Noose - Accalappiati

di Fanny Jumping Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – WORTHY THING ***
Capitolo 2: *** II – CRAZY SEAGULLS ***
Capitolo 3: *** III – MANGY ACCIDENT ***
Capitolo 4: *** IV – CROSSFIRE HURRICANE ***
Capitolo 5: *** V - SALTY DOGS ***
Capitolo 6: *** VI - LAND HO! ***
Capitolo 7: *** VII – EVERLASTING BOUND ***



Capitolo 1
*** I – WORTHY THING ***


* Qualche premessa introduttiva alla lettura…

Salve gente! Alcuni di voi mi conosceranno, altri probabilmente non ancora, anche se bazzico da qualche annetto in questa sezione di EFP.

Per questa nuova storia ho deciso di adottare uno stile introspettivo, un linguaggio e dei toni leggermente più adulti e a volte duri, per alcuni motivi: 1) i veri pirati di certo non si esprimevano come galantuomini, checché ce li rappresentino così la Disney e un po’ tutti i film anche più datati sulle loro imprese; 2) di mezzo ci saranno personaggi alquanto neri (nonna Sparrow) e situazioni drammatiche e macabre (ricordate come appare nei film la mammina di Jack, no?).
Un ringraziamento speciale alla stimata e fedele collega Spanish_Sparrow per le notizie preziose, a tutti i blog dedicati a Keith Richards e all’insonnia da gelato al caffè che mi ha dato l’ispirazione iniziale.

Ultimo appunto: i capitoli saranno più lunghi perché, salvo ripensamenti, non ne scriverò più di tre. Spero di non risultare pesante! Qui comunque ho inserito anche qualche spunto più umoristico, nei prossimi prevarrano gli elementi drammatici, un po' come nella prima trilogia piratesca.

Ad ogni modo: commenti, insulti, tiri di schioppo, coltelli sono sempre ben accetti.

Al prossimo (imprecisato) approdo!)



I – WORTHY THING


Un truculento fremito di budella lacerate esalò insieme ad un rantolo spezzato.
Le dita incastonate da vistosi anelli restarono strette all’elsa d’argento, mentre un caldo fiotto vermiglio imbrattava il logoro acciaio, addensandosi attorno al codolo.
I ferrigni occhi bistrati fissarono con indolenza quelle orbite giallognole rovesciarsi indietro, finché il grassone con il turbante non stramazzò sul ponte già viscido di altro sangue, misto alla salsedine e alla polvere da sparo.
Aveva snudato l’affilatissima sciabola e l’aveva spinta a fondo, poco sopra l’arancione fusciacca di seta, non lasciandosi sorprendere dal suo tentativo di aggredirlo alle spalle con un vile moschetto.
Un gesto meccanico e inesorabile che aveva imparato a compiere poco dopo esser sceso dalla culla e che ormai non gli suscitava che un tenue senso di nausea, presto sopraffatto dalla soddisfazione di essere uscito vincitore.
Il giovane filibustiere concesse un veloce esame critico a quel corpulento sconosciuto dalla carnagione violacea, toccandolo con la punta dello stivale e appurando che avesse smesso di respirare. Le sue labbra screpolate dal sale si stropicciarono in un borbottio:
- Non mi sono divertito neanche un po’ con te … - schioccò la lingua deluso, saettando uno sguardo accigliato allo stillicidio di combattimenti che impegnavano i compagni di scorrerie, animando il resto della stretta tolda.
Gli ultimi sopravvissuti alla raffica di pallottole e all’ineguagliabile furia dei suoi intrepidi diavoli resistevano per onore e disperazione, proprio come quei soldati invasati dalla fisima del dovere e dei giuramenti prestati a parrucconi rammolliti, propensi a tessere subdole trame politiche per arricchirsi a discapito dei nemici, ma non inclini a sporcarsi direttamente le vesti in quella spietata guerra di corsa che insanguinava i mari, riempendone i fondali di cadaveri di vascelli e uomini.
Lui l’aveva combattuta in prima persona sin dalle fasce; non aveva mai capito quale valore potesse avere rimetterci la pelle per qualcuno diverso da se stesso.
Neppure sua madre, per quanto disonesta e dispotica da incutere terrore anche ai più navigati masnadieri, gli aveva mai imposto un tributo di tale calibro.

“Io t’ho portato in grembo nove mesi, senza cessare un solo giorno di saccheggiare. T’ho partorito patendo le peggiori pene dell’Inferno, mi sono squarciata tutta! E nessuno me lo aveva chiesto con la pistola puntata! Ora sbrigatela da solo. E fatti valere.”

Quello era stato l’aspro e incontestabile monito con cui l’aveva allevato, tra arrembaggi, sbronze e omicidi efferati. Aveva iniziato a ripeterglielo dacché avesse memoria, e prepotentemente quelle ingrate parole, intrise di una lapidaria crudeltà che non aveva mai penetrato, riecheggiavano all’approssimarsi di ogni nuova sfida, pungolandolo ad armarsi di ferocia, ardimento, determinazione. Onorava il dovere di sopravvivere perché era destinato a succederle come Pirata Nobile, essendo il suo primo ed unico erede. Un contratto stipulato quando era ancora un poppante, consenziente perché privo di coscienza. Eppure, ora che la possedeva, nulla era cambiato: si era adeguato perché non era stato impossibile, e non avrebbe saputo immaginarsi altrove.
Sfregò la lama ricurva sulla balaustra del parapetto per sgrondarla dal viscoso fluido scarlatto che vi si era rappreso e, non riscontrando altri bersagli su cui doverla brandire, la risistemò nel fodero di cuoio, raggiungendo i sodali che cincischiavano a poppa attendendo suoi ordini.
- È una bella nave, peccato l’equipaggio fosse composto da insulse femminucce! – commentò briosamente il suo quartiermastro, accendendo una ciarlante approvazione tra gli altri pirati.
Il Capitano di contro si incupì ulteriormente: giacché solcava gli oceani ed era in competizione con la terribile madre, sognava grandi e memorabili imprese che l’avrebbero eguagliato alle leggende viventi del suo tempo, temute e riverite. Non gli serviva cumulare una quantità di successi facili che nessuno avrebbe menzionato negli anni a venire.
Ma non tutti erano sospinti dalle sue stesse ambizioni.
Ismael, quell’arabo fuggito eroicamente “da una sporca galea cristiana”, come raccontava allo sfinimento, aveva un modo di ragionare per certi versi alquanto infantile. Anche se, per la spigliatezza e la forza di cui in più occasioni aveva dato prova, l’aveva eletto suo braccio destro. Il fisico particolarmente massiccio e dei lineamenti induriti e maturi permettevano all’ex galeotto di dimostrare il doppio della sua età, pur essendo in realtà di un anno più giovane di lui.
Comunque dovette dargli ragione almeno sul primo punto: quella giunca dallo scafo color malva e le vele triangolari ocra era un’imbarcazione di singolare eleganza, agile, snella, lussuosa nei legnami, nelle definizioni e nel complesso intreccio di arabeschi che scolpivano ogni pezzo, artiglierie comprese. La sua struttura tuttavia era abbastanza fragile e l’imprecisione di quelle antiquate bocche da fuoco avevano reso una passeggiata abbordarla ed impadronirsene, dopo che i due bastimenti che le fungevano da scorta erano stati affondati a cannonate.

- Avanti ora, insolenti canaglie! Arraffate tutto ciò che può giovare alle nostre tasche! – incitò con ritrovata cupidità i suoi fedeli che non esitarono a sparpagliarsi a frotte, buttandosi chi sulle vittime, catturate o uccise, per spogliarle delle armi e dei loro averi, chi per i corridoi di sottocoperta, in una febbrile ricerca dei beni di valore che di sicuro erano stati ammassati nella stiva.
Il giovane Capitano non partecipò a quel concitato saccheggio: rinunciava volentieri a quella parte del lavoro, ritenendola la più volgare e noiosa. Dopotutto la ciurma era assoldata per quel preciso scopo.
Affidandosi ad una cima penzolante si catapultò sul suo mistico, la Dama di Nebbia, e, assicuratosi di non essere visto dagli altri, si accese un sigaro che conservava da un po’ di tempo in un astuccio di osso e pelle di foca. Socchiuse le palpebre inspirando avidamente quella narcotica composizione di tabacco, canapa e oppio che gli avevano venduto a Malacca; la assaporò pigramente fino ad inebriarsi dell’illusione di galleggiare nel nulla.
L’incognita e la morte avevano accompagnato la sua breve esistenza, ora dopo ora.

In fin dei conti quella vita priva di leggi, certezze, legami, nel bene o nel male, scorreva veloce e forse l’avrebbe obliata prima che diventasse un fardello sopportarla. Al momento era quello l’unico rimedio che adoperava per rimuovere quei tetri pensieri, soffocanti, freddi. Onnipresenti.
Quel forte sedativo non poté tenerlo a lungo veramente distante dalla cruda realtà in cui sguazzava dalla nascita. Tra le spirali grigiastre gli parve di scorgere relitti di velieri in fiamme inghiottiti con famelica indifferenza da onde di cobalto, un dimenarsi di anonime vite aggrappate ottusamente all’estremo anelito combattivo, come sciocchi pesci già finiti nelle nasse. Poteva sentire persino le loro grida inascoltate, le bestemmie urlate contro divinità imperturbabili o forse solo inesistenti.
E, mescolato a quel vocio indistinto, udiva anche qualcuno chiamare il suo nome.

- Edward!

Non il suo cognome. E neppure il titolo che con vanto si era precocemente guadagnato con le sue prodezze, con la spada, col sudore della fronte, non comprandoselo con ignominiose ruffianerie.
Solo una persona si permetteva di chiamarlo così confidenzialmente; a parte sua madre, qualora per chissà quale fortuita coincidenza non fosse tanto incazzata. Quando accadeva, sovente c’era sotto qualcosa di spiacevole che quello spiritoso considerava molto divertente.
Edward Teague scacciò frettolosamente le nuvolette di fumo che gli annebbiavano la mente e la vista.
- Fottuto figlio di cagna! Potresti smettere di alloppiarti come un turco e tornare con noi?
Ismael si sbracciava animatamente sulla tuga dell’imbarcazione arrembata, sventolando il cappellaccio di fustagno per attirare la sua attenzione.
Buttò fuori lentamente un fumo denso che pizzicava le narici e stese un pugno drizzandogli il dito medio, assieme ad un’occhiataccia più che maldisposta cui quello rispose con un altro improperio. Edward tirò un’ultima nervosa boccata, quindi sbriciolò il consunto involucro di erbe bruciacchiandosi i polpastrelli. Scrollò energicamente la scarmigliata capigliatura sforzandosi di tornare lucido.
Recalcitrante, balzò dalle scalette e si lanciò nuovamente sulla giunca, sbuffando e scansando col suo cipiglio indispettito e spigoloso quanti gli si paravano davanti smozzicando frammenti di frasi sconnesse e infarcite di colorite esternazioni da taverna.
- Di qua, Capitan Teague! – continuavano ad instradarlo tra le rampe, con eccitazione e ilarità. Tutti quei sorrisini ambigui e ammiccanti lo stavano urtando peggio di una merda di gabbiano piovuta sulla giacca nuova: - Insomma, cos’è che vi ha rincitrulliti?
Finn, il biondo nostromo irlandese che guidava il gruppetto, si costrinse a restare serio e compito, ma invano, poiché alla seconda ripetizione di quella lecita domanda annunciò platealmente: - Abbiamo beccato un bel carico di puttane!
Teague strizzò ripetutamente gli occhi, poi scosse la testa maledicendo quel viziaccio che lo aveva avviluppato da qualche settimana e di cui i suoi talvolta si approfittavano: - Se mi state prendendo per il culo, vi giuro che vi appendo per gli intestini! – li tacciò sostando davanti ad una porta riccamente intarsiata. Nonostante la sua serratura fosse stata scassinata e scardinata, reggeva quel tanto che bastava ad isolare un incognito locale dal quale, ora si accorse, proveniva un sommesso chiacchiericcio che lo indusse ad acuire le orecchie, scontento.
- Ecco a voi il tesoro! – si frappose con un sorrisetto Finn, spalancando con un calcio la porta.
Al giovane comandante si schiuse spontaneamente la bocca trovandosi di fronte un accecante tripudio di colori, drappi, suppellettili e sete trasparenti che avvolgevano maliziosamente decine di corpi e volti femminili ornati da luccicanti monili. Le sue profonde iridi castane, sprizzanti diffidenza ed imbarazzo, si posavano ora su quelle seducenti curve appena celate da veli variopinti, che indietreggiavano ad ogni suo passo inoltratosi nello stanzone, ora sulle espressioni di rimbambimento e animalesco fervore dei suoi compagni, che pendevano da un suo assenso per scatenare i già labili freni inibitori.
Lui taceva, attonito e impreparato dalla stravaganza di quella inaspettata situazione che, se non gestita con misura, avrebbe potuto ritorcersi drasticamente contro di loro. Troppo allettante per non nascondere una trappola. La nomea di marmaglia di debosciati li precedeva, doveva per certo esservi stato qualcuno che aveva escogitato quella messa in scena. La Marina Britannica ad esempio. Erano mesi che si preparavano a sferrare l’attacco definitivo dopo averli coinvolti in una lunga serie di scontri minori e inoltre le abili incursioni dei Fratelli della Costa nei loro porti avevano causato parecchie perdite di merci.
Ormai gli Inglesi stavano estendendo il loro predominio incontrastato anche nel Golfo Indiano, stringendo alleanze con i vari rajà, solo per non ammettere che li stavano sottomettendo alle loro direttive, senza invadere esplicitamente i loro territori.
Edward, prima di parlare, cercò la complicità dei marinai più affidabili tra i suoi, di quelli che avevano abbastanza senno da non lasciarsi ingannare tanto stupidamente da lusinghe generose e apparentemente casuali.
- Vi è andato in pappa il cervello, amici miei! Sembrate un branco di cani in calore! Neanche fosse la prima volta che vedete qualche paio di tette e gambe discinte!
Li sbeffeggiò duramente ottenendo il graduale silenziarsi dei loro scomposti schiamazzi, fissandoli truce per assicurarsi che il rimprovero avesse sortito l’esito voluto, ossia obbedienza, la principale qualità richiesta ad una ciurma, oltre che la più ardua da preservare, specie nell’eterogeneità e nell’incostanza di certi caratteri.
Neppure lui a quasi ventiquattro anni poteva considerarsi risolto in quanto ad uomo, tanto meno nel ruolo di Capitano. Almeno sapeva ciò che non voleva: usare la violenza su ostaggi deboli ed inermi era una di quelle codarde azioni che avrebbe tranquillamente evitato. Scontata e spregevole.
Camminò in tondo meditativo, osservando l’enorme quantità di oggetti da rubare ivi concentrati, quindi afferrò per i fianchi una delle giovani velate. I compagni si infervorarono, quella mormorò sottovoce nella sua estranea lingua, chinando la fronte e tremando di paura ad ogni suo sfioramento. Ma Teague non intendeva oltraggiarla.
Con garbo da far impallidire un vero gentiluomo, le sottrasse spille, orecchini, bracciali e collane che l’adornavano: - Piuttosto non vi siete accorti che queste gallinelle sono piene di orpelli preziosi? – li ammonì mostrando loro il pugno colmo di gioielli, risvegliando con quell’ipnotico sfavillio la loro acquolina.
– Placherete i bollori a terra. Queste donzelle possono fruttarci parecchie ghinee sul mercato … a patto che siano presentabili. – puntualizzò con affettata galanteria, abbonando un sogghigno di intima soddisfazione per l'astuzia in cui aveva dissuaso i loro depravati propositi, riconducendoli alla sua volontà.

Vi era un confine molto sottile tra il frugare e il palpeggiare, ed Edward certo non poté soffermarsi a riprendere ogni mano che si allungava più o meno distrattamente a perquisire le gonnelle, cercando ben più del lecito. Dopo qualche tentativo rinunciò a quell’ambiziosa pretesa di giustizia, compiacendosi comunque per l’ininterrotto tintinnare di gioie nelle sacche. Quell’arrembaggio, alla fine, li aveva ripagati molto più di quanto sperasse, e la sua faccia tesa per il sentore di un vergognoso fallimento a poco a poco si rilassò, anche se la mascella leggermente squadrata ed ispida restò contratta e serrata nel suo abituale contegno che lo faceva apparire oltremodo rigido, orgoglioso ed introverso.
In verità lui aveva imparato a sospettare di tutto e tutti, non si sentiva mai troppo sereno lontano dalla sua nave. Desiderava solo rientrare nella sua cabina, chiudere tutto il resto fuori e suonare le flessuose corde della sua chitarra, poltrendo nella sua branda fino all’alba.
Era uno di quei ricorrenti periodi di immotivata uggia e molestia per tutto, comportamenti idioti dei suoi furfanti in primis.
Tra una sconcezza e l’altra, invece, quelli si stavano attardando a terminare quel metodico spoglio, scordandosi di essere nel bel mezzo del mare aperto, e non in un bordello di Singapore.
- Ah, basta con queste manfrine! Trasferite immediatamente tutta la mercanzia sulla Dama di Nebbia, prima che qualche dannata corvetta della Compagnia venga a porci i saluti. E fate sparire ogni traccia del nostro passaggio – ordinò in tutta fretta, spazientito dall’eccessiva sosta che li stava esponendo ingenuamente al reale pericolo di un’imboscata.
Ismael, riscosso dal suo tono collerico, gli volse un cenno affermativo, tralasciando per una volta la sbruffoneria ed istruendo i marinai ad uscire alla svelta.
Teague attese sulla soglia che tutti si allontanassero, ma, anziché confondersi in quella bolgia, si intrattenne ad esaminare gli innumerevoli oggetti d’arredo di quella sfarzosa cabina. Non ricordava di avere mai incontrato tanta opulenza su una nave e non se ne era reso conto subito con la folla di fruscianti stoffe che l’occupavano e che avevano lasciato nell’aria una penetrante fragranza floreale.
D’un tratto fu colpito da alcune stilizzate incisioni che riproducevano i tratti di un uomo somigliante al corpulento indiano che aveva infilzato poc’anzi. Probabilmente doveva essere lui il proprietario di quell’imbarcazione ricolma di ricchezze. In effetti, era stato il più mediocre tra coloro che aveva affrontato in duello, non aveva dato prova di tecnica né prontezza di riflessi; però aveva un certo gusto per gli arredamenti ricercati.
Valutò accuratamente cos’altro trafugare tra quelle anticaglie, ignorando di essere in compagnia durante il suo placido curiosare.
Per la precisione di essere ostilmente spiato.

Lo aveva osservato con interesse e impazienza, tenendosi ben nascosta, camuffandosi tra arazzi e paraventi.
Figura superba e distinta, tono deciso e stentoreo, occhi fieri e profondi: era lui il Capitano di quell’ammasso di canaglie di diversa foggia e colore che avevano preso d’assalto la sua dimora.
Gli dei erano stati doppiamente benevoli, non ci avrebbe mai sperato. La avevano condotta a lui e, ora che erano rimasti da soli, avrebbe finalmente potuto compiere la sua vendetta. Per la sua famiglia brutalmente trucidata, prima di tutto, e per gli incubi che l’avevano tormentata da quella infelice notte di spade e fiamme che aveva spazzato al pari di un monsone ogni frammento del suo passato.
Era giovanissima, nubile, priva di dote e di qualsiasi protezione. Era diventata meno di niente, lei che aveva avuto il meglio di tutto: affetti e averi, corteggiatori e servi, perfino una raffinata educazione inglese. A causa sua, di quelli come lui, aveva perduto ogni cosa trasformandosi in un’ombra insignificante tra la fiumana di disgraziati che vagavano per le strade della sua città.
Dopo lo sconforto e la rabbia che l’avevano resa una pallida copia dell’aggraziata e ammirata fanciulla tra le più invidiate della sua cerchia per l’acume e la bellezza, la miseria l’aveva cambiata, abbrutita. Vedendo chiudersi ogni portone, si era ingegnata a vivere di mille espedienti, ingannando il prossimo, fingendosi sempre un’altra persona. Non dimenticando però chi era stata e chi l’aveva ripudiata.
Così, bazzicando per qualche giorno nel porto, aveva intercettato la notizia di una giunca che stava per partire alla volta del Golfo Persico. Si era imbarcata come clandestina e poi a bordo aveva indossato il costume da odalisca, confondendosi con le altre vergini destinate a scaldare il letto di un facoltoso pascià. Stava per mettere a segno il miglior colpo della sua breve carriera. Entrare in quella corte principesca l’avrebbe riportata ai fasti che le spettavano di diritto. Invero, oramai che aveva sperimentato la libertà, non credeva di poter resistere confinata da mura.
Rubare qualche ninnolo le avrebbe permesso di scappare dove voleva. E ricominciare.
Ogni progetto era sfumato dal momento in cui aveva intuito che erano sotto attacco di un vascello pirata. La paura era riapparsa a stringerle il respiro e aveva pregato di non dover crepare.
Poi, riconoscendo il famigerato nome, aveva sentito risorgere la brama di assolvere quella promessa, sussurrata tra le lacrime sulle loro pire trasportate dal fiume. Vendetta. Come un fiele che circolava nelle vene, non si era mai riassorbito e ora pompava prepotente nel cuore, istruendo le movenze di ogni muscolo.
Prese un profondo respiro e scattò in avanti, agile e lesta come una pantera.

Ciò che il pirata avvertì fu un fulmineo frusciare prima di percepire un modesto peso abbarbicarsi sulle spalle e una lucida punta di coltello spuntare minacciosa da sotto il mento.
- Ho già provveduto a radermi, stamane! – stigmatizzò iniziando a divincolarsi e reclinando il collo indietro, inalando un sottile profumo di patchouli e cannella, decisamente femminile. Di sbieco notò due gambe affusolate fasciate da larghi pantaloni glicine attorcigliate all’altezza del cinto. Provò a sciogliere quella fastidiosa stretta che gli impediva di impugnare la pistola ma, ponderando male i movimenti, favorì l’avvicinarsi della lama che gli si impresse sulla gola marchiandolo con un taglio.
- Mannaggia! – sbottò il ragazzo inarcandosi ancora, agguantandole il magro polso e torcendolo, perché mollasse il pugnale. Quella sibilò come un aspide, scivolandogli con un piede sull’inguine e colpendolo furiosamente.
Edward imprecò continuando a muoversi e a stringerle il braccio, procurandosi altri sfregi. Non avrebbe chiesto soccorso a nessuno. Sarebbe stato ridicolo: in fondo doveva essere soltanto una mocciosetta ostinata, però non capiva per quale ragione volesse ucciderlo. Non la avrebbe accontentata in quel modo: alla morte, se proprio fosse arrivata lì, voleva sputare il suo disprezzo in faccia.
Si tuffò di schiena su un sofà, schiacciandola sotto di sé. L’aggreditrice, tramortita dalla testata che gli aveva rifilato, fece cadere l’arma, mentre lui, ribaltando rapidamente le posizioni, la bloccò accavallandosi sul suo bacino. Quella si difese graffiandolo e soffiando, ma nell’istante in cui il pirata sfoderò la canna metallica piantandogliela nella pancia nuda, le sue unghie si ritrassero, come fosse una gatta, e il seno madido cominciò a sobbalzarle rotto dai singhiozzi.
Solo ora che aveva smesso di dibattersi il predone poté guardarla e subito venne rapito dal magnetismo dei grandi occhi dall’esotica forma allungata, scuri e lucenti come le più preziose onici, risaltati da uno sbavato kajal blu. Erano enigmatici, languidi e fieri, anche se tersi di lacrime.
Istintivamente le strappò via la veletta appuntata sulla nuca che la occultava dal naso in giù scoprendo i capelli nerissimi con alcune ciocche intrecciate da fili e perline colorate, la calda sfumatura di sabbia carezzata dal tramonto della pelle levigata, il dolce profilo delle labbra tinte di rosso ciliegia.
Aveva un’indocile e adorabile espressione da bambina smarrita in cerca di aiuto, e al contempo il sembiante di una donna scaltra che mirava ad irretirlo subdolamente con le sue grazie.
Fremette scombussolato: l’acuta sensazione che di quel volto non si sarebbe mai liberato gli attraversò il midollo, irragionevole e travolgente. Sconsigliabile. I pirati non possedevano, altrimenti non avrebbero avuto l’ansia continua di esplorare e saccheggiare posti sconosciuti.
Pensò che fosse una sicaria, inviata da qualcuno che lo odiava. E moltissimo.

La fissava incantato ed esterrefatto, tempestandola di muti interrogativi che restavano impigliati nella sua lingua, curvandogli la sottile bocca. La scrutava con il candido stupore tipico della sua età imberbe. Era più giovane di quanto si figurasse; non avrebbe pensato che l’autore di tanti crimini scellerati potesse essere un ragazzo scapigliato e imbronciato, poco più che adolescente. Fissandolo a sua volta, al di là degli zigomi appuntiti che rendevano i suoi occhi più severi e ombrosi, vide altro.
Tra le sue ciglia bruciava il fuoco triste di tante battaglie che prematuramente avevano scorticato la sua innocenza. Neppure la più esaltante di esse l’aveva mai pienamente rallegrato. Era inselvatichito dalla sorte che gli era toccata, ma nel fondo serbava qualcosa di tenero che non seppe spiegarsi, che strideva con l’immagine del famigerato bucaniere di cui la gente parlava accusandolo di delitti indicibili. Non lo conosceva, eppure credette che in parte fossero calunnie costruite ad arte, da se stesso o da rivali.
Le girava la testa al pensiero del sangue di cui stava per macchiarsi, forse ingiustamente. Si scoprì pavida: sottrarre la vita a qualcuno non era semplice quanto rubare qualche spicciolo. Tra tutte le identità che aveva assunto quella dell’assassina non le si addiceva, ed era contenta di averlo compreso grazie a lui.

Uno sparo infranse bruscamente quell’intenso dialogo silenzioso.

La bruna gemette strillando, il bucaniere si maledisse per aver accidentalmente premuto il grilletto e un nugolo di piume svolazzò ricoprendoli.
Edward, appurato che a squarciarsi era stato solo il materasso su cui oziavano, si staccò da lei e rinfoderò la pistola ficcandosi le dita nella folta zazzera per ripulirsi da quella lanugine, emettendo una sequela di parolacce e versacci schifati.
L’indiana singhiozzava piano coprendosi la bocca, non più per le lacrime ma per il riso. Un tintinnio di cristalli.
- Sì, molto divertente – bofonchiò lui fra i denti, indispettito dalla sua ilare reazione, spazzolandosi arrabbiato i vestiti.
La fanciulla si sollevò sui gomiti e protese una mano verso la sua fronte sfilandogli con tocchi delicati un paio di piume bianche dalla frangia che gravava su quegli occhi irrequieti e frustrati, come i suoi, da un’inguaribile malinconia. Non avrebbe avuto ragione di odiarlo, e neppure di smettere di farlo da un istante all’altro; d’altronde non aveva mai brillato per coerenza. I suoi stessi consanguinei la consideravano strana e spesso restavano spiazzati dai suoi comportamenti fuori dall’ordinario. Semplicemente non conosceva misura nelle sue emozioni. Impulsiva e imprevedibile; invece lui sembrava tanto misurato e riflessivo ...

La spontaneità del suo sorriso lo disarmò. Qualcosa di invisibile, misterioso e molto forte gli imprigionò il respiro. Un cappio che avrebbe dovuto recidere prima che lasciasse il solco, anziché permetterle di ipnotizzarlo con il suono del suo respiro leggero e dei gingilli che le pendevano dalle braccia, dalle orecchie, dal collo. Avrebbe dovuto respingerla anziché vagare con lo sguardo sulla sua pelle nocciola che appariva, dietro i veli rosati, decorata da arzigogolati disegni dei quali si domandava con insistenza il significato.

- Brutto bastardo ipocrita che non sei altro! Non hai perso tempo a spassartela! Ci chiedevamo dove diavolo ti fossi cacciato!

La squillante insinuazione del suo vice fu una frustata che lo riportò alla ragione, inducendolo a schizzare via da quella futile trasgressione: - Sei il solito stronzo boccalone, Ismi! – lo screditò rizzandosi dalla lettiga e chinandosi a recuperare il pugnale decorato dal pavimento, sottoponendoglielo. – La serpe mi è saltata al collo ed ha tentato di sgozzarmi come un maiale! – strepitò scaldandosi più del dovuto, grattandosi la bandana olivastra ancora impiastricciata di pilucchi.
La mora alle sue spalle si alzò a sua volta scoccandogli un’occhiata livida, mordendosi un labbro e preparandosi a vibrargli un ceffone, ma l’arabo, senza volerlo, si interpose boccheggiante: - Sia lode ad Allah … Toglie il fiato – mormorò stregato, squadrandole ripetutamente il corpo minuto e formoso, dai lunghissimi capelli d’ebano alla punta delle babbucce rosa, rivolgendosi di riflesso allo scontroso coetaneo.
- Anche il tuo alito! – lo irrise Edward - Sbattetela in gattabuia con le altre – si limitò a chiosare freddamente, senza ricadere nella tentazione di incrociare il suo sguardo pizzuto, che poco dopo, però, gli arrivò come un colpo di cerbottana mentre sul ponte di comando dettava disposizioni.
- Datevi una mossa, rammolliti! Su quelle gabbie! Spiegate i fiocchi e bracciate i pennoni! – ragliò pressante e autoritario, manovrando risolutamente il timone, rincorrendola con la vista mentre veniva scortata dai suoi verso un boccaporto.
Il vento portava il calore del fuoco che stava incendiando la giunca; ma era un altro calore a scaldargli il petto. Si schernì: non poteva davvero averlo accalappiato.

Qualche ora più tardi, in assenza di altre grane, decise di rientrare a passo spedito nella sala nautica per rilassarsi, ma, varcata la porta, inciampò in cumuli di casse, pallottolieri e bilancini disseminati su ogni superficie d’appoggio insieme a fogli zeppi di numeri e nomi.
- Capitan Teague! I miei più sentiti complimenti! È stato il migliore arrembaggio degli ultimi mesi! – lo accolse da dietro un tavolo Nizar, riponendo il monocolo con cui stava studiando alcune pietre sfavillanti. Per metà arabico, per l’altra, chissà come, tedesco; insomma uno che l’algebra e la precisione le aveva innate, l’unico di cui si fidava quando occorreva calcolare come ripartire i guadagni.
- Potremmo comprarci un’isola! Siamo ricchi! Ricchi sfondati! – trillò saltellando e provando inutilmente a coinvolgerlo.
Edward lo superò con la parvenza di un sogghigno amaro: - Non farmi ridere – commentò ruvido, buttandosi su un’amaca agganciata vicino la vetrata prospiciente il mare – Esiste forse ricchezza duratura per i furfanti perdigiorno come noi? La terra prosciuga tutto ciò che crediamo di possedere – sussurrò mestamente, imbracciando la vecchia chitarra.
Nizar, che navigava da quasi un lustro al suo fianco ed era abituato ai suoi repentini sbalzi di umore, non trovò nulla di sospetto in quell’accento burbero e beffardo, sottovalutando del tutto il nuovo e sconosciuto tumulto che ribolliva nel suo cuore vagabondo.
- Chiamo gli uomini a raccolta, allora? – lo interpellò piazzandoglisi a lato a braccia conserte, dondolando gli occhialetti rotondi tra indice e pollice.
Edward alzò una palpebra interrompendo di punzecchiare le corde: - Prepara le quote. Appena saremo approdati a Malabar procederemo coi pagamenti – lo licenziò preparandosi a scattare fuori di lì senza motivazione apparente.
L’eccelso matematico gli sbarrò la strada: - È già tutto pronto - borbottò saccente e piccato, stroncando la richiesta del Capitano,
- Ma bisogna sommarci la merce di carne, giusto? – gli puntò un dito quello, trovando un’altra scusa per svignare da tutta quella confusione.
E, mandando al Diavolo il buon senso, rivederla.

I locali di dabbasso erano bui, stretti, e stantii, e i più opprimenti in assoluto erano quelli che ospitavano le prigioni di bordo. Benché fossero state costruite con solide sbarre di ottone vi era sempre un marinaio preposto alla sorveglianza, specialmente se i detenuti erano fonte di denaro.
Edward lo rinvenne a poltrire rumorosamente sul suo cigolante sgabello: - Olly! – sbraitò richiamandolo indelicatamente sull’attenti. Il paffuto ragazzotto scozzese si svegliò di soprassalto urlando per lo spavento e asciugandosi la saliva colata sul pizzetto fulvo.
- Stavi sognando di nuovo di scopare con la tua adorata Mary Sue? – ironizzò il Capitano osservandolo severamente nella penombra irradiata da un’oscillante lampada.
Il marinaio rossiccio sgranò gli occhi verdi: - Non stavo dormendo, signore … Stavo riflettendo. – disse molto seriamente. Edward sospirò inarcando le sopracciglia e invitandolo a precederlo nell’altro corridoio che li separava dalle vere celle: - Riflettevi senza specchio …
- Come dite? – strabuzzò quello, impacciato dalla precedente figuraccia, girando le chiavi nella toppa.
- Lascia stare … - sbuffò rassegnato il collega, facendogli cenno di camminare.
- Ma … desideravate? – si bloccò Olly prima di ubbidirgli.
Teague scrollò con indifferenza le spalle: - Oh scusami. Stavamo stimando il bottino. Vorrei sapere quanti prigionieri ci sono.
- Ve lo dico subito – il rubicondo marinaio gonfiò le guance concentrandosi a contare sulle dita – Dunque … venti femmine e cinque eunuchi – concluse lanciandogli un furbo ammiccamento.
- Eunuchi? – ripeté l’altro perplesso, fissando gli esemplari in abiti maschili dietro le sbarre – Oh beh, si trova sempre qualche invertito cui aggradano – glissò contagiandogli la risata.
Quando intravide affacciarsi proprio la bella odalisca con cui aveva avuto quel contatto ravvicinato si insultò beceramente. Dalla maniera indiscreta con cui lo fissava sembrava leggere le confuse emozioni che gli provocava.
Schioccò le dita richiamando Olly che si era tenuto in disparte: - Date loro doppia razione quotidiana di zuppa. Ci attendono due settimane di viaggio. Non vorrei i compratori le scambiassero per rami secchi. – parlottò non allentando di scrutare lei che lo guardava con partecipe timidezza, quasi aspettandosi che potesse e volesse rispondergli. Pensiero ancora più stupido; capì che doveva andarsene: – Avvertimi se dovessero esserci problemi di qualche sorta.
La guardia ghignò chinando il capo in segno di saluto, e lui lo ricambiò sfuggevolmente, acconsentendo a fidarsi della bontà di non complicare ulteriormente la sua sciagurata condizione solamente per essersi infatuato di quella matta ragazzina.


Il grande mistico veleggiava nella notte stellata sospinto a fil di ruota dagli zefiri che soffiavano miti e costanti in quella stagione, preannunciando la torrida estate.
Per non mettere a repentaglio il prezioso carico da smerciare, avevano prediletto le rotte meno trafficate e ad ogni avvistamento di vele sospette avevano abbrivato per non rischiare svantaggiosi scontri. Poche leghe ormai li separavano dalla terraferma, il mare stava cambiando odore. Se ne accorse pur essendo intento ad ascoltare la nuova melodia che le dita avevano tessuto fluendo naturalmente sulle sei corde.
Amava intrattenersi con quel poliedrico strumento musicale spandendo le sue note all’aperto, il cielo come unico spettatore.
Tutto era apparentemente tornato come prima.
Aveva placato le insubordinazioni con esemplari punizioni. E a momenti stava cancellando il ricordo di quanto accaduto. Di chi c’era a pochi metri di distanza da dove era seduto.
Sistemò tra le labbra il rotolo di tabacco quasi spento, aumentando lo strimpellare per soffocare l’eco dei pensieri.
- Capitano! C’è un’emergenza!
Un richiamo allarmato, passi affrettati che correvano nella sua direzione. Dopotutto la tranquillità se si protraeva a lungo lo inquietava.
Sospese la sonata al chiaro di luna e si mosse mollemente dal giaciglio improvvisato con alcuni cuscini, volgendo il collo verso il segaligno mozzo inglese di cui non aveva imparato il nome, invitandolo ad esprimersi, mentre gettava oltre il parapetto il mozzicone fumante.
- Una delle indiane sta male, ha perso i sensi. Sembra abbia la febbre!
La concitata rivelazione non gli alterò un battito, diede una pacca al moccioso e rispose con un grezzo: - Sbarazzatevene. Una in meno non fa la differenza.
Il ragazzino deglutì un impacciato: - Come comandate, Capitano. – girandosi e allontanandosi tutto tremolante, ma per poco non ruzzolò sentendosi afferrare il braccio.
- Aspetta. Accompagnami. – mormorò Edward controvoglia, passandosi una mano sulla faccia.
Non c’erano molti altri in giro a quell’ora, incontrò solamente Ismael ed Olly che lo accompagnarono farfugliando tutto il tempo di maledizioni legate al trasporto di femmine e alla necessità di togliere di mezzo tutte quante. Li lasciò blaterare camminando nervosamente davanti a loro, rimuginando sulle soluzioni per zittire quella diceria prima che prendesse campo tra gli altri.
Appena giunto sull’uscio delle celle notò subito una maggiore irrequietezza nelle prigioniere che avevano alzato il tono della voce, dando l’impressione di confabulare. Si avvicinò battendo le nocche sulle traverse metalliche: - Hey! Non sta bene sparlare di una persona in sua presenza – le motteggiò fingendosi offeso. Le donne si spostarono impaurite permettendogli di scorgere chi fosse tra di loro a star male. Immergersi di nuovo in quel viso, che nonostante il pallore emanava un bagliore dotato di uno sconosciuto potere avvincente, lo destabilizzò.
- Ah! Ci avrei scommesso le palle che doveva trattarsi di quella piantagrane! – mugugnò voltandole le spalle, roso da una contraddittoria volontà di lasciarla lì o condannarsi di nuovo a respirarla.
I compagni pazientavano il suo strano indugio, non riuscendo a scorgere una decisione nei suoi occhi impenetrabili benché sbarrati.
- È da una settimana che si rifiuta di mangiare e bere – lo informò Olly – Non sono riuscito a convincerla in alcun modo! Gran bella testarda!
Edward sbuffò stizzito, poi si pronunciò seccamente: - Portatela nella mia cabina.

Si sentì adagiare su qualcosa di non molto soffice ma comunque comodo, e stese le gambe, sgranchendo le articolazioni intorpidite mentre dei polpastrelli callosi le tastavano i polsi e la carotide. Brividi di freddo la fecero sussultare quando sulla fronte percepì qualcosa imbevuto d’acqua e si rannicchiò su un fianco, rilassandosi per il tepore che subito dopo la ricoprì.
- Mandalo giù. Ti riscalderà e disinfetterà.
Una mano le sollevò la nuca ed obbedì alla leggera pressione sulle labbra schiudendole e ingurgitando quel liquido che immediatamente le incendiò la gola e le viscere, riscuotendola di colpo: - Che veleno mi hai dato, farabutto!
Udirla parlare nella sua stessa lingua, seppure con un accento estraneo e incerto, lo sorprese e rassicurò, ma cercò di non mostrarlo: - Ci sono mille modi per suicidarsi, molto più immediati del digiuno … o del rum. Lo bevo da anni, credimi. – ridacchiò il giovane avventuriero, alzandosi dalla brandina e continuando a scolarsi la bottiglia.
La ragazza si guardò attorno non ricordando cosa le fosse successo. Aveva la pelle accaldata ma rabbrividiva.
- Mangia – le ordinò Teague lanciandole una saccoccia di biscotti secchi.
L’indiana portò le ginocchia al petto stringendosi nella coperta sdrucita e piantando gli occhi nei suoi, abbozzando un sorriso di timida gratitudine.
- Perché l’hai fatto? – la fulminò lui, più avvilito che incuriosito, risedendosi sul bordo del lettino per convincerla a nutrirsi e per poterla osservare meglio. Le porse una galletta, speranzoso di vederla riprendersi.
La mora abbassò il mento e il suo accento si colorì di un tenace orgoglio: - Non voglio essere la schiava di nessuno. – si inumidì le labbra rialzando lo sguardo – Liberami, ti prego! Avete già preso tutto ciò che di valore avevamo, non vi basta? – lo supplicò sfiorandogli la sottile cicatrice sul collo.
Edward posò le iridi sulla sua piccola mano che continuava a vellicarlo, innocente e pericolosa, sui languidi occhi a mandorla, incantevoli e misteriosi, sui suoi capelli di seta, sul suo ventre piatto e ornato da un vezzoso brillantino nell’ombelico: - Un pirata non conosce limiti. Ambisce sempre a spingersi oltre – bisbigliò meno disinvolto di quanto volesse, mentre incontrollabilmente aveva iniziato a toccarle i fianchi scendendo verso le cosce, bramando un contatto più diretto e proibito.
Lei non opponeva alcuna resistenza ma tremava e la prospettiva di approfittarsi della sua evidente debolezza lo disgustò. Si rialzò come scottato da olio bollente: - Mangia. Ti concedo di restare qui fino a domani. Dopo di che tornerai con le tue compagne. Qui non esistono favoritismi.
La giovane aggrottò le nere sopracciglia: - Dove ci state portando? – polemizzò fiaccamente, attanagliata da uno sbigottimento che lottava ad armi pari con l’agitazione.
Edward si ravviò la bandana: - Mettiamola così: ammirerete posti che non avreste avuto occasione di ammirare se foste giunte alla destinazione cui eravate destinate – la lingua gli si arrotò veloce tradendo il trasporto che intendeva rinnegare; oramai si era esposto.
La giovane donna si rattristò: - Fingete cortesia e invece ci trattate peggio di bestie! So chi sei e quali cose orribili hai compiuto! – gli rivelò, mortificata dall’effimera e sconclusionata illusione in cui si era cullata per sfatare quella consapevolezza.
Lo spettro del rimorso corruscò il cipiglio fermo e flemmatico di Teague: - Benvenuta nel mio mondo.

L’indomani una pallida alba salutò l’ancoraggio della Dama di Nebbia nella verde baia di Malabar.
La ciurma si affaccendò eccitata a scendere a riva, pregustando i divertimenti con cui scialacquare tutti i guadagni accumulati in quelle settimane di scorrerie nelle prospere acque che bagnavano quella miriade di isolotti e penisole. Non appena le scialuppe furono calate sul pelo delle placide onde a bordo piombò un silenzio tombale, screziato solamente dagli scricchiolii delle giunture dei paranchi e dagli spifferi che fischiavano tra le velature ammainate.
Edward si soffermò a contemplare qualche minuto l’alzarsi del sole dal grigio orizzonte, rimandando un’incombente decisione dalla quale intuiva che sarebbe dipeso il suo futuro da Capitano. Controllò che le imbracature dell’unica barca rimasta agganciata alla fiancata fossero sufficientemente sbrogliate, quindi rincasò nella sua cabina.
Ma non la trovò stesa nella branda su cui l’aveva lasciata la sera precedente. Era ritta in mezzo alla stanza ed esaminava le innumerevoli cianfrusaglie sparse o appese alle travi del tetto.
- Perché sono ancora qui? Perché non mi hai venduta assieme alle altre? – lo interrogò senza voltarsi.
Sembrava essersi rimessa completamente; notò che aveva consumato anche la porzione di minestra e la sua andatura non vacillava più. Presumibilmente aveva ingigantito il suo malessere perché voleva affrontarlo di nuovo. Per quanto illogico era possibile.
Le si avvicinò cautamente, sussurrandole sulla scapola che sporgeva dal corpetto traforato: - Il codice prevede che il bottino di ogni battaglia venga distribuito equamente. E che ogni uomo abbia la facoltà di disporne come e quando vuole.
La straniera, sentendosi solleticare dalla sua vicinanza, sfuggì lesta. Il bucaniere la raggiunse e le scagliò un’occhiata in tralice:
- Accomodati.
Non era un vero invito, piuttosto una spazientita imposizione. Ricomponendone il senso, la prigioniera non vi si piegò: - Non sarò la tua scimmia ammaestrata!
Era uno scricciolo eppure sprizzava una vitalità eccezionale, abbagliante. Proprio per questo tenerla con sé l’avrebbe spenta di dispiacere.
– Odio le scimmie! – sbottò Edward, distogliendo il nascente rammarico per quanto stava per accordarle. Un’ultima domanda lo assillava. – Come conosci la mia lingua? – le chiese addolcendo il tono, e, sperò, lo sguardo.
La ragazza sbatté le palpebre diverse volte, disorientata dal non comprendere le sue intenzioni e affascinata dal suo astruso interessamento. Volle essere sincera: - La mia istitutrice la parlava.
- Sei una specie di aristocratica? – si stravolse il Capitano squadrandola in maniera più insistente. Il portamento indubbiamente era tale; poi ripescò dalla giubba l’arma con cui l’aveva minacciato e le si appressò con un sogghigno arrogante – O forse una sicaria? – la accusò oscillando il pugnale sulla sua scollatura.
- Quello era un dono di nozze – mentì la ladra, arretrando e scontrandosi con una seggiola, sentendo risorgere le palpitazioni nell’imbattersi nel piglio intimidatorio presente sul volto cupo del ragazzo.
- Immagino. Glielo avresti infilato nello stomaco o magari l’avresti castrato. – giudicò schietto e sprezzante – Accidenti, quell’uomo mi è debitore … Oh, già … L’ho ammazzato – rifletté ad alta voce, lisciandosi le guance punteggiate da un’irsuta peluria.
La bruna si era accasciata sulla sedia e lo squadrava a metà tra la preoccupata e l’invaghita: quel ragazzo aveva degli slanci assolutamente assurdi. Non era del tutto sano di mente, probabilmente, e per quanto ciò lo rendesse più affine di chiunque altro avesse conosciuto, era consapevole che non si sarebbero mai appartenuti. Era un vascello in tempesta. E lei voleva un ormeggio sicuro.
Teague, intercettata la sua espressione frastornata, andò a sedersi dall’altro lato del tavolo, ripiegando alcune mappe e riponendole nei cassetti: - Ad ogni modo, come ti chiami, carina? – tagliò corto mimando un sorriso sfacciato per ridurre l’imbarazzo.
Ora la trattava come fossero due amici e stessero giocando. Intenzionalmente o no, la confondeva e le pareva di trovarsi in una boccia di vetro, in una finzione.
– Diamine! Puoi anche inventartelo un nome! – si risentì lui, aggrottandosi per l’ineffabile intrigo che gli infondeva quella conturbante sconosciuta.
La replica della mora fu improvvisamente furibonda: - Tu non potrai legarmi! Non potrai!
Il pirata riservò un’incisiva osservazione alla porta lasciata aperta, accavallò i piedi sul tavolo e incrociò le braccia dietro la testa, piantando gli occhi al soffitto: - Non ne ho alcuna intenzione … – confessò pigramente, aspettandosi di vederla volare via, con il desiderio di libertà di un passerotto guarito.
L’affascinante estranea esitò, sentendo formicolare sempre più le vene al richiamo della fuga.
Le stava suggerendo di scappare e che non l’avrebbe ostacolata. Che non le importava di lei, in conclusione.
Il motivo di quella scelta non l’avrebbe indagato, però la accolse con sollievo. E un pizzico di rimpianto. Anche lui era un’anima errante, che agognava la pace ma ancora non era pronto a ghermirla.
Lo aveva capito e le stava dando una possibilità.
Imbracciò i remi, precipitò sulle onde e iniziò a vogare. Osò credere che un giorno, forse, si sarebbero ritrovati. E lo avrebbe ringraziato.

Edward si appollaiò alla boma di trinchetto, sporgendosi sull’azzurro paesaggio marino. E, vedendola svanire dentro una barcaccia, si costrinse a dimenticarla.
Anche se gli era rimasto addosso un po’ del suo sensuale profumo di pioggia primaverile.



worthy-thing
Ruth ed Edward Teague (alias Freida Pinto e Keith Richards).

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Capitolo 2
*** II – CRAZY SEAGULLS ***


Buona sera, ciurma!
Torno dopo molte maree e con un carico di scuse, a proporvi il secondo capitolo di questa breve long avente per protagonisti i genitori del nostro stimatissimo Capitan Sparrow.
Ho ancora una volta immaginato le vicende aggrappandomi a quell'unica scena che li vede insieme (^^), e al carattere del Capitano, cercando di separare le doti apprese dal papà e quelle ereditate dalla misteriosa mamma.
Inutile dirvi che ho dovuto scavare e spolverare sotto spessi strati di rughe per immaginarmi un Capitan Teague ventenne e nel frattempo, dovendo cercare di capire che faccia e aspetto potesse avere, ho accuratamente vagliato clip e foto del suo interprete, per chi non lo sapesse Mr Keith Richards dei mitici Rolling Stones, cui lo stesso Depp ha dichiarato più volte di essersi esplicitamente ispirato per costruire il personaggio di Jack.
Sarà anche per questo che io nel frattempo me ne sono perdutamente innamorata? <3

Comunque sia, come al solito commenti, critiche, proiettili, bottiglie sono sempre ben accetti.
Ringrazio infinitamente chi ha già letto il capitolo precedente e chi ha dato fiducia a questa storia mettendola tra le seguite, preferite o ricordate.
Il capitolo è pienamente ARANCIO (o almeno credo) per linguaggio e temi. Spero di non deludere le vostre aspettative.

Al prossimo approdo!)

ps: ci sono alcune citazioni stonesiane per chi leggendo lo sospettasse...





II – CRAZY SEAGULLS




Serrate e asciutte. Così le labbra, così le palpebre.
Non perché non avesse motivo di urlare o piangere. Era uno sfogo cui non voleva più cedere, tanto ormai sapeva che non avrebbe smosso la sua compassione. Uno scarto come lei non la meritava, piuttosto si sarebbe guadagnata gratuitamente altri insulti. Alcuni non li capiva neanche, li riconosceva dall’ansito sgraziato con cui gli vibravano in gola in quegli orribili momenti di buio.
La sua indole da rondine infine era stata tarpata, e per lei, catturata e ingabbiata, era iniziata una lenta agonia. Aveva lottato, si era ribellata, aveva morso e picchiato, vedendosi ritorcere ogni azione con gli interessi.
Rinchiusa lì dentro aveva visto spegnersi almeno nove tramonti. Il suo fragile corpo reclamava fosse da troppo.
Sperava che con quella resistenza passiva lo avrebbe sfinito, anche se quella convinzione stava perdendo consistenza, come la rugiada non protetta dall’ombra.
Avrebbe dovuto rimanere con i piedi ben saldi sulla terra, suo padre l’aveva ammonita in un’infinità di occasioni sull’assurdità dei suoi sogni: viaggiare, vivere alla giornata, conoscere gente al di fuori della sua cerchia. Era sempre stata impulsiva e cocciuta, ma anche vulnerabile e debole. Infatti non aveva mai avuto l’intraprendenza di abbandonare davvero la sua bella casa per più di qualche ora: era sgattaiolata alcuni pomeriggi dalla sorveglianza della servitù e delle sorellastre maggiori per poi reintrufolarsi prima che fosse troppo tardi e i suoi fossero troppo in ansia. Aveva visto poco o nulla in quelle brevi fughe, giusto il tempo di provare l’ebbrezza di affrontare da sola quel che c’era al di là della sua quieta e perfetta esistenza da privilegiata.
Ma il mondo era molto più grande e pericoloso di qualche stradina di periferia e lei era stata punita per la sua avventatezza. Aveva scioccamente scambiato l’apprensiva saggezza del suo genitore per arida autorità, e nonostante tutto gli aveva disobbedito ancora, dopo che le era stato portato via. Perché voleva misurarsi e forse dimostrargli che poteva essere diversa da tutti loro.
Aveva vagato per mesi imbarcandosi clandestinamente su chiatte e feluche che pullulavano i mari d’Oriente, ma ogni qual volta provava a fermarsi troppo a lungo in un porto un incomprensibile malessere l’attanagliava. Ora era stremata, priva di volontà; e questo la stava uccidendo più della prigionia e degli abusi che era costretta a subire quasi quotidianamente.
Anche all'esterno la natura stava infuriando.
Il suo carceriere si legò la fusciacca, candida come i calzoni, e riaffibbiò i bottoni dell’elegante giacca blu con le mostrine. Si assicurò che i bracciali fossero ben stretti, quindi le lanciò in fretta un ripugnante saluto che equivaleva ad un’ennesima promessa di male:
- A domani, passerotta.
Se non altro si era trattenuto meno, soltanto perché l’infimo senso del dovere, o forse il timore di essere accusato per la sua assenza, l’avevano indotto a rinunciare.
Lo avvertì immettere quelle due maledette mandate e allora, dolorante e nauseata, si alzò dal pavimento per raggomitolarsi sulla misera brandina sfasciata. E mentre nell’aria rombava l’eco di un temporale, la ragazza liberò i singhiozzi che le gonfiavano il cuore.
La pioggia batteva sulle pareti confortandola con il suo suono argentino.
Era insensato, ma le sembrò la premonizione che qualcosa stesse per cambiare.


Alla fine aveva ceduto. Quella cagna assatanata gli aveva sbavato dietro dal primo istante in cui l’aveva incrociato, anche se lui si era addentrato in quel postribolo per altri affari.
Quale impressione gli avesse fatto, poi, non lo capiva affatto. Era l’intoccabile moglie del proprietario, lui era uno spiantato che aveva ad occhio e croce la metà dei suoi anni, e lì brulicava di marinai infoiati che si sarebbero giocati fino all’ultimo dente d’oro pur di accattivarsi i suoi favori.
Lo aveva stuzzicato tutte le volte in cui, esattamente come quella sera, si recava lì per rivendere grosse partite di liquori, tabacco e spezie che avevano razziato in settimane di piratesche imprese. Era entrato per arricchirsi, non per sperperare, e avrebbe dovuto trattenersi poco perché quel mare nero non prometteva un viaggio privo di intoppi.
Invece si era crogiolato nella lussuria. Poteva dare la colpa alla sbornia, alla stanchezza, alla solitudine, alla noia, o, senza voler essere tanto disonesto, esclusivamente al crudo bisogno di appagare un prurito che avrebbe dovuto tacere o colmare con la fantasia negli interminabili mesi lontano da voluttuosi approdi.
Era finito nel suo letto e già non sopportava il suo sudicio aroma di carne corrotta dal vizio impregnargli la pelle e i capelli. Aveva un retrogusto pestifero e asfissiante, come la morte che avvinceva e cancellava. Doveva uscire subito e riempirsi i polmoni di salsedine per scacciare quella ributtante sensazione che gli affaticava il respiro.
Edward saltò su con un impeto di repulsione, scostando dal rorido addome le pallide braccia dell’amante clandestina, gettandosi nella penombra del mattino a recuperare i vestiti sparsi sui rozzi mobili. Un lamento soffocato lo costrinse a voltarsi per accertarsi di non averla destata, ma, sfortunatamente, quando si girò la donna era seduta tra le lenzuola spiegazzate e lo fissava maliziosa invitandolo a restare ancora, torcendosi tra le dita una ciocca biondo paglierino ed inarcandosi felina.
Dopo un attimo di indecisione il giovane le andò incontro, passo ciondolante e un’espressione impassibile e losca che la infiammò mentre si chinava su di lei e infilava la mano nella giacca, poggiandole un pesante borsello tra le cosce.
La bionda sgranò gli occhi cerulei, corrugando i floridi lineamenti e annaspando di indignazione.
- Spendili bene, almeno tu – le sussurrò il giovane pirata, allontanandosi e portando tre dita alla fronte in un galante saluto che stonava con la beffarda offesa appena elargita.

Un pungente vento di burrasca flagellava il molo galleggiante del porto di Cork, rendendolo oltremodo instabile, ma Edward avanzò imperturbabile assecondandone le oscillazioni, ritemprato dall’aria salmastra che si infiltrava in ogni poro, ripulendolo.
- Stavamo per salpare senza di te, rubacuori! – lo schernì Ismael, indicandogli la scialuppa che beccheggiava vistosamente tra i flutti verdastri. Teague ruotò le orbite al cielo con un burbero mugugno, afferrando la sua mano e prendendo posto sul sedile in fondo a poppa.
Tre ore più tardi la Dama di Nebbia aveva detto addio alle scogliere frastagliate della verde Irlanda e solcava superba le profonde e immense acque dell’Oceano Atlantico. L’inverno era alle porte sicché apparivano desolate e gelide in quella stagione. Pochissime navi vi si avventuravano, così anche loro erano costretti a migrare verso i mari del Sud per trovare qualche allettante carico da arrembare, poiché nessuno osava mai pensare di arrestarsi. E dopotutto non esisteva luogo sicuro in cui mollare le ancore per più di una notte, esclusa la Baia dei Relitti, che però era riservata ai filibustieri di alto lignaggio. Occorrevano anni di esperienza e fama da vendere per potervi attraccare senza correre il rischio di finire impallinati appena avvistati. E inoltre solo ad un numero ristretto di bucanieri era dato conoscere la sua reale ubicazione.
Edward Teague non riteneva di essere presuntuoso nel lasciarsi lusingare dalla certezza che presto quel posto sarebbe divenuto la sua seconda dimora, dopo il mare, ovviamente. Perché in fondo tutti quanti iniziavano imitando i propri eroi, e lui aveva cominciato in anticipo rispetto a chiunque altro.
Sua madre gli aveva donato una vera spada per il suo terzo compleanno, e al settimo già gli aveva affidato il timone del suo catamarano. Ora attendeva l’abbordaggio più propizio per rivelarsi al mondo, perciò non poteva permettersi di oziare, neanche con quel tempaccio ostile. Restava vigile, corroso da una viscerale smania che si riversava nella conquista imperterrita di nuovi orizzonti, immolando i momenti di meritato riposo, e imponendo con durezza lo stesso comportamento alla ciurma.
E poi venivano i giorni in cui semplicemente non aveva la minima intenzione di parlare, tantomeno di vedere qualcuno, e allora si eclissava a lungo nella sua cabina, oppure compariva sporadicamente, più somigliante ad un fantasma prigioniero che ad un orgoglioso Capitano.
Diventava taciturno e assente, al punto che gli altri si dimenticavano quasi che voce avesse.
Taceva perché nessuno lo capiva. Rinnegato, ribelle senza causa, insoddisfatto e frustrato da scelte che non sapeva più se fossero state sue. Rimescolato da domande che teneva per sé o trasformava in note, affidandole alla corrente. Poco importava se non otteneva risposta, tormentare quelle sette corde era uno dei rari diversivi che dissipava la sua inveterata inquietudine.
Abitualmente funzionava, ma quell’oggi una sorta di malevolo incanto sembrava essersi abbattuto su quegli unici sprazzi di serenità quotidiana che era solito concedersi, rimanendo seduto a cavallo sul rostro di prua. Era già il terzo crine che si spaccava escoriandogli le falangi intirizzite.
Malgrado il sole risplendesse nel meriggio azzurro e limpido, era dicembre e l’atmosfera rimaneva terribilmente fredda insinuandosi in ogni articolazione. Il fiato che espirò si condensò all’istante in una nuvola bianca mentre una sagoma meno evanescente prendeva forma sull’orlo delle onde.
Buttò di lato la tracolla e lesto inforcò il cannocchiale, individuando un vessillo nero sventolante in cima all’antenna. Recava la nota sigla VOC1. Un sorriso allucinato gli rigò le guance scavate e arrossate di brina. Un vascello di quella categoria in mare aperto in quel periodo significava una consegna urgente e speciale, possibilmente argento e gemme dalle Americhe, a giudicare dalla presunta rotta di provenienza. Proprio la fonte di opulenza che gli avrebbe permesso di ascendere nell’Olimpo della pirateria.
Si inerpicò a bordo e, precipitandosi sul cassero di poppa, diede un’energica scossa al torpore dominante: - È ora di spiegare le vele e far risuonare i cannoni, cani pulciosi! – strepitò con trascinante entusiasmo, sguainando la spada in direzione della fregata olandese – Murate a dritta e andiamo a fotterli!
Al carismatico ordine il ponte della Dama di Nebbia fu invaso da una folla di manigoldi che si alternavano alle manovre e all’artiglieria, terzarolando e brandeggiando i falconetti per colpire l’appetibile obiettivo.
Edward nel frattempo era rientrato nel suo alloggio per riporre la chitarra e, già che c’era, ingollò di seguito qualche foglia di qat e una fiaschetta di grog che gli erano capitati tra le mani, giusto per iniziare a scaldarsi e aggiungere quella botta di incoscienza in più che non guastava.
Riguadagnato il timone, diresse il mistico all’abbordaggio, abbandonando il comando ad Ismael quando la distanza tra i due vascelli si ridusse tanto da permettere agli equipaggi di scambiarsi i convenevoli di rito.
Il suo fervore si accrebbe dacché si accorse che stavano superando l’ultimo veliero di un piccolo convoglio, situazione che gli confermava l’inestimabile valore di quel carico.
- Merda, Teague! Ma sono tre! – lo distolse il suo luogotenente, lui stesso basito, raggiungendolo trafelato tra le pallottole vaganti mentre si apprestava a catapultarsi sui nemici.
Il Capitano osservò una per una le imbarcazioni, un luccichio di sfida nelle iridi fuligginose: - Sceglitene una! – masticò sbruffone, la cicca accesa nella bocca, passandogli una bottiglia quasi vuota e lanciandosi con un grappino sulle sartie del bastimento che navigava in mezzo agli altri due.
Ismael sacramentò in arabo guardando la bottiglia: come trovasse uno scampolo pure per bere e fumare nella frenetica preparazione dell’arrembaggio, ancora non se ne capacitava. La scolò e gli si lanciò dietro, atterrando sulla drizza di un pennone. L’amico lo dovette agguantare per la collottola perché non perdesse l’equilibrio e si schiantasse di sotto.
- Se ti ammazzi, non intendo sostituirti! – lo sgridò il turco strappandogli una mezza risata, di scherno più che di riconoscenza, prima che entrambi si scagliassero indomiti e scatenati nella baraonda di urla, sferragliamenti e colpi di moschetto.
La disinvoltura e l’arguzia con cui combattevano intontivano e sorprendevano gli avversari, ignari ed impreparati nel trovarsi al cospetto di una ciurma di giovani scapestrati agli ordini di uno spregiudicato brigante che pareva possedere il coraggio e la sfrontatezza di chi avesse vissuto un milione di vite e non avesse il minimo timore di soccombere, perché ogni respiro in più era già un premio.

Capitan Teague controllò rapidamente che i tafferugli si fossero placati e che i suoi fidati compagni avessero terminato il lavoro sui navigli di scorta, rendendoli inoffensivi. Balzò allora di nuovo davanti all’ufficiale con i glaciali occhi grigiastri che aveva appena sconfitto, pungolandogli la spada sullo sterno: - La nave è nostra, damerino. Qualche obiezione? – gli intimò ammiccando con sarcastica esuberanza, mentre altri provvedevano ad annodargli i polsi dietro la schiena.
Il soldato digrignava e si dimenava sbuffando come un toro: - Immonda feccia! I vostri corpi marciranno appesi ad una corda, prima o poi! – vomitò con marcato accento tedesco, verde di livore.
Il giovane filibustiere lo fissò per qualche attimo pensoso, quindi gli annuì gravemente, scrollando la testa: - Preferisco pensare poi – affermò prosaico, richiamando con uno schiocco Finn e Olly – Inchiodatelo all’albero maestro. Non sia mai che il capitano debba crepare lontano dalla sua nave – sostenne con tono falsamente rispettoso, ciondolando le braccia e allontanandosi senza aggiungere altro, sottintendendo che dovessero occuparsi loro di depredare quel che c’era.
Raggiunto il castello di poppa, bighellonò tra i ricchi arredi della sala ufficiali, rimestando tra cassettoni e credenze in cerca di mappe, bottiglie o gingilli curiosi. Si era disinteressato di quale carico vi fosse nella stiva, tanto quello sarebbe andato disperso; gli pareva più interessante appropriarsi di oggetti personali appartenuti alle vittime delle sue ruberie per poterli sfoggiare e testimoniare quante leghe avesse attraversato e quanti uomini diversi fosse riuscito a fregare.
Requisì un paio di carte nautiche di buona fattura e intascò un astrolabio e un trombone, aggiungendolo alla sua collezione di armi da fuoco ben in mostra nel cinturone a tracolla. Varcata la stanza adiacente, riconobbe quello che doveva essere l’alloggio privato di quell’allocco del Capitano: una cuccetta spartana e pulita con neppure la minima impronta di imperfezione. Odiava gli Olandesi, sempre così parsimoniosi e puritani, si credevano i migliori sulla faccia della terra!
Per contrasto gli sovvenne il motivetto della loro canzone, e le corde vocali cominciarono a vibrare intonandola.

Rapiamo e devastiamo, non ci importa un fico secco!
Trinchiamo allegri, yo oh!
Siam diavoli e pecore nere, proprio uova marce,
brindiamo allegri, yo oh! …

D’un tratto un cigolio e un debole gemito giunsero alle sue orecchie. Percorse a ritroso le scricchiolanti assi, fischiettando di nuovo quel ritornello, le pistole strette in pugno. Stavolta udì di rimando dei colpetti e un rantolio sommesso che lo scosse tutto. Quel bussare si intensificò e Teague analizzò ogni metro della stanza, oramai convinto che ci fosse qualcuno o qualcosa che richiedesse il suo aiuto. Provò ancora a canticchiare senza parole, non sapeva se si trattasse di un animale o di un moribondo. Un brivido premonitore che non comprese guidava i suoi movimenti verso quei rumori ovattati. Finalmente ne scoprì l’origine. Un pannello mimetizzato da un brutto ritratto celava una porticina.
Senza pensarci ripose le armi nel cinto e infilò il pugnale nella toppa, scassinando la serratura.
L’ambiente che lo accolse era angusto e umido, un minuscolo lucernaio bastava però a rischiararlo a sufficienza da consentire di vedere.
Ed Edward deglutì spine acuminate. Un fremito gli risalì lungo la spina dorsale e si trasmise alle ginocchia, mentre un’esile figura claudicava sotto il fascio di luce, palesandosi.
Tremava, di freddo, di caldo, di paura e speranza, rivestita da un consunto abito di stracci che col suo rosso stinto mascherava macchie dello stesso colore, a differenza della carnagione terrea su cui erano evidenti i segni della reclusione e della violenza. Non aveva più alcun ninnolo nella cascata di onde scure che le ricadevano fino ai gomiti, e la sua bocca tumefatta non poteva sgorgare le stesse faville di arcobaleno che l’avevano abbagliato.
Gli sembrò che un arpione gli fosse penetrato nello stomaco e glielo stesse dilaniando.
Era una rosa troppo bella ed era stata sradicata da un viscido fiume di fango. L’aveva sognata un paio di volte dopo il loro breve incontro. Aveva presentito quella fine per lei, ma non gliel’aveva evitata, e adesso si sentiva unto dall’umana crudeltà da cui era stata travolta.

Aveva pregato le fosse concessa una seconda possibilità, mai aveva vagheggiato che avrebbe avuto il suo volto sporco e cattivo e i suoi occhi cerchiati di antracite. Eppure per una strana coincidenza erano dinanzi a lei, intensi e stralunati, seri e distratti da mille pensieri turbinosi, e stranamente la confortarono. L’aveva riconosciuta e anche lei si ricordava di lui: ogni dettaglio di quell’ombroso figuro le era rimasto impresso. Forse era solo un po’ più alto e robusto e perciò le sembrava in qualche modo più maturo. I capelli neri e ispidi, che neppure la bandana sbiadita poteva tenere in ordine, gli erano cresciuti ribelli sulle spalle, increspati dalla salsedine e schiariti da tanti soli. Gli davano un aspetto ancora più maledetto e sciroccato che avrebbe dovuto metterla in guardia, invece di rasserenarla.
O forse lo credeva perché non voleva soffermarsi sulle sue labbra imbronciate e socchiuse e sul suo sguardo inorridito, leggendovi delusione e pietà, provando disprezzo per se stessa.
Aveva sprecato la libertà che lui le aveva accordato. Si odiava. Si sentiva bruciata, indesiderata, fallita. Era inutile fingersi forte, lui aveva capito ogni cosa.
Ansimando, reggendosi a stento sulle caviglie sottili incatenate da grossi ceppi arrugginiti, la giovane indiana gli poggiò il capo sul bavero, bagnandolo di tiepide lacrime che sapevano di dramma e liberazione. Era trascorso appena un anno, ma era come se si fossero incontrati in una vita precedente: la sua innocenza era ormai sepolta sotto strati di ricordi.
Edward iniziò a tremare senza rendersene conto, come se in quel pianto sommesso e spezzato stesse riversando su di sé la sua indescrivibile sofferenza. Avrebbe voluto darle conforto ma ignorava un qualsiasi gesto che lo suggerisse e per non sbagliare non mosse un muscolo.
Con tutto quello che aveva visto e subito rifiutava di credere in qualche Dio che vegliasse su di lui, era più probabile stesse simpatico al Diavolo. Come ogni marinaio era superstizioso, il mare era la sua unica fede, avaro e impietoso. Se porgeva un dono lo si doveva accettare al volo, andava assecondato. Era la seconda volta che gliela sbatteva addosso. Ora non sapeva neanche lui distinguere quale errore gli sarebbe costato di più, permetterle di fuggire e perdersi, oppure riprendersela e smarrire se stesso.

Si irrigidì percependo le sue mani brancolargli sul petto, e ancor più avvertendo lo scatto del caricatore che la ragazza con celerità si piantò alla tempia.
Il bucaniere riagguantò l’arma approfittando della sua terrificata esitazione e tranciò con un colpo di sciabola le sue catene, spingendola sul lettino. C’era una patina di lacerante mortificazione nelle sue iridi di liquirizia che gli sobillò una tremenda vendetta.
Non comprendeva la ragione per cui volesse salvarla: andava fatto e basta. Qualcuno aveva attorcigliato una sagola tra loro due che non s’era sfilacciata né allentata.
- Non sei tu a dover pagare! – la rimproverò, inasprito da una montante brama sanguinaria, uscendo di gran carriera da lì.

Il baccano scemò nell’istante in cui lo videro ricomparire, gli occhi di catrame fumante che suggellavano inequivocabilmente il preciso intento di uccidere qualcuno.
I marinai si scansarono bisbigliando scongiuri, tutta la collera di Teague convergeva però su un unico individuo designato a subirla nella maniera più atroce. Nell’approssimarsi a lui trascinò con sé due della ciurma, tirandoli per le orecchie. I ragazzi si scusarono confessando colpe delle quali non erano stati accusati e che il Capitano non ascoltò neppure.
- Sollevatelo e allargategli le gambe – ordinò loro spicciamente, rilasciandoli ai piedi del prigioniero – Voglio vedere come sta messo a virilità – aggiunse ghignando con espressione feroce e delirante.
I due titubarono, interrogandosi a vicenda sullo scopo di quella controversa richiesta, anche se non avevano il fegato di contrastarlo e finirono per ubbidirgli con soggezione.
Tentò invece di intromettersi Ismael: - Dannazione, Capitano! Fermatevi, siete sbronzo! – lo assalì strattonandolo e venendo respinto da un secco ceffone.
- Brutti pervertiti! Lasciatemi! – strillava intanto l’ostaggio, con la fronte imperlata di orrore.
Edward si piegò all’altezza della sua patta, valutandone la sporgenza attraverso i pantaloni avorio: - Hmmm … Tutto qui? – commentò con rabbiosa impertinenza.
Il suo vice lo riavvicinò, cincischiando imbarazzato: - Eddy, torna in te. Guarda che non ti piace …
Quello si raddrizzò frizzandogli un’occhiataccia a metà tra l’ovvio e l’indispettito, suggerendogli che ciò che aveva intenzione di fare non sarebbe piaciuto neanche a quello scarafaggio. Scelse la pistola più grande e gliela premette sull’inguine bene esposto, fissando ad una spanna la sgomentata reazione che rattrappiva i lineamenti squadrati dell’uomo, ora che aveva intuito come si sarebbe concluso quel sadico gioco: - Te le regalo io due palle … – gli fiatò con caustica ironia, schiacciando il grilletto – … Di piombo.

I sensi confusi e anchilosati, come al risveglio da un incubo, afflitta dal permanente dubbio di aver sognato o piuttosto ricordato. Quell’acuto vagito straziato l’aveva riscossa con la strana sensazione di sollievo e soddisfazione. Non provava nessuna pietà e nessun senso di colpa, e non le pareva sbagliato. Avanzò sulle punte dei piedi scalzi affacciandosi abbacinata dai raggi, e con lo sguardo titubante si aggrappò impulsivamente a lui.
Il suo salvatore, acclamato da tutti, gironzolava con la stessa leggerezza di chi stesse passeggiando su un campo di grano, anziché tra feriti agonizzanti e frantumi di vario tipo. Declinando i colpi d'occhio degli altri uomini, scese in fretta le scalette, svolazzò verso di lui e gli si attaccò fermamente alla coda della giacca, nascondendo il volto solcato di dolore sulla sua schiena, cercandone di nuovo quell’inquieto tepore che le trasmetteva protezione.
Teague non si bloccò, né la guardò, continuando a percorrere la passerella: - Possiamo sbaraccare.

La terra arsa poteva conciliarsi con l’intemperanza del mare?

In fondo non era stato difficile né ignobile salvare una donzella, il problema semmai sarebbe stato conviverci. Disconosceva la maniera di comportarsi con un’ospite del genere, anche perché non gli era per niente indifferente. Era cresciuto solitario ed egoista, arido e scostante. L’unica gretta consolazione era sapere di non poter rivelarsi peggiore del lurido verme da cui l’aveva liberata.
Si era prefissò che l’avrebbe tenuta con sé solo il tempo di svernare nell’altro emisfero, per poi trovarle una sistemazione più adeguata. La traversata sarebbe stata parecchio lunga e lei nel frattempo si sarebbe rimessa in sesto.

- La stiva trabocca così tanto che peschiamo il doppio! – affermò il grugno esaltato del suo primo ufficiale scomponendo le sue riflessioni.
- Ottimo – approvò distrattamente, grattandosi sotto il naso, deviando lo sguardo sul ponte che stava sgombrandosi dal marasma di casse e barili.
Evitò appena di inciampare nello sgambetto che Ismael gli oppose, ammiccando tagliente alla sua cabina: - Cosa intendi farne di quella lì? – lo interrogò impedendo che si defilasse senza fornirgli qualche lecito chiarimento su quella scriteriata decisione.
Edward sostenne sfuggevolmente le sue iridi scure, stringendosi il fasciacollo con meticolosa indifferenza: - Non ci intralcerà il lavoro, se è ciò che pensi.
Il turco gli scoccò un sorriso maligno: - Erro o è la troietta che ti era scappata un anno fa?
Il compare sollevò il mento serrando la mascella fino a scrocchiarla: - Erri. Non è una troietta, ma la vittima della mia vigliaccheria – sentenziò brusco, sfilandogli davanti – Resterà nei miei alloggi e voi fingerete che non ci sia. Ti è limpido? – lo rimbrottò sfiorando la tracolla carica di armi.
In quell’istante un vociare indistinto gettò scompiglio tra i marinai. Teague ignorò la frecciatina dell’arabo che lo guardava di traverso con un sorrisino accusatorio, e istintivamente pensò all’irragionevolezza della sua buona azione. Erano pirati, non eroi.
Brontolò sottovoce osservandoli dall’alto che si calunniavano a vicenda, spintonandosi e insultandosi.
Era consapevole che se l’ozio forzato fosse stato contaminato dal malcontento ne sarebbe derivata una miscela esplosiva.
Sguainò la pistola e fece partire un colpo su di loro: - Hey! Hey! Di grazia, vi dispiace informare anche me? – li sollecitò saltando giù dalla balconata.
Un mulatto che gli altri degnarono appena di considerazione si ritrovò un buco alla milza e barcollò fuori bordo, nel frattempo un ometto dalla spelacchiata peluria castana gli si parò davanti con in mano un mestolo: - Non c’è più acqua in cambusa. – sbottò incrociando le braccia.
- Lo so … – ammise il Capitano con un sospiro accompagnato da una smorfia colpevole.
Il marinaio lo scrutò insospettito: - Ah … La zuppa di tartaruga come la cucino?
Era il più anziano tra loro, e talvolta provava a comportarsi da padre; in quella circostanza già di per sé complicata era la mossa meno opportuna: - Cribbio, Ronnie! Sei tu il cuoco: inventati qualcosa! – lo criticò allontanandosi speditamente per troncare quell’argomento, scomodo oltremisura.
- Se dovessi avere un’altra di queste felici idee, ti prego di consultarmi! Io non vengo a dirti come navigare – gli sbruffò dietro quello, agitando il grosso cucchiaio di legno.
Edward trascurò la sua pretenziosa minaccia, conscio dell’innocuità di quell’uomo, pur prestando attenzione a che la sua maldicenza non influenzasse gli altri suscettibili bucanieri.
Proseguì fino al parapetto di tribordo sporgendosi per metà della sua altezza per dare un’ultima sbirciata al carcame dei velieri olandesi.
- No! Non ci sarà d’intralcio – infierì il suo primo ufficiale comparendogli a fianco, tanto per corroborare i suoi dubbi. Il più temibile era proprio lui: insistente e succiasangue come una zanzara!
E sembrava più ostinato del solito: - Se la situazione non ti sconfinfera, puoi anche andartene a …
- Nah! Sono troppo curioso di vedere come ti barcamenerai! – lo interruppe rifilandogli una derisoria pacca sull’avambraccio sinistro, quello in cui si era oltretutto beccato una pallottola di striscio.
Teague si mordicchiò il labbro inferiore e gli drizzò contro l’indice, soffocando a malapena la tentazione di strozzarlo o scaraventarlo: - Sei una carogna.
L’ex schiavo incassò con un sogghigno impenitente per poi recuperare un briciolo di ritegno:- Se potrà rimanere, andrà messo ai voti. E comunque è risaputo che donne e navi non vanno d’accordo …
Stavolta fu il ragazzo più grande a concedersi una risata dissacratoria: - Azzardati a proferire un apprezzamento del genere a mia madre, e come minimo di ritrovi qualche dente rotto o un coltello nella pancia – glissò voltandogli le terga e risalendo sulla tuga.
- Muoio dalla voglia di conoscerla! Quanto ti deciderai a presentarmela? – replicò sardonico il saraceno accettando una bottiglia di alcol da un altro bucaniere.
Edward lasciò volutamente in sospeso una risposta che pesava soprattutto a lui. Se la figurava, se avesse saputo in che guaio si era cacciato, lo avrebbe definitivamente diseredato.
Non che avessero un rapporto idilliaco, tutt’altro.
Erano anni che non aveva notizie sul suo conto, eccetto quelle racimolate per caso in qualche taverna in cui si magnificavano, con incredulità e riverenza, le sue imprese per i sette mari. L’aveva abbandonata alla sua sfolgorante carriera di nobile piratessa dell’Atlantico proprio per non essere un eterno secondo. E si impegnava da anni per riuscire. Niente e nessuno lo avrebbe ostacolato.

Non esisteva cabina più invalicabile della sua sulla Dama di Nebbia, ed era lì che l’aveva condotta.
Era struccata e provata, deturpata da lividi e sfregi, nondimeno la sua bellezza incattivita restava tale da squarciare il cuore.
Edward inclinò lateralmente la testa facendosi ricadere i capelli sulla fronte: il solo ammirarla fomentava pensieri inappropriati, almeno in quel momento. Abbassarsi al livello di quel porco che l’aveva segregata ed oltraggiata, non era un gran vanto.
Anche se tante volte aveva agito senza riflettere troppo sulle conseguenze, sentiva la necessità di giustificare quell’attrazione perché aveva qualcosa di insolito e sfuggente.
- Pensavo avresti gradito – borbogliò distogliendosi dal suo cipiglio compunto e incuriosito alla tinozza di legno ricolma d’acqua, una stramberia per effeminati, che aveva trafugato ma mai utilizzato.
La bruna fissò il liquido con un lievissimo turbamento, inginocchiandosi e saggiandone la temperatura. Era una coccola cui stentava a credere. Ed era una manna. L’ultimo bagno risaliva a molte settimane prima, in un torrente. Era schifata dal suo stesso olezzo muschiato.
- Non è riscaldata, ma è il massimo che posso offrirti – soggiunse il giovane Capitano, cacciando le mani in tasca, spremendosi per arricciare qualcosa di simile ad un sorriso discolpante che si trasformò in un’espressione smarrita quando l’esotica ospite, abbassando le ciglia, incrociò le braccia sul seno e stracciò l’unica bretella della veste sbrindellata, lasciando che le scivolasse via dalla pelle incrostata di lerciume, spingendola via con i piedi e coprendosi pudicamente le nudità mentre rapida si immergeva interamente.
La leggiadria e la dignità che trapelavano da ogni sua movenza lo ubriacarono. Non aveva vergogna né paura di lui ma neppure si ostentava, risultandogli ammaliante come poche.
Riportò le languenti pupille su di lui, ravviandosi la fluente chioma corvina dietro la nuca. Due fossette le comparvero finalmente sulle guance, solcate da goccioline che le tersero dalle lacrime e dalla polvere: - Mi chiamo Ruth. Mio padre era inglese – pronunciò la sua voce flautata.
- … Edward … - farfugliò lui arretrando confuso intanto che lei si appoggiava al bordo della vasca, adescante come una sirena: - Poi torni, vero?
Una spaurita implorazione con cui lo riagganciò ai suoi lucidi occhi a mandorla.
Ragionare stava diventando incandescente, la gola gli si seccò come se una corda lo stesse strozzando: - Appena starai meglio – se ne uscì protettivo, non avendo la più pallida idea del perché gli desse tutto quell’affidamento. Si scontrò con la maniglia e, chiudendosi la porta alle spalle, oltrepassò di corsa la sala nautica, imbracciando la chitarra e sistemandosi fuori sul ballatoio.
La confusione e gli schiamazzi della ciurma si diradarono in un brusio, e le corde si mossero al ritmo di una struggente nenia che pareva sopraggiungere da un'altra dimensione.

In tre lune non aveva appreso molto oltre al suo nome. Scarne confessioni e sfuggevoli sorrisi erano affiorati da quel viso esotico di cui aveva assimilato ogni particolare. Si limitava a mangiare in fretta e in silenzio, a chiedergli di rado e a raccontare ancora meno.
Non era rilevante in verità, perché lui per primo era poco propenso alla loquacità e credeva più nella luce dei fatti che nella nebbia che poteva sottendere i discorsi. Quantunque azioni e parole con lei avevano entrambe una logica imprevedibile e astrusa.
Traviante.
Come quella volta in cui, con uno slancio degno di una gazza, gli si era avvicinata e gli aveva sottratto uno di quei sigari d’erba che si era acceso in bocca, portandolo con erotica naturalezza nella sua.
"Ci sono già tante cose che possono ucciderci. Non permettiamo possa provarci il passato", aveva cinguettato ammutolendolo.
Un ragionamento da pirata.
Gettandosi indietro aveva sparso spire di fumo imitandolo finché non aveva tossito, scoppiando a ridere e scusandosi.
Edward l’aveva osservata divertito, chiedendosi se fosse più sbadata o sbandata, indispettito dal desiderio sempre più stringente di sprofondare ripetutamente tra i suoi stuzzicanti fianchi. E se non fosse stato per il persistente torpore di quelle fumate, non si sarebbe dileguato con un’arrendevolezza che non gli si addiceva, rivolgendole solo una manciata di minuti quotidiani per accertarsi delle sue condizioni.
Da qualche tempo si era ridotto a pensare di essere lui tra i due quello in convalescenza.

Aveva fatto una promessa a se stesso e l’avrebbe mantenuta. Era tempo di separarsi.
Per quanto la sua ritrosa presenza avesse lenito un poco la solitudine della stagione più inclemente, e desiderasse conoscerla più intimamente, non avrebbe avuto altro tempo da dedicarle. Oramai avevano oltrepassato le spiagge del Madagascar. Acque brulicanti di prede e insidie stavano per infrangersi sul loro scafo.
Era ora che la graziosa ospite sloggiasse, altrimenti avrebbero mandato via lui e la prospettiva non era affatto allettante. Una maggioranza risicata aveva votato a favore della sua permanenza.
L’aria era torrida già all’approssimarsi dell’aurora e decise di rientrare per tentare di trovare un po’ di frescura. Aveva dormito dappertutto nelle ultime settimane, tranne che nella sua branda. E non c’era migliore pretesto per reclamarla.
Poi accadde che si fermò a scrutarla nel sonno, e quella sicurezza si frantumò in schegge che si conficcarono su tutta la carne. Avvertì il respiro liberarsi da quel tanfo amarognolo e infetto e un piacevole calore liquido espandersi nelle viscere.
Insieme alla primavera, cui avevano navigato incontro, anche lei era rifiorita. Le sue forme si erano ammorbidite e svettavano capricciose da sotto la larga casacca che si era scelta da un baule tra una delle sue, come unico indumento. Il suo colorito era tornato uniforme e nocciolato, le labbra piegate in un tranquillo sorriso somigliavano a dolci e invitanti fragole che chiedevano solo di essere assaporate e morse.
Non l’aveva rapita, ma riscattata.
Era presuntuoso e inammissibile forse da credere, ma reputò la sua completa guarigione la prova che intorno a lui non ci fosse spazio solo per il male, che fosse capace di qualcosa di diverso dal distruggere e rubare.

Ruth si rigirò scrollandosi di dosso il lenzuolo sudato e dischiuse piano le palpebre mettendo a fuoco, nel flebile barlume azzurrino, una sagoma dinoccolata e spigolosa divenuta familiare.
Si curvò su di lei, i pugni sulle ginocchia, così vicino da investirla con il suo odore di sale e vento. Accennò un sogghigno assonnato e i nervi le si incendiarono come dopo un lungo letargo: - Sai, mi sono ricordato che questa è la mia cabina.
La sua voce era un graffio sul velluto. Bassa, vibrante, lenta nello scandire ogni suono. Le era piaciuta subito perdutamente, come il suo naso dritto e appuntito, le pupille ardenti e baluginanti, le labbra disegnate in giù, restie a mostrare i denti.
Si era svegliata con un incontrovertibile buonumore.
- Hai vegliato me tutta la notte? – bisbigliò allungando le braccia contro il cuscino e arcuando la schiena per sciogliere le membra.
Lui si raddrizzò sgranando gli occhi come faceva spesso per cercare conferma: - Ti fa tanta specie che un uomo possa dormire nella tua stessa stanza senza provarci?
Si pentì di quella battutaccia, per nulla indicata, visto quello che la ragazza aveva subito. Ma lei continuò con noncuranza le sue snodate contorsioni, sbirciandolo di sottecchi. Gli aveva spiegato che quell’insieme di torsioni serviva a mantenere rilassata la mente oltre che i muscoli. Edward però ci vedeva altro, una provocazione sfacciata e deliberata.
- Si pecca anche col pensiero … - ribatté vagamente la bruna, ristendendo con grazia le gambe lisce e nude sul lettino.
Si stava rivelando furba e tentatrice, e non gli dispiaceva. Tuttavia gli avrebbe reso tutto tremendamente più difficile. Aveva le vene in fiamme solo per il falso pudore con cui lo fissava.
- Almeno finora per questo non ci trascinano su una forca – ridacchiò, mascherando l’imbarazzo con l’insolenza e trovando sollievo nel bagnarsi la faccia con un po’ d’acqua raccolta in un bacile posato su un ripiano.
Ruth si alzò e lo affiancò con passo di piuma, attingendo dallo stesso catino per rinfrescarsi la fronte e il collo spiandolo, da lui ricambiata, perché l’eccezionale splendore che vi aveva trovato non l’aveva scorto in nessun forziere. Era qualcosa che sapeva di proibito, come le foglie d’erba che si fumava in sua presenza. Forse ancora più oppiacea.
- Non puoi più restare, ragazza.

L’aveva tacciata con un drastico refolo di risentimento, con quel suo modo particolare di dondolare la testa, quasi fosse in ascolto dello sciabordio delle onde. Un movimento che aveva l’effetto di un rapimento e che, senza accorgersene, l’aveva lentamente ingarbugliata a quel malvivente che non riusciva a disprezzare dall’attimo in cui le aveva risparmiato la vita.
Gli era debitrice, per tanti motivi.
Era un assassino feroce, un ladro incallito, eppure con lui aveva imparato ad accettare ogni cicatrice, a considerarla un’impronta di forza, e a dimenticare per andare avanti. C’era riuscita perché dopo tanto tempo si era sentita benvoluta. Non la maltrattava e aveva rispettato il suo riserbo. Pur nella sua stravaganza, non l’aveva mai giudicata, trattenuta, né trattata con inferiorità. Era un carattere difficile ma sincero.
Lasciò che l’accusa le scivolasse addosso e si incamminò verso la sala nautica, entrandovi da lui tallonata. Anziché proseguire e scappare, come aveva fatto spontaneamente la volta precedente, si soffermò a rimirare la sua chitarra abbandonata su un tavolo, passando i polpastrelli sulle corde che produssero uno stridio simile al frinire di grilli.
- Io avevo un sitar. Ero brava … Ti ho ascoltato suonarla, di notte – rivelò con un’occhiata furtiva – A cosa pensi in quei momenti? – gli domandò con fare tanto neutro quanto insinuante.
Edward emise un sospiro smorzato. Doveva aver riconosciuto certe melodie che gli aveva ispirato, mormorandole durante il dì, quando stava da sola: - A nulla. Mi rilassa – si affrettò a ribadire, togliendole di torno lo strumento musicale a cui tanto era attaccato e riponendolo nella custodia.
Al contrario della tua presenza”, sembrava suggerire il suo infelice aggirarsi da falco in gabbia.
Rintracciò delle mappe arrotolate su un altro scrittoio e le spianò sotto il lumicino di un candelabro con due moccoli: - Allora, dove vuoi che ti sbarchi? – la sollecitò, elencandole alcune opzioni.
Ruth era affascinata dalle sue dita che strisciavano senza meta su incomprensibili simboli. Notò l’anello argentato con l’effige di un teschio che gli adornava il medio della mano destra, talismano scaramantico di un’ossessione che pareva paventare meno di lei. Lo sfiorò, risalendo alle nocche ossute e sbucciate e ne ebbe conferma dalla lama di ghiaccio che uscì dallo sguardo del ragazzo, colpendola dritta alle costole, accelerandole il respiro senza intaccare la sua ostinazione.
- Tu mi hai curata e accudita – guaì mantenendo quel contatto che lui spezzò bruscamente.
- Non sono una bestia – si giustificò, tracciando un cerchio con le braccia e puntandone uno al suo indirizzo con un piglio duro – Ma non devi ringraziarmi. Non si ringrazia la gente come me.
L’indiana lo osservò intenerita: - Ti sbagli. Non ne esiste molta.
Le vide chiaramente, faville d’arcobaleno. Erano ricomparse. Nella sua fede strabiliante non vi era ingenuità, quanto fiducia e stima. Affetto.
Per uno come lui. Doveva aver vissuto una sciagura dietro l’altra per pensarla in quel modo.
Era abituato a non chiedere né pretendere niente da nessuno, poche cose avevano davvero valore, e aveva evitato di giocarsi l’anima e la nave per quella che credeva una carnale infatuazione.
Sua madre lo aveva avvertito sul fatto che le femmine fossero edere velenose di cui bisognava diffidare sempre, ma quella discreta e silenziosa creatura aveva immediatamente esercitato un ascendente diverso su di lui.
Era un fiore di loto, meno espansivo e appariscente, e tuttavia capace di radicarsi nelle profondità di un animo torbido quale il suo e sopravvivere.
Affondò una mano nella zazzera arruffata, impigliandosi un anello nell’orecchino che si era legato ad un ciuffo dietro la tempia. Lo stesso che lei aveva perso nella sua cabina durante il loro primo incontro, e che lui aveva conservato per una frivolezza di cui si era dimenticato; sperò non se ne accorgesse: - Hai un ampio ventaglio di scelte. Il mare non è posto per te – la fulminò inflessibile, accostandosi alla vetrata e contemplando meditativo le onde striate di indaco e viola.
Ruth gli si avvicinò con prudenza e sconforto: - Io non ho niente e nessuno.
- Non sempre si può avere ciò che si vuole – mugugnò amaro e beffardo Teague contro la manica della camicia.
La ragazza inspirò compiendo un altro passo. Era stanca di resistere e mentire. Era evidente che qualcosa danzava tra loro due. Quel perseverante distacco stritolava il respiro. L’avrebbe dovuta ridurre in pezzi per impedirle di restargli accanto.
Aveva voglia di accarezzarlo per scoprire se fosse davvero tanto ruvido quanto appariva. Alzò una mano verso la sua spalla, prima tenendola chiusa, poi allungando le dita: - E tu cosa vuoi?
Il pirata si voltò con lentezza, scollandosi con dolente riflessione da quella postura e lasciò vagare i penetranti occhi anneriti oltre il suo viso prima di incunearli nei suoi, increspando la bocca, indeciso, facendosi lambire le palpebre e socchiudendole.
Ruth gli sorrise cercando di toccargli la guancia mal rasata, ma lui con uno scatto le afferrò il polso: - Il Codice, ho omesso di dirtelo … prevede che la parte migliore del bottino debba spettare a chi in battaglia venga ferito, o resti mutilato … - sussurrò sul suo profilo, estorcendole un leggero tocco sul collo bagnatosi per la calura - … gravemente mutilato – sibilò rauco, trasportandole il palmo fino al torace che pulsava impazzito, stringendole con vigore le dita in corrispondenza del proprio cuore, restando a fissarla, bramoso e inerme.
Non appena il suo alito di mare agitato le solleticò le labbra, Ruth le serrò impetuosamente con le sue. Sentì il sangue evaporare e la testa diventare leggera e gli allacciò il braccio libero attorno alle spalle, esplorandone la muscolatura asciutta e tesa. Risalendo sulla nuca gli acciuffò i capelli che il sudore gli appiccicava sulle tempie e sulla mascella pungente, con cui graffiava deliziosamente la sua pelle mentre le denudava e mordicchiava la clavicola, allentandole i lacci della camicia.
Era cauto e misurato nell’aderire al suo corpo, quasi presentendo potesse svanire. Era sicura che fosse la paura di ferirla a frenarlo. Gli rubò un altro bacio accalorato, per un attimo le sue iridi si offuscarono e temette di nuovo un rifiuto. Strusciando la fronte contro la sua, riprese ad abbracciarlo e tranquillizzarlo sulla sua volontà, solcandogli gli zigomi con i polpastrelli, attirandolo a sé, boccheggiando in uno sconosciuto e dolcissimo idioma il suo cieco desiderio.

Era sensibile al gentil sesso, anche se non era un gran donnaiolo. In certe situazioni era abituato a proiettarsi subito dritto alla meta, senza troppe cerimonie. Non c’era molto altro cui badare e tirarsi indietro ne sarebbe andato del suo onore. Ma in quella circostanza sapeva che era tutto incomparabile. Poteva trattarsi di un sofferto addio, oppure del nodo definitivo di un cappio di fuoco che non si sarebbe spento nemmeno con la forza di mille maree future.
Perché a legarlo c’erano i suoi occhi di ambra fusa e inchiostro che lo cercavano di continuo, la sua bocca dolce e calda che accoglieva la sua lingua assetata, le mani piccole e audaci che percorrevano il suo petto sciogliendo i nodi che lo intrappolavano, i capelli di seta che scorrevano tra le dita ricoprendole la schiena che si tendeva come una corda accompagnando ogni suo minimo gesto, e il suo soffio melodioso, più orgasmico di musica nelle orecchie.

- Voglio appartenerti – asserì determinata e sensuale, tirandogli la camicia fuori dai pantaloni, reggendosi alle sue braccia per riuscire a salirgli addosso e circondargli i lombi con le caviglie, ansiosa di provare la consistenza della sua malcelata passione.
Edward le scoprì le cosce e stringendo la presa la spinse contro il vetro: - Impossibile – protestò imbizzarrito, mozzicandosi una guancia, rinnegando ciò che ogni fibra del suo corpo urlava.
Anche lei se n’era accorta, e la malizia velata con cui abbassò lo sguardo, incagliandolo di nuovo nel suo e scendendo con le dita a toccarlo nel punto in cui i loro impulsi si erano fusi, lo fece irrimediabilmente avvampare.
Le sue labbra erano petali roventi.
Scivolarono sul pavimento.

Ormai erano due folli gabbiani che sfidavano la tempesta, inebriati dal rischio, impazienti di trovare riparo l’uno nell’altra.


crazy-seagulls
Immagine modificata dalla gallery di  KejaBlank su Deviant Art.

1 VOC: è la sigla della Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Oostindische Compagnie).
* Il nome Ruth mi è stato spifferato da una cara collega, nonché parente prossima del Capitano...

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Capitolo 3
*** III – MANGY ACCIDENT ***


Ben ritrovati, miei cari lettori!

Con il consueto ritardo da lumaca ritorno tra questi lidi per presentarvi il 3° capitolo di questa storia, che mi sta appassionando più del previsto scrivere...tant'è che non so ancora bene quanti capitoli conterrà in totale, ma credo non più di altri due ^-^

Ho alcune annotazioni da esporre sul presente aggiornamento ... spero di non annoiarvi troppo!
 In primo luogo la conclusione che leggerete non è quella che avevo abbozzato nella mia scaletta mentale ... Avrebbe dovuto entrare in scena il piccolo Jack ... Ma è inutile, ogni volta che inizio la scrittura sfascio inevitabilmente la scaletta! In verità, volendo cimentarmi con una maggiore introspezione, ho cercato di evitare la trattazione troppo superficiale delle dinamiche tra i due protagonisti, senza tralasciare l'approfondimento del - vago - contesto in cui si muovono ... A voi giudicare se ci sono riuscita, naturalmente!
 In secondo luogo, seguendo l'incoraggiamento di due lettrici, delle quali sono estimatrice, ho provato a dare delle sfumature un po' più calde al rapporto dei due amanti, approfittando dell'aver già inserito un rating arancione...Pur restando del parere di non avere molta dimestichezza con tale genere, per cautela ho messo l'avvertimento lime ... Mi direte voi, se l'ho sfiorato!

In conclusione volgo un ringraziamento speciale alla mia preziosa informatrice (lei sa!), e ringrazio ovviamente quanti hanno inserito questa storia tra le loro seguite, preferite, o ricordate, e quanti hanno avuto voglia di dedicare qualche briciola del loro tempo semplicemente per leggerla.

Come sempre sono aperta a critiche, consigli, osservazioni (potrei rispondere in ritardo perché sarò fuori casa e disconnessa^^)

Vi auguro una buona estate, e spero una buona lettura!

Al prossimo approdo!)






III – MANGY ACCIDENT



Accerchiato.
Decine di pezzi di artiglieria pesante con le micce accese in procinto di esplodere e ridurlo ad un colabrodo.
Ad appena tre giorni dall’ultimo prolifico assalto ai danni di un mercantile portoghese, l’umore della ciurma si era tendenzialmente adombrato e scordato.
Lo avvertiva quel latente malcontento, serpeggiava subdolo come i tentacoli di una medusa, attendeva come uno squalo a caccia di uscire dal pelo dell’acqua e avventarsi su di lui, rendendone solo qualche pezzo indigesto.
Avevano deciso la meta futura, la trafficatissima Malacca, ed era più che persuaso la loro repentina e unanime votazione dipendesse dall’insito scopo di testare che la sua proverbiale lealtà e il suo intrepido tempismo non fossero mutati, nonostante la situazione si fosse imbrogliata.
Quei rifiuti di sentina, oltre che permalosi, erano gelosi nei suoi riguardi.
Non li biasimava, dato che quel sentimento di inadeguatezza stava prendendo possesso anche di lui. E doveva trasudare dai suoi gesti, anche e soprattutto da quelli istintivi e incontrollati.
Avevano notato che negli ultimi tempi si svegliava più stropicciato del solito e tuttavia delle impercettibili rughe comparivano saltuariamente sui lineamenti duri e severi, dando l’impressione di una smorfia appagata che in passato neppure le più sfrenate notti di stravizi gli avevano impresso.
Al mattino, di solito, se al posto di accollarsi il turno di ronda aveva dormito in cabina, appariva alterato come non mai perché gli era mancata l’aria salmastra. Ora, invece, se stava fuori a lungo gli mancava l’aria della sua cabina. Sborniarsi del suo sensualissimo profumo di vaniglia …
La rupia bucata che lei gli aveva attorcigliato in un ciuffo vicino l’orecchio gli sbatté sul mento ridestandolo.
Si era imbrogliato e fottuto.
Conficcò la punta del compasso sulla mappa piantandola al banchetto antistante la ruota timoniera, dove si era sistemato per calcolare le coordinate con l’aiuto di un astrolabio, un regolo e un orologio da taschino, approfittando del cielo sgombro che consentiva di sfruttare al massimo i vividi e caldi raggi solari. In verità l’ultimo bottino era ancora intatto, e non smaniava di certo per appesantire troppo la stiva: quegli stretti erano pattugliati da colletti inamidati in cerca di trofei da appendere alla varea delle loro militaresche navi, ed era opportuno mantenere una buona velocità di manovra per evitare di essere i prossimi dell’infamante lista di accalappiati dalla legge.
Se c’era un cappio che era disposto ad indossare, era solo quello delle sue braccia …
Il sole di mezzogiorno gli stava decisamente bollendo quel poco di cervello che sua madre gli aveva trasmesso assieme alla scorza dura. Gli serviva un cappello molto grande, oltre alla bandana.
Estrasse il calamo segnando alcuni numeri sulle carte, prima di ripiegarle e riporle nella tasca del gilet, accennando a fare un rituale giro di ispezione per il cassero.
Quel giorno non tirava neppure una misera bava. Galleggiavano a stento in acque melmose e immobili, se si fosse arenata anche la Dama di Nebbia sarebbe uscito di senno.
Gli uomini bivaccavano sul ponte, sui marciapiedi e sulle sartie, chi ripulendo e affilando le armi, chi rammendando qualche vela, chi assicurando cime, e, nelle sue abituali occupazioni, nessuno gli risparmiava occhiate vischiose.
Gli sembrava che tentassero continuamente di strapparlo dal timone, cui si affrettò a ritornare, sebbene la bonaccia non lo rendesse indispensabile.

- Passata una bella notte, Capitano?
Era stato Flynn ad intaccare quel pruriginoso silenzio e nella sua cadenza cantilenante era tangibile la determinazione di istigarlo a contraddirsi.
Edward si impettì, squadrandolo con una tale noncuranza da farlo apparire un mentecatto: - Mare calmo e vento fresco ... Una meraviglia! – dichiarò propinandogli un ambiguo sorriso.
- Strano! – esordì lo spigliato Ismael, seduto su un barile poco più indietro – Io avrei giurato mare mosso e vento caldo …
La sua allusiva puntualizzazione riscosse alcune risate scompisciate nei marinai meno timorosi della reazione del suscettibile Capitano.
Paratie sottili” si lagnò mentalmente quello, pur di non ammettere che stava rimandando nocivamente quella fondamentale decisione.
- Per la Mecca e la Medina! L’inossidabile Edward Teague è capitolato, gente!
Ruotò il busto verso il suo incorreggibile primo ufficiale, ma la risposta con cui si era preparato a rimetterlo in riga gli si spense in gola, accorgendosi che la sua attenzione, così come quella della maggior parte dei pirati, era stata calamitata da un’insolita e stuzzicante apparizione.
Era ciò che desideravano tutti e accese i loro scurrili bollori.
- Su, dolcezza, raccontaci! Che trucchi usi per renderlo così allegro?
Ruth indietreggiò dalla ringhiera del casseretto mentre fischi ed altri sconci commenti la investivano come un fuoco di mitraglia.
Teague, non sapendo con chi accapigliarsi per primo, calcolò l’utilità di compiere qualche avventato delitto dettato solo dalla precipitazione degli eventi.
Era e restava il capo di quell’accozzaglia di manigoldi che l’avevano prescelto perché in lui avevano riscontrato delle qualità migliori delle proprie. Giustizia e ferocia, misura e fierezza. Prontezza e pragmaticità.
Lanciò un cipiglio minatorio alla ragazza che svanì mortificata, quindi colpì con un energico pugno tra le scapole il suo vice, premendogli la spingarda sulla nuca: - Quando intuisci che devi tapparti quella fogna è sempre troppo tardi, vero? - il Capitano incrociò un piede davanti all’altro per mettersi di faccia con l’arabo, tenendo l’indice sul grilletto e sguainando un’altra pistola che gli accostò allo sterno.
Ismael represse un costernato gargarismo, sollevando le mani: - Calmo, compare! Stavamo solo scherzando … - cercò di rabbonirlo, prendendo le difese dei compagni.
Edward continuò a fissarlo truce, estorcendogli una muta e sincera venia, ritirando con lentezza esasperante le due canne.
Anche il resto dei sottoposti si sperticò in goffe dimostrazioni di fedeltà, ma tutte quelle belle parole non lo tranquillizzarono affatto. Trenta farabutti del loro stampo avrebbero potuto sopraffarlo in qualsiasi momento se lo avessero preso in odio. Si introducevano sempre più spesso con un pretesto qualunque nella sua cabina. Era un diritto che non poteva loro negare, però inevitabilmente avevano cominciato a tormentarlo macabre visioni in cui qualcuno piombava di soppiatto per infilare un coltello o scaricare un po’ di piombo nella sua carne fradicia di lei, che, se non finiva barbaramente scannata insieme a lui, era risparmiata solo per diventare l'indecente ludibrio di tutti.
Non erano sufficienti degli sparuti atti di forza o minacce di terrore a tenere saldi la reputazione e il comando. Occorreva ugualmente, curioso a dirsi per canagliume come loro, un granello di onestà per procurarsi il rispetto.
E siccome non era disposto ad abbandonare tutto quello che aveva ottenuto finora col sudore e col sangue, tralasciò con sgarbo le discussioni non ancora placatesi con la ciurma e calpestò con ripicca ogni scalino corroso dal sale che lo riavvicinava alla fonte delle sue recenti tribolazioni.
Lei, non appena lo vide entrare, si illuminò di letizia e incondizionata ammirazione, suscitandogli quello strano formicolio nelle budella: - Scusami. Mi annoiavo a starmene rinchiusa.
Lui le voltò le spalle sferrando un calcio rabbioso alla porta.
- Perché hai reagito in quel modo? Quello che succede tra di noi lo hanno capito tutti, ormai – asseverò con esuberante pacatezza la mora, sperando di esorcizzare la sensibile tensione che lo invadeva.
- Loro lo hanno capito – chiosò irritato, riportando gli occhi terrosi e stravolti nei suoi, con un’irruenza che la fece sussultare ma che conteneva pure un’assillante incertezza.
Ruth apprese ciò a cui si riferiva e ciò che lo contrariava.
Forse, a non avere ancora l’esatta cognizione di quell’incontrollabile frenesia di possedersi che si era impadronita delle loro membra erano rimasti solo loro due.
Dopo la prima volta in cui si erano abbandonati alla deriva dei sensi, fondersi nella pelle e nel fiato era divenuta un’esigenza insopprimibile. Bastava una frase sussurrata, un eloquente scambio di sguardi, uno sfioramento innocente per ritrovarsi in pochi secondi avvinghiati a rotolare nel giaciglio di piume e paglia approntato sul nudo pavimento, che spesso sostituiva la troppo scomoda branda.
Arrossì e riscaldò al pensiero di quelle ardenti ore di perdizione in cui aveva finito per farneticare di aver scoperto il significato di quell’inesprimibile voglia di sentirlo nell'intimo che era divampata nel suo cuore.
La soffocò la ben più ammissibile convinzione che si era donata a lui perché odiava sentirsi sola, insignificante e senza scopo e perché lui era l’unico con cui aveva provato l’indefinibile brivido di condividere qualcosa, una stessa inclinazione per le azioni avventate, la stessa indelebile insoddisfazione, lo stesso bisogno di annientarsi per fugare i demoni del passato che costantemente si ripresentavano a ricattarli. Era stato soltanto reciproco egoismo. Era stata ottusa a voler ignorare che i loro mondi erano e sarebbero rimasti incompatibili.
Appoggiò la schiena al muro, abbassò la fronte e trattenne con tutta se stessa un tremulo e rauco singhiozzo: - Quindi vuoi che vada via?

Non avrebbe esitato a scaricarla indegnamente sul primo molo o striscia di sabbia, se fosse stato un minimo convinto che quel gesto sarebbe servito a svincolarsi da quel senso di oppressione che gli flagellava l’animo, prima che provasse ad assopirsi serenamente sul suo tenero ventre. Appurare che qualcuno nutrisse un interesse per lui, che non coincideva con il desiderio di ammazzarlo, era disturbante oltre che ingiustificato, ma ci si sarebbe potuto abituare. Lei era già un’abitudine, consolante e deleteria, che non voleva eliminare.
Non era un prendere, né un riscuotere, tantomeno solo un dare e ricevere. Era piuttosto un perdersi e un legarsi, con un tipo di nodo che nessuno gli aveva insegnato a comporre e che quindi non avrebbe saputo sciogliere senza un violento taglio netto. Ne distruggeva già abbastanza cose. Tanto valeva provare a lasciarla integra quella lì e stare a vedere cosa sarebbe accaduto.
Edward scrollò le spalle e la testa e si avviò al suo alloggio con tale impellenza da barcollare sui suoi stessi passi. L’ospite attraversò la sala nautica e lo raggiunse, trovandolo chinato a rovistare e far volare degli stracci da un baule, spargendoli un po’ ovunque.
Prima che potesse esprimergli le sue perplessità, il ragazzo si rialzò scaraventandole addosso un paio di pantaloni e una giacca maschili.
Ruth esaminò gli indumenti spiegazzati storcendo il naso: erano enormi per lei e puzzavano di sporcizia e muffa.
- Che significa? – zirlò confusa e sbigottita.
Edward si soffermò a contemplare le sinuose curve che trasparivano dalla sua succinta sottoveste, afferrò una bottiglia di punch da uno scaffale e inghiottì un lungo sorso, asciugandosi con la manica della camicia: - Poche storie … te li devi mettere. Mia moglie non può andare in giro a mostrar le sue grazie come niente fosse – asserì con assoluta e ineccepibile logica, tracannando ancora.
All’indiana cascarono i logori abiti, temette di avere un mancamento: - Moglie? – scandì incredula e insicura, avvicinandosi al suo contegno enigmatico e requisendogli il liquore che posò su un altro ripiano.
Il giovane Capitano schiacciò la punta della lingua tra i denti e alzò un gomito gesticolando: - Sì. Sto per maritarti. Hai qualcosa in contrario? – le domandò accanito e dissacratorio, curvandosi per guardarla dritto in quei grandi e profondi occhi a mandorla che l’avevano sedotto dal primo impatto.
- Sì. Sei uno sciocco! – lo accusò la ragazza, picchiandogli le mani sul petto. Preferiva una pugnalata rapida ed indolore ad una presa in giro di quella portata. Per quanto lei non fosse niente di più che un’orfana senza doti né averi, e lui un mascalzone cresciuto nell’arte della truffa, lo aveva giudicato meno meschino.
Teague si raddrizzò ma non distolse il suo penetrante sguardo intinto di ironica frustrazione: - Allora non mi vuoi? – mormorò dimesso, risucchiando indentro le magre guance.
Le stava chiedendo di restargli accanto, le stava prestando fiducia. Ruth si portò un palmo sulla bocca: le sembrava serio adesso e si dispiacque di non avergli creduto. Lo osservava scrupolosamente da mesi, di suo non è che agisse in maniera cristallina. Infatti si arrovellava sulla ragione di quel repentino mutamento d’opinione: - Per Visnu … Non eri tu a non volere me?
Le palpebre del pirata ebbero un’inquieta contrazione: - Quando te l’avrei detto? Non mi sovviene … - replicò indispettito, dondolando il tronco.
La bruna emise un risolino e ridusse la distanza, facendo scivolare le dita dai suoi capelli arruffati alla catenina di ossicini e pietre che gli adornava il torace lasciato scoperto dalla blusa: - Nelle ultime due settimane, tutte le volte in cui a fatica riesci a staccarti dalle mie labbra … – bisbigliò peccaminosa, mordicchiandogli la mascella e avvitandogli una gamba attorno ad un fianco.
- Non li devi considerare quei rimasugli di lucidità – mugolò lui risoluto, assecondando l’invitante movimento del suo bacino. Avrebbe capitolato anche un santo.
Credeva di aver intrapreso una conversazione di rilievo, ma quella femmina minava il suo raziocinio. Era sventata e irresistibile. Le sue carezze lo attizzavano come febbre malarica e dopo lo alleviavano come un unguento miracoloso, lo estraniavano dalla memoria delle sventure passate e incombenti. Si arrese all’impulso di sdraiarla sulla branda, arrotolandole la veste leggera fin sotto il seno, sostituendo nel lambirla la bocca alle mani.
Doveva formalizzare il loro concubinato, così nessuno avrebbe osato alfine sognare di sfiorarla.
- Se non ti avessi voluta, a quest’ora non saresti niente di più che uno scialbo mucchietto d’ossa – obiettò insolente, esponendo i canini e solleticandole l’addome.
Ruth si piegò ridendo a pizzicargli le costole, al che lui si puntellò sulle ginocchia ghermendole i polsi ai lati del cuscino, una turbolenta risacca nelle iridi scure marchiate da gravità e struggimento: - E comunque … è andato tutto abbastanza liscio, finora. Non hai visto sbudellamenti, mutilazioni, malattie tropicali, penurie, nubifragi. Non sai davvero cosa significa vivere su una nave di pirati luridi e attaccabrighe – la avversò scabrosamente.
Non lo atterrivano le sfide, era propenso a sperimentare qualsiasi cosa; il matrimonio era una scommessa come un’altra, poteva funzionare o fallire e allora avrebbe cercato qualcos’altro con cui misurarsi. In fondo bastavano quattro parole in croce e almeno la ciurma avrebbe smesso di sparlarlo.
Invece lei era il tipo di donna che solo apparentemente si lasciava governare dalla passione del momento; si serviva di quell’avventatezza per dissimulare le intossicanti fissazioni che coltivava nella sua mente contorta. Fissazioni come quella di volergli bene a tutti i costi. Avrebbe potuto soffrirne.
La ragazza stralunò per qualche secondo, poi riconsiderò quello che lui le aveva confessato: che nessun uomo sano di mente aspirava a trascorrere la sua intera esistenza su un pezzo di legno putrido vagabondando per gli intemperanti oceani.
Era una prospettiva che l’aveva sempre affascinata.
Non aveva nulla da perdere e non le importava che cercasse di esortarla del contrario. Gli annuì con un fulgido sorriso, protendendosi verso il suo naso: - So che significa stare con te, e che è quello che voglio.


In quei primi mesi gli si era dedicata con pazienza e zelo, sebbene presto si fosse resa conto di doverlo dividere con altri esigenti contendenti. Il mare, la sua nave, i suoi compagni d’avventura, la sua instancabile ambizione di accrescere senza sosta fama, guadagni e prestigio, come se avvertisse il tempo scorrergli troppo veloce.
Aveva assunto il docile ruolo di angelo fedele e devoto, sebbene non potesse difenderlo dagli inevitabili pericoli del suo mestiere.
A mala pena l’aveva riconosciuto dagli stivali di cuoio e dal tintinnio dei pendagli sparsi in quel cespuglio scarmigliato e sudicio quando lo aveva veduto tornare a bordo, grondante disfatta, sofferenza e brutalità.
In quei momenti realizzava che il suo burrascoso respiro poteva esserle rubato da un minuto all’altro, e che lei era totalmente impotente e desolata mentre lui lottava cocciutamente per la sopravvivenza.
- Come hai fatto a ridurti in questo stato? – disapprovò contenendo un conato di nausea, risciacquando la pezza insanguinata nella bacinella d’acqua bollente, aceto e iodio. Riprese a tamponargli il profondo taglio allo zigomo sinistro che, assieme ad un altro altrettanto esteso al sopracciglio del lato opposto e ad altre strisce purpuree, gli avevano sfigurato i connotati, nascondendone il colore naturale.
Edward afferrò uno specchietto ovale poggiato sul tavolo per valutare da sé i danni: - Non è tutto mio. Ho dovuto difendermi parecchio – sbottò imperturbabile, districandosi con difficoltà dalle premure della moglie che, sfilandogli quel che restava della camicia sbrindellata e schizzata di cremisi, si apprestava a medicargli l’avambraccio e la scapola dalle schegge di una granata.
Non le aveva rivolto la parola né lo sguardo per tre giorni dopo averla sorpresa a maneggiare con una pistola a pietra focaia. Su quella divergenza non c’era stato verso di vincere la sua tenace opposizione.
Capitan Teague non voleva che si sporcasse con quanto poteva uccidere, voleva che stesse lontana da tutto ciò che poteva causare dolore.
- Andremo a recare i nostri distinti ossequi a quei laidi musi gialli. Si stanno allargando troppo – ringhiò livoroso, stridendo la mandibola al contatto dell’impacco curativo sulla piaga infettata dal metallo.
Ruth gli annuì con un breve e distratto incurvamento delle labbra, continuando a ripulirgli le ferite sanguinolente.
Ai suoi occhi stanchi di tante brutture era questo a renderla speciale, la sua incapacità di commettere del male.
Malgrado gli stesse tacendo qualcosa di indubbia rilevanza che sarebbe stato giusto lui sapesse. Non voleva ingannarlo, non riusciva proprio a trovare l’occasione più indicata o meno dannosa per rivelarglielo. Se si sentiva dell’umore adatto qualcosa o qualcuno si intrometteva puntualmente tra di loro, impedendole la già di per sé critica confessione.
O irrompevano a reclamare ordini o scoppiava un temporale, o avvistavano bandiere nemiche o si era danneggiato qualche pezzo di attrezzatura. O lui crollava sfinito e non tollerava neppure un lieve sussurro, oppure la pretendeva con una foga tale che sfiniva lei.
C’era anche della sana e legittima codardia. Non poteva prevedere come avrebbe accolto quella notizia, e aveva il forte sentore che non gli sarebbe stata affatto gradita.
Due zavorre anziché una sola. I pirati preferivano viaggiare leggeri.
Terminò l’accurata fasciatura attorno alla sua spalla e si ritrovò incastrata nel suo cipiglio inquisitorio che le raggelò le arterie. Si congedò con un’espressione angelica nella camera adiacente ricomparendo con una camicia color argento e una giubba blu, entrambe pulite e di fine seta damascata.
- Un capitano deve ostentare il suo rango – gli ammiccò compiaciuta, aiutandolo a rivestirsi.
Edward la lasciò agire senza smettere di osservarla, chiedendosi perché dietro quegli amorevoli occhi ridenti percepisse sempre tanta struggente malinconia. Un po’ ciò la accomunava a lui, ma vederla affiorare era fonte di disagio. A dialogare con lei schiettamente, salvo l’indispensabile, proprio non riusciva. Era germogliata una mutua e pudica intesa tra loro, a discapito delle differenze. Era già un avvenimento straordinario per i suoi canoni e non indugiava a specularci più del necessario. D’altronde di preoccupazioni ne aveva a bizzeffe, essendo impegnato tutti i giorni a conservare intero l’osso del collo.
Non appena ebbe finito con lacci e bottoni, la richiamò a sé, sedendola sulle sue gambe, e le vezzeggiò gli ondulati capelli, neri e lucenti come le tenebre che l’avvolgevano negli istanti in cui si perdeva a trastullarsi con essi. Risalì le cuciture del corsetto di stoffa premendo attraverso di esse sulle sue vertebre, fino a fermarsi alla nuca e chiedere implicitamente un bacio ai suoi carnosi petali d’amarena.
Ruth lo esaudì, cominciando prima a blandirgli la fronte, le palpebre, le tempie, gli zigomi, il naso, il mento, il lobo, permettendogli di avventarle il collo con la lingua, e poi di intrecciarla alla sua. Catturò la sua mano che la tratteneva per una coscia, guidandola ad addentrarsi sotto le coltri di organze che imprigionavano le sue forme più recondite, non separandosi dalla sua bocca pizzicante e salata.
- Sei una dea … - soffiò in un gemito lui, sollevandola per la vita e spostandola a maggior favore del braccio che non poteva ancora articolare del tutto agilmente per la bendatura.
Ruth rifletté che doveva approfittare dell’occasione di averlo in balia di quelle lascive tenerezze per confidargli l’impegnativo segreto che aveva custodito finora, ma con le sue dita a stridere sempre più importune tra le sue sinuosità, non le uscivano che spezzati sospiri.

L’inconfondibile boato di una bordata disgiunse il loro lento accarezzarsi.

Capitan Teague si separò malvolentieri dalla consorte. Ancora ottenebrato e inappagato, gli ci volle qualche secondo per riprendersi, lanciando insulti agli sconosciuti aggressori e chiedendo alla compagna di non seguirlo.
Anticipando l’arrivo di qualcuno dei suoi, irruppe all’esterno, dove gli uomini stavano affrettandosi a caricare i pezzi girevoli. Avevano ormeggiato in una caletta ben riparata da scogliere e vegetazione per provvedere alle dovute riparazioni, dopo lo scampato sfacelo.
A poche miglia da Cochin la Dama di Nebbia era stata attaccata da una coppia di agguerrite giunche cinesi e, pur preservando gli alberi principali, aveva subito dei seri squarci ai locali di dabbasso e alle velature. Niente che ostacolasse la navigazione, ma c’erano stati diversi feriti e la manutenzione non era mai abbastanza in quei mari brulicanti di alghe che amavano attaccarsi alle chiglie rallentandone il fluido andamento.
La prora appuntita dell’ignoto vascello spumeggiò all’orizzonte, puntando verso di loro, risuonando altre cannonate di avvertimento.
- Uomini pronti a rispondere al fuoco, signore – gli riferì un acciaccato Ismael, sputando il frammento di molare che gli si era rotto.
Il giovane filibustiere si preparò ad elaborare una rapida ed efficace strategia, ponderando le risorse umane e dell’ambiente. La lente del cannocchiale, però, gli mostrò un piratesco vessillo molto familiare. Si era fatto le ossa coriacee e l’animo tiglioso militando sotto quel ghigno campeggiante sulla testa di morto che addentava un coltellaccio. E non ne aveva patito la mancanza.
Intimò ai marinai di arrestare qualsiasi iniziativa.
Ruth accorse al suo fianco, scrutandolo impensierita.
- Ora sì che avremo rogne – bofonchiò ricacciando un groppo amarognolo.

Lo sloop dallo scafo sulfureo ammainò i pennoni abbordando il mistico senza interrompere la scarica di spari, finché una potente voce virile non si levò con autorità e tracotanza: - Deponete le armi, miei scarafaggi! C’è ancora quello spaventapasseri di mia conoscenza al comando!
Edward trasalì lievemente nell’accorgersi che udire quel mordace latrato a distanza di anni produceva lo stesso effetto: deferenza e competizione.
Probabilmente avevano inseguito la stessa preda, quello sfortunato bastimento inglese carico di rare mercanzie esotiche, ma, chissà con quale titanico sforzo, lei non si era intromessa nella battaglia sorta con le altre due navi pirata. Perché non ancora sazia di sottoporlo a devastanti prove, pensò.
Si stava presentando sicuramente per rinfacciargli di aver arraffato il malloppo, mentre lui si destreggiava tra le scimitarre e le bombarde di quei lerci babbuini.
Una passerella precipitò bruscamente sulla murata di babordo, incitandolo a prestarle il debito omaggio. Aveva vagheggiato che si fosse ritirata a godersi la vecchiaia in qualche paradiso per delinquenti della sua sorta, e non che andasse ancora a zonzo a terrorizzare la gente per puro svago.
Teague asciugò il sudore condensatosi sui palmi strofinandoli sui pantaloni, sbollentò l’atrofizzante nervosismo con un profondo sbuffo, e montò con un balzo sull’asse sospesa tra le due navi.
Una modica stretta gli circondò il braccio sinistro: - Ti avverto: quella donna si disseta solo con arsenico e cicuta.
La ragazza corrugò la fronte stringendosi di più a lui: - Temi il suo giudizio?
Guardò davanti a sè disteso e posato, poi la sua bocca ebbe uno spasmo recidivo: - Me ne frego!
L’assortimento di orridi ceffi che stanziava sulla tolda di quella minuta imbarcazione era terrificante. Non uno di essi era privo di repellenti cicatrici sulla pelle abbrustolita e grinzosa, decorata da tatuaggi con disegni mostruosi o volgari, ed esibivano una grande varietà di arti mutilati e accomodati con rozze protesi di legno o di ferro che incutevano soggezione tanto quanto l’armamentario che sfoggiavano con ferina intimidazione.
Le loro occhiate brute e guerce traboccavano un’algida attitudine alla tortura e all’omicidio.
Ruth deglutì spaurita, sentendosi azzannare da quelle eccessive attenzioni e, stritolandogli convulsamente la mano, si rintanò dietro il compagno.
Si risolse a sbirciare riparata dal suo gomito solo distinguendo l’energico rimbombo di un paio di tacchi che fecero scricchiolare le assi e sfollare i trucidi tagliagole.
Edward si fletté leggermente in avanti e i suoi monili scampanellarono: - Capitana – la ossequiò con un tono neutro e composto, cui corrispose uno sguaiato berciare.
- Per mille pescecani assatanati! Ma come ti sei conciato? Sei ridicolo!
L’indiana ribollì di sdegno ed uscì allo scoperto per poter sfidare quella strega che si era permessa di denigrarlo con simile maligna arroganza. La fissò con molta rabbia e impudenza, ma sostenne il perforante potere del suo feroce sguardo solo per poco più di mezzo minuto.
I suoi occhi avevano la stessa forma incavata e la tonalità di terra bruciata del figlio, a parte quello non sembravano possedere altri tratti in comune: nelle sue pupille fiammeggianti era assente qualsiasi pagliuzza di gentilezza, benignità o dispiacere e ciò, insieme alla sua figura robusta e slanciata, trasmetteva la sensazione di una forza di spirito invincibile.
Aveva dei lineamenti rigidi e mascolini e, anche se era difficile stabilire una vera età, doveva aver superato il mezzo secolo, giacché le folte sopracciglia erano ingrigite come molte ciocche della matassa crespa che, annodata da una bandana rosso sangue, le ricadeva disordinatamente sulla faccia olivastra e raggrinzita e sulla scollatura procace esaltata da un bustino borchiato e racchiuso da un cinturone pieno di minacciosi pugnali, mentre le gambe dal passo autoritario erano fasciate da pantaloni seppia sforacchiati.
La matura piratessa imboccò una pipa, inalando con gusto la mistura di tabacco e chinino, sbuffacchiando tra i denti marci una nuvola densa e acre sui due ospiti: - Questo dolce e delicato fringuello è un regalino per me, o è roba tua? – espettorò in un rasposo mugugno.
Edward intuì che la sua risposta l’avrebbe indignata, perciò toccò la spalla della compagna e si impresse un sogghigno imparziale:
- Ti presento mia moglie, Ruth.
L’atteggiamento sprezzante con cui la sezionava era manifestamente antipatico, tuttavia la ragazza, per amor suo, congiunse le mani e si profuse in un riguardoso inchino, abbonandole un cordiale sorriso: - Namastè.
La Capitana esaminò con maggiore indugio l’inoffensiva creaturina agghindata con quei pregiati e orientaleggianti costumi che aveva dinanzi, non raccapezzandosi della scempiaggine compiuta dal suo baldo erede. Sembrava un biscottino di cioccolato sgraffignato in un bazar o una frivola cortigiana rapita dall’harem di un pascià. In ogni caso trasudava mellifluità. Pensava di averlo educato diversamente, non capiva come quella sottospecie di bambolina di zucchero caramellato con quelle sgargianti vesti lavanda potesse averlo abbindolato.
Era discretamente alta ma gracile come un fuscello, aveva un portamento smancerosamente elegante, una boccuccia deliziosa e una dentatura perfetta, per cui non era avvezza al consumo di alcol o di altri cibi insani. La sua carnagione, né completamente bianca né pienamente nera, somigliava alla slavata bevanda che gli inglesi adoravano tanto trangugiare, e aveva degli occhietti lucidi, vispi e mielati. Ciò che la infastidiva principalmente era la profusione di gingilli brillanti e colorati che le tintinnavano tra trecce, orecchie, polsi e caviglie. Un diamantino spiccava perfino nell’ombelico che il corpetto triangolare lasciava esposto al di sopra della fascia reggente un’intralciante e lunga gonnella.
Si soffermò a stimare se avesse qualche misero pregio che le fosse sfuggito ad una prima fulminante osservazione, ma il suo intuito raramente fallava nel valutare le persone e quella infingarda farfallina era anche astutamente bugiarda: - Fra quanto è previsto l’infausto evento? – la interpellò sfumacchiandole senza ritegno sul pancino che si sforzava di tenere indentro.
Ruth si coprì con un ansimo impallidendo di panico e colpevolezza, Edward trasecolò interrogando prima la madre e poi lei, che teneva il capo chino e stringeva le mani sull’addome, acuendo i suoi spinosi dubbi.
- Non per essere cinica: hai l’ossatura troppo mingherlina, signorinella! Ti spaccherai come una noce di cocco e non fantasticate che mi occuperò io del vostro bastardello!
La giovane donna si rifiutò di ingoiare altre ingiurie: - Una vecchia arpia invidiosa! Ecco cosa siete! – le strillò vibrando di insofferenza e ripugnanza.
Una profonda fessura si formò all’angolo del labbro della tosta criminale: quel patetico moscerino aveva una parvenza di comprendonio, lo stesso che il suo ingrato figlio doveva essersi fritto. Si era alienato dal loro pacato confronto, per cui lo riportò vigorosamente sull’attenti: - Oh, avanti! Togliti quella stupida faccia da pesce lesso! – lo strigliò con timbro tirannico – Mi pare di rammentare che primavere or sono ti spiegai nei minimi particolari come funzionano certe faccende e come evitarle, anche – soggiunse sputacchiando sarcasmo e bile.
Lo ricordava vividamente ... Era stata talmente esplicita e cruda da averlo traumatizzato, istillandolo quasi a preferire la castità.
Il Capitano allibì riposando le iridi sul grembo della giovane moglie che implorava contrita il suo perdono. La interpretò come una restia conferma che lo frastornò.
Pensava di essere talmente arido da non poter trasmettere il suo seme maledetto. Era uno sciagurato incidente, ma ci avrebbe pensato dopo. Non intendeva farsi dileggiare da quella megera.
- Cionondimeno, tu non hai evitato di generare il sottoscritto.
L’impertinente e offensiva ridarella della rude filibustiera si placò di colpo; contrasse le rugose labbra bronzee in una boccaccia, scoprendo le gengive infiammate. Era inconcepibile. Il suo rampollo non le aveva mai mancato di rispetto con tanta sfrontata caparbietà: - Peste e corna! – blaterò indemoniata, rasentando di sfoderare la sua fatale abilità con i pugnali – La situazione è grave … - attestò furente, grattandosi la ruvida cute della fronte, arrotando i molari cariati mentre trapassava ancora con le taglienti iridi l’ingenuo esserino che si era immischiato subdolamente nei loro affari di famiglia, con l’irrefrenabile desiderio di estrarre una tripletta di lame.
Edward riconobbe quel bagliore omicida e si frappose tra le due: - La situazione è molto peggio di quanto immagini. – confermò con vaga drammaticità, cingendo di sfuggita il fianco della consorte, ribadendone la proprietà e il diritto esclusivo di decidere come trattarla. La rimandò sbrigativamente sulla Dama di Nebbia assieme ad altri due marinai che li avevano scortati, invitando sua madre a continuare la conversazione in un luogo più appartato.

- Perché sei qui, potendo essere altrove a goderti i frutti della tua venerabile carriera?
La piratessa riprese a fumare nervosamente, gironzolando per la cabina: - Da dove salta fuori quella silfide?
- Era parte di un bottino – rispose lesto lui, osservando il vetusto arredamento della stanza in cui udiva riecheggiare le scudisciate e le grida che avevano ritmato la sua infanzia.
La Capitana sogghignò acidamente, buttandosi su una poltrona rivestita da una pelle di giaguaro: - È una terricola, vero? La sua famiglia?
Teague agitò la zazzera ingioiellata: - Sterminata. Da pirati malesi, a quanto ne so.
Quella caricò altri minuzzoli indefiniti nel fornello della pipa: - Sa maneggiare una sciabola, o una pistola?
Il filibustiere si sedette sul tavolo, giocando con gli anelli: - Quantunque in principio abbia tentato di sgozzarmi, no. Niente di tutto ciò.
La voce cavernosa della donna risuonò come uno scroscio di tamburi accompagnatori di un condannato al patibolo: - E pensare che c’erano fior fior di pirati al nostro ultimo allegro raduno, che mi hanno chiesto se fossi disponibile a sposare le loro figlie … Non inutili femmine da letto come quella lì, ma istruite nella nobile arte della filibusta! Degne compagne sarebbero per te!
Edward chiuse le palpebre ed espirò rumorosamente, saltando in piedi: - Addio, mamma.
Un bastone appuntito gli mancò per meno di un’unghia la giugulare, infilzandogli il colletto alla porta. Lui, per nulla strabiliato, si adoperò subito per estrarlo, scucendo la giacca nuova.
- Pidocchio mio, perché hai commesso il mio stesso tragico errore, eh? – lo trattenne la signora, strattonandolo con tale furia da sbatacchiarlo contro una parete – Avevi un così promettente futuro criminale davanti! La Fratellanza ha deciso di conferirti la carica di Pirata Nobile del Madagascar, sai? – lo informò eccitata e inorgoglita, facendo scintillare il rubino incastonato fra gli storti e giallastri incisivi.
Il figlio si liberò della sua dolorosa morsa, respingendola con una testata: - Pirata Nobile del Madagascar? – ripeté smaltendo il risentimento per le sue precedenti affermazioni. Era in fermento, quella sì era una notizia che sognava di ricevere.
La burbera madre annuì, sgualcendo nuovamente la ragnatela di rughe per raccontargli tutti i dettagli della turbolenta assemblea cui aveva partecipato una decina di giorni prima, a largo di Mauritius, in cui si erano decise le trasmissioni delle più importanti cariche politiche dei Fratelli della Costa. Lei era partita immediatamente per cercarlo.
- Niente è perduto. Ho sbagliato, lo so. Ma rimedierò – le giurò al termine del concitato resoconto, dovendo bagnarsi il palato con una buona pinta di rum.
- Lo spero proprio! Guarda come ti sei conciato! - la matura piratessa brindò con lui – Quindi affogherai quella sgualdrinella e volgerai la prua a Libertalia – gli suggerì perentoria, guardandolo di traverso.
Il ragazzo si paralizzò, serrando le dita attorno al boccale. La sua tendenza a giudicare e comandare sulle vite degli altri era durissima a morire, impossibile da estinguere. Non avrebbe desistito nemmeno all’evidenza di essere agli sgoccioli. In quello non erano dissimili: - Che ti piaccia o no, avrai un nipote, col tuo stesso sangue e il tuo stesso cognome – dichiarò flemmaticamente, alzandosi e uscendo difilato.
- Non oserai un tale abominio! – sbraitò il suo gutturale biasimo la Capitana, tampinandolo con una bottiglia rotta.
Capitan Teague, che era già salito sulla passerella, voltandosi e sparando una pallottola dalla precisissima traiettoria la disarmò dell’insolito oggetto contundente: - Se sopravvivrà saremo una dinastia di pirati, non ti garba? – seguitò a provocarla irrisorio.
La piratessa irlandese si contentò di trafiggerlo con la causticità di un’occhiataccia, sebbene la mano fosse salda sull’elsa della daga:
- Insomma, ti sei fatto accalappiare per bene!
Il figlio distolse le orbite al cielo plumbeo, strofinandosi le nocche sulla rada peluria della barba incolta e poi, girandosi in direzione della sua nave, ordinò ai suoi di tirar via la pedana mobile e di issare le ancore.
La boria dell’indomita signora, tuttavia, lo rincorse un’ultima volta: - Speriamo sia femmina! Almeno non affiderà le decisioni più importanti all’uccello! – si spolmonò forsennata dalla balconata del cassero – Che il Diavolo ti porti! Che porti tutti e tre!
- Dopo di te! – la salutò con zelante riverenza Edward, segnandosi il volto di un ampio e sconveniente riso. Dopo quella sfiancante riconciliazione ambiva a rilassarsi nell’oscurità silenziosa della sua cabina, pur avendo una nuova innegabile ambascia sul groppone.
I marinai erano più pettegoli delle puttane del porto rifocillate di monete, e nel quarto d’ora infernale che aveva trascorso sul vecchio sloop  si erano già scambiati le succulenti novità che lo riguardavano. I commenti, le congratulazioni e le domande si accavallarono trattenendolo in coperta. Ognuno era ansioso di esprimere il suo parere e di fornirgli originali proposte; le ascoltò, dalle più strampalate alle più spietate, illudendosi di pescare tra quelle fandonie qualche lumicino che rischiarasse il pozzo buio in cui stava avventurandosi.
In verità era conscio che a condurlo fuori non sarebbe stato altri che lei, perché vi erano caduti insieme, reggendosi alla stessa fune.

Ruth gettò dall’oblò il fazzoletto con cui si era ripulita le gote dal trucco colatole insieme alle incresciose lacrime. Capitare al cospetto di quella malefica donna era stato come capitare al cospetto della terribile Kalì; probabilmente la seconda sarebbe stata più benevola.
L’aveva svergognata e insultata, trattandola alla stregua di una manipolatrice, una fredda seduttrice di uomini in cerca di una sistemazione. Però, con ficcante intuizione, aveva smascherato quell’invadente sospetto che l’aveva punta un pomeriggio, all’improvviso, una saetta profetizzante bufera in piena e dolce estate, mentre il ponte veniva scrostato e strigliato e i secchi si tingevano di acqua rugginosa. Era stato allora che si era accorta di non sanguinare da parecchio.
Edward non si era sbilanciato: lui e sua madre ragionavano allo stesso modo. L’aveva tradito, nascondendogli quella verità. E il tradimento si pagava, stabiliva il Codice. Non si poteva vivere di soli sogni. Aveva imparato la lezione tanto tempo prima, eppure separarsene era più doloroso di un pugno alla milza. E aveva sperimentato anche quello.
Calmando i singhiozzi, strinse la legatura del fagotto in cui aveva raccolto tutti i suoi effetti personali.
La risonanza di uno scricchiolio la indusse a risollevare gli occhi umidi e arrossati e ad imbattersi nei suoi, pesti e frementi.
Era in subbuglio, per quanto apparisse sicuro e controllato.
Le uscì un penoso pigolio: - Io non so da quanto …
- Non importa. – spirò il pirata interrompendola con veemenza. La scrutava indecifrabile, stropicciando la bocca senza aprirla, gli occhi ridotti a fessure, il respiro calmo. Tremò: la sua espressione scettica somigliava troppo a quella di sua madre in quell’istante. Meno di un’ora prima constatare quanto fossero differenti le aveva fatto capire una volta di più che lo amava.
- Mi hanno nominato Pirata Nobile. Del Madagascar.
Ruth non intuì il preciso significato di quell’argomento, ma ne avvertì l’importanza che aveva per Edward dal tono rispettoso con cui aveva pronunciato quelle parole. Era destinato alla gloria che agognava, e qualunque fosse stata la sua decisione sarebbe rimasto il suo eroe.
Fece ciondolare la sacca sulla spalla, forzò un sorriso, rassicurandolo sulla sua devozione, nonostante fosse apertamente in disaccordo con quella contraddittoria sorte che, incostante come i frangenti sulla sabbia, li mesceva e separava.
- Allora devi mandarmi via per davvero, stavolta.
Lo aveva sostenuto con tale tranquillità da stupirsi lei stessa, perché la loro non era stata semplicemente un’unione di convenienza, né uno sbandamento momentaneo, e adesso lo sapeva, lo sentiva in ogni palpito che scaturiva per lui. Si era accorta che niente la spaventava più se non lo riguardava. E non avrebbe voluto lasciarlo solo perché temeva che si sarebbe smarrito.
Si sarebbero smarriti entrambi. Non lo avrebbe dimenticato mai, e non sarebbe riuscita ad andare avanti senza di lui. Non occorreva che lui lo sapesse, però, si disse.
O magari lui conosceva un posto sicuro in cui portarla, ci stava rimuginando, e sarebbe tornato a reclamarla, anche per una sola stagione. Osò ingannarsi, di nuovo.

Non voleva condannare all’infelicità l’unica persona capace di ispirargli briciole di generosità, l’unica che gli aveva rivelato un’alternativa meno cruenta per smorzare il suo ardore .
Un altro modo di essere uomo che la sua fiera genitrice gli aveva contestato esistesse.
Forse quello strenuo anelito di difenderla dalle cattiverie di sua madre era stato rinfocolato dalla volontà di rivaleggiare con la sua testardaggine. Forse lo aveva fatto apparire troppo attaccato a quella ragazzina, più di quanto lui stesso volesse ammettere.
Ma non riusciva a cancellarla come non sarebbe riuscito a cancellare l’impronta di un’ustione. Oramai era assolutamente assodato dall’avidità con cui si ostinava a bramare le sue dita innocenti permeassero la sua sporca pelle.
Se gli aveva taciuto quella compromettente situazione, non la incolpava.
I rognosi accidenti succedevano, non lo intimorivano. Anzi, lo esaltavano. Non era da lui rinunciare senza essersi misurato. Ci avrebbe provato anche per quella cosa di fare il padre, anche se sarebbe stato arduo come lo dipingevano.
La Capitana, in fondo, non aveva demorso.
Ruth comunque sembrava disposta a scomparire dai suoi battiti senza alcun rincrescimento. Non lo stava supplicando, restava dignitosamente tranquilla in mezzo alle sciagure che si abbattevano inclementi sul suo animo flagellato. Faceva apparire tutto sempre così facile, lei. Una fra le sue qualità che lo avvinceva. Lo compensava.
Si rese conto che si era concesso una pausa interminabile, la sua coraggiosa consorte era appesa ad un suo pronunciamento.
Sistemò un sigaro spento tra le labbra. Lo accese, rovesciò la testa indietro emettendo dei cerchi di fumo, poi la inclinò sbirciandola sghembo: - Non nego che mandarti via sarebbe saggio. Tuttavia la saggezza appartiene ai vecchi, giusto? – spiccicò elusivo, togliendosi il rocchetto di tabacco dai denti, dilatando di poco le pupille, accennandole con le dita a disfarsi di quella tracolla – Possiamo ancora permetterci di essere folli e stupidi. – barbugliò accomodante, rollando le braccia.
Il cuore di Ruth fluttuò come una barca senza timoniere tra quelle viscose sillabe. Ad una considerazione più sviscerata comprese che offuscate da quella nebbia c’erano stelle. Una goccia luccicò sul viso commosso e corse ad appigliarsi velocissima al collo dell’amante, travolgendolo con genuino entusiasmo, frizzante come un’onda.
Teague non si aspettava che gioisse con tanto trasporto per quella sbiadita approvazione.
Quasi si stava pentendo.
Era veramente volubile quella piccola donna.
L’indiana scivolò dalle sue spalle e distaccò di nuovo i talloni dal pavimento per ciangottare nel suo orecchio: - Sarà forte, coraggioso e bello come te! – allentando l’abbraccio per spiare le increspature assunte dal suo volto.
Ad iniziare a figurarselo non era granché pronto. Non ne sapeva molto di bambini, ma comunque sarebbe occorso del tempo, poteva accadergli qualsiasi cosa. Era troppo prematuro accalorarsi.
Edward riaffondò cupamente nell’introversione e la guardò con soffusa critica, prima di scostare i suoi capelli corvini dai propri: - Mi auguro che non prenda la tua melensaggine …


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La Capitana Grace Sparrow,  immagine tratta dalla gallery di Jo-yumegari su Deviant Art.

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Capitolo 4
*** IV – CROSSFIRE HURRICANE ***


Salve ciurma!)
Rieccomi a proporvi il nuovo capitolo di questa long i cui tempi di aggiornamento, a discapito della mia volontà, sono oramai diventati molto dilatati.
Considero questo capitolo uno dei più importanti, dato che ho provato a dare la mia versione della nascita del nostro eroe. Spero di non aver reso gli eventi troppo affrettati e di riuscire a divertirvi, con i momenti di umorismo che non ho potuto fare a meno di inserire.
Ringrazio i Rolling Stones che mi hanno ispirata il titolo con la loro "Jumping Jack Flash" (per chi non la conoscesse vada ad ascoltarla e a leggersi il testo: è praticamente la storia di Jack Sparrow!XD) e tutte le pagine web dedicate al meraviglioso Keith Richards che mi ha dato tanti spunti per creare la figura di Capitan Teague.
Grazie anche a tutti coloro che leggono, seguono, preferiscono, mettono "mi piace" e mi fanno avere il loro parere.

Buona lettura, al prossimo approdo!)
Ps: a fondo pagina troverete alcuni chiarimenti.




IV – CROSSFIRE HURRICANE



Dall’oblò si infiltrava una brezza umida e densa che sapeva di vivificante rinascita e minacciava devastazione.
L’estate si era appena conclusa, e il giorno addietro era stato uno dei più soleggiati e torridi dell’intera stagione, uno di quei giorni in cui la limpidezza del sereno appariva quasi accecante. Impensabile che il tempo sarebbe deteriorato con tale rapidità.
Le paratie riverberarono con un lamento sordo e lugubre all’infrangersi dell’ennesimo rombo di tuono, lame di luce rompevano l’etere in tumulto. Un concerto di rivoli e brontolii aveva iniziato a sferzare copiosamente la vetusta e solida chiglia della Dama di Nebbia.
Rimase in un silenzio indifeso e sbigottito, ascoltando il crepitio continuo delle gocce che fendevano lo scafo putrescente di viaggi e incalcolabili scontri a fuoco.
Quell’ammasso di corde, catrame e legno aveva affrontato già molte burrasche, non c’era ragione di temere la fresca pioggia battente che incombeva dalla sera precedente, sbalestrando la nave in un sommovimento crescente.
Solo che da qualche minuto ne avvertiva uno simile anche nel suo grembo.
Era stata destata definitivamente da una fitta tremenda sotto l’ombelico, straziante e subitanea, che l’aveva attanagliata nel dubbio e nell’inquietudine.
Le arrecava una viscerale impressione sapersi custode di quella creatura che avevano plasmato nel loro disperato e dissennato rimescolarsi di pene e desideri, e che ormai sentiva scalpitare con prepotenza dentro di lei.
Aveva faticato ad accettarlo, si era sbagliata a pensare di essere pronta e volenterosa di accudirlo; non sapeva badare neppure a se stessa, forse. Non lo aveva desiderato per niente, ma adesso fremeva dall’ansia di darlo alla luce, di conoscerlo. Di presentarlo a lui.
Un altro improvviso pungiglione le contorse l’addome che sentiva gonfio e tirato come un otre. La schiena da ore non trovava sollievo in nessuna posizione, le ginocchia e le caviglie erano indolenzite come se avesse percorso sterminate miglia su un terreno accidentato.
Non aveva mai provato crampi così forti e ripetuti.
Ruth si lasciò sfuggire un lieve mugolio di fastidio rannicchiandosi contro il suo petto, le gambe aggrovigliate nelle sue. Cercò di contenere la paura e l’ansietà semplicemente stringendolo e respirando l’intenso odore acre e salso della sua pelle nuda.
Doveva ammettere che le era mancato quasi da vergognarsene il suo tocco di ruvido velluto.
Dopo tante notti in cui si era sentita più sola del solito, avevano condiviso l’angustia della branda e un sonno discontinuo.
Era stato parecchio restio nelle ultime settimane a coricarsi al suo fianco. Aveva prediletto delle coperte stese sul pavimento. E un pomeriggio si era montato un’amaca sopra la cuccetta che le aveva ceduto, spostandosi gradualmente al centro della cabina e poi finendo per non rientrarvi affatto.
Si era intristita e offesa, lo aveva detestato profondamente prima di comprendere che nelle sue ermetiche intenzioni si trattava solamente di un disinteressato atto di gentilezza.
Nessuna donna avrebbe potuto biasimare il suo dissapore se fosse stata nei suoi panni.
Suo marito si sottraeva sovente alle sue braccia, restava attivo fino allo stremo, dormiva occasionalmente. Le veglie, le recenti imprese e le nuove incombenze da pirata nobile lo avevano smagrito e indurito. Ogni suo gesto era divenuto più riflessivo e impenetrabile.
Aveva smesso addirittura di imbracciare la chitarra.
Insieme a quella nuova, inaspettata, piccola e fragile vita, si era annidato in lei un macerante tarlo. Era arrivata a meditare che la considerasse merce avariata.
La trattava con rispetto pressappoco paterno, quasi la tenesse con sé per pietà o incomprensibile senso del dovere, o volesse ottemperare a un patto su cui non aveva mai effettivamente giurato.
Se in passato le aveva concesso di accompagnarlo in qualche bazar, dove aveva fatto incetta di chincaglierie e stoffe pregiate, da qualche tempo l’aveva praticamente confinata a bordo, fra poche distrazioni e molte preoccupazioni, suscitando la sua imperterrita smania di scappare alla chetichella e affrancarlo da quella costrizione ogni qual volta avevano gettato le ancore in un porto di passaggio. Aveva sconfitto quel proposito perché, anche se era stata sempre incostante, si era imposta di riuscire a mantenere almeno una promessa. Aveva l’incontrovertibile certezza di essergli debitrice e di dover meritare la sua clemenza. Il suo spirito errante si era rassegnato: lui sarebbe stato senza eccezione il suo insostituibile eroe; marcio e fiero d’esserlo.
Si era assuefatta al suo modo di fare: non agiva per cattiveria o indifferenza, quanto per timore e riservatezza. Lo poteva accusare di essere lunatico, scontroso e chiuso, ma le aveva dimostrato, con restio affanno, di non essere insensibile né superficiale.
Perciò non si era più lasciata condizionare dal distacco apparente cui l’aveva relegata.
In certi momenti, quando si spogliava, lo aveva sorpreso a sbirciarle quella rotondità sempre più accentuata sotto la veste, allungando il collo con incredula diffidenza e alcune volte con l’accenno di increspature ai lati della bocca. Se la scorgeva in giro per il ponte, ad ostentare con disarmante naturalezza il suo stato, le mandava delle occhiatacce di disapprovazione per la sua imperdonabile leggerezza.
Quell’affinità non infuocava come prima ma nemmeno si era dissolta. Semmai era mutata in qualcosa di meno palpabile che volteggiava tra gli sguardi e i sospiri, perché in fondo si era già concretizzata in altra carne.
Sfregò la fronte sulla sua spalla e si crogiolò a tratteggiare i suoi lineamenti nel chiarore intermittente. Il naso affilato, la mascella sfuggente, le guance scavate e spigolose che adombravano gli occhi, brumosi, schivi e inaccessibili, le labbra strette e un po’ sporgenti, atteggiate anche nel sonno in quel familiare corruccio cupo e contemplativo, i capelli trasandati sparsi sul braccio usato come poggiatesta.
Se ci aggiungeva il suo muoversi sbilenco e il mugugno quasi incomprensibile con cui si esprimeva, non capiva ancora perché mai apprezzasse tanto il suo aspetto: era perfino più imperfetto del suo carattere grezzo e astruso!
Eppure la sua vicinanza accendeva ancora un brivido caldo al centro del petto, una fiamma che non si stemperava neppure con le sue malefatte.
Stare insieme si era trasformato in un’inevitabile trappola.
Adagiò l’orecchio sul fervido pulsare del suo cuore vagabondo, chiedendosi se e quanto il loro erede sarebbe somigliato a loro nel bene e nel male, o se invece avrebbe avuto altri pregi e debolezze. Era convinta che quel bambino, anche se non fosse nato e cresciuto sotto i migliori auspici, avrebbe potuto essere migliore di tutti e due. Probabilmente era solo un pensiero tendenzioso e consolante, perché non voleva più permettere allo sconforto di sopraffarla.
E perché sperava che a quella diavolessa, con cui aveva per disgrazia incrociato la parentela, si rodesse il fegato per averlo ripudiato anzitempo.
In quell’istante avvertì un fiotto acquoso defluire tra le cosce e una contrazione. Le pareva che qualcuno si stesse sadicamente divertendo a rigirarle un punteruolo tra le ossa del bacino. Conficcò le unghie nel palmo calloso della sua mano, non riuscendo neanche ad urlare per l’intontimento causato da quell’immane dolore.

Edward sollevò lentamente una palpebra cisposa dopo l’altra, sprimacciandovi i polpastrelli. Un’aria piovigginosa gli soffiava sul volto e gli venne istintivo controllare, un po' impanicato, che non si fossero formate fenditure nel tetto dalle quali trapanasse acqua. Pareva tutto a posto, eppure l’aveva svegliato una sgradevole sensazione di bagnato alle parti basse.
E una stretta compulsiva.
Spostò gli occhi assonnati su quelle sottili dita che quella mattina lo avevano graffiato, anziché vellicargli la fronte, e le intrecciò alle proprie. Togliendo l’altro braccio da dietro la nuca incominciò a massaggiarle il magro polpaccio che gli aveva attorto al tronco. Percepì il consistente arrotondamento del suo addome contro il proprio e si ritrasse moderatamente, mentre rifuse le iridi ancora impregnate di sonno nelle sue, riconoscendovi uno strano alone, colpevole e impaurito.
Si era sforzato di convincersi che fosse tutto regolare, ma non lo era per nulla.
Erano stati incoscienti e sprovveduti.
Per giunta lui, che tra i due si credeva quello con la maggiore esperienza, si era rivelato il più debole e inetto.
Nei suoi acerbi diciotto anni lei era poco più di una bambina, ingenua e intempestiva, sebbene dotata del carisma seduttivo e impudente di una donna.
E lui si era trattenuto troppo tra le sue cedevoli anche che lo accoglievano generose fino all’ultimo ansito di gradimento.
Chi aveva istruito o ingannato l’altro in quelle conturbanti danze, non gli era chiaro. Si era lasciato contagiare dalla sua tendenza a vedere sempre il sole oltre l’orizzonte più nero.
Era stato solo un superficiale errore di valutazione. E di imbecillità.
Iniziava a ragionare con lo stesso cinismo di sua madre. Non che ne fosse mai stato del tutto immune. In più di un impeto di confidente malanimo aveva ipotizzato che avrebbero potuto perderlo. Aveva pregato, anzi, perché accadesse. Tutto sommato vivevano in equilibrio precario, la libertà che inseguivano era un lusso e una condanna. Il mare reclamava tante anime, perché dovesse mostrarsi così schizzinoso con quell’obbrobrio che le stava crescendo in seno, proprio non lo digeriva. Aveva sempre ubbidito alle sue imperanti richieste, era ingiusto che volesse punirlo anziché compensarlo per le fatiche e la lealtà con cui l’aveva servito.
Forse la sua colpa era stata impastarsi con il suo corpo argilloso.
Non si era mai espresso su quel fantomatico figlio in arrivo. L’idea balzana di crearsi una famiglia non l’aveva mai arrovellato, e perciò non aveva riposto grandi speranze sulla sua nascita. Non ne parlava nemmeno, aveva solo abbozzato un fiacco consenso, assumendosi la responsabilità di averla inseminata senza alcuna vera felicitazione.
Tuttavia quella ragazzina ad ogni rifiuto sembrava essersi fortificata. Aveva fatto presa come un’ancora in un fondale di rocce. Quale barlume di decenza vedesse nei suoi occhiacci per ostinarsi a perdonare le sue mancanze e le sue stranezze, gli restava più indecifrabile di certe mappe vergate in lettere cinesi. Almeno lì c’erano le figure di contorno.
Lei era stata un adescante enigma sin dal primo istante in cui il suo tocco delicato aveva fatto rizzare i peli sulla sua cute satura di lividi.
L’assurdo era che con quel morbido tatto sapeva rivelarsi ancora più convincente e tenace di lui.
E lo era in maniera imbattibile quando si avvaleva del suo innato fascino, provocandolo con determinazione e dolcezza, anche se c’era maretta tra di loro.
Fondamentalmente era una perniciosa acqua cheta.
Lo aveva raccolto trovandolo appisolato sulla scrivania, tra carte, libri e bottiglie, e gli si era strusciata addosso destandolo con il miglior sorriso ammaliatore, che si scioglieva furbo e condiscendente, stuzzicandolo sullo sperpero del prossimo bottino e blaterando di dissolutezze.
L’aveva vanamente respinta, con un laconico accenno al suo ventre pronunciato. Ma lei, senza curarsi del suo timbro caustico e brusco, aveva sfoderato un broncio malizioso. Era il cipiglio di quando voleva essere protetta ed esaudita, quello cui lui non era capace di rimanere irremovibile. Ammirevole e abbastanza odiosa l’attitudine con cui sopportava ogni avversità, senza scomporsi, senza motivazione.
E alla fine lo aveva indotto a seguire il luccichio delle sue gemme di buio.
Aveva ceduto al suo richiamo per stanchezza, non per quella voglia strampalata che continuava ad avere di lei, pure se le era ingrossata la pancia. E anche se adesso era dannatamente bella con quell’espressione supplice e indifesa, si sottrasse alla seduzione di restare ingarbugliato un altro minuto di più dalle sue lunghe ciglia che fremevano.
Si era addormentato in mezzo alla burrasca, non era un comportamento degno di lui.
Fece scorrere la mano dal ginocchio al suo piede e scivolò via, gettando la criniera scompigliata sotto la branda.
- Doveva esserci qualche bottiglia, sarà rotolata da qualche parte … – dedusse rialzandosi e scuotendo le spalle, non riuscendo a scorgere effettivamente qualcosa. Pur non cessando di percepire quella ripugnante secrezione bagnaticcia nel cavallo dei pantaloni.
Il tetro ululare del mare lo convinse ad interrompere quel tentativo. Manovrare un vascello nelle grinfie del maltempo era uno dei maggiori piaceri del suo mestiere. Fuori si stavano già divertendo, oppure erano incazzati perché a quell’ora non si era ancora fatto vivo ...
Dall’attribuzione di quella nomina impegni e agguati li avevano, a dir poco, impelagati in quelle acque. Non aveva potuto allontanarsi da quell’infido oceano e non aveva voluto perché sostanzialmente non si fidava di nessun altro luogo. Ne conosceva ogni corrente e ogni anfratto sfruttabile per darsi alla macchia o tendere assalti agli svariati navigli che vi si arrischiavano, trascurando le loro risapute scorribande. E avevano assicurato un durissimo filo da torcere alla Marina, costringendo le aragoste ad abbandonare molti avamposti.
Con un sorrisetto soddisfatto si fasciò la bandana viola attorno alle tempie e affibbiò in un battibaleno gli stivali, per poi ciondolare sull’appendiabiti e recuperare la camicia, la giacca e il cappello piumato di recente acquisto. Gli conferiva un’aria davvero distinta, si compiacque allo specchio.
L’unico lumicino acceso che pendeva sulla parete gli mostrò, accanto al suo riflesso, quello contratto e irrequieto della giovane moglie. Si era sollevata dal cuscino e lo fissava silenziosa e indisposta, tormentando la sottana di crinolina che le avvolgeva le curve, irrigidite da chissà quali tormenti. Non era mai sicuro di quello che le frullasse per la testa, ma quelle sue perle nere erano troppo espressive quando lo insediavano lasciando cadere il velo della menzogna, dietro cui spesso si proteggeva. E pareva che lo volessero supplicare di rimanere. Come le sue labbra, che continuava ad umettare con la lingua.
Avrebbe dovuto domandarle se stesse bene, ma la considerava una domanda superflua. Tanto lo sapeva benissimo che ci teneva a lei, era ovvio, altrimenti l’avrebbe indiscriminatamente scaricata in qualche postaccio e sarebbe sparito per sempre. Nonostante il tempo passato insieme lo avesse ammansito, rimaneva incapace di consolarla con le parole. Sceglieva sempre quelle sbagliate.
- Sta soltanto diluviando! – sbiascicò indolente, allacciandosi la cintura e voltandosi verso di lei.
La voce di Ruth fu un’unghiata acuminata e velenosa: - Perché? Ho forse detto qualcosa?
Era combattuta. Stava sulle difensive. Stava reprimendo qualcosa per non inquietarlo.
Sembrava terrorizzata.
Tutti quei pensieri furono sovrastati dall’agghiacciante muggire del vento, intenzionato a scardinare ogni consunta giuntura del suo egregio veliero.
Si calcò il copricapo sulla fronte e strisciò fuori dalla porta, mentre gli occhi di lei, trepidi e apprensivi, come dardi gli bucavano la schiena.

La nave beccheggiava e abboccava, scaraventando gli uomini da una murata all’altra.
Una fragorosa ondata si riversò fin sulla plancia dandogli appena adito per barricare la sala di comando. I vestiti si inzupparono e si appesantirono, rendendo di piombo ogni movimento.
Precipitava tanta di quella pioggia da affannare muscoli e riflessi. Il tumultuoso riflusso della marea rintronava il cervello, alimentando una cattiva compagna dei marinai: la demoralizzazione.
- Siamo condannati!
- Questo tempaccio ci renderà facile preda per Davy Jones!
La visibilità era scarsissima, la corrente falcidiava le gambe, ma Capitan Teague riuscì comunque ad inoltrare le pupille sui pennoni, appurando che le vele quadre si erano salvate dalla furia degli elementi. Fino a quel momento. E dovevano farsele bastare. Non avevano alternative e arrendersi all’ignavia era l’ultimo dei suoi propositi. La sua acredine gli aveva sempre suggerito di affrontare il pericolo senza demordere alle prime contrarietà.
- Ma sentitevi! Che bei cacasotto! Sono onorato di essere il vostro Capitano! – vessò con sdegnosa ironia i compagni, abbarbicandosi al timone che ruotava all’impazzata, come possedesse vita propria. – La Dama di Nebbia terrà la rotta! – si incaponì, contrastando con nerbo l’inarrestabile filare della ruota. – Virate di prua! Date volta alle scotte! Vele alla cappa!
Sebbene il drastico e burbero ordine si trasmise con solerzia di braccia in braccia, il vascello continuava a sbandare e vorticare attorno al proprio asse, una sfera intrappolata sull’orlo di un imbuto. L’orizzonte era scomparso dietro una stillante foschia, possenti frangenti frantumavano la chiglia e inondavano il ponte trasformandolo in un melmoso pantano.
Dalla sua prospettiva privilegiata il Capitano si accorse allora che, in lontananza, sulla superficie di quelle onde scroscianti, stava innalzandosi un formidabile gorgo di folgori e nubi.
Non erano alla mercé di un semplice diluvio.
- Per le braghe di Maometto! – sproloquiò Ismael, affiancandolo alla barra e rendendosi conto dell’azzardo in cui si stavano imbattendo – Non dirmi che si tratta di quello a cui non voglio nemmeno pensare …
Teague gli annuì con un ghigno altero e aleatorio, sentendogli tracimare una serie di bestemmie in turco.
Aveva udito racconti traumatizzanti. Quel fenomeno non risparmiava molti equipaggi, e se ne rigurgitava i corpi ne risucchiava spesso il sale in zucca. Bisognava essere freddi e spericolati, preparati a qualsiasi evenienza. Anche al disastro più totale.
Ma non era scoraggiato: andare all’avventura caldeggiava le sue velleità.
Stava per affacciarsi dal parapetto e riformulare i comandi, sennonché uno strattone improvviso lo frenò, appuntandogli la giacca.
- Capitano! Accorrete: vostra moglie è in travaglio!
- Neanche io sto messo bene! – gracchiò di rimando, allontanando con uno spintone il poveretto al quale non aveva neppure rivolto lo sguardo, senza riflettere sulla sua asserzione.
L’imberbe biondino, cui affidavano spesso le notizie più ingrate, gli arrancò dietro, concitato: - Non avete capito, signore! Sta per partorire!
Il respiro del pirata per un attimo collassò. Uno schianto di tuono sommerse il suo disinvolto ragionare. Credette di annegare, nella rabbia, nella confusione.
- Vuole procreare in mezzo all’uragano? Temeraria! – convenne, sconvolto quanto lui, Ismael.
Nella mente di Teague, però, turbinavano altri aggettivi: sconsiderata, imprudente, egocentrica, ad esempio. Non era mai stato sensato ospitare quella femmina irriflessiva tra le sue lenzuola per così tante lune.
Era irrilevante, ormai.
Le mani si staccarono con sofferenza dal timone, prontamente impugnato dal suo secondo.
- Tenetevi distanti da quella stramaledetta tromba d’aria! A meno che non vi prema incontrare gli dei degli abissi ...

Anarchia. Non esisteva definizione più appropriata per descrivere quello che stava sovvertendo la sala nautica. Tra urla e oggetti che volavano in tutte le direzioni, si era scatenato un parapiglia, peggiore di quello in corso sopra coperta.
Nizar, l’economo arabo-tedesco, solitamente frigido e compassato, strillava come una donnetta isterica contro la sua Ruth, affannandosi a raccattare i preziosi strumenti di calcolo che quella gli stava spargendo sul pavimento: - Non potete tenerlo dentro un altro po’? Finché non approdiamo?!
- No! Deve nascere! Ora! Qui! Dove è stato concepito! – farneticava la ragazza, insistendo a buttare tutto giù dal tavolo e tentando di salirvi.
Edward boccheggiò inerte: ci voleva molta immaginazione per riconoscere in quel collerico fascio di nervi la mogliettina indifesa e propensa alle sdolcinatezze che aveva lasciato meno di un’ora prima nel tepore dell’alcova.
- Ruth! – abbaiò imperativo, richiamandola perché non si era neppure accorta della sua presenza. Le sue iridi, lucide per delle lacrime che stava alacremente trattenendo, gli sorrisero appena.
- Ma non è troppo presto? – le domandò col tono di chi avesse ricevuto una randellata sui denti; aveva lanciato almeno un falso allarme a settimana.
- Il nostro piccolo avrà fretta di vedere il mondo – asserì spiccia e alterata la mora, ansimando e ringhiando sommessamente. Non mandava in visibilio neanche lei quella circostanza, sarebbe dovuto succedere agli inizi dell’inverno, a quanto avevano appreso da una vecchia mezzana che si erano risolti a consultare. Entro quella data avrebbero dovuto trovarsi ancorati a Libertalia, nel Madagascar, più o meno al sicuro. Era immaginabile che non rispettasse tutte le previsioni. Aveva respirato già nel suo grembo la brama di libertà che bruciava la loro pelle.
Edward gettò il cappello grondante sul pavimento, aggredendo un marinaio barbuto dalla carnagione olivastra che tentennava paonazzo evitando di incrociare il suo muso: - Zachary? Che diamine di problema hai? Ti sei sempre spacciato per cerusico! – lo strigliò furente, alitandogli tutto il suo permaloso astio.
- Ed è quello che sono, Capitano! – confermò stizzoso quello – Sego arti, ricucio tagli, estraggo schegge – enumerò sulle dita – Ma un parto è una faccenda da donne. Non mi ci immischio – grugnì alzando le mani in segno di resa e scuse.
- Ti avevo suggerito di rapire una levatrice! – puntualizzò Ruth, premendosi il ventre che, sconquassato da stilettate sempre più insopportabili, la costringeva a piegarsi.
- Io ho fatto sgravidare una capra, una volta – si intromise candidamente il mozzo lentigginoso che l’aveva accompagnato.
Nizar gli rifilò uno scappellotto sull’orecchio: - Forse c’è un dottore tra i prigionieri – borbottò svogliatamente, sovrapponendosi al timoroso chiacchiericcio dei compari.
All’ennesimo forte rollio le ginocchia di Ruth cedettero, prostrandola.
Edward sbiancò, ammattì, rinvenne. La calma simulata che gli appestava i polmoni si sprigionò sgomentando i suoi uomini: - Porco boia! Che aspettavate? Che prendessi a pugni le vostre brutte facce da imbecilli?! Portatelo qui!
Si era compromesso da parecchio: era vano oramai fingersi disinteressato.
Aggirò gli ostacoli e la raccolse, prendendola in braccio e sottraendola al loro invadente sbirciare.
Ruth gli si appigliò freneticamente, versando altre gocce di sale nell’incavo del suo collo. Non si era mai sentita tanto spossata. Gli spasimi le opprimevano il respiro e spaccavano la spina dorsale. I contorni stavano diventando sfocati. Provava un male inesprimibile, e per assurdo null’altro riusciva a confortarla quanto il contatto con quelle scontrose braccia impregnate di spuma di mare.
- Ho chiesto io ad Olly di liberare quel medico. Ho preso l’iniziativa senza consultarti, Capitano – ironizzò debolmente, mentre lui la adagiava con una smorfia di impotenza sulla branda.
- Vorrà dire che dimezzerò la tua razione mensile di acqua e sapone – ribatté con finta severità, invitandola senza successo a stendersi sul misero materasso che si insultò di aver inzaccherato. Con l’umidità che era caduta, avrebbe impiegato giorni ad asciugarsi …
La considerazione si rivelò futile poiché notò ben altro: striature rosse sulle proprie mani e una chiazza scura espandersi nella sua sottoveste celeste. La vista del sangue, intuire da quale ferita stesse sgorgando, gli divorò lo stomaco in un’inaspettata morsa di nausea e ribrezzo che lei colse, pur nella luce incerta di un lampo.
Si era anche grattato il naso, un movimento involontario che Ruth conosceva bene: era segno di disagio e insicurezza. Si analizzò: stava lentamente dissanguandosi, non sapeva se se tutto quello che le stava accadendo fosse normale.
Appena staccò da lei gli occhi, avvertì una schiacciante pressione sul cuore e gli si aggrappò con slancio al bavero della camicia, impedendogli di alzarsi: - Sto morendo, è così? Non resisterò a questa terribile agonia … – singhiozzò, scoraggiata da lancinanti doglie che la scuotevano fino al midollo.
Edward sentì un nugolo di granchi brulicare nelle budella. Voleva ricordarle che gli ultimi mesi erano equivalsi ad un’estenuante apnea e che era sopravvissuta ad ogni congiuntura, sopportando lui e la sua combriccola di derelitti. Non poteva sognarsi di abbandonarlo allo sbaraglio.
Tuttavia il suo orgoglio era troppo radicato: si sarebbe fatto tagliare la lingua piuttosto che soggiacere a simili effusioni. Si limitò a corrugare un distorto sorriso: - Scempiaggini.
Ruth ricacciò un pesante magone, gli accarezzò il mento pungente con l’urgenza di baciare e mordere quella bocca imbronciata solo per verificare se mentiva. O per la svenevole volontà di andarsene con il ricordo del suo sapore.
Un ridondante rumore di suole irruppe in quella tesa emotività. Capitan Teague si staccò da lei sfiorandola con una sfuggevole occhiata e si ridiede un contegno severo, andando incontro al nuovo arrivato: - Il dottore? – domandò scrutandolo insofferente, ma volgendosi più ad Olly che lo aveva condotto sin lì.
L’estraneo si tolse il berretto di lana, distogliendo lo sguardo sbigottito dalla partoriente che si contorceva sul lettino:
- Per amore del cielo e della terra! – esclamò accoratamente – Non è uno scherzo – balbettò mostrando le iridi chiare che si rimpicciolirono al rimbombante esplodere di un tuono.
Edward continuava a squadrare dubbioso il prezioso prigioniero. Pasciuto, rubicondo, pallido. Aveva l’apparenza tremante e bonaria di un prete fresco di studi, più che di un uomo di scienza, anche se lui non ne conosceva di quel genere di persone rispettabili. Ma qualcuno gli era capitato di minacciarlo, ed era stato semplice come scolarsi una bottiglia di punch.
- Badate a voi …
- Charlie Gibbs 1. Professore. – sottolineò l’ometto con un filo di voce, faticando a non cascare per i forti rollii del pavimento.
Il pirata trascurò quella pedante precisazione, accorciò le distanze e parlò stridendo la mandibola:
- Se malauguratamente lei non dovesse sopravvivere, il nascituro la seguirà, e voi potete considerarvi scotennato – gli intimò, aprendo un lembo della giacca e ammiccando con bieco sarcasmo alla sfilza di coltellacci che brillarono, sinistri come le sue pupille – Dunque vi basterà un elementare calcolo per comprendere che vi sono tre vite nelle vostre mani. Adoperatele bene.
Si avviò all’uscio, congedandosi con non poche remore dalla gemente Ruth: - Non ti azzardare ad uscire, Edward! Non mi vedrai mai più! – scalpitò tra gli urli e i lucciconi.
L’ostaggio, si sgualcì la faccia e deglutì saliva farinosa, inseguendolo: - Dovreste restare anche voi.
Il filibustiere sbuffò, esasperato dal seccante e inopportuno impedimento. Sembrava non se ne fossero accorti: imperversava una tempesta torrenziale che rischiava di ammazzarli tutti. Non poteva permettersi di indugiare in patetici sentimentalismi.
Richiamò Zac e Olly perché lo assistessero e bloccassero.
- C’è stato un imbarazzante equivoco. – riparlò cautamente lo sconosciuto, tentando di risultare udibile sopra l’assordante sciabordio esterno - Sono un professore, e mi interesso di specie animali – si rincrebbe con un’espressione così onesta e benevola che sbriciolò i modici residui di fede e buona creanza cui Teague si era attaccato.
Davvero una bislacca combinazione di astri capricciosi, si disse.
Scodinzolò la testa, roteò le orbite dalla consorte all’impostore, ascoltò il mugghiare dell’oceano.
Non si poteva più tornare indietro, non c’erano scappatoie.
Poteva appellarsi solo al ricatto più sleale e all’arcano volere della fortuna.
Lestamente lo sollevò per il fasciacollo: - Tu tira fuori quella bestiola, ed io ti giuro su tutti i Diavoli del mare, che ti tirerò fuori da quest’Inferno.

La Dama di Nebbia avanzava procedendo di sghembo, quasi come l’andatura del suo Capitano, restando a stento a galla, dati i continui sbalzi cui era sottoposta.
L’impeto dei marosi spazzava tutto, fulmini si abbattevano sugli alberi spezzandoli, correnti furibonde stracciavano le vele.
Erano trascorse circa due ore ed ogni manovra si era rivelata inconcludente. Lo strepitoso tifone marino continuava a stagliarsi lì davanti a loro, ad ogni sbandamento sempre più sfrontatamente vicino.
- Controbracciare! Imbrogliate il velaccio! Smuovete le chiappe, dannati pelandroni!
Sbraitò il Capitano con furia tale da sovrastare il persistente tuonare del cielo, ma non quello del suo spirito.
Un fottutissimo ciclone. Non poteva scegliersi luogo o circostanza più sciagurata.
Quel marmocchio, tanto per gradire, non era ancora venuto al mondo che già cominciava ad urtare la sua labile tolleranza. O cercava di accattivarsi la sua simpatia. Era ugualmente fastidioso.
Ottusamente non ci aveva riflettuto tanto a fondo come in quegli attimi, al confine tra lucidità e incoscienza: non sarebbe voluto diventare padre in una contingenza diversa da quella.
Ripensando all’infelice storia della sua Ruth, gli era salito il disgustoso sospetto che potesse anche essere un bastardo, non suo 2. Tutto quell’ardire con cui stava presentandosi pareva smentirlo. Era lungi dall’essere provato, però, forse, in quella dissennatezza, in quell’ambizione di superare l’impossibile, di sfidare il rischio, già gli somigliava e quella similarità l’avrebbe fatto penare non poco in futuro.
Un potente rimbombo lo indusse a riprendere con saldezza le redini della nave e della ciurma.
I raggi non riuscivano a penetrare la spessa coltre di nubi nere, la burrasca non si placava, anche se erano per lo meno riusciti ad evitare di essere inghiottiti da quel mulinello. Ma nel fragore delle onde un suono insolito riecheggiò tra le fradice pavesate, rivendicando ogni palpito.
Un vagito infantile.

Qualche altro tuono accompagnò i suoi passi titubanti e gocciolanti che si separavano dal cassero.
Un’insospettabile concitazione gli iniziò a scorrere nelle vene, emozione, apprensione.
Una cesta di vimini dondolava appesa a un gancio sulle travi del basso soffitto. Si era presa lei la briga di intrecciarla, vagheggiando di cullarvi il poppante. E dal suo lento altalenare, appariva svolgere già la sua funzione.
Edward incedette molto lentamente nella stanza in cui tutti tacevano, troppo, per soggezione o perché qualcosa non era andata come previsto. Sporse la fronte sulla culla ondeggiante, timoroso di guardare, la smosse e un piagnucolio si diffuse come uno spruzzo di linfa pulita.
- Il Signore ce ne scansi! Storto sin dalla nascita!
Il dottore rimediato comparve da dietro un pilastro con uno strofinaccio completamente macchiato di scarlatto e interruppe il suo circospetto curiosare, facendolo sobbalzare di panico.
- È nato podalico. Ha insistito a venire fuori di piedi. – specificò lo studioso, abbozzando un sorriso attenuante nel comprendere il fraintendimento iniziale causato dalla sua esternazione.
- È maschio - si congratulò frettolosamente il suo cerusico, uscendo di corsa, cereo in volto.
Capitan Teague rimosse i capelli bagnati dalle guance che si rigarono di vanto, e riprese ad avvicinarsi al neonato che ancora non aveva potuto scorgere.
Scostò con la punta delle dita la copertina. I tendini si protesero, la gola si prosciugò, gli occhi cercarono di scavare nella penombra, le orecchie si ferirono e gli angoli della bocca crollarono.
Inclinò più volte il capo, non capendo da quale angolazione potesse inquadrarlo meglio. Aveva una testa piena di lanugine nera, due gambe, due braccia, mani e piedi con tutte le dita, un corredo maschile di rispetto.
Sembrava abbastanza sano, anche se era rachitico, bluastro e bitorzoluto. E il suo pianto era più frastornante del maremoto. Avrebbe potuto soffocarlo con la semplice pressione di un palmo sulle minuscole narici, ma qualcosa scattò e si trattenne. Compatimento, comprensione, o magari perfidia, perché morire in quel modo sarebbe stato indolore e insignificante. Aveva agognato nascere, ora avrebbe dovuto pagarne il prezzo.
L’affare più bizzarro e rumoroso in cui si fosse mai imbattuto.
Suo figlio. La loro trasgressione alla più ferrea regola del Codice piratesco: non curarsi del domani.
Tanto lui era un pirata nobile, avrebbe anche potuto cambiarlo.
Lo lasciò frignare. Era comprensibile fosse un po’ strapazzato da tutto quel trambusto.
Fiondò gli occhi su Ruth, l’unica ad aver creduto in quel controverso miracolo, sfidando imprevisti, ristrettezze, lutti.
Proprio per quella sua leggerezza che tanto lo mitigava, non aveva avuto abbastanza forza di volontà per recidere quel nodo, sfilacciato ma indissolubile, che li avviluppava l’uno all’altra, una cima di salvezza, malsana e irrinunciabile. A cui ora si era unita un’altra cordicella.
Non riusciva a distinguere bene le condizioni di quella matta ragazzina con cui si era ammogliato, e quel Charlie Gibbs gli volse uno strano cenno reggendogli la lampada e restando distante e contrito, impensierendolo.
Edward la esaminò, risalendo dalle lenzuola imbrattate, notando l’innaturale immobilità delle sue membra, stese supine e molli sul giaciglio.
Le palpebre erano chiuse e i lineamenti rilassati, il colorito spento. Fissò di nuovo il suo ventre, svuotatosi di troppo sangue per la sua troppa passione.
Le toccò con il dorso della mano la fronte, non più febbricitante bensì imperlata di un sudore freddo. Sì sentì sperduto e rivoltato, neanche fosse stato il primo corpo straziato che gli capitasse di vedere. Le tempie pulsarono, il fiato si mozzò, gli occhi si appesantirono, ma non cedettero neppure una lacrima.
A dovere scontare la colpa erano lui e il suo egoismo. Non a caso donne e bambini erano banditi da quelle fetide dimore galleggianti.
Si inginocchiò accanto alla branda, chinando lo sguardo assente.
A lato dei suoi stivali si accostarono gli scarponi del professore e le sue grassocce mani, macchiate come quelle di un macellaio: - È stata molto forte. Ma adesso ha bisogno di assoluto riposo e cure più adeguate. Dovete approdare prima possibile a terra – bisbigliò amichevole.
Le iridi di Capitan Teague rifulsero di stupore e irritazione. Si rialzò, lo squadrò, si grattò un sopracciglio e gli allungò un cazzotto sul faccione liscio e sbarbato: - Siete libero, dottore.
Una presa malferma gli afferrò la manica della giacca: - Il solito pirata gentiluomo … - frusciò fioca, rianimandolo di gratitudine per chiunque avesse intercesso in quella grazia.
La sua piccola amante folle era rimasta con lui.
Ignorò le lamentele del prigioniero, ordinando a due dei suoi di trascinarlo via.
- Preparate la rotta per Fort Dauphin! – stabilì trepidante.
Anche Ismael era entrato: - Con questo tempaccio?
- Non c’è tempo che tenga! Sfrutteremo il vento a nostro favore, come sempre. In coperta! – li licenziò fumantino, manifestando l’indiscutibilità della rapida decisione.
Non appena gli intervenuti chiusero ossequiosamente la porta, il giovane filibustiere si sistemò adagio di nuovo a fianco dell’esausta puerpera.
Si insidiò nei suoi occhi finalmente aperti, e le sfiorò il profilo con il suo, permettendo ad un sorriso accennato di spuntare sul viso accigliato.
Tutte quelle sofferenze non la rendevano meno attraente e non esitò a riscaldarle le labbra con le sue, umide di pioggia e gioia, rammaricandosi di dover contenere l’irruenza di approfondire quell’unione. Chissà per quanto, appurò, immaginando sconcertato le ferite che si celavano tra le sue cosce martoriate.
Il lattante, dalla sua, non aveva smesso di piangere. Con quello sgorbio a bordo, non ci sarebbe più stato un momento di tranquillità, tra una rapina e l’altra.
- Promettimi che non gli farai mai mancare nulla, Edward.
L’apprensiva preghiera della moglie lo riesumò dalla bolgia di considerazioni in cui stava divagando.
Si sollevò un poco dal letto e la contempò dissentendo contrariato: - Quel mostriciattolo ti ha quasi uccisa, Ruth!
- Promettimelo! - lo sollecitò incontrastabile lei, comprimendogli le vene marcate del polso con la poca forza che le rimaneva, rinunciando alla tentazione di alzarsi, perché il dolore tornava a sbranarla dappertutto ad ogni movimento più veloce.
Edward si rizzò, serrò la mascella e inclinò la testa all’indietro girandola in tondo come volesse sgranchirsi il collo o cercare una boccata d’aria. Poi calò il mento un paio di volte, rassicurandola sulla sua fedeltà, nonostante fosse evidentemente in disaccordo.
Ruth si struggeva. Voleva prendere il suo bambino tra le braccia e trasmetterle un po’ di quel calore che sentiva mancare da parte sua.
Dopo l’uccisione della sua famiglia non aveva mai avuto niente per cui desiderare di andare avanti. Solo istinto di sopravvivenza e fame di cambiamento. Nessun affetto o apprezzamento.
Poi quello scapestrato, senza che glielo chiedesse, l’aveva salvata dal vuoto assoluto in cui era franata la sua esistenza.
Ancora sembrava non aver capito che, nonostante alcune liti interiori, lo aveva accettato e lo amava così com’era.
Forse non glielo aveva mai confessato, ad essere sinceri, ma non gli aveva mai mentito su ciò che provava. Temeva che se si fosse dichiarata esplicitamente, l’avrebbe fatto scappare davvero. Pirati e sentimenti non andavano a braccetto. Meglio fingere che stessero insieme per opportunità. Sebbene quel bambino fosse una prova tangibile del loro profondo coinvolgimento.
Detestava essere immobilizzata e dubitava lui l’avrebbe accontentata, porgendoglielo.
Voleva guardare ancora il frutto del loro strano amore, imprimersi ogni suo neo, respirare il suo odore, lo voleva allattare e coccolare, come nessuno aveva mai fatto con lei.
Guardandosi tra le gambe dolenti e tremolanti, tirò su con il naso e si premette una mano sulla bocca: - Molto probabilmente non potrò averne altri.
Edward si curvò nuovamente su di lei, osservò il suo incantevole volto, sciupato e provato, e un moto di tenerezza lo invase: - Io volevo solo te.


Qualche mese più tardi.


Era una tipica giornata tropicale. Nell’afa ancora mite del mattino, al suono cadenzato della risacca, tre uomini elegantemente abbigliati discutevano di ladreschi affari comuni in una grande cabina straripante di arredi e suppellettili orientaleggianti.
- Questi sono i posti in cui hanno attaccato i vostri carichi. Giacché ad ogni arrembaggio riescono a squagliarsela nel nulla, devono avere sicuramente un covo nei dintorni. Vi do la mia parola che li staneremo come ratti dai loro sudici pertugi! – asserì con arrogante grinta il più giovane del trio, riportando la concentrazione dalle carte nautiche spianate sul tavolo ai due baffuti colleghi seduti dirimpetto.
- In cambio del 40% sui vostri guadagni, si intende – precisò con sapiente senso pratico, guizzando uno scaltro sogghigno in direzione dei bucanieri con i quali sperava di inaugurare una proficua collaborazione.
Edward England e Christopher Condent 3 erano però notevolmente distratti da un sensuale ronzare alle sue spalle.
Capitan Teague sbuffò e mugugnò. Non gli occorreva voltarsi a guardare perché aveva già avvertito da qualche minuto lo scampanellio dei monili con cui si agghindava e l’afrodisiaco profumo di vaniglia e cannella di cui si cospargeva a litri.
Ruth si aggirava per la sala nautica ricercando furtivamente qualcosa in ogni angolo e intercapedine. E l’interesse di quei due bricconi era progressivamente sfumato dalla laboriosa negoziazione alle sue falcate feline.
- La mia compagna di sventure – non poté esimersi dal dichiarare arcigno, pur di dissuadere il loro tacito e azzardoso domandarsi.
La bella indiana si fermò a salutarli frettolosamente: - Namasté. Namasté. – mormorò tra colpetti di tosse.
Capitan England si sporse verso di lui dandogli una pacca invidiosa: - Complimenti. Proprio un appetitoso bocconcino. – ridacchiò rauco, perseverando a violarla avidamente con gli occhi.
- Viaggia con voi? – inquisì con un rigurgito di scherno e dissenso Capitan Condent, lisciandosi il pizzetto.
Teague si raschiò uno zigomo, sviando lo sguardo: - Temporaneamente. – chiosò ruvido e perentorio, palesando la mal disposizione per l’argomento e ritornando rapidamente ad illustrare le clausole dell’accordo.
Si spazientì percependo ancora il discreto ma insistente frugare della moglie, che gironzolava per la stanza spostando mobili, accovacciandosi, gattonando. E tossendo.
Edward la osservò imprimendosi una smorfia preoccupata. Quell’infiammazione alle vie respiratorie non accennava a darle pace. Gli strascichi di una gravidanza irregolare e di un parto travagliato, avevano sentenziato alcuni dottori.
Mai che ci fosse qualcosa di dritto nella sua vita, d’altronde.
Avevano consigliato, come palliativo, abbondante esposizione al clima salmastro. Di certo non le mancava, anche se da qualche mese avevano ridotto le traversate in mare aperto, dedicandosi ad attività diplomatiche, restando ormeggiati nel golfo di Libertalia.
Era stata lei ad insegnargli i vantaggi di sperimentare quel nuovo corso, pur sapendo con quanta difficoltà teneva a freno il suo animo battagliero. E irritabile.
Rintanandosi tra le gambe del tavolo e le sue, lo stava esponendo al facile dileggio di quei corrotti mascalzoni, con i quali la trattativa era già complicata.
Temette di perdere completamente la dignità.
- Vogliate scusarmi. – sussurrò a molari stretti e naso fumante, distanziando la sedia, chinandosi e acciuffandole la stola dei pantaloni, tirandola forzatamente in disparte dagli altri.
- Non so se ti sei accorta che abbiamo ospiti. - inspirò agitando le palpebre e di seguito dimenando le braccia - Ci stai facendo girare le palle degli occhi. E non solo quelle.
Ruth sbatté le ciglia e storse la bocca: - Ho perso Jack.
Lo avevano chiamato così. Il nome l’aveva scelto lei, d'impulso; lui aveva ribattuto che avrebbe preferito Jonah, ma che andava bene anche quello perché non avrebbe richiesto troppo spreco di fiato per rimproverarlo. Ipotesi che non aveva tardato ad essere verificata. Quel bambino era un mini uragano.
- Va a quattro piedi, non può essere sgattaiolato chissà quanto lontano! – dedusse Edward, cominciando ad inquietarsi quanto lei e a vagliare possibili tracce del suo passaggio.
La giovane donna lanciò un sorriso sbarazzino ai due convenuti che sfrigolavano spiandoli, e si genuflesse dietro un baule: - Non lo trovo di là.
- Diamine Ruth! Fai una sola cosa su questa nave: sorvegliare quel demonietto! – contestò il pirata, gesticolando con gli anelli, intravedendo il perplesso disappunto degli invitati.
- Stavo sonnecchiando solo un minutino, pensavo dormisse anche lui – si discolpò lei, estenuata.
Il piccolo Jack stava diventando ogni giorno più ingestibile. Suo marito le aveva premesso che sarebbero serviti polso e pugno duro per educarlo.
Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, in quel periodo era affetta da una larvata stanchezza e occuparsi di quel bimbo alquanto vivace la infiacchiva. Era sempre pallida, benché lo nascondesse con i lunghi capelli e con il trucco. Ma non si commiserava perché temeva che, se l’avesse fatto anche solo una volta, lui glielo avrebbe tolto.
Il tintinnio del sonaglio che gli aveva legato al piedino la rincuorò. Anche Edward aguzzò le orecchie ed entrambi si scambiarono un’occhiata d’intesa, intuendo che fosse infrattato tra le fusciacche penzolanti dei Capitani.
Ruth agguantò uno scialle di cotone, camminando sulle punte, intanto che il compagno si riaccomodava svelto a capotavola: - Allora, signori, la vostra risposta?
Con una rapida mossa la ragazza si abbassò e ghermì il frugoletto, avvolgendolo nel panno.
Jack protestò emettendo un acuto squittio che sbigottì England e Condent.
- La nostra scimmia da compagnia. Pessimo acquisto. – si affrettò a glissare stizzito Capitan Teague, aiutando la moglie che reggeva il fagotto scalciante e mugolante a richiudere la serratura malmessa.

Mezzora più tardi, congedati con un irresoluto arrivederci i due contrabbandieri, il Capitano della Dama di Nebbia si concesse una capatina nel suo alloggio.
La calura pomeridiana rendeva l’aria rarefatta e lo sciabordio placido delle onde che battevano sullo scafo impigriva i sensi. Puntò dritto all’amaca che, oscillando davanti all’invetriata, lo invitava a rilassarsi.
Una vocetta squillante lo fuorviò verso la branda. Il minuscolo scavezzacollo saltellava strillando sillabe a casaccio per richiamare la sua attenzione. Si soffermò a scrutarlo, ricambiato dal suo sorrisetto impertinente e da quelle biglie brillanti che aveva ripreso identiche dalla madre.
Non coglieva niente di suo in quel birbante cicciottello dai lineamenti gentili, eccetto forse l’indole incontentabile e testarda e l’insaziabile curiosità.
Faceva mille capricci, andava disciplinato e non vezzeggiato.
Una mano risuonante di braccialetti si interpose allungando al bimbetto un sacchettino di noccioline, che quello incominciò a sgranocchiare con gusto.
- Ancora rifiuti di credere sia tuo figlio? Guarda cosa stava rosicchiando! – gli rimbrottò Ruth, sbandierando un doblone e uno scellino.
Edward fissò impassibile i lucenti pezzi di metallo, si scompigliò la zazzera e li sgraffignò, conservandoli in tasca.
- Anche tu sei una ladra – bofonchiò con accento amarognolo e impastato.
La moglie scrollò le treccine girandosi di scatto e ritrovandoselo ad una spanna, nuvole nelle iridi brune, le nocche che battevano sul lato sinistro del torace.
Le sue labbra arrossirono componendo un armonico arco e attirandolo a sé, mentre le dita incominciarono a sganciargli i bottoni della giubba.
Lei era il vizio che viziava. Lo aveva derubato di tutte le sue sicurezze.
Su una questione, però, Capitan Teague era infine arrivato ad una risoluzione, inappuntabile come l’ammonitore segno della granata che aveva scalfito la parete della loro cabina nel corso di un fortuito agguato nemico.

La sua famiglia sarebbe rimasta ad aspettarlo alla Baia dei Relitti.



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NDA
1 Charlie Gibbs: la mia solita mania di trovare impensabili collegamenti tra personaggi ed eventi dei film mi ha suggerito di usare il cognome Gibbs: Joshamee  in gioventù conobbe Capitan Teague e suo figlio e li aiutò ad evadere di cella quando erano stati catturati dalla marina britannica. Ho pensato che avesse una predisposizione benevola per i pirati in virtù del racconto di un suo parente che ne era stato graziato. Mie opinabili speculazioni personali ^^
2 Il fatto che Teague abbia riconosciuto ufficialmente Jack come suo figlio solo in età avanzata, mi ha fatto presupporre due opzioni: 1) non credeva fosse davvero suo figlio (da cui il passato drammatico di prigionia e abusi che ho immaginato per Ruth); 2) lo detestava perché  lo riteneva responsabile della salute incerta e della malattia di Ruth.
3 Edward England e Christopher Condent furono dei corsari realmente attivi nel Golfo Indiano a cavallo tra Seicento e Settecento, epoca in cui Jack era un bambino molto piccolo.

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Capitolo 5
*** V - SALTY DOGS ***


E dopo diverse maree torno finalmente ad aggiornare questa long!
Salve ciurma! Come va? Vi risparmio le mie patetiche scuse per questa imperdonabile lunga attesa, ma purtroppo una serie di complicanze mi hanno impedito di potermi concentrare sulla scrittura fino a questa settimana. Ed è stato anche parecchio complicato rimettere insieme tutte le idee che mi ero appuntata, ma tant'è, alla fine ce l'ho fatta e mi sento anche soddisfatta :)

Vi avverto che si tratta di un capitolo più prettamente arancione degli altri, soprattutto per il linguaggio che ho scelto di adottare nei dialoghi sia per esigenze di realismo, sia perché ho una mia visione personale del perché Jack Sparrow sfoggi un linguaggio tanto forbito ed elegante (oltre al fatto che si tratti di un film Disney^^), ovverosia per rinnegare l'influenza che su di lui ha avuto l'ambiente malfamato in cui è cresciuto, e che ho cercato in parte di riprodurre.
Voglio segnalarvi anche che in questi giorni ho apportato alcune modifiche ai capitoli precedenti, non nel contenuto quanto nella forma e punteggiatura, snellendo e semplificando alcune parti che mi sembra non scorressero bene nella lettura. Ho anche aggiunto delle immagini alla storia, che potete trovare sia a fine capitolo, sia nell'album ancora in costruzione sulla pagina
https://www.facebook.com/pages/Fanny_Jumping_Sparrow/408300505866248?ref=hl

Concludo ringraziando tutti i lettori che hanno inserito questa storia tra le seguite, le preferite o le ricordate, e chi ha solamente letto e messo "mi piace".

Spero che la lettura vi sia gradita e che mi farete conoscere le vostre opinioni.
Al prossimo approdo!)



V - SALTY DOGS


Era sopravvissuto alla malasorte e a un buon numero di venti ostili, senza neppure averne avuto la cognizione, ed ora ronfava sereno, immerso nel tepore di un placido sonno sgombro da ogni sorta di assillo o tribolazione.
Invidiava la beata innocenza di quel mangiapane a tradimento, meditò amareggiato, rimasticando il bocchino della pipa e aspirando altro pungente tabacco.
Non diede cenno di disturbarsi neanche quando qualche nuvoletta di fumo gli si posò sulla testolina ricoperta di ciuffi neri. Riprese a ciucciarsi il pollice, rallentando fino a fermarsi con la bocca socchiusa e il pugnetto vicino alla guancia, rannicchiando le ginocchia che ormai sbattevano contro le sponde ristrette della nuova culla, ricavata da un piccolo barile tagliato a metà e imbracato in una rete.
Quella era la terza sistemazione che avevano dovuto cambiargli in meno di un anno. Il piccoletto era cresciuto a vista d’occhio e mostrava una tempra robusta, nonostante la sua costituzione stesse assottigliandosi.
Ruth quotidianamente lo rendeva partecipe di tutti i piccoli banali progressi di cui solo una donna sfaccendata poteva accorgersi con tanta accuratezza.
L’unico che a lui importava davvero, però, non si era ancora avverato. Gattonava e si arrampicava ovunque, ma pareva troppo pigro per stare su due piedi senza appoggi.
Almeno, se fosse stato capace di sorreggersi sulle sue gambe, avrebbe potuto cominciare ad insegnargli a reggere una spada; quella era qualcosa su cui era più che ferrato: non occorreva nessuna smielata pantomima, solo imparziale rigore. Tutto il resto lo avrebbe imparato vivendo e arrangiandosi, se ne aveva il talento.
Non voleva pensare che fosse tardo. Piuttosto che cincischiasse apposta perché lo divertiva indispettirlo. Era irriverente il suo modo di sogghignare.
Edward ciondolò la testa di lato, inalando un’ampia boccata di quell’aroma volatile per rilassarsi.
Quel folletto pestifero dirottava i suoi pensieri, istigandolo a sfociare nelle più assurde congetture.
Di fronte alle infinite monellerie con cui movimentava le sue ore di pausa dagli impegni marinareschi e dalle faccende con la ciurma, era scisso tra l’istinto di picchiarlo, dato che insulti e rimproveri non producevano alcun effetto, e l’impulso di scoppiare a ridere sarcasticamente, perché nemmeno lui sapeva capire da quale recondita parte di sé gli fosse scaturito l’incomodo di stare dietro a quel bastardello e sopportare le sue lagne senza accopparlo.
La verità era che mentre il ruffiano giocava con tutte le fesserie che gli capitavano a portata delle sdentate gengive, di tanto in tanto lo cercava, gli si accoccolava accanto con spontaneità, e poi lo guardava fisso con quegli occhi intelligenti, limpidi, fiduciosi, sprizzanti meraviglia e simpatia. E in quegli istanti, per qualche inesplicabile, assurda, ridicola ragione, la rabbia sbolliva, i nervi si acquietavano, la frustrazione svaniva. Si sentiva la persona migliore e più importante del mondo.
Ma si sarebbe disincagliato da quella menzognera convinzione. Vento e marea, lame e cannoni, sale e sangue, avrebbero contribuito ad incancrenirla e obliarla.
Era una pulsione estranea a un avventuriero della sua risma, abituato a cavalcare le onde selvagge di una vita sregolata e libertina, piantare radici, fosse anche in qualcosa di astratto ed effimero come un sentimento. Perché, dopotutto, forse, realmente stava affezionandosi anche lui a quel petulante, in qualche oscuro e insano meandro della sua mente.
In qualche modo in quei mesi aveva provato a inventarsi padre, per quanto non ne avesse la benché minima predisposizione, né una lontana aspirazione.
Né avesse avuto esempi da emulare. Il suo vecchio era crepato troppo presto, di lui non ricordava nulla, anche se aveva scelto di fregiarsi del suo cognome. E sua madre era sempre stata più un inflessibile Capitano, maggiormente coinvolta da tresche, arrembaggi e torture che dal curarsi di capire i suoi bisogni, al punto che lui stesso li aveva rinnegati, considerandoli futili e sbagliati.
Insomma, continuava a sembrargli innaturale concepirsi genitore. Ma era accaduto e nulla avrebbe potuto sconvolgerlo di più.
Nella sua smaliziata immaturità Ruth sembrava aver retto meglio quel ruolo. Per lei Jack non era tanto diverso da un cucciolo, un balocco con cui si trastullava allegramente dalla mattina alla sera, dimenticandosi di dividere il companatico con un ammasso di scomunicati e fuggitivi.
E di essere cagionevole, oltretutto, malgrado l’ultima lunga traversata oceanica pareva aver alleviato i sintomi più aggressivi di quel debilitante malanno, e con essi quel fremito freddo che lo assaliva nel vederla vacillare.
Eppure sentirsi bene in fondo aveva un retrogusto che lo inquietava.
Sapeva che abbandonarli sarebbe stata la scelta giusta, erano una distrazione troppo deplorevole, l’aveva ponderato dal principio, ma era come se migliaia di pulci gli camminassero in testa, sulle braccia, per la schiena, ogni volta che ci ripensava e provava ad immaginarsi come sarebbe stato non averli intorno e probabilmente non rivederli mai più.
Lo avevano ignobilmente imbrigliato.
Capitan Teague rovesciò sul palmo la restante polvere di nicotina sedimentata nel fornelletto e la sniffò, gettando il piccolo narghilè su un cumulo di cianfrusaglie lì vicino.
Aveva già disonorato in mille occasioni il Codice, lui che sin da quando aveva memoria desiderava esserne un insigne modello di correttezza. Dicevano che i leggendari Henry Morgan e Bartholomew Roberts l’avessero fatto trascrivere in un grande libro, perché venisse rispettato e ricordato. Certi smidollati consideravano fosse soltanto una sommaria sfilza di pratici dettami che si potevano ignorare a piacimento, per il proprio egoistico tornaconto. Per lui invece rappresentava l’unico esile legame con la civiltà da cui fuggivano costantemente, un monito per rammentarsi di non essere più meschini e abietti dei sedicenti gentiluomini in calzamaglia che li perseguitavano, disprezzando il loro stile di vita debosciato.
Lo aveva bene inculcato nelle meningi, il Codice. Aveva imparato a parlamentare, ma un pirata non poteva sempre starsene alla fonda. Aveva appena ventisei anni, si sentiva forte, invincibile, pronto ad affrontare le più ardue imprese e soprattutto a stroncare le malelingue che avevano iniziato a calunniare la sua astensione dalle battaglie.
C’erano priorità su cui non poteva più soprassedere e leggi che non poteva più infrangere, se intendeva mantenere la sua autorevole carica nobiliare. Come non poteva pretendere che la sua turbolenta marmaglia, esposta in ogni stagione alle intemperie della navigazione, tollerasse anche il suo perdurante traviamento, rimuginò fosco.
Avvertendo lo stridente cigolio della sgangherata rete della branda si voltò a scrutarla.
- È incredibile che sia così calmo. Che razza di intruglio gli hai somministrato ieri sera? – farfugliò a tono smorzato, scoccandole uno sguardo allibito.
Ruth si stiracchiò con un sorriso: era sempre raro sorprenderlo accanto al loro bambino.
- Ho soltanto accolto il tuo suggerimento … - si scagionò sorniona, canticchiando sottovoce e districandosi oziosamente tra le lenzuola ingarbugliate a caccia della biancheria intima – Gli ho mescolato un goccio di rum nello sciroppo per le coliche. E l’ha bevuto tutto, senza capricci – gli rivelò con cipiglio imperturbabile, rientrando nella veste di raso ricamata e additandogli una bottiglia appoggiata su una cassa.
Edward molleggiò sulle gambe, esaminando stupefatto il liquido incriminato: - Questo è gin distillato, Ruthie – bisbigliò afferrando la bottiglia ambrata e constatando controluce che la sua concezione di “goccio” corrispondeva ad una quantità piuttosto abbondante – In pochi riescono a tracannarselo puro. E, per inciso, non l’avevo assaggiato neanch’io, ancora … – gorgogliò con una punta di ripicca, nascondendo il liquore in uno stipetto che sigillò di nuovo con un lucchetto.
- Oh! – si strozzò la ragazza, oscillando in un silenzio costernato verso la culla sospesa ed elargendo leggeri massaggi insicuri al piccolo Jack, col tremore in gola, timorosa di scoprire se respirasse o meno.
Il marito scrollò le spalle, finendo di affibbiarsi i pantaloni con un ghigno lupesco: - Comunque, avresti dovuto darmi retta da subito. Era da quando è arrivato il piscialletto che non riuscivamo più a spassarcela con tutti i crismi … - le sussurrò tra i capelli con una risata gutturale e secca, distogliendola dal figlioletto che continuava a dormire pesantemente.
- Con tutti i crismi?! - lei ruotò il collo con un risolino, incontrando l’attrito del suo torace scoperto, cui aderì perfettamente con la schiena - Non eri così pudico stanotte … - lo stuzzicò guardandolo di sottecchi, attorcigliando i nastrini della sottana che aveva trascurato di riallacciarsi.
- Ti ho detto un po’ di sconcezze … – vibrò lui in un rauco afflato, strusciando il naso contro la sua spalla, addentandola e succhiandola, mentre con le dita scendeva ad infierirle sui languidi fianchi, addossandoli ai suoi duri, sgualcendo la stoffa sottile che li ricopriva.
Ruth gemette piano, avvinghiandogli un braccio dietro la nuca e catturandogli la mano che le solleticava un capezzolo: - Sei stato abbastanza insolente … – ansimò nel suo orecchio in un’ironica accusa, inebriandosi al ricordo delle ruvide carezze e dei dissoluti mormorii con cui le aveva scompensato i battiti, spogliandosi del suo solito riserbo. Si punse poi nel baciargli la mascella e le labbra con cui Edward si addentrò nella sua scollatura, impedendole di allacciarla, marchiandole di calda saliva la pelle che odorava ancora di loro.
Si erano profanati senza riserve, con avidità, con le mani e con la lingua, fino a restare scabrosamente nudi, nell’anima più che nelle membra, soggiogati da un bisogno sincero e appassionato che il muto rimpianto per l’imminente separazione aveva reso più dirompente.
Forse si erano amati, a prescindere da tutto il resto, perché erano consci che non potevano sperare di resistere al tetro e micidiale salasso del tempo che li avrebbe divisi.
Un campanellino e un gridolino risuonarono con insistenza, dissuadendo la loro ritrovata intimità:
- Yo oh! Yo oh! – scalpitava Jack, più sveglio e pimpante che mai.
Edward e Ruth mugolarono l’uno contro la bocca dell’altra, volgendosi apaticamente verso lo scalmanante bambino.
Il pirata allentò la stretta possessiva sulla sua improvvida amante con un digrigno irresoluto, ristendendole sul ventre la camicia stropicciata che stava per sfilarle di dosso.
Lei si allungò a prendergli il viso ed estorcergli un altro bacio, cui lui contraccambiò con un secondo e un terzo, finché il bambino aumentò quegli strilli acuti per richiamarli e, sollevandosi con una spinta decisa, impresse una brusca sbandata alla culla.
Vedendoli avvicinarsi il piccolo Jack mostrò gli unici due dentini spandendo una risata squillante, e aggrappandosi al bordo, tentò di scavalcare e scendere.
Edward attutì tempestivamente quell’eccessivo dondolio afferrando i due canapi che sostenevano la nassa, prima che si ribaltasse e la caduta desse al moccioso il pretesto di incominciare a piagnucolare, come le altre volte.
Incrociando quello sguardo severo il piccolino smise di guaire e di agitarsi e affinò i grandi occhi birbanti tendendo le corte dita su quelle del padre, intrigato dai suoi grandi anelli colorati che provò accanitamente a svitare. Quella sua buffa e caparbia intraprendenza gli suscitò una ruga minuscola sulla guancia che si allargò lentamente fino allo zigomo.
Ruth fissò ammutolita ed esterrefatta l’inconsueta confidenza tra i due, restando in disparte.
Prima di inciampare in quel ragazzo era convinta che sarebbe rimasta da sola, invece adesso erano in tre.
Avrebbe voluto che lui e Jack familiarizzassero di più, ma Capitan Teague si teneva sempre a debita distanza, quasi un contatto più stretto gli incutesse una qualche ostica repulsione. O paura.
Da quando era nato, non le aveva concesso altro che la stitica soddisfazione di aiutarla, davvero in episodiche circostanze, se lei era ragionevolmente impedita, a controllare che non combinasse pasticci o si ficcasse in qualche guaio. Aveva dovuto ingegnarsi a scovare svariati accorgimenti per evitare che causasse danni, a se stesso più che a quegli sparuti oggetti preziosi e frangibili che lo circondavano. Trovava sempre qualcosa di nocivo con cui giocare: chiodi, chiavi, coltelli, vetro.
Una volta era strisciato fino alla sala nautica e, appendendosi ad un drappo steso sul tavolo, si era rovesciato addosso piatti, bottiglie, mappe, calamaio, candelabri, sporcandosi di inchiostro, liquore e zuppa, ferendosi con i cocci e la cera bollente.
In un impeto d’ira e di sconforto lui l’aveva sculacciato rudemente, imponendole di lasciarlo digiuno e sudicio per due giorni, ma da allora non aveva più osato sfiorarlo con un dito.
Al massimo usava la spada con il fodero per agganciarlo dal pannolino e allontanarlo da posti e arnesi pericolosi, che abbondavano nel disordine affollato dei loro alloggi.
Ora invece gli permetteva di prendersi quella licenza, alla sua semplice espansività reagiva con un blando sorriso, incrinato da una latente nostalgia per la perduta libertà. Perché per uomini vissuti al di fuori della mediocrità il terrore più inconfessabile, più di qualsiasi patibolo, maelstrom o piaga purulenta, erano le catene. E lei e suo figlio rappresentavano questo per lui.
Neanche sapeva perché avesse patito di restargli accanto tutto quel tempo.
Il giorno in cui avevano levato precipitosamente le ancore da Libertalia ed Edward l’aveva informata che sarebbero andati dall’altra parte del mondo e le aveva spiegato, calmo e inoppugnabile, che quella parentesi andava rimossa per una questione d’onore e che non avrebbe mai dovuto attaccarsi a lui, lei aveva assunto un’espressione funerea ma non si era pronunciata.
L’angoscia e il dolore erano esplosi dentro, senza rumore, mentre dormivano appiccicati nella stessa scomodissima amaca, senza fiatare.
E da quella volta avevano discusso ancora meno, lei incapace di esprimersi al meglio nel suo inglese ibrido e basilare, lui affumicato e distratto da presunti complotti.
Eppure poche ore prima non aveva disdegnato di tenerla aggrovigliata al lato più nascosto di sé, là dove si era incastrato il suo stolto cuore, cocciuto anche nel ricadere in errori che potevano spezzarlo.

- Isola dei Relitti! A dritta di proravia!

Si era imposta di mantenere sempre l’animo scevro da pensieri sgradevoli, di perseguire la ricerca dell’equilibrio, di apprezzare il lato positivo celato in ogni calamità, ed era sempre stata diffidente nei sentimenti.
Tutti propositi pleonastici.
Immaginarsi in sua assenza le dava l’impressione di menomarsi, di perdere un pezzo non indispensabile ma ugualmente mutilante di sé.
E tornare alla fissità della terraferma arginava ogni stimolo, la immalinconiva. Si era sempre sentita inadeguata a terra. In una vita precedente era stata sicuramente un pesce o un uccello marino. Non c’erano altre spiegazioni, ragionò.
Un lieve tocco spense quel brusio di farfalle che le turbinava nei timpani e la frastornava. Ricambiò con iridi vitree la sua occhiata intensa e interrogativa, schiudendo le labbra in un sorriso opaco.
- Sbrigati – le intimò con una nota di disapprovazione Edward, volgendo un cenno sghembo al bambino, ritraendo le dita ma non le pupille da quella venuzza che le pulsava in mezzo alla fronte. Compariva tutte le volte in cui naufragava nelle sue strane meditazioni di cui lui si era rassegnato a non domandarle più, per risparmiarsi altri grattacapi, le aveva borbottato scontrosamente dopo che gli aveva rivelato alcune sue eccentriche elucubrazioni.
- Hai sentito o no? Siamo arrivati – le schiaffò con parca euforia, appartandosi dietro un paravento.
Lei gli annuì fingendosi serena e, spiandolo vagliare il guardaroba contenuto in un baule, selezionando gli indumenti più nuovi e meno usati, ebbe la conferma che nutrisse grandi aspettative per quel luogo famigerato e sconosciuto.
Un urgente bussare alla porta lo fece allontanare in sala nautica. Udì l’accento nasale di Ismael col quale iniziò a scambiare opinioni in gergo marinaresco riguardo alle precauzioni da adottare per attraversare indenni il rischioso passaggio che costituiva l’unica via d’acceso a quell’isola.
Lo avevano battezzato col sinistro nome di Gola del Diavolo, perché negli anni aveva reclamato parecchie navi che tentavano di oltrepassarlo ...
- Gnagnaaaa! Brassoo!!
Jack ricominciò a lamentarsi sporgendosi verso di lei e Ruth lo afferrò appena un attimo prima che volasse giù, stringendoselo al petto con un sospiro. Si inginocchiò recuperando con difficoltà un bacile, una brocca e una pezza di lino, posandolo su dei cuscini sistemati per terra per cambiarlo e lavarlo. Aveva commesso anche lei dei maldestri sbagli con quel neonato, tacendo inoltre i più imbarazzanti, tra i quali l’ubriacarlo con un infuso alcolico non era stato certo il più deprecabile, rammentò tastandogli il bernoccolo nascosto tra le crespe frange della fronte.
Era stato uno spiacevole inconveniente, non avrebbe dovuto diventare madre, non ne aveva alcuna vocazione, ma poi lo aveva fortemente voluto credendo che avrebbe lenito quella deprimente solitudine che non accennava ad abbandonarla.
Lo adorava, tuttavia da un po’ dava la colpa a lui se si sentiva pesante e vuota.
- Śiva kē pyāra kē li'ē! Abhī bhī thōṛā bavvā khaṛē hō jā'ō! ("Per amore di Shiva! Sta' fermo, piccola peste!" nda)
Jack si zittì e cessò di sgambettare e dimenarsi, ma Ruth scorgendo l’ombra sulla parete antistante a sé comprese che non era stato grazie alle sue invettive in hindi.
Capitan Teague si ripresentò alle sue spalle brandendo un rasoio e una cinghia su cui ne affilava la lama, producendo un secco stridio. La fissò ammiccandole sbilenco: - Voglio che ti metta in ghingheri. La roba migliore che abbiamo rubato. Che schiattino tutti d’invidia.


Oltrepassare l’angusto traforo che sventrava le granitiche scogliere laviche circondanti quel cratere inattivo aveva richiesto molta perizia. Tutta la ciurma aveva dovuto sacrificare occhi e braccia, perché la minima svista avrebbe prodotto danni irreparabili, poteva equivalere ad affondare e andare ad ingrossare così le fondamenta dell’isola stessa, composte di nient’altro che carcasse di velieri di ogni epoca e stazza accatastate l’una sull’altra.
Soltanto all’imbrunire un’intricata foresta di alberi, fari e vele apparve finalmente innanzi al rostro della Dama di Nebbia.
Per uomini assuefatti alla monotonia dei paesaggi marini e alla grettezza delle località portuali, la Baia dei Relitti era uno scenario di rara magnificenza, uno sfavillante e ipnotico alveare di luci, un nascondiglio sicuro e rispettabile, disonesto e lussureggiante, che con le sue molteplici bettole, mescite e botteghe prometteva svaghi smodati e affari illeciti a iosa.
Il rifugio ideale per gente cupa, violenta e ladra, nemica dell’ordine e di qualunque legge morale. Sebbene nessun luogo potesse essere confortante ed eccitante quanto il mare. La sua anima combattiva e inappagata ambiva a lanciarsi verso altri miraggi, altre conquiste, oltre le rotte tradizionali. Era davanti ad un timone che si sentiva davvero vivo, rifletté Edward, percorrendo assieme alla sua banda di manigoldi, e con Ruth saldamente agganciata al gomito, quelle strade chiassose e gremite in cui razzolava un’orda di individui indaffarati, bianchi, neri, gialli.
Si incontravano e scontravano, trafficavano, bevevano, scommettevano, duellavano a colpi di pistola e di sciabola, si azzuffano con pugni, calci e bottiglie, rotolandosi nei maleodoranti acquitrini e ostruendo il cammino.
Perfino le meretrici che, strizzate nei loro abiti appariscenti, starnazzavano sulle soglie dei bordelli, pavoneggiando le proprie mercanzie e sciorinando un assortito repertorio di frasi sboccate per adescare gli avventori, si accapigliavano e si scambiavano schiaffi, spintoni, graffi, disputandosi il miglior offerente.
Risse, furti, omicidi e rapporti promiscui si consumavano impuniti in uno stridente sottofondo di musiche e canti allegri, suonati da mandolini, violini e fisarmoniche ad ogni crocevia.
I nuovi arrivati si unirono alla malsana ebbrezza di quel clima sordido e giulivo, disseminandosi tra le innumerevoli vie in cerca di goliardiche attrazioni con cui rimpinzarsi e farsi spennare.
Ma il previdente Edward aveva appreso che l’Isola dei Relitti era anche il covo prediletto di quanti, per tedio, vecchiaia, insuccesso, pusillanimità o inespresse cause di forza maggiore, avevano deciso di ritirarsi dalla pirateria pura e cruda, non rinunciando ad un’esistenza libera e criminosa. Era certo che qualcuno che conosceva molto bene frequentasse quella corrotta mischia, avesse già saputo del suo arrivo e lo stesse attendendo in uno di quei locali malfamati.
D’altronde l’attracco di un maestoso vascello munito di una bandiera sventolante uno scheletro che infilzava un cuore con una lancia non poteva essere passato inosservato. Come Pirata Lord del Madagascar aveva fatto furore nelle Indie Orientali, e volle pensare che fosse l’ottundimento della gozzoviglia a renderli incapaci di comprendere che personaggio di rispetto fosse giunto tra loro.
Capitan Teague e la sua consorte proseguirono il giro della città, sfilando con il loro contegno distaccato e aristocratico tra il degrado dominante, attirandosi le occhiate attonite e incuriosite degli abitanti del luogo che, ignari di chi fosse quella coppia di forestieri stravaganti, li segnavano e commentavano con ingiurie e spari di schernimento il loro passaggio.
La folla scalmanata che li seguiva si andò diradando e zittendo solo quando raggiunsero l’entrata di una delle locande più famigerate recante l’essenziale ma suggestiva insegna "Cutlass".
Una prorompente figura dal portamento fiero e altezzoso, avvezzo al comando, si fece largo tra la vociante calca, scansando chi la intralciava a suon di maledizioni, gomitate e cazzotti. La donna dalla selvaggia chioma arruffata e ingrigita, a suo agio in abiti di foggia maschile ingentiliti unicamente da alcuni fronzoli di pizzo sulla camicia e da un corsetto fiorato, si mosse con passo autoritario, alzando il mento e inchiodando lo sguardo fervoroso sui due.
Portando una mano su un fianco e un’altra sulla cintura adornata di sputafuoco e pugnali, li squadrò con aria sprezzante e giudicatrice, inasprendosi nell’ammettere che quell’insulsa unione perdurava. Quasi non si distingueva lui da lei o lei da lui. Sfoggiavano entrambi costumi sfarzosi e ricercati, di tipico gusto orientale, della stessa tonalità vivace e frivola, ed erano agghindati di monili e gioielli che ostentavano lusso e potere.
Quella vanitosa ragazzetta esercitava una cattiva influenza sul suo pupillo.
- Conduci ancora questa miserabile con te? È un’indecenza! – tuonò scandalizzata, calcolando la mira con un paio di coltellacci.
Teague aveva fatto il callo alle sue bizze, e accorciò le distanze senza alcuna circospezione, contrastando i suoi occhi inflessibili e furenti: - Il mare me l’ha affidata, madre. Ed io la affido a te, adesso.
Il suo tono era stato così fatidico e inconfutabile da raggelare ogni sua altra lecita illazione. Il suo discendente non era mai stato blasfemo, ci credeva seriamente in una volontà imperscrutabile che governava quell’elemento, era tanto audace nello sfidarlo, quanto prudente a non contrastarlo.
La Capitana Sparrow ritornò a studiare Ruth che era rimasta poco indietro e allora scorse anche lui, un tenero bambino dall’espressione birichina che, tutto infagottato, faceva capolino da dietro la sua testa, sbadigliando annoiato dalla confusione.
Si chiese se non fosse un altro subdolo dono del mare.
La piratessa sputò a terra un grumo di catarro e brandy: - Puttana la miseria! Ti sei proprio inguaiato, figlio mio!

Aveva ordinato un tavolo e una sala riservata, impartendo all’oste di preparare loro le migliori vivande e specialità gastronomiche che poteva offrire ai consumatori di riguardo, insistendo per pagare di tasca sua ogni richiesta, affettando gentilezza e ospitalità.
Nonostante tutte quelle accortezze Ruth non si era ricreduta sul suo conto. Le diede prova di superiorità accettando e ringraziando, ma non dimenticava la tagliente umiliazione cui l’aveva sottoposta la prima volta. L’aveva ritenuta bugiarda e indegna, e sospettava che la sua estemporanea redenzione fosse soltanto di facciata.
Li osservava confabulare e chiacchierare serratamente, dall’angolo in cui l’avevano lasciata, non riuscendo ad origliare gran che delle loro parole nello schiamazzo di voci, bicchieri che urtavano e canzoni.
Un affetto singolare e crudele li legava. Si criticavano con asprezza ma poi cercavano la reciproca approvazione.
Il risentimento e l’irritazione le chiusero lo stomaco, impedendole di svuotare la saporita scodella di pesce arrostito e verdure.
Nel frattempo si era sparsa la notizia della loro visita e altri eccentici soggetti erano accorsi per brindare e salutare.
Erano fuorilegge, mascalzoni, ladri, predoni, briganti, criminali e condannati.
Sottospecie di parenti” li aveva definiti Edward, impicciandosi lui stesso a presentarglieli.
C’era Quick Draw Mc Fleming, sorellastra della Capitana, di dieci anni più giovane, abilissima con la spada tanto da essersi meritata quel soprannome 1. Capelli rossi, cipiglio astuto e provocante, il trucco esagerato e il bustino attillato ne evidenziavano le fattezze ancora piacenti sebbene segnate dagli eccessi di una gioventù sfrenata. Aveva seppellito tanti mariti quanti erano gli anelli che indossava, e aveva messo a profitto la sua facoltà procreatrice dando alla luce una nidiata di bastardi che la seguivano ovunque seminando zizzania.
Mabeltrude, detta la Violenta Visionaria, era un’anziana cugina dall’apparenza afflitta e svampita. imbacuccata in un logoro vestito nero, stinto come gli stopposi capelli acconciati di nastri e trine. Carica di collanine, croci, pentacoli e amuleti vari, si era invaghita di magia nera e spiritismo dopo aver perduto il suo amatissimo promesso sposo in una tempesta. E sostenevano che da allora parlasse più con i defunti che con i vivi e fosse in grado di prevedere le catastrofi.
Infine si erano uniti al loro tavolo i meno stimati Ace e Hazel Brannigan, marito e moglie, squattrinati ubriaconi che non avevano mai avuto troppo successo come filibustieri per la loro fobia dei temporali e la loro scarsa propensione con le armi.
Avevano tutti incredibili storie da raccontare, progetti ambiziosi e sogni che li avrebbero portati altrove in futuro. In quel contesto Ruth si sentì un inutile fardello di cui non importava niente a nessuno. Pensò che aveva avuto coraggio a restare accanto a quell’impetuoso lupo di mare, non sapeva però se gliene fosse rimasto altrettanto per aspettarlo.
Jack era diventato irrequieto, rifiutandosi di farsi imboccare, e a lei scoppiava il cervello in quell’ambiente untuoso e confusionario in cui si susseguivano spari e lanci di bottiglie, urla sguaiate e osceni amplessi.
Un bisogno irrefrenabile di scappare si impadronì dei suoi nervi, così corse fuori. L’aria non era tanto più respirabile, in quell’incessante via vai di carretti, gruppetti di duellanti, coppiette barcollanti. Per il timore di smarrirsi in quella convulsa baraonda, indugiò sulla strada davanti al locale, riparandosi sotto una tettoia.
I vestiti avevano assorbito il tanfo del fumo della carne arrostita e i raffinati stivaletti di cuoio dorato si erano tutti rovinati camminando tra i rivoli di sangue, alcol ed escrementi che intorbidavano le vie lastricate di ciottoli ma fangose per la salsedine, la segatura e i liquami che si mescevano alla polvere pirica e alla sabbia, creando una poltiglia dal lezzo vomitevole.
- Girava voce che quel fottutissimo bastardo avesse preso moglie. Pensavamo tutti che fossero solo fandonie. Ora che ammiro il tuo straordinario splendore, posso assicurarti che capisco benissimo quali sporche turbe devi aver suscitato in quelle sue palle flosce …
L’indiana si appiattì contro uno stipite, riavvolgendosi nello scialle: - Già. Abbiamo avuto un bambino meraviglioso – rigurgitò acidamente, mostrandogli il bebè imbracato con una fascia sulla sua schiena, cercando una via di fuga, ma incrociando solo altre facce guerce e ubriachi che volevano toccarla. Lo sconosciuto interlocutore lanciò loro dei sassi, disperdendoli.
- Ti prego, non intendevo importunarti. Non sono un coglione maniaco come la maggioranza di questi pezzenti. Ma se fossi tuo marito, non lascerei allontanarti da me neppure un istante.
Il giovane uomo le rivolse un sorriso gentile, porgendole la mano e aiutandola a scendere le fradice scalette su cui si stava inerpicando. Vestito con sobria eleganza, era belloccio, capelli e occhi chiari, di cui il bagliore rosso delle torce non rendeva apprezzabile la precisa tonalità, alto, il fisico snello e i tratti gentili, e un modo di parlare e di sorridere che risultavano affabili, nonostante la bocca carnosa e maliziosa usasse un linguaggio volgare.

- E lo scimmiotto? Perché mai l’hai graziato?
Edward si spettinò i capelli che poggiavano sulle spalle, terminando di masticare: - Quel marmocchio è una vera scocciatura! – sbottò ingurgitando un’altra sorsata direttamente da una bottiglia - Si è impuntato ad esserci a tutti i costi. Ho voluto concedergli la possibilità di scoprire quanto abbia sbagliato ad insistere ...
Sua madre, sempre pronta a disapprovare, stavolta lo ascoltava lisciandosi il collo rattrappito, e intanto si congratulava con se stessa, perché il suo beniamino ragionava proprio come lei. Gli fece notare, però, con un sogghigno beffardo rivolto alla sedia vuota, che i suoi protetti erano spariti.
Il pirata imprecò, scagliò il boccale di birra e passò sopra i tavoli, calpestando teste, gambe e piedi per raggiungere più rapidamente l’esterno, riscaldando il grilletto, preparandosi a far pentire per sempre chiunque avesse osato torcere un capello ad uno dei due. Prima di inoltrarsi in qualche vicolo cercò nelle vicinanze e dopo non meno di un paio di minuti la vide, restando insolentito e spiazzato nel riconoscere con chi stesse parlottando.
- Rusty Knickers 2! Stramaledetto succhiacazzi! È una nefasta sorpresa rincontrarti in questo stimabile luogo!
L’antico rivale si trattenne dall’infilzarlo, poiché era conscio della rapidità di quel furfante nel rispondere agli attacchi e della sua freddezza nell’eliminare chi intendeva volgergli un torto.
- Ci si rivede Eddy. Quanto tempo, vero?
Teague detestava dall’infanzia quell’ipocrita, detestava lui e quella sua bella faccia d’angelo, così pulita e perfetta, capace di nascondere le più ripugnanti colpe: - Di’, per quale ragione un truffatore giramondo si è infognato in questo buco?
Rusty ridacchiò stizzito, rivelando con mesto rancore: - Ho avuto delle noie con questa gamba dopo il morso del tuo corvo 3 – e guizzò le iridi cerulee su di Ruth, toccandosi lo stinco destro con la gruccia che finora aveva nascosto – Così mi sono trasferito qui ed ho avviato una lucrosa attività grazie al sostegno di alcune dame disponibili. Potrei offrire vitto e alloggio alla tua famiglia. Volendo ci starebbe pure qualche remunerativo lavoretto per la tua incantevole signora … - gli strizzò l'occhio aizzandolo con enfatica offesa.
L’interpellata si staccò dal muro, infastidita e delusa, per rintanarsi dietro il marito, ghermendolo.
- Fottiti, piattola schifosa. Non abbiamo bisogno della tua fraudolenta carità. Tu, al contrario, dovresti riguardarti e tenerti cara la gamba che ti è rimasta – fu l’espressiva minaccia di Capitan Teague, mentre rinfoderava la pistola pensando che non fosse opportuno far schizzare via la ridotta materia grigia di quell’avvoltoio davanti all’impressionabile moglie, trascinandola via da quel profittatore.
Nel vederla adoperarsi affranta e scossa a chiedergli scusa, congiungendo i palmi e chinandosi, non trattenne l’ilarità:
- Non dovresti dare confidenza a certi immondi rifiuti di sentina – le bisbigliò bonariamente, scostandole una ciocca dalla guancia arrossita.
- Hanno sfornato un pupo! – proruppe la vegliarda Mabeltrude zoppicando fuori, riemergendo dalla catalessi e rendendosi conto in quel mentre del nipotino appisolato sulle spalle della ragazza dalle lunghe trecce - Perbacco, Gracie! Allora sei nonna!
- Nonna un corno! - obiettò la cugina, tendendole uno sgambetto col suo bastone - Al prossimo che si azzarda a ripeterlo, gli strappo le budella e le uso come giarrettiere!
Il suo rabbioso sbraitare risvegliò Jack in un pianto disperato che costrinse Ruth a riprenderlo in braccio e cullarlo con una fiaschetta di masala chai 4.
- Guarda che non è così tanto malvagia … - disse con poca convinzione Edward, cogliendo l’impallidimento avuto dalla ragazza – … quando è completamente ubriaca … Una dozzina di pinte erano sufficienti - specificò cauto, assistendo alle sadiche e fantasiose intimidazioni con cui la sovversiva filibustiera si aprì un varco nel raggio di una ventina di metri, fungendo da guida nell’escursione del resto dell’isola, di cui conosceva a menadito ogni più sperduta viuzza o aneddoto sui suoi residenti.
Li accompagnò fieramente su per quelle stradelle tortuose e irte fino in cima alla collina, dove sorgeva l’edificio più importante.
La Grande Camera del Consiglio dei Pirati era un santuario pagano della filibusta, sede delle riunioni della Fratellanza e della reliquia più mitica, il Codice.
Sua madre narrò dei Consigli cui lei stessa aveva partecipato in prima persona, e fu ascoltando quel racconto che Edward Teague avvertì rinfocolarsi nelle vene il desiderio di compiere qualcosa di grandioso e memorabile. Qualcosa che gli avrebbe permesso di ottenere il riconoscimento e la stima di tutti gli altri compagni capitani che solcavano gli oceani e di vivere in pace gli anni della maturità, quando non avrebbe più avuto la forza per guerreggiare con la stessa ribollente passione che adesso lo chiamava lontano da lì.
Non voleva raggiungere quelle vette solo per gloria personale, comprese, accarezzando con una discreta sbirciata quel visino liscio e paffutello che sprizzava bontà e onestà, doti sconsigliabili in un universo tanto insidioso.

L’orizzonte racchiuso oltre l’imponente fortezza rocciosa irradiava già i primi chiarori dell’alba. Le locande si svuotavano dei loro ingordi frequentatori nottambuli, mentre nelle banchine semideserte brulicava l’attività di imbarco degli equipaggi in partenza.
La Dama di Nebbia era fra i velieri che si sarebbero avvantaggiati dell’altra marea portata dalla luna piena per salpare. Ricambi e approvvigionamenti erano stati approntati durante il breve stallo, l’avevano preparata a riprendere il mare aperto per un mese buono e il Capitano non aveva manifestato alcuna intenzione di temporeggiare, tanto che alcuni si erano ritirati, sostituiti da altri volontari che sognavano di acquisire con lui fama e ricchezza.
Non si aspettava di vedere fiumi di lacrime a bagnare le sue ciglia, ma neppure quella tranquilla rassegnazione. Edward la guardava provando una balorda gelosia. Ruth riusciva a staccarsi in maniera semplice e spensierata dal mondo circostante. Non era tragica né disperata, probabilmente non comprendeva del tutto quello che stava succedendo, o lo sminuiva per la sua solita tendenza a prendere la vita alla leggera.
- Lo vedi, Jack: tuo padre è un inguaribile musone. Tu invece devi sorridere sempre, qualunque cosa accada – istruiva il monello che teneva tra le braccia e che si divertiva a farle tintinnare le perline – Ne va del tuo karma – lo ammonì semiseria, ma il bambino si era distratto perché attratto dall’orecchino di zanna di coguaro che dondolava tra i capelli del pirata, verso cui allungò i ditini.
- Begli insegnamenti – balbettò quello in un misto di sarcasmo e avversione, scostandosi per impedire a Jack di tirargli i pendenti.
La compagna invece glielo affidò a tradimento, mentre sistemava meglio la carrozzina che le zie del marito le avevano prestato. Edward si impacciò nel reggere lo smanioso bambino, dissuadendolo inutilmente da quel gioco che lo stava irritando, e nel contempo fremette nel sentirlo morbido e tiepido. Sapeva di buono, genuino e incorrotto, proprio come lei.
- Preferiresti che piangesse? – lo punzecchiò candidamente Ruth, riprendendo il figlioletto e riponendolo dentro il trabiccolo – Che piangessimo? - sussurrò specchiandosi nei suoi occhi.
Lui schioccò la lingua, guardando distrattamente il fermento dei marinai nella rada, incapace di sconfiggere l’orgoglio e la riservatezza che conferivano alle sue parole quell’intonazione involontariamente scorbutica: - Preferirei non averti mai sfiorato.
I loro sguardi timidi cozzarono in una gara di resistenza.
Ruth non voleva che la credesse inconsolabile o troppo debole per poter resistere a qualche mese di lontananza, perciò esitò nel buttargli le braccia al collo, anche se dal suo viso sgorgarono affetto e languore e finì per sfiorargli la fronte con la sua, prendendogli le mani e poggiandosele sulla cinta.
- Contieniti malandrina! Così me lo sveni! – gracchiò la Capitana artigliandola per un polso e staccandola con forza dal marito, respingendola indietro, lamentandosi che, senza lo notassero, la carrozzella era stata urtata da due marinai, aveva ripercorso a ritroso tutto il molo, travolgendo altri uomini, e sarebbe caduta in acqua se la sua traiettoria non fosse capitata davanti al suo bastone.
- Adesso il mio Eddy ha cose più importanti di voi due cui badare – sostenne indiscutibile, alludendo alla culla sobbalzante per l’agitarsi del piccolo.
La ragazza si fece da parte, imbarazzata e inebetita, avviandosi con Jack alla fine della banchina, salutandolo con un altro sorriso intenerito e rammaricato.
- Oh, non preoccuparti. Non si sentirà troppo sola. Siamo una grande famiglia. – affermò con ipocrita premura sua madre, mostrando il rubino incastonato tra i denti.
La sua piccola Ruth avrebbe dovuto sfoderare carattere e crescere. L’avrebbero massacrata, era palese. Lasciarla lì equivaleva a gettarla in una vasca di barracuda. Tuttavia Capitan Teague considerò che sarebbe stato bello avere qualcuno da cui tornare di tanto in tanto, qualcuno che lo avrebbe accolto senza puntargli contro una canna fumante. Un arcobaleno dopo la burrasca.
Quel dolce pensiero lo avrebbe tenuto vivo.
Risalì la passerella con l’ubriacante sensazione di essere sull’orlo di un nuovo soddisfacente inizio.


Le piante dei piedi iniziavano a dolerle e le bruciava il fiato. Non avrebbe mai imparato a orientarsi in quel labirinto di costruzioni pressoché identiche, tutte ricavate da scafi di vecchie navi. Ruth non poteva far altro che accodarsi con fiducia alle due disoneste parenti acquisite.
Quick Draw licenziò con alcune monete d’argento il quartetto di facchini che aveva trasportato i suoi bagagli, intanto che la Capitana serrò a chiave l’uscio dell’abitazione.
Non era fatiscente come lasciava presagire l’esterno, ma nemmeno molto confortevole. Appariva piuttosto spaziosa perché non aveva molte guarnizioni sulle pareti e l’arredamento stantio comprendeva un mobilio grezzo ed essenziale.
Delle urla disumane la spinsero ad affacciarsi sul balconcino che dava su un cortile interno.
- Siamo proprio sopra il mattatoio – asserì entusiasta la suocera – Udire lo strazio degli animali sgozzati mi riporta ai bei vecchi tempi in cui me la godevo a trucidare tutti quei luridi parrucconi.
Ruth deglutì disgustata, auspicando di potersi trasferire al più presto da qualche altra parte.
I vagiti di Jack la indussero a rientrare e lo trovò circondato da cenciosi ragazzini che se lo contendevano come un bambolotto. Quick Draw li cacciò in malo modo, mandandoli a giocare in strada, e riprese a curiosare tra l’esotico vestiario della giovane ospite, rubandole bellamente dai bauli i capi che più le aggradavano.
Ruth finì di ispezionare le stanze della nuova casa e un interrogativo che da un po’ la interessava le fuoriuscì d’improvviso, come una riflessione ad alta voce: - Dov’è il padre di Edward?
La Capitana si stravaccò su una scricchiolante sedia a dondolo: - Quel gran puttaniere! – grugnì increspando la rete di rughe e cicatrici – Spero non all’inferno! Mi disturberebbe ritrovarmi a sbattere di nuovo nella sua brutta faccia di merda! – traboccò biliosa, facendo fumare la sua pipa più di un caminetto – E sì che gliel’ho aggiustata. Con una bella pallottola. Dritta in mezzo agli occhi.
E nel dichiararlo mimò il cruento gesto con pollice e indice: - Grace Mildred Sparrow non perdona – sibilò gelida soffiandosi sull'unghia nera, fissando le iridi in un punto indefinito davanti a sé, forse riacchiappando le immagini drammatiche di quel momento fatale del suo passato.
- Prediligeva sollazzarsi tra le mie natiche sode, anziché affannarsi tra quelle sue prugne secche! – intervenne con irriverente causticità Quick Draw, provandosi allo specchio degli orecchini di lapislazzuli.
La Sparrow scattò sui tacchi digrignando: - Avrei dovuto ammazzare anche te, baldracca! Ma, accidenti! Ti sei tuffata dalla finestra come una faina sorpresa in un pollaio … Solo che eravamo in mezzo all’Atlantico.
La sorellastra ancheggiò verso di lei, sogghignando sfrontata e boriosa: - Mettila così, tesoro. Abbiamo scoperto quale emerito stronzo stavamo sfamando.
- Te lo concedo – concordò Grace dopo un basso ruggito di indignazione, ringuainando i pugnali – E poi, dopo che mi sono sbarazzata della sua molesta presenza, mi sono presa anch’io la mia bella dose di avventure …
E le due piratesse incominciarono a spettegolare scostumatamente sulle loro conquiste maschili, incuranti di Ruth, alle prese con i capricci del figlioletto che voleva esplorare quel posto pieno di novità potenzialmente pericolose.
- Edward non è così. Sa controllarsi lui. Non fa mai la prima mossa con le femmine – gracidò Grace con l’inequivocabile intento di riattirare l’attenzione della giovane nuora – Attende che siano loro ad infilarglisi nei calzoni. Eh, ma quelle non attendono. Dico bene? – inferì insinuante.
Ruth si rialzò agguantando il bambino, che svelto andava carponi sul pavimento bisunto, facendo la sostenuta.
Di lui si fidava più di se stessa, però aveva notato l’effetto calamitante che il suo aspetto malinconico e schivo suscitava nelle donne. Non lo avevano tentato finché gli era stata vicina. Nella solitudine non sapeva se le avrebbe ugualmente snobbate …
Il respiro si annodò di scaglie avvelenate: - Questa topaia è piena di polvere! - tossì nel fazzoletto che tornò orribilmente a macchiarsi di quel colore che odiava.
- Modera i termini, piccola intrigante! – la folgorò malignamente la Sparrow – Sai a quanti maiali dovresti allargare le tue belle cosce se non ci fossi io a difenderti? Devi essermi infinitamente grata, e pregare che resti dell’umore propizio.
Ruth si ripugnò della presunzione di quella mascalzona:- Gli dei si pregano, non le persone. Specialmente non quelle come te – soffiò con pervasiva schiettezza, rincantucciandosi in un altro terrazzino con Jack tra le braccia.
Le due corsare la osservarono piegarsi sulle gambe, incrociarle e sollevare i palmi verso l’alto, poggiandoli sulle ginocchia, socchiudendo le palpebre e mormorando in una lingua sconosciuta.
- Uh, la bambolina è più tosta di quel che sembra – fischiettò irrisoria Quick Draw, rimirandosi i lucenti bracciali di cui si era agghindata.
Grace Sparrow brontolò scuotendo i riccioli grigi: - No. È soltanto una sciocchina.
In realtà riteneva che la carina fosse una creatura fragile sì, ma non succube, se non di un irrazionale e distruttivo sentimento da cui lei mai più si era fatta dominare dal giorno in cui aveva sparato quel colpo cruento.
E non avrebbe consentito che altri membri della sua famiglia si lasciassero sottomettere dallo stesso esecrabile inganno che rammolliva i fessi, giurò accarezzando il manico del randello di legno e appuntando le iridi cupe sul discolo che scorazzava in tondo.
- Tua madre è una poco di buono, vermiciattolo. Da oggi provvederò io a te …


Shipwreck1
NDA
1 "Quick Draw" in inglese vuol dire letteralmente "Spada lesta". I nomi e le notizie dei componenti della famiglia Sparrow li ho ricavati dal sito http://pirates.wikia.com/wiki/Jack_Sparrow%27s_family#Members_of_the_family romanzandoci sopra a mio gusto, e ispirandomi anche alle confessioni di Spanish_Sparrow. A tal proposito ho scelto il nome "Grace" per Grandmama in onore di Grace O' Malley, piratessa irlandese del XVI secolo cui somiglia molto. E Mildred come secondo nome per omaggiare un'autrice che le sta dedicando una storia (Milletta).
2 Rusty Knickers è un altro personaggio citato nei libri sull'infanzia di Jack Sparrow, cui ho voluto immaginare un retroscena che giustificasse quello che compirà in futuro.
3 Il corvo è una sorta di rampino uncinato che si usava durante gli arrembaggi.
4 Il masala chai è una specialità indiana di tè speziato con zenzero, semi di cardamomo verdi, anice, cannella semi di finocchio, pepe e chiodi di garofano.

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Capitolo 6
*** VI - LAND HO! ***


Buona sera, mie adorate donzelle e piratesse! E tanti auguri!
Anche se pensavo quasi di non farcela, alla fine invece sono riuscita a concludere questo penultimo - stavolta è sicuro - capitolo di "Accalappiati" e ve lo dedico con tutto il mio affetto, sperando che vi sarà gradito.
Vi premetto che è il più lungo in assoluto che abbia scritto: purtroppo l'ho revisionato più volte, ma non sono riuscita a fare grossi tagli. Mi piaceva così com'era e spero che per voi sarà lo stesso.
Ho voluto dare spazio a tutti i personaggi principali, e stavolta anche trattare il punto di vista di Jack bambino.
Mi auguro di non aver ecceduto con le stupidaggini, col romanticismo e con le scene troppo calde ^.^
Il titolo mi è stato ispirato da una omonima canzone dei Doors di stile e tematica marinaresca (per chi la volesse ascoltare http://www.youtube.com/watch?v=QQ2--okSzMc).
Ulteriori annotazioni le trovate come sempre a fondo pagina.
Grazie a tutti coloro che hanno messo questa storia tra seguite, preferite, ricordate, e a chi la sta leggendo.

Al prossimo approdo!)




VI – LAND HO!


Riempì il quinto boccale di ginger rum, desiderando scomparire insieme a quelle bollicine senza che nessuno di quella squallida congrega di avventori si riprendesse dalla sbronza, la riconoscesse e si rivelasse tanto demente da importunarla con le solite noiosissime ciarle.
A procurarle un pessimo risveglio aveva già provveduto ampiamente la sua svergognata sorellastra, piombando in piena notte a scassinarle la porta di casa e sfidandola in un acerrimo confronto di ingiurie, coltelli e pugni.
Centellinava la zuccherata bevanda sbirciandola con profonda ripugnanza dal fondo verde del bicchiere, mentre si sbottonava il corsetto e offriva la mammella gonfia di latte alla piagnucolante creatura che reggeva sulle ginocchia. L’incorreggibile aveva ben pensato di figliare pure con l’ultima sua improbabile fiamma, il Capitano di una feluca spagnola che contrabbandava tabacco e spezie, e che se n’era tornato vigliaccamente in Catalogna mollandola ben prima che partorisse, partendosi da lei con la classica inaffidabile promessa da pirata. Aveva maturato un tale menefreghismo per quel genere di fatalità che le implacabili critiche con cui l’aveva denigrata non l’avevano lontanamente scalfita.
Sembrava si fosse prefissata di ripopolare i sette mari, concedendosi a qualunque maschio la corteggiasse o si confacesse allo sfizio del momento. D’altronde se n’era infischiata anche quando era stato suo cognato, il suo uomo, a lusingarla. O era stata proprio lei a persuaderlo a calarsi le braghe, perché aveva sempre avuto la smania di sentirsi bramata e vincitrice.
Non aveva mai voluto sapere tutta la verità, le era bastata l’infame evidenza per giudicarlo colpevole e decidere di assassinarlo. E oramai quella era una questione morta e sepolta, per la quale non valeva più la pena di crucciarsi.
Quick Draw versò dell’altro liquore per entrambe, sporgendosi in avanti con un timbro di voce importunante: - Come va con la piccola principessa delle Indie?
Era inevitabile che con quell’oca linguacciuta la discussione vertesse su quella seccante faccenda. Grace Sparrow trincò con estrema lentezza, sperando di spazientirla e dissuaderla, meditando di scaraventarle il tavolo addosso se avesse insistito con quella farsa della sorella che si interessava dei suoi problemi. Ma aveva trattenuto per così tanti infiniti mesi il bisogno di sfogarsi con qualcuno, che finì per tracimare in tutta sincerità: - Ancora non ho capito che diamine ci abbia visto un ragazzo aitante e intelligente come Edward in quell’insignificante zucca vuota!
La rossa ridacchiò offensivamente, divertita dall’accanita indignazione che l’aveva infiammata nel pronunciare quella calunnia:
- Saprà il fatto suo sul come farlo divagare … - suppose con un’allusiva strizzata d’occhio – E poi che sia insignificante sei soltanto tu a pensarlo, cara. Tutti nella Baia, da quel che ho sentito, non fanno che spettegolare su quanto sia fascinosa l’intoccabile vedova bianca di Capitan Teague!
- Ah! Fanculo! – bofonchiò Grace, fregando l’acciarino sul terzo rocchetto di coca della mattinata, portandoselo alle labbra e iniziando ad emettere sbuffi grigiastri per schermarsi dalla sua stucchevole invadenza.
Era stato veramente un compito ingrato, un disonorante supplizio, quello che il suo snaturato figliolo le aveva assegnato con tanta squinternata codardia: preservare la virtù della sua acerba moglie e aiutarla ad allevare il pestifero pargolo che avevano sconsideratamente generato.
Era stata irretita da una meschina superstizione nell’accondiscendere a quell’assurda richiesta. Non aveva niente a che spartire con l’affetto materno, perché se fosse stata una buona madre, avrebbe dovuto opporsi con più nervo alla follia del suo discendente, da subito, quando gliela aveva presentata e aveva intuito che erano nocivi l’uno per l’altra.
La stralunata ragazzina, tanto per complicarle le cose, riusciva a sottrarsi di continuo alla sua avvilente custodia e ad esporsi ai pericoli di quella scalcagnata oasi di depravazione.
Il suo aspetto esotico e sofisticato, addolcito da quella dissonante venatura infantile, era effettivamente reputato dai più irresistibile. Gli uomini che bazzicavano in città al suo passaggio si davano di gomito e fischiavano, adocchiandola come oggetto di piacere. Per sconsigliare a quei degenerati di molestarla aveva dovuto sporcare più volte le nocche e le lame, impegnandosi a tampinarla nei suoi insofferenti e inopportuni vagabondaggi.
Aveva trascorso il primo mese a struggersi malinconicamente, dileguandosi a ogni alba dal tetto che le aveva dato e girovagando per il porto con quel bambino sulle spalle, attardandosi fino al crepuscolo inoltrato a scrutare un orizzonte ristretto che mai mutava.
Ma il suo sconsolato vagabondare era stato come uno stagionale moto di marea: con le prime correnti fredde la sua penosa frenesia si era affievolita. L’inverno l’aveva paralizzata a letto, in balia di una malattia che alcuni esperti di medicina e la Violenta Visionaria avevano giudicato dal decorso rapido e irreversibile. Tra i più cinici c’erano già state scommesse sulla data della sua dipartita, invece, col ritorno del caldo bayamo1, Ruth era risorta ancora una volta, gioiosa, speranzosa e disponibile con tutti.
Grace stessa ci aveva rimesso del denaro con la sua inaspettata ripresa, ed era tuttora in debito con il Patriarca2a causa sua.
La svampita moretta si era inventata una serie di creative e fruttuose occupazioni, per ingannare il ricatto della Nera Falce, spifferavano alcuni, o per imbrogliare onestamente quell’attesa, affermava con modestia lei. Le maldicenze scaramantiche sulla sua persona si erano sprecate. La veggente Mabeltrude aveva formulato che, durante quello stato di incoscienza, lo spirito della giovane indiana avesse viaggiato nella dimensione sottile e che spiriti ultraterreni le avessero infuso nuova linfa vitale, giacché si era appassionata ai riti esoterici e al voodoo.
Grace non prestava molto ascolto a quelle strambe credenze, eppure neanche lei era riuscita a spiegarsi come fosse sopravvissuta a quella mortale consunzione.
In ogni caso non s’era ravveduta nei suoi confronti: per quanto si fosse dimostrata in possesso di doti e arguzie impensabili, era e restava una testa bacata, incapace di difendersi dai tiri mancini della malasorte.
- E che mi racconti, piuttosto, del soldo di cacio?
Quick Draw la sottrasse al lungo, livoroso e silenzioso rimuginare, scagliandole quella domanda a bruciapelo, mentre continuava a sorseggiare vino rosso e ad allattare la neonata.
La faccia torva della Sparrow parve perdere un po’ di austerità: - Oh, il passerotto non lo si può più tenere tra le mura domestiche, oramai ...


Si schiacciò la lingua tra i denti per la delusione.
Non aveva abboccato nient’altro che un puzzolente ammasso di alghe. Contenne per l’ennesima volta il riflusso di vomito che gli scosse la pancia digiuna e con pazienza liberò il retino dai restanti filamenti marroni e viscidi, quindi si spostò di qualche metro e lo rigettò nell’acqua stagnante, restandosene seduto con le gambe penzoloni sul bordo della banchina galleggiante.
Andava a zonzo tra le stradelle del molo da almeno tre ore, il sole di fine aprile incominciava a picchiare, ma almeno il cappello che aveva raccattato il giorno prima lo proteggeva da un’insolazione. Non era nuovo, anzi aveva pure qualche buco, e la misura era troppo abbondante per la sua testa, ma aveva tre piume colorate di ara macao e gli piaceva tantissimo perché lo faceva sentire più grande.
Jack ricontò il magro bottino, sbuffando insoddisfatto dello scarso risultato, allora si distese per sfruttare al massimo la lunghezza dell’esca, cercando di non poggiarsi più del necessario su quelle assi imputridite dalla salsedine e dal piscio dei gabbiani. Rastrellò scrupolosamente il fondale sabbioso, era sicuro che ci fosse molto di più in fondo a quella laguna. Aveva notato che marinai e donnine allegre perdevano oggetti di ogni tipo quando passavano di lì, e spesso era riuscito a recuperare gingilli interessanti.
La passerella prese a ondeggiare bruscamente per il transito di una frotta di pirati, e dovette aggrapparvisi con tutte le unghie per non capitombolare tra le torbide onde verdognole.
Si rialzò barcollando e sgrassandosi alla bell’e meglio i vestiti, rimproverando la loro poca attenzione. Ma i suoi occhi si incantarono ad ammirare il loro arrampicarsi sulle sartie, le vele che si libravano sui pennoni issati a forza di braccia, le variopinte bandiere agitarsi sulle antenne degli alberi, la schiuma che si formava ai lati degli scafi che sparivano al di là della cavità di quella grande montagna. E chissà in quali fantastici paesi andavano.
Assistere a quello spettacolo giornaliero gli allargava i polmoni e la mente, amava gustarselo finché l’ultimo raggio obliquo non moriva oltre la radura.
Da anni ascoltava storie e canzoni che raccontavano di spericolati navigatori, di favolosi tesori, di mostri terrificanti, di luoghi magici, di violente tempeste.
E si chiedeva se prima o poi avrebbero menzionato anche lui.
Peccato che gli avessero vietato di salire su qualunque tipo di imbarcazione, sospirò strascinando le suole verso un altro punto solitamente pescoso. Si sedette di peso immergendo stavolta un uncino.
Un piccolo bovo3 tinto di azzurro gettò gli ormeggi e cominciò a scaricare casse e barili. Uno tra i pescatori che sbarcarono venne raggiunto di corsa da un gruppetto di mocciosi, li abbracciò uno per uno e sollevò la più piccola, mettendosela a cavalcioni sulle spalle. Poi si incamminarono tutti insieme, sorridendo e scambiandosi festose chiacchiere.
Anche lui aveva un padre da qualche parte, un Capitano molto famoso, coraggioso e rispettato, così gli ripetevano sua nonna e sua madre. A differenza di altri bambini, però, non lo aveva mai visto. Non tornava a trovarli da molto tempo. Non era mai ritornato da quando erano arrivati lì, e lui non se lo ricordava per niente.
Ogni tanto provava a immaginarselo, studiando i suoi stessi tratti bambineschi allo specchio, o quelli attempati della Capitana, oppure osservando i volti abbronzati e sfregiati dei filibustieri che vivevano lì, e nessuno gli pareva corrispondere alla confusa idea che aveva di lui, perché non sapeva comunque come si muoveva, come parlava, cosa pensava, se gli interessasse di lui.
Un nome altisonante e tanti ammirati giudizi, era solo questo ciò che possedeva del suo fantomatico genitore.
A volte era così arrabbiato con lui da pensare che non volesse neanche più conoscerlo.
Lo stomaco emise un brontolamento eloquente. Era ora di pranzo. Strattonò la funicella con poca fiducia, si sorprese però che qualche cosa la bloccasse. E tintinnava.
Raccolse freneticamente la rudimentale attrezzatura da pesca e corse verso casa, col cuore che gli martellava dall’entusiasmo, sgusciando tra pozzanghere melmose e ruote di carri, ampie gonne e spade affilate, sputi di mercanti e burle dei coetanei. Si imbucò nella traversa Bocca di Lupo, poi salì su per il vicolo Barba di Gatto e con un’altra scorciatoia arrivò in una manciata di minuti in via Belvedere4, lasciando fuori l’imperterrito schiamazzo dei vicini.

Le sue dita allenate non interruppero il minuzioso ricamo che stavano ultimando su quella cute dura e rosolata. Non le aveva suscitato alcuna curiosità sapere da dove provenisse quel rozzo e borbottante bucaniere. Dopo che si era seduto e si erano accordati sulla figura, sui colori e sul prezzo, non aveva ascoltato null’altro di quello che le aveva snocciolato con vanagloria.
Non notava gli altri.
Mentre le sue mani lavoravano zelanti, la sua testa vagava sempre altrove. In alto mare.
Era diventata ogni giorno più abile a fingere che aveva accettato quella vita da eremita in mezzo alla gente, che poteva avere un senso anche senza di lui, che non dipendeva da nessuno ed era del tutto in grado di crescere da sola il loro bambino senza fargli mancare nulla.
Si era adeguata presto all’arte di arrangiarsi, d’altronde. A tredici anni era finita sulla strada e aveva appreso tecniche e stratagemmi per sopravvivere alla povertà. Così si era cimentata in alcuni passatempi cui l’avevano educata da bambina, e che le avevano garantito un minimo di autonomia e sostentamento, quando i piccoli furti non bastavano a sfamarla. Non che fosse particolarmente valida o avesse riscontrato molti consensi tra quella cricca di ignoranti e truffaldini, tuttavia aveva provato e perseverato. Aveva dipinto, scolpito, intessuto, trascritto, tradotto, acconciato. Aveva usato la scaltrezza e l’istruzione, la fantasia e l’ingegno, rifiutando di sottomettersi ai compromessi più facili e discriminanti.
Ruth percepì il suono cristallino del Furin5 agganciato all’architrave d’ingresso e un ansioso scalpiccio approssimarsi dal corridoio sottostante, preparandosi a veder sbucare da qualche angolo il suo faccino vispo e ad essere travolta dal suo animato resoconto delle nuove scoperte che aveva compiuto e degli scherzi che aveva architettato.
- Mamma! Mamma! Guarda cosa ho trovato!
Jack irruppe nella stanza spalancando l’uscio con la velocità di una folata di vento, il tizio sobbalzò bestemmiando e l’ago con cui la giovane donna lo stava tatuando gli rimase conficcato nel bicipite.
- Stupida zoccola! Mi hai sfigurato!
Ruth si discolpò umilmente con l’uomo, raccogliendo tutta la calma zen di cui era capace, così come si era esercitata a fare da qualche anno per non impazzire tra quella masnada di irriducibili malfattori. Con delicatezza gli estrasse di strappo il sottile strumento cavo, e con altrettanta cortesia si congedò, si alzò e andò incontro al figlioletto che esibiva con orgoglio un borsellino gocciolante e tintinnante.
Il bambino sciolse il laccetto facendole vedere il degno contenuto: perle e monete di vario valore.
La madre si affrettò a sottrargli il sacchettino e a nasconderlo nel reggicalze.
- Dove lo hai rubato? A chi? – smorzò la voce preoccupata, frapponendosi tra lui e l’estraneo che seguitava a inveire contro di loro, affinché l’ingenua rivelazione non gli svegliasse qualche appetito piratesco.
Jack le lanciò un sorrisetto complice e rovistò tra le tasche colorandosi di un rossore gradasso: - L’ho trovato mammina, insieme a queste altre cosette – ammise entusiasta, uscendo altri manufatti lavorati di metallo e di pietra, frammenti di ciondoli e gioielli per lo più.
La ragazza si chinò sulle gambe notando quanto i suoi vestiti e i suoi ginocchi fossero lordi e impiastricciati, ma le sue pupille luccicanti di genuina e contagiosa allegria la indulsero a perdonarlo e bisbigliargli con un mezzo sorriso un sincero e sofferto complimento: - Bravo.
- Ehy! Bellezza! Pretendo che mi sistemi questa storpiatura!
Ruth fece cenno al figlio di sfamarsi da solo con il canestro di frutta che gli aveva preparato su un tavolo e si rivolse di nuovo alla tavolozza di inchiostri e pennellini, dando un’occhiata meticolosa alle linee che avevano preso forma sul braccio del marinaio. Il bozzo che si era disegnato involontariamente col suo movimento le suggerì la maniera di rimediare lo sbaglio con un accurato inganno: - È una sirena incinta. Non sapete che le donne incinte sono di buon auspicio?
Il furfante indagò con i suoi incavati occhi grigi alternativamente lei e il disegno quasi completo, si torse una ciocca degli unti capelli giallicci e poi sgualcì il viso raggrinzito in una grassa risata: - Beh, allora voglio che le fai anche le poppe più grosse!
Ruth si scostò dalla fronte alcune frange scappate dal fazzoletto color zafferano che le legava e gli annuì con gentilezza, drizzando un discreto ammicco a Jack che spiava la contrattazione mangiando una mela.
Il bambinetto seguiva affascinato i gesti sicuri e sciolti con cui la madre maneggiava quegli arnesi appuntiti e tracciava elaborati ghirigori perforando la ciccia molliccia di quello straniero, che stringeva i denti sbottando una sequela di offese agli dei e nominando altre persone ignote. Più del suo linguaggio scurrile lo infastidiva lo sguardo brutto e insistente con cui la fissava, come se fosse pronto a rapinarla. Pensò che forse avrebbe dovuto filare di sotto a richiamare la Capitana, anche se c’erano già i due sgherri del Patriarca appostati a sorvegliare. Non intendeva disturbarla inutilmente, evitava sempre di farlo, ma aveva un cattivo presentimento, così si avviò sulle punte dei piedi verso la scala interna. Scesi i primi dieci gradini, avvertì un claudicante e nervoso rumore di tacchi, e indietreggiò deglutendo e lasciandola passare.
- Come vi sembra, adesso? Desiderate altro?
Ruth aveva finito di ritoccare il tatuaggio e nel frattempo si era premurata di sfilarsi lo spillone che le raccoglieva parte della capigliatura, accennando a pettinarsi per distrarlo dal notare l’arma.
L’uomo si grattò la barba arruffata e sporca, allungando una mano verso di lei e guardandola di sbieco: - Sì, la tua fi …
Il pugno dell’indiana rimase a mezz’aria nel tentativo di attaccarlo e una punta di pugnale gli si posò sulla giugulare: - I bordelli di Cockstreet sono sempre aperti. Se vuoi ti ci accompagno a calci in culo.
Il bruto inghiottì la bava distendendo i tendini nel riconoscere il cavernoso accento della sanguinaria Grace Sparrow, che gli fiatava intimidatoria sul collo esposto al filo del coltellaccio. Girò le orbite sul lungo arnese acuminato che l’appetibile mora stava impugnando contro la sua tibia e si ricrebbe sull’opportunità di altre avances spudorate.
La Capitana gli diede uno strattone sulla scapola: - Ora sgancia quel che le devi e togliti dalle palle.
L’uomo obbedì in tutta fretta e si precipitò all’uscita, continuando a scusarsi goffamente.
- Così mi farai scappare tutta la clientela – disapprovò docilmente Ruth, dividendo imparzialmente la somma ricevuta con la dispotica tutrice. Aveva preteso il 60% su tutti i suoi guadagni, con la giustificazione che provvedeva costantemente alla loro incolumità.
Grace conservò spilorciamente i soldi senza rispondere alla sua stanca accusa, e si interessò invece al nipote: - Ho sentito casino prima di arrivare. C’è qualcosa che dovrei sapere, cacchetta di cane?
Jack era terrorizzato dal sogghigno tetro di quella donna, ma si obbligò a non tentennare: - Nulla, signora.
- È tutto a posto – intervenne contegnosa la nuora, rassettando gli strumenti che aveva utilizzato con l’aiuto del piccolo. La piratessa non le diede alcun credito, Ruth lo difendeva sempre e comunque. L’avrebbe fatto crescere tra sogni di bambagia. Spettava a lei educarlo agli spietati scogli della realtà.
- Mi pare che oggi ancora non te lo ho date … - sentenziò inesorabile, facendo stridere le unghie sul robusto bastone di legno che portava al fianco, al posto della tradizionale sciabola.
Il bambino si rifugiò dietro la schiena della madre che gli carezzò un polso per tranquillizzarlo, parlando con misurata apprensione: - Ti ripeto che non ha fatto niente. Non è necessario.
All’altra donna brillarono sinistramente gli incisivi dorati, raddolcendo in maniera derisoria l’inflessione: - Gli tocca per principio, piccina mia. Oramai dovresti saperlo. La vita è una batosta, è bene che si rinforzi i reni e impari a prenderle, se vuole riuscire a cavarsela.
Nell’attimo in cui le loro dita si separarono, Jack e Ruth strizzarono le palpebre reprimendo il bruciore che le bagnava.
La prima percossa sferzò l’aria, ma poi uno stridulo lamento coprì i singhiozzi dello sfortunato.
- Sta arrivando! Lui sta arrivando!
Mabeltrude spuntò come un’ombra spettrale, le iridi velate dalla trance, le braccia che si dimenavano a vuoto, camminando in circolo e ripetendo frasi sconclusionate.
- Quel tuo pezzente Cliff non tornerà più, pazza strega! – la sgridò aspramente Grace, menando ancora con la stecca il sedere del bambino che strillava all’unisono con la giovane mamma.
- Ma lui sta tornando, vi dico! – continuò a ripetere l’anziana cugina, guizzando insistentemente gli opachi bulbi dilatati ora su Ruth ora su Jack.
I suoi sproloqui trasmisero ai due una scettica palpitazione: troppe volte avevano penato per lasciarsi consumare dall’ennesima falsa speranza e si imposero di non gioire invano.
La Capitana intercettò la loro corrispondenza di occhiate e si offese per esserne stata esclusa: - Parli del mio diletto? – le domandò gorgogliante, liberando dalla punizione il nipotino che aveva obbligato a mettersi contro un pilastro.
Mabeltrude le afferrò le mani e distese lo smunto volto in un inquietante sorriso di invasamento: - Lo hanno nominato Capitano, lo sai Gracie?
La Sparrow piegò la testa di lato e parve davvero sconsolata: - Sei solo una vecchia palandrana rincoglionita – grugnò scrollandosi dalla sua debole presa, e si dipartì da loro senza altri convenevoli.
Ruth accompagnò la longeva parente ad accomodarsi su una poltrona e riposare, congedando i due taciturni guardaspalle mandati dal Patriarca e barricando i battenti del piano inferiore.
Jack frattanto si massaggiava il fondoschiena un po’ dolorante e la scrutava affaccendarsi a mettere in ordine e dedicarsi a pulizie straordinarie, mormorando una triste filastrocca a labbra chiuse, intanto che sbatteva qualche tappeto o spolverava le superfici di mobili e soprammobili, cambiandogli disposizione e accendeva incensi profumati per propiziare gli dei.
Cominciava con quell’angosciante tiritera tutte le volte in cui qualcuno lo nominava.
Rinviava tutte le committenze e le uscite programmate, e alla fine interrompeva anche le faccende casalinghe che tentava di portare a termine in contemporanea e si eclissava per minuti e minuti nella sua camera. Metteva a soqquadro tutti i bauli, allineava i vestiti più eleganti sugli attaccapanni e li indossava uno dopo l’altro, indecisa su quale scegliere, come avesse ricevuto un invito importante. Concludeva quella minuziosa preparazione tingendosi la bocca e le ciglia e spalmando balsami profumati sulla pelle e i capelli. I suoi passi quasi non posavano più sul pavimento, danzava per ore da una finestra all’altra, aspettando di essere ripagata da quell’anelata notizia che puntualmente non giungeva. E allora dopo cena si lavava il viso e rindossava, insieme agli indumenti meno sgargianti, uno scintillante sorriso che Jack giudicava perfino più bello di quelli veri, e che provava di nascosto a copiarle.
Anche se, quando andavano a dormire, la sentiva rivoltarsi nel letto, tossire e singhiozzare e l'indomani mattina aveva sempre le occhiaie.

Una grossa blatta zampettava lungo una scanalatura del muro. Estrasse la fionda dalla cinta e, non avendo altro, prese un kiwi verde dal cesto sul tavolo. Affilò lo sguardo e scagliò il proiettile. L’elastico nel tenderlo si ruppe rimbalzandogli sul labbro e spaccandoglielo, il frutto rimbalzò sul bracciolo della poltrona in cui zia Mabeltrude continuava a russare, schizzò su un piatto appeso alla parete e si infranse contro un vaso di vetro, mentre l’insetto si rifugiò beffardo in una fenditura.
Ruth accorse dopo qualche secondo, richiamata dal fracasso dei frantumi, e rinvenne il figlioletto con l’arma ancora tra le mani e i cocci che tentava senza riuscita di ricomporre. Non lo rimproverò, piuttosto gli pulì con la punta di un fazzoletto il taglio che si era procurato.
Jack le lasciò tamponare, ma notando il trucco e i vestiti che aveva indosso non le risparmiò il suo critico e rattristato parere:
- Perché ci caschi sempre? A quello non importa un fico secco di noi.
Ruth inspirò lentamente, reprimendo il patema che gli arrecava la sua incolpevole osservazione: - Non parlare così. Tu non sai.
Il bambino si ribellò alla sua accondiscendenza e allontanò le sue braccia: - Non sono stupido!
- Certo che no – gli accarezzò il mento lei, chiedendogli di non sfuggire - Ma non capisci lo stesso.
Il piccolo Jack si leccò una lacrima che era sgorgata importuna. Per lui il comportamento di quell’uomo sconosciuto era indifendibile. E lei era divenuta gradualmente schiava della sua assenza: - Sì, non capisco. Cosa ti da? Cosa ti ha mai dato?
Sui lineamenti di sua madre aleggiò la gravità di quella risposta, reclamò la sua indulgenza invaghendolo a fidarsi: - Te, Jack.
Lo vide balbettare, indicando lo stato pietoso in cui era ridotto e il guaio che aveva combinato: - Appunto! – esclamò perplesso e sbalordito.
Non aveva ancora compiuto sei anni, eppure per la sua età era maledettamente sveglio, oltremodo sensibile ed esageratamente curioso. Si interessava a qualunque cosa, voleva spiegato tutto ciò che vedeva, osservava ogni dettaglio e memorizzava continuamente espressioni e vocaboli forbiti che ripeteva con naturalezza. La sua perspicacia molto spesso la sconcertava.
Ruth gli baciò con affetto la fronte, suggerendogli di approfittare della sonnolenta calura pomeridiana per coricarsi un po’, ma quello preferì uscire sul balconcino e sistemarsi alla frescura dei rampicanti, con la vista appiccata nella cala, mugugnando sarcastico le strofe finali della canzone dei pirati.

Siam canaglie, imbroglioni, dei veri furfanti,
trinchiamo allegri yo oh!
Aye, ma le nostre famiglie ci amano,
trinchiamo allegri yo oh …
 
Ruth ripulì il resto dei frammenti e si preparò un the verde, mettendosi a sorseggiarlo sul suo talamo intatto. Un taccuino, una matita e una mappa sostavano da settimane sullo scrittoio vicino, spettatori inerti dei suoi sonni tormentati. Decise di ridar loro un significato e ricominciò la trascrizione che Ace e Hazel le avevano delegato settimane addietro.
La sua conoscenza di alcuni idiomi orientali e la buona calligrafia si erano svelate delle preziose risorse anche durante la sua permanenza sulla Dama di Nebbia. Suo marito le aveva affidato la traduzione di alcune mappe trafugate negli arrembaggi, e le dettava ogni sera il diario di bordo.
Credeva fossero trascorsi secoli da quei giorni in cui si addormentava nei suoi occhi e divideva con lui il fiato. Si assopì per minuti che si rivelarono ore, destandosi in un meriggio rosa.
Per le strade imperversava la consueta baraonda, la casa invece era vuota.
Si diresse alla finestra che si apriva sul golfo e notò una nutrita folla affrettarsi verso gli approdi.
Le si ingarbugliò il respiro, le ginocchia vacillarono, costringendola a reggersi alla ringhiera.
Una nave stava attraccando nella baia, era un mistico e al cannocchiale appurò che batteva un vessillo familiare.
In preda alle vertigini, eccitata, incredula, confusa, si precipitò a correre giù al porto, così com’era.


Il primo pensiero che lo attraversò fu che tutto in quella sperduta isola di perversione fosse esattamente uguale all’alba in cui era partito. La stessa foschia giallognola solcava le acque immobili e una miriade di lanterne brillava al pari di ammalianti lucciole sospese in un’atmosfera senza moto e senza tempo. Da lontano sembrava proprio un quadro intriso di mistero e magia, solennità. Approssimandosi alla terraferma, tuttavia, lo scenario appariva molto meno nobilitante e molto più ordinario.
Capitan Teague oramai era abituato agli inganni e ai sapori forti che si respiravano nei porti di tutto il pianeta. Non si afflisse per quel contrasto, per la confusione dilagante, né per le trivialità che sentì e vide, quanto per la mancanza, tra le prime file di curiosi assiepati sulla banchina, di coloro che più aveva sperato di ritrovare, e che più aveva cercato di non dimenticare nelle sue esaltanti e logoranti peregrinazioni.
Il rimorso improvvisamente lo aggredì, squartandolo pezzo per pezzo, un morso alla volta, a cominciare dal fegato. I piedi si inchiodarono alla barca, intralciando la discesa dei suoi incontenibili compagni, che lo scavalcarono tuffandosi di buon grado tra le acclamazioni di quel pubblico affamato di racconti strabilianti e ricchi guadagni.
Non appena scese dalla scialuppa, però, Edward capì che la maggior parte dei presenti erano radunati lì soprattutto per il pirata Lord del Madagascar. Se gli uomini, avendo appreso dei suoi successi oltremare, se lo contendevano offrendosi di arruolarsi nella sua ciurma o di entrare in affari con lui, le prostitute competevano accesamente tra di loro e lo tiravano tra le loro braccia per potersi compiacere di averlo sedotto e aumentare così le proprie quotazioni sul mercato.
Per diversi minuti restò intrappolato dall’intrecciarsi di pretenziose richieste, da cui tentava diplomaticamente di liberarsi.
E in tutto ciò ancora non riusciva ad avvistarli.

Era a passeggiare tra le bancarelle di dolciumi, aspettando un attimo di disattenzione del venditore per sgraffignare una ciambella farcita di crema di nocciole, quando si erano sparse le voci dell’ingresso di un immenso veliero nella Gola del Diavolo. E alcuni avevano asserito che fosse proprio la nave del Capitano Teague, di ritorno da mirabolanti imprese nei mari orientali, straricco e in possesso di conoscenze di cui nessun altro filibustiere esistente poteva vantarsi.
Perché si fosse spinto con tanta agitazione fin lì e stesse addirittura sgomitando, poi, a conti fatti nemmeno lo sapeva. Quell’uomo era un estraneo che non si era mai preoccupato per la salute di sua madre o della sua. Nel considerare il suo totale disinteressamento, la demoralizzazione era tale da portarlo a credere che non avrebbe mai voluto averci niente a che fare.
Però c’era un’altra parte di sé che scalpitava per incontrarlo, lo incitava a non scoraggiarsi e ad essere più forte della cocente paura di restarne deluso, o anche peggio, di deluderlo, giacché quel personaggio era tanto osannato.
Jack saltellava sul posto, dannandosi di essere ancora troppo basso per poter scorgere oltre le teste della gente che gli occupavano tutta la visuale, anche se non sapeva come l’avrebbe riconosciuto.
Alzò con ritrosia il capo verso Ruth, che era arrivata poco dopo di lui ed era ancora trafelata e chiusa in uno snervante mutismo. Si teneva sempre tutto dentro. Un fiatone preoccupante le infliggeva il petto, ma una luminosità che non si ricordava di averle mai visto le accendeva gli zigomi.
Intravedendo la bandana scarlatta della Capitana Sparrow e udendo la sua gracchiante risata, il bambino si attaccò alla gonna di sua madre. Non conosceva niente capace di rallegrare una furfante irascibile e selvaggia come sua nonna, salvo la nuova di qualche cataclisma imminente o una terrificante punizione escogitata apposta per lui.
Invece la ragione stavolta pareva essere un tizio dall’andatura rigorosa e un po’ minacciosa che si trascinava a braccetto, intrattenendolo in discorsi per cui riceveva risposte concise.
Di quasi due spanne più alto di lei, aveva un bicorno a falde larghe con piume che al confronto quelle del suo erano foglioline secche, tanto che se ne disfece, gettandolo via. Un lungo tabarro prugna legato attorno alle spalle gli ricadeva fin quasi agli stivali, sopra cui indossava un pastrano nero con ricami argentati. Sotto il farsetto si palesava un armamentario composto da pistole e pugnali di varia dimensione. Si guardava intorno, ammirato ma un po’ scombussolato da quell’accoglienza calorosa. Individuando le loro due sagome sul ciglio del marciapiede si fermò un secondo, lasciando indietro la Capitana, e poi accelerò la camminata leggermente barcollante, bruciando rapidamente quella distanza.
Allora Jack poté vedere per la prima volta i suoi occhi: erano profondi e tenebrosi, ma parvero sciogliersi in un composto sorriso emozionato che gli curvò i baffi verso l’alto.
Sua madre emise un acuto singulto, premendosi le mani sul collo, come le fosse appena balzato il cuore in gola.
Intuì che doveva essere proprio lui.

Edward si inabissò a lungo tra le ombre del suo splendido volto, non capacitandosi di come una creatura libera, pura, incontaminata qual era lei, avesse resistito tra quelle arpie e in quel merdaio e potesse essere ancora così spaventosamente bella, anche se non altrettanto sorridente.
C’era sicuramente qualcosa di diverso in lei, che oltre al trucco più marcato, di un nerissimo sulle palpebre, rosso intenso sulle labbra, le donava una maschera di maturità e drammaticità.
La sofferenza, forse, aveva solo accresciuto la sua innata avvenenza, incupendola. E rodendolo di un pentimento tardivo e infondato. Non poteva smettere di essere un pirata, era un brutale istinto che gli avevano tramandato, il solo modo in cui sapeva vivere. Era sicuro che, tornando indietro, avrebbe compiuto le stesse scelte. Magari non assentandosi così a lungo ...
- Dicono che il ritratto con la tua taglia tappezzi tutti i porti più importanti, da Nassau a Singapore – sillabò con compostezza Ruth, una scintilla di soddisfazione e gelosia a illuminare le iridi buie.
Se fosse stato un altro l’avrebbe stretta per i fianchi e, baciandola con trasporto, le avrebbe confessato che il suo indimenticabile viso aveva tappezzato tutti i suoi cieli stellati.
Invece dalla sua bocca appena schiusa uscì un vile silenzio, e rimase a fissarla corrispondendo il suo stesso trasognante disincanto.
Quel nodo, intessutosi in maniera fortuita alcune lune prima, restando esposto alle trame avverse della sorte si era inevitabilmente allentato. In altri tempi bastava si assentasse poche ore perché lei lo esortasse a farsi coprire di premure e ad annullarsi tra le sue braccia.
- È questo signore il mio papà, dunque? – domandò con un broncio titubante Jack, dondolandosi.
Sentire per la prima volta la sua voce spigliata e scettica gli riaprì una ferita che non sapeva di avere, o che credeva si fosse cicatrizzata con le vittorie per mare. Quando lo aveva lasciato non sapeva emettere altro che versacci e piagnistei, adesso guardandolo si rese conto che era oramai un ometto con due occhietti che sembravano spilli esercitati a pungere. C’erano ammirazione e strafottenza nel suo permaloso modo di squadrarlo. Era passato molto più tempo di quello che si era illuso di avergli rubato, anteponendogli la sua marinaresca carriera.
- Capitan Teague per te, figliolo – gli rispose neutrale, come ritrattando quel legame di sangue che riteneva sarebbe stato una minaccia e uno svantaggio per lui, piuttosto che una protezione. Anche se nel suo cipiglio diffidente e smanioso, nel suo modo scontento e impacciato di mordicchiarsi le guance, nella sua zazzera arruffata, persino nello sporco che gli anneriva le ginocchia e i gomiti sbucciati, e nei taglietti che aveva sulle falangi, e che dovevano essere la conseguenza di un solitario allenamento con lo spadino, rivide indubbiamente una rassomiglianza con il se stesso del passato, irruente e incontinente.
Quello scricciolo, dopotutto, era anche un po’ suo.

Jack lo osservava con l’animo in subbuglio. Quell’interessante signore, proprio come sua madre, non pareva un tipo che gradiva spendersi in molte esternazioni. Trovarsi al suo cospetto lo intimidiva un po’. Ma aveva un’infinità di interrogativi da cui voleva che lo sciogliesse, e non si preoccupò di parlare a sproposito: - Hai ucciso tante persone?
Edward si stupì che non reagisse male alla sua richiesta precedente e che invece spiccicasse quella morbosa domanda. Sbirciò Ruth prima di ammettere spiccio: - Quelle che se la sono cercata.
Il bambino non si arrese alla sua sfuggevolezza, sfoderò il proprio coltellino a serramanico, picchiettandolo contro il fodero della sua sciabola: - Con questa?
Il Capitano sguainò gradualmente l’acciaio, pensando di impressionarlo mostrandogli la sua lunghezza e le tracce della sua usura, ma il figlioletto rimase molto più sereno del previsto. Non era affatto un sempliciotto, sapeva già fingere noncuranza. Che non ci fosse stato quando tutto quello era accaduto, che fossero stati altri ad insegnarli quella simulazione, interiormente lo sdegnò.
- E anche con queste – aggiunse allora con un sogghigno malevolo, aprendo le grandi mani.
Jack si stropicciò i polsini della camiciola, nascondendoli dietro la schiena, ingoiando un gemito. Non seppe più se fosse una buona idea continuare a tediarlo, gli bastavano già le dolorose sberle che gli assestava la cara nonna. Oltretutto quello era assai più giovane e forte di lei, e dal suo atteggiamento rigido e impettito si capiva che aveva il fisico di un uomo rotto alla fatica.
Ma voleva conquistarlo, dimostrandogli che conosceva già tante cose di lui: - È vero che hai combattuto contro gli olandesi e i draghi marini? E che hai scoperto tanti tesori nascosti?
Il suo presunto padre si limitò ad annuirgli con i pendagli che trillavano da sotto il grande cappello.
Eppure non sembrava così cattivo, soprattutto per il modo con cui guardava sua madre.
A dire il vero, non la guardava solamente, come gli altri uomini. La venerava. Da che era arrivato davanti a lei la sua espressione si era rabbonita e non avevano staccato lo sguardo l’uno dall’altra. E lei era rimasta ugualmente imbambolata.
Jack considerò che fossero comunque una coppia molto strana. Sul molo gli era capitato di assistere a scene di ricongiungimento tra mariti e mogli: come minimo si abbracciavano. I suoi genitori invece non si erano sfiorati, non parlavano, quasi si conoscessero a malapena o avessero litigato. Si volevano bene?

- Forza bricconi! Tutti alla Dama Ubriaca6 a festeggiare i successi del nostro Pirata Nobile!
Zia Quick Draw si frappose sguaiatamente tra di loro, afferrando Edward per il collo e stampandogli un imbarazzante bacio con lo schiocco, per poi agganciarsi con eguale foga ad Ismael, che aveva adocchiato come prossima preda, e condurre il resto della ciurma alla taverna gestita dai Seymour. A loro si accodarono altri scioperati che bighellonavano nei paraggi, alcuni semplicemente in cerca di bevute a scrocco, altri confidenti di poter concludere un accordo di prestigio con il comandante della vittoriosa Dama di Nebbia.
Capitan Teague lasciò che quella schiamazzante torma lo precedesse e fu allora che gli occhi attenti di suo figlio colsero un primo contatto tra l’enigmatico filibustiere e sua madre. Lui le si affiancò furtivo e, sollevandole una treccia dall’orecchio, le mormorò qualcosa che non poté origliare, prima che la Capitana Sparrow e il Patriarca lo rapissero insieme a tutti quei marinai questuanti e non potessero più avvicinarlo.
Una fine pioggerellina iniziò a cadere su di loro e Jack con disappunto dovette smuovere Ruth appendendosi al suo braccio, esortandola a raggiungere la locanda dove gli altri si stavano incamminando, scordandosi di loro. Sebbene fosse avvezzo alle sue astrusità, durante la serata si scervellò a ipotizzare cosa mai le avesse detto per provocarle quella reazione, se fosse qualcosa di buono oppure no.

Edward Teague non si vergognava dei tanti misfatti di cui si era infamato o delle imprese terribili che l’avevano consacrato, bensì di avere una moglie e un figlio.
In quella sala così affollata Ruth sperimentò ancora una volta che ci si poteva sentire terribilmente soli in mezzo ad un’orgia di festaioli, trascinati dall’ebbrezza di canti e balli scostumati. Rimpianse la tranquillità del suo piccolo mondo, di quell’equilibrio che aveva faticosamente ricostruito con le sue sole forze. In passato aveva accettato tutto di lui, ma ora spiando il pirata dall’animo nobile, di cui rimpiangeva di essere perdutamente innamorata, allontanarsi nel retro del locale con altri colleghi che gli chiedevano udienza e un gruppetto di cortigiane discinte che li seguivano calici alla mano, si accorse che in fondo, da quando era partito, lo detestava quanto suo figlio e forse di più. Non era più disposta ad accettare di essere la sua ancora di riserva.
- Hai ragione tu, Jack. – esternò d’un tratto con desolante rammarico - A lui non importa un fico secco di noi.


Tamburellò l’indice sul sigaro per rimuoverne la cenere e lo riposizionò tra i denti, senza intervenire nell’animato dibattito politico. Era innegabilmente stanco.
Il maltempo e una serie di screzi tra i suoi compagni di viaggio avevano costellato di traversie la già estenuante navigazione transoceanica. Aveva sperato di ristorarsi, che quella fosse una vera sosta di piacere, invece lo avevano impegolato in un improduttivo discorrere di alleanze, commerci, piani di attacco alla marina di sua maestà.
Sognava di assopirsi almeno una notte, tanto per ricordarsi come fosse, su un materasso meno legnoso e freddo di quello che aveva ospitato le sue ossa provate dalla selvatichezza di tutto quel predare e saccheggiare senza Dio. E continuava a torturarlo l’immagine delle sue labbra che non avevano sorriso e delle sue mani che non l’avevano toccato, rimanendo incrociate sul grembo.
Respinse le ruffiane meretrici che lo attorniavano, incaricò sbrigativo il suo primo ufficiale Ismael, il nostromo Finn e l’economo Nizar ad assumere le sue veci nelle trattative in corso e si fece indicare la via per sottrarsi al putiferio dei brindisi, dei lanci di bottiglie e piatti, e dei canti scostumati, e raggiungere le uniche due persone per le quali era ritornato.
Mentre i due scagnozzi del Patriarca che lo avevano scortato si accomiatarono, Edward appurò che l’abitazione sorgeva in una zona abbastanza salubre, ventilata e con una buona esposizione. Reinserendo le mandate alla porta del piano terra urtò con il cappello una specie di lampadario di cristalli che doveva svolgere la funzione di campanello. Proseguì tastoni sulla prima rampa di scale senza illuminazione, poi notò ciò che rischiarava il tremulo bagliore dei lumicini. Era tutto concentrato in non più di un paio di stanze, ma c’erano tutte le comodità di una vera casa. Pur se la conformazione delle pareti e dei pavimenti conservava la forte impronta di un vascello, osservando gli oggetti piccoli e grandi che lo circondavano, che non sapeva da dove fossero arrivati, in che modo e quando, ebbe la spiacevole sensazione di essere un intruso. Lo smarrimento si placò non appena riconobbe la sua aggraziata posa da cicogna stagliarsi contro la porzione di oscurità celeste visibile dall’apertura del terrazzino.
Non si era spogliata, eccetto le scarpe, ma aveva sciolto i capelli, prima appuntati sulla nuca con delle bacchettine, che adesso le lambivano la vita nel venticello tiepido.
- Te la sei svignata da sola – farfugliò piccato, a metà tra un rimprovero e una neutra asserzione.
Ruth alzò le braccia al di sopra delle spalle, mantenendo i palmi congiunti e restando in equilibrio su una sola gamba: - Jack aveva sonno. L’ho portato al sicuro prima che a qualche ubriacone dei tuoi amici saltasse in testa di usarlo per il tiro al bersaglio.
Edward avvertì in quel suo esprimersi sprezzante e ferito che con la sua negligenza aveva impassibilmente tradito la fiducia di cui aveva goduto. Non era completamente fiero né pago di come si fossero ingarbugliate le cose fra di loro, ma non poteva tollerare che lo reputasse indifferente al loro destino: - Tu credi davvero che glielo avrei permesso?
La moglie gli riservò un’occhiatina irremovibile, alternando il piede su cui poggiava e richiudendo le palpebre, suggerendogli che era cambiato e che la risposta non la sapeva più.
- Avrei fatto saltare le loro teste di cazzo, piuttosto! – imprecò aspramente per sconfessare quel suo umiliante dubbio. Sebbene non riuscisse ancora a comprendere cosa significasse avere un figlio, Jack era qualcuno che apparteneva a lei, e per quanto possibile lo avrebbe protetto, sempre. Credeva fosse sottointeso, che non ci fosse alcun dovere di affermarlo.
Le aveva chiesto di stabilirsi in quel posto che l’aveva allontanata da lui. Era stata in pena e voleva farglielo espiare, poteva anche capirlo. Se ciò implicava che doveva ricominciare da zero con lei, non era in vena, nonostante, dall’istante in cui l’aveva rivista, lo consumasse il feroce desiderio di sprofondare lascivamente sul suo corpo che un tempo era stato l’unico benevolo rifugio dalle sue burrasche quotidiane.
Ruth si era isolata nei suoi inviolabili silenzi e in quella bislacca ginnastica che chiamava yoga, e quella calma lo accoltellava. Voleva che lo rimproverasse, che con la sua onestà lo riconducesse a terra, era stufo di ricevere soltanto adulazioni.
- Insomma, tuo marito torna dopo più di tre anni di trionfi, ed è questa la tua maniera di accoglierlo? – tentò di pungolarla, esasperato da quel suo atteggiamento evanescente.
La forza delle parole non l’aveva mai avuta. Nessuno dei due le sapeva maneggiare, perciò erano lì a inscenare di odiarsi con sguardi crudeli che però esprimevano il bisogno contrario.
Stava per abbandonare quella dimora inospitale, ma la sua replica risuonò con mestizia, e fu come sputasse arsenico: - Vuoi sentirti dire che mi sei mancato? Sì. Atrocemente. Come il mare. Quasi non se ne sente l’odore in questa fogna.
Edward rialzò la fronte, sbatté le palpebre e la scrutò interessato e pensieroso, un’increspatura esitante a lato della bocca contornata da una peluria più folta di quella che soleva radersi e che ora lo faceva apparire un uomo più adulto e vissuto.
Ruth espirò piano per attutire la tensione che non aveva potuto scacciare con la meditazione e che continuava ad accelerare le pulsazioni. Si era ripromessa di mostrarsi cresciuta e soprattutto di non essere sentimentale ma quella corda riprendeva a stritolarle le costole con più recrudescenza, ora che lo aveva di fronte a lei.
- Non c’è stato un momento in cui non mi sia chiesta dove fossi, se fosse il sangue dei tuoi nemici a scorrere o il tuo. Se ci fossero solo i raggi e il vento ad accarezzarti. O le mani di qualcun'altra – glielo aveva sussurrato scossa da brividi di rabbia e disperazione, avvicinando senza consapevolezza i polpastrelli al solco di un sorriso piacevolmente turbato comparso sulla sua guancia spigolosa.
- Non ho avuto nessun’altra – scandì seccamente lui, racchiudendo la sua mano tra le sue e accennando a inclinare la mascella verso il suo mento, ma la giovane moglie si tirò indietro, non confidando nell’infallibile fedeltà coniugale di un pirata: - Non mentire – lo allontanò dura, mal celando l’effetto destabilizzante che le aveva inflitto la sua essenza salmastra ad un soffio dal viso.
Edward si raddrizzò, non sapendo dove far ricadere le braccia con cui avrebbe voluto soltanto stringerla e riassaporare quell’estasi di pace fino al mattino: – Nessun’altra ha avuto me.
Lo aveva confessato con gli occhi patinati di orrore e sale più che con la voce, non era neppure certa di avergli visto muovere le labbra, strette e irruvidite dai baci che non aveva avuto.
Nessuno si era preso cura di lui.
Il cuore di Ruth fece una capriola. Entrambi ne avevano viste e affrontate tante, troppe, più di quanto avessero voglia di raccontare o solo di ricordare. Non poté fare a meno di riavvicinarsi, accarezzando ogni suo muscolo facciale, notando il suo torace gonfiarsi e svuotarsi d’aria ad ogni sfioramento, mentre le dita di lui si perdevano tra i suoi capelli.
Il corsaro si sfibbiò la banderuola con le armi che gli impediva di far combaciare completamente il bacino al suo e la gettò a terra. Lei gli si abbarbicò e iniziò a baciarlo con un contegno che svanì quasi subito, soppiantato dall’urgente frenesia di impregnarsi ogni poro della pelle del suo aroma maschile mescolato a quello del mare che aveva sempre amato, di essere toccata e arsa da quelle sue mani che conservavano la stessa delicatezza, nonostante le avesse usate per uccidere.
A poco a poco il respiro divenne affannoso e le guance si riempirono di lacrime.
Quel male oscuro tornava ad affliggerla, di tanto in tanto, proprio nei momenti in cui era più vulnerabile. Si scollò dalla sua stretta vogliosa, nascondendo la faccia sul suo petto, per soffocare quel rosso presagio di morte che stava riapparendo.
Edward le lisciò le braccia e la schiena: - Su Ruthie. Non è contro il chakra? – la consolò con ignara ironia, accostandole le labbra contro l’orecchio.
Lei tirò su con il naso, asciugandosi con le maniche il kajal scolato: - Il karma … - lo corresse, sentendolo stringersi nelle spalle con indolenza e far scorrere gli avambracci indulgenti sotto i suoi, con cui gli accalappiò la nuca mentre la sollevava.
Accompagnandola verso il giaciglio inviolato che aveva intravisto entrando, gli parve più leggera di quanto non fosse nei suoi ricordi. Il calpestio di una presenza ficcanaso sgattaiolò dal suo nascondiglio, ma il respirò più veloce di Ruth, che iniziava a trafficare con i suoi bottoni, gli solleticò irresistibilmente il collo, persuadendolo ad ignorare la piccola spia. Edward la depose tra le coperte, spogliandosi frettolosamente di cappello, giacca, cintura e stivali, mentre lei, arrivando all’ultima fibbia, ripercorreva con le labbra socchiuse i suoi pettorali, il pomo e le tempie, scompigliandogli la bandana.
Baciava vecchie cicatrici aprendone nuove.
I suoi anelli, risalendo dalle caviglie alle cosce, le smagliarono le calze, insinuandosi fino al fresco tessuto di raso che preservava la carne umida e bruciante dell’inguine. Le sfilò una sola gamba, sistemandosi meglio tra i suoi fianchi ansimanti che lo aggrovigliarono.
- Sono stato in un milione di posti, ma questo rimarrà sempre il mio preferito. – giurò in un torrido mormorio, posando una mano sul suo ventre piatto e poi annegandovi la bocca.
Ruth, continuando a guardarlo dritto negli occhi, lo tirò verso di sé trattenendolo per i lembi della camicia, mordendolo, graffiandolo, e squagliò nell’espandersi dentro di lei di quel suo fuoco lento, ritrovandosi con altrettanto fuoco a perdonarlo per le colpe e le incomprensioni.
L’avrebbe lasciata di nuovo, presto o tardi sarebbe ripartito, e forse l’avrebbe tradita con la spuma del mare o con il nettare di altre donne. Non le importava delle sue scappatelle, perché le piaghe del suo animo si sarebbero rimarginate solo cullandolo fra le sue gambe.
Era ormai mattina e si gingillava ad intrecciargli i capelli sparsi sul suo seno, che si muoveva lieve sotto il suo corpo del tutto abbandonato sul proprio.
- Ci superiamo ogni volta … - sussurrò Edward, tra il malizioso e il deliziato, restando a sonnecchiare su quella pelle che emanava un profumo paradisiaco.
Ruth si rialzò mollemente sul cuscino e incrociò le ginocchia dietro la sua schiena: - Mai come quando abbiamo concepito Jack …
Il marito mugugnò qualcosa di indefinito, strusciando la fronte sul suo addome che ora ondulava con la parvenza di una convulsione trattenuta di riso o di tosse. Si risollevò da lei temendo di soffocarla, e invece fu lui a mordersi la lingua e trasalire, saltando sull’altra sponda del letto.
- Mi porti a vedere la tua nave da vicino?
Il diavoletto di cui poc’anzi stavano ragionando era lì davanti e lo sbirciava con impertinenza, in fremente attesa di essere tenuto in considerazione.
Capitan Teague calò due volte la testa, restando nascosto dietro le spalle della moglie: - Immagino si possa fare, figliolo - balbettò tirandosi le lenzuola fino al naso per coprire la nudità di entrambi.
- Aspettaci di là – lo pregò Ruth, non riuscendo a non sorridere per la divertente situazione.
- E chiudi la porta! – gli ordinò con arroganza Edward, alterato e imbarazzato da quell’intrusione.
Il buon umore del bambino per il benestare ottenuto non si lasciò intaccare da quel rimbrotto. Obbedì giulivo, pur riflettendo che non avrebbe potuto davvero, giacché vi era solo una tenda al posto della porta. Infatti sentiva ancora i loro bisbigli e i cigolii della testiera contro il muro, e aveva il presentimento che avrebbe dovuto riaffacciarsi a richiamarli.
Ma Jack era comunque contento perché quel giorno sarebbe salito per la prima volta in vita sua su un vascello pirata, avrebbe sfoggiato con quel Capitano le sue precoci conoscenze in materia, e magari avrebbe potuto convincere sua madre a lasciarlo partire.
D’altronde lei glielo ripeteva da sempre: quella statica vita di terraiolo non faceva per lui.
Era destinato ad avere un emozionante avvenire.



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1 Bayamo: un vento caldo che soffia nel Golfo dell'America Centro-meridionale, in prossimità della quale sorge l'Isola dei Relitti.
2 Patriarca: è un misterioso personaggio che, stando alle fonti letterarie, si aggira per la Città dei Relitti e rappresenta una sorta di boss del locale; gestisce tutti i guadagni delle ciurme, soprattutto della famiglia Sparrow, ed entrerà in competizione con lo stesso Teague quando questo si stabilirà come Custode del Codice.
3 Bovo: piccolo veliero armato con un solo albero, usato soprattutto da pescatori.
 4 Bocca di Lupo, Barba di Gatto, Belvedere: nomi inventati che ho dato ad alcune strade, prendendo spunto da terminologia marinaresca: il primo è un tipo di nodo, il secondo un angolo di ancoraggio, il terzo un pennone e una vela.
 5 Furin: è il carillon del vento usato nei paesi orientali.
 6 Dama Ubriaca: taverna della Città dei Relitti citata in "Price of Freedom".
 

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Capitolo 7
*** VII – EVERLASTING BOUND ***


Buona sera carissime lettrici :)
Finalmente, dopo mesi di attesa e indecisione, stasera posso avere l'orgoglio (?) di presentarvi il capitolo finale di questa breve long che ha rappresentato per me una bella prova dal punto di vista compositivo, dato che ho tentato di elevare il mio stile e i miei contenuti verso tematiche più adulte, e mi sono cimentata nel trattare dei personaggi che ho in buona parte ideato prendendo spunto da quelle poche informazioni e suggestioni che mi sono state fornite dai film della saga e da ricerche sul web.

Ho deciso di dare a questo epilogo dei toni agrodolci, non riuscendo a mantenermi sulla drammaticità pura quando tratto questa ambientazione, e di lasciare in alcuni passaggi delle frasi un po' enigmatiche, con la speranza di poter catturare la vostra fantasia e la vostra sensibiltà, e di non deludere le vostre aspettative.
Ringrazio sentitamente tutte le persone che hanno scelto di dedicare il loro tempo alla lettura di questa storia, recensendomi, consigliandomi e incoraggiandomi, e in particolare le sempre presenti Spanish_Sparrow, Milletta Sparrow, Proiezioni, gitana90, Harley Sparrow e Cap_Kela che mi ha fatto conoscere il suo parere.
Un mio saluto va ovviamente anche a tutti i lettori che mi hanno spronata mettendo la storia tra le loro preferite, seguite, ricordate o che hanno fatto lievitare le visualizzazioni e i "mi piace".

Molte cose sono successe da quanto ho cominciato Noose, che è stata, come ripeto, una scommessa e un'ulteriore tentativo di esplorare la personalità del nostro amato Capitano, e penso che non mi imbarcherò a breve in un altro progetto di long-fic in questa sezione, perché vorrei dare priorità ad altre storie lasciate ingiustamente in sospeso.

Grazie a chi ha avuto la pazienza di aspettare e leggere fin qui, ora vi lascio alla lettura, impaziente di conoscere il vostro parere.

Al prossimo approdo!)





VII – EVERLASTING BOUND



Un intenso effluvio di eucalipto, menta piperita, rosmarino e pepe nero si era diffuso condensandosi sulle pareti di faggio del cucinino e pungendole le narici. Munendosi di una presina, tolse la teiera dal fornelletto e, soffiando poi sulla fiammella, versò parte del liquido fumante in una tazza, rischiando per poco di bruciarsi con gli schizzi.
Non aveva mai imparato a governare una casa.
Gli aromi dolciastri e speziati del suffumigio avevano saturato il piccolo ambiente, perciò schiuse le persiane permettendo alla frizzante aria mattutina di rinfrescare l’interno, e rimase a rimirare il sonnolento borgo marinaro che stava ravvivandosi dall’ennesima nottata di baldoria, testimoniata dal fumo persistente dei falò, delle torce e delle polveri.
Una leggera cappa di nebbia avvolgeva i tetti irregolari delle abitazioni circostanti, volteggiando sul cinereo specchio d’acqua lagunare punteggiato da una silenziosa selva di alberi spogli che ondeggiavano lievemente nelle luci soffuse dell’aurora.
Sotto quell’aspetto grezzo e anonimo quell’isola le aveva sempre ricordato il povero villaggio di pescatori da cui proveniva, e solo questa somiglianza, molto probabilmente, le aveva consentito bene o male di adattarvisi, pur detestandolo.
Il vapore rigenerante di quella tisana era poco più di un palliativo per i suoi acciacchi, oramai lo sapeva, eppure iniziando a berla la congestione che le occludeva il petto sembrò sciogliersi del tutto, riscaldandole le articolazioni intorpidite dal cattivo riposare.

Almeno lui sarebbe stato veramente libero, ora che aveva tagliato la corda.

Aveva lottato col cuscino per ore, riuscendo a prendere sonno soltanto a notte alta. E lo aveva sentito introdursi di soppiatto nel perimetro inviolabile della loro camera.
Il suo era stato un commiato degno di un ladro.
Anche ad occhi chiusi lei ne aveva percepito ogni movimento calcolato, i pensieri contrastanti, le genuine speranze e i grandiosi sogni che gli facevano tamburellare il giovane cuore, troppo esuberanti per resistere alla tentazione di eludere da quel gramo isolamento.
Era evaso da lì per andare a conquistarsi la sua fetta di mondo, per assaggiare l’avventura.
E non si sarebbe più fermato. Non era più suo.
Dopotutto lo aveva partorito tra mille paure con l’unico auspicio che avesse un’esistenza piena di scopi, da ricordare. Non c’erano state altre vere ragionevoli motivazioni per intestardirsi nel portare avanti quella gravidanza imprevista, in quelle condizioni così disagevoli e inadatte allo sbocciare di una nuova vita. Lo aveva protetto nel suo grembo contro il parere di molti e la carenza di appoggio del suo stesso compagno, ci aveva riversato tutta se stessa e non era stata capace di fare altrettanto successivamente.
Per essere grande avrebbe dovuto anche essere solo, c’era già abbastanza concorrenza in giro.
E lei sognava che il suo nome fosse sulla bocca di tutti.
Forse con le sue speculazioni lo aveva pungolato anche un po’ troppo su quell’ultima questione, sospirò sconsolata, volgendo una smorfia dimessa al blocco di fogli scompaginati che giaceva sulla tavola e gettando un’occhiata atterrita alla mischia che stava aggregandosi per le strade vicine.
Sporgendosi oltre la ringhiera tra la ressa poté discernere delle sagome familiari che blateravano con allarmismo accuse contro un irreparabile atto vandalico, riscuotendo tutto il vicinato e richiamando con loro le poche bande intente a protrarre i bagordi notturni.
Ruth, intuendo che stavano puntando alla porta della loro abitazione, rientrò prima che qualcuno potesse scorgerla affacciata e accostò velocemente le tapparelle. Quindi riempì di nuovo la tazza con la restante infusione di erbe officinali, sedendosi comodamente e attendendo che si intiepidisse, nell’inevitabile attesa che quei labili momenti di quiete casalinga venissero infranti da un’eclatante invasione.
- Per le corna marce di Belzebù!
Con falcate scomposte, visibilmente frastornato da quella brusca sveglia, Edward attraversò la stanza in penombra in cui si era sistemata lei, spalancando le imposte del terrazzino e facendo filtrare la luce crescente del sole all’interno.
- Porco Diavolo! Tutta la Baia è in subbuglio! – strizzò gli occhi scuri mentre, ancora mezzo svestito e assonnato, armeggiava con gli alamari della giacca, osservando impietrito lo sciamare forsennato di gente per le vie sottostanti.
- Che accidenti succede? – esclamò insospettito, scostandosi dalla finestra e cercando risposta nella mattiniera moglie che, impeccabile nella sua vestaglietta di mussolina e con i suoi capelli ben lisci e pettinati, continuava assorta a bere a piccoli sorsi il suo decotto medicinale, senza scomporsi per il putiferio che era giunto a far tremare perfino il ciottolato e le scale adiacenti, come vi fosse una mandria di cavalli selvaggi lanciati al galoppo.
- Quel tignoso menagramo ha sgraffignato il Codice, ecco cosa succede! – comparve di soprassalto a svelare l’arcano un’angariata Grace Sparrow – Hanno riferito al Patriarca di averlo visto sgattaiolare dalla Grande Camera del Consiglio! – proseguì sciorinando il bastone, seguita a ruota dalla ruggente sorellastra Quick Draw e dalla zoppicante cugina Mabeltrude.
Le tre furie, come le avevano in confidenza ironicamente ribattezzate Edward e Ruth, dopo essersi abbattute su di loro accusandoli di non prestare la dovuta sorveglianza alle marachelle dello scapestrato pargolo, incominciarono a riferire ciascuna la propria versione del disdicevole fattaccio, così come l’avevano appresa da più voci e testimoni che dicevano di averne riconosciuto l’artefice.
Capitan Teague non provava neppure più ad ascoltarle, impensierito dall’arroventarsi del pandemonio per le strade della città, che quell’oggi stava destandosi con quella sconcertante notizia.
Da che vi si era stabilito quasi in pianta stabile, trascorrendovi qualche lasso di tempo in più nel periodo degli uragani, il Consiglio di Pirati nobili aveva deciso di omaggiarlo della funzione di Custode del Codice poiché, oltre ad aver dato prova di essere un pirata di parola nel corso delle sue scorribande per i sette mari, durante il suo soggiorno era stato capace di sedare le varie rivolte che scoppiavano di frequente in quel formicaio di banditi d’ogni razza.
Da lì a qualche giorno avrebbe dovuto imbarcarsi alla volta di altri continenti per procurarsi quante più informazioni attinenti usanze, credenze e norme adottate dai bucanieri del globo e raccoglierle così in un unico testo che sarebbe stato la summa della loro identità. Perché in quegli anni le flottiglie di disertori, nomadi e reietti si erano talmente moltiplicate da potersi considerare anche loro una sorta di Stato, le cui leggi dovevano essere precise e incontestabili. L’anarchia altrimenti li avrebbe condotti ad un rapido declino, o peggio allo sterminio.
Edward Teague aveva giurato di proteggere quel manoscritto e impegnarsi solennemente affinché ne fossero rispettate le basilari regole di convivenza, al costo di attirarsi le invidie e le vendette di altre fazioni della loro comunità.
Si era premunito a qualsiasi tranello, ma che fosse stato proprio Jack a tradirlo e coprirlo di disonore costituiva un affronto incomparabile. Il mozzo, tanto ingenuo e imbranato quanto volenteroso e intraprendente, che aveva svezzato e istruito a bordo della stessa nave in cui era nato quel legame imprevisto di cui lui era stato la lampante conseguenza, era riuscito a spillargli uno strano attaccamento. Il suo voltafaccia lo aveva colpito tra capo e collo, una spada nel costato che affondava e rigirava in quello stesso affetto che si era difficilmente formato, stemperando l’antipatia iniziale e la diffidenza con cui l’aveva trattato.
Ruth si avvicinò a lui, raschiandosi la gola e porgendogli una filza di pergamene ingiallite riempite da una fittissima scrittura:
- Veramente Jack non ha rubato quel libro, lo aveva solamente preso in prestito …
La vista dell’antico manufatto parzialmente integro fece traboccare in scurrili esternazioni di ringraziamento le altre Sparrow che se lo passarono di mano in mano sbaciucchiandolo e benedicendolo per poi riaffidarlo al suo Custode.
Il moccioso con quel finto furto aveva provocato un guazzabuglio perché tutti parlassero di lui, si disse Capitan Teague, però, il dispetto in lui permase poiché, sfregandosi il pizzetto, notò che a un dito mancava qualcosa che non avrebbe dovuto mancargli. Uno dei suoi anelli e non uno qualunque: - Il moscerino si diverte a disobbedirmi. Dove si è nascosto? È ora che capisca chi comanda e che deve portarmi rispetto! – decretò vivamente, non sapendo se la stizza che gli arruffava il respiro fosse causata più dal fastidio che il figlio si fosse burlato di lui o che per derubarlo di quel ninnolo magico avesse osato intrufolarsi nella loro stanza da letto, violando la loro intimità senza che lo scoprisse.
- È scappato, temo. – confutò Ruth, travisando con trascuratezza dell’idromele da una caraffa.
A Edward bastò sondare la sua espressione elusiva per supporre che fosse stata in combutta col fuggiasco quindicenne. Lo adorava al di sopra di qualsiasi altra cosa.
Si spostò al suo fianco, afferrandole un gracile polso: - Come? – annaspò inclinandosi verso di lei, scandendo il sospetto con un tono accusante. La moglie non abbassò neppure le palpebre, mentre portava il bicchiere alle labbra e sorseggiava in tutta calma il liquido ambrato, sostenendo il suo sguardo scrutatore.
- Avrà grattato una bagnarola giù al cantiere navale! – si impicciò tra di loro Quick Draw, gettando uno strillo sguaiato alla comparsa della sua indisciplinata prole che la attorniò con girotondi e petulanti richieste.
Per Teague la casa era divenuta sin troppo affollata. Domandò alla zia Quick di andare al porto e avvisare i suoi uomini di tenersi pronti ad armare la Dama di Nebbia, per levarsela di torno, quindi si diresse spedito e infuriato in camera sua.
Ruth gli corse davanti, allungando un braccio verso il suo: - Che intendi fare?
Capitan Teague irrigidì le spalle, indossando il bicorno e la cinta con le armi: - Non può essersi spinto troppo lontano. Lo troverò e lo riporterò qui – assentì con controllata ripicca, benché le sue pupille dilatate promettessero poco di buono nei confronti dello spudorato ragazzo.
- Ed io sarò lieta di dargli il bentornato. – lo assecondò la Capitana Sparrow, scrocchiando le dita con un sogghigno ammiccante, e uscendo trascinò con sé per la collottola la lentigginosa nipote più piccola.
Ruth scorse il marito oscurarsi ed estraniarsi farfugliando frasi smozzicate, ciondolando la testa e tastandosi le tasche in cerca di qualche avana da accendere per quietare i nervi sotto pressione e macchinare sul da farsi. Per un difetto di vanità aveva voluto pensare che si fosse trasferito per starle accanto, ma l’ansia sfibrante di esplorare gli angoli più remoti e sconosciuti del pianeta, di scorazzare, scoprire, superare i propri limiti, inseguire qualcuno, non l’avrebbe mai sconfessata.
La ricerca dell’adolescente fuggitivo era una scusa come un’altra per levare l'ancora di nuovo e non soltanto per riabilitare la sua reputazione.
E lei intanto sarebbe rimasta sola con quell’antagonista invisibile, sopito ma mai debellato, che poco a poco la stava distruggendo. Avvertì un capogiro e poggiò il gomito alla parete: - Edward! Non essere troppo severo con Jack. Cerca solo la tua approvazione – lo supplicò, raccapricciata dalla competizione che si era palesata tra lui e Jack che, a suo giudizio, non aveva fatto altro che onorare la tradizione di quella congrega scombiccherata di avventurieri.
L’uomo rispose con una rauca sbuffata: - Allora ha sbagliato tutto, mia cara – mormorò avvicinandola a sé e sfiorandole appena la fronte con i baffi – Prega che si perda, si confonda e torni indietro a cercar riparo tra le tue gonnelle – si accomiatò con un sorriso mordace, camminando a grandi passi verso l’uscita.
- Certo che non lo conosci – gli rinfacciò lei, delusa e amareggiata – Tuo figlio non lo farà mai.
Edward si voltò per un attimo a fissarla senza riuscire a controbattere. Fu come se la sincerità e la sicurezza disarmante delle sue parole gli avessero spento una cicca sulla lingua.
Il ragazzino aveva visto troppo per poter dimenticare quel che c’era oltre quei faraglioni, e non abbastanza da potersi accontentare di rimanere in quell’esilio dorato che pareva una punizione.
In cima a quelle scale da cui lo salutò con un pizzico di freddezza, la sua Ruth sembrava perfino più alta e forte di quanto non fosse. E forse anche lui stava scappando, da lei e dal terzo incomodo che si era messo tra loro, sperando di allontanare dalla mente quel tarlo.

Così anche in quella circostanza, volente o nolente, era stato via per settimane che si erano trasformate in svariati mesi. Dopo molto navigare per le pullulanti acque dei Caraibi, aveva rintracciato il ribelle Jack ma nessuno scoraggiante discorso era valso per riportarlo indietro. Anzi, a causa della sua infallibile predisposizione a cacciarsi nei pasticci, avevano pure rischiato un’impiccagione in grande pompa, niente meno che su una nave di sua maestà britannica. Si erano divertiti insieme a frodare la legge, e quello era un genere di divertimento che, lui stesso ne era conscio, non soddisfaceva mai abbastanza.
Non l’avrebbe ammesso con nessuno: quello smilzo ragazzino aveva stoffa, probabilmente non quella di un futuro capitano ma sufficiente a destreggiarsi con successo tra gente di malaffare. Era irresponsabile, maldestro, completamente matto, determinato più che mai a perpetrare e sovvertire quei pirateschi insegnamenti che non gli erano stati infusi da lui direttamente, ma erano comunque nel suo sangue. Era il suo ragazzo. Neppure il Demonio in persona sarebbe riuscito a farlo desistere da quella rotta perigliosa in cui si era gettato a capofitto.
Aveva capito che la sua sorte non era più affar suo. Gli aveva donato in pegno il suo anello e lo aveva lasciato ai suoi guai, piuttosto rincuorato, perché dopotutto non si era sforzato chissà quanto a crescerlo, eppure sembrava che, come ogni buon malacarne, stesse ingranando piuttosto alla svelta.

La tempestosa notte di fine anno in cui una scarica di fulmini aveva illuminato lo scafo della Dama di Nebbia al suo ritorno nella baia dell’Isola dei Relitti, Capitan Teague davanti ad un paio di generosi boccali di ponce raccontò alla moglie il suo ultimo tribolato viaggio, tralasciando i dettagli riguardanti le vicissitudini dello screanzato figlio che più l’avrebbero spaventata.
Erano stati presenti anche gli altri invadenti parenti, che non perdevano occasione per ficcanasare e spesso lo interrompevano, rendendo frammentario il suo racconto, ma i begli occhi a mandorla di Ruth, che lui spesso sbirciava, non mostravano particolare attenzione o emozione nell’ascoltarlo.
Si era accomodato sulla fragile ed egoistica illusione che ogni volta in cui si sarebbe allontanato l’avrebbe ritrovata sempre lì dove l’aveva lasciata, disposta ad aspettarlo e a coccolarlo. Era sempre stata di indole radiosa, ora invece, quando tra una spedizione e l’altra ritornava da lei, la sua gioia di rivederlo era quasi impalpabile.
Non c’era più nulla che la trattenesse lì da che Jack se n’era andato per i fatti suoi. Edward si angustiava nello scoprire in lei nuove rughe che non aveva veduto formarsi.
Non avrebbe mai saputo tutto sul suo conto.
Pensò che forse la causa di quell’insofferenza fosse da attribuire alla nostalgia del suo luogo natio, quello di cui lui era ancora formalmente Pirata Nobile e sul quale deteneva perciò un diritto di sovranità rispetto ad altri capitani. Gli parve opportuno, perciò, ritornare ad occupare il suo posto.


A Libertalia gestivano una considerevole rete di scambi, abitavano in una piccola reggia, ricevevano rappresentanze, erano ricchi, serviti e riveriti da tutta l’eterogenea popolazione di indiani, arabi, tedeschi, francesi, inglesi, cinesi, africani che vi si erano trapiantati e che commerciavano con la loro famiglia, pagando loro tratte e diritti di importazione.
Da pirati perseguitati si erano trasformati in uomini d’affari ricercati.
La sua fascia di braccialetti produceva una ritmata melodia, accompagnando il movimento monotono dei suoi polsi mentre rammendava una lacera bandiera, tuttavia quel cambio di residenza o il vivere tra fasti principeschi non aveva rattoppato lo strappo che si era aperto tra di loro.
Ruth attinse un’altra gugliata di filo.
Suo marito discuteva con uno scaltro trafficante d’oppio persiano che tentava invano di truffarlo.
Fingeva di ignorarla, pur avendola seduta di fronte.
Quell’affinità che c’era stata tra loro era stata qualcosa di immediato, naturale, istintivo. Le era sempre bastato guardarlo e toccarlo per capirlo, prima che lui iniziasse sistematicamente a schivarla.
Non si stupiva se il suo stato di perenne convalescente ormai lo ripugnasse. Vivere accanto ad una tisica era come avere al fianco una salma ambulante. Era ancora giovane d’altronde, sebbene profondamente segnato da anni vissuti intensamente, sotto il sole, a contatto col sale e in mezzo a tante battaglie che l’avevano marchiato nella carne e nell’animo.
Avrebbe avuto tutte le ragioni per preferire alla sua straziante macilenza le membra floride di altre donne, che non smettevano di ronzargli attorno, dato il fascino che tuttora sprizzava e che continuava a rapire indecentemente anche lei.
Quel nodo non si era completamente spezzato, ma sentiva che si stava sciogliendo.

Teague ordinò ad un domestico di accompagnare il faccendiere alla soglia, e si rimise a studiare alcune lettere patenti che la moglie aveva falsificato con maestria.
In tutti quegli anni era stato ostinato nel tenersela accanto, e Ruth indubbiamente gli era stata più vicina di chiunque altro, ma l’aveva comunque messa in secondo piano, rifletté sbirciandola.
Non ricordava nemmeno se i molteplici gioielli che indossava fossero stati tutti suoi regali.
Magari qualcun altro le aveva sorriso e l’aveva corteggiata con quel genere di carnierie, mentre lui era diventato solo capace ad ammorbarla con le sue paturnie. Se lo sarebbe meritato che lo tradisse, era così amabile, dolce e comprensiva. Ed era ancora una donna estremamente attraente. Non passava di sicuro inosservata, ne aveva avuto dimostrazione con l’ospite appena congedato, che durante la conversazione le aveva concesso più di un’occhiata interessata.
Conservava quella fisionomia virginea che disorientava e tentava, sebbene negli ultimi tempi fosse diventata eccessivamente filiforme. Non che fosse mai stata prosperosa, ma i suoi stessi vestiti adesso le nuotavano, malgrado li restringesse con fazzoletti e cinture che sottolineavano maggiormente il suo vitino di vespa.

- Io ti piaccio ancora?

L’interrompersi del ripetitivo tintinnio metallico lo fece riemergere da quel sordo e triturante rimuginare.
Sua moglie sembrava avergli letto nel pensiero. Le sue pietre sfolgoranti lo inchiodarono, cogliendolo impreparato, inibendolo. Non era mai stato bravo ad esprimersi. Sapeva arringare alla ciurma o ad altri suoi pari con straordinaria convinzione, ma se la questione riguardava i sentimenti, allora era proprio negato.
Dondolandosi come una bambina, Ruth trotterellò innocuamente verso di lui, facendo ballonzolare le perline, ma uno spasimo che ben conosceva oscurò quel frizzo, costringendola a tapparsi la bocca e a scomparire oltre una tenda con moderata urgenza.
Edward abbandonò le carte che stava esaminando e si mosse per pedinarla.
Ruth avvertì il tentennare dei suoi passi dietro di lei ma tardò a girarsi, per infondersi il coraggio di non crollare. Non avrebbe mai sopportato la sua commiserazione. Si impettì e fece spallucce: - Né il riposo né tutti quei beveroni sono riusciti a curarmi, a quanto pare … – bisbigliò sprezzante, nascondendo il bacile in cui aveva espettorato e coprendolo decorosamente con una tovaglietta.
Non aveva idea di quanto lo spazientisse quella sua indolenza camuffata da umorismo. Accorgersi che quel morbo, di cui nessuno dei due parlava mai, la stava comunque indebolendo era una tortura anche per lui.
La osservava tastarsi lo sterno infiammato restandosene muto e impalato, e Ruth sentiva venir meno le sue resistenze. Le pareva di svenire, doveva allontanarsi. Delle mani irruvidite si infilarono tra le sue trecce spettinate in una confidenziale carezza che la calmò.
Riaprì gli occhi ritrovando sulle labbra sottili di suo marito un sorriso complice e consenziente: - Non potrebbe farci male respirare un po’ d’oceano – propose il pirata, con un mugugno che solo lei poteva comprendere a pieno e che la convinse ad andare contro il suo inutile orgoglio.
Gli si appese al collo, chiedendogli in quel vibrante silenzio di portarla con sé, ovunque avrebbe deciso di andare.
Edward non capiva perché avesse sprecato sin da subito tutta quella fiducia in un soggetto inaffidabile come lui, però capì che ne aveva bisogno e che non voleva perderla.
La abbracciò e avvertì tutta la fragilità del suo fisico provato. Aveva rispettato e subito a lungo il suo dramma restandosene in disparte, al punto da averla codardamente trascurata, condannandola ad affrontarlo da sola.

Da qualche anno si era ritirato da arrembaggi e scorrerie, preferendo il più posato ruolo di mediatore, benché la recidiva tentazione di cannoneggiare qualche mercantile, prendersi qualche pugno o tirare qualche sciabolata, di tanto in tanto era alimentata dagli attacchi di un abietto negriero che aveva la superbia di farsi chiamare Re Samuel e di sfidarlo dentro la sua stessa dimora, costruendosi una fortezza a poche iarde dalla città con il chiaro intento di usurparlo.
Staccarsi per un po’ dalla terra lo allettava davvero. Avrebbero rincorso le correnti più calde, si sarebbero inoltrati nelle regioni meno visitate, o si sarebbero smarriti in quelle ricolme di umanità. Non servivano pepite, rubini, diamanti, smeraldi a renderli felici, piuttosto osservare il levarsi delle stelle dall’orizzonte più buio, immaginare quali ignoti scenari potessero estendersi oltre lo sguardo e sentirsi liberi. Sarebbe stato come tornare ragazzini.
E lo era stato, ma quell’illusione non era durata più di un paio di stagioni.
Quello spasmodico tossire che le straziava il petto non le aveva dato scampo neppure in mare aperto. Sembrava non esistesse alcuna panacea. Qualsiasi rimedio tradizionale si era rivelato inefficace. Ad ogni crisi d’aria pareva che l’anima volesse sfuggirle dal corpo e lui si sentiva come se un’enorme tenaglia lo stesse stritolando. Non voleva essere compatita o contraddetta, non avrebbe saputo in che altro modo aiutarla, se non impugnando il timone e affidandosi a delle soluzioni decisamente alternative.
Con lei aveva iniziato a credere anche in quelle che in passato aveva considerato bazzecole.
Capitan Teague aveva viaggiato per molti paesi, solcato tutti i mari sulle mappe, compresi quelli in cui pochi arrischiavano avventurarsi, e nel corso del suo viaggiare era incappato in alcune leggende marinaresche riguardo dei luoghi introvabili che custodivano l’elisir della guarigione e della vita eterna.
L’immortalità era un concetto da cui curiosamente non era stato ossessionato. A differenza di altri uomini, riteneva che non ci fosse molta audacia nell’inseguirla, all’opposto chi la desiderava, secondo lui, cercava un presupposto per crogiolarsi nel presente, rimandando ad un ipotetico domani quel che avrebbe potuto compiere oggi. Una prospettiva che non combaciava con la sua indole protratta a vivere al massimo delle possibilità e a non tralasciare faccende in sospeso.
Il problema era che tutte quelle ammirevoli premesse e convinzioni erano fallite miseramente da che si era innamorato di Ruth.
Lei lo aveva salvato da se stesso, dall’uomo arido e insensibile che stava diventando, portando una sublime ventata di grazia nei suoi giorni dominati da solitudine e incertezza, facendolo sentire meno brutto e sperduto.
Non avrebbe rinunciato a lei, avrebbe impiegato tutti i suoi sforzi per ripagare quel debito.
Aveva ormai dilapidato gran parte delle sue fortune pur di ottenere le informazioni che gli occorrevano, ma le ricerche, per quanto meticolose e approfondite, si erano rivelate deludenti.
Shangri-La, Abkhazia, Atlantide, Eldorado, la Pietra Filosofale, verosimilmente erano soltanto dei miti, tanto seducenti quanto inesistenti.
Restava infine quell’ultimo luogo da esplorare. L’ultimo abbaglio, forse.
La fitta vegetazione tropicale di quell’isola disabitata ne rendeva appena intuibile la carcassa di legno adagiatasi sulla sommità di quel promontorio roccioso, eppure, al di là delle verdi alture sovrastanti quella spiaggia di un bianco accecante, due secoli prima era naufragato un vascello famoso, pieno zeppo di ricchezze. La Santiago.
Edward Teague era deciso a penetrare in quel relitto putrefatto dal tempo rimasto a picco su una scogliera e rubare il tesoro più inestimabile che si nascondeva nella sua stiva.
Scelse due accompagnatori tra i marinai più robusti, e si accinse a scalare quel percorso impervio, cercando il tragitto più breve, con la speranza, priva di fondamento, che nulla le sarebbe accaduto finché lui si trovava altrove.

Rinvenne accorgendosi che erano arrivati a destinazione e che nessuno si era premurato di informarla.
La mulatta, che per volere di Edward avevano preso a bordo affinché provvedesse ai suoi bisogni, era sparita e non si udivano né il chiacchiericcio né gli strepiti usuali di una ciurma sbarcata sulla terraferma dopo frenetico errare.
Ruth si domandò se non l’avessero già creduta trapassata.
In effetti era raro che quell’affanno le desse tregua. Si alzò con poca fatica e camminò adagio verso la vetrata, percependosi eccezionalmente leggera, nessun muscolo atrofizzato o sapore di fiele nel palato.
Uno splendido tramonto stava tinteggiando cielo e mare di amaranto. Le parve il paesaggio più commovente che avesse mai ammirato. Per un istante la vista si appannò e fu costretta a stropicciare le ciglia.
La porta si sbarrò di colpo: - Glieli ho fottuti, Ruthie!
Il Capitano entrando si buttò direttamente verso la branda, tentennando come davanti ad un’allucinazione nel trovarla invece in piedi, dopo più di due settimane di degenza.
Edward le rivolse un cipiglio comprensibilmente incredulo e sorpreso, oltre che stranito. Aveva sposato una fenice, non una semplice donna, sogghignò tra sé e sé andandole incontro.
- Guarda qui: sono i calici di Cartagena – asserì soddisfatto, mostrandole un modesto scrigno rettangolare da cui estrasse le due coppe d’argento – Erano ancora su quella luridissima caravella, proprio sotto il deretano di Ponce de Leon … o di quel che ne resta – strabuzzò gli occhi bistrati, ridacchiando e offrendoglieli.
Poi si abbassò ad afferrare una bottiglia dal pavimento, consumandone la scolatura: - Se anche gli altri calcoli sono esatti, la fonte dovrebbe essere vicina – proseguì ad esporre, inserendo delle puntine su un mappamondo e snocciolando altri complicati termini nautici.
Ruth soppesò e rimirò i due oggetti impolverati boccheggiando, più emozionata dalla spericolatezza e dall’altruismo della sua azione che dal tenere tra le mani due cimeli tanto ambiti dai cercatori di tesori.
Aveva imparato ad amare quel briccone con tutte le irregolarità del suo estroso temperamento, talvolta incoerente e balordo, ma innegabilmente generoso e leale.
La sua dedizione e la sua arroganza non l’avrebbero fermato dal compiere quel nefando rituale di cui le aveva parlato. Per lei avrebbe sotterrato degli innocenti. Non lo avrebbe tollerato.
Attribuì quell’improvviso senso di soffocamento all’insopportabile afa, nonostante quella fatidica vocina nell’orecchio le suggerisse che si stesse abbindolando con un’altra sciocca bugia.
Poggiò con un fermo rifiuto i calici su un barile e claudicò tranquillamente verso il tavolo, bussandogli sulla spalla per interromperlo dalle sue valutazioni: - Io non sto più male – trillò gioviale, però i polmoni bruciavano di nuovo, le pareti cominciarono a vorticare, le ginocchia a cedere, e lei sbatté il naso contro un aspro odore di tabacco, alcol, muschio e sabbia.
- La tua intuizione era giusta. Il vento ci è a favore. Salpando subito arriveremo entro domattina.– le sussurrò la cadenza profonda e arrochita di Edward, e Ruth, brontolando nel suo dialetto, gli si arrotolò contro, preferendo le sue braccia alle coperte che le stava rimboccando.
- Sto bene – minimizzò riacquistando i sensi, sebbene si sentisse reduce da una colossale sbronza.
Teague le annuì per nulla rassicurato, tentando di separarsi: se non avesse agito in fretta quella testa dura si sarebbe lasciata morire. Continuava a mentire, riusciva a sorridere lo stesso e non voleva essere lui a rovinare la sua fede smisurata. Purtroppo era evidente che la sua raggiante vitalità stesse esaurendosi, ma la sensazione rilassante delle sue iridi lucide e delle sue dita bollenti che accarezzavano i suoi graffi lo irretiva e non riusciva a muovere un ciglio o contraddirla.
- Sai capitano? Alla fine sono contenta di essermi incarnata in una splendida fanciulla in questo ciclo. E soprattutto di averti conosciuto – mormorò scherzosa, intrecciandogli la barba, i movimenti imprecisi e lenti.
Scottava e lui fu convinto che ormai delirasse sotto l’effetto della febbre alta. Nonostante si ritenesse tutto fuorché simpatico, provò ugualmente a sdrammatizzare: - Suvvia! Sappiamo benissimo entrambi che te la saresti cavata infinitamente meglio se non ti fosse successo!
- Non ci sarebbe stato neanche Jackie … - lo rimproverò prontamente Ruth, e le sue pupille tremarono lottando contro un pizzicore ingiusto – Chissà quanto sarà cresciuto il mio bambino …
Edward le prese il mento tra indice e pollice, risollevandoglielo: - Lo rivedrai quel gran farabutto – borbottò caustico, ma Ruth colse nel suo tono monocorde e nelle orbite infossate un’altra verità.
Il suo battito stava rallentando, si sentiva raggelare le viscere ed era ricomparso quel temuto sibilo ad affaticarle il respiro. Erano gli ultimi istanti che condividevano, lo intuì dall’intirizzimento che la stava avviluppando
Non era dispiaciuta di essere lei, tra i due, ad andarsene per prima, solo lui l’avrebbe rimpianta, ma riconosceva nella sua stretta calda ed energica la paura di perderla e di restare solo.
Avrebbe dovuto avere la bontà di dirgli addio molti anni addietro, adesso non poteva più impedirgli di soffrire. Sperava che non gli rincrescesse troppo e che non commettesse qualche gesto insano.
- Io ero già morta quando ti ho incontrato. Ma tu non inseguire più chimere che non ti appartengono – insistette perché lui smettesse di vaneggiare di poterla trattenere ancora – Naan unnai kadalikiren – mormorò con l’ultimo filo di fiato, lasciando scivolare serenamente le palpebre nell’oblio.
Edward non poté soffocare lo sprizzo di terrore che gli sconnesse la lingua dal cervello: - Ma tu appartieni a me! – farfugliò agguerrito, sollevandola a sé e posandole le labbra sulla fronte ancora tiepida – Me lo hai promesso, diamine! – ansimò ottenebrato, accasciandosi su di lei. Baciò il suo viso emaciato, i capelli lunghissimi e le piccole mani, rifiutandosi di accettare che non potesse più rispondergli, abbracciarlo o sorridergli e che per tutto quello non potesse vendicarsi con nessuno.
Era l’unico a doverne pagare lo scotto. L’aveva amata troppo poco e troppo tardi.
Affondò la testa nella concavità del suo grembo. Aveva il cuore in cancrena e tutti gli altri organi dovevano essere andati in malora per solidarietà. Le tempie pulsavano quasi da scoppiare. Sarebbe stato giusto piangere, sfogarsi, cacciare fuori la rabbia e il dolore, ma non ci riusciva.
Non sentiva più nulla, nessuno stimolo, nessuna pulsione o scopo, solo un’inesprimibile vuoto.
Ruth era stata un’onda anomala, un regalo immeritato di cui aveva compreso troppo tardi il valore.
Sospirava, aspettava, si illudeva che massaggiandola e sussurrandole si riavesse, scrutando ininterrottamente quel volto e quel sorriso che l’aveva abbagliato e che non era scomparso nemmeno ora che quella splendida bocca di rosa era diventata viola. Lo aveva sempre avuto un bellissimo sorriso, anche quando gli occhi le si velavano di ombre misteriose. Era sempre adorabile.
Sarebbe stato invidioso perfino dei vermi che si sarebbero saziati del suo corpo marmorizzato nel freddo artiglio della morte ...
La maniglia cigolò e un uomo di grossa stazza invase il vestibolo del suo alloggio. Lo richiamò ripetutamente e, non udendo volare una mosca, avanzò fino alla stanza più interna della cabina:
- Capitan Teague, stiamo aspettando vostri ordini … Oh maledizione! … – balbettò indietreggiando e recitando qualche orazione in arabo.
Molti dei compagni con cui aveva condiviso successi, stenti e cicatrici lo avevano abbandonato, erano passati da un’altra parte o a miglior vita. Ismael, suo secondo e confidente, era rimasto partecipe delle sue follie e non si stupì che fosse il primo ad apprendere la prevedibile tragedia. Anche perché aveva sempre avuto l’abitudine di non rispettare i suoi spazi o chiedere permesso, e con la vecchiaia quel suo odioso vizio stava peggiorando.
Capitan Teague si tirò su dall’esanime moglie notando che la sua camicia di cotone si era bagnata e macchiata. Avrebbe giurato di non ricordarsi più come scaturissero le lacrime, pensò sbalordito, incrociandole le braccia sul seno.
Le carezzò le guance con il dorso della mano. La pelle era divenuta fredda, di creta.
Fuori era quasi notte. Era stata una giornataccia storica.
Strascinandosi verso il turco rimise al loro posto i calici, muovendosi a scatti come una marionetta.
- Edward … mi dispiace, sul serio, compare – tentò di sviarlo Ismael, non trovando altre parole di consolazione o cordoglio e avendo un po’ timore della sua brutta cera.
I lumi a olio proiettavano lunghe e tortuose ombre sulla sua infinita cupezza, incutendogli un aspetto ancora più torvo e impenetrabile.
Il Capitano tacque e, prendendo sotto braccio lo scrigno, si incamminò sul ponte ordinando che preparassero una scialuppa, disprezzando i commenti degli altri pirati che nel frattempo si accodavano alle condoglianze.
Uno solo degnò di considerazione.
- Quella cosa che ti pende dal cinto – apostrofò un muscoloso creolo, riferendosi al cranio rimpicciolito che esibiva insieme ad altri bizzarri amuleti voodoo che l’avevano incuriosito .
- Questa tsantsa? – barbugliò quello, impacciato e intimorito dal suo sguardo trucido.
Il filibustiere accennò dietro di sé, per poi sentenziare risoluto: - Ne voglio una uguale.
Il mezzosangue allibì, non si aspettava una simile richiesta in quel momento: - Ma tsantsa imprigiona spirito di nemico ...
Teague inclinò il capo, soffermandosi con una gamba a metà tra la scialuppa e la murata:- Sì …
Ridiscese e assentì ancora dando al meticcio un leggero colpetto sulla spalla in segno di assenso, e si allontanò non dando retta al vespaio di mormorii che accese in quella superstiziosa ciurmaglia.

Ruth era stata l’unico avversario che non aveva saputo battere. Lo aveva accalappiato, eppure lasciandolo così presto non lo stava liberando. Non era riuscito a sconfiggere quel garbuglio di emozioni che il suo tocco gentile gli aveva suscitato dentro.
Avrebbe voluto avere occasione di confrontarsi con lei ancora, perché era stato lui l’indiano incapace di confessarle abbastanza quanto lo avesse corrotto il suo bene disinteressato.
E poi non voleva che si incarnasse in qualche altra creatura o amasse qualcun altro.
Poco dopo la sua dipartita si era convertito alla sedentarietà. Aveva veleggiato in lungo e in largo per decenni, era stato ovunque e oramai non avrebbe saputo dove altro andare, né avrebbe avuto alcun diletto nel partire se non ci fosse stato qualcuno da cui voler tornare ogni tanto.
A distanza di anni si diceva che forse quell’idea strampalata era stata un ghiribizzo dell’età: era stata la senile angoscia di non avere più qualcuno che gli tenesse compagnia, o con cui poter parlare liberamente.
Poteva anche ingannarsi di non vederne le imperfezioni, quali il colorito ormai grigiastro o l’assenza di qualche frammento che aveva smarrito per strada, come i ciondoli o gli orecchini da cui non si separava mai, ma in verità a mancargli spesso erano soprattutto i suoi occhi puri e ammaliatori.
Non ne esistevano di quella tonalità scura e luminescente, tersi e intrisi di una malinconia che non aveva mai compreso fino in fondo.
A voler essere corretti, da qualche parte ce n’erano un paio somiglianti, solitamente intenti ad interrogare i messaggi delle onde o a circuire degli sprovveduti malcapitati.
E, per una ragione assolutamente estranea ad un’improbabile rimpatriata, dopo quasi vent’anni che non li incrociava, erano ricapitati davanti ai suoi.
Li stava usando per tessere un nuovo astuto raggiro a danno della Fratellanza, consapevole del loro accattivante potere.
Jack Sparrow campava così, da quel che gli avevano riferito. L’arte della menzogna era il suo stile di vita. Aveva perfino rinnegato il suo nome per quel disperato bisogno di piacere e sentirsi ineguagliabile, però aveva preso lo stesso soprannome della detestata bagascia. Quello sgarbo non glielo aveva tanto perdonato, era stato finanche peggiore del suo inqualificabile arruolamento nella Compagnia delle Indie..
Le frottole erano ad ogni modo un’arma a doppio taglio. Sarebbe arrivato un momento in cui avrebbe inavvertitamente abbassato la guardia o non avrebbe più avuto la destrezza di districarsi in quella spessa ragnatela.
La sua rinnovata connivenza con quel figlio di buona madre rispondente al nome di Hector Barbossa, ad esempio, poteva rivelarsi un tranciante trabocchetto. Quello spocchioso individuo, a ragion veduta, non gli era mai andato a genio, ma non si sarebbe intromesso in quell’intricata diatriba. Spettava alla nuova generazione risolverla, lui era intervenuto solo come supremo garante della legge piratesca.
E in verità lo avevano pure scomodato nell’ora in cui si svagava a strimpellare con la sua collezione di strumenti a corda, chitarre, mandole, liuti, banjos ...

Jack gli aveva lanciato più di una compiacente sbirciata mentre, da abile manipolatore, affabulava i componenti del Consiglio assumendo il ruolo di primo attore all’interno della concitata seduta.
Quando tutti gli altri Pirati Nobili con i loro chiassosi seguiti se ne furono andati, gli rivolse uno smagliante sorriso che esprimeva tutta l’incontenibile soddisfazione per aver fatto deviare gli intenti dei colleghi verso ciò che lui intendeva accaparrarsi. Ma da parte del maturo Capitan Teague non ricevette altro che un’occhiataccia austera che gli fece storcere la bocca.
Per quanto probabilmente fosse un rimpianto infantile, non si era ancora rassegnato ad essere per lui un figlio negletto e sgradito.
Non gli aveva mai insegnato niente, suo padre, escluso qualche trucchetto sul come assettare le vele o interpretare il corso degli astri, il che era stato un vantaggio per racimolare il fegato e volatilizzarsi da quel purgatorio in cui l’aveva segregato.
In ogni caso, roba da marinai.
Non era stato il tipo di genitore che invitava il proprio pargolo a sedersi sulle sue gambe e discutere a quattr’occhi, senza filtri, se si accorgeva che non mangiava, teneva il broncio oppure si lamentava di qualche scaramuccia.
In compenso qualche volta aveva alzato i toni contro le sue insubordinazioni, eppure, di quei limitati scampoli di tempo trascorsi insieme, non ricordava i pochi litigi, bensì i molti silenzi che tuttora pesavano fra loro come macigni, difficili da rimuovere.
Era stato parsimonioso di discorsi e gesti, e lui li aveva apprezzati, giudicati, assimilati tutti alla stregua di esempi di buona condotta, quantunque non li avesse sempre saputi emulare.
Capitan Teague era stato il primo vero capitano pirata che avesse conosciuto. Aveva ammirato sin dal principio l’autorità che trasmetteva col solo incedere, l’eleganza con cui si abbigliava, la sobrietà del ragionare, la sua padronanza del comando e di sé, la disciplina nel giudicare e punire.
E poi lo aveva scoperto dotato di letale precisione nell’uccidere i traditori, ma anche incline ad imprevedibili slanci di generosità degni di un vero signore nei suoi confronti.
E, proprio in quegli sprazzi, aveva iniziato a vagheggiare di rappresentare qualcosa di molto più speciale di un qualunque mozzo, per colui che continuava a proclamarsi soltanto un protettore.
Nelle reminiscenze della sua gioventù, vissuta circondato da un manipolo di donne vagamente isteriche e ostili, quel capostipite girovago era stato un faro intermittente, eppure neanche adesso che si considerava un uomo navigato ed era cosciente di dovergli poco e niente, avrebbe respinto un suo consiglio, se avesse voluto darglielo.
Quell’immarcescibile bucaniere era sopravvissuto a cicloni, bordate, traditori, pallottole, sciabolate e ossa rotte.

- Il trucco è riuscire a convivere con se stessi, per sempre.

Lo ammonì sagacemente Edward Teague, quasi che avesse intuito i suoi reali e ambiziosi disegni riguardo alla battaglia contro l’Olandese Volante.

Convivere con se stesso era proprio un bell’inghippo. Jack Sparrow, in coscienza sua, ci provava da sempre a portare avanti quella relazione oltremodo travagliata, in cui la tendenza alla dissolutezza e alla corruzione si scontravano puntualmente con quella fastidiosa punta di onestà e indulgenza. Talvolta bastava alzare il gomito e non pensarci, talaltra avrebbe dato qualsiasi cosa per schiodarsela dal cuore e avere così meno impicci.
Ma la sua preoccupazione maggiore adesso era il tempo. Rinnegare il concetto che esistesse non funzionava più. Lo scorrere delle maree era inesorabile, glielo dimostravano i lineamenti incartapecoriti di suo padre. Invecchiare, ammalarsi, soffrire, lo terrorizzava. Aveva sempre aborrito il dolore: non sopportava esserne vittima, tantomeno infliggerlo.
Le vessazioni di sua nonna e i soprusi della gavetta gli avevano fatto scuola. Si era tatuato schiena e braccia per stigmatizzare quelle memorie, sebbene fossero i dolori dell’anima quelli che lo intimorivano di più, inducendolo a svignarsela da qualsiasi situazione avesse la minima parvenza di procurarne.
Nella vita voleva solo divertirsi, godersela, spassarsela fino a crepare in barba a chi gli voleva male. Non avrebbe saputo decidere se quell’assunto fosse una questione di superiorità o debolezza.
A quel proposito gli sovvenne l’assenza di una persona che, venendo a conoscenza che fosse lì, avrebbe dovuto far capolino. Avrebbe gradito ascoltare cosa avesse da ridire in merito ai suoi grattacapi la sua atipica saggezza zen.
- E la mamma? – domandò in un impacciato borbottio.
Il volto di Capitan Teague si fece lugubre, a lui per poco non schizzarono gli occhi fuori dalle orbite: – Quanto sta bene! – tartagliò esterrefatto, non osando chiedere come, quando e perché sua madre fosse defunta e si fosse trasformata in un macabro feticcio.
La serietà di suo padre per tanti anni l’aveva fuorviato: neanche lui era esente da quella vena di follia che scorreva in tutti i membri della sua stramba famiglia.
- Sì, è lieta di rivederti. – asserì infatti convintamente il vecchio pirata, facendo dondolare quella testolina fossilizzata vicino alla sua – Era da parecchio che non tornavi a farle visita, eh Jackie? – rimbeccò il figlio, vezzeggiando gli stopposi filamenti sbiaditi che pendevano dalla cute della mummietta – Te l’avevo promesso che l’avresti rivisto, Ruthie cara – le bisbigliò complice, e sorridendole la sua faccia si ricoprì di più righe di una carta geografica.
Jack ebbe l’impulso di stirarsi gli zigomi, augurandosi di non ereditare quello spiacevole tratto somatico, mentre meditava su quanto la sua perspicacia avesse toppato. Non aveva inteso che quella donna lunatica, discreta e fragile avesse occupato una posizione tutt’altro che marginale e che lui le fosse stato talmente legato da decidere addirittura di attaccarsela al fianco e continuare ad amoreggiare con i suoi resti mortali, come se non l’avesse mai lasciato.
I suoi genitori gli erano sempre sembrati ognuno per sé, coi pensieri tra le nuvole o per lo più di malumore. Non li aveva mai visti tanto sereni.
- Prendila con te!
Il Custode del Codice gli piantò un dito nodoso al centro del petto, pronunciando quella proposta con la risolutezza propria di un ordine indiscutibile.
Jack barcollò indietro: - Cosa?!
- Lei adora navigare, ed ho l’impressione che tu ancora per un po’ non rinuncerai al mare – concluse l’incontestabile corsaro, sciogliendo i lacci che tenevano la tsantsa annodata alla sua bandoliera e valutando accuratamente il punto migliore in cui fissarla alla cintura del figlio, già traboccante di esotici talismani.
- No! – strillò allora Jack, realizzando che non stesse affatto scherzando – Io … Non voglio dividervi, di nuovo – squittì velocemente, mordendosi un’unghia. Se c’era lui di mezzo bisticciavano, si giustificò tra sé, pur di non accollarsi quel cadaverino, che poteva anche essere stata la sua graziosa mamma, però così conciata gli provocava un certo ribrezzo.
Edward fece tintinnare i disparati monili sparsi nella folta capigliatura: - Ah sì? E in quale occasione osi credere di esserci riuscito, esattamente, giovanotto? – gorgogliò con una specie di risata sarcastica ad attenuare la truce espressione da assassino.
Jack ammutolì per istinto di conservazione. Non era consigliabile opporsi ad un amante cui era saltata qualche rotella, specialmente se il suddetto girava con un cinturone ricolmo di pistole pronte a farlo secco prima ancora che schiudesse la mandibola.
Lasciò che le dita callose dell’arzillo capitano intrecciassero lo spago, soffermandosi a riflettere che lui non era mai stato un tipo da legarsi. Almeno un paio di volte si era impigliato con qualcuna, per sventatezza. Sbrogliarsene non era stato poi così facile come aveva previsto, perciò si era ripromesso di non cascarci più. Aveva ripudiato quel genere di affezione, non era adatto a condividere senza che subentrasse la noia.
Capitan Teague terminò di stringere la gassa, verificando che tenesse, e si abbassò sulle gambe per parlottare ancora con la capoccetta avvizzita: - Fa buon viaggio, tesoro. E riguardati dall’umidità e dal mistral – le raccomandò amorevolmente, imprimendole un bacio che Jack giudicò di una dolcezza tanto rivoltante da solleticargli le narici e gli occhi.
La sua scomparsa doveva averlo addolorato in maniera indicibile, non si creava problemi ad ammettere con schiettezza di averla amata e di non aver mai smesso.
Avrebbe potuto biasimare molte cose di suo padre, l’indifferenza, l’estremo rigore, l’ombrosità, l’incomunicabilità, tuttavia dovette riconoscere che fosse un uomo di rara integrità morale e che fosse stato sempre molto onesto con lui. Non aveva finto un affetto che scarseggiava e non gli aveva risparmiato castighi dolorosi.
L’onestà spesso richiedeva forza e coraggio, e lui si era sempre ritenuto più una volpe che un leone.
Edward rialzò lo sguardo sul suo unico erede, scorgendolo turbato e meditabondo dietro alle marcate linee di kajal che rendevano le sue iridi liquide molto più ambigue e sfuggenti, oltre che maledettamente identiche a quelle della sua Ruth. Forse non aveva saputo essere il padre presente e paziente che un figlio desiderava. Eppure, guardandolo nella sua esteriorità, era indiscutibile che lo avesse considerato un riferimento, perfino nei piccoli vezzi. Era abbastanza stagionato oramai, non si sognava di correggere tutto ciò che aveva sbagliato, perché lui ne aveva tratto giovamento e se l'era sbrigata. Ma, a differenza sua, quello squinternato pareva non riuscisse o non volesse raggiungere un equilibrio tra le sue aspirazioni e il suo potenziale.
Gli sarebbe occorso uno scossone significativo per maturare sul serio e cominciare a rigare dritto.
- E tu? Quando ti lancerai in questa pazzia? – gli domandò lisciandosi le punte dei baffi con un sottile ammiccamento.
Quell’ingenuo non lo afferrò o finse di non afferrarlo, sbattendo le palpebre con atteggiamento svampito: - Hmm?
Teague allargò le braccia e le scrollò per aria: - Tramandare la tua semenza! – chiarì in tono di accusa, e, abbassando la voce: - Ci vai con le femmine, sì? – arricciò il naso, scrutandolo un po’ perplesso in corrispondenza della patta dei pantaloni.
Jack articolò dei suoni vuoti tra i denti. Era raro che restasse privo della sua rinomata favella, ma al suo cospetto ritornava a sentirsi un novellino, si vergognava. Non erano mai stati così intimi per lasciarsi andare a quel tipo di confidenze, che, tra l’altro, secondo la sua eccentrica filosofia, non si addicevano a dei gentiluomini del loro stampo.
- Se proprio vuoi saperlo, non appena metto piede in un porto, vengo letteralmente assalito da stuoli di donzelle vogliose della mia squisita compagnia! – si esaltò superbamente, per dissipare qualunque dubbio sulla sua mascolinità.
Con quell’eccessiva millanteria, invece, si era screditato. Lo comprese dopo che vide screpolarsi il labbro inferiore di suo padre in uno sbuffo trattenuto di tedio e scetticismo, mentre un sopracciglio si inarcava perplesso.
Capitan Teague provò un briciolo di compatimento per quell’incorreggibile farfallone, chiedendosi se fosse possibile che alla sua veneranda età non avesse mai incontrato una donna che gli volesse bene davvero, rendendolo fiero e appagato di essere un uomo, non necessariamente quando si accaldava tra le sue cosce.
- Bene … Come presuppongo tu abbia appreso, sto per andare in guerra. – ciangottò Jack, arretrando come un gambero verso il tavolo, raccogliendo e nascondendo dentro la tasca della giacca un dadino di vetro colorato che aveva adocchiato e che qualcuno doveva aver smarrito durante la baruffa.
- Or dunque devo approntare la mia Perla, sarà lei la nave ammiraglia della nostra flotta – gongolò, mostrandosi insofferente di sottrarsi a quello scomodo confronto.
Il compassato corsaro alzò i pugni, segnandosi con le nocche la fronte, il torace e le gambe, e gli voltò le spalle dandogli l’implicita autorizzazione a licenziarsi da lui senza altre cerimonie.
Jack Sparrow si congedò con una piccola riverenza, e, intanto che ripercorreva le assi cigolanti e calpestava i melmosi ciottoli della città in cui aveva speso la sua infanzia, sentiva ciondolargli a fianco una presenza vecchia e nuova.
Avrebbe potuto abituarsi a considerarla una guida o un portafortuna. Con i mille ed inimmaginabili pericoli che lastricavano la sua rotta gli sarebbero occorse entrambe.

Il ritorno del suo ragazzo dopo molti anni di tranquillità gli aveva fatto rimpiangere quei giorni vissuti in bilico a lottare contro gli imperi, restituendogli l’interesse per il mondo esterno, la voglia di togliersi un po’ di polvere di dosso e risalire sul ponte della sua Troubadour, che da molte lune se ne stava tristemente ormeggiata tra la moltitudine di vecchie navi che ingombravano la cala della Baia dei Relitti.
Capitan Edward Teague si riappropriò del suo trono onorario e imbracciò la sua vetusta chitarra, riprendendo a pizzicarne le corde deteriorate dai suoi stessi polpastrelli e ingannò l’attesa dell’alba componendo una struggente melodia, rammentandosi con nostalgia di aver posseduto un soave sitar.



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* Qualche nota finale:
1) Se non si fosse capito, ho voluto far morire Ruth di tubercolosi, malattia polmonare di lungo corso, con frequente alternanza di riprese e ricadute, ma purtroppo in passato inguaribile. Le parole finali da lei pronunciate "Naan unnai kadalikiren" sono in lingua tamil, il significato sta a voi intuirlo (o cercarlo!).
2) Ho pensato di collegare la storia dei calici e di Ponce de Leon con Edward Teague perché ne "Oltre i confini del mare" mi ha colpita il fatto che fosse a conoscenze della loro presenza, e correggesse Jack assicurandogli che dovesse cercare due calici.
3) L'anello magico rubato da Jack a Teague è al centro dei racconti "La spada di Cortés" e "I peccati del padre". Anche il personaggio di King Samuel compare in alcuni libri relativi alle avventure del giovane Jack Sparrow, in particolare ne "Leggende della Fratellanza" (Legends of the Brethren Court).
5) La Troubadour dovrebbe essere la nave su cui Capitan Teague si vede subito dopo la vittoria della Fratellanza sulla Compagnia delle Indie Orientali.


Se doveste avere altri dubbi, sarò disponibile a chiarimenti ^-^

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