I misteri dell'Ètoile

di GinkoKite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Seguendo il destino, seguendo il cuore ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Degli obblighi e delle scelte ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Camminare, Correre, Fermarsi, Incontrarsi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Prime conoscenze e primi segreti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Fra storie di gemelli e litigi di piacere ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Lezioni private ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - La febbre e la paura ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Il sangue non è in grado di trasformare il bianco in rosso ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - La sfida della volpe e del leone ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Seguendo il destino, seguendo il cuore ***


Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali da buona studentessa di liceo classico u.u
 




Capitolo 1 – Seguendo il destino, seguendo il cuore


< […] Diciamole infine che dieci milioni di francesi, infiammati dal fuoco della libertà, armati di spada, penna, ragione ed eloquenza, potrebbero da soli, se li si irrita, mutare la faccia del mondo e far tremare tutti i tiranni sui loro troni d’argilla! >

La folla gremita attorno a quel palco inneggiava cori alle parole di quello che sembrava solo un folle, ma la potenza del quale stava crescendo di giorno in giorno: quell’uomo, doveva chiamarsi Robespierre, aveva la strana capacità di riuscire ad influenzare le masse di disperati attorno a lui, di infiammarli propagandando ideali di libertà, uguaglianza e pace.
Quali sciocchezze ed inutilità per uomini e donne così umili!
E chi vi guadagnava erano i suoi collaboratori, uomini politici che godevano delle sue doti di demagogo professionista, per portare al proprio mulino potere, denaro e gloria.
Disgustato, sul fondo di quella piazza, Francis Bonnefoy, buon borghese e rinomato “intellettuale”, osservava quello “spettacolo”: tutto stava cambiando e per un buon cittadino e suddito come lui, questi tempi non erano l’ideale; l’odore del sangue sembrava già pervadere l’aria e la paura iniziava ad impossessarsi di ben più di un cuore.
- Iiiiiiiiihhh! –
- No, no… Buono Valant, buono. –
La mano guantata andò ad accarezzare il fiero muso del suo fedele destriero e compagno di peripezie notturne o diurne: i muscoli tesi e la irrequietezza dell’animale lo costringevano ad usare più forza del dovuto e, in fondo, si pentì di essersi fermato su quello slargo a riposare e a dedicare cinque minuti della sua vita alle ultime novità che giravano per le strade cittadine e i salotti.
Stava ancora accarezzando il manto baio del proprio cavallo, quando qualcosa di ben più interessante attirò la sua attenzione: qualcosa… Sarebbe stato meglio dire qualcuno, dato che i personaggi di quella piccola comitiva nera sembravano fanciulle; saranno state cinque o sei e molto giovani, dato il sonoro chiacchiericcio che proveniva dalle cappe scure, ma soprattutto si intuiva dalle voci delle due figure che le incalzavano a suon di “petites” a procedere velocemente ed in silenzio: la figura in testa al gruppo era una bella dama con ampio e sobrio abito verde scuro ed anch’essa ammantata in una cappa nera, mentre in coda vi era un biondo nerboruto, in completo scuro anch’egli, che portava sulle spalle due pesanti sacche, mentre il suo mantello veniva agitato dalle folate di vento autunnale.
Cosa vi faceva un gruppo così eterogeneo nel centro di quella folla confusionaria e che si accalcava sempre di più attorno a quel palcoscenico oscuro? Ad un certo punto, Francis credé di averli persi di vista, ma erano ancora lì, o meglio appena fuori la piazza, con la dama ed il biondo alla guida  e le fanciulle sedute nel cassone di un vecchio carro.
Non seppe che cosa lo spinse a montare a cavallo e seguire quel calesse a debita distanza: forse la curiosità che l’aveva sempre contraddistinto, oppure era la sensazione che quella “discordanza” tra loro ed il clima parigino gli dava, una sensazione di pace.
Dopo una buona ora intenti ad attraversare viottoli malmessi e stradine costeggiate da fossati pieni di narcisi, finalmente il calesse svoltò in una via più impervia verso un rado boschetto di felci e querce robuste, salendo verso quello che sembrava uno spiazzo al culmine di una delle tante collinette della campagna: Francis arrestò il procedere del cavallo e,  sceso, decise di legarlo ad una delle fronde basse, intimandogli di aspettarlo.
Continuò lungo il sentiero reso fangoso dalle prime piogge, lasciando che cespugli e roveti nascondessero la sua figura: la mano era pronta sull’elsa della spada ed il suo respiro era trattenuto , così debole che pareva non fosse nemmeno un respiro.
Un altro momento di cammino ed una bella villa, quasi spuntata dal nulla come un fungo, fece la sua apparizione in quell’angolo remoto di Francia: nell’ampio giardino che vi si apriva avanti, un gruppo di ragazze aiutavano i piccoli “corvi” a scendere dal carro, mentre l’uomo scaricava i sacchi aiutato da un altro uomo più esile e…
- Strano…- sussurrò appena Francis, muovendo un altro passo verso l’ingresso della grande magione dal tetto di ardesia scura, quando alle sue spalle risuonò il rumore sordo di un ramo rotto – Ma cos-! –
- Bienvenido espià! –
Il dolore al capo fu lancinante ed il buio lo sopraggiunse velocemente: cosa era successo?
No, sapeva cos’era successo: un folle l’aveva colpito, con… Beh non sapeva con cosa, ma sta di fatto che l’aveva colpito con un oggetto pesante, però perché l’aveva fatto?
Cosa nascondeva quella villa di tanto importante?
Qual era il segreto che avvolgeva quel mondo?












Note dell'autrice

Bene! Salve a tutti, gentilissimi lettori!
Allora, questa è ufficialmente la mia prima fanfic che pubblico, o meglio, diciamo la prima storia in cui un capitolo ha più di 110 parole ahaha ^^
Ho sempre amato il periodo rivoluzionario francese e non potevo non ambientare questo racconto se non in quell'epoca: spero vi divertirete, entusiasmerete e appassionerete alle mie caretterizzazioni e fantasie, ma soprattutto spero che tutta la storia risulti un piacevole "film" da leggere con gli occhi e ascoltar risuonare nel cuore.
A presto allora!

GinkoKite

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Degli obblighi e delle scelte ***


Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali.


< Che cosa ne dobbiamo fare? >
< Certo non può restare! >
< Se è per quello, non possiamo nemmeno permetterci che fugga, allora! >
< Veh, a me non sembra una cattiva persona! >
< Quindi, cosa facciamo? >
< Potremmo, che so,uc… >
< Oh non ci pensare nemmeno, sottospecie di carnefice! E se le bambine lo venissero a sapere?!>
< Ci conviene aspettare la señorita e… Ah! >
Francis sentiva le voci di diverse persone attorno a lui ed il suo corpo completamente intorpidito da quelle che dovevano essere delle forti corde, ben strette sulle sue membra: i suoi occhi blu si aprirono lentamente, la vista ancora sfocata e la mente rintronata dal colpo ricevuto; quando finalmente riuscì a mettere a fuoco, il biondo poté notare attorno a sé diverse persone, di cui due erano la dama, ora tenuta dietro da un alto moro, e l’energumeno che aveva seguito fino a quel luogo.
- Non ti muovere! – gli intimò lo stesso moro che, da quel poco che ricordava, doveva averlo colpito nel giardino della casa.
- E come potrei? Sono legato! – rispose vivamente il francese.
- Beh, noi veram-!  -
- Ah, sta’ zitto tu, razza di idiota! – incominciò una voce alle sue spalle, che sembrava meglio provenire proprio da un angolo in penombra della stanza – Dì, chi ti manda? I cavalieri del re? Quella sottospecie di comandante-nano*? Oppure qualche criminale, eh? -
- Sentite, io non ho la più pallida idea di che cosa stiate parlando o a chi vi riferiate: mi sono limitato a seguire quei due laggiù! – disse Francis indicando con un gesto del capo la dama e il biondo – Ma esclusivamente per curiosità, niente di più. – tentò di ribattere dando sfogo alla sua voce.
Un uomo circa della sua età , almeno da come appariva, e dai particolarissimi capelli bianchi si sciolse dalla sua posizione rigida, volgendosi verso la donna:
- Eravate seguiti e non ve ne siete accorti? – pronunciò l’uomo con un chiaro, anche se ben nascosto accento prussiano.
- Oh, santo cielo, Gilbert! – sbottò la ragazza, aggiustando una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e fulminandolo con lo sguardo cristallino – C’erano le bambine da controllare, prima di tutto! Non potevamo metterle in pericolo, in nessuna maniera! –
- Sì, ma così avete messo in pericolo loro, noi… Me! – continuò il tipo con chiara ansia e preoccupazione.
- Oh, smettila, razza di egocentrico! –
Così, il gruppo iniziò a discutere animatamente, uno con e contro l’altro, smettendo di interessarsi a lui, anzi ignorando completamente la sua presenza. Dove diavolo era finito? Certo non poteva dirsi in mano a spregiudicati aguzzini o criminali o adepti di una qualsiasi sorta di setta, dato il ricco ambiente dove si trovavano e lo stesso valeva per l’abbigliamento di quei signori e specialmente per il lessico usato da tutti loro: eterogeneo, ricercato a tratti e a tratti “volgare”.
- Scusate – tentò di iniziare Francis, nella speranza che la sua obiezione venisse ascoltata – Se mi lasciaste spie-! -
E la risposta fu schiacciante e assoluta da parte dell’intero gruppo, eccezione fatta per il biondo e un uomo (o ragazzo forse?) che se ne stavano, uno disperato, l’altro beato, con la schiena contro il muro a sorreggersi:
- Zitto tu! –
Ecco, come aveva previsto.
- Oh, ma quali maniere signori: è così che trattiamo i nostri ospiti adesso? –
Fu così, con quella semplice frase, che l’attenzione di tutti fu catalizzata dalla figura che ora si stagliava sulla porta d’entrata della stanza: era una giovane donna dai capelli biondi raccolti in un elegante chignon francese e dai grandissimi occhi verdi, ora impegnati a scandagliare la stanza.
- Dunque, qualcuno sarebbe così gentile da spiegarmi come mai un uomo, legato per di più, si trova in casa mia? –
I vari personaggi attorno a lui tentarono di trovare una spiegazione a quella “presenza”, ma risultò tutto vano:
- Mademoiselle, noi veramente… -
- …L’abbiamo trovato a curiosare in giardino…-
- E pensavamo fosse una guardia del re… -
- Ed era armato! –
La donna chiuse gli occhi facendo ricorso a tutta la propria pazienza e, con un gesto della mano, zittì tutti:
- Sciogliete i nodi. –
- Fräulein, non mi sembra ad-. –
- Non era un invito, Ludwig, ma un ordine. –
- Ja, fräulein Isabeau. –
Finalmente il corpo di Francis era libero dalla sedia cui era stato legato in precedenza e, andando ad inginocchiarsi di fronte alla dama bionda, non poté che pronunciare prendendole la mano:
- Grazie, grazie, mademoiselle… -
- Non ringraziatemi ancora – iniziò lei, sottraendo da quelle labbra fin troppo voraci la sua pallida mano – Anzi, seguitemi ed anche tu, Elizaveta, vieni con noi, per cortesia. –
Elizaveta, così si chiamava dunque la donna che aveva seguito proprio quella mattina, lo aiutò a rialzarsi e con gesti pacati e gentili lo condusse fuori dalla stanza al seguito di Isabeau, mentre dietro quella porta riprendeva un concitato brusio.
- Ebbene – cominciò a parlare la bionda mentre alle sue spalle Elizaveta restava in atteggiamento ritroso con le mani nelle ampie tasche dell’abito di casa – Posso ora sapere chi siete? Chi vi ha condotto a sapere di questo luogo? –
- Mia signora – disse Francis con il tono più quieto possibile – Come ho già detto ai signori in quella stanza, a condurmi qui è stata la semplice curiosità e non riesco nemmeno a capire come qualcuno potrebbe essere interessato ad un semplice istituto, mi pare di capire: in fondo, in Inghilterra, è frequente moda condurre le proprie figlie o figli in un luogo simile e voi siete istitutori, certo particolari ma… Istitutori, vero? –
Le due donne tentarono di trattenere invano un risolino ed alla fine la bella bionda gli si avvicinò posandogli la mano sul braccio:
- Ora posso seriamente credere che voi siete innocente e totalmente all’oscuro di ciò che si cela sotto questo istituto, anche se, non posso mettere ulteriormente in pericolo le vite di coloro che risiedono sotto questo tetto. – concluse rialzando lo sguardo ferino, di un verde smeraldo abbagliante, e, ad un suo gesto, la rapida Elizaveta aveva già portato un sottile stiletto al collo del francese.
- Chi siete dunque voi mademoiselle? –
- Io sono la duchessa Isabeau de Saxe-Cobourg et Gotha, proprietaria di questa villa e direttrice dell’Istituto Etoile, nonché istitutrice di letteratura antica: questo è un rifugio per tutti coloro che lo trovano e per coloro che non sanno più dove andare o sono affidati ad esso; qui essi avranno pace, un alloggio, vitto ed istruzione, potranno svolgere una vita serena nella segretezza più assoluta al riparo dalle brame dei rivoluzionari che devastano la Francia. Ed ora veniamo a voi… -
- Conte Francis di Bonnefoy –
- Conte, poiché avete trovato questo luogo, vi siete introdotto in esso e avete scoperto parte dei segreti che in esso sono custoditi, ora avete due scelte: restare qui, senza più tornare alla vostra corte e mantenere assieme a noi questo segreto, oppure assicurarlo con il silenzio della tomba. –
Elizaveta premette la lama sul collo avoreo di Francis, mentre un rivolo di sudore freddo scivolava lungo la fronte dell’uomo:
- Allora, la vostra scelta signore? –
Ed ora? Che cosa avrebbe dovuto rispondere a quella donna che sembrava ben pronta a dare l’ordine di sgozzarlo proprio lì, su quegli eleganti tappeti persiani ed i marmi pregiati d’ingresso?
Avrebbe potuto tentare di liberarsi dalla presa, vero, inoltre la sua prestanza fisica l’avrebbe sicuramente aiutato a liberarsi dalle esili braccia della dama dietro di sé, ma sarebbe stato abbastanza veloce anche per sfuggire alla lama affilata del pugnale? Oh certamente, avrebbe potuto implorare pietà, promettere, magari, una gran somma di denaro da destinare allo stesso istituto o a qual si altra forma di deposito e ritirarsi nella sua villa in Normandia senza più tornare a Parigi; eppure in quel preciso momento vedeva tutte quelle possibilità sfuggire dalle sue mani, sciogliersi come neve al sole per lasciare spazio ad un unico sentimento.
La paura.
Quindi cosa fare? Morire come martire del suo stesso onore o provare a trovare un accordo con quella folle “Isabeau”?
Sciocchezze, non c’era altro da dire se non:
- …Accetto. –

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Note al testo: Ovviamente il "comandante-nano" è Napoleone Bonaparte, all'epoca semplice luogotenente.
Note dell'autrice: Eccomi dunque giunta al secondo capitolo e devo ammetterlo: è stato un vero parto.
Ma come sempre ci deve essere un'ottima "ostetrica" e la mia c'era e spero sarà sempre al mio fianco in ogni momento.
Merçi ma petite chouchou.

xXx

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Camminare, Correre, Fermarsi, Incontrarsi ***


Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali da buona studentessa di liceo classico u.u




Il sorriso sul volto di Isabeau si addolcì improvvisamente, dando così adito alle sue speranze: quando la lama abbandonò definitivamente il suo collo, e le sue mani vennero prese da quelle della donna, Francis poté sospirare sollevato, ringraziando Iddio che qualsiasi azione avventata e sanguinaria nei suoi confronti fosse cessata.
- Allora, posso considerarmi “salvo” ? – chiese il francese in tono sereno, seppur con ancora una leggera nota incerta.
- Oh, non dovete preoccuparvi in alcun modo, monsieur. – lo rassicurò lei – Non avrei mai potuto dare ordine di uccidervi, ovviamente. –
- Ovvero non… - cominciò balbettando Francis, comprendendo quanto quella donna dovesse avere stregato la sua mente con una messinscena impareggiabile – Voi mi avete mentito? –
La risata delle due dame trillò serena nel silenzio della stanza e, scostandosi da lui, Isabeau fu lieta di rispondere alla sua timida domanda, ma chiara affermazione:
- Lo ammetto, vi ho ingannato: ma sono felice di accogliere, finalmente, il nostro nuovo insegnante di belle arti! – concluse serena.
Francis era sempre più stupito e meravigliato da quella recitazione così convinta della fanciulla: era stato piacevolmente ingannato, forse anche deriso, ed ora si trovava legato con un patto d’onore a quel luogo, anzi a quella donna.
- Bene, ora seguitemi, prego, vi mostro come è diviso l’edificio. Elize… - disse Isabeau dopo aver compiuto alcuni passi verso il proseguimento del corridoio – Informa Antonio che d’ora in poi avrà un nuovo compagno di stanza e vedi di portare qualche abito per il conte –
- Sì, Isabeau. – si limitò a rispondere la bella castana, inchinandosi a loro due e, con un veloce calpestio, rientrò nella camera alle loro spalle.
- Allora, andiamo? – lo incitò nuovamente la bionda, avviandosi lungo l’anticamera di quella splendida villa.
La voce di mademoiselle Isabeau, seppur parlasse di questioni importantissime, proveniva all’orecchio di Francis,attutita dai mille pensieri che ora gli affollavano la mente: osservava i grandi quadri ed i raffinati specchi con occhi persi a ricordare quelli che affollavano la sua dimora, così come i tappeti morbidissimi su cui camminava, gli riportavano alla memoria quelli delle sue stanze; era vero, tutto sommato si sarebbe abituato facilmente a quella vita, dato anche il gradito ambiente ricco e signorile, e non avrebbe certo sentito la mancanza di valletti e cameriere.
O almeno, lo sperava.
- Bene, come avete potuto vedere, insegnerete nell’aula comune nei giorni freddi o di mal tempo, mentre, quando arriverà la bella stagione, vi prego di approfittare del giardino, ma fate sempre attenzione alle ragazze ed ai loro abiti, le macchie d’erba non piacciono al nostro “inserviente” – concluse la dama soffermandosi dinnanzi ad una grande porta e bussò su di essa per tre volte, prima di ricevere una risposta dall’interno:
- E’ permesso, Arthur? Spero di non disturbare la tua lezione. – disse la donna sfoderando uno dei suoi più caldi sorrisi e ricevendone uno vagamente abbozzato dall’uomo in piedi vicino all’unica, ma elegante scrivania della stanza.
- Miss Isabel, co-come mai qui? La lezione… - cercò di iniziare, titubante, l’uomo.
- Oh, ti prego di perdonarmi, ma… - disse Isabeau, volgendosi verso le fanciulle – Devo presentarvi un nuovo insegnante che ha deciso di servire qui all’istituto. – un gesto della mano concesse l’entrata di Francis che si pose al fianco della dama – Vi presento il conte Francis Bonnefoy, che a partire da domani sarà il vostro insegnante di disegno e belle arti. –
- I miei omaggi, mademoiselles. – rispose il francese inchinandosi appena di fronte alle fanciulle, che, concitate, esprimevano vari commenti sull’arrivo dell'uomo, tanto inatteso.
- Misses, please, silence! – disse ad alta voce l’insegnante che ora si ritrovava, non solo in secondo piano e bistrattato di fronte e dalle sue stesse alunne, ma anche che, data la notevole stretta delle sue mani attorno a quello che doveva essere un elegante taccuino, lo stava per cogliere anche un grave attacco isterico.
Francis osservò la figura di quell’uomo, che doveva avere pressappoco la sua età, con notevole interesse: certo, dall’abbigliamento e dal modo di parlare si capiva che era un isolano, per cui il suo scarso contegno era più che lecito, dato quello che si diceva in giro degli inglesi; tuttavia dovette ammettere che gli occhi verde slavato e i capelli irrimediabilmente spettinati, così come le orride sopracciglia, gli conferivano quell’aspetto trasandato e da “led”, che poteva attrarre diverse donne, e non solo.
- Ah c’est rien, monsieur, sono ragazzine: è giusto che siano così vivaci alle novità! – replicò il francese con tono irriverente, come a voler stuzzicare l’orgoglio dell’altro.
- Invece gradirei che si tenesse un certo decoroso comportamento durante le mie lezioni. – replicò piccato l’istitutore inglese.
- Oh, suvvia, erano solo alcune risate e qualche commento. –
- Commenti che potrebbero essere fatti in altra sede e non di fronte alla direttrice e…-
-  Ma prego, signori, continuate pure a litigare dinnanzi a tutte noi, anzi! Posso offrirvi anche un paio di pugnali per duellare come si conviene a due gentiluomini? – la risposta sottile di Isabeau giunse così alle orecchie degli uomini e l’imbarazzo dei due di fronte all’acutezza di parola della giovane non poté che suscitare le risate complici delle alunne, le quali non vennero zittite ma invogliate.
Se da una parte, sul volto di Francis si dipingeva un sorriso sereno, seppur imbarazzato, di rimando a quello della giovane direttrice, dall’altra, su quello di Arthur facevano bella presenza un broncio scocciato ed un pallido rossore.
- Ora andate bambine, monsieur Feliciano vi aspetta in biblioteca per la lezione di latino. – e a quell’invitante gesto di congedo, il piccolo gruppo di ragazzine sciamò al di fuori della stanza, seguite dal francese, il quale venne cortesemente invitato ad attendere all’esterno della stanza dalla stessa dama.
- Bene, dimmi che cosa non ti piace di lui. – cominciò Isabeau, trattenendo Arthur per la manica dell’elegante giacca di tweed verde che indossava – Sembravi un vero lupo in difesa del proprio territorio di caccia. –
- Non era mia intenzione, milady, ma se posso permettermi: quel tizio non mi piace. – concluse lui con una smorfia sprezzante.
- E dimmi, quale francese ti piace, Arthur? Da quando sei arrivato da Londra non hai smesso di insultarne uno – disse Isabeau chinando il capo – E mi chiedo come tu possa trattare me con tale gentilezza. –
La dama lasciò il lembo di giacca, fino ad ora trattenuto, per ritirarsi e uscire da quella stanza, quando, ormai di spalle, le pervenne la voce dell’inglese:
- Miss  –
- Sì Arthur? – rispose lei senza voltarsi, ma accennando un sì con il capo per dimostrargli che lo ascoltava.
- Voi mi avete salvato: non potrei mai fare altro che servirvi ed esservi amico. – riuscì a pronunciare prima che si spezzasse la voce e le guance si imporporassero maggiormente.
- Era quello che speravo. – disse Isabeau concludendo quell’intimo dialogo per tornare fuori dall’aula dove l’attendeva ancora Francis, appoggiato mollemente alla parete in fronte alla porta.
- Orbene, monsieur… - iniziò lei dopo un leggero colpo di tosse, distogliendo lo sguardo dal sorriso soddisfatto del conte – Se ora volete salire al primo piano, troverete la vostra stanza: la prima nell’angolo di sinistra ed Antonio dividerà con voi la camera, per cui se avete bisogno di qualsiasi cosa, potete chiedere a lui. –
- Merçi et… - incominciò titubando per un momento.
- Alla campana saprete cosa fare – disse lei rialzando lo sguardo sul povero “imputato”, che da buona insegnante, aveva compreso non fosse stato molto attento alle sue precedenti descrizioni – Inoltre mi sembra di avervi già dato riguardo di ciò –
- Oui, mais… - Ma lui non stava ascoltando, ovviamente.
- Benissimo. Io sarò nel mio studio a preparare alcune cose, quindi mi congedo da voi. – concluse lei allontanandosi verso lo scalone principale. – Ah, quasi scordavo. – fece arrestando il passo – Ancora benvenuto all’Istituto Etoile, monsieur Bonnefoy. – e con quell’ultimo ferino sorriso, la bella dama si dileguò nei corridoi della villa, lasciando solo il povero francese, intento a pentirsi, ancora una volta, di aver “accettato” divivere in un luogo talmente tanto fuori dal mondo, geograficamente parlando e filosoficamente pensando.




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Note dell'autrice

Ed eccoci così giunti al terzo capitolo: non mi sembra neanche vero!
L'obiettivo iniziale era di portarlo a termine per Natale, ma non vi sono riuscita, mi dispiace tantissimo di aver mancato questo regalo, ma spero potrete perdonarmi e continuare a leggere!
Come avete potuto vedere, tutti i personaggi sono stati "presentati" in una qualche maniera e la prossima volta ci saranno piacevoli sorprese...
Volete sapere quali? Beh non vi resta che continuare a seguirmi!
Ed ora, ancora tante buone feste e felici vacanze a tutti!

xXx

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Prime conoscenze e primi segreti ***


Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali da buona studentessa di liceo classico u.u



Francis, affranto, decise di recarsi alla sua fatidica stanza, non appena l’eco dei passi di mademoiselle Isabeau sembrò perdersi completamente nell’aria: salì lentamente la scala principale, raggiungendo così il temuto corridoio, fitto anch’esso di tendaggi ed eleganti arazzi.
Stava per bussare alla porta indicatale dalla donna, quando essa si spalancò sotto la sua mano, svelando il giovane che quella mattina l’aveva sommerso di domande con tono grezzo ed ostile:
-    Sei solo un bastardo! Un maniaco! E io che ero pure-! Argh! Non aspettarti la cena calda sta sera! Anzi, ci sputo anche dentro! – incominciò questi urlando con foga e allontanandosi a grandi passi dalla stanza, senza degnarlo minimamente di uno sguardo.
-    No, Romano aspetta! Romano, my pequeno! – la seconda voce apparteneva invece al giovane ora appoggiato allo stipite della porta, il quale, presupponeva Francis nella sua mente, fosse Antonio.
-    Te prego, non giudicare un uomo innamorato… - gemette debolmente il moro rientrando nella camera.
-    …Oh non oserei mai. – concluse invece Francis seguendolo e chiudendosi la porta alle spalle, mentre Antonio si riallacciava lentamente la camicia, prima slacciata sul petto.
La camera da letto non era quello che si poteva dire “spaziosa”, ma era resa perfettamente accogliente e calda dalle stoffe sui toni del rosso damascato e da alcuni piccoli dettagli del suo nuovo compagno: un piccolo quadro che ritraeva la campagna francese, uno specchio dalla cornice dorata, un piccolo diario ricoperto di pelle scura; entrambi si accomodarono, Antonio su una poltroncina e Francis su il divanetto che gli faceva da contrapposto accanto al camino ancora spento: il moro, poi, indicò un armadio in comune e il letto verso la grande finestra come quello assegnato al francese.
-    Bueno, ora ritengo sia il caso di presentarme: Antonio Fernandez y Carriedo, ex luogotenente dell’armata spagnola ed ex mercenario dell’esercito francese. – iniziò lui quasi impettito ed orgoglioso del proprio ruolo passato.
-    Ex? – chiese Francis perplesso, mentre Antonio gli versava in un elegante bicchiere il contenuto di una caraffa di cristallo.
-    Oh, certo! Me ne sono andato quando quel dannato ufficiale ci ha mandato a morte contro un’intera guarnigione di prussiani: sai, è in quell’occasione che ho visto Gilbert per la prima volta. – riprese lo spagnolo a vivida voce – Com’è? –
-    Gilbert sarebbe… - iniziò, prima di prende un sorso – Troppa cannella, però non male. –
-    Mm forse ho esagerato un poquito…  Ah, vero, non ci hai ancora parlato personalmente! Comunque non puoi sbagliarti: è il più egocentrico, maniaco del proprio essere, perfezionista fino al midollo ed è sempre, in costante litigio con Elizaveta… Ah beh, è albino. –
< Come se fosse il tratto meno caratteristico, vero? > si ritrovò a pensare Francis – Quindi vi siete scontrati sui campi di battaglia? – chiese asciugandosi le labbra con il pollice.
-    Beh, non è che si può proprio dire così.
Vedi, io non sono un grande amante della guerra e mentre noi eravamo sì e no una cinquantina di uomini, quelli là erano un bel plotone di prussiani, tutti armati e così… -
-    Siete scappati a gambe levate. – si ritrovò nuovamente ad interromperlo Francis.
-    Sì, ma se lo dici così, amigo, si perde tutto il pathos della fuga spericolata! E comunque siamo riusciti a fuggire e metterci in salvo ben in pochi, anzi, credo che la mia famiglia mi ritenga muerto – concluse lui terminando il suo bicchiere in un sol colpo.
-    E come mai sei finito qui e non su una qualche isola tropicale? – chiese, incuriositosi, Francis.
-    Ah! Anche questa è una bella storia: ero riuscito ad arrivare a Parigi e mi sono rifugiato in una locanda da poco costo di Place de Sainte Christine, poi mentre stavo girando per un mercato, venni avvicinato da una bellissima dama…
Tre anni prima – Place de Sainte Christine, Paris

Un vagamente più giovane Antonio sta girovagando per i banchi di frutta e verdura del mercato popolare in quella piazza: trasandato, barba incolta e i capelli mal tenuti, gli davano più l’aspetto di un povero viaggiatore o peregrino, piuttosto che quello di un aitante soldato. Con indifferenza osservava la gente che si accalcava attorno ai banchi, fino a che un ben poco aggraziato pescivendolo lo spinse letteralmente a terra insultandolo in quello che sembrava un perfetto dialetto di Lione: zozzo di scarti di verdure varie, polvere e fango e chissà cos’altro, Antonio fece per rialzarsi, quando gli venne tesa una mano da un’elegante dama ammantata di bianco.
< Mi sembrate alquanto sperduto qui a Parigi, signore. > disse la donna con voce soave.
< Perdonate, ma io… > cercò di iniziare lui inutilmente, mentre si rialzava davanti a lei, cercando di vedere meglio il volto della donna celato da una pesante cappa.
< Se cercate un posto dove poter trovare serenità e dimenticare completamente le vostre sventure, non fatevi remore: seguite questo itinere e arrivato chiedete di madame Isabeau. > concluse lei consegnandogli un piccolo rotolo di pergamena chiuso da un fiocco di raso verde scuro, lasciandolo tra le mani di Antonio, il quale la fissava ancora incredulo.


-    Ti dico, all’inizio credei  di esser stato avvicinato dalla ennesima puta in cerca di nuovi clienti, ma quando arrivai qui e mi venne innanzi in abiti di seta e diadema, dissi a me stesso che o era una di quelle amanti per ricconi o una dea, ed in ogni modo non me la sarei mai potuta permettere. – iniziò lui giocherellando con il bicchiere ancora stretto tra le mani – Quando mi spiegò dove ero finito e che avrei potuto trovare, finalmente, vitto e alloggio a vita solo se mi occupavo di alcune lezioni, beh, non potevo che accettare! – concluse posando il bicchiere.
-    Certo avete avuto fortuna – esclamò Francis, posando anch’egli il calice.
-    Più che altro fede, amigo: ormai sono tre anni che mi trovo in questo luogo e credo non cambierei la mia vita per quella di un qualunque governatore delle isole del sud di sua Maestà! –
Francis sorrise vedendo lo sguardo dello spagnolo addolcirsi a quella maniera e si chiese veramente se era solo per l’abile capacità retorica della ragazza e l’ambiente di lusso della villa, che egli si era fermato all’istituto, ma in fondo avrebbero avuto molto tempo per parlare, quindi perché svelare subito ogni segreto?
-    E l’incontro con Gilbert è stato durante la fuga o direttamente qui, all’istituto? – chiese il francese attorcigliando una ciocca di capelli biondi attorno all’indice.
-    In realtà c’era già stato uno scambio di sguardi su quel dannato campo di battaglia: sai, sembrava un dio dell’Apocalisse, perfettamente eretto sul suo cavallo, e con quel dannato sorriso sadico che lo rendeva un vero figlio del demonio, sì. – incominciò lo spagnolo con profonda riflessione – Ancora vino? – disse mentre versava per sé un altro bicchiere di liquido scuro.
-    Direi che hai reso in maniera precisa il degno rappresentante dell’Impero prussiano, non? – tornò a rimarcare Francis sorridendo e accennando un “sì” con il capo all’offerta.
-    Oh sì certo, una “bella” immagine: peccato che anche lui non abbia avuto una buena suerte… - disse Antonio, lasciando volutamente in sospeso la frase mentre svuotava la brocca nel bicchiere del francese.
-    Cosa intendi? Gli è accaduto qualcosa? – lo apostrofò Francis così da intimargli di continuare.
-    Un sicario mandato, molto probabilmente da una famiglia rivale, l’ha colpito nel sonno! Ma essendo una pellaccia ci ha rimesso solo un tendine che quel bastardo gli ha reciso nel duellare con lui. – terminò con un sospiro lo spagnolo.
-    Ma-! Un tendine…?! – esclamò Francis cercando di trattenere un’espressione fin troppo sorpresa.
-    Yay, señor: Gilbert è zoppo. – disse quasi con rammarico Antonio – Per questo motivo, anche se vivo, ha dovuto abbandonare l’esercito e trovare rifugio in un posto del genere: se quei mostri l’avessero scoperto menomato e quindi inutilizzabile, l’avrebbero eliminato pubblicamente, questa volta. –
Francis terminò di bere il suo bicchiere di vino speziato approfittando di quel momento di silenzio tra loro per riflettere su tutto ciò che era successo in quella giornata (infatti il sole stava tramontando oltre gli spessi vetri della camera da letto, irradiando una piacevole luce rossastra nella stanza): il suo arrivo in quel mondo dentro al mondo, in un’assenza di spazio e tempo quasi irreale e che lui stesso stentava a credere potesse esistere veramente; l’incontro con una dama che l’aveva ingannato e con cui ora aveva uno stretto contratto a cui non poteva sottrarsi, ma che iniziava ad apprezzare sotto ogni punto di vista; ed infine, quelli che sarebbero stati i suoi compagni d’ora in poi e di cui sapeva talmente poco, ma di cui immaginava i folli e incredibili segreti che potevano nascondere: persone inesistenti, scomparse da quel mondo e che invece erano lì, come fantasmi tra le mura di una villa tanto bella quanto misteriosa.
I due nuovi compagni e amici, dalla confidenza che Antonio aveva preso con Francis, proseguirono a parlare a lungo, rivelando peccati e qualità di loro stessi: lo spagnolo svelò alcune delle regole silenti della villa e su come le ricchezze più preziose nascoste al suo interno fossero proprio le educande. Tutte figlie di nobile stirpe, risiedevano lì a causa dei caotici movimenti che da tanto si propagavano per le regioni di tutta la Francia; se fosse venuto a mancare il sostegno economico apportato dalle loro famiglie, per l’istituto sarebbe la fine.

Il lontano trillo di una campanella risuonò nell’aria, indice dell’imminente ora di cena.


Note dell'autrice

Carissimi, eccoci dunque al capitolo numero 4: mamma mia che emozione! Mi dovrete perdonare se d'ora in poi ritarderò con la pubblicazione, ma oltre ad avere io un lungo processo di "scrittura" (schema, appunti, carta, computer etc...), sono anche al culmine della mia carriera da liceale, ergo maturità imminente.
Sta di fatto che ho deciso di occupare questo piccolo spazio per ringraziare sentitamente tutti coloro che decidono di soffermarsi a leggere e ancor più maggiormente anche chi decide di lasciare un commento, più o meno positivo: siete davvero coloro che mi danno forza e volontà di continuare.
Un ultimo ringraziamento speciale va ad una donna magnifica che non solo si occupa di me e mi aiuta a costruire la mia capacità di linguaggio, ma mi ha supportato (e sopportato) con tutte le sue forze, anche nei momenti più difficili: grazie Cristina *manda bacio volante*!
Bene! Ora non mi resta che dirvi, buona lettura e... A presto!

xXx




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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Fra storie di gemelli e litigi di piacere ***


Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali da buona appassionata di storia! *


Ludwig era il grande stratega di uno degli eserciti dei sette re di Germania: alto, dallo sguardo cupo e duro gettato dai suoi occhi azzurri, un fisico perfetto ed allenato nonostante il ruolo assegnatogli nell’esercito; era stato addestrato come una macchina da guerra fin dalla più tenera infanzia, eppure decise di lasciare quell’assurdo mondo di sangue a cui credeva di esser devoto dopo aver assistito al cruento massacro di molti dei suoi commilitoni per un mero capriccio del principe che serviva: era partito di nascosto dalla sua arida terra prussiana e ben presto aveva scelto di piegare il proprio cammino verso le terre fertili e dolci della Francia, giungendo a Parigi dopo lunghi giorni di cavalcate sfrenate per selve e strade trafficate di messaggeri e mercanti.
Come la maggior parte degli ospiti di quella villa, Ludwig aveva conosciuto mademoiselle Isabeau per puro caso ed era statocoinvolto dalla sua gentilezza ed invogliato dall’opportunità di trovare un luogo lontano dall’orrore della guerra, dove avrebbe potuto semplicemente vivere in pace dando in cambio alcune lezioni, così aveva accettato questa occasione al volo: erano ormai due anni che alloggiava in una piccola stanza dell’ala est, in compagnia del più anziano, sia per età che per tempo di permanenza in quel luogo, Gilbert, il quale lo trattava come un fratello, con fare protettivo e simpatia inaudita, a dire degli altri istitutori.
Ma se ora il biondo si trovava nella biblioteca dell’istituto, immerso in un voluminoso manuale di astronomia e mappe celesti, non era certo per amore della conoscenza, quanto per tenere sotto controllo un certo insegnante di latino, intento or ora a spiegare le bellezze di Roma alle giovani allieve.
Feliciano Vargas era entrato nella sua vita come un fulmine a ciel sereno proprio un anno prima, a pochi giorni da quella data: ancora si chiedeva perché l’avesse scelto a mo’ di suo protettore, avvinghiandosi al suo braccio in ogni momento possibile della giornata, sedendosi vicino a lui nelle ore comuni o piombandogli in stanza in quelle restanti che non occupava con le lezioni da tenere alle fanciulle.
Il giovane che Ludwig stava fissando da una delle scrivanie poste in biblioteca, era di limpide origini italiane ed era giunto alla villa di mademoiselle Isabeau assieme al fratello gemello Romano; entrambi di nobile stirpe, figli del marchese Augusto Vargas, furono separati alla nascita poiché ritenuti di cattivo auspicio dalla madre, la nobile duchessa Lucrezia, donna dal bellissimo aspetto ma maligna fin nell’animo, conosciuta per la sua sete di potere e per l’indicibile passione per la magia nera (almeno così si diceva): così, mentre Feliciano fu allevato come il legittimo erede del casato, altamente istruito ma fragile nell’animo, Romano crebbe tra le cucine di palazzo e piccoli furtarelli, amato da tutta la servitù per il suo buon cuore, anche se nascosto da una dura corazza di bestemmie e rudezza.
Allorchè i giovani furono cresciuti nei loro mondi, ed il padre caduto ammalato, venne ordinato che entrambi si presentassero al suo capezzale ed egli, in un ultimo gesto di forza e di amore verso di loro, li riconobbe come suoi figli legittimi e suoi degni eredi:  donna Lucrezia, indignata per quel buonismo tanto ostentato dal consorte, ormai defunto, decise così di assoldare un assassino (molti vociferavano che fosse un suo amante, altri semplicemente un macellaio del borgo) per uccidere il primo uscito dal suo ventre, Romano, in modo da lasciare come unico superstite Feliciano, facile da comandare e manipolare a proprio piacimento. Però, anche se di candida mente, Feliciano venne a scoprire il crudele piano della madre e decise di mettere in salvo il fratello appena ritrovato, per il quale provò fin da principio un profondo affetto: insieme riuscirono a trovare il necessario per scappare da palazzo e, successivamente, dall’Italia in un folle errare per la Francia del sud fino a Parigi.
I due fortunati italiani furono trovati proprio da Ludwig, il quale stava accompagnando, come solito, la signorina Elizaveta nelle compere mattutine in uno dei banchi del mercato di rue Mouffetard: entrambi vennero accolti da mademoiselle Isabeau alla villa, Feliciano come insegnante di latino al servizio delle allieve più promettenti, Romano come bravissimo cuoco e tutto-fare e venne addirittura premiato con un bacio della signorina per aver difeso in quel lungo viaggio il fratellino inesperto della crudeltà del mondo; ma Ludwig ricordava ancora bene il volto roseo e stanco del più giovane dei due gemelli, lo sguardo castano e gli occhioni da cerbiatto…
Una mano si posò sulla sua spalla facendolo sobbalzare ed il volume di astronomia gli cadde in braccio, sentendo il proprio cuore aumentare in palpitazione:
-   Veeee Ludwig, stai invecchiando! Prima eri sempre tu a farmi spavento con la tua espressione tutta seria, ora ti ho sorpreso io! Cosa vinco? – chiese l’italiano andandosi a sedere di fianco al biondo germano – Cosa leggi? E’ qualcosa di bello? Studi una lezione nuova per le ragazze? –
Come sempre Ludwig si vide sepolto sotto mille e più domande, così, spazientitosi,  provò a chiudergli la bocca con la mano, gesto invano dato che il brusio di parole continuava.
-   Sono solo venuto a leggere un trattato. Tu piuttosto, non avrai congedato le fanciulle troppo presto come al solito, vero? – proseguì il biondo lasciandolo libero.
-   Ma Ludwig, erano tanto stanche! E quando si è stanchi ci si riposa – continuò Feliciano riprendendo fiato, ma restando di un vigoroso rosa sulle guance accese.
-   Ah, sei il solito ingenuo… - concluse lui scuotendo sonoramente il capo, anche se ormai era abituato a quelle stranezze che l’italiano sembrava aver diffuso in tutta la casa, per non parlare della sua vita.
-   Beh ma così ho più tempo per parlare con te, no? – domandò Feliciano sgranando gli occhioni mentre si protendeva verso di lui – Non sei contento? –
Ed ecco che al solito lo pietrificava con uscite di tal genere, ostentando una sfacciataggine unica, e Ludwig si ritrovava a chiedere se l’italiano fosse cosciente dell’effetto che aveva su di lui oppure se questo suo atteggiamento fosse congenito nella natura di ogni italiano. No, era più probabile la prima soluzione dato che il fratello era tutto tranne che dolce, eccetto, ovviamente, con le due signorine di casa e…
-   Luuuuudwig, mi ascolti? – disse Feliciano strascicando le sillabe delle parole, mentre il biondo si ricompose scrollando il capo.
-   Certo che ti ascolto, Feliciano. – rispose compitamente questi, mentre sentiva vagamente le gote avvampare per l’imbarazzo.
-   Allora, che cosa ho detto? – rispose lui di rimando, tornando a sedersi rigido sulla sedia di fronte a lui.
-   Ehm… Ecco, sicuramente parlavi… della cena? – tentò il germano titubante, ma quasi certo che l’argomento volgesse su quello. Aimè lo sguardo serio di Feliciano e le sue braccia incrociate al petto sembrano rivelare tutt’altro.
-   Non mi ascoltavi. – continuò l’italiano gonfiando le guance come a trattenere il fiato, cercando di imitare i famosi bronci di suo fratello, ma gli era tutto inutile poiché ben presto si stancò vedendo l’espressione perplessa di Ludwig – Veeeee… Sì, stavo parlando della cena. Secondo te cosa avrà preparato Romano? Il coniglio? Oppure… Oppure anche… -
Il sorriso nacque spontaneo sulle labbra del biondo, il quale posò la mano sul suo capo scompigliandogli affettuosamente i capelli:
-   Vedrai che avrà cucinato qualcosa di buono – disse a bassa voce, continuando in quella goffa carezza.
-   Ovvio! Lo so, in fondo è il mio fratellone! – rispose fieramente lui, ridendo appena delle attenzioni riservategli.
-   Ja… Ora, vedi di andare a farti il bagno prima di cena, sei tutto pieno di polvere e sbrigati, o finirà come l’altra sera che per sbaglio ti sei trovato faccia a faccia con fraulein Elizaveta.  – continuò Ludwig alzandosi  e precedendolo verso l’uscita dalla biblioteca.
-   Nooo! Non voglio…! Però se facciamo il bagno insieme… - ma la voce di Feliciano si perdette nel rossore delle guance ormai più porpora che candide del germano, intento ora a nascondere alla sua fantasia con veli e nebbie di vapore quelle che potevano essere membra meno pudiche delle labbra che gli parlavano.
 

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Lontane risuonavano le risate delle fanciulle dal giardino e al termine di questo si trovavano le piccole stalle della villa: i cavalli ospitati sono erano quattro, da quando era arrivato il fido Valant del conte Bonnefoy ed ora uno di essi, una bellissima giumenta dal manto color nocciola, era coccolato da un cavaliere aggraziato e gentile, con mani morbide e spirito d’amazzone antica.
Elizaveta lasciava che i propri occhi vagassero nell’animo suo, persi nel magnetico disegno che la spazzola creava sui crini dell’animale, il quale giocava con la treccia di capelli scuri che la ragazza si era intrecciata quella mattina: ma ad osservare quel segreto e silente rituale vi era Gilbert, appoggiato allo stipite dell’entrata alle stalle, il quale mira con i suoi occhi carmini la figura della giovane; come poteva soffermare il suo sguardo su una sola donna, lui che era frequentatore di postriboli di ogni regione e nero cavaliere in battaglia?
Sangue e sesso era stata la sua vita.
Ma arrivato all’istituto, ecco, aveva scoperto “qualcosa” di nuovo, aveva trovato un ambiente protetto e sicuro, dove anche un peccatore come lui era stato accolto con grande gioia; certo non era stato ben accolto da tutti, anzi, proprio Elizaveta l’aveva disprezzato apertamente fin da principio e non certo per il suo comportamento galante con la cugina.
Da quel giorno avevano iniziato piacevolmente ad evitarsi, anche perché nei rari casi in cui si incrociavano o si trovavano ad essere nella medesima stanza, nel silenzio generale, lui se ne usciva con qualche frecciatina di sorta e lei restava tutt’altro che indifferente:
-    Neanche fossi un’appestata, te ne stai tutta sola, vero duchessa? – disse il prussiano rialzandosi in tutta la sua statura.
-    E tu sibili sempre come il serpente che sei, Weillschmidt! - sbottò lei voltandosi di scatto verso di lui, furiosa per essere stata interrotta ed, ovviamente, scoperta debole in quel frangente.
-    Oh mein liebe, siamo sempre così nervose… Per caso vi si è rotta un’unghia o le fanciulle vi hanno nuovamente rovinato l’abito della festa? – proseguì lui, avvicinandosi ai pagliericci dinnanzi ai quali lei si trovava intenta nel suo lavoro.
Elizaveta, memore dello scherzo delle sue allieve di quella mattina, non poté che inalberarsi ulteriormente e brandire la spazzola verso di lui a mo’ di spada:
-    Sei stato tu! Tu a consigliar loro quello sciocco scherzo, ammettilo! Le bimbe non potevano sapere dove trovare la cera lacca che usiamo per le corrispondenze! – iniziò alzando il tono della voce.
-    Kesesese… - ridacchiò lui – Era solo un innocuo scherzo! –
-    Innocuo!? Ci ho messo due ore intere per eliminare tutto quel… Quell’impiastricciamento! – replicò lei, disperandosi per non aver qualcosa di più pesante con cui colpire il dannato prussiano.
-    Credo che non sia nulla in confronto alla “sorpresa” che mi riservasti quando andai a ritirare le mie camicie alla lavanderia il mese scorso! – rispose Gilbert incrociando le braccia al petto e fronteggiandola, stufo di scherzare e con una ben più insana voglia di litigare – Le ho lavate otto volte per eliminare tutta quella cenere! –
-    Oh, quello te lo meritavi! Così impari a venire a spiare me ed Isabeau al bagno! – continuò lei, cercando di trattenere le note acute della voce.
-    Ma addirittura la cenere! E poi non era stata una mia idea, ma di Antonio! – esclamò lui tentando di addossare la colpa di quella bravata, rischiosa ma divertentissima che avevano svolto quasi due mesi prima.
Ecco, come iniziavano e finivano tutti i loro discorsi: a darsi la colpa l’uno con l’altro, e rivangare su scherzi e battute sempre più lontani nel tempo, impossibili anche da ricordare perfettamente nella cronologia dei loro eventi.
-    Basta! Ne ho abbastanza di te per oggi! – concluse dopo poco lei, gettandogli contro la spazzola dritto allo stomaco, per poi montare a cavallo a pelo ed uscire rabbiosa dalle stalle per la sua solita passeggiata serale.
-     Ugh… Sei la solita violenta. – terminò anch’egli osservandola uscire mentre si massaggiava lo stomaco dolorante, crepitando nel vederla uscire dalla stanza.
Gilbert uscì verso il giardino, richiamato dal suono delle campane della cena, lanciando alcune grida alle ultime fanciulle rimaste a raccogliere fiori di cineraria:
< Dannata assassina e ladra della mia mente… > pensò mentre gli pareva che proprio quei forti rintocchi del bronzo, si assimilassero ai battiti del suo stesso cuore.





Note dell'autrice
Ebbene signori e signore! Sì, finalmente ho pubblicato il quinto capitolo *si inchina per ricevere applausi che... Che non arrivano* Ehm, mi dispiace tantissimo del ritardo perchè, insomma, il liceo, la maturità, una cosa e l'altra, ma! Finalmente ci sono! Sono in pari! La prossima settimana ci aspetta il sesto, quindi metteremo ulteriore carne al fuoco! Chi saranno i protagonisti di questa nuova storia? Quali nuovi segreti verranno svelati?
Spero continuerete a seguirmi e a commentare!

A presto!

xXx

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Lezioni private ***


 

Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali da buona appassionata di storia!



Il salotto privato di mademoiselle Isabeau era un paradiso di quiete e pace, nonostante l’impressionante numero di carte e documenti che spuntavano da ogni cassetto, mentre ad ogni angolo si accumulavano libri e volumi di dimensioni più che notevoli. La dama sedeva su un elegante divanetto foderato di velluto verde bosco, così simile al colore dei suoi occhi, reggendo tra le mani un minuscolo taccuino ricolmo di scarabocchi incomprensibili tracciati con il sottile pennino, ora stretto nella sua destra. Era una buona mezz’ora che tentava di recitare il passo assegnatole dal proprio istitutore, ma le parole le uscivano a tratti stentate ed a tratti non uscivano proprio: eppure non si sarebbe mai arresa nel voler imparare quella lingua difficile e strana che era l’inglese, inoltre Arthur aveva insistito così tanto nell’assisterla.
- Since arm from arm… That v-voice doth us affray, hunting thee hence with, with hunt's-up to the day. O, now be gone; more light and light it grows. – riprese a recitare socchiudendo gli occhi stanchi per la giornata trascorsa ad occuparsi di un nuovo ed alquanto intraprendente ospite e dei compiti delle sue alunne.
- More light and light; more dark and dark our woes! … Non credevo che Giulietta fosse così annoiata nel recitare quelle parole, miss – disse lentamente Arthur dopo essere entrato nel salottino, reggendo fra le mani un vassoio d’argento con una bottiglia blu scura e due eleganti bicchieri – Non rispondevate al bussare, così mi sono permesso di entrare. –
- Oh, dovresti smetterla con certi modi così ossequiosi nei miei confronti, almeno passata una cert’ora! Inoltre siamo o no soli? – rispose lei invitandolo ad avvicinarsi ed a prendere posto al suo fianco su di una poltroncina rifinita di bianco e verde – Perdona Arthur, ma davvero non riesco ad innamorarmi di un personaggio come questo! Lo trovo dannatamente contraddittorio! –
- Dicesti lo stesso anche di Lady Macbeth, ma da quanto so è ancora la tua favorita… - continuò lui versando per entrambi un bicchiere di profumatissimo Armagnac, presentandoglielo fra le mani – Devi solo comprendere cosa vi è al di sotto delle visti di fragile ragazzina alla sua prima relazione. –
- Come se fosse anche solo possibile credere a questa fantasia! – replicò lei accettando il bicchiere ed iniziando a rigirarlo fra le palme per umanizzarlo – Non riesco a capacitarmi di come Romeo non abbia scelto un’altra donna più matura ed attraente: aveva la sua Rosalina e l’abbandonò per-. –
- Per il suo grande amore: the true love. – concluse schiettamente Arthur prendendo un sorso del liquore, cercando di rilassarsi un poco come gli aveva consigliato la padrona di casa – Potresti definirlo incomprensibile ed assurdo, ma è questa la sua potenza. E’ come un incantesimo. –
- E tu ne sai qualcosa di incantesimi vero, petit magician? – disse lei soffocando una risata argentina nella dolcezza dell’alcool – Comunque, credo che Romeo volesse solo portarsela a letto. – concluse facendo schioccare le labbra al sapore forte dell’Armagnac, unica sua debolezza in quelle sere autunnali.
Arthur, reagendo malamente a quell’affermazione, anche se consona con uno dei tanti volti della bella dama, si irrigidì iniziando a tossire violentemente, strozzatosi con il gallone di liquore appena ingoiato:
- What-!? Isabel, damn! Ma cosa vai dicendo? – tentò di dire ricomponendosi nella sua giacca di tweed, mentre trovava vano nascondere le gote arrossate e la posizione incerta sulla poltrona di fronte allo sguardo ferino della donna.
- Dammi della spregiudicata come sei solito fare allora Arthur, ma per me Juliet si è semplicemente venduta al miglior offerente! – riprese la ragazza, alla quale ora brillavano gli occhi mentre si reclinava mollemente sul divanetto, come una perfetta regina di Saba di fronte ai pretendenti – Al posto di un banale nobile qualunque… -
- Ti ricordo che il conte Paride era un giovane ed aitante nobile, amico del principe! – rispose piccato Arthur, tentando di non scomporsi di fronte ai quei gesti estremamente femminili.
- Beh, non doveva essere tutta questa bellissima signoria se lei è andata a scegliere l’erede della famiglia avversaria per potenza alla propria no? Insieme, pensa, avrebbero potuto avere tra le mani l’intera città – continuò lei senza scrupoli leccandosi le labbra, perso ogni belletto posto quella mattina su di queste – Ora non dirmi se non è senso degli affari questo! –
- Oh Isabel! Ne abbiamo già parlato: come la mettiamo con il dialogo del pellegrino alla festa? E la scena presso il balcone? E poi dimmi, perché inscenare la propria morte! – replicò lui mentre sulle sue labbra si disegnava un sorriso divertito da quel loro “battibecco” letterario – Non dirmi che anche questa è strategia! –
- Ma certo! – esclamò la ragazza, ormai presa nel suo ruolo di distruttrice morale del povero inglese – Non poteva mostrarsi disposta a qualsiasi cosa come una volgare entreneuse – continuò stiracchiando lentamente le braccia e gonfiando il petto – Anche se sul suo comportamento si potrebbe avere da ridire: ecco perché sostengo che il vero amore non esiste. –
Arthur la fissava intensamente cercando di imprimere nella sua mente l’ennesima sfaccettatura d’umore della padrona di casa: quando a Londra lo stavano per processare per utilizzo di magia nera, lui non era altro che un drammaturgo innamorato della sua città e di William Shakespeare, mentre lei era l’angelo sceso dal cielo a salvarlo; disperatosi per aver dato ascolto a quell’ambulante riguardo un libro dagli strani poteri, che gli avrebbe permesso la meritata buona sorte, aveva abbandonato la sua casa (o meglio l’avevano letteralmente sbattuto fuori), il suo adorato teatro e si era dedicato a girovagare per il porto di Londra, sperando di poter trovare qualcuno disposto ad imbarcarlo per qualche paese del Nuovo Mondo: sarebbe stato disposto anche a lavorare nelle piantagioni pur di salvare la pelle dalla gogna inglese.
E poi, la vide: scendeva da un’elegante carrozza a doppio traino con una bambina per mano, la quale, suo malgrado, non le obbediva minimamente continuando a chiamare l’aiuto dei suoi genitori, mentre si capiva come ella cercasse di mantenere la sua stessa figura celata come fosse un’azione delle più segrete. Offertosi di richiamare quella bambina, con il suo tono aspro, Arthur aveva potuto incrociare i suoi occhi, belli e dolci come i suoi modi e luminosi al pari del suo sorriso.
Era lei la Juliet che aveva atteso così a lungo sulle scene: ora era lì, dinnanzi a lui e lo invitava a seguirla perché “sembrava aver un bisogno impellente di aiuto”. E lui l’aveva seguita, fiducioso di un nuovo futuro e destino; ed ora era il suo insegnante, nonché quello delle fanciulle dell’istituto s’intende.
- Secondo me sì. – rispose allora l’inglese terminando il proprio bicchiere di Armagnac e posandolo sul tavolino – O meglio, lo spero. –
- Ah, sei il solito romantico, Arthur! – disse lei con una risata mentre si rialzava, sfilandosi lo spillone dallo chignon dei biondi capelli – Gli uomini sono crudeli e non sanno far altro che provocare dolore… Oh ma non tu, no! – continuò avvicinandoglisi lentamente, fino a sfiorare con timidezza la sua spalla in quella che doveva essere una goffa carezza – Tu sei diverso, lo so. Ora perdonami, ma sono davvero stanca: mi ritiro nelle mie stanze. –
Arthur colse l’occasione per afferrarle la mano baciandole il dorso, ammirando come arrossisse la giovane a quel semplice contatto:
- Va bene, allora buonanotte. – concluse rialzandosi e accompagnandola alla porta della sua camera, mentre anche su di lui si stendeva un leggero velo di sonno.
- Sì, buonanotte. E Arthur… -concluse ormai nascosta dietro la porta di elegante quercia, suo scudo da quell’uomo troppo gentile – Grazie. –
- You are welcome, milady. – terminò l’inglese sfiorando la porta in punta di dita, sospirando su di essa come fosse la sua pelle.




Note dell'autrice
Oh mio Diooooo *replica alla Janis, se non sapete chi è Janis vuol dire che o non avete mai visto FRIENDS (molto male) o che non l'avete visto abbastanza (meno male, ma comunque grave u.u)* ho già pubblicato il sesto capitolo ** Era da molto che volevo scrivere questo dialogo introducendo una "relazione" alquanto particolare: molti di voi si stupiranno del crack!pairing ma se leggete bene tra le righe capirete i veri sentimenti di Arthur a chi sono rivolti...
Detto questo vi saluto invitandovi a continuare a leggere e commentare ed ovviamente... Ad indovinare cosa succederà nel prossimo capitolo!

Un bacione!

xxx
 


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - La febbre e la paura ***



Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali da buona appassionata di storia!


Era appena sorta l'alba sulla spoglia campagna parigina: la neve, caduta pochi giorni prima, non aveva ancora attecchito e qua e là nel giardino spuntavano radi arbusti e qualche coraggioso fiore del Corylopsis, il quale tingeva quel candore infondendogli, se possibile, maggior malinconia.
Era appena sorta l'alba anche sull'istituto Étoile, solitamente quieto ed ancora silente a quest'ora, invece...

- Presto, presto, Romano, con quel catino! - incitava Elizaveta, in un bianco abito da camera con grandi maniche arrotolate – Ludwig sta spostando Marie e Claire, ma Joan sembra peggiorare! -
- Ho capito! Ma anche mio fratello sta male e sono preoccupato tanto per lui quanto per le bambine! - rispose l'italiano, alzando il tono della voce, mentre entrava nella camera da letto denominata del Maggiociondolo, poiché vi riposavano le più piccole del loro gruppo di alunne – Eccomi, Isabeau. L'acqua è ancora fresca e ho gli asciugamani di ricambio che mi avevi chiesto. -
Al fianco del letto occupato dalla malata, la direttrice sedeva ansiosa e con gli occhi stanchi, causati dalla notte insonne passata a vegliare sulla piccola:
- Merci Romano: prendi con te quegli indumenti e torna da tuo fratello, immagino quanto tu sia in pensiero per lui – iniziò lei riprendendo a bagnare la fronte della piccola – Un ultimo favore: chiama Antonio e digli di controllare le ragazze dell'Erica; questo fine settimana, come sai, devono venire i loro genitori a trovarle e devono essere in salute. -
Romano annuì velocemente per uscire da quella camera infuocata e vedervi entrare, altrettanto rapidamente e carica di ansie, Elizaveta, preoccupata più per Isabeau che per la bambina.
- Elize, così facendo farai agitare anche me: Arthur è andato a chiamare il medico e non si tratta certamente di un'epidemia come l'anno passato – disse la dama in tono pacato ma senza staccare gli occhi dal volto arrossato ed il petto ansante di Joan – Feliciano ha voluto far giocare le piccole con la neve, ma come al suo solito si sarà infradiciato e lo stesso la piccola Jo: sai che odia i guanti no? –
- Sì, ma appena arriva il dottore fatti visitare, per amor mio: lo sai che sono sempre in ansia per te e non potrei vedermi al sicuro se non fossi al mio fianco. Io... - concluse la bella castana sedendosi al suo fianco e passandole una pezzuola fredda da porre in fronte alla bambina, la quale ora sembrava riposare di un sonno leggero.
- Non ti preoccupare, Elize. Io ci sarò sempre. – terminò la bionda, stringendo la mano della cugina e sua migliore amica nonché compagna, poiché sapeva che quelle parole erano vere e pure come i loro cuori.

Nel frattempo al piano inferiore, Romano incedeva nella camera del fratello, ansante e provato dallo stress di quella notte, trovando al suo posto, stranamente, lo spagnolo.
- Ehi! Che cosa ci fai qui? - disse l'italiano con voce irritata dalla presenza di quella figura accanto al proprio fratellino – Comunque non lo voglio sapere! Dimmi solo come sta ed esci da qui. - concluse sbottando e sedendosi al suo posto al fianco di Feliciano.
- No preocupe... Mi sembra solo molto provato dalla notte insonne e dalla fatica. - iniziò lo spagnolo, sapendo che non sarebbe servito a nulla provare a discolparsi in una qualche maniera di fronte a Romano, ormai tremendamente ansioso per il fratello. - La piccola Jojo? –
- Insomma: Isabeau sembra molto preoccupata. In fondo, è così piccola. - disse il ragazzo ponendo un fazzoletto fresco sulla fronte del fratello – Ah, la madame ha chiesto se vai a vedere come stanno Eloise e Genevieve, sai che vengono i loro genitori, no? - terminò osservando lo spagnolo uscire dalla stanza, distogliendo lo sguardo alle seguenti parole – E comunque, puoi tornare a trovarlo se ti va. Sempre meglio tu dell'energumeno tedesco. -
Antonio sorrise e silenziosamente richiuse la porta alle proprie spalle pensando che in mattinata avrebbe portato qualcosa da mangiare per entrambi, trovando una scusa qualsiasi per fermarsi a tenere compagnia a quel piccolo “gattino” selvatico.

L'italiano, rimasto solo, poté finalmente tirare un respiro di sollievo e dedicarsi alle cure del fratello malato: già, si ritrovò a pensare, ormai era un anno che non lo chiamava più “signorino” (a meno che non si ritrovasse ancora a doverlo rimproverare per una qualsiasi delle sue manie), da quando in quella assurda notte di agosto era stato chiamato nella stanza del Marchese.

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In un piccolo paesino delle terre di sua Santità – Notte fonda

Il giovane sguattero della famiglia Vargas non si immaginava certo di essere chiamato dinnanzi alla presenza della sua Signoria, il Marchese, così era salito con i pochi abiti integri che aveva ma ancora sporco di fuliggine sulle guance: in quella grande camera da letto illuminata da una luce fioca di candele vi era anche Veneziano Vargas, il signorino della famiglia, e la Marchesa Lucrezia, uno con l'espressione più stupita che potesse esistere, l'altra con quella più disgustata. Ricordava ancora perfettamente la voce stridula della donna, che lo additava come causa della malattia “dell'adorato” marito, e ricordava ancora il tono del Marchese calmo, ma perentorio, che la invitava ad uscire.

< Venite più vicini, forza... Ah, siete simili come due spighe di grano maturo, figli miei, davvero! > disse l'uomo portando un pacato sorriso sul proprio volto stanco.
< F-Figlio? > balbettò Romano.
< Sì, mio caro, questi è tuo fratello Veneziano e la donna che hai potuto vedere prima è... >
< Mia madre. >
< Esattamente, a tuo malgrado da quello che posso intuir-! > concluse tossendo violentemente, provocando un leggero singhiozzo del signorino, il quale si inginocchiò al fianco del padre. Anche Romano si avvicinò, timoroso, alle coltri del letto a baldacchino, in ascolto di quella flebile voce.
< Non mi resta più molto tempo, ma voglio che sappiate quanto ho amato entrambi: la sorte, ahimè, vi ha divisi, ma ora siete di nuovo insieme; i fratelli, la famiglia, ecco, deve restare sempre unita: non dimenticatelo. > tossì ancora stringendo le loro mani, con un'energia palpabile in ogni fibra del suo essere < Ascoltate: non cedete al male che ha inghiottito vostra madre; anche se temibile, era la donna che amavo un tempo. Ma ora lasciatemi, perché sento vicino l'ultimo respiro e voi ora dovete assumere il ruolo di Signori del casato... >.
La presa sulle mani si affievolì sensibilmente, ma se Romano era ancora preso ad osservare quell'uomo, che ora poteva chiamare padre, Veneziano si trovava già alle sue spalle e lo chiamava per uscire da quella stanza, seppur i suoi occhi colmi di lacrime non si separarono dal buio di quelle coltri.
Quello che non ricordava, invece, era cosa fosse successo in seguito, ma certo i funerali del Marchese Augusto furono gloriosi ed entrambi i gemelli presenziarono accanto al feretro sotto lo stupore della folla presente ed il disgusto della madre: ciò che era nitido nella mente di Romano erano gli eventi di quella stessa notte, quando il neo-fratello venne a svegliarlo di soprassalto, dicendo che era in grave pericolo e che se non fosse fuggito, non avrebbe più visto l'alba di un solo giorno. Certo, essere scaraventato giù dal letto, all'aria fredda del cortile con poche cose ed un sacco di denari, lo stupì, ma lo meravigliarono maggiormente le parole che Veneziano gli rivolse:

< Va’: nostra madre potrà anche uccidermi al posto tuo, ma se tu sei salvo lo è anche la famiglia. >
Non poteva credere alle parole di quel ragazzo: in fondo erano due emeriti sconosciuti che avevano trascorso assieme solo pochi giorni prima che arrivasse una folle qualunque, chiamata 'madre', intenta a pianificare la loro morte; non poteva certo rimanere con le mani in mano, dunque, se ne andava delle loro vite.
< Vieni con me, allora. > disse Romano tendendogli la mano, ora a cavallo del baio stallone portatogli innanzi per il viaggio.
< Cosa? > riuscì appena a pronunciare Veneziano, prima che in tutta la villa si accendessero pericolose luci.
< Forza! Hai sentito cosa ha detto nostro padre no!? La famiglia deve sempre restare unita! > disse lui con sguardo severo e preoccupato < Andiamo! >
E sul volto dell'esile castano si dipinse un sorriso sereno, poiché sapeva che poteva fidarsi di Romano, poteva credere in lui e nel fatto che li avrebbe portati entrambi al sicuro.

Quello stesso sorriso, lui lo mantenne mentre fuggivano nella notte e nei boschi bui, lo stesso durante le loro terribili e sfiancanti peregrinazioni: senza mai stancarsi di scaldarlo e di rincuorarlo, di schiacciarsi contro di lui nelle notti tacite in locande e poste di cambio; un sorriso che li accompagnò sino all'incontro con mademoiselle Isabeau.
< Siete stati fortunati: Ludwig non è solito girovagare per la città in giornate come queste, ma deve essere stato attratto da qualcosa. > disse la donna con voce melliflua e dolci gesti < Forse proprio dal tuo bel “sourire”... Ecco! Ti chiameremo Feliciano, perché la luce del tuo sorriso è certo segno di nuova felicità. >
Queste erano state le prime parole che la donna aveva rivolto loro, o meglio al fratello, dato che per lui trovò parole e gesti ben più confortanti:
< Non dovete più temere alcuna cosa: i pericoli sono lontani dalla dimora ove vi condurrò; ivi troverete la pace ed il calore della nostra famiglia. > disse la bella Isabeau chinandosi su Romano e baciandogli così gentilmente le gote < Come sei stato custode perfetto di tuo fratello, ora ti chiedo di essere anche il mio. >

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- R-Romano... - balbettò Feliciano, ormai completamente febbricitante, ma sveglio nel suo malessere.
- Sono qui, Feli – rispose lui, dopo essersi ripreso dai dolci ma anche terribili ricordi, portandosi a stringere la mano del gemello – Ci penso io a te. - concluse baciando il dorso della mano calda e tremante, ripromettendosi di non abbandonarlo mai per alcuna ragione al mondo, poiché ora poteva dire di essere vivo e di avere qualcuno da amare.


 

Un lieve bussare riscosse Isabeau dai suoi pensieri, confusi e stanchi quasi al pari delle sue membra: - Prego, entrate dottore. - rispose la voce cristallina della donna oltre la porta della propria stanza, mostrando così a quell'uomo la sua figura provata dalle lunghe ore di veglia.
Il dottor Zwingli non era un frequentatore abituale della villa, ma si permetteva sporadiche visite per controllare la salute degli ospiti di quel maniero ed accettare un buon bicchiere di liquore dalla padrona, in onore dei “bei tempi andati”.
- Vi trovo affaticata, frauline. - disse l'uomo arricciando i folti baffi grigi mentre si sedeva di fronte alla propria ospite – Sono stato dalle bambine, ma sembrano stare bene, per ora: solo Herr Veneziano e der klein Joan riscontrano febbre alta e violenti colpi di tosse. - concluse l'uomo accettando un bicchiere di cognac – Ma ora ditemi di voi, frauline... - chiese l'uomo provando a rialzarsi ed iniziare così la sua ultima visita della giornata.
- E i vostri figli? Come sta la piccola Lilianne? - domandò la duchessa arrestando i suoi gesti con quella richiesta.
- Ah! Come al solito cercate di rimandare il più possibile il momento... Eppure vi conosco fin da quando-! - cercò di iniziare l'uomo.
- La prego, mi risponda. - disse la donna battendo appena la mano sul ginocchio.
- Lilianne sta bene. - rispose burbero l'uomo sedendosi questa volta di fianco della ragazza – E' fragile come sua madre, ma per fortuna Vash cresce forte e testardo... –
- ...Come suo padre. - si intromise lei con un dolce sorriso – Perdonerete nuovamente il mio malumore per questa storia, dottore? - concluse lei con tono tranquillo e lasciandosi fare una carezza sulle guance, quasi si trattasse di una figlia di fronte al padre premuroso.
- Al solito, frauline. Ora spogliatevi, vi prometto che sarò veloce. - terminò lui con tono greve estraendo alcuni strumenti dalla sua borsa di pelle.
- E sia. - sospirò lei alzandosi e sciogliendo i primi nastri dell'abito – Ma la prego: non fatemi del male. - terminò tremando leggermente, ma fidandosi di quell'uomo.
- Wie immer, meine Dame. -


Note di traduzione

Wie immer, meine Dame = Come sempre, mia signora.

Note dell'autrice
Bene, signori e signore! Siamo giunti al settimo attesissimo (ohhhh) capitolo! >.< La storia si infittisce, le trame si tendono e sebbene vi abbia spiegato alcune storie passate, altri enigmi e domande vi spingono a continuare a leggere la nostra storia ed a indovinare quanti segreti sono ancora nascosti nelle mura dell'Istituto!
Spero mi continuerete a seguire!

Un bacione!

xxx

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Il sangue non è in grado di trasformare il bianco in rosso ***


Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya; i riferimenti a personaggi storici ed eventi sono frutto di ricerche e riflessioni più o meno personali.
 

Capitolo 8 - Il sangue non è in grado di trasformare il bianco in rosso


Elizaveta stava ricamando di fronte al camino della sala comune, attendendo l'arrivo di Isabeau e delle bambine per la consueta lettura serale: era un appuntamento piacevole da rispettare e spesso aveva visto anche gli altri “adulti” occupare un posto per ascoltare un buon racconto; forse era la voce di sua cugina ad essere così magnetica, oppure il languore del momento, ma restava il fatto che lei non era mai mancata.Fece in tempo a completare il disegno di uno splendido giglio prima che entrasse nella camera il folto gruppo di fanciulle poste sotto la loro custodia, tutte intente, ora, ad ammucchiare cuscini sul grande tappeto persiano, attendendo l'arrivo della padrona di casa: Isabeau, infatti, non arrivava mai in anticipo né in ritardo, lei era perfettamente puntuale, fin al punto di giungere ammantata in scialli bianchi per ripararsi dal freddo e con un libro già tra le mani, pronta a soddisfare il bisogno di storie di tutti loro.
– Mademoiselle Isabeau, che cosa ci narrate oggi? - chiese una delle più piccole (forse era stata Claire a parlare, ma in quella massa di boccoli biondi e gote arrossate era difficile distingue una voce), sedute tutte quante ai piedi della cugina.
– Oggi non leggerò un libro, mie care, ma vi racconterò una storia che ho personalmente inventato. - rispose la bionda dama, alzando lo sguardo smeraldino su Elizaveta, la quale aveva interrotto il ricamo e la fissava ora con apprensione. - Tanto tempo fa in una terra lontana, viveva la bellissima Dama Bianca... -
Elizaveta sospirò: si era preoccupata inutilmente di chissà quali storie, mentre la cugina avrebbe riportato alla luce quella triste fiaba. La prima volta che l'avevano sentita narrare, entrambe erano solo delle bambine e la madre di Isabeau era morta da circa un anno: il padre, in compenso, aveva già trovato il tempo per risposarsi con una nobildonna (sua amante da chissà quante lune), la quale gli aveva dato alla luce un secondo figlio maschio, ahi lui fragile come una porcellana.
Ma allora non erano loro preoccupazioni: come bambine avevano in mente solo di occupare il loro tempo senza infastidire in alcun modo la servitù della casa; era un assolato pomeriggio di maggio nel quale loro giocavano festosamente sotto lo sguardo vigile e attento del fratello maggiore della cugina, quando l'anziana tata le venne a richiamare in casa, non sapevano per qual motivo, carica di ansie e con la paura in volto.
Fu nel salone di casa, mentre ad Isabeau venivano pettinati accuratamente i capelli, che la donna iniziò a narrare quella triste, ma terribilmente bella storia.

< ...La Dama Bianca abitava in uno splendido castello al di là dei boschi di rovi d'oriente: sola con le sue dame, aveva dato alla luce uno splendido bambino e cullandolo e riempiendolo d'amore, attendeva il ritorno del suo amato re. Purtroppo, nei boschi abitava anche la terribile Dama Nera, una donna tanto bella quanto crudele, la quale aveva partorito, anche lei, in quei giorni una bellissima bambina, figlia dello stesso re che però non avrebbe mai più rivisto nel suo talamo.
Scontenta della sua amara sorte, ed invidiosa della Dama Bianca, progettò un piano nero per distruggere la sua rivale e il frutto sventurato del proprio grembo: “Perchè presentare al mio re una gracile neonata quando la Dama Bianca ha potuto avere un forte maschio? Le ucciderò entrambe e la mia stirpe, d'ora in poi, sarà solo maschile...”
> Le due bambine ascoltavano silenziose quella fiaba e la tata, con tono ancor più mesto e la voce tremante tornò a narrare. < Così nella notte di plenilunio che seguì che piani, la Dama Nera avvolse in tetri panni la sua creatura e si recò al silenzioso castello della rivale: riuscì a penetrare nelle sue stanze e si abbatté feroce, come falco sulla preda, con un pugnale avvelenato o (?) ripetutamente il petto ancora carico di amore della Dama Bianca tra i pianti ed i vagiti degli infanti; prima che potessero arrivare le donne di compagnia della bella regina, anche la bambina doveva essere sacrificata alle nere tenebre per completare così il macabro rituale. Ma, ahi lei, prima che potesse ferire mortalmente la piccola, l'alba la colse e un lugubre lamento la spaventò ancor più della possibilità di esser scoperta. Abbandonato il pugnale e recuperato il maschio dalla sua preziosa culla, la Dama Nera fuggì e... >

Elizaveta non aveva potuto sentire, a suo tempo, il termine della fiaba e sembrava che, come allora, qualcuno le impedisse di godersi quella meravigliosa opportunità: infatti sulla porta era comparso qualcuno di ben più terribile di un demone, orco o bestia che dir si voglia, ed ora questi la “invitava” ad uscire dalla stanza.
– Che cosa vuoi, Wieldshmitt? - chiese lei dopo essersi chiusa alle spalle la pesante porta del salone.
– Abbiamo un problema. - iniziò lui anticipando ogni sua domanda con un semplice gesto, tendendole così una pergamena rovinata dal pessimo tempo invernale. - Viene da Wien: ti stanno cercando. -
La ragazza sgranò gli occhi davanti alle poche parole tracciate su quel foglio, presa dalla paura e dallo sconforto, preda di terribili ricordi:
– Non ti facevo così spietata, mein Eliz-! - aveva accennato il prussiano prima di bloccarsi, imbarazzato, di fronte ai brividi e alle lacrime della donna. - Ehi... -
– Tu non puoi capire! S-Se mi trovano mi portano al patibolo! - ribatté lei con la voce rotta dal pianto.
– Beh mi sembra naturale se contiamo il fatto che hai ucciso tuo marito, così, a cuor leggero. - l'apostrofò lui, incerto non tanto sulle parole da usare quanto sul da farsi.
La bella castana si coprì il volto ormai rigato di lacrime con le mani arrossate, incapace di fermarle:
– Cosa devo fare...? - mugolò tra un singhiozzo e l'altro, prima che le braccia forti, e così calde se vi rifletteva, dell'uomo l'avvolgessero con pacata e strana tenerezza.
– Non ti preoccupare: stasera ne parlerò io ad Isabeau e vedremo di fare qualsiasi cosa per proteggerti. - disse lui, soffocando le parole e l'imbarazzo nei suoi soffici capelli.
Elizaveta non sapeva cosa fare né cosa dire: in quel momento voleva solo restare lì ad accarezzare la giacca di spessa stoffa nera di Gilbert e ascoltare le sue parole rassicuranti, fino a ritrovarsi, presa dalle emozioni, a dire cose stupide.
– Grazie, per quello che stai facendo. - disse lei con scarsa convinzione, fino a che il suo volto non venne sollevato e incontrò lo sguardo carminio dell'albino.
– Non mi faccio spaventare da qualche guardia ungherese, né tanto meno da una pazza assassina così seducente... - le rispose lui prima di rubarle un bacio che venne, suo malgrado, velocemente allontanato.
– Io, no, non... Non posso. - disse lei ritraendosi e coprendo le labbra caste con le mani tremanti. - Mi dispiace. - concluse prima di correre verso le scale del piano superiore, coperta dal chiacchericcio delle bambine che rientravano nelle loro stanze per dedicarsi alle braccia di Morfeo.
Gilbert, sorpreso da un dire, e un fare, sì deciso, rimase immobile assaporando nella propria mente il dolce e acre sapore di quelle labbra, il verde dei suoi occhi e la paura su quella pelle: rientrato nel salone principale, trovò Isabeau ad attenderlo, quasi sapesse che dovevano discutere di importanti questioni e questo fecero per gran parte della serata, richiamando anche altri due importanti compari, Antonio e il nuovo venuto Francis, il quale sembrava aver legato bene con lo spagnolo, e, straordinariamente, il vecchio lupo inglese, in ansia per la padrona di casa, quando invece era la cugina ad attendere uno spiacevole destino; alla fine fu solo una lunga chiacchierata fatta di infinite raccomandazioni accompagnate da alcuni bicchieri di liquore, fino a che la notte pesante li sorprese prima di cadere in discorsi fin troppo privati che il prussiano si premurò di narrare solo agli amici nelle loro stanze mentre chiedeva asilo per un po' di riposo in loro compagnia e conforto per la susfortuna di essere stato respinto.


Note dell'autrice

Salve a tutti! Vi sono mancata? u.u Questo capitolo è il cantiere dall'ottobre dell'anno passato, ma sono riuscita, ahimè, a completarlo solo recentemente!
Ringrazio ancora tutti voi lettori che mi seguite, a tutti gli audaci che commentano e a coloro che silenziosamente pensano a come proseguirà questo racconto ^^ Ormai i segreti dei protagonisti sono stati quasi totalmente svelati: potete immaginare il seguito della storia?

A presto miei cari!

xXx

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - La sfida della volpe e del leone ***


- Non correte bambine, attention! -

La voce di Francis si perdeva nel grande atrio della villa de l' Etoile, sovrastata dal chiacchiericcio delle fanciulle e dal loro scalpitio sui preziosi marmi delle sale: come sempre le sue lezioni venivano prima di quelle di un certo “leone inglese” e le ragazze, agitate ed emozionate per la libertà loro concessa, gli davano sempre un buon motivo per battibeccare la sera con il suddetto Kirkland.
Quella mattina però, mentre si spolverava la giacca dai residui di cera, il suo sguardo venne catturato da una figura ben più rara da osservare dei primi crochi primaverili, ammantata nel consueto scialle di agnello bianco: mademoiselle Isabeau era sempre bellissima nella sua aura pacata e misteriosa, sicura nello sguardo e nei gesti, anche in momenti di panico e timore; quando qualche mattina prima un drappello di uomini a cavallo aveva fatto loro visita, la sua fermezza aveva saputo gestire l'evento con calma. Aveva fatto condurre le bambine e gli istitutori in pericolo in determinate stanze segrete disseminate per il palazzo, mentre lei, i giovani italiani e due ragazze, opportunamente abbigliate da cameriere, accoglievano gli sgraditi ospiti. Sebbene diversi nobili erano stati portati a fuggire dalle terre francesi, la donna rispose che non era sua intenzione poiché quella era la sua patria e nessuna altra terra l'avrebbe potuta far sentire bene. Dopo alcuni bicchieri di ambrato liquore e un sacchetto di monete sonanti, le guardie se ne erano andate. Lasciando ricadere la pace e la tranquillità su quel luogo: non era semplice riuscire a spiegare come Isabeau fosse in grado di calmare a quel modo gli animi e placare le bramosie di quegli uomini che chiamavano già rivoluzionari, eppure lei ci riusciva, quasi instaurasse in quelle menti un incantesimo, anche se, per essere corretti, doveva ammettere che anche nei loro cuori doveva aver mosso qualcosa se le prestavano una tale fiducia.
Aprì lentamente la porta finestra che dava sul giardino e sorprese la dama con una timida carezza sulla spalla:

- Perdonatemi, vi ho spaventata? - chiese vedendosi osservato con severo timore da quelle grandi sfere di giada, le quali, però, si ammorbidirono in una frazione di secondo. - Non era mia intenzione . -
- Lo credo bene, Francis. Comunque no, sono solo sorpresa dal vederti qui: hai già terminato la tua lezione? - chiese lei accarezzando una rosa invernale ormai sfiorita.
- Sì, le bambine sono tutte da monsieur Kirkland. Temo che stasera lo sentiremo nuovamente lamentarsi di come travio le nostre alunne con comportamenti liberalisti e incontrollabili. - rispose lui con un sorriso, ma lei lo freddò sul posto con una risata dolce e cristallina come acqua di fonte. Bellissima.

- Arthur sa essere molto protettivo nei confronti delle bambine. - continuò lei con dolcezza, mentre tornava a potare i fiori appassiti.
- E non solo nei confronti delle alunne, vero? - la riprese lui sorprendendo un pallido rossore sulle sue guance.
- Non azzardatevi a fare strane supposizioni, monsieur Bonnefoy. - disse lei rimarcando il concetto nell'utilizzare il suo cognome. - Arthur è un brav'uomo e un ottimo amico, nulla più per me. -
- Eppure lui sembra adorarvi tanto quanto uno dei suoi drammi. - continuò Francis, incurante delle minacce quasi fossero il suo pane quotidiano. - Secondo il mio modesto parere, lui aspira a ben più di una mera amicizia. -
- Se anche fosse, ne siete geloso? - commentò lei alle sue parole con un sorriso semplice, eppure carico di una malizia ingenua. - Non vi angustiate: io sono di tutti e di nessuno qui dentro. -
- Allora perchè non diventare di uno solo? - riprese il francese con maggiore audacia a quelle parole, indugiando a carezzarle una mano. - Mi pare che vostra cugina non si faccia scrupolo alcuno, per quanto riguarda questo argomento. -
- Ciò che decide di fare Elizaveta nelle sue stanze non è di mio dominio, né tuo Francis. - continuò lei liberando la mano, ma questa venne velocemente riafferrata e baciata con eleganza.
- E sia, mi interesserò solo a voi, allora: cosa debbo fare per avervi? - chiese Francis giocando con parole molto pericolose dati i dardi di fuoco che brillavano nelle iridi di Isabeau.
- Nulla potrà farmi tua, la mia esistenza è solo uno scherzo di questo mondo e nulla più. - terminò lei stringendosi la mantella alle spalle. - Non posso appartenere a nessuno poiché sono già stata donata a qualcuno che mi ha rifiutata. -

Ogni dialogo poteva considerarsi concluso, dato che la bella contessa si allontanò dirigendosi verso il retro della villa, proseguendo la sua passeggiata pomeridiana con occhi tristi e severi; Francis avrebbe voluto seguirla, ma sapeva che così facendo l'avrebbe solo fatta adirare ed inimicarsi una donna come Isabeau doveva essere un'azione terribilmente pericolosa, per non dire mortale in certi frangenti.
Anche se tutti l'osservavano all'interno della villa e vegliavano su di lei, la contessa restava la direttrice e riusciva ad incutere timore nei loro cuori, così da ottenere il rispetto di ogni abitante dell'istituto.

- Non dovresti disturbarla così. - disse una voce alle sue spalle dal pesante accento inglese. - Detesta essere interrotta dai suoi pensieri durante le sue passeggiate. -

- Non dovresti essere a lezione? - chiese Francis interrogativo, ma palesemente divertito da quel dibattito verbale.
- Ho accettato un cambio con Carriedo, doveva fare qualcosa che non ho ben compreso... Ma non è questo il punto. - ribatté il biondo piccato.
- Hai ragione: forse dovrei fare come te che le fai visita solo nelle sue stanze, Arthùr? - si rivolse dunque all'inglese con un sorriso sornione. - Non ti facevo così audace, sai? - continuò rimarcando il tono canzonatorio.
- Quello che faccio con Isabeau non è affar tuo, Francis. - ribatté l'uomo incrociando le braccia al petto e rivolgendosi a lui con severità.
- Allora non dovrebbero esserci problemi se tento di entrare nelle sue grazie... - disse il francese risalendo i pochi gradini del portico, prima di venir afferrato bruscamente per un braccio ed incatenato da grandi occhi verdi che lo trafissero pieni di odio.
- Quelle “grazie” sono troppo preziose per un mero esploratore di sottane quale tu sei! - ringhiò irato Arthur, fronteggiando il biondo nonostante vi fosse una differenza di altezza valida a farlo sentire inferiore. - Mademoiselle Isabeau non cederà mai alla tua lingua di serpe. -
Francis, allora, sorrise tranquillo afferrando il mento dell'inglese e gettando il suo sguardo blu notte sul volto di costui:
- E quindi saresti geloso... O invidioso se ciò succedesse? - disse a fior di labbra prima che l'altro si allontanasse da lui con forza. - Sia così allora: facciamo a tuo modo. Ci potremo vantare o lamentare solo quando uno dei due riuscirà a conquistarla, bien?.- terminò spolverandosi la giacca e tornando all'interno della villa, anche se alle sue spalle echeggiava un sonoro < Go to the Hell! >.

Francis era piacevolmente stuzzicato da quella sfida, pensava tra sé e sé, che in fondo non si sarebbe certo conclusa in un giorno, o meglio, in una notte o due: era vero, Isabeau detestava essere disturbata e odiava maggiormente che le si facessero domande su di sé e sul suo passato, ma se voleva spuntarla su quel damerino inglese doveva poterla avvicinare in un qualche modo e forse sapeva già che piano attuare.

Si carezzò il mento e sorrise osservandosi riflesso in uno specchio: aveva solo bisogno di alcune marionette, ed un prussiano innamorato andava benissimo per iniziare.




Note dell'autrice

Sono arrivata finalmente al nono capitolo e presto spero di raggiungere il 10! Ovviamente il tutto si preannuncia divertente in questa sfida e, un avviso a tutti i miei lettori, il prossimo sarà decisamente HOT ;)

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