La Dannazione - Storia Di Un Soldato

di StefanoReaper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubi Oltremare ***
Capitolo 2: *** Frammenti D'Anima ***
Capitolo 3: *** Sepolto Negli Incubi ***



Capitolo 1
*** Incubi Oltremare ***


1. INCUBI OLTREMARE

 

Who am I, what's my creed
This is the price of my deed
One day over the sea
Will born another me

Lady Reaper - Another Me



Stipata nella chiglia dell'enorme corazzata da sbarco, la 1ª Divisione Fanteria statunitense veniva cullata dalle onde della Manica mentre le prime luci del mattino iniziavano a riflettersi sulla superficie del mare. L'aria era pesante: trai 140 soldati come lui stipati nel ventre della nave regnava un silenzio teso e angoscioso, rotto solamente da vaghi mormorii e sussurri.

Il momento stava per giungere. Quella mattina, alla fine di un viaggio snervante verso la battaglia, sarebbero finalmente sbarcati. Il silenzio fu improvvisamente rotto da un assordante rombo proveniente da sopra le loro teste.
- Li senti, Corentrain? - chiese timidamente una voce.
Ma Corentrain non badava al rombo degli aerei, né all'alta marea che si avvicinava, né alla battaglia che stava per cominciare. Con l'elmetto in grembo fissava la foto di una ragazza - Rose era la firma, un dolce viso contornato da semplici ricci neri che con eleganza le cadono sulle spalle - e stringeva tra le mani una lettera.
- Corentrain, li senti? - continuava.
- Corentrain, tutto ok?
Poi si sentì un fischio e un'esplosione, lontano sulla spiaggia.


- Ian, tutto ok?
Seduto sotto alle coperte, in un bagno di sudore, Ian tentava di riacquisire contatto con la realtà, aiutato dalla mano che lo accarezzava con dolcezza.
- Sì.. Tutto ok.. - rispose lui affannatamente - Solo i soliti incubi.
Poi si alzò, rimanendo per un attimo fermo a lato del letto. Era madido di sudore, e tremava.
- Farfugliavi ancora di quella donna, della lettera, della nave.. Che cosa significa?
- Non lo so, amore - cominciò lui - Non lo so. Non riesco a capire. Credo abbia a che fare con una guerra, o qualcosa.. Non lo so, non ce la faccio più.
Ancora farfugliava.
Stremato e tremante, Ian si sedette la lato del letto, massaggiandosi la testa con le mani.
- Ian, io ti amo. E mi fido di te - disse lei a voce spezzata mentre gli stringeva la mano - Ma ho paura. Paura per te. Non stai bene: sei sempre più stanco, più pallido..
Scese il silenzio. Ian si voltò verso di lei che lo strinse forte a sé in un abbraccio.
- Ora stai tranquillo.. Rimettiamoci a dormire.
E dopo averlo fatto stendere lo baciò, continuandogli poi ad accarezzare i neri capelli.

Attenzione soldati. Qui è il Comandante Bradley che vi parla. Tra trenta minuti, aiutati dall'alta marea e anticipati da un pesante raid aereo e da un intenso cannoneggiamento, sbarcheremo a Omaha Beach.”
La voce del generale risuonava metallica in tutta la chiglia della corazzata, ascoltata in religioso silenzio da ogni soldato, marinaio e mozzo a bordo.

Una volta sbarcati, vi faranno seguito i carri Sherman, dunque la vostra discesa dovrà essere fulminea per permettere la rapida azione di questi. Bene soldati, pronti al combattimento. E che Dio benedica l'America.”
A quelle parole, l'intera 1
ª Divisione Fanteria statunitense fece riecheggiare un urlo misto di orgoglio, coraggio e consapevolezza. Ora ogni soldato controllava le munizioni, puliva la mitraglia, stringeva l'elmetto.
- Corentrain, non ti prepari?
Ma il soldato ancora fissava l'ormai opaca foto di quella ragazza. Se la posò sulle labbra e, stringendo gli occhi pieni di lacrime, la baciò. Poi la infilò, insieme alla lettera, in una cucitura nell'elmetto.
Le esplosioni si udivano sempre più forti. Era l'ora della battaglia.

***


“Signori e signore, tra meno di mezz'ora arriveremo a Omaha Beach, dove la 1ª Divisione Fateria statunitense subì la peggiore esperienza di sbarco durante il D-Day.”
La voce metallica usciva dall'altoparlante situato all'esterno della torre di comando.
“Vi chiediamo, una volta a terra, di non separarvi dal gruppo e di mantenere un comportamento adatto al luogo che andremo a visitare, ormai santuario e monumento agli eroi caduti”
Qui troverò le risposte che cerco. Spero non sia una pazzia, pensò Ian mentre il forte vento gli scompigliava i ricci capelli neri. La spiaggia era a meno di un miglio di distanza e già si intravedeva tra la nebbia la distesa di croci marmoree che la ricopriva.

- Guarda, Corentrain, in quella foschia quasi non si vede la spiaggia.
Era vero, la fitta nebbia che era scesa durante la notte ancora resisteva ai primi flebili raggi del sole. Il vento fischiava forte, ma non riusciva a coprire le esplosioni, né tantomeno i rombi dei motori degli aerei che ronzavano nel cielo plumbeo.


“Signori stiamo completando le manovre di attracco. Vi chiediamo di attendere la fuoriuscita completa del ponte e di scendere uno per volta.”

- TUTTI GIÙ, TUTTI GIÙ! DI CORSA! VIA, VIA, VIA!
La 1
ª Divisione Fanteria statunitense stava sbarcando a un centinaio di metri dalla riva. Immersi nell'acqua gelida fino al petto, tenevano le mitraglie rialzate sopra la testa, mentre tentavano di avanzare verso la riva, lottando contro le forti onde.

- Purtroppo, la maggior parte dei carri anfibi Sherman venne persa, in quanto vennero fatti sbarcare troppo lontano dalla riva, e le deboli protezioni aggiunte per permetterne la navigazione cedettero sotto gli urti delle onde. Inoltre, i tedeschi avevano piazzato proprio su quella spiaggia alcune unità della 352ª Divisione tedesca, che...
La guida continuava a parlare ininterrottamente, ma Ian non ascoltava. Avevo lo sguardo perso verso la bianca distesa di croci che ricopriva tutta la spiaggia.

Era un suicidio. Dalle ripide colline non molto lontane dalla riva arrivavano ininterrottamente raffiche di mitragliatrici, cannonate e colpi di mortaio. Da ogni parte, nascosti e soffocati dalle nuvole di fumo, decine di soldati cadevano al suolo inanimi, tra le urla di disperazione e le esplosioni assordanti.

Seguendo la scia di ricordi non suoi, Ian si aggirava tra le centinaia di croci di marmo che inondavano la spiaggia.
Tutto ciò, mentre nascevo, dovette pensare.
Su alcune croci erano incisi dei nomi, su altre perfino le date di nascita o qualche dedica. Altre invece erano completamente spoglie, non essendo stato possibile riconoscere il corpo completamente dilaniato dalle esplosioni. Sopra o accanto alcune erano posati oggetti risalenti al fatidico giorno: collanine, munizioni, elmetti.

Ian correva tra le esplosioni e i corpi dei compagni facendosi strada attraverso una coltre di fumo invalicabile. Poi si fermò e si gettò sulle ginocchia. Non aveva più senso proseguire quella battaglia. Non aveva più senso tornare a casa. Non c'era più niente da ritrovare a casa, non c'era più nessuno ad aspettarlo.

Si fermò. Non poteva dire come facesse a saperlo, ma quella era la croce che cercava. Una semplice croce, come tutte le altre, con un elmetto poggiato sopra.

- Fosse l'ultima cosa che faccio, Dio me ne sarà testimone, io, Ian Corentrain, auguro sventura a ogni discendente, figlio o figlia, di Rose Patton, che per carenza di spirito ha preferito infrangere un giuramento piuttosto che vivere nel ricordo di un amore. Così sia.
E così dicendo fu spazzato via da un colpo di mortaio.

Ian Corentrain
18.02.1919 - 06.06.1944

Quanta gente è morta mentre venivo al mondo, si ritrovò a pensare per l'ennesima volta.
Questa realtà lo aveva sempre tormentato. Ma doveva esserci una risposta, e quell'assurdo viaggio pieno di incubi alla ricerca di una ragione l'aveva portato dritto davanti a quella croce.
Prese l'elmetto ormai logoro e se lo rigirò tra le mani.
Una foto completamente sbiadita e una busta da lettere caddero ai suoi piedi.

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Capitolo 2
*** Frammenti D'Anima ***


2. FRAMMENTI D'ANIMA

 


In a marble vale
Carved their names
They can tell me a tale
And give an answer to my dreams

Lady Reaper - Fragments Of Soul

Nella penombra della stanza, illuminata solamente dalla fievole fiamma di candela che reggeva in mano, seduto ad una scrivania, Ian fissava la foto sbiadita come se il continuo guardare potesse riportare colore a quel grigiore. La busta da lettere era posata a pochi centimetri da lui. Ancora non l'aveva aperta.
Non sapeva cosa avrebbe trovato all'interno, e non sapeva decidersi a prendere una decisione.
È una pazzia? C'è davvero una risposta in quella busta?
Questi pensieri lo tormentavano e lo spaventavano, portandolo verso un'inquietudine alla quale non seppe far fronte.
Prese la busta e con un gesto deciso l'aprì. Poi cominciò a leggere ciò che tra le righe di inchiostro sbiadito dal tempo e dalle intemperie ancora era possibile capire.


 

Caro Ian,
Ti scrivo questa lettera col cuore in mano e le lacrime agli occhi.
Non riesco più a sopportare che la guerra ti trattenga così lontano da me, amata solamente dall'inchiostro delle tue lettere.
Ho passato intere settimane, mesi, a fissare lo sguardo oltre la finestra, attendendo di vederti arrivare.
Mi sentivo intrappolata come un insetto nella tela del ragno.
Ti giuro, ci ho provato. Ma ho visto il mio cuore perdere ogni speranza, e non ho retto.
Ho ricomposto i frammenti della mia anima, ho spezzato tutte le mie catene, e alla fine ho trovato un'altra ragione per continuare a vivere.
E se mai tornassi a bussare alla mia porta, ti scongiuro, non lasciare che le mie lacrime cadano al suolo.
Per me è arrivato il momento di alzarsi, il momento di ricominciare: ho passato l'intera mia vita a dare, ora desidero ricevere.
È bastato un momento di dissacrazione per gettarmi in una spirale di dolore. Strane emozioni e riluttanze hanno distrutto la mia devozione.
Ho trovato un altro te, e i miei sogni sono svaniti nel disonore.
Ti prego, perdona la mia debolezza. Lui ha asciugato le mie lacrime senza biasimo.

 

Addio per sempre,

Rose

Philadelphia, 27 Febbraio 1944




Ian rimase a fissare la lettera, con le mani tremanti e il respiro spezzato.
Un brivido gli aveva percorso la schiena sin da quando aveva iniziato a leggere le prime righe. Ma on era dal solo contenuto che questa sensazione era nata.
Ciò che lo aveva scosso più profondamente erano quella calligrafia e la firma. Rose, come sua madre.
Non è possibile, pensò facendo cadere la lettera a terra e alzandosi di scatto dalla vecchia sedia di legno.
Cominciando a camminare istericamente intorno alla stanza si tartassava di quesiti e di risposte incredibili.
Poi, preso come da un singulto, si infilò la giacca e uscì di corsa nella fredda notte invernale della Normandia.
Sapeva dove
finalmente trovare risposta ai propri incubi.

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Capitolo 3
*** Sepolto Negli Incubi ***


3. SEPOLTO NEGLI INCUBI

 

"I am here
Buried in my dreams
Drowning in my fears
Trapped in the night upon the cemetery’s hill
Here
Under a red moon
Looking for myself
Find out trough the moonbeams
Buried in my dreams"


Lady Reaper - Buried In My Dreams



Ininterrottamente colpito dalle gelide gocce di pioggia che cadevano dal cielo nero come la pece, Ian correva forsennatamente, trasportando sulle spalle il peso del badile, con la vista annebbiata ed il passo frenato dal fango.

Fuori pioveva. Riusciva a sentire il ticchettio delle gocce sul legno e il rumore sordo e strascicato dei passi nel fango. Ma non riusciva a vedere niente. Si sentiva costretto, immobilizzato, rinchiuso in uno spazio angusto senza via di scampo. E ancora aveva nella mente i corpi dei compagni e il fragore delle esplosioni. E nel cuore la rabbia.

Correva tra le croci che si stagliavano bianche nell'oscurità della notte, cercando in quel groviglio di pensieri, ricordi e voci la stessa del pomeriggio. Era un'impresa impossibile. Le gocce di pioggia gli annebbiavano la vista e ogni passo risultava più difficoltoso, come se una forza oscura lo trattenesse lontano dalla sua meta, aumentando sempre più la sua morsa di fango.
Alla fine cedette. Cadde a peso morto nel fango, stremato dalla fatica.

C'erano delle voci fuori. Mormorii indistinti che accompagnavano il ritmare della pioggia. Tentò di urlare, ma non un gemito uscì dalla sua bocca, non un sospiro. Immobilizzato in quello spazio angusto, lottava contro sé stesso nel tentativo di muoversi o urlare aiuto. E ad ogni tentativo si stringeva con più forza la morsa intorno al suo corpo, si serrava come paralizzata la sua lingua, e l'oscurità si faceva più profonda. Poi si sentì cadere e, precipitando, capì d'essere giunto alla fine.

Un fulmine, accompagnato dal suo fragore come di esplosione, illuminò a giorno l'intera spiaggia, e lo vide. Vide il nome inciso a chiare lettere sul marmo bianco, proprio davanti a lui. Si tirò in piedi a fatica, appesantito dalla pioggia e dal fango. Chiuse gli occhi, tirò un lungo respiro e ferì la terra con la lama del badile. Sollevò la zolla di fango e terra e la gettò via.
E uno...

Era sceso il silenzio. Perfino la pioggia non si sentiva più. Era rimasto solo coi suoi pensieri, con le sue urla silenziose, il suo dolore, la rabbia e la paura.
Sentì un forte tonfo e come un franare provenire da sopra su di lui. Non c'era più scampo.
E uno...


Non si potevano distinguere terra e cielo. Ogni singolo particolare si perdeva nell'oscurità della notte, così che terra e cielo erano un tutt'uno, e solo le pallide croci risaltavano nel denso buio come spiriti in processione. Andò nuovamente a ferire il terreno, e scartò un'altra zolla nera di fango e terra.
E due...

Perso in quella densa oscurità, i suoi sensi erano annebbiati. Non un suono arrivava alle sue orecchie, le sue mani immobili non sentivano più nulla.
Ma dentro di sé era una tempesta. Era come braccato da un senso di angoscia e inquietudine, da un desiderio viscerale di morte e vendetta. Un fuoco gli ustionava l'intero corpo, e si sentiva soffocare e fremere. L'eternità gli si scaraventò davanti come una notte buia e spettrale illuminata dalla sola fievole luce della candela della vendetta.
E due...


Un altro fulmine, seguito dal tuono. La pioggia ancora cadeva fine come lacrime dal cielo, mentre lui dissotterrava le proprie paure. E la notte era ancora lunga.
E tre...

Era il giusto prezzo da pagare per avere soddisfazione, per avere vendetta, per vedere i colpevoli puniti per i loro peccati.
Ghignò. Chiuse gli occhi e si protese verso quella lunga notte.
E tre...

***


Colpito da gelide gocce di pioggia sul viso, Ian aprì gli occhi e si sollevò dal fango. Sono svenuto, si disse. Ma cosa è successo?
Si alzò in piedi e cercò di distinguere in quel denso buio qualche particolare o contorno. Era ancora lì, davanti alla croce, con la fossa ben scavata davanti a sé. Devo essere crollato dal sonno improvvisamente, riuscì solo a pensare. Non aveva altre spiegazioni.
Si scrollò il fango di dosso e cercò con lo sguardo il badile, ma non riuscì a scorgerlo da nessuna parte. Sparito. Sommerso da pioggia e fango, suppose. Ma non diede peso alla cosa e si avvicinò meglio alla fossa. L'ennesimo lampo illuminò a giorno l'intera spiaggia e ciò che Ian riuscì a scorgere non fu altro che la bara ancora in parte sotterrata, ma scoperchiata. E vuota.
Si lasciò cadere. Non ricordava di aver aperto lui la cassa, ma nessun altro avrebbe potuto esser stato. Ma la cosa che più lo sconvolse fu il non trovare nessun corpo. Ma che motivo c'è per la bara allora? Era confuso.
Si alzò, agitato, e prese a camminare tenendosi la testa e mordendosi le labbra. Com'è possibile? Le risposte... Era tutto chiaro, avrei risolto tutto, e invece... Cosa devo fare ora? Era qui che...
- Ti stavo aspettando! - sussurrò una voce dietro di lui.
Gelò. Ma prima di potersi voltare si sentì sferrare un forte colpo tra capo e collo, e capitolò ancora nel lurido fango, con la vista annebbiata e un fischio nelle orecchie.
- Ti ho aspettato per tanti anni, sai? Per molti anni ho atteso questo momento.
La testa gli girava, e non aveva più forza nei muscoli. Aveva paura, e quella voce gli provocava una strana sensazione, come un ricordo ancestrale.
- Qui, da solo, per venticinque anni, ho meditato vendetta. Ho preparato questo momento in ogni singolo particolare, affinché tu sappia quale orrendo crimine macchia la tua anima.
Tentò faticosamente di tirarsi carponi, ma il peso di un piede sul collo lo fece affondare di nuovo nel fango. Si abbandonò al panico, mentre grosse lacrime gli bagnavano gli occhi e faticava a ingoiare ossigeno.
- Chi sei tu? - riuscì solo faticosamente a chiedere. E lui rise. Si sentì tirato senza nessuna fatica e riuscì a vederlo.
- Chi sono io? Sono quello che cercavi, sono la risposta ai tuoi incubi! - urlò sbattendolo a terra.
- È patetico come tu ora fugga davanti a ciò che hai agognato trovare. È debolezza, ce l'hai nel sangue...
Ormai completamente intriso di fango, con la testa dolente e l'adrenalina che gli scorreva come un fiume nelle vene riuscì ad alzarsi, mentre un fulmine illuminava la spiaggia. E non credette ai suoi occhi. Davanti a lui stava, ritto in piedi con il badile stretto in mano, il cadavere di un uomo. Aveva perso tutti i capelli, la mandibola era spaccata e pendeva dalla mascella. Metà torace era sparito e la gamba sinistra era ripiegata al contrario. Ma era vivo.
- Tu - urlò puntandolo col dito - lurido verme! Hai un'oscura maledizione sulla tua anima, impressa a fondo dai tradimenti della tua famiglia. Hai il peccato addosso, e pagherai con la morte per redimerti.
Era paralizzato. Il terrore gli aveva bloccato ogni forma di pensiero, di ragionamento. Non riusciva a scappare, inchiodato com'era davanti a quel mostro.
Ci fu un lungo attimo di silenzio, durante il quale il rumore della pioggia riprese possesso del mondo. La creatura iniziò a vacillare verso di lui, ghignando e ridendo.
Era bloccato in quella posizione, ritto davanti alla creatura che avanzava verso di lui.
- Stai lontano, non toccarmi!
Era un'inesorabile lotta contro sé stesso, contro la sua volontà. Era come se una forza gli impedisse di reagire.
È solo un incubo, è solo un incubo! ripeteva a mente nel tentativo di svegliarsi.
Ormai abbandonato alla paura, strinse gli occhi e si preparò alla morte. Sentiva i lenti passi del mostro trascinati nel fango e il profondo rantolo che proveniva da quella creatura.
Poi non sentì più nulla.
Aprì gli occhi, e si ritrovò faccia faccia col mostro. Urlò, mentre quello lo afferrava alla gola con le sue putride mani.
- È inutile urlare, devi morire!
Improvvisamente riuscì a sbloccarsi, riprese il controllo di sé e con tutta la forza e la rabbia che possedeva spinse la creatura lontano da sé facendole perdere il badile e, con un urlo disumano, gli si avventò contro piegandosi in avanti.
I due finirono l'uno nella morsa dell'altro, tentando di avere il sopravvento.
Era fuori controllo: l'adrenalina aveva raggiunto il limite massimo, e forti spasmi lo invasero da capo a piedi mentre affondava la testa nel putridume di quel corpo e con i denti staccava grossi tranci di carne decomposta.
Poi i due, nel pieno di quella danza mortale, caddero nella fossa sotto la croce.
Passarono lunghi minuti, senza che nulla accadde. Poi una figura emerse dalla terra, sollevandosi a fatica e rotolando fuori.
Prese il badile dal fango e riempì la fossa sotterrando la bara.
Poi si allontanò zoppicante verso il sole che cominciava a salire.

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