così...semplicemente

di artemide82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un giovane e interessante studente del Village ***
Capitolo 2: *** un'acrobata sospesa nel cielo ***
Capitolo 3: *** due egoisti egocentrici affetti da crisi maniacali ***
Capitolo 4: *** così...semplicemente ***
Capitolo 5: *** Ci vuole un pazzo per riconoscerne un'altro ***
Capitolo 6: *** due occhi blu ***
Capitolo 7: *** uno strano concetto di facilità... ***
Capitolo 8: *** liberi pensieri protetti da un impenetrabile muro d'acqua ***
Capitolo 9: *** notte parigina ***
Capitolo 10: *** una piccola concessione ***
Capitolo 11: *** disordine esterno e ordine interiore ***



Capitolo 1
*** un giovane e interessante studente del Village ***


Non scrivo questa storia per fini di lucro, è solo un innocente divertimento. Non intendo offendere nessuno. E non conosco Jared Leto, quindi è ovvio che la mia è una storia di pura invenzione


L'autunno era sceso su New York in punta di piedi quell'anno, le foglie degli alberi resistevano ancora sui rami e davano sfoggio di tutta la loro sfolgorante bellezza tingendosi di rosso e oro, l'aria aveva cominciato a farsi fresca e l'asfalto riluceva sotto le carezze di una tenue pioggerellina nella sera ormai inoltrata.

Viola salutò come ogni sera Martin che chiudeva la piccola libreria in cui entrambi lavoravano e incamminandosi lentamente lungo la strada insolitamente tranquilla del Village si accese una sigaretta cercando ripararla con la mano dalle sottili e leggere gocce di pioggia.

Quello era il suo angolino di mondo, il posto che si era scelta. Aveva attraversato l'oceano dalle splendenti campagne toscane alla grande mela un paio di anni prima per frequentare un master alla Columbia, ma poi aveva trovato molto di più. Niente di così eccitante e metropolitano, anzi, si poteva tranquillamente dire che il suo mondo era geograficamente più piccolo adesso che le sue giornate si dividevano tra il suo piccolo appartamento condiviso, la libreria ed il Moby's Bar. Ma era la gente che la conquistava, quell'ambiente così intellettualmente stimolante in cui si era trovata e che l'aveva accolta come mai le era successo prima.

Aveva cominciato a frequentare il Moby's con la sua coinquilina Maggie, una minuta ragazza della Luisiana grande appassionata di Jazz e letteratura russa, perché in quel locale si faceva musica dal vivo, letture di poesie, si proiettavano film espressionisti e qualsiasi altra cosa stuzzicasse la fantasia di Robert, il proprietario, e della sua affezionata clientela. E adesso quella era la sua famiglia, l'avevano aiutato a trovare un lavoro dopo il master che le permettesse di vivere nel quartiere e le lasciasse il tempo di scrivere, la sostenevano e le coloravano l'esistenza con le loro idee, la loro fantasia, la loro arte. Viola sapeva che questo era solo un periodo della sua vita, che prima o poi ognuno di loro avrebbe preso strade diverse, ma per adesso, a 25 anni, credeva di poter rimandare scelte più importanti e definitive e godersi a pieno quella fase di vita da moderna Bohemien Newyorkese. Da qualche tempo, poi, pareva che l'Italia e la lingua italiana fosse di moda negli states, e così Viola aveva trovato un modo per arrotondare il suo stipendio: ogni giovedì sera suonava e cantava al Moby's la musica dei cantautori italiani, ed ogni serata era arricchita da una presentazione dell'autore e da opuscoli con i testi tradotti delle canzoni che avrebbe interpretato, come da tradizione del locale. Si era lanciata nel progetto con passione e i “suoi giovedì sera” come li chiamava Bob, stavano riscuotendo un certo successo.

Ma adesso, mentre tornava a casa sotto la pioggia autunnale, era solo mercoledì e lei camminava leggera stringendosi nel suo cappotto verde acido preso per pochi dollari al mercatino, pensando che avrebbe mangiato velocemente qualcosa prima di passare al bar per incontrare gli amici e ascoltare il concerto di quella sera.


Quando entrò al Moby's quella sera si accorse subito che c'era qualcosa che non andava. Il piccolo palco in fondo al locale era vuoto e questo era strano, a quell'ora il gruppo di supporto avrebbe già dovuto cominciare a suonare.

    - che succede? - chiese allora avvicinandosi a un Bob apparentemente agitato

Il robusto uomo di mezzaetà si voltò e non appena la vide qualcosa gli brillò negli occhi:

    - è il cielo che ti manda – le disse prendendola per le spalle – il gruppo di supporto non si è fatto vedere e gli Strinkes sono in ritardo. Sali sul palco e canta qualcosa!

    - E cosa?! - chiese la ragazza stupita

    - qualsiasi cosa, improvvisa...ma intrattienili!- concluse mettendole una chitarra in mano

    - Ok... - rispose prima di salire sul palco e recuperare il suo sgabello dall'angolo, sfoderando il più meraviglioso dei sorrisi imbarazzati ad un pubblico che praticamente conosceva uno per uno.


Il taxi lasciò Jared all'inizio di una strada del Village. Era a NewYork per girare un film. Le riprese in città sarebbero cominciate da lì a pochi giorni per durare poche settimane prima di ripartire per una location meno costosa. Ma lui era voluto arrivare con qualche giorno d'anticipo per rilassarsi, riordinare le idee e cercare di concentrarsi sul suo personaggio: un giovane squattrinato che sopravviveva a New York nutrito dai suoi sogni. C'era stata una fase della sua vita in cui quella realtà era stata veramente la sua, ma erano passati anni, aveva avuto successo e le cose erano cambiate. Così adesso provava a ritornare sui suoi passi, a rituffarsi ancora in quelle situazioni per cercare di ricordare e rivivere appieno le sue emozioni di allora.

Alzò gli occhi dai suoi passi e lo sguardo gli cadde sull'ingresso di una piccolo locale da cui arrivavano attutiti sulla strada le note di una chitarra che suonava in versione acustica una canzone dei Nirvana. Decise di entrare. Si sistemò ad un tavolo in fondo alla sala da cui poteva avere una panoramica completa delle persone che bevevano e cantavano accompagnando la giovane ragazza sul palco...era lì per osservare dopotutto.


Viola si stava divertendo, aveva cominciato a suonare qualche canzone che amava ed il pubblico sembrava soddisfatto di quel fuori programma, cantavano con lei e facevano richieste e l'atmosfera era diventata calda e piacevole.

Mentre le sue mani suonavano gli ultimi accordi di About a Girl abbracciò con uno sguardo la sala e fu allora che lo vide entrare, qualcosa scattò in lei: il suo stomaco si contrasse ancor prima che il cervello avesse appieno realizzato quello che aveva visto. Ma ne fu certa, in un attimo. Quello che si era appena seduto ad un tavolo appartato in fondo al locale era uno dei suoi musicisti e attori preferiti. Quello era Jared Leto.

Gli applausi la riscossero mentre si accorgeva con sollievo di aver comunque terminato la canzone nonostante la sorpresa, cercò con lo sguardo Bob che gli fece cenno di cantare un'ultima canzone.

Una sola.

Abbassò un attimo gli occhi e sorrise tra sé. Aveva deciso quale sarebbe stata senza ombra di dubbio.

Prese un bel respiro e cominciò a parlare:

    - bene, vi comunico che state per liberarmi di me, a chi fosse interessato ricordo che domani sera sarò di nuovo su questo palco con il mio solito repertorio del giovedì... ma per concludere voglio suonare un ultimo pezzo. Amo molto la prossima canzone, e siccome vedo che l'autore è presente tra noi questa sera, credo che sia corretto chiedergli il permesso di suonarla – una piccola pausa, decise che non avrebbe detto il suo nome, non voleva creargli disturbo, anche se era certa che nessuno lo avrebbe infastidito comunque in quel locale, a volte capitava gente famosa ed erano tutti abituati a rispettare la privacy degli altri. Riprese guardando dritto verso quel ragazzo in fondo al locale – Signor Bartolomew Cubbins – anche a quella distanza poté vedere che due brillanti occhi azzurri si alzavano sorpresi su di lei – crede che potrei suonare un suo pezzo?

Un sorriso disarmante ed un cenno della mano che la invitava a procedere.

Gli sorrise a sua volta prima che le note di Oblivion si spandessero nell'aria.


Viola cantò la canzone come tante volte aveva fatto da sola nella sua stanza. Quando terminò sorrise agli applausi e fece un piccolo inchino, guardò Jared e vide con sollievo che anche lui applaudiva nella sua direzione. Presentò il gruppo e scese dal palco, dirigendosi al bancone dove Bob la aspettava con già una Corona's per lei in mano, le strizzò l'occhio e le disse solo:

    - Brava. E grazie.

    le allungò con discrezione il compenso che sarebbe dovuto essere dello scomparso gruppo di supporto e tornò al lavoro. La ragazza si voltò appoggiando i gomiti al bancone e bevve un sorso di birra, gli occhi le tornarono ancora al tavolo in fondo al locale ma con una nota di tristezza si accorse che era vuoto. Poi di scatto si voltò, improvvisamente conscia di una presenza al suo fianco.

    Jared era lì, e sorrideva.

    Era ancora più incredibilmente bello e affascinante di quanto avesse sospettato.

    - forse è la prima volta che sento suonare una mia canzone da qualcun'altro – esordì

    - e ti è piaciuto? - chiese lei, ormai senza più imbarazzo

    - Si...mi è piaciuto, anche se fa uno strano effetto. Come ti chiami?

    - Viola

    - Piacere, io sono Bartolomew

Lei rise, e Jared pensò che aveva uno splendido sorriso, un sorriso sincero che le illuminava il volto e le faceva brillare gli occhi.

Cominciarono a parlare, con naturalezza. Jared le raccontò del perché fosse in città, del film e del personaggio che doveva interpretare

    - beh, se ti può essere utile possiamo fingere che tu sia solo un giovane e interessante studente del Village conosciuto una sera in un locale – disse allora Viola, e adesso che parlavano vicini per sentirsi nonostante la musica si chiese se in quel momento per lei c'era qualche differenza...e si rispose che : no, in quel momento, se c'era, lei non riusciva a coglierla.

    - Si potrebbe fare – rispose lui – e dimmi: cosa chiederesti adesso al...com'era? “Giovane e interessante studente”?

    - la verità? Gli chiederei se non avesse voglia di bere un the a casa mia, visto che quasi non riesco a sentire cosa dice con tutto questo rumore.

    - E al musicista e attore famoso cosa chiederesti? - disse lui dopo una pausa, guardandola dritta negli occhi

    - Niente probabilmente – rispose sinceramente lei.

Jared parve riflettere un attimo su quelle parole, ma quando i suoi occhi tornarono a guardarla era sicuro, sereno

    - benissimo allora, il giovane studente dice che è una splendida idea...fammi strada.










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Capitolo 2
*** un'acrobata sospesa nel cielo ***


Grazie a tutti coloro che hanno letto, apprezzato e commentato il primo capitolo, vi posto il secondo. Buona lettura!








Pochi minuti dopo erano nel piccolo appartamento che Viola divideva con Maggie. La ragazza trafficava col bollitore nella cucina troppo piccola perché riuscisse a starci più di una persona alla volta ma ben equipaggiata di prodotti freschi e spezie di ogni tipo, era evidente che qualcuno in quella casa amava cucinare.

La piccola cucina prendeva aria affacciandosi direttamente su un salotto piccolo e stracolmo di libri, riviste e dischi, la luci erano calde e soffuse e gli anonimi mobili che arredano le case in affitto erano abilmente dissimulati da stoffe multicolori abbinate con gusto, alle pareti libere dalle librerie erano appesi poster e riproduzioni incorniciate di quadri famosi del periodo post-impressionista e espressionista: Loutrec, Modigliani, Soutine... Lo stereo suonava in sottofondo Drown degli Smashing Pumpkins e Jared, dopo aver chiesto educatamente il permesso, curiosava per la stanza sbirciando i titoli dei libri. L'atmosfera era intima e rilassata, non parlavano, solo ogni tanto si sbirciavano l'un l'altra sorridendosi.

    - che tipo di the vuoi? - chiese Viola pacatamente

    - non so...che cos'hai? - rispose lui alzando il naso da un libro di poesie di Wilde

    - di tutto un po': Nero, verde cinese, Java, bianco, al bergamotto e al gelsomino.

    - Gelsomino per me

La ragazza lasciò cadere in due mug un pizzico di foglie di the e bianchi fiori essiccati che toccando l'acqua bollente sprigionarono subito il loro profumo, poi si diresse nell'altra stanza, porse una tazza a Jared e sedette sul tappeto con le le gambe incrociate appoggiando le spalle al piccolo divano. Lui ripose il libro al suo posto e la imitò.

    - hai un sacco di libri italiani... - disse poi soffiando piano sulla superficie del liquido

    - Sono italiana. E mi piace leggere i libri in lingua originale quando posso. Quelli in latino con testo a fronte poi preferisco averli con la traduzione in italiano, riesco a ricostruire meglio le frasi

    - Caspita...Com'è che sei finita qui a New York?

    - Sono venuta un paio di anni fa per frequentare alcuni corsi di letteratura e arte americana, poi però mi sono trovata bene...e sono rimasta.

    - E che progetti hai per il tuo futuro? - chiese incuriosito

Lei sorrise.

    - e chi lo sa? Sto scrivendo un libro, al momento, ma quanto a dirti dove sarò e che farò da qui ad un anno...non ne ho la più pallida idea.

Lo disse in modo sereno, continuando a sorridere, gli occhi che brillavano più che mai, fu quindi facile per lui indovinare che amava quell'incertezza, quelle infinite possibilità che ancora le si aprivano davanti. Che non aveva fretta di esplorarne qualcuna abbandonandone altre, che riusciva a godere appieno il presente.

Continuò a chiederle di lei e della sua vita, delle sue passioni e, intanto che continuavano a parlare e la voce sussurrata e a tratti aspra di Billy Corgan usciva a basso volume dallo stereo come un discreto sottofondo, si lasciò completamente risucchiare da lei, dalla bellezza della sua mente a tratti contorta e misteriosa ma impregnata di autentica passione per la bellezza, per la vita...da quell'irresistibile caos in cui era riuscita a trovare in qualche modo un equilibrio.

La vedeva leggiadra come un'acrobata camminare su una fune sospesa ad un'altezza vertiginosa in un cielo limpido, con la sola certezza della precarietà della sua situazione, pronta con il sorriso ad affrontare ogni sfida che avrebbe stuzzicato la sua fantasia. Era completamente diversa da quello che lui era stato alla sua età, ma in lei riconosceva quella fiducia nelle proprie capacità, quella innata curiosità per la scoperta e per l'esplorazione di ogni forma di espressione, bellezza, piacere che sentiva anche sue.

E qualcosa si mosse dentro di lui, un'ebrezza che investiva corpo e testa, il desiderio di lei, di esplorare la sua femminilità, di fondersi con quel corpo e con quella mente, di immergersi per un momento in quel turbinio colorato che era la sua vita. Ma c'era una cosa...qualcosa che dovevano chiarire, qualcosa che gli premeva puntualizzare.

E quando lei con un gesto aggraziato sfilò il semplice fermaglio di legno che gli raccoglieva i lunghi capelli castani si mosse e con delicatezza raccolse una ciocca di capelli sistemandogliela dietro l'orecchio, e fissò i suoi occhi azzurri in quelli scuri di lei con uno sguardo che era impossibile non cogliere subito, lei rimase immobile, sostenendo il suo sguardo in attesa che parlasse, perché le era chiaro che volesse dire qualcosa che gli stava a cuore.

    - tu mi piaci – esordì semplicemente – ed è corretto dire che tu provi lo stesso?

Lei annuì sorridendo invitandolo col suo silenzio a continuare

    - e forse può essere un gioco divertente fingere che io sia solo uno studente un po' passatello del college, ma quello che è stato con te stasera sono semplicemente io, e quello che io sono è un attore e un musicista, abbastanza bravo e abbastanza famoso e non posso proprio farci niente... pensi di riuscire ad accettarlo o mi discriminerai per questo?

Viola non rispose, lo osservò a lungo negli occhi, riflettendo: discriminarlo? Era assurdo accostare quella parola alla sua persona ma in quell'occasione sostanzialmente corretto, non metteva una croce su di lui in quanto tale, ma all'immagine che avrebbe potuto avere di sé stessa se fosse andata a letto con uno famoso per poi scoprire che questo era esattamente quello che lui pensava di lei. Quindi in definitiva il suo dubbio era questo: si fidava a sufficienza della persona che aveva davanti e sperare che lui realmente la capisse e l'apprezzasse per quello che era? poi qualcosa la distrasse minimamente, una frase che usciva dallo stereo, una frase di una canzone che adorava e che diceva: “ the impossible is possible tonight, bilieve in me as I believe in you...tonight”, e decise di dare ragione a quella canzone: senza una parola si alzò in piedi e dopo un attimo in cui si godette il velo di perplessità che attraversò lo sguardo di Jared gli tese la mano invitandolo ad alzarsi e senza lasciarlo lo guidò per il breve corridoio oltre la porta della sua camera da letto.


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Capitolo 3
*** due egoisti egocentrici affetti da crisi maniacali ***


Graziegraziegrazie delle recensioni! Posto oggi perché ho un po' di tempo, anche se non ci saranno sempre aggiornamenti così fulminei.

Spero che vi piaccia anche questo capitolo.







Rimasero in piedi uno di fronte all'altra a guardarsi negli occhi nella penombra della stanza resa azzurrina dalle luci della città che filtravano dai vetri della finestra. Aveva ricominciato a piovere stancamente ed il battere lento delle gocce era percepibile tra le scie delle auto sull'asfalto bagnato due piani più sotto.

Jared restò a contemplarla per un tempo infinito, poi lentamente si avvicinò e senza far aderire i loro corpi la baciò piano, le labbra che giocavano dolcemente e le lingue che si sfioravano appena, voleva scoprirla a poco a poco, prendersi tutto il tempo di questo mondo se fosse stato necessario. Il bacio fu breve e delicato, poi tornò a guardarla mentre senza neanche sfiorarle la pelle le toglieva il dolcevita, poi si mosse portandosi alle spalle di lei, lei che restava immobile godendo di ogni sensazione amplificata dalla lentezza e dal silenzio.

Jared risalì con un impercettibile carezza dei polpastrelli le sue braccia mentre la pelle le si riempiva di brividi, ed il respiro si spezzò quando sentì il suo alito caldo sul lobo dell'orecchio mentre le labbra riservavano lo stesso trattamento delle mani al suo collo.

E Viola pensò, ancora con lucidità (anche se aveva il sospetto che presto questa l'avrebbe abbandonata), che Jared si accostava a lei come se stesse facendo musica, come se lei fosse uno sconosciuto e prezioso strumento musicale nelle sue mani che scopriva ed esplorava lentamente, per poi, con mani esperte, strapparle un suono, e poi un'altro, finché le sue corde non avrebbero vibrato all'unisono con lui e la sua passione.

Ora i baci sulla sua nuca si erano fatti più profondi e le mani, dopo aver disceso la schiena lungo la spina dorsale, si allargavano intorno alla sua vita fino a raggiungere e annientare in un unico gesto la resistenza dell'agganciatura dei suoi jeans che calarono lungo le sue gambe sotto la gentile pressione di lui. Scivolò fuori dai suoi pantaloni e si voltò perché le sue mani la invitavano la a farlo. La guardò negli occhi con un piccolo sorriso, e lei capì che gli stava passando il comando del gioco.

Si allontanò di qualche centimetro così da poterlo percorrere interamente con lo sguardo e sentì che il sospiro che non era riuscita a trattenere era tremante, così come lo era la sua intera persona all'idea di poter scoprire, esplorare, possedere quell'essere intriso di tanta bellezza racchiuso in corpo che aveva l'idea potesse realmente rasentare la perfezione di quell'ideale maschile che così preciso e perfetto popolava i suoi pensieri.

Sfiorò il suo corpo attraverso la semplice maglietta nera che indossava, il sentirlo fremere sotto il suo tocco le dette l'incredibile e totale percezione della suo essere reale, del suo essere uomo sotto le sue mani, spazzando via quell'immagine eterea che albergava nella sua mente per sostituirla con una sicuramente più concreta, e anche decisamente migliore si disse Viola mentre scopriva il suo torace bianco e disegnato. Passò la punta delle dita sulla linea di ogni muscolo, dividendo il suo sguardo tra il suo corpo e i suoi occhi che a tratti si chiudevano per il piacere, la testa gli si rovesciò impercettibilmente all'indietro ed l'incavo tra il collo e la clavicola fu un richiamo irresistibile per la sua bocca che pazientemente iniziò ad esplorarlo seguendo con intensità fluttuante il tocco delle sue mani che, come dotate di vita propria, erano arrivate a risalirgli la schiena.

Jared si mosse, ormai deciso a passare ad un registro più alto, con un gesto fluido le slacciò il reggiseno e l'attirò a sé, pelle contro pelle, e cercando la sua bocca in un bacio profondo e sensuale si lasciò cadere sul letto trascinandola con sé.


La pioggia doveva essere cessata, ma non ne era troppo sicura, non aveva ancora ripreso totalmente il controllo del suo corpo e ancora questo cercava di riprendere fiato allacciato al corpo altrettanto ansimante di Jared mentre l'orgasmo che li aveva colti entrambi nello stesso momento fluiva lentamente da loro lasciandoli inermi.

Non si era sbagliata con quel pensiero su Jared, la musica e il sesso, convenne poi Viola con sé stessa.

Si sentiva talmente bene che le venne da ridere e la prima cosa che disse fu una battuta:

    - Diamine...passa pure di qui quando vuoi.

Lui rise con lei, allungando la mano verso il comodino per prendere una sigaretta dal pacchetto lì sopra

    - ti va se ne smezziamo una?

Lei annuì passandogli l'accendino per poi stringersi ancora di più a lui sotto le coperte nel tepore dei loro corpi ancora un po' sudati.

Restarono in silenzio per un po', l'unico rumore la combustione della sigaretta che continuavano a passarsi.

Fu lei a parlare per prima

    - com'è la tua vita Jared...?

    Lui sorrise, quella domanda aveva un preciso significato: quello che lei lo accettava totalmente, così com'era.

    - Movimentata. Sempre in giro a suonare o per qualche film, le interviste, i paparazzi...scrivere, provare...

    - e ti piace? - domandò Viola anche se aveva già intuito la risposta

    - ogni minuto. Ho lavorato molto, sono maturato come persona e come artista e adesso ho continue conferme che il mio lavoro è apprezzato. È... stimolante. Certo comporta delle rinunce nella mia vita privata, ma per adesso non ne ho sentito troppo il peso...che dirti? Probabilmente sono solo un tremendo egoista egocentrico, e mi sa anche un pochino stronzo. - concluse tra il serio ed il faceto.

Viola si era voltata sulla pancia appoggiandosi sui gomiti per guardarlo bene in faccia, e non poté fare a meno di ridere a quelle parole

    - che c'è, non ci credi? Non fare l'errore di donarmi virtù che non ho, potresti rimanere delusa.

    - In realtà ti stavo prendendo proprio sul serio, Jared. È che in qualche modo questo di te lo avevo intuito, forse perché anche di me penso si possa dire lo stesso in tutta onestà...voglio dire, stavo bene qui e non sono tornata a casa, con tanti saluti a chi mi stava aspettando. Ma sentivo che questa per me era l'unica strada possibile, perché era l'unica che mi faceva sentire bene con me stessa, e se ci avessi rinunciato sarei morta...morta dentro. Certo, può essere considerato onorevole detto così, ma penso che tu sappia meglio di me quanto terreno bruciato ti fai intorno seguendo la tua felicita. Ma siccome chi è egoista ed egocentrico di solito è particolarmente indulgente con sé stesso finisce con l'esserlo anche con quelli in cui rivede i suoi peccati. Per quanto ti riguarda... Non credo che tu potresti fare nient'altro, per te deve essere come una droga: lo spingere l'acceleratore della tua vita fino al limite invece di stancarti credo che finisca per darti energia, per farti sentire sempre meglio, e Dio ci aiuti, sempre più attivo.

    - Come diavolo fai a inquadrarmi così bene? Da dove esci fuori tu? - le chiese lui guardandola a metà tra lo stupito e l'ammirato

    - Come faccio a inquadrarti così bene, dici? - rispose lei divertita – incredibile intuito, certo... ma anche un piccolo aiuto da parte della scienza. Di' hai mai studiato psichiatria?

    Non di recente...aspetta un momento: stai dicendo che sono pazzo?

Lei rise piano, di gola

    - ti sei mai chiesto qual'è il confine tra genio e follia? Secondo me è talmente labile da non esistere. Ci sono follie che sono socialmente accettate, acclamate addirittura...e la chiamiamo genialità. Sto dicendo che se ti guardi i criteri di diagnosi dei disturbi psichiatrici è facile trovarne in tutti noi, chi più chi meno. Certo, purché siano persone speciali. È quel tocco di follia che rende il mondo e le persone così incredibilmente affascinanti a volte, fuori dal grigiore della massa.

    - E da che patologia sarei affetto, dottoressa?

    - Da quella comune a molti artisti, anzi, forse proprio quella che li rende tali: tu sei un maniacale, Jared. Semplicemente i tuoi pensieri viaggiano velocissimi e su più binari, ti colpiscono e ti esaltano, portandoti a vivere ed agire con una velocità frenetica, a volte senza dormire, mangiare...i medici che sono privi di fantasia le chiamano crisi maniacali, io e te semplicemente ispirazione. Se poi ci aggiungi un'altro sintomo tipico della malattia...l'ego smisurato...

Lui ridacchiò scostandole con delicatezza i capelli dal viso

    - Non dico tutto questo per sminuirti, anche se forse trovare per forza un nome alle cose ed ed etichettarle sistematicamente le sminuisce...sai che ti dico? Abbandoniamo la scienza e torniamo alla letteratura con un avverbio e un aggettivo: tu sei “semplicemente straordinario”, Jared.

A lui non restò altro che baciarla.

    - Posso dormire qui? - le chiese poi

    - Certo che puoi. - rispose lei dandogli le spalle e lasciando che i loro corpi aderissero completamente in un abbraccio così perfetto che presto li avrebbe donati al sonno

    - c'è un ora precisa a cui vuoi essere svegliato domattina?

    - No, non ti preoccupare tanto a qualche ora cominceranno a chiamarmi sul cellulare – rispose lui sprofondando il viso tra i suoi lunghi capelli che profumavano di frutta e stringendosi al corpo di lei ancora di più

    - guarda che l'hai spento il cellulare – provò a ricordargli

    - tanto meglio – fu la sua risposta appena borbottata mentre già Morfeo si impossessava di lui.


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Capitolo 4
*** così...semplicemente ***


Scusate il ritardo!! tante prove in itinere questa settimana! Cercherò di non farvi aspettare più così tanto...

...E grazie per le recensioni, siete troppo buone...continuate pure ad esserlo! :)







Il rumore di qualcuno che si muoveva in cucina svegliò Viola la mattina dopo, lanciò uno sguardo assonnato all'orologio da polso e si accorse che erano le nove meno un quarto del mattino. Maggie si preparava per andare al lavoro.

Voltò la testa verso Jared e lo vide lì, profondamente addormentato, i capelli scompigliati sul viso ed un braccio sotto il cuscino, così, nell'incoscenza e nel completo abbandono, il suo volto perdeva quell'aria maliziosa che il suo sguardo gli regalava e acquisiva una bellezza ed una grazia quasi angelica. Il suo respiro era profondo e regolare, e lei decise di lasciarlo dormire ancora un po', era così rilassato che sarebbe stato un delitto svegliarlo.

Così la ragazza scivolo piano fuori dal letto e silenziosa come un gatto infilò un paio di pantaloncini corti ed una felpa sformata prima di uscire in punta di piedi dalla stanza.

Maggie stava versando in quel momento il caffè, un maglioncino nero a collo alto ed capelli raccolti con naturale scompostezza sulla nuca, con quella grazia che era tutta sua.

    - Tempismo perfetto!

Le disse a bassa voce porgendo anche a lei una tazza fumante.

Viola si arrampicò su uno sgabello e sorbì lentamente il caffè sorridendo all'amica.

    - Hai avuto compagnia stanotte...

Le fece notare con la curiosa confidenza di chi si racconta sempre tutto, indicando con un cenno della testa la giacca di Jared che giaceva ancora sulla spalliera del divano.

Lei si limitò a sorridere, senza arrossire.

    - e a giudicare da come sei radiosa stamattina, e da quello che ho sentito ieri sera rientrando... deve essere stato un incontro piacevole. Chi è? Lo conosco?

Viola rimase un attimo in silenzio, non sapendo cosa rispondere.

    - beh...si e no. - disse sinceramente poi

    - In che senso scusa?

    -Nel senso che sai chi è, ma non lo conosci di persona.

    - Oh, ti prego, dimmi che è quel ragazzo biondo e bellissimo che viene ogni tanto da Bob!

L'amica rise

    - sei fuori strada.

    - Dai dimmi chi è!

Fece per aprire bocca ma prima che potesse dire qualsiasi cosa la porta della sua camera da letto si aprì e un Jared spettinato e con gli occhi ancora lucidi di sonno apparve dal corridoio.

Viola guardò fugacemente l'amica e la vide immobile, un'espressione stupita in faccia, decise di venirle in aiuto.

    - Jared, questa è la mia coinquilina, Maggie.

Disse con l'aria più naturale che le fu possibile.

Lui sfoderò un sorriso abbagliante anche di primo mattino

    - Ciao, io sono Jared.

    - Piacere di conoscerti Jared. - rispose Maggie ancora un po' scossa

    - Viola ti dispiace se uso il bagno?

    - Certo che no, se vuoi farti una doccia gli asciugamani e l'accappatoio blu sono i miei, e dovrebbe esserci uno spazzolino nuovo nell'armadietto del bagno.

    - Grazie...Maggie, è stato un piacere conoscerti.

Dopo di che scomparve di nuovo. Maggie si voltò con una faccia buffissima verso l'amica e sillabò con le labbra

    - è Jared Leto!

Lei annuì

    - è ufficiale, sei la mia eroina! - concluse afferrando il suo zainetto – adesso vado se no faccio tardi al lavoro. Passo a prenderti stasera così mi racconti tutto a cena.

Si avviò verso la porta, la aprì e esitò un attimo

    - ciao Jared! - urlò poi in direzione del bagno

    - ciao Maggie! - arrivò la risposta un po' attutita da dietro la porta.

Straordinaria Maggie, non si poteva non adorarla.


Viola finì di bere il caffè, poi tornò in camera da letto seguita dal rumore della doccia, aprì le imposte della finestra e si distese a guardare il cielo, azzurro anche se un po' velato, di quel giovedì. Dopo pochi minuti il rumore dell'acqua cessò e poco dopo Jared apparve sulla porta avvolto nel suo accappatoio, i capelli ancora umidi.

Si lasciò cadere accanto a lei, appoggiandosi sui gomiti.

    - buongiorno – disse dolcemente

    - buono davvero – rispose sporgendosi a baciarlo sulle labbra. - Hai fame?

    - Da lupi!

Mezz'ora dopo sedevano una di fronte all'altro al piano della cucina, con in mezzo tutto quello che erano riusciti a trovare nella ben fornita dispensa.

    - senti Viola – disse lui bevendo un sorso di the – io resto in città per qualche settimana... ti andrebbe di rivedermi?

Lei lo osservò da sopra la sua fetta di pane e marmellata, uno sguardo aperto e sereno.

    - In genere abbandono gli uomini dopo averli sedotti – scherzò – ma nel tuo caso vedrò di fare un'eccezione.

Jared sorrise

    - Sai dove abito, dove esco la sera...ed il pomeriggio lavoro nella libreria in fondo alla strada. Vieni quando vuoi...mi piacciono le sorprese.

Jared restò sorpreso, pensava che gli avrebbe lasciato il numero del suo telefono, ed invece gli aveva detto semplicemente dove trovarla. Nessun appuntamento. Solo l'implicita richiesta di cercarla. Era inusuale in qualche modo, ma doveva ammettere che gli piaceva quella casualità, quella naturalezza...e d'altra parte tra loro non eran nato tutto in quel modo? Così...semplicemente.




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Capitolo 5
*** Ci vuole un pazzo per riconoscerne un'altro ***


Rieccomi! Sono come un raffreddore: prima o poi ritorno.

Prima di andare avanti solo una nota, forse dovevo farla all'inizio, ma tanto vale farla adesso: avrete notato che sparse per il racconto ci sono riferimenti precisi a canzoni (o film come nel caso di questo capitolo). Non sono fatte a caso...è ciò che mi ha ispirato, se riuscite a trovarle vi consiglio di leggere ogni parte con la sua musica in sottofondo, perché con quel sottofondo sono state scritte. Se per qualcuna trovate difficoltà chiedete pure, vi dirò dove trovarla. Ora vi lascio al quinto capitolo







Nel primo pomeriggio Jared si chiuse alle spalle la porta della sua camera d'albergo, aveva accompagnato Viola al lavoro e dopo aveva camminato a lungo per le strade affollate appena baciate dal sole autunnale, aveva voglia di farlo: di camminare lentamente, di distaccarsi da lei lentamente.

Rimase a lungo in piedi di fronte alla finestra guardando le sfumature a tratti violente delle foglie del parco che si stendeva sotto di lui, le dita che giocherellavano distrattamente col telefono nella tasca destra, senza la reale voglia di accenderlo.

Voleva godersi ancora un attimo, un attimo di pace, godersi ancora quella fuga, quel suo segreto...

E improvvisamente capì una cosa, non avrebbe raccontato a nessuno di Viola, neanche a Shannon con il quale in genere non aveva segreti, voleva che restasse una cosa solo sua, lei e il suo mondo sarebbero restate il suo personale nascondiglio a New York, il suo personale rifugio dalla vita.

Ecco, pensò con un sorriso: adesso poteva decidersi a tener premuto per cinque secondi quel benedetto tasto verde del suo cellulare.


********************************


Il sabato sera successivo al suo incontro con Jared Viola lo passò come sempre al Moby's Bar, quella sera Bob aveva deciso di proiettare un cartone animato d'autore del 1986 (“When the Wind Blows” di J.T. Murakamy, musiche di David Bowie e Roger Waters), per “sensibilizzare i suoi ragazzi sul tema dell'energia nucleare” come aveva detto nel presentarlo.

Lei aveva già visto quel film qualche anno prima, in Italia, in un minuscolo cinema di un paesino sperduto, in una notte d'inverno di cui ricordava perfettamente le lame di vento gelido toglierle la sensibilità alla faccia, le luci gialle far risaltare le superfici in pietra delle facciate delle antiche case addormentate, e lo ricordava in modo così nitido proprio perché quella proiezione l'aveva scossa profondamente. E mentre usciva dal locale per accendersi una sigaretta, incapace di parlare e di restare dentro a bere con gli altri, si chiese per quale motivo aveva deciso di sottoporsi un'altra volta a quella tortura. Sarebbe dovuta restare a casa a scrivere il suo libro, invece di scendere e continuare a credersi più coraggiosa di quello che in realtà era.

Si strinse nel cappotto anche se la sera non era affatto fredda, sentendo dentro un bisogno di calore che non aveva niente a che vedere con la temperatura. In quel momento aveva bisogno d'amore, di bellezza, di Vita, di aggrapparcisi disperatamente con le unghie. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere gli occhi blu di Jared apparire nella notte. Prese un lungo tiro dalla sigaretta sperando che la nicotina la stordisse come una martellata e si appoggiò al muro del locale.

Una figura racchiusa da un cappotto grigio si mosse dall'ombra e le si avvicinò. Era lì da un po', l'aveva vista dentro e aveva visto il suo dolore dipinto nel volto, nel modo in cui continuava a muoversi sulla sedia senza posa, gli occhi tuttavia incollati allo schermo, e aveva deciso di attenderla fuori, certo che sarebbe fuggita non appena i titoli di coda avessero cominciato a scorrere.

Non disse niente, le mise una mano sulla spalla, cautamente, e quando lei si voltò, il volto pallido e gli occhi due enormi pozzi scuri e lucenti, fu pronto ad accoglierla nel suo abbraccio, per farle sentire la sua presenza.


Si ritrovarono in un attimo nella camera di lei, allacciati con passione e disperazione, le mani intense e attente a risvegliare ogni sensazione, frenetiche nel cercarsi, felici nell'essersi trovate.


Nel cuore della notte, mentre sedevano entrambi sul letto sfatto e Where to Begin dei My Morning Jacket suonava nello stereo a Viola sembrò di respirare finalmente di nuovo. I suoi pensieri vagavano mentre sorrideva tra sé e per pura abitudine, come se avesse dovuto scriverle, andava cucendo e disfacendo frasi in infinite maniere perché le parole ed il loro suono riuscissero a trascinare chi le avrebbe lette fino a quella stanza, su quel letto, a vivere quel momento, quella pace. Quando alzò di nuovo gli occhi su Jared vide che nel buio la osservava con incredibile attenzione. Non poté fare a meno di arrossire colta in un momento del tutto privato, lui le sfiorò il viso, e parlò:

    - il tuo umore è mutevole, segue ogni sfumatura del tuo pensiero, ed il tuo pensiero spazia lontano con incredibile intensità. A volte sei così lontana,silenziosa, gli occhi che fissano un punto senza vederlo, eppure, facendo un po' d'attenzione si possono vedere cieli azzurri o incredibili nuvole cariche di tempesta in loro, aridi deserti spazzati dal vento o foreste ristorate dalla pioggia. vorrei poter riuscire a a venire con te in quei momenti.

Lei sorrise

- in qualche modo potrai presto... Nei momenti di cui parli io sono nel mio mondo privato, io sono il Dio durante la creazione del mio personale universo...in altri termini sto scrivendo nella mia testa quello che poi fermerò sulla carta. Ed il libro di cui ti parlavo l'altra sera è quasi finito, oramai.

- Potrò leggerlo, quando sarà finito? - Viola pensò che da quella frase si capiva che Jared era un'artista: ogni persona che crea qualcosa in cui mette tutto se stesso, che sia un libro, una canzone, un quadro non lo lascerà mai vedere a nessuno finché non sarà finito, finché non lo riterrà pronto ad affrontare il mondo, perché in esso sta la sua anima, la sua vulnerabilità.

    - Certo che potrai, e se uscirà ne avrai una copia in anteprima. Bob mi ha messo in contatto con un professore di letteratura alla NYU. Lui ha letto i primi capitoli e mi ha detto che se una volta finito il libro sarà all'altezza di quella apertura mi presenterà ad un importante editor per farlo pubblicare.

    - è bellissimo...è questo quello che vuoi? - chiese curioso di scavare tra i suoi sogni - Diventare una scrittrice di professione?

    - Io voglio scrivere, e questo puoi star certo continuerò a farlo, comunque vada. Se poi il libro venisse pubblicato e avesse pure successo...non nego che gratificherebbe il mio ego.

- ce la farai – disse Jared, sicuro come di una promessa.

- come puoi dirlo?

- ho intuito per queste cose, ci vuole un pazzo per riconoscerne un altro.


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Capitolo 6
*** due occhi blu ***


SCUSATE SCUSATE SCUSATE QUELLO CHE NON PUO' PIU' NEMMENO DEFINIRSI RITARDO. A MIA DISCOLPA DICO SOLO CHE IO PER SCRIVERE HO BISOGNO DI ISPIRAZIONE E CON QUELLO CHE HO DOVUTO FARE IN QUESTO PERIODO L'ISPIRAZIONE SAREBBE SFUGGITA A CHIUNQUE.

HAVE FUN






La finestra era aperta, l'aveva lasciata così perché l'aria che iniziava a profumare di primavera nonostante fosse in una delle più caotiche metropoli del mondo le ricordasse che la natura tende ad essere più forte di ogni folle impresa umana.

Sedeva alla piccola scrivania che da poco tempo aveva trovato la sua nuova dimora in quell'affollato salotto del Village. Il suo portatile era acceso e lo schermo proiettava su di lei la luce bianca di un foglio elettronico pieno di parole. Il the fumava lentamente nella tazza, in infusione e Viola accostò un ginocchio al mento rannicchiandosi sulla sedia mentre aspirava il primo tiro da una sigaretta. Improvviso l'odore del the al gelsomino portato dalla leggera brezza serale colpì i suoi sensi e i suoi ricordi, sorrise mordendosi il labbro pensando a come il tempo nonostante tutto fosse passato, e a come, contrariamente alle sue aspettative, lo avesse fatto in fretta travolto dagli assoluti ribaltamenti subiti dalla sua vita. Era come se l'aver incontrato Jared l'autunno precedente avesse dato il via ad una cascata di eventi che in pochi mesi l'avevano trascinata dove si trovava adesso. Sempre nel suo salotto, è vero, sempre la stessa persona...ma con un libro in classifica da settimane, e tutto quello che ne era derivato.

La pagina finita che aveva davanti, per esempio, era un articolo per un'importante rivista, che la pagava bene pur di avere il suo punto di vista sugli eventi del mondo. Scriveva, e viveva di quello ormai, e benché si ostinasse a continuare a condividere l'affitto con Maggie e a rimanere attaccata con le unghie e con i denti al suo quartiere e alla sua vita quella nuova situazione l'aveva portata a viaggiare parecchio, in giro per l'america a promuovere il suo libro, a fare letture in affollati caffè letterari di San Francisco e pure ad affrontare interviste per giornali e tv. Era apparsa in tv...lei che neanche la guardava. E la prossima settimana...l'Europa. Il ritorno alle radici, in qualche modo.

Una voce conosciuta alla radio la strappò improvvisa ai suoi pensieri, una voce appena distorta di un'intervista telefonica, esattamente come lei l'aveva sentita al suo orecchio in tutto quel periodo.

Jared.

Jared che aveva ripreso la sua strada dopo poco più di due settimane dal loro incontro. Jared che allora era apparso quasi ogni sera con i suoi occhi azzurri ed il suo sorriso perfetto. Jared e le sue mani, Jared e la sua pelle. Jared che poi se n'era andato. E a lei non era rimasto altro che quei ricordi e un telefono che squillava inaspettato alle ore più strane portandole la sua voce, voce che sembrava sempre un po' assonnata all'apparecchio, voce che piano piano aveva imparato a conoscere in ogni sua sfumatura, per poter capire il suo umore ed i suoi pensieri ora che non poteva guardarlo negli occhi. Occhi che poteva fissare solo in fotografia, occhi che riuscivano a bucare l'obbiettivo, certo, ma non era proprio la stessa cosa.

E lei aveva cominciato a temere che prima o poi il tempo avrebbe confuso e sbiadito il ricordo di quella sensazione.

L'ultima volta che aveva guardato quegli occhi...la sera prima che lui partisse, la sera dello stesso giorno in cui aveva finito di riguardare il suo libro che adesso davvero si poteva dire finito. Eccola lì...la fine, ed in qualche modo l'inizio.

Quella volta erano usciti a tarda notte, per passeggiare un po' ed annusare l'odore delle foglie bagnate.

Lui si era stretto nel cappotto e le aveva preso la mano, lei se l'era lasciata stringere. Si era accorta di quanto le sue mani le piacessero poco a poco. Forse era sola parte esteticamente imperfetta di lui, quel solo minimo difetto che concretizza la bellezza e la innalza a sublime.

  • domani parto per il Canada

aveva detto dopo un silenzio perfetto durato a lungo in cui avevano comunicato solo attraverso il rumore dei loro passi e del loro respiro che si addensava in nuvolette bianche.

Lei non aveva risposto. Limitandosi a sorridere tristemente con lo sguardo rivolto a terra.

Che c'era da dire dopotutto? Sapevano fin dall'inizio che sarebbe successo, e forse era proprio per quel motivo che il loro rapporto si era sviluppato in maniera così perfetta.

Erano entrambi serenamente coscienti che la loro era una bolla in cui si erano rifugiati dal mondo e che era inevitabilmente destinata a scoppiare.

Cosa potevano fare? Forse folli promesse di amore e attesa che sapevano entrambi destinate ad essere infrante? Scadere nell'ipocrisia più spicciola? Non erano adolescenti che si erano conosciuti in vacanza, dopotutto. Lanciarsi in una situazione come quella, o anche solo pensare di farlo, avrebbe distrutto ogni traccia di quella spontaneità da loro così cercata e protetta fino a quel momento.

E a ben pensarci, c'era una sola possibile cosa da fare.

Viola aveva alzato gli occhi su di lui.

  • Jared. Sai dove trovarmi se capiti a New York, e hai anche il mio numero se avrai voglia di sentirmi, di raccontarmi qualcosa. E magari capiterà di incontrarci ancora per caso...oddio, per caso...non sarà difficile per me sapere dove sei per la maggior parte del tempo.

Lui sorrise.

  • questo è ingiusto, vorrei anch'io poterti spiare.

  • Dov'è finito il tuo famoso egocentrismo? Perché mai ti interesserebbe spiarmi?

  • Per vedere se pensi A ME, è ovvio!

Risero, e stavano ancora ridendo quando lui la strinse in un abbraccio, i loro volti vicinissimi, gli occhi blu di lui che non le erano mai sembrati più grandi, o belli o penetranti, penetranti in un modo così assoluto da essere quasi crudele, per un attimo, un folle attimo, questo la spaventò perché capì che, se anche avesse voluto, non sarebbe mai riuscita a nascondere niente a quegli occhi così coscienti della loro intelligenza e del loro potere.

Un lampo improvviso di comprensione in quello sguardo come a conferma del suo pensiero, Jared dischiuse la bocca per dire qualcosa, ma si trattenne, mordendosi il labbro, per poi sorridere come un bambino scoperto durante una marachella, lei sorrise dolcemente a sua volta, scuotendo impercettibilmente la testa in segno di diniego, prima di baciarlo.


La mattina successiva Viola aveva scacciato la malinconia di quella partenza con un sospiro, prima di guardare il libro pronto da spedire al professore della New York University, prima di afferrarlo e con decisione chiuderlo in una grande busta marrone.

Nello stesso momento, su un aereo diretto a Montreal due occhi blu erano incollati alle pagine di una personale ed esclusiva copia dello stesso libro.

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Capitolo 7
*** uno strano concetto di facilità... ***


MI INGINOCCHIO LACERANDOMI LE VESTI E COSPARGENDOMI IL CAPO DI CENERE PER AVERTI FATTO PIANGERE KATE35, E ANCHE PER AVER LASCIATO QUALCUN ALTRO DI VOI NELL'ANSIA. SORRY. MA ,CREDETEMI, QUASI TRE MESI DI TEMPO PRIMA DI SUPERARE IL CONCERTO DELL'8 FEBBRAIO A PARIGI ERANO NECESSARI. I PROSSIMI CAPITOLI SONO STATI ABBOZZATI IL 9 SERA NEL MIO LETTONE DELL'HOTEL SOFIA...E RIMANEGGIATI E RIVISTI IN QUESTO TEMPO.

UN CONSIGLIO, FATE UN RIPASSINO DI ALMENO L'ULTIMO CAPITOLO PRIMA DI COMINCIARE QUESTO PERCHE' INIZIA ESATTAMENTE DOVE FINISCE L'ALTRO.

BACI!






- - A-AH! BECCATA!

La voce di Maggie la colse tanto di sorpresa da farla sussultare così violentemente che a malapena evitò di cadere dalla sedia e di scottarsi con il mozzicone ancora acceso della sigaretta che persa tra quei pensieri aveva dimenticato tra le dita.

  • - beccata a fare cosa? - chiese Viola fingendosi stupita, vano, miserabile e infantile tentativo. Aveva capito immediatamente cosa intendesse l'amica, ed era anche perfettamente cosciente che non sarebbe sfuggita ad una nuova conversazione su un argomento che cercava di evitare come la peste ma su cui l'altra continuava, inesorabile e spietata, a riportarla.

  • - Stai ascoltando l'intervista di Jared alla radio, e con lo sguardo perso nel vuoto per di più. Lo sapevo! ho corso come una pazza per arrivare a casa prima che fosse finita e coglierti in flagrante.

Viola sospirò massaggiandosi le tempie

  • - Meg... - provò debolmente a implorare.

Ma l'altra era un fiume in piena

  • - non ci provare – la ammonì infatti – non capisco perché ti ostini, stupidamente tra l'altro, a negarlo. E ti comunico che più continuerai a cercare di fuggirmi, più in me si rafforzerà la convinzione che anche tu lo sai perfettamente e che la tua è solo paura: gigantesca, fottutissima paura, caro genio letterario in cima alle classifiche di vendita!

  • - Che centrano le mie vendite, adesso! - provò ancora inutilmente a svicolare.

  • - Centrano, tutto centra, tutto ciò che è la tua vita in questo momento centra.

Pensò di alzarsi e vigliaccamente darsi alla fuga ma in quel momento la voce di Jared che ancora usciva dalla radio (ma quanto diavolo era lunga questa intervista?) scoppiò in una bassa e sensuale risata che ebbe su di lei l'effetto di una ghigliottina, guardò la testa della sua cieca ostinazione rotolare sul tappeto etnico e fissarla con occhi vuoti, e decise di arrendersi.

  • - Va bene, Meg hai vinto tu. Parliamone, ma facciamolo con calma, ok?

L'amica sorrise: c'erano volute settimane e settimane di martellamenti ma alla fine Viola dava segni di cedimento.

Sedette sul tappeto e la invitò a fare altrettanto.

Si osservarono davvero negli occhi dopo un bel po' di tempo, occhi quasi rossi in occhi verdi, come per tanto tempo era stato.

- - Viola, te lo chiederò un'altra volta. Ma voglio augurarmi che questa sia l'ultima, perché spero che tu sia onesta adesso.

Viola sospirò, rassegnata.

  • - Perché continui a sminuire il tuo rapporto con Jared? Perché continui ad affermare che tra voi non c'è niente, che non ti aspetti niente? Perché continui a dire che non sei innamorata di lui,e che per lui è lo stesso? È folle! E lo sai.

  • - Cosa so? - disse lei accendendosi nervosamente una sigaretta – ammettiamo un attimo che mi sia lasciata trascinare, che mi sia lasciata...influenzare dalla lontananza, e che questo abbia ingigantito e distorto i miei sentimenti per lui. Che sia cascata in questo tranello come una dodicenne...andiamo è umano da parte mia! Lui è così...bello, sexy, affascinante, intelligente, disarmante

Ma dovette fermarsi perché Maggie le aveva messo il dito indice a dieci centimetri dal naso e lo muoveva da destra a sinistra con stampato in faccia il sorriso di chi la sa lunga.

  • - Ne stai parlando come un divo da copertina. E sai che non è di questo lato di lui che stiamo parlando. Sembra che tu senta questa infatuazione e faccia di tutto per esasperarla, invece è l'esatto opposto. Tu stai mettendo delle barriere altissime

  • - e come?

  • - Quante volte lo hai chiamato tu da quando è partito? Vuoi che te lo rammenti? Tre volte, Viola. TRE. Quando ti hanno pubblicato, per il suo compleanno, e quando sei arrivata prima nelle classifiche di vendita- elencò contando sulle dita - Notizie e burocratici saluti da parte tua. E quante volte invece ti ha chiamato lui? Scommetto che non le conti neanche più...

  • - va beh, ogni tanto mi chiama...

  • - Ogni tanto? Tu non te ne rendi conto perché vuoi negarlo così tanto da perdere la nozione del tempo, ma al massimo è stato senza comporre il tuo numero per tre giorni in questi mesi. Cosa deve fare ancora quel benedetto ragazzo per dimostrarti che per lui sei importante? E tu quanto vuoi insistere a comportarti così?

  • - Non saprei quando chiamarlo, non voglio disturbarlo, sai quanto è impegnato

  • - così impegnato e preso da precipitarsi a chiamarti da qualsiasi parte del mondo e a qualsiasi ora della notte stacchi di lavorare, Viola. Secondo te cosa significa?

  • - ok. ammettiamo che quello che c'è stato sia difficile da dimenticare, che abbia lasciato un segno dentro di lui...e anche dentro di me. Cosa dovrei fare secondo te?

  • - Fare un passo verso di lui. Sai meglio di me che avresti potuto incontrarlo se solo avessi voluto. Ma non l'hai fatto. No, aspetti che sia lui che magari tra qualche mese riesca a strappare qualche ora ai suoi impegni per precipitarsi qui,e magari tu sarai altrove quel giorno... Viola finirai per perderlo. Mi stupisco che ancora non sia successo, ma forse se è così intelligente come credo ti ha capita meglio di me.

Viola pensò ancora a quell'ultima notte, a come aveva pensato che non sarebbe stata in grado di nascondergli niente, di come aveva creduto di vedere nel suo sguardo un barlume di comprensione di quel pensiero...e se invece lui fosse andato ancora oltre? Poteva quella notte avere intuito che lei gli stava già tenendo nascosto qualcosa... qualcosa che taceva per prima a se stessa?

Maggie la lasciò riflettere con calma, seguendo ogni pensiero che si accavallava riflesso nei sui occhi, finché non vide la resa e la comprensione nella sua espressione, allora si azzardò a parlare

  • - posso darti un consiglio?

Viola alzò gli occhi verso di lei con infinita lentezza e attese

  • - la prossima settimana tu parti per l'Europa, e anche se fai finta di non saperlo e ti sei ostinata a non guardare le date su internet per non cadere in tentazione, sai benissimo che anche lui sarà là in tour.

  • - Uhm.

  • - Ecco, il mio consiglio è di posticipare di qualche giorno la tua partenza da Parigi, oh niente che interferisca con il tuo giro promozionale...mi sono permessa di dare un occhio alla tua agenda... e intanto che sei li sempre il mio consiglio è di andare a vederti un concerto...mi sa che la settimana scorsa mi è arrivato direttamente da oltre oceano il biglietto giusto... poi dopo il concerto appostati in qualche posto strategico vicino all'uscita del locale e guarda che succede quando lui esce. Ma se per qualche tragico scherzo del destino non dovessi incontrarlo, o non dovesse vederti...ti prego, fai un favore a te stessa. Chiamalo e digli che sei li. E che sei li apposta per vederlo. E digli che è importante per te.

  • - Cavoli...spero proprio di incrociarlo all'uscita del locale, sarebbe certo più facile che dovergli dire quelle cose al telefono.

  • - Certo che hai uno strano senso del concetto di facilità tu!




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Capitolo 8
*** liberi pensieri protetti da un impenetrabile muro d'acqua ***


CAPITOLETTO FORSE UN PO' BREVE MA FONDAMENTALE.

PER CHI SI STESSE CHIEDENDO CHE FINE HA FATTO MR LETO.






Jared si chiuse dietro la porta dell'ennesima stanza d'albergo e con un sospiro lasciò cadere pesantemente il borsone ai suoi piedi. Era stanco, il viaggio era stato lungo e adesso voleva solo dormire, senza pensare a che ora fosse in quel luogo e a quale fuso orario rimanesse invece attaccato il suo corpo. Si trascinò verso il bagno lasciando dietro di sé una scia disordinata di vestiti e si ficcò sotto una doccia bollente. L'acqua scorreva come una pesante pioggia calda sul suo collo e sulla schiena sciogliendo la tensione delle spalle, emise un gemito di soddisfazione e si lasciò scivolare in basso, fino a trovarsi seduto sul fondo della grande doccia, le gocce che ancora più pesanti gli martellavano sulla pelle, rovesciò la testa indietro e finalmente rilassato spalancò gli occhi a fissare i marmi bianchi attraverso le volute di vapore.

Gli piaceva lasciar vagare il pensiero in quei momenti, nascosto a tutto e a tutti da un muro d'acqua. Un nuovo tour europeo stava cominciando, mesi in giro, quasi una città al giorno, ogni sera un nuovo pubblico, un nuovo show. Il calore e l'amore degli Echelon e l'armonia con tutto il gruppo e la crew, meccanismo ben oliato e collaudato, gli inevitabili imprevisti... e soprattutto la strada, la strada che avrebbero macinato sotto il tourbus chilometro dopo chilometro. Questa era la sua vita e quello che amava fare, che lo rendeva vivo.

L'unico suo rimpianto era quello di non essere riuscito a passare da New York prima di partire. Avrebbe avuto voglia di vedere Viola ancora una volta. Non erano più riusciti ad incontrarsi da allora, ma avrebbe preferito farlo prima di venire in Europa... si, forse sarebbe stato utile ai fini del piano che gli macchinava nella testa.

Perchè Jared non era stato affatto onesto con lei.

Stava barando, e questo gli dava un sottile piacere.

L'idea di sottostare ai taciti accordi tra loro non lo aveva sfiorato nemmeno un secondo in tutto quel tempo.

La verità era che si era innamorato di quella minuta scrittrice italiana del Village, e ci aveva messo pochi giorni a capirlo. Voleva di più, non si sarebbe accontentato di quel poco che lei era disposta ad elargire. La voleva sua.

E in quell'ultima sera prima di partire, guardandola negli occhi in quell'unico attimo in cui le sue barriere si erano abbassate mostrando un vago accenno di cedimento lui aveva capito che avrebbe potuto farcela. Che sarebbe bastato giocare d'astuzia.

La chiamava, senza regolarità ma comunque più volte a settimana, senza parlare di amore, sentimenti o struggente lontananza, per non rischiare di spaventarla. E visto che al telefono i loro corpi non potevano toccarsi ed i loro occhi fissarsi lei si era sentita meno minacciata da quel sentimento che cercava in ogni modo di negare e lui non aveva dovuto far altro che lasciare che le loro anime si avvicinassero parlando, legandosi strettamente.

Si era insinuato in quella quotidianità che lei cercava in ogni modo così assurdamente di proteggere e con una pazienza di cui lui per primo si era stupito aveva preparato la sua morbida e accogliente trappola intorno a lei.

E adesso che le cose per loro natura stavano cambiando intorno a Viola credeva che sarebbe stato solo questione di tempo prima che si decidesse a crollare e a fare un passo seppur minimo verso di lui.

E quando sarebbe accaduto, lui sarebbe stato pronto a riceverla.

Si, avrebbe ceduto, ne era certo. Le avrebbe concesso ancora un po' di tempo, ancora un po' di fuga, e se proprio avesse continuato, cocciuta, a restare sulle sue posizioni finendo per esaurire la sua pazienza...beh, semplicemente avrebbe smesso di attendere che gli si donasse spontaneamente e sarebbe andato a prenderla, strappandola a quella coperta di Linus che si era creata, con la forza se fosse stato necessario. Perché a Viola, lui non voleva rinunciare.

Uscì finalmente dalla doccia e si avvolse in uno dei candidi accappatoi dell'albergo, sempre smisuratamente grandi per lui.

Si gettò sul grande letto, raccolse il suo Blackberry e gli diede una veloce occhiata, poi prese il suo cellulare e compose ancora una volta quel numero.

Il suo numero.

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Capitolo 9
*** notte parigina ***


CI SIAMO QUASI...

QUESTO ED IL PROSSIMO CAPITOLO SONO DEDICATI A CHI ERA LA' QUELLA NOTTE.

LEGGENDO VOI CAPIRETE PERCHE'...








La notte di Parigi stranamente non era fredda, nonostante il silenzio diffuso denunciasse l'ora inoltrata.

Viola era circondata da gruppetti più o meno numerosi di ragazze e ragazzi, i colori predominanti del loro abbigliamento il rosso , il bianco, il nero. Lei con il suo cappotto verde acido stonava là in mezzo, e se ne stava per questo un po' discosta dagli altri, da sola. Lontana dal tipo di eccitazione che pervadeva gli altri, ma come loro in attesa.

Fumava una sigaretta appoggiata di spalle ad un'alta e impenetrabile cancellata.

Mentre con il piede spegneva il mozzicone a terra il grido che si alzò dalla piccola folla attirò la sua attenzione, tutti si accalcarono al cancello, lei semplicemente si voltò a guardare al di là delle inferriate, in prima fila.

E Jared apparve, completamente (e assurdamente) vestito di un bianco immacolato, sembrava emanare una luce propria sotto la gialla luce dei lampioni, era ancora più bello di quanto ricordasse mentre si avvicinava a passo elegante e sicuro attraverso il piazzale deserto.

Scambiò qualche parola con le persone lì presenti, firmò qualche autografo, decine di voci chiamavano il suo nome mentre una cascata di flash si abbatteva su di lui.

Spostandosi lungo il cancello si trovò finalmente davanti a lei, che era rimasta lì, in attesa, incapace anche solo di pronunciare il suo nome. Finalmente quegli occhi blu si alzarono ad incontrare i suoi ed un lampo di riconoscimento lì attraversò.

    Viola sorrise appena, ma nessuna espressione lieta apparve sull'altro volto. Jared rimase di sasso, poi un'espressione di rabbia e odio si impossessò dei suoi tratti, deformandoli.

    - Che cazzo ci fai qui? - le disse – tornatene a casa. Aggiunse poi voltandosi ed andandosene.


Viola spalancò gli occhi nel buio della stanza di hotel, travolta da un'ondata di dolore così assoluta da togliere il respiro, di quel dolore così amplificato e senza freni tipico dei sogni.

Senza neanche accendere la luce si alzò da letto e corse alla finestra, spalancandola. Un conato di vomito la colse all'improvviso e tossì diverse volte prima di riuscire a riprendere il controllo del proprio corpo, cercò freneticamente un po' d'ossigeno,e solo dopo aver preso alcuni respiri profondi della gelida aria notturna riuscì a calmare il panico che l'aveva colta, ad allontanare quella sensazione terribile relegandola solo al ricordo volubile di un sogno. Restò solo il tremito violento del suo corpo, l'adrenalina che scorreva a fiumi nelle sue vene.

Spossata come dopo una lunga corsa riuscì finalmente ad alzare lo sguardo sul pezzo di città che si stendeva ai suoi piedi. E gli occhi corsero veloci al grande complesso del locale che si stagliava poco lontano dalla finestra dell'Holiday Inn dove alloggiava. Domani sera il gruppo di Jared si sarebbe esibito proprio in quel locale. Il biglietto giallo e viola giaceva sul tavolino, fermato dal posacenere stracolmo.

Paure, paure e ancora paure.

Meg in fondo aveva ragione.

Il suo orgoglio ed i suoi meccanismi di difesa l'avevano costretta a negare i suoi sentimenti ed il suo coinvolgimento in quella storia per non dover affrontare il suo smarrimento ed il terrore che sotto vi si celavano.

Era cominciata in maniera naturale, innocente, e lei per prima aveva spinto gli eventi perchè prendesse quella direzione precisa.

Perchè le somigliava quella situazione, non alterava quel suo perfetto equilibrio nel caos.

Ed invece adesso tutto era miseramente crollato su se stesso. Travolgendola. Era inesorabilmente caduta vittima del suo fascino edera stata risucchiata da quel buco nero che era Jared Leto.

Per lei era una cosa difficile da accettare, ci mancava solo quel sogno che le spediva davanti agli occhi una paura che neanche sapeva di avere.

Quella di essere rifiutata da lui.

Perchè davvero Jared aveva fatto molti passi verso di lei. In qualche modo era riuscito ad essere presente nella sua vita nonostante il tempo, la distanza e tutti i casini e gli impegni del suo lavoro. Lei ne era cosciente e anche se aveva sempre cercato di svicolare e di non fargli notare di aver capito, aveva colto dal primo momento quella muta richiesta nelle sue telefonate, quel suo discreto e intelligente modo di forzare le cose, di tirarla sempre più verso di sé, verso qualcosa di più stabile, di una qualche sorta d'impegno.

Aveva cercato di sottrarsi ma non era riuscita a troncare del tutto. Non ne aveva avuto la forza, e dopo un po' aveva avuto come la sensazione che se anche ci fosse riuscita in qualche modo lui non glielo avrebbe permesso.

Credeva, Viola, di avere il controllo di tutto quello che la circondava, di tutto ciò che era quella vita che si era scelta e costruita, ed ora in qualche modo lui riusciva a ribaltare tutto: con pazienza e talento aveva lavorato lentamente ma inesorabilmente tessendo la sua tela intorno a lei.

Ed evidentemente essere a Parigi, presentarsi da lui, equivaleva chiaramente per lei all'essere caduta infine i quella tela, e in qualche modo sentiva che anche Jared l'avrebbe pensata così...

    - se vuoi una cosa la ottieni, vero Mr Leto? Testardo e determinato fino all'inverosimile. Sono stata un'ingenua e ti ho sottovalutato. Dannati siano il tuo ego, il tuo fascino e la tua intelligenza.

Mormorò piano più a se stessa che ad un immaginario lui.

La verità era che le faceva male pensare che il suo equilibrio si sarebbe spezzato, che la sua vita a New York non sarebbe stata più la stessa. Ma d'altra parte per una misteriosa legge cosmica quando il meccanismo dei cambiamenti si mette in moto gli eventi si susseguono ad una velocità sempre maggiore fino a mettere la parola fine. E pareva proprio che l'entropia avesse preso di mira il suo angolino di Village in quei mesi che lei lo volesse o no. Lui aveva deciso di entrare in un bar una sera ed in pochi mesi tutto era cambiato: a Meg era stata proposta una cattedra in un college in Luisiana ed aveva accettato. Martin sarebbe diventato padre, Bob aveva deciso lasciare il Moby's e cominciare un lungo viaggio intorno al mondo...

ma in fondo non poteva certo dare la colpa a Jared di tutto questo, a meno che non fosse stato un oscuro demone del caos...e doveva ammettere che in qualche occasione lo aveva pensato...no, in fondo lui era solamente qualcosa che era capitato, così come l'inatteso successo, era il modo del destino per dirle che era ora di schiodare le tende e vedere cosa le offrisse la vita, che era ora di andare avanti e dire addio a quella parentesi così dolce e necessaria nella sua formazione che era stata il Village per lei, ed attaccarcisi con le unghie e con i denti come aveva fatto in quei mesi non sarebbe servito a fermare il tempo o a far retrocedere gli eventi, sarebbe servito solo a perdere un'occasione di felicità e a portare rimpianti.

In fondo Meg era sempre stata così saggia...e la pervicacia e la scaltrezza di Jared non erano stati una cosa così negativa per lei...

ok, ok...avevano vinto loro: avevano vinto Jared, il tempo, il caos, il destino o chi per loro!

Al suo orgoglio bruciava ancora ma avrebbe cercato, per una volta, di lasciarlo dove si trovava adesso: imbronciato e offeso rintanato in un angolo.

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Capitolo 10
*** una piccola concessione ***


PENULTIMO CAPITOLO...PROBABILMENTE.









I cancelli si erano aperti alle 18:30.

Viola aveva visto la folla crescere a dismisura durante il pomeriggio, ma quando si presentò all'ingresso, intorno alle 20:30, tutti erano già sciamati all'interno ed il gruppo di supporto aveva già cominciato a suonare.

Si tenne ben lontana dalla fossa e scelse un posto seduto il più in alto possibile, per quanto possibile isolata da tutto e da tutti, non era il primo concerto dei 30 Seconds to Mars che vedeva, ma questa volta era completamente diverso, non sapeva quali reazioni avrebbe avuto nel rivederlo, e desiderava un minimo di privacy per quanto possibile in un'arena strapiena di gente.

Pochi minuti dopo le 21:00 un telo bianco calò a coprire il palco e poco dopo Fortuna Imperatrix Mundi risuonò nell'aria.

Colonna sonora assolutamente perfetta per quel suo personalissimo momento.

Riconobbe la sua ombra dietro il telo ancora prima che l'urlo della folla salutasse il gruppo.

E per un momento, quando il drappo rovinò a terra scoprendolo ai suoi occhi il tempo sembrò fermarsi...ogni suono sparire.

Le tornarono alla mente le sue parole “quello che sono è un attore ed un musicista, abbastanza bravo ed abbastanza famoso...”

già...si rese conto solo allora che l'unica cosa di lui che l'aveva preoccupata quella prima sera era in realtà l'unica di cui non avrebbe dovuto curarsi, lui si era dimostrato assolutamente pericoloso per lei...micidiale...ma semplicemente in se stesso, il suo lavoro ed la sua fama erano niente in confronto.

Ma ormai in qualche modo il confine dentro di lei era stato varcato, e quell'ennesimo rigurgito di veleno le strappò solo un sorriso mentre le note di Attack le arrivavano potenti e le sue labbra già ne scandivano i versi all'unisono con quelle di lui.


L'alto cancello e la piccola folla del suo sogno c'erano davvero a proteggere l'uscita degli artisti, dopo il concerto, unica variazione sul tema i due tourbusses e le auto con i vetri oscurati, gli autisti pronti in attesa per portarli via.

Cosa avrebbe fatto se lui se ne fosse semplicemente andato senza vederla?

Lo avrebbe chiamato e rincorso, avrebbe preso il telefono prima che fosse troppo lontano o se ne sarebbe semplicemente andata senza fare niente?

Forse era stata una stupida a presentarsi semplicemente lì, ma in qualche modo quello per lei era un gesto simbolico, l'unico possibile nel racconto di quella storia...oh dannata fantasia da scrittrice!

L'urlo stridulo che gridava il Suo nome la riportò tragicamente alla realtà del momento.

Lo vide avvicinarsi al cancello, vestito completamente di nero e con indosso il suo cappotto grigio preferito.

E Viola improvvisamente, d'istinto, seppe esattamente cosa fare: si ritirò dalla folla, attraversò la strada deserta e si appoggiò, sola, all'enorme muro che si innalzava a non più di quindici metro dall'inferriata.

Jared si arrampicò al cancello e cominciò a parlare con gli Echelon e con i fan.

Lei restò immobile e silenziosa guardando il suo viso da una distanza pari a quella della prima sera al Moby's Bar, e anche da lì riusciva a vedere chiaramente il blu dei suoi occhi, come allora.

E come allora quegli occhi si alzarono su di lei.

All'inizio fu casuale ed in un attimo scivolarono via da lei, ma poi tornarono precipitosamente sui loro passi per confermare al loro proprietario quello che il cervello doveva aver registrato.

Il sorriso più bello che avesse mai visto si aprì sul volto di Jared: un sorriso di gioia, di sorpresa...e si, dannato lui, di trionfo.

Ma non importava perché anche viola stava sorridendo, arresa e felice.

Si guardarono per quella che sembrò un'eternità ma che in realtà furono pochi secondi, poi lui le fece cenno di attendere.

Un ultimo saluto alla folla e scomparve, lasciandosi ricadere giù.

Pochi minuti ed il cancello si aprì lasciando scivolare fuori un auto. Tutti sbirciarono dentro ma non avendo visto nessuno oltre l'autista la lasciarono proseguire. L'auto inforcò lentamente la strada e giunta davanti a lei si fermò.

Il vetro si abbassò ed uno sconosciuto autista le disse:

  • Viola?

Lei annuì

  • Salga

Si accomodò nel sedile posteriore e ripartendo l'uomo le passò un foglietto ripiegato. Dentro c'erano solo poche parole.

Ti do un'ora di vantaggio”

una qualsiasi persona si sarebbe fermata al significato più ovvio di quelle parole, e cioè che Jared ne avrebbe avuto ancora per un po'. Ma lei sapeva di non dover guardare all'ovvio con lui. Il reale significato era un altro e lei pensò che non avrebbe potuto trovare un modo migliore per esprimerlo.

Un'ora...un'ora di vantaggio.

Un'ora per sbirciare nella mia vita, un'ora per abituarti all'idea.

Entra nella mia stanza mentre non ci sono, fruga e spia tra le mie cose, leggi i miei libri, ascolta la mia musica, respira il mio odore sui vestiti, stenditi dove io mi sono steso, conoscimi attraverso ciò che tocco ogni giorno...vivimi attraverso la mia assenza. E mentre sei là prendi ogni tuo scrupolo e ogni tua paura e fanne ciò che vuoi. Hai ancora un'ora per crogiolarti nella tua vigliaccheria. Ma se quando arriverò sarai ancora lì ogni cosa dovrà essere scomparsa. Perché allora giocheremo secondo le mie regole.

si...decisamente il messaggio era chiaro.

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Capitolo 11
*** disordine esterno e ordine interiore ***


ECCOMI QUI COME PROMESSO. ULTIMO CAPITOLO. SPERO CHE VI PIACCIA E SPERO DI AVERVI FATTO UN PO' DI COMPAGNIA IN QUESTI MESI. GRAZIE A TUTTI COLORO CHE HANNO RECENSITO O SOLO SEMPLICEMENTE LETTO, GRAZIE A TUTTE E TREDICI LE PERSONE CHE MI HANNO MESSO TRA I PREFERITI.

E SICCOME FINALMENTE LA PRIMAVERA IN QUALCHE MODO E' ARRIVATA, E CON LEI LE CRISI SEMI-MANIACALI DI SCRITTURA (VEDI UNO DEI CAPITOLI INIZIALI) VI COMUNICO CON GIOIA CHE OGGI HO POSTATO IL PRIMO CAPITOLO DELLA MIA NUOVA FAN FICTION!!! VI AVVERTO: QUALCOSA DI TOTALMENTE DIVERSO.







Nella hall non le fecero nessuna domanda, il suo angelo custode andò a ritirare la chiave per lei e gliela porse. Se la receptionist aveva pensato che doveva essere una groupie ben strana non lo dette a vedere.

  • - la accompagno? - le chiese l'uomo

  • - no, grazie, credo di riuscire a trovare la strada da sola. - già, quel passo voleva farlo in completa solitudine.

    Si avviò all'ascensore e spinse il bottone del quinto piano.

Le porte si aprirono su un ampio ed elegante corridoio. Viola sbirciò i numeri e si diresse verso la stanza di Jared.

Notò che sulla maniglia era appeso il cartoncino “do not disturb” e le venne da ridere: Jared doveva essere diventato un maniaco della privacy con quel lavoro, tanto da non tollerare neanche che le cameriere riordinassero la stanza in sua assenza.

Fece scorrere la carta magnetica nella serratura e la porta si aprì con un piccolo scatto.

Letteralmente si lasciò scivolare dentro.

Nella camera, come aveva previsto, regnava un vissuto disordine: il letto era sfatto, qualche vestito era abbandonato in giro, sul cuscino, rovesciata, la t-shirt che doveva aver usato per dormire.

Sul comodino dei monili, il suo I-Pod infilato nelle casse, una bottiglietta d'acqua a metà. Lasciò scivolare lo sguardo altrove, muovendo i primi passi nella stanza. Sullo scrittoio, vicino alla finestra che dava sul terrazzo c'era il suo lap-top, spento ma lasciato aperto, il divano del salottino era occupato da una chitarra acustica, sul tavolinetto lì di fronte una manciata di fogli piene di versi e correzioni.

Era come vederlo vivere e muoversi per quella stanza: ogni oggetto in ogni singolo posto le parlava di lui.

Sfiorò col le dita il legno lucido della chitarra, con le unghie pizzicò le corde: era leggermente scordata.

Cautamente si avvicinò al letto, sfiorò il suo cuscino e finalmente si decise a prendere in mano quella dannata maglietta che continuava a catalizzare i suoi pensieri da quando era entrata.

Era lisa, vissuta. Si chiese perché la sua mente continuava a notare particolari così irrilevanti.

Sedette sul letto, per assecondare le gambe che erano state colte da un leggero tremito, e come in trance allungò la mano accendendo l'I-Pod, abbassò il volume e schiacciò play. I Nine Inch Nails riempirono l'aria. Solo allora notò, sul pavimento, un piccolo libro: Così Parlò Zarathustra.

Lettura leggera, d'intrattenimento... mormorò ridendo.

Quella risata le fece bene, alleggerì un po' la tensione, così finalmente si decise a fare quello di cui aveva più paura: chiuse gli occhi e si avvicinò la t-shirt al viso, respirando a fondo.

La sensazione fu violenta come se l'era aspettata. Il suo profumo in quell'indumento era forte, assoluto, lo stomaco le si contrasse per il piacere, per la familiarità che quell'odore le regalava.

Era il profumo più buono del mondo. Era il suo profumo.

Adesso percepiva la sua presenza in maniera ancora più concreta. Fu come se il suo corpo si fosse risvegliato dopo mesi di torpore e stesse prendendo il controllo sulla mente.

Un calore struggente e quasi doloroso, misto all'ansia, le cresceva nello stomaco.

Doveva fumare una sigaretta.

Cercò l'occorrente nel fondo delle tasche del cappotto che si rese conto di avere ancora addosso. Si alzò, diretta al terrazzino, ma qualcosa catturò la sua attenzione: Almeno una decina di braccialetti colorati, di vari materiali, erano appoggiati sul comodino, li aveva già notati entrando , ma adesso sembravano esercitare su di lei uno strano potere. Allungò il braccio, e ne prese uno, uno uguale a molti altri, che non avesse un particolare valore per lui. Un cerchietto di caucciù nero e insignificante. Solo allora poté raggiungere l'esterno.

Sedette a terra, con le spalle alla parete e lo sguardo perso sul panorama notturno, laggiù, lontana ma perfettamente visibile, si stagliava la Tour Eiffel. Accese la sigaretta e lasciandola penzolare dalle labbra infilò il braccialetto al polso destro. Lo guardò per un lungo momento, accarezzandolo, e con un sorriso quasi non si stupì più delle sensazioni che le faceva nascere in petto.

Prese la sigaretta tra le dita e guardò ancora una volta quel cerchietto di plastica, prima di rivolgere lo sguardo al cielo scuro e quasi privo di stelle.

Adesso era pronta, adesso lo attendeva.

Rientrò perché stava cominciando a fare freddo davvero. Si voltò un attimo per chiudere la finestra, e dietro di lei sentì la porta aprirsi.

Rimase immobile, tremando appena per l'emozione, finché non la sentì richiudersi. E allora, solo allora, Viola si voltò.

Fu come trovarsi di fronte allo stesso Jared, ma in qualche modo diverso, non solo perché adesso era perfettamente inserito nel suo contesto o perché aveva ancora sul viso il trucco sbafato del concerto. Lui sorrise, ed aprì le braccia per accoglierla, e fu come se qualcosa esplodesse dentro di lei, il suo cuore rimbombava talmente tanto da assordarla mentre si gettava contro il suo petto e lui la stringeva. Era caldo e ancora un po' sudato, quando gli affondò il viso nell'incavo del collo il suo odore le parve così invitante che avrebbe avuto voglia di leccarlo.

Si quella volta era diverso perché anche il loro avvicinarsi lo era stato: non più pacato o in punta di piedi, stavolta era privo di filtri o freni, era un precipitarsi l'uno nell'altro. C'era la volontà in lei di perdere finalmente il controllo. E ora nella testa le risuonavano le parole di sfida urlate in una delle canzoni di lui:

Try and stop me

Try and save me

I want to fall!

Ed era esattamente così, era bastato un solo secondo, era bastato toccarlo di nuovo. Non avrebbe più potuto fermarsi, non avrebbe più voluto farlo.

Cercò la sua bocca, avida, e lui rispose al suo bacio, la voltò e l'appoggiò al muro senza interrompere il loro contatto e in fretta, con urgenza, cominciò a spogliarla, a cercare la sua pelle.

Viola era come se non si riconoscesse più, sentiva le sue mani e la sua bocca esplorarla febbrili, bruciare di una passione che non aveva mai provato. Esplorò e raggiunse registri di piacere mai conosciuti prima, neanche con lui.

Sentiva il suo ventre reclamare il corpo di Jared, implorare il contatto , la penetrazione.

E quando entrò in lei sentì ogni fibra nervosa viva come non mai, fu come se ogni cosa dalla notte dei tempi tornasse al proprio posto. Si sentì completa come non aveva mai provato.

E le fu chiaro una volta di più che quella strada era senza ritorno...e a che a lei stava benissimo così.


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