Long Way to Heaven

di Pleasance Carroll
(/viewuser.php?uid=34896)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Irene Machiavelli ***
Capitolo 3: *** sorprese, occasioni e scelte ***
Capitolo 4: *** Chiusura storia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


copertina

Long Way to Heaven

 

Prologo

 

Londra, 2017

 

Ewan McGregor, 45 anni, rientrò, quanto più silenziosamente potesse, nella sua camera d’albergo. La porta, chiudendosi alle sue spalle, produsse un rumore che giunse amplificato alle orecchie dell’uomo, simile al rombo di un tuono.

Con passo malfermo riuscì a raggiungere il letto, accasciandocisi sopra goffamente, e rimase a guardare il soffitto che non si decideva a voler restare al proprio posto.

Si maledisse per il troppo alcool che aveva lasciato entrare in circolo nel proprio sangue: lo stomaco era in subbuglio e il cervello sembrava non rispondere più ai comandi del cervello, ed aveva la sensazione di essere una marionetta a cui siano stati tagliati i fili.

La testa gli si svuotò tutto ad un tratto, fece per prendere il cellulare e comporre il numero della casa in cui abitava, a Londra…di colpo però, tutto il peso del mondo parve crollargli addosso, ed avvertì delle fitte lancinanti alle tempie: nessuno avrebbe risposto a quel telefono, perché non abitavano più nella capitale inglese da anni, ormai; insieme, lui e sua moglie avevano deciso di trasferirsi a Los Angeles, per il clima più caldo, principalmente.

Per un momento, Ewan valutò l’ipotesi di chiamare in California, poiché lì, doveva essere giorno; ma, se Eve l’avesse visto in quel momento…si rese conto che qualsiasi ora del giorno o anche della notte, fosse stata, Eve, non avrebbe risposto ad una sua telefonata.

Erano separati dal 2013.

Ebbe una fitta al petto mentre la valanga di dolorosi ricordi lo travolgeva…

Lui ed Eve erano sempre stati “la coppia perfetta” secondo tutti i giornali, ed il segreto del loro equilibrio era lasciare il mondo fuori ogni volta che si ritrovavano tutti a casa; fare quante più cose possibili insieme, meravigliarsi di ogni più piccola cosa, insieme, ed essere sempre sinceri, l’uno con l’altra.

Eppure un giorno, dopo essere tornato da uno dei suoi viaggi, Eve aveva annunciato di volerlo lasciare. Un fulmine a ciel sereno. Nonostante lui avesse provato più volte ad avere spiegazioni, arrivando persino ad implorarla perché ci ripensasse, lei, invece, era stata irremovibile e da quel momento si era barricata dietro una cortina di freddo silenzio.

Avevano fatto di tutto per trasmettere calma e serenità a Clara, Esther, Jamiyan ed Anouk anche in quel momento così drammatico, tuttavia, specialmente alla più grande era bastata un’occhiata al padre per capire che non c’era speranza che tornassero sui loro passi, rimettendosi insieme.

Ed i giornali non avevano certo reso il tutto meno difficoltoso, sbattendo in prima pagina la loro vita privata, documentando minuto per minuto la loro sofferenza.

L’attore scozzese seppellì il viso tra le mani per nascondere una lacrima che minacciava di rigargli il viso; aveva una voglia folle di sentire le sue bambine, ma se Eve avesse risposto per prima, sentendolo in quello stato, depresso e mezzo ubriaco, forse gli avrebbe anche fatto revocare la possibilità di vedere le figlie.

La sbornia che aveva preso alla festa per il suo ultimo film, stava facendo effetto, sempre lo stesso effetto. Oltre che non farlo ragionare, lo gettava preda delle sue paure, e lo lasciava scivolare in un sonno profondo che ogni volta gli piombava addosso come un macigno, estendendosi in tutto il suo corpo e minacciando di trascinarlo via come un fiume in piena.

Ewan si passò con impeto le mani tra i capelli biondo castani, deciso a non lasciarsi andare, obbliga dosi a camminare, quindi, senza esitazione raggiunse la poltrona che era poco distante, e quando riuscì a star seduto dignitosamente, la schiena ritta, distese una mano verso il tavolino di vetro, su cui Larry, il suo agente, su sua richiesta, aveva accatastato una pila di giornali.

Leggere le critiche ai suoi ultimi lavori gli aveva sempre sgombrato la mente, esercitando su di lui lo stesso effetto di qualsiasi rimedio post sbornia fatto in casa che sua madre gli consigliava, ai tempi del college.

Prese la prima rivista senza neanche leggerne il titolo, saltò direttamente alla pagina delle recensioni cinematografiche e trattenne il respiro, mentre una leggera tensione gli correva lungo i muscoli delle braccia.

Proprio quella mattina c’era stata la premiere del suo ultimo film, “il cavaliere della rosa”, ed Ewan aveva rilasciato decine di interviste sul red carpet e persino dopo la proiezione del film; adesso, che qualche ora era trascorsa tornava a pervaderlo quella sensazione che lo colpiva sempre, si sentiva di nuovo come un ragazzino alla prima cotta, con lievi palpitazioni, nella speranza che i giornalisti non fossero stati troppo crudeli con lui.

Ma si sbagliava.

Come sempre da quando lui ed Eve si erano lasciati, ogni suo errore, ogni suo passo falso nella recitazione o nelle interpretazioni, veniva ricondotto o attribuito alla rovinosa separazione che lui e sua moglie- o meglio, la sua ex moglie- avevano affrontato, mettendo quindi in ombra qualsiasi copione, e film.

 

McGregor fa un altro passo falso! Meglio che non andiate a vedere il cavaliere della rosa se non siete degli psicologi navigati. Ancora una volta l’attore che aveva gloriosamente legato il proprio nome al personaggio di Obi-Wan Kenobi, non riesce ad immedesimarsi con trasporto nel ruolo che gli viene assegnato per questo film, ed anziché mostrarsi come un principe in cerca della sua amata, lo scozzese veste i panni di un triste cavaliere errante che non riesce a far migliorare il proprio broncio neppure sposando la più bella donna del Paese delle Magnolie.

L’uomo scagliò il giornale a terra, sbuffando, quindi, ne afferrò un altro, anche questa volta senza leggerne il titolo, e sfogliandolo velocemente fino alla pagina delle recensioni, lesse:

17 e 13 nella cultura occidentale sono numeri sfortunati, tutti noi lo sappiamo. Così come ci siamo resi conto che l’ultimo film di Ewan McGregor è stato un fiasco.

Nel 2013 lui e sua moglie Eve hanno posto fine al loro matrimonio e quella data ha segnato l’inizio del declino dello scozzese che ha esordito nel lontano 1993. Per molti anni McGregor ha tentato di risollevarsi da ciò che gli è capitato, ma se ancora oggi, nel 2017, non riesce a dimostrare di saper recitare, anche se alle sue spalle non ha la moglie, abbiamo un consiglio per lui: caro Ewan, parti per uno dei tuoi famosi viaggi e rifletti, chiediti se non sia il caso di ritirarti dal grande schermo, dal momento che la sfortuna del 13 e del 17 sembrano averti colpito!

Il quarantacinquenne serrò i pugni e gettò anche quel quotidiano a terra, prendendone però subito uno nuovo, a testa bassa e un altro, e un altro ancora, finchè la pila da cui attingeva, non si dimezzò, ma ogni pagina di recensioni diceva sempre la stessa cosa, con espressioni anche offensive che continuavano a balenargli davanti, dando sempre lo stesso taglio alla lettura del film, sempre la stessa spiegazione, come una delle ultime che aveva letto:

ricordate il film fishing in the Yemen?McGregor, in quel film, da casalingo privo di spina dorsale, muta in pescatore che ha la forza di lasciare sua moglie per gettarsi alla ricerca dei propri sogni. Tuttavia, questa volta sembra esser stata sua moglie, l’uomo tra i due, e chissà che non lo abbia lasciato anche lei con un SMS che diceva era  meglio così per entrambi..

Per tutti quindi, Ewan Mcgregor recitava male a causa del naufragio del suo matrimonio con Eve.

Era tutto come se l’era immaginato: i critici erano stati impietosi, ma anche superficiali e meschini, perché, focalizzando l’attenzione su di lui e sul suo matrimonio fallito, avevano finito col dimenticarsi del film di cui stavano parlando.

In preda ad un moto di rabbia, si alzò di slancio dalla poltrona e, incurante del violentissimo capogiro che lo colse, camminò più volte avanti e indietro per la stanza, nel tentativo di calmarsi.

Perché? Perché tutti dovevano essere così superficiali? Incapace di trovare una risposta, finì col dare un pugno ad un cuscino che si trovava sul letto, dal momento che la sua alterazione non scemava.

Quello, seppur morbido, finì sul tavolino di vetro e fece cadere a terra il vaso di fiori che lo ornava. Ewan corse a riprenderlo, nella speranza che nessuno sarebbe venuto a bussare alla sua porta, insospettito dal trambusto nella camera dell’attore.

Quando fece per riprenderlo, l’uomo si accorse che sul pianale trasparente, rimaneva ancora un ultimo giornale, ripiegato accuratamente, segno del fatto che non fosse ancora stato aperto; il Los Angeles Times.

Per qualche secondo si morse le labbra, indeciso sul da farsi, voleva davvero leggere l’ultima recensione, che di sicuro non si sarebbe differenziata dalle altre?

Era abbastanza forte per sostenere l’ultimo colpo di grazia che avrebbe ricevuto?

La mano serrò le dita attorno alla carta sottile, senza che lui avesse dato l’ordine al cervello.

Se proprio doveva migliorare, come da un po’ di tempo gli consigliavano, decise che tanto valeva leggere tutte le critiche, dalla prima all’ultima, così da poter avere un buon punto fermo da cui ripartire.

Ewan McGregor, l’attore che divenne, per tutti gli amanti di Star War, il viso del maestro Obi-Wan Kenobi, è stato il mio idolo sin da ragazzina. Guardarlo, in qualsiasi film facesse, mi trasmetteva equilibrio, serenità; poi, con occhio più attento, da critica cinematografica, ne ho capito il perché, il suo sguardo onesto e l’approccio umile ai suoi ruoli ha sempre trasmesso agli spettatori tranquillità, favorendo una simpatia nei confronti dei suoi ruoli, se non addirittura un’immedesimazione. Inoltre, ha sempre saputo come fondersi coi personaggi che interpreta, in modo autentico, persino questa volta, con il cavaliere della rosa, film in cui interpreta un valoroso, triste cavaliere che vaga alla ricerca di se stesso. Nonostante l’ottima attenzione ai costumi, ed il bel lavoro del direttore della fotografia, è un peccato che il regista non abbia sviluppato la storia concentrandosi sull’approfondimento psicologico del personaggio che deve il viso a McGregor, o magari incentrando il film sul tema del viaggio come ricerca di se stessi, ripiegando invece l’intera trama sulla tipica storia del congiungimento con una splendida principessa.

Così tutto il film finisce per risentire di questo errore e con ogni probabilità la malinconia che pervade il viso di McGregor per tutta la pellicola è dovuta alla mancata introspezione psicologica che spetta al suo personaggio. In veste di fan però, aggiungo: forza Ewan! Presto avrai la possibilità di dimostrare che non hai mai smesso di essere un Jedi!

L’attore scozzese fu costretto a bere qualche sorsi d’acqua per avere le idee chiare, stavolta. Scrutò alcune volte quel pezzo di carta su cui erano impresse quelle righe che lo avevano colpito al cuore.

Sentiva i muscoli tesi, più di quanto non lo fossero mai stati prima di allora.

Quella critica era l’unica che non avesse scelto la “via più semplice” per spiegare l’insuccesso de “il cavaliere della rosa”, perché l’aveva fatto? E perché a lui sembrava che quelle poche frasi fossero state in grado di scrutargli nell’anima?

Fu spaventato da come quelle parole avessero colto tanto in profondità, comprendendo che aveva il cuore spezzato, tanto che restò paralizzato, immobile, in piedi in mezzo alla stanza con gli occhi persi nel vuoto.

Ma poi si riscosse. Non c’era motivo di avere paura di quelle scemenze.

Chi credeva di essere quella fan sgallettata che si fingeva critica e psicologa al tempo stesso, per tentare di spiegare come mai lui avesse il cuore a pezzi? Cosa credeva di sapere del suo rapporto con la moglie?

La paura che aveva provato scemò velocemente ed al suo posto montò un’ondata di collera che esplose nel momento in cui l’attore scozzese afferrò il giornale, mentre leggeva il nome della rivista per la seconda volta, telefonò quindi a Larry, fregandosene del fatto che fossero le quattro di mattina e che probabilmente il suo agente stesse dormendo:

-         Larry, Larry!- si ritrovò ad urlare, contro il microfono dello smartphone.

-         Mmh…- replicò la voce impastata di sono dell’uomo.

-         Sono Ewan, Larry.- continuò l’attore con impazienza- Ho bisogno che, appena possibile chiami il Los Angeles Times e ti fai dare il numero di cellulare della critica che si è occupata di recensire il mio ultimo film. Grazie.- terminò, brusco, e chiuse la conversazione.

Posando con malagrazia il cellulare sul tavolino lì accanto, il quarantacinquenne sbuffò di nuovo; proprio quella mattina era stato intervistato da un giornalista del Los Angeles Times, ma era un uomo, mentre lui cercava una donna…Irene Machiavelli, quello era il suo nome.

Chiunque lei fosse, come si permetteva di gettare sentenze alla cieca?

Non sapeva niente di lui, eppure saltava alle conclusioni, come tutti gli altri…anche se lei agiva in maniera più subdola, proponendo un’interpretazione psicologica del suo malessere.

Ewan promise a se stesso che avrebbe dato a quella Irene una seria ridimensionata: era un uomo, prima di essere un attore, e non aveva mai permesso a nessuno di immischiarsi nelle sue faccende private. Tanto meno ad una donna che si fingeva psicologa!

 

 

 

 

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

Salve a tutti!

Ammetto che non pensavo che sarei mai tornata a scrivere, vista la marea di impegni che ho in questo periodo e vista la mia ispirazione altalenante.

Men che meno che avrei mai scritto su una persona realmente ed attualmente vivente. Segnalo che è per questo che ho ambientato la vicenda di qualche anno nel futuro, perché così ho qualche libertà in più sulle vicende dei personaggi e sulla loro caratterizzazione psicologica.

Spero di riuscire ad aggiornare questa storia ogni due settimane, ma non ci metterei la mano sul fuoco, viste le motivazioni elencate all’inizio.

Aggiungo che i fatti di cui parlerò sono di pura invenzione, perché Irene Machiavelli è un personaggio di fantasia(inoltre, ci terrei a sottolineare che le affinità tra il nome scelto e il viso dell’attrice designato per il personaggio femminile sono puramente casuali, non hanno nulla a che fare con il film Sherlock Holmes) e non conosco né Ewan Mcgregor né sua moglie( a cui auguro tutta la felicità del mondo), tutto ciò che lo riguarda è reperibile da internet.

 

Spero comunque che il prologo vi sia piaciuto e che vi spinga a continuare.

 

Un abbraccio

 

Marty23

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Irene Machiavelli ***


copertina

Capitolo 1

Irene Machiavelli

 

Le city, i distretti emblema della produttività lavorativa, erano una peculiarità americana, ogni città degli Stati Uniti ne aveva una, concepita come zona che doveva sorgere distaccata dal restante tessuto sociale. Particolarità, questa, che non smetteva ancora di stupire Irene, cresciuta in un ambiente ed una realtà totalmente diversi, nonostante lavorasse da anni, ormai, in quel quartiere.

Anche quella mattina, nonostante la fretta e il cuore che le galoppava nel petto per la preoccupazione, la donna non mancò di far correre lo sguardo alle svettanti silhouette dei grattacieli che le sorgevano tutt’attorno, timorosa com’era che quelle mastodontiche figure avrebbero potuto ingoiare un altro pezzettino del terso cielo della città. Poi, accelerò il passo, maledicendo la sua migliore amica per averla costretta a “vestirsi da donna”, quindi ad indossare un paio di tacchi che le stavano facendo venir voglia di urlare.

La ventisettenne si ritrovò a claudicare per via dei piedi gonfi, tanto che rischiò più volte di cadere o scontrarsi con persone che, come lei, si stavano dirigendo sul proprio posto di lavoro, avrebbe riso se avesse potuto vedere quanto il suo modo di avanzare somigliasse a quello di una pallina del flipper, ma quel momento non era decisamente il più adatto per farsi una risata, dal momento che non capitava mai che il suo capo la convocasse per parlarle personalmente, e per di più di prima mattina, quando il sole ancora non scottava.

Non si spiegava come mai non riuscisse a togliersi dalla mente la sensazione di essere un’esca che veniva gettata in un mare oscuro e ignoto…

Tutta trafelata, spalancò con veemenza la porta a vetri della sede del Los Angeles Times e si fermò solo un secondo per chiedere alla segretaria che piantonava l’entrata, dove fosse l’ufficio del capo.

Pazzesco! Lavorava per il giornale più importante di Los Angeles in veste di critica cinematografica, da tre anni, eppure non riusciva ancora a ricordare dove si trovasse l’ufficio dell’uomo che le aveva dato fiducia, assumendola.

Audrey, la bionda cinquantenne dietro la scrivania, che pareva aver fatto una tessera d’abbonamento ai chirurghi plastici, le rivolse un sorriso che somigliava ad un ghigno scolpito tra gli zigomi immobili mentre le dava le informazioni di cui aveva bisogno.

La ragazza si precipitò quindi nell’ascensore e, anche se era ultraveloce, ebbe abbastanza tempo per riflettere su quanto le suonasse ancora strano, sentir pronunciare il proprio nome in modo tanto particolare, nonostante i molti anni che ormai aveva trascorso in America. Il suo semplice nome, Irene, subiva una sorta di storpiatura: la i iniziale era pronunciata con una sorta di a ausiliare davanti, e senza la e finale, finendo per sembrare particolarmente esotico. La stessa sorte toccava al suo cognome, Machiavelli: il nesso ch mutava in una c dolce e le l doppie venivano scempiate.

Chissà come ne sarebbe rimasto deluso suo padre, che le aveva sempre raccomandato di andar fiera del suo cognome…?

Quando l’ascensore giunse al piano giusto, lei avanzò con passo malfermo, non sapeva se dipendesse dalla poca stabilità che le davano i tacchi o dai fremiti di paura che sentiva in tutto il corpo.

Da quando era stata assunta per quell’importante giornale, dava il massimo ogni giorno, dal momento che contro ogni aspettativa aveva visto realizzarsi il proprio sogno di bambina. Il caldo sole californiano poi, sembrava darle la carica, metterla sempre di buonumore, ma non in quel particolare giorno: Irene Machiavelli in quel momento, si detestava.

Dai tempi del suo trasferimento in America, nel periodo degli studi universitari, si era ripromessa che non sarebbe più caduta preda delle paure scatenate dall’incertezza, che avrebbe proceduto con sicurezza in tutto ciò che faceva, affidandosi al proprio istinto, e finalmente era riuscita a spezzare quel circolo vizioso che le aveva condizionato la vita fino ad allora, alimentato costantemente dalla paura e dall’incertezza.

C’era sempre riuscita, a sentirsi una persona nuova, sempre piena di energie ma quella mattina le sembrava di essere tornata la stupida ragazzina infantile che aveva sempre temuto l’ignoto.

Non era mai accaduto che il suo capo la convocasse personalmente, e per di più prima dell’orario di lavoro, cosa poteva essere capitato per farle meritare una convocazione straordinaria?

Con la mano serrata a pugno, le nocche bianche, bussò allo stipite della porta  dell’ufficio, tanto per annunciarsi educatamente, poichè il suo capo, perfettamente visibile da lì, seduto alla propria scrivania, amasse lasciare la porta a scomparsa, sempre aperta.

-         Buon giorno Irene, grazie per essere venuta.- la salutò, venendole incontro per accoglierla.

Le strinse la mano, e tenne il suo stesso passo finchè non giunsero alla sua postazione, dietro la quale lui tornò subito. Irene non aveva mai avuto occasione, prima di allora, di osservare veramente Mortimer: era alto e muscoloso, le spalle larghe, il viso abbronzato e dalla mascella quadrata come la ragazza aveva sempre immaginato venissero caratterizzati i personaggi dei cartoni animati americani. Mentre riusciva ad articolare un affannoso “salve signor Miller”, vide i suoi occhi castani adombrarsi per una leggera preoccupazione.

-         Vuoi sederti, Irene? E per favore, chiamami Mortimer.- le chiese, con voce pacata, mentre le indicava la sedia vicina.

La donna sorrise, e le gambe traballanti la ringraziarono per la tregua loro concessa. Ma la paura tornò immediatamente ad aggredirla come un’onda impetuosa, tanto che presto si ritrovò col cuore incastrato in gola, i muscoli tesi, mentre iniziava a domandarsi se farla sedere non fosse solo un espediente per prepararla al peggio.

Perché doveva attendere tanto? Non poteva sapere semplicemente il vero motivo per cui si trovava lì e farla finita?

Quando gli occhi grigio-verdi  scorsero la copia del LA Times del giorno precedente, posata sulla scrivania di Mortimer, sentì che la terra le franava sotto i piedi…

Oh no! L’ultima recensione di cui era occupata non era andata bene o forse non era piaciuta…sentire materializzarsi la propria paura più grande faceva davvero male…già le sembrava di sentire la propria autostima che andava in pezzi…

-         Irene per favore, non farmi quella faccia da Bambi. So che non avrei dovuto convocarti prima dell’orario di lavoro, soprattutto perché sei tornata da poco da Londra, ma non ti mangio mica!- e così dicendo abbozzò un sorriso, nella speranza di metterla a proprio agio.

Venne il tempo del momento tanto temuto, le mani di Mortimer afferrarono il giornale e lui vi nascose il viso dentro.

Irene tentò di darsi un contegno, gli attimi scorrevano nella più totale immobilità, la tensione era veramente tantissima, le sfiorava la pelle come cartavetrata e la sua mente lasciò che si abbandonasse involontariamente ai ricordi del giorno prima: il team di cui faceva parte era stato inviato a Londra e mentre i suoi colleghi si occupavano di intervistare sul red carpet i protagonisti de “il cavaliere della rosa”, a lei era toccato il compito (che accoglieva ogni volta con l’entusiasmo di una bambina) di essere tra le prime persone a vederlo, in modo da poterne subito stilare una recensione con le proprie impressioni.

Mortimer riemerse proprio in quel momento da dietro i fogli di carta, con un sorriso smagliante e, ripiegando il giornale confessò:

-         Ancora una volta sono davvero soddisfatto di un tuo pezzo, ma questa volta ho dovuto proprio farti venire perché…mi hai stupito: non solo la tua recensione da un buon taglio al film, ma ne spiega anche i punti deboli senza scadere nel volgare, dando rilevanza con delicatezza e con sfumature psicologiche, alla figura di Ewan McGregor. E il tutto senza svelare troppo la trama! Il che contribuirà a mantenere alta la curiosità del pubblico, se non addirittura a stuzzicarla maggiormente. Credo che i cinema che lo proietteranno dovrebbero farti avere una percentuale!

Brava Irene, si nota che sei una fan di quello scozzese: se fossi in lui ti inviterei a cena per ringraziarti di come hai trattato lui e il suo personaggio- si complimentò.

La ragazza arrossì e trovò finalmente la forza di pronunciare le prime parole di quella giornata:

-         Se vuoi saperlo, Mortimer, e non prendermi in giro, ti prego, uscire a cena con lui è sempre stato il mio sogno, da quando ero bambina, ma poi crescendo, mi sono resa conto che era come chiedere la luna. Mi ritengo comunque tanto fortunata da sentirmi tra le stelle.- il sorriso della donna era tanto radioso da scintillare alla luce del sole che entrava attraverso gli ampi vetri dell’ufficio. La valanga di complimenti dai quali era stata sommersa, l’avevano riempita, riscaldata, quasi esaltata, come solo una serata tra amici, pensava potesse fare. Ora sentiva il respiro corto per l’emozione, i muscoli distesi ma il cuore le era tornato a battere frenetico, anche se questa volta, per la gioia.

-         Davvero ti piace tanto? Grazie Mortimer! E io che pensavo…- continuò, senza riuscire a trattenersi, mentre si ritrovava quasi ad urlare e tratteneva a stento il desiderio di balzare in piedi e cominciare a saltellare, come usava fare quando, da bambina, voleva sottolineare la felicità che provava.

-         So cosa pensavi, Irene, te l’ho letto negli occhi fino ad un attimo fa. Ma fai male a saltare subito alle conclusioni, perché nel momento in cui smetti di stare concentrata sulle tue previsioni delle conclusioni e ti apri al mondo, il mondo ti promette che non smetterà mai di stupirti. Soprattutto, fai male a sottovalutarti: pensi che sia volato a San Francisco per una vacanza, o perché la Academy of Arts aveva proposto immediatamente te, ad una mia richiesta di una critica cinematografica?- i loro sguardi si incrociarono e lei, in quel silenzio pieno di luce, chinò semplicemente la testa, con riconoscenza.- Ora fila a lavorare, cinefila!- l’apostrofò il trentenne fingendo di adirarsi poi, un attimo prima che varcasse la soglia del suo ufficio, vedendola ancora claudicante le propose.- Le tue scarpe sono belle, da come soffri immagino siano nuove, se vuoi posso prestarti le mie ciabatte da spiaggia, ma dovrai rendermele perché voglio approfittare della pausa pranzo per cavalcare qualche onda.- Irene, sorpresa di vedergli tenere in mano un paio di infradito di paglia, lasciò vagare lo sguardo per la stanza, incuriosita e non riuscì a trattenere una sincera risata nello scorgere una tavola da surf a fiori appoggiata contro il muro e seminascosta dalla sedia girevole della scrivania.

 

La mattinata trascorse tranquilla, la ragazza lavorò sodo ma senza sentire il peso della stanchezza perché era serena, lo spirito leggero, anche se riusciva a frenare a stento il desiderio di telefonare a sua madre, italiana di nascita come lei, che, dopo averla seguita negli Stati Uniti per motivi di salute aveva ritenuto necessario vivere distante dalla figlia per renderla indipendente, pur continuando a pagare per i suoi studi.

Da circa due anni Maria Rossi aveva cominciato a lasciarsi alle spalle la separazione con il padre di Irene, principalmente per merito di Thomas, un americano con cui era stato amore a prima vista e con il quale la donna si era trasferita a Furnace Creek, California, ultima arroventata cittadina prima della Death Valley che, grazie al suo clima secco aveva quasi completamente guarito l’asma di cui soffriva la donna.

Irene moriva dalla voglia di sentirla nonostante fossero a chilometri di distanza, solo per condividere con lei la sua gioia, ma di colpo, le parole di Mortimer circa la sfumatura psicologica che aveva dato al suo articolo, le fecero venire in mente suo padre, con il quale aveva sempre avuto un rapporto dicotomico.

Forse avrebbe dovuto chiamare lui…si bloccò immediatamente, ricordando come la scelta di trasferirsi in America, lasciandosi tutto alle spalle, l’aveva salvata dalla possibilità di venir logorata dalle scelte sbagliate del padre, di cui lei aveva sempre sentito l’influsso, per via della sua indole empatica.

 

-         Irene! Irene, tesoro, è iniziata la pausa pranzo, vieni a mangiare con me?- le propose Hugh, il suo collega gay addetto agli articoli di moda, conosciuto a San Francisco. La prima volta che si erano incontrati, l’uomo aveva praticamente scelto di prendersi cura di lei, così spaesata e brufolosa, i primi tempi, perfezionando innanzitutto la sua conoscenza dell’inglese e incaricandosi di presentarle Marie-Blanche, che ora era diventata la sua migliore amica.

-         Grazie dell’invito, Hugh ma devo rifiutare: oggi voglio passare a salutare Marie-Blanche, è da prima di partire per Londra che non stiamo un pomeriggio insieme e…-

-         …e brava la mia ragazza!! Ne approfitti per avere qualcuno con cui farti “trucco e parrucco”. Credimi, se non stessi morendo di fame e non avessi i capelli tanto corti, farei volentieri compagnia a voi due fanciulle…spero solo che la nostra amica “donna-di-mondo” abbia due minuti da dedicarti e un attimo per respirare, visto che a breve presenterà la sua nuova collezione.- le rivelò mentre si passava una mano tra i capelli stirati e sbuffava con teatralità per una fatica che in realtà non sentiva.

-         Davvero? Non sapevo nulla di una nuova collezione!- osservò lei, piacevolmente colpita.

-         Certo tesoro che non ne sapevi nulla: tu ti occupi degli ultimi film, mentre è mio il compito di sapere tutto di tutto delle ultime tendenze e collezioni modaiole- si chinò per baciarle la fronte e porgendole il braccio l’accompagnò all’uscita.

 

Un altro particolare caratteristico solo dell’America erano le grandi distanze. Chilometri e chilometri di strade si snodavano in linea retta perdendosi oltre l’orizzonte, la cui fine sembrava non arrivare mai, e che per questo erano percorribili solo con l’automobile. Irene amava o odiava quella peculiarità, a seconda di quanta strada desiderasse fare a piedi. Quel giorno, viste le scarpe con i tacchi, che Marie-Blanche stessa le aveva chiesto di mettere, ne era decisamente entusiasta e il percorso che la condusse all’ “Olivier Maison” fu particolarmente breve, anche perché Irene non presto quasi attenzione alla strada che percorreva, persa com’era nel ricordo del colloquio con Mortimer.

Giunta alla reception del palazzo di Los Angeles di cui Marie-Blanche era proprietaria, fu annunciata alla sua amica ma, nonostante le sue speranze, ciò che le aveva raccontato Hugh si rivelò esatto, perciò la ragazza fu invitata ad accomodarsi suun divanetto, con l’avvertimento della segretaria che la stilista non sarebbe riuscita a liberarsi prima di trenta minuti. Rassegnatasi quindi ad attendere lasciò ai suoi piedi la busta con la macedonia e la NY cheesecake con fragole che l’italiana aveva acquistato per festeggiare.

Consapevole che la Fortuna le aveva già sorriso, fu colta totalmente impreparata dal trillo penetrante del suo stesso cellulare.

-         pronto…- esordì, la voce bassa per rispettare quel luogo di lavoro.

-         Parlo con la signorina Irene Machiavelli, giornalista del Los Angeles Times?- si informò una voce maschile che la ventisettenne non aveva mai sentito. Con la fronte corrucciata scostò lo smartphone dall’orecchio solo per scoprire che il numero che la stava chiamando compariva non come sconosciuto, ma come non registrato in rubrica.

-         Sì, sono io. Con chi sto parlando?- chiese, diffidente mentre si alzava e muoveva le braccia in direzione della segretaria, mimando con le labbra una richiesta di prestare attenzione alla busta che aveva lasciato alle proprie spalle.

Non voleva che qualcuno la vedesse spaventata e tremante per un imprevisto. Finalmente fuori dall’Olivier Maison, quindi, Irene si impose di ascoltare e capire chi fosse il suo interlocutore.

-         Signorina Machiavelli mi chiamo Larry Flinkman, sono l’agente del signor Ewan McGregor.- si presentò la voce. Lei rimase senza fiato le gambe ebbero un fremito mentre le sembrava che il mondo tutt’attorno a lei si acquietasse.- la sto chiamando per dirle che il signor McGregor vorrebbe invitarla a cena.-

E quello fu il punto oltre il quale Irene non resse più tanto che esplodendo in una fragorosa risata, disse:

- Ti prego, Mortimer, non è carino rivoltare un sogno nel cassetto che ti ho confessato appena qualche ora fa, contro di me!- poi chiuse la conversazione, senza dare la possibilità all’altro di replicare, mentre, rientrando nell’Olivier Maison cercava a stento di soffocare le risa.

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

Eccomi di nuovo qui, so che sto contravvenendo a ciò che io stessa avevo promesso, con un aggiornamento poco meno che settimanale, ma visto che questo capitolo era pronto non capivo perché dovessi rosolarmi e rosolarvi per l’attesa.

Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e che abbia presentato decentemente la protagonista femminile di questa storia.

Chiedo venia per le ultime battute del colloquio tra Mortimer e Irene, forse sono un tantino altisonanti, ma spero comunque che si sia capito il senso di ciò che i due intendevano, e soprattutto mi scuso per la reazione eccessiva che ho avuto l’istinto di far fare a lei (il salto d’allegria)…

La pronuncia inglese del nome di Irene, è questa, ahy-reen, la trascrizione fonetica, questa

aɪˈrin

 

inoltre, non credo che “cinefila” sia un termine esistente nel vocabolario, qui lo uso nell’accezione di “amante dei film”.

infine, vorrei ringraziare Blue_moon e Piratessa per aver inserito la storia tra le seguite e per i commenti al capitolo precedente. J

ve l’ho già detto che mi mandate in brodo di giuggiole?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** sorprese, occasioni e scelte ***


copertina

Capitolo 2

Sorprese, occasioni e scelte

 

La venticinquenne Marie-Blanche Olivier fece il suo ingresso nell’atrio nel momento promesso. Irene comprese solo allora perché avesse sentito Hugh dire che quella donna aveva il mondo nelle proprie mani: vedendola scendere le scale con la sua solita eleganza, non potè fare a meno di pensare che, in un’altra epoca, la sua amica avrebbe ricoperto egregiamente il ruolo di duchessa o contessa vista la saggezza e la gentilezza con cui parlava ma anche la fermezza con cui impartiva ordini a tutte le persone che la attorniavano.

La moltitudine di ragazzi e ragazze che le gravitava attorno, infatti somigliava particolarmente a quello che un tempo si sarebbe definito “corte”, tutti si muovevano con passo veloce e nervoso, sembravano particolarmente ansiosi di compiacerla, ma a giudicare da quanto la donna parlasse loro in modo sbrigativo, toccandosi di tanto in tanto le tempie, infastidita dagli occhiali da vista che portava solo per lavorare; Irene immaginò che la sua amica non vedesse l’ora di toglierseli dai piedi.

-         Bene, venti minuti di pausa per tutti.- annunciò la stilista, con un forte accento francese.

Mentre qualcuno mormorava un sollevato “grazie, signora”, ci fu un generale dileguo e in breve Marie-Blanche si ritrovò sola dinnanzi alla sua ospite.

-         Ciao, cherie.- esordì l’italiana, togliendo con delicatezza gli occhiali alla sua amica.- Vengo a rapirti per mangiare qualcosa insieme, e…festeggiare!- la prese sotto braccio senza attendere oltre, trascinandola fuori da quel caotico tempio della moda.

 

-         Cosa si festeggia?- domandò Marie-Blanche, raccogliendo i capelli corvini in una coda di cavallo e togliendosi le scarpe per sedersi con malcelato atteggiamento restio, sull’erba. Los Angeles aveva il vantaggio di essere piena di prati e fazzoletti verdi, alcuni dei quali anche a pochissima distanza dal mare, così ben curati, ma lei non riusciva ancora a spiegarsi, nonostante la conoscesse da anni, perché la sua amica italiana si ostinasse a sdraiarsi sull’erba quando poteva benissimo usufruire di decine di panchine sparse il giro come margherite.

-         La buona riuscita di un mio articolo! Pensa, il mio capo si è congratulato con me di persona.- le raccontò la ragazza che le stava adagiata di fronte in stile Cleopatra, sfoggiando un sorriso entusiasta.- E…ovviamente la tua nuova collezione- aggiunse, sistemandosi un ricciolo castano dietro l’orecchio.

-         Cosa!? Come l’hai scoperto? Pensavo di farti una sorpresa invitandoti alla sfilata che si terrà sabato, domani sera, e volevo portarti dal parrucchiere e dal truccatore che raccomando alle mie modelle, così noi saremmo state un po’ insieme! Ma come fai a sapere che devo presentare una nuova collezione?- ripetè, scandalizzata.

-         Quel nostro amico in comune, Hugh, che lavora assieme a me e si occupa di articoli di moda, se l’è fatto scappare stamattina. Quindi ho pensato che questa bella notizia meritasse almeno una fetta di cheesecake.- le spiegò Irene.- Comunque, se è ancora valido, credo che accetterò molto volentieri quell’invito.- continuò ostentando un atteggiamento sostenuto, anche se gli occhi che brillavano di sincera curiosità.

Marie-Blanche trattene a malapena un gridolino di felicità, chissà da quanto aveva tenuto segreta quella notizia che riteneva vitale, ed ora non vedeva l’ora di condividerla. Addentando con voracità la sua porzione di cheesecake quindi, si lanciò nel resoconto di come si sarebbe svolta la serata del giorno successivo e, pensando alle modelle che vi avrebbero preso parte spiegò minuziosamente cosa aveva ispirato la sua nuova collezione, che tipo di abiti si sarebbero visti…

Irene allora, pur continuando ad ascoltare si perse ad osservare la donna che le stava davanti: Marie-Blanche Olivier, aveva questo tratto particolare, che la metteva di buonumore, quando si emozionava, iniziava a parlare incessantemente, o meglio a raffica, come si sarebbe detto in Italia. Sembrava ingaggiare una sorta di lotta contro il tempo, per dimostrare di avere a cuore ciò di cui parlava.

Originaria di Trois, un piccolo e tranquillo paesino francese in cui si poteva sentire il tempo scorrere a dimensione umana e l’aroma del pane appena sfornato profumare ogni centimetro d’aria, Marie-Blanche si era ritrovata come gettata nel vortice del mondo quando i genitori, notando la sua naturale predisposizione, l’avevano mandata a studiare moda prima a Parigi, poi- quando i suoi insegnanti l’avevano segnalata come la migliore dei corsi- a New York dove tutto correva in maniera decisamente più frenetica e lei, a causa del lavoro arduo ed incessante aveva cominciato a subire di una lieve forma di nevrosi per via della caotica fuga di ogni più piccolo istante. Era stato in quegli anni però che aveva dato vita a collezioni grazie alle quali ora il suo nome era conosciuto in tutti gli Stati Uniti.

Proprio in quella città che sembrava non dormire mai, trascinata a forza da Hugh, Irene l’aveva incontrata per la prima volta e, nonostante gli iniziali dissapori – della francese nei confronti della ragazza per via del suo pessimo modo di vestire e per il timoroso balbettio che aveva usato tutto il tempo, mentre le parlava; e di Irene verso Marie-Blanche per il suo atteggiamento che aveva etichettato come impaziente e snob- le due erano poi andate d’amore e d’accordo quando la stilista, aveva imparato ad essere disponibile, calma e simpatica nei confronti della ragazza e dopo averle rinnovato il guardaroba, donandole quello che lei definiva “un giusto look cosmopolita”.

-         …perciò ti aspetto domani sera alle dieci al Chinese Theatre che si trova sulla Hollywood Boulevard, lungo la Walk of Fame.- stava continuando la francese.- Ma sabato pomeriggio vengo a prenderti sotto casa e con la tua macchina andiamo sulla Fashion Avenue per una visitina a Claude e Jean-Paul che darà ad entrambe una pettinata, una truccata ed una sistematica generale. Ti va?- l’entusiasmo della ragazza, quando parlava di abiti e trucco era tanto genuino da risultare contagioso, persino per Irene che non amava perdersi in tali frivolezze. Non le fu difficile capire come fosse riuscita a fare tanta strada nella propria vita, in poco tempo, dal momento che era più giovane di lei.

-         Volentieri, mon ami.- replicò quindi con prontezza, sforzandosi di sorridere senza farsi sfuggire di bocca il cibo, ma quell’atmosfera spensierata fu interrotta dal trillo del suo telefono.

-         Signorina Machiavelli, sono di nuovo Larry Flinkman…- Irene scostò ancora una volta lo smartphone dall’orecchio: era ancora lo stesso numero, quello che risultava non registrato in rubrica.

-         Mortimer, lo ammetto, sei divertente, ingegnoso soprattutto a far fare il finto agente ad un tuo amico, curandoti persino di usare un numero che non ho in rubrica ma non serve, a breve sarò di nuovo in ufficio!- e chiuse la chiamata ancora una volta, di nuovo senza dare la possibilità a chiunque fosse dall’altra parte della comunicazione, di aggiungere una sola parola.

-         Chi era?- si informò Marie-Blanche rialzandosi dal tappeto d’erba ed indossando di nuovo le sue vertiginose scarpe, mentre tornavano all’auto visto che la pausa pranzo di entrambe stava per terminare.

-         Stamattina ho confessato al mio capo che sin da ragazzina ho sognato di andare a pranzo o ad una cena con Ewan McGregor, perché è sempre stato il mio idolo. Perciò è da quando è iniziata la mia pausa pranzo che un suo amico mi sta facendo degli scherzi telefonici, spacciandosi proprio per l’agente di Ewan McGregor, che, guarda caso, vuole invitarmi a cena.- spiegò la ragazza, sbuffando infastidita per essere stata derisa a quel modo dopo aver deciso di fidarsi del proprio capo, cui praticamente aveva aperto il proprio cuore.

Marie-Blanche scoppiò a ridere mentre tentava di illustrare ad Irene che magari quello era un atteggiamento di Mortimer finalizzato a far prendere maggiore confidenza alla ragazza nei suoi confronti. Quell’ottica positivistica invase la macchina finchè Marie-Blanche non varcò di nuovo la soglia dell’Olivier Maison, rimasta sola, infatti, Irene sperò che quella ventata di gioia l’avrebbe accompagnata per il resto della giornata.

Ma così non fu. Già dopo aver attraversato l’entrata del Los Angeles Times, lanciando un sorriso ad Audrey, raggomitolata in ascensore, l’italiana si ritrovò a riflettere su come avrebbe potuto presentare l’argomento al proprio capo e soprattutto, anche se si trattava di uno scherzo, come trattarlo nel modo più delicato, dal momento che Mortimer non solo aveva riposto in lei fiducia, ma ora le aveva accordato anche la propria stima.

Giunta davanti al suo ufficio, la cui porta era ancora spalancata, trovandolo di nuovo dietro quella scrivania, Irene ebbe un tentennamento e fu sul punto di tornare sui propri passi…

-         Irene, ciao!volevi dirmi qualcosa?- esordì quello, sollevando gli occhi da computer.

Tesa ancor più di quella mattina, si morse le labbra mentre gli si avvicinava. Magnifico! Ora, anche se avesse voluto, non avrebbe più potuto tirarsi indietro. Come avrebbe fatto ad iniziare una conversazione senza sembrare aggressiva o frivola?

-         Sai, visto che a casa non ero abituata a persone che trascorressero la loro pausa pranzo al mare, volevo sapere se hai trovato delle belle onde?- snocciolò d’un fiato, senza pensare. Si sarebbe voluta prendere a schiaffi per quell’esordio che, alle sue stesse orecchie suonava stupido.

Mortimer poggiò il mento sulla mano e, nonostante le sue labbra si fossero piegate solo lievemente verso l’alto, in una linea sottilissima, il sorriso contagiò gli occhi ed il suo sguardo mutò completamente trascinando nel cambiamento tutti gli altri suoi lineamenti.

In quell’istante il cellulare di Irene tornò a squillare. La donna lasciò che suonasse una, due, tre volte, con fare noncurante tanto a lungo che il suo capo la fissò perplesso, e infine si ritrovò a domandare:

-         Non rispondi?-

Le sembianze serene della ragazza si indurirono nel momento in cui prese lo smartphone e riconobbe il numero, quando infatti risollevò il viso il suo sguardo inchiodò glaciale, tagliente, il redattore del Los Angeles Times alla sua poltrona.

-         No. Perché so già chi è…e lo scherzo è stato divertente, ma devi dire al tuo amico che la smettesse immediatamente, se vuoi che io dia il massimo, dato che, vista l’insistenza di queste telefonate, non credo che riuscirò ad avere la serenità necessaria per concentrarmi sul mio lavoro.- sputò, pungente.

Mortimer Miller si alzò in piedi e lentamente, inesorabilmente fece il giro della propria scrivania per andarsi a sedere sul bordo: il linguaggio del suo corpo comunicava calma, la gamba lasciata penzoloni sembrava voler trasmettere quasi trasandatezza, ma le spalle erano rigide, le fattezze del viso taglienti, gli occhi burrascosi che preannunciavano tempesta.

-         Temo di non capire.- quelle poche parole non erano un invito a spiegarsi meglio, ma un colpo di frusta pronto a marchiare a pelle la donna qualora avesse varcato di nuovo un certo limite.

-         Avanti, non fingere!- esplose allora Irene.- Eri l’unico a sapere che il mio sogno era andare a cena con Ewan McGregor. Un idolo per me, visto che sono cresciuta con molti dei suoi film! Sei l’unico a cui l’abbia mai confessato. E, per pura coincidenza, oggi da quando ho iniziato la pausa pranzo, ho ricevuto ben sette telefonate da un tale che si spacciava per l’agente di Ewan McGregor e che, per suo conto voleva invitarmi a cena! Non ti sembra strano?!- ormai la ragazza sentiva di aver perso la lucidità, le guance arrossate e la voce eccessivamente squillante persino per le sue orecchie, “da cornacchia”, come più volte l’aveva definita sua madre.

-         Calmati Irene, o sarò costretto a chiederti di andare a casa.- l’ammonì Mortimer dopo aver fatto un balzo per precipitarsi a chiudere la porta.

Ormai il silenzio sceso tra i due pareva vibrare, come fosse qualcosa di solido su cui era passato un terremoto.

Di colpo, quel velo di mutismo fu squarciato da una nuova ondata di squilli del cellulare della ragazza.

Come risvegliati da quel suono, i due reagirono in contemporanea: lei sussultò, lui abbandonò la sua espressione di biasimo per lasciar posto a quella che sembrava un’illuminazione, dovuta forse ad un ricordo.

-         Ora che ci penso, proprio questa mattina, dopo che abbiamo terminato il nostro colloquio, Audrey mi ha chiamato dicendo che aveva in linea un certo Larry Flinkman, che le si è presentato come l’agente di Ewan McGregor e chiedeva il tuo numero di cellulare per poterti invitare a cena per conto dell’attore, che voleva complimentarsi con te per la tua recensione de “il cavaliere della rosa”. Ho ritenuto giusto parlarci, perché ciò che quell’uomo chiedeva fa parte di quello che qui definiamo dati sensibili. In effetti, ero un po’ restio a fargli avere il tuo telefono personale, ma mi è sembrata una persona ragionevole e seria, poi mi sono ricordato che cenare con quell’attore scozzese è sempre stato un tuo sogno, pertanto ho ceduto, pensando che ti avrebbe fatto piacere.- chiarì Mortimer e, ad ogni sua parola lo stupore di Irene aumentava, tanto che quando ebbe finito, lei provò il fortissimo desiderio di andare a cercare una pala per sotterrarsi il più profondamente possibile sotto il pavimento, per via della pessima figura che aveva appena fatto.

-         Oh mio Dio, perciò…non era uno scherzo!- sussurrò la donna, mortificata una mano tremante, che aveva perso ogni colore, a coprirle le labbra.

-         No, credo che tu abbia parlato con il vero agente di Ewan McGregor.-

Lei tentò di ridere flebilmente, ma sentiva le lacrime bruciarle gli occhi:

-         E io che mi sono rivolta a lui convinta di star parlando con te!- si lasciò sfuggire, la voce incolore.

-         Dai, ti concedo dieci minuti per chiamarlo e risolvere la faccenda.- la sollecitò comprensivo, il tono tranquillizzante che lasciava intendere un sorriso.

Stendendo un braccio l’accompagnò alla porta e un attimo prima di varcarne la soglia, l’italiana si voltò a guardarlo, alla ricerca delle parole giuste per scusarsi.

-         Mortimer, io…- abbozzò.

-         Irene, da persona riservata quale sei, hai ragione a perdere le staffe nel momento in cui non si rispetta il tuo spazio personale.- osservò lui, facendole capire che nessuno dei due doveva aggiungere altro.

 

Chiusa nella piccola saletta adibita a cucina, che i dipendenti del giornale usavano quando avevano urgente bisogno di un caffè o di riscaldare il cibo portato da casa per il pranzo, Irene Machiavelli camminava avanti e indietro, nervosa il cuore che le martellava rumorosamente nel petto, le gambe che sembravano non essere più in grado di sostenere il peso del corpo. Con il cellulare stretto convulsamente in mano stava meditando se fosse il caso di richiamare il numero da cui Larry le aveva telefonato, o se fosse più appropriato aspettare che lui ritentasse.

Per una frazione di secondo le balenò in mente la possibilità di rosicchiarsi le unghie per scaricare la tensione, abitudine che aveva perso quando, a diciassette anni aveva tolto l’ortodonzia, ma rinunciò quando le venne in mente la reazione isterica che avrebbe potuto suscitare in Marie-Blanche la vista dello scempio che ne sarebbe risultato.

Chiuse gli occhi e il dito si mosse da solo sul tasto di avvio chiamata.

-         Larry Flinkman.- rispose prontamente la voce dell’uomo, dall’altro capo della conversazione.

-         Signor Flinkman sono…sono Irene Machiavelli- cominciò lei, mentre la decisione che si era imposta di ostentare defluiva dalla sua voce. – Perciò lei è davvero l’agente di Ewan McGregor? L’attore scozzese, interprete di Obi-Wan Kenobi in Star Wars?- volle sapere, per essere effettivamente sicura che non si trattasse di uno scherzo, e anche questa volta la sua deformazione da cinefila fece capolino.

-         Sì signorina, proprio quello, che è lo stesso uomo che ha interpretato Sullen ne “il cavaliere della rosa”. Il signor McGregor mi ha chiesto di invitarla a cena, al “surgeon-fish”, alle 21, per esprimerle il proprio punto di vista sulla sua recensione, signorina.- la informò, cortese.

Cioè la stessa sera in cui avrebbe dovuto essere presente all’evento organizzato di Marie-Blanche.

-         Non si potrebbe fare un’altra volta? Domani sera devo presenziare ad un altro evento cui non posso mancare…non si potrebbe rimandare?- tentò la ragazza.

-         Mi dispiace signorina, il signor McGregor è molto impegnato e deve ritenersi fortunata che abbia trovato del tempo da dedicarle.- quella replica fu più tagliente di una lama congelata, celata dietro finta cortesia.

-         E…quando le devo far sapere se potrò venire?- fece, senza più la forza di trattenere un sospiro di sconfitta, mentre sperava che tuttavia non si sentisse che le sembrava di avere la gola avvolta in un cespuglio di rovi.

-         Subito, signorina Machiavelli. Altrimenti ho l’ordine di non darle tregua finchè non accetterà. Inoltre è bene che sappia che il signor McGregor non accetta rifiuti.- la informò Larry Flinkman pragmatico, anche se Irene volle sperare di aver riconosciuto una sfumatura di contrizione, che fosse dispiaciuto di averla incastrata in quel modo.

-         Poiché sembra che io non abbia scampo da quest’obbligo travestito da minaccia, accetterò. Arrivederci.- e chiuse bruscamente la chiamata.

Nonostante la determinazione che aveva cercato di ostentare, si sentiva fragile e svuotata di ogni energia tanto che, fu costretta a lasciar scivolare la schiena contro la parete per sedersi delicatamente a terra, dove rimase, le ginocchia raccolte al petto, finchè i violenti tremiti che le scuotevano il corpo non smisero.

Le pareva che quella stanza la stesse schiacciando, che tutti i problemi del mondo le ricadessero sulle spalle. Non voleva mancare alla sfilata di Marie-Blanche ma non avrebbe potuto neanche dare forfait alla cena, ormai.

Quasi si infilò un pugno in bocca per impedirsi di urlare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chiusura storia ***


Salve,
è un'eternità che non passo da qui, e non mi aspetto che ci sia ancora qualcuno che sfoglia questa ff nella speranza che io aggiorni. 
In ogni caso mi sembra giusto dirvi che mi trovo nella situazione di dover chiudere la storia così com'è, incompiuta, perché non sono più la stessa persona che l'ha cominciata.


Grazie comunque dellle belle parole con le quali mi avete accompagnata anche in quest'avventura.

Pleasance

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1802894