Long Way to Heaven di Pleasance Carroll (/viewuser.php?uid=34896)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Irene Machiavelli ***
Capitolo 3: *** sorprese, occasioni e scelte ***
Capitolo 4: *** Chiusura storia ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Long
Way to Heaven
Prologo
Londra, 2017
Ewan McGregor, 45 anni,
rientrò, quanto più silenziosamente
potesse, nella sua camera d’albergo. La porta, chiudendosi
alle sue spalle,
produsse un rumore che giunse amplificato alle orecchie
dell’uomo, simile al rombo
di un tuono.
Con passo malfermo riuscì
a raggiungere il letto,
accasciandocisi sopra goffamente, e rimase a guardare il soffitto che
non si
decideva a voler restare al proprio posto.
Si maledisse per il troppo alcool che
aveva lasciato entrare
in circolo nel proprio sangue: lo stomaco era in subbuglio e il
cervello
sembrava non rispondere più ai comandi del cervello, ed
aveva la sensazione di
essere una marionetta a cui siano stati tagliati i fili.
La testa gli si svuotò
tutto ad un tratto, fece per prendere
il cellulare e comporre il numero della casa in cui abitava, a
Londra…di colpo
però, tutto il peso del mondo parve crollargli addosso, ed
avvertì delle fitte
lancinanti alle tempie: nessuno avrebbe risposto a quel telefono,
perché non
abitavano più nella capitale inglese da anni, ormai;
insieme, lui e sua moglie
avevano deciso di trasferirsi a Los Angeles, per il clima
più caldo,
principalmente.
Per un momento, Ewan
valutò l’ipotesi di chiamare in
California, poiché lì, doveva essere giorno; ma,
se Eve l’avesse visto in quel
momento…si rese conto che qualsiasi ora del giorno o anche
della notte, fosse
stata, Eve, non avrebbe risposto ad una sua
telefonata.
Erano separati dal 2013.
Ebbe una fitta al petto mentre la
valanga di dolorosi
ricordi lo travolgeva…
Lui ed Eve erano sempre stati
“la coppia perfetta” secondo
tutti i giornali, ed il segreto del loro equilibrio era lasciare il
mondo fuori
ogni volta che si ritrovavano tutti a casa; fare quante più
cose possibili
insieme, meravigliarsi di ogni più piccola cosa, insieme, ed
essere sempre
sinceri, l’uno con l’altra.
Eppure un giorno, dopo essere tornato
da uno dei suoi
viaggi, Eve aveva annunciato di volerlo lasciare. Un fulmine a ciel
sereno.
Nonostante lui avesse provato più volte ad avere
spiegazioni, arrivando persino
ad implorarla perché ci ripensasse, lei, invece, era stata
irremovibile e da
quel momento si era barricata dietro una cortina di freddo silenzio.
Avevano fatto di tutto per
trasmettere calma e serenità a
Clara, Esther, Jamiyan
ed Anouk
anche in quel momento così drammatico, tuttavia,
specialmente alla più grande
era bastata un’occhiata al padre per capire che non
c’era speranza che
tornassero sui loro passi, rimettendosi insieme.
Ed
i giornali non
avevano certo reso il tutto meno difficoltoso, sbattendo in prima
pagina la
loro vita privata, documentando minuto per minuto la loro sofferenza.
L’attore
scozzese
seppellì il viso tra le mani per nascondere una lacrima che
minacciava di
rigargli il viso; aveva una voglia folle di sentire le sue bambine, ma
se Eve
avesse risposto per prima, sentendolo in quello stato, depresso e mezzo
ubriaco, forse gli avrebbe anche fatto revocare la
possibilità di vedere le
figlie.
La
sbornia che
aveva preso alla festa per il suo ultimo film, stava facendo effetto,
sempre lo
stesso effetto. Oltre che non farlo ragionare, lo gettava preda delle
sue
paure, e lo lasciava scivolare in un sonno profondo che ogni volta gli
piombava
addosso come un macigno, estendendosi in tutto il suo corpo e
minacciando di
trascinarlo via come un fiume in piena.
Ewan
si passò con
impeto le mani tra i capelli biondo castani, deciso a non lasciarsi
andare,
obbliga dosi a camminare, quindi, senza esitazione raggiunse la
poltrona che
era poco distante, e quando riuscì a star seduto
dignitosamente, la schiena
ritta, distese una mano verso il tavolino di vetro, su cui Larry, il
suo
agente, su sua richiesta, aveva accatastato una pila di giornali.
Leggere
le
critiche ai suoi ultimi lavori gli aveva sempre sgombrato la mente,
esercitando
su di lui lo stesso effetto di qualsiasi rimedio post sbornia fatto in
casa che
sua madre gli consigliava, ai tempi del college.
Prese
la prima
rivista senza neanche leggerne il titolo, saltò direttamente
alla pagina delle
recensioni cinematografiche e trattenne il respiro, mentre una leggera
tensione
gli correva lungo i muscoli delle braccia.
Proprio
quella
mattina c’era stata la premiere del suo ultimo film,
“il cavaliere della rosa”,
ed Ewan aveva rilasciato decine di interviste sul red carpet e persino
dopo la
proiezione del film; adesso, che qualche ora era trascorsa tornava a
pervaderlo
quella sensazione che lo colpiva sempre, si sentiva di nuovo come un
ragazzino
alla prima cotta, con lievi palpitazioni, nella speranza che i
giornalisti non
fossero stati troppo crudeli con lui.
Ma
si sbagliava.
Come
sempre da
quando lui ed Eve si erano lasciati, ogni suo errore, ogni suo passo
falso
nella recitazione o nelle interpretazioni, veniva ricondotto o
attribuito alla
rovinosa separazione che lui e sua moglie- o meglio, la sua ex moglie-
avevano
affrontato, mettendo quindi in ombra qualsiasi copione, e film.
McGregor
fa un altro passo falso! Meglio
che non andiate a vedere il
cavaliere della rosa se non siete degli
psicologi navigati. Ancora una volta l’attore che aveva
gloriosamente legato il
proprio nome al personaggio di Obi-Wan Kenobi, non riesce ad
immedesimarsi con
trasporto nel ruolo che gli viene assegnato per questo film, ed
anziché
mostrarsi come un principe in cerca della sua amata, lo scozzese veste
i panni
di un triste cavaliere errante che non riesce a far migliorare il
proprio
broncio neppure sposando la più bella donna del Paese delle
Magnolie.
L’uomo
scagliò il
giornale a terra, sbuffando, quindi, ne afferrò un altro,
anche questa volta
senza leggerne il titolo, e sfogliandolo velocemente fino alla pagina
delle
recensioni, lesse:
17
e 13 nella cultura occidentale sono
numeri sfortunati, tutti noi lo sappiamo. Così come ci siamo
resi conto che
l’ultimo film di Ewan McGregor è stato un fiasco.
Nel
2013 lui e sua moglie Eve hanno posto
fine al loro matrimonio e quella data ha segnato l’inizio del
declino dello
scozzese che ha esordito nel lontano 1993. Per molti anni McGregor ha
tentato
di risollevarsi da ciò che gli è capitato, ma se
ancora oggi, nel 2017, non
riesce a dimostrare di saper recitare, anche se alle sue spalle non ha
la
moglie, abbiamo un consiglio per lui: caro Ewan, parti per uno dei tuoi
famosi
viaggi e rifletti, chiediti se non sia il caso di ritirarti dal grande
schermo,
dal momento che la sfortuna del 13 e del 17 sembrano averti colpito!
Il
quarantacinquenne serrò i pugni e gettò anche
quel quotidiano a terra,
prendendone però subito uno nuovo, a testa bassa e un altro,
e un altro ancora,
finchè la pila da cui attingeva, non si dimezzò,
ma ogni pagina di recensioni
diceva sempre la stessa cosa, con espressioni anche offensive che
continuavano
a balenargli davanti, dando sempre lo stesso taglio alla lettura del
film,
sempre la stessa spiegazione, come una delle ultime che aveva letto:
ricordate
il film fishing
in the Yemen?McGregor, in quel film, da
casalingo privo di spina dorsale, muta in
pescatore che ha la forza di lasciare sua moglie per gettarsi alla
ricerca dei
propri sogni. Tuttavia, questa volta sembra esser stata sua moglie,
l’uomo tra
i due, e chissà che non lo abbia lasciato anche lei con un
SMS che diceva
era meglio
così per entrambi..
Per
tutti quindi,
Ewan Mcgregor recitava male a causa del naufragio del suo matrimonio
con Eve.
Era
tutto come se
l’era immaginato: i critici erano stati impietosi, ma anche
superficiali e
meschini, perché, focalizzando l’attenzione su di
lui e sul suo matrimonio
fallito, avevano finito col dimenticarsi del film di cui stavano
parlando.
In
preda ad un
moto di rabbia, si alzò di slancio dalla poltrona e,
incurante del
violentissimo capogiro che lo colse, camminò più
volte avanti e indietro per la
stanza, nel tentativo di calmarsi.
Perché?
Perché
tutti dovevano essere così superficiali? Incapace di trovare
una risposta, finì
col dare un pugno ad un cuscino che si trovava sul letto, dal momento
che la
sua alterazione non scemava.
Quello,
seppur
morbido, finì sul tavolino di vetro e fece cadere a terra il
vaso di fiori che
lo ornava. Ewan corse a riprenderlo, nella speranza che nessuno sarebbe
venuto
a bussare alla sua porta, insospettito dal trambusto nella camera
dell’attore.
Quando
fece per
riprenderlo, l’uomo si accorse che sul pianale trasparente,
rimaneva ancora un
ultimo giornale, ripiegato accuratamente, segno del fatto che non fosse
ancora
stato aperto; il Los Angeles Times.
Per
qualche
secondo si morse le labbra, indeciso sul da farsi, voleva davvero
leggere
l’ultima recensione, che di sicuro non si sarebbe
differenziata dalle altre?
Era
abbastanza
forte per sostenere l’ultimo colpo di grazia che avrebbe
ricevuto?
La
mano serrò le
dita attorno alla carta sottile, senza che lui avesse dato
l’ordine al
cervello.
Se
proprio doveva
migliorare, come da un po’ di tempo gli consigliavano, decise
che tanto valeva
leggere tutte le critiche, dalla prima all’ultima,
così da poter avere un buon
punto fermo da cui ripartire.
Ewan
McGregor, l’attore che divenne, per
tutti gli amanti di Star War, il viso del maestro Obi-Wan Kenobi,
è stato il
mio idolo sin da ragazzina. Guardarlo, in qualsiasi film facesse, mi
trasmetteva equilibrio, serenità; poi, con occhio
più attento, da critica
cinematografica, ne ho capito il perché, il suo sguardo
onesto e l’approccio
umile ai suoi ruoli ha sempre trasmesso agli spettatori
tranquillità, favorendo
una simpatia nei confronti dei suoi ruoli, se non addirittura
un’immedesimazione. Inoltre, ha sempre saputo come fondersi
coi personaggi che
interpreta, in modo autentico, persino questa volta, con il
cavaliere della rosa, film in cui interpreta
un valoroso, triste
cavaliere che vaga alla ricerca di se stesso. Nonostante
l’ottima attenzione ai
costumi, ed il bel lavoro del direttore della fotografia, è
un peccato che il
regista non abbia sviluppato la storia concentrandosi
sull’approfondimento
psicologico del personaggio che deve il viso a McGregor, o magari
incentrando
il film sul tema del viaggio come ricerca di se stessi, ripiegando
invece
l’intera trama sulla tipica storia del congiungimento con una
splendida
principessa.
Così
tutto il film finisce per risentire
di questo errore e con ogni probabilità la malinconia che
pervade il viso di
McGregor per tutta la pellicola è dovuta alla mancata
introspezione psicologica
che spetta al suo personaggio. In veste di fan però,
aggiungo: forza Ewan! Presto
avrai la possibilità di dimostrare che non hai mai smesso di
essere un Jedi!
L’attore
scozzese
fu costretto a bere qualche sorsi d’acqua per avere le idee
chiare, stavolta.
Scrutò alcune volte quel pezzo di carta su cui erano
impresse quelle righe che
lo avevano colpito al cuore.
Sentiva
i muscoli
tesi, più di quanto non lo fossero mai stati prima di allora.
Quella
critica
era l’unica che non avesse scelto la “via
più semplice” per spiegare
l’insuccesso de “il cavaliere della
rosa”, perché l’aveva fatto? E
perché a lui
sembrava che quelle poche frasi fossero state in grado di scrutargli
nell’anima?
Fu
spaventato da
come quelle parole avessero colto tanto in profondità,
comprendendo che aveva
il cuore spezzato, tanto che restò paralizzato, immobile, in
piedi in mezzo
alla stanza con gli occhi persi nel vuoto.
Ma
poi si
riscosse. Non c’era motivo di avere paura di quelle scemenze.
Chi
credeva di
essere quella fan sgallettata che si fingeva critica e psicologa al
tempo
stesso, per tentare di spiegare come mai lui avesse il cuore a pezzi?
Cosa
credeva di sapere del suo rapporto con la moglie?
La
paura che
aveva provato scemò velocemente ed al suo posto
montò un’ondata di collera che
esplose nel momento in cui l’attore scozzese
afferrò il giornale, mentre
leggeva il nome della rivista per la seconda volta, telefonò
quindi a Larry,
fregandosene del fatto che fossero le quattro di mattina e che
probabilmente il
suo agente stesse dormendo:
-
Larry,
Larry!- si ritrovò ad urlare, contro il microfono dello
smartphone.
-
Mmh…-
replicò la voce impastata di sono dell’uomo.
-
Sono
Ewan, Larry.- continuò l’attore con impazienza- Ho
bisogno che, appena
possibile chiami il Los Angeles Times e ti fai dare il numero di
cellulare
della critica che si è occupata di recensire il mio ultimo
film. Grazie.-
terminò, brusco, e chiuse la conversazione.
Posando
con
malagrazia il cellulare sul tavolino lì accanto, il
quarantacinquenne sbuffò di
nuovo; proprio quella mattina era stato intervistato da un giornalista
del Los Angeles Times, ma era un
uomo,
mentre lui cercava una donna…Irene Machiavelli, quello era
il suo nome.
Chiunque
lei
fosse, come si permetteva di gettare sentenze alla cieca?
Non
sapeva niente
di lui, eppure saltava alle conclusioni, come tutti gli
altri…anche se lei
agiva in maniera più subdola, proponendo
un’interpretazione psicologica del suo
malessere.
Ewan
promise a se
stesso che avrebbe dato a quella Irene una seria ridimensionata: era un
uomo,
prima di essere un attore, e non aveva mai permesso a nessuno di
immischiarsi
nelle sue faccende private. Tanto meno ad una donna che si fingeva
psicologa!
SPAZIO
AUTRICE
Salve
a tutti!
Ammetto
che non
pensavo che sarei mai tornata a scrivere, vista la marea di impegni che
ho in
questo periodo e vista la mia ispirazione altalenante.
Men
che meno che
avrei mai scritto su una persona realmente ed attualmente vivente.
Segnalo che
è per questo che ho ambientato la vicenda di qualche anno
nel futuro, perché
così ho qualche libertà in più sulle
vicende dei personaggi e sulla loro
caratterizzazione psicologica.
Spero
di riuscire
ad aggiornare questa storia ogni due settimane, ma non ci metterei
la mano sul fuoco, viste le motivazioni elencate all’inizio.
Aggiungo
che i fatti di cui
parlerò sono di pura invenzione,
perché Irene Machiavelli è
un personaggio di fantasia(inoltre, ci terrei a sottolineare che le
affinità
tra il nome scelto e il viso dell’attrice designato per il
personaggio
femminile sono puramente casuali, non hanno nulla a che fare con il
film Sherlock Holmes) e non conosco
né Ewan
Mcgregor né sua moglie( a cui auguro tutta la
felicità del mondo), tutto ciò
che lo riguarda è reperibile da internet.
Spero
comunque
che il prologo vi sia piaciuto e che vi spinga a continuare.
Un
abbraccio
Marty23
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Irene Machiavelli ***
Capitolo
1
Irene
Machiavelli
Le city,
i
distretti emblema della produttività lavorativa, erano una
peculiarità
americana, ogni città degli Stati Uniti ne aveva una,
concepita come zona che
doveva sorgere distaccata dal restante tessuto sociale.
Particolarità, questa,
che non smetteva ancora di stupire Irene, cresciuta in un ambiente ed
una
realtà totalmente diversi, nonostante lavorasse da anni,
ormai, in quel
quartiere.
Anche quella mattina, nonostante la
fretta e il cuore che le
galoppava nel petto per la preoccupazione, la donna non
mancò di far correre lo
sguardo alle svettanti silhouette dei grattacieli che le sorgevano
tutt’attorno, timorosa com’era che quelle
mastodontiche figure avrebbero potuto
ingoiare un altro pezzettino del terso cielo della città.
Poi, accelerò il
passo, maledicendo la sua migliore amica per averla costretta a
“vestirsi da
donna”, quindi ad indossare un paio di tacchi che le stavano
facendo venir
voglia di urlare.
La ventisettenne si
ritrovò a claudicare per via dei piedi
gonfi, tanto che rischiò più volte di cadere o
scontrarsi con persone che, come
lei, si stavano dirigendo sul proprio posto di lavoro, avrebbe riso se
avesse
potuto vedere quanto il suo modo di avanzare somigliasse a quello di
una
pallina del flipper, ma quel momento non era decisamente il
più adatto per
farsi una risata, dal momento che non capitava mai che il suo capo la
convocasse per parlarle personalmente, e per di più di prima
mattina, quando il
sole ancora non scottava.
Non si spiegava come mai non
riuscisse a togliersi dalla
mente la sensazione di essere un’esca che veniva gettata in
un mare oscuro e
ignoto…
Tutta trafelata, spalancò
con veemenza la porta a vetri
della sede del Los Angeles Times e si fermò solo un secondo
per chiedere alla
segretaria che piantonava l’entrata, dove fosse
l’ufficio del capo.
Pazzesco! Lavorava per il giornale
più importante di Los
Angeles in veste di critica cinematografica, da tre anni, eppure non
riusciva
ancora a ricordare dove si trovasse l’ufficio
dell’uomo che le aveva dato
fiducia, assumendola.
Audrey, la bionda cinquantenne dietro
la scrivania, che
pareva aver fatto una tessera d’abbonamento ai chirurghi
plastici, le rivolse
un sorriso che somigliava ad un ghigno scolpito tra gli zigomi immobili
mentre
le dava le informazioni di cui aveva bisogno.
La ragazza si precipitò
quindi nell’ascensore e, anche se
era ultraveloce, ebbe abbastanza tempo per riflettere su quanto le
suonasse
ancora strano, sentir pronunciare il proprio nome in modo tanto
particolare,
nonostante i molti anni che ormai aveva trascorso in America. Il suo
semplice
nome, Irene, subiva una sorta di storpiatura: la i
iniziale era pronunciata con una sorta di a
ausiliare davanti, e senza la e
finale, finendo per sembrare particolarmente esotico. La stessa sorte
toccava
al suo cognome, Machiavelli: il nesso ch mutava in una c
dolce e le l doppie
venivano scempiate.
Chissà come ne sarebbe
rimasto deluso suo padre, che le
aveva sempre raccomandato di andar fiera del suo cognome…?
Quando l’ascensore giunse
al piano giusto, lei avanzò con
passo malfermo, non sapeva se dipendesse dalla poca
stabilità che le davano i
tacchi o dai fremiti di paura che sentiva in tutto il corpo.
Da quando era stata assunta per
quell’importante giornale,
dava il massimo ogni giorno, dal momento che contro ogni aspettativa
aveva
visto realizzarsi il proprio sogno di bambina. Il caldo sole
californiano poi,
sembrava darle la carica, metterla sempre di buonumore, ma non in quel
particolare giorno: Irene Machiavelli in quel momento, si detestava.
Dai tempi del suo trasferimento in
America, nel periodo
degli studi universitari, si era ripromessa che non sarebbe
più caduta preda
delle paure scatenate dall’incertezza, che avrebbe proceduto
con sicurezza in
tutto ciò che faceva, affidandosi al proprio istinto, e
finalmente era riuscita
a spezzare quel circolo vizioso che le aveva condizionato la vita fino
ad
allora, alimentato costantemente dalla paura e
dall’incertezza.
C’era sempre riuscita, a
sentirsi una persona nuova, sempre
piena di energie ma quella mattina le sembrava di essere tornata la
stupida
ragazzina infantile che aveva sempre temuto l’ignoto.
Non era mai accaduto che il suo capo
la convocasse
personalmente, e per di più prima dell’orario di
lavoro, cosa poteva essere
capitato per farle meritare una convocazione straordinaria?
Con la mano serrata a pugno, le
nocche bianche, bussò allo
stipite della porta dell’ufficio,
tanto
per annunciarsi educatamente, poichè il suo capo,
perfettamente visibile da lì,
seduto alla propria scrivania, amasse lasciare la porta a scomparsa,
sempre
aperta.
-
Buon giorno Irene,
grazie per essere venuta.- la
salutò, venendole incontro per accoglierla.
Le strinse la mano, e tenne il suo
stesso passo finchè non
giunsero alla sua postazione, dietro la quale lui tornò
subito. Irene non aveva
mai avuto occasione, prima di allora, di osservare veramente Mortimer:
era alto
e muscoloso, le spalle larghe, il viso abbronzato e dalla mascella
quadrata
come la ragazza aveva sempre immaginato venissero caratterizzati i
personaggi
dei cartoni animati americani. Mentre riusciva ad articolare un
affannoso
“salve signor Miller”, vide i suoi occhi castani
adombrarsi per una leggera
preoccupazione.
-
Vuoi sederti,
Irene? E per favore, chiamami Mortimer.-
le chiese, con voce pacata, mentre le indicava la sedia vicina.
La donna sorrise, e le gambe
traballanti la ringraziarono
per la tregua loro concessa. Ma la paura tornò
immediatamente ad aggredirla
come un’onda impetuosa, tanto che presto si
ritrovò col cuore incastrato in
gola, i muscoli tesi, mentre iniziava a domandarsi se farla sedere non
fosse
solo un espediente per prepararla al peggio.
Perché doveva attendere
tanto? Non poteva sapere
semplicemente il vero motivo per cui si trovava lì e farla
finita?
Quando gli occhi grigio-verdi scorsero la copia del LA
Times del giorno
precedente, posata sulla scrivania di Mortimer, sentì che la
terra le franava
sotto i piedi…
Oh no! L’ultima recensione
di cui era occupata non era
andata bene o forse non era piaciuta…sentire materializzarsi
la propria paura
più grande faceva davvero male…già le
sembrava di sentire la propria autostima
che andava in pezzi…
-
Irene per favore,
non farmi quella faccia da Bambi. So
che non avrei dovuto convocarti prima dell’orario di lavoro,
soprattutto perché
sei tornata da poco da Londra, ma non ti mangio mica!- e
così dicendo abbozzò
un sorriso, nella speranza di metterla a proprio agio.
Venne il tempo del momento tanto
temuto, le mani di Mortimer
afferrarono il giornale e lui vi nascose il viso dentro.
Irene tentò di darsi un
contegno, gli attimi scorrevano
nella più totale immobilità, la tensione era
veramente tantissima, le sfiorava
la pelle come cartavetrata e la sua mente lasciò che si
abbandonasse
involontariamente ai ricordi del giorno prima: il team di cui faceva
parte era
stato inviato a Londra e mentre i suoi colleghi si occupavano di
intervistare
sul red carpet i protagonisti de “il cavaliere della
rosa”, a lei era toccato
il compito (che accoglieva ogni volta con l’entusiasmo di una
bambina) di
essere tra le prime persone a vederlo, in modo da poterne subito
stilare una
recensione con le proprie impressioni.
Mortimer riemerse proprio in quel
momento da dietro i fogli
di carta, con un sorriso smagliante e, ripiegando il giornale
confessò:
-
Ancora una volta
sono davvero soddisfatto di un tuo
pezzo, ma questa volta ho dovuto proprio farti venire
perché…mi hai stupito:
non solo la tua recensione da un buon taglio al film, ma ne spiega
anche i
punti deboli senza scadere nel volgare, dando rilevanza con delicatezza
e con
sfumature psicologiche, alla figura di Ewan McGregor. E il tutto senza
svelare
troppo la trama! Il che contribuirà a mantenere alta la
curiosità del pubblico,
se non addirittura a stuzzicarla maggiormente. Credo che i cinema che
lo
proietteranno dovrebbero farti avere una percentuale!
Brava
Irene, si nota che sei una
fan di quello scozzese: se fossi in lui ti inviterei a cena per
ringraziarti di
come hai trattato lui e il suo personaggio- si complimentò.
La
ragazza arrossì e trovò
finalmente la forza di pronunciare le prime parole di quella giornata:
-
Se vuoi saperlo,
Mortimer, e non prendermi in giro, ti
prego, uscire a cena con lui è sempre stato il mio sogno, da
quando ero
bambina, ma poi crescendo, mi sono resa conto che era come chiedere la luna. Mi
ritengo comunque
tanto fortunata da sentirmi tra le stelle.- il sorriso della donna era
tanto
radioso da scintillare alla luce del sole che entrava attraverso gli
ampi vetri
dell’ufficio. La valanga di complimenti dai quali era stata
sommersa, l’avevano
riempita, riscaldata, quasi esaltata, come solo una serata tra amici,
pensava
potesse fare. Ora sentiva il respiro corto per l’emozione, i
muscoli distesi ma
il cuore le era tornato a battere frenetico, anche se questa volta, per
la
gioia.
-
Davvero ti piace
tanto? Grazie Mortimer! E io che
pensavo…- continuò, senza riuscire a trattenersi,
mentre si ritrovava quasi ad
urlare e tratteneva a stento il desiderio di balzare in piedi e
cominciare a
saltellare, come usava fare quando, da bambina, voleva sottolineare la
felicità
che provava.
-
So cosa pensavi,
Irene, te l’ho letto negli occhi fino
ad un attimo fa. Ma fai male a saltare subito alle conclusioni,
perché nel
momento in cui smetti di stare concentrata sulle tue
previsioni delle conclusioni e ti apri al mondo, il mondo ti
promette che non smetterà mai di stupirti. Soprattutto, fai
male a
sottovalutarti: pensi che sia volato a San Francisco per una vacanza, o
perché
la Academy of Arts aveva proposto
immediatamente te, ad una mia richiesta di una critica
cinematografica?- i loro
sguardi si incrociarono e lei, in quel silenzio pieno di luce,
chinò
semplicemente la testa, con riconoscenza.- Ora fila a lavorare,
cinefila!-
l’apostrofò il trentenne fingendo di adirarsi poi,
un attimo prima che varcasse
la soglia del suo ufficio, vedendola ancora claudicante le propose.- Le
tue
scarpe sono belle, da come soffri immagino siano nuove, se vuoi posso
prestarti
le mie ciabatte da spiaggia, ma dovrai rendermele perché
voglio approfittare
della pausa pranzo per cavalcare qualche onda.- Irene, sorpresa di
vedergli
tenere in mano un paio di infradito di paglia, lasciò vagare
lo sguardo per la
stanza, incuriosita e non riuscì a trattenere una sincera
risata nello scorgere
una tavola da surf a fiori appoggiata contro il muro e seminascosta
dalla sedia
girevole della scrivania.
La mattinata trascorse tranquilla, la
ragazza lavorò sodo ma
senza sentire il peso della stanchezza perché era serena, lo
spirito leggero,
anche se riusciva a frenare a stento il desiderio di telefonare a sua
madre,
italiana di nascita come lei, che, dopo averla seguita negli Stati
Uniti per
motivi di salute aveva ritenuto necessario vivere distante dalla figlia
per
renderla indipendente, pur continuando a pagare per i suoi studi.
Da circa due anni Maria Rossi aveva
cominciato a lasciarsi
alle spalle la separazione con il padre di Irene, principalmente per
merito di
Thomas, un americano con cui era stato amore a prima vista e con il
quale la
donna si era trasferita a Furnace Creek, California, ultima arroventata
cittadina prima della Death Valley che, grazie al suo clima secco aveva
quasi
completamente guarito l’asma di cui soffriva la donna.
Irene moriva dalla voglia di sentirla
nonostante fossero a
chilometri di distanza, solo per condividere con lei la sua gioia, ma
di colpo,
le parole di Mortimer circa la sfumatura psicologica che aveva dato al
suo
articolo, le fecero venire in mente suo padre, con il quale aveva
sempre avuto
un rapporto dicotomico.
Forse avrebbe dovuto chiamare
lui…si bloccò immediatamente,
ricordando come la scelta di trasferirsi in America, lasciandosi tutto
alle
spalle, l’aveva salvata dalla possibilità di venir
logorata dalle scelte
sbagliate del padre, di cui lei aveva sempre sentito
l’influsso, per via della
sua indole empatica.
-
Irene! Irene,
tesoro, è iniziata la pausa pranzo, vieni
a mangiare con me?- le propose Hugh, il suo collega gay addetto agli
articoli
di moda, conosciuto a San Francisco. La prima volta che si erano
incontrati,
l’uomo aveva praticamente scelto di prendersi cura di lei,
così spaesata e
brufolosa, i primi tempi, perfezionando innanzitutto la sua conoscenza
dell’inglese e incaricandosi di presentarle Marie-Blanche,
che ora era
diventata la sua migliore amica.
-
Grazie
dell’invito, Hugh ma devo rifiutare: oggi voglio
passare a salutare Marie-Blanche, è da prima di partire per
Londra che non
stiamo un pomeriggio insieme e…-
-
…e
brava la mia ragazza!! Ne approfitti per avere
qualcuno con cui farti “trucco e parrucco”.
Credimi, se non stessi morendo di
fame e non avessi i capelli tanto corti, farei volentieri compagnia a
voi due
fanciulle…spero solo che la nostra amica
“donna-di-mondo” abbia due minuti da
dedicarti e un attimo per respirare, visto che a breve
presenterà la sua nuova
collezione.- le rivelò mentre si passava una mano tra i
capelli stirati e
sbuffava con teatralità per una fatica che in
realtà non sentiva.
-
Davvero? Non
sapevo nulla di una nuova collezione!-
osservò lei, piacevolmente colpita.
-
Certo tesoro che
non ne sapevi nulla: tu ti occupi
degli ultimi film, mentre è mio il compito di sapere tutto
di tutto delle
ultime tendenze e collezioni modaiole- si chinò per baciarle
la fronte e
porgendole il braccio l’accompagnò
all’uscita.
Un altro particolare caratteristico
solo dell’America erano
le grandi distanze. Chilometri e chilometri di strade si snodavano in
linea
retta perdendosi oltre l’orizzonte, la cui fine sembrava non
arrivare mai, e
che per questo erano percorribili solo con l’automobile.
Irene amava o odiava
quella peculiarità, a seconda di quanta strada desiderasse
fare a piedi. Quel
giorno, viste le scarpe con i tacchi, che Marie-Blanche stessa le aveva
chiesto
di mettere, ne era decisamente entusiasta e il percorso che la condusse
all’
“Olivier Maison” fu particolarmente breve, anche
perché Irene non presto quasi
attenzione alla strada che percorreva, persa com’era nel
ricordo del colloquio
con Mortimer.
Giunta alla reception del palazzo di
Los Angeles di cui
Marie-Blanche era proprietaria, fu annunciata alla sua amica ma,
nonostante le
sue speranze, ciò che le aveva raccontato Hugh si
rivelò esatto, perciò la
ragazza fu invitata ad accomodarsi suun divanetto, con
l’avvertimento della
segretaria che la stilista non sarebbe riuscita a liberarsi prima di
trenta
minuti. Rassegnatasi quindi ad attendere lasciò ai suoi
piedi la busta con la
macedonia e la NY cheesecake con fragole che l’italiana aveva
acquistato per
festeggiare.
Consapevole che la Fortuna le aveva
già sorriso, fu colta
totalmente impreparata dal trillo penetrante del suo stesso cellulare.
-
pronto…-
esordì, la voce bassa per rispettare quel
luogo di lavoro.
-
Parlo con la signorina
Irene Machiavelli,
giornalista del Los Angeles Times?-
si informò una voce maschile che la ventisettenne
non aveva mai sentito. Con la fronte corrucciata scostò lo
smartphone
dall’orecchio solo per scoprire che il numero che la stava
chiamando compariva
non come sconosciuto, ma come non registrato in rubrica.
-
Sì,
sono io. Con chi sto parlando?- chiese, diffidente
mentre si alzava e muoveva le braccia in direzione della segretaria,
mimando
con le labbra una richiesta di prestare attenzione alla busta che aveva
lasciato alle proprie spalle.
Non voleva che qualcuno la vedesse
spaventata e tremante per
un imprevisto. Finalmente fuori dall’Olivier Maison, quindi,
Irene si impose di
ascoltare e capire chi fosse il suo interlocutore.
-
Signorina
Machiavelli mi chiamo Larry Flinkman, sono
l’agente del signor Ewan McGregor.- si presentò la voce. Lei
rimase senza
fiato le gambe ebbero un fremito mentre le sembrava che il mondo
tutt’attorno a
lei si acquietasse.- la sto chiamando per dirle che il signor McGregor
vorrebbe
invitarla a cena.-
E quello fu il punto oltre il quale
Irene non resse più
tanto che esplodendo in una fragorosa risata, disse:
- Ti prego, Mortimer, non
è carino rivoltare un sogno nel
cassetto che ti ho confessato appena qualche ora fa, contro di me!- poi
chiuse
la conversazione, senza dare la possibilità
all’altro di replicare, mentre,
rientrando nell’Olivier Maison cercava a stento di soffocare
le risa.
SPAZIO AUTRICE
Eccomi di nuovo qui, so che sto
contravvenendo a ciò che io
stessa avevo promesso, con un aggiornamento poco meno che settimanale,
ma visto
che questo capitolo era pronto non capivo perché dovessi
rosolarmi e rosolarvi
per l’attesa.
Spero che il primo capitolo vi sia
piaciuto e che abbia
presentato decentemente la protagonista femminile di questa storia.
Chiedo venia per le ultime battute
del colloquio tra
Mortimer e Irene, forse sono un tantino altisonanti, ma spero comunque
che si
sia capito il senso di ciò che i due intendevano, e
soprattutto mi scuso per la
reazione eccessiva che ho avuto l’istinto di far fare a lei
(il salto
d’allegria)…
La pronuncia inglese del nome di
Irene, è questa, ahy-reen, la
trascrizione
fonetica,
questa
aɪˈrin
inoltre, non credo che
“cinefila” sia un termine esistente
nel vocabolario, qui lo uso nell’accezione di
“amante dei film”.
infine, vorrei ringraziare Blue_moon e Piratessa
per aver inserito la storia tra le seguite e per i commenti al capitolo
precedente. J
ve l’ho già
detto che mi mandate in brodo di giuggiole?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** sorprese, occasioni e scelte ***
Capitolo
2
Sorprese,
occasioni e scelte
La
venticinquenne Marie-Blanche Olivier
fece il suo ingresso
nell’atrio nel momento promesso. Irene comprese solo allora
perché avesse
sentito Hugh dire che quella donna aveva il mondo nelle proprie mani:
vedendola
scendere le scale con la sua solita eleganza, non potè fare
a meno di pensare
che, in un’altra epoca, la sua amica avrebbe ricoperto
egregiamente il ruolo di
duchessa o contessa vista la saggezza e la gentilezza con cui parlava
ma anche
la fermezza con cui impartiva ordini a tutte le persone che la
attorniavano.
La moltitudine di ragazzi e ragazze
che le gravitava
attorno, infatti somigliava particolarmente a quello che un tempo si
sarebbe
definito “corte”, tutti si muovevano con passo
veloce e nervoso, sembravano
particolarmente ansiosi di compiacerla, ma a giudicare da quanto la
donna
parlasse loro in modo sbrigativo, toccandosi di tanto in tanto le
tempie,
infastidita dagli occhiali da vista che portava solo per lavorare;
Irene
immaginò che la sua amica non vedesse l’ora di
toglierseli dai piedi.
-
Bene, venti minuti
di pausa per tutti.- annunciò la
stilista, con un forte accento francese.
Mentre qualcuno mormorava un
sollevato “grazie, signora”, ci
fu un generale dileguo e in breve Marie-Blanche si ritrovò
sola dinnanzi alla
sua ospite.
-
Ciao, cherie.-
esordì l’italiana, togliendo con
delicatezza gli occhiali alla sua amica.- Vengo a rapirti per mangiare
qualcosa
insieme, e…festeggiare!- la prese sotto braccio senza
attendere oltre,
trascinandola fuori da quel caotico tempio della moda.
-
Cosa si
festeggia?- domandò Marie-Blanche, raccogliendo
i capelli corvini in una coda di cavallo e togliendosi le scarpe per
sedersi
con malcelato atteggiamento restio, sull’erba. Los Angeles
aveva il vantaggio
di essere piena di prati e fazzoletti verdi, alcuni dei quali anche a
pochissima distanza dal mare, così ben curati, ma lei non
riusciva ancora a
spiegarsi, nonostante la conoscesse da anni, perché la sua
amica italiana si
ostinasse a sdraiarsi sull’erba quando poteva benissimo
usufruire di decine di
panchine sparse il giro come margherite.
-
La buona riuscita
di un mio articolo! Pensa, il mio
capo si è congratulato con me di persona.- le
raccontò la ragazza che le stava
adagiata di fronte in stile Cleopatra, sfoggiando un sorriso
entusiasta.-
E…ovviamente la tua nuova collezione- aggiunse, sistemandosi
un ricciolo
castano dietro l’orecchio.
-
Cosa!? Come
l’hai scoperto? Pensavo di farti una
sorpresa invitandoti alla sfilata che si terrà sabato,
domani sera, e volevo
portarti dal parrucchiere e dal truccatore che raccomando alle mie
modelle,
così noi saremmo state un po’ insieme! Ma come fai
a sapere che devo presentare
una nuova collezione?- ripetè, scandalizzata.
-
Quel nostro amico
in comune, Hugh, che lavora assieme a
me e si occupa di articoli di moda, se l’è fatto
scappare stamattina. Quindi ho
pensato che questa bella notizia meritasse almeno una fetta di
cheesecake.- le
spiegò Irene.- Comunque, se è ancora valido,
credo che accetterò molto
volentieri quell’invito.- continuò ostentando un
atteggiamento sostenuto, anche
se gli occhi che brillavano di sincera curiosità.
Marie-Blanche trattene a malapena un
gridolino di felicità,
chissà da quanto aveva tenuto segreta quella notizia che
riteneva vitale, ed
ora non vedeva l’ora di condividerla. Addentando con
voracità la sua porzione
di cheesecake quindi, si lanciò nel resoconto di come si
sarebbe svolta la
serata del giorno successivo e, pensando alle modelle che vi avrebbero
preso
parte spiegò minuziosamente cosa aveva ispirato la sua nuova
collezione, che
tipo di abiti si sarebbero visti…
Irene allora, pur continuando ad
ascoltare si perse ad
osservare la donna che le stava davanti: Marie-Blanche Olivier, aveva
questo
tratto particolare, che la metteva di buonumore, quando si emozionava,
iniziava
a parlare incessantemente, o meglio a raffica, come si sarebbe detto in
Italia.
Sembrava ingaggiare una sorta di lotta contro il tempo, per dimostrare
di avere
a cuore ciò di cui parlava.
Originaria di Trois, un piccolo e
tranquillo paesino
francese in cui si poteva sentire il tempo scorrere a dimensione umana
e
l’aroma del pane appena sfornato profumare ogni centimetro
d’aria,
Marie-Blanche si era ritrovata come gettata nel vortice del mondo
quando i
genitori, notando la sua naturale predisposizione, l’avevano
mandata a studiare
moda prima a Parigi, poi- quando i suoi insegnanti l’avevano
segnalata come la
migliore dei corsi- a New York dove tutto correva in maniera
decisamente più
frenetica e lei, a causa del lavoro arduo ed incessante aveva
cominciato a
subire di una lieve forma di nevrosi per via della caotica fuga di ogni
più
piccolo istante. Era stato in quegli anni però che aveva
dato vita a collezioni
grazie alle quali ora il suo nome era conosciuto in tutti gli Stati
Uniti.
Proprio in quella città
che sembrava non dormire mai,
trascinata a forza da Hugh, Irene l’aveva incontrata per la
prima volta e,
nonostante gli iniziali dissapori – della francese nei
confronti della ragazza
per via del suo pessimo modo di vestire e per il timoroso balbettio che
aveva
usato tutto il tempo, mentre le parlava; e di Irene verso Marie-Blanche
per il
suo atteggiamento che aveva etichettato come impaziente e snob- le due
erano
poi andate d’amore e d’accordo quando la stilista,
aveva imparato ad essere disponibile,
calma e simpatica nei confronti della ragazza e dopo averle rinnovato
il
guardaroba, donandole quello che lei definiva “un giusto look
cosmopolita”.
-
…perciò
ti aspetto domani sera alle dieci al Chinese
Theatre che si trova sulla Hollywood Boulevard, lungo la Walk of Fame.-
stava
continuando la francese.- Ma sabato
pomeriggio vengo a prenderti sotto casa
e con la tua macchina andiamo sulla Fashion Avenue per una visitina a
Claude e
Jean-Paul che darà ad entrambe una pettinata, una truccata
ed una sistematica
generale. Ti va?- l’entusiasmo della ragazza, quando parlava
di abiti e trucco
era tanto genuino da risultare contagioso, persino per Irene che non
amava
perdersi in tali frivolezze. Non le fu difficile capire come fosse
riuscita a
fare tanta strada nella propria vita, in poco tempo, dal momento che
era più
giovane di lei.
-
Volentieri, mon
ami.- replicò quindi con prontezza,
sforzandosi di sorridere senza farsi sfuggire di bocca il cibo, ma
quell’atmosfera spensierata fu interrotta dal trillo del suo
telefono.
-
Signorina
Machiavelli, sono di nuovo Larry Flinkman…-
Irene scostò ancora una volta lo smartphone
dall’orecchio: era ancora lo stesso
numero, quello che risultava non registrato in rubrica.
-
Mortimer, lo
ammetto, sei divertente, ingegnoso soprattutto
a far fare il finto agente ad un tuo amico, curandoti persino di usare
un
numero che non ho in rubrica ma non serve, a breve sarò di
nuovo in ufficio!- e
chiuse la chiamata ancora una volta, di nuovo senza dare la
possibilità a
chiunque fosse dall’altra parte della comunicazione, di
aggiungere una sola
parola.
-
Chi era?- si
informò Marie-Blanche rialzandosi dal
tappeto d’erba ed indossando di nuovo le sue vertiginose
scarpe, mentre
tornavano all’auto visto che la pausa pranzo di entrambe
stava per terminare.
-
Stamattina ho
confessato al mio capo che sin da
ragazzina ho sognato di andare a pranzo o ad una cena con Ewan
McGregor, perché
è sempre stato il mio idolo. Perciò è
da quando è iniziata la mia pausa pranzo
che un suo amico mi sta facendo degli scherzi telefonici, spacciandosi
proprio
per l’agente di Ewan McGregor, che, guarda caso, vuole
invitarmi a cena.-
spiegò la ragazza, sbuffando infastidita per essere stata
derisa a quel modo
dopo aver deciso di fidarsi del proprio capo, cui praticamente aveva
aperto il
proprio cuore.
Marie-Blanche scoppiò a
ridere mentre tentava di illustrare
ad Irene che magari quello era un atteggiamento di Mortimer finalizzato
a far
prendere maggiore confidenza alla ragazza nei suoi confronti.
Quell’ottica
positivistica invase la macchina finchè Marie-Blanche non
varcò di nuovo la
soglia dell’Olivier Maison, rimasta sola, infatti, Irene
sperò che quella
ventata di gioia l’avrebbe accompagnata per il resto della
giornata.
Ma così non fu.
Già dopo aver attraversato l’entrata del Los
Angeles Times, lanciando un sorriso ad Audrey, raggomitolata in
ascensore,
l’italiana si ritrovò a riflettere su come avrebbe
potuto presentare
l’argomento al proprio capo e soprattutto, anche se si
trattava di uno scherzo,
come trattarlo nel modo più delicato, dal momento che
Mortimer non solo aveva
riposto in lei fiducia, ma ora le aveva accordato anche la propria
stima.
Giunta davanti al suo ufficio, la cui
porta era ancora
spalancata, trovandolo di nuovo dietro quella scrivania, Irene ebbe un
tentennamento e fu sul punto di tornare sui propri passi…
-
Irene, ciao!volevi
dirmi qualcosa?- esordì quello,
sollevando gli occhi da computer.
Tesa ancor più di quella
mattina, si morse le labbra mentre
gli si avvicinava. Magnifico! Ora, anche se avesse voluto, non avrebbe
più
potuto tirarsi indietro. Come avrebbe fatto ad iniziare una
conversazione senza
sembrare aggressiva o frivola?
-
Sai, visto che a
casa non ero abituata a persone che
trascorressero la loro pausa pranzo al mare, volevo sapere se hai
trovato delle
belle onde?- snocciolò d’un fiato, senza pensare.
Si sarebbe voluta prendere a
schiaffi per quell’esordio che, alle sue stesse orecchie
suonava stupido.
Mortimer poggiò il mento
sulla mano e, nonostante le sue
labbra si fossero piegate solo lievemente verso l’alto, in
una linea
sottilissima, il sorriso contagiò gli occhi ed il suo
sguardo mutò
completamente trascinando nel cambiamento tutti gli altri suoi
lineamenti.
In quell’istante il
cellulare di Irene tornò a squillare. La
donna lasciò che suonasse una, due, tre volte, con fare
noncurante tanto a
lungo che il suo capo la fissò perplesso, e infine si
ritrovò a domandare:
-
Non rispondi?-
Le sembianze serene della ragazza si
indurirono nel momento
in cui prese lo smartphone e riconobbe il numero, quando infatti
risollevò il
viso il suo sguardo inchiodò glaciale, tagliente, il
redattore del Los Angeles
Times alla sua poltrona.
-
No.
Perché so già chi è…e lo
scherzo è stato
divertente, ma devi dire al tuo amico che la smettesse immediatamente,
se vuoi che
io dia il massimo, dato che, vista l’insistenza di queste
telefonate, non credo
che riuscirò ad avere la serenità necessaria per
concentrarmi sul mio lavoro.-
sputò, pungente.
Mortimer Miller si alzò in
piedi e lentamente,
inesorabilmente fece il giro della propria scrivania per andarsi a
sedere sul
bordo: il linguaggio del suo corpo comunicava calma, la gamba lasciata
penzoloni sembrava voler trasmettere quasi trasandatezza, ma le spalle
erano
rigide, le fattezze del viso taglienti, gli occhi burrascosi che
preannunciavano tempesta.
-
Temo di non
capire.- quelle poche parole non erano un
invito a spiegarsi meglio, ma un colpo di frusta pronto a marchiare a
pelle la
donna qualora avesse varcato di nuovo un certo limite.
-
Avanti, non
fingere!- esplose allora Irene.- Eri
l’unico a sapere che il mio sogno era andare a cena con Ewan
McGregor. Un idolo
per me, visto che sono cresciuta con molti dei suoi film! Sei
l’unico a cui
l’abbia mai confessato. E, per pura coincidenza, oggi da
quando ho iniziato la
pausa pranzo, ho ricevuto ben sette telefonate da un tale che si
spacciava per
l’agente di Ewan McGregor e che, per suo conto voleva
invitarmi a cena! Non ti
sembra strano?!- ormai la ragazza sentiva di aver perso la
lucidità, le guance
arrossate e la voce eccessivamente squillante persino per le sue
orecchie, “da
cornacchia”, come più volte l’aveva
definita sua madre.
-
Calmati Irene, o
sarò costretto a chiederti di andare a
casa.- l’ammonì Mortimer dopo aver fatto un balzo
per precipitarsi a chiudere
la porta.
Ormai il silenzio sceso tra i due
pareva vibrare, come fosse
qualcosa di solido su cui era passato un terremoto.
Di colpo, quel velo di mutismo fu
squarciato da una nuova
ondata di squilli del cellulare della ragazza.
Come risvegliati da quel suono, i due
reagirono in
contemporanea: lei sussultò, lui abbandonò la sua
espressione di biasimo per
lasciar posto a quella che sembrava un’illuminazione, dovuta
forse ad un
ricordo.
-
Ora che ci penso,
proprio questa mattina, dopo che
abbiamo terminato il nostro colloquio, Audrey mi ha chiamato dicendo
che aveva
in linea un certo Larry Flinkman, che le si è presentato
come l’agente di Ewan
McGregor e chiedeva il tuo numero di cellulare per poterti invitare a
cena per
conto dell’attore, che voleva complimentarsi con te per la
tua recensione de
“il cavaliere della rosa”. Ho ritenuto giusto
parlarci, perché ciò che
quell’uomo chiedeva fa parte di quello che qui definiamo dati sensibili. In effetti, ero un
po’ restio a fargli avere il tuo
telefono personale, ma mi è sembrata una persona ragionevole
e seria, poi mi
sono ricordato che cenare con quell’attore scozzese
è sempre stato un tuo
sogno, pertanto ho ceduto, pensando che ti avrebbe fatto piacere.-
chiarì
Mortimer e, ad ogni sua parola lo stupore di Irene aumentava, tanto che
quando ebbe
finito, lei provò il fortissimo desiderio di andare a
cercare una pala per
sotterrarsi il più profondamente possibile sotto il
pavimento, per via della
pessima figura che aveva appena fatto.
-
Oh mio Dio,
perciò…non era uno scherzo!- sussurrò
la
donna, mortificata una mano tremante, che aveva perso ogni colore, a
coprirle
le labbra.
-
No, credo che tu
abbia parlato con il vero agente di
Ewan McGregor.-
Lei tentò di ridere
flebilmente, ma sentiva le lacrime
bruciarle gli occhi:
-
E io che mi sono
rivolta a lui convinta di star
parlando con te!- si lasciò sfuggire, la voce incolore.
-
Dai, ti concedo
dieci minuti per chiamarlo e risolvere
la faccenda.- la sollecitò comprensivo, il tono
tranquillizzante che lasciava
intendere un sorriso.
Stendendo un braccio
l’accompagnò alla porta e un attimo
prima di varcarne la soglia, l’italiana si voltò a
guardarlo, alla ricerca
delle parole giuste per scusarsi.
-
Mortimer,
io…- abbozzò.
-
Irene, da persona
riservata quale sei, hai ragione a
perdere le staffe nel momento in cui non si rispetta il tuo spazio
personale.-
osservò lui, facendole capire che nessuno dei due doveva
aggiungere altro.
Chiusa nella piccola saletta adibita
a cucina, che i
dipendenti del giornale usavano quando avevano urgente bisogno di un
caffè o di
riscaldare il cibo portato da casa per il pranzo, Irene Machiavelli
camminava
avanti e indietro, nervosa il cuore che le martellava rumorosamente nel
petto,
le gambe che sembravano non essere più in grado di sostenere
il peso del corpo.
Con il cellulare stretto convulsamente in mano stava meditando se fosse
il caso
di richiamare il numero da cui Larry le aveva telefonato, o se fosse
più
appropriato aspettare che lui ritentasse.
Per una frazione di secondo le
balenò in mente la
possibilità di rosicchiarsi le unghie per scaricare la
tensione, abitudine che
aveva perso quando, a diciassette anni aveva tolto
l’ortodonzia, ma rinunciò
quando le venne in mente la reazione isterica che avrebbe potuto
suscitare in
Marie-Blanche la vista dello scempio che ne sarebbe risultato.
Chiuse gli occhi e il dito si mosse
da solo sul tasto di
avvio chiamata.
-
Larry Flinkman.-
rispose prontamente la voce dell’uomo,
dall’altro capo della conversazione.
-
Signor Flinkman
sono…sono Irene Machiavelli- cominciò
lei, mentre la decisione che si era imposta di ostentare defluiva dalla
sua
voce. – Perciò lei è davvero
l’agente di Ewan McGregor? L’attore scozzese,
interprete di Obi-Wan Kenobi in Star Wars?- volle sapere, per essere
effettivamente sicura che non si trattasse di uno scherzo, e anche
questa volta
la sua deformazione da cinefila fece capolino.
-
Sì
signorina, proprio quello, che è lo stesso uomo che
ha interpretato Sullen ne “il cavaliere della
rosa”. Il signor McGregor mi ha
chiesto di invitarla a cena, al “surgeon-fish”,
alle 21, per esprimerle il
proprio punto di vista sulla sua recensione, signorina.- la
informò, cortese.
Cioè la stessa sera in cui
avrebbe dovuto essere presente
all’evento organizzato di Marie-Blanche.
-
Non si potrebbe
fare un’altra volta? Domani sera devo
presenziare ad un altro evento cui non posso mancare…non si
potrebbe
rimandare?- tentò la ragazza.
-
Mi dispiace
signorina, il signor McGregor è molto
impegnato e deve ritenersi fortunata che abbia trovato del tempo da
dedicarle.-
quella replica fu più tagliente di una lama congelata,
celata dietro finta
cortesia.
-
E…quando
le devo far sapere se potrò venire?- fece,
senza più la forza di trattenere un sospiro di sconfitta,
mentre sperava che
tuttavia non si sentisse che le sembrava di avere la gola avvolta in un
cespuglio
di rovi.
-
Subito, signorina
Machiavelli. Altrimenti ho l’ordine
di non darle tregua finchè non accetterà. Inoltre
è bene che sappia che il
signor McGregor non accetta rifiuti.- la
informò Larry Flinkman
pragmatico, anche se Irene volle sperare di aver
riconosciuto una sfumatura di contrizione, che fosse dispiaciuto di
averla
incastrata in quel modo.
-
Poiché
sembra che io non abbia scampo da quest’obbligo
travestito da minaccia, accetterò. Arrivederci.- e chiuse
bruscamente la
chiamata.
Nonostante la determinazione che
aveva cercato di ostentare,
si sentiva fragile e svuotata di ogni energia tanto che, fu costretta a
lasciar
scivolare la schiena contro la parete per sedersi delicatamente a
terra, dove
rimase, le ginocchia raccolte al petto, finchè i violenti
tremiti che le
scuotevano il corpo non smisero.
Le pareva che quella stanza la stesse
schiacciando, che
tutti i problemi del mondo le ricadessero sulle spalle. Non voleva
mancare alla
sfilata di Marie-Blanche ma non avrebbe potuto neanche dare forfait
alla cena,
ormai.
Quasi si infilò un pugno
in bocca per impedirsi di urlare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Chiusura storia ***
Salve,
è un'eternità che non passo da qui, e non mi aspetto che ci sia ancora qualcuno che sfoglia questa ff nella speranza che io aggiorni.
In ogni caso mi sembra giusto dirvi che mi trovo nella situazione di dover chiudere la storia così com'è, incompiuta, perché non sono più la stessa persona che l'ha cominciata.
Grazie comunque dellle belle parole con le quali mi avete accompagnata anche in quest'avventura.
Pleasance |
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1802894
|