Un nuovo mondo di jackjackXD (/viewuser.php?uid=417518)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero ***
Capitolo 2: *** Titanium ***
Capitolo 3: *** Conturbatio ***
Capitolo 1 *** Zero ***
“Ti svegli la mattina e fissi fuori da quella finestra un
mondo incontaminato dalla tua presenza, una luce che taglia e invade
ogni anfratto possibile, un'aria che permea il cielo, le nuvole che
galleggiano in un fiume turchese. E tutto scorre senza di te, senza che
tu possa controllarlo.
Penso sia il momento più magico della giornata: scruto ogni
secondo di quella luce, e il mio cervello elabora così poche
informazioni rispetto a a tutte quelle che i sensi mandano; ma mi
bastano per immaginare, proiettare, inventare qualcosa. Fisso quel
nuovo giorno sconosciuto e così vivo, che non ho toccato,
sperando che qualcosa capiti.
E' la magia di un nuovo giorno, è l'ebrezza della
speranza...”
Un enorme portone di pietra scura si ergeva davanti ad un gruppo
estremamente variegato: uno strano cavaliere dalla rossa armatura
elettronica, dall'ironia poco velata e leggera, un uomo moro e alto,
dalla pelle olivastra, un Robin Hood in calzamaglia accompagnato da una
spietata rossa, un biondo guerriero armato di martello e un monumentale
uomo vestito di bianco, rosso e blu dal pesante scudo. Davanti a loro,
in trepida attesa affacciati sul quella porta nera, come il vuoto, due
sconosciuti: uno basso e dal fisico asciutto e tonico, il volto
delicato e impelato di capelli rossi corti, al suo fianco un uomo sulla
trentina della stazza degli altri dietro di lui, dai capelli cenere
corti che quasi creavano una piccola cresta, la barba che gli
delimitava il volto in cui due occhi di un azzurro glaciale erano
incastonati.
Il piccoletto si sentiva scosso in mezzo a quella massa di braccia
muscolose e armi estratte.
“Di certo non vengono ad invitarci ad entrare...”
disse Stark, sempre con la sua aria gentile e bonaria.
A queste parole partì un chiassoso battibecco: Captain
America a lamentarsi della stupidità dell'uscita, Occhio di
Falco a spiegare che era inutile stare a lagnarsi, Vedova Nera sbuffava
per la stupidità maschile... Mentre la baruffa continuava il
piccoletto respirava profondamente, e gli occhi di ghiaccio dell'altro
giovane non smettevano di osservarlo.
La stasi ritmica di quel respiro profondo si ruppe fra le parole di un
delicato Thor che con cauto silenzio si era avvicinato e aveva posto le
sue grandi e forti mani sulle spalle del rosso.
“Se non te la senti possiamo aspettare...” disse
gentilmente. Ma il mittente del messaggio sembrava non averlo percepito.
“Fang che facciamo?” disse il dio rivolgendosi al
giovane grande e grosso quanto lui.
Non fece in tempo a rispondere che Stark esplose:”Tre ore che
aspettiamo, io entro anche senza di lui!”.
I razzi della tuta si accesero e con uno slancio oltrepassò
la barriera di persone davanti a lui.
Thor con uno scatto spostò il ragazzo dall'entrata.
L'ingegnere sgranò gli occhi e sfoggiando un sorriso sghembo
bussò al portone.
Nulla era accaduto, così dopo tre ore di attesa, una
discussione nutile e la mancanza di Pepper lo portarono a provare a
sfondare il passaggio ostruito, per tutta risposta il materiale
reagì alla sollecitazione increspandosi come acqua e
riflettendo al mittente tutto lo sforzo che gli era stato generosamente
donato.
“Muro 1, Tony Stark 0” sghignazzò
Captain America facendo ripartire la lite, più feroce, tra i
presenti. Mentre le mani robotiche del moro accompagnavano un pugno
verso la mandibola dell'amico, che lo aveva appena offeso, il rosso
toccò il muro che dolcemente si ritrasse lasciando via
libera ai contendenti.
Un lungo corridoio buio si stagliava davanti a loro, pareti di
porcellana nera ricoperta di finissima vetrina riflettevano ogni
spiraglio di luce che il nucleo di Tony emetteva. Il silenzio era
calato, quasi di vetro colando su ognuno di loro. Dopo svariati minuti
di camminata atonica si spalancò un'enorme stanza illuminata
a giorno da milioni di fiaccole. Un soffitto a cupola si delineava fra
le fiamme che sembravano non cessare e nel centro un uomo seduto a
gambe incrociate soppesava e puliva la sua arma.
Fu Thor ad entrare per primo e sconvolto notò come la figura
fosse un Asgardiano.
Fang parlò per la prima volta:”Quello che ci fa
qui?” disse con un sorriso sghembo e una voce profonda.
Tutti fissarono il dio addentrarsi nella stanza, nessuno si mosse.
Perfino Tony era visibilmente turbato. Lo sconosciuto si
levò in piedi e conficcò la lama nel pavimento,
davanti a se. L'armatura scintillante e finemente lavorata, brillava
come oro al sole; ogni sua parte riproduceva perfettamente quella di un
enorme drago squamato, dall'ampio ventre e dai monolitici arti.
In lui qualcosa non andava: ogni suo bordo, ogni suo gesto sembrava
sfuocato, come quando le fiamme alterano il moto browniano delle
particelle dell'aria, oppure come un forte effetto d'astigmatismo.
Quell'uomo sembrava un errore.
Nel silenzio scosse la testa, e in quel momento Thor capì.
Il rosso era in mezzo al gruppo e vedeva poco e male; il dio del tuono
si voltò verso di loro e disse ciò che uomo
astigmatico voleva dire:”Non te, ma lui!”.
Il gruppo si aprì e il giovane si fece avanti.
Alla sua destra si levò una colonna, Fang e alla sua
sinistra si pose Thor.
Gli occhi azzurri del Dio fissavano l'estraneo, che lentamente levava
la spada.
Un secondo e un rombo di fulmine scalfì il silenzio: la
folgore saettò contro l'ignaro sconosciuto e si
levò povere. “E' morto, Thor... E'
inutile...”.
“Ora lo è sicuramente, no?” disse cauto
il dio. La polvere calò e riapparve lo spirito, ai suoi
piedi una freccia.
Con uno scatto il rosso si voltò verso il Robin Hood del
gruppo e lo ringraziò con un ampio sorriso.
“Vuole iniziare...” sibilò il giovane e
lo sguardo si fece deciso e torvo.
Estrasse un ciondolo a forma di chiave e lo lanciò in aria,
poche parole e si tramutò in un lungo bastone dorato
sormontato da una raggiante icona a forma di sole. Thor
sguainò il martello e Fang materializzò spada e
scudo.
Gli altri si accalcavano a superare la soglia ma qualcosa li fermava.
“E' inutile che spingiate, questa cupola possiede un sigillo
al suo interno” disse seccato il rosso.
Lo spirito spalancò la bocca e ciò che ne
uscì fu sconvolgente: nessuno dei presenti aveva mai sentito
un così bel canto, solenne, puro, potente. Sembrava che
quella voce potesse reggere la vita stessa. E in quella voce lo spirito
si scompose per dar vita ad un solidissimo drago nero come la pece. Gli
occhi verdi e dolci guizzarono sul prescelto, uno schiocco di lingua e
turbini di fuoco volteggiarono su di lui, senza mai toccarlo. Un muro
d'aria liquida si era eretto attorno a loro.
“Abbattetelo, io non posso mantenere per molto questa
difesa”.
Thor roteò il martello, Fang puntò la spada...
Quando abbatterono il drago, la stanza tornò buia, ogni
fiaccola era spenta, solo Tony sembrava emanare luce.
Lo spirito si avvicinò al piccolo rosso e lo condusse oltre
una porta di pietra nera.
Ogni giorno attraversiamo migliaia di anfratti diversi nella nostra
città, nella nostra abitazione, o sul nostro luogo di
lavoro; a meno che il cambiamento sia eclatante non ci accorgiamo di
grandi cambiamenti, non notiamo piccole variazioni.
Sono però i piccoli dettagli che preannunciano l'arrivo del
grande cambiamento, dello scombussolamento che stravolge il mondo e ne
altera la fisionomia.
Certe persone lo sanno bene, sono tutte state toccate da una
volontà più grande, da un dono pesante, tanto da
stravolgere la gravità degli eventi.
Jane poté baciare una sola volta il suo amato, Pepper
dovette condividerlo col mondo, una giovane fu persa nelle pieghe del
tempo... Quando ci si avvicina a queste persone, si rimane impigliati
in questo turbinio di stati, e tutte le volte per uscirne dobbiamo
pagarne un prezzo. Alto, se vogliamo tenerli stretti a noi... Certe
volte troppo alto.
Il prezzo... Penso che il miglior modo per esprimere questo concetto
sia già stato citato milioni di volte:”Da grandi
poteri, derivano grandi responsabilità”.
Terrificante ma assolutamente vera... Questa è la chiave di
questa storia, che si perde in un sogno, non uno qualsiasi, ma quello
che nasce e sgorga pochi istanti prima di destarsi...
Ed è da questo sogno che tutto parte...
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Yeah, non ho mai scritto l'angolo dell'autore in un mio testo, questa
è assolutamente la mia prima volta! Beh che dire, questo
è solo un prologo per tastare il terreno. Ho visto 5 volte
Thor in questa settimana (santi esami, sembrerò pazzo, ma
Jane che sclerava e il biondo che le correva dietro mi hanno tenuto
compagnia mentre ripetevo), quindi mi è venuta una voglia
improvvisa di scrivere una fan fiction. Normalmente scrivo testi
originali, molto più macabri e decisamente più
psicopatici (se avete letto l'altro testo, beh, il titolo iniziale
doveva essere decisamente più sconvolgente), ma volevo per
una volta dare spazio ad una fantasia. Uhm come autocritica mi direi
che la parte narrativa che spinge la storia è un po'
legnosa: in questo capitolo volevo solo tastare il terreno e vedere se
l'idea poteva interessare, quindi l'ho scritto molto velocemente. Dal
prossimo capitolo ci metterò più impegno. Per chi
non avesse letto XxxHolic, o per chi lo avesse letto e si chiede il
senso di un crossover con quell'opera, beh, direi che quel manga
è il più bello in assoluto: se letto in modo
intelligente apre gli occhi su molte cose e aiuta a vedere da una
prospettiva nuova (per chi non lo ha letto, quando sarà il
momento ci saranno le spiegazioni).
Perdonatemi qualche errore di battitura x.x comunque spero che la
storia possa intrigarvi ed interessarvi, e spero che vogliate lasciare
anche qualche commento (fa sempre piacere che sia una critica
costruttiva o un apprezzamento).
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Capitolo 2 *** Titanium ***
“Lei ti sta cercando...” una voce flautata e
leggera, quasi aspirata aveva appena pronunciato quelle parole in un
mondo verde.
Nell'aria si sentiva l'odore della vegetazione viva, dei fiori che
sbocciavano felici e sani, legati artificialmente ad un ambiente
meticolosamente controllato.
Due figure parlavano serene sotto un salice piangente sulla riva di un
piccolo laghetto artificiale nel parchetto della corte.
Una grande e massiccia era coricata nell'erba fresca, la testa rialzata
grazie alle mani intrecciate dietro la nuca, come una ciotola per dei
fili d'oro liquido, gli occhi azzurri come lapislazzuli scintillavano
nella luce calda del pomeriggio; appoggiato al tronco fresco
dell'albero il ragazzo dai rossi capelli, il volto bianco che avrebbe
riflesso la luce come fa la neve nei giorni di sole d'inverno.
Uno sbuffo profondo e Thor con uno scatto contrasse il busto e
slanciò le braccia per alzarsi e fissare la figura vicino a
lui.
“Non sei il primo che me lo dice...”
sussurrò triste, il busto si era flesso in avanti, le mani
sulle ginocchia e il volto puntava l'erba. Sembrava quasi si fosse
contratto su se stesso, pressato da un pensiero troppo grande anche per
la forza di un dio. Quelle spalle immense sembrano vetro schiacciato
dall'ossessivo peso di una mancanza.
“Solo che...” provò a dire qualcosa di
più, ma le parole morirono in gola, o forse non c'erano per
uno che era dedito alla lotta: non un combattimento stupido e
forsennato, svuotato di ogni utilità, avvinghiato alla mania
dell'onore e dell'oppressione del debole; ma uno dedito alla fiera e
strenua difesa di un bene superiore, cristallino e vivo, tanto puro da
essere fragile.
“Solo che?” chiese dolcemente l'altro ragazzo.
“Sono un armadio, io non so come esprimermi... Servirebbe
Loki, lui si che...” e altra tristezza calò in
quei occhi puri, contaminandoli ed estinguendo la luce di cui
brillavano.
“Tuo fratello. Direi di lasciarlo da parte ora. Thor lei ti
sta cercando e ti troverà...”, il ragazzo
provò a rincuorare il giovane dio, che con uno scatto
posò i suoi occhi sul cielo.
“Dici?”
“Direi che sarebbe una stupida a non cercare uno come
te” e si mise a sghignazzare. Le risa aprirono un sorriso
flebile ma vero, increspando la bionda barba e partorendo fini rughe di
gioia.
“Da quello che so eri una persona leggermente arrogante prima
di conoscerla...”
“Si abbas... ma chi te lo ha detto?” e con uno
scatto il dio si levò in piedi e scherzosamente
mostrò un pugnò aggressivo al ragazzo.
“Bah, bah, principalmente i sogni...”
tergiversò il più piccolo, sostenendo lo sguardo
dell'interlocutore con due occhi nocciola pieni di serietà.
“Si certo i sogni...” disse con un sorriso sghembo
il dio biondo.
“Te la cavi bene nel fango...” e questa frase
spense il ghigno scherzoso dell'uomo, suscitando in lui una forte
curiosità.
“Puoi come Haindall vedere tutto?” chiese
interessato.
“Se mi paghi, certo...”
“Per tutti gli dei! Un favore puoi farmelo?”
“Ehm direi di no, ogni cosa che posso donare ha un prezzo...
Un augurio però non costa nulla” e un sorriso
timido si velò sul volto bianco ancora steso sotto l'ombra
fresca dell'albero.
Il dio spento da quella rivelazione sbuffò e si
lasciò cadere sull'erba a braccia aperte.
“Ventiquattro ore”, fu un sussurro che profumava di
frutta matura, bella, succosa.
“Che?” borbottò il dio.
“Ti posso mandare da lei ventiquattro ore, naturalmente non
è gratis”
“Il Bifrost è distrutto, non posso andare da
lei...”
“Ma ci sono tante vie che collegano i mondi, e non
è difficile aprirne una” furono parole dette col
sorriso ma estremamente serie.
“Sarebbe un sogno... Lo farei a qualunque costo...”
sussurrò il dio lasciandosi cullare dalla brezza fresca, il
calore dei raggi e il profumo dell'estate di Asgard.
“Salutami Jane...” non sentì altro, a
parte il frastuono delle macchine che strombazzavano ad un uomo steso
in mezzo ad un incrocio di una cittadina sperduta nel polveroso Texas.
“Hei biondino, pensi di fare un pic nic
sull'asfalto?” il grido di un guidatore trapanò il
timpano del giovane che si ritrovò davanti allo spiazzo dove
Jane viveva, prima di partire per cercare non un dio, ma l'uomo della
sua vita. Era spaesato: nessuna roulotte, un edificio di trasparente
vetro completamente spoglio e lei non era la sul tetto a fissare il
cielo, a rendere compatibili i dati sulle particelle o solo a ridere
con lui. Salì per la scaletta e si trovò su quel
terrazzo pieno di ricordi, pieno di emozioni. Mentre fissava un sole
che sorgeva, sentiva ancora il calore del fuoco sul volto, le scintille
nei muscoli quando la pelle si increspava in un sorriso e viveva ancora
quello sguardo pieno, curioso, che due occhi da cerbiatto, vivo, forte
e coraggioso, avevano posato su di lui quella notte, mentre lui
parlava, raccontava un modo nuovo di vedere le cose.
Quello sguardo, quegli occhi e la sua risata; la vedevi e pensavi ad
una povera dama indifesa, invece sotto la pelle era un torrente in
piena, potente, incontrollato che puntava solo a gettarsi nel mare. Lei
non c'era più, ma lo stava cercando.
“Fortuna che mi stava cercando!” urlò in
preda alla disperazione, le braccia spalancate al cielo. Forse si
aspettava un tuono, un segno, qualcosa.
Una vecchietta di passaggio si fermò notando il
bell'imbusto:”Cerchi qualcuno caro?” disse con una
voce coriacea.
“Jane Foster, abita ancora qua?” urlo alla vecchia
che guidava un enorme tir.
“Oh caro, quella ha fatto le valigie appena la
città è stata rasa al suolo. Mica scema. Quel bel
faccino non gira da queste parti da un bel po'”, la donna
abbassò gli occhiali da sole e dopo un ammiccamento
ingranò la marcia e partì.
“Fortuna che dovevo passare ventiquattro ore con
lei!” tuonò il dio, fissando un cielo che si era
scurito velocemente.
“Heimdall è più affidabile di
te!” e così dicendo venne giù la
pioggia.
“Grazie” sbuffò e saltò nel
vuoto piombando nel parcheggio, non fece mai in tempo a mettere i piedi
a terra che si trovò sbalzato di lato.
La macchina inchiodò, si aprì una portella e una
vocina dolce iniziò a squittire:”Oddio scusa,
scusa, scusa, non ti avevo...” e li si fermò. Una
giovane castana era ferma davanti al cofano a fissare Thor steso a
terra.
Non disse nulla. Il giovane si voltò, era steso a terra, un
po' intontito, ma non avrebbe potuto non riconoscere quella voce.
Rimase li a fissarla nella luce del sole che sorge, un nuovo giorno che
nasce, una nuova gioia che cresce.
“Tutti mi dicevano che mi cercavi, ma penso volessero dire
che volevi investirmi di nuovo” sussurrò con un
ammaliante sorriso sghembo.
Lei era ancora li ferma, in piedi a fissarlo, a pregare che quello che
la sua retina captava non fosse un miraggio della tequila, non fosse
uno scherzo della sua mente.
Poi smise di vederlo: le lacrime si fecero talmente grandi e dense da
offuscare e bruciare ogni immagine. Tutto divenne nebbia, un alone che
imperla l'atmosfera celando e risucchiando ogni dettaglio. Oddio, lei
pregava che quella nebbia coprisse tutto, divorasse ogni immagine,
ricordo e ciò che aveva appena visto. Perché lui
non poteva essere li; e invece sentì il suo respiro, le sue
grandi mani prendere la sua fragile e il solletico della barba sulle
nocche.
Le scappò un riso imperlato di acqua salata e il viso si
contrasse; due morbidi polpastrelli, caldi come il sole, dissiparono
quella nebbia e lo vide davanti a se. Era arrivato il suo arcobaleno.
“Jane...” sussurrò con la sua voce di
miele, e non finì mai quella frase perché le
labbra secche della donna che amava zittirono quelle inutili parole. Un
bacio non sensuale, non erotico, ma un bacio di chi ha appena visto la
propria disperazione colare via e scomparire.
Balzando lei aprì la portella della macchina e spintonandolo
lo fece salire in macchina, corse al suo posto e ingranò la
marcia. Le ruote sfrigolarono sull'asfalto fischiando di gioia e Jane
partì. Uscì dal rudere di quella città
a velocità folle con un sorriso idiota stampato in volto.
Thor non disse nulla, la guardò solo sconvolto, tanto da
rischiare una paresi di un sopracciglio che svettava sopra l'altro.
“Jane...” disse dolce.
“Io... Io... stavo, si” la ragazza parlava a
scatti, presa da il sacro fuoco della passione, e ad ogni parola o
sbatteva le mani sul volante o se le passava nei lunghi capelli.
“Si. Si... Dovevo passare a disdire una cosa, ma sai che ti
dico?” e fissò con uno sguardo da spiritata Thor
che per tutta la risposta lentamente le
chiese:”Cosa?”.
E come una mina che brilla inchiodò la macchina,
spalancò le braccia e
urlò:”CHISSENEFREGA!”. A quel punto il
dio si allacciò le cinture si sicurezza e con estrema
lentezza parlò alla donna che ancora ansimava e lo folgorava
con uno sguardo pieno di gioia:”Jane. Ho solo ventiquattro
ore...” a sentire quelle parole, la poveretta si
smontò come un soufflè.
Gli occhi si intristirono:”Vedi, il bifrost è
andato distrutto. Tutto bene la, e ecco... Sono stato mandato qua solo
per un tempo limitato, e penso ad un costo estremamente
elevato”.
“Non potevi chiedergli di più? Uno sconto per
pernottamento prolungato?” e il dio si mise a ridere a quella
battuta di una donna che tornava ad essere disperata.
“Jane... Sai che darei tutto per stare qua. Abbiamo un intera
giornata da passare assieme... dopo di questa troveremo il
modo”.
La ragazza si fece forza, e il dio lo vide; osservò lo
sforzo, la pazienza e il coraggio di una donna che non stava per dire
di si, ma stava per ingoiare tutta la disperazione che poco prima aveva
perso, acida e cristallina le avrebbe eroso, lacerato la gola,
l'esofago e sarebbe fermentata nello stomaco. Non poteva rimetterla,
doveva farla andare giù e custodirla per non rischiare di
distruggere anche l'uomo che lei cercava disperatamente nel vuoto del
cosmo.
“Quindi che facciamo oggi Jane?” rischiese il
giovane scrutandola e regalandole un sorriso d'oro.
“Io ho qualcosa da mangiare dietro e qua vicino
c'è una bella diga artificiale...”.
L'erba fresca cresceva attorno al bacino artificiale dalle acque
profondissime e color verde acqua. Un albero creava un po' di ombra
riparando dal sole cocente.
I due smontarono dalla macchina e la scienziata portò due
coperte, le distese dolcemente all'ombra e fissò il biondo.
“Beh, il menù di oggi: bagno fuorilegge, pranzo,
film. Ti va?” e il suo volto si illuminò di un
immenso sorriso. Non fece in tempo a darle una risposta che la giovane
scienziata si tolse maglietta e braghe e si lanciò in acqua.
Gridava contenta e lo intimava a raggiungerla se non voleva trovarsi
solo e sperduto in mezzo al nulla.
Anche lui così fece la stessa cosa e si trovarono a nuotare
naso contro naso, sentendo solo il rumore dell'acqua e il loro respiro.
“Chi ti ha spedito in vacanza?” chiese Jane,
rompendo il silenzio.
“Un ragazzo... Odino non sarà contento a meno che
non” e si interruppe.
“Cosa, Thor?” chiese Jane preoccupata.
“Penso che mio padre non se ne sia accorto. Di magia ne so
poco, ma sono certo che ogni arte lascia la sua traccia e per vederla
bisogna avere un potere superiore...”
“Tuo padre può vederci?” chiese un po'
imbarazzata Jane.
“Ehm, ha dato un occhio per l'onniscenza e possiede due corvi
che gli riferiscono ogni cosa... E' un uomo curioso”.
“E io sono mezza nuda a nuotare con suo figlio in
mutande!” strillò la ragazza.
“Beh, sa quando smettere...”
“E quando?”
“Ora” e sigillò quel sussurro con un
bacio.
Passarono molto tempo a divertirsi in acqua e fecero una passeggiata.
Si appisolarono al sole, stesi sulle coperte sotto l'albero ad ammirare
prima la luce che penetrava le foglie, poi a parlare delle loro vite
che si stavano intrecciando. Thor si assopì e
iniziò a russare rumorosamente, fu così che Jane
dovette svegliarlo a gomitate.
“Ora so perché sei il dio del tuono. Quando dormi
rombi che fai spavento!”.
“Mi dicevi di quello che ti ha spedito qua...” era
pomeriggio inoltrato e Jane era stesa vicino al biondo dio del tuono.
“Si... E' apparso un giorno e lui e mio padre non hanno avuto
un dialogo molto amichevole...”
“Ma è un dio anche lui?”
“No no, assolutamente è un umano, ma... tutte le
volte che gli parlo, lo guardo... beh...”
“Non ti sembra...”
“Sembra che scruti in profondità ogni cosa. I suoi
occhi sono come il sole che sonda il mare profondo; solo che lui
penetra con arguzia e con tanto silenzio che non lo noti. Tu lo fissi e
bam”, il dio si era girato rapidamente verso la sua dolce
metà e le aveva solleticato la vita facendola ridere.
“Dai, che stupido... Continua...” Jane si era
rifatta seria.
“Lui sa cosa vuoi... e da quanto ho visto può
dartela.”
“Pensi sia pericoloso?”
“Oh no. Potrei dire che ha due occhi soli e spenti... Penso
non voglia che nessuno gli stia vicino”, nel dire quelle
parole che gli frullavano nella testa Thor si sentì triste e
ripensò al fratello perso, e segregato nell'ombra. Lui non
poteva lasciare che qualcun altro si corrompesse sotto i suoi occhi
come era successo a suo fratello. Poteva impedirlo, aveva avuto
l'intuizione giusta questa volta.
“Mi dispiace... Cosa farai quindi?”
“Beh intanto lo ringrazierò prima di scoprire
quanto è salato il suo conto e poi boh, penso che lo
terrò sorvegliato, anche se ci pensa già il mio
amico...”.
Thor si alzò e fissò Jane.
Il suo sguardo era raggelato, serio e teso.
“Tuo amico? Non dicevi che era solo?”
Jane notò il cambiamento d'umore dello spasimante e attese
la risposta.
“Jane... Da chi sarà ucciso Odino?” e lo
sguardo del giovane si fece di diamante: duro, spigoloso e terrificante.
“Fenrir divorerà Odino, quando la catena magica
che lo segrega si romperà...”.
Jane era perplessa e sconvolta, vedeva nel volto dell'amato un forte
rancore, una immensa devastazione: il dolore stava dilagando e non
sapeva cosa fare, cosa dire per drenare quelle sensazioni.
“Perché mi dici queste cose, Thor?”
“Il ragazzo che scorta sempre chi mi ha mandato qua
è Fenrir e il suo padrone ha sciolto le catene solo
desiderandolo...”
Scese la sera e Jane estrasse il portatile, era l'ora del film.
“Così questo è quello che chiamata
cinema?” chiese sbadatamente e goffamente Thor.
Jane scosse il capo e lo posò sulla spalla del ragazzo.
Passarono il tempo così fissando le stelle nel cielo nero e
limpido, stringendosi fino ad accendere il fuoco nei loro corpi,
bruciandoli di passione e di desiderio. Il dio però
scrutò gli occhi della giovane che già si
spogliava e vide in lei un tormento infinito, pensate: l'illusione e il
dolore sarebbero cresciuti come metastasi cancerose se lei si fosse
concesso a lui, senza contare che un dio è dotato di una
forza inumana e il rischio di lasciarsi andare era grande.
Così dolcemente abbassò la maglia di Jane che lo
fissò un po' tra il sollevato e l'afflitto. “Jane
riposa...” gli disse Thor, ma lei non smetteva di guardarlo,
penetrarlo con quegli occhi.
“Non voglio dormire... Io non ti attraggo?” disse
timida.
“Jane, sei molto bella; ma eviterei di farlo per
disperazione, perchè è quello che vedo in te
ora”.
“Nei film sembra sempre il sesso migliore...” il
dio rimase turbato e leggermente eccitato dalla l'uscita particolare
della sua compagna.
“Se lo vuoi...”
“Sono laureata, con un PhD. So valutare quello che
voglio” disse decisa, e il turbamento lasciò
spazio negli occhi a coraggio e passione.
“Thor, io ti troverò!” e nel dirlo
sfilò la maglietta dal busto muscoloso del dio. Le soffici
mani accarezzarono la calda pelle bianca e un eccitato tremolio del
partner accese la scintilla.
Non dormirono tutta la notte e alle prime luci dell'alba Jane
crollò in un pianto disperato. Thor non provò a
fermarla, era suo diritto dilaniare il cuore dell'uomo che ogni volta
che la vedeva doveva abbandonarla. Mentre il sole sorgeva le prese fra
le mani dolcemente il viso, rosso per il dolore, rigato da ruscelli di
schietta realtà.
Un bacio leggero sulle sue labbra rosse, respirò a fondo il
profumo dei suoi capelli e nella luce che si diffondeva portandolo via
dalla braccia della sua amata le sussurrò poche
parole:”Ti amo”.
Il dio si ritrovò sotto l'albero di salice nel parco di
Asgard ad aspettarlo il giovane rosso con Fenrir al suo fianco.
“Odino non sa nulla” disse schietto il mercante di
sogni.
“Ora devi fare qualcosa per me...”
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Capitolo 3 *** Conturbatio ***
“Esiste un canto che collega i mondi. Esiste una voce che
riempie la vita. Per me è la tua voce Jane quella che
riempie il cielo di calore, l'acqua di forza, la mia mente di emozioni
e ogni mia azione di vita”.
“Ha smesso di cantare...” disse Steve sturandosi le
orecchie che finalmente parevano riposare.
“Oh ma che uomo sofisticato! Ora vuoi pulirti
il...” ma il caro Tony non finì mai di schernire
il gigante biondo perché delicatamente una manciata di
piastrelle nere del pavimento si sollevarono, volteggiarono attorno a
loro e nel vuoto che avevano lasciato salì una piattaforma
che sembrava di marmo bianchissimo.
Sopra di essa, strenuamente in piedi c'era il ragazzo rosso. Sembrava
un po' provato. Non disse nulla, attraversò la sala e
imboccò il corridoio che portava all'unica entrata, seguito
dal fedele Fang.
Il suoi occhi erano di pietra, non sembra volessero notare nessuno,
esprimere alcuna emozione.
“Tre ore per entrare, sei ore per uscire... Direi che
è troppo stanco per dirci qualcosa. Cinque metri di
corridoio ucciderebbero anche Steve!”
Tony era rigorosamente a lamentarsi e Steve come al solito era caduto
nella stupida trappola dell'amico.
Natasha li fissò pochi secondi, con uno sguardo pieno di
pietà:”Si diverte a stuzzicarlo” disse
con un tono frivolo, Clint non rispose. Fissava ancora la luce che si
era delineata in fondo al corridoio.
“Thor sembra credere in lui...” disse infine. Si
vedeva come la sua mente stesse soppesando ogni ipotesi, vagliasse ogni
idea; perché erano li e cosa stava facendo quella figura
sconosciuta atona, piatta, fragile.
Si girò verso gli altri e con uno sguardo incerto chiese
ciò che tutti si chiedevano da delle ore:”Cosa ci
facciamo qui? E quello chi è?”.
Bruce che era appoggiato ad una parete curva si avvicinò
agli altri. La bocca sembrava quasi torta, prese di forza Thor per una
spalla, lo strattonò in mezzo al cerchio dei vendicatori.
Tutti gli occhi erano su di lui, perché sapevano che lui
sapeva.
“Ora vuota il sacco dio” la voce non più
scherzosa di Tony era accompagnata dalla contrazione muscolare di Steve.
Tutti si aspettavano qualcosa da lui, e beh, lui ne sapeva quanto loro;
con l'unica differenza che aveva conosciuto un lato più
dolce e umano di quel ragazzo.
“Il rosso e l'armadio rugbista che si porta dietro... chi
sono?” chiese ancora Tony, questa volta alterato tanto da far
apparire una leggera vena sulla fronte.
“Mi dispiace ammetterlo ma Tony ha ragione”
soffiò Steve con lo sguardo basso.
“Steve, forza e coraggio; hai tutto il diritto di fare questa
domanda...” la docile Natasha gli aveva posto una mano sulla
spalla.
Thor aprì bocca:”E' apparso... e beh...”
ma non riuscì a dire altro. Cosa sapeva lui? Nulla. Cosa gli
aveva rivelato suo padre? Nulla. Come sempre sembrava tutto un gioco
del destino, una matassa di fili informi che qualcuno tirava, e qualcun
altro tagliava.
“Thor?” la voce di Natasha ora era delicata come la
rugiada sulle foglie, la sua forma perfetta si era mossa e si era
chinata davanti a lui. Un dito affusolato gentilmente aveva alzato uno
sguardo perso, e ora si osservavano.
“Un altro intrigo della tua famiglia?” chiese
schietta.
“Thor, non sei stanco di vivere in questo mondo di
fili?” e glielo chiese con sentimento vero. Nella sua testa
questa domanda tamburellava da tempo.
“La forza e il tuo martello non possono strapparli, solo il
tuo volere può. Penso sia ora che tu viva più
libero” nel dirlo gli tese una mano e attese.
Fu un attimo, una folgore scoccò negli occhi del dio che
strinse forte l'appiglio della fanciulla e si eresse in tutta la sua
maestosità.
“E' tempo di parlare con Odino”.
Sbucarono nel blu di un giorno fresco e luminoso, l'oscurità
di quel loculo era scomparsa per dare spazio alla luce riflessa delle
strutture dorate del palazzo reale di Asgard che si stagliavano sul
parco. Gli occhi di tutti impiegarono qualche secondo per abituarsi a
quello sprazzo di felice vita estiva, quando furono pronti seguirono le
grandi falcate di un dio mosso dal caos e dalla disperazione. Si
fermò improvvisamente davanti ad un salice piangente che
sembrava voler affogare le proprie fronde in un pacifico laghetto.
Smise si respirare e richiamando a se tutta la sua forza di
volontà continuò a camminare.
Nulla sembrava arrestare la sua ascesa, ne alti portoni di pesante
metallo dorato finemente decorati, ne lunghe scalinate impreziosite da
freschi ruscelli che zampillavano ai loro lati.
Nessuno voleva parlare, erano tesi e proiettati verso un unico
obbiettivo. Sapere cosa stesse succedendo. Che fosse un dio, una donna
o qualunque altra cosa a scortarli a quella meta non importava. Loro
volevano sapere e il loro sguardo concentrato e serio esprimeva questa
tensione.
Thor si fermò davanti ad un portone immenso, gli altri a
confronto erano piccole e rudimentali porte. Trasse un profondo respiro
e parlò ai compagni.
“Dietro questa porta siede il re degli dei, mio padre
Odino... Lasciatemi parlare, non offendetelo in alcun modo”.
Tony stava già sorridendo pronto a snocciolare una
sciocca e frivola battuta, ma Bruce gli diede una sonora gomitata che
spense il sorriso sghembo dell'uomo intelligente.
Fu così che Thor posò le grandi mani sulle due
porte e inarcando la schiena spinse con tutta la forza che aveva in
corpo, lottando, ansimando per lo sforzo immane. Le porte sembravano
non volersi spostare, sembrano sigillate.
Il potere del dio non era abbastanza? O non era stato invitato ad
entrare?
A lui non importava, quando la muscolatura iniziò a cede
percepì un fuoco divampare: lo sconforto, il caos della sua
anima, il tedio di essere sempre stato relegato negli abili giochi di
intelletto del fratello e del padre, che tanto adorava e serviva,
smossero una forza nuova, più impura e scura, irrazionale e
inquietante.
Le porte cigolarono e infine si smossero accompagnate dal ruggito
gutturale crescente dell'uomo che reggeva il martello del potere.
Dopo lo sforzo crollò sulle ginocchia, sfiancato ma gli
occhi azzurri fecero in tempo a registrare cosa stava accadendo nella
sala.
Nelle luci vive dell'oro, fra i giochi dei riflessi delle fontane che
sgorgavano da ogni punto delle pareti, vide suo padre seduto fissare il
centro della sala. La luce che penetrava il foro nel soffitto
illuminava una piccola porzione di pavimento d'ottone.
Gli scambiarono degli sguardi impietriti: Odino non si scompose nel
vedere il figlio, e Thor non carpì il pensiero del padre
fino a che non lo rese pubblico.
La voce del saggio re era come miele per le orecchie, anche Tony rimase
sbalordito dal carisma potente e vivo di quell'uomo finemente vestito
di oro e argento.
“Nessuno di voi è stato invitato ad
entrare” fu l'unica cosa che il re disse, prima di stendere
la mano in direzione delle porte.
Queste iniziarono gentilmente a chiudersi, allontanando la
verità dalle orecchie di umani e dei famelici di risposte.
Il figlio di Odino si levò fra i portoni e poggiando le mani
fra gli spessori fece pressione con tutta la forza che possedeva.
“Passate...” sussurrò nello sforzo e i
suoi compagni attraversarono quell'arco di immensa forza muscolare.
“Figlio, non disubbidire. Esci assieme ai tuoi compagni da
qui. Nessuno di voi ha il diritto di presenziare!” la voce
che prima era dolce e carismatica era divenuta potente, spessa e
ringhiosa.
Bruciava nelle orecchie e sembrava stagliarsi caoticamente quasi
partorita dalle rughe di ira e disonore che aveva preso posto sul volto
del re. Rombò ovunque, sui metalli curvi e lisci, nelle
acque, fino alle orecchie del giovane sotto la luce.
Il figlio reietto e ribelle, per la prima volta dopo secoli,
additò il padre, le braccia sfinite:”Ora ci dovete
delle spiegazioni!”.
Un affronto. Era un affronto per l'autorità di Odino. Di
nuovo impose le mani verso il figlio e una lunga catena di luce lo
avvolse come un filo da baco ingabbiandolo sotto lo sguardo attonito di
tutti. Si umettò le labbra e si rivolse a gli altri
eroi:”Ora andate, non è cosa che possiate
capire!”.
Fu un istante, rombò il rumore dei razzi della tuta di
Ironman, una freccia sibilò, Bruce si gettò verso
la sua vittima come una cascata nel vuoto gonfiando il corpo e
rendendolo di un appariscente verde smeraldo; sotto di lui con un
rapido scatto si era portato Steve, pronto con lo scudo indistruttibile
a parare il colpo che Odino stava già emanando.
Il caos era scoppiato: rimbombava il grido di ira del gigante, il
fischio della freccia, il rombo delle fiamme dalla lancia, il ritmico
danzare dei piedi.
Fu come un battito d'ali di farfalla, una contrazione di un ventricolo:
ti aspetti la sistole, ti aspetti un secondo colpo, che tutti questi
suoni a cascata si miscelino, auto-alimentandosi e rombando impregnino
l'intero spazio; e invece fu un silenzio scandito dalla pace della
sublimazione di un fischio, il galleggiamento di un balzo, lo spegnersi
delle fiamme e la stasi dei piedi. Tutto era fermo, silenzioso, quasi
di cristallo.
Quell'assenza di suono era quasi più fastidiosa del rumore
stesso, smosse le menti, bruciò le sinapsi. Due mani
affusolare volteggiarono nell'aria portandosi alle tempie coperte di
rossi capelli femminili. Esplose un grido acuto:”Che sta
succedendo” e tutti crollarono sotto il peso di quel silenzio
assoluto, il silenzio di una stasi dinamica, di un equilibrio in moto
instabile, che continuamente rincorre se stesso. Come era arrivata
quell'aura, quell'atmosfera cessò in un battito d'ali, in
una contrazione del ventricolo. Il silenzio ora era riempito dai gemiti
di dolore e dall'affannosa contrazione dei muscoli. Erano tutti stati
colpiti da schegge di follia? Perfino Odino giaceva a terra ansante.
Il bozzolo si sciolse e ne colò fuori un'ombra stanca, Thor
era distrutto. Nel silenzio il caos della sua mente era dilatato come
il quarzo quando spinto dal caldo partorisce da se stesso cristobalite.
“Padre...” soffiò. Con le ultime forze
provò a strisciare verso il trono, disperato.
“Cosa... accade?” soffiò con la poca
aria nei polmoni.
Odino ansimava e fissava terrorizzato l'essere in mezzo alla sala.
“Andatevene tutti” provò ad imbastire
una voce carismatica ma questa sembrava un fuoco di paglia.
Così per la prima volta il giovane rosso si mosse verso la
scorta che lo stava tradendo. Si chinò davanti al volto
esausto del biondo dio, dagli occhi scoloriti, il volto biancastro, e
la bava che colava dalla bocca mentre ansimava per la stanchezza. Prese
la fredda guancia che era sul pavimento e abbracciò quella
grande testa bionda, quasi sentendo il profumo dei suoi capelli.
Lo disse piano, in modo tale che lo sapesse solo lui, lo disse in modo
intimo e disperato:”Thor... andatevene. Voi non volete
sapere, perché tutto a questo mondo ha un prezzo. Esci da
queste stanze e cerca Fenrir digli di prepararsi. Riposa, e credici
perché lei ti sta cercando” e nel dire queste
parole, il dio sentì il cuore del giovane pulsargli sul
volto, agitato e frenetico. Era anche lui umano, quella sedimentata
durezza era scomparsa? Una calda lacrima toccò il volto di
Thor e si impigliò nella barba bionda.
“Thor vai...” disse ancora e lo aiutò ad
alzarsi.
Steve con una formidabile forza di volontà si
alzò e caricò sulle spalle un Bruce svenuto e il
debilitato dio. Natasha si strinse a Clint e Tony fissò
incredulo la scena.
“Ce ne andiamo così?!” gridò.
Fu Steve ad annuire volse le spalle al giovane e re degli dei diretto
verso il portone che poco prima avevano forzato. Questo con un cigolio
struggente si aprì non per volontà del re, ma si
aprì. Si incamminarono tutti verso l'uscita, a parte Tony
ancora scosso e irato: gli occhi erano paonazzi e gonfi, fissi,
spiritati su un punto nullo, vuoto della stanza. Clint gli
possò una mano sulla spalla per spronarlo, ma lui la
scansò e rimase li fermo a fissare il nulla.
Gli occhi di Thor vuoti incontrarono quelli spenti del giovane che gli
aveva appena parlato.
Cosa vuoi fare? Gli dissero quelle gemme azzurre. Scappa ora che sei in
tempo, tutto questo non ha senso, furono gli ultimi pensieri che si
lanciarono prima di scomparire dietro le porte che si chiusero
mestamente.
“Tony tu rimani quindi?” il rosso si rivolse al
compagno sconvolto.
Non disse nulla, non proferì parola e smise di respirare
nell'attesa. Il rosso non si mosse
Si morse le labbra dal dolore e contrasse il volto, lasciando sempre
nei suo occhi una limpida pietà e dolcezza;
umettò le labbra, spalancò le labbra fini e
intonò lo stesso canto di miele e solennità che
aveva cantato lo spirito. La voce cristallina si levò, alta
pura, viva, quasi potesse sostenere la vita. Il sole, l'acqua, il
metallo sembrano nutrirsi di quelle note, di quella stucchevole
magnificenza. Una voce perfetta e ultraterrena attraversò
tutto il palazzo, diffondendo nel parco e ingoiando nella sua atmosfera
tutta la città d'oro. Ogni persona si fermò per
respirare a pieno quel suono, quell'onda che sembrava un dono, sembrava
energia pura.
Era un suono che profumava di vita.
Natasha ne fu investita per prima, si fermò
inarcò la schiena e dovette portare la mano alla bocca per
soffocare il gemito del pianto: immagini schizzavano sulla sua retina,
come scintille colorate nel cervello, lo permeavano a pieno, saturando,
solubilizzandosi in un solvente chiamato memoria e facendo precipitare
altre vivide scene. Fu tutto troppo veloce, piangeva e non aveva
controllo. Non era crollata in un baratro; sentiva la vita dentro di se
smuoversi e provare ad espandersi fino oltre la sua bella e soffice
pelle. Steve si rabbuiò, e contraendo i muscoli mantenne il
sua carico sospeso. Clint abbracciava calorosamente l'amica, e anche in
lui balenavano luci, ricordi, scene. La prese in braccio e i due uomini
si incamminarono verso l'uscita del palazzo. Nel chiarore della luce
che penetrava dalla porta scomparvero lasciando sul pavimento un ultima
lacrima del dio del tuonò stremato e perso.
L'aria era densa nella sala del trono, tanto da bruciare quasi i
polmoni di Tony che avidi incameravano aria, suoni, energia. Ogni
elemento investito era nel pieno silenzio, propenso all'ascolto.
L'acqua non risuonava, gli uccelli erano quieti e il battito di ogni
cuore sembrava volesse felpare ogni suo passo.
La mente di Tony si contrasse nello spasmo di quell'energia e la sua
anima si perse nel vuoto.
Il suo cuore si perse nell'ultimo sogno.
“Nel sogno giace una verità nascosta a chi vive,
solo abbandonando ogni eccesso, ogni scoria di ciò che ci
nutre potremmo penetrarvi e conoscerla.
La verità giace nell'ultimo sogno e ha i colori del primo
canto: il Dono di Yggdrasill”
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