto del Village. Il suo portatile era
acceso e lo schermo proiettava su di lei la luce bianca di un foglio
elettronico pieno di parole. Il the fumava lentamente nella tazza, in
infusione e Viola accostò un ginocchio al mento
rannicchiandosi sulla sedia mentre aspirava il primo tiro da una
sigaretta. Improvviso l'odore del the al gelsomino portato dalla
leggera brezza serale colpì i suoi sensi e i suoi ricordi,
sorrise mordendosi il labbro pensando a come il tempo nonostante
tutto fosse passato, e a come, contrariamente alle sue aspettative,
lo avesse fatto in fretta travolto dagli assoluti ribaltamenti subiti
dalla sua vita. Era come se l'aver incontrato Jared l'autunno
precedente avesse dato il via ad una cascata di eventi che in pochi
mesi l'avevano trascinata dove si trovava adesso. Sempre nel suo
salotto, è vero, sempre la stessa persona...ma con un libro in
classifica da settimane, e tutto quello che ne era derivato.
La
pagina finita che aveva davanti, per esempio, era un articolo per
un'importante rivista, che la pagava bene pur di avere il suo punto
di vista sugli eventi del mondo. Scriveva, e viveva di quello ormai,
e benché si ostinasse a continuare a condividere l'affitto con
Maggie e a rimanere attaccata con le unghie e con i denti al suo
quartiere e alla sua vita quella nuova situazione l'aveva portata a
viaggiare parecchio, in giro per l'america a promuovere il suo libro,
a fare letture in affollati caffè letterari di San Francisco e
pure ad affrontare interviste per giornali e tv. Era apparsa in
tv...lei che neanche la guardava. E la prossima settimana...l'Europa.
Il ritorno alle radici, in qualche modo.
Una
voce conosciuta alla radio la strappò improvvisa ai suoi
pensieri, una voce appena distorta di un'intervista telefonica,
esattamente come lei l'aveva sentita al suo orecchio in tutto quel
periodo.
Jared.
Jared
che aveva ripreso la sua strada dopo poco più di due settimane
dal loro incontro. Jared che allora era apparso quasi ogni sera con i
suoi occhi azzurri ed il suo sorriso perfetto. Jared e le sue mani,
Jared e la sua pelle. Jared che poi se n'era andato. E a lei non era
rimasto altro che quei ricordi e un telefono che squillava
inaspettato alle ore più strane portandole la sua voce, voce
che sembrava sempre un po' assonnata all'apparecchio, voce che piano
piano aveva imparato a conoscere in ogni sua sfumatura, per poter
capire il suo umore ed i suoi pensieri ora che non poteva guardarlo
negli occhi. Occhi che poteva fissare solo in fotografia, occhi che
riuscivano a bucare l'obbiettivo, certo, ma non era proprio la stessa
cosa.
E
lei aveva cominciato a temere che prima o poi il tempo avrebbe
confuso e sbiadito il ricordo di quella sensazione.
L'ultima
volta che aveva guardato quegli occhi...la sera prima che lui
partisse, la sera dello stesso giorno in cui aveva finito di
riguardare il suo libro che adesso davvero si poteva dire finito.
Eccola lì...la fine, ed in qualche modo l'inizio.
Quella
volta erano usciti a tarda notte, per passeggiare un po' ed annusare
l'odore delle foglie bagnate.
Lui
si era stretto nel cappotto e le aveva preso la mano, lei se l'era
lasciata stringere. Si era accorta di quanto le sue mani le
piacessero poco a poco. Forse era sola parte esteticamente imperfetta
di lui, quel solo minimo difetto che concretizza la bellezza e la
innalza a sublime.
aveva
detto dopo un silenzio perfetto durato a lungo in cui avevano
comunicato solo attraverso il rumore dei loro passi e del loro
respiro che si addensava in nuvolette bianche.
Lei
non aveva risposto. Limitandosi a sorridere tristemente con lo
sguardo rivolto a terra.
Che
c'era da dire dopotutto? Sapevano fin dall'inizio che sarebbe
successo, e forse era proprio per quel motivo che il loro rapporto si
era sviluppato in maniera così perfetta.
Erano
entrambi serenamente coscienti che la loro era una bolla in cui si
erano rifugiati dal mondo e che era inevitabilmente destinata a
scoppiare.
Cosa
potevano fare? Forse folli promesse di amore e attesa che sapevano
entrambi destinate ad essere infrante? Scadere nell'ipocrisia più
spicciola? Non erano adolescenti che si erano conosciuti in vacanza,
dopotutto. Lanciarsi in una situazione come quella, o anche solo
pensare di farlo, avrebbe distrutto ogni traccia di quella
spontaneità da loro così cercata e protetta fino a quel
momento.
E
a ben pensarci, c'era una sola possibile cosa da fare.
Viola
aveva alzato gli occhi su di lui.
Jared.
Sai dove trovarmi se capiti a New York, e hai anche il mio numero se
avrai voglia di sentirmi, di raccontarmi qualcosa. E magari capiterà
di incontrarci ancora per caso...oddio, per caso...non sarà
difficile per me sapere dove sei per la maggior parte del tempo.
Lui
sorrise.
questo
è ingiusto, vorrei anch'io poterti spiare.
Dov'è
finito il tuo famoso egocentrismo? Perché mai ti
interesserebbe spiarmi?
Per
vedere se pensi A ME, è ovvio!
Risero,
e stavano ancora ridendo quando lui la strinse in un abbraccio, i
loro volti vicinissimi, gli occhi blu di lui che non le erano mai
sembrati più grandi, o belli o penetranti, penetranti in un
modo così assoluto da essere quasi crudele, per un attimo, un
folle attimo, questo la spaventò perché capì
che, se anche avesse voluto, non sarebbe mai riuscita a nascondere
niente a quegli occhi così coscienti della loro intelligenza e
del loro potere.
Un
lampo improvviso di comprensione in quello sguardo come a conferma
del suo pensiero, Jared dischiuse la bocca per dire qualcosa, ma si
trattenne, mordendosi il labbro, per poi sorridere come un bambino
scoperto durante una marachella, lei sorrise dolcemente a sua volta,
scuotendo impercettibilmente la testa in segno di diniego, prima di
baciarlo.
La
mattina successiva Viola aveva scacciato la malinconia di quella
partenza con un sospiro, prima di guardare il libro pronto da spedire
al professore della New York University, prima di afferrarlo e con
decisione chiuderlo in una grande busta marrone.
Nello
stesso momento, su un aereo diretto a Montreal due occhi blu erano
incollati alle pagine di una personale ed esclusiva copia dello
stesso libro.
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Capitolo 7 *** uno strano concetto di facilità... ***
MI INGINOCCHIO LACERANDOMI
LE VESTI E COSPARGENDOMI IL CAPO DI CENERE PER AVERTI FATTO PIANGERE
KATE35, E ANCHE PER AVER LASCIATO QUALCUN ALTRO DI VOI NELL'ANSIA.
SORRY. MA ,CREDETEMI, QUASI TRE MESI DI TEMPO PRIMA DI SUPERARE IL
CONCERTO DELL'8 FEBBRAIO A PARIGI ERANO NECESSARI. I PROSSIMI
CAPITOLI SONO STATI ABBOZZATI IL 9 SERA NEL MIO LETTONE DELL'HOTEL
SOFIA...E RIMANEGGIATI E RIVISTI IN QUESTO TEMPO.
UN CONSIGLIO, FATE UN
RIPASSINO DI ALMENO L'ULTIMO CAPITOLO PRIMA DI COMINCIARE QUESTO
PERCHE' INIZIA ESATTAMENTE DOVE FINISCE L'ALTRO.
BACI!
- - A-AH! BECCATA!
La voce di Maggie la colse
tanto di sorpresa da farla sussultare così violentemente che a
malapena evitò di cadere dalla sedia e di scottarsi con il
mozzicone ancora acceso della sigaretta che persa tra quei pensieri
aveva dimenticato tra le dita.
- beccata a fare
cosa? - chiese Viola fingendosi stupita, vano, miserabile e
infantile tentativo. Aveva capito immediatamente cosa intendesse
l'amica, ed era anche perfettamente cosciente che non sarebbe
sfuggita ad una nuova conversazione su un argomento che cercava di
evitare come la peste ma su cui l'altra continuava, inesorabile e
spietata, a riportarla.
- Stai ascoltando
l'intervista di Jared alla radio, e con lo sguardo perso nel vuoto
per di più. Lo sapevo! ho corso come una pazza per arrivare a
casa prima che fosse finita e coglierti in flagrante.
Viola sospirò
massaggiandosi le tempie
Ma l'altra era un fiume in
piena
- non ci provare –
la ammonì infatti – non capisco perché ti
ostini, stupidamente tra l'altro, a negarlo. E ti comunico che più
continuerai a cercare di fuggirmi, più in me si rafforzerà
la convinzione che anche tu lo sai perfettamente e che la tua è
solo paura: gigantesca, fottutissima paura, caro genio letterario in
cima alle classifiche di vendita!
- Che centrano le mie
vendite, adesso! - provò ancora inutilmente a svicolare.
- Centrano, tutto
centra, tutto ciò che è la tua vita in questo momento
centra.
Pensò di alzarsi e
vigliaccamente darsi alla fuga ma in quel momento la voce di Jared
che ancora usciva dalla radio (ma quanto diavolo era lunga questa
intervista?) scoppiò in una bassa e sensuale risata che ebbe
su di lei l'effetto di una ghigliottina, guardò la testa della
sua cieca ostinazione rotolare sul tappeto etnico e fissarla con
occhi vuoti, e decise di arrendersi.
L'amica sorrise: c'erano
volute settimane e settimane di martellamenti ma alla fine Viola dava
segni di cedimento.
Sedette sul tappeto e la
invitò a fare altrettanto.
Si osservarono davvero
negli occhi dopo un bel po' di tempo, occhi quasi rossi in occhi
verdi, come per tanto tempo era stato.
- - Viola, te lo
chiederò un'altra volta. Ma voglio augurarmi che questa sia
l'ultima, perché spero che tu sia onesta adesso.
Viola sospirò,
rassegnata.
- Perché
continui a sminuire il tuo rapporto con Jared? Perché
continui ad affermare che tra voi non c'è niente, che non ti
aspetti niente? Perché continui a dire che non sei
innamorata di lui,e che per lui è lo stesso? È folle!
E lo sai.
- Cosa so? - disse
lei accendendosi nervosamente una sigaretta – ammettiamo un
attimo che mi sia lasciata trascinare, che mi sia
lasciata...influenzare dalla lontananza, e che questo abbia
ingigantito e distorto i miei sentimenti per lui. Che sia cascata in
questo tranello come una dodicenne...andiamo è umano da parte
mia! Lui è così...bello, sexy, affascinante,
intelligente, disarmante
Ma dovette fermarsi perché
Maggie le aveva messo il dito indice a dieci centimetri dal naso e lo
muoveva da destra a sinistra con stampato in faccia il sorriso di chi
la sa lunga.
- Ne stai parlando
come un divo da copertina. E sai che non è di questo lato di
lui che stiamo parlando. Sembra che tu senta questa infatuazione e
faccia di tutto per esasperarla, invece è l'esatto opposto.
Tu stai mettendo delle barriere altissime
- e come?
- Quante volte lo hai
chiamato tu da quando è partito? Vuoi che te lo rammenti? Tre
volte, Viola. TRE. Quando ti hanno pubblicato, per il suo
compleanno, e quando sei arrivata prima nelle classifiche di
vendita- elencò contando sulle dita - Notizie e burocratici
saluti da parte tua. E quante volte invece ti ha chiamato lui?
Scommetto che non le conti neanche più...
- va beh, ogni tanto
mi chiama...
- Ogni tanto? Tu non
te ne rendi conto perché vuoi negarlo così tanto da
perdere la nozione del tempo, ma al massimo è stato senza
comporre il tuo numero per tre giorni in questi mesi. Cosa deve fare
ancora quel benedetto ragazzo per dimostrarti che per lui sei
importante? E tu quanto vuoi insistere a comportarti così?
- Non saprei quando
chiamarlo, non voglio disturbarlo, sai quanto è impegnato
- così
impegnato e preso da precipitarsi a chiamarti da qualsiasi parte del
mondo e a qualsiasi ora della notte stacchi di lavorare, Viola.
Secondo te cosa significa?
- ok. ammettiamo che
quello che c'è stato sia difficile da dimenticare, che abbia
lasciato un segno dentro di lui...e anche dentro di me. Cosa dovrei
fare secondo te?
- Fare un passo verso
di lui. Sai meglio di me che avresti potuto incontrarlo se solo
avessi voluto. Ma non l'hai fatto. No, aspetti che sia lui che
magari tra qualche mese riesca a strappare qualche ora ai suoi
impegni per precipitarsi qui,e magari tu sarai altrove quel
giorno... Viola finirai per perderlo. Mi stupisco che ancora non sia
successo, ma forse se è così intelligente come credo
ti ha capita meglio di me.
Viola pensò ancora
a quell'ultima notte, a come aveva pensato che non sarebbe stata in
grado di nascondergli niente, di come aveva creduto di vedere nel suo
sguardo un barlume di comprensione di quel pensiero...e se invece lui
fosse andato ancora oltre? Poteva quella notte avere intuito che lei
gli stava già tenendo nascosto qualcosa... qualcosa che taceva
per prima a se stessa?
Maggie la lasciò
riflettere con calma, seguendo ogni pensiero che si accavallava
riflesso nei sui occhi, finché non vide la resa e la
comprensione nella sua espressione, allora si azzardò a
parlare
Viola alzò gli
occhi verso di lei con infinita lentezza e attese
- la prossima
settimana tu parti per l'Europa, e anche se fai finta di non saperlo
e ti sei ostinata a non guardare le date su internet per non cadere
in tentazione, sai benissimo che anche lui sarà là in
tour.
- Uhm.
- Ecco, il mio
consiglio è di posticipare di qualche giorno la tua partenza
da Parigi, oh niente che interferisca con il tuo giro
promozionale...mi sono permessa di dare un occhio alla tua agenda...
e intanto che sei li sempre il mio consiglio è di andare a
vederti un concerto...mi sa che la settimana scorsa mi è
arrivato direttamente da oltre oceano il biglietto giusto... poi
dopo il concerto appostati in qualche posto strategico vicino
all'uscita del locale e guarda che succede quando lui esce. Ma se
per qualche tragico scherzo del destino non dovessi incontrarlo, o
non dovesse vederti...ti prego, fai un favore a te stessa. Chiamalo
e digli che sei li. E che sei li apposta per vederlo. E digli che è
importante per te.
- Cavoli...spero
proprio di incrociarlo all'uscita del locale, sarebbe certo più
facile che dovergli dire quelle cose al telefono.
- Certo che hai uno
strano senso del concetto di facilità tu!
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Capitolo 8 *** liberi pensieri protetti da un impenetrabile muro d'acqua ***
CAPITOLETTO FORSE UN
PO' BREVE MA FONDAMENTALE.
PER CHI SI STESSE
CHIEDENDO CHE FINE HA FATTO MR LETO.
Jared si chiuse dietro la
porta dell'ennesima stanza d'albergo e con un sospiro lasciò
cadere pesantemente il borsone ai suoi piedi. Era stanco, il viaggio
era stato lungo e adesso voleva solo dormire, senza pensare a che ora
fosse in quel luogo e a quale fuso orario rimanesse invece
attaccato il suo corpo. Si trascinò verso il bagno lasciando
dietro di sé una scia disordinata di vestiti e si ficcò
sotto una doccia bollente. L'acqua scorreva come una pesante pioggia
calda sul suo collo e sulla schiena sciogliendo la tensione delle
spalle, emise un gemito di soddisfazione e si lasciò scivolare
in basso, fino a trovarsi seduto sul fondo della grande doccia, le
gocce che ancora più pesanti gli martellavano sulla pelle,
rovesciò la testa indietro e finalmente rilassato spalancò
gli occhi a fissare i marmi bianchi attraverso le volute di vapore.
Gli piaceva lasciar vagare
il pensiero in quei momenti, nascosto a tutto e a tutti da un muro
d'acqua. Un nuovo tour europeo stava cominciando, mesi in giro, quasi
una città al giorno, ogni sera un nuovo pubblico, un nuovo
show. Il calore e l'amore degli Echelon e l'armonia con tutto il
gruppo e la crew, meccanismo ben oliato e collaudato, gli inevitabili
imprevisti... e soprattutto la strada, la strada che avrebbero
macinato sotto il tourbus chilometro dopo chilometro. Questa era la
sua vita e quello che amava fare, che lo rendeva vivo.
L'unico suo rimpianto era
quello di non essere riuscito a passare da New York prima di partire.
Avrebbe avuto voglia di vedere Viola ancora una volta. Non erano più
riusciti ad incontrarsi da allora, ma avrebbe preferito farlo prima
di venire in Europa... si, forse sarebbe stato utile ai fini del
piano che gli macchinava nella testa.
Perchè Jared non
era stato affatto onesto con lei.
Stava barando, e questo
gli dava un sottile piacere.
L'idea di sottostare ai
taciti accordi tra loro non lo aveva sfiorato nemmeno un secondo in
tutto quel tempo.
La verità era che
si era innamorato di quella minuta scrittrice italiana del Village, e
ci aveva messo pochi giorni a capirlo. Voleva di più, non si
sarebbe accontentato di quel poco che lei era disposta ad elargire.
La voleva sua.
E in quell'ultima sera
prima di partire, guardandola negli occhi in quell'unico attimo in
cui le sue barriere si erano abbassate mostrando un vago accenno di
cedimento lui aveva capito che avrebbe potuto farcela. Che sarebbe
bastato giocare d'astuzia.
La chiamava, senza
regolarità ma comunque più volte a settimana, senza
parlare di amore, sentimenti o struggente lontananza, per non
rischiare di spaventarla. E visto che al telefono i loro corpi non
potevano toccarsi ed i loro occhi fissarsi lei si era sentita meno
minacciata da quel sentimento che cercava in ogni modo di negare e
lui non aveva dovuto far altro che lasciare che le loro anime si
avvicinassero parlando, legandosi strettamente.
Si era insinuato in quella
quotidianità che lei cercava in ogni modo così
assurdamente di proteggere e con una pazienza di cui lui per primo si
era stupito aveva preparato la sua morbida e accogliente trappola
intorno a lei.
E adesso che le cose per
loro natura stavano cambiando intorno a Viola credeva che sarebbe
stato solo questione di tempo prima che si decidesse a crollare e a
fare un passo seppur minimo verso di lui.
E quando sarebbe accaduto,
lui sarebbe stato pronto a riceverla.
Si, avrebbe ceduto, ne era
certo. Le avrebbe concesso ancora un po' di tempo, ancora un po' di
fuga, e se proprio avesse continuato, cocciuta, a restare sulle sue
posizioni finendo per esaurire la sua pazienza...beh, semplicemente
avrebbe smesso di attendere che gli si donasse spontaneamente e
sarebbe andato a prenderla, strappandola a quella coperta di Linus
che si era creata, con la forza se fosse stato necessario. Perché
a Viola, lui non voleva rinunciare.
Uscì finalmente
dalla doccia e si avvolse in uno dei candidi accappatoi dell'albergo,
sempre smisuratamente grandi per lui.
Si gettò sul grande
letto, raccolse il suo Blackberry e gli diede una veloce occhiata,
poi prese il suo cellulare e compose ancora una volta quel numero.
Il suo numero.
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Capitolo 9 *** notte parigina ***
CI SIAMO QUASI...
QUESTO ED IL PROSSIMO CAPITOLO SONO
DEDICATI A CHI ERA LA' QUELLA NOTTE.
LEGGENDO VOI CAPIRETE PERCHE'...
La notte di Parigi
stranamente non era fredda, nonostante il silenzio diffuso
denunciasse l'ora inoltrata.
Viola era circondata da
gruppetti più o meno numerosi di ragazze e ragazzi, i colori
predominanti del loro abbigliamento il rosso , il bianco, il nero.
Lei con il suo cappotto verde acido stonava là in mezzo, e se
ne stava per questo un po' discosta dagli altri, da sola. Lontana dal
tipo di eccitazione che pervadeva gli altri, ma come loro in attesa.
Fumava una sigaretta
appoggiata di spalle ad un'alta e impenetrabile cancellata.
Mentre con il piede
spegneva il mozzicone a terra il grido che si alzò dalla
piccola folla attirò la sua attenzione, tutti si accalcarono
al cancello, lei semplicemente si voltò a guardare al di là
delle inferriate, in prima fila.
E Jared apparve,
completamente (e assurdamente) vestito di un bianco immacolato,
sembrava emanare una luce propria sotto la gialla luce dei lampioni,
era ancora più bello di quanto ricordasse mentre si avvicinava
a passo elegante e sicuro attraverso il piazzale deserto.
Scambiò qualche
parola con le persone lì presenti, firmò qualche
autografo, decine di voci chiamavano il suo nome mentre una cascata
di flash si abbatteva su di lui.
Spostandosi lungo il
cancello si trovò finalmente davanti a lei, che era rimasta
lì, in attesa, incapace anche solo di pronunciare il suo nome.
Finalmente quegli occhi blu si alzarono ad incontrare i suoi ed un
lampo di riconoscimento lì attraversò.
Viola sorrise appena, ma
nessuna espressione lieta apparve sull'altro volto. Jared rimase di
sasso, poi un'espressione di rabbia e odio si impossessò dei
suoi tratti, deformandoli.
- Che cazzo ci fai qui? -
le disse – tornatene a casa. Aggiunse poi voltandosi ed
andandosene.
Viola spalancò gli
occhi nel buio della stanza di hotel, travolta da un'ondata di dolore
così assoluta da togliere il respiro, di quel dolore così
amplificato e senza freni tipico dei sogni.
Senza neanche accendere la
luce si alzò da letto e corse alla finestra, spalancandola. Un
conato di vomito la colse all'improvviso e tossì diverse volte
prima di riuscire a riprendere il controllo del proprio corpo, cercò
freneticamente un po' d'ossigeno,e solo dopo aver preso alcuni
respiri profondi della gelida aria notturna riuscì a calmare
il panico che l'aveva colta, ad allontanare quella sensazione
terribile relegandola solo al ricordo volubile di un sogno. Restò
solo il tremito violento del suo corpo, l'adrenalina che scorreva a
fiumi nelle sue vene.
Spossata come dopo una
lunga corsa riuscì finalmente ad alzare lo sguardo sul pezzo
di città che si stendeva ai suoi piedi. E gli occhi corsero
veloci al grande complesso del locale che si stagliava poco lontano
dalla finestra dell'Holiday Inn dove alloggiava. Domani sera il
gruppo di Jared si sarebbe esibito proprio in quel locale. Il
biglietto giallo e viola giaceva sul tavolino, fermato dal posacenere
stracolmo.
Paure, paure e ancora
paure.
Meg in fondo aveva
ragione.
Il suo orgoglio ed i suoi
meccanismi di difesa l'avevano costretta a negare i suoi sentimenti
ed il suo coinvolgimento in quella storia per non dover affrontare il
suo smarrimento ed il terrore che sotto vi si celavano.
Era cominciata in maniera
naturale, innocente, e lei per prima aveva spinto gli eventi perchè
prendesse quella direzione precisa.
Perchè le
somigliava quella situazione, non alterava quel suo perfetto
equilibrio nel caos.
Ed invece adesso tutto era
miseramente crollato su se stesso. Travolgendola. Era inesorabilmente
caduta vittima del suo fascino edera stata risucchiata da quel buco
nero che era Jared Leto.
Per lei era una cosa
difficile da accettare, ci mancava solo quel sogno che le spediva
davanti agli occhi una paura che neanche sapeva di avere.
Quella di essere rifiutata
da lui.
Perchè davvero
Jared aveva fatto molti passi verso di lei. In qualche modo era
riuscito ad essere presente nella sua vita nonostante il tempo, la
distanza e tutti i casini e gli impegni del suo lavoro. Lei ne era
cosciente e anche se aveva sempre cercato di svicolare e di non
fargli notare di aver capito, aveva colto dal primo momento quella
muta richiesta nelle sue telefonate, quel suo discreto e intelligente
modo di forzare le cose, di tirarla sempre più verso di sé,
verso qualcosa di più stabile, di una qualche sorta d'impegno.
Aveva cercato di sottrarsi
ma non era riuscita a troncare del tutto. Non ne aveva avuto la
forza, e dopo un po' aveva avuto come la sensazione che se anche ci
fosse riuscita in qualche modo lui non glielo avrebbe permesso.
Credeva, Viola, di avere
il controllo di tutto quello che la circondava, di tutto ciò
che era quella vita che si era scelta e costruita, ed ora in qualche
modo lui riusciva a ribaltare tutto: con pazienza e talento aveva
lavorato lentamente ma inesorabilmente tessendo la sua tela intorno a
lei.
Ed evidentemente essere a
Parigi, presentarsi da lui, equivaleva chiaramente per lei all'essere
caduta infine i quella tela, e in qualche modo sentiva che anche
Jared l'avrebbe pensata così...
- se vuoi una cosa la
ottieni, vero Mr Leto? Testardo e determinato fino all'inverosimile.
Sono stata un'ingenua e ti ho sottovalutato. Dannati siano il tuo
ego, il tuo fascino e la tua intelligenza.
Mormorò piano più
a se stessa che ad un immaginario lui.
La verità era che
le faceva male pensare che il suo equilibrio si sarebbe spezzato, che
la sua vita a New York non sarebbe stata più la stessa. Ma
d'altra parte per una misteriosa legge cosmica quando il meccanismo
dei cambiamenti si mette in moto gli eventi si susseguono ad una
velocità sempre maggiore fino a mettere la parola fine. E
pareva proprio che l'entropia avesse preso di mira il suo angolino di
Village in quei mesi che lei lo volesse o no. Lui aveva deciso di
entrare in un bar una sera ed in pochi mesi tutto era cambiato: a Meg
era stata proposta una cattedra in un college in Luisiana ed aveva
accettato. Martin sarebbe diventato padre, Bob aveva deciso lasciare
il Moby's e cominciare un lungo viaggio intorno al mondo...
ma in fondo non poteva
certo dare la colpa a Jared di tutto questo, a meno che non fosse
stato un oscuro demone del caos...e doveva ammettere che in qualche
occasione lo aveva pensato...no, in fondo lui era solamente qualcosa
che era capitato, così come l'inatteso successo, era il modo
del destino per dirle che era ora di schiodare le tende e vedere cosa
le offrisse la vita, che era ora di andare avanti e dire addio a
quella parentesi così dolce e necessaria nella sua formazione
che era stata il Village per lei, ed attaccarcisi con le unghie e con
i denti come aveva fatto in quei mesi non sarebbe servito a fermare
il tempo o a far retrocedere gli eventi, sarebbe servito solo a
perdere un'occasione di felicità e a portare rimpianti.
In fondo Meg era sempre
stata così saggia...e la pervicacia e la scaltrezza di Jared
non erano stati una cosa così negativa per lei...
ok, ok...avevano vinto
loro: avevano vinto Jared, il tempo, il caos, il destino o chi per
loro!
Al suo orgoglio bruciava
ancora ma avrebbe cercato, per una volta, di lasciarlo dove si
trovava adesso: imbronciato e offeso rintanato in un angolo.
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Capitolo 10 *** una piccola concessione ***
PENULTIMO CAPITOLO...PROBABILMENTE.
I cancelli si erano aperti
alle 18:30.
Viola aveva visto la folla
crescere a dismisura durante il pomeriggio, ma quando si presentò
all'ingresso, intorno alle 20:30, tutti erano già sciamati
all'interno ed il gruppo di supporto aveva già cominciato a
suonare.
Si tenne ben lontana dalla
fossa e scelse un posto seduto il più in alto possibile, per
quanto possibile isolata da tutto e da tutti, non era il primo
concerto dei 30 Seconds to Mars che vedeva, ma questa volta era
completamente diverso, non sapeva quali reazioni avrebbe avuto nel
rivederlo, e desiderava un minimo di privacy per quanto possibile in
un'arena strapiena di gente.
Pochi minuti dopo le 21:00
un telo bianco calò a coprire il palco e poco dopo Fortuna
Imperatrix Mundi risuonò nell'aria.
Colonna sonora
assolutamente perfetta per quel suo personalissimo momento.
Riconobbe la sua ombra
dietro il telo ancora prima che l'urlo della folla salutasse il
gruppo.
E per un momento, quando
il drappo rovinò a terra scoprendolo ai suoi occhi il tempo
sembrò fermarsi...ogni suono sparire.
Le tornarono alla mente le
sue parole “quello che sono è un attore ed un musicista,
abbastanza bravo ed abbastanza famoso...”
già...si rese conto
solo allora che l'unica cosa di lui che l'aveva preoccupata quella
prima sera era in realtà l'unica di cui non avrebbe dovuto
curarsi, lui si era dimostrato assolutamente pericoloso per
lei...micidiale...ma semplicemente in se stesso, il suo lavoro ed la
sua fama erano niente in confronto.
Ma ormai in qualche modo
il confine dentro di lei era stato varcato, e quell'ennesimo
rigurgito di veleno le strappò solo un sorriso mentre le note
di Attack le arrivavano potenti e le sue labbra già ne
scandivano i versi all'unisono con quelle di lui.
L'alto cancello e la
piccola folla del suo sogno c'erano davvero a proteggere l'uscita
degli artisti, dopo il concerto, unica variazione sul tema i due
tourbusses e le auto con i vetri oscurati, gli autisti pronti in
attesa per portarli via.
Cosa avrebbe fatto se lui
se ne fosse semplicemente andato senza vederla?
Lo avrebbe chiamato e
rincorso, avrebbe preso il telefono prima che fosse troppo lontano o
se ne sarebbe semplicemente andata senza fare niente?
Forse era stata una
stupida a presentarsi semplicemente lì, ma in qualche modo
quello per lei era un gesto simbolico, l'unico possibile nel racconto
di quella storia...oh dannata fantasia da scrittrice!
L'urlo stridulo che
gridava il Suo nome la riportò tragicamente alla realtà
del momento.
Lo vide avvicinarsi al
cancello, vestito completamente di nero e con indosso il suo cappotto
grigio preferito.
E Viola improvvisamente,
d'istinto, seppe esattamente cosa fare: si ritirò dalla folla,
attraversò la strada deserta e si appoggiò, sola,
all'enorme muro che si innalzava a non più di quindici metro
dall'inferriata.
Jared si arrampicò
al cancello e cominciò a parlare con gli Echelon e con i fan.
Lei restò immobile
e silenziosa guardando il suo viso da una distanza pari a quella
della prima sera al Moby's Bar, e anche da lì riusciva a
vedere chiaramente il blu dei suoi occhi, come allora.
E come allora quegli occhi
si alzarono su di lei.
All'inizio fu casuale ed
in un attimo scivolarono via da lei, ma poi tornarono
precipitosamente sui loro passi per confermare al loro proprietario
quello che il cervello doveva aver registrato.
Il sorriso più
bello che avesse mai visto si aprì sul volto di Jared: un
sorriso di gioia, di sorpresa...e si, dannato lui, di trionfo.
Ma non importava perché
anche viola stava sorridendo, arresa e felice.
Si guardarono per quella
che sembrò un'eternità ma che in realtà furono
pochi secondi, poi lui le fece cenno di attendere.
Un ultimo saluto alla
folla e scomparve, lasciandosi ricadere giù.
Pochi minuti ed il
cancello si aprì lasciando scivolare fuori un auto. Tutti
sbirciarono dentro ma non avendo visto nessuno oltre l'autista la
lasciarono proseguire. L'auto inforcò lentamente la strada e
giunta davanti a lei si fermò.
Il vetro si abbassò
ed uno sconosciuto autista le disse:
Lei annuì
Si accomodò nel
sedile posteriore e ripartendo l'uomo le passò un foglietto
ripiegato. Dentro c'erano solo poche parole.
“Ti do un'ora di
vantaggio”
una qualsiasi persona si
sarebbe fermata al significato più ovvio di quelle parole, e
cioè che Jared ne avrebbe avuto ancora per un po'. Ma lei
sapeva di non dover guardare all'ovvio con lui. Il reale significato
era un altro e lei pensò che non avrebbe potuto trovare un
modo migliore per esprimerlo.
Un'ora...un'ora di
vantaggio.
Un'ora per sbirciare nella
mia vita, un'ora per abituarti all'idea.
Entra nella mia stanza
mentre non ci sono, fruga e spia tra le mie cose, leggi i miei libri,
ascolta la mia musica, respira il mio odore sui vestiti, stenditi
dove io mi sono steso, conoscimi attraverso ciò che tocco ogni
giorno...vivimi attraverso la mia assenza. E mentre sei là
prendi ogni tuo scrupolo e ogni tua paura e fanne ciò che
vuoi. Hai ancora un'ora per crogiolarti nella tua vigliaccheria. Ma
se quando arriverò sarai ancora lì ogni cosa dovrà
essere scomparsa. Perché allora giocheremo secondo le mie
regole.
si...decisamente il
messaggio era chiaro.
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Capitolo 11 *** disordine esterno e ordine interiore ***
ECCOMI QUI COME
PROMESSO. ULTIMO CAPITOLO. SPERO CHE VI PIACCIA E SPERO DI AVERVI
FATTO UN PO' DI COMPAGNIA IN QUESTI MESI. GRAZIE A TUTTI COLORO CHE
HANNO RECENSITO O SOLO SEMPLICEMENTE LETTO, GRAZIE A TUTTE E TREDICI
LE PERSONE CHE MI HANNO MESSO TRA I PREFERITI.
E SICCOME FINALMENTE LA
PRIMAVERA IN QUALCHE MODO E' ARRIVATA, E CON LEI LE CRISI
SEMI-MANIACALI DI SCRITTURA (VEDI UNO DEI CAPITOLI INIZIALI) VI
COMUNICO CON GIOIA CHE OGGI HO POSTATO IL PRIMO CAPITOLO DELLA MIA
NUOVA FAN FICTION!!! VI AVVERTO: QUALCOSA DI TOTALMENTE DIVERSO.
Nella hall non le fecero
nessuna domanda, il suo angelo custode andò a ritirare la
chiave per lei e gliela porse. Se la receptionist aveva pensato che
doveva essere una groupie ben strana non lo dette a vedere.
- la accompagno? - le
chiese l'uomo
- no, grazie, credo
di riuscire a trovare la strada da sola. - già, quel passo
voleva farlo in completa solitudine.
Si avviò
all'ascensore e spinse il bottone del quinto piano.
Le porte si aprirono su un
ampio ed elegante corridoio. Viola sbirciò i numeri e si
diresse verso la stanza di Jared.
Notò che sulla
maniglia era appeso il cartoncino “do not disturb” e le
venne da ridere: Jared doveva essere diventato un maniaco della
privacy con quel lavoro, tanto da non tollerare neanche che le
cameriere riordinassero la stanza in sua assenza.
Fece scorrere la carta
magnetica nella serratura e la porta si aprì con un piccolo
scatto.
Letteralmente si lasciò
scivolare dentro.
Nella camera, come aveva
previsto, regnava un vissuto disordine: il letto era sfatto, qualche
vestito era abbandonato in giro, sul cuscino, rovesciata, la t-shirt
che doveva aver usato per dormire.
Sul comodino dei monili,
il suo I-Pod infilato nelle casse, una bottiglietta d'acqua a metà.
Lasciò scivolare lo sguardo altrove, muovendo i primi passi
nella stanza. Sullo scrittoio, vicino alla finestra che dava sul
terrazzo c'era il suo lap-top, spento ma lasciato aperto, il divano
del salottino era occupato da una chitarra acustica, sul tavolinetto
lì di fronte una manciata di fogli piene di versi e
correzioni.
Era come vederlo vivere e
muoversi per quella stanza: ogni oggetto in ogni singolo posto le
parlava di lui.
Sfiorò col le dita
il legno lucido della chitarra, con le unghie pizzicò le
corde: era leggermente scordata.
Cautamente si avvicinò
al letto, sfiorò il suo cuscino e finalmente si decise a
prendere in mano quella dannata maglietta che continuava a
catalizzare i suoi pensieri da quando era entrata.
Era lisa, vissuta. Si
chiese perché la sua mente continuava a notare particolari
così irrilevanti.
Sedette sul letto, per
assecondare le gambe che erano state colte da un leggero tremito, e
come in trance allungò la mano accendendo l'I-Pod, abbassò
il volume e schiacciò play. I Nine Inch Nails riempirono
l'aria. Solo allora notò, sul pavimento, un piccolo libro:
Così Parlò Zarathustra.
Lettura leggera,
d'intrattenimento... mormorò ridendo.
Quella risata le fece
bene, alleggerì un po' la tensione, così finalmente si
decise a fare quello di cui aveva più paura: chiuse gli occhi
e si avvicinò la t-shirt al viso, respirando a fondo.
La sensazione fu violenta
come se l'era aspettata. Il suo profumo in quell'indumento era forte,
assoluto, lo stomaco le si contrasse per il piacere, per la
familiarità che quell'odore le regalava.
Era il profumo più
buono del mondo. Era il suo profumo.
Adesso percepiva la sua
presenza in maniera ancora più concreta. Fu come se il suo
corpo si fosse risvegliato dopo mesi di torpore e stesse prendendo il
controllo sulla mente.
Un calore struggente e
quasi doloroso, misto all'ansia, le cresceva nello stomaco.
Doveva fumare una
sigaretta.
Cercò l'occorrente
nel fondo delle tasche del cappotto che si rese conto di avere ancora
addosso. Si alzò, diretta al terrazzino, ma qualcosa catturò
la sua attenzione: Almeno una decina di braccialetti colorati, di
vari materiali, erano appoggiati sul comodino, li aveva già
notati entrando , ma adesso sembravano esercitare su di lei uno
strano potere. Allungò il braccio, e ne prese uno, uno uguale
a molti altri, che non avesse un particolare valore per lui. Un
cerchietto di caucciù nero e insignificante. Solo allora poté
raggiungere l'esterno.
Sedette a terra, con le
spalle alla parete e lo sguardo perso sul panorama notturno, laggiù,
lontana ma perfettamente visibile, si stagliava la Tour Eiffel.
Accese la sigaretta e lasciandola penzolare dalle labbra infilò
il braccialetto al polso destro. Lo guardò per un lungo
momento, accarezzandolo, e con un sorriso quasi non si stupì
più delle sensazioni che le faceva nascere in petto.
Prese la sigaretta tra le
dita e guardò ancora una volta quel cerchietto di plastica,
prima di rivolgere lo sguardo al cielo scuro e quasi privo di stelle.
Adesso era pronta, adesso
lo attendeva.
Rientrò perché
stava cominciando a fare freddo davvero. Si voltò un attimo
per chiudere la finestra, e dietro di lei sentì la porta
aprirsi.
Rimase immobile, tremando
appena per l'emozione, finché non la sentì richiudersi.
E allora, solo allora, Viola si voltò.
Fu come trovarsi di fronte
allo stesso Jared, ma in qualche modo diverso, non solo perché
adesso era perfettamente inserito nel suo contesto o perché
aveva ancora sul viso il trucco sbafato del concerto. Lui sorrise, ed
aprì le braccia per accoglierla, e fu come se qualcosa
esplodesse dentro di lei, il suo cuore rimbombava talmente tanto da
assordarla mentre si gettava contro il suo petto e lui la stringeva.
Era caldo e ancora un po' sudato, quando gli affondò il viso
nell'incavo del collo il suo odore le parve così invitante che
avrebbe avuto voglia di leccarlo.
Si quella volta era
diverso perché anche il loro avvicinarsi lo era stato: non più
pacato o in punta di piedi, stavolta era privo di filtri o freni, era
un precipitarsi l'uno nell'altro. C'era la volontà in lei di
perdere finalmente il controllo. E ora nella testa le risuonavano le
parole di sfida urlate in una delle canzoni di lui:
Try and stop me
Try and save me
I want to fall!
Ed era
esattamente così, era bastato un solo secondo, era bastato
toccarlo di nuovo. Non avrebbe più potuto fermarsi, non
avrebbe più voluto farlo.
Cercò
la sua bocca, avida, e lui rispose al suo bacio, la voltò e
l'appoggiò al muro senza interrompere il loro contatto e in
fretta, con urgenza, cominciò a spogliarla, a cercare la sua
pelle.
Viola
era come se non si riconoscesse più, sentiva le sue mani e la
sua bocca esplorarla febbrili, bruciare di una passione che non
aveva mai provato. Esplorò e raggiunse registri di piacere mai
conosciuti prima, neanche con lui.
Sentiva
il suo ventre reclamare il corpo di Jared, implorare il contatto , la
penetrazione.
E
quando entrò in lei sentì ogni fibra nervosa viva come
non mai, fu come se ogni cosa dalla notte dei tempi tornasse al
proprio posto. Si sentì completa come non aveva mai provato.
E le
fu chiaro una volta di più che quella strada era senza
ritorno...e a che a lei stava benissimo così.
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