Cinque giorni

di Dazel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno ***
Capitolo 2: *** Secondo giorno ***
Capitolo 3: *** Terzo giorno ***
Capitolo 4: *** Quarto giorno ***
Capitolo 5: *** Quinto giorno ***



Capitolo 1
*** Primo giorno ***


Cinque giorni. [1/5]

Quella di fare un viaggio all'estero, era stata un'idea di Jinki. A suo dire avevano tutti bisogno di cambiare aria, di vedere cose nuove e sperimentare nuove esperienze. Solo così – diceva il leader – sarebbero riusciti a trovare l'ispirazione che serviva loro per sfondare nel mondo della musica.

Jonghyun si accese una sigaretta osservando Taemin chiudere a fatica la propria valigia, stra colma di abiti che in cinque giorni non sarebbe mai riuscito a sfruttare pienamente. Taemin era così, era un ragazzo a cui piaceva esagerare. Per lui non c'era limitazione a niente, era incredibile quante cose contenesse la sua testolina, era impossibile sapere cosa frullasse là dentro, e Jonghyun non era sicuro di volerlo sapere. Aveva un corpo esile e il viso da “bravo ragazzo”, niente a che vedere con la belva che si scatenava sul palco, quando le luci si spegnevano e i riflettori gli venivano puntati addosso. Le sue braccia e gambe magre non sembravano essere le più adatte a reggere una chitarra di quasi dieci chili, ma Taemin era davvero bravo a suonarla, decisamente il migliore tra quelli che aveva sentito durante i provini nel garage di casa sua.

Una band rock. Ricordava bene il giorno in cui lui e Jinki avevano deciso di fondarne una, scambiandosi idee con le guance appoggiate contro le pagine lucide del libro di matematica che stavano cercando – con scarsi risultati – di studiare. In quel momento non avevano mai pensato che la loro idea si sarebbe concretizzata, che sarebbe diventata qualcosa di più di un sogno, che ci si sarebbero impegnati. A tre anni da quel giorno, avevano trovato due membri e pubblicato un primo cd, che anche se non aveva ottenuto successo, li aveva fatti sentire pienamente realizzati.

Ora si trattava solo di incanalare il loro talento e la loro passione in qualcosa che li facesse esplodere. Perché una bomba, senza una miccia, non è nient'altro che una palla di ferro molto pesante.

E a quanto diceva Jinki, non c'era niente di più infiammante che un viaggio all'insegna dell'avventura. Jonghyun non sapeva se avrebbe davvero funzionato, solo che non era deliziato all'idea di partire, non si sentiva per niente eccitato. Avrebbe voluto restarsene a casa, ma non ci teneva a far capire agli altri che stava facendo tutto contro voglia. Così stette zitto, si sedette sul materasso del suo letto e guardò Taemin armeggiare con la cerniera, tirandola con tutta la forza che aveva in corpo verso la fine della zip.

«Hyung, mi daresti una mano?»

«Siediti sopra il bagaglio, cerco di chiuderla.»

Taemin obbedì e Jonghyun riuscì, con un gesto secco, a far incontrare i due gancetti della cerniera. «Mettici il lucchetto, hyung!» fece Taemin, passandogli l'oggetto.

«Rosa? Davvero?» Jonghyun non si trattenne dal ghignare, chiudendolo attorno ai ganci.

«Era l'unico che vendevano al negozio di ferramenta! Sembra che ormai vengano usati solo per scriverci iniziali e attaccarli ai ponti...»

«Stupidi ragazzini.» Jonghyun scrollò la cenere dalla sigaretta, il cilindro grigio si infranse contro il pavimento. Minho odiava quando Jonghyun lo faceva, ma in quel momento non era lì, quindi, non poteva di certo lamentarsene. Minho del gruppo era quello sportivo, quello che amava correre, praticare sport e guardare le partite di calcio bevendo bibite energetiche. Era il secondo chitarrista, e anche se non brillava nel suo ruolo, aveva un viso sufficientemente bello per attirare ragazzine e far guadagnar loro qualche fan. Certo, non era una mossa corretta, ma se Jonghyun e Jinki avevano preso una decisione del genere, era solo perché Minho era un loro caro amico e non volevano tenerlo fuori dal progetto.

«Dicono che se fai così, allora il tuo amore durerà per sempre» sussurrò Taemin, restando seduto sulla valigia.

Jonghyun restò in silenzio, indeciso se dire qualcosa o stare zitto. Tra lui e Taemin, un tempo, c'era stato qualcosa. In realtà per Jonghyun non erano state altro che un paio di scopate per riempire i pomeriggi, ma non aveva mai preso in considerazione l'idea che per Taemin non potesse essere lo stesso. Ci era rimasto sotto, per così dire, e quando Jonghyun si era accorto della cosa aveva deciso di troncare il rapporto. Non ne parlavano quasi mai, ma a volte capitava che Taemin dicesse qualcosa, come in quel momento, che portasse quel periodo nel presente. A Jonghyun non piaceva. Lo faceva sentire stronzo e senza cuore, e lui non era così. Era solo giovane, e tutti possono sbagliare, ma non aveva intenzione di ripeterlo. Come gli aveva già detto, Taemin era stanco di sentirsi definire un errore.

«Forse avresti dovuto farlo anche tu, allora.»

«Pensi che avrebbe funzionato?»

«No, credo di no. Non è un lucchetto a cambiare le cose.»

Taemin si morse un labbro e poi si alzò, aggiustandosi una ciocca rossiccia dietro l'orecchio e avvicinandosi al suo Eastpak. «Forse faresti meglio a prepararti anche tu. Non ti ridurrai sempre all'ultimo come al solito, vero, hyung? La partenza è per sta sera.»

«Sono solo cinque giorni, non mi devo portare tutto l'armadio come hai fatto tu.» Jonghyun spense quel che restava della sua sigaretta contro una mattonella, e poi si avvicinò alla porta della camera da letto. «Questa camera fa schifo.»

«Se non la trattassi come la tua ciminiera personale, sarebbe un po' meglio.»

«Resta comunque una stanza deprimente in un appartamento fatiscente. Senza contare che lo divido con quattro ragazzi. Che palle.»

Taemin scosse la testa; quando Jonghyun era turbato, si lamentava. Stare lì a cercare di ragionare con lui in certi momenti era inutile, molto meglio non dargli corda e lasciarlo nel suo brodo. Era stato difficile, ma con il tempo era riuscito a conviverci e a capirlo. Kim Jonghyun era un orso. Un po' bruto, ma in fondo buono. Forse, se addomesticato, un giorno sarebbe migliorato.

▪▫▪▫▪

Il gate 7 dell'aeroporto di Incheon era affollato di gente che aspettava ansiosa che l'aereo partisse. Era stato rimandato prima di trentacinque minuti, poi di un'ora, e Jonghyun aveva cominciato a spazientirsi. Non poteva fumare, il cellulare era quasi scarico e la signora affianco a lui puzzava di sudore. Quel viaggio – che già, ricordiamolo, non voleva fare – aveva un prologo tutto fuorché “emozionante”. Avrebbe voluto strozzare Jinki, seduto qualche metro davanti a lui, affianco a un Taemin mezzo addormentato e Minho, che stava leggendo una rivista con scarso interesse. Jinki stava scrivendo qualcosa su un quadernino, forse il testo di una nuova canzone. Jonghyun non voleva che si offendesse, per questo motivo non lo aveva mai detto al leader, ma credeva che i suoi testi fossero noiosi. Non era quello che la gente voleva, a suo dire. Si reputava più bravo a scrivere i testi, e se ne avesse scritto qualcuno lui, nello scorso album, forse le vendite sarebbe state migliori. Però non lo aveva fatto. Non aveva mai portato alla conclusione nemmeno uno dei suoi mille testi, per cui, con quale diritto poteva giudicare il lavoro di Jinki? Forse avevano ragione quelli che gli dicevano che era solo un antipatico frustrato. Ma non era colpa sua, se ultimamente non riusciva a sentirsi sereno. Era come se nel suo stomaco si fosse formato un groviglio nero.

Chiuse gli occhi e iniziò a picchiettare i piedi contro il pavimento, canticchiando sotto voce una vecchia canzone dei Pink Floyd. Rimpianse di aver chiuso l'iPod in valigia, la musica avrebbe migliorato quell'estenuante attesa, ma ormai era fatta. Poteva solo sperare che non durasse ancora a lungo.

Un brusio proveniente dalle sue spalle gli fece capire che qualcosa cominciava a smuoversi. Le hostess di terra si erano avvicinate alla macchinetta del controllo dei biglietti aerei e alcune persone avevano cominciato ad alzarsi, avvicinandosi al cancelletto. Con un cenno, Jinki gli fece capire che dovevano alzarsi, poi assestò una piccola gomitata a Taemin per svegliarlo dal suo dormi veglia e picchiettò il braccio di Minho, che distolse finalmente la sua attenzione dal giornale. Jonghyun sbuffò e si alzò dal sedile e non appena si allontanò di qualche passo da dove era stato fino a quel momento, si rese conto di come l'aria risultasse più gradevole lontano da quella grassona allergica al deodorante.

«Tutto okay?» gli domandò Jinki, «Hai una faccia...»

«Non mi piace volare.» mentì Jonghyun.

«Andrà bene. Non ci sono molti incidenti aerei, sai? Statisticamente parlando.»

«Statisticamente parlando, un uomo con la testa nel forno e il culo nel freezer è okay.»

Jinki ridacchiò, scuotendo la testa. «Questa l'hai rubata da Facebook!»

«Un vecchio libro, in realtà, ma fa lo stesso. Non mi fido di una cosa che si alza da terra e resta in aria non si sa come.»

Minho si intromise nel discorso «Credo che qualcuno sappia come si mantiene in cielo, hyung.»

«Beh, io no. E per quello che conta, non mi fido. E poi chi è il pilota? Sarà davvero qualificato?»

«Hyung, sei una lagna. Fidati e basta!» Rise Minho, dandogli un colpetto. «Andrà bene, come quella volta che siamo andati a Tokyo. Lì non avevi paura.»

«Ora ce l'ho. Non è esattamente un volo da un paio di orette, questo.»

«Sarà emozionante, invece! Non vedo l'ora di essere a bordo e vederci tra le nuvole» disse esaltato Taemin. «E di mangiare il cibo sull'aereo! Tutto sembra più buono, a nove mila metri da terra!»

«Il cibo sull'aereo fa schifo, e di solito è misero.» Jinki se ne intendeva di cibo, dato che oltre a dormire, mangiare era la sua principale passione. Lui era la seconda voce del gruppo, non che batterista e compositore. Le sue basi erano davvero belle, i suoi testi, a detta di Jonghyun, un po' meno. Era fissato con la cucina ed era raro trovare qualcosa che non gli piacesse, se ben cucinato. Poteva mangiare qualsiasi cosa in grande quantità – se si manteneva in forma, era solo per via delle due ore di nuoto mattutine. Jonghyun non sapeva se ce l'avrebbe mai fatta a impegnarsi costantemente alzandosi ogni giorno all'alba. Preferiva evitare di mangiare cibi grassi o di mangiare troppo. In palestra andava giusto un paio di volte a settimana.

L'hostess di terra aprì il cancelletto e iniziò a controllare i primi passeggeri, dandogli il buon viaggio e facendoli passare uno dopo l'altro. Jonghyun aspettò il suo turno, allacciando il suo chiodo di pelle e cercando di non pensare a nulla, anche se non era facile. Non era stata del tutto una bugia la sua, in realtà. Aveva sempre paura, quando saliva su quei cosi traballanti.

«Coraggio~» gli sorrise Taemin, intrecciando le loro dita. Jonghyun lo guardò un po' seccato. Gli sarebbe mai passata, quell'assurda cotta?

L'amore per Taemin era come la possibilità di Jonghyun di tornarsene a casa ora e mandare al diavolo tutto, piazzarsi davanti alla Play Station e aprirsi una lattina di birra: impossibile.

▪▫▪▫▪

Almeno a bordo, non fu Jonghyun a capitare tra due sconosciuti, ma questa sorte toccò a Jinki. Fortunatamente la signora puzzolente era ben lontana da entrambi, piazzata nelle prime file, quelle riservate a chi aveva pagato di più per una zona “comfort”. Jonghyun immaginava bene quanto si sentissero “agiati” gli altri passeggeri che avevano pagato quel supplemento, ad avercela vicina. Lui si trovava seduto tra un Taemin iper eccitato («Hyung, guarda quella nuvola!», «Si vede una montagna, hyung!», «Il mare, hyung, il mare, guarda che bello!») che continuava a scattare fotografie, e Minho, che gli raccontava della sua ultima avventura con una ragazza che aveva conosciuto ai corsi serali di chitarra.

Jonghyun, a differenza di Minho, era da tempo che non usciva con una persona e non si faceva una scopata. Forse era anche per quel motivo che stava diventando così acido e intrattabile. Aveva un sacco di persone disposte ad aprire le gambe per lui, ma nessuna di esse lo interessava davvero. Spingere e venire era triste, a lungo andare, e non poi così tanto soddisfacente. Aveva usato quel metodo per un certo periodo, ma alla fine si era ritrovato ad odiarlo. Fottere, fottere e fottere ancora. Non aveva senso, se poi finiva con l'addormentarsi la sera da solo, sbloccare il telefono e non trovarci nessun messaggio carino, non avere nessuno da portare fuori a cena nei giorni speciali. Era stupido e da femminuccia, ma Jonghyun era fondamentalmente un tipo romantico e a lui quelle cose importavano. Voleva un fidanzato o una fidanzata, ecco cosa. Non una persona qualunque, però, altrimenti si sarebbe accontentato di Taemin. Non sapeva esattamente cosa cercasse, ma probabilmente lo avrebbe capito solo trovandolo. L'aereo sobbalzò e Minho si guardò intorno, inquietato, ma nessuno sembrò farci caso.

«E' solo un po' di turbolenza, tranquillo.» Lo rassicurò Jonghyun.

«Non era tu quello terrorizzato, hyung?»

Jonghyun fece per parlare, ma Taemin richiamò la loro attenzione «Iniziano ad accendersi le stelle nel cielo! E' davvero... Wow! Dovete guardare!»

Il resto del viaggio proseguì tranquillamente.

▪▫▪▫▪

«Quando arrivano i bagagli?» fece Jinki, spazientito. Erano circa quindici minuti che se ne stavano in piedi a fissare il nastro trasportatore starsene immobile davanti ai loro occhi. I posti a sedere erano già stati occupati, perciò non gli restava altro da fare se non starsene lì, in piedi, ad aspettare che le loro valige arrivassero.

«Ci mettono un po' a scaricarli dalla stiva» disse Minho, inclinandosi un po' per scorgere verso la fine del nastro, speranzoso di vedere il primo bagaglio arrivare, ma non accadde nulla.

«Spero proprio che non abbiano perso nessuna delle nostre valige» mugugnò Taemin, mordicchiandosi di nuovo il labbro. Era un gesto automatico, il suo, che smascherava benissimo il suo nervosismo. «Come potrebbero perdere la tua, con quel lucchettone rosa scarlatto?!» commentò Jonghyun, ricevendo dal più piccolo un'occhiata di rimprovero.

«Ti ho già detto che-»

«Okay, okay. Non ti arrabbiare! Guardate, stanno arrivando i bagagli! Minho, inizia a chiamare il taxi.»

Minho annuì e Jonghyun iniziò a pensare a come sarebbe stato confortante buttarsi su un materasso e dormire per dodici ore consecutive.

▪▫▪▫▪

Anche se non erano sicuri di cosa la receptionist stesse cercando di dir loro, erano abbastanza certi che ci fosse qualche problema con le loro camere. La donna continuava a cercare di spiegare con parole elementari e ben scandite quale fosse l'inghippo, ma nessuno di loro quattro sembrava conoscere l'inglese abbastanza bene da afferrare il concetto. Jonghyun cominciava a innervosirsi e gli altri tre non erano da meno. La donna continuava a gesticolare e più Jonghyun vedeva le sue mani muoversi da una parta all'altra a mezz'aria, più pensava a quanto fosse irritante non parlare l'inglese. Ma perché erano dovuto andare in un paese all'estero?! Che razza di idea. L'unica cosa che stava accendendo, quella avventura, era la sua rabbia.

Le cose divenne immediatamente più chiara quando la donna mise solo tre chiavi sul bancone, anziché quattro. «No room! No. Room.»

«Rhum? Ci sta dando degli alcolizzati? Non ce l'abbiamo il dannato Rhum! We don't rhum! Come si dice? Yah! Che cazzo, perché non il Giappone? Potevamo andare in Giappone a cercare questa dannata ispirazione!»

«Jonghyun, datti una calmata. Irritarsi non servirà a nulla!» fece Jinki, «Penso stia cercando di dirci qualcos'altro. Room è stanze, no? E le chiavi sono tre, di conseguenza...»

«... Non dirlo.»

«Another hotel!» cercò di spiegarsi la donna, in maniera elementare. «One of you. Do you understand?»

«Credo voglia dirci che uno di noi dovrà andare in un altro hotel...» fece Taemin.

«... Vedetevela voi, io non ne voglio sapere niente! Ve lo scordate che mi infili in un taxi e vada a piazzarmi in un altro hotel, da solo, senza capire una parola di quello che la gente dice attorno a me! Sarebbe un incubo!» sbottò Jonghyun. Gli altri tre si guardarono negli occhi, e poi, di scatto, afferrarono una chiave ciascuno.

«... No. Davvero. Scordatevelo. Non accadrà mai.»

Dieci minuti dopo, Jonghyun stava seduto sui sedili posteriori di un taxi giallo limone, con una delle più grandi incazzature di sempre.

▪▫▪▫▪

L'hotel in cui mandarono Jonghyun era più carino del primo, e per scusarsi del disturbo, gli avevano anche riservato una stanza di classe superiore. Alla fine non gli era andata poi così male, pensò nello sdraiarsi contro uno dei materassi più comodi che avesse mai provato. La stanza era sobria, ma elegante. C'erano delle tende arancioni e rosse, un armadio dall'aria antica e un grosso bagno con vasca idromassaggio. Lì dentro – pensò – ci avrebbe passato davvero un sacco di tempo.

Stava per farsi rapire dal sonno, quando il suo telefono squillò. Lo prese tra le mani e lesse il messaggio di Minho, che gli diceva di incontrarsi tutti assieme per cenare fuori. Lui si sentiva stanco, ma dire di no era fuori questione. Del resto, starsene da solo chiuso in una camera d'albergo non era il prototipo di serata ideale. Si alzò pigramente e si scompigliò i capelli, prima di prendere dal proprio bagaglio qualche vestito pulito e prepararsi per il primo bagno lussuoso.

Immerso fino al mento nell'acqua calda, sentì lo stress accumulato durante quella dura giornata scivolargli via dal corpo. Mosse le dita dei piedi e inclinò la testa all'indietro, respirando a pieni polmoni. L'odore del bagno doccia al miele era inebriante, e aleggiava per tutta la stanza. Alla fine non era male, come cosa. Anche se era da solo e in un altro hotel rispetto ai suoi amici, erano in una camera d'hotel cento volte più bella della sua stanza a casa. Sulla moquette morbida non avrebbe potuto spegnere nessuna cicca di sigaretta, e probabilmente nemmeno fumare in stanza, ma era un piccolo pegno da pagare in cambio del relax che lo aspettava. Avrebbe approfittato di quei cinque giorni per rilassarsi e nient'altro.

Sarebbe stata una pacchia.

▪▫▪▫▪

Avevano optato per un ristorante di piccole dimensioni, praticamente un pub, in cui consumare un pasto veloce e bere qualcosa. Niente di troppo elaborato o costoso, tutti avevano intenzione di mantenersi bassi coi prezzi ed andare al risparmio. Non parlando nemmeno una parola di inglese, né della lingua che parlavano in loco, avevano ordinato i piatti in preda a pura ispirazione mistica, andando, dunque, completamente a caso.

Il più fortunato di tutti era stato Jinki, a cui avevano portato una decisamente poco promettente poltiglia arancione con dei pezzi di carne dentro, ma di cui il sapore si era rivelato ottimo. A Minho avevano portato del riso con qualcosa di giallino che sapeva di menta, Taemin aveva ordinato un raviolo con dentro del pesce e Jonghyun si era ritrovato a mangiare una specie di passato di chissà quasi verdure e animali. «Non fate gli schizzinosi, dai. Questa è la nostra cena!» fece Jinki, ma era facile parlare con qualcosa di buono da mettere sotto i denti. Jonghyun si fece forza e soffiò sul proprio cucchiaio, ingurgitando quella roba a fatica. Il sapore non gli piaceva per niente, ma aveva troppa fame per digiunare.

«Com'è il tuo hotel, hyung? Ti senti solo?» domandò Taemin, abbandonando la forchetta nel piatto e guardandolo con preoccupazione.

«E' molto bello e ci si sta benissimo!» rispose Jonghyun immediatamente. Non voleva rischiare che il più piccolo si offrisse di passare la serata con lui, perché sarebbe stata davvero la ciliegina sulla torta per completare quella assurda giornata.

«Meno male! Anche il nostro hotel non è male-»

«Se non si considera il rumore che fanno i materassi quando ti ci sdrai sopra. Gneek, gneek!» si lamentò Minho. «Sarà un inferno dormire così. Ho il sonno leggero, continuerò a svegliarmi.»

«Non possiamo lamentarci, abbiamo pagato pochissimo del resto» Jinki alzò le spalle. «A quel prezzo, come alternativa avevano l'ostello della gioventù.»

«Forse sarebbe stato meglio.» commentò di nuovo Minho.

Taemin si illuminò e iniziò a raccontare «Una volta un mio amico andò in un ostello della gioventù, e siccome aveva paura che gli rubassero i soldi, li nascondeva nelle mutande! Negli ostelli dormono tutti assieme nella stessa stanza, anche se non si conoscono!»

«...Che esperienza eccitante.» commentò sarcastico Jonghyun. «Il mio hotel è una favola, mi spiace per voi. Per scusarsi di avermi fatto trasferire, mi han dato una camera con l'idromassaggio.»

«...Cosa!? Non è giuro!»

«Inizi a pentirti, hyung?» ghignò Jonghyun nei confronti di Jinki.

«Non lo so» rispose il leader «Almeno se mi succede qualcosa, io ho qualcuno che parla coreano a cui rivolgermi, tu come farai?»

«Il massimo di cui avrò bisogno sarà una saponetta alla rosa indiana in più~ Non ti preoccupare, me la caverò alla grande.»

▪▫▪▫▪

Se aveva sperato di passare la notte a riposarsi, dormendo e liberandosi della stanchezza del viaggio sul suo letto morbido e confortante, allora si sbagliava. A circa un quarto dalla mezzanotte, dalla stanza affianco avevano cominciato ad alzarsi alti gemiti che rimbombavano dritti nelle sue orecchie. Era la cosa più irritante gli fosse capitata nella sua vita. Continuava a rivoltarsi nel letto nella speranza di prender sonno, e ogni volta che i gemiti si interrompevano e lui riusciva finalmente ad assopirsi, quelli nella camera affianco ricominciavano a darci dentro. Ma che diavolo avevano nelle mutande?! Jonghyun iniziava a perdere la pazienza, sperava che il tizio finisse presto i colpi in canna e lo lasciasse dormire, perché non era possibile che passasse una notte in bianco per colpa di una scopata, specialmente perché non era manco lui a starsela facendo!

Non sapeva quanto avesse resistito, ma ad un certo punto capì che era stato decisamente troppo. Anche se non conosceva la lingua e non sapeva se avrebbe risolto o no qualcosa, si alzò tutto irato dal letto e uscì fuori dalla stanza, sbattendo la porta, prima di aggredire quella della stanza affianco e bussare con forza. «YAH! Che diavolo, smettetela! Stop it! Stop it!»

I gemiti si interruppero e Jonghyun sentì un leggero brusio, prima del silenzio e di passi leggeri. Quando la porta si aprì, restò sorpreso. Il ragazzo che aveva aperto era asiatico e aveva una folta chioma bionda, gli zigomi alti e un paio di labbra color fragola. Era già bello di suo – Jonghyun dovette ammettere – ma con quella espressione mezza sconvolta da un orgasmo era ancora più attraente. Jonghyun deglutì a vuoto, sentendo una pulsione al basso ventre. «I... I want to-»

«Mi hai appena imprecato addosso in coreano. Beh, sono coreano anche io, vengo da Daegu. Che diavolo vuoi, si può sapere?!»

Coreano. Un coreano sexy che scopava nella stanza affianco alla sua. Non facendolo dormire. Non sapeva se essere felice, disgustato, arrabbiato o chissà cos'altro. Irrazionalmente, pensò a quanto sarebbe stato fantastico essere al posto della persona con cui stava passando la notte il biondino. «Dormire. Sono molto stanco e i tuoi gemiti-»

«Questa è la MIA stanza d'albergo e quella è la TUA. Quello che faccio nella MIA stanza sono affari miei, quindi, cerca di non rompere le palle, razza di nano-»

«Yah! I tuoi fottuti gemiti da cagnetta mi impediscono di-»

«Sono solo problemi tuoi!» fece di nuovo il biondo, quando una voce detta in chissà quale lingua (Jonghyun non riusciva nemmeno a riconoscere l'inglese) giunse dalle sue spalle. Il biondo rispose qualcosa nella stessa lingua, prima di posare di nuovo lo sguardo su di lui. «Io sarei un po' impegnato, perciò-»

«Potreste almeno abbassare la voce?!»

Il biondo posò le mani sui fianchi del proprio corpo, squadrandolo dalla testa ai piedi. Jonghyun si sentì sotto esame, come se l'altro, al posto delle pupille, avesse una macchina a raggi X. «Se ti senti frustrato perché non scopi da un po', non prendertela con chi è più fortunato di te. Ora, mi dispiace, ma io avrei qualcosa da continuare.»

«... Chi ti dice che non-»

«Se avessi da scopare, scoperesti, e non romperesti il cazzo a chi lo fa.» ribatté semplicemente l'altro, alzando le spalle. Indossava una maglia molto più larga (probabilmente rubata al partner) e sulle clavicole e il collo erano ben visibili succhiotti rossi e morsi. Jonghyun si ritrovò a desiderare di assaggiare quella pelle. Quel ragazzo lo attraeva, anche se era un piccolo stronzo. Decisamente, un giro con lui se lo sarebbe fatto.

«Perché non ti offri tu, allora?»

Il biondo restò in silenzio, prima di ridacchiare. «Ti prego. Stai cercando di rimorchiare uno a cui hai appena interrotto una scopata? Che ne sai se quello là dentro è il mio ragazzo?»

«I coreani tendono a-» cercò di inventarsi una qualsiasi scusa. La realtà è che non stava pensando affatto. Aveva smesso nel momento in cui il biondo aveva aperto la porta. «Impegnarsi con altri coreani, suppongo.»

«Mi sono stufato ed ho qualcosa da finire, per cui, come ti chiami, sparisci. Chiaro? Tenteremo di fare meno rumore» disse, facendogli l'occhiolino.

Jonghyun annuì, rapito. Non si era mai sentito così idiota in tutta la sua vita.

Solo quando la porta sbatté a pochi palmi dal suo naso, l'incantesimo si ruppe e capì di essere stato raggirato. Se ne tornò in camera, ancora mezzo sconvolto, e cercò di togliersi dalla mente l'idea assurda che gli era venuta. Provarci con uno già evidentemente impegnato, non si era mai abbassato così tanto. Doveva essere l'astinenza ad aver parlato per lui, non c'erano alternative. Si infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi, gustandosi il silenzio.

Ma durò poco.

Molto poco.

Dei gemiti ancora più alti dei precedenti cominciarono a riempire la sua stanza.

A/N
Buona notte a tutti,
l'ultima volta che ci siamo sentiti mi pare fosse per comunicare un trasferimento sull'archivio; da allora mi sono presa una pausa (dalle fanfiction, dalla scrittura) che è durata circa un mese. Sono una persona che cambia idea molto facilmente, che è guidata dai sentimenti (qualsiasi essi siano) e che va un po' dove la spinge il vento. Oggi il vento mi ha spinta qui, per questo ho deciso di riprovarci, nonostante tutto, e mettere in pausa (momentanea o meno) il progetto dell'archivio.

Spero che questa fanfiction vi possa piacere; l'ho pensata mentre ero in viaggio a Praga, ma non ho voluto dare una vera identità alla città protagonista di questa storia. Potete immaginare qualsiasi posto voi vogliate: Londra, New York, Hong Kong, la vostra stessa città. Ho deciso di lasciare questa libertà al lettore perché mi sembrava la scelta più giusta.

Questa storia (come credo si sia già intuito) conterà un totale di cinque capitoli. L'ho già pubblicata da più di un mese nel profilo privato (friends only) di AsianFanfiction e ho ricevuto un riscontro positivo, quindi spero possa lasciare le stesse impressioni anche a voi; ovviamente mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, quindi, se vi va di lasciare un commento fatelo pure!

Volevo dedicare questa storia alle mie amiche, che anche se non la leggeranno per diversi motivi, mi son state vicine durante la stesura in modo inconsapevole.

Nella speranza che possa lasciarvi viaggiare almeno un po'.

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Capitolo 2
*** Secondo giorno ***


 

Cinque giorni. [2/5]

Il risveglio di Jonghyun fu più brusco di quanto non si sarebbe aspettato. Ancora una volta, il suo cellulare prese a squillare con insistenza, strappandolo con violenza dal suo sonno. Odiava quando la giornata iniziava in modo tanto traumatico. Mandò un paio di maledizioni silenziose a colui che aveva avuto la brillante idea di chiamarlo alle – ma che ore erano? - e poi afferrò il suo iPhone, premendo sulla cornetta senza nemmeno vedere chi lo stesse chiamando. «Che diavolo vuoi?» domandò bruscamente. Del resto, non erano poi molte le persone che potevano averlo chiamato.

 

«Hyung» disse la voce di Minho. «Dove ti sei cacciato? Avevamo appuntamento per le dieci nella piazza principale! Sono le undici e mezza! Ti sei perso?».

 

Jonghyun socchiuse gli occhi e si schiarì la gola ancora impasta dal sonno. Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua, di una doccia e di un paio di sigarette. Dopo aver formulato quel pensiero, la sua testa si soffermò sulle parole che il dongsaeng gli aveva detto. Appuntamento? Quando si erano accordati per una cosa del genere? Lui non ne sapeva nulla. «In realtà sono ancora a letto.»

 

«Cosa?! Ma sei impazzito?! Noi è un'ora che ti aspettiamo e tu stai ancora dormendo?!»

 

Forse avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma in realtà non provò nulla. Si mise seduto e si scompigliò i capelli. «Ora mi alzo, mi faccio una doccia veloce e arrivo. Dove siete esattamente?»

 

Jonghyun poté sentire Minho brontolare, Jinki rispondere qualcosa e Minho brontolare di nuovo. «Va' al diavolo.» fu l'unica risposta che infine ricevette, prima che la chiamata si concludesse. Perplesso, Jonghyun sbatté un paio di volte le palpebre e poi sbadiglio, decidendo infine di alzarsi dal letto. Qualsiasi cosa avessero, che se la facessero passare. Come si aspettavano che si svegliasse da solo? Dal momento che era in un hotel differente, per di più dall'altra parte della città, avrebbero potuto chiamarlo prima e svegliarlo, anziché aspettare l'ultimo momento.

 

Camminando verso il bagno, si rese conto di quanto si sentisse stanco e assonnato. In un primo momento non capì perché si sentisse così poco riposato, ma poi ricordò l'episodio della sera precedente e tutto fu più chiaro. Non era stato difficile addormentarsi con quei due che si davano alla pazza gioia a una sola parete di distanza dal suo letto. Era stato come vivere in un incubo, ma la cosa peggiore era stata un'altra. Jonghyun sbuffò, poco propenso a ripensarci, perché si sentiva un po' imbarazzato all'idea di esseri quasi eccitato. Non era colpa sua se quel piccolo stronzetto biondo era davvero, davvero molto sexy. Sentirlo gemere così selvaggiamente era stato un duro colpo ai suoi ormoni assopiti da troppo tempo. Uno come faceva a mantenere la calma in una situazione del genere? Era impossibile.

 

Aprì la porta del bagno e si spogliò, facendo cadere i boxer e la canottiera, che aveva promosso a pigiama provvisorio, a terra. Scrutò tra le essenze che l'albergo metteva a disposizione e ne scelse due dai nomi esotici, prima di cominciare a riempire la vasca continuando a leggere la composizione e gli effetti positivi che quei bagnoschiuma donavano alla pelle. Non era il tipo di persona ossessionato dalla cura del proprio corpo – gli piaceva essere pulito e stare bene con sé stesso, ma non aveva mai passato il pomeriggio a ricoprirsi di creme idratanti o oli naturali – ma dal momento che aveva a disposizione tutte quelle lozioni gratuitamente, usarle gli sembrava l'idea migliore.

 

Quando la vasca fu piena, versò una porzione abbondante di “Burro di Chiuri” nell'acqua calda e la osservò colorarsi di un leggero rosa e fare una abbondante schiuma. Ci si immerse dentro e azionò l'idromassaggio, che iniziò a solleticargli e massaggiargli la pelle. Questa sì che era vita, decisamente.

 

Se la prese con calma e massaggiò la sua pelle con cura, prima di alzarsi e avvolgersi nell'accappatoio. Lo specchio appannato gli impediva di darsi un'occhiata, ma da una parte era una cosa positiva, dal momento che il suo viso dopo un bagno caldo era sempre arrossato e sconvolto. Finì di prepararsi e andò in camera a vestirsi, prima di uscire dalla camera dell'albergo e scendere nella hall. Jonghyun non aveva idea di come si arrivasse alla Piazza Principale, né di quale essa fosse o dove si trovasse. L'unica possibilità che aveva era chiedere alla receptionist di spiegargli le strade che doveva prendere, il problema, era che non sapeva come fare.

 

Si avvicinò al bancone di legno lucido e sorrise gentilmente alla donna, che ricambiò, dicendogli qualcosa in inglese che Jonghyun assolutamente non capì. «I... go... place» se era la Piazza Principale, allora doveva essere grande. «Big... Very big place!»

 

«Place?» domandò la donna perplessa. Jonghyun non aveva idea di cosa avesse chiesto, né di come farsi capire. Iniziò a disegnare un cerchio immaginario con le dita. «Place! Church! God!» più cercava di dire parole che arricchissero la sua saggia spiegazione, più il volto della donna si contraeva in una espressione confusa.

 

Era arrivato al punto di mandare tutto al diavolo e lasciar perdere, quando una risatina si accese alle sue spalle e si sentì dire, in coreano perfetto e con un accento del sud: «Hai bisogno di una mano?» Jonghyun non ebbe bisogno di girarsi per capire a chi appartenesse quella voce.

 

Se da una parte avrebbe voluto offenderlo per il modo in cui gli aveva fatto passare la nottata, dall'altro era consapevole del fatto che il biondo era l'unico mezzo che aveva per comunicare con quella donna e capire dove incontrare i suoi amici. Mise da parte l'orgoglio e disse, con un tono leggermente freddo e distaccato. «Devo andare alla Piazza Principale, ma non riesco a farglielo capire. Io e l'inglese non andiamo molto d'accordo.»

 

«Ho notato.» fece il ragazzo, prima di scuotere piano la testa e alzare gli occhi al cielo. «Cosa ci sei venuto a fare, all'estero, se non spiccichi una sola parola di una lingua diversa dal coreano?» domandò poi, senza aspettarsi una vera risposta. Il ragazzo iniziò a parlare con la receptionist che si dimostrò parecchio felice di riuscir a capirci qualcosa di quella faccenda, mentre Jonghyun fissava i due dialogare in inglese e cercava di carpire una qualsiasi informazione con pessimi risultati. «Thank you very much!» ringraziò infine in biondo con un breve inchino.

 

«Allora?» Jonghyun aggrottò la fronte. «Dove devo andare?»

 

Il ragazzo biondo finse di rifletterci su, prima di sorridere malignamente. «Potresti almeno offrirmi un caffè, dal momento che ti ho appena fatto un favore... Come puoi essere così sgarbato?»

 

«Non ho tempo da perdere, sono in ritardo e-»

 

«Scommetto che non hai nemmeno fatto colazione! E dai, che ti costa? Non sarai mica così taccagno, vero?» e il biondo fece una cosa che Jonghyun non si sarebbe mai aspettato: lo prese sotto braccio, quasi in maniera civettuola, e sbatté un paio di volta le palpebre.

 

«Se pensi che così riuscirai ad ottenere quel che vuoi, allora-»

 

«No, non così!» il biondo scosse la testa. «Otterrò quello che voglio semplicemente perché io so come farti arrivare dove vuoi andare, mentre tu non ne hai idea, e se vorrai scoprirlo, allora comincia con l'accettare la mia proposta e fare colazione con me, intesi?»

 

Jonghyun sbuffò. Ma cosa voleva quel tipo da lui, ora? «Non so nemmeno come ti chiami, sei completamente pazzo.» disse infine, cominciando ad accettare l'idea che, sì, non aveva altra alternativa se non accettare la bizzarra proposta di quel tizio.

 

«Kim Kibum~ e tu invece? Come ti chiami?»

 

«Che te ne frega. Lascia perdere.» grugnì di nuovo Jonghyun, imbronciandosi ancora di più. Non che fosse tirchio, ma... No, okay. Era tirchio e l'idea di offrire la colazione a questo “Kibum” non gli piaceva. Era strano pensare che lo stesse infastidendo tanto la prospettiva di passare del tempo con lui, considerando che solo la sera prima si era ritrovato a desiderare ardentemente di finire in mezzo alle sue gambe. O forse, non lo era poi così tanto. Il sesso non lasciava spazio alle conversazioni e a cose di questo tipo, il sesso era solo sesso. Morsi, baci, graffi. Niente a che vedere con quello che gli stava capitando ora.

 

«Sei sempre così simpatico, signor “Che te ne frega”?» domandò Kibum, aumentando la stretta attorno al suo braccio. «Non mangio mica, sai?» Jonghyun non rispose nulla, prendendo a camminare verso l'ingresso dell'hotel. «Non sarai mica offeso per ieri sera, vero? Dai~! Scommetto che anche tu sei rumoroso, quando lo fai, quindi-»

 

«Dacci un taglio! Per colpa della tua vocetta urlante, adesso mi trovo in questa situazione. I miei amici sono infuriati con me, non so dove andare per incontrarli e sono rimasto incastrato in qualcosa che non voglio. L'ultima cosa di cui ho bisogno, è ricordare chi ha causato la mia insonnia la scorsa notte.»

 

«Come sei antipatico.» Kibum si imbronciò, e le sue labbra rosa, contratte in quel modo, gli donavano un'espressione che Jonghyun trovò adorabile. Non sapeva perché, ma gran parte della sua rabbia in quel momento sparì, e pensieri un po' più tranquilli abitarono la sua mente. Infondo si trattava solo di prendere qualcosa di caldo assieme, farsi dire le informazioni e cominciare la sua mattinata, non sarebbe andata tanto male, no? Non aveva granché di cui temere. «Mi chiamo Jonghyun. Kim Jonghyun.»

 

«Quindi ti chiami così! Pensavo non lo volessi dire perché avevi un nome imbarazzante. Bene, Jonghyun~ Cosa ci fai qui, lontano da casa e per di più tutto solo?»

 

«Ti ho già detto che non sono da solo, sono con degli amici.» a giudicare dalla faccia che fece, Kibum non sembrava averci creduto. «Dico davvero! Nell'altro hotel le stanze erano tutte piene, così mi hanno trasferito qui. Purtroppo, aggiungerei.»

 

«Yah! Come sei permaloso! Lo sai che c'è chi pagherebbe, per avere un privilegio come lo hai avuto tu? Sono piuttosto popolare.» Jonghyun non sospettava fosse la verità, considerando quanto bello e attraente fosse l'altro ragazzo. Si trattenne dal dirgli, però, che piuttosto di avere un ruolo di spettatore, avrebbe preferito poter partecipare attivamente la cosa. Non gli sembrava una frase da dire a un tizio appena conosciuto, in ogni caso. Così reprimette quel pensiero. «Conosci qualche bar in cui andare?»

 

«Ce n'è uno carino che fa delle brioche buonissime~»

 

Uscirono dalla hall dell'hotel poco dopo, camminando fianco a fianco come amici di vecchia data. Nessuno avrebbe mai detto, guardandoli, che in realtà fossero meno che conoscenti, perché tra loro c'era una sorta di alchimia impossibile da definire in modo diverso: era un po' come se l'empatia che generavano li unisse irrimediabilmente. Jonghyun si sentiva rapito e sconvolto da quello che stava pensando, ma non riusciva a mettere un blocco ai propri pensieri. Qualsiasi cosa gli stesse facendo quel “Kibum”, doveva essere davvero potente. «Parlami un po' di te» fece d'improvviso il biondo, quando si fermarono ad un semaforo rosso. «Cosa ci fai quaggiù?».

 

Jonghyun affondò le mani nelle tasche della sua giacca e sospirò leggermente. «Il leader della mia band pensa che abbiamo bisogno di cambiare aria e di trovare nuove idee, l'ispirazione, insomma, per riuscire a sfondare nel mondo della musica. Così, eccoci qui.» Era un discorso molto sintetico il suo, ma non aveva molto da dire a riguardo.

 

«Una band? Suoni qualcosa?» Kibum sembrava stupito dalla cosa, ma anche piacevolmente eccitato. «Che tipo di musica fate? Siete famosi, in Corea?»

 

«Dimmi un po', da quanto tempo non metti piede a casa, tu?» domandò Jonghyun. «Se vivessi in Corea, allora lo sapresti!»

 

Gli occhi di Kibum si sgranarono appena. «Se dici così, significa che siete veramente famosi! Wow! Ricordami di farmi un autografo su un tovagliolino di carta, dopo!» Kibum ridacchiò divertito. «In ogni caso, mi sono trasferito in una città a qualche ora da qui quasi dieci anni fa. Se mi trovo nella capitale, ora, è per lavoro.»

 

«Quindi quello di ieri sera chi era? Un tuo collega?»

 

«Qualcosa del genere, sì» il verde scattò e i due attraversarono in fretta la strada. «E' sposato e non è nemmeno bravo a letto quanto voglia far credere, ma non bisogna fare gli schizzinosi. Dopo tutto, è raro trovare coreani sexy, quaggiù.»

 

«Raro, ma non impossibile» Jonghyun fece l'occhiolino, indicandosi, e Kibum non poté trattenersi dallo scoppiare in una risata cristallina. «Come darti torto? Una star della musica, per di più sexy, bussa alla porta della mia stanza! Deve essere senza dubbio il destino!»

 

Anche Jonghyun si unì nella risata, senza staccare lo sguardo dal ragazzo. Kibum era davvero, davvero, davvero molto bello. Era un pensiero che non si stancava mai di balenargli il testa e che era assolutamente impossibile da scacciare. Il modo in cui le sue labbra rosa di tiravano, i suoi zigomi si alzavano e la sua voce usciva fuori quando rideva, ecco, per Jonghyun tutto questo era adorabile. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi ridotto così male per un ragazzo appena conosciuto, ma stava accadendo. Era così assorto in quelle riflessioni, che non si accorse che si erano fermati.

 

«E' questo il posto.» disse Kibum, indicando una alta vetrina dalla quale si potevano vedere diversi tavolini. Era il classico bar europeo, né troppo spartano né troppo elegante, uno di quelli dove i baristi indossano una t-shirt bianca e grembiuli verde smeraldo. «Entriamo?»

 

«Non siamo venuti fino a qui sono per stare a guardare!»

 

Presero un tavolino quasi appartato, posto in un angolo del locale dove era stato posto un divanetto in pelle. Jonghyun si sedette lì, mentre Kibum preferì mettersi comodo sulla sedia. Si era tolto la giacca grigia, rimanendo con un pullover dal collo largo, che dava bella mostra delle sue clavicole strette. I segni della sera prima erano stati evidentemente coperti con del fondo tinta, e Jonghyun si ritrovò ad apprezzare di non dover fare colazione con la vivida immagine stampata nella mente di quei due che facevano sesso. Il fatto di starci ancora pensando, però, era l'evidente segno che evitare una cosa del genere era un tantino impossibile.

 

«Dal momento che mi hai-» Jonghyun tentò di trovare delle parole per descrivere quello che era stato il loro approccio, ma non ci riuscì. «invitato, credo, a fare colazione fuori, devo presumere che io ti-»

 

«Piaccia?» Kibum lo disse senza nemmeno guardarlo, concentrato a giocare con l'angolo del menù. Lo aprì e finse – evidentemente – di guardarlo, alzando piano le spalle. «Un po'. Forse. Immagino che sia stato- ecco, sai, qua non ci sono molti coreani. Non dico che tu sia il primo, ma in genere sono...»

 

«Brutti?» Jonghyun ghignò. Era ben consapevole di essere un bel ragazzo.

 

«Avrei detto poco interessante, per essere politicamente corretto, ma ecco, sì.»

 

«Quindi, dato che hai visto un coreano decisamente sexy, che tra le altre cose alloggia nel tuo stesso hotel, nella camera affianco alla tua, hai pensato: “Cogliamo l'occasione al volo”?»

 

«Qualcosa del genere, sì.»

 

«Quindi speri cosa, esattamente?» Jonghyun non riusciva a cancellarsi quel sorrisetto divertito dalle labbra. Quando Kibum si rese conto di essere stato incastrato, arrossì impercettibilmente e arricciò le labbra, imbronciandosi. «Che modi! Per il momento, fare colazione. Pensavo in un cappuccio con-»

 

«Per il momento fare colazione, sì. E poi, Kibum?» Jonghyun appoggiò il mento ad una mano «Hai intenzione di ripetere lo spettacolino di ieri sera, o cosa?»

 

«Con una brioche, sì. Cappuccino con brioche. Dov'è il cameriere?»

 

Davanti a una così palese fuga dal discorso, Jonghyun non poté fare a meno di ridere. «Okay, okay, ho capito. Non ti incalzo più.»

 

Passarono quasi mezz'ora a chiacchierare e a sbocconcellare le loro colazioni, ridendo e facendosi battute a vicenda su praticamente qualsiasi cosa. Jonghyun si sentiva attimo dopo attimo sempre più a suo agio con Kibum, ed era sicuro che il ragazzo biondo stesse provando le stesse sensazioni. Aveva iniziato a sfiorarlo, in modo del tutto casuale, certo, ma delizioso. Le mani di Kibum si posavano sulle sue per un istante, sentiva i suoi polpastrelli accarezzargli palle, per poi allontanarsi con la stessa velocità e leggerezza con cui lo avevano sfiorato. Lo stavano facendo impazzire.

 

Cercava, però, di mostrarsi controllato. Era certo che il piano di Kibum fosse proprio quello di vederlo cedere; ormai era chiaro che il biondo nutriva interesse verso di lui, ma allo stesso tempo, che non voleva esporsi e fare lui la prima mossa, quella che li avrebbe portati – con ogni possibilità – nudi, in un letto. Jonghyun era indeciso su se cogliere l'opportunità e fregarsene, o vedere fin quanto Kibum volesse provare a stuzzicarlo. Chissà, magari tutto quello stava accadendo solo nella sua testa, forse i suoi tocchi erano casuali e non aveva nessun interesse verso di lui, ma Jonghyun era abbastanza certo di averci preso, con la sua intuizione.

 

Sorseggiò il suo mocaccino, ascoltando Kibum raccontargli del suo lavoro. Faceva lo stilista per una piccola boutique francese, anche se in realtà era solo il braccio destro della proprietaria e non aveva grande voce in capitolo, quando si trattava di creare nuove collezioni. Diceva di essere soddisfatto del suo lavoro, ma di voler raggiungere il successo, non incrementare quello del suo capo restando nell'ombra. Aveva un paio di book pieni di vestiti perfetti per un sacco di collezioni, ma non aveva mai avuto la possibilità di farli vedere a nessuno. Le sfilate, diceva, erano molto suscettibili e restie a sponsorizzare chiunque.

 

«Tu sei famoso, no? Perché non indossi, tipo, una mia giacca? Se piace, potresti dire che-»

 

«Non sono poi così famoso. Anzi,» Jonghyun alzò le spalle. «Non lo sono affatto, in realtà. Il nostro album è stato un mezzo fallimento e i nostri fan saranno una ventina in tutta la nazione.»

 

«Cosa c'è che non va nella vostra musica? Fate così schifo?» ghignò Kibum. Il suo tatto – notò Jonghyun – era davvero dei peggiori.

 

«Il problema sono i nostri testi, credo, perché la musica è davvero molto buona. Il fatto è che se ne occupa il nostro leader... Non dico che facciano schifo, è solo che... Noi siamo una band rock, i suoi testi sono praticamente delle ballate. Le ballate rock non funzionano, capisci? Ci vorrebbe qualcosa di diverso.»

 

«Se hai le idee così chiare, perché non ci provi?» Kibum finì la suo brioche.

 

«E' proprio questo il problema, io so di poter scrivere bei testi, ma non ho l'ispirazione. E dubito che questo posto mi darà quello di cui ho bisogno.»

 

«Come puoi aspettarti che grattacieli e cemento ti diano l'ispirazione per qualcosa di personale come la musica?» Kibum scosse la testa «Io non ne capisco niente di canzoni e testi, ma se so una cosa è che l'arte viene dai sentimenti e i sentimenti sono generati dalle persone, dalle cose vive. Quando voglio disegnare qualcosa di bello, non mi ispiro a un ponte, tanto per dirne una.»

 

Jonghyun ridacchiò, non aveva mai visto la cosa sotto questa prospettiva. Gli piaceva il modo di ragionare del ragazzo. «Potrei ispirarmi a te, allora. Sai che bella canzone uscirebbe? Qualcosa tipo: Non riuscivo a dormire / per colpa di quel cretino / che non voleva venire.»

 

«Sei così volgare!» Disse Kibum, ridendo forte. «Una canzone del genere non venderebbe mai! Sei terribile! Io parlavo seriamente!» si pulì le labbra con un tovagliolino. «Non importa, sei un idiota. Non sfonderai mai nel mondo della musica, mi dispiace.»

 

«Peccato, se fossimo diventati famosi, forse qualche tua giacca l'avrei indossata.»

 

Kibum gli fece una linguaccia, prima di sorridergli. Il suo sorriso – pensò Jonghyun, di nuovo, per la milionesima volta nel giro di un paio di ore – era davvero bellissimo.

 

▪▫▪▫▪

«Dove diavolo si è cacciato Jonghyun?!» sbottò Minho, vicino al limite. Non sopportava più di dover aspettare, gli sembrava di starlo facendo da tutta la vita. Stavano seduti sotto alla banchina di un autobus da così tanto tempo da non saperlo nemmeno quantificare, con il vento che soffiava dritto sui loro volti. Jonghyun lo avevano sentito un secolo prima e gli aveva detto di aspettarli, che stava arrivando, ma di lui non c'era stata traccia. Sicuramente s'era perso, avevano pensato, da un tipo come Kim Jonghyun c'era da aspettarsi questo ed altro, ma allora perché non rispondeva al cellulare? In genere, quando ci si perde, la prima cosa che si fa è cercare aiuto per ritrovare i propri compagni, ma in quel caso non era stato così. Jonghyun era sparito, era impossibile contattarlo. Per quanto ne sapevano, poteva essere benissimo morto. Investito, magari, da uno dei mille e trecento autobus che avevano visto passare davanti ai loro nasi durante quell'estenuante attesa.

 

«Spero solo che abbia una scusa convincente.» continuò Minho. «Tipo... No, a meno che non sia morto, lo ammazzerò io.»

 

«Hyung, magari ha solo avuto qualche contrattempo con l'hotel» provò Taemin «Da come gli è iniziata questa vacanza non me ne stupirei... Poi immagina, se ha avuto qualche problema con loro, come se la cava? Non dice mezza parola in inglese, e se tentasse di farlo, direbbe una parola al posto dell'altra e confonderebbe solo di più le idee a chi cerca di ascoltarlo!»

 

«E' una cosa che fa pure con la sua lingua madre, che c'è da stupirsene?! Dico solo, avvisaci, accidenti! Non possiamo assiderarci qui per ore solo per colpa del tuo stupido culo pigro.» Minho affondò il viso nella sua sciarpa celeste, cercando di scaldarsi il naso con il suo stesso respiro. La cosa, dopo pochi istanti, sembrò funzionare. Bene, almeno non avrebbe perso un arto utile per colpa di quel deficiente.

 

Jinki alzò lo sguardo dal suo iPod e assottigliò lo sguardo per mettere a fuoco qualcosa in lontananza. Quando ci riuscì, allungò una mano verso Minho e lo colpì piano sulla spalla. «Ma è Jonghyun? Sta arrivando!»

 

In fondo alla strada, Jonghyun camminava nella loro direzione con il più idiota dei sorrisi sulla faccia. Quando Minho lo vide si domandò se avrebbe continuato a sorridere anche se gli avesse tirato qualcosa in testa. Aspettò che fosse abbastanza vicino, per dirgli: «Ce ne hai messo di tempo. Dimmi la tua scusa convincente o preparati a morire, hyung.»

 

Jonghyun spostò il peso del corpo da una parte all'altra, indeciso se svuotare il sacco o meno. Infine, con un sospiro arrendevole, disse: «Ho conosciuto un ragazzo. Davvero, davvero carino. E sono andato a farci colazione. Ma non avevo scelto, mi ha praticamente costretto!»

 

«... Cosa?» domandò Minho, e non era quel tipo di 'cosa' che precede un ' non ho capito, potresti gentilmente ripetere?', ma quel genere di 'cosa' che si sussurra increduli, quasi per dare una seconda possibilità di cambiare ciò che la persona appena detto in qualcosa che non comporti la morte immediata. «Ci hai fatto aspettare qui al gelo per due, tre fottute ore, perché eri a fare il coglione con un ragazzo?! Hyung, giuro che-»

 

«Minho diventa suscettibile, con il freddo.» disse Jinki semplicemente. «Però ha ragione. Avresti dovuto avvisarci.»

 

«Mi dispiace» si scusò Jonghyun. Dal momento che sia Jinki che Minho avevano espresso il loro parere, voltò il viso verso Taemin aspettandosi lo stesso, ma scoprì che il più piccolo stava fissando ostinatamente a terra. Inizialmente non capì, ma poi collegò le cose. Oh. Era sicuro che a Taemin non piacesse l'idea che avesse passato l'intera mattina ad una specie di appuntamento con un ragazzo che, evidentemente, non era lui.

 

«Beh...» disse, un po' impacciato. «Allora, cosa vogliamo fare, andiamo?» tirò le labbra in un sorriso nervoso, sperando di fare un po' di tenerezza almeno agli altri due. Minho sbuffò stressato e si alzò dalla banchina. «Il mio culo è ghiacciato e dolorante. Penso di odiarti, hyung.»

 

Beh, dai. Come vacanza, stava andando alla grande.

 

▪▫▪▫▪

La sua mente, in quel momento, era – per dirla con un elegante francesismo – un fottuto casino. Non riusciva a pensare e non aveva voglia di farlo, aveva bevuto troppo (e lui in genere evitava di farlo, perché riusciva a sbronzarsi davvero con poco) ed era, per così dire, un tantino impegnato. Ci avrebbe pensato la mattina dopo a come gli eventi lo avessero portato a quel momento, a come era potuto succedere che un innocente “ci beviamo un bicchiere di vino assieme, Jonghyun?” si fosse trasformato in Kibum contro una porta, le mani sotto la sua maglietta e le loro labbra incollate. Avrebbe pensato all'indomani anche a come i loro vestiti fossero finiti sul pavimento, alla maniera deliziosa in cui Kibum aveva morso la sua spalla, alla sua risata leggera ed ebbra. Avrebbe rimandato tutto a dopo, perché adesso non poteva, proprio no, concentrarsi su qualcosa che non fosse il corpo del biondo sotto il suo. Attorno al suo. Ovunque, contro la sua pelle.

 

Qualsiasi altra cosa poteva aspettare

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Capitolo 3
*** Terzo giorno ***


Cinque giorni. [3/5]

Se da una parte non voleva crederci di averlo fatto davvero, dall'altra, anche se più segretamente, ne era quasi grato. Jonghyun guardava il suo riflesso specchiarsi in un bagno che non era quello della sua stanza, e poteva notare diversi segni sulla sua pelle che fino alla sera prima non c'erano stati. Li sfiorò coi polpastrelli, fremendo al ricordo di come se li fosse procurati, e poi lo reprimette con decisione in fondo alla sua mente. Non era la prima volta che gli capitava di fare sesso con uno sconosciuto – perché alla fine, era quello che lui e Kibum erano – ma era lo stesso sconvolto del fatto che tutto, con quel ragazzo, fosse stato naturale. Improvviso, certo, e senza dubbio inaspettato, ma spontaneo. Non era stata solo una scopata, Jonghyun non aveva sentito il bisogno di scappare via subito dopo. Era rimasto con Kibum e lo aveva stretto a sé. Gli aveva accarezzato la schiena con le dita, facendo passare i polpastrelli sulla sua colonna vertebrale; lo aveva sentito sospirare e poi respirare piano, aveva posato un bacio sulla sua fronte, sentendo l'odore dolce dei suoi capelli, e poi lo aveva stretto di nuovo, più vicino, e aveva sentito il suo calore premergli contro la pelle. Aveva aspettato che si addormentasse e poi lo aveva seguito nel sonno, con la mente leggera e svuotata.


Quella mattina il cielo era limpido e luminoso, i raggi caldi del sole entravano dalla grande finestra che faceva da padrona nella camera di Kibum, attraversando le persiane e colpendo il pavimento. Erano circa le dieci e non mancava molto all'ora in cui avrebbero dovuto abbandonare la stanza per far sì che le cameriere ai piani le ripulissero, eppure Jonghyun non avvertiva alcuna fretta di svegliare l'altro, che ancora dormiva placidamente addormentato nel letto.


Era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui aveva avvertito quella sorta di pace interiore, ma era certo che non fosse mai accaduto solo per aver fatto sesso. Kibum aveva qualcosa di magico che era stato in grado di drogarlo, ormai il bassista ne era certo. Una cosa del genere ancora non gli sembrava possibile.


Aprì l'acqua del rubinetto e si sciacquò la faccia, determinato a scacciare via ogni traccia di sonno, poi iniziò a curiosare tra le saponette e i vari bagnoschiuma che l'hotel forniva ai propri ospiti. All'inizio mosso da una reale curiosità, e poi, dalla pura e semplice paura di uscire dal bagno e affrontare Kibum.


Il problema era che non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi. Lui e Kibum erano degli sconosciuti: si erano incontrati per caso e, altrettanto casualmente, erano finiti a letto assieme. Se si aggiungeva pure il non trascurabile dettaglio che fossero entrambi ubriachi, allora ogni minima sicurezza nella sua mente svaniva. Jonghyun temeva che al momento del suo risveglio, Kibum realizzasse di aver fatto una cazzata. Che si pentisse, si sentisse imbarazzato o peggio offeso. Non avrebbe potuto sopportarlo, perché a lui, malgrado tutto, quell'esperienza era piaciuta davvero, e non solo a livello fisico. Anche se ebbro, si era sentito coinvolto nella cosa, tanto da avvertire le vertigini.


Accarezzare le cosce nude di Kibum, depositare baci e morsi sulla sua pelle liscia, vedere le sue labbra rosse schiudersi e sentire il rumore dei suoi gemiti. Come avrebbe mai potuto pentirsi di una cosa del genere? Ancora non gli sembrava reale di essere stato così incredibilmente fortunato.


Eppure, per l'altro poteva non essere stata la stessa cosa. Forse quello che per Jonghyun era stato fantastico, eccezionale e bellissimo, a lui era risultato scialbo, patetico, scomodo. Certo, al momento dell'atto Kibum sembrava essersi divertito parecchio, ma forse con la mente del tutto sobria e un po' più di razionalità, si sarebbe reso conto di aver commesso un madornale “errore”.


Jonghyun era spaventato da questa eventualità. Per lui aveva davvero significato qualcosa – anche se al momento non gli era ben chiaro cosa – e sperava con tutto sé stesso che anche per Kibum fosse stato lo stesso. In ogni caso, rifugiarsi in bagno non gli avrebbe fatto scoprire cosa il destino aveva in serbo per lui. Prese un respiro profondo e decise di tornare a letto (l'idea di andarsene nella sua stanza non aveva nemmeno sfiorato i suoi pensieri; se voleva fare bella impressione, di certo non poteva andarsene senza dire nulla dopo aver passato una notte assieme).


Kibum sembrava essere ancora profondamente addormentato. Il suo viso era appoggiato contro il cuscino bianco, contornato dai suoi capelli biondi e scompigliati. Le sue spalle nude erano macchiate da tanti piccoli segni rossi e Jonghyun non poteva fare a meno di sentirsi un po' orgoglioso di averli piazzati proprio lui, lì. Dalla vita in giù era coperto dalle lenzuola leggere, che delineavano la curva del suo bacino e le sue gambe magre. Era un piccolo spettacolo. Sedendosi contro il materasso, Jonghyun si trovò a pensare che, se avesse potuto, sarebbe stato a guardarlo per sempre.


Allungò una mano verso il suo profilo e lo accarezzò, passando le nocche contro la sua guancia. Non aveva fatto caso a quanto la sua pelle fosse liscia. Certo, lo aveva notato distrattamente, ma non si era reso conto di quanto davvero fosse piacevole toccarla anche senza nulla di sessuale coinvolto. Si chinò quanto bastasse per lasciare un bacio leggero sul suo zigomo e poi si rimise seduto, meditando su cosa potesse fare per ingannare il tempo nell'attesa che Kibum si svegliasse da sé.


Afferrò il proprio cellulare e aprì le note, creò un nuovo documento e socchiuse gli occhi, cercando di concentrarsi su una melodia che aveva avuto in mente per tutto il tempo mentre volava sull'aereo. Mimò mutamente con le labbra delle parole e poi lasciò che le sue dita prendessero il controllo, scrivendo rapidamente dei versi. Non era nulla di complicato, ma sentiva che qualcosa si stava accendendo da qualche parte dentro di lui. Forse Kibum aveva avuto ragione: per tutto quel tempo aveva cercato l'ispirazione nelle cose sbagliate, era arrivato il momento di cercarla altrove.


Riuscì a scrivere per un po' prima di sentire l'altro mugugnare e muoversi pigramente tra le lenzuola. Bloccò lo schermo del cellulare e guardò Kibum sorridendo, mentre l'altro iniziava lentamente a svegliarsi. Emise uno sbadiglio e si sfregò gli occhi prima di aprirli, e quando lo fece, guardò Jonghyun con la fronte corrucciata per qualche attimo prima di emettere, quasi sotto voce un «Ah... Giusto.»


Jonghyun non seppe dire se fosse un brutto segno oppure no. «Dormito bene?» domandò quindi, tesissimo.


Kibum annuì e si tirò seduto, grattandosi distrattamente trai capelli. «Che ore sono?» chiese poi, fissando con gli occhi semi chiusi un punto casuale davanti a lui. Jonghyun controllò e poi rispose «Le dieci e mezza. Ancora trenta minuti e poi dovremo lasciare la camera, o faranno storie.»


«Hai già fatto la doccia?» domandò di nuovo, tirando indietro le lenzuola e scendendo dal letto. Jonghyun cercò di non pensare al fatto che fosse nudo e che avessero fatto sesso, di non concentrarsi sui succhiotti e morsi sulla sua pelle, insomma, fece il suo meglio per non eccedere e finire con l'eccitarsi, ma era tremendamente difficile da non fare.


«N-No.» disse, con la gola improvvisamente secca.


Kibum tirò le labbra in un piccolo sorriso furbo, il primo da quando si era svegliato. «Se è così, facciamola assieme.»


■□■□■


Era un problema, un problema molto grave – pensò Jonghyun mentre si affrettava a mettere tutte le cose di cui aveva bisogno nella sua tracolla. Non poteva proprio essere che lui, Kim Jonghyun, dopo anni passati a vivere tutto in maniera passiva e critica, si ritrovasse coinvolto da sentimenti nati dal nulla. Conosceva Kibum solo da tre giorni, eppure, quello che sentiva dentro lo stomaco quando lo guardava era tanto intenso da mandarlo in palla.


Era quello che le persone chiamavano “amore a prima vista”? Non voleva crederci che fosse successo proprio a lui, proprio ora, in quelle circostanze tanto avverse. Solo due giorni e sarebbe stato su un aereo per Seoul, solo due giorni e tutti quei sentimenti gli si sarebbero attorcigliati così tanto allo stomaco da farlo boccheggiare. Tutta quella storia l'avrebbe ucciso, lo sapeva, eppure...


«Jonghyun, sbrigati se vuoi davvero che facciamo colazione assieme!»


«Sono pronto, sono pronto!» ridacchiò Jonghyun.


Qualsiasi cosa fosse, ci avrebbe pensato dopo. Aveva troppo poco tempo per sprecarne anche solo un attimo in più: si sarebbe goduto ogni momento con Kibum fino alla fine. Solo poi si sarebbe permesso di preoccuparsene.


■□■□■

Se proprio doveva essere sincero, Taemin si sentiva profondamente infastidito. Era conscio del fatto di non avere più nessun ascendente su Jonghyun (se mai ne aveva avuto uno), e sapeva anche chiaramente che l'altro non era interessato ad una storia con lui (il vocalist glielo aveva fatto capire senza troppi mezzi termini), ma gli sembrava troppo che si presentasse davanti a loro, ad un pranzo privato con la loro band, assieme a quel tipo biondo. Non serviva resuscitare Sherlock Holmes per capire che tra quei due c'era stato qualcosa: Jonghyun aveva il classico sorriso stupido che si formava sulle sue labbra quando era molto felice, e Taemin conosceva l'altro abbastanza bene da sapere che tanta felicità poteva essere dovuta a poche cose, e tra queste, c'era l'orgasmo. Senza contare i marchio dall'aspetto fresco sul collo dell'altro, che rossi ciliegia uscivano senza vergogna dai bordi della sciarpa marroncina che il ragazzo indossava. Taemin non lo conosceva, quello là, ma già gli stava pesantemente sul cazzo.


Affondò il cucchiaio nella sua zuppa con poca eleganza, sbuffando sonoramente. Non stava ascoltando nemmeno una parola di quello che gli altri blateravano, la sua mente era distante da quella realtà. Minho rise forte per una battuta di Onew e il biondo bevve una lunga sorsata di vino rosso. Jonghyun, al suo fianco, non riusciva a staccare gli occhi dalle sue labbra a forma di cuore. Era odioso.


«Così» iniziò Taemin, ignaro di che discorso stesse interrompendo. «tu non vivi più in Corea del Sud, giuro?»


Kibum annuì un paio di volte. «Forse in futuro tornerò, ma per il momento ho cose da sbrigare qui.»


Taemin sorrise. Bene. Almeno non si sarebbero dovuti portare dietro un souvenir indesiderato, il che era una buona cosa. Che si divertisse, Jonghyun, che scopasse in giro e facesse quel che desiderava, la cosa importante era che non la cosa non si protraesse oltre. Lo voleva dannatamente tanto, un posto nel cuore del cantante. Voleva che lo amasse almeno un po', che gli riservasse dei sentimenti destinati solo a lui e a nessun altro. Lo pensava con insistenza, ripetendolo nella sua mente come un mantra, mentre le dita di Jonghyun si intrecciavano, sotto il tavolo, nella mano di Kibum. Taemin riusciva a vederlo dal posto in cui era seduto, ma preferiva far finta di non starlo facendo, preferiva darsi delle scuse. Una qualsiasi sarebbe andata bene: tutto, meno che ammettere che lui, nel cuore di Jonghyun, non ci aveva proprio mai messo piede.


C'erano momenti nelle sue giornate in cui questo pensiero, questa ombra che voleva ignorare con tutto sé stesso, diventava così opprimente da buttarlo al suolo. In quegli attimi, sentiva il bisogno di allontanarsi da tutti, chiudersi in bagno e mettersi a piangere, stringere forte la ceramica del lavandino sotto i polpastrelli fino a farmi diventare bianchi, quasi urlare, per il dolore e il senso di ingiustizia che provava. Come era possibile essere così profondamente innamorati, senza però ricevere nulla in cambio? Non si era mai vista in nessuna storia d'amore, una cosa del genere. E forse il problema era quello. Tra lui e Jonghyun non c'era una storia, non c'era mai stato nessun sentimento che andasse oltre a due corpi che si toccano e scoprono. Era tutta stata una bella illusione, ma ormai, era del tutto finita.


Minho si alzò dal tavolo, rompendo il flusso impazzito dei suoi pensieri, e lo guardò con la sua aria seria e severa che Taemin non sarebbe mai riuscito a decifrare. Minho era difficile da leggere, era quasi impossibile capire con certezza cosa stesse pensando, quali emozioni provasse. Minho era un azzardo. «Taemin, vieni con me» disse un po' bruscamente, prima di afferrarlo per un polso e trascinarlo fuori dal locale, sotto lo sguardo stupefatto di tutti.


«Si può sapere che accidenti ti è preso?!»


«Si può sapere cosa stai cercando di fare tu, invece?! Non sarà mangiandoti il fegato e soffrendo in quel modo, che cambierai le cose!» Minho sembrava furibondo e Taemin proprio non riusciva a capirne il perché. Cosa c'entrava lui in tutto quello? Non aveva nemmeno il diritto di starci male, se si sentiva nelle condizioni di farlo? Taemin lo guardava, mentre Minho scuoteva la testa e spostava lo sguardo altrove, pieno di disappunto e con chissà quante parole e borbottii che non vedevano l'ora di uscire dalla sua bocca, ma che rimanevano lì, per qualche motivo, incastrati tra le sue labbra.


«Hyung...»


«Se tra te e Jonghyun non ha funzionato, se lui ora si è trovato un'altra persona, allora non pensi che sia il caso di lasciar perdere? Cosa otterrai, così? Passeranno dieci anni prima che tu ti renda davvero conto che non c'è modo perché tu e Jonghyun finiate di nuovo assieme.»


«Non sono affari che ti riguardino, hyung! Cosa ti importa? E' la mia vita, e se voglio illudermici, piangere o chissà che altro, allora ho tutto il diritto di-»


«Taemin!» Minho, sorprendentemente, lo prese per le spalle e lo spinse piano contro il muro freddo del palazzo. «Smettila di fare l'idiota. Smettila di farti questo.»


«P-Perché?» domandò il ragazzo con la voce tremante, ma guardando Minho con tutta la sicurezza di cui era capace.


«Perché sei così cieco da non riuscire a vedere la possibilità di essere felice, nemmeno se ce l'hai davanti agli occhi!»


Taemin non capiva. Non capiva cosa Minho gli stesse dicendo, dove i suoi discorsi volessero andare a parare. Non vedeva la felicità di cui parlava l'amico, e dire che ci sperava con tutto sé stesso che così fosse: perché essere felice era l'unica cosa che gli importasse, al momento, ma esserlo davvero gli sembrava qualcosa di impossibile. A meno che Jonghyun, colpito da chissà quale mistica illuminazione, non si rendesse conto di essere innamorato di lui.


L'aria fredda sferzò i loro corpi con una ventata ed entrambi, simultaneamente, rabbrividirono.


«Non la vedo questa “felicità”. Non la vedo affatto.»


E fu mentre spostò lo sguardo altrove, su un cassonetto ribaltato nel quale un gatto zampettava alla ricerca di cibo, che notò con la coda dell'occhio i movimenti di Minho; accadde prima che potesse dire qualsiasi cosa, prima che potesse domandare, stupirsi o semplicemente realizzarlo.


E per un attimo, quasi gli sembrò di vederla davvero la felicità.

■□■□■


«Non che mi aspettassi una cerimonia di ben venuto o cosa, ma ecco... I tuoi amici non mi sembravano particolarmente entusiasti di avermi conosciuto.»


Jonghyun fece un tiro dalla propria sigaretta e rilassò le spalle, prima di lasciare che il fumo condensato abbandonasse le sue labbra. Dopo aver fatto colazione tutti assieme, lui e Kibum avevano deciso di approfittare della bella giornata per farsi un giro della città. Kibum del resto la conosceva più che bene, trovandosi spesso lì per lavoro, e Jonghyun poteva essere solo felice di avere l'occasione di sfruttare il poco tempo che aveva a disposizione per conoscere meglio l'altro e fare chiarezza su quello che stava cominciando a provare per lui.


Non sapeva quanto potesse spingersi oltre, quante cose della sua vita raccontare e quante tenerne nascoste, ma in fondo sapeva che, nel dubbio, essere sinceri era sempre la cosa migliore. «Credo che il problema principale non sia tu, ma Taemin ed io. Sai, per un periodo ci siamo frequentati, quindi ora...»


«Scommetto che le cose sono un po' tese, non è così?» Kibum sembrava incuriosito in maniera genuina, e la cosa rilassava molto Jonghyun. Era felice che l'altro non gli facesse il terzo grado e non gli parlasse come se fremesse dal desiderio di sapere ogni cosa.


«Penso sia normale in un gruppo di amici... Se due stanno per un po' assieme e poi smettono di colpo, la situazione traballa parecchio. Se poi qualcuno inizia ad uscire con un altro, allora iniziano ad avere paura che uno dei due ne faccia qualche dramma.»


«Non deve essere facile stare in una band, bisogna sempre preoccuparsi di troppe cose» rifletté Kibum. «Però devo ammettere che non ci sarei arrivato a questa cosa, insomma, il tuo … “amico” sembra essersi ripreso abbastanza velocemente?»


Jonghyun prese un altro tiro dalla sua sigaretta. «In che senso?»


«Prima, quando ho ricevuto una chiamata al cellulare e mi sono allontanato dal tavolo... Ecco, ero abbastanza sicuro di aver intravisto lui e il ragazzo alto e moro – Minho? Si chiamava così? - baciarsi. Forse non se l'è presa tanto quanto ti vuole far pensare!» ridacchiò, ma il cervello di Jonghyun si era completamente inceppato.


Si fermò, con gli occhi sgranati e un'espressione scioccata sul volto.


Taemin e Minho...


«Cosa?!»


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Capitolo 4
*** Quarto giorno ***


 

Cinque giorni. [4/5]

Era già la seconda volta che Jonghyun si svegliava nella camera da letto di Kim Kibum dopo aver passato la notte assieme a lui, ma questa volta il biondo non c'era ad aspettarlo dall'altro lato del letto. La sera prima gli aveva detto che sarebbe stato impegnato per tutta la mattinata per via di alcune cose che avevano a che fare con il lavoro, ma si sentiva un po' deluso del fatto che non si fosse preoccupato di svegliarlo per salutarlo, prima di andarsene.

 

Probabilmente però la sua delusione – e più in generale, il suo malumore – non era dovuto solo a quello. Nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi, Jonghyun aveva capito con esattezza che sarebbe stata una giornata particolarmente orribile. Tutto sembrava andare storto e non riusciva a vedere nulla di negativo in quella situazione. Era il suo penultimo giorno in quel posto, il che significava che le ore che lui e Kibum avevano a disposizione per stare assieme stavano velocemente giungendo al termine. Si erano appena incontrati, avvicinati e – almeno, da parte di Jonghyun – innamorati, e già dovevano dirsi addio. La sola idea di quello che sarebbe avvenuto il giorno dopo stringeva così forte il cuore di Jonghyun da farlo boccheggiare.

 

E, come se non fosse già sufficientemente preoccupato dall'imminente addio con quello che con ogni probabilità era l'amore della sua vita, si era messa in mezzo anche la pseudo crisi di identità dovuta a Minho e Taemin. Da quando Kibum gli aveva detto ciò che aveva visto, Jonghyun non aveva mai smesso di domandarsi quanto poco in realtà conoscesse i suoi due amici. Pensava di sapere tutto di loro, di conoscerli come le proprie tasche, e ora, all'improvviso, scoppiava una bomba del genere. Jonghyun non sapeva cosa pensare.

 

Aveva sempre saputo della sessualità di Taemin – ovviamente -, ma di Minho non aveva mai sospettato, nemmeno per un istante. Sapeva che aveva avuto diverse ragazze durante le scuole superiori e che di recente era uscito da una storia importante con una ragazza che durava da quasi due anni, per cui non gli era mai passato per la testa che potesse avere anche altri interessi. Soprattutto, non Taemin. Loro due erano amici da sempre, si erano avvicinati molto negli ultimi tempi, ma non aveva mai visto la cosa con in quell'ottica. Era possibile che conoscesse davvero così poco i suoi amici? Che non si fosse mai accorto di nulla? Si sentiva frustrato.

 

Si alzò dal letto controvoglia, sbadigliando sonoramente e raccattando la propria biancheria da terra, prima di andare verso il bagno e decidere di staccare la mente da ogni pensiero per una mezz'oretta buona, il tempo che gli serviva per farsi una bella doccia e riordinarsi le idee. In quel momento gli sembrava che la propria vita si stesse rivoluzionando, eppure non stava accadendo proprio un accidente. Sarebbe tornato a Seoul e tutto sarebbe stato esattamente come quando era partito: questo lo spaventava.

 

Quando ebbe finito di lavarsi e dopo essersi vestito, scese nella hall dell'hotel e camminò verso il punto di ritrovo che aveva stabilito con gli altri. Dato che Kibum quella mattina non c'era, l'unica alternativa possibile allo starsene in camera a vegetare e deprimersi era quella di uscire a fare un giro per la città con gli altri. Avrebbe fatto shopping e comprato qualche souvenir e cartolina per la famiglia, mangiato qualcosa assieme e parlato della band, ma Jonghyun non sapeva se la cosa avrebbe funzionato davvero.

 

Non sapeva come avrebbe reagito guardando in faccia Minho e Taemin, come si sarebbe sentito sapendo che gli stavano nascondendo qualcosa, che si comportavano come se nulla fosse, ma in realtà gli mentivano in continuazione. Era questo che lo faceva stare male, solo e unicamente questo. Se glielo avessero detto avrebbe capito, forse li avrebbe addirittura supportati in questa cosa, ma il fatto che lo tenessero all'oscuro di tutto lo faceva imbestialire. Lui non ci sarebbe riuscito.

 

«Hyung!»

 

La piazza principale era gremita di gente e turisti come al suo solito, eppure sentì chiaramente la voce di Taemin chiamarlo dal bel mezzo della folla. Si diresse nella direzione dalla quale aveva sentito provenire la voce e trovò gli altri che evidentemente lo stavano aspettando già da un po'. «Che problema hai con la puntualità, tu?» domandò Jinki un po' stizzito. Jonghyun non rispose nulla, si limitò ad alzare le spalle. Trovarsi lì, davanti a loro, gli aveva fatto passare la voglia di parlare.

 

«Che faccia abbattuta, Kibum questa notte si è messo in sciopero?» scherzò Minho, ma Jonghyun non trovò lo scherzo affatto divertente. Lo fulminò con lo sguardo in modo del tutto automatico e vide Minho stupirsi nel ricevere un'occhiata così tetra. «E tu, invece? Immagino che ti sia divertito parecchio. Perché non ce ne parli?»

 

Jinki e Taemin, che avevano iniziato a parlottare poco prima di dove andare a pranzare, di colpo tacquero. Minho fece un'espressione confusa e smarrita. «Di che parli?» riuscì solo a domandare e Jonghyun combatté per un paio di secondi con sé stesso. Non sapeva se era il caso di parlare o meno, se doveva tirare fuori tutto subito o attendere che loro avessero l'occasione di chiarirsi. Poi pensò che era ingiusto tutto quello, che loro avrebbero avuto lo stesso tutto il tempo che volevano per qualsiasi cosa avessero o non avessero, mentre lui di tempo non ne aveva, non ne aveva affatto, e anche se questo ragionamento non era del tutto logico o maturo, decise che era il caso di parlare, perché farlo lo avrebbe fatto sentire meglio. «Tu e Taemin dovreste sapere bene di che parlo, non è così?»

 

Taemin sgranò gli occhi e aprì la bocca per dire qualcosa, ma Jonghyun lo interruppe subito. «Congratulazioni, comunque. Grazie mille per avermelo fatto sapere!» sorrise in modo fintissimo e poi, rivolto a Taemin, fece «E hai avuto anche il coraggio di trattare male Kibum come se ti desse davvero fastidio il nostro rapporto. Ti diverte giocare con le persone? Volevi che io mi sentissi in colpa e che Kibum si sentisse di troppo, e poi alla prima occasione infilare la lingua nella bocca di Minho?»

 

Non gli importava di rovinare tutto, di superare il limite, di mandare a fanculo le cose. In quel momento, ogni sua parola gli sembrava giusta. Qualsiasi riflessione, film mentale o pensiero gli stessero passando per la testa, erano quelli giusti, perfetti, inscindibili. Non c'era possibilità di errore. Era così e basta, e non gli importava nemmeno se magari non era vero. «Dovreste ringraziarmi, ora non dovete più nascondervi! Tante felicitazioni di nuovo, e andatevene al diavolo!» e con quella imprecazione finale, Jonghyun tirò dritto in mezzo alla piazza, camminando a passo veloce. Avrebbe voluto prendere a pugni qualcuno o qualcosa solo per sfogare tutta la rabbia che sentiva dentro. Tutta la frustrazione, la tristezza, il dolore. Lo sapeva che non era per Minho e Taemin. Sapeva che era una scusa, un appiglio. Lo sapeva che se stava così male, che se era così velenoso e arrabbiato, era solo perché stava finendo. Ogni secondo che passava si avvicinava sempre di più la fine e lui non poteva farci nulla.

 

Si sentiva impotente, inutile e abbattuto.

 

«Yah! Hyung!» Taemin lo aveva raggiunto e preso per un polso. Se Jonghyun fosse stato davvero furibondo come credeva di essere, allora probabilmente si sarebbe divincolato e lo avrebbe intimato a lasciarlo in pace, ma si sentiva troppo stanco persino per combattere. Si fermò e decise di ascoltare qualsiasi cosa l'altro avesse da dirgli. «Sei impazzito, sei impazzito! Che stavi dicendo prima su me e Minho?! Qualsiasi cosa tu ti sia messo in testa, ti giuro che-»

 

«Che cosa?» domandò Jonghyun, ma poi gli passò per la testa una domanda: davvero mi importa? Era così importante per lui che Taemin e Minho stessero assieme? Probabilmente no. In qualsiasi altra circostanza non gliene sarebbe importato. Solo ora se ne rendeva conto: aveva fatto una cazzata solo perché voleva sentirsi meglio. Arrabbiarsi con qualcun altro era un modo facile per smettere di pensare a quanto in realtà fosse arrabbiato con sé stesso. «Anzi, senti, mi dispiace. Davvero, non erano affari miei e non avevo il diritto di sputtanare la cosa se voi non avevate intenzione di dirlo. Sono stato un coglione. Sappi solo che non mi interessa, tu e Minho per quanto mi riguarda potete anche convolare a nozze. Solo una cosa: ora lasciatemi solo. Voglio essere lasciato in pace.»

 

▪▫▪▫

 

Con ogni probabilità, quella era l'idea più folle, pazza e assurda che gli fosse mai venuta in tutta la sua vita, eppure anche se ne era consapevole non riusciva in alcun modo a scacciarla via. In confronto l'aver fatto una scenata in mezzo ad una piazza, poco prima, era una cosa normale e tranquilla, ma Jonghyun non importava. Non aveva niente da perdere del resto, quindi tanto valeva giocarsi il tutto per tutto. Alle undici del giorno dopo sarebbe stato seduto su un sedile scomodo di un aereo in partenza per la Corea del Sud, il che significava che mancavano meno di venti ore al suo addio con Kibum, alla fine di quell'avventura, storia o qualsiasi cosa potesse essere definitiva. Non c'era motivo per aver paura di qualcos'altro, dal momento che quella situazione, già di per sé, lo terrorizzava come mai nulla prima di allora.

 

Poteva permettersi il lusso di esagerare.

 

Per questo, contrariamente ad ogni logica e buon senso, aveva deciso di andare a trovare Kibum sul lavoro. Gli aveva accennato dove si trovasse il posto in cui lavorava e grazie al GPS istallato sul suo cellulare era riuscito a trovarlo. Era entrato nel grande grattacielo e aveva chiesto di lui usando tutte le poche parole di inglese che conosceva e, alla fine, aveva scoperto che il suo ufficio si trovava al settimo piano. Jonghyun era entrato nell'ascensore e aveva premuto il pulsante con una bizzarra agitazione in corpo. Si sentiva come se da quello dipendesse tutta la sua vita. Mentre l'ascensore saliva piano dopo piano su per il grattacielo, Jonghyun pensava sempre più intensamente che l'altro lo avrebbe ucciso per aver fatto una cosa del genere, ma ne sarebbe valsa la pena. Doveva dirglielo e doveva farlo ora. Doveva.

 

Con un “dling” le porte metalliche si aprirono e il suo cuore cominciò a battere molto più veloce del normale. Coraggio, Kim Jonghyun, puoi farcela. Camminò lungo il corridoio e lesse ogni targhetta sulle porte di ogni ufficio e quando finalmente trovò quella sulla quale era inciso “Kim Kibum”, si fermò. Tutta la fretta era sparita, tutte le sue intenzioni se n'erano andate via con essa. Mentre se ne stava in piedi davanti alla porta, si rese conto che forse era una cazzata troppo grande persino per lui. Kibum stava lavorando, non aveva sicuramente tempo per le sue cazzate. Jonghyun prese un respiro profondo, cercando di darsi coraggio. Lui di tempo ne aveva ancora di meno.

 

Bussò contro la superficie lignea e quando sentì provenire un «avanti!» dall'altra parte della porta, fu davvero tentato di darsela a gambe levate. Ma non lo fece. Scappare non avrebbe avuto senso. Posò la mano contro il pomello e lo girò, entrando nell'ufficio in cui Kibum lavorava. Era una stanza piccola e luminosa, alle pareti erano appese un sacco di fotografie e disegni. C'era una scrivania standard e una reclinabile, come quelle che aveva visto tanto tempo prima in uno studio di architettura. Kibum era di spalle e indossava una camicia bianca e dei pantaloni neri. Era estremamente elegante e bello. Jonghyun era senza parole e, quando Kibum si voltò e lo trovò sulla porta, rimase senza parole anche lui.

 

«Che... Che ci fai qui, tu?» domandò stupito.

 

«Io...» Jonghyun era nel panico. Non era mai stato così spaventato in tutta la sua vita. Cosa ci faceva lui, lì? Non lo sapeva con esattezza, l'unica cosa di cui era a conoscenza era che era la cosa giusta da fare. Sapeva che era stato bellissimo trascorrere quei giorni assieme, sapeva che non esisteva niente al mondo di più bello del suo sorriso, che gli sarebbe mancato tutto di lui, ogni piccola cosa, e che la sola idea di dirgli addio lo faceva sprofondare nella tristezza. Sapeva di amare le sue labbra, il taglio dei suoi occhi, il suo collo, la forma delle sue spalle. Amava tutto di lui. Amava lui e basta. «Kibum» e senza che potesse controllarsi, si ritrovò con il viso rosso dall'imbarazzo e gli occhi umidi. Stava facendo la figura del coglione, ma non poteva controllarlo.

 

«Oddio, è successo qualcosa?! Stai bene, stanno tutti bene?» fece Kibum preoccupato, avvicinandosi a lui e posando le mani sulle sue spalle, scuotendolo piano. «Non farmi preoccupare, Jonghyun!»

 

«Ti amo.» sussurrò Jonghyun e la sua voce suonò come quella di un bambino che chiede scusa ai genitori dopo aver combinato un danno. Kibum rimase in silenzio, guardandolo con l'espressione più scioccata che avesse mai attraversato il suo volto. «C-Cosa...?»

 

«E' assurdo, lo so! Accidenti, Kibum. Accidenti! Io domani parto per la Corea e mi sono fottutamente innamorato di te! Questo non è giusto.» Jonghyun si premette le mani sul viso ed emise un verso frustrato. «Perché non mi sono mai innamorato davvero e succede proprio adesso che la cosa è impossibile?! Ci conosciamo da quattro giorno e – oddio, questo è davvero insensato. Non ha senso, non lo ha! Mi disp-» il suo fiume di parole venne interrotto da un bacio da parte di Kibum, breve, ma estremamente dolce. Quando le loro labbra si separarono Kibum lo strinse forte, affondando il viso nell'incavo tra il collo e la spalla.

 

«Jonghyun...» il tono di voce di Kibum era basso, tanto che quasi Jonghyun non lo sentì. Le mani di Kibum accarezzarono le spalle di Jonghyun, che poteva sentire con chiarezza il cuore del biondo battere contro il suo petto. «Sei uno stupido. Il più grande stupido di sempre» Jonghyun non poté trattenere un sorriso. Si avvicinò alle labbra di Kibum e lo baciò di nuovo, dolcemente. Non sapeva perché, ma solo averlo ammesso lo faceva sentire molto meglio.

 

Kibum approfondì il bacio e attrasse Jonghyun maggiormente a sé, indietreggiando fino a sedersi sulla sua scrivania. Il moro fu sorpreso dal gesto, ma non se ne lamentò, continuando a baciare profondamente l'altro, accarezzandogli i fianchi con le mani e alzando un po' la sua camicia, sfiorando la sua pelle liscia. «E se qualcuno venisse...?» domandò qualche istante dopo, staccandosi dal bacio quasi senza fiato.

 

«Non verrà nessuno, ma nel caso qualcuno lo facesse... Farà meglio a bussare» ridacchiò Kibum, dando un piccolo morsetto al collo di Jonghyun e affondando le dita trai suoi capelli. Jonghyun socchiude gli occhi e lasciò che i suoi polpastrelli vagassero sulla schiena di Kibum, facendo rabbrividire l'altro. Slacciò la sua camicia bottone dopo bottone, fino a sfilargliela e farla cadere a terra. «E' la prima volta che faccio una cosa del genere in ufficio» confessò il biondo un po' imbarazzato.

 

«Meglio così.» fece Jonghyun posando un bacio sotto il suo orecchio. «Vorrà dire che da domani, ogni volta che entrerai qui dentro penserai a me.»

 

«Questo è un guaio» Kibum inclinò il collo all'indietro, mentre Jonghyun lasciava sopra di esso una scia di baci umidi. «Perché già penso a te tutto il tempo. Davvero

 

Jonghyun sorrise e schiuse le labbra, lasciando che la punta della sua lingua leccasse piano la pelle dell'altro. Gli sarebbe mancato il suo sapore, il suo calore, il suono della sua voce. Gli sarebbe mancato tutto di lui, ogni piccola cosa. Se avesse potuto lo avrebbe portato via con sé senza pensarci due volte, ma le persone erano strane. Erano abbastanza coraggiose da dire di amarsi, da fare sesso assieme, ma non abbastanza da fare il possibile per restare assieme. Davanti a un possibile abbandono, le persone diventano deboli e impotenti. Era così che, da quando aveva visto per la prima volta Kibum, Jonghyun si era sentito.

 

▪▫▪▫▪

 

Si era ingenuamente aspettato di ricevere una dichiarazione d'amore in risposta alla sua, ma questo non era avvenuto. Dopo aver fatto sesso – l'amore, per quanto riguardava – assieme a Kibum nel suo ufficio, erano rimasti assieme per tutto il pomeriggio, parlando del più e del meno. Kibum aveva evitato l'argomento “partenza” e l'argomento “sentimenti” in modo abile e preciso, lasciando ben intendere a Jonghyun che non aveva intenzione di discuterne. Questo un po' lo aveva ferito, ma poteva capirlo. Non tutti erano così disperati da lasciarsi travolgere da sentimenti così grandi in così poco tempo: alla maggior parte delle persone serviva del tempo e, si ritrovò a pensare di nuovo, loro di tempo non ne avevano mai avuto.

 

Jonghyun chiuse la sua valigia e ci si sedette sopra. Era così che si era sentito Taemin per tutto il tempo in cui erano stati assieme? Essere amati, ma non ricambiati era qualcosa di demoralizzante, aveva scoperto Jonghyun. Si sentiva così piccolo e vuoto nella sua stanza, così teso e agitato all'idea che a una parete di distanza ci fosse Kibum. Eppure, non si sentiva ancora pronto per andare di là. Sapeva che quando lo avrebbe fatto, allora sarebbe cominciato il loro addio. Cosa sarebbe successo? Jonghyun se lo domandava insistentemente, ma non poteva dire di non saperlo già: avrebbero fatto sesso, di nuovo, così tanto da dimenticare tutto per un po', e poi, esausti, si sarebbero addormentati uno tra le braccia dell'altro.

 

Il sole sarebbe sorto troppo presto per i suoi gusti, Kibum sarebbe stato addormentato affianco a lui. Si sarebbe vestito e lavato, lo avrebbe svegliato e poi... Poi sarebbe arrivato il momento di farlo. Di salutarlo, di dirgli addio. Jonghyun temeva quel momento perché non aveva mai vissuto un'esperienza simile in tutta la sua vita e non sapeva come gestirla. Avrebbe pianto? Sperava di no, perché sarebbe stato imbarazzante. Eppure, ora, sentiva un così forte bisogno di piangere da confonderlo. Probabilmente avrebbe pianto davvero e Kibum avrebbe riso di lui, ma non in modo offensivo, in modo carino, imbarazzandosi. Gli avrebbe detto che le cose sarebbero andate bene.

 

O forse, non gli avrebbe detto proprio nulla. Forse Jonghyun si sarebbe svegliato e Kibum non ci sarebbe stato. O forse, sarebbe stato Kibum a svegliarlo, ricordandogli che se non si sarebbe mosso gli altri sarebbero partiti senza di lui.

 

Jonghyun affondò il viso nei palmi delle sue mani, sospirando forte. Perché doveva essere così difficile? Perché doveva torturarsi così?

 

Per un attimo, uno solo, pensò che sarebbe stato meglio non partire affatto. Kibum era la cosa più bella che gli fosse mai capitata, ma che importanza aveva se non era destinato a durare? Quei sentimenti così forti, quell'amore, si sarebbe assopito lasciandogli l'amaro in bocca per diverso tempo prima di svanire del tutto.

 

Qualcuno bussò alla sua porta e Jonghyun sentì il cuore stringerglisi nel petto. «Chi è?» domandò in coreano.

 

In fondo, sapeva già chi c'era dall'altra parte.

 

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Capitolo 5
*** Quinto giorno ***


 

Cinque giorni. [5/5] - Epilogo

Jonghyun desiderò con tutto sé stesso che non si trattasse della sua vita, ma di una rocambolesca e appassionata storia d'amore, come quelle di cui erano piene i libri harmony di sua madre. Una di quelle in cui era normale che il protagonista, il giorno dell'addio e della partenza, venisse fermato dalla persona amata che in lacrime gli avrebbe chiesto di restare, con la consapevolezza di starsi imbarcando in una dolce follia.

 

Jonghyun non voleva voltarsi, camminava dritto e metteva un piede davanti all'altro meccanicamente. Le cuffie infilate nelle orecchie riproducevano una vecchia canzone rock, mentre la visiera del suo cappello gli teneva saldamente fermo il ciuffo. Forse non si girava solo per non rompere la sua speranza, perché voleva illudersi fino alla fine che Kibum fosse qualche metro dietro di lui e che presto, prestissimo, da un secondo all'altro, lo avrebbe chiamato e gli avrebbe chiesto di restare, abbracciandolo e baciandolo, con gli occhi lucidi per l'emozione.

 

Jonghyun emise un sospiro tremolante, perché era un'assurdità, ma se fosse avvenuto, allora accidenti se sarebbe restato. Sarebbe restato anche tutta la vita in quel posto assurdo, in cui non capiva la lingua e non aveva futuro, solo perché proprio in quella città straniera aveva trovato la sua ragione di esistere. E forse era romantico, sdolcinato, mieloso e patetico, ma Jonghyun lo sapeva che non gli sarebbe capitato mai più di incontrare una persona come Kibum, qualcuno che riuscisse a farlo sentire allo stesso modo, che gli facesse provare quelle emozioni che gli avevano fatto traboccare il cuore. Kibum era la persona perfetta per lui, la sua metà, la sua musa, e lo aveva capito in cinque giorni, per puro caso, a chissà quanti chilometri di distanza da casa sua.

 

Era un'ingiustizia, uno scherzo più che crudele del destino.

 

«Jonghyun, tutto okay?» domandò Jinki mettendogli una mano sulla spalla e Jonghyun tirò le labbra in un sorriso sforzato, privo di gioia o eccitazione per l'imminente viaggio di ritorno a casa. E pensare che sarebbe ripartito nel momento stesso in cui ci aveva messo piede per la prima volta, in quell'aeroporto, mentre ora il suo cuore, la sua anima, ogni cosa di lui desiderava ardentemente restare.

«Ti ha dato il suo numero, no? Sono certo che vi risentirete. Non devi abbatterti. Non è un vero e proprio addio.»

 

Come poteva essere altrimenti? Visto dagli occhi di Jonghyun, quello era un addio bello e buono. Forse durante i primi tempi avrebbero potuto chiamarsi, magari anche tutti i giorni, ma poi le chiamate sarebbero diventati messaggi, e i messaggi sarebbero diminuiti drasticamente nel corso del tempo. Le loro vite sarebbero cambiate, avrebbe conosciuto nuove persone, fatto nuove esperienze, e infine si sarebbero dimenticato l'uno dell'altro. Tutti i sentimenti che provava sarebbero svaniti presto e Jonghyun ne era consapevole, sebbene non lo volesse.

 

Era ingiusto.

 

Eppure, nonostante tutto, continuò a sperarci lo stesso. Ci sperò quando arrivato davanti agli uomini in divisa dei controlli, posò il suo borsone di pelle a tracolla a terra e gli consegnò il passaporto con il biglietto, ci sperò mentre passava il metal detector, e continuò a sperarci anche mentre il suo bagaglio a mano passava sotto i raggi. Ci sperò intensamente, con tutto sé stesso, finché anche gli altri non finirono e passarono i controlli. A quel punto, sperarci divenne davvero impossibile.

 

Jonghyun restò in silenzio per tutto il tempo dell'imbarco, non parlò nemmeno quando arrivò il momento di scegliere i posti ai quali sedersi. Qualsiasi cosa gli andava bene, tanto, se era fortunato avrebbe dormito per la metà del tempo e mangiato per la restante. Taemin e Minho, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, non si sedettero vicini. Minho affiancò Jonghyun, guardandolo con quella sua espressione preoccupata e corrucciata. Di solito a Jonghyun piaceva che Minho si preoccupasse per gli altri, ma in quel momento lo trovava irritante. Aveva il cuore a pezzi e voleva essere lasciato in pace, era chiedere troppo?

 

«Cosa vi siete detti, sta mattina?» Jonghyun sbuffò rumorosamente, esprimendo tutto il suo disappunto. Non aveva nessuna intenzione di parlarne, quelli erano affari suoi. E poi, non voleva rischiare di mettersi a piangere come un bambino su un aereo con così tanti coreani a bordo. Se fossero diventati famosi (e se lo aspettava, ci mancava solo che dopo un viaggio così sofferto per ottenere un po' di fama, fallissero miseramente!) allora non avrebbe mai voluto che qualcuno lassù lo riconoscesse e pensasse a lui come un frignone. Minho però sembrava deciso a farsi raccontare ogni cosa e Jonghyun non era mai stato particolarmente bravo a resistere a lungo. Sospirò, frustrato, e disse: «Mi ha detto se ero uno di quelli che soffre il mal d'aria. Mi ha detto di non preoccuparmi troppo, che volare al giorno d'oggi è molto più sicuro che viaggiare in auto. La Corea gli manca un sacco, sono fortunato a viverci. Mi ha detto che prima che io arrivassi, non aveva avuto molto spesso occasione di parlare la propria lingua, che gli mancava poter parlare con naturalezza, essere in mezzo alla sua gente.»

 

Jonghyun prese una pausa. «Gli ho chiesto di partire con me. Ho una casa, forse non un lavoro sicuro, ma se fosse venuto in Corea con me, allora me lo sarei cercato. Io ho sempre odiato la vita monotona da ufficio, lo sai, ma Minho... Credo davvero che lo avrei fatto per lui, lo sai? Avrei accettato di buon grado lo stare dietro a un computer per otto ore al giorno, se tornando a casa lo avessi trovato sul divano con una rivista in mano, a mangiare patatine con la televisione accesa. Sarei stato davvero felice.»

 

Minho non disse nulla per qualche istante. Non sapeva se era il caso di chiedere oltre, ma tirarsi indietro a quel punto sarebbe stata una scelta persino peggiore. «Lui cosa ti ha risposto?»

 

Jonghyun chiuse gli occhi e alzò le spalle. Era evidente che stesse cercando di trattenere dentro di sé tutti i sentimenti che stava provando. Minho avrebbe tanto voluto fare qualcosa per tirarlo su, ma non poteva. «Ha detto che non era giusto che rinunciassimo ai nostri sogni. Lui vuole ancora diventare uno stilista famoso, ha dedicato tutta la sua vita a questo e non vuole rinunciare. Ha detto addio alla sua famiglia e ai suoi amici per seguire questo obiettivo, è partito ed è andato dall'altra parte del mondo per realizzarlo. Non può abbandonare le cose a metà. La sua strada è quella, e secondo lui, la mia è a Seoul, su un palco. Dice che se ci metto passione, allora riuscirò in tutto quello che voglio. Non so se ha ragione.»

 

«Penso che ce l'abbia, su tutto. Sarebbe stato una follia partire e venire a Seoul. Ha sacrificato molto, non è così? Sarebbe stato egoistico da parte tua forzarlo a una cosa del genere. Soprattutto perché voi...» si morse il labbro, indeciso se continuare. «Non ti ho mai visto preso così da una persona e, sinceramente, non riesco a capire come sia potuto succede. Ti sei innamorato di un ragazzo in soli cinque giorni, Jonghyun. Come è possibile una cosa del genere?»

 

Jonghyun sospirò profondamente, affossando la testa tra le spalle. «Non lo so... Pensavo di fare del sesso occasionale e divertirmi, e invece ci sono rimasto sotto.»

 

«Mi dispiace tanto, hyung. Davvero.»

 

Jonghyun sorrise. «Non importa. Piuttosto, a me dispiace come ho trattato te e Taemin, ieri. Scusatemi. Ero invidioso e arrabbiato perché voi potete davvero farcela. Mi sentivo come se fosse una presa in giro, perché io non avevo alcuna possibilità, mentre voi sì. Se volete stare assieme, allora sappi che io approvo, capito?»

 

«Le cose sono un po' più complicate di così, in realtà.» Minho spostò lo sguardo davanti a sé. «Grazie, hyung.»

 

La hostess iniziò il suo discorso ai passeggeri, indicando le uscite di sicurezza e intimando tutti ad allacciarsi bene le cinture e spegnere i dispositivi elettronici. Jonghyun tirò fuori il suo cellulare e lo sbloccò, sorpreso di trovarci un nuovo messaggio, e ancora più sorpreso riconoscendo il mittente come Kibum. Lo aprì immediatamente, con il cuore che batteva forte nel petto. Era un messaggio corto, ma estremamente chiaro.

 

E comunque, ti amo anche io, stupido.

 

Jonghyun sorrise e non riuscì più a contenersi, cominciando a singhiozzare come un bambino. Minho si girò, allarmato. «H-Hyung?! Hyung va tutto bene?! Yah, Kim Jonghyun!»

 

Jonghyun si mise a ridere pur continuando a lacrimare e stringendo forte il cellulare nelle sue mani. Forse doveva sentirsi triste e depresso, ma ora, improvvisamente, stava bene.

 

Non era mai stato più felice di così in tutta la sua vita.

 

Ne era sicuro.

 

Quello non sarebbe stato un addio.

 

- FINE -

Ok, ok, fermatevi. Per favore, posate l'ascia di guerra e i forconi perché, nonostante qua sopra ci sia scritto “fine”, la storia non si conclude affatto qui.

Quando iniziai a scrivere questa fanfiction, l'avevo immaginata come una breve storia auto conclusiva, una oneshot, in pratica. Le cose però si dilungarono e capii che tenere tutto in un unico capitolo non era il caso, così decisi di suddividerla e creare una mini long fic. Circa al secondo capitolo però, avevo così tante idee nella testa da essermi resa conto che questa storia breve non potesse terminare in soli cinque capitoli, ma allo stesso tempo che quello che veniva dopo aveva ben poco a che vedere con la trama di “Cinque Giorni”, per tanto, vi chiedo di considerarla un lungo prologo. Ci sarà un seguito, al momento lo sto postando solo su AsianFanfiction con un titolo provvisorio e sono alla stesura del sesto capitolo. Non appena terminerò di scriverla la correggerò e pubblicherò anche qui, quindi per favore, siate pazienti!

Vi ringrazio di avermi seguita e sostenuta in questi mesi e spero che possiate farlo con piacere anche in futuro.

Un bacione,

A.

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