Un nuovo mondo

di jackjackXD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero ***
Capitolo 2: *** Titanium ***
Capitolo 3: *** Conturbatio ***



Capitolo 1
*** Zero ***


“Ti svegli la mattina e fissi fuori da quella finestra un mondo incontaminato dalla tua presenza, una luce che taglia e invade ogni anfratto possibile, un'aria che permea il cielo, le nuvole che galleggiano in un fiume turchese. E tutto scorre senza di te, senza che tu possa controllarlo.
Penso sia il momento più magico della giornata: scruto ogni secondo di quella luce, e il mio cervello elabora così poche informazioni rispetto a a tutte quelle che i sensi mandano; ma mi bastano per immaginare, proiettare, inventare qualcosa. Fisso quel nuovo giorno sconosciuto e così vivo, che non ho toccato, sperando che qualcosa capiti.
E' la magia di un nuovo giorno, è l'ebrezza della speranza...”

Un enorme portone di pietra scura si ergeva davanti ad un gruppo estremamente variegato: uno strano cavaliere dalla rossa armatura elettronica, dall'ironia poco velata e leggera, un uomo moro e alto, dalla pelle olivastra, un Robin Hood in calzamaglia accompagnato da una spietata rossa, un biondo guerriero armato di martello e un monumentale uomo vestito di bianco, rosso e blu dal pesante scudo. Davanti a loro, in trepida attesa affacciati sul quella porta nera, come il vuoto, due sconosciuti: uno basso e dal fisico asciutto e tonico, il volto delicato e impelato di capelli rossi corti, al suo fianco un uomo sulla trentina della stazza degli altri dietro di lui, dai capelli cenere corti che quasi creavano una piccola cresta, la barba che gli delimitava il volto in cui due occhi di un azzurro glaciale erano incastonati.
Il piccoletto si sentiva scosso in mezzo a quella massa di braccia muscolose e armi estratte.
“Di certo non vengono ad invitarci ad entrare...” disse Stark, sempre con la sua aria gentile e bonaria.
A queste parole partì un chiassoso battibecco: Captain America a lamentarsi della stupidità dell'uscita, Occhio di Falco a spiegare che era inutile stare a lagnarsi, Vedova Nera sbuffava per la stupidità maschile... Mentre la baruffa continuava il piccoletto respirava profondamente, e gli occhi di ghiaccio dell'altro giovane non smettevano di osservarlo.
La stasi ritmica di quel respiro profondo si ruppe fra le parole di un delicato Thor che con cauto silenzio si era avvicinato e aveva posto le sue grandi e forti mani sulle spalle del rosso.
“Se non te la senti possiamo aspettare...” disse gentilmente. Ma il mittente del messaggio sembrava non averlo percepito.
“Fang che facciamo?” disse il dio rivolgendosi al giovane grande e grosso quanto lui.
Non fece in tempo a rispondere che Stark esplose:”Tre ore che aspettiamo, io entro anche senza di lui!”.
I razzi della tuta si accesero e con uno slancio oltrepassò la barriera di persone davanti a lui.
Thor con uno scatto spostò il ragazzo dall'entrata.
L'ingegnere sgranò gli occhi e sfoggiando un sorriso sghembo bussò al portone.
Nulla era accaduto, così dopo tre ore di attesa, una discussione nutile e la mancanza di Pepper lo portarono a provare a sfondare il passaggio ostruito, per tutta risposta il materiale reagì alla sollecitazione increspandosi come acqua e riflettendo al mittente tutto lo sforzo che gli era stato generosamente donato.
“Muro 1, Tony Stark 0” sghignazzò Captain America facendo ripartire la lite, più feroce, tra i presenti. Mentre le mani robotiche del moro accompagnavano un pugno verso la mandibola dell'amico, che lo aveva appena offeso, il rosso toccò il muro che dolcemente si ritrasse lasciando via libera ai contendenti.
Un lungo corridoio buio si stagliava davanti a loro, pareti di porcellana nera ricoperta di finissima vetrina riflettevano ogni spiraglio di luce che il nucleo di Tony emetteva. Il silenzio era calato, quasi di vetro colando su ognuno di loro. Dopo svariati minuti di camminata atonica si spalancò un'enorme stanza illuminata a giorno da milioni di fiaccole. Un soffitto a cupola si delineava fra le fiamme che sembravano non cessare e nel centro un uomo seduto a gambe incrociate soppesava e puliva la sua arma.
Fu Thor ad entrare per primo e sconvolto notò come la figura fosse un Asgardiano.
Fang parlò per la prima volta:”Quello che ci fa qui?” disse con un sorriso sghembo e una voce profonda.
Tutti fissarono il dio addentrarsi nella stanza, nessuno si mosse. Perfino Tony era visibilmente turbato. Lo sconosciuto si levò in piedi e conficcò la lama nel pavimento, davanti a se. L'armatura scintillante e finemente lavorata, brillava come oro al sole; ogni sua parte riproduceva perfettamente quella di un enorme drago squamato, dall'ampio ventre e dai monolitici arti.
In lui qualcosa non andava: ogni suo bordo, ogni suo gesto sembrava sfuocato, come quando le fiamme alterano il moto browniano delle particelle dell'aria, oppure come un forte effetto d'astigmatismo. Quell'uomo sembrava un errore.
Nel silenzio scosse la testa, e in quel momento Thor capì.
Il rosso era in mezzo al gruppo e vedeva poco e male; il dio del tuono si voltò verso di loro e disse ciò che uomo astigmatico voleva dire:”Non te, ma lui!”.
Il gruppo si aprì e il giovane si fece avanti.
Alla sua destra si levò una colonna, Fang e alla sua sinistra si pose Thor.
Gli occhi azzurri del Dio fissavano l'estraneo, che lentamente levava la spada.
Un secondo e un rombo di fulmine scalfì il silenzio: la folgore saettò contro l'ignaro sconosciuto e si levò povere. “E' morto, Thor... E' inutile...”.
“Ora lo è sicuramente, no?” disse cauto il dio. La polvere calò e riapparve lo spirito, ai suoi piedi una freccia.
Con uno scatto il rosso si voltò verso il Robin Hood del gruppo e lo ringraziò con un ampio sorriso.
“Vuole iniziare...” sibilò il giovane e lo sguardo si fece deciso e torvo.
Estrasse un ciondolo a forma di chiave e lo lanciò in aria, poche parole e si tramutò in un lungo bastone dorato sormontato da una raggiante icona a forma di sole. Thor sguainò il martello e Fang materializzò spada e scudo.
Gli altri si accalcavano a superare la soglia ma qualcosa li fermava.
“E' inutile che spingiate, questa cupola possiede un sigillo al suo interno” disse seccato il rosso.
Lo spirito spalancò la bocca e ciò che ne uscì fu sconvolgente: nessuno dei presenti aveva mai sentito un così bel canto, solenne, puro, potente. Sembrava che quella voce potesse reggere la vita stessa. E in quella voce lo spirito si scompose per dar vita ad un solidissimo drago nero come la pece. Gli occhi verdi e dolci guizzarono sul prescelto, uno schiocco di lingua e turbini di fuoco volteggiarono su di lui, senza mai toccarlo. Un muro d'aria liquida si era eretto attorno a loro.
“Abbattetelo, io non posso mantenere per molto questa difesa”.
Thor roteò il martello, Fang puntò la spada...
Quando abbatterono il drago, la stanza tornò buia, ogni fiaccola era spenta, solo Tony sembrava emanare luce.
Lo spirito si avvicinò al piccolo rosso e lo condusse oltre una porta di pietra nera.

Ogni giorno attraversiamo migliaia di anfratti diversi nella nostra città, nella nostra abitazione, o sul nostro luogo di lavoro; a meno che il cambiamento sia eclatante non ci accorgiamo di grandi cambiamenti, non notiamo piccole variazioni.
Sono però i piccoli dettagli che preannunciano l'arrivo del grande cambiamento, dello scombussolamento che stravolge il mondo e ne altera la fisionomia.
Certe persone lo sanno bene, sono tutte state toccate da una volontà più grande, da un dono pesante, tanto da stravolgere la gravità degli eventi.
Jane poté baciare una sola volta il suo amato, Pepper dovette condividerlo col mondo, una giovane fu persa nelle pieghe del tempo... Quando ci si avvicina a queste persone, si rimane impigliati in questo turbinio di stati, e tutte le volte per uscirne dobbiamo pagarne un prezzo. Alto, se vogliamo tenerli stretti a noi... Certe volte troppo alto.
Il prezzo... Penso che il miglior modo per esprimere questo concetto sia già stato citato milioni di volte:”Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità”. Terrificante ma assolutamente vera... Questa è la chiave di questa storia, che si perde in un sogno, non uno qualsiasi, ma quello che nasce e sgorga pochi istanti prima di destarsi...
Ed è da questo sogno che tutto parte...

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Yeah, non ho mai scritto l'angolo dell'autore in un mio testo, questa è assolutamente la mia prima volta! Beh che dire, questo è solo un prologo per tastare il terreno. Ho visto 5 volte Thor in questa settimana (santi esami, sembrerò pazzo, ma Jane che sclerava e il biondo che le correva dietro mi hanno tenuto compagnia mentre ripetevo), quindi mi è venuta una voglia improvvisa di scrivere una fan fiction. Normalmente scrivo testi originali, molto più macabri e decisamente più psicopatici (se avete letto l'altro testo, beh, il titolo iniziale doveva essere decisamente più sconvolgente), ma volevo per una volta dare spazio ad una fantasia. Uhm come autocritica mi direi che la parte narrativa che spinge la storia è un po' legnosa: in questo capitolo volevo solo tastare il terreno e vedere se l'idea poteva interessare, quindi l'ho scritto molto velocemente. Dal prossimo capitolo ci metterò più impegno. Per chi non avesse letto XxxHolic, o per chi lo avesse letto e si chiede il senso di un crossover con quell'opera, beh, direi che quel manga è il più bello in assoluto: se letto in modo intelligente apre gli occhi su molte cose e aiuta a vedere da una prospettiva nuova (per chi non lo ha letto, quando sarà il momento ci saranno le spiegazioni).
Perdonatemi qualche errore di battitura x.x comunque spero che la storia possa intrigarvi ed interessarvi, e spero che vogliate lasciare anche qualche commento (fa sempre piacere che sia una critica costruttiva o un apprezzamento).

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Capitolo 2
*** Titanium ***


“Lei ti sta cercando...” una voce flautata e leggera, quasi aspirata aveva appena pronunciato quelle parole in un mondo verde.
Nell'aria si sentiva l'odore della vegetazione viva, dei fiori che sbocciavano felici e sani, legati artificialmente ad un ambiente meticolosamente controllato.
Due figure parlavano serene sotto un salice piangente sulla riva di un piccolo laghetto artificiale nel parchetto della corte.
Una grande e massiccia era coricata nell'erba fresca, la testa rialzata grazie alle mani intrecciate dietro la nuca, come una ciotola per dei fili d'oro liquido, gli occhi azzurri come lapislazzuli scintillavano nella luce calda del pomeriggio; appoggiato al tronco fresco dell'albero il ragazzo dai rossi capelli, il volto bianco che avrebbe riflesso la luce come fa la neve nei giorni di sole d'inverno.
Uno sbuffo profondo e Thor con uno scatto contrasse il busto e slanciò le braccia per alzarsi e fissare la figura vicino a lui.
“Non sei il primo che me lo dice...” sussurrò triste, il busto si era flesso in avanti, le mani sulle ginocchia e il volto puntava l'erba. Sembrava quasi si fosse contratto su se stesso, pressato da un pensiero troppo grande anche per la forza di un dio. Quelle spalle immense sembrano vetro schiacciato dall'ossessivo peso di una mancanza.
“Solo che...” provò a dire qualcosa di più, ma le parole morirono in gola, o forse non c'erano per uno che era dedito alla lotta: non un combattimento stupido e forsennato, svuotato di ogni utilità, avvinghiato alla mania dell'onore e dell'oppressione del debole; ma uno dedito alla fiera e strenua difesa di un bene superiore, cristallino e vivo, tanto puro da essere fragile.
“Solo che?” chiese dolcemente l'altro ragazzo.
“Sono un armadio, io non so come esprimermi... Servirebbe Loki, lui si che...” e altra tristezza calò in quei occhi puri, contaminandoli ed estinguendo la luce di cui brillavano.
“Tuo fratello. Direi di lasciarlo da parte ora. Thor lei ti sta cercando e ti troverà...”, il ragazzo provò a rincuorare il giovane dio, che con uno scatto posò i suoi occhi sul cielo.
“Dici?”
“Direi che sarebbe una stupida a non cercare uno come te” e si mise a sghignazzare. Le risa aprirono un sorriso flebile ma vero, increspando la bionda barba e partorendo fini rughe di gioia.
“Da quello che so eri una persona leggermente arrogante prima di conoscerla...”
“Si abbas... ma chi te lo ha detto?” e con uno scatto il dio si levò in piedi e scherzosamente mostrò un pugnò aggressivo al ragazzo.
“Bah, bah, principalmente i sogni...” tergiversò il più piccolo, sostenendo lo sguardo dell'interlocutore con due occhi nocciola pieni di serietà.
“Si certo i sogni...” disse con un sorriso sghembo il dio biondo.
“Te la cavi bene nel fango...” e questa frase spense il ghigno scherzoso dell'uomo, suscitando in lui una forte curiosità.
“Puoi come Haindall vedere tutto?” chiese interessato.
“Se mi paghi, certo...”
“Per tutti gli dei! Un favore puoi farmelo?”
“Ehm direi di no, ogni cosa che posso donare ha un prezzo... Un augurio però non costa nulla” e un sorriso timido si velò sul volto bianco ancora steso sotto l'ombra fresca dell'albero.
Il dio spento da quella rivelazione sbuffò e si lasciò cadere sull'erba a braccia aperte.
“Ventiquattro ore”, fu un sussurro che profumava di frutta matura, bella, succosa.
“Che?” borbottò il dio.
“Ti posso mandare da lei ventiquattro ore, naturalmente non è gratis”
“Il Bifrost è distrutto, non posso andare da lei...”
“Ma ci sono tante vie che collegano i mondi, e non è difficile aprirne una” furono parole dette col sorriso ma estremamente serie.
“Sarebbe un sogno... Lo farei a qualunque costo...” sussurrò il dio lasciandosi cullare dalla brezza fresca, il calore dei raggi e il profumo dell'estate di Asgard.
“Salutami Jane...” non sentì altro, a parte il frastuono delle macchine che strombazzavano ad un uomo steso in mezzo ad un incrocio di una cittadina sperduta nel polveroso Texas.
“Hei biondino, pensi di fare un pic nic sull'asfalto?” il grido di un guidatore trapanò il timpano del giovane che si ritrovò davanti allo spiazzo dove Jane viveva, prima di partire per cercare non un dio, ma l'uomo della sua vita. Era spaesato: nessuna roulotte, un edificio di trasparente vetro completamente spoglio e lei non era la sul tetto a fissare il cielo, a rendere compatibili i dati sulle particelle o solo a ridere con lui. Salì per la scaletta e si trovò su quel terrazzo pieno di ricordi, pieno di emozioni. Mentre fissava un sole che sorgeva, sentiva ancora il calore del fuoco sul volto, le scintille nei muscoli quando la pelle si increspava in un sorriso e viveva ancora quello sguardo pieno, curioso, che due occhi da cerbiatto, vivo, forte e coraggioso, avevano posato su di lui quella notte, mentre lui parlava, raccontava un modo nuovo di vedere le cose.
Quello sguardo, quegli occhi e la sua risata; la vedevi e pensavi ad una povera dama indifesa, invece sotto la pelle era un torrente in piena, potente, incontrollato che puntava solo a gettarsi nel mare. Lei non c'era più, ma lo stava cercando.
“Fortuna che mi stava cercando!” urlò in preda alla disperazione, le braccia spalancate al cielo. Forse si aspettava un tuono, un segno, qualcosa.
Una vecchietta di passaggio si fermò notando il bell'imbusto:”Cerchi qualcuno caro?” disse con una voce coriacea.
“Jane Foster, abita ancora qua?” urlo alla vecchia che guidava un enorme tir.
“Oh caro, quella ha fatto le valigie appena la città è stata rasa al suolo. Mica scema. Quel bel faccino non gira da queste parti da un bel po'”, la donna abbassò gli occhiali da sole e dopo un ammiccamento ingranò la marcia e partì.
“Fortuna che dovevo passare ventiquattro ore con lei!” tuonò il dio, fissando un cielo che si era scurito velocemente.
“Heimdall è più affidabile di te!” e così dicendo venne giù la pioggia.
“Grazie” sbuffò e saltò nel vuoto piombando nel parcheggio, non fece mai in tempo a mettere i piedi a terra che si trovò sbalzato di lato.
La macchina inchiodò, si aprì una portella e una vocina dolce iniziò a squittire:”Oddio scusa, scusa, scusa, non ti avevo...” e li si fermò. Una giovane castana era ferma davanti al cofano a fissare Thor steso a terra.
Non disse nulla. Il giovane si voltò, era steso a terra, un po' intontito, ma non avrebbe potuto non riconoscere quella voce. Rimase li a fissarla nella luce del sole che sorge, un nuovo giorno che nasce, una nuova gioia che cresce.
“Tutti mi dicevano che mi cercavi, ma penso volessero dire che volevi investirmi di nuovo” sussurrò con un ammaliante sorriso sghembo.
Lei era ancora li ferma, in piedi a fissarlo, a pregare che quello che la sua retina captava non fosse un miraggio della tequila, non fosse uno scherzo della sua mente.
Poi smise di vederlo: le lacrime si fecero talmente grandi e dense da offuscare e bruciare ogni immagine. Tutto divenne nebbia, un alone che imperla l'atmosfera celando e risucchiando ogni dettaglio. Oddio, lei pregava che quella nebbia coprisse tutto, divorasse ogni immagine, ricordo e ciò che aveva appena visto. Perché lui non poteva essere li; e invece sentì il suo respiro, le sue grandi mani prendere la sua fragile e il solletico della barba sulle nocche.
Le scappò un riso imperlato di acqua salata e il viso si contrasse; due morbidi polpastrelli, caldi come il sole, dissiparono quella nebbia e lo vide davanti a se. Era arrivato il suo arcobaleno.
“Jane...” sussurrò con la sua voce di miele, e non finì mai quella frase perché le labbra secche della donna che amava zittirono quelle inutili parole. Un bacio non sensuale, non erotico, ma un bacio di chi ha appena visto la propria disperazione colare via e scomparire.
Balzando lei aprì la portella della macchina e spintonandolo lo fece salire in macchina, corse al suo posto e ingranò la marcia. Le ruote sfrigolarono sull'asfalto fischiando di gioia e Jane partì. Uscì dal rudere di quella città a velocità folle con un sorriso idiota stampato in volto. Thor non disse nulla, la guardò solo sconvolto, tanto da rischiare una paresi di un sopracciglio che svettava sopra l'altro.
“Jane...” disse dolce.
“Io... Io... stavo, si” la ragazza parlava a scatti, presa da il sacro fuoco della passione, e ad ogni parola o sbatteva le mani sul volante o se le passava nei lunghi capelli.
“Si. Si... Dovevo passare a disdire una cosa, ma sai che ti dico?” e fissò con uno sguardo da spiritata Thor che per tutta la risposta lentamente le chiese:”Cosa?”.
E come una mina che brilla inchiodò la macchina, spalancò le braccia e urlò:”CHISSENEFREGA!”. A quel punto il dio si allacciò le cinture si sicurezza e con estrema lentezza parlò alla donna che ancora ansimava e lo folgorava con uno sguardo pieno di gioia:”Jane. Ho solo ventiquattro ore...” a sentire quelle parole, la poveretta si smontò come un soufflè.
Gli occhi si intristirono:”Vedi, il bifrost è andato distrutto. Tutto bene la, e ecco... Sono stato mandato qua solo per un tempo limitato, e penso ad un costo estremamente elevato”.
“Non potevi chiedergli di più? Uno sconto per pernottamento prolungato?” e il dio si mise a ridere a quella battuta di una donna che tornava ad essere disperata.
“Jane... Sai che darei tutto per stare qua. Abbiamo un intera giornata da passare assieme... dopo di questa troveremo il modo”.
La ragazza si fece forza, e il dio lo vide; osservò lo sforzo, la pazienza e il coraggio di una donna che non stava per dire di si, ma stava per ingoiare tutta la disperazione che poco prima aveva perso, acida e cristallina le avrebbe eroso, lacerato la gola, l'esofago e sarebbe fermentata nello stomaco. Non poteva rimetterla, doveva farla andare giù e custodirla per non rischiare di distruggere anche l'uomo che lei cercava disperatamente nel vuoto del cosmo.
“Quindi che facciamo oggi Jane?” rischiese il giovane scrutandola e regalandole un sorriso d'oro.
“Io ho qualcosa da mangiare dietro e qua vicino c'è una bella diga artificiale...”.

L'erba fresca cresceva attorno al bacino artificiale dalle acque profondissime e color verde acqua. Un albero creava un po' di ombra riparando dal sole cocente.
I due smontarono dalla macchina e la scienziata portò due coperte, le distese dolcemente all'ombra e fissò il biondo.
“Beh, il menù di oggi: bagno fuorilegge, pranzo, film. Ti va?” e il suo volto si illuminò di un immenso sorriso. Non fece in tempo a darle una risposta che la giovane scienziata si tolse maglietta e braghe e si lanciò in acqua. Gridava contenta e lo intimava a raggiungerla se non voleva trovarsi solo e sperduto in mezzo al nulla.
Anche lui così fece la stessa cosa e si trovarono a nuotare naso contro naso, sentendo solo il rumore dell'acqua e il loro respiro.
“Chi ti ha spedito in vacanza?” chiese Jane, rompendo il silenzio.
“Un ragazzo... Odino non sarà contento a meno che non” e si interruppe.
“Cosa, Thor?” chiese Jane preoccupata.
“Penso che mio padre non se ne sia accorto. Di magia ne so poco, ma sono certo che ogni arte lascia la sua traccia e per vederla bisogna avere un potere superiore...”
“Tuo padre può vederci?” chiese un po' imbarazzata Jane.
“Ehm, ha dato un occhio per l'onniscenza e possiede due corvi che gli riferiscono ogni cosa... E' un uomo curioso”.
“E io sono mezza nuda a nuotare con suo figlio in mutande!” strillò la ragazza.
“Beh, sa quando smettere...”
“E quando?”
“Ora” e sigillò quel sussurro con un bacio.
Passarono molto tempo a divertirsi in acqua e fecero una passeggiata. Si appisolarono al sole, stesi sulle coperte sotto l'albero ad ammirare prima la luce che penetrava le foglie, poi a parlare delle loro vite che si stavano intrecciando. Thor si assopì e iniziò a russare rumorosamente, fu così che Jane dovette svegliarlo a gomitate.
“Ora so perché sei il dio del tuono. Quando dormi rombi che fai spavento!”.
“Mi dicevi di quello che ti ha spedito qua...” era pomeriggio inoltrato e Jane era stesa vicino al biondo dio del tuono.
“Si... E' apparso un giorno e lui e mio padre non hanno avuto un dialogo molto amichevole...”
“Ma è un dio anche lui?”
“No no, assolutamente è un umano, ma... tutte le volte che gli parlo, lo guardo... beh...”
“Non ti sembra...”
“Sembra che scruti in profondità ogni cosa. I suoi occhi sono come il sole che sonda il mare profondo; solo che lui penetra con arguzia e con tanto silenzio che non lo noti. Tu lo fissi e bam”, il dio si era girato rapidamente verso la sua dolce metà e le aveva solleticato la vita facendola ridere.
“Dai, che stupido... Continua...” Jane si era rifatta seria.
“Lui sa cosa vuoi... e da quanto ho visto può dartela.”
“Pensi sia pericoloso?”
“Oh no. Potrei dire che ha due occhi soli e spenti... Penso non voglia che nessuno gli stia vicino”, nel dire quelle parole che gli frullavano nella testa Thor si sentì triste e ripensò al fratello perso, e segregato nell'ombra. Lui non poteva lasciare che qualcun altro si corrompesse sotto i suoi occhi come era successo a suo fratello. Poteva impedirlo, aveva avuto l'intuizione giusta questa volta.
“Mi dispiace... Cosa farai quindi?”
“Beh intanto lo ringrazierò prima di scoprire quanto è salato il suo conto e poi boh, penso che lo terrò sorvegliato, anche se ci pensa già il mio amico...”.
Thor si alzò e fissò Jane.
Il suo sguardo era raggelato, serio e teso.
“Tuo amico? Non dicevi che era solo?”
Jane notò il cambiamento d'umore dello spasimante e attese la risposta.
“Jane... Da chi sarà ucciso Odino?” e lo sguardo del giovane si fece di diamante: duro, spigoloso e terrificante.
“Fenrir divorerà Odino, quando la catena magica che lo segrega si romperà...”.
Jane era perplessa e sconvolta, vedeva nel volto dell'amato un forte rancore, una immensa devastazione: il dolore stava dilagando e non sapeva cosa fare, cosa dire per drenare quelle sensazioni.
“Perché mi dici queste cose, Thor?”
“Il ragazzo che scorta sempre chi mi ha mandato qua è Fenrir e il suo padrone ha sciolto le catene solo desiderandolo...”
Scese la sera e Jane estrasse il portatile, era l'ora del film.
“Così questo è quello che chiamata cinema?” chiese sbadatamente e goffamente Thor.
Jane scosse il capo e lo posò sulla spalla del ragazzo. Passarono il tempo così fissando le stelle nel cielo nero e limpido, stringendosi fino ad accendere il fuoco nei loro corpi, bruciandoli di passione e di desiderio. Il dio però scrutò gli occhi della giovane che già si spogliava e vide in lei un tormento infinito, pensate: l'illusione e il dolore sarebbero cresciuti come metastasi cancerose se lei si fosse concesso a lui, senza contare che un dio è dotato di una forza inumana e il rischio di lasciarsi andare era grande. Così dolcemente abbassò la maglia di Jane che lo fissò un po' tra il sollevato e l'afflitto. “Jane riposa...” gli disse Thor, ma lei non smetteva di guardarlo, penetrarlo con quegli occhi.
“Non voglio dormire... Io non ti attraggo?” disse timida.
“Jane, sei molto bella; ma eviterei di farlo per disperazione, perchè è quello che vedo in te ora”.
“Nei film sembra sempre il sesso migliore...” il dio rimase turbato e leggermente eccitato dalla l'uscita particolare della sua compagna.
“Se lo vuoi...”
“Sono laureata, con un PhD. So valutare quello che voglio” disse decisa, e il turbamento lasciò spazio negli occhi a coraggio e passione.
“Thor, io ti troverò!” e nel dirlo sfilò la maglietta dal busto muscoloso del dio. Le soffici mani accarezzarono la calda pelle bianca e un eccitato tremolio del partner accese la scintilla.
Non dormirono tutta la notte e alle prime luci dell'alba Jane crollò in un pianto disperato. Thor non provò a fermarla, era suo diritto dilaniare il cuore dell'uomo che ogni volta che la vedeva doveva abbandonarla. Mentre il sole sorgeva le prese fra le mani dolcemente il viso, rosso per il dolore, rigato da ruscelli di schietta realtà.
Un bacio leggero sulle sue labbra rosse, respirò a fondo il profumo dei suoi capelli e nella luce che si diffondeva portandolo via dalla braccia della sua amata le sussurrò poche parole:”Ti amo”.
Il dio si ritrovò sotto l'albero di salice nel parco di Asgard ad aspettarlo il giovane rosso con Fenrir al suo fianco.
“Odino non sa nulla” disse schietto il mercante di sogni.
“Ora devi fare qualcosa per me...”

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Capitolo 3
*** Conturbatio ***


“Esiste un canto che collega i mondi. Esiste una voce che riempie la vita. Per me è la tua voce Jane quella che riempie il cielo di calore, l'acqua di forza, la mia mente di emozioni e ogni mia azione di vita”.


“Ha smesso di cantare...” disse Steve sturandosi le orecchie che finalmente parevano riposare.
“Oh ma che uomo sofisticato! Ora vuoi pulirti il...” ma il caro Tony non finì mai di schernire il gigante biondo perché delicatamente una manciata di piastrelle nere del pavimento si sollevarono, volteggiarono attorno a loro e nel vuoto che avevano lasciato salì una piattaforma che sembrava di marmo bianchissimo.
Sopra di essa, strenuamente in piedi c'era il ragazzo rosso. Sembrava un po' provato. Non disse nulla, attraversò la sala e imboccò il corridoio che portava all'unica entrata, seguito dal fedele Fang.
Il suoi occhi erano di pietra, non sembra volessero notare nessuno, esprimere alcuna emozione.
“Tre ore per entrare, sei ore per uscire... Direi che è troppo stanco per dirci qualcosa. Cinque metri di corridoio ucciderebbero anche Steve!”
Tony era rigorosamente a lamentarsi e Steve come al solito era caduto nella stupida trappola dell'amico.
Natasha li fissò pochi secondi, con uno sguardo pieno di pietà:”Si diverte a stuzzicarlo” disse con un tono frivolo, Clint non rispose. Fissava ancora la luce che si era delineata in fondo al corridoio.
“Thor sembra credere in lui...” disse infine. Si vedeva come la sua mente stesse soppesando ogni ipotesi, vagliasse ogni idea; perché erano li e cosa stava facendo quella figura sconosciuta atona, piatta, fragile.
Si girò verso gli altri e con uno sguardo incerto chiese ciò che tutti si chiedevano da delle ore:”Cosa ci facciamo qui? E quello chi è?”.
Bruce che era appoggiato ad una parete curva si avvicinò agli altri. La bocca sembrava quasi torta, prese di forza Thor per una spalla, lo strattonò in mezzo al cerchio dei vendicatori.
Tutti gli occhi erano su di lui, perché sapevano che lui sapeva.
“Ora vuota il sacco dio” la voce non più scherzosa di Tony era accompagnata dalla contrazione muscolare di Steve.
Tutti si aspettavano qualcosa da lui, e beh, lui ne sapeva quanto loro; con l'unica differenza che aveva conosciuto un lato più dolce e umano di quel ragazzo.
“Il rosso e l'armadio rugbista che si porta dietro... chi sono?” chiese ancora Tony, questa volta alterato tanto da far apparire una leggera vena sulla fronte.
“Mi dispiace ammetterlo ma Tony ha ragione” soffiò Steve con lo sguardo basso.
“Steve, forza e coraggio; hai tutto il diritto di fare questa domanda...” la docile Natasha gli aveva posto una mano sulla spalla.
Thor aprì bocca:”E' apparso... e beh...” ma non riuscì a dire altro. Cosa sapeva lui? Nulla. Cosa gli aveva rivelato suo padre? Nulla. Come sempre sembrava tutto un gioco del destino, una matassa di fili informi che qualcuno tirava, e qualcun altro tagliava.
“Thor?” la voce di Natasha ora era delicata come la rugiada sulle foglie, la sua forma perfetta si era mossa e si era chinata davanti a lui. Un dito affusolato gentilmente aveva alzato uno sguardo perso, e ora si osservavano.
“Un altro intrigo della tua famiglia?” chiese schietta.
“Thor, non sei stanco di vivere in questo mondo di fili?” e glielo chiese con sentimento vero. Nella sua testa questa domanda tamburellava da tempo.
“La forza e il tuo martello non possono strapparli, solo il tuo volere può. Penso sia ora che tu viva più libero” nel dirlo gli tese una mano e attese.
Fu un attimo, una folgore scoccò negli occhi del dio che strinse forte l'appiglio della fanciulla e si eresse in tutta la sua maestosità.
“E' tempo di parlare con Odino”.

Sbucarono nel blu di un giorno fresco e luminoso, l'oscurità di quel loculo era scomparsa per dare spazio alla luce riflessa delle strutture dorate del palazzo reale di Asgard che si stagliavano sul parco. Gli occhi di tutti impiegarono qualche secondo per abituarsi a quello sprazzo di felice vita estiva, quando furono pronti seguirono le grandi falcate di un dio mosso dal caos e dalla disperazione. Si fermò improvvisamente davanti ad un salice piangente che sembrava voler affogare le proprie fronde in un pacifico laghetto.
Smise si respirare e richiamando a se tutta la sua forza di volontà continuò a camminare.
Nulla sembrava arrestare la sua ascesa, ne alti portoni di pesante metallo dorato finemente decorati, ne lunghe scalinate impreziosite da freschi ruscelli che zampillavano ai loro lati.
Nessuno voleva parlare, erano tesi e proiettati verso un unico obbiettivo. Sapere cosa stesse succedendo. Che fosse un dio, una donna o qualunque altra cosa a scortarli a quella meta non importava. Loro volevano sapere e il loro sguardo concentrato e serio esprimeva questa tensione.
Thor si fermò davanti ad un portone immenso, gli altri a confronto erano piccole e rudimentali porte. Trasse un profondo respiro e parlò ai compagni.
“Dietro questa porta siede il re degli dei, mio padre Odino... Lasciatemi parlare, non offendetelo in alcun modo”.
Tony stava già sorridendo pronto a  snocciolare una sciocca e frivola battuta, ma Bruce gli diede una sonora gomitata che spense il sorriso sghembo dell'uomo intelligente.
Fu così che Thor posò le grandi mani sulle due porte e inarcando la schiena spinse con tutta la forza che aveva in corpo, lottando, ansimando per lo sforzo immane. Le porte sembravano non volersi spostare, sembrano sigillate.
Il potere del dio non era abbastanza? O non era stato invitato ad entrare?
A lui non importava, quando la muscolatura iniziò a cede percepì un fuoco divampare: lo sconforto, il caos della sua anima, il tedio di essere sempre stato relegato negli abili giochi di intelletto del fratello e del padre, che tanto adorava e serviva, smossero una forza nuova, più impura e scura, irrazionale e inquietante.
Le porte cigolarono e infine si smossero accompagnate dal ruggito gutturale crescente dell'uomo che reggeva il martello del potere.
Dopo lo sforzo crollò sulle ginocchia, sfiancato ma gli occhi azzurri fecero in tempo a registrare cosa stava accadendo nella sala.
Nelle luci vive dell'oro, fra i giochi dei riflessi delle fontane che sgorgavano da ogni punto delle pareti, vide suo padre seduto fissare il centro della sala. La luce che penetrava il foro nel soffitto illuminava una piccola porzione di pavimento d'ottone.
Gli scambiarono degli sguardi impietriti: Odino non si scompose nel vedere il figlio, e Thor non carpì il pensiero del padre fino a che non lo rese pubblico.
La voce del saggio re era come miele per le orecchie, anche Tony rimase sbalordito dal carisma potente e vivo di quell'uomo finemente vestito di oro e argento.
“Nessuno di voi è stato invitato ad entrare” fu l'unica cosa che il re disse, prima di stendere la mano in direzione delle porte.
Queste iniziarono gentilmente a chiudersi, allontanando la verità dalle orecchie di umani e dei famelici di risposte.
Il figlio di Odino si levò fra i portoni e poggiando le mani fra gli spessori fece pressione con tutta la forza che possedeva. “Passate...” sussurrò nello sforzo e i suoi compagni attraversarono quell'arco di immensa forza muscolare.
“Figlio, non disubbidire. Esci assieme ai tuoi compagni da qui. Nessuno di voi ha il diritto di presenziare!” la voce che prima era dolce e carismatica era divenuta potente, spessa e ringhiosa.
Bruciava nelle orecchie e sembrava stagliarsi caoticamente quasi partorita dalle rughe di ira e disonore che aveva preso posto sul volto del re. Rombò ovunque, sui metalli curvi e lisci, nelle acque, fino alle orecchie del giovane sotto la luce.
Il figlio reietto e ribelle, per la prima volta dopo secoli, additò il padre, le braccia sfinite:”Ora ci dovete delle spiegazioni!”.
Un affronto. Era un affronto per l'autorità di Odino. Di nuovo impose le mani verso il figlio e una lunga catena di luce lo avvolse come un filo da baco ingabbiandolo sotto lo sguardo attonito di tutti. Si umettò le labbra e si rivolse a gli altri eroi:”Ora andate, non è cosa che possiate capire!”.
Fu un istante, rombò il rumore dei razzi della tuta di Ironman, una freccia sibilò, Bruce si gettò verso la sua vittima come una cascata nel vuoto gonfiando il corpo e rendendolo di un appariscente verde smeraldo; sotto di lui con un rapido scatto si era portato Steve, pronto con lo scudo indistruttibile a parare il colpo che Odino stava già emanando.
Il caos era scoppiato: rimbombava il grido di ira del gigante, il fischio della freccia, il rombo delle fiamme dalla lancia, il ritmico danzare dei piedi.
Fu come un battito d'ali di farfalla, una contrazione di un ventricolo: ti aspetti la sistole, ti aspetti un secondo colpo, che tutti questi suoni a cascata si miscelino, auto-alimentandosi e rombando impregnino l'intero spazio; e invece fu un silenzio scandito dalla pace della sublimazione di un fischio, il galleggiamento di un balzo, lo spegnersi delle fiamme e la stasi dei piedi. Tutto era fermo, silenzioso, quasi di cristallo.
Quell'assenza di suono era quasi più fastidiosa del rumore stesso, smosse le menti, bruciò le sinapsi. Due mani affusolare volteggiarono nell'aria portandosi alle tempie coperte di rossi capelli femminili. Esplose un grido acuto:”Che sta succedendo” e tutti crollarono sotto il peso di quel silenzio assoluto, il silenzio di una stasi dinamica, di un equilibrio in moto instabile, che continuamente rincorre se stesso. Come era arrivata quell'aura, quell'atmosfera cessò in un battito d'ali, in una contrazione del ventricolo. Il silenzio ora era riempito dai gemiti di dolore e dall'affannosa contrazione dei muscoli. Erano tutti stati colpiti da schegge di follia? Perfino Odino giaceva a terra ansante.
Il bozzolo si sciolse e ne colò fuori un'ombra stanca, Thor era distrutto. Nel silenzio il caos della sua mente era dilatato come il quarzo quando spinto dal caldo partorisce da se stesso cristobalite.
“Padre...” soffiò. Con le ultime forze provò a strisciare verso il trono, disperato.
“Cosa... accade?” soffiò con la poca aria nei polmoni.
Odino ansimava e fissava terrorizzato l'essere in mezzo alla sala.
“Andatevene tutti” provò ad imbastire una voce carismatica ma questa sembrava un fuoco di paglia.
Così per la prima volta il giovane rosso si mosse verso la scorta che lo stava tradendo. Si chinò davanti al volto esausto del biondo dio, dagli occhi scoloriti, il volto biancastro, e la bava che colava dalla bocca mentre ansimava per la stanchezza. Prese la fredda guancia che era sul pavimento e abbracciò quella grande testa bionda, quasi sentendo il profumo dei suoi capelli.
Lo disse piano, in modo tale che lo sapesse solo lui, lo disse in modo intimo e disperato:”Thor... andatevene. Voi non volete sapere, perché tutto a questo mondo ha un prezzo. Esci da queste stanze e cerca Fenrir digli di prepararsi. Riposa, e credici perché lei ti sta cercando” e nel dire queste parole, il dio sentì il cuore del giovane pulsargli sul volto, agitato e frenetico. Era anche lui umano, quella sedimentata durezza era scomparsa? Una calda lacrima toccò il volto di Thor e si impigliò nella barba bionda.
“Thor vai...” disse ancora e lo aiutò ad alzarsi.
Steve con una formidabile forza di volontà si alzò e caricò sulle spalle un Bruce svenuto e il debilitato dio. Natasha si strinse a Clint e Tony fissò incredulo la scena.
“Ce ne andiamo così?!” gridò.
Fu Steve ad annuire volse le spalle al giovane e re degli dei diretto verso il portone che poco prima avevano forzato. Questo con un cigolio struggente si aprì non per volontà del re, ma si aprì. Si incamminarono tutti verso l'uscita, a parte Tony ancora scosso e irato: gli occhi erano paonazzi e gonfi, fissi, spiritati su un punto nullo, vuoto della stanza. Clint gli possò una mano sulla spalla per spronarlo, ma lui la scansò e rimase li fermo a fissare il nulla.
Gli occhi di Thor vuoti incontrarono quelli spenti del giovane che gli aveva appena parlato.
Cosa vuoi fare? Gli dissero quelle gemme azzurre. Scappa ora che sei in tempo, tutto questo non ha senso, furono gli ultimi pensieri che si lanciarono prima di scomparire dietro le porte che si chiusero mestamente.
“Tony tu rimani quindi?” il rosso si rivolse al compagno sconvolto.
Non disse nulla, non proferì parola e smise di respirare nell'attesa. Il rosso non si mosse
Si morse le labbra dal dolore e contrasse il volto, lasciando sempre nei suo occhi una limpida pietà e dolcezza; umettò le labbra, spalancò le labbra fini e intonò lo stesso canto di miele e solennità che aveva cantato lo spirito. La voce cristallina si levò, alta pura, viva, quasi potesse sostenere la vita. Il sole, l'acqua, il metallo sembrano nutrirsi di quelle note, di quella stucchevole magnificenza. Una voce perfetta e ultraterrena attraversò tutto il palazzo, diffondendo nel parco e ingoiando nella sua atmosfera tutta la città d'oro. Ogni persona si fermò per respirare a pieno quel suono, quell'onda che sembrava un dono, sembrava energia pura.
Era un suono che profumava di vita.
Natasha ne fu investita per prima, si fermò inarcò la schiena e dovette portare la mano alla bocca per soffocare il gemito del pianto: immagini schizzavano sulla sua retina, come scintille colorate nel cervello, lo permeavano a pieno, saturando, solubilizzandosi in un solvente chiamato memoria e facendo precipitare altre vivide scene. Fu tutto troppo veloce, piangeva e non aveva controllo. Non era crollata in un baratro; sentiva la vita dentro di se smuoversi e provare ad espandersi fino oltre la sua bella e soffice pelle. Steve si rabbuiò, e contraendo i muscoli mantenne il sua carico sospeso. Clint abbracciava calorosamente l'amica, e anche in lui balenavano luci, ricordi, scene. La prese in braccio e i due uomini si incamminarono verso l'uscita del palazzo. Nel chiarore della luce che penetrava dalla porta scomparvero lasciando sul pavimento un ultima lacrima del dio del tuonò stremato e perso.
L'aria era densa nella sala del trono, tanto da bruciare quasi i polmoni di Tony che avidi incameravano aria, suoni, energia. Ogni elemento investito era nel pieno silenzio, propenso all'ascolto. L'acqua non risuonava, gli uccelli erano quieti e il battito di ogni cuore sembrava volesse felpare ogni suo passo.
La mente di Tony si contrasse nello spasmo di quell'energia e la sua anima si perse nel vuoto.
Il suo cuore si perse nell'ultimo sogno.


“Nel sogno giace una verità nascosta a chi vive, solo abbandonando ogni eccesso, ogni scoria di ciò che ci nutre potremmo penetrarvi e conoscerla.
La verità giace nell'ultimo sogno e ha i colori del primo canto: il Dono di Yggdrasill”

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