Up In The Sky di _Safyra (/viewuser.php?uid=171262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Attrazione fisica ***
Capitolo 3: *** Paura ***
Capitolo 4: *** Tensioni ***
Capitolo 5: *** Scoperte ***
Capitolo 6: *** Programmi ***
Capitolo 7: *** Dimostrazioni ***
Capitolo 8: *** Inizio ***
Capitolo 9: *** Imprevisti ***
Capitolo 10: *** Amiche ***
Capitolo 11: *** Scontri pericolosi ***
Capitolo 12: *** Domande ***
Capitolo 13: *** Litigi ***
Capitolo 14: *** Storie ***
Capitolo 15: *** Dolori ***
Capitolo 16: *** Rivelazioni ***
Capitolo 17: *** Forte abbastanza ***
Capitolo 18: *** Nell'incoscienza ***
Capitolo 19: *** Schieramenti ***
Capitolo 20: *** E' reale ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Era notte fonda.
Dietro le mie spalle il deserto era buio e silenzioso, al contrario della città che, illuminata dalle luci degli edifici, non si era ancora addormentata. Uscire dalle caverne mi metteva sempre di buon umore, eppure quella sera non ero molto entusiasta di respirare un po' d'aria fresca.
Forse stare lontano da Ian mi stava influenzando un po' troppo. Sorrisi fra me e me.
«Tutto bene?» mi chiese Melanie dopo aver preso posto accanto a me.
Il furgone non era mai stato più vuoto di quella notte: Kyle era fuori a fare la guardia; Ian, Jared, Aaron e Brandt erano andati a fare rifornimento nella città vicina, Tucson.
«Sì, grazie.»
Mel si portò le gambe al petto, rannicchiandosi vicino a me. Era ancora strano non vederla riflessa in uno specchio come l'avevo sempre guardata.
«Tieni.» disse, porgendomi una barretta di cioccolato.
Alzai un sopracciglio, guardandola confusa. Il cioccolato non era per i bambini?
«Prendilo, Wanda. Jamie ne ha abbastanza nella sua stanza.», ordinò prima di sogghignare al ricordo di suo fratello.
Non me lo feci ripetere due volte, così presi la barretta e l'aprii per dividerla con lei.
«Dovremmo darla anche a Kyle.», osservai mentre mi alzavo e raggiungevo il fondo del furgone. Mel ritornò a ridacchiare ed io scostai la tendina del retro per offrire un pezzo di cioccolato anche a lui.
«Da qualche parte ho letto che aiuta il cuore, il corpo e...»
«Aiuta anche a non addormentarsi in piedi alle tre di notte?» Kyle m'interruppe dopo aver preso il resto della barretta.
«Può darsi.»
Melanie ed io scoppiammo a ridere, spezzando quell'orribile silenzio che trasmetteva troppa pace e ansia. Poi, come un lampo a ciel sereno, accadde qualcosa.
Avevamo fatto una pausa più lunga del solito? Ci eravamo distratti troppo? No, certo che no. Ma ormai non potevamo farci più niente.
«Kyle, cosa...?» balbettò Melanie mentre entrambe ci sistemavamo nei sedili anteriori e cercavamo di scorgere o sentire qualcosa.
Due tonfi. Sordi. Precisi. Netti.
Pum. Pum.
«Degli spari! Qualcuno ha sparato!» sbottò Kyle. Salì a bordo, raggiungendo immediatamente la nostra postazione.
«Metti in moto, metti in moto!»
Altri spari e altri strani rumori che provenivano dal confine ovest di Tucson.
Melanie premette il piede sull'acceleratore, partendo immediatamente.
Il mio cuore iniziò a battere sempre più forte per la paura, impedendomi di pensare lucidamente. Cosa stava succedendo là sotto? Perché avevano sparato?
«Più veloce, Mel.» sussurrai, senza staccare gli occhi dalla strada.
Percorremmo tutto il profilo a sud-ovest fino a raggiungere il luogo da cui sembravano provenire quei tonfi. Sistemammo il camion dietro ad una piccola altura.
«Prendilo.» Kyle porse un fucile a Melanie, poi a me.
Fissai l'arma che teneva con fare esperto in mano, indecisa.
«Serve per proteggerti, Wanda.» disse a bassa voce.
Trassi un respiro profondo, allungando la mano verso il fucile.
«Kyle...» Melanie cercò di soccorrermi: sapeva quanto odiassi le armi.
«Va tutto bene, Mel.» l'avvisai prima di prendere il fucile a Kyle e avvicinarmi al fondo del camion.
Fu lui a scendere per primo, poi toccò a me.
L'aria era più fredda di quanto pensassi. La maglietta che indossavo non mi teneva molto caldo, ma potevo sopportare.
La situazione sembrava essersi momentaneamente calmata, eppure qualcosa mi diceva che dovevamo stare attenti. Non eravamo ancora fuori pericolo.
Scendemmo in silenzio dal furgone e ci dirigemmo all'interno della città. Ci trovavamo vicino ad un centro di smistamento scorte. L'area era stranamente recintata da fili spinati e cemento armato e un portellone divideva il capannone dal resto degli edifici pubblici.
«Okay. Io vado da questa parte.» annunciò Kyle che, dopo aver aperto con una tenaglia un piccolo varco per poter entrare, rompendo i fili d'acciaio che costituivano una porta d'emergenza, ci salutò con un cenno del capo.
Melanie ed io proseguimmo nella direzione opposta, senza abbassare la guardia. Lanciai un breve sguardo alla mia amica. Camminava lentamente, davanti a me. Gli occhi vigili, le mani ben strette al fucile.
«State attenti. Si sono nascosti fra i container.» avvisò una voce maschile, non molto lontana da noi. Mel si fermò di colpo, poi si voltò verso di me.
«Cercatori» borbottò sottovoce.
Pian piano nella mia testa iniziò a comporsi un puzzle sempre più sensato. Mi guardai attorno per una frazione di secondo, non vedendo altro se non il muro di cemento che divideva quel magazzino dal resto della civiltà. Mi inclinai verso destra per guardare ciò che stava osservando Melanie.
Il complesso sembrava essere pieno di container abbandonati. Al centro troneggiava un grosso capannone ingiallito dal tempo. Se l'apparenza non mi ingannava, dovevamo sicuramente essere cadute in una delle tante trappole che i Cercatori avevano preparato per catturare gli umani che vivano in zona.
«Oh, no...» mormorai quando presi piena coscienza del guaio in cui ci eravamo cacciate.
«Cosa c'è?» chiese Mel, ansiosa.
«Dobbiamo andarcene. Subito. O finiremo per essere tutti presi» sussurrai, facendo un cenno verso i Cercatori che, ignari, ci erano appena passati accanto senza neanche accorgersene.
Melanie assunse un'aria confusa.
«Cosa ti sembra questo?» chiesi, indicando con una mano tutto il complesso.
«Un... magazzino? Un centro smaltimento scorte? Non so...»
«Sembra, ma non lo è.»
M'interruppi, spostando l'attenzione alle mie spalle. Qualcuno si stava avvicinando a noi. Melanie mi afferrò per un braccio e mi trascinò con sé dentro un altro container.
Al suo interno c'erano pile e pile di sacchi, scatoloni e altri oggetti.
Curiosa di sapere se avevo ragione, frugai dentro ciascun pacco, senza però trovarvi altro se non cumuli di paglia.
«Sono vuoti. Tutti.» esclamai prima che potesse farlo Melanie.
Come temevo, i Cercatori ci avevano colti di sorpresa.
«Che pezzi di...»
Mel interruppe la sua imprecazione, immobilizzandosi dal terrore non appena sentì dei passi avvicinarsi fin troppo velocemente a noi.
Ci scambiammo una breve occhiata e puntammo le armi nell'apertura del container.
Sospirammo di sollievo quando vedemmo Ian comparire dall'angolo, pistola in mano.
«Wanda» sorrise, venendomi incontro per abbracciarmi. Dalla sua espressione capii che era sorpreso di vedermi. Lo strinsi forte.
«Melanie... Che ci fate qui? È pericoloso» aggiunse mentre si levava di dosso lo zaino per distendere le spalle.
«Dove sono gli altri?» chiesi, carezzandogli involontariamente una guancia.
«Ci hanno beccati mentre rubavamo del cibo. Non siamo riusciti a prendere le medicine.»
«Jared?» domandò Melanie, preoccupata.
«Sta bene. Come avete fatto ad entrare?»
«Kyle» rispondemmo sia io che lei contemporaneamente.
«Dov'è?»
«Abbiamo dovuto separarci.»
«Ascoltami, Ian» iniziai, chinandomi su di lui per guardarlo negli occhi. «In questo complesso non troveremo niente. È tutta una messinscena.»
«Lo so, Wanda... Ce ne siamo accorti troppo tardi, però»
Ian appoggiò la fronte sulla mia, incantandomi col suo sguardo penetrante. I suoi gesti, le sue parole... conferivano tristezza e rassegnazione, come se tutto ciò che avevamo costruito sarebbe stato rovinosamente distrutto quella notte.
Trasalii.
No, non saremmo morti. Non quella notte, non così. Per umani come lui, Melanie e Jared non poteva esserci una fine tanto ignobile.
Il silenzio che si era venuto a creare fu spezzato dal rumore delle pallottole che si infrangevano nell'acciaio di cui erano fatti i container.
Sussultai, cercando la mano di Ian.
«Via, via, via!» gridò una voce inconfondibile, quella di Jared.
Melanie trattenne a stento un'esclamazione.
«Non muovetevi.» ci ordinò Ian. Afferrò la pistola e si posizionò vicino all'entrata. «Da dove siete entrate?» ci chiese, gli occhi puntati su di noi.
«Da un buco poco più in là del capannone. A ovest.» spiegò Melanie, pronta e decisa.
Ian annuì. Colmò la breve distanza che ci divideva e depositò un appassionato bacio sulle mie labbra, morbide e calde al contatto con le sue.
«Ti amo.» mormorò, senza staccarsi di un solo centimetro da me.
Quel contatto, così dolce e intimo, mi ricordò tanto la nostra prima notte.
«Ti amo.» risposi, passando una mano sulla sua pelle sporca di sabbia. Ian sorrise, poi sparì dietro l'angolo, così come era venuto.
Continuai a fissare il punto in cui prima c'era stato lui, senza badare agli spari che continuavano a susseguirsi uno dopo l'altro o alle lacrime che minacciavano di rigarmi il viso. Melanie mi strinse forte una mano, regalandomi un sorriso forzato per cercare di rassicurarmi.
Quanto volevo essere forte come lei...
«Dobbiamo andare» disse poco dopo.
Annuii e mi lasciai nuovamente trascinare fuori da quel nascondiglio, in silenzio.
Vidi Ian correre verso ovest. Brandt e Aaron seguire un Jared piuttosto nervoso e concentrato. Camminavano sui container come se fossero sopra dei tetti, schivando abilmente i proiettili che i Cercatori facevano esplodere sotto di loro. Era strano che non cercassero di convincerli con le buone maniere. Da quel che ricordavo del passato di Melanie, non erano così violenti e sadici.
«Jared!» Mel sventolò una mano per farsi scorgere dal compagno, poi mise a segno un colpo, prendendo in pieno uno dei tanti Cercatori che cercavano di acciuffarci malgrado avessero notato i miei occhi argentei. Correvamo spericolate lungo il perimetro del complesso, cercando di tornare dove eravamo entrate.
Grazie al cielo rincontrammo anche Kyle.
Tutto sembrava andare per il verso giusto.
Quasi tutto. Jared, Aaron e Ian erano dalla parte opposta rispetto a noi, braccati incessantemente dai Cercatori che per alcuni attimi credettero di avere avuto la meglio su di loro. Brandt era rimasto indietro.
Melanie ritrovò il buco e nel breve istante che ebbe prima di scappare riuscì ad allargarlo per assicurarsi che tutti potessimo passarci indenni.
«Brava» le dissi mentre, china sui sacchi, tenevo il fucile puntato su un punto indistinto. Seguivo Ian con lo sguardo, quasi fossi attratta dalla forza di attrazione gravitazionale che emanava il suo corpo, e non smettevo di sperare che riuscisse a raggiungerci.
Brandt fu il primo ad arrivare, poi toccò a Kyle.
I Cercatori erano visibilmente ridotti, ma non smettevano di sparare e di inseguire Aaron, Jared e Ian, stremati dalla corsa.
Assai nervosa, mi concentrai su una Cercatrice e sparai senza realmente vederla. Riuscii comunque a colpirla. Brandt fece lo stesso e finalmente i tre ebbero il via libera per raggiungerci.
«Forza, forza!» urlava Kyle, pronto per attraversare il buco.
Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena. Avevo cantato vittoria troppo presto.
Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.
Chiusi gli occhi, cercando di proteggermi con un braccio dal misto di fumo e cenere che mi investì come una macchina in piena corsa. Quando li riaprii, era tutto grigio, le voci dei miei compagni lontane e ovattate, la mia gola in fiamme per la cenere che avevo ingoiato.
Tossii, avvicinando la manica della mia maglietta alla bocca.
«W-wanda...» mugugnò qualcuno che mi stava accanto, probabilmente Melanie.
Solo in quel momento mi accorsi di aver riacquistato l'udito.
«Mel?» tossii di nuovo «Brandt?»
Brandt si schiarì la gola, muovendosi accanto a me. Kyle si limitò ad aprire gli occhi, intontito.
Cambiai posizione e da sdraiata passai a seduta.
Una volta accertatami che stavano tutti bene, mi corressi mentalmente. Non tutti.
Mi voltai di scatto verso il capannone, ormai distrutto.
Li cercai. Li cercai dappertutto, ma non li trovai. C'era troppo fumo.
«No... no... Ian?» gridai, rendendomi conto di quello che era accaduto solo in quel momento. Mi alzai e oltrepassai i sacchi che mi avevano fatto da scudo, cercando di vedere qualcosa muoversi nel fumo.
«Wanda, non andare!» mi ordinò Brandt, afferrandomi per il polso.
No. Non era possibile.
Non poteva essere successo davvero.
«Lasciami andare» grugnii, acida. Brandt strinse la presa sulle mie braccia, bloccandomi ogni via d'uscita.
«Jared... Jared...» gemeva Melanie, dietro di me.
Mi dimenai, cercando di liberarmi, ma non ci riuscii. Ogni passo che facevo per ritornare indietro, era un passo più lontano da Ian.
Non potevo abbandonarlo. Non ora. Non lui. Non Jared. Non Aaron.
Cosa avrei detto al ritorno a casa? "Non sappiamo se ce l'hanno fatta. Siamo dovuti scappare"?
«Ti prego, Brandt. Può essere vivo. Ian... Ian può essere vivo! Non è morto... non è morto, Brandt!» singhiozzai mentre le ginocchia mi cedevano e scoppiavo a piangere.
Sentii che anche Melanie lacrimava dolorosamente per il suo Jared. Kyle la teneva ferma fra le sue braccia, cercando di farle attraversare il buco. Anche Brandt provò a fare lo stesso con me, ma con poco successo.
Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.
«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.
«No» dissi «No. Ian non è morto» sibilai, voltandomi a guardare il fumo e le ceneri di fronte a me.
Spazio pseudo autore:
Ciao a tutti! È la prima volta che pubblico in questo fandom, quindi non so bene cosa mi attende! Ho letto il libro da poco e ho visto anche il film, ma non ho resisto a scrivere qualcosa di mio. Penso che The Host sia una storia meravigliosa e questo è il contributo che ho voluto pubblicare per condividere con voi la neonata passione che ho generato per questo libro/film... beh, come prima volta preferisco astenermi dal commentare questo prologo :)
Aspetto con ansia le vostre recensioni,
Sha <3
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Capitolo 2 *** Attrazione fisica ***
1
Attrazione
fisica
La
grotta era calda e silenziosa, illuminata da un fascio di luce che
penetrava dalla fessura sopra la mia testa.
Mi
stiracchiai, accorgendomi solo in quel momento di avere Ian accanto.
Dormiva come un bambino: le labbra erano increspate da un sorriso
invisibile, gli occhi azzurri erano nascosti dalle lunghe ciglia. Se
non fosse stato per il fatto che il suo corpo emanasse calore, avrei
scommesso che fosse solo un'allucinazione.
Sorrisi,
senza smettere di fissarlo.
«Buongiorno»
mormorò poco dopo. Chissà da quanto era sveglio?
«Buongiorno»
lo salutai, avvicinandomi al suo corpo caldo.
«Dormito
bene?» Aprì finalmente gli occhi e mi cinse i
fianchi con un
braccio, facendomi scontrare col suo petto; il suo profumo familiare
mi riempì i polmoni.
Annuii,
sfiorando la punta del suo naso.
Ian
non perse tempo a colmare la poca distanza che divideva la sua bocca
dalla mia e con un rapido movimento riuscì a baciarmi prima
che io
potessi dire qualcosa.
Affondai
una mano nei suoi soffici capelli neri e lasciai che mi sovrastasse.
Quel bacio non fu da schiaffo, ma ci si avvicinò. Ian era
sempre
stato delicato e per niente presuntuoso. Aveva aspettato
così tanto
per quello che stava accadendo in quell'istante che per un momento mi
sentii in colpa. Senza ombra di dubbio, l'avevo fatto penare.
Finalmente
ci staccammo, ma Ian non ne volle sapere di scostare lo sguardo
altrove.
«Buon
compleanno» sussurrò, sorridendomi dolcemente.
Non
riuscii a non arrossire quando mi ricordai che quel giorno avrei
compiuto il mio primo anno sulla Terra, il diciassettesimo per gli
umani e il millesimo incalcolabile per le anime.
«Grazie»
risposi.
Ian
mi accarezzò una guancia e mi sorrise, poi si
alzò dal nostro
letto.
«Fame?»
Il
mio stomaco rispose immediatamente, ma non fu abbastanza rumoroso
perché lui potesse sentirlo.
«Un
po'»
Mi
misi a sedere, osservando Ian mentre si cambiava velocemente i
vestiti. Non avevo mai fatto caso al piccolo tatuaggio che aveva sul
braccio, né al suo fisico scolpito. Un'improvvisa e strana
sensazione fece brontolare di nuovo il mio stomaco; cercai di darle
un nome, rovistando nei ricordi che avevo condiviso con Melanie.
Non
era la prima volta che potevo descrivere certe emozioni grazie a lei.
Quell'espressione
aveva a che fare con delle farfalle... ah, sì... Le
farfalle
nello stomaco.
«Tutto
bene?» mi domandò, facendomi ritornare alla
realtà.
Non
sai quanto, cinguettò felice una vocina nella mia
testa. Non
quella di Luna, non quella nostalgica di Melanie. La mia.
L'unica e sola che era sopravvissuta per tenermi compagnia.
«Sì»
dissi, disinvolta.
«Non
senti niente, vero? Voglio dire... Luna non...»
«No.
Non c'è nessuno.»
Chissà
perché Ian era sempre così imbarazzato quando
parlava delle mie
ospiti? Prima con Melanie e adesso con lei.
Mi
tolsi le coperte di dosso e mi alzai, ricordandomi solo in quel
momento di indossare ancora i vestiti del giorno prima.
«Andiamo?»
Ian mi indicò la porta rossa con un cenno.
«Ehm,
vorrei lavarmi prima di fare colazione.»
«Te
la metto da parte allora?»
Annuii.
«Ci
vediamo dopo...» soffiò Ian quando mi fu
abbastanza vicino da
parlarmi all'orecchio.
La
farfalle si agitarono di nuovo, disorientandomi. Depositò un
bacio
sulla mia guancia accaldata poi voltò le spalle per
andarsene.
Rimasta
sola, mi accinsi a raggiungere le grotte vicine ai fiumi per non
tardare a colazione.
Durante
il tragitto, come capitava tutte le mattine, non incontrai molte
persone: alcune infatti erano impegnate a mangiare in cucina, altre
invece andavano a lavorare già alle prime luci dell'alba. Ma
quel
giorno sembrarono essercene ancora di meno. Strano.
Convinta
che fosse solo una mia impressione, proseguii il mio viaggio verso i
fiumi. Silenzioso com'era, col passare del tempo quello era diventato
il luogo in cui più mi piaceva trascorrere il tempo. Mi
immersi
nelle acque calde delle vasche e, dopo poco più di due
minuti, fui
pulita e pronta per raggiungere i miei amici.
Feci
per uscire dalla buia grotta quando mi scontrai con qualcuno.
«Oh,
scusami» balbettai.
«Non
preoccuparti.» disse una voce familiare, appartenente
all'ultima
persona che mi sarei aspettata di incontrare.
Non
so perché i piedi mi si fossilizzarono al pavimento quando
riconobbi
Sharon.
Le
rivolsi una breve occhiata, poi distolsi lo sguardo altrove, cercando
di non fare caso al rossore che mi colorò il viso.
«Scusa»
ripetei, oltrepassandola per andarmene subito – come facevo
tutte
le volte che era nei paraggi.
«Wanda?»
Sharon mi bloccò appena in tempo.
Mi
voltai, sorpresa.
«Sì?»
La
ragazza mi guardò per un lungo istante, cercando forse di
formulare
una frase di senso compiuto.
«Buon
compleanno.» rispose, il tono forzato di chi si sentiva
terribilmente in imbarazzo.
Sbattei
le palpebre.
«Jamie
non ha fatto che ripeterlo.» spiegò, come se mi
avesse letto nel
pensiero.
«Ah»
Ah,
ripeté la mia voce interiore, che risposta
esuberante. «Grazie.»
La
ragazza sorrise debolmente, poi se ne andò. Io invece
m'incamminai
verso il grande corridoio che portava alla piazza centrale,
soprappensiero. Perché mi sentivo così
terribilmente a disagio?
Insomma, era solo Sharon. Perché dovevo sentirmi
così... così...
così? Scossi la testa, cercando di levarmi dalla testa quel
pensiero, e accelerai il passo.
«Wanda!»
mi chiamò qualcuno dall'altra parte del piazzale.
«Wanda!»
Jamie
mi corse incontro a perdifiato, saltandomi letteralmente a dosso.
«Ehi!»
sorrisi e lo strinsi forte a me, scompigliandogli i capelli.
«Auguri!»
replicò lui, sorridendomi di rimando.
«Grazie»
Avrei
dovuto cominciare a contarle le volte in cui mi facevano le
congratulazioni. Ero già a quota tre.
«Dai,
vieni»
«Non
vai a scuola oggi?» gli chiesi mentre mi facevo trascinare
verso la
cucina.
Jamie
scrollò le spalle e sfoderò un sorrisone.
«No. Sharon mi ha
graziato»
«Scommetto
che non vedeva l'ora.» ridacchiai, divertita da quanto quella
donna
potesse essere sempre così severa e irrazionale. Jamie era
solo un
bambino.
Forse
non avrei mai capito perché gli umani si comportasse in quel
modo.
«Non
immagini quanto!» esclamò, alzando le sopracciglia
con fare sicuro.
Il
mio ridacchiare divenne un vero e proprio ghigno.
Ghigno
che mi si bloccò in gola quando, entrata in cucina, vidi
l'intera
popolazione delle grotte attorno ad un tavolo su cui troneggiava una
piccola torta al cioccolato.
«Buon
compleanno, Wanda!» dissero tutti insieme, applaudendo.
Jamie
si unì velocemente alle trenta persone che avevo davanti.
Mai come
prima mi ero sentita tanto a disagio.
Rimasi
impietrita, la bocca socchiusa per lo stupore e gli occhi fissi sui
miei amici.
Per
poco non mi commossi quando realizzai che erano tutti lì per
me.
«Ragazzi,
ma...» cercai di dire. Le parole mi morirono in gola.
C'erano
davvero tutti. Da Sole, Kyle, Jeb, Doc, a Melanie,
Jared e
Ian. Mi guardavano emozionati, in attesa di una mia qualche reazione.
La
prima cosa che feci quando mi ripresi fu inchiodare con lo sguardo
Jamie e Ian, che mi sorridevano come per dirmi "ci siamo
riusciti!".
Alzai
gli occhi al cielo, scacciando il groppone che stava per farmi
piangere, e sorrisi per nascondere il velo di commozione che aveva
coperto il mio viso.
«Oh,
ragazzi... non dovevate!» li rimproverai con un filo di voce.
Jamie
intonò una canzoncina alquanto familiare, che iniziava
dicendo
"tanti auguri a te...", e gli altri lo seguirono a ruota,
senza sapere che in questo modo non mi avrebbe aiutata a trattenere
le lacrime.
Mi
unii a tutti loro, facendomi avvolgere dal clima di festa che tutto
un tratto aveva riempito la stanza.
Persi
il conto di tutti gli auguri che mi fecero. Era la prima volta che mi
sentivo così... amata. Sebbene all'inizio non fossi stata la
benvenuta, tutti, in quella piccola comunità, erano riusciti
ad
accettarmi come loro alleata o comunque amica. Forse anche Maggie e
Sharon, a modo loro, si erano messe l'anima in pace decidendo una
volta per tutte di non protestare per essere stata considerata una di
loro.
Ce
l'aveva fatta perfino Kyle.
«Ciao,
bellissima» mi salutò Ian, cingendomi i fianchi
con fare
protettivo.
«Ciao,
imbroglione» sospirai di sollievo quando incontrai i suoi
occhi
azzurri «Quando avevi intenzione di dirmelo?»
«Adesso»
I nostri sguardi s'incatenarono l'uno all'altro, facendo sparire
tutto ciò che ci attorniava. Eravamo solo io e lui.
Un
fischio piuttosto polemico si levò dalla gente che ci
attorniava,
senza però farci desistere da quello che stavamo per fare.
Ian
sorrise, un po' imbarazzato, e continuò a fissarmi.
«Forza,
piccioncini! Non aspettiamo altro se non questo!» ci
incitò con
voce autoritaria Jeb che, accanto a noi, si godeva la scena a braccia
conserte.
Arrossii
automaticamente quando vidi trentanove persone squadrarmi dall'alto
in basso. Ma a Ian non importava se ci fossero tutti i nostri amici.
Probabilmente non gli sarebbe importato nemmeno se avesse voluto
baciarmi davanti a migliaia di persone.
Annullò
la distanza che divideva le nostre labbra e accontentò Jeb,
lasciando un languido bacio sulla mia bocca ancora socchiusa per la
sorpresa.
Chiusi
gli occhi e mi lasciai trasportare da lui per alcuni istanti, senza
fare caso ai gridolini e alle esclamazioni di cui ci resero
protagonisti Doc, Jeb e Kyle.
«Qui
la situazione si sta decisamente scaldando» asserì
una voce alle
mie spalle.
Melanie
si fece largo tra i ragazzi, seguita da Jamie e Jared. Mi
lanciò
un'occhiata d'intesa e mi prese le mani, cercando di allontanarmi di
almeno pochi centimetri da Ian.
«E
la torta andrà a male se non ti decidi a tagliarla,
Wanda.»
aggiunse poco dopo avermi trascinata vicino al tavolo e avermi dato
un coltello. Mi sorrise.
Ammirai
lo splendido dolce che avevo davanti con un certo languorino, poi ne
tagliai un pezzo.
«La
prima porzione va sempre alla festeggiata!» Jeb si fece
nuovamente
sentire, sempre con quel suo tono sarcastico e coinvolgente.
Gli
sorrisi. «Ma io, in qualità di festeggiata, posso
decidere di darla
a chi voglio, giusto Jeb?»
«Senza
ombra di dubbio.»
In
risposta la porsi a Jamie, che mi si avvicinò emozionato.
Quando
finalmente tutti ne ebbero un pezzo, finii di mangiare il mio e andai
a sedermi accanto a Ian e Melanie.
Restammo
l'intera mattina in cucina, a chiacchierare e a scherzare del
più e
del meno.
Anche
Jared ebbe il tempo di parlarmi e farmi gli auguri. Con lui le cose
erano decisamente molto più complicate di quando "abitassi"
nel corpo di Melanie. I miei sentimenti non erano ancora cambiati,
proprio come le reazioni che mi suscitava la sua vicinanza.
Forse
fu proprio per questo motivo che, in sua presenza, Ian non mi
lasciò
sola per un solo attimo. A lui non avevo detto niente, ma sapevo che
prima o poi, sveglio com'era, se ne sarebbe accorto.
A
meno che io non mi fossi disinnamorata di Jared prima che lo venisse
a sapere.
Sbuffai.
Quella probabilità era così remota che non persi
tempo a pensarci
su: come faceva una persona a non provare più niente per
un'altra
persona in un batter di ciglia?
Tuttavia,
la cosa non mi turbava molto. Se amavo Ian, significava che qualcosa
tra di noi era più forte dell'amore che provavo per Jared.
Anche
Doc rimase a chiacchierare con noi e, stranamente, non si
allontanò
per ritornare nella grotta-ambulatorio, da sempre stata la sua casa.
Jeb
tuttavia dovette allontanarsi per il giro di ispezione che doveva
fare quotidianamente. Una volta finito, ci avrebbe raggiunti per
stare ancora insieme.
Quello
fu il giorno più intenso ed emozionante che vissi in
qualità di
anima.
Neanche
dopo pranzo i miei compagni smisero di canticchiarmi quella
canzoncina che ormai avevo imparato.
Tutto
sembrava essere normale come lo era al di fuori di quelle grotte,
dove le anime convivevano in rapporti pacifici da ormai tanto tempo.
«Ian,
porta Wanda a letto. Sta per addormentarsi sulla sedia!» Jeb
mi fece
quasi sobbalzare, ridestandomi dallo stato di dormiveglia in cui ero
caduta.
Alzai
gli occhi verso di lui, sorridendogli debolmente.
Erano
solo le otto di sera ed ero già stanca morta. Eravamo andati
nella
stanza dei giochi insieme ad altre sette persone con l'intento di
fare una o due partite come se fossimo una vera e propria squadra, ma
dopo appena un'ora le mie gambe avevano chiuso i battenti con tutto e
tutti, costringendomi a starmene seduta in un angolo della grotta.
Melanie
aveva deciso di farmi compagnia e guardare come la squadra di Ian e
Jared stracciava quella di Jeb e Kyle. Anche Jamie si era messo a
giocare.
«Non
sarebbe una cattiva idea.» assentì Melanie, che
aveva acconsentito
per farmi appoggiare la testa sulle sue gambe. In parte era colpa sua
se mi ero insonnolita, perché per tutto il tempo non aveva
fatto
altro che lisciarmi i capelli.
Mi
misi a sedere, voltandomi in cerca di Ian.
Stava
passando la palla a Jamie, un sorriso sornione sulle labbra. Quando
incrociò il mio sguardo, lo allargò ancora di
più, incantandomi.
«Non
preoccupatevi per me. Stavo solo riposando gli occhi.»
«Immagino
quanto sia bello dormire sulle gambe di Melanie, Wanda, ma esistono
anche i letti, sai?» continuò Jeb, divertito.
«Dai,
zio Jeb. Non farla arrossire!» gridò Jamie
dall'altra parte della
stanza. A quanto sembrava non c'era persona che non stava ascoltando
la nostra conversazione.
«È
adorabile quando fa così.» dissi a Melanie.
«Lo
so» rispose, sospirando. «Non fissarlo troppo,
Wanda. Lo consumi.»
aggiunse.
Abbassai
il capo, a disagio.
Si
riferiva ad Ian.
«A
te non capita?»
Mel
fece spallucce, senza nascondermi l'imbarazzo che provava.
«Non
immagini quante volte...» disse, guardando proprio Jared
«Sono
talmente pazza di lui che ormai non riesco a riconoscere la semplice
attrazione fisica dall'amore che provo.» Melanie
ridacchiò,
voltandosi di nuovo verso di me.
«Cosa
intendi per "attrazione fisica"?» le chiesi, conscia di
averle appena posto una domanda scontata.
Luna
non conosceva quella cosa. O meglio, ne aveva sentito parlare senza
mai capirne appieno il significato.
Melanie
non reagì come mi aspettavo, anzi. Parlò come se
fosse una cosa
seria.
«È
qualcosa che... forse l'hai già provata. Con Ian
intendo...»
mormorò.
Le
lanciai un'occhiata palesemente confusa. Non potevo saperlo. Non se
non avevo la più pallida idea di cosa significasse.
«Be',
ti sarà mai capitato di incantarti davanti al suo bel fisico
quando
si leva una maglietta... di desiderare ardentemente di potergli
toccare quelle labbra... ravvivare i suoi capelli in disordine... non
riuscire a staccargli gli occhi di dosso nemmeno quando
dorme...?»
Rimasi
in silenzio, riflettendo sul fatto che sì, ultimamente mi
era
capitato di desiderare alcune di quelle cose per puro piacere
personale, ma non avevo mai pensato fossero dovute all'attrazione
fisica.
«Pensi
che Ian sia attratto da me?» chiesi, una punta di emozione
sulla
lingua. Chissà perché l'idea di fargli lo stesso
effetto mi
allettava così tanto?
«Credo
sia abbastanza evidente!» Melanie scoppiò a
ridere. «A parte gli
scherzi... a lui piaci davvero tanto, Wanda.»
«Be'...
mi ama. Io lo amo, ma ho paura di non essere abbastanza.»
Sospirai.
«Ma
certo che lo sei, Wanda. Sei molto, molto di più di quello
che lui
si potrebbe aspettare.»
Le
sue parole furono come un balsamo. Melanie sapeva come prendermi ed
esprimersi. Era sicura, coraggiosa, matura. Tutte qualità
che io,
in quel corpo, non avrei mai potuto far emergere
come erano
spiccate dentro il suo.
Mi
sarebbe piaciuto avere la sua stessa indole e non poter essere
condizionata dall'ospite in cui risiedevo.
Jeb
emise un assordante fischio, segno che la partita era finita e che i
giocatori potevano abbandonare il campo.
«Complimenti,
ragazzi. Non male come principianti»
«Principianti?»
sbottò Ian, sarcastico.
Jeb
gli strizzò un occhio, dandogli alcune pacche sulla spalla
mentre
Jared e Kyle si diedero dei pugni scherzosi e si salutarono fra una
risata e l'altra.
Melanie
si scostò da me per raggiungerli. Cinque minuti dopo, il suo
posto
venne occupato da Ian.
«Tieni»
gli porsi una bottiglia d'acqua, incrociando i suoi occhi azzurri.
«Grazie.»
Lo
osservai mentre beveva. Era irresistibile, come tutto ciò
che gli
apparteneva.
«Stanca?»,
mi chiese quando finì l'acqua, attirandomi ancora di
più a sé.
Sprofondai
il viso nel suo petto, respirando il suo profumo.
«Un
po'»
«Ce
la fai a resistere ancora?»
Alzai
gli occhi su di lui, assumendo un'aria interrogativa.
«Perché?»
«C'è
un ultimo regalo...» intervenne, sistemandomi una ciocca di
capelli
dietro l'orecchio. «...ma dobbiamo uscire.»
La
mia curiosità ebbe la meglio sulla stanchezza,
così lo accontentai
e mi feci condurre fuori dalle grotte.
La
stanza dei giochi non era molto lontana dall'ingresso delle caverne.
Quando passavamo dal corridoio vicino all'uscita si poteva facilmente
annusare il profumo di sabbia e aria del deserto. Ian però
mi
condusse da un'altra parte, in una direzione che non avevo mai preso.
Sorpassammo l'entrata principale, insinuandoci in un piccolissimo
androne più simile ad un cunicolo che ad un corridoio. Dopo
circa
trenta secondi anche il più debole fascio di luce cedette il
posto
alle tenebre, facendo diventare tutto nero.
Se
non fosse stato per la mano di Ian che mi teneva stretta, mi sarei
sentita persa.
Ci
fermammo nel bel mezzo del sentiero. Le dita del mio compagno
sfiorarono delicate le mie, poi afferrarono i miei polsi e li
avvicinarono al suo petto.
«Chiudi
gli occhi.» mormorò poco dopo, accarezzandomi una
guancia.
Obbedii
immediatamente, lasciando che il buio prendesse il posto del buio.
«Vieni.»
Ian mi cinse i fianchi, guidandomi in quella piccola scorciatoia. Per
un breve tratto credetti che ci fossimo persi sul serio: non avevamo
mai percorso quella strada. Almeno, io no.
Ben
presto il profumo del deserto giunse anche lì. Una brezza
quasi
invisibile mosse i miei capelli sparsi sulla schiena, riassestandomi.
«Ma
dove siamo?» cedetti alla curiosità. Non potevo
più aspettare.
Dovevo sapere dove mi stava portando.
«Ti
fidi di me?»
«Sì»
dissi senza pensarci due volte «Mi fido.»
In
risposta Ian aumentò la presa sul mio fianco.
«Attenta.
C'è un gradino.»
Un
gradino. Quello che superai sembrava più un masso che un
semplice
"gradino". Di nuovo mi chiesi dove Ian mi stesse portando.
D'un
tratto l'aria che ci circondava si trasformò in un vero e
proprio
venticciolo. I suoni cambiarono: l'eco dei nostri passi, delle
nostre voci, l'umidità delle caverne. Sparirono, sostituiti
da altri
rumori familiari. Forse mi trovavo in un posto molto più
grande
rispetto a quello angusto del corridoio.
Il
deserto. Pensai non appena me ne resi conto.
«Ora
puoi aprirli.» sussurrò Ian, la voce incrinata
dall'emozione.
Aprii
gli occhi, concretizzando quello che un attimo prima mi ero solo
immaginata.
Eravamo
davvero in mezzo al deserto. All'orizzonte il sole tramontava oltre i
grandi canyon che minavano ogni singolo angolo della zona; gli
uccelli volavano alti davanti a noi.
Era
da tanto tempo che non vedevo quel panorama mozzafiato. Troppo,
dovevo ammettere.
«Ti
piace?» mi chiese Ian, forse con una punta eccessiva di
ingenuità.
«È
meraviglioso» replicai «Il più bel
regalo di compleanno che
potessi mai ricevere.»
Gli
strinsi la mano, accarezzandogli dolcemente il dorso. I suoi occhi
guizzarono prima sulle mie labbra, poi sulle mie iridi argentee.
«Anche
tu sei meravigliosa, Wanda»
Ian
passò una mano sulla mia guancia, poi sul mio collo. Si
avvicinò
quasi cautamente, come se avesse paura della mia reazione, e
lasciò
una bollente scia di baci dalla bocca alla clavicola, scostando la
maglietta verde-acqua per scoprire la mia pelle in fiamme.
«Bene
o male?» chiese.
«Mmh,
non saprei...» bofonchiai, concentrata più su di
lui che sulle sue
parole. Lo attirai automaticamente a me, respirando il profumo dei
suoi capelli. Sapevano di quel sapone che usavamo nelle caverne.
All'inizio
non riconobbi l'entità di quel mio strano comportamento. Fu
come se
fossi riuscita ad applicare e a riconoscere le regole.
Attrazione
fisica, pensai fra me e me, mentre Ian continuava a baciarmi.
Chissà come facevo anche solo a pensare, in quel momento? Ora
sì
che le parole di Melanie hanno un senso logico.
«Mmh»
Ian ridacchiò «Penso che non sia incoraggiante,
sai?»
«Basta
pensare.» replicai, scostandomi per pochi attimi da quelle
morbide
labbra.
Spazio
pseudo autore:
Prima
di cominciare voglio ringraziare le ragazze che hanno recensito il
prologo. Siete state davvero gentili!! Grazie mille :):)
Sebbene
il cappy sia mooolto diabetico e (forse) noiosino, trovo che sia
stato importante sia per me che per voi. Per il momento la storia
è
molto vaga, ma vi posso dire che inizia subito dopo la fine del
libro. Infatti non sono passati molti giorni da quando Wanda
è stata
inserita nel corpo di Luna, né da quando ha iniziato ad
amare
veramente Ian.
Il
prologo è stato abbastanza drammatico, quindi ho pensato:
perché
non scrivere qualcosa che possa farle sollevare almeno un po'?
così
ho tirato in ballo il compleanno di Wanda :D
Bene,
il mio angolino sta diventando più lungo del capitolo... xD
Comunque
vi dico due ultime cose e poi vi lascio ;)
-
Non è
una cosa di chissà quale grande importanza, ma ci tenevo a
dirvela: non dovete necessariamente immaginarvi i personaggi del film.
Io stessa scrivo pensando a degli attori che non hanno fatto parte del
cast di The Host ed è proprio per questo motivo che non ho
voluto mettere nessuna immagine "di copertina" :) Penso sia ancora
più bello potersi immaginare i propri idoli immedesimati in
uno di questi personaggi.
-
La storia
probabilmente prenderà una piega diversa da quella che vi
potreste immaginare. Ho in mente già tutta la trama, ma non
so dirvi di quanti capitoli sarà la FF. Tuttavia, posso
pronunciarmi sul fatto che subentreranno nuovi personaggi e nuove
situazioni che, forse, non vi immaginereste tanto facilmente.
È tutto da scoprire insomma! :D
Be',
ora posso finalmente annunciarvi il mio congedo!
Un
abbraccio a tutti,
Sha
|
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Capitolo 3 *** Paura ***
2
Paura
«No...
Ian, non pensarlo neanche.»
«Perché
no, Wanda?»
«Perché
hai già fatto abbastanza.»
Avvolta
nel mio sacco a pelo, fissavo con sicurezza lo sguardo da cucciolo
impaurito con cui Ian mi ricambiava. Voleva farmi impietosire, e ci
sarebbe riuscito se non fosse stato per il fatto che io non avessi
intenzione di ascoltarlo.
«Non
sarebbe da gentiluomini.» insistette, ostentando finta
innocenza.
«Ho
ricevuto tanti regali» replicai.
Ian
sospirò, sistemandosi un braccio sotto la testa a mo' di
cuscino.
Chissà come aveva fatto a dormire per tutta la notte in
quella
posizione?
«La
festa, la torta... questo» aggiunsi, indicando con un cenno
del capo
la grotta in cui ci trovavamo. Avevamo deciso di passare la notte
lì,
in una rientranza scolpita dai venti e le intemperie che dirado
colpivano quel deserto perennemente assolato.
Ian
sembrava avere organizzato tutto, dai sacchi a pelo alla colazione
per il giorno dopo.
«Sono
contento che ti sia piaciuto» si avvicinò,
sfiorandomi la punta del
naso. «Ma non posso proprio obbedire.»
Sospirai.
Era impuntato come non mai.
«Tra
l'altro fra un po' partiremo in missione.» Ian
continuò a spiegare
ad alta voce i suoi piani, senza sapere che in quel modo non mi
avrebbe di certo ammaliata.
Già.
La missione. Solitamente era molto allettante l'idea di uscire dalle
grotte per avere qualche rapporto con la società, ma quella
volta
proprio non volevo.
«Vorrei
rimanere qui» ammisi, voltandomi a guardare il soffitto.
«E
chi dice che non possiamo farlo?»
Ian
annullò la distanza che divideva i nostri corpi, reggendosi
il capo
con una mano per potermi guardare in viso. Mi accarezzò la
guancia,
avvicinandosi ancora.
Potevo
sentire il suo respiro sulla pelle.
Incrociai
il suo sguardo, allungando involontariamente una mano verso i suoi
capelli neri. Adoravo affondare le dita in quella chioma ribelle.
Socchiusi
la bocca e lasciai che le sue labbra potessero modellarsi alle mie.
Con un lento movimento Ian si spostò sopra di me,
bilanciando il suo
peso sui gomiti per non farmi male.
Sentii
ogni singolo centimetri del mio corpo aderire perfettamente al suo,
sebbene a dividerci ci fossero due spessi strati di sacco a pelo.
Poi, senza volerlo davvero, invertii le posizioni, ritrovandomi sopra
di lui.
Ian
si scostò e rise, divertito da non so cosa.
«Non
smetti mai di stupirmi, Wanda.»
Anch'io
ero stupita da me stessa. Stavo provando così tante nuove
emozioni,
con Ian; così tante cose che mi era difficile
autocontrollarmi.
«Continuo
a pensare che sia per colpa di questo strano mondo.»
«Il
più strano» mi corresse.
Rimanemmo
in silenzio, a guardare l'uno il viso dell'altra. Tuttavia non
passarono molti minuti prima che tornassimo a parlare.
«Si
staranno chiedendo dove siamo finiti.» Ian sorrise,
spostandomi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Già»
risposi «Ed è per questo che dovremmo
muoverci.»
Abbassai
la cerniera del mio sacco a pelo ed uscii, lanciando un'occhiata
ammonitrice ad Ian, che invece di imitarmi rimase ancora sdraiato per
contemplarmi.
«Allora?»
«Allora
cosa?»
«Vuoi
una mano ad alzarti?», lo schernii, mettendomi a braccia
conserte.
«In
effetti sì.»
Alzai
gli occhi al cielo e, avvicinandomi a lui, gli tesi una mano. Ian
però mi prese alla sprovvista e invece di tirarsi su
aiutandosi col
mio braccio, aumentò la stretta fino a farmi perdere
l'equilibrio.
«Ah!»
urlai mentre gli cadevo a dosso come un sacco di patate. Grazie al
cielo lui riuscì ad attutire il colpo facendomi comunque
prendere
una botta sul fondo schiena.
«Ops.
Ti ho fatto male?» sussurrò dopo avermi bloccata
fra le sue
braccia.
Mi
limitai a fulminarlo con lo sguardo.
Per
un attimo riuscii ad intravedere il luccichio argenteo dei miei occhi
riflesso nei suoi.
«Scusa...»
disse. Sembrava dispiaciuto. Ma non volli cascare in un altro dei
suoi tranelli; Ian era bravo a recitare.
«Dico
davvero.» aggiunse, quasi mi avesse letto nel pensiero.
«Mmh»
feci finta di riflettere, assaporandomi quei pochi istanti in cui lui
dovette aspettare una mia risposta «Ti credo.»
Ian
sorrise, distogliendo lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra; si
avvicinò lentamente al mio viso e mi posò una
mano sulla guancia,
baciandomi con dolcezza.
«Adesso
possiamo andare.» decretò dopo che ci staccammo.
Risi
e questa volta fu lui ad aiutare me ad alzarmi.
§
«Ian,
Wanda... finalmente. Ci avete fatto spaventare.» ci venne
incontro
Melanie, i capelli avvolti in una perfetta crocchia che non faceva
altro se non risaltare la preoccupazione che velava il suo viso.
«Mel...
cosa sta succedendo? Dove sono tutti?» le domandai,
afferrandole una
mano. Quando rientrammo, le caverne erano più vuote e
silenziose di
quanto avessimo pensato; trovare Melanie fu quasi un sollievo.
Ian
lasciò andare la presa sul mio fianco e attese.
«Ci
siamo riuniti nella sala dei giochi.»
«Perché?»
Mel
indugiò, quasi volesse trattenersi dal rispondere a quella
domanda,
poi abbassò lo sguardo. Osservò le nostre dita
intrecciate.
«C'è
una cosa che dovete sapere.»
Ian
corrugò la fronte e lanciò un'occhiata prima a me
e poi a Melanie.
«Di
che si tratta?» le chiese, ansioso.
«Poco
più di mezz'ora fa Jared ed Aaron sono ritornati dal giro di
ispezione della zona... Hanno avvistato dei Cercatori.»
replicò con
aria ancora indecisa.
A
quell'ultima parola, ebbi un tuffo al cuore.
«Cosa?
N-non può essere... insomma...» balbettai, senza
riuscire a
capacitarmi del fatto che fossero ritornati alla carica.
Ian
si riavvicinò a me. Sicuramente aveva avvertito la mia paura.
«Come
fate a sapere che sono loro?» ribatté, lanciandomi
un'altra
occhiata.
Melanie
sospirò.
«Jared
non è stupido, Ian. Li sa riconoscere.»
M'immaginai
delle anime vestite completamente di bianco che si avvicinavano a me.
Per poco non impallidii.
Mi
aggrappai ad Ian, stringendo forte la sua maglietta.
«Avete
idea del perché siano di nuovo qui?» chiesi. La
voce leggermente
incrinata.
Mi
schiarii la gola, sfoderando un finto sorriso per non turbare nessuno
dei due.
Melanie
ci fece un cenno. «Sì... Ma è meglio
che ritorniamo dagli altri.»
La
seguimmo fino alla stanza dei giochi, in cui tutti si erano radunati
per parlare. Da un lato della grotta i bambini giocavano
spensieratamente, da un altro invece gli adulti erano seduti attorno
a Jared, Aaron e Jeb. Dagli sguardi cagneschi che si riservavano,
sembrava avessero appena litigato.
«Wanda!»
gridò Jamie dalle spalle di Jared. Quella volta si
limitò a
sorridermi e ad aspettare che fossi io ad andarlo ad abbracciare.
Ricambiai
e mi avvicinai alla folla di gente che riempiva la stanza insieme ad
Ian, che stringeva saldamente la mia mano.
«Dove
eravate finiti?» intervenne Jared quando fummo abbastanza
vicini.
«Eravamo
al sicuro.» chiarì subito Ian, come per
giustificarsi.
«Li
ho informati sui Cercatori.» Melanie si mise fra di noi,
accarezzando il petto di Jared, che rispose sfiorandole leggermente
il braccio.
«Noi
non sapevamo niente. Non abbiamo né sentito, né
visto nulla.»
Ian
continuò a guardare Jared anche quando si voltò
verso la rimanente
parte del gruppo per ritornare a discutere. Erano tutti molto tesi.
«Tutto
bene?» Jeb ci venne incontro a braccia conserte,
l'espressione
insolitamente ansiosa.
Annuimmo
entrambi.
«Cosa
pensate li abbiano portati qui?»
«Io
non ho voluto azzardare ipotesi. Ma Jared... ne ha una,
credo.»
rispose Jeb, voltandosi nella sua direzione.
Mi
limitai ad assentire e a sorridergli debolmente per rassicurarlo, poi
mi unii in silenzio ai pochi ragazzi che sedevano addossati al muro
di pietra. Jamie mi raggiunse subito, prendendo posto fra le mie
gambe per ascoltare l'animata conversazione che Jared, Aaron, Jeb e
Kyle stavano facendo. Discutevano a proposito della motivazione che
aveva indotto i Cercatori a venire nel deserto, la stessa che stavo
cercando di capire da quando mi avevano avvertita.
Ian
si unì a loro, senza prendere le parti di nessuno, poi Jared
proruppe ad alta voce, affinché tutti potessero sentire
ciò che
aveva da dire.
«Signori
miei, pensateci. Wanda è da più di un anno che
è scomparsa nel
deserto e da quel che ci aveva fatto capire la sua Cercatrice, gli
altri l'avevano davvero data per morta. L'unica cosa che adesso
potrebbero volere è Lacey.» concluse, indicando
con un cenno del
capo la ragazza. Lacey abbassò lo sguardo mentre mille paia
di occhi
la guardavano pensierosi.
No.
La causa non poteva di certo essere solo lei. Non se la Cercatrice
era stata sempre malvista dal resto dei suoi colleghi. Chi l'avrebbe
mai voluta indietro, antipatica com'era?
«Le
tue motivazione sono molto scaltre, Jared.» intervenne Jeb.
«Ma
sono sensate.» replicò l'altro, cercando un
qualche sostegno
nell'espressione combattuta di Melanie «Lei è
l'ultima arrivata.
L'ultima che hanno perso e che potrebbero volere.»
«O
siamo noi.» lo incalzò Ian,
facendo spallucce.
L'attenzione
del pubblico si spostò da Jared a lui. Jamie
sospirò fra le mie
braccia, stringendomi una mano.
«Potremmo
essere noi il loro prossimo obbiettivo. Con tutte le sparizioni che
ci sono state e che sono giunte alle nostre stesse orecchie quando
siamo andati in missione, le probabilità che siano qui per
noi sono
molto alte, non credi?»
Jared
rimase in ascolto per tutto il tempo, senza però dargli una
risposta
immediata. Fu Jeb a parlare per primo.
«Forse.
Avete entrambi ragione. Ma... anche se fosse... cosa volete fare
adesso? Scappare? Andare ad ucciderli uno ad uno? Aspettare?»
«Prima
o poi le scorte si esauriranno e noi dovremo andare in
missione.»
disse Jared, passando in rassegna i volti di tutte le persone che
aveva davanti. «Quindi no, non aspetteremo. Non appena le
scorte si
saranno quasi finite, usciremo. Siamo obbligati.»
Ian
fece un cenno in segno di assenso. Melanie, vicino a Jared,
guardò
negli occhi il suo compagno ed imitò Ian.
«Fino
ad allora, ci organizzeremo in modo tale da tenere sotto controllo
ogni loro spostamento» intervenne Jeb «Ma adesso
pensiamo a
lavorare! Su, pelandroni!»
Riuscito
nell'impresa di dissolvere tutta la preoccupazione che aveva occupato
i volti dei presenti, Jeb sorrise e alzò teatralmente una
mano per
far sì che i ragazzi si alzassero e si rimettessero a
lavorare. La
folla obbedì con non poco entusiasmo.
Anch'io
accennai ad un sorriso.
«È
sempre il solito» sghignazzò Jamie mentre si
alzava e mi allungava
una mano per aiutarmi.
«Già»
Nel
momento stesso in cui io mi tirai su, Melanie e Ian si avvicinarono a
noi, l'una con un'espressione contratta in viso, l'altro con un
sorriso altrettanto forzato. Si vedeva chiaramente che stavano
cercando di mascherare la loro apprensione per Jamie.
«Ehi»
mi salutò Mel.
«Ehi»
replicai mentre Ian mi avvolgeva i fianchi «Dov'è
Jared?»
«Non
lo so...» rispose, guardandosi intorno.
«Io
vado a parlare con Jeb» annunciò Ian prima di
darmi un bacio fra i
capelli «Ci vediamo dopo, okay?»
«Okay.»
Gli sorrisi e lo lasciai andare, seguendolo con lo sguardo fra la
gente che stava abbandonando la stanza dei giochi.
«Tu
non devi andare a scuola?» Fui distratta da Melanie, che si
rivolse
al fratello.
«Ti
prego, Mel...» la implorò Jamie, giungendo le mani
per simulare una
vera e propria preghiera.
«Se
non ti muovi ti farò venire a prendere da Sharon.»
«Jamie?»
lo chiamò Lucina, dall'altra parte della stanza. Teneva
Freedom in
braccio.
«Su,
fai il bravo.» dissi, spingendo Jamie verso di lei. Il
bambino mise
il broncio ma non disobbedì agli ordini miei e di sua
sorella, che
lo osservò compiaciuta mentre si univa a Lucina e Freedom.
Melanie
sospirò, facendo scomparire quel finto sorriso dalle labbra,
proprio
come me. Sembrava essersi levata un peso.
«Sono
al sicuro» la rassicurai «I bambini intendo. Non
usciranno mai da
questo posto finché i Cercatori non se ne saranno
andati.»
«Vorrei
che per Jamie la vita fosse diversa. Potrebbe viaggiare per il
mondo... farsi tanti altri amici... Vorrei che fosse lui a scegliere
per se stesso, un domani che io non potrò più
trattarlo come se
fosse un ragazzino di quattordici anni.»
Mel
prese a camminare per la stanza, verso il corridoio. La seguii.
«Ti
capisco. Ma non possiamo avere tutto dalla vita. È
già un miracolo
se abbiamo scoperto questo posto... se abbiamo incontrato delle
persone come Doc... Ian...»
Melanie
ridacchiò, divertita dal mio ovvio pretesto di citare il mio
compagno. Be', anche lui faceva parte del gruppo.
«Insomma...
sarebbe ancora più brutto non poter vivere in questo modo.
Al
sicuro.»
«Lo
so» proruppe la mia amica, alzando gli occhi al cielo.
«Ti
manca vivere come una volta, vero?»
«Già...»
Rimanemmo
in silenzio per alcuni minuti, continuando a passeggiare per i
corridoi senza una vera e propria meta. Mi veniva da ridere al
pensiero che fino a poche ore prima avessi trascorso una mattina
completamente tranquilla con Ian. Sembrava talmente lontana che
credevo fosse più un sogno che una realtà.
«Penso
che andrò ad aiutare gli altri ad arare i campi. Ah,
com'è andata
ieri sera?» fece Melanie, cambiando argomento.
Arrossii
automaticamente, quasi me l'avesse ordinato. Odiavo quell'assurda
timidezza.
«Ian
è stato fantastico.» mi limitai a dire.
«Come
sempre, d'altronde.»
«Mi
sa proprio di sì.» risposi, abbassando lo sguardo
sulle punte dei
miei piedi.
Melanie
ridacchiò, ma non si fece beffe del mio palese imbarazzo,
anzi.
«Okay,
io vado. A dopo.»
«A
dopo.» la salutai, proseguendo verso la mia grotta.
Solitamente
a quell'ora del giorno non c'era molta gente che passava di
lì. E
forse fu proprio per quel motivo che non mi scapparono i singhiozzi
di qualcuno nascosto nei dintorni.
Accigliata,
avanzai lentamente verso quel suono smorzato, svoltando l'angolo.
Trovai Lacey che, accucciata ad un angolo della grotta, se ne stava
rannicchiata con le ginocchia al petto e il viso nascosto dai capelli
color paglia. Le spalle si muovevano a scatti regolari, scosse da
quei silenziosi singhiozzi.
Mi
avvicinai, inginocchiandomi per poi sfiorarle una spalla.
Lacey
alzò subito gli occhi su di me. Erano gonfi di lacrime.
«Ehi,
va tutto bene»
«Lasciami,
ti prego» m'implorò con voce rotta, prima di
nascondere il viso
nella sua folta chioma.
Sospirai
e mi sedetti accanto a lei.
Già,
quello mattina non poteva che essere frutto della mia immaginazione.
Spazio
pseudo autore:
Hola!
Sono stata data per dispersa, eh? Ma non è così!
:P In quest'ultimo
periodo sono piuttosto presa dallo studio e il tempo per scrivere si
è drasticamente dimezzato D:
Ma
non temete, fra meno di una settimana avrò mooolte
più ore a
disposizione per dedicarmi alla scrittura ;)
Prima
di tutto, ringrazio le ragazze che hanno recensito questi primi due
capitoli, in particolare quelle che mi hanno lasciato un commentino
anche nel mio ultimo aggiornamento :)
Be',
che dire... Questo capitolo è abbastanza corto, ma
è meglio così.
Ben presto arriverà l'incipit che farà partire
automaticamente la
storia e non vi annoierò più con questi
capitolacci xD
Lascio
a voi il piacere di commentare l'aggiornamento e di dirmi cosa ne
pensate ;)
Inoltre
ringrazio i lettori che hanno messo la ff nelle
seguite/preferite/ricordate ^.^
Un
abbraccio!
Sha
|
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Capitolo 4 *** Tensioni ***
3
Tensioni
Non
avevo mai immaginato di provare compassione per gli occhi che mi
avevano odiato, né di poter anche solo consolare con delle
carezze
quel corpo così rigido e spigoloso. Eppure lo stavo facendo.
Forse
perché in quegli occhi non scorgevo più l'anima
della Cercatrice.
Forse perché mi faceva solo pena.
Ma
Lacey non era la Cercatrice. Era Lacey, un'umana che aveva ritrovato
se stessa dopo che l'aliena che aveva ospitato l'aveva costretta a
tacere per molto tempo.
Poteva
essere viziata e irritante come lei, ma in fondo era una persona
fragile, confusa, che non meritava lo stesso trattamento che avrei
potuto riservare al suo corpo se in lei ci fosse stata la Cercatrice.
Era
per questo che avevo ritenuto giusto sedermi accanto a lei e cercare
di capire perché stesse piangendo.
«Sono
io. È questo corpo. Jared ha ragione, Wanda. Ha ragione.
È me
che vogliono.» disse in un sussurro, quasi fosse un
segreto.
«Può
darsi, ma... come puoi saperlo davvero?»
«Non
lo so» rispose Lacey, nascondendo parte del viso nelle
ginocchia che
teneva ben strette al petto «Non lo so. Ma lo sento»
Lo
sentiva, sì, ma personalmente ritenevo che affidarsi alla
chiaroveggenza o ad altre cose da sensitivi non era la soluzione
principale che potesse rendere le sue parole attendibili.
«Be'...
Sistemeremo questo problema. Vedrai.» mi limitai a
risponderle
mentre le massaggiavo la schiena «Adesso però
tirati su.»
«Wanda?»
«Sì?»
«Non
dire a nessuno di questo... Okay?»
«Okay.»
§
Passarono
sette, lunghi giorni.
Di
tanto in tanto Jared, Kyle e altri ragazzi uscivano a qualsiasi ora
del giorno per controllare gli spostamenti dei Cercatori, che avevano
continuato a ronzarci intorno come avvoltoi.
Non
eravamo riusciti a capire perché fossero lì.
Aaron aveva detto che
sembravano zombie in mezzo ad una distesa desolata che vagavano
senza un vero e proprio obbiettivo.
Intanto
l'atmosfera nelle grotte si era fatta più cupa e guardinga.
Le
persone erano più nervose e irascibili. Alcune erano
addirittura
ossessionate dal fatto che le scorte si potessero esaurire da un
momento all'altro, rimproverando tutti quelli che, al contrario, non
se ne preoccupavano. Ed era stato per questo motivo che Jeb, onde
evitare dibattiti insensati, aveva deciso di rendere inaccessibile il
magazzino, permettendone l'accesso solo alla squadra dei razziatori.
Inoltre
il tempo in cui potevo stare assieme ad Ian si era drasticamente
dimezzato a causa dei suoi continui turni di ispezione nelle zone
adiacenti alle grotte. Avremmo potuto lavorare insieme, ma lui,
ovviamente, non me lo permise, perché riteneva fosse troppo
pericoloso starmene là fuori con dei Cercatori alle
calcagna.
Per
protestare mi ero rivolta a Jeb, ma anche lui mi vietò di
uscire.
In
conclusione, quindi, ero segregata nelle caverne.
Ma
non ero sola: anche Melanie dovette starsene come me là
dentro.
Solo
Lily continuò a svolgere il proprio compito senza che
nessuno
potesse impedirglielo. Perciò Mel si era arrabbiata ed era
venuta a
sfogarsi da me.
«Non
è giusto!»
«Lo
so, lo so. Ma non ci puoi fare niente, Melanie.» le avevo
detto. Io
ero rassegnata, lei no. Ed era stato per questo motivo che dovetti
stare a fissarla mentre faceva avanti e indietro per la stanza. La
mia stanza.
Finché
non avesse smaltito la rabbia, le mie parole sarebbero state solo
bazzecole.
«Ho
provato a parlarne con Jeb, ma...» iniziai, ma lei
m'interruppe.
«Ma
che gliene importa, Wanda? Avrà lasciato andare Lily solo
perché le
fa pena. Si deve ancora riprendere dalla morte di Wes...»
Tacqui.
E sorrisi. Era da tanto tempo che non discutevamo in quel modo. Da
quando ci avevano separate, precisamente. L'ultimo discorso infatti
lo avevamo fatto mentalmente.
Eppure,
anche se ci avevano divise, le nostre conversazioni, i nostri litigi,
le nostre chiacchiere erano rimaste invariate. Lei era quella dura e
impulsiva che si lasciava prendere la mano; io quella apprensiva e
ragionevole che prima di fare o dire qualcosa ci pensava mille volte.
«Non
ci pensare, Mel. Loro si sanno difendere... Noi saremmo solo un peso
in più.» ridacchiai mentre pensavo ad Ian e a
Jared.
Melanie
smise di trafficare per la stanza, fermandosi per lanciarmi
un'occhiata assassina.
«Okay.»
feci spallucce ed abbassai lo sguardo in segno di resa.
«Mettiti
l'anima in pace e guarda il lato positivo: domattina ritorneranno
dopo il turno di notte e saranno a nostra completa
disposizione.»
aggiunsi, ostentando tranquillità.
Mi
fidavo di quei due, del loro lavoro. Tuttavia l'idea di poter stare
accanto a Ian e Jared sarebbe stata sempre la migliore;
perché
infondo ci mancavamo a vicenda.
Melanie
si venne a sedere accanto a me, assumendo un'aria più che
esasperata.
«Emozionante.»
commentò.
«Non
sai quanto» risposi io prima di scoppiare a ridere per
mascherare il
cattivo umore di cui disponevo da più di ventiquattro ore.
Quella
sera, anche se le lenzuola erano rimaste più fredde e vuote
del
solito, andai a letto felice. Melanie invece si addormentò
col
broncio.
E
fu così che finalmente arrivò la mattina dopo.
Mi
svegliai di buon ora, più per i continui rumori che
provenivano dai
corridoi che per un vero e proprio bisogno fisiologico, e raggiunsi
la piazza centrale in un men che non si dica. Non ero stata l'unica
ad alzarmi presto per accogliere i nottambuli. Incontrai Sole, Jamie,
Maggie e Sharon. Queste furono le ultime persone che m'immaginai di
vedere: non uscivano mai dalle loro grotte se non per mangiare e
lavorare.
Doveva
essere un giorno importante perché loro due stessero
lì. Ma la cosa
che più mi sorprese era che avevano entrambe i volti di chi
era
davvero preoccupato.
Mi
accigliai quando vidi che tutti, nella grotta, erano inquieti.
Raggiunsi Jamie, vicino a Lucina e gli altri bambini.
«Ehi,
che succede?» gli chiesi dopo avergli messo un braccio sulle
spalle.
Stava crescendo a vista d'occhio.
Jamie
non rispose. Si limitò a fare spallucce e a sospirare, il
visino
contratto e irrequieto.
«Ehi»
lo scossi debolmente. Mi guardai intorno. «Dov'è
Melanie?»
Il
ragazzo alzò lo sguardo su un corridoio a est della piazza.
Quello
che portava alla grotta-ambulatorio.
Cessai
di respirare.
«Non
mi hanno permesso di andare assieme a loro.» disse alla fine.
Lo
guardai per un breve istante.
Oh,
no.
Mi
decisi a correre verso quel corridoio e scoprire di chi si
trattasse. Non smisi di pregare finché non entrai
nell'ambulatorio e
non li vidi.
Erano
tutti lì, i razziatori.
Tutti
lì ad attorniare una barella con sopra qualcuno che non
riuscii a
scorgere.
Spazio
pseudo autore:
Capitolo
breve... Mooolto breve, ma l'ho fatto per voi! Perché se
avessi
aspettato ancora avrei prolungato la vostra astinenza e voi mi
avreste uccisa xD
Ma
lasciamo stare i miei deliri e passiamo a parlare di cose serie...
In
primis, ci tengo a ringraziare le ragazze che hanno recensito il
capitolo precedente, in particolare Scarlett_Meredith,
e anche quelle che hanno messo la ff nelle
seguite/preferite/ricordate ^.^ Grazie mille a tutte!!!
Come
ho detto prima, il capitolo è veramente breve, ma conto di
farlo più
lungo per il prossimo ;)
Allooora...
che dite, ragazze?? Ben presto scoprirete perché i Cercatori
sono di
nuovo lì, non temete ;) Ma adesso vorrei proprio sapere cosa
pensate
di questo aggiornamento!! Lo farete, vero???
Be',
credo sia ora di andare! (Sto cercando di non scrivere "spazi
autore" più lunghi dei capitoli! :P)
Alla
prossima!
Sha
|
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Capitolo 5 *** Scoperte ***
4
Scoperte
«Perché
l'hanno fatto? Insomma è... è
impossibile!» esclamò Jeb. Non
potevo descrivere la sua espressione, nascosta com'ero dietro
l'angolo del corridoio, ma non fu difficile immaginarmela. Dal tono
che aveva usato doveva essere molto arrabbiato.
«Non
lo sappiamo, Jeb. C'è mancato poco che colpissero anche
me.» disse
Jared.
L'altro
sospirò rumorosamente. Sentii dei passi avvicinarsi ed
allontanarsi
regolarmente dal punto in cui mi trovavo: Jeb stava passeggiando per
la stanza.
Per
un attimo calò un silenzio così profondo da poter
sentire solo il
battito del mio cuore. Ero arrabbiata e impaurita; arrabbiata
perché
era successo qualcosa e nessuno mi aveva avvertita; impaurita
perché
quando non mi dicevano niente, si trattava di una cosa grave.
«Passami
la forbice, Kyle.» ordinò d'un tratto Doc, nervoso.
La
curiosità stava avendo la meglio sulla paura e sulla grande
idea di
starmene in un angolo.
«Merda.
Jared, passami quello. Dai, dai!» sbottò
all'improvviso il dottore,
facendomi sussultare.
«Che
succede, Doc?» domandò... Melanie? Era
lì anche lei?
Non
posso crederci.
Cosa
mi stavano nascondendo di così tanto importante?
Perché c'era anche
lei?
«La
ferita sta perdendo troppo sangue... e la pallottola è
andata molto
in profondità.»
Oh
no, pensai col cuore in gola. Trassi un respiro profondo e
decisi
di abbandonare la mia sorta di nascondiglio.
Un
passo avanti. Un altro. Ed eccomi spuntare dal nulla.
La
scena che avevo davanti mi ricordò tanto quella di quando
avevo
scoperto che Doc aveva ucciso delle anime.
La
grotta-ambulatorio era pervasa dall'odore di ruggine mischiata a
sale: sangue che troneggiava ovunque. Per terra, sulla barella, sul
camice bianco di Doc.
Trasalii
rumorosamente. Così rumorosamente che le decine di occhi che
prima
erano posate su di lui si spostarono tutte su di me. Il mio stomaco
si contorse, provocandomi una nausea improvvisa.
«Wanda...»
sussurrò Melanie, accanto alla barella, un attimo prima che
mi
cedessero le gambe e svenissi per terra.
Qualcuno
ripeté di nuovo il mio nome con la stessa
velocità con cui fui
presa al volo prima che potessi battere la testa contro il pavimento.
L'ultima
cosa che sentii fu il familiare profumo di quel sapone che usavamo
nelle grotte.
L'ultima
che vidi, l'azzurro cristallino di due occhi inconfondibili.
Grazie
al cielo.
Fui
accecata da una potente luce bianca.
Allungai
in malo modo una mano sul viso per proteggermi dalla sua
intensità,
accorgendomi di essere sdraiata su una delle tante barelle che erano
disposte nella stanza.
Le
figure che avevo davanti erano ridotte a delle ombre su uno sfondo
completamente bianco. Tuttavia non fu un'impresa focalizzare la vista
sulle dita che qualcuno teneva intrecciate alle mie.
Subito
mi vennero in mente le immagini di quella stanza imbrattata di sangue
e del viso di Melanie. Di quegli occhi azzurri.
Tra
le tante persone che mi avrebbero potuto tenere la mano, me ne
immaginai solo ed esclusivamente una.
«I-Ian?»
bofonchiai, cercando di scorgere qualcosa oltre la potente luce della
lampada.
Chiunque
avessi accanto, di grazia, la spense e si avvicinò a me,
stringendomi più forte la mano.
Oh.
Sorrisi.
Il mio cuore volò improvvisamente, non tanto per la paura
che ormai
era del tutto svanita, quanto per la gioia di non dover più
sopportare quell'orrenda sensazione che mi aveva contorto lo stomaco
fino a pochi istanti prima.
«Ciao»
mormorò lui. Il suo tono aveva un che di arrabbiato. La sua
espressione era stanca e un po' contratta.
Ce
l'aveva con me, ne ero sicura. Ma poco importava.
Gli
accarezzai una guancia, rispondendo al suo saluto con quell'innocente
gesto d'affetto.
«Mi
sei mancato»
E
tanto. Talmente tanto che solo quando Jamie mi aveva fatto capire che
qualcosa era andato storto, avevo compreso quanto lui fosse
importante per la mia sopravvivenza.
«Anche
tu.»
Ian
mi regalò un sorriso apparentemente rilassato.
Scostò qualche
capello ribelle dalla mia fronte, baciandomela. Il suo tocco
alleviò
ogni mio intorpidimento o senso di nausea.
E
fu in quel momento che ricordai il motivo per cui mi trovavo sdraiata
su quella scomoda barella.
«Come
ti senti?» mi chiese Ian, distraendomi da quel pensiero.
Avevo
ancora la testa che girava, ma il dolore era sopportabile.
«Sto
bene. Non preoccuparti.»
Ian
sospirò, sollevato. «Mi hai fatto prendere un
infarto.»
Feci
per mettermi seduta e attirarlo a me per abbracciarlo. Fu quando lo
strinsi e guardai oltre le sue spalle che inevitabilmente notai un
separé in vimini ad isolarmi dal resto della
grotta-ambulatorio.
E
poi c'era silenzio. Tanto silenzio.
«Possiamo?»
Chiese
qualcuno oltre quella specie di barriera, dopo che mi staccai da Ian.
Improvvisamente
ebbi come l'impressione che chiedere qualcosa riguardo a tutto il
trambusto che avevo visto prima sarebbe stata un'ardua impresa.
Melanie
e Jared comparirono da dietro il separé, con aria
indecifrabile.
Erano
tutti così strani. Anche Ian lo era.
«Mi
hai spaventato a morte.» mi rimproverò dolcemente
Mel dopo essere
comparsa da dietro il separé insieme al suo compagno.
Mi
limitai a sorridere, sia a lei che a Jared, e aspettai con ansia il
momento opportuno per domandare cosa fosse successo prima che cadessi
per terra, esanime.
«Scommetto
che vuoi delle spiegazioni...» iniziò la mia
amica, sedendosi sulla
barella.
Ringraziai
il cielo per avere Melanie, l'unica persona sulla faccia della terra
in grado di codificare le mie espressioni.
Prima
di cominciare con il suo discorso però, la mia amica si
scambiò
un'occhiata d'intesa con gli altri due. Poi, dopo un segnale che non
riuscii a captare, si decise a parlare.
«Durante
il turno c'è stato un incidente... I Cercatori hanno
avvistato la
jeep in cui c'erano Lily e Jared e... hanno sparato.»
Socchiusi
la bocca dallo stupore, allarmandomi immediatamente. Jared mi sorrise
per rassicurarmi. Aveva solo qualche graffio qua e là.
«Io
sto bene.» disse, avvicinandosi senza incrociare il mio
sguardo.
Nemmeno Ian aveva il coraggio di guardarmi in faccia, concentrato
com'era a fissare il pavimento.
Abboccò,
ma non ebbe il tempo di parlare, perché lo interruppi.
L'idea di
pronunciare quelle parole mi provocò una fitta al cuore.
«Hanno
colpito Lily.» conclusi mentre mi si formava un groppo in
gola.
I
ragazzi rimasero in silenzio, in attesa che metabolizzassi la notizia
e che avessi una qualche reazione come svenire di nuovo o piangere.
Ma dato lo shock improvviso, non videro accadere nessuna delle due
cose.
«Dov'è
adesso?» chiesi dopo alcuni minuti di silenzio, drizzandomi
sul
lettino per poter vedere oltre il separé in vimini.
Melanie
cercò la mia mano libera, guardandomi con gli occhi lucidi.
Non
servì aprir bocca per intendere la sua risposta.
Mi
portai una mano alla bocca, cercando di limitare ad un flebile
singulto il singhiozzo che non riuscii a trattenere.
Mel
continuò a stringermi la mano e a fissarmi; Ian invece mi
attirò a
sé, facendomi immergere il viso rigato da inevitabili
lacrime nel
suo petto. Il suo calore alleviò un po' dell'inaspettato
dolore che
mi aveva appena riempito il cuore, senza però farlo
scomparire del
tutto.
Povera
Lily.
Non
eravamo mai state grandi amiche, né delle vere e proprie
sconosciute.
Col
passare del tempo avevo capito che in quelle caverne tutti erano
legati a tutti e che, in un modo o nell'altro, ci si affezionava
facilmente anche alla persona che meno si sopportava. Lily certamente
non era tra quelle. Lei era una ragazza giovane, solare, amorevole e
innamorata fino alla follia di un uomo che aveva impiegato
chissà
quanto tempo per capire di contraccambiare i suoi sentimenti. Quello
stesso uomo che, andandosene troppo presto, probabilmente si era
portato via anche la sua felicità, le sue speranze e i suoi
sogni.
Con
la morte di Wes infatti Lily era diventata un'altra persona. Apatica,
solitaria, depressa. Si era trasformata in un perfetto automa dal
cuore di ferro, ma non lo aveva mai voluto ammettere. Il suo
interesse principale inoltre si era addensato nelle missioni che
mensilmente compiva insieme alla squadra dei razziatori.
Quella
stessa squadra che la notte prima aveva dormito là fuori per
controllare quei maledetti Cercatori.
Ma
adesso almeno potevo essere sicura di una cosa: Lily aveva finalmente
ritrovato il suo Wes ed era ritornata ad essere la ragazza
spensierata e felice che avevo conosciuto. Ne ero sicura.
«Jeb
si sente maledettamente in colpa per averla lasciata andare con
loro.» sussurrò Melanie, la voce incrinata. Jared
la strinse
dolcemente fra le sue braccia, lasciando che potesse comunque
continuare ad intrecciare le dita alle mie.
«Non
deve.» riuscii a dire quando ritrovai la facoltà
di parlare «Sa
quanto volesse far parte della squadra per poter proseguire il lavoro
di Wes. Ha fatto la cosa giusta.»
Ian
mi accarezzò piano i capelli, baciandomi affettuosamente
sulla nuca.
«C'è
dell'altro» intervenne poco dopo il mio compagno
«riguardo ai
Cercatori.»
Melanie
ed io alzammo lo sguardo su di lui, in attesa.
Ian
si soffermò sui miei occhi, quasi come se volesse immergersi
nell'argento che il colorava. Per la seconda volta da quando ci
eravamo messi assieme riuscii ad intravedere la mia anima riflessa
nelle sue iridi.
«Siamo
stati attaccati da uno strano Cercatore» proferì
Jared, facendomi
voltare verso di lui.
«In
che senso?» domandai, corrugando la fronte.
«Sembra
che sia lui ad avere il comando su tutto»
§
Lily
fu sepolta accanto a Wes e Walter il giorno dopo.
Sarebbe
ingiusto omettere che, dopo che tutti appresero della sua morte,
l'atmosfera nelle caverne si fece ancora più irrespirabile.
Basta
dire che Maggie e Jeb litigarono solo perché gli specchi non
fossero
più adoperati nella cura dei campi, per far comprendere
quanto fosse
grande l'esasperazione che vi regnava.
«Cosa
si sa su questo Cercatore?» chiesi ad Ian la sera del
funerale.
«Niente
di preciso. Sappiamo solo che non viene a trovarci molto
spesso»
borbottò con una punta di ironia.
«Mmh»
mi limitai a rispondergli, continuando a piegare i vestiti nella
specie di armadio che Ian aveva ingrandito per fare spazio anche alle
mie cose.
Questa
nuova informazione non era condivisa da tutta la comunità,
in quanto
Jeb aveva chiaramente ordinato che i razziatori, unici a conoscerla,
avrebbero dovuto tacere.
Ultimamente,
nelle grotte, molte cose – che fossero di poca o grande
importanza
– erano tenute allo scuro sempre per evitare inutili e
sconvenienti
litigi. Io non condividevo molto questa decisione, ma se serviva a
garantire la pace, dovevo rispettarla.
Feci
per sospirare, ma fui bloccata da delle braccia che mi avvolsero
all'improvviso da dietro. Ian appoggiò il mento alla spalla,
inspirando il mio profumo. Chissà perché lo
faceva sempre?
«Stai
bene, Wanda?» mi chiese.
Mi
accigliai, senza riuscire a capire il motivo per cui mi avesse posto
quella domanda.
«Sì...
Perché?» replicai mentre mi voltavo, lasciando che
le sue braccia
continuassero a circondarmi.
Ian
squadrò ogni centimetro del mio viso, passandomi una mano
fra i
capelli. La sua espressione era indecifrabile.
«Ricordo
ancora come sei stata per Walter e Wes.» disse con fare
misterioso,
alludendo al fatto che fossi stata male e che mi fossi sentita in
colpa.
«Ian...
Sto bene» lo rassicurai, allacciandogli le braccia al collo
«Non
sono al settimo cielo, ma ce la posso fare.»
«Sicura?»
ribatté, poco convinto.
Annuii,
avvicinandomi ulteriormente al suo viso per baciarlo. Lui
ricambiò
dolcemente, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare.
Non
avevo mentito. Non ne ero capace e Ian lo sapeva. Avevo solo capito
che essere troppo emotiva non mi avrebbe portata da nessuna parte.
Insomma,
ero fragile, ma alla giusta maniera. Piangere le persone che si
perdono per il resto dei tuoi giorni non è un bel modo per
superare
la loro dipartita e godersi la vita.
«Ti
amo» disse Ian quando ci staccammo.
«Ti
amo anch'io» Sorrisi e lo presi per mano, trascinandolo con
me verso
la porta rossa.
Al
rientro dal funerale, durato quasi un'ora, ebbi il compito di
cucinare per i bambini, gli unici ad avere fame dopo la brutta
giornata. Solitamente non mi veniva concesso di badare a loro.
Neanche ora, che convivevamo da più un anno. Non avevo mai
saputo
quale fosse il motivo. L'avevo capito solo quando avevo visto Lacey
indaffarata a coccolarli solo dopo pochi giorni dal suo arrivo.
«Ho
fame, ho fame!» protestava uno dei bambini, tirando la lunga
gonna
che indossava Lucina.
«Adesso»
gli rispose dolcemente lei, sedendosi accanto al tavolo per poi
prendere in braccio il piccolo «Wanda ti farà
mangiare»
«Cosa
ci prepari, Wanda?» mi domandò un'altra,
avvicinandosi a me con la
sua bambola. Allacciai il grembiule e sorrisi alla bimba.
«Sarà una
sorpresa» le mormorai, sfiorandole la punta del naso con un
dito.
Lei
mi sorrise di riflesso e arrossì, stringendo la sua bambola
al petto
per nascondersi.
Preparai
velocemente le uniche cose che erano rimaste per i bambini: latte per
i più piccoli e minestra per i più grandi.
Lucina
mi aiutò a mettere nelle ciotole il cibo, parlandomi con
più
confidenza del solito.
«Ci
sai fare con loro» commentò mentre portava i
piatti in tavola,
provocando la gioia di tutti i bambini.
Feci
spallucce, avvampando per il complimento. «Non sono
così
insopportabili come dicono» Mi sedetti nella parte opposta
alla mia
"collega-baby-sitter", osservandola imboccare ciascun
bambino con assoluta tranquillità. Chissà come
faceva a tenerne
buoni così tanti?
«Concordo»
disse, alzando lo sguardo verso di me. «Potresti sempre
averne uno,
se ti piacciono così tanto»
Sbattei
le palpebre, palesemente sbigottita. Non avevo mai pensato a niente
di simile in tutta la mia vita.
«Quando
è tuo, non potrebbe che renderti felice dover farci i conti
tutti i
giorni»
«Be'...
grazie per il consiglio... anche se non ci avevo mai pensato»
sussurrai, guardando in tutte le direzioni tranne che nella sua.
«Finito!»
urlò d'un tratto Freedom, alzandosi in piedi sulla panca.
«Bravo.
Adesso puoi andare a giocare» gli rispose soddisfatta Lucina,
pulendogli le labbra sporche di pappa con un tovagliolo.
Il
bambino si allontanò dal tavolo e andò a giocare
con i suoi
amichetti.
«Be'...
di niente, Wanda» ridacchiò, ritornando alla
nostra conversazione
«Tu e Ian sareste due genitori perfetti»
A
quell'altro complimento, sentii come se le vene della faccia mi
fossero scoppiate.
Santo
cielo!
Che
cosa imbarazzante!
Proprio
in quel momento entrò nella stanza Jamie.
«Ciao,
ragazzi» disse disinvoltamente, venendosi a sedere accanto a
me.
«Ciao,
Jamie»
«Dov'eri
finito?» borbottò Lucina, stranita.
«Ero
con mia sorella... Avete lasciato qualcosa anche per me?»
«Credo
sia rimasta della minestra» intervenni, alzandomi
automaticamente
per versargliene un po' in un piatto.
Jamie
sbuffò, disgustato dalla cena, ma non fece alcuna protesta
quando
gliela porsi.
«Le
scorte stanno finendo» mi limitai a spiegargli mentre pulivo
una
pentola.
Il
loro silenzio – si fa per dire, dati gli urli dei bambini
– mi
bastò per capire quanto la mia affermazione li avesse
entrambi
turbati.
«Quando
avete intenzione di andare in missione?» mi
domandò Lucina, dopo
aver dato il latte ad uno dei bimbi.
«Non
lo so... Sono successe tante cose e non abbiamo avuto il tempo di
parlarne. Ma lo faremo» mi voltai per una frazione di
secondo,
lanciandole un'occhiata rassicurante.
Tra
le persone che più mantenevano la calma in quel periodo
c'ero
sicuramente io. Ne ero certa.
Dopo
quel breve scambio di parole, ci rifugiammo ognuno nei propri
pensieri. La serata passò lenta tra cucchiai da lavare e
pentole da
sistemare. Lucina se ne andò verso le nove, con la scusa di
dover
portare a letto la sua ciurma di birbanti; Jamie invece rimase ad
aspettarmi finché quasi non si addormentò. Lo
feci andare via,
pregandolo di avvisare Ian che lo avrei raggiunto appena finito.
E
finii. Ma starmene sola con me stessa mi mancava, quindi decisi di
passare ancora qualche minuto in cucina.
«Posso?»
Nel
più bello dei silenzi fui riportata al presente da una
visita
inaspettata.
Mi
voltai, sobbalzando, poi sospirai. «Lacey»
«Scusami,
non volevo spaventarti» mi sorrise dolcemente e si
avvicinò a me.
Indossava una tuta e un largo cardigan.
«Tutto
bene?» le chiesi mentre la osservavo. I capelli le ricadevano
sulle
spalle, liberi e un po' in disordine, e contornavano un viso scarno e
segnato dalla stanchezza.
«Non
riesco a dormire»
«Ah...»
«E
tu che ci fai qui?» domandò, prendendo posto nel
punto più lontano
da dove mi trovavo io. Sventolai uno straccio, alzando le spalle.
«Ho
lavorato... E avevo bisogno di stare un po' da sola»
Lacey
si strinse nel suo cardigan, appoggiando i gomiti al tavolo.
«Ti
capisco»
«Vedi,
Wanda... Io... volevo scusarmi per quello che è successo
qualche
giorno fa. Ero terrorizzata e...» iniziò.
«Non
c'è niente di cui ti devi scusare, Lacey. È
normale che tu l'abbia
presa così» dissi, alludendo al nostro spiacevole
incontro nelle
grotte.
Lei
sorrise, abbassando lo sguardo.
E
proprio in quel momento mi si accese una lampadina in testa.
«Lacey...
vorresti aiutarmi a capire una cosa?»
La
ragazza si accigliò, ma annuì.
«Jeb
ci ha ordinato di non dirlo a nessuno, ma io penso che se lo dicessi
a te potremmo risolvere qualcosa»
«Dimmi»
Trassi
un respiro profondo e sperai che quello che stavo per fare non fosse
un errore.
«Mi
è stato detto che Lily e Jared sono stati attaccati dai
Cercatori...
uno in particolare...» parlai lentamente, in attesa di una
sua
qualche reazione.
«Un
uomo?» chiese lei, la voce improvvisamente impaurita.
Scossi
la testa in segno di assenso e nei suoi occhi vidi il terrore.
«Lacey,
se sai qualcosa... qualsiasi cosa...»
«Credo
di sapere chi è»
Continuai
a fissarla ansiosamente.
«È
un uomo malvagio, Wanda. Se è chi penso che sia, siamo
davvero nei
guai»
«Perché?»
«Perché
era il suo compagno, Wanda. Della Cercatrice»
Ogni
mio dubbio venne illuminato da quell'agognata verità.
«E
sicuramente la rivuole» concluse, lo sguardo vitreo
proiettato nel
passato, forse per ricordare il suo volto.
«Vieni»
le ordinai, prendendola per mano. «Dobbiamo avvisare gli
altri»
Spazio
pseudo autore:
Ta
da! Finalmente abbiamo scoperto perché i Cercatori sono
qui!!! ^_^
Contente??? Io sììì!!
Allooora...
Direi che il titolo del capitolo è molto azzeccato...
La
morte di Lily è stata necessaria per dare una svolta alla
storia.
Inoltre lei era molto triste (nel libro non si parla quasi mai di
lei, ma io ho voluto aprire una piccola parentesi prima di
abbandonarla del tutto) e l'unica cosa che veramente voleva era
riconciliarsi al suo Wes.
Ma
ammettiamolo, avete creduto che fosse un'altra persona quella sulla
barella, eeeh??? Di qualcuno lo so già ;) di altre
però no. Non me
l'avete detto: eravate troppo ansiose di sapere perché i
Cercatori
fossero tornati alla carica :P
Il
capitolo in sé è molto discorsivo, e si alterna a
momenti di vero e
proprio dolore, a momenti di spensieratezza e tranquillità
(come
avviene con i bambini che Wanda deve curare). Questo ovviamente l'ho
fatto per non renderlo troppo intenso e farvelo pesare troppo :)
Be',
penso di aver detto il minimo indispensabile!
Ringrazio
di cuore le persone, sempre più numerose, che di tanto in
tanto
mettono nelle seguite/preferite/ricordate questa fanfiction, ma
ringrazio di più quelle che perdono un po' del loro tempo a
recensire. Siete carinissime ragazze, però vorrei che foste
più
numerose!! Mi servite come nemmeno immaginate!! <3
P.S.
Il prossimo aggiornamento non conto di farlo in pochi giorni, in
quanto avrò alcuni impegni che seguiranno una vacanza di una
settimana e mezza. Ma a questo siete abituate, lenta come sono nel
pubblicare!! xD
Un
abbraccio,
Sha
|
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Capitolo 6 *** Programmi ***
6
Programmi
«Hai
tutta l'aria di chi non vedeva l'ora di vedermi» dissi
sarcastica,
mentre mi lasciavo catturare dalle sue braccia e annullavo la
distanza che divideva le nostre labbra.
Il
silenzio che susseguì la mia osservazione fu spezzato dalla
sua
risata cristallina.
«Mmh,
cosa te lo fa pensare?» replicò sulla mia bocca.
Tracciò
il profilo del mio corpo con una mano, fino ad arrivare ai miei
capelli, raccolti nel solito chinions.
Sfilò
abilmente il mio fermaglio, liberando la mia chioma paglierina.
Le
sue dita tracciarono figure astratte sulla mia nuca, lisciando ciocca
per ciocca.
«Mi
piacciono di più così.» Si
allontanò da me, senza però smettere
di stringermi una mano, e mi trascinò in cucina.
«Che
buon profumo»
«Grazie»
ribatté con il suo fare superiore, facendomi sorridere.
«Come
procede il lavoro?» chiese dopo qualche minuto, mentre io mi
toglievo la giacca categoricamente bianca e la lasciavo sul divano
del salotto.
Trasalii,
ma non tanto forte perché lui potesse sentirmi, e ritornai
in cucina
con un finto sorriso sulle labbra.
«Non
c'è che dire» cercai di nascondergli il fastidio e
la
preoccupazione con una semplice scrollata di spalle. Non amavo
parlare con lui del lavoro: tra colleghi insopportabili e anime
corrotte dai propri ospiti non era proprio il massimo chiacchierare
di tal propositi.
«Fammi
indovinare. Soliti problemi, soliti litigi»
«Esatto»
«E
di quella famosa anima... come si chiama...»
«Viandante?»
pronunciai quel nome con una punta di disprezzo, sperando
più che
altro di non dover parlare di lei.
«Sì,
Viandante»
«Oh»
sbuffai, appoggiando con fare stufo un gomito al tavolo «Ho
intenzione di togliermela dai piedi il prima possibile»
«Come
sarebbe?» domandò lui con un'espressione confusa e
perplessa.
Annuii
di tutto punto, sicura al cento percento di quello che avevo appena
detto.
«Faresti
un grande errore a sbarazzartene. Non...»
«Non
sono come te, Drago. Non m'interessa quello che pensano gli altri. Io
sono la Cercatrice che ha trovato la sua ospite. Nessuno può
andarmi
contro. Nemmeno
tu.»
sbottai, alterata.
«Si
trova nella stessa situazione tua e di Lacey» disse in tutta
risposta, inchiodandomi con il suo sguardo di ghiaccio «Non
dovresti
comportarti in questo modo. Pensa se fossi al suo posto»
«Io
so mantenere il controllo.»
«Questo
lo dici tu.»
«Non
mi credi?» lo sfidai, mettendomi a braccia conserte.
«E
tu credi a lei?»
«Mmh,
erano proprio una bella coppia» borbottò Ian,
appoggiando il mento
sulla mia testa con fare assonnato.
Jeb
ridacchiò stancamente e lanciò un'occhiata a
Lacey, che dopo aver
terminato il suo racconto aveva sospirato e si era seduta a gambe
incrociate su una sedia.
«In
effetti è vero. Non riesco ancora a capire come facessero a
stare
insieme»
Più
che altro io mi domandavo come lei avesse potuto gestire tutto quello
che la Cercatrice aveva combinato.
«Neanch'io»
replicò Ian, iniziando a percorrere con l'indice il profilo
del mio
braccio destro. Mi appoggiai al suo petto, chiudendo gli occhi per un
attimo.
Io
e Lacey avevamo svegliato tutti i componenti della squadra dei
razziatori in piena notte e, anche se nessuno di loro aveva ben
accolto il nostro invito a seguirci in cucina, erano venuti senza
fare tante storie.
«Ma
si amavano molto. Credo. Per un attimo anch'io ho pensato di essermi
innamorata...» mormorò Lacey.
Quelle
parole mi ricordarono tanto ciò che Melanie era stata
costretta a
sopportare quando io ero stata dentro il suo corpo e avevo baciato
più volte Ian.
Come
se avessimo pensato alla stessa cosa, entrambe ci voltammo per
scambiarci uno sguardo d'intesa.
«Ed
è stato così?» domandò d'un
tratto Jared, le braccia conserte e i
capelli in disordine per la sveglia alle due di notte. «Te ne
sei
innamorata?» aggiunse, rivolgendosi a Lacey.
Guardai
la ragazza. Sembrava insicura di dire o meno la verità.
«Questo
non è importante.»
«Io
penso di sì.»
«Sono
umana. Non
metterei mai a repentaglio la vita delle persone che mi hanno aiutata
a ritornare per un'anima.»
La ragazza si voltò per un secondo verso Doc, poi verso me,
come per
scusarsi.
In
quanto alla sua affermazione, be', potevo ammettere di fidarmi di
lei. D'altronde, anche Candy, la Guaritrice, una volta ritornata non
aveva fatto altro che contribuire alla sopravvivenza di tutta la
comunità. Sarebbe stato un controsenso se avessero fatto il
contrario.
«Cosa
facciamo adesso?» chiese Kyle, spezzando la tensione che si
era
venuta a creare nella stanza.
«Be',
ragazzi, credo che sia ora di uscire in missione: le scorte stanno
per terminare.» gli rispose Jeb, alzando le spalle.
Qualcuno
accanto a me sospirò, forse contrariato, forse spaventato.
Mi
strinsi di più ad Ian, che contraccambiò la
stretta e prese a
sfiorarmi i capelli. Non volevo andare in missione proprio in quel
momento; l'idea che uno di noi, che fosse Jeb, Melanie, Kyle o Ian,
potesse morire mi faceva rabbrividire. Ma non potevamo aspettare, o
saremmo comunque morti di fame.
«Quando?»
domandai.
«Come
siamo messi con le scorte, Jared?» fece Jeb.
«Ci
bastano al massimo per quattro, cinque giorni. Io e Aaron abbiamo
controllato oggi pomeriggio.»
«Mmh»
lo zio di Melanie iniziò a passeggiare per la stanza,
carezzandosi
la barba grigia e lunga con fare pensieroso.
Dopo
due minuti arrivò la risposta alla mia domanda.
«Dopodomani.
Partiremo di notte, quando i Cercatori si saranno ritirati e noi
potremo usare i furgoni.»
«Okay»
Jared annuì e si alzò per dare una pacca sulla
spalla a Jeb, che
ricambiò con un sorriso appena accennato. Anche per loro,
l'idea di
dover uscire non era molto allettante.
«Verrò
con voi, stavolta. Voglio assicurarmi che non facciate
pasticci.» a
quella sua battuta, i ragazzi ridacchiarono allegramente, privandosi
di quella preoccupazione che aleggiava su tutti i loro volti, incluso
il mio.
«Andate
a dormire adesso. Domani ci metteremo d'accordo su chi andrà
o meno
in missione. Buona notte.»
«Notte,
Jeb»
«Ragazzi»
Dopo
essersi salutati, Kyle, Doc, Aaron, Brandt, Melanie e Jared se ne
andarono. Quest'ultimo in particolare prima di andarsene
fissò con
fare diffidente Lacey, che era stata trattenuta da Jeb.
«Grazie,
Lacey. Ci sei stata molto d'aiuto» gli sentii dire quando mi
avvicinai insieme ad Ian.
«Jeb
ha ragione» mi intromisi, facendo voltare entrambi verso di
me.
«Be',
se non fosse stato per Wanda probabilmente non avrei potuto
aiutare.»
«Anche
Wanda è stata brava. Se ti ha svelato questo piccolo
segreto, vuol
dire che si fida di te. Come me.» Jeb le sorrise.
«E
come me» intervenne Ian nello stesso istante in cui mi
circondò i
fianchi con un braccio.
Lacey
sorrise. «Sono felice che lo pensiate. Sono disposta a venire
con
voi, se servirà.»
«Non
devi scomodarti per questo. Ci occuperemo noi della
missione.» le
disse gentilmente Ian.
«Okay...
be', adesso vado... Buona notte.»
«Buona
notte»
Lacey
si congedò senza smettere di sorridere, lasciandoci soli.
«Hai
avuto fegato, Wanda. Come hai fatto a non dubitare di lei?»
mi
domandò Jeb, curioso.
«Sesto
senso.»
Lui
rise. «Sei incredibile.»
«Lo
è sempre stata.» lo corresse Ian, attirandomi di
più a sé.
Arrossii,
improvvisamente a disagio.
«Ci
vediamo domani, ragazzi. Buona notte.» Jeb si
affrettò a
congedarsi, lanciandoci un'occhiata piuttosto eloquente. Il mio
imbarazzo non poté che aumentare. Ian ridacchiò
per la mia
reazione.
Sbadigliai.
D'un tratto mi accorsi di quanto avessi bisogno di dormire.
«Andiamo
anche noi?» mi domandò dolcemente lui.
Annuii,
appoggiandomi al suo petto.
«Ti
fidi davvero di lei?»
Osservai
il mio compagno chiudere per bene la porta prima di raggiungermi sul
letto.
«Certo»
fece spallucce, sdraiandosi su un fianco. «Tu ti fidi. Io mi
fido.»
Ovviamente.
Come potevo non saperlo?
Ian
mi sorrise e prese a giocherellare con una ciocca dei miei capelli.
Io rimasi a guardarlo, senza aspettare che aggiungesse altro.
Era
così bello quella notte. La luce della luna, che penetrava
dalla
fessura sopra le nostre teste, rendeva la sua pelle pallida ancora
più diafana, i capelli ancora più scuri, gli
occhi color del
ghiaccio ancora più profondi.
Quanto
mi sarebbe mancato averlo tutto per me, se non fossimo ritornati
dalla missione...
E
se avessimo deciso di non andare? No. No. Sarebbe stato ingiusto, da
codardi, lasciare che i miei amici incontrassero il pericolo mentre
io me ne restavo al sicuro con Ian.
E
allora cosa avrei potuto fare?
Niente,
sussurrò la mia voce interiore, assopita. Era troppo
impegnata a
godersi le carezze che Ian mi stava facendo per potermi urlare in
faccia.
«A
cosa pensi?» chiese lui, ridestandomi dal mio monologo
interiore.
Alzai
gli occhi sul suo viso, così sereno e perfetto, chiedendomi
come
riuscisse a nascondere la preoccupazione che vi aleggiava.
«Ho
paura, Ian.» ammisi, lasciando che una lacrima scivolasse
sulla mia
guancia.
«Di
cosa?» chiese, turbato.
Mi
sdraiai accanto a lui, intrecciando le nostre dita.
«Ho
paura di quello che potrebbe succedere durante la missione.»
«Andrà
tutto bene, piccola» mormorò, avvolgendomi fra le
sue braccia. E
per un attimo, nei suoi occhi riuscii ad intravedere quella stessa
paura che io non avevo saputo nascondere.
«Abbiamo
ancora due giorni: sta tranquilla.»
«Due
giorni per me non sono abbastanza. Non se so che saranno gli ultimi
che potremo passare in questo modo.»
Ian
si sforzò di ridere, poi divenne nuovamente serio.
«Te lo prometto,
Wanda. Qualsiasi cosa accadrà, noi saremo sempre insieme. Sempre.»
«Okay.»
dissi, stringendomi ancora di più a lui.
«Nemmeno
per me due giorni sono abbastanza.» soffiò poco
dopo, facendomi
finalmente sorridere.
Ce
lo eravamo promesso. Noi saremmo stati sempre insieme, qualsiasi cosa
sarebbe accaduto.
E
avrei rispettato questa promessa anche a costo della vita.
Sull'onda
di questi pensieri scivolai fra le braccia di Morfeo, alleggerendo la
mente di qualsiasi problema o preoccupazione.
§
«Seriamente,
ragazzi. Avete una faccia che fa invidia al più brutto dei
drogati!
Cosa avete fatto stanotte?» sbottò Jamie,
sconsolato.
Sbuffai,
assumendo un'espressione alquanto contrariata che però lui
non poté
vedere, dato che gli davo le spalle.
Ian
affondò la zappa nella terra, alzandosi per poter prendere
un altro
attrezzo dal tavolo accanto a noi.
«Ma
tu non dovresti essere a scuola?» lo rimbeccò,
esasperato.
Jamie
ovviamente non sapeva niente e per quanto cercasse di indovinare
quale grandi e travolgenti cose fossero accadute la notte prima, ero
sicura che non sarebbe mai arrivato a scoprire la verità.
«Sharon
non lavora ventiquattro ore su ventiquattro.»
«Ma
guarda caso!» esclamò Ian. Non era la prima volta
che assistevo ad
un loro battibecco. Era divertente ascoltarli, anche se la maggior
parte delle volte litigavano perché Jamie era troppo curioso
di
sapere tutto su tutti.
Ma
era ancora piccolo per cercare di trattenersi, quindi non lo
accusavo. Tuttavia, certe volte mi chiedevo chi tra i due fosse il
più bambino.
Alcune
volte sembravano in combattuta per chi ottenesse il giocattolo
più
bello, altre in collera perché l'uno aveva rovinato la
giornata
all'altro.
«Dai,
Wanda. Almeno tu puoi dirmelo, vero?» mi implorò
Jamie, facendomi
gli occhi da cucciolo bastonato.
Mi
tirai su, voltandomi verso di lui per regalargli un sorriso che
additava scuse.
«Io...»
«Wanda
non è stata bene. Contento?» m'interruppe Ian,
prima che potessi
finire la frase.
Jamie
mi lanciò un'occhiata indagatrice. Chissà
perché qualcosa mi
suggerì che non se l'era bevuta? Fatto sta che,
probabilmente per la
poca delicatezza con cui Ian lo aveva liquidato, si
accontentò di
quella risposta.
Nella
grotta d'un tratto apparì Melanie, che ci raggiunse in poche
falcate
attraversando i campi di grano.
«Oh,
Melanie! Non vedevo l'ora di vederti! Il tuo fratellino è in
vena di
chiacchiere.» esclamò Ian, esponendo in modo assai
diplomatico il
fastidio che gli stava provocando Jamie. Gli diedi una gomitata.
«Non
è vero, Mel.» replicò il ragazzino,
lanciando un'occhiata di sfida
al mio compagno, che lo trafisse con la forza del pensiero.
Ridacchiai
e, inginocchiandomi nuovamente sul terreno fresco di aratura,
incontrai il viso contratto dalla rabbia di Melanie.
«Jamie,
non dovresti essere a scuola?» chiese.
«Perché
me lo chiedete tutti? Sono così insopportabile?»
«Non
so cosa te lo faccia pensare.» borbottò Ian.
«Stai
saltando troppe lezioni. E sai che Sharon perde la pazienza piuttosto
velocemente.» intervenne Melanie.
«Ma...»
«Niente
ma, Jamie. Vai subito da Sharon!»
Jamie,
come sempre, si sottomise agli ordini della sorella, e si
allontanò
dai campi a testa bassa.
Passarono
alcuni minuti di silenzio, in cui io ed Ian ci scambiammo degli
sguardi alquanto perplessi. Melanie invece indossò dei
guanti e
iniziò a zappare il terreno.
«Siamo
irascibili stamattina.» mormorò Ian, talmente
piano che riuscii a
sentirlo solo io.
Gli
lanciai l'ennesima occhiataccia, poi mi avvicinai a Melanie.
«Va
tutto bene?» le domandai, aiutandola con la zappa.
«No.»
grugnì «Ho litigato con Jared.»
«Per
cosa?»
«Va
bene se ne parliamo dopo?» sospirò, sistemandosi
una ciocca di
capelli dietro l'orecchio.
«D'accordo.»
Mi
allontanai nuovamente, notando Maggie distribuire dell'acqua fra i
campi. Quando arrivò da noi porse una bottiglia sia ad Ian
che a
Melanie, poi, con riluttanza, me ne diede una anche a me.
«Grazie»
mormorai timidamente, prima che notassi lo sguardo cupo che Ian le
aveva appena riservato.
Trangugiai
metà bottiglia, poi ritornai al mio lavoro.
«Jared
pensa che sia una cazzata fidarsi di Lacey.»
cominciò d'un tratto
Melanie.
Corrugai
la fronte. «Non ne sono sorpresa, dato che il modo in cui si
è
comportato ieri notte.»
Mel
sbuffò. «Pensa che non dovremmo nemmeno andare in
missione. "Se
è come penso io e lei verrà con voi in missione,
allora avrete
qualcosa su cui riflettere", ha detto.»
«Con
voi?» chiesi, confusa.
«Sì,
non ha intenzione di venire se ci sarà lei. Non vuole fare
andare
nemmeno me. Per questo abbiamo litigato. Pensa sia troppo
pericoloso.»
Ripensai
al fatto che la sera prima Lacey avesse dato disponibilità
per
venire in missione.
Ripensai
anche a quello che aveva appena detto Melanie. Non potevo sapere
quanto fossero fondati i sospetti di Jared; probabilmente era
così
preoccupato solo perché si era fatto uno dei suoi tanti film
in
testa.
«Mel,
sta tranquilla. Si risolverà tutto.» strinsi
amichevolmente una
mano alla sua spalla, sorridendole.
«E
come?» chiese lei.
«Gli
parlerò io.»
«Non
ti darà ascolto.»
«Staremo
a vedere.»
Melanie
fece per ribattere quando improvvisamente sentimmo un rumore
provenire dall'apertura della grotta in cui erano affissi gli
specchi. Le persone si zittirono per ascoltare con più
attenzione il
suono lontano ma familiare delle pale di un elicottero, guardandosi
fra di loro con aria preoccupata.
«Abbassate
gli specchi!» urlò la voce di Jeb, che
apparì poco dopo nella
grotta. Subito venne aiutato da altre quattro persone, che scattarono
verso di lui nel tentativo di oscurare la caverna e non farci
scoprire dall'elicottero.
Ian
mi attirò a sé con fare protettivo, trattenendo
il respiro.
Il
rumore delle pale si fece ancora più assordante quando i
Cercatori
si avvicinarono all'apertura. Per un momento mi sembrò di
rivivere
un deja-vu. Tutti si immobilizzarono, in attesa.
Chissà
se fossimo mai riusciti a passare un giorno senza essere tormentati
da quei dannati Cercatori?
Spazio
pseudo autore
E
dopo un mese e un giorno, sono ritornata fra voi! Oh, ragazzi, mi
spiace di avervi fatto aspettare così a lungo, ma proprio
non ho
avuto tempo per scrivere e pubblicare. Ma voi siete bravi, quindi mi
perdonerete, vero??? *fa gli occhi da cucciolo*
Ok,
passiamo al capitolo xD
Il
flashback che lo apre descrive un momento abbastanza quotidiano e
intimo della Cercatrice e del suo compagno. Stiamo iniziando a sapere
qualcosa su di lui, ad esempio il suo nome (non so se avete fatto
attenzione ;)).
Jared.
In questo capitolo ci ha fatto un po' penare. Sapete com'è,
quindi,
vi prego, compatitelo! Alla fine arriverà a prendere una
decisione
(andrà o non andrà in missione con Melanie?)
quindi stay strong and
take it easy xD
O'Wanda.
Lascio commentare a voi la parte in cui i nostri fidanzatini si sono
scambiati una sacra promessa (che ho accennato anche nel prologo
ù.ù)
La
missione. Finalmente ci sarà un po' di azione in
più! Prometto che
vi rifarete di tutti questi capitoli calmi e noiosi ;)
Prima
di andarmene, vi devo spoilerare una cosetta o due: i nostri
protagonisti cercheranno di godersi appieno questi due, ultimi giorni
di pace prima di uscire ;D
Vi
saluto!! (Non è necessario dire che vi aspetto nelle
recensioni xD)
Sha
|
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Capitolo 7 *** Dimostrazioni ***
7
Dimostrazioni
«Allora,
cos'aveva oggi Melanie?» Ian mi prese per i fianchi,
sussurrandomi
all'orecchio.
Mi
voltai verso di lui, buttando in un sacco nero l'ennesimo scatolo
vuoto. Quella mattina purtroppo non avevamo più potuto
lavorare i
campi. Ordini di Jeb, che era più nervoso e irritante del
solito.
Tutti,
a dire il vero, erano più nervosi e irritanti del solito.
Jeb a
pranzo aveva annunciato che il giorno dopo saremmo partiti,
perciò
la preoccupazione si era estesa all'intera comunità. E poi
aveva
anche chiesto di sistemare gli scatoli che occupavano il magazzino,
per far sì che, quando saremmo tornati, avremmo avuto spazio
per le
nuove scorte.
«Ha
discusso con Jared...»
«Ah»
Ian si accigliò, aiutandomi a schiacciare uno scatolo.
«Insomma,
sai com'è lui.» dissi.
«Egoista...?»
domandò, retorico.
Lo
fissai, contrariata, e appoggiai le mani ai fianchi.
«Stavo
per dire protettivo.»
«Oh,
sì. Lo penso anch'io.» replicò, con il
medesimo tono irrisorio.
Gli
lanciai un pacco addosso, ma lui lo parò prontamente. Era
incorreggibile.
«Comunque,
non si fida di Lacey. Pensa che se verrà in missione
sarà perché
vorrà metterci in trappola, e per questo motivo ha litigato
con
Melanie: lei vorrebbe venire senza che lui la obblighi a fare il
contrario.» continuai a spiegare, mentre frugavo in una
scatola per
vedere se ci fosse qualcosa.
«Jared
dovrebbe farsi meno problemi. Melanie se la sa cavare da
sola.»
«Vorrei
vedere te al suo posto...» commentai ad alta voce, sebbene
quello
fosse solo un pensiero passeggero.
«Ma
tu non puoi vivere senza di me.» mormorò
maliziosamente Ian,
spingendomi contro il muro. Il colore delle sue iridi spiccò
nella
penombra della stanza. Mi guardava in un modo che nemmeno riuscivo a
descrivere.
Mi
prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo per potermi
baciare,
mentre io sorridevo compiaciuta.
«Forse
hai ragione.» dissi poco dopo, rimanendo ancora intrappolata
tra lui
e il muro.
«Qui
sembra che abbiamo finito.» notò Ian quando smise
di guardarsi
attorno.
«Già.»
«Andiamo
in camera? Sembri stanca.» disse, sfiorandomi una guancia.
«Prima
devo fare una cosa.»
Lo
oltrepassai, ma prima che potessi uscire dal magazzino Ian mi prese
per un polso. Mi tirò verso di sé con
così tanta energia da farmi
sbattere contro il suo petto.
Alzai
gli occhi sui suoi, immergendomi nell'azzurro cristallino che li
colorava. Erano così belli.
«Posso
sapere cosa devi fare di tanto importante da mettere me al
secondo posto?» domandò, con finto fare offeso e
sconsolato.
«Devo
andare a parlare con Jared. Per Melanie.» risposi mentre
abbassavo
lo sguardo sulle sue labbra, distese in un debole sorriso che
sparì
subito dopo.
Il
suo viso si indurì in un'espressione contrariata.
«Perché
devi? Non sono cose che ti riguardano.»
Chissà
perché sospettai che Ian non fosse d'accordo? Forse
perché
c'entrava Jared?
D'un
tratto qualcosa dentro di me sussultò. O meglio, si
risvegliò, come
se fino a quel momento fosse stata quiescente. Era ciò che
provavo
per Jared?
«Ian,
per me Mel è come una sorella. Non abbiamo mai avuto
segreti... e ci
siamo sempre aiutate.»
«Qui
si tratta anche di Jared, Wanda.»
«E
quindi?»
Ian
boccheggiò. Il suo viso era un mosaico di emozioni: in esso
vi
leggevo rabbia, disagio, paura e nervosismo.
Non
potevo essere sorpresa dalla sua reazione, perché lui sapeva
almeno
quanto me che una piccola parte di me amava ancora Jared.
Allungai
una mano sul suo viso. «Ian, se c'è qualcosa che
ti turba devi
dirmelo.»
Lui
sospirò, appoggiandosi alla mia mano.
L'ultima
volta che avevamo parlato di quell'argomento era stato quasi un mese
prima, quando ero stata spostata nel corpo di Luna. Ian era stato
comprensivo. Io ero stata sincera. Avevamo chiarito, e da quel
momento eravamo diventati ancora più inseparabili.
«Io
ti amo, Wanda, ma l'idea di doverti dividere con qualcun altro mi
logora. Io voglio che tu sia mia. Solo
mia.» rispose Ian,
prendendo la mia mano per stringerla al suo petto. Lì,
all'altezza
del cuore.
«Ma
io sono tua.»
Dimezzai
la distanza che divideva i nostri volti, senza smettere di fissarlo
negli occhi.
Per
l'ennesima volta mi domandai come avessi potuto meritare un compagno
così.
«Ho
bisogno che tu me lo dimostri, Wanda. Io mi fido di te, ma non mi
fido di me. Di quello che penserei se tu adesso
andassi da
Jared e...»
«Io
sto semplicemente aiutando Melanie, Ian. Jared è solo un
amico a cui
voglio bene. Niente di più.»
Se
la stanza non fosse stata in penombra, Ian avrebbe colto il guizzo di
apprensione che era passato dai miei occhi. Non sapevo quanto fossero
vere quelle parole. Quanto fosse importante quel "bene" che
volevo a Jared.
«Okay,
okay» Ian annuì, abbassando lo sguardo sulle sue
mani che
avvolgevano ancora la mia.
«Questa
sarà una prima dimostrazione, se vuoi.» Gli
sorrisi, cercando di
tirarlo un po' su. Lui ricambiò, senza però
liberarsi di quell'aria
angosciata che induriva i suoi lineamenti, poi mi lasciò
andare,
baciandomi dolcemente.
Mi
voltai verso il corridoio e mi diressi verso la piazza principale.
D'un
tratto sentii freddo. Un freddo non tanto fisico, quanto più
mentale. Perché improvvisamente avevo capito quanto mi
facesse male
stare lontano da lui.
Sospirai,
chiedendomi se quello che stavo facendo avesse potuto risolvere
qualcosa. Sull'onda di questo pensiero mi avvicinai alla porta e
bussai timidamente, poi cacciai entrambe le mani nelle tasche
posteriori dei jeans.
Perché
mi sentivo così maledettamente in imbarazzo?
«Chi
è?» domandò con non troppa gentilezza
Jared, oltre la porta.
«Sono
io.» sussurrai mentre il disagio cresceva a vista d'occhio.
Chissà
perché la conversazione che avevo avuto con Ian mi aveva
resa così
insicura? Mi sentivo come in dovere di non sbagliare. Come se non
volessi deluderlo.
Ma
poi per cosa? Perché gli avevo detto che volevo bene a Jared
quando
in realtà mi faceva ancora un certo effetto?
Grazie
al cielo fui riportata al presente dal rumore della porta che si
spostava. Tre secondi dopo incontrai gli occhi di Jared.
«Ciao»
fece, sorpreso di vedermi. Corrugò la fronte, in attesa che
io
parlassi.
«Ciao...
scusami se sono venuta qui senza avvisarti...» mi spiegavo
gesticolando copiosamente, quasi come se avessi paura che con le
sole parole lui non potesse capire.
«Entra»
intervenne, continuando ad osservarmi concentrato.
«...era
piuttosto importante...» aggiunsi, guardandomi intorno.
La
stanza era come la ricordavo, solo un po' più ordinata e con
i due
materassi uniti. Probabilmente la presenza di Melanie aveva
comportato dei miglioramenti.
«Di
che si tratta?» chiese Jared, incrociando le braccia al petto.
Aprii
la bocca, con l'intento di dire una frase sensata, ma l'unica cosa
che dissi fu: «Melanie.»
Jared
si irrigidì, schiarendosi rumorosamente la gola, e distolse
lo
sguardo altrove.
«Immagino
ti abbia detto tutto...»
«Sì,
proprio così.»
Non
smettevo di torturarmi le mani. Perché non smettevo di
torturarmi le
mani?
Sospirai,
aspettando che una vampata di sangue mi tingesse di rosa le guance.
«Senti,
Jared, lo so che potrò sembrare invadente, ma io sono qui
per
aiutarla. Per aiutarla a farti capire che lei non è una
ragazzina
indifesa come potrei essere... io, ecco. Se non fosse stato per lei,
probabilmente non saremmo mai arrivate qui.» feci una breve
pausa
«Quello che voglio dirti è che devi lasciare che
sia lei a
decidere cosa sia meglio fare. Mel non è una che si mette
nei guai
senza una vera e propria ragione. Sa badare a se stessa.»
Jared
annuì, accarezzandosi quel filo di barba incolta che aveva
appena
sotto il mento. Non sapevo dire se stava riflettendo sulle mie parole
o faceva finta.
Il
silenzio comunque non durò a lungo.
«Non
avevo dubbi sugli istinti di conservazione di Melanie.»
sorrise a
quel pensiero «Però, Wanda... è una
cosa complicata.»
Si
sedette sul materasso, appoggiando i gomiti alle ginocchia.
«Voi
due non sapete quanto io abbia sofferto durante la sua assenza.
L'avevo data per morta perché non volevo pensare che un
paras...
un'anima avesse occupato il suo corpo. E quando vi hanno trovate... e
ho visto i suoi occhi... be', mi si è
spezzato il cuore.»
Andai
a sedermi accanto a lui, mentre un fiotto di compassione e tenerezza
mi riempiva il petto.
«Il
fatto è che non voglio perderla di nuovo. Non ora che ci
siamo
ritrovati.»
La
sua voce era intrisa di tristezza. Non avevo mai pensato che Jared
avesse potuto aprirsi in questo modo. Non a me.
«Mel
ti ama troppo per lasciarti solo.»
«Sì,
ma io non mi fido di Lacey.»
«Jeb
credo che non la farà venire» dissi, abbassando lo
sguardo sulle
mie mani «Non vuole essere rallentato da persone che non
potrebbero
essere in grado di andare in missione.»
In
realtà non avevo idea di quale decisione avesse preso Jeb,
ma non mi
era neanche tanto difficile immaginarla.
«E
poi lei dice la verità, Jared. Come potrebbe non
dirla?» aggiunsi.
Jared
rimase a fissare un punto indefinito difronte a sé, incerto
sul da
farsi.
«Anche
se mi fidassi di Lacey, Wanda, nessuno mi garantirebbe che la
missione andasse in porto.»
«Nessuno
lo ha mai garantito.»
«Sì,
ma questa volta è diverso. C'è in gioco molto di
più.» replicò,
voltandosi a guardarmi.
Sentii
il viso surriscaldarsi.
«C'è
in gioco la tua vita, Wanda. La mia, quella di Melanie.»
«C'è
sempre stata in gioca la nostra vita, Jared.»
Mi
alzai dal letto, irritata. «Senti, lo so che tu ti preoccupi
per lei
e per tutte le persone a cui tieni. Ma aspettare che i Cercatori se
ne vadano – cosa che potrebbe non avvenire
– metterà in
pericolo anche la vita di quelli che rimarranno qui.»
Jared
tacque, senza più sapere come replicare. Sarei rimasta
sorpresa se
avesse trovato il modo di farlo, visto che adesso era passato dalla
parte della ragione a quella del torto.
«Io
ti chiedo solo di pensarci. Faresti un favore sia a me che a
Melanie.» aggiunsi, prima di raggiungere la soglia della
stanza e
andarmene.
«Wanda,
aspetta.» Jared mi prese inavvertitamente per un polso,
bloccandomi
«Scusami...» disse, mollando la presa sul mio
braccio. Il sangue
tornò a circolare regolarmente nelle vene.
«Per
cosa?»
«So
di essere troppo apprensivo, Wanda. So di non comportarmi in modo
corretto nei confronti di Melanie... Vedi, lei è andata a
stare
nella vecchia stanza di Lily e...»
Spalancai
gli occhi. Non mi aveva detto nulla di questo.
«È...
è molto arrabbiata, quindi.»
«Già...»
«Ritornerà
solo se tu acconsentirai a farla andare in missione... lo sai,
vero?»
Lui
annuì, abbassando lo sguardo e stringendosi nelle spalle,
sconfitto.
Da un lato mi faceva pena, ma da un altro no. Perché era
colpa sua
se si era venuta a creare quella situazione.
«Riflettici
su stanotte.» cercai di sorridergli, e di incoraggiarlo.
«Okay.»
Lo
salutai con un flebile cenno del capo, ritornando a camminare nel
corridoio.
Un
senso di pace e leggerezza invase il mio cuore. Grazie alla mia
arrabbiatura avevo saputo mettere da parte i miei sentimenti e
affrontare la testardaggine di Jared.
Ian
sarebbe stato fiero di me in quel momento. E magari anche Melanie, se
Jared avesse mai deciso di fare la scelta giusta.
Forse
ci ero riuscita perché mi stavo disinnamorando di lui.
Perché stavo
rimpicciolendo l'affetto che provavo nei suoi confronti fino a farlo
tornare un semplice legame tra amici.
Una
stretta al cuore ammutinò la felicità che mi
stava invadendo,
facendo penetrare anche un po' di tristezza non appena concretizzai
quel concetto.
«Ehi,
splendore»
Una
voce familiare mi chiamò dalle spalle, interrompendo il filo
dei
miei pensieri.
«Ian.»
dissi quando mi voltai per sorridergli.
«Allora,
com'è andata?» domandò, riferendosi
senz'altro alla conversazione
che avevo avuto con Jared.
«Non
lo so. Sono riuscita a farlo riflettere però.»
«Be',
nessuno può dire che non ci hai provato.»
«Già.»
Ian
mi prese per mano, trascinandomi verso il corridoio che portava alla
nostra stanza.
«Vieni.»
«Cosa
c'è?»
«Voglio
provare a fare una cosa, se tu sei d'accordo.»
mormorò, distendendo
le labbra per dare vita ad un bellissimo sorriso. Era la prima volta
che rimanevo abbagliata dai suoi denti bianchi e perfetti.
«Okay.»
sussurrai, confusa.
Ian
mi portò proprio nella nostra grotta, illuminata da una
debole luce
a intermittenza. Lasciò andare la mia mano, voltandosi a
guardarmi.
I suoi occhi brillavano di una strana luce, a metà tra
l'imbarazzo e
il desiderio.
«C'è
qualcosa che devi dirmi, Ian?» chiesi con tono scherzoso
– anche
se in realtà ero un po' preoccupata –
avvicinandomi lentamente a
lui. Appoggiai entrambe le mani sul suo petto, riuscendo addirittura
a percepire il battito inferocito del suo cuore.
Lui
mi accarezzò piano le dita, puntando gli occhi sul mio viso.
«Questa
è la nostra ultima notte, Wanda. La nostra ultima notte
prima di
partire» iniziò, la voce d'un tratto triste ma
carica di speranze
«E io vorrei renderla speciale.»
«Come?»
«Ti
fidi di me?»
«Sì...
certo che mi fido.» risposi, sbattendo ripetutamente le
palpebre per
la confusione.
«E
allora permettimi di mostrartelo.»
Annuii,
lasciandolo guidarmi verso i nostri due materassi uniti al centro
della stanza. Il suo sguardo adesso era attento e sicuro.
Non
sapevo se preoccuparmi seriamente o lasciar
correre. Lui era
così strano.
Sembrava...
emozionato. O qualcosa di simile.
Ci
sedemmo sul letto, le sue mani a stringere ancora le mie.
«Voglio
mostrarti quanto ti amo, Wanda. Quanto tu significhi per me.»
mormorò, spezzando il surreale silenzio che ci aveva avvolti.
«Non
ero io che dovevo dimostratelo?» chiesi, ironica –
e nervosa – senza riuscire a capire dove volesse arrivare.
«No,
tu ormai l'hai fatto. Ora tocca a me.»
«Okay.»
Ian
avvicinò le sue labbra alle mie. Quel bacio fu
più profondo, più
intimo. Diverso da tutti gli altri.
Cercò
di farmi socchiudere la bocca, ed io, in un gesto ingenuo, lo
accontentai.
Il
mio ventre si contrasse in una piacevole stretta quando sentii la sua
lingua farsi spazio tra i miei denti serrati.
Un
nuovo gusto inondò le mie papille, confondendomi.
Ian
nel frattempo mi spinse sui cuscini, facendomi sdraiare. Si mise a
carponi su di me e posizionò una gamba fra le mie, toccando
con il
ginocchio i miei pantaloni.
Un
brivido fece contrarre nuovamente il mio basso ventre.
Cosa
stava succedendo?
La
sua lingua spinse prepotentemente contro il mio palato, facendomi
ritornare a lui. Assaporare il suo sapore divenne delizioso, tanto
che cercai di approfondire ancora di più quel bacio.
Ian
ridacchiò sulle mie labbra, ritraendosi per respirare.
«Che
c'è?» chiesi. La voce inaspettatamente roca.
«Niente.»
farfugliò prima di avvicinarsi al mio collo e respirarne il
profumo.
Quando
scese sulla mia clavicola, abbassò il tessuto grigio della
mia
maglietta per arrivare a sfiorarmi anche la spalla.
Un
gemito inatteso combatté per uscire subito dalle mie labbra.
Stavo
iniziando a capire.
Luna
mi aiutava, per quel che ne poteva sapere. E anch'io mi aiutavo con
le mie informazioni.
Le
idee furono chiare quando Ian cominciò a spogliarmi. Prima
tolse le
scarpe, poi le calze e la maglietta.
Le
mie guance si tinsero di rosso quando rimasi in reggiseno. Ian
però
non sembrò farci caso, impegnato com'era a levarsi i suoi,
di
vestiti.
Lo
osservai togliersi la camicia e lasciarla da qualche parte nella
camera. Poi ritornò a baciarmi, mentre con le mani tentava
di
abbassare la cerniera dei miei jeans per togliermeli.
E
anche i miei pantaloni si unirono ai vestiti che erano disseminati
per la stanza.
«Ian,
io...»
«Sshh»
mi bloccò mentre si liberava anche dei suoi jeans.
Fu
semplicemente stupendo ammirarlo in tutto il suo splendore.
In
quasi tutto, mi corressi.
Ian
si allungò su di me, tirando anche le coperte per coprirci
almeno
fino alla vita, e mi accarezzò piano una guancia. Quel
contatto fu
così bollente che mi sentii le vene del
viso scoppiare.
«Bene
o male?» mi chiese lui, fissandomi intensamente negli occhi.
«Bene»
dissi, senza sapere cos'altro aggiungere.
Era
come se mi fossi persa in quel suo oceano di diamanti.
Come
se i miei pensieri si fossero azzerati.
Come
se non ci fosse più niente e nessuno.
Solo
io e lui.
«Vai
avanti.» gli mormorai mentre abbassavo le palpebre, reclinavo
la
testa indietro e mi lasciavo trasportare dal profumo della sua pelle.
E
Ian obbedì. Fino infondo.
Quando
mi risvegliai era ancora buio. La luce della luna illuminava la
stanza col suo debole bagliore.
Sbattei
piano le ciglia, sospirando.
Mi
sentivo le membra intorpidite e pesanti, come se avessi corso
chilometri. Mi costava fatica anche solo alzare la testa dal cuscino.
Ero
sdraiata su un fianco, rivolta verso l'armadio che c'era accanto al
letto, quando trovai un braccio di Ian a cingermi dolcemente la vita.
Potevo
sentire il suo respiro sulla mia spalla scoperta, i suoi capelli
farmi il solletico all'altezza del collo, la sua gamba tra le mie.
Quell'abbraccio
era così caldo e genuino che per un attimo desiderai
rimanere in
quella posizione per sempre.
Ian
si mosse appena. Temetti di averlo svegliato, ma quando riuscii a
voltarmi verso di lui scoprii che era ancora addormentato.
Appoggiai
una mano sul cuscino, sistemandomi meglio accanto al suo corpo.
Potevo
intravedere senza molta difficoltà il suo petto marmoreo
emergere
dalle coperte. Volevo allungare una mano per toccarlo, ma avevo paura
di svegliarlo.
Sembrava
quasi un dio, talmente era bello.
Quando
dormiva i lineamenti del suo viso si distendevano a tal punto da
farlo diventare più giovane, quasi un bambino.
«Ehi»
sussurrò dopo aver aperto piano gli occhi.
«Ehi»
risposi, sorridendogli affettuosamente.
Posò
una mano sulla mia spalla, poi si avvicinò per baciarmela,
facendomi
scontrare con la sua chioma corvina.
«Dormito
bene?»
«Benissimo»
Com'è
che non riuscivo a smettere di sorridere?
«Cos'è
quella faccia?» mi chiese Ian, dopo avermi osservato
attentamente.
Non sapevo quanto orripilante potesse essere il mio aspetto. Dai suoi
capelli, in disordine come mai prima, non potevo sperare in qualcosa
di positivo.
«Quale
faccia?» mormorai, arrossendo.
«Quella
faccia»
«Sono
felice» ammisi timidamente, sprofondando il viso nel cuscino.
Ian
avvicinò una mano a me, iniziando a lisciarmi i capelli
annodati.
«Anch'io»
disse mentre si allungava sul fianco per darmi un bacio.
Un
brivido di piacere mi percorse la schiena quando sentii il grande
palmo di Ian premere sulla schiena per farmi aderire completamente
al suo corpo.
«Avresti
potuto avvertirmi... di questo.» sussurrai dopo alcuni
minuti,
ancora incollata a lui.
«Temevo
che non avresti accettato.»
«E
perché mai?»
«Non
ti ho messo fretta, vero?» domandò, elidendo la
mia domanda
retorica. I suoi occhi azzurri mi scrutavano ansiosi.
«No...»
ridacchiai «...capisco i vostri istinti di
sopravvivenza.»
Ian
corrugò la fronte, riservandomi un'occhiata interrogativa.
«Istinti
di sopravvivenza?»
«Sì,
insomma...» non sapevo quanto il mio viso potesse essere
rosso in
quel momento. Grazie al cielo la luce pallida della luna non metteva
in risalto quel particolare «...so che gli uomini si
accoppiano
per... riprodursi...»
Ian
socchiuse la bocca, attonito. Forse stava facendo anche fatica a
trattenere una risata.
«Voglio
dire, ora che andiamo in missione non so quanto potrebbe essere...
sicuro, ma... be'...»
Santo
cielo... dove stavo sbagliando?! Mi sentivo così a disagio!
E poi
Ian mi guardava in un modo!
«Wanda»
iniziò, usando un tono piuttosto divertito ma anche
imbarazzato «Ci
sono molte cose che devi ancora scoprire sugli umani. Noi non ci
accoppiamo solo per... procreare, ecco. A volte lo facciamo ma non ne
siamo coscienti, altre invece sappiamo perfettamente quello che
stiamo facendo.» spiegò tutto d'un fiato, senza
abbandonare quella
nota di disagio che rendeva il suo discorso alquanto divertente
«Quello che abbiamo fatto stanotte non è quello
che tu credi...
è... un piacere che abbiamo deciso di condividere
insieme.»
Man
mano che Ian parlava, ma che soprattutto iniziava ad illuminarmi sul
corso degli eventi, l'imbarazzo che mi aveva praticamente
fossilizzato al materasso scivolò via come se non ci fosse
mai
stato.
Ora
avevo capito.
«Noi
lo chiamiamo "fare l'amore"» aggiunse in un sussurro.
«Ah...
scusami, Ian... è che...»
«Non
preoccuparti. Ho inteso.» m'interruppe lui, annuendo.
«Sono
stata una stupida.» mormorai.
«Non
è vero.»
«Avrei
potuto urtare la tua sensibilità, Ian. Sono una
sciocca.»
Un
suo dito mi obbligò ad alzare gli occhi sui suoi. La sua
espressione
rasentava la compassione.
«Ma
non l'hai fatto, Wanda.»
Sospirai,
convincendomi a dargli ascolto. Lui sorrise, stringendomi a
sé.
«Amo
troppo la mia sciocca ragazza.» soffiò al mio
orecchio, sicuramente
per tirarmi su il morale. Mi stupii di me stessa quando percepii la
mia risata espandersi nella stanza.
Abbassai
lo sguardo sul braccio che teneva piegato su un fianco, notando quel
tatuaggio che avevo visto già molte volte ma che mai mi ero
soffermata a studiare.
Era
una scritta che diceva "Hic et Nunc".
«Cosa
significa?» chiesi ad Ian, indicandogliela.
Ci
scostammo l'uno dell'altra per guardare entrambi il tatuaggio.
«Qui
e ora. È latino.»
Annuii,
continuando ad osservare e a sfiorare la sua pelle. Era liscia e
vellutata.
«Me
lo sono fatto qualche anno fa. È il mio... motto di vita, se
così
si può definire. Mi piace assaporarmi il presente per quello
che è.
Molte persone guardano il futuro, io no. Perché il futuro
potrebbe
non esserci più da un momento all'altro. Il presente invece
sì.»
«È
un pensiero profondo.» commentai mentre incrociavo il suo
sguardo
assorto, sorridendo. «E molto saggio.» aggiunsi.
Ian
si limitò a ricambiare il mio sorriso.
Fuori
nel frattempo stava per albeggiare. Lui si alzò
improvvisamente dal
letto, provocandomi quasi un aneurisma celebrale quando lo vidi
camminare per la stanza nudo a raccattare i nostri indumenti.
«Cosa
fai?» gli chiesi.
«Vèstiti.
Andiamo a vedere l'alba.»
Anche
se un po' controvoglia, abbandonai la mia parte di letto per
indossare la maglietta di Ian a mo' di abitino. Su suo consiglio
presi una coperta e, attorcigliandola sotto un braccio, mi feci
guidare da lui per i corridoi deserti delle grotte.
Le
probabilità – tra l'altro molto alte, dato che
tutte le notti
c'erano i ragazzi che facevano i turni – di essere visti da
qualcuno mi fecero quasi pentire di non aver messo qualcosa sotto.
Guardando
però il modo in cui Ian procedeva sereno tra le caverne, con
solo
una felpa sgualcita e dei vecchi pantaloni addosso, mi
tranquillizzai.
Raggiunta
la nostra scorciatoia segreta, arrivammo nello stesso posto in cui
eravamo stati per il mio compleanno.
Ian
mi avvolse nella coperta che avevo portato e mi fece sedere accanto a
lui, abbracciandomi in attesa che il sole sorgesse.
L'aria
fredda mi punzecchiava le guance e la punta del naso; gli uccelli
cantavano ancora insonnoliti la loro sinfonia.
E
laggiù, oltre i canyon, stava lentamente rischiarando. Il
cielo
ormai aveva candide sfumature di azzurrino e aranciato. Pochi secondi
dopo il sole salutò il continente Americano con la sua
splendida
luce.
«È
bellissimo, Ian.» sussurrai, emozionata, stringendomi di
più al suo
petto.
Mi
baciò i capelli, respirando quell'aria incredibilmente
fresca.
«Tu
sei bellissima.»
Mi
allontanai per osservare il suo viso. Quante volte ci sarebbe ancora
capitata una cosa del genere? Una? Due? Zero?
In
quel momento però non era importante. Ian lo era. I suoi
occhi che
mi guardavano con venerazione. Le sue labbra che si dischiudevano in
un sorriso dolcissimo. Quelle cose sì che erano importanti.
«Grazie
per avermi regalato la notte più bella della mia vita,
Viandante.»
Spazio
autore:
Buongiorno
:)
Voglio
dedicare questo capitolo alla mia cara amica Love
Bites,
che mi ha aiutata a svilupparlo e a renderlo quello che è
con le sue
grandiose idee. Ti voglio bene <3
Coomunque...
che ne pensate? Avrei potuto farvi sospettare di qualcosa nei
capitoli precedenti, ma ho deciso di tenervi allo scuro di tutto,
anche perché io stessa ho avuto qualche problema su come e
soprattutto quando scrivere questa scena.
Ho
avuto paura di avere troppa fretta o di non essere all'altezza di
descriverla: da un lato perché Ian e Wanda non stanno
insieme da
molto tempo – però non potevano nemmeno aspettare
oltre – da un
altro perché non riuscivo a descrivere il tutto come se lei
avesse
già avuto esperienze e fosse informatissima su questo genere
di
cose.
Wanda
sa come si "accoppiano" gli esseri umani, ma non pensava
che ci si potesse unire anche per passarsi anche un semplice piacere
personale. Appunto per questo lei ha detto – tra le righe
– che
aveva paura del fatto che avere un bambino adesso fosse pericoloso
per via della missione... non so se lo avevate capito xD
Comunque
spero di essere stata chiara. Se avete qualche dubbio però
potete
chiedere :)
Passiamo
alla prima parte del capitolo (che sembra essere stata dimenticata
xD)
Il
titolo "Dimostrazioni" è molto importante e dà un
significato a tutto ciò che accade al suo intero. Infatti
abbiamo
Wanda che si deve misurare prima con Jared, poi con Ian.
Riesce
nella sua impresa con entrambi, ma solo perché non
è più del tutto
innamorata di Jared.
Spero
che vi siate divertite e che abbiate apprezzato questo capitolo
quanto me. Lo definirei un po' più come la "quiete prima
della
tempesta". Oh-oh, questo è uno spoiler bello e buono!
Meglio
che vada, prima di raccontarvi come va a finire!
Vi
ho già rotto abbastanza xD
xoxo
Sha
|
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Capitolo 8 *** Inizio ***
8
Inizio
Il resto della giornata lo passai a sistemare varie cianfrusaglie. Avrei preferito passare il pomeriggio con i miei amici, ma dato che l'aria che si respirava nelle grotte era pregna di preoccupazioni e ansie che non volevo sopportare, rimasi in camera mia a riempire il mio borsone di provviste e vestiti.
Avrei preparato anche quello di Ian, se non fosse stato per il fatto che mi avesse letteralmente vietato di farlo mentre sarebbe stato via.
Un'espressione alquanto contrariata si stipò sul mio viso non appena pensai al fatto di non poter passare quelle ultime ore con lui.
Prima di lasciarmi da sola mi aveva detto che sarebbe andato a fare una commissione, senza però darmi un'idea di quando sarebbe tornato.
Da un lato la cosa mi rattristava, da un altro però mi sollevava, perché così almeno avrei potuto trascorrere un po' di tempo in solitudine. Magari a scervellarmi sulla maglietta che avrei indossato quella sera per la partenza; oppure a ripensare ai trascorsi della notte precedente, che mi impedivano di preoccuparmi per cose ben più importanti.
Ed era proprio per quest'ultima motivazione che mi ritrovai a sorridere come una stupida, seduta su quel letto.
Accarezzai distrattamente le lenzuola immacolate che lo rivestivano, come a carpirne i segni indelebili di ciò che era accaduto qualche ora prima. Ricordare mi alienò per qualche istante dal mondo reale, catapultandomi dentro una stanza buia con un grande schermo illuminato, in cui si susseguivano le immagini di me ed Ian. Ian, che aveva riempito ogni singolo centimetro del mio corpo dei suoi baci, delle sue carezze che mi avevano agitato le farfalle nello stomaco, del mio nome che aveva sussurrato contro le mie labbra per non so quante volte.
Toc. Toc.
Chiunque avesse appena bussato alla porta, doveva avere avuto un buon motivo per venire a disturbarmi e ad interrompere il mio sogno ad occhi aperti. Decisamente.
Tuttavia quando raggiunsi la sogna della stanza e spostai il pezzo di legno che fungeva da porta, ogni mia vaga idea di fare una sfuriata alla persona che mi sarei ritrovata davanti andò in fumo nello stesso momento in cui questa mi sorrise benignamente.
«Ciao, tesoro. Come mai da queste parti?» Chiesi mentre mi spostavo per farla entrare nella stanza.
«Dovresti immaginarlo...» disse dopo che chiusi la porta e mi voltai per darle tutta la mia attenzione.
«Non ho ancora imparato a leggere nel pensiero, Mel.» risposi, vestendo le mie parole di un alone ironico. Mi appoggiai al muro adiacente alla porta, a braccia conserte, osservandola sedersi su quel letto dove un attimo prima c'ero stata io.
Il pensiero mi fece quasi arrossire. Quasi.
Il viso di Melanie nel frattempo si era illuminato di un sorriso pieno di significati.
Capii qualcosa, ma non volli provare a indovinare.
«Ma dovresti leggere nel mio.» replicò, riservandomi un'occhiata piuttosto eloquente.
«Mmh, vediamo...» cominciai, falsamente soprappensiero, mentre andavo a sedermi accanto a lei «Qualcuno è riuscito a chiarire col fidanzato?»
Ovviamente Melanie intese la mia domanda retorica e non perse nemmeno tanto tempo ad attaccare col suo discorso di ringraziamenti.
«Ti prego, non farlo.» la interruppi, ancor prima che potesse parlare, appoggiando una mano sulla sua.
Lei ridacchiò, e prontamente rispose in modo da non farmi controbattere.
«Ma Wanda, come potrei non ringraziarti? Se non fosse stato per te saremmo ancora arrabbiati l'uno con l'altro e non avremmo nemmeno preso una decisione.»
Sorrisi, inorgoglita dalla sicurezza della mia amica.
«Quale decisione?» chiesi poi, confusa.
Mel alzò gli occhi al cielo, come a palesarmi il fatto che dovessi sapere anche di quel dettaglio. «Veniamo in missione, Wanda. Insieme.»
Socchiusi le labbra, non tanto stupita per essere riuscita a farla ricongiungere a Jared, quanto più sorpresa dalla coraggiosa scelta che lui aveva preso.
«Wow. Be', sono felice per te!»
«Grazie, Wanda. Davvero.» mormorò. Gli occhi le brillavano di gioia.
Era bello sapere che, sebbene oltre quelle mura la gente fosse triste per la partenza imminente di gran parte di noi, qualcuno come me e Melanie riuscisse ancora a mettere da parte quel particolare per continuare a vivere serenamente i propri attimi di felicità.
«Vieni qui.» le ordinai mentre la attiravo a me e la stringevo in un caloroso abbraccio.
Un abbraccio che sapeva di affetto fraterno e di un'intesa che possedevamo solo noi due.
Mel mi strinse a sua volta. «Ti voglio bene, Wanda.» mormorò, e dal suo tono mi parve quasi che stesse sorridendo.
«Ti voglio bene anch'io.»
«Certe volte mi domando come avrei fatto senza di te.» pensò fra sé e sé, dopo che ci staccammo.
Scossi la testa e sorrisi, dandole un giocoso pugno sulla spalla.
«In realtà questa domanda me la sono sempre posta io.»
Mel rise e nel frattempo si guardò intorno, curiosa. «Vedo che hai già iniziato a prepararti.»
«Sì.» dissi, alzandomi per ritornare a prendere qualche vestito dall'armadio e metterlo dentro il borsone «Ian è dovuto andare via, perciò sono rimasta qui a sbrigarmela da sola.»
«Anche Jared e Jamie se ne sono andati.»
«Jamie?» chiesi, perplessa e divertita allo stesso tempo. Quel ragazzino era impressionante.
Melanie si passò una mano tra i capelli e chiuse gli occhi, esasperata. «Sì... Sharon l'ha rimesso in punizione ed è toccato a me e Jared tenerlo buono per tutto il giorno. Mi ha anche chiesto se poteva venire con noi in missione.» sospirò «Ovviamente gli ho detto di no.»
Corrugai la fronte, osservando il viso contratto di Melanie. «Dovresti iniziare a lasciarlo un po' andare, Mel... Non è più un bambino.»
«Sì, ma... non voglio che corra alcun rischio. Non stavolta almeno. Jared gli ha fatto fare le ossa già quando non c'eravamo. E per me questo basta e avanza.»
Le sorrisi, compassionevole, pensando di rassicurarla con una delle mie perle di saggezza, ma non ne trovai, dato che non ebbi neanche il tempo di assemblarle mentalmente che il rumore familiare della porta che si spostava giunse alle mie orecchie.
Certamente le persone che potevano entrare in quella stanza senza bussare non erano molte: una era la sottoscritta, mentre l'altra stava senza dubbio entrando in quel momento.
«Oh» esordì Ian dopo aver chiuso la porta ed essersi girato verso di noi «Melanie.» aggiunse, rivolgendosi a lei con un cenno del capo.
Mel mi lanciò un'occhiata, poi si alzò e sorrise. «Ian. Come va?»
«Bene, grazie.» rispose l'altro, rivolgendole un mezzo sorriso. Li osservai scambiarsi qualche battuta informale per un minuto, constatando la presenza di una parsimoniosa dose di imbarazzo nella voce di ciascuno. Be', non potevo biasimarli: Ian e Melanie erano diventati amici perché l'avevo voluto io, altrimenti non si sarebbero mai scambiati una parola.
E la cosa mi lasciava allibita, dato che entrambi erano belli abbastanza da poter fare coppia.
Quel pensiero passeggero ostruì per un istante le immagini della notte prima, che, quasi irritate, tornarono a prorompere nella mia mente.
«Comunque Jared ti sta aspettando.» disse infine Ian ad una Melanie sul punto di andarsene.
«Lo sospettavo. Be', allora ci vediamo dopo.»
«A dopo.» la salutai mentre la guardavo darmi le spalle e scomparire dietro la porta.
Ian, rimasto fino ad allora sulla soglia della stanza, si avvicinò piano a me, sorridendo sempre di più man mano che le nostre distanze si accorciavano.
«Ciao anche a te.» mormorò ad un soffio dalle mie labbra quando mi prese per i fianchi e mi fece scontrare col suo petto.
«Ciao.» gracchiai un attimo prima che la sua bocca catturasse la mia.
E un attimo dopo mi ritrovai ad essere trascinata lentamente verso il nostro letto. Ian mi accompagnò piano sul materasso, posizionandosi sopra di me.
Una leggera risata, che in seguito realizzai essere la mia, si propagò nella stanza dopo che le sue labbra, dalla bocca passarono a lambirmi il collo, facendomi il solletico.
«Mi sei mancata.» sussurrò contro la mia clavicola, prima di scostarsi da me per incatenare i nostri sguardi.
«Anche tu.»
«Sbaglio o sei riuscita a far ricongiungere quei due?» disse poco dopo, mentre giocherellava distrattamente con una ciocca dei miei capelli.
«A quanto pare...»
Per un attimo mi sembrò quasi di sentire il battito impazzito del mio cuore infrangersi contro lo sterno di Ian, che nel frattempo aveva scostato con un dito l'orlo dei miei jeans per accedere al loro interno.
Una serie di incontrollabili brividi di piacere violarono la mia schiena, che si inarcò impercettibilmente, aderendo al suo petto. Lo lasciai fare finché il piacere di avere la sua mano quasi nelle mutande non divenne troppo, quindi, onde evitare l'inevitabile, ribaltai le posizioni, ritrovandomi cavalcioni su di lui – ma soprattutto con una mano in meno a riempirmi i jeans.
«Che c'è?» mi chiese con un'espressione divertita e sconsolata allo stesso tempo. Mi misi a sedere su di lui, tracciando con un dito il profilo del suo petto, perfettamente visibile anche se a coprirlo c'era una maglietta grigia.
«Non sai proprio trattenerti.» sussurrai, mordendomi un labbro. L'ombra di un sorriso a sondare il mio viso e a far intendere ad Ian che stavo solo giocando.
In risposta lui mi prese per i fianchi e velocemente mi fece ritornare sotto il suo corpo. Difficile resistere alla forza con cui mi spinse sul letto.
«Mi sono trattenuto per troppo tempo.» soffiò mentre mi asserviva alla sua bellezza con quel gioco di sguardi che solo lui sapeva fare.
Rividi il riflesso dei miei occhi nei suoi, poi più niente. Solo la sua bocca a catturare di nuovo la mia e ad impedirmi di controbattere alla sua affermazione.
Non so per quanti minuti o ore andammo avanti così, ma posso dire che dopo quelli che mi parvero secoli, riuscimmo a staccarci, sdraiandoci l'uno di fronte all'altro.
«Jeb mi ha parlato» iniziò Ian, sereno «Ha formato tre gruppi, così da poterci dividere in base alla zona in cui andremo a rifornirci.»
Durante la pausa che fece mi sembrò quasi di percepire la paura che lo aveva reso improvvisamente serio investire il mio corpo, impermeabile a quell'emozione. Perché a me in realtà non scalfiva il fatto di dover andare in missione coi Cercatori alle calcagna.
A me importava solo sapere che potevo rimanere con Ian sempre e comunque, e che i ragazzi quaggiù sarebbero rimasti al sicuro.
«Saremo insieme a Melanie, Jared, Aaron e Brandt. Trudy, Jeb e gli altri faranno parte del secondo gruppo.» aggiunse.
«Lacey non verrà.» constatai, senza far trapelare un minimo di apprensione dalla mia voce.
«No. Ci sarebbe solo d'intralcio.» disse mentre si metteva a pancia in su a fissare il soffitto della nostra stanza.
«Dove andremo noi?» domandai, senza smettere di guardarlo.
«Toccheremo le solite città: Phoenix, Casa Adobes, Tucson. E poi torneremo a casa.» rispose, sorridendo debolmente.
«Phoenix?» chiesi, corrugando la fronte. Non ci andavo da quando Melanie mi aveva spinta a scappare di casa per trovare Jared e Jamie.
Dai ricordi sbiaditi, tristi e oscuri che ne conservavo, sembrava essere passata una vita dall'ultima volta in cui ci avevo messo piede. Non la consideravo nemmeno più "vecchia casa". Me ne ero semplicemente dimenticata.
«Sì.» replicò Ian, per niente a conoscenza dei pensieri che stavano occupando la mia mente. Tuttavia, grazie a non so quale potere, si incuriosì abbastanza da lanciarmi un'occhiata indagatrice e invogliarmi a parlare.
«Sai, è da lì che sono venuta... dove hanno portato me e Melanie per unirci.»
Ian rimase in silenzio, tornando a fissare il soffitto.
Non sapevo quale effetto gli potessero fare le mie parole. Probabilmente si immaginava Phoenix piena di Cercatori, Guaritori, stanze luminose e crioserbatoi: tutti uniti per dare la possibilità alle anime di rubare la vita degli umani e farla propria espropriando loro qualsiasi tipo di ricordo.
«Non me lo avevi mai detto.»
«Se non sbaglio mi ero confidata solo con Jamie. Forse. Sai, tu eri nella lista delle persone che volevano liberarsi di me...» borbottai, dipingendo le mie parole con un po' di ironia per rendere la finta offesa una giocosa battuta.
«Se quel piano fosse andato in porto, non me lo sarei mai perdonato.» rispose sommessamente Ian, prendendomi per mano.
«Non avresti detto la stessa cosa allora.»
«Allora non sapevo che mi sarei innamorato di te.» disse, voltandosi a guardarmi.
Eccola, la sua controbattuta. Pronunciata con così tanta sicurezza, innocenza e dolcezza da bloccarmi le parole in gola.
Mi limitai a socchiudere la bocca, come se stessi per rispondergli, ma ciò che feci fu molto diverso: allungando una mano ad arpionare il colletto della sua maglietta, lo strattonai letteralmente per avvicinarlo a me e sigillare le sue parole con un bacio.
«Ti amo.» gli sussurrai mentre facevo scontrare le nostre fronti.
«Ti amo.» mormorò lui, accarezzandomi una guancia.
§
Non era la prima volta che andavo in missione. E per i miei standard, se avessi superato questa, non sarebbe stata nemmeno l'ultima.
Eppure ogni volta mi sembrava di vivere una nuova esperienza; forse questo succedeva perché mi dimenticavo cosa volesse dire lasciare i miei amici e la "mia" casa per un periodo che di solito andava dalle due alle tre settimane.
Il momento del saluto era quasi sempre legato a quello del raccoglimento delle varie richieste, che venivano espresse per lo più dai bambini.
Andandocene infatti avevamo ottenuto ben tre ordini: Isaia, uno dei figli di Lucina, ci aveva chiesto di portargli dei colori nuovi perché i suoi si stavano consumando; Freedom invece si era limitato a "ordinare" un'altra maglietta di Superman; infine c'era stato Jamie.
E lui, si sa, non era un ragazzino come tanti.
«Fammi indovinare.» gli dissi ancor prima che potesse parlare, pensando a quello che voleva.
«No, Wanda. Non voglio niente stavolta.» rispose, abbassando il capo per nascondermi la tristezza che gli velava gli occhi.
Inclinai la testa per riuscire a guardarlo bene, appoggiando una mano sulla sua spalla. «Ehi, Jamie.»
Lui continuò a tenere lo sguardo basso, senza però sapere che io ero comunque riuscita a vedere una lacrima solcargli il viso.
«Sarei voluto venire.» mormorò, la voce incrinata dal pianto che cercava di trattenere. «Ma Melanie non ha voluto.»
Sebbene non fosse la cosa più appropriata da fare, sorrisi.
Capivo Jamie, ma capivo anche che prendere parte alla missione era troppo al di sopra della sua portata.
«Lei pensa che io sia ancora un bambino, ma in realtà non è così.» sbottò, mantenendo comunque un tono di voce basso per evitare di attirare l'attenzione dei presenti.
E anch'io, per sfuggire a orecchie indiscrete, limitai le mie parole ad un sussurro.
«Jamie... credimi, Melanie lo sta facendo solo per proteggerti.»
«Lei lo fa sempre per proteggermi.»
«Stavolta è diverso. E poi tu devi rimanere qui ad aiutare Doc. Sarà lui a sostituire Jeb per un bel po', sai?»
Jamie annuì, continuando però a tenere il broncio.
«Ehi. Guardami.» lo incitai, obbligandolo ad incrociare il mio sguardo. «Non c'è davvero niente che vorresti?»
Dal momento che non si aspettava una domanda del genere, fu più che giustificabile quando si mise a ridere per l'esasperazione.
«Lo so che c'è qualcosa...» aggiunsi, cercando di fargli pensare a tutto tranne che alla sua ossessione. E un sorriso sornione iniziò ad aleggiare sulle labbra di entrambi.
«Dimmelo, su.»
«Portami un pallone.» disse quando si decise ad alzare il capo e a togliersi quella patina di tristezza dal viso.
«Bravo, ragazzo.» gli risposi, scompigliandogli i capelli castani.
«Ma state attenti.» aggiunse mentre lo abbracciavo e depositavo un bacio tra la sua folta chioma.
«Lo saremo.»
Jamie mi lanciò un ultimo sguardo prima che mi voltassi e raggiungessi i ragazzi all'uscita delle grotte.
Ero certa di poter contare sulla sua fiducia, perché, andasse come andasse, noi avremmo sempre trovato il modo per ritornare.
Soprattutto per portargli quel pallone.
E dire che erano passate quasi due settimane da quando avevamo avuto quella piccola conversazione.
Quei primi quattordici giorni erano passati tranquillamente, senza il minimo sospetto che i Cercatori ci avessero seguiti o anche solo visti.
Ed essendo usciti dalle grotte di notte, le probabilità che ciò fosse accaduto erano state molto basse. I nostri presupposti però furono confermati solo qualche giorno dopo, quando i nostri due gruppi si separarono e nessuno dei due vide anche solo l'ombra dei Cercatori.
Erano spariti.
«Allora, ragazzi... sono quasi le otto di sera. Io ho bisogno di una bella dormita e di qualcosa da mangiare.» disse Aaron, seduto sul retro del camion su cui viaggiavamo da quando eravamo partiti.
«Conosco un albergo qui vicino. È poco distante dalla mia vecchia casa.» esordii, voltandomi a guardare Aaron, Melanie e Jared, seduti sul retro del camion tra i pochi scatoli di cibo e vestiti che avevamo accumulato.
«Quello vicino all'ospedale?» mi domandò Mel, alzandosi per venirsi ad appoggiare allo schienale del sedile di Ian, che stava guidando.
«Sì...» risposi, perplessa. «Te lo ricordi?» le chiesi.
«Vagamente.» disse, facendo spallucce, per poi alzare lo sguardo sulla strada che stavamo percorrendo.
Strada che sembravo conoscere, anche se a Phoenix non ero potuta vivere così a lungo da poter imparare le varie vie che conducevano al centro città, in cui si trovava l'ospedale e quindi il nostro hotel.
«E dov'è questo albergo?» domandò poco dopo Ian, mentre appoggiava un braccio al finestrino e rallentava davanti ad un incrocio.
«Segui i cartelli che portano all'ospedale.» dissi, indicandogli la serie di insegne affisse sotto un semaforo che da rosso diventò verde.
«Okay.» rispose, prima di essere contagiato dal mio stesso sbadiglio.
Sorrisi, adagiandomi mollemente sul sedile del furgone.
Quel giorno avevo girato come minimo quattro o cinque supermercati, recitando alla perfezione la parte della felice anima che andava a fare la sua felice spesa in un felice supermercato. Era strano che col tempo mi ero quasi dimenticata dell'innata gentilezza e pacatezza con cui ti trattavano le anime. Sembrava che vivessero in un mondo parallelo in cui tutto era l'opposto della realtà. Ogni cosa era in pace, giusta, anche se oltre i confini delle città esistevano dei ribelli che non avevano mai voluto far parte di quel mondo troppo astratto per poter essere integrato al loro.
Il suono familiare del motore che si spegneva e delle chiavi che venivano estratte dal quadro mi riportarono al presente, ridestandomi dalla sorta di dormiveglia in cui ero caduta. Ma ciò che veramente mi riscosse dal mio leggero sonno fu la voce dolce di Ian che, accarezzandomi le orecchie, mi fece riaprire gli occhi.
«Ehi.» mi mormorò ad una spanna dal viso «Siamo arrivati.» aggiunse mentre io mi stiracchiavo e mettevo a fuoco i lineamenti del suo viso: due ombre leggermente più scure del solito circondavano i suoi occhi: anche lui era stanco.
Mi tirai su e, sorridendogli appena, balbettai un flebile "okay". Ian mi ricambiò, poi annullò la distanza che divideva i nostri visi per lasciare un languido bacio sulle mie labbra.
«Ragazzi, forza!» esclamò Melanie, già scesa dal furgone insieme agli altri.
Ian sospirò e, alzando gli occhi al cielo, mi aprì la portiera per aiutarmi a scendere.
«È questo?» domandò Brandt, indicando con un cenno del capo l'edificio grigio fumo che si erigeva davanti a noi, quando lo raggiunsi.
Vicino all'entrata, l'insegna dell'albergo era illuminata a scatti da un neon arancione.
«Okay, tu prendi questa.» disse Melanie a Brandt mentre gli porgeva una bottiglia di vetro vuota.
«Perché?» chiese l'altro, dopo essersi messo gli occhiali da sole.
«Dobbiamo sembrare ubriachi.» borbottò Melanie mentre indossava i suoi. Jared ridacchiò, prendendo dal suo zaino un'altra bottiglia di vetro.
«Perché?» replicò di nuovo Brandt, senza riuscire a capire.
«Bra.» lo richiamò Ian, esasperato «Dovrai pur indossare questi occhiali per qualche motivo, non credi?» gli disse indicando quelli che aveva appena inforcato. «O pensi che vada di moda usarli alle otto di sera per proteggersi dalle luci dei lampioni?»
Brandt d'un tratto scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Evidentemente aveva capito dove volesse andare a parare Melanie.
«Sei molto creativa, sai?» la incalzò prima di incamminarsi verso la porta.
«Lo prendo come un complimento.» borbottò lei, mentre raggiungevamo l'ingresso dell'hotel a due stelle.
Appena aprii la porta, i miei amici iniziarono a spingersi e scherzare allegramente tra di loro, inscenando la parte di cinque stupidi giovani che avevano bevuto qualche birra di troppo.
La parola ovviamente fu lasciate a me e ai miei occhi azzurrissimi, che fecero credere la donna della reception alla nostra montatura. Riuscii a farle scappare anche un mezzo sorriso quando Ian appoggiò un braccio sulle mie spalle mormorando qualcosa come "sei bellissima" .
«Vorrei prenotare una stanza per... sei.» dissi all'impiegata, sorridendole.
Subito lei spostò l'attenzione sul computer che aveva difronte, ticchettando le dita sulla tastiera.
«Non ne abbiamo una per sei, ma sono sempre disponibili due da tre.» rispose, dopo aver controllato chissà cosa.
Lanciai uno sguardo ai miei compagni, alle mie spalle, e ritenendo impossibile ottenere un segno d'assenso da cinque presunti "ubriachi", tornai a guardare la donna oltre il bancone.
«Vanno bene due da tre.»
«Okay...» rispose quindi lei, ritornando a guardare lo schermo del pc. «A nome di chi devo prenotare le stanze?» domandò poco dopo, usando un tono gentile.
«Guglie di Vetro.» Pensai ad un nome a caso tra quelli più comuni fra le anime, sfoderando un finto sorriso per nascondere l'agitazione che d'un tratto aveva fatto accelerare i battiti del mio cuore.
Ian si appoggiò al bancone, cercando di leggere qualcosa nello schermo del computer, mentre io mi guardai attorno. Qualche impiegato passeggiava lentamente per la hall dell'albergo, altri due se ne stavano vicino alle scale che portavano sicuramente alle camere.
Eravamo circondati da anime che sotto le loro divise eleganti, costituite da giacca e cravatta, avrebbero potuto nascondere una pistola in caso di emergenze.
Il pensiero che uno di quei due uomini vicino ai gradini avesse potuto puntarcela addosso mi fece silenziosamente trasalire.
«Ecco le chiavi. I numeri delle camere sono 314 e 316.» l'impiegata mi porse due chiavi magnetiche, poi estrasse due fogli dalla stampante accanto al pc.
«Puoi mettere una firma qui, per favore?» mi chiese, indicando due spazi vuoti dei documenti appena stampati.
«Certo.» risposi, con voce non proprio ferma, mentre afferravo la penna accanto ai fogli. Feci due scarabocchi in corrispondenza degli spazi indicati, poi alzai lo sguardo sulla donna.
«È tutto?»
«Sì.»
«Allora grazie.» sorrisi.
«Grazie a voi. Buona permanenza.»
Ci dirigemmo verso le scale con fare molto più composto rispetto a quando eravamo entrati, squadrando dall'alto in basso i due simpaticoni vicino alle scale che ci augurarono una buona serata con un sorriso forzato stampato in faccia.
«Che strano albergo.» borbottò con un cipiglio a solcarle la fronte Melanie, mentre salivamo le due rampe di scale che ci avrebbero portati alle camere «Non ha un ascensore!» mormorò sottovoce, rispondendo all'espressione interrogativa che si era dipinta sul viso di Brandt.
«Sempre meglio di uno scomodo furgone.» squittì Jared quando arrivammo al secondo piano.
«Già.»
Il corridoio era illuminato da alcune lampade a muro che tappezzavano a intervalli regolari le pareti scolorite e rendevano l'atmosfera consona ad un luogo in cui poter riposare. Chissà se c'erano altre anime nelle stanze adiacenti alle nostre?
«308... 310... 312...» mormorava tra sé e sé Aaron, leggendo le targhette di ciascuna porta.
«314 e 316!» esclamò Melanie quando trovammo le nostre.
«Okay... come ci dividiamo?»
«Beh, Brandt, non credo che questi due possano staccarsi dalle loro fidanzate, quindi...» Aaron schernì Ian e Jared senza cercare di offenderli, poi ci fece l'occhiolino e sfilò dalla mia mano una delle due chiavi magnetiche.
«Io sono qui... Se avete bisogno sapete dove trovarmi.» farfugliò mentre apriva la porta ed entrava nella stanza 314.
Melanie mi diede una spallata, alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione. Il che non mi fece far altro se non che sorridere divertita.
«Andiamo, Jared. Tappiamo la bocca a questo single emancipato. Buona notte ragazzi.»
«'Notte.» dissi, guardandola chiudersi la porta alle spalle e farmi rimanere sola con Ian e Brandt.
«Bene.» affermò quest'ultimo, prendendomi l'altra chiave di mano per poter aprire la nostra stanza.
Non sapevo quanto si potesse sentire in imbarazzato Brandt. Lui non arrossiva come me quando si sentiva a disagio, anzi si zittiva e lasciava intendere che era meglio far finta di niente.
Fu per questo motivo che dal momento in cui entrammo nella stanza fino a quando non ci mettemmo sotto le coperte – coperte che tra l'altro appartenevano a tre letti singoli in cui sia Ian che io non eravamo del tutto sicuri di dormire senza averne prima avvicinati due – non spifferò nemmeno una parola.
Spazio autore DA UCCIDERE:
Già, non è un miraggio quello che avete appena letto. È DAVVERO l'ottavo capitolo per cui vi ho fatto aspettare due mesi e mezzo.
Vi sarete chieste dove sono finita, che cosa ho fatto, perché ho pubblicato dopo tremila anni.
E avete ragione. Dannatamente ragione. Ma dovete perdonarmi e credermi sulla parola che tra la scuola che è ricominciata, vari problemi e soprattutto troppo poco tempo da dedicare alla scrittura, non sono riuscita a mettere su schermo – e non su carta (sembrerebbe troppo fuori moda) – nemmeno UNA riga.
E io non voglio perdere le ragazze che premurosamente hanno sempre recensito spendendo un po' del loro tempo per dirmi cosa ne pensavano di ciascun capitolo solo per questo imperdonabile ritardo D:
Perciò vi chiedo scusa e spero che abbiate gradito questo aggiornamento :)
Dal prossimo inizierà ad esserci un po' più di movimento, dato che ormai Wanda e i suoi prodi hanno visitato il paese vicino di Casa Adobes (cosa non scritta nel capitolo ma che verrà fuori nei prossimi) e che quindi resta da passare a Tucson e finire Phoenix.
Per quanto riguarda l'altro gruppo di cui ho fatto riferimento a inizio capitolo, vedremo come se la saranno cavata solo nel prossimo episodio ^.^
Beh, che dire... vi è piaciuto? :) Spero di sì!
Un abbraccio di scuse a tutti,
Sha
P.S. Non potevo lasciarvi senza qualcosa per cui farmi perdonare, così ho deciso di farvi un regalino... rivelandovi il volto dell'Ian che mi immagino dall'inizio della storia!!
La prossima volta toccherà a Wanda! ;)
Cosa ne pensate??? :)
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Capitolo 9 *** Imprevisti ***
9
Imprevisti
Aprii
gli occhi, svegliata da uno strano cigolio. La camera era illuminata
dal chiaro di luna ed era silenziosa, tranquilla.
Ci
impiegai un minuto per capire che ero sdraiata su un letto e forse
due per realizzare di essere anche nuda. Tuttavia non badai tanto a
quel particolare, quanto più al fatto che la mia mano,
quando tastò
l'altra parte del letto, trovò solo lenzuola.
Mi
voltai verso quel lato, scoprendolo vuoto come me l'ero immaginato.
Tuttavia scorsi Ian andare ad appoggiarsi sulla ringhiera del balcone
dopo aver lasciato aperta la finestra.
Strinsi
il lenzuolo che mi copriva e me lo avvolsi attorno, alzandomi dal
letto senza fare un fiato, ma soprattutto senza badare allo
scricchiolio che produsse il parquet nero sotto la pressione dei miei
piedi.
La
tenda bianca della finestra si muoveva appena per l'aria fresca che
soffiava dall'esterno, producendo un suono tenue. Tutto sembrava
perfetto, in pace, anche se non riuscivo a capire dove fossimo.
Le
idee divennero chiare solo quando varcai la soglia del balcone e
scoprii di trovarmi su un altissimo edificio, in una città
che non
conoscevo.
L'istinto
mi diceva di chiedere spiegazioni ad Ian, ma qualcosa dentro di me
m'impediva di farlo. Quasi come se sapesse di non poter avere nessuna
risposta.
Perciò
mi limitai ad osservare il suo corpo snello, coperto per
metà da dei
pantaloni della tuta neri, e la sua schiena nuda, ripiegata di
qualche grado verso la ringhiera, prima di allungare una mano a
sfiorare la sua spalla per farlo voltare verso di me.
Le
mie labbra si incurvarono in un sorriso, un sorriso che però
morì
non appena Ian si girò.
Non
era possibile.
Persi
ogni facoltà di intendere e di volere quando i suoi occhi
azzurri si
posarono sui miei.
Troppo
azzurri per poter essere davvero i suoi.
Troppo
poco umani,
perché
potessero farmi riconoscere nell'uomo che avevo difronte il mio
Ian.
«No...»
sussurrai, portandomi una mano alla bocca per reprimere un gemito.
Mi
misi a sedere di scatto, traendo un profondo respiro per cercare di
calmare i battiti inferociti del mio cuore, che rallentò la
sua
corsa non appena capii di avere avuto un brutto sogno.
Le
mie paure tuttavia si acquietarono definitivamente solo quando scorsi
la figura di Ian dormire come un bambino al mio fianco. E con quegli
occhi di cui mi ero spaventata quasi a morte celati dalle sue lunghe
ciglia nere.
«Buongiorno.»
mi salutò d'un tratto Brandt, mentre usciva dal bagno con i
pantaloni ancora slacciati.
«Tutto
apposto?» mi chiese, evidentemente insospettito
dall'espressione
sconvolta che avevo in viso, sistemandosi la cintura.
Annuii,
lanciando un'altra occhiata ad Ian.
Per
un attimo pensai di svegliarlo per accertarmi che quello che avevo
appena visto non fosse reale, ma fu lui stesso ad evitare che
ciò
accadesse, ridestandosi dal suo sonno proprio nel momento in cui
concepii quel pensiero.
«Ciao»
mi disse, guardandomi con i suoi occhi color del
cielo.
Il
mio cuore all'improvviso si alleggerì, permettendomi di
tornare a
respirare regolarmente.
«Ciao»
Si
mise a sedere, osservando per un lungo istante prima me e poi Brandt.
«C'è
qualcosa che non va?» domandò alla fine,
corrugando la fronte per
la preoccupazione.
Non
volevo dirgli dell'incubo, perciò, concedendogli comunque il
beneficio del dubbio, sfoderai un sorriso tirato e lo liquidai con un
semplice «No, va tutto bene.»
Ma
Ian mi conosceva abbastanza per leggere nei miei occhi e capire se
dicessi o meno la verità.
«Sicura?»
Annuii,
espandendo il mio sorriso, e per far scomparire qualsiasi forma di
sospetto gli regalai anche un leggero bacio.
Tuttavia
il nostro momento fu sgradevolmente interrotto da alcuni colpi di
tosse da parte di Brandt, che alzandosi dal letto andò a
scostare le
tende che avevano adombrato la stanza. E il sole mi investì
in
pieno, portandomi istintivamente a proteggere gli occhi con una mano.
«Scusate,
piccioncini. Volevo solo ricordarvi che ci sono anch'io qui
dentro.»
borbottò mentre ci sorrideva con fare imbarazzato e
irrisorio.
«Sì,
certo Brandt.» replicò Ian, leggermente irritato
– e accecato –
rivolgendogli un'occhiata alquanto velenosa. Sbuffai, divertita ed
esasperata al tempo stesso.
«Vado
in bagno.» dissi un attimo prima di levarmi di dosso le
coperte e
raggiungere la toilette.
Aprii
la porta, la richiusi e girai la chiave nella toppa. Quindi andai ad
aprire il rubinetto per sciacquarmi la faccia, e quasi come se avessi
dato loro il permesso, le immagini del sogno tornarono a torturarmi.
Chiusi
con un gesto secco l'acqua, raccattando un telo bianco per asciugarmi
il viso.
Le
possibilità che quel sogno potesse tramutarsi in
realtà non erano
mai state tanto importanti da poter essere considerate. Ma c'era
sempre una prima volta, no?
Scossi
la testa, come a scacciare via quei pensieri nefasti, appoggiandomi
coi palmi al bordo del lavandino. Davanti a me, il corpo di un'umana
che ormai mi apparteneva mi fissava dallo specchio, in silenzio, con
quegli occhi simili a tanti altri, marchiati dal segno indelebile
della mia presenza, che mi mettevano i brividi
ogni volta che
li immaginavo su Ian.
Non
sarebbe mai potuta succedere una cosa simile. Non eravamo
così
sbadati.
Ma
perché scervellarmi su cose del genere quando là
fuori dovevamo
proseguire un viaggio che non si stava rivelando tanto tragico come
avevamo creduto?
Nervosa
ma decisa a mettere da parte certi pensieri, riaprii la porta. Quando
uscii, trovai Ian già rivestito e seduto sul bordo del letto
a
fissare con aria preoccupata Brandt, che invece stava cercando di
telefonare qualcuno mentre faceva su e giù per la stanza.
«Che
succede?» chiesi, insospettita dall'espressione accigliata di
Ian.
Quest'ultimo
si voltò a guardarmi, poi sospirò.
«Aaron e Jared ci hanno mandato
un messaggio. Ci aspettano nella hall dell'albergo tra quindici
minuti.» quindi si alzò dal letto «Non
riusciamo a contattare Jeb
e gli altri.»
La
sensazione di avere un nodo allo stomaco si impossesso
improvvisamente di me.
«Come
sarebbe che non riusciamo a contattarli?» domandai, ansiosa.
«Mel
ci ha provato stamattina quando si è svegliata, ma c'era la
segreteria telefonica.»
«Ha
telefonato a Jeb?» gli chiesi, senza smettere di fissarlo.
Ian
annuì e fece per dire qualcosa, ma Brandt lo interruppe.
«Niente.»
sibilò, rimettendosi il cellulare in tasca.
«Magari
non possono rispondere...» indugiai, mentre sia lui che Ian
raccoglievano le nostre cose e si affrettavano a raggiungere la porta
d'ingresso.
«Lo
spero.» mi disse Ian, porgendomi uno zaino.
«Ragazzi...»
salutai Jared e Aaron, attraversando spedita la hall dell'albergo.
Scorsi Melanie oltre le loro spalle, troppo impegnata col suo
telefono per potermi notare.
L'atmosfera
dell'hotel era tranquilla, proprio come la sera prima; la donna che
ci aveva serviti era stata sostituita da un uomo basso e magro,
dall'aria apparentemente scorbutica.
«Ciao
Wanda. Come va? Brandt vi ha lasciato dormire in santa pace?»
domandò Aaron, «Oppure vi ha disturbato
sussurrando il mio nome nel
cuore della notte?»
«Ma
per favore...» lo pregò Jared, dandogli una
spallata prima di
voltarsi a raggiungere Melanie.
Scossi
la testa, ridacchiando. «È andato tutto a
meraviglia, Aaron.»
«'Giorno.»
intervennero Ian e Brandt, dietro le mie spalle, ignari di quello che
il loro amico mi aveva appena chiesto.
«'Giorno.»
li salutò a sua volta Aaron, accennando un sorrisino nello
stesso
momento in cui Jared e Melanie si unirono a noi.
Vedendo
il viso contratto dalla preoccupazione di Mel, le riservai
un'occhiata comprensiva.
«Ci
sono novità?» domandò Ian.
«No.»
sospirò.
«Proveremo
più tardi... potrebbero anche non sentirlo.» le
disse Jared, mentre
le spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la rassicurava
con un abbraccio.
«Conviene
uscire da questo posto... Troppi occhi indiscreti.»
mormorò Brandt,
guardandosi intorno per cercare gli uomini in giacca e cravatta della
sera prima che, al contrario della donna della reception, erano
rimasti nell'hotel e continuava a fare la guardia.
Indossai
i miei occhiali da sole – anche se non ce n'era bisogno
– come
avevano fatto tutti gli altri, e facendomi trascinare da Ian, che mi
avvolse i fianchi con un braccio, ci dirigemmo all'esterno
dell'hotel.
Il
cielo era limpido, l'aria un po' più fredda del giorno prima
e la
strada che ci separava dal parcheggio in cui avevamo lasciato il
camion deserta.
«Allora,
qual è il piano?» domandò sfregandosi
le mani Brandt, dopo che
salimmo a bordo del furgone.
«Avevamo
detto che a mezzogiorno ci saremmo trovati nella prima area di
servizio che avremmo incontrato sull'autostrada, giusto?»
intervenne
Jared, seduto proprio difronte a me.
Annuii
insieme ad Ian: i patti erano questi.
«Allora
andiamoci e aspettiamoli.»
«E
se non arrivano?» gli domandai, senza fare caso alla morsa
che mi
chiuse lo stomaco per aver anche solo pensato una cosa del genere.
«Ci
dovremo preoccupare sul serio.» rispose lui, sospirando.
§
Scaffali.
Carrelli. Cibo.
Chi
avrebbe mai detto che il supermercato – l'ennesimo
– in cui mi
trovavo fosse fatto appositamente per degli alieni?
Forse
poteva essere più luminoso, più arioso e pulito
di un semplice
discount di periferia, eppure sembrava un posto come tanti, in cui
tuttavia andavano a rifornire le proprie dispense anime, e
non
umani.
Quel
piccolo particolare per me non era tanto rilevante quanto per Ian,
che, camminando con una tranquillità troppo
marcata al mio
fianco, non smetteva di guardarsi intorno e soprattutto di frugare
nella tasca del suo giubbotto, dove teneva nascosta una 45 magnum. Da
usare in caso di pericolo, s'intende.
«Smettila
di fare così.» borbottai sottovoce, mentre mi
allungavo su uno
scaffale per prendere un pacco di biscotti.
«Così
come?» sussurrò Ian, rivolgendo lo sguardo verso
tutte le parti
tranne che nella mia.
«Così...
così.»
«Sono
nervoso. Non tutti i giorni mi capita di infilarmi nella tana del
lupo.» disse mentre tornavo a trascinare il carrello.
«Nessuno
ti ha chiesto di accompagnarmi.» replicai, ottenendo
un'occhiata ad
effetto, anche se a celare parte della sua saettatina c'erano sempre
i suoi Ray-Ban.
Un'espressione
alquanto scocciata ed esasperata si stipò sul mio viso
quando
ripensai alla discussione che avevamo avuto prima di entrare in quel
supermercato. Di solito lui e gli altri mi aspettavano fuori,
contando i minuti in più e i minuti in meno che ci impiegavo
per
entrare e uscire.
Ian
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Non potevo
farti compagnia?»
«Non
potresti uscirtene con un "avevo paura di lasciarti sola" o
qualcosa di simile? Ti farebbe sembrare molto più
sincero.» dissi
dopo essermi voltata a guardarlo.
Ian
scosse la testa, sorridendo. E per un attimo credetti di avergli
fatto dimenticare le anime e il nervosismo che lo agitava.
«No,
sarebbe troppo imbarazzante.»
«Beh,
potevi comunque restare con gli altri.»
Presi
un pacchetto di marshmallows e lo aggiunsi alla spesa sotto lo
sguardo appena irritato di Ian, che senza alcun preavviso, mi spinse
silenziosamente contro uno scaffale. Il mio corpo aderì al
suo in un
modo così veloce che cessai di respirare per la sorpresa.
«È
troppo difficile capire che sono qui per proteggerti?»
sussurrò Ian
contro il mio collo, prima di depositare un bacio proprio
lì. Un
dolce sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra.
«Luna?»
D'un
tratto, una voce. Sconosciuta.
Proveniva
da una donna alle spalle di Ian. Giovane, alta, dai lunghi capelli
castani e dal fisico perfetto. Mi osservava attentamente, come a
cercare in me qualcosa di familiare.
Mi
aveva chiamata con quel nome che solo in pochi, tra i miei amici,
ricordavano ancora. Un nome che tese sia le mie orecchie che quelle
di Ian, tanto da farci girare entrambi a guardarla, basiti.
«Non...»
scossi piano la testa, pregando che la sconosciuta non mi conoscesse
così bene come pensavo.
«Petali
Aperti alla Luna, giusto?» pronunciò quel nome per
intero, come se
si potesse aspettare di essere salutata affettuosamente dopo un
momentaneo vuoto di memoria che mi aveva impedito di riconoscere il
suo viso. Viso che tra l'altro non riuscivo a collegare a nessun nome
se non al nulla. Tanto imbarazzante quanto pericoloso per la mia, o
meglio nostra, copertura.
«Non
mi riconosci?» domandò, avvicinandosi di qualche
passo.
Le
mie labbra si tesero in un sorriso nervoso e di scuse. Inclinai
appena la testa, come a dir di no, ma mi bloccai non appena la
ragazza riprese a parlare.
«Sono
Piuma, l'amica di tua sorella.»
Sbattei
ripetutamente le palpebre, lanciando un'occhiata d'intesa a Ian,
rimasto immobile al mio fianco.
Mia
sorella? Luna aveva una sorella? Non ricordavo niente al di fuori di
sua madre, Tessitrice di Nuvole.
«Scusami,
sono stata troppo schietta. Rugiada probabilmente non ti ha parlato
molto di me.» sorrise, facendo spallucce.
«Ehm...
no. In effetti no.» mormorai, senza poter evitare di
arrossire.
Piuma
d'un tratto si voltò a guardare Ian, fossilizzato al
pavimento. Gli
occhi bassi nascosti dalle lenti scure, le mani calcate nelle tasche
del giubbotto. In quella tasca. Me lo immaginavo
mentre
sfiorava piano la pistola, senza sapere cosa fare. E la cosa
francamente non poteva che mettermi ansia.
«Lui
è...»
«Un
amico. Sono un suo amico.» mi interruppe lui, prima che
potessi
finire la frase in modo del tutto differente.
Mi
morsi un labbro, sorridendo di nuovo a Piuma.
«Piacere,
Piuma.» disse, stringendogli una mano per poi iniziare ad
osservarlo
con più attenzione. «Non ti ho mai visto qui a
Phoenix.» aggiunse.
«Non
sono di queste parti infatti.» replicò lui, con
una sicurezza
disarmante.
«Ah...
Rugiada mi aveva accennato qualcosa riguardo ad un tuo... viaggio o
qualcosa di simile. Non mi ha detto che sei ritornata
però.» disse
Piuma, rivolgendosi a me.
«Ehm,
beh... purtroppo sono solo di passaggio, quindi...» feci
spallucce,
ostentando finta tranquillità.
«Quando
sei ritornata?»
Dovevo
ammettere che quella ragazza stava iniziando ad infastidirmi con
tutte quelle domande.
«Wa...
ehm, Luna, dobbiamo andare. Ci stanno chiamando.» intervenne
all'improvviso Ian. Mi voltai verso di lui, notando che sulla mano
sinistra sventolava il suo cellulare. Sul display era appena visibile
il nome di Jared.
«Oh,
non voglio rubarvi altro tempo, ragazzi. È stato bello
rivederti,
cara.» Piuma sorrise e in un atto puramente confidenziale si
avvicinò per abbracciarmi.
Imbarazzata,
ricambiai per pochi istanti la stretta, poi mi scostai e le sorrisi
di rimando.
«Alla
prossima.»
«Alla
prossima.»
Piuma
ci rivolse un ultimo sguardo prima di voltarci le spalle e sparire
nell'angolo.
«Abbiamo
cinque minuti prima che Jared e compagnia facciano irruzione armati
nel supermercato.» sibilò Ian, mentre mi faceva
cenno di lasciargli
il carrello e avviarmi verso l'uscita. Nel suo tono di voce c'era
parecchia ironia, tuttavia, a giudicare dalla sua espressione
preoccupata, qualcosa mi diceva che quelle parole andavano oltre lo
scherzo.
Perché
conosceva bene i nostri compagni. Come li conoscevo io, purtroppo.
Uscimmo
senza andare né troppo veloci né troppo lenti, e
devo dire che
malgrado il carrello strapieno, non attirammo l'attenzione di
nessuno, in strada.
Il
nostro furgone se ne stava parcheggiato dalla parte opposta rispetto
al supermercato: attraversammo senza correre troppo, quindi
raggiungemmo il veicolo.
«Finalmente.»
sbottò Jared quando raggiungemmo il retro del camion. Appeso
sul
collo aveva un bel pezzo di fucile che attirava non poca attenzione.
«Abbiamo
avuto un imprevisto.» sibilò Ian, con un tono
misto tra
preoccupazione e rimprovero. Sicuramente nei miei riguardi, a notare
dall'occhiataccia che mi lanciò quando mi voltai nella sua
direzione.
«Che
imprevisto?» domandò Jared, osservando prima me
poi Ian.
«Niente
di irrisolvibile. Dai, mettiamo questa roba dentro.» risposi.
E
iniziammo a caricare le provviste sul furgone.
«Ragazzi
ci avete impiegato quindici minuti più del
solito!» si lamentò
Melanie, dopo aver scostato la tendina del camion per farsi vedere.
«Lo
sappiamo, Melanie. Anche se dovrei correggere Wanda dicendo che non
è
stato nulla di irrisolvibile.»
replicò Ian, girandosi verso
di me.
Smisi
di caricare la roba sul furgone, interdetta. Perché doveva
rendere
tanto drammatica una cosa che non lo era?
«Volete
spiegarci cos'è successo?» intervenne Melanie,
irritata.
«Un'anima
ha riconosciuto Wanda. O meglio, Luna.» rispose Ian.
Jared
corrugò la fronte, senza smettere di passare la spesa a Mel.
«Luna?»
«Sì...»
«Non
è niente di così preoccupante, ragazzi. Qui non
ci verremo più
perciò perché allarmarsi?» mi
intromisi, sperando di elidere una
volta per tutte il discorso.
«Vorrei
rispondere alla tua domanda, ma dato che non ho ancora capito
cos'è
successo precisamente non posso farlo. Quindi se...»
«Una
ragazza mi ha scambiata per Luna. Ha detto di essere l'amica di sua
sorella e di conoscermi.» spiegai, ritornando a svuotare il
carrello.
«E
questo non dovrebbe essere preoccupante?!» esclamò
senza alzare
troppo la voce Melanie.
«Ti
ho già detto che sei una ragazza molto
perspicace?» bofonchiò Ian,
rivolgendosi a Melanie con un tono che stentava a mantenere la calma.
«Smettetela
di parlare. Manca poco più di un quarto d'ora a mezzogiorno:
dobbiamo muoverci» ci zittì la voce autoritaria di
Aaron, da dentro
il camion.
Spazio
autore:
Buonaseeera,
c'è qualcuno ancora vivo ad aspettare che io, povera
disgraziata,
aggiorni la storia di tanto in tanto?? Sì? No? Ni? D:
Ragazze
mi dovete scusare davvero tanto, ma giuro che sono iper super stra
extra sommersa dalla scuola e da tutti i problemi ad essa
intuitivamente ricollegabili xD
Ma
devo dire che per tutto questo tempo in cui non ho avuto il tempo di
aggiornare sono riuscita a dare un'occhiata al fandom dell'Ospite e
scoprire che Up è classificata prima nella lista delle
storie più
popolari di quest'anno e tra le prime venti di sempre. E per questo
piccolo traguardo devo ringraziare tutte le buone anime che
pazientemente recensiscono senza arrabbiarsi anche quando dovrebbero
per i miei odiosi ritardi, ma anche quelle che hanno messo la storia
nelle preferite, seguite e ricordate limitandosi a leggere in
silenzio. Siete tutte prezioseoseose <3
Parlando
del capitolo, devo dire che sono abbastanza soddisfatta. Ho dovuto
dividerlo in due parti perché altrimenti sarebbe diventato
troppo
lungo ed è soprattutto per questo motivo che ancora non
siete
riuscite a capire che cosa sia capitato al gruppo di Jeb e Kyle :-P
Lascio
a voi i commenti su quello che avete appena letto. Vi lascio con un
augurio di buone feste e la foto esclusiva di Wanda – come
promesso
d'altronde ;)
Vi piace? :)
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Capitolo 10 *** Amiche ***
10
Amiche
Aprii
la porta ed incontrai Melanie, intenta ad osservarsi nel grande
specchio della toilette.
«Hai
provato a telefonare di nuovo?» le domandai mentre mi lavavo
le
mani, guardandola dalla superficie riflettente.
«No.»
sospirò, tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans il
cellulare
per verificare che non ci fossero chiamate perse da parte di Jeb.
«Pensi
sia successo loro qualcosa?» mi chiese poco dopo,
appoggiandosi con
un fianco al lavandino, mentre io mi asciugavo le mani.
Sinceramente
non sapevo come risponderle. Una parte di me stava vivendo quei
momenti di attesa con tutta calma, un'altra invece sembrava troppo
propensa all'ansia e alla paura per poter anche solo pensare di
tranquillizzarsi. E la cosa non poteva che mettermi in
difficoltà,
specialmente se dovevo rispondere ad una domanda del genere.
Non
volevo dire a Mel che ero un po' preoccupata, anche perché
lei lo
era già di suo e non mi sembrava il caso di demoralizzarla
ulteriormente.
«Io
mi fido di Jeb. Mi fido anche di Kyle e so che non si caccerebbero in
situazioni irrisolvibili.» tagliai corto, abbracciandola per
nascondere il velo di nervosismo che d'un tratto oscurò il
mio viso.
Chiusi
gli occhi, inspirando quel profumo che fino a poco tempo prima era
stato pure mio.
«Anch'io
mi fido.» mormorò, stringendomi ancora di
più a sé prima di
allontanarsi e incrociare di nuovo il mio sguardo.
«Sembri
diversa ultimamente...» aggiunse, cambiando argomento e tono
di
voce.
Sbattei
un paio di volte le palpebre, quindi alzai un sopracciglio,
incuriosita dal perché mi trovasse... diversa, ecco.
«Ah,
sì?»
«Sì.»
«E
perché?»
Mel
titubò, poi scosse la testa in segno di dissenso.
«Non lo so.»
Sorrisi
di nuovo, sinceramente sorpresa dalla sua osservazione, poi uscii dal
bagno con lei al seguito.
«Ah,
Wanda... per quello che è successo poco fa...»
Sbuffai
non appena iniziò a parlare dell'incidente di poco prima, al
supermercato. «So che per te potrebbe essere una
stupidaggine,
ma...»
«Mel...»
la interruppi, senza smettere di camminare verso la porta che
divideva i servizi dalla zona bar dell'autogrill.
«Io
voglio solo evitare casini. Tutto qua.» fece spallucce,
ostentando
un'espressione innocente davanti alla mia irritazione.
«Prima
ce ne andiamo, più sicurezza avremo di evitarli
davvero.»
D'un
tratto fui investita dall'inconfondibile odore di caffè e
panini,
cose che, stranamente, non mi mettevano molto appetito –
sebbene
fosse ora di pranzo.
«Mmh...»
bofonchiai, prima di scorgere Aaron e Brandt vicini al bancone, per
ricacciare nello stomaco la bile che aveva provato a superare la
gola. Quanto odiavo la nausea.
«Ci
sono novità?» domandai ai due quando io e Melanie
ci avvicinammo,
appoggiando un braccio al banco.
Aaron
finì il suo caffè, quindi si girò a
guardarmi.
«No,
purtroppo.» disse, senza essere poi così
preoccupato. Neanche
Brandt, intento a pagare il conto, lo sembrava. Il che mi poteva far
pensare solo al fatto che entrambi confidassero nell'esperienza di
Jeb e del gruppo in generale.
«Volete
qualcosa?» ci chiese gentilmente Aaron, guardando prima me
poi
Melanie.
«Un
caffè.» replicò tranquilla quest'ultima.
«Io
niente, grazie.»
Mi
voltai a guardare oltre la vetrata del locale il camion su cui
stavano Jared e Ian. Il parcheggio era quasi deserto e anche il bar
non sembrava così affollato.
«Raggiungo
gli altri, ragazzi.» li avvisai, appropinquandomi all'uscita.
«Va
bene.» mi sorrise Mel.
«Lei
e Ian non possono stare lontani per troppo tempo.
Comprendili.»
borbottò Brandt ad Aaron, facendosi sentire anche da me.
Ridacchiai
ma non replicai ad alla sua battutina: non ero in vena di sarcasmo.
Uscii
dall'autogrill, immettendomi nel torrido parcheggio che lo
circondava. Il sole era alto nel cielo: non una nuvola interrompeva
il suo lento viaggio verso ovest.
Mi
portai una mano sugli occhi per schivare i raggi del sole e raggiunsi
il furgone.
Quando
giunsi nella parte posteriore per salire dal retro tuttavia, qualcuno
m'impedì di proseguire, prendendomi per i fianchi e
imprigionandomi
nella sua stretta ferrea. Un mezzo urlo si liberò dalle mie
labbra
un momento prima di essere sigillate dalla mano del mio aggressore.
«È
così che ci si difende da un attacco inaspettato?»
mi soffiò
all'orecchio una voce che conoscevo molto bene,
mentre
alleggeriva la sua stretta su di me per lasciarmi muovere.
«Ian!
Mi hai fatto spaventare...» lo rimproverai, dandogli un
leggero
spintone.
Mi
voltai a guardarlo, inviperita, cercando di non dargliela per vinta
nemmeno quando sfoderò quel suo sorriso che tanto adoravo.
«Perdonami,
amore.» mi disse, cingendomi i fianchi. Sebbene avessi
provato a
resistergli, con quelle due parole riuscì ad avere la meglio
su di
me.
«Sei
imperdonabile.» lo rimbeccai, facendo la finta offesa.
«Volevo
solo verificare che le mie supposizioni fossero reali.»
«Quali
supposizioni?»
«Quelle
a cui ho pensato circa venti minuti fa, quando per poco quella
pettegola di un'anima non rovinava tutti i nostri piani.»
brontolò
mentre mi faceva allacciare le braccia al suo collo.
Colsi
l'occasione per dargli una sberla. Innocente, ma un po' meno leggera
dello spintone.
«Ahi»
gracchiò, contraendo il viso in una esagerata smorfia di
dolore.
«Smettila
con questa storia.»
«Dimmi
che ho ragione e la smetto.»
Alzai
un sopracciglio, per niente decisa ad assecondarlo. E il desiderio di
dargli un altro ceffone si impadronì per alcuni attimi di
me, anche
se dopo cambiai idea.
«No.»
«L'hai
voluto tu.»
Un
sonoro sbuffo uscì dalle mie labbra, finendo prima di quanto
pensassi perché Ian mi tappò di nuovo la bocca.
Stavolta usando un
metodo diverso. Molto diverso.
Feci
per ricambiare il bacio, ma non appena sentii qualcuno accanto a noi
tossire imbarazzato fui dissuasa dal farlo.
«Sarebbe
bello farmi gli affari miei, lo so. Ma dato che non ci sono porte che
possono aiutarmi nell'intento, sono costretto ad intervenire per
contribuire al mantenimento della condizione di privacy a cui vi
avrei sottratto se non mi fossi fatto notare.» disse tutto
d'un
fiato Jared, appoggiato, probabilmente da prima che io venissi,
dall'altra parte del furgone senza essersi fatto vedere.
Il
solo pensiero di lui che aveva ascoltato tutto quello che avevamo
detto e fatto, mi fece arrossire violentemente.
«Scusa,
Jared...» balbettai, staccandomi da Ian non prima di avergli
lanciato un'occhiataccia.
«Figurati,
Wanda. Fai finta che io non ci sia mai stato.» rispose, e dal
tono
mi parve che se la fosse presa.
O
forse me lo stavo solo immaginando?
Fui
riscossa dai miei pensieri dal suono familiare del telefono
satellitare posto all'interno del camion.
«Ragazzi,
il cellulare!» esclamai, entrando per raccattarlo.
Solo
Jeb aveva il numero del satellitare. Solo lui.
«Wanda?»
mi sentii chiamare da Ian, rimasto fuori. Io tuttavia non badai a
lui: premetti un tasto e mi portai il telefono all'orecchio.
«Pronto,
Jeb?»
«Wanda?»
mi sentii chiamare dall'altra parte della comunicazione.
«Jeb?
Jeb, sono io. Dove siete? Ci avete fatto preoccupare, credevamo vi
fosse successo qualcosa e...»
«Wanda,
sono Kyle. Jeb è qui con me, accanto a Trudy... I Cercatori
ci hanno
sorpresi mentre rubavamo in un magazzino.»
«Santo
cielo. Ma state tutti bene?»
«Sì...
sì, stiamo bene. Noi tre ci siamo dovuti allontanare dagli
altri
però...»
«Come
sarebbe?» domandai, sotto lo sguardo di Ian e di Jared, che
intanto
erano saliti e si erano seduti difronte a me per ascoltare almeno in
parte quello che potevano sentire dal satellitare.
«È Kyle.» mimai
con le labbra.
«Per
impedire ai Cercatori di trovare il furgone abbiamo deciso di
dividerci e di attirare la loro attenzione. Così gli altri
sono
scappati sul furgone evitando di correre altri rischi.»
Osservai
sconcertata i visi confusi di Ian e Jared, che molto probabilmente
non avevano afferrato quello che Kyle aveva detto.
«E
adesso sapete dove sono finiti i ragazzi?»
«Non
ancora... abbiamo appena imboccato l'autostrada e non sappiamo se
siamo riusciti a depistare i Cercatori.»
«Vi
stanno ancora inseguendo?» domandai, indecisa se preoccuparmi
ancora
di più oppure no.
«Forse
sì. Senti, Wanda, non aspettateci alla stazione di servizio.
Non
sappiamo quanto ancora riusciremo a resistere o se faremo perdere le
nostre tracce.»
«Non
se ne parla, Kyle. Piuttosto che lasciarvi soli...»
«Te
lo sto chiedendo per favore, Wanda. Se non ritornate nemmeno voi alle
grotte, avremo solo perso tempo. Le scorte non saranno bastate e i
ragazzi dovranno uscire e rischiare la vita un'altra volta.»
Alzai
gli occhi verso Ian, che mi stava osservando come per riuscire a
comprendere la causa che aveva reso la mia espressione triste e cupa.
Sapevo
che Kyle aveva ragione, ma sapevo anche che non era giusto
abbandonare lui, Jeb e Trudy. Sarebbe stato un gesto da egoisti e se
lo fossimo stati di certo non ci saremmo trovati lì.
Kyle
mi ridestò dai miei pensieri, gracchiando oltre la
comunicazione che
d'un tratto iniziò a scemare.
«Kyle,
mi senti?» lo chiamai, senza comprendere le parole sconnesse
che
pronunciava. Riuscii a captare solo "fate così" e "non
ti sento bene", poi più niente. Solo il tu tu che
mi
avvertiva del fatto che dall'altra parte del satellitare non c'era
più nessuno.
«No,
no, no...» Premetti dei tasti a casaccio e mi riportai il
satellitare all'orecchio per verificare che Kyle fosse ancora in
linea. Niente da fare.
«Cos'è
successo?» mi domandò Jared, gli occhi neri dalla
paura.
«Non
lo so... un momento prima stavamo parlando e un momento dopo non
siamo più riusciti a sentirci.»
«Non
può cadere la linea. È impossibile.»
replicò, prendendomi
l'apparecchio dalla mano per controllarlo.
Ian
si venne a sedere accanto a me, stringendomi piano un braccio.
«Cosa
ti ha detto, Wanda?»
Trassi
un respiro profondo, tornando a pensare a quello che suo fratello mi
aveva appena chiesto. Non potevamo abbandonarli...
«I
Cercatori gli stanno alle calcagna e... e mi ha chiesto di non
aspettarli.»
La
fronte di Ian, in un primo momento solcata da rughe d'espressione che
enfatizzavano la sua preoccupazione, divenne liscia, spianata, gli
occhi solo un po' più spalancati del normale.
Scostai
lo sguardo dal suo viso, voltandomi dall'altra parte per cercare di
non piangere.
«Non
ci possono obbligare.» grugnì Jared, impuntato a
seguire tutt'altro
piano.
«Che
hai in mente?» gli domandò piano Ian, la voce
leggermente
incrinata.
«Dobbiamo
metterci in contatto con gli altri, dirgli di venire a prendersi il
nostro camion e farli scappare quanto prima a casa. Poi ci
impegneremo a trovare Jeb, Kyle e Trudy.»
«È
una pazzia.» replicò l'altro.
«Hai
niente di meglio da fare?» controbatté Jared, a
tono. «Abbiamo già
perso Lily... vuoi che faccia la stessa fine tuo fratello o
Jeb?»
Ian
rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo. Quando mi voltai
a guardarlo, lo vidi fissare un punto indefinito per terra.
«No,
ma se dobbiamo fare come dici tu» cominciò,
alzando la testa per
incrociare lo sguardo di Jared «Wanda e Melanie dovranno
restarne
fuori.»
«No,
Ian.» intervenni, scattando in piedi.
«Non
voglio metterti in pericolo.» disse dopo essersi alzato come
me.
«Già
lo sono.»
Ian
mi strinse le mani al suo petto. «Stavolta sarà
diverso.»
Lo
fulminai con la forza del pensiero, pensando ad un rapido modo per
fargli cambiare idea sbattendogli la testa contro un muro.
«Ragazzi!»
ci chiamò Aaron da fuori il furgone, correndo. Melanie e
Brandt lo
seguivano a ruota.
«Che
succede?» ci chiese quando fummo abbastanza vicini.
Non
è necessario dire che, non appena raccontammo a Mel e
compagnia
della telefonata di Kyle, ogni tentativo di Ian di allontanare noi
due dalla squadra per precauzione si dimostrò vano.
§
Passò
un giorno dall'ultima volta che avevamo avuto notizie dei tre. In
mattinata Aaron era riuscito a parlare con qualcuno del secondo
gruppo per avvisarli del fatto che quella sera avremmo nascosto il
camion nel vasto deserto che circondava Phoenix, dietro una
protuberanza che faceva al caso nostro. Ovviamente avremmo dovuto
agire per forza di notte, soprattutto perché avevamo meno
probabilità di essere visti da qualche occhio indiscreto.
E
nell'attesa – estenuante come non mai
– ci dedicammo alle
ultime spese, quelle che da sempre facevamo per soddisfare le
richieste dei bambini. Comprammo il pallone per Jamie, la maglietta
di Superman e i pennarelli per i bambini di Lucina.
Sebbene
la giornata sembrava trascorrere normalmente, nessuno smetteva di
chiedersi se mai Jeb, Trudy e Kyle fossero ancora vivi, magari
prigionieri dei Cercatori o peggio ancora se fossero diventati nuovi
ospiti.
«Quanto
vorrei farmi una doccia in questo momento.»
borbottò Melanie,
appoggiando la schiena alla poltrona su cui sedeva. Le sorrisi,
compatendola più di quanto credeva, poi mi guardai attorno.
Al
bancone un ragazzo serviva l'aperitivo ad una giovane, fissandola
ogni volta che poteva senza però essere ricambiato: lei
sembrava
essere molto concentrata nel chiacchierare al telefono. Accanto a noi
una madre a dir poco disperata tentava di zittire il suo bambino, che
non smetteva di fare capricci perché non voleva bere il suo
succo di
frutta alla pesca, o forse alla pera.
«Era
da tanto che non venivo a prendermi qualcosa in un bar.»
commentai,
sebbene quello fosse più che altro un pensiero concepito ad
alta
voce.
Mel
si irrigidì appena sulla poltrona, guardando fuori dalla
vetrata che
avevamo vicino.
«Peccato
che dovremo ritornare alla vita da "cavernicoli".» disse
prima di bere l'ultimo sorso del suo caffè.
«Ormai
ci sono abituata.» replicai, facendo spallucce. Sfilai il
cellulare
dalla tasca dei jeans, accendendo il display per verificare l'ora: le
sei e mezzo.
«Cosa
hanno detto che sarebbero andati a fare Aaron e Brandt?» mi
domandò
Mel, appoggiando i gomiti al tavolo. In meno di due minuti aveva
cambiato posizione già cinque volte. Mi chiedevo se quello
fosse
l'unico modo che aveva per far trapelare l'agitazione che la rendeva
inquieta.
«Non
l'hanno detto.» le risposi, corrugando la fronte non appena
concretizzai quel pensiero.
«Bene.»
Sorrisi
di nuovo. «Dovresti rilassarti, Mel.»
Ciò
che ottenni fu un'occhiata di traverso da dietro le lenti scure che
le nascondevano gli occhi. «Stai scherzando, spero.»
«No,
affatto.» replicai, appoggiandomi come lei al tavolo.
«Solo in
attimi come questi puoi prenderti un attimo di pausa.»
«Scusate,
posso portar via?» ci interruppe una cameriera con un vassoio
in
mano, indicando le tazze che avevamo davanti.
«Sì,
certo.»
«Grazie.»
ci sorrise, un po' impacciata, mentre le prendeva e se ne andava per
lasciarci nuovamente sole.
In
quel momento il mio telefono vibrò sul tavolo, avvertendomi
dell'arrivo di un messaggio, ma la mia attenzione fu più
catturata
dalle due anime che erano appena entrate nel locale.
Difficile
non scambiarle per due Cercatori, dato che il loro abbigliamento, di
un bianco immacolato, li rendeva riconoscibili per chiunque.
Un'improvvisa
ansia mi inondò il petto, rendendomi rigida come un'asta di
legno.
«Che
c'è?» chiese Melanie, perplessa, prima di spostare
lo sguardo nella
stessa direzione in cui stavo guardando io.
Non
appena li vide abbassò subito gli occhi, voltandosi verso di
me per
evitare di incrociare i loro.
«Merda.»
imprecò, osservando un punto indefinito oltre la vetrata che
avevamo
vicino al tavolo.
Nel
frattempo i due, un uomo giovane e alto, dal fisico asciutto e dai
capelli biondo cenere, e una donna sicuramente non molto più
vecchia
di lui, si avvicinarono al bancone per sedersi su due sgabelli
liberi.
Dall'aria
dimessa e gli atteggiamenti disinvolti, sembrava che non fossero "in
servizio"... A quel punto mi chiesi se i Cercatori avessero dei
turni di lavoro da rispettare, o se fossero attivi ventiquattro ore
su ventiquattro e mi pentii di non essermi mai voluta informare prima
di scappare da quella che un tempo chiamavo casa.
«Dobbiamo
andarcene.»
«Non
credo di poter passare inosservata se porto degli occhiali da sole
alle sei e mezza di sera, sai?» replicò Melanie,
continuando a
toccarsi i capelli per il nervoso.
Mi
voltai a cercare un'uscita secondaria che non fosse troppo vicina al
bancone o comunque che non desse troppo nell'occhio, ma l'unica cosa
che trovai fu la porta della toilette.
Forse...
«Magari
in bagno c'è un'uscita di emergenza.» le suggerii,
passando in
rassegna tutto il locale. Cosa che non avrei dovuto fare, dato che
incrociai casualmente lo sguardo del Cercatore,
che si era
girato di novanta grandi per guardare in viso la sua collega. E poi
me.
Tornai
a guardare Melanie, come se mi fossi sentita bruciare dall'occhiata
che mi aveva sempre casualmente lanciato.
«No...»
«Tu
prova.» la incoraggiai. Mel trasse un respiro profondo e
ancor prima
che le potessi regalare un sorriso rassicurante, indossò la
sua
giacca jeans e si alzò dalla poltrona per poi incamminarsi
verso la
toilette.
Sospirai
e rimasi ad aspettarla, notando che nel bar c'era molta più
confusione rispetto a quando eravamo arrivate, ma soprattutto che il
bambino del tavolo accanto aveva smesso di fare i capricci.
Decisi
di tirare fuori qualche dollaro e metterlo sul tavolo per evitare di
soffermarmi alla cassa.
«Non
c'è nessuna uscita di emergenza.»
«Santo
cielo, Melanie...» mi portai una mano al petto, presa dallo
spavento
che mi aveva appena fatto prendere «Non mi sono accorta che
stavi
ritornando.»
«Scusa.»
«Dai,
andiamocene.» dissi prendendo lo zaino che portavo sempre con
me. Ci
facemmo strada tra i vari tavoli del locale e passammo accanto al
bancone nella maniera più anonima possibile.
Mi
misi sottobraccio Melanie e sorridendole finsi di non essere per
niente spaventata dalla presenza dei due Cercatori a cui stavo
passando davanti.
Mel
in risposta mi prese il braccio, come se volesse accarezzarmelo,
anche se in realtà lo fece più per strangolarmelo.
E
un minuto più tardi eravamo uscite dal bar: camminavamo con
passo
spedito sulle strade illuminate di Phoenix.
«Mi
è appena scoppiato il cuore dalla paura.»
borbottò Melanie, sul
viso l'ombra di un sorriso di sollievo.
Non
so per quale motivo, ma a quel suo commento scoppiai
sconsideratamente a ridere. E poco dopo anche lei venne contagiata.
Non
ricordo di essere mai stata tanto terrorizzata come quella sera.
«Cosa
ridi?» mi domandò, fintamente offesa.
«Niente...»
sghignazzai «È solo che... per un momento ho
creduto che mi avresti
staccato il braccio!»
«Sarebbe
stato il minimo che potessi fare per scaricare un po' di tensione,
no?» blaterò, spingendomi scherzosamente.
Mi
voltai a strizzarle un occhio e casualmente –
sempre e
comunque casualmente – venni attirata
dalle luci di una
macchina che stava percorrendo l'inizio della via.
Non
era una delle comuni auto che si possono incontrare così per
strada.
Specialmente se la stessa Lamborghini l'avevo vista guidare da quei
Cercatori che mesi prima mi avevano fermata in piena corsa
sull'autostrada.
Il
mio sorriso si spense all'improvviso e un brivido mi corse lungo la
schiena quando vidi la vettura accelerare nella nostra direzione.
«Corri.»
ordinai a Melanie, che non aveva l'aveva per niente vista.
«Cosa?»
«Corri,
Mel. Corri!»
E
iniziammo a correre, percependo il rombo del motore di quella
macchina avvicinarsi a noi sempre più velocemente.
Spazio
autore:
Mi
faccio schifo da sola. Davvero. Mea culpa.
Scusatemiiiiiiiiiiiii,
ragazze ma sul serio non ho avuto il tempo di scrivere. Era da un
mese che cercavo di finire questo capitolo per pubblicarlo, ma non ho
trovato un buco che fosse UNO per potermi dedicare ad Up. Spero solo
che nel frattempo abbiate ammazzato il tempo in cui siete rimaste ad
aspettarmi e che il capitolo sia valso a qualcosa :)
E
poi per farmi perdonare (per la trecentesima volta) vi ho fatto anche
una sorpresina sopra! Vi piace??
Comunque,
passiamo alle cose importanti. Com'è stato questo capitolo?
Noioso,
interessante? Vi state chiedendo che cosa succederà nel
prossimo??
Ditemi,
ditemi!
Ringrazio
tutti i lettori che hanno messo la storia nelle
seguite/preferite/ricordate e uno speciale grazie va a coloro che
ogni tanto mi scrivono anche una piccola recensione (e anche a quelli
che la scrivono per ogni capitolo <3 <3)
Love
you so much <3
Sha
|
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Capitolo 11 *** Scontri pericolosi ***
11
Scontri pericolosi
Circa
due minuti prima che raggiungessimo i passaggi pedonali ero
terrorizzata, l'adrenalina mi faceva correre come mai prima.
Melanie
mi stava davanti di qualche metro, i capelli mossi dal vento, e ogni
tanto si girava quel poco che bastava per verificare che non fossi
rimasta indietro. Le sue gambe erano più agili in confronto
alle
mie, lo sapevo bene – ricordavo di averle usate in situazioni
simili tanto tempo prima.
Tuttavia,
quel terrore che mi imprimeva di energia trovò una fossa in
cui
sprofondare e scomparire quando la nostra corsa s'interruppe ad un
passo dai passaggi pedonali.
La
macchina che aveva accelerato era stata più veloce di noi,
ovviamente, ed era arrivata giusto in tempo per
intralciarci
la strada. Poi si era fermata e, nonostante le infinite
possibilità
che io e Melanie avevamo per poter ricominciare a scappare, rimanemmo
coi piedi ben fissi sul marciapiede.
E
fu quando il finestrino oscurato si abbassò per rivelarci il
viso
del guidatore che la paura venne sostituita dallo sgomento.
Sgomento
e rabbia.
«Brandt?»
quella di Melanie era una domanda che sottintendeva qualcosa del tipo
"tu non dovresti essere qui" e, sebbene la cosa non potesse
darci altro se non che sollievo, da un lato lasciava anche
interdetti.
Brandt
appoggiò un bracciò sul finestrino, l'altro sul
volante,
limitandosi ad annuire, poi la nostra attenzione venne catturata
dalla persona che all'improvviso aprì la portiera accanto al
sedile
del guidatore.
Ian.
«Buonasera,
signore.» ammiccò quando ci fu vicino e io non
potei trattenermi
dal dargli un ceffone. Decisamente un po'
più pesante di
quello che gli avevo tirato il giorno prima all'autogrill.
«Ian
O'Shea» sibilai subito dopo, fissandolo mentre, sconcertato,
si
portava una mano alla guancia. «Ti sembra il caso di piombare
fuori
dal nulla in questo modo, facendoci prendere anche un colpo?!»
«L'idea
in realtà è stata mia.» intervenne
Brandt, alzando senza molta
convinzione la mano e scostando lo sguardo dal mio non appena posai
gli occhi su di lui. «Lo schiaffo puoi darlo anche a
me.»
La
voce di Brandt era bassa come sarebbe stata bassa quella di un
bambino colto in fragrante nel cercare il barattolo nascosto di
Nutella.
Melanie,
dietro di me, si mise a braccia conserte e sbuffò.
«Scus...»
«Lascia
perdere, ti prego.» replicai prima che Ian potesse terminare
la
frase, oltrepassandolo per andare ad aprire lo sportello della
Lamborghini e sedermi dietro Brandt.
Lui,
che nel frattempo era rimasto sul marciapiede a guardarmi, si accinse
a fare lo stesso, prendendo posto non davanti, dove alla fine si mise
Melanie, ma dietro. Proprio accanto a me.
«Non
te la sarei presa sul serio...?»
Erano
passati solo cinque minuti di silenzio da quando Brandt aveva premuto
il piede sull'acceleratore ed era tornato a guidare per le strade di
Phoenix. Ian, per tutto quel breve lasso di tempo, aveva alternato
sguardi disinteressati oltre il finestrino oscurato del suo lato e
sguardi titubanti verso di me. La mano appoggiata sul sedile centrale
che non sapeva se toccare la mia gamba o ritrarsi del tutto.
Io
invece non avevo smesso un solo attimo di guardarlo con la punta
dell'occhio.
«Non
penso sia difficile capirlo.» borbottai, voltandomi del tutto
verso
il lato opposto a lui, e nel farlo vidi che Brandt mi stava
osservando dallo specchietto retrovisore.
Chissà
quale tra i due idioti presenti si sentiva più in colpa per
averci
fatto quasi morire di paura?
Sospirando,
Ian si spostò più vicino, causando un mio
impercettibile
irrigidimento.
Ce
l'avevo davvero con lui – e anche con Brandt ovviamente. La
differenza era che col primo avevo un certo tipo di confidenza e
potevo permettermi il lusso di atteggiarmi a quel modo – il
ceffone
ne era la prova inconfutabile – col secondo invece no.
«Non
era mia intenzione spaventarti.»
Mentre
lo diceva, Ian allungò una mano verso di me spostandomi i
capelli
sulla schiena, ma io, non volendo dargliela per vinta come facevo
ogni volta, non lo calcolai. Senza pensarci, dissi le prime
cose
che mi passarono per la testa, rivolgendomi a Brandt.
«Avete
nascosto il furgone?» chiesi, appoggiandomi al suo sedile per
potermi avvicinare e quindi intravedere il suo viso sotto le luci dei
lampioni.
Ian
a quel punto non poté che allontanarsi con un sonoro sbuffo.
«Sì,
è andato tutto bene.»
«Jared
e Aaron?» domandò stavolta Melanie, voltandosi
verso di lui.
«Penso
che siano proprio dietro di noi.» Brandt replicò
tornando ad
osservare lo specchietto retrovisore. Feci lo stesso: due fari
bianchi lampeggiavano forte alle nostre spalle.
«Ma
dove le avete prese queste macchine?»
Melanie
sembrava proprio sorpresa. Nondimeno lo ero io.
«Rubate.»
La
voce di Ian, vicina a me anche se non come poco prima, suonava acida
e stizzita. Con la punta dell'occhio lo vidi mentre osservava
distrattamente lo scenario oltre il finestrino. Le braccia conserte,
le gambe divaricate, l'aria di uno incazzato col mondo.
«Dove?»
domandò Mel.
«In
una concessionaria.»
«Avete
fatto tanti danni?»
«Erano
parcheggiate fuori.»
«Ah.»
Mentre
i due parlavano, io non riuscivo a non essere meno arrabbiata con
Ian. Insomma, mi faceva prendere un infarto e ora aveva anche il
coraggio di mettermi su il broncio, tutto offeso?
Irritata
più che mai, incrociai le braccia al petto e alzai gli occhi
al
cielo, certa che lui non potesse vedermi: avevamo imboccato
l'autostrada e ormai tutto era nero, se non la luce azzurra che
proveniva dalla radio spenta. L'orologio segnava le dieci.
«Dove
stiamo andando?» chiese piano Melanie, dopo un po' di tempo.
«A
Tucson. Gli altri ci hanno detto che hanno visto per l'ultima volta
Jeb e compagnia lì vicino.»
Dal
tono di voce che Brandt aveva usato sembrava stesse sorridendo.
«E
quanto dista da Phoenix?»
«Un'ora
di strada.»
Il
suono del motore graffiò piano le mie orecchie. Aprii gli
occhi,
rendendomi conto solo in quel momento di essermi addormentata. Non
sapevo quanto tempo avevo riposato, ma senza dubbio adesso potevo
accusare un immancabile mal di schiena.
Mi
voltai lentamente verso Ian, scoprendolo appisolato proprio come me
accanto al finestrino. Era nella stessa posizione in cui l'avevo
lasciato, a differenza delle braccia che non erano più
conserte. Una
ruga provocata dall'espressione accigliata del viso si incuneava tra
le due sopracciglia, suggerendo che sicuramente stava pensando a
qualcosa.
Qualcosa
che interruppe non appena mi vide di nuovo sveglia.
«Ehi.»
sussurrò, sorridendo appena.
E
con quel suo tono sconfitto, con quel suo modo di fare sdolcinato,
con quel suo sguardo da cane bastonato, beh,
sarebbe stato
difficile continuare a non perdonarlo.
«Ehi...»
Dopo
aver tratto un rumoroso sospiro, mi avvicinai a lui e lasciai che mi
attirasse a sé.
«Questo
è il tuo modo per dirmi che hai accettato le mie
scuse?» bofonchiò,
solleticandomi l'orecchio. Parlava come se Melanie e Brandt non
esistessero, ma sempre sottovoce.
«Forse.»
gli risposi, sorridendo, un minuto prima di percepire il nostro amico
imprecare.
«Brandt?»
Melanie
si drizzò sul sedile.
«I
Cercatori.» disse, lanciando un'occhiata agli
specchietti
retrovisori. Mel, Ian ed io ci voltammo quasi in sincrono verso il
portabagagli per verificare la loro presenza.
L'auto
in cui c'erano Jared e Aaron era fiancheggiata a destra e a sinistra
da altre due vetture che non riuscivo bene a vedere nel buio della
notte.
«Merda.»
grugnì Ian.
«Ditemi
che questo è sul serio uno
scherzo.» Melanie era paralizzata
dalla paura, fissava terrificata la macchina dove c'erano gli altri
due, quasi come se sapesse che c'era un ordigno impostato per farla
esplodere da un momento all'altro.
«Come
cazzo hanno fatto a trovarci?»
Ian
si inclinò verso i sedili anteriori per poter scorgere il
profilo di
Brandt, senza sciogliere l'abbraccio in cui mi stava stringendo.
«Non
lo so.» rispose l'altro, premendo il piede sull'acceleratore.
Chissà
a quanto stavamo andando?
«Potrebbero
essere stati i Cercatori che...»
Iniziai,
ma non riuscii a terminare la frase perché qualcosa
colpì l'auto,
facendomi istintivamente chinare in avanti insieme ad Ian.
«Ci
stanno sparando!» urlò Melanie, lanciando uno
sguardo preoccupato
allo specchietto di destra.
«I
Cercatori non sparano di solito.»
«Questi
sanno. Sanno che siamo noi.»
dissi in risposta
all'affermazione di Ian, continuando a starmene china su me stessa
con lui a pochi centimetri di distanza.
«Prendi
il mio posto, Melanie.» le ordinò d'un tratto
Brandt.
«Cosa?
No, non posso. Io...»
«So
che sei brava. E poi, penso che l'alternativa non ti
piacerebbe.»
Perplessa
ma sicura di quello stava per fare – era obbligata ad esserlo
–
Mel si alzò dal sedile e in una maniera che ancora adesso
non so
spiegarmi, fece cambio di posto con Brandt senza che la macchina
decelerasse di un solo chilometro orario.
Questi
poi estrasse dalla tasca posteriore dei jeans una pistola e lo stesso
fece Ian. Nel contempo, un altro proiettile colpì il
portabagagli
della Lamborghini.
«Schiaccia
quel tasto verde.» disse Brandt a Melanie. Lei
obbedì e premette il
dito sul bottone, azionando il congegno che apriva il tettuccio di
cui fino a quel momento non avevo nemmeno saputo l'esistenza.
Il
suono del vento che si infrangeva contro la vettura penetrò
nell'abitacolo.
Solo
adesso capii come Ian e Brandt volevano usare le armi che avevano in
mano, e la cosa non poté che spaventarmi. Io odiavo quelle
robe,
odiavo tutto ciò che era in grado di provocare dolore.
Un
altro sparo rimbalzò sulla vettura nello stesso istante in
cui Ian
allontanò il braccio che fino ad un attimo prima aveva
mantenuto
sulla mia schiena.
«No.»
esclamai, afferrandogli il bavero della camicia blu che indossava
sotto la giacca di pelle, quando si stava mettendo in piedi per
emergere dal tettuccio.
«Wanda,
è l'unico modo.»
Mi
guardò dritta negli occhi, ritornando giù.
Sembrava convinto di
quello che stava per fare, al contrario di me.
«No.
È troppo pericoloso.»
«Hai
un'alternativa?»
A
quella domanda, indubbiamente retorica, non seppi dare una risposta.
E questo non poté che infastidirmi e spaventarmi di
più.
Ma
andando contro ogni logica, volli comunque ribattere. O almeno,
così
sperai di fare nel mio immaginario, dato che la realtà
raccontò di
una Viandante che veniva presa in contropiede dal suo ragazzo,
facendosi rubare un bacio a stampo. Poi, come se fosse stata tutta
un'allucinazione, il viso del suo ragazzo le scomparve dalla visuale:
circa un quarto del suo corpo era là fuori, e
così lo era anche
quello di Brandt.
«È
un po' difficile riuscire a sfuggire a due macchine di Cercatori in
un'autostrada, non credete?» constatò Melanie.
La
mia vista si concentrò sulle luci che vedevo in lontananza,
proprio
davanti a noi.
«Quella
è una città!» dissi, indicandola a Mel
con un dito.
«Tucson!»
asserì Brandt da sopra, prima di sparare un colpo.
All'improvviso
io e la mia amica gettammo un urlo di spavento: una delle due volanti
dei Cercatori aveva sbattuto contro il lato sinistro della
Lamborghini per farci sbandare.
«Da
dove viene questa macchina?!»
Melanie,
seppur agitata, riuscì a ristabilire l'auto.
«Non
lo so!» risposi, mentre vedevo i Cercatori allontanarsi. Un
minimo
di sollievo affiorò nel mio petto, anche se il cuore
continuava a
battermi all'impazzata, quasi come se stesse per uscirmi dalla cassa
toracica. Tucson nel frattempo si avvicinava sempre di più.
«Melanie,
attenta!» gridai quando notai che i Cercatori erano di nuovo
accanto
a noi. Mel non riuscì a scansarli neanche questa volta: la
macchina
incassò la sportellata e sbandò di nuovo,
più forte di prima.
Mi
voltai a verificare che a Brandt e Ian non fosse successo nulla.
«Wanda,
prendi lo zaino. Dentro ci sono le munizioni.» mi
urlò Ian.
Subito
scattai per prendere la borsa a terra e aprirla. Una sfilza di
munizioni mi riempì gli occhi: ne presi quante ne bastavano
per
rifornire sia lui che Brandt.
«Tieni.»
Dopo
che gliele porsi, tornai a fare attenzione alla strada e a Melanie.
Un cartello gigante ci avvisò che a meno di cento metri
avremmo
incontrato lo svincolo per Tucson.
«Rilassati,
Mel. Sei brava, ce la puoi fare.» le dissi mentre le
stringevo una
spalla. Il cuore non smetteva di battermi forte, talmente tanto che a
momenti sarei potuta morire d'infarto.
«Okay,
okay.»
Trasse
un profondo respiro, ingranando la marcia e avvicinandosi sempre di
più allo svincolo. I Cercatori che avevamo di fianco
rallentarono,
ritornandoci alle spalle.
Jared
e Aaron ci stavano dietro e con una mossa azzardata fecero in modo
che solo una delle due volanti riuscisse a girare nella nostra stessa
direzione. Una donna si sporgeva dal finestrino dell'auto a cui Ian e
Brandt stavano mirando, la pistola alla mano, i capelli al vento.
Probabilmente oltre che a sparare, quella Cercatrice stava anche
guidando e forse fu per questo che ad un certo punto
scomparì dentro
per non andare a sbattere contro il guardrail.
«Mi
sto cagando addosso, Wanda.» confessò Melanie, un
nanosecondo prima
che l'ennesimo sparo, o meglio due spari, prendessero in pieno la
macchina.
Ma
c'era una buon motivo se mi sbagliai, dicendo che solo uno di quei
due proiettile andò a colpire il portabagagli della
Lamborghini.
Già,
perché l'altro prese tutt'altra direzione.
La
mia attenzione si volse subito ad Ian e Brandt. Fu un fiotto di
rabbia misto a pura paura quello che percepii invadermi il cuore
quando sentii uno dei due gemere di dolore per la pallottola che lo
aveva appena ferito.
Inizialmente
non riuscii a distinguere la voce del colpito, ma quando Brandt
chiamò preoccupato Ian, beh, inutile dire che persi quasi i
sensi
per la paura.
«Cazzo...»
imprecò quando si mise seduto accanto a me. Il viso
stravasato in
un'espressione di dolore, una mano premuta un po' più sopra
del
fianco, all'altezza dello stomaco.
«Oh
mio... Ian...» sussurrai, non sapendo dove guardare e dove
mettere
le mani. Nel punto in cui la pallottola l'aveva preso la camicia era
diventata ancora più scura a causa del sangue che stava
sgorgando
dalla ferita.
Ian
respirò a fondo, appoggiando la testa al sedile mentre il
colorito
del suo viso passava da rosa a viola, blu, verde ed infine bianco.
Da
una parte non volevo far altro se non che aiutarlo, da un'altra
lottavo contro me stessa e la voglia inconfondibile di svenire.
«Le
medicine.» dissi, raccattando nuovamente quello zaino.
Rovistai per
un minuto buono in tutte le tasche esterne e interne, senza trovare
niente. «Dove diavolo sono le medicine?!» urlai,
mentre posavano
una mano sull'addome di Ian per cercare di mettere in pratica un po'
delle cose che avevo imparato per situazioni come quelle.
«C-ce
le ha Jared, Wanda.» la voce di Melanie tremava, non so se
per paura
che io potessi alterarmi di più o perché era
sempre più spaventata
da tutto il trambusto in cui ci trovavamo.
Espirai
ed inspirai, trattenendomi dal prendere a parole proprio lei, che non
aveva nessuna colpa e di certo non doveva diventare la mia valvola di
sfogo.
«Okay.
Va bene. Va bene.»
Mi
concentrai su Ian, notandolo sempre più pallido e sempre
più
debole. La mia mano era imbrattata di sangue.
Ti
prego, Wanda, non svenire. Non. Svenire.
«Andrà
tutto bene, amore. Respira, respira.» gli sussurravo mentre
prendevo
ad accarezzargli una guancia, a ravvivargli i capelli, nella speranza
di poter seminare quei Cercatori e dargli le medicine.
«Appoggia
la testa sulle mie gambe.»
Ian
si spostò lentamente, gemendo ancora e ancora, fino a che
non riuscì
a sdraiarsi. Aveva la fronte imperlata di sudore, ed era freddo.
Ti
prego, fa che sopravviva.,
imploravo mentalmente, mentre i miei istinti di sopravvivenza mi
portavano a sfilarmi la cintura dai jeans per poterla legare alla sua
vita e cercare di bloccare il sangue che continuava a sgorgargli
dalla ferita. Si era sporcato anche il tappetino della macchina.
«Non
sapevo fossi una così brava infermiera.»
gongolò, trovando anche
il coraggio di sfoderare quel suo sorriso sghembo che tanto amavo.
«Hai
il coraggio di fare del sarcasmo anche adesso?»
«Devo
sdrammatizzare in qualche modo.»
«Piantala,
ti prego.»
La
mia voce, incrinata per controllare le lacrime che a stento riuscivo
a trattenere, si ruppe in un singhiozzo.
«Ehi,
ehi...» Ian allungò una mano sporca di sangue sul
mio viso,
scostando i capelli che gli intralciavano la strada. Senza pensarci
due volte gliela presi e lasciai che potesse sfiorarmi una guancia.
D'un
tratto sembrò essere stanchissimo. Ogni movimento pareva
costargli
una fatica immensa e le sue palpebre diventarono improvvisamente
più
pesanti.
La
sua mano scivolò dal mio volto, facendomi allarmare
ulteriormente.
«No,
Ian.» sgranai gli occhi, sempre più traboccanti di
lacrime «Ian,
devi rimanere sveglio. Devi rimanere con me, hai capito?»
Si
limitò ad annuire e a sorridermi appena, prima di chiudere
gli
occhi.
«Ian,
guardami. Guardami.»
gli ordinai, schiaffeggiandolo debolmente. Lui obbedì, per
quanto
poteva.
Solo
quando alzai lo sguardo per vedere dove ci trovavamo mi resi conto
che Brandt era rivolto verso di me, che Melanie stava guidando per le
vie della città nell'esasperata attesa di allontanarsi il
più
possibile da quei Cercatori, e che dietro di noi non c'era
più la
macchina di Jared e Aaron.
No,
no, no.
«Cosa
facciamo, Brandt?»
«Ci
vorrebbe un miracolo...» fu l'unica cosa che mi disse, prima
che un
grosso furgone spuntasse dal nulla proprio davanti a noi. Melanie
tentò di evitarlo premendo il piede sul freno. Non dico che
ci
riuscì, ma almeno non provocò un incidente
frontale che ci avrebbe
di certo uccisi.
Ci
andammo a sbattere contro, schiacciando il cofano della Lamborghini
contro il lato destro del camion bianco.
Il
risultato fu che Brandt e Melanie riuscirono ad attutire l'urto sia
grazie agli airbag, sia grazie alle cinture di sicurezza, cose di cui
né io né Ian potemmo avvalerci.
Io
fui sbalzata in avanti, andando a sbattere la testa contro qualcosa
che non riuscii ad identificare. E Ian... Ian sperai solo che non
avesse fatto la mia stessa fine, o peggio.
§
Silenzio.
C'era
silenzio intorno a me, o almeno, così mi sembrava di
percepire
l'assenza di suoni che mi circondava. Era da tanto tempo che non
sentivo così tanto niente, e forse fu proprio per questo che
quel
silenzio parve strano, assordante, fastidioso.
L'ultima
volta che avevo percepito tutta quella pace era stata la notte
prima di partire, quella che avevo vissuto sull'onda della
felicità
più assoluta con Ian.
Ma
era stato diverso allora: avevo amato il silenzio in cui mi ero
svegliata, avevo amato aprire gli occhi accanto a lui. Avevo amato
respirare il suo profumo tra le lenzuola.
Stavolta
invece non mi piaceva, per niente. Era un silenzio ovattato, freddo,
bianco.
Il
bianco è il nulla, è l'assenza di tutte le
emozioni, di tutte le
sensazioni.
Che
fossi morta? No, non era possibile. Se fossi morta non mi sarei
ritrovata sdraiata su quel materasso così scomodo
– ammesso che
quello su cui mi trovavo era un materasso.
Senza
dubbio non avrei neanche avvertito un peso enorme alla testa. Ma no,
non era un peso; sentivo come un chiodo che mi martellava
continuamente in fronte.
D'un
tratto mi ricordai dell'incidente, del furgone bianco con cui c'era
stato l'urto, del sangue, di Ian, di Jared e Aaron che erano
scomparsi. Un boom di pensieri tormentosi iniziarono ad occuparmi la
mente, incrementando la forza con cui quel chiodo continuava a
colpirmi la testa.
Senza
riflettere spalancai gli occhi, e un bianco fortissimo, tipico delle
lampade a neon, investì le mie cornee, obbligandomi a
riabbassare le
palpebre.
«Ehi,
mi senti?»
Qualcuno
ruppe improvvisamente quel silenzio snervante. Avere la certezza di
non trovarmi chissà dove mi fece sollevare, anche se non
aver
riconosciuto quella voce soffocò subito quella bella
sensazione.
«Ragazza,
riesci a sentirmi?»
Era
un uomo, certamente non molto più vecchio di me, e quando
aprii di
nuovo gli occhi scoprii che i suoi erano grandi e... Non era umano.
Il
cerchio azzurro al centro di ciascuna iride ne era la prova.
Una
baraonda di paure cominciò a torturarmi dall'interno. Chi
era
quell'anima? Dove mi trovavo? Dove erano finiti tutti gli altri? I
Cercatori ci avevano catturati?
«Ciao,
io sono un Guaritore, ma ai miei amici umani piace
chiamarmi
Liam.»
Spazio
autore:
Sì,
lo so.
E
adesso vi chiedere "che cosa sai, Sha?".
-
So che sono la
solita ritardataria.
-
So che ultimamente
vi lascio sempre col fiato sospeso a fine di ogni capitolo.
Stavolta
penso siate rimaste anche con un'espressione in faccia che tradotta
in tre lettere si può riassumere in "WTF?!". E io, come
sempre, vi dico di fidarvi della sottoscritta :P
Vi
starete mordendo le unghia perché non vedete l'ora di
riempirmi di
domande, e da brava ragazza quale sono, vi rispondo dicendo che
adesso ci saranno un po' di cambiamenti.
Preparatevi
a conoscere i nuovi personaggi che inizieranno a far parte della
storia – insieme ai protagonisti ovviamente – e a
scoprire quali
astrusi pensieri mi vorticano nella testa da quando ho deciso di
scrivere e pubblicare questa fanfiction. Ma non vi dico altro, o
sarà
meglio che mi tagli le dita così da non poter più
spoilerarvi
niente.
Per
quanto riguarda ciò che avete letto in generale invece, vi
dico che
ho scritto buona parte del capitolo di getto e tutto d'un fiato
(quando l'ispirazione ti investe come un tir in corsa ahahah). La
parte in cui c'è più azione non so se sono
riuscita a svilupparla
bene... Incontro sempre non poche difficoltà quando mi
cimento in
scene così movimentate, ma almeno provo a dare un'idea di
quello che
immagino in testa :)
Spero
di essere stata all'altezza del compito che mi sono autoassegnata
ahaha
Prima
di eclissarmi comunque ci tenevo a ringraziare le numerose persone
che nell'ultimo periodo hanno aggiunto Up nelle seguite e nelle
preferite. State diventando molto numerose, peccato che non vedo
salire anche il numero di recensioni per capitolo :P
Come
sempre dico grazie e mando un grosso bacio a tutte le buone anime che
commentano e trovano il tempo per scrivermi anche poche righe. Vi amo
<3 (Amo anche i lettori silenziosi, tranquilli ahah <3
<3)
Un
abbraccio e... Buona Pasqua a tutti!
P.S.
Me ne vado adesso, non vi preoccupate xD Solo... ci tenevo a farvi
vedere quale tipo di macchinina è stata adibita per
descrivere le
scene di questo capitolo <3
Lamborghini
4x4
Ah, per quanto riguarda il banner... non vi preoccupate, non mi sono
dimenticata di metterlo. Ho avuto problemi con la connessione e non ho
potuto metterlo ;)
Sha <3
|
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Capitolo 12 *** Domande ***
12
Domande
Io
lo amo più di me stessa, Ellen; e lo so da questo: tutte le
sere io
prego di potergli sopravvivere, perché preferirei essere
infelice
io, piuttosto che saperlo infelice. È la prova che l'amo
più di me
stessa.
[Emily
Brontë]
«Ciao,
io sono un Guaritore, ma ai miei amici umani piace chiamarmi
Liam.»
L'anima
sorrise, continuando a guardarmi attentamente. Aveva l'aria di uno di
cui ci si poteva fidare, ma il mio istinto non era tanto propenso a
darle retta.
I
suoi amici umani?,
pensavo.
«Tu
ce l'hai un nome?»
Se
anche lui conosceva umani e per di più erano suoi amici,
significava
che apparteneva ai ribelli proprio come me. Oppure mi sbagliavo?
«Io...»
balbettai, indecisa se svelargli la mia vera identità o
trovarne in
fretta e furia una falsa mentre mi coglieva un inaspettato capogiro.
«Sei
ancora in stato confusionale, a quanto pare.»
Liam
parlò puntandomi negli occhi una lucina piuttosto accecante
e
sebbene il riflesso delle mie iridi gli rimbalzò in faccia,
non
sembrò infastidirsi. Anche Doc, una volta, aveva tentato di
usare su
di me quelle odiose lampadine, ma con scarso successo.
«Mi
spiace non averti potuto ancora dare le medicine. Le ultime che sono
rimaste le ho dovute consumare per casi più urgenti del
tuo...»
l'anima concluse assumendo un'espressione concentrata sul mio viso,
un dito puntato verso di me come per afferrare il nome che non gli
avevo ancora esplicitato.
«Petali
Aperti alla Luna.» mentii, avvertendo improvvisamente
un'altra fitta
alla testa. Portai una mano sulla fronte, toccando qualcosa di
ruvido: una benda.
«Bene,
Petali Aperti alla Luna. Hai avuto un incidente... te lo
ricordi?»
«Sì...»
dissi mentre mi massaggiavo una tempia.
«Benissimo.»
Liam
si alzò dalla sedia accanto a me, spegnendo il neon che
avevo sopra
la testa e avvicinandosi ad un mobile grigio posto alla mia destra.
Aprì uno dei cinque cassetti e iniziò a cercare
qualcosa.
«Hai
un lieve trauma cranico e due costole incrinate. Ti avviso, almeno se
tenti di sederti come stai facendo adesso, capisci perché
hai male
praticamente ovunque.» sorrise, un po' impietosito
dall'espressione
inorridita che assunsi quando mi issai sui gomiti per cercare di
cambiare posizione, ma senza riuscirci. E fu in quel momento che mi
accorsi di avere anche il petto fasciato sotto la maglietta
sgualcita.
«Dove
mi trovo?» chiesi quando decisi di rimanere sdraiata e
limitarmi a
seguire Liam con lo sguardo.
«In
un posto sicuro.» asserì l'anima, che nel
frattempo aveva trovato
quello che cercava ed era ritornata seduta a poche spanne da me. In
mano aveva una siringa piena di un liquido trasparente.
«Non
ti sto per uccidere, tranquilla. Serve per farti sentire meno
dolore.»
Evidentemente
la mia faccia terrificata aveva convinto Liam a spiegarmi cosa stava
per fare un attimo prima di affondare l'ago nella mia pelle.
Subito
mi voltai dall'altra parte per non guardare.
«Sei
un ribelle?» domandai, non trovando altro modo per chiedergli
da che
parte stava.
«Non
avrei amici umani, altrimenti. E tu?»
Tornai
ad osservare Liam, notando che non era un così brutto
ragazzo. Gli
occhi erano verdi, i capelli erano castano chiaro e scompigliati ad
arte, il fisico asciutto ma non troppo muscoloso.
Indossava
un camice bianco che era più simile a quello di Doc che a
quello dei
Guaritori.
«Anch'io
ho degli amici umani.»
«Siamo
nella stessa squadra allora.» constatò.
«Già...»
Fissai
con aria assorta i lineamenti fini di Liam, ottenendo una sua risata
soffocata.
«Di
solito guardi così le persone?» chiese divertito,
mentre andava
verso la porta socchiusa.
Non
ebbi il tempo di controbattere che lui se ne andò,
giustificandosi
con un «Penso che l'analgesico che ti ho dato stia iniziando
a fare
effetto. Torno subito.»
E
io rimasi impalata su quel letto, il corpo improvvisamente
intorpidito ma meno dolorante di prima, la testa piena di domande a
cui nessuno sembrava poter rispondere.
Dovevo
scoprire dove mi trovavo, dov'erano finiti Melanie, Brandt, Jared,
Aaron, Ian...
Ian.
Mi venne il magone al solo pensiero di quello che gli era
successo. Alzai verso di me la mano che si era sporcata del suo
sangue, scoprendola pulita, intatta. Nella mia testa
cominciò a
farsi spazio la mezza idea di essermi immaginata tutto, ma quando
presi in considerazione ciò che mi aveva detto Liam, misi da
parte
quella possibilità.
Mi
spiace non averti potuto ancora dare le medicine. Le ultime che sono
rimaste le ho dovute consumare per casi più urgenti del tuo,
aveva detto. E se il trauma cranico non aveva provocato seri danni al
mio cervello, era logico che si stesse riferendo a Ian, e magari
anche a qualcun altro più grave di me.
«Rieccomi.
Sono andato a controllare se sono arrivati i medicinali, ma a quanto
pare dovrai pazientare ancora un po'...»
Liam
mi fece quasi sobbalzare quando riapparì dalla porta.
«Come
stanno i miei amici?» biascicai, la bocca impastata di
saliva.
Qualunque cosa mi avesse somministrato mi stava facendo sentire come
ubriaca.
Il
Guaritore si avvicinò al letto, sfoderando dalla tasca del
suo
camice un rotolo di bende.
«Se
la sono cavata. Adesso, se permetti, devo rifarti la fasciatura: stai
perdendo ancora un po' di sangue.»
Inorridita,
evitai di pensare e continuai il mio discorso.
«Tutti?»
«Diciamo
di sì.» disse lui, titubando.
«Perché
"diciamo di sì"?»
«Non
preoccuparti, sono tutti vivi...»
Anche
se non accolsi il suo consiglio, decisi di rimanere in silenzio ad
osservare quell'anima alle prese con fasciature e cerotti vari. Il
contatto che aveva con la mia pelle era quasi impercettibile,
delicato com'era. E mi parve strano scoprire che un Guaritore come
lui sapesse perfettamente come fare il suo lavoro anche senza l'aiuto
dei farmaci di noi alieni.
«Come...
come fai ad essere così... così
capace?»
Con
la curiosità che incalzava, non avevo trovato un termine
adatto per
spiegargli meglio cosa intendevo, ma Liam sembrò capire lo
stesso.
«Beh,
i Guaritori dovrebbero essere già informati su come
prendersi cura
dei loro pazienti anche quando non hanno farmaci a disposizione, o
no?»
Liam
mi sorrise di nuovo - ormai avevo perso il conto di quante volte
l'avesse fatto – controllandomi scrupolosamente la ferita
scoperta
che avevo in fronte. D'un tratto provai un insopportabile bisogno di
grattarmi proprio lì, dove mi sentivo pizzicare in
continuazione.
«E
poi ci fai l'abitudine quando vivi nascosto da tutto e
tutti.»
aggiunse, dopo avermi messo un cerotto all'altezza del graffio.
«Da
quanto sei un ribelle?» gli chiesi.
Liam
fece per rispondermi, ma i suoi propositi scomparirono non appena
sentimmo bussare alla porta. Lui si alzò e andò
ad aprirla.
«Ciao.»
disse la donna che c'era sulla soglia della stanza, un po'
timidamente, senza che io riuscissi a vederla.
Liam
si mise da parte per fare entrare la sconosciuta che scoprii essere
umana.
Un
paio di estranei occhi grigi si posarono subito su di me.
«Tu
devi essere Wanda.» provò ad indovinare, mentre si
veniva a sedere
sulla sedia dove prima c'era stato il Guaritore.
Sorpresa
dal fatto che sapesse il mio vero nome – o meglio, soprannome
–
sbattei le palpebre senza darle alcuna risposta. E Liam socchiuse gli
occhi, interdetto.
«No,
lei è...»
«Sì,
sono io.» intervenni, prima che lui potesse terminare la
frase,
arrossendo appena per l'imbarazzo di aver bluffato.
«Ma
non avevi detto che...»
«Ho
mentito.» conclusi.
«Io
comunque sono Claire.» disse l'umana, increspando le labbra
in un
gentile sorriso. «La ragazza che guidava il furgone contro
cui è
finita la macchina dove ti trovavi. Penso di essere conosciuta
più
per questo in giro.»
Mentre
parlava Claire mi strinse una mano e ammise il tutto con un disagio
mischiato ad un leggero senso di colpa, poi si venne a sedere ai
piedi del mio letto.
«Ah»
replicai io, ricevendo delle scuse silenziose prima che la sua
attenzione potesse catapultarsi su Liam.
«Thomas
arriverà coi farmaci a breve.» affermò,
osservandolo mettere
apposto le forbici e le bende che aveva tirato fuori per me.
D'un
tratto notai che il comportamento del Guaritore si era visibilmente
modificato. Sembrava stizzoso e assai più distaccato; per un
secondo
pensai di essere io il motivo per cui il Liam gentile e dolce si
fosse trasformato quasi in un'altra persona, ma la mia impressione
non ebbe vita lunga.
«Bene.»
un sorriso più forzato e duro increspò le sue
labbra, fino ad
allora chiuse in una linea sottile come ad evidenziare la sua
espressione da statua di marmo. Mentre andava a buttare le bende
sporche nel cestino, degnò Claire di un'occhiata veloce e
fredda.
E
a quel punto, oltre a capire che la ragione di quel comportamento non
ero proprio io, lei fece finta di niente e tornò a guardare
me.
«Bene.
Sei al sicuro adesso, Wanda. Non appena ti rimetterai in forma ti
farò conoscere mio padre. Sarà felice di
incontrarti.»
Senza
controbattere – anche perché se l'avessi fatto
avrei iniziato a
riempirla di domande – sfoderai il mio peggior finto sorriso
di
sollievo.
Sembravano
tutti gentili lì, tutti così tranquilli. Come se
essere scappati da
dei Cercatori equivalesse alla loro vittoria più valorosa,
la fine
dei problemi e dei casini, e sebbene l'atteggiamento di benvenuto
fosse assai apprezzato, io ancora non riuscivo a fidarmi tanto.
«Come...
come fai a sapere del mio vero nome?» domandai a Claire,
ostentandole la mia finta innocenza.
«Jared
mi ha parlato di te.» rispose semplicemente lei. Spalancai
gli
occhi.
Jared?
Jared era lì?
«Sì,
ci siamo imbattuti anche in lui e l'altro tuo amico... Aaron, mi pare
si chiami così.»
Un'espressione
soddisfatta si stipò sul suo volto quando riuscì
a ricordarsi del
nome e a dare risposta ai miei pensieri che, molto probabilmente,
erano traspariti attraverso i miei occhi sgranati per la sorpresa.
Poi
la porta cigolò e, senza neanche bussare, vidi Melanie
entrare - o
meglio, fare irruzione – nella stanza, precipitandosi subito
da me.
«Wanda!
Grazie al cielo stai bene!» esclamò nello stesso
momento in cui io
dicevo «Mel!» prima di venirmi ad abbracciare con
non troppa
delicatezza.
Non
riuscii a trattenere il gemito che mi scappò dalla bocca
quando
sentii le ossa scricchiolarmi.
«Oh,
scusa!»
«Non
fa niente...» annaspai. Ero troppo felice di vederla per
pensare al
dolore.
«Stai
bene, vero?»
Melanie
mi guardò attentamente, notando che non ero del tutto in
forma. E
anch'io feci lo stesso, accorgendomi di alcuni graffi sul suo viso e
di una fasciatura su un polso.
«Sta
bene?» stavolta si rivolse a Liam e, dal modo in cui gli
parlò,
intuii che i due avevano già fatto le presentazioni.
«Non
ha niente di grave, tranquilla. Deve solo riposarsi e aspettare i
medicinali.»
Rispose,
tornando il Liam che avevo conosciuto quando mi ero svegliata. Solo
in quel momento vidi che Claire non era più seduta sul
letto, ma
bensì posta vicino alla porta, una mano sulla maniglia.
Melanie
ricatturò la mia attenzione, cominciando ad accarezzarmi un
braccio.
«Sono
una pessima guidatrice.» ammise facendo una smorfia, dopo
avermi
sorriso affettuosamente.
Ridacchiai
«Non è vero.»
«Oh,
sì invece. Guarda come ti sei conciata.»
«Io
non avevo la cintura di sicurezza allacciata, Mel. E Ian...»
«Okay,
ragazzi, adesso io vado. Per qualsiasi cosa non esitate a
cercarmi.»
ci interruppe Claire col cellulare in mano e un piede fuori dalla
camera.
«Certo.»
ribatté subito la mia amica.
«Ah...»
Claire tornò dentro un attimo prima di andarsene
definitivamente «È
stato un piacere conoscerti, Wanda.»
«Anche
per me.»
La
ragazza si eclissò nel giro di un secondo, e Liam parve
tornare a
respirare normalmente.
Quindi
Mel si focalizzò di nuovo su di me, facendomi ricordare di
ciò che
volevo dirle quando avevo pronunciato il nome di Ian poco prima.
«Dov'è
lui? Voglio vederlo.»
A
quel punto Melanie e Liam si lanciarono un'occhiata d'intesa.
«Ma
non puoi alzarti. Devi riposare.»
«No,
ce la faccio.» mi intestardii, tentando di mettermi seduta
con
scarso successo, dato che Mel mi riportò giù con
una mano.
«Smettila di fare così.»
«Ha
ragione la tua amica» intervenne poi Liam, avvicinandosi
«Nelle tue
condizioni dovresti stare a letto.»
Sospirai,
alzando gli occhi al cielo. «Ma se io non voglio,
posso anche
non starci.»
I
due si scambiarono altri sguardi, e la poca convinzione che
dimostrarono mi fece sbuffare sonoramente.
«Liam,
ti prego.»
Il
Guaritore rimase in silenzio per qualche secondo, soprappensiero, poi
trasse un respiro profondo e pronunciò un «Va
bene.» non troppo
entusiasta.
E
fu così che dieci minuti più tardi Melanie mi
accompagnava come se
fossi una vecchina ultraottantenne in un lungo, luminoso ma
silenzioso corridoio di quello che mi parve essere più un
reparto
d'ospedale che un rifugio per ribelli.
«Cos'è
questo posto?» le chiesi, senza smettere di guardarmi
attorno,
mentre aspettavamo l'ascensore.
«Jared
mi ha detto che è una struttura abbandonata. Il loro non
è un
gruppo di umani molto numeroso, infatti sembra che vivano tutti
qui.»
«Come
fanno a non essere stati ancora scoperti dai Cercatori? Sono a due
passi dalla città.» dissi, alludendo al fatto che
oltre le finestre
che costeggiavano il lato esterno del corridoio si vedessero
chiaramente le abitazioni di Tucson.
«Non
lo so.»
Le
porte dell'ascensore si aprirono con un tin e noi
entrammo. I
bottoni gialli segnalavano l'esistenza di ben quattro piani. Mel
premette quello su cui c'era lo zero e il meccanismo si
azionò quasi
subito.
«Non
avrei mai pensato che ci potessero essere altre comunità
oltre alla
nostra*. Credevo fossimo i soli.»
«Già.»
Aspettammo
in silenzio l'arrivo al piano terra e io ne approfittai per tornare a
preoccuparmi di cose più importanti.
«Hai
già incontrato qualcun altro oltre a Jared?»
Melanie
sorrise e si voltò verso di me. «Se mi stai
chiedendo se ho visto
Ian la risposta è no. Jared e Aaron sono stati gli unici con
cui ho
parlato e a differenza nostra non si sono fatti nemmeno un
graffio.»
«Almeno
loro...»
Con
un altro tin l'ascensore ci avvisò del
suo arrivo al livello
zero e si aprì, rivelando la presenza di alcune persone:
proprio
quando uscii vidi due uomini passarmi davanti con passo rapido. Non
badarono neanche lontanamente a Melanie, dato che la loro attenzione
si catalizzò tutta su di me, o meglio, sui miei occhi.
Per
la prima volta dopo tanto tempo tornai a sentirmi davvero aliena.
«Come
fai ad essere così tranquilla?» domandai
sottovoce, mentre
attraversavamo il corridoio, notando che alcune delle porte che
davano sul corridoio erano aperte e rivelavano le sistemazioni di
alcuni umani.
«Perché
Liam mi ha detto che con le poche medicine che sono rimaste
è
riuscito a far stare un po' meglio Ian, Wanda.»
Anche
se non era quella la risposta che mi aspettavo, perché io mi
riferivo alla situazione generale e non a lui in particolare, da un
lato rimasi soddisfatta, quasi sollevata.
Almeno
è vivo.,
pensai.
Nel
frattempo raggiungemmo la porta in fondo al corridoio, azzurra come
le altre, come le pareti di quell'ospedale che faceva più da
rifugio
che da ricovero per malati.
Azzurra
come i due occhi che incontrai non appena venne aperta.
Finalmente.
Lasciai
automaticamente il braccio di Melanie, che mi aveva aiutato per tutto
il tragitto a tenermi su, e senza badare alla fitta alle costole
–
né calcolare Brandt, seduto su una poltrona vicina
– annullai la
distanza che mi aveva diviso fino ad ora da quelle iridi che tanto
amavo.
Ian
era davanti a me, disteso su un lettino sicuramente scomodo quanto il
mio, i capelli arruffati, il viso pallido contrassegnato da delle
occhiaie violacee, la camicia blu sbottonata che metteva in mostra un
grosso cerotto bianco sull'addome.
E
quegli occhi,
bellissimi anche se stanchi e provati, erano fissi sui miei.
Beh,
mi dissi, se è questo che Melanie
intendeva con "farlo
stare un po' meglio", non oso immaginare che aspetto doveva
avere se avesse detto "sta molto male".
«Ian.»
Sussurrare
il suo nome mi fece bene, così come mi fece bene poterlo
vedere e
toccare. La notte prima mi ero quasi lasciata convincere dal fatto
che l'avrei perso e adesso invece eravamo lì, insieme come
sempre.
«Ciao,
splendore» mi salutò sorridendo, prima di assumere
un'espressione
preoccupata alla vista della medicazione che avevo sulla fronte
«Cosa
hai fatto alla testa?»
Ian
O'Shea, il ragazzo più altruista che avessi mai conosciuto,
era
ovvio che si sarebbe allarmato nel vedermi in quel pessimo –
ma non
pessimo quanto il suo – stato.
Mi
sfiorò con le dita il cerotto e io sorrisi, appoggiando una
mano
sulla sua guancia.
«È
caduta dal marciapiede senza paracadute.» blaterò
Brandt, che nel
frattempo si era alzato dalla poltrona lasciandola libera a Melanie.
«È da quando si è svegliato che chiede
di te. Per poco non mi
faceva venire un esaurimento nervoso.» aggiunse, guardando di
traverso Ian, che nonostante il motteggio del nostro amico, rimase a
fissare il mio viso.
«Pensa,
anche lei ha iniziato a fare lo stesso dopo cinque minuti che sono
arrivata.» mi schernì Melanie.
«Non
è niente di grave, tranquillo.»
Risposi
a Ian come se i due spilungoni presenti non ci fossero. Non
m'importava tanto di quello che potevano pensare: la mia
priorità in
quel momento era avere la certezza che il ragazzo che amavo si
sarebbe ripreso al più presto. «Tu piuttosto come
stai?» gli
chiesi a mia volta.
«Brandt
mi ha raccontato che è venuto qui un Guaritore per
somministrarmi un
Antidolore prima di estrarre la pallottola. Ha detto che non aveva
più medicine da darmi per farmi tornare come nuovo. Io ero
svenuto,
perciò non so quanto ci sia di vero in tutto
questo.»
Ian
posò lo sguardo sul addome scoperto, indicando con un cenno
della
mano il punto coperto dall'enorme cerotto bianco. Brandt
sogghignò
nell'udire il tono non molto convinto con cui il suo amico aveva
pronunciato quelle parole, incrociando le braccia al petto.
«Fidati,
è andata così.» mi confermò,
strizzandomi un occhio.
«Anch'io
ho conosciuto il Guaritore. È stato molto gentile, si chiama
Liam.»
replicai, annuendo.
«È
la prima volta che incontro un'anima che ha un nome normale.»
disse
fra sé e sé Melanie, storcendo le labbra
all'ingiù per assumere
un'espressione impressionata.
«E
tu come stai?»
Ian
si voltò di nuovo verso di me, parlandomi sottovoce mentre
intrecciava le dita alle mie. Un sorriso stanco ma felice gli
incorniciò il viso, un sorriso che mi fece ritornare
all'ultima
notte prima della partenza, la nostra notte.
«Adesso
sto bene.»
Già,
adesso. Qui e ora, hic et nunc, proprio come il suo
tatuaggio
nascosto dalla manica della camicia.
«Ti
sono mancato, eh?» un ghigno capace di mandarmi in tilt gli
increspò
le labbra, frastornandomi.
«Se
mi sei mancato? Ho pensato che fossi quasi morto!»
Esclamai,
rendendomi conto solo dopo aver percepito qualcosa di umido rigarmi
la guancia che stavo piangendo.
«Vieni
qui.» Ian mi prese il mento con due dita, avvicinando la mia
bocca
alla sua con una lentezza che non mi dispiacque. Quando la distanza
tra di noi fu minima potei annusare quel profumo che non lo
abbandonava mai, anche se era impiastrato di sangue e sudore.
Quel
profumo inimitabile, di Ian, di tramonti estivi, di albe silenziose.
Quel
profumo che mi avvolse in un attimo, spingendo le mie labbra a
modellarsi alle sue.
«Bene
o male?»
Non
appena ci staccammo la sua voce mi accarezzò delicatamente
la pelle,
facendomi sorridere. Di nuovo.
Un
colpo di tosse fu quello che ruppe la magia del momento, riportandomi
alla realtà. Mi allontanai da Ian con la stessa
velocità con cui mi
ci ero avvicinata, e volsi lo sguardo verso Melanie e Brandt. L'una
divertita, l'altro imbarazzato – come sempre, d'altronde.
«Volete
lasciarci in pace almeno per una volta?» sbuffò
Ian, esasperato.
Quando
incrociai lo sguardo di Melanie, percepii il sangue fluirmi
più
velocemente sulle gote.
«Se
proprio insistete...»
Brandt
si voltò verso la porta, facendo cenno all'altra di
seguirlo, ma non
fece in tempo a toccare la maniglia che qualcuno la abbassò
per lui.
«Permesso...»
era Liam «... Oh, siete tutti qui. Siete pronti a tornare
come
nuovi? Sono arrivate le medicine!»
Ian
sospirò, rassegnato, gettando indietro la testa per alzare
gli occhi
al soffitto.
*Wanda
dice chiaramente che non avrebbe mai pensato al fatto che ci
potessero essere altri gruppi umani nascosti proprio come loro.
Questo vuole dire che secondo il corso della mia storia, nel libro o
comunque anche nel film, lei e gli altri non
incontrano casualmente quegli umani tra cui è presente anche
un'anima nella parte finale della narrazione. Appunto per questo
Wanda è sorpresa dalla presenza di questi umani. Spero sia
chiaro ;)
Spazio
autore:
Sì,
credeteci. Quello che avete visto è il dodicesimo capitolo,
ma la
cosa più importante è che è arrivato
prima del "normale".
Per
la prima volta dopo una vita e mezza posso dire di non essere in un
ritardo madornale O.O non so se potete comprendere la mia
soddisfazione... <3 <3
Coomunque...
vi è piaciuto il capitolo? Siete ancora preoccupate? Non
come prima,
dai... Anche perché il bello deve ancora venire!
Come
vi avevo anticipato, con questo aggiornamento avete potuto conoscere
due nuovi personaggi, Liam e Claire... Come vi sembrano? Presto
approfondirò la questione che si è aperta con il
loro arrivo, così
da farvi conoscere meglio loro e la situazione in cui si è
ritrovata
Wanda coi suoi amici.
Questo
capitolo ho voluto renderlo un po' più "soft" e potrei
dire anche che funge da premessa a ciò che desidero farvi
scoprire
tra non molto.
Prima
di congedarmi come sempre ringrazio tutti i miei lettori, che stanno
aumentando ogni giorno di più e che ogni tanto si fanno
avanti per
dirmi cosa pensano riguardo a ciò che scrivo.
Alla
prossimaaaa!
Sha
<3
|
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Capitolo 13 *** Litigi ***
13
Litigi
V’è
una gelosia
villana
che è un diffidare della persona amata;
v’è una gelosia
delicata che consiste nel diffidare di sé.
Filippo
Pananti
«...
e qui, be', lo sai che c'è la ''palestra-mensa''.»
Liam virgolettò
le ultime due parole, facendo un cenno verso la porta socchiusa
dell'ampia stanza in precedenza usata come palestra, ma ora
utilizzata come mensa dagli umani che abitavano quel grosso edificio
ai margini di Tucson.
«Esatto.»
sorrisi, divertita dal tono sfaticato con cui Liam mi aveva indicato
la cosiddetta ''palestra-mensa''. Era da quasi un'ora che mi portava
su e giù, facendomi passare da un piano all'altro per un
giro
turistico di quella che per lui era casa.
«Allora,
ti è piaciuto?»
Liam
inclinò la testa da un lato, guardandomi da sotto le ciglia
scure.
In tre giorni che gli parlavo, avevo avuto modo di capire che tipo di
ragazzo era: molto gentile, serio, ma anche divertente e solare. Era
un tipo di cui ci si poteva fidare.
«Il
giro turistico che ha occupato un'ora del mio tempo? Oh,
sì.»
«Lo
dici come se fossi costretta a dire tutto il contrario di quel che
pensi.»
Liam
parlò in tono accusatorio, non molto convinto dalla mia
risposta, il
che mi fece ridacchiare non poco.
«Be',
in effetti devo ammettere che se non ci fossi stato tu come guida, mi
sarei annoiata a morte.»
Il
Guaritore rise, sfoderando un suo sorriso sereno che gli illuminava
sempre il viso. Quel pomeriggio, come il giorno prima, Liam e io
avevamo parlato molto. C'era una sorta di sintonia tra noi, una
sintonia che forse scaturiva dal fatto che entrambi avevamo scelto di
vivere in maniera diversa dai nostri simili.
«Da
quanto tempo sei un ribelle?»
Quella
domanda gliela avevo già fatta una volta, quando avevo
aperto gli
occhi in un ambulatorio con lui a curarmi le costole rotte e la botta
in test. Tuttavia, da allora non ero più riuscita ad
ottenere una
risposta.
Liam
alzò la testa dal piatto di insalata che stava
sgranocchiando e
puntò gli occhi nei miei.
«Da
due anni. Da quando ho incontrato Claire...»
Quando
pronunciò il nome della ragazza, si voltò a
guardarla mangiare in
fondo al tavolo, lontano da lui ma vicina a Thomas, un amico di
vecchia data di Claire.
«Com'è
stato?» domandò Melanie, seduta tra me e Jared.
Alla mia sinistra
invece c'era un Ian più assorto nel suo pranzo che nella
conversazione.
«È
stato difficile, ma alla fine ce l'ho fatta.»
Si
vedeva che Liam voleva nascondere il dolore che provava al pensiero
di Claire. Non sapevo cosa c'era dietro agli sguardi freddi o alle
frecciatine che si lanciavano quando si trovavano nella stessa
stanza, ma dal mondo in cui il suo viso si accendeva quando parlava
di loro due, avevo capito che sotto sotto Liam aveva provato e
– o
provava ancora – dei sentimenti per Claire.
«L'importante
è sopravvivere.» aggiunse, strizzando un occhio
per sdrammatizzare
un po'. Anche se, a dirla tutta, non c'era niente da sdrammatizzare
lì.
Solo
un ragazzo forse ancora innamorato da incoraggiare.
«Ecco,
adesso sembri molto più sincera.»
continuò a ridacchiare Liam,
contagiandomi.
Ricominciammo
a camminare per il lungo corridoio del primo piano. Infondo c'era una
finestra oltre alla quale si poteva scorgere il sole e qualche nuvola
minacciosa che sembrava annunciare un temporale.
Strano,
la stagione delle piogge era passata da oltre un mese.
«Liam,
posso farti una domanda?» chiesi d'un tratto, ispirata da non
so
cosa.
«Certo.»
Incrociai
il suo sguardo limpido, cristallino, e aggrottai la fronte.
«Perché
quando mi sono svegliata su quel letto e ti ho chiesto se eri un
ribelle, tu non hai esitato a rispondermi? Insomma, potevo anche non
essere come te. Potevo essere una prigioniera.»
Un'espressione
sorpresa e curiosa si stipò sul viso di Liam, che socchiuse
la bocca
in cerca delle parole giuste da dire. Sembrava che la mia domanda lo
avesse messo in difficoltà.
«Mi
sono fidato di te. Ispiri molto fiducia negli altri, Wanda.»
ammise,
sorridendo, dolce, e per un momento, la sua mano,
che fino ad
un attimo prima era stata nascosta nella tasca dei jeans,
esitò
sulla mia spalla. Qualcosa tuttavia mi disse che non era la spalla
che Liam avrebbe voluto accarezzarmi, che forse, se non fosse stato
per il tin dell'ascensore davanti a cui stavamo
passeggiando,
Liam sarebbe riuscito a sfiorarmi una guancia. Guancia che in quel
preciso istante stava divampando, e che si infiammò del
tutto quando
dall'ascensore comparì Ian.
«Ragazzi!
Ma quanto è bello avervi trovato...»
Tagliente,
velenoso come un serpente a sonagli, con occhi guizzanti di furia
ardente e un sorriso talmente finto che sembrava che qualcuno gli
avesse tirato su le labbra con due tenaglie, Ian unì
sonoramente le
mani e lanciò un'occhiata di fuoco prima a Liam, poi a me.
«Ciao,
Ian.» lo salutò cordialmente il Guaritore,
incrociando le braccia
al petto con un sospiro.
Ah,
dimenticavo: da quei tre giorni in cui conoscevo Liam e due da quando
avevo iniziato a passare parte del mio tempo con lui, Ian era, come
dire, diventato più isterico di una
donna incinta. Come lo
sapevo? Melanie. Era lei che mi raccontava ciò che Jared le
raccontava, ovvero che Ian, mentre io potevo essere ovunque in quel
grosso edificio – con o senza Liam
– se ne andava da lui,
Aaron e Brandt a scaricare tutto quello che si teneva dentro in mia
presenza. O almeno, così tentava di fare.
A
me dispiaceva, perché da un lato si faceva male da
solo,
senza pensare al fatto che io potevo avere un certo interesse per
Liam solo perché era un'anima come me. Un interesse come amico,
come ''collega'' di avventure, ma niente di più.
«Amore.»
lo salutai.
«Mi
stavo chiedendo dov'eri, sai? Ti ho cercata ovunque.»
«Di
cosa avevi bisogno?»
Di
cosa avevi bisogno. Secondo te di cosa avevo bisogno? Urlavano
i suoi occhi, che erano fissi nei miei mentre con una mano mi cingeva
la vita per avvicinarmi a sé ed allontanarmi da Liam, sempre
con
quel sorriso finto ad increspargli le labbra.
«Di
te, amore.»
Sospirai,
abbassando lo sguardo per terra.
Non
avevo mai notato quanto fossero carine le Converse
– penso
si chiamassero così - che indossavo. Strano che un paio di
scarpe
potesse avere un nome, non ci avevo mai fatto caso. Quelle che avevo
ai piedi erano grigio fumo e avevano i lacci neri. Mi stavano un po'
grandi, ma non erano così scomode; me le aveva prestate
Claire –
effettivamente Claire aveva dato a tutti un po' di vestiti nuovi per
scambiarli con quelli sporchi e sgualciti che avevamo indossato
quando ci aveva trovati.
Ciò
che era davvero sorprendente però era il fatto che io mi
stessi
interessando alle mie scarpe solo perché non avevo il
coraggio di
alzare lo sguardo verso Ian, che camminava in silenzio davanti a me.
Aveva le spalle contratte per la tensione, i pugni serrati. Ogni
tanto si voltava in maniera impercettibile per verificare che fossi
ancora dietro di lui, e nel farlo mi faceva intravedere la sua
mascella serrata.
Quando
si fermò davanti alla porta della stanza che occupavamo io e
Melanie, si girò del tutto nella mia direzione, senza
però degnarmi
di uno sguardo.
Non
avendo bisogno di spiegazioni, presi le chiavi della camera dalla
tasca dei jeans e quando aprii la porta gli feci cenno di entrare.
Ian non disse nulla quando varcò la soglia e
aspettò che io mi
richiudessi la porta alle spalle.
Una
rabbia mista a paura e imbarazzo si impossessò di me nel
momento in
cui entrambi decidemmo di incrociare i nostri sguardi. Il mio
indignato e il suo penetrante.
Incrociai
le braccia al petto, sentendomi scoppiare di ira.
«Ian,
non capisco qual è il tuo problema. Li...»
«Il
problema non è mio. Il problema
è Il Problema. C'è,
esiste ed è molto palese.»
Avanzò
di due passi verso di me mentre parlava, piano, senza alzare la voce,
con quella vena ironica che adesso era intrisa anche di un po' di
veleno, le mani ancora strette a pugno lungo i fianchi.
«È
questo il punto. Tu non dovresti essere così arrabbiato se...»
«Provo
una profonda avversione nei confronti di quel Bello Capello
con cui passi la maggior parte del tempo, Wanda. Sono solo due giorni
che ti conosce e ti sta già appiccicato come una sanguisuga,
e a te
non sembra dispiacere. Anzi.»
Ian
m'interruppe di nuovo, facendomi prudere le mani che tenevo bloccate
al petto per evitare di dargli un ceffone e dirgli di farmi parlare.
Alzò le braccia per aria quando iniziò a parlare
di Liam a tono più
elevato, apostrofandolo con quello stupido soprannome riferito ai
suoi capelli impeccabili.
Inutile
dire che stavo per perdere la pazienza e che il ceffone glielo avrei
dato davvero se questa volta non mi avesse permesso di concludere una
frase.
«Ci
stiamo solo conoscendo, Ian. Non sto trascorrendo parte del mio tempo
con lui per fare un dispetto a te. Liam non è altro che un
amico, un
amico con cui ho scoperto di condividere molte cose e...
Non interrompermi! Fammi finire.» lo bloccai quando vidi la
sua
bocca aprirsi per ricominciare a parlare. «E mi dispiace che
tu
abbia frainteso. Che tu fraintenda sempre.»
«Posso
parlare adesso?» borbottò, con tono derisorio e
l'ombra di un
sorriso sulle labbra.
«Sì.»
«Bene.»
trasse un respiro profondo, facendo un altro passo verso di me.
Istintivamente io indietreggiai di uno. «A me dispiace che a
te
possa piacere una persona del genere, che si pavoneggia ogniqualvolta
si ritrova delle donne davanti e che flirta con te quando io non ci
sono. Sai quanto è odiosa la sensazione
che ho provato
prima?»
Per
un momento la rabbia venne sostituita dal disagio, il mio sguardo si
fece un po' meno torvo, poi però tornai sulla difensiva,
pensando
che dopotutto Ian non poteva sempre comportarsi così.
«Non
ti fidi di me.» il mio fu solo un sussurro, sussurro
proferito con
una punta di delusione sulla lingua.
Ian
aprì un po' di più gli occhi, stavolta fu lui a
mutare la sua
espressione arrabbiata in una che faceva trasparire il senso di
colpa.
«Non
è questo che sto dicendo.» disse quando i suoi
lineamenti tornarono
duri.
«Invece
è proprio questo che stai dicendo. Tu non ti fidi di me.
Prima l'hai
fatto con Jared, adesso con Liam. E anche se con Jared avevi il
diritto di essere geloso, con Liam non avresti dovuto reagire
così.
È quasi un estraneo per me!»
«Prima
mi pare che tu l'abbia definito amico.»
Ian
annullò in una frazione di secondo la distanza tra noi,
arrivandomi
quasi ad un soffio dalle labbra.
«Ti
rendi conto che stiamo litigando perché tu ti comporti come
un
bambino?» sbottai, sciogliendo le braccia che erano rimaste
conserte
sul petto per puntare un dito contro il suo petto.
«Non
stiamo litigando, stiamo discutendo.»
«No,
questo è litigare. Altrimenti perché stiamo
urlando correndo il
rischio di farci sentire da tutti quanti?!»
Ian
dilatò le narici, serrando la mascella, poi
sospirò e come se non
avessi detto niente, andò avanti, tornando al punto di prima.
«Tu
sai quanto mi dà fastidio vedere qualcun altro metterti le
mani
addosso, Wanda.» soffiò a millimetri di distanza
dal mio viso. Mi
respirava quasi in bocca, Ian. E avrei tanto voluto mandarlo a quel
paese per baciarlo, se solo non fosse stato tanto caparbio ed
eccessivo.
«Le
mani addosso? Liam non mi ha mai messo le mani addosso, Ian! Adesso
stai veramente esagerando...»
Sentendomi
oppressa tra la porta e il suo corpo, aprii le mani sul suo petto e
lo spinsi piano per spostarmi dietro di lui, al centro della stanza,
nel piccolo corridoio che creavano i due letti accanto.
«Sei
troppo ossessionato, troppo possessivo... oltre che
iperprotettivo.»
«E
allora perché ci siamo messi insieme se pensi che io abbia
tutti
questi difetti, eh?» sibilò, tornandomi vicino
come poco prima.
Non
sapevo per quanto tempo ancora avrei potuto sostenere quella
conversazione. Mi faceva male litigare con Ian – odiavo
litigare con lui – ma non potevo evitare di sentirmi
indignata e
arrabbiata. E poi, adesso sembrava voler mettere in discussione la
nostra stessa relazione. Incredibile.
«Perché
io ti amo, dannazione! E non m'importa dei tuoi
difetti, né
dei tuoi pregi. Non m'importa di avere un ragazzo perfetto. Io ti amo
e ti amo ancora di più da quando sei rimasto ferito quasi
mortalmente tre giorni fa.»
Stavo
urlando molto più di prima ora e neanche me ne rendevo
conto. Avevo
la vista annebbiata dalle lacrime che non riuscivo più a
trattenere,
il respiro accelerato, il cuore che mi batteva forte, la mente in
subbuglio.
Non
riuscivo più a trovare altri modi per far capire ad Ian che
le sue
fantasie non erano altro che vere fantasie, e non
tristi
realtà.
«Wanda,
io...»
Quando
mi asciugai le lacrime dagli occhi e riuscii a vedere più
chiaramente Ian, scorsi nelle sue iridi cristalline un profondo senso
di colpa.
«Lascia
stare, Ian.»
Mi
ritrassi dal suo tentativo di prendermi una mano, mi feci scuotere da
un singhiozzo che non riuscii a trattenere e velocemente raggiunsi la
porta. Quando Ian capì il mio intento di andare via mi corse
dietro.
Stette sul punto di afferrarmi per un polso, ma io fui più
rapida di
lui: scappai via, con lacrime sempre più amare e salate a
rigarmi le
guance.
Non
mi fermai nemmeno quando sentii gridarmi dietro il mio nome: avevo
bisogno di restare da sola.
§
«Penso
proprio che mio padre sarà felice di conoscervi...
Wanda?»
La
mano delicata di Claire che si posò sulla mia spalla mi fece
ridestare dai miei pensieri. Smisi di fissare un punto indefinito
davanti a me, girandomi a guardare Claire e Melanie, sedutemi di
fronte con una tazza di caffè fumante in mano.
Non
avevo mai bevuto caffè prima di allora e dato che non mi
piaceva il
retrogusto amaro che lasciava in bocca, pensavo di non essermi persa
niente di così esorbitante. Inoltre mi chiedevo come
facessero i
nostri ospiti ad avere una bevanda del genere tra le loro scorte.
Wow,
sono riuscita a non pensare per trenta secondi a Ian.,
mi ritrovai a riflettere.
«Viandanteee?
Stai bene?»
Stavolta
era Melanie che cercava di attirare la mia attenzione, sventolandomi
una mano davanti al viso.
«Sì,
sì, tutto bene... Ero
soprappensiero. Che dicevi, Claire?» tentai di essere
convincente,
cosa a cui sembrò credere più quest'ultima che
Melanie, e sfoderai
un sorriso forzato.
«No,
dico... sicuramente mio padre sarà felice di conoscervi! Non
ci è
mai capitato di trovare altri umani, né tanto meno un'altra
anima
come Liam nostra alleata.»
Claire
sorrise. Sul viso le comparvero due fossette, qualche boccolo le si
mosse in avanti, facendola sembrare un vero e proprio angioletto con
quei capelli biondi e quegli occhi verdi così dolci e solari.
Era
bella Claire: potevo capire perché a Liam piacesse tanto. O
la
amasse tanto – ancora non avevo ben capito la storia che
c'era
sotto.
«Dov'è
tuo padre?» domandò Melanie.
«Ah...
Lui è sempre fuori. È convinto del fatto che la
nostra comunità
non sia la sola ad esistere, perciò viaggia in continuazione
alla
ricerca di altri umani... Non è quasi mai a casa, ma ora che
ci
siete voi si è deciso a tornare.»
Mentre
la bionda parlava bevvi un altro sorso di caffè, senza
evitare di
uscirmene con un'altra smorfia che mi fece arricciare il naso. No, il
caffè proprio non mi piaceva. Dava anche la nausea.
Mel
scoppiò a ridere. «Non ti va giù,
eh?»
«Per
niente.» tossii, sentendo la risata di Claire propagarsi per
tutta
la palestra-mensa. «Tra l'altro non riesco a capire come voi
possiate avere questo tipo di cibo. Il caffè, l'insalata,
persino il
cioccolato al latte...» aggiunsi, rivolgendomi alla bionda.
Questa
fece spallucce e alzando gli occhi al cielo disse: «Siamo
vicino
alla città, Wanda. I viaggi sono più brevi e...
portano più
frutti, ecco.»
«In
effetti è vero.» s'impressionò senza
alcun motivo Mel, tirando le
labbra in giù davanti all'efficienza di cui sembravano
godere Claire
e i suoi amici.
«Scusate,
devo andare a fare una cosa. Torno subito.»
Di
punto in bianco, Claire si alzò dalla sedia con un visibile
cipiglio
stampato in faccia e sparì dietro la porta della
palestra-mensa,
lasciandomi sola insieme a Melanie.
«Okay,
ora mi dici perché sembri così... triste e
depressa.»
Come
temevo, Mel non aveva voluto sprecare l'occasione per iniziare col
suo terzo grado: evidentemente non ero riuscita a convincerla del
fatto che stessi bene, e questo non mi sorprese.
Melanie
Stryder mi conosceva quasi meglio di me stessa.
«Non...
sono triste e depressa. Solo... non è una bella giornata,
ecco
tutto.»
Non
sapevo perché le tenevo nascosto il litigio con Ian. Forse
non
volevo dirle niente perché pensavo che quello che era
successo non
era così importante come poteva sembrare e che si sarebbe
risolto
presto. Eppure... cavolo, io e Ian non abbiamo mai litigato
veramente dopo esserci messi insieme.
Forse
la cosa non era tanto poco importante come credevo.
Forse
dovevo confidarmi con Melanie. O forse no?
«...
ehi, Mel, per caso...»
Una
voce mi riscosse all'improvviso dal filo ingarbugliato dei miei
pensieri. Ma non una voce qualsiasi, la voce. La
voce di Ian,
che era andata scemando quando, voltandomi di poco per vedere chi era
entrato dietro di me, avevo incrociato casualmente il suo sguardo.
Mi
sentii male quando mi voltai subito verso Melanie, dando a Ian le
spalle per non farmi guardare in faccia. Il punzecchiare pericoloso
agli occhi tornò a farsi sentire, il cuore tornò
a battermi forte
nel petto.
«Ian...»
Melanie lo salutò in maniera un po' titubante, alternando
sguardi
perplessi verso di me e verso di lui. «Che ti
serve?»
Immaginavo
cosa si stesse chiedendo Mel. Adesso mi
costringerà a spiegarle
tutto, ne sono sicura.
«Scusa,
Mel... Mi sono ricordata che devo fare una cosa.»
Feci
strusciare per terra la sedia, mi alzai e a testa bassa andai
incontro a Ian, rimasto immobile davanti all'ingresso della
palestra-mensa, per raggiungere la porta e uscire sotto gli occhi
strabuzzati della mia migliore amica e quelli suoi, risentiti.
Camminai
velocemente verso l'ascensore, premetti più volte il bottone
bianco,
nella speranza che anche potesse capire quanto non volessi essere
vista con le lacrime agli occhi da qualcuno.
Nella
snervante attesa mi portai una mano sulle fronte e abbassai per un
attimo le palpebre, cercando di regolarizzare il respiro e di
attenuare i singhiozzi che mi scuotevano.
Si
diede il caso però che l'ascensore non volle realizzare i
miei
desideri.
«Wanda?»
Liam,
comparso dal nulla alla mia destra, mi guardò con
un'espressione
preoccupata e confusa al tempo stesso. Io alzai gli occhi su di lui,
provando la bellissima sensazione di sentirmi piccola e fragile
davanti a qualcuno che non fosse Melanie o Ian.
«Che
succede? Stai bene?»
«Sì...
Non ti preoccupare, Liam. Non è niente.»
«Non
sembra che sia ''niente''... Ehi,
aspetta.» mi afferrò per
un polso quando mi vide mettere un piede nell'ascensore, apertosi un
secondo dopo il suo arrivo. Sentii un suo dito premermi sotto il
mento per costringermi a guardarlo negli occhi, tuttavia io mi
allontanai di un passo, riabbassando lo sguardo per terra mentre mi
abbracciavo i gomiti.
«Che
cosa è andato storto?»
Liam
stavolta usò un tono più dolce e meno apprensivo,
inclinando la
testa da un lato per guardarmi meglio in viso.
Ovviamente
a lui non potevo raccontare ciò che era successo, ma
l'urgenza con
cui mi stava fissando in attesa di una mia risposta mi fece capire
che ero stata davvero una stupida.
Insomma,
avevo litigato per la prima volta col mio ragazzo per una causa che,
guarda il caso, portava il nome del Guaritore che avevo difronte, mi
ero sentita uno schifo per tutto il giorno e avevo pianto in maniera
sproporzionata per ben due volte senza riuscire neanche a non farmi
beccare da qualcuno.
Sì,
ero stata proprio una stupida. Non per questo però, avevo il
diritto
di raccontare i miei fatti a Liam, che, come avevo detto quello
stesso giorno a Ian, per me era un estraneo - o meglio
''estraneo-amico''.
«Se
non me ne vuoi parlare, posso almeno portarti lontano da occhi
indiscreti?»
Liam
si guardò intorno per un momento, io feci lo stesso,
intimorita dal
fatto che qualcun altro avesse potuto vedermi, prima di annuire in
fretta e riabbassare lo sguardo sulle punte delle mie scarpe. Liam
sorrise, intenerito, stringendomi inaspettatamente a sé per
condurmi
lontano da lì.
Spazio
autore:
Tadaaa,
sono viva! Anche se più che viva sono sopravvissuta
con
qualche ferita di guerra ahah. Adesso che finalmente non ho la scuola
in mezzo alle scatole sono un po' più libera... rilassata...
un po'
più per voi, ecco (anche se, una volta
immersa nell'ozio più
totale, mi passa anche solo la voglia di accendere il computer per
scrivere xD)
Coomunque,
a parte la mia libertà ritrovata e tutto il resto, vi ho
fatto
leggere un capitolo che non è proprio tutto rose e fiori, eh?
E
stavolta non s'intende che ci siano stati spargimenti di sangue,
attacchi inaspettati o altro, ma che ci siano state delle turbolenze
a livello emotivo tra i nostri personaggi principali.
Vi
consiglio di tenerlo bene a mente questo capitolo. Può
esservi
sembrato più discorsivo degli altri, più ''di
passaggio'' (e in
effetti lo è stato, perché altrimenti non sapevo
come sviluppare il
corso degli prossimi eventi), ma sotto tutto ciò che
è avvenuto si
nascondono cose di non poca importanza...Vi ho incuriosite?? :P
A
parte i vari enigmi, come vi è parso questo capitolo? Come
pensate
che si risolverà la faccenda tra Ian e Wanda? E questo Liam
e questa
Claire, come vi sono sembrati?
Bom,
vi ho rotto le scatole abbastanza da farvi desiderare di andarmene
via al più presto ahah
Mi
esclisso, non senza aver ringraziato tutti coloro che leggono Up,
quelli che hanno recentemente messo la storia tra le
preferite/seguite/ricordate e quelli che la commentano. Insomma, dico
GRAZIE a tutti, come sempre. Up è quarta tra le venti storie
più
popolari e, sebbene quello di The Host non sia un fandom in cui ci
sono così tante storie, sapere di essere così
''preferita'' in
questo piccolo mondo è una soddisfazione da non trascurare
(d'altronde, se non fosse per voi, questa storia non sarebbe mai
arrivata fin qui).
Okay,
adesso me ne vado!!
Adiosss
Sha
<3
|
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Capitolo 14 *** Storie ***
14
Storie
L'amore
aiuta a vivere, a durare
l'amore
annulla e dà principio.
Mario
Luzi
«È
bello qui.»
Mi
guardai intorno, osservando con fare curioso l'enorme terrazzo che
costituiva il quarto piano. Non c'era niente oltre ai pannelli solari
o al mucchietto di sedie poste una sopra l'altra da cui Liam aveva
preso le due su cui adesso sedevamo.
Tutto
era silenzioso mentre il sole tramontava oltre le montagne
all'orizzonte, lasciando che una piacevole frescura prendesse il
posto di un caldo asfissiante.
Tutto
era calmo a confronto della tempesta di emozioni contrastanti che
avevo dentro.
«Già...»
Liam
volse lo sguardo verso l'orizzonte, osservando i colori caldi che
dipingevano il cielo durante il crepuscolo. Qualche nuvola grigia
occupava la volta celeste.
Mi
portai una mano sul viso per asciugare gli ultimi residui delle
lacrime che avevo versato prima di venire lì, evitando di
farmi
vedere da lui. Ero già imbarazzata per essermi fatta vedere
in
quello stato, non volevo che la mia figuraccia continuasse ancora.
«Quando
voglio rimanere solo vengo sempre qui. È un posto che sa
congiungerti con te stesso.»
«Posso
capirlo.» dissi, continuando a guardarmi intorno.
«Ultimamente
però non ci vengo spesso...» Liam si
voltò nella mia direzione, un
velo di malinconia gli oscurò il viso.
«Come
mai?»
«Col
passare del tempo ti abitui... alle cose. Ti abitui al fatto che
''stare da solo'' non significhi più salire
quassù per trovare un
po' di pace. Quando lo sei sempre non fa più la differenza
il luogo
in cui ti trovi...»
Provai
un moto di compassione per Liam, e anche di gratitudine. Gratitudine
perché sembrava che adesso volesse farmi capire che non
c'era niente
di male nel mostrarsi deboli davanti a qualcuno, soprattutto se quel
qualcuno poteva capirti davvero. Sembrava che Liam volesse pareggiare
i conti, che per non farmi sentire ancora più in imbarazzo
di quanto
già non fossi, stesse mostrando la sua, di parte debole.
«...
ma questo succede solo quando perdi la ragazza.» aggiunse,
increspando le labbra in un sorriso triste e rassegnato. A quel punto
capii che dietro a quella malinconia, a quella sua debolezza, si
nascondeva il mistero del suo passato.
«Una
ragazza speciale?»
«Speciale
quanto lo sei tu per Ian, Wanda.» mormorò con quel
suo tono dolce,
tornando a guardare il panorama davanti a sé. All'improvviso
arrossii, e ripensai al perché ora mi trovavo lì
con lui, con gli
occhi arrossati per le lacrime e un enorme peso sul petto.
Ripensai,
ma bloccai subito tutto per evitare di rimettermi a piangere.
«E
l'ho mai incontrata, nell'arco del poco tempo che ho avuto per
conoscere te?» domandai poco dopo, ritrovandomi a sorridere
anch'io.
Liam
incrociò il mio sguardo, il suo sorriso si
tramutò in una leggera
risata che mi fece sentire un po' a disagio. Aveva capito che avevo
capito.
«Penso
proprio di sì.» rispose.
«Cos'è
successo, Liam?»
Lui
sospirò, incrociando le gambe sotto la sedia e appoggiando i
gomiti
ai braccioli per congiungere le mani all'altezza del petto.
«È
successo che l'ho incontrata, me ne sono innamorato e poi sono
rimasto fregato.»
«Breve
ma intenso.» cercai di fare del sarcasmo, riuscendo a
strappargli un
sorriso divertito.
«Claire
ed io ci siamo conosciuti in circostanze singolari: me la sono
ritrovata in casa a rubarmi vestiti e cibo. Mi ha anche puntato una
pistola addosso, ma non ha sparato. Già allora ero
affascinato dal
comportamento degli esseri umani e quando la incontrai decisi di
approfondire le mie curiosità in veri e propri studi.
Perciò
tutte le sere, quando finivo di lavorare, me la ritrovavo in casa. A
me non dispiaceva se prendeva dell'acqua del frigo o una maglietta
dall'armadio. In poco tempo diventammo amici e da amici... be', penso
che riusciresti a capire se ti dico che passammo a parlare dal divano
al letto.»
«Sì,
certo.» risi. Rise anche lui.
«Poi
un giorno mi chiese di andare via con lei. E io accettai... Mi ero
innamorato.»
Liam
fece una pausa, mi guardò per un attimo negli occhi. I suoi
erano
lucidi.
«Cos'è
successo dopo?»
«Claire
mi ha fatto conoscere Thomas. Me lo presentò come un suo
vecchio
amico. Dopo tre mesi però li ho trovati a letto
insieme.»
Sgranai
gli occhi, riuscendo finalmente a comprendere il motivo per cui Liam
sembrasse tanto addolorato quando parlava di Claire.
«Oh...
Mi dispiace.»
«È
dispiaciuto anche a me, credimi. Comunque, dopo me ne sono andato.
Non sopportavo l'idea di vedere quei due insieme.»
«E...
insomma... cosa...?»
«Come
sono qui adesso? Thomas stesso è venuto a cercarmi dopo
altri cinque
o sei mesi... non ricordo bene. Mi disse che lui e Claire si erano
lasciati, che gli dispiaceva ma che adesso lei aveva bisogno di me.
Il gruppo aveva bisogno di me. Così sono tornato.»
Qualcosa
mi disse che Liam non mi aveva raccontato proprio tutta
la storia, ma non diedi peso a quel particolare: era già
tanto se mi
aveva confessato il resto.
«Sei
ancora innamorato di lei?» gli chiesi, accorgendomi solo dopo
di
avergli posto una domanda forse un po' troppo indiscreta.
Liam
però non sembrò essere infastidito dalla mia
curiosità e mi
rispose senza pensarci troppo su. «Credo di
sì.»
Abbassai
lo sguardo sulle mie mani, sorrisi. Liam era un ragazzo molto
più
profondo di quanto potessi immaginare - e con un bel po' di scheletri
nell'armadio.
«Posso
farti un'altra domanda?»
«Sì.»
«Qual
è il tuo vero nome? Quello... quello che avevi prima di
conoscere i
tuoi amici umani?» pronunciai le ultime parole con un tono
divertito, rievocando il momento in cui lui si era presentato a me
dicendo la stessa cosa.
Il
Guaritore rise piano. «Tempesta di Ghiaccio. Mi chiamavo
Tempesta di
Ghiaccio.»
Annuii
lentamente, riflettendo per capire da che Mondo provenisse, ma i miei
pensieri vennero bloccati ancor prima di poterlo scoprire.
«Avete
litigato a causa mia, vero? Tu e Ian.» disse Liam,
prendendomi
decisamente contro piede.
Mi
voltai a guardarlo con un'espressione un po' sorpresa in faccia,
senza sapere come ribattere. Insomma... oh, che palle. Non potevo
raccontargli di quello che era successo. Non tutto almeno.
«Puoi
dirmelo, Wanda, se vuoi.» Liam mi posò una mano
sul ginocchio e
sorrise.
A
disagio, mi alzai dalla sedia e andai ad appoggiare le braccia sul
muretto in cemento poco più in là, facendomi
scompigliare i capelli
dal vento.
«È
che... è strano. Non abbiamo mai discusso prima.»
«Stai
cercando di farmi sentire in colpa?» scherzò. Lo
sentii avvicinarsi
a me, senza però appoggiarsi al muretto. Rimase
lì vicino con le
mani in tasca e la testa inclinata da un lato.
«No,
figurati...»
«Stavo
scherzando, tranquilla... E andrà tutto bene, Wanda. So che
voi due
chiarirete.»
«Forse
dovrei andare. Melanie mi starà cercando ovunque.»
D'un
tratto mi resi conto che si era fatto quasi buio, qualche stella
aveva iniziato a brillare nel cielo e un aria un po' troppo fredda mi
stava facendo venire i brividi sulle braccia.
«Forse
dovresti andare.» ripetette Liam, con tono consenziente,
sorridendo
appena, poi mi fece cenno di raggiungere l'ascensore e tornare
giù.
«Grazie
per la compagnia. Sei la prima a cui ho raccontato la storia della
mia breve vita da ribelle.» aggiunse quando mi vide
allontanarmi
verso la porta antincendio.
Sorrisi
anch'io, annuendo, poi gli voltai le spalle e andai via.
Quando
tornai dentro decisi di andare direttamente in camera: forse Mel mi
stava aspettando proprio lì, anche perché in giro
non l'avevo
vista.
Osservai
con aria distratta i tasti bianchi dell'ascensore, ritrovandomi a
pensare che se fossi andata in camera, avrei potuto incontrare Ian.
Ce lo vedevo ad aspettarmi appoggiato al muro, con le mani in tasca e
gli occhi rivolti verso il soffitto.
Ma
no, che dicevo. Ian era ancora troppo arrabbiato con me per volermi
parlare. E anch'io lo ero.
Ciononostante,
anche se avessi cambiato idea decidendo di non salire, non avrei
potuto fare niente, perché l'ascensore mi avrebbe
inevitabilmente
condotto al secondo piano. Si sarebbe aperto, magari mi avrebbe anche
spinto fuori con qualche strana magia e mi avrebbe fatto ritrovare
davanti a lui.
Sto
delirando, santo cielo.
Le
porte scorrevoli si aprirono. Feci un passo in avanti e poi un altro,
uscendo. Quando alzai lo sguardo verso il fondo del corridoio, dove
c'era la mia stanza, feci un sospiro di sollievo: nessuna traccia di
Ian.
Non
appena raggiunsi la porta mi misi le mani in tasca per cercare le
chiavi.
«Dannazione...»
farfugliai mentre frugavo dappertutto senza trovarle.
Dove
le avevo messe?
Feci
rapidamente mente locale, sforzandomi di ricordare quand'era stata
l'ultima volta che le avevo tenute in mano.
«No...»
Con
Ian.
Era
stato con Ian che le avevo tirate fuori. Però non ricordavo
che fine
avessero fatto dopo... Forse mi erano cadute in terrazzo con Liam. O
peggio, le avevo lasciate appese alla serratura senza curarmi di
prenderle quando ero scappata via da Ian.
Confidando
nella prima ipotesi, tornai indietro e sperai di avere ragione. Salii
per la centesima volta in ascensore fino al quarto piano, arrivando
alla famosa porta antincendio oltre la quale si trovava il terrazzo.
«Tu
non capisci, Liam. Non possiamo procedere senza prima verificare. Se
è come penso io, dovremo cambiare tutto... E poi lo sai che
non
voglio che a Rachel succeda qualcosa di male.»
Appoggiai
la testa allo stipite in modo tale da ascoltare meglio, provai a
sbirciare fuori con un occhio. Claire, la proprietaria della voce che
avevo appena sentito, era in piedi accanto a un Liam ancora seduto
sulla sedia di plastica, proprio come l'avevo lasciato.
«Non
lo so, Claire... è che...»
«Ti
sei dimenticato di Rachel, per caso?»
«Non
sto dicendo questo.»
«E
allora?»
Claire
si mise a braccia conserte, parlando al ragazzo con un tono duro e
leggermente isterico, l'espressione affranta e confusa attraversata
da un barlume di paura.
Non
capivo di cosa stavano parlando.
«Ti
sei affezionato, eh? È per questo che non mi dici di
portarla subito
da lui.»
«No,
Claire, non dire cose che non sono...»
«Se
si fosse trattato di qualcun altro ti saresti comportato
diversamente.»
Liam
non rispose, contrasse le spalle, appoggiando i gomiti alle cosce per
poi mettersi le mani tra i capelli.
«Va
bene, vai a dirglielo... Ma sia chiaro, non lo faccio per te. Lo
faccio per Rachel, okay? Thomas cosa ha detto?»
«Thomas
non ci ha pensato due volte, Liam.»
«Bene.»
il Guaritore
si sforzò per
regalare a Claire un debole sorriso. Lei tuttavia non
ricambiò:
annuì e senza dire una parola si allontanò da
lui, dirigendosi
verso di me.
Subito
andai a chiamare l'ascensore per non farmi vedere e, come sempre,
sembrò che quel marchingegno provasse una profonda
avversione nei
miei confronti. Prima ancora di poter imprecargli contro
però, si
aprì col solito tin.
Non
appena entrai, premetti in fretta e furia sul due e un momento prima
che Claire aprisse la porta antincendio, quelle dell'ascensore si
chiusero.
Sospirai
di sollievo.
Perché
sono scappata come una ladra?,
pensai, mentre facevo respiri profondi per far andare via un po'
dell'agitazione che mi aveva investita poco prima.
Forse
perché stavo origliando? Forse perché avevo
sentito cose che non
avrei dovuto sentire? Ovvio che sì.
Nonostante
tutto però non avevo capito il nocciolo della questione tra
Claire e
Liam, né chi fosse Rachel o chi dovevano portare ''da lui''.
E
comunque non avrei potuto comprendere a priori: c'erano troppe
informazioni che a me sfuggivano per riuscire a mettere insieme i
pezzi del puzzle.
§
Passarono
altri due giorni. Due giorni intensi e sfiancanti, soprattutto a
livello emotivo.
Con
Ian non parlavo dal nostro ultimo litigio, il che rendeva le giornate
un po' più cupe, ma soprattutto insolite: non ero abituata a
non
rivolgergli la parola per così tanto tempo e il solo fatto
di non
poterlo neanche sfiorare a volte mi faceva quasi impazzire.
Melanie
sosteneva che fossimo entrambi troppo cocciuti per rimettere le cose
apposto, troppo orgogliosi. Quando io me n'ero andata dalla
palestra-mensa inoltre, lei era rimasta da sola con Ian e mi aveva
raccontato di averci parlato per un po'; insomma, Melanie sapeva
tutto. Sapeva anche di quello che avevo sentito – o meglio,
origliato – di nascosto da Liam e Claire.
Nonostante le
avessi detto la mia al riguardo, lei era rimasta convinta del fatto
che non c'era niente di cui preoccuparsi e che stavo diventando
paranoica.
Forse
era vero.
«Odio
questo gioco.»
La
voce di Aaron mi riportò alla realtà e un sorriso
da ebete mi si
stampò automaticamente sulle labbra.
«Non
puoi odiarlo. Sei il giocatore di scacchi migliore di tutto
il
continente.» lo apostrofò Melanie,
ingrossando la voce per
cercare di imitare quella di Aaron. Ridacchiai insieme a lei,
esultando per la pedina che gli avevo appena mangiato.
Lui,
seduto di fronte a me con la fronte corrugata per la concentrazione e
le dita che tamburellavano freneticamente sul tavolo, mi
inchiodò
con lo sguardo e bevve un altro sorso di birra.
Birra,
gente. Un'altra bevanda che non avevo mai assaggiato prima, ma che
almeno era più buona del caffè.
«E
poi non è colpa tua se ti stai facendo vincere da Wanda.
Può
capitare.» Mel continuò a prenderlo in giro,
alzando con noncuranza
le spalle. Dal tono di voce sembrava fosse sul punto di scoppiare a
ridere.
Aaron
trucidò con lo sguardo anche lei, poi fece la sua mossa,
spostando
la sua pedina verso una delle mie. La mangiò.
«Non
ti illudere, Wanda. È la fortuna del
principiante.» mormorò,
strizzandomi un occhio prima di assaporarsi il momento in cui ero io
quella che doveva bersi la birra.
Data
la sua sfortuna, la partita si era volta quasi fin dall'inizio dalla
mia parte, motivo per cui la mia bottiglia era più piena
della sua.
Non
ci avevo impiegato tanto a capire il gioco, Aaron era stato un buon
insegnante, eppure non sapevo se credere al fatto di avere fortuna o
di essere semplicemente migliore di lui, l'allieva che superava il
maestro.
Fatto
sta che Aaron era leggermente ubriaco.
«Grazie
per l'incoraggiamento, caro.» dissi dopo aver bevuto, mentre
posavo
la bottiglia, prendevo il mio re sulla scacchiera e lo facevo
avanzare per distruggere una volta per tutte il mio avversario.
«Scacco
matto.» cinguettai e diedi un cinque a Melanie. Sorseggiai un
altro
po' di birra per festeggiare; Aaron invece sbatté le mani
sul
tavolo, esasperato, alzò gli occhi al cielo e si
scolò quel che
rimaneva della sua bottiglia con fare sconfitto, sotto lo sguardo
divertito e anche un po' esuberante di Melanie e di me.
«Brava,
Wanda.»
«Grazie.»
risposi con fare civettuolo intanto che Melanie asseriva soddisfatta.
«Ora,
Mel, penso che dovresti portarla a letto. Non vorrei che si facesse
male.» borbottò lui, dicendo la seconda parte
della frase con un
tono più basso per non farsi sentire da me.
«Io
non sono ubriaca!» dissi, sollevandomi contro quelle ultime
parole
che non mi erano sfuggite. «È Melanie quella davvero
sbronza.»
«Ehi!»
la citata in causa mi diede una gomitata.
«Che
c'è? È la verità.»
«Guarda
che ci vuole più di una bottiglia di birra per
stendermi.»
Melanie
arricciò il naso e abbassò le sopracciglia,
palesando tutto il suo
disappunto. «E comunque, che ore sono?»
Aaron
guardò l'orologio sul polso, riscontrando non poche
difficoltà
nell'individuare il numero sul quale la lancetta era posizionata.
Meno male che quella ubriaca ero io.
«Le
undici e mezza, Mel. Cosa state combinando qui?»
Jared
apparse da dietro di me. Poggiò due mani sulle spalle di
Melanie e
inclinò la testa per incrociare prima il suo sguardo, poi
quello
mio.
«Giocavamo.»
spiegò lei, facendo spallucce.
«Ho
vinto a scacchi Aaron.» dissi, regalandogli un sorriso a
trentadue
denti. «Ci credi?»
«Oh,
sì. Ho sempre pensato che Aaron non fosse mai stato bravo
come
diceva. Da quando lo conosco non ha mai voluto fare una partita con
me.» Jared sghignazzava mentre prendeva in giro il suo amico,
facendogli spalancare occhi e bocca per lo sgomento.
«Non
è assolutamente vero! Noi non l'abbiamo mai avuta una
scacchiera,
come facevamo a giocare?»
«Io
credo di più a lui.» Melanie indicò il
suo ragazzo.
«Anch'io.»
dissi, e Aaron si imbufalì, provocando le nostre risa.
«Io
me ne vado! Me. Ne. Vado!»
«Vai
a letto, vecchietto. Ci vediamo domani.»
Lo
salutammo affettuosamente e nonostante i suoi rifiuti per
contraccambiare, uscì dalla palestra-mensa con un sorriso
divertito
a fargli compagnia.
«Andiamo
anche noi, Wanda?» Mel sbadigliò, appoggiando la
testa sulla pancia
di Jared, ancora dietro di lei con le mani sulle sue spalle. Lui si
chinò per baciarle la fronte.
Alla
vista di quei gesti d'affetto, una morsa mi stritolò lo
stomaco. Mi
guardai attorno, colta da un improvviso disagio.
Ian
non c'era quella sera, e nemmeno Claire. Liam aveva detto che era
impegnata e che non sarebbe riuscita a venire per cena. Aveva parlato
di qualcosa che riguardava suo padre, che tra parentesi il giorno
prima non si era fatto vivo.
Forse
era per quello che Claire non era venuta. Magari aveva avuto qualche
problema.
«Wanda,
allora?»
Melanie
mi scosse piano, sbadigliando. Alzai gli occhi su di lei e cercai di
non dare a vedere la tristezza che d'un tratto aveva abbattuto il mio
buonumore.
«Andiamo...»
le dissi, un po' controvoglia. Sapevo cosa mi attendeva quando ci
saremmo rinchiuse nella nostra stanza: pensieri su pensieri avrebbero
iniziato a vorticarmi in testa, rendendo la notte lunga e insonne. Ma
dato che erano due giorni che non dormivo, almeno per quella sera
contavo di potermi riposare un po'.
«Buonanotte.»
Jared ci salutò.
«'Notte.»
Percorsi
la strada che mi separava dalla camera con Melanie che ogni tanto
canticchiava distrattamente e io che iniziavo a sbadigliare. Arrivata
davanti alla porta della stanza, la vidi tastarsi le tasche alla
ricerca delle chiavi.
«No.»
trasalii, appoggiandomi al muro. «Non dirmi che...»
«Sì...
uffa.»
«Credi
di averle perse?»
Se
le avesse perse anche lei, saremmo state davvero nella cacca.
«Mmh,
no... Penso che le abbia Jared. Vado a chiedergliele, torno tra un
attimo.» disse mentre tornava indietro.
Quando
rimasi sola sbuffai, passandomi una mano fra i capelli. Il corridoio
del secondo piano era tutto in penombra, l'unica luce che c'era
proveniva da quella di emergenza infondo al reparto.
Appoggiai
distrattamente il braccio alla maniglia della porta, chiedendomi
quanto tempo Mel ci avrebbe impiegato ad andare e tornare, tuttavia
quando sentii la serratura scattare sotto il mio peso, mi allontanai
e la osservai, stranita.
Come
faceva ad essere aperta?
Aggrottai
le sopracciglia, spingendo piano la porta per farla aprire quel tanto
che bastava per permettermi di sbirciare dentro. Era tutto al buio.
Entrai,
sospettosa, e mi munii di coraggio per accendere la luce e scoprire
se c'era qualcuno dentro. Lentamente allungai un dito
sull'interruttore, ma prima che potessi toccarlo riconobbi una figura
farsi avanti nell'oscurità e afferrarmi la mano per tirarmi
dentro.
«Sono
io, sono io...»
Ian.
Mi fermò prima che potessi urlare, accendendo l'abatjour per
terra
in modo tale da farsi vedere – anche se dopo averlo sentito
non ce
n'era proprio bisogno. Mi teneva stretta a sé, premendomi
una mano
sulla schiena e l'altra sulla bocca per bloccare l'urlo che stavo per
cacciare quando mi aveva afferrata.
«Cosa
ci fai qui?» chiesi quando mi allontanai di qualche passo,
infastidita.
Ian
vacillò nel vedermi prendere le distanze, e si
grattò la testa,
assumendo un'espressione imbarazzata. «Volevo
parlare.»
«E
di cosa?»
D'un
tratto mi sentii di nuovo arrabbiata.
Arrabbiata
per come mi aveva trattata, per come avevo trascorso male quei due
giorni lontana da lui; arrabbiata perché mi mancava
baciarlo,
accarezzarlo, prenderlo in giro.
Mi
misi a braccia conserte, osservando Ian nella luce fioca della stanza
guardarsi intorno per trovare le parole giuste da dire, inconscio del
fatto che io fossi sul punto di scoppiare nuovamente a piangere
perché, dannazione, avevo bisogno davvero di
lui.
«Senti,
Wanda... Mi dispiace, okay? Io... io sono stato un...»
Non
passarono neanche trenta secondi quando decisi di mandare a quel
paese le sue scuse, i suoi sensi di colpa, le sue ossessioni, i suoi
difetti, i suoi ripensamenti.
Mandai
a quel paese tutto e interruppi dall'inizio quello che per lui doveva
essere un discorso preparato a puntino per rimettere apposto le cose.
Ma a me non importò, e sull'onda di quei pensieri gli gettai
le
braccia al collo e lo baciai, spingendolo contro l'armadio alle sua
spalle.
«Sta
zitto.» sibilai contro le sue labbra.
Spazio
autore:
Bonjour!
Eccomi qui, in anticipo come non mai.
Allooora,
oggi faccio le cose al contrario, perché voglio partire dal
fondo
invece che dall'inizio. Se vi state chiedendo se Ian e Wanda sono
finiti col far degenerare la situazione in quella cosa,
io vi
dico che sì, arrivano a quel punto. E dato che stavolta
volevo
descrivere la scena, ho deciso di pubblicare una missing moment con
rating rosso perché,
be', la situazione lo
esigeva, ecco. Però sia chiaro: non è che
così fanno pace, eh.
Sapete com'è, ogni tanto può capitare che gli
estrogeni, i
testosteroni e tutti gli ormoni che possiamo avere ci spingono a non
seguire la ragione ma l'istinto. E a Wanda è capitato
proprio
questo, eheh.
Altre
domande o dubbi riguardo alla sua avventata e insolita scelta penso
che vi saranno chiariti col prossimo capitolo.
Ma
non è stato solo questo l'evento clu del capitolo. Avete
scoperto
che cosa si nasconde nel passato di Claire e Liam, qual è la
loro
storia, perché adesso si comportano così. Risolto
un mistero però,
ne salta fuori un altro: Wanda sente cose a cui tuttavia non riesce a
dare un senso e così anche Melanie non ce la fa,
perciò liquidano
la questione e chi si è visto si è visto.
Voi
cosa dite? Che impressioni vi danno questa Claire e questo Liam che a
quanto ho capito non vi vanno poi così tanto a genio? :P
Ditemi,
ditemi!
Intanto
vi lascio il link della shot: Fault of the Instinct
Aspetto
le recensioni anche lì ;);)
Sha
|
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Capitolo 15 *** Dolori ***
15
Dolori
Sbattei
piano le palpebre, confusa, e mi chiesi come fossi arrivata fin
lì.
La stanza in cui mi trovavo era bianca, bianchissima: l'unica cosa
che si distingueva dalla spaventosa monotonia di quel colore era la
coperta di plaid beige chiaro del letto, il resto era tutto uguale,
tutto bianco, anche le sbarre che vidi quando girai la testa da un
lato.
Tentai
di alzarmi, sempre più confusa e spaventata, ma contro ogni
aspettativa non ci riuscii. Sia perché fui immediatamente
colta da
un capogiro, sia perché scoprii di avere mani e piedi legati
al
letto. Ogni tentativo di liberarmi fu ovviamente vano, a partire dal
fatto che non avevo la forza di poter rompere i lacci che mi
impedivano qualsiasi movimento.
Mi
sentivo debole, stordita. Ma la cosa più frustrante era che
non
riuscivo a capire come fossi arrivata lì dentro,
semplicemente non
ricordavo.
Forse
non potevo perché di ricordi di come
fossi giunta in quella
cella non ne avevo mai avuti.
La
paura, aiutata da un improvviso senso di panico, iniziò a
scorrermi
nelle vene. Dovevo chiamare qualcuno, urlare aiuto, liberarmi da quei
lacci e scappare. Sapevo di doverlo fare, ma dalla mia bocca non
poteva uscire nient'altro se non che un sospiro. Ero troppo
frastornata, troppo confusa, troppo spaventata per trovare la forza
per farlo e la lucentezza per calmarmi.
Alcune
ore prima
Un
raggio di sole strisciò in silenzio fino al mio viso,
punzecchiandomi fastidiosamente gli occhi. Cercai di coprirmi col
lenzuolo, ma la cosa si rivelò piuttosto difficile, dato
che, quando
tentai di tirarlo su fin sopra la testa, non ci riuscii.
A
quel punto decisi di aprire gli occhi e mettermi a sedere, ma anche
quel movimento risultò decisamente troppo faticoso da
mettere in
pratica.
La
vista del mio corpo nudo arrotolato tre le coperte e di una schiena
che non era mia a sinistra bastò tuttavia a farmi
dimenticare del
sole che continuava a colpirmi la faccia e del lenzuolo che non
voleva collaborare. Le guance mi si tinsero automaticamente di rosso
e un senso di disagio iniziò a farsi strada dentro di me
mentre
cercavo di scendere giù dal letto e rivestirmi in fretta.
Ma
come mi era saltato in mente di fare una cosa del
genere?
Raccattai
il reggiseno ai piedi del comodino e lo indossai con le orecchie tese
verso le mie spalle, dove c'era un Ian ancora assorto nei suoi sogni.
Ancora inconsapevole dell'errore che avevamo fatto la notte prima,
quando io avevo perso la testa davanti alla sua involontaria
richiesta di baciarlo mentre tentava di scusarsi.
Ma
perché non l'avevo lasciato parlare, dannazione?
Sull'onda
delle mie elucubrazioni andai a recuperare le mie mutandine. Poi
presi il resto dei vestiti e li gettai in bagno, evitando di
guardarmi allo specchio per scoprire in quale pessimo stato mi
trovassi. Quindi raggiunsi l'armadio e scelsi le prime cose che
trovai – sempre senza fare alcun rumore.
«Non
dovrei essere io quello che scappa dalla tua
camera?»
Mi
bloccai con le mani ancora infilate dentro l'armadio, come se da
ladra mi fossi intrufolata nella casa di qualcuno e fossi stata
scoperta, ascoltando il tono a metà tra il divertito e il
pensieroso
con cui Ian mi aveva avvisato di essere sveglio.
Lo
sentii muoversi mentre io mi voltavo verso di lui e sospiravo. Si era
tirato su a sedere nel letto, il torso in bella mostra, il lenzuolo
che gli copriva a mala pena la pelle sotto l'ombelico, i capelli in
totale disordine, l'espressione seria e la solita ruga pensierosa tra
le sopracciglia.
«Non
stavo scappando.» mormorai con un filo di voce, evitando di
puntargli lo sguardo addosso mentre indossavo la maglia che mi era
capitata tra le mani.
«Allora
volevi farmi il favore di dovermi far rivestire per venirti a
cercare?»
«Ma
che dici...»
«Te
ne sei pentita?»
Il
mio spietato senso di colpa tornò tutto un tratto a
logorarmi,
facendomi arrabbiare prima con me stessa e poi con Ian, di
nuovo.
Ma non perché mi aveva trattata male o si era comportato
indecentemente, ero arrabbiata anche con lui solo
perché
aveva permesso che accadesse ciò che era accaduto la notte
precedente senza pensare alle conseguenze. Senza pensare al fatto che
noi avremmo sbagliato.
«Perché
non riesco più a capirti, Wanda?»
Continuò
lui dopo che io non volli rispondere alla sua domanda.
Gli
occhi iniziarono a pizzicarmi, ma cercai di non darglielo a vedere,
così come cercai di nascondere il vile tremolio nella mia
voce.
«Non
devi vederla così, Ian. Tu... tu non sei Il Problema. Io
invece sì,
perché ho sbagliato a reagire tre giorni fa e ho sbagliato a
reagire
ieri sera. Ti ho fatto male, ho fatto male a noi
e... e sono
stata una stupida egoista. Okay?»
«No,
Wanda. Non dire così...» Ian si
attorcigliò il lenzuolo sui
fianchi e si alzò per raggiungermi. Quando mi fu abbastanza
vicino,
prese entrambe le mie mani e mi fissò dritto negli occhi.
«... Tu
non sei una stupida egoista. Non potrai mai esserlo. E poi, insomma,
non dovrei essere io quello dispiaciuto? Non mi sono fidato di te, mi
sono lasciato sfuggire il controllo di mano, sono stato cattivo,
iperprotettivo e...»
«Non
pensavo veramente quelle cose, Ian.»
Dissi
mentre lasciavo andare le sue mani per dargli le spalle ed evitare
così di guardarlo in faccia.
«Io
sì invece. E se non fosse stato per te probabilmente non me
ne sarei
mai accorto.»
Scossi
la testa per continuare a dissentire quel che diceva, poi lui mi
afferrò per un polso, costringendomi a voltarmi di nuovo
nella sua
direzione. Ed era dolce, Ian, mentre tentava di chiudere con questa
storia e convincermi del fatto che non era successo niente di male;
mentre mi accarezzava piano una guancia e piegava un minuscolo angolo
della bocca in quello che doveva essere un sorriso per rassicurarmi.
Peccato
che io non la vedevo al suo stesso modo.
«È
tutto così sbagliato, Ian. Questo è
sbagliato.» mormorai,
indicando con una mano il letto sfatto su cui avevamo consumato il
nostro amore. Lui si accigliò, lasciandomi andare il polso.
«Che
cosa vorresti dire con questo?»
Vorrei
dire che abbiamo avuto un momento di crisi che è servito a
farmi
capire quanto egoista io sia stata nei tuoi confronti, vorrei dire
che non serve chiedermi scusa, perché dovrei chiedertelo io,
vorrei
dire che mi sono comportata da insolente e che ti amo più
della mia
stessa vita. Vorrei dire tutto questo, ma so che se lo facessi tu
faresti di tutto per farmi dimenticare di questa distanza che si
è
creata tra noi tre giorni fa, e io non voglio. Non voglio
perché
sarebbe ingiusto, sarebbe un altro gesto da egoista nei tuoi
confronti e io non voglio più esserlo con te, Ian.
«Vorrei
dire che dovremmo fermarci un attimo.» dissi tutto d'un
fiato, dando
a vedere una sicurezza che in realtà non possedevo.
«...
Fermarci.» ripeté incerto lui, socchiudendo gli
occhi.
«Per
riflettere.»
«Ed
è una cosa... temporanea, Wanda?»
I
suoi occhi e la sua espressione raccontavano un'immensa e sconfinata
delusione mischiata ad un'altrettanta immensa e sconfinata
incertezza.
«Dipenderà
da noi.» risposi io.
«È
un modo per dirmi che mi stai lasciando, Viandante?»
«No,
Ian... Io... io non ti sto lasciando, non lo farei mai...»
Eccolo di
nuovo, quel senso di colpa pronto a far cadere rovinosamente la forza
con cui avevo cercato di non farmi crollare tutto addosso. Trassi un
respiro profondo.
«E
allora cosa stai facendo? Stai rimandando la nostra relazione a data
da destinarsi? O stai cercando di rovinare tutto perché la
situazione ha iniziato a sfuggirti di mano? Spiegamelo, Wanda,
perché
io non riesco a capire. Insomma, ieri sera non sono venuto qui per
mettere fine alla nostra storia. Sono venuto per dirti che mi
dispiaceva, per rimettere le cose apposto, ma tu...»
«Non
so cosa mi sta succedendo, Ian.» mugugnai dopo essermi
voltata di
nuovo verso di lui. «Forse tutto quello che ho dovuto
sopportare
nell'ultimo periodo mi si sta riversando contro. Forse sono troppo
stressata... e... e non mi sento me stessa.»
Alzai
la voce di un'ottava, facendo spallucce per non dare un peso
eccessivo alle mie parole.
«Vedo
che Liam ti ha fatto un brutto effe...»
«Oh,
lo sai che Liam non c'entra niente.»
Ian
mi guardò senza dire un fiato, con un'espressione affranta
in viso e
i pugni serrati lungo i fianchi, poi, sempre senza dire una parola,
si voltò per recuperare i suoi vestiti da terra e indossarli.
«Fammi
un fischio quando la Wanda di cui mi sono innamorato si decide a
tornare indietro. Con questa che fa scelte per entrambi non voglio
avere niente a che fare.» proruppe quando finì di
rivestirsi, poi
se ne andò.
§
«Wanda,
non sai quanto mi dispiace... Non avrei dovuto permettergli di usare
le tue chiavi per farsi trovare in camera nostra, scusami...»
«Non
ti devi scusare, Mel. Non è colpa tua se è andata
a finire così.»
Mi
alzai dalla sedia, avvicinandomi alla finestra a braccia conserte.
Una lacrima mi rotolò silenziosa sulla guancia, ma io la
scacciai
ancora prima che Melanie se ne accorgesse.
«Cosa
posso fare per aiutarti?» mi domandò quando mi fu
vicina,
appoggiandomi una mano sulla spalla. Mi voltai nella sua direzione,
sorridendo davanti alla sua premura.
«Niente,
Mel, tranquilla.»
«Wanda...
Lo so che stai cercando di non dare a vedere tutto il dolore che hai
dentro. Scommetto che ti manca già.»
Risi
piano, nascondendo il velo di amarezza e dispiacere che mi
calò
addosso non appena mi resi conto di quanto Melanie avesse ragione.
Stavo
male. Stavo male da quando avevamo messo piede in quel posto, e mi
ero fatta tanto prendere dal corso degli eventi da non pensare
neanche più a Jeb, Kyle e Trudy, che erano ancora
là fuori,
bisognosi più che mai del nostro aiuto.
Altre
due lacrime mi rigarono piano il viso, stavolta sotto lo sguardo
triste e preoccupato della mia amica.
«Vieni
qui...» sussurrò, abbracciandomi.
Non
scoppiai a piangere come avrei dovuto fare, un po' perché di
lacrime
ne avevo già versate abbastanza da non averne
più, un po' perché
in mensa non eravamo proprio del tutto sole – e io non ci
tenevo a
montare su un teatrino davanti a tutti i presenti.
Perciò
poco dopo io e Mel ci allontanammo, tenendoci per mano mentre ci
scambiavamo sorrisi complici e sguardi affettuosi.
«Comunque
basta pensare a me e ai miei problemi. Ci sono cose più
importanti
della mia relazione che va a rotoli o del mio status
emotivo.»
sentenziai.
«Giusto.»
«Da
quando siamo arrivati qua ci siamo alienati dal resto del mondo, io
mi sono addirittura scordata di Jeb e tutti gli altri... Dovremmo
tornare a cercarli, non pensi?»
Melanie
annuì. «Già, tanto ormai ci siamo
ripresi, stiamo bene... perché
non dovremmo proseguire nelle ricerche?»
«Senti,
perché non facciamo così: tu vai a chiedere a
Jared e gli altri
cosa ne pensano, io invece vado ad accennare qualcosa a
Claire.»
dissi mentre ci avviavamo verso la porta.
«Va
bene, ma... sai almeno dov'è lei?»
«In
realtà no. Lì però c'è
Thomas» indicai il ragazzo seduto poco
più in là sulla panca «forse lui sa
dirmi dove pos...»
«Ragazze!
Vi stavo venendo a cercare.»
Claire
spuntò da dietro la porta proprio quando noi stavamo per
aprirla,
salutandoci col suo solito sorriso abbagliante. Ricambiai di
riflesso, opprimendo la sensazione di disagio che mi incutevano lei e
Liam da quando avevo origliato la loro discussione.
«Che
ironia della sorte, anche Wanda stava per venirti a cercare.»
esclamò Melanie, alzando le spalle.
«Ma
dai!»
«Già...» risposi mentre Melanie si
allontanava di
qualche passo prima di dire che ''allora vado a fare quella cosa,
Wanda. Ci vediamo dopo, okay?'', lasciandomi sola con Claire.
«Cosa
volevi dirmi, Wanda?» mi incitò lei dopo che Mel
sparì
nell'ascensore.
Il
sorriso che avevo sulle labbra si allargò un po' di
più, rendendo
Claire curiosa.
«Volevo
dirti che molto probabilmente partiamo. È una decisione che
dobbiamo
ancora prendere tutti insieme, ma io volevo comunque avvisarti, oltre
che ringraziarti per ciò che avete fatto e per l'aiuto che
ci avete
dato. Vi verremo a trovare se...»
«Wow,
wow, wow. Un attimo...» Claire mi poggiò le mani
sulle spalle,
socchiudendo gli occhi per riflettere su quello che voleva dire, poi
proseguì «Volete partire? Così presto?
Insomma, sono passati
ancora pochi giorni da quando avete avuto quello scontro coi
Cercatori e avranno sicuramente circondato l'area, messo delle
pattuglie in punti strategici per trovarvi, stabilito un piano per
catturarvi... Mi chiedo se non sia troppo pericoloso.»
Effettivamente
non avevo pensato ai Cercatori e a tutto quello cui saremmo andati
incontro una volta usciti di lì, il che mi fece mettere in
dubbio i
miei programmi. Tuttavia, il pensiero di dover aspettare ancora prima
di poter tornare a cercare i nostri amici non mi piacque. E non
sarebbe piaciuto nemmeno agli altri.
«Lo
so, Claire. Ma... vedi, è che noi dovremmo proseguire nelle
ricerche
di altre persone e...»
«Altre
persone?» domandò lei, sorpresa.
«Sì,
degli amici. Si sono persi, così siamo venuti fin qui per
trovarli.»
«Non
me ne avevate mai parlato.»
«Perché
non ne abbiamo mai avuto l'occasione.» sorrisi, poi lei
scostò le
mani dalle mie spalle, boccheggiando pensierosa.
«Sono
due uomini e una donna quelli che state cercando?»
Sbattei
le palpebre, socchiudendo la bocca per chiederle come poteva sapere
dei miei amici, ma l'unica cosa che riuscii a dire fu un incerto
''sì''.
«Sai
dove si trovano, Claire?»
Claire
si abbraccio i gomiti e un'ombra si stipò sui lineamenti
delicati
del suo viso, inclusi i suoi occhi azzurri, che divennero un po'
più
scuri.
«Li
hai visti? Claire, parlami ti prego.» la implorai,
scuotendola piano
per le braccia mentre mi facevo assalire dall'angoscia.
«Noi
stavamo rientrando. Facevamo la solita strada per tornare a casa,
quando una delle macchine dei Cercatori ci ha sorpassato.»
Claire
parlava con lo sguardo fisso in un punto indefinito dietro di me,
come se fosse stata in una sorta di psicanalisi e stesse rivivendo
quei momenti. «Pensavamo che ci avessero scoperti, e quando
abbiamo
visto che non eravamo noi il loro obbiettivo ci siamo fermati in un
parcheggio non molto lontano. Per le strade non c'era nessuno, era
tardi. Poi ad un certo punto abbiamo visto un'altra auto. I Cercatori
erano tanti, forse la stavano pedinando da un bel po': l'hanno
circondata e hanno intimato il conducente di scendere dalla macchina
e mettere le mani sopra la testa. Era un uomo alto, anziano.»
«Jeb...»
trasalii intanto che gli angoli degli occhi si riempivano di acqua e
mi si formava un groppo in gola. «Cos'è successo
dopo?»
«Li
hanno presi, Wanda.»
«Oh
santo cielo... No...» singhiozzai, coprendomi la bocca con
una mano.
Claire mi strinse una spalla.
«Mi
dispiace, Wanda. Non sai quanto. Noi non abbiamo potuto fare nulla,
altrimenti saremmo stati scoperti.»
Mormorò
intanto che si avvicinava a me per abbracciarmi. Ma immersa com'era
nel mio dolore non badai tanto a quel suo gesto inaspettato o alle
parole con cui cercò di rassicurarmi subito dopo.
Jeb,
Trudy e Kyle erano stati catturati, per loro non ci sarebbe stato
più
niente da fare. Melanie avrebbe sofferto, Ian avrebbe sofferto e...
e...
«Ah...
Claire, ma cosa...?»
Gemetti
quando sentii qualcosa di piccolo e appuntito trapassarmi la pelle
sulla schiena, proprio dove fino ad un attimo prima avevo percepito
le sue mani accarezzarmi affettuosamente. Lanciai a Claire
un'occhiata confusa, o meglio, sfocata, lei
però non rispose,
si limitò a sostituire l'espressione affranta e dispiaciuta
con una
cupa e malvagia. E prima ancora di riuscire a capire cosa stesse
succedendo, i puntini che avevano cominciato a ostacolarmi la vista
esplosero in un unico colore.
Il
nero.
§
Provai
a liberarmi di quei lacci ancora una volta, cercando di non dare
troppo conto al senso di panico che si stava propagando in ogni
centimetro del mio corpo. Poi, dopo aver fatto innumerevoli
tentativi, sentii delle sbarre aprirsi e dei passi avvicinarsi alla
cella in cui mi trovavo.
«Claire...»
mormorai con la voce arrochita, ritrovando sul suo viso la stessa
aria cupa che avevo visto prima di svenire e ritrovarmi qui dentro.
Claire
rimase impassibile intanto che da dietro le sue spalle apparivano
altre due persone. Alte, magre, familiari. Non
sapevo perché,
ma avevo l'impressione di averle già viste da qualche parte.
La
cosa che più mi spaventò però, era che
portavano entrambe una
divisa bianca.
Spazio
autore:
Hola!
Mi credevate morta e sepolta, eh? Tranquilli, tranquilli, sono stata
solo impegnata con un po' di mare e un po' di libri ahah.
Allora,
come vi è sembrato il capitolo?
Ammetto
che non è stato facile scrivere la parte di Ian e Wanda,
infatti su
World ho salvato almeno tremila bozze, senza mai esserne del tutto
convinta. Spero che alla fine sia uscito fuori qualcosa di decente :P
Per
quanto riguarda la primissima e l'ultimissima parte, be', posso solo
dirvi che capirete meglio nel prossimo capitolo.
Spero
che siate rimaste soddisfatte (anche se, lo so, gli unicorni e gli
arcobaleni tra gli O'Wanda sono andati a farsi una vacanza –
com'è
giusto che anche loro facciano xD – e voi molto probabilmente
ci
siete rimaste un po' di emme. Ma che vi devo dire, l'amore non
è
bello se non è litigherello.)
Ringrazio
di cuore le buone, ma soprattutto SEMPRE PIU' NUMEROSE, anime che si
stanno moltiplicando come i pani e i pesci nelle liste
seguita/preferita/ricordata.
Siete
il mio orgoglio, ragazzi. <3
Alla
prossima,
Sha
|
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Capitolo 16 *** Rivelazioni ***
16
Rivelazioni
Mi
sentivo una perfetta estranea sotto lo sguardo vitreo di quella che
una volta avevo pensato essere mia amica.
Avrei
dovuto sapere che c'era qualcosa che non andava in lei, o almeno
sospettarlo dal momento in cui avevo origliato la sua discussione con
Liam. Sicuramente era coinvolto anche lui in quella assurda faccenda.
Smisi
di respirare quando vidi i due Cercatori, un uomo e una donna,
lanciarmi insistenti occhiate da dietro le spalle di una Claire
sempre più irriconoscibile, e percepii il sangue defluirmi
dalla
testa, inoculandomi un terribile senso di nausea che prontamente
ignorai.
Rimasi
ad osservare attonita Claire mentre apriva la cella, poi la
Cercatrice che poco dopo le intimò di togliersi dai piedi
con uno
sguardo e infine il maschio che avvicinò una sedia accanto
al letto
su cui ero bloccata non appena entrò nella cella. Ci si
sedette,
l'ombra di un sorriso a metà tra il gentile e lo spaventoso
ad
increspargli le labbra.
Poi
m'immaginai quello stesso sorriso tra luci soffuse e caffè
caldi,
tra tavoli di un bar non troppo affollato, vicino ad un bancone
accanto a cui io e Melanie eravamo passate con aria anonima. Era
quella sera, in quel locale, prima dell'arrivo di Brandt e Ian sulla
Mercedes rubata, che lo avevo visto.
«Salve,
Viandante.» disse, quasi sottovoce, col tono dolce di chi si
sta
rivolgendo ad un bambino.
«A
giudicare dalla tua espressione, non penso che tu mi conosca come io
conosco te.»
Molto
probabilmente intuì che dietro al mio sguardo immobile c'era
un
movimento sconfinato di emozioni, perché subito dopo
tentò di
schiarirmi un po' le idee.
«Senza
dubbio avrai conosciuto la mia compagna. È una Cercatrice
anche lei,
sai? Ma non è più operativa da molto tempo. A
dirla tutta è
scomparsa, da due mesi e mezzo.»
Lasciai
che lo shock e il panico mi scorressero veloci nelle vene fino a
farmele congelare, ma senza darlo a vedere.
«...
Ali di Drago.»
Mi
resi conto di non aver ascoltato una parola di quello che aveva detto
soltanto quando ebbe pronunciato il suo nome. Rimisi a fuoco
l'immagine dell'uomo che avevo davanti, sulla trentina – se
non di
più – i capelli biondo cenere, la pelle diafana,
gli occhi grigi.
«È
da tanto tempo che aspetto questo momento, sai? Se non fosse stato
per Claire molto probabilmente non sarebbe mai arrivato. Devo
ricordarmi di ringraziarla.»
«C-che
cosa vuoi?» riuscii a dire quando ritrovai il controllo. I
suoi
cerchi azzurri iniziarono a scrutarmi in silenzio, come divertito,
poi
tornò serio. Era ovvio ciò che voleva,
più che ovvio.
«Oh,
non è nulla di che. Vorrei solo che tu mi facessi la
cortesia di
dirmi dove si trova la mia compagna. So che siete state amiche tanto
tempo fa, ma dopo tu hai infranto le regole e... penso che il resto
lo sai già.»
«Io
e la Cercatrice non siamo mai
state
amiche.»
Ali
di Drago sorrise di nuovo, piano, sicuro come era sempre stato da
quando aveva messo piede in quella cella.
«Be',
io intendo un'amicizia del tutto professionale, Viandante.»
Ignorai
ciò che disse, troppo impegnata a mantenere la calma e a non
farmi
assalire dalla paura. Continuavo a chiedermi se Claire mi avesse
davvero presa in giro come pensavo, se fosse davvero alleata con lui,
proprio lui,
se stavo sognando o quello che mi stava succedendo era tutto reale.
Ma
no, non poteva esserlo.
«Mi
dispiace, non posso aiutarti.»
Drago
in tutta risposta ghignò e per un attimo parve
più giovane di
quanto già non fosse, più inquietante.
Puntellò i gomiti sulle
cosce, accorciando la distanza tra i nostri volti, e si
guardò le
mani con l'ombra di quel sorriso familiare sulle labbra.
«Non
mentirmi. Non voglio farti niente di male, Viandante. Desidero solo
riavere lei, tutto qui. Non mi sembra tanto difficile da
comprendere.»
«Cosa
mi fa pensare che tu non stia mentendo?» replicai,
acquistando una
sicurezza che fino a quel momento non avevo creduto di possedere.
«Potrebbe
testimoniarti la mia collega» sbottò, allungando
un braccio per
indicare la Cercatrice davanti alla cella, prima di inchiodarmi con
uno sguardo al limite del gentile «quanta
pazienza ho avuto
nell'ispezionare ogni punto di quel dannato deserto per trovare
almeno il suo corpo.
Ma
non è successo, il che mi ha spinto alla conclusione che voi
ribelli
l'avete catturata. Non ci vuole un genio per capirlo, sai?»
Atono,
freddo e brusco, Ali di Drago alzò di qualche ottava la
voce. Il suo
perdere facilmente le staffe bastò per farmi realizzare che
ora
avrei dovuto agire con molta cautela.
«Che
cosa ci ricaverei io da tutto questo?»
«Credo
che ti farebbe piacere rivedere i tuoi amici, o mi sbaglio?»
Drago
socchiuse le palpebre, riservandomi un'occhiata ammiccante che aveva
tutta l'aria di dover riuscire a convincermi.
Non
appena lo sentii pronunciare ''amici'' mi ricordai di Jeb, Kyle e
Trudy, e un groppone giunse subito ad ostruirmi la gola, seguito
seduta stante da un moto di rabbia che mi fece stringere le mani a
pugno e serrare la mascella. Chissà quanto c'entravano Drago
e
Claire nel loro rapimento?
«Non
posso fidarmi di te, mi spiace.» dichiarai, forse presa un
po'
troppo dal dolore e dall'ira per poter ribattere in un altro modo e
riflettere cautamente come mi ero promessa di fare.
Il
Cercatore, stizzito, si morse il labbro, fissandomi con fare
piuttosto nervoso mentre si alzava dalla sedia e raggiungeva il
centro della stanza. Si scambiò una rapida occhiata con la
donna,
poi tornò a guardare me.
«Di
solito io non scendo a patti coi trasgressori, Viandante.»
«Con
me lo stai facendo.»
«Forse
proprio perché si tratta di te.»
«Io
non sono diversa dagli altri.»
«Non
voglio aprire un dibattito su questo futile argomento.»
ringhiò,
appoggiando le mani alla sedia che strinse in maniera quasi
spasmodica, forse per scaricare un po' del nervoso che lo stava
assalendo.
Lo
trucidai con la forza del pensiero, voltandomi a guardare il soffitto
che avevo difronte per non concentrare l'attenzione su di lui o sul
dolore che iniziavo ad avvertire sui polsi. Pensai a Jeb, Melanie,
Ian. Ma più di tutto pensai a Lacey, alla
responsabilità che avevo
di tenere al sicuro almeno lei e chi era rimasto nelle grotte.
E
nonostante sapessi che sarebbe stato difficile proteggere tutti, mi
imposi di riuscirci. Lo dovevo ad ognuno di loro, soprattutto a Ian,
per il quale ora più che mai provavo uno sconfinato senso di
colpa.
«Te
lo chiedo un'altra volta: dov'è la Cercatrice?»
«Cercatore,
c'è stato un imprevisto.»
Si
diede il caso che, o per buona o per cattiva sorte – questo
lo
avrei constatato solo in seguito – nello stesso momento in
cui Ali
di Drago mi riproponeva la domanda, la sua collega ricevesse una
chiamata urgente da parte di qualcuno e che dovesse inevitabilmente
interrompere la nostra conversazione.
Drago
si girò verso di lei, poi di nuovo verso di me, io tuttavia
non gli
prestai la benché minima attenzione: continuai a fissare il
soffitto
e a sopportare il dolore ai polsi anche quando lui fu costretto ad
uscire e a farsi spiegare cosa stava succedendo all'orecchio.
«Ci
vediamo dopo.» disse poi Drago prima di aprire la porta e
uscire.
Provai
disperatamente a liberarmi dei lacci che mi tenevano bloccata, una,
due, tre volte. Ora che ebbi la sensazione di averli allentati
tuttavia mi immobilizzai, perché sentii entrare qualcuno.
Sospirai,
distendendo le mani per non tenermi troppo in tensione, e osservai
con la punta dell'occhio Claire intanto che si appoggiava al muro
difronte alle sbarre e si metteva a braccia conserte col capo chino.
Restammo
zitte per non so quanto tempo, minuti, forse ore, fatto sta che nel
lungo periodo di tempo in cui ci crogiolammo nei nostri pensieri, io
non smisi di chiedermi perché. Poi,
senza neanche
accorgermene, mi feci scappare dalla bocca un gemito di dolore a
causa della pressione che avevo esercitato coi lacci sulla pelle, e
fu così che Claire ebbe il coraggio di alzare lo sguardo
dalla punta
delle sue scarpe.
«Ti
fanno male?»
Mormorò
vicino alle sbarre.
«No,
sto bene.» fu la risposta perentoria che le diedi prima di
girare la
testa verso il muro ed allontanarmi almeno con lo sguardo da lei. Mi
sentivo offesa, illusa, tradita. Ed era ovvio che il piano per farmi
catturare era stato ben premeditato, motivo per cui ero decisa a non
considerarla minimamente.
Claire
senza dubbio avvertì il distacco della mia voce,
perché sospirò
con fare frustrato.
«Posso
slegarli se vuoi.»
Per
quanto la mia testardaggine volesse avere la meglio su tutto, non
potei fare niente per fermarla quando la sentii aprire la cella e
venire a liberarmi, se non cercare di trattenerla con le parole.
«Ho
detto che sto bene.»
«Lascia
che ti aiuti.» ormai li stava slegando.
Rimasi
in silenzio ad aspettare che finisse, contraendo la mascella non
appena percepii le sue dita sfiorarmi piano i polsi prima di
allontanarsi. Subito mi portai le mani al petto, massaggiandomi la
parte arrossata. Claire mi guardò e giurai di poter scorgere
della
compassione nei suoi occhi verdi.
«Non
cercare neanche per sogno di compatirmi.» dissi una volta che
lei
tornò al suo posto, distante e con lo sguardo rivolto
altrove.
«Senti,
W...»
«Lo
sai cos'è che più mi dà più
sui nervi? Che tu mi abbia fatto
credere di essermi amica. Hai mentito, hai mentito a tutti,
vendendomi ai nostri più acerrimi nemici senza pensarci due
volte.
Evidentemente ce l'hai proprio per vizio pugnalare le persone alle
spalle.» sbottai, interrompendola proprio ora che si era
decisa a
parlare. Ma chi se ne importava, ormai lì la buona
educazione e il
rispetto non si conoscevano più, tanto valeva comportarsi da
stronze
in maniera equa.
«Credimi,
non ho mai avuto intenzione di ferirti, Wanda. Io... noi...»
«Smettila,
Claire.»
«No»
replicò lei «fammi spiegare. E non pensare che
abbiamo fatto questo
con cattive intenzioni... Io non ho mai voluto fare tanto
male...»
«Eppure...»
«Eppure
sì, l'ho fatto. Ma non perché lo volevo io,
Wanda. Perché lo
voleva lui.»
Alzai
gli occhi su di lei e corrugai la fronte, perplessa. Che cosa stava
cercando di dirmi Claire? Voleva giustificarsi? Chiedermi scusa?
Passare per la vittima invece della colpevole?
«Mi
stai prendendo in giro?»
«No,
non ti sto prendendo in giro. Sto cercando di spiegarti
perché non
ho avuto scelta.»
I
lineamenti duri, lo sguardo spiritato, le narici dilatate. Era la
prima volta che la vedevo così, con l'aria di chi si sentiva
in
dovere di difendersi perché non aveva fatto niente
– anche se la
realtà dei fatti raccontava tutta un'altra storia.
«Sono
tutta orecchi.» replicai, scettica.
Claire
si appoggiò alle sbarre alle sue spalle, mettendosi a
braccia
conserte. «Non lo faccio perché mi piace, Wanda,
ma perché come tu
devi proteggere le persone che ami, anche io devo proteggere le
mie.»
«Ah,
sì? È diventata una guerra anche tra alleati
adesso? Facciamo la
selezione naturale tra chi può sopravvivere e chi no
pensando prima
a noi stessi e poi agli altri? Oh, scusa se non me ne ero accorta,
Claire. Io credevo in un mondo migliore, ma a quanto pare è
peggio
di quanto potessi immaginare. E qu...»
«Ho
una figlia, Wanda!»
Sbottò
di punto in bianco, quasi urlando, senza preamboli né
premesse, così
da gettarmi addosso una cosa del tutto inaspettata che sapeva un po'
come una secchiata d'acqua gelida. Socchiusi la bocca, smettendo
subito di parlare per elaborare le cinque parole che aveva appena
pronunciato e capire se stesse scherzando o facesse sul serio.
«T-tu...
cosa?» balbettai, sbattendo piano le palpebre per la sorpresa.
«Ho
una figlia, Wanda. Ed è per lei che faccio questo
lavoraccio.»
Continuai
a lanciare occhiate sconvolte a Claire senza dire una parola. Ero
scioccata.
«Lo
so che è difficile da credere. Ma la realtà dei
fatti è così e
non si può cambiare purtroppo.»
Corrugai
la fronte, confusa ulteriormente da quel "purtroppo".
«Perché dici così?»
«Perché
è terribile vivere con la consapevolezza di aver dato alla
luce un
figlio da due anni ma di non poterlo vedere crescere, dato che dei
dannati Cercatori te lo tengono lontano per poterti
minacciare.»
Claire
tirò su col naso e si asciugò velocemente la
guancia su cui era
scivolata in silenzio una lacrima, distogliendo l'attenzione da me ad
un punto indefinito davanti a sé.
Paradossalmente
fui colpita da un fiotto di compassione mentre rielaboravo la notizia
appena appresa e cercavo di riprendermi dallo shock.
Ero
davvero senza parole. Claire aveva una figlia per cui lottava ogni
giorno e per di più non poteva starle accanto. Se mi fossi
trovata
in altre circostanze forse le avrei detto che mi dispiaceva, che non
avrei voluto urtare la sua sensibilità, ma in quel momento
ero
travolta da un mare di emozioni contrastanti che non riuscivo a
condensare in nient'altro se non che in rabbia.
Rabbia
per Claire, per me stessa, per tutto.
Rabbia
per aver detto a Ian di prenderci una pausa.
Rabbia
per essere stata amica di sporchi doppiogiochisti.
Rabbia
per essere qui.
«Come
si chiama?» sussurrai, non vedendo in quale altro modo
potessi
renderla partecipe della mia non troppa solidarietà.
«Rachel.
Si chiama Rachel.»
«Quando...
quando ti sei alleata coi Cercatori?»
Claire
si sistemò una ciocca dietro l'orecchio, sospirando.
«Non
mi sono mai alleata con loro. Sono stata costretta a farlo quando ci
hanno catturato e...»
Claire
si interruppe nel momento in cui sentì la porta aprirsi
all'improvviso, girandosi di scatto per vedere chi stesse entrando
prima di uscire dalla cella e farsi scoprire dalla Cercatrice.
«Cosa
stavi facendo lì dentro?» le domandò
l'aliena, indurendo i
lineamenti del viso in un'espressione severa.
«Controllavo.»
«Nessuno
ti ha dato il permesso.» la incalzò l'altra,
acida, lanciandole
un'occhiata torva prima di voltarsi verso di me e fare altrettanto,
quindi strappò di mano le chiavi della cella a Claire.
«Mi
avevate detto che potevo vederla, dov'è?» chiese
quest'ultima
mentre la Cercatrice riapriva le sbarre e io stringevo
spasmodicamente la coperta marrone del letto perché no,
non
avevo la più pallida idea di dove mi avrebbe portata e non
lo volevo
nemmeno sapere.
«Questo
devi chiederlo al Cercatore quando sarà tornato.»
le rispose la
donna intanto che si avvicinava a me e mi prendeva per un braccio nel
tentativo di trascinarmi fuori di lì.
«Dove
mi state portando?»
Strattonai
la Cercatrice, trucidandola con lo sguardo. Lei in tutta risposta mi
regalò un sorriso di plastica, come per riuscire meglio
nella sua
impresa di assoggettarmi.
«In
un posto più sicuro.»
«Evita
di farmi il sorrisino che usate prima di uccidere le persone. Con me
non attacca.»
A
quelle parole si tolse dalla faccia quell'espressione da ebete che
tanto mi disgustava, sostituendola con una leggermente sorpresa.
Claire nel frattempo aveva assistito alla scena in silenzio e a
braccia conserte, coi denti che mordicchiavano nervosamente il labbro
inferiore.
Chissà
cosa pensava in quel momento, mentre io stavo ancora elaborando
quello che mi aveva detto poco prima e la dannata Cercatrice tentava
di portarmi via?
«Se
fai come ti dice non ti succederà niente.» mi
assicurò Claire
quando vide che proprio non ne volevo sapere di alzarmi dal letto e
uscire.
Le
lanciai uno sguardo inquieto, poi mi tirai su senza troppi
complimenti. La donna a quel punto le fece un cenno.
«Vai
a chiamare gli altri. Vogliamo la massima sicurezza durante il
trasferimento.»
Claire
asserì e andò via. Intanto, la Cercatrice
tirò fuori dalla tasca
della sua divisa un laccio nero, mi prese le mani e circondò
i
polsi, stringendo un po', quindi mi spinse fuori.
Quando
sorpassai la porta mi ritrovai in un corridoio lungo, lunghissimo, e
bianco, proprio come la cella da cui ero appena uscita. C'era
silenzio dietro le porte che oltrepassavamo, non un'anima che ci
incontrasse lungo il percorso.
L'odore
però era rivoltante: sapeva di disinfettante e candeggina,
ed era
così forte che per poco non vomitai sulle belle scarpe della
Cercatrice.
Finalmente
arrivammo in fondo al corridoio, dove si trovava una porta di ferro,
senza serratura. Accanto, nel muro, lo schermo di un marchingegno
diceva ''inserire password''.
Prima
di digitarla la donna guardò fuori, oltre uno dei due
quadrati in
vetro da cui mi tenne severamente lontana, poi cliccò sul
schermo e
la porta si aprì.
La
luce del sole era quasi accecante – ero rimasta incosciente
per
così tanto tempo? - i raggi rimbalzavo sulla sabbia del
deserto,
infastidendo le retine. Improvvisamente percepii più di una
mano
stringermi le braccia, più voci e più rumori.
Macchine,
persone, un elicottero.
Saranno
stati quattro o cinque i Cercatori che mi scortarono attraverso
quello che parve essere quasi un campo militare, uno mi aveva posato
la mano sulla testa per tenermela bassa, di modo che non potessi
vedere altro se non che i miei piedi calpestare la sabbia.
«È
tutto pronto?»
«Sì,
vi sta aspettando.»
«Ha
risolto la questione di prima?»
«Stanno
ancora cercando.»
All'orecchio
mi giungevano anche queste frasi senza senso, pronunciate un po'
così
dalle anime che mi circondavano. Poi tutto un tratto, sentii un'altra
voce.
Era
un po' più lontana rispetto al gruppo in cui mi trovavo, ma
comunque
nei paraggi.
«Wanda!»
Scattai
immediatamente verso la direzione da cui provenne quell'urlo,
chiedendomi se fosse veramente di chi pensavo oppure no.
«Wanda!»
«Ian...?
Ian!»
Era
ad una ventina di metri da me, due uomini muscolosi tentavano di
immobilizzarlo senza riuscirci. Non appena gli risposi
iniziò a
dimenarsi nella vana speranza di potermi raggiungere, e la stessa
cosa feci io.
«Muoviti.»
mi sibilò la Cercatrice, spingendomi con forza.
«No.
Ian!»
«Wanda,
sta tranquilla!»
Gridò,
poi mi sorrise. Fu un sorriso amaro, disperato. Un
sorriso che
riuscì a regalarmi un po' di luce in quel tunnel buio dove
mi
trovavo adesso.
Gli
occhi azzurri fissi sui miei, i capelli mossi dal vento, la maglietta
sporca o di sangue o di sabbia, il viso contratto in una smorfia di
sofferenza.
«Portatelo
via.»
«No,
NO!»
«Wanda,
andrà tutto bene. Tornerò a prenderti, te lo
prometto!» disse
prima che i Cercatori mi trascinassero di peso sul furgone che ci
aspettava poco più in là, ostruendomi la vista.
Ian,
no, per favore per favore. Due
lacrime iniziarono a rigarmi in silenzio le guance, riaprendo una
ferita che avevo sperato di non dover rimarginare proprio ora.
Lasciatemi
andare da lui, vi prego. Per favore.
«Fermatela.»
Wanda,
andrà tutto bene. Tornerò a prenderti, te lo
prometto.
Te
lo prometto.
Spazio
autore:
Nooo,
ma ho pubblicato veramente???
Mi
congratulo con me stessa.
Perdonatemi,
ma tra una cosa e l'altra negli ultimi due mesi ho dovuto affrontare
periodi un po' no che mi hanno fatto perdere l'ispirazione. Di per
sé
anche le scene stesse che dovevo mettere per iscritto non erano tanto
facili da elaborare, perciò... sì, insomma, ho
avuto qualche
problema.
Ma
spero che alla fine sia valsa comunque la pena aspettare per
così
tanto tempo, o no? Ceh, avete scoperto il grande enigma, gente,
quello attorno a cui è ruotato ogni capitolo di questa
storia *^*
Siete
''contente''? Vi aspettavate una cosa del genere oppure pensavate a
tutt'altra cosa?
Ditemi,
ditemi!
Prima
di andare ci tengo a ringraziare come sempre tutti coloro che
seguono/preferiscono/ricordano la storia. Siete sempre di
più
ragazzi, e avete pazienza anche se la vostra Sha ogni tanto fa
ritardi madornali!!!
Ma
dove li trovo lettori come voi? <3
Grazie
ancora, per tutto.
Sha
<3
|
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Capitolo 17 *** Forte abbastanza ***
17
Forte
abbastanza
Previously
on Up In The Sky...
[…]
«Dovremmo fermarci un attimo.» dissi tutto d'un
fiato, dando a
vedere una sicurezza che in realtà non possedevo.
«...
Fermarci.» ripeté incerto Ian, socchiudendo gli
occhi.
«Per
riflettere.»
«Ed
è una cosa... temporanea, Wanda?»
«Dipenderà
da noi.»
«...Fammi
un fischio quando la Wanda di cui mi sono innamorato si decide a
tornare indietro. Con questa che fa scelte per entrambi non voglio
avere niente a che fare.»
[…]
«A giudicare dalla tua espressione, non penso che tu mi
conosca come
io conosco te. Mi chiamo Ali di Drago. […] È da
tanto tempo che
aspetto questo momento, sai? Se non fosse stato per Claire molto
probabilmente non sarebbe mai arrivato. Devo ricordarmi di
ringraziarla.»
«C-che
cosa vuoi?»
«Oh,
non è nulla di che. Vorrei solo che tu mi facessi la
cortesia di
dirmi dove si trova la mia compagna.»
«Mi
dispiace, non posso aiutarti.»
[…]
«Te lo chiedo un'altra volta: dov'è la
Cercatrice?»
«Cercatore,
c'è stato un imprevisto.»
[…]
«Non pensare neanche di compatirmi.» ringhiai
contro Claire.
«...Sto
cercando di spiegarti perché sono stata costretta a farlo,
Wanda.»
«È
diventata una guerra anche tra alleati adesso? Facciamo la selezione
naturale tra chi può sopravvivere e chi no pensando prima a
noi
stessi e poi agli altri? Oh, scusa se non me ne ero accorta, Claire.
Io credevo in un mondo migliore, ma a quanto pare è peggio
di quanto
potessi immaginare. E qu...»
«Ho
una figlia, Wanda! Si chiama Rachel.»
[...]«Wanda!»
«Ian...?
Ian!»
Era
ad una ventina di metri da me, due uomini muscolosi tentavano di
immobilizzarlo senza riuscirci. Non appena gli risposi
iniziò a
dimenarsi nella vana speranza di potermi raggiungere, e la stessa
cosa feci io.
«Muoviti.»
mi sibilò la Cercatrice, spingendomi con forza.
«No.
Ian!»
«Wanda,
andrà tutto bene. Tornerò a prenderti, te lo
prometto!»
**
«Scusa.»
Il
sole stava spuntando oltre i canyon. L'aria fresca del mattino ci
graffiava piacevolmente le guance.
«Per
cosa?»
«Per
tante cose.»
Un
sospiro mi solleticò il collo. «Dovresti
smetterla.» mormorò, il
mento appoggiato sulla mia spalla. Potevo sentire il suo respiro
regolare sulla pelle, mentre col pollice disegnava ghirigori sul
dorso della mano che mi stringeva.
«Di
fare cosa?» domandai.
«Di
chiedere scusa.»
Aggrottai
la fronte e mi voltai a guardarlo. I suoi occhi erano limpidi,
sereni. «È giusto che te lo dica.» dissi.
«No,
non è vero. Non è colpa tua se adesso ci troviamo
in questa
situazione.»
Ian
mi strinse forte a sé. Una luce tenue ed eterea illuminava i
contorni del suo viso, rendendogli i capelli ancora più neri
e le
iridi ancora più azzurre.
«Se
avessi capito prima che Claire e Liam ci stavano mentendo, forse
adesso saremmo ancora insieme.»
«Tu
pensa al fatto che lo saremo di nuovo, Wanda.»
sussurrò, e
accarezzandomi una guancia sorrise dolcemente. «Pensa a
lottare per
noi.»
«Come?»
Ian
ritrasse la mano e si alzò. Allarmata, mi alzai anch'io. Il
sole mi
accecò per un attimo gli occhi, costringendomi a schermarne
i raggi
con un braccio. Ian, nel frattempo, era salito su un'altura e mi
guardava dall'alto come se mi stesse aspettando. A causa della
controluce i lineamenti del suo viso diventarono improvvisamente
più
difficile da scorgere.
«Lo
capirai, Wanda. Tu sei intelligente. E forte.» disse.
«Ma
io ho bisogno di te.» replicai a voce alta, mentre tentavo di
raggiungerlo. Poi mi fermai, consapevole del fatto che non ne sarei
stata in grado. Ian sembrava così lontano adesso,
però riuscivo a
vederlo sorridere nonostante il sole stesse diventando sempre
più
accecante.
«Non
per questo.» rispose, poi indietreggiò e infine mi
diede le spalle.
Camminò verso la luce fino a che non scomparve, risucchiato
dai
raggi del sole.
«Non
andare...»
Mi
resi conto di biascicare ad alta voce solo quando aprii gli occhi,
svegliandomi da un sonno in cui non credevo di essere caduta. Misi a
fuoco il pezzo di corda che, sporco e inquietante, sapevo di poter
trovare sempre lì, davanti a me, pronto per riportandomi
alla
memoria ricordi di cui avrei fatto volentieri a meno.
Mossi
piano le braccia, riottenendo un minimo di sensibilità senza
sentire
troppo dolore, poi un rumore di sbarre che si aprivano mi fece
riacquistare il contatto con la realtà.
«Per
oggi basta.» sentii dire a qualcuno.
La
solita frase, la solita storia. Non ricordavo quante volte me
l'avessero ripetuta da quando ero stata rinchiusa lì dentro;
sapevo
solo che la prima volta che l'avevano pronunciata mi ero sentita
quasi sollevata, poi però avevo capito
che quella non sarebbe
stata l'ultima. Non a caso infatti, era da due o
tre giorni
che avevo perso il conto.
«Allora
non hai intenzione di dirmi dov'è, Viandante?»
La
mia espressione impasse bastò ad evitare una risposta
verbale. Ali
di Drago mi afferrò per un braccio, trascinandomi con
sé dal pulito
ambiente delle classiche stanze da interrogatorio, quelle dalle
pareti chiare, un tavolo con due sedie al centro e le vetrate enormi,
ad uno decisamente meno ospitale.
La
stanza era tetra, l'unica apertura che c'era era una finistrella
sbarrata sul fondo, e dal soffitto in pietra pendevano due grosse
catene di ferro. L'aria odorava di ruggine e rinchiuso.
«Benvenuta.»
ghignò Drago quando mi legò alle catene,
obbligandomi a stare con
le braccia penzoloni e la schiena tesa «Ti presento la mia
stanza
preferita. Di solito ci vengo con la gente non troppo incline a
collaborare... pare che l'ambiente sia molto stimolante...»
«Immagino.»
commentai mentre mi guardava intorno, prima di tornare a osservare
Drago avvicinarsi alla parete di destra e chinarsi a raccogliere una
corda. Se la rigirò tra le mani.
«E
sai come faccio? Basta solo agitare questa, e dopo un po' iniziano a
chiacchierare.» disse intanto che me la posava sul collo.
«Vogliamo
fare la prova oppure fai la brava e mi dici quello che voglio
sapere?» Mi penetrò con lo sguardo, perfido e
malizioso.
«Va.
Al. Diavolo.» sibilai. Drago mi regalò un sorriso
di plastica,
forse sorpreso dalla mia risposta non troppo cortese, poi trasse un
respiro profondo. «Va bene.» disse tranquillamente,
prima di
arretrare di qualche passo e darmi le spalle. Cinque secondi dopo si
voltò di nuovo, di scatto. Un bruciore improvviso
iniziò a
propagarsi sul mio braccio destro, all'altezza del bicipite, e la
pelle si surriscaldò lì dove Drago mi aveva
appena colpito con la
corda, facendomi digrignare i denti dal dolore.
«Sai...
sarà la seconda o la terza volta che mi capita di torturare
una
donna, ma il fatto che stavolta ci sia tu
qui, rende tutto più elettrizzante. Sembra quasi un sogno
che
diventa realtà.»
«Tu
sei pazzo.»
«Mmh,
devo prenderlo come un complimento?»
Avrei
scommesso che stava sorridendo, ma non lo potevo sapere: adesso si
trovava dietro di me, al di fuori del mio campo visivo.
«Tu
te li scordi i miei compliment...» Lanciai un urlo,
interrompendomi
all'improvviso non appena percepii la corda colpirmi di nuovo, questa
volta sulla schiena.
«Voglio
sapere dove la tenete, Viandante.» mi sibilò
all'orecchio il
Cercatore, riscaldandomi col fiato la pelle sudata del collo. Quando
si allontanò per tornare a posizionarsi davanti a me, chiusi
gli
occhi e reclinai il capo all'indietro, stringendo i denti per
attutire il dolore che persisteva sulla schiena. Tuttavia, ancora
prima di potermi riprendere dal colpo, Drago me ne assestò
un altro.
Urlai
di nuovo, stavolta senza trattenermi dall'insultarlo. «Ah! Ti
odio lurido bastardo!»
«Sei
diventata tale quale a quei poveri umani, Viandante. Ma d'altronde,
lo sanno tutti che ormai sei una di
loro, giusto?»
Drago
aveva l'aria divertita di chi stava guardando un amico ubriaco
inciampare e cadere di faccia sull'asfalto umido di un marciapiede.
Sembrava godere
delle
mie smorfie di sofferenza, talmente era infido.
Sbattei
ripetutamente le palpebre, la bocca socchiusa, gli occhi puntati sul
pavimento di pietra, la schiena rovente come un accendino. Solo in
quel momento mi resi conto di avere le gambe che tremavano e il cuore
che mi rimbombava all'impazzata nelle orecchie. Era così
forte che
sembrava stordirmi.
«Continuiamo
domani.» disse d'un tratto Drago. Quando alzai lo sguardo lo
vidi
serrare la mascella e posare la corda dove l'aveva trovata. «Per
oggi basta.» aggiunse prima di voltarmi
le spalle e
andarsene dalla cella.
«Ti
servirebbe una doccia, Wanda.» Una voce familiare mi riscosse
dal
mio stato di torpore. Aprii meglio gli occhi e vidi davanti a me una
sagoma vestita di bianco. Era vicina. Talmente vicina che mi accorsi
di reggermi in piedi grazie a quel corpo, o meglio,
grazie al
corpo di Liam, che mi aveva liberato i polsi dalle
catene e
che adesso mi teneva su circondandomi con le sue braccia.
«L-Liam?»
blaterai mentre con una mano sporca e insanguinata gli toccavo la
divisa immacolata nel blando tentativo di ridurre il contatto.
«Lasciami andare...»
«Se
ti lascio andare cadi.»
«Non
m'importa.» borbottai con un filo di voce. Lui
alzò gli occhi al
cielo e sospirò. «Senti, lo so che non vuoi avere
a che fare con
me.»
«E
allora se lo sai lasciami.» ribadii e asserii soddisfatta
quando si
allontanò. Per non perdere l'equilibrio andai subito ad
appoggiarmi
al muro vicino, dunque mi lasciai cadere per terra, portandomi le
gambe al petto.
«Mi
dispiace tanto per quello che ti sta facendo, Wanda. Credimi, mi
sento terribilmente in colpa.» Liam, che nel frattempo era
rimasto
zitto a fissarmi con aria affranta, mi si chinò davanti.
Sembrava
realmente turbato in viso.
«Che
cosa vuoi? Perché sei qui?» gli chiesi, fredda e
distaccata, mentre
osservavo i graffi che avevo su braccia e gambe. Non osavo immaginare
in quale stato si trovasse la schiena: dalla sensazione che avevo del
sangue incrostato tra la pelle e la maglietta, non doveva essere
nelle migliori delle condizioni.
«Perché
voglio aiutarti.»
«Ah,
sì? Questa è bella...» risi senza
ostentare un briciolo di
divertimento né di energia. Ormai non sapevo cos'erano
né l'uno né
l'altro.
«Mi
è stato chiesto di venire qui per darti
un'occhiata.»
«E
perché hanno scelto proprio te tra tutti i
Guaritori?»
«Perché
ho voluto essere io quello che doveva curarti.»
«Davvero
commovente.» bofonchiai «Ma non vedo cosa tu possa
guadagnarci da
questo profondo gesto d'affetto. Sai, ho smesso di fidarmi di te da
un po' ormai.»
La
risata amara di Liam smorzò la tensione presente nell'aria.
Lo vidi
scuotere la testa come se fosse stato esasperato e divertito al tempo
stesso. «Ma guardati, Wanda.» disse, indicandomi
con un cenno del
capo. «Sei deperita, sporca, isolata. Non sembri neanche
più tu.
Pensi sia questo il momento di far finta di non avere bisogno
d'aiuto?»
Non
risposi. Appoggiai la testa al muro e presi a fissare il soffitto di
pietra, inerme. Perché mai avrei dovuto dare retta ad uno
dei tanti
che avevano contribuito a cacciarmi in quella situazione? Lui era
l'ultimo a cui avrei dato attenzione, l'ultimo che avrei cercato per
tirarmi fuori di lì. E lo stesso trattamento l'avrei
riservato anche
a Claire se, in tutto quel tempo in cui ormai mi trovavo in prigione,
mi avesse mai fatto visita. Evidentemente aveva inteso che non si
sarebbe più dovuta scomodare dall'ultima volta che mi aveva
rivolto
la parola, e di questo non potevo che esserle grata, dal momento che
rivedere la sua faccia non era di certo uno dei miei più
fervidi
desideri.
«Io
non ho bisogno del tuo aiuto...»
«E
invece sì.»
«...
E poi perché dovete curarmi? Perché vuole
che mi curiate?
Forse ho iniziato a farvi abbastanza pena da poter ottenere le vostre
attenzioni? Be', Liam, notizia dell'ultima ora: io non voglio che
nessuno provi pena per me, né compassione né
altro. Non voglio
essere curata, non voglio essere aiutata, specialmente da te. L'unica
cosa che voglio è che tutti i miei compagni stiano bene e
che
tornino a casa sani e salvi senza che un qualche Cercatore
psicopatico o le sue marionette intralcino loro la strada.»
sbottai
a voce alta, utilizzando quel poco di energie che avevo per
spiattellargli in faccia il risentimento e il disprezzo che provavo
nei suoi confronti. Liam mi guardò per tutto il tempo con
un'espressione indecifrabile sul viso, poi abbassò lo
sguardo e
fissò per qualche istante il pavimento.
«Wanda...
ti prego, lascia che ti visiti. Capisco la tua rabbia e tutto il
resto, ma se continuerai a rimanere in queste condizioni ci saranno
delle conseguenze non trascurabili... C'è il rischio di
dissanguamento, infezioni... Ti prego.»
«Perché
mi preghi?»
«Perché
sono parzialmente responsabile di quello che ti sta succedendo e
perché... perché ho capito di tenere a te. E lo
so che adesso
vorrai insultarmi per quella che può sembrare una fesseria,
soprattutto se te la dice proprio chi ti ha fatto del male, ma io lo
penso davvero. Non so qual è il motivo per cui con te
è diverso,
non te lo saprei spiegare, ma ti assicuro che è
così.» concluse.
Ora sembrava essersi ammansito. Mi guardava senza nessuna pretesa
né
sicurezza. Probabilmente si era anche accorto dei miei occhi divenuti
lucidi dal momento in cui aveva pronunciato il primo ''ti prego''.
«Vattene
via, Liam.» dissi con lo sguardo rivolto verso il pavimento.
Liam
rimase immobile per qualche attimo, preso in contropiede dalle mie
parole, poi aprì la bocca, ma lo interruppi da subito.
«Vattene.»
Non
avevo più niente da dirgli, niente da perdere. Per quanto mi
riguardava, la sua presenza in quella cella poteva definirsi
superflua. E dunque, probabilmente perché avevo ben
esplicitato la
mia irremovibilità, Liam non disse più niente, si
limitò a
lanciarmi uno sguardo apprensivo prima di chiudersi le sbarre alle
spalle. Poi se ne andò, e io fui finalmente libera di
soffocare le
paure e le insicurezze che tentavo di nascondere ogni giorno nelle
lacrime. Per mia grande fortuna tuttavia, il sonno ebbe la meglio
ancora prima di potermene accorgere.
«Non
sono forte abbastanza, Ian.»
«Sì
che lo sei.»
«No,
non lo sono, Ian. Quante altre volte dovrò ripetertelo prima
che tu
capisca?!» sbottai esasperata, alzandomi dal masso su cui
eravamo
entrambi seduti. Stavolta il sole stava tramontando e il vento caldo
del deserto cominciava ad essere più freddo e secco, il
cielo
colorato di un rosso aranciato.
«Wanda,
io so che
lo sei.»
mormorò dopo essersi alzato a sua volta ed avermi circondato
il viso
con le mani. «Non insisterei tanto se pensassi il
contrario.»
«E
allora perché mi sembra di cadere sempre più
giù ogni giorno che
passa?» sussurrai. Una lacrima mi inumidì in
silenzio l'angolo
esterno dell'occhio destro, ma Ian l'asciugò col pollice
prima di
poter scivolare via. «Devi avere più fiducia in te
stessa, Wanda.»
«Mi
sento così sola, Ian... Non so nemmeno da quanto tempo sono
rinchiusa là dentro. E... e Liam ha ragione a dire che...
che le
mie condizioni non sono delle migliori. Sto tanto male, Ian, e non so
per quanto ancora potrò resistere.» dissi, la voce
incrinata e resa
instabile da un vile tremolio.
Lui
sorrise di un sorriso spento, triste, guardandomi come non mi
guardava da tempo.
Per
un attimo mi sentii di nuovo a casa, veramente
a casa.
«Non
avrei mai voluto questo per te.» sussurrò.
«Io
non avrei mai voluto questo per voi. Se solo non ci fossi stata,
io...»
«Se
tu non ci fossi stata sarebbe stato un mondo più buio,
Wanda. E io
non avrei mai amato nessuno.»
Stavolta
fui io a sorridere, poi mi alzai sulle punte e appoggiai le mani sul
suo petto per poterlo baciare. Ian attorcigliò le dita ai
miei
capelli e posò le labbra sulle mie. Fu un bacio dolce,
leggero, che
sapeva di lui. Poi, nel momento stesso in cui ci scostammo per
guardarci negli occhi, venni risucchiata dalla luce del sole.
Tu,
tum, tu, tum, tu, tum.
Il
rumore familiare di passi che si avvicinavano mi riscosse dal sonno.
Mi voltai verso le sbarre e in automatico mi accovacciai nell'angolo,
aspettando di incontrare Ali di Drago insieme alla sua scorta.
Tuttavia, quando ai passi si aggiunsero delle voci indistinte
mescolate a un pianto o qualcosa del genere, e il gruppo di Cercatori
che scesero in corridoio passarono oltre le mie sbarre scortando
un'altra persona, rimasi basita. Era la prima volta che non venivano
per me, ma soprattutto era la prima volta che venivano con un altro
prigioniero. Li vidi spingerlo dentro alla cella di fronte alla mia,
borbottando e lamentandosi del lavoraccio che erano tenuti a fare,
per poi andarsene senza degnarmi di un solo sguardo. Quando fui certa
che fossero spariti, uscii dall'angolo in cui mi ero rintanata e mi
trascinai verso le sbarre. La figura del nuovo arrivato era per
metà
nascosta dall'ombra e per metà toccata dal sole. Non
riuscivo a
capire se fosse giovane o meno, ma dai singhiozzi da cui era scossa
intuii che si trattava di una donna.
«Chi
sei?» domandai, acuendo la vista per poter scorgere il suo
volto.
Lei si zittì, come se fino a quel momento non si fosse
accorta di
me, e rimase per qualche attimo in silenzio finché non la
vidi
immobilizzarsi. Aveva cessato di singhiozzare e nel momento in cui si
era decisa a muoversi verso la luce, mi parve di scorgere un balenio
azzurro – tra l'altro molto simile al mio
– nei
suoi occhi...
«Viandante?»
domandò sorpresa.
Spazio
autore:
Oooookay,
gente. Lo so che stavolta mi avete creduta davvero morta
e
sepolta, e fidatevi, anche io per qualche tempo l'ho pensato, poi
però ho detto che da qualche parte su un tale sito di nome
EFP
c'erano delle anime che non potevo abbandonare e, annessi il senso di
colpa, la vena ispiratrice e il capitolo scritto per un quarto su
Word, ho deciso di mettermi sotto per pubblicare.
So
che non è uno di quei capitoli bomba in cui si rivoltano le
cose e
succedono miracoli e/o disastri, e che non è neanche tanto
lungo,
però me lo dovevo e ve lo dovevo.
Ricordo bene che l'ultimo
aggiornamento – risalente a novembre, ma non diciamolo,
sssshhh >.<
– ha avuto un calo di commenti e che in generale io stessa
sentivo
di non voler dare il massimo e quindi molto probabilmente di non
meritarmi chissà cosa. Forse però sarà
stato anche il fatto di
essermi sentita un po' ''abbandonata'' che ha contribuito a lasciar
perdere per un po' di mesi Up, insieme con impegni,
problemi,
studi, stress, stanchezza e altre cose ovviamente. Ho pensato di non
aver saputo portare avanti come si deve la storia, di avervi un po'
annoiato, così sono rimasta in stand by per qualche tempo
con la
speranza di poter ritrovare la voglia di fare, l'ispirazione. Ogni
tanto passavo a controllare e un bel giorno mi sono resa conto che
tante persone avevano aggiunto la mia fanfiction nelle seguite o
nelle preferite. Siete diventati un bel po' e penso sia stato questo
ad aver fatto scoccare la scintilla. Eravate lì, un numerino
microscopico nell'intero universo, ad aumentare in silenzio, e mi
sono detta che non potevo starmene nell'angolo a guardare. C'eravate
anche se non c'erano nuove recensioni, non mi avevate abbandonata,
alcuni contavano su di me per continuare questa storia. Così
eccomi
qui a lagnarvi con i miei spazi autori ultralunghi in cui non dovrei
di certo scrivere tre papiri di robe che c'entrano poco e niente col
capitolo. Eccomi mi qui a chiedermi se ci siete ancora, se qualcuno
di voi mi ha aspettata fino ad oggi... E come si suol dire, se ci
siete battete un colpo, risponderò a tutte le vostre
curiosità e
supposizioni riguardanti il capitolo. Sarò pronta a
prendermi uova e
pomodori in faccia :D
E
dopo questa divina commedia mi congedo, miei prodi. A voi la parola.
See
you soon,
Sha
[ho cambiato nickname se non avete notato. Prima mi chiamavo
Shasomsal88 mentre
adesso sono _Safyra.
Ovviamente continuerò a firmarmi col diminutivo del mio nome
nonostante la modifica, quindi non temete se vedete un nick
sconosciuto nelle varie sezioni. Sono sempre io;)]
|
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Capitolo 18 *** Nell'incoscienza ***
Previously
on Up In The Sky...
[…]
«A giudicare dalla tua espressione, non penso che tu mi
conosca come
io conosco te. Mi chiamo Ali di Drago. […] È da
tanto tempo che
aspetto questo momento, sai? Se non fosse stato per Claire molto
probabilmente non sarebbe mai arrivato. Devo ricordarmi di
ringraziarla.»
«C-che
cosa vuoi?»
«Oh,
non è nulla di che. Vorrei solo che tu mi facessi la
cortesia di
dirmi dove si trova la mia compagna.»
«Mi
dispiace, non posso aiutarti.»
[…]
«Te lo chiedo un'altra volta: dov'è la
Cercatrice?»
«Cercatore,
c'è stato un imprevisto.»
[…]
«Non pensare neanche di compatirmi.» ringhiai
contro Claire.
«...Ho
una figlia, Wanda! Si chiama Rachel.»
[…]
«Se
avessi capito
prima che Claire e Liam ci stavano mentendo, forse adesso saremmo
ancora insieme.»
«Tu
pensa al fatto che lo saremo di nuovo, Wanda.»
sussurrò, e
accarezzandomi una guancia sorrise dolcemente. «Pensa a
lottare per
noi.»
«Come?»
Ian
ritrasse la mano e si alzò. «Lo capirai, Wanda. Tu
sei
intelligente. E forte.» disse.
«Ma
io ho bisogno di te.»
«Non
per questo.»
[…]
«Allora non hai intenzione di dirmi dov'è,
Viandante?»
La
mia espressione impasse bastò ad evitare una risposta
verbale. […]
La stanza era tetra, l'unica apertura che c'era era una finistrella
sbarrata sul fondo, e dal soffitto in pietra pendevano due grosse
catene di ferro. L'aria odorava di ruggine e rinchiuso.
«Benvenuta.»
ghignò Drago.
Un
bruciore improvviso iniziò a propagarsi sul mio braccio
destro,
all'altezza del bicipite, e la pelle si surriscaldò
lì dove Drago
mi aveva appena colpito con la corda, facendomi digrignare i denti
dal dolore.
«Continuiamo
domani. Per oggi basta.»
[…]
«Mi dispiace tanto per quello che ti sta facendo, Wanda.
Credimi, mi
sento terribilmente in colpa.» Liam, che nel frattempo era
rimasto
zitto a fissarmi con aria affranta, mi si chinò davanti.
Sembrava
realmente turbato in viso.
«Che
cosa vuoi? Perché sei qui?»
«Perché
voglio aiutarti.»
«Io
non ho bisogno del tuo aiuto.»
[…]
«Non
sono forte
abbastanza, Ian.»
«Sì
che lo sei.»
«No,
non lo sono, Ian. Quante altre volte dovrò ripetertelo prima
che tu
capisca?!» sbottai esasperata.
«Devi
avere più fiducia in te stessa, Wanda.»
[…]
Il rumore familiare di passi che si avvicinavano mi riscosse dal
sonno. «Chi sei?» domandai, acuendo
la vista per poter
scorgere il suo volto. Lei si zittì, come se fino a quel
momento non
si fosse accorta di me, e rimase per qualche attimo in silenzio
finché non la vidi immobilizzarsi. Aveva cessato di
singhiozzare e
nel momento in cui si era decisa a muoversi verso la luce, mi parve
di scorgere un balenio azzurro – tra l'altro molto simile al mio
– nei suoi occhi...
«Viandante?»
domandò sorpresa.
18
Nell'incoscienza
«Ilaria?»
Fissai
la Consolatrice per qualche minuto, attonita. Era esattamente come la
ricordavo, se non che i capelli erano più lunghi. Avrei
giurato di
scorgere anche qualche ruga in più, ma non ne ero sicura.
Non
sembrava avere né graffi né ferite, anzi, la
canottiera sotto la
camicia azzurra era perfettamente intatta. L'unica cosa che strideva
erano gli occhi lucidi e il trucco sbavato sulle guance.
«Sei
davvero tu?» domandò con lo stesso tono sorpreso
con cui aveva
pronunciato il mio nome. Per guardarmi meglio si era avvicinata fino
ad appoggiare le mani alle sbarre.
«Sì,
ma... che ci fai qui? E come fai a sapere qual è il mio
aspetto?»
«Io
sapevo che eri qui.» disse mentre asseriva fra sé.
«È da così
tanto tempo che non ci vediamo, Viandante.»
«Tu
sapevi che ero qui?» le feci eco.
«Sì...
è che le cose non sono andate come dovevano e...»
«Chi
ti ha mandata?» la incalzai, poi socchiusi gli occhi.
«È stato
lui, vero? Drago.»
Ilaria
sospirò e annuì con la testa. «Sono
cambiate molte cose da quando
sei scomparsa, Viandante. Per non parlare di quello che è
successo
dopo che lui ha preso il posto della tua Cercatrice.»
In
quel momento mi sembrò di tornare indietro di mesi e mesi,
all'ultimo giorno in cui avevo parlato a quattr'occhi con Ilaria nel
suo studio. E fu strano rievocare un ricordo della mia vecchia vita,
durata tanto brevemente quanto intensamente. Fu strano
perché non
avrei mai creduto di poterlo – e volerlo –
mai più fare.
Era come se l'avessi rimossa, quella primissima parte della mia
permanenza sulla Terra.
«Quando
anche lei è scomparsa, il Cercatore ha perso il lume della
ragione.
Ha mandato nel deserto tante squadre, ha fatto ricerche per
settimane. E nello stesso periodo ha cominciato ad interrogare tutte
le anime che ti conoscevano, per poterne sapere di più sul
tuo
conto.»
Ilaria
proseguì, le mani ben strette intorno alle sbarre come se ci
si
volesse aggrappare.
«Perché?»
«Perché
era sicuro che tu non eri morta e che c'entravi in questa storia, in
qualche modo. Così, un giorno si è presentato a
casa mia. Mi ha
fatto molte domande, tentando di capire di più. Pensava che
io
sapessi qualcosa perché ero stata la tua Consolatrice, ma tu
non mi
avevi detto mai niente della tua ospite né di altro, quindi
non
potevo aiutarlo. Ciononostante lui non mi ha creduto... e mi ha
portata via con sé.»
Ilaria
abbassò lo sguardo, la voce tremante. «Mi ha
privato di tutto, di
tutto quello che potevo avere. E adesso vivo nell'attesa di poter
porre fine ad ogni ingiustizia che sono stata costretta a
subire.»
tirò su col naso e si asciugò velocemente le
lacrime.
«È
per questo che sei qui ora?» le domandai mentre si
ricomponeva e
tornava a guardarmi.
«Oh,
no. Non sono qui per questo.»
Aspettai
che proseguisse con la fronte corrugata. Mille pensieri vorticavano
senza ordine nei meandri della mia mente.
«Sono
qui perché circa due settimane fa sono stati catturati degli
umani.
Mi era stato dato il compito di estorcere loro delle informazioni con
l'aiuto di alcuni Cercatori. Si trattava di due uomini e una donna.
Non ricordo bene i nomi, ma so che ti conoscevano.»
«Aspetta.»
la interruppi «Mi stai dicendo che hai incontrato Jeb? E
Kyle? Erano
loro?»
«Sì,
ho incontrato Kyle.»
Sgranai
gli occhi, terrore mischiato a speranza invase il mio cuore.
Ricordavo quello che mi aveva detto Claire, ricordavo quanto male mi
avesse fatto sapere che i miei amici erano stati catturati. Ma avevo
sempre cercato di non crederci davvero, di convincermi del fatto che
Claire avesse semplicemente imbrogliato.
Adesso
non sapevo più a cosa credere.
«E
come stanno? Dove li tengono?»
Ilaria
sorrise, ma il suo fu piuttosto un sorriso incolore, spento. La
speranza scivolò improvvisamente via.
«Mi
avevano detto che eri loro amica, Viandante. Si erano fidati di me,
come avevo voluto che accadesse. Ma vedendo che non arrivavano nuove
informazioni, il Cercatore ha deciso di...»
Dei
passi concitati giunsero dalla porta infondo al corridoio.
«Sta
arrivando qualcuno.» Ilaria sussurrò, spostandosi
lontano dalle
sbarre.
«Ilaria,
dimmi il resto. Prima che arrivi.»
Mi
avvicinai di più alle sbarre e aguzzai l'udito per poterla
sentire
bene.
«No,
no, Viandante. Se poi ci sente...»
«Tu
parla sottovoce. Avanti.»
La
Consolatrice esitò per qualche istante, lo sguardo rivolto
verso la
porta. Era terrorizzata, glielo leggevo in faccia. Forse lo eravamo
entrambe, ma questo poco importava.
L'ombra
di qualcuno comparì dalla fessura sotto la porta.
«Gli
altri non ce l'hanno fatta, ma Kyle è riuscito a scappare.
L'ho
liberato io, abbiamo architettato un piano insieme. Il Cercatore
pensa che me lo sia fatto sfuggire, ed è per questo che mi
ha
interrogata prima di rinchiudermi qui. Io non gli ho detto niente
però, nemmeno che tu e Kyle siete amici.»
balbettò velocemente.
«Questo
quanto tempo fa è successo?»
Ilaria
sorrise. «Per ironia della sorte Kyle è evaso lo
stesso giorno in
cui ti hanno messa in cella sotto sedativi.»
Ecco
perché,
pensai, ecco
perché mentre il Cercatore mi interrogava è
dovuto andare via. Era
questo il
problema di
cui parlava con l'altra Cercatrice.
«E
agli altri cos'è successo?»
La
chiave stava girando nella toppa.
«Cos'è
successo, Ilaria?» insistetti.
Silenzio.
«Io.»
intervenne Ali di Drago quando entrò nella stanza.
«Sono successo.»
Trasalii,
e ancora prima di rendermene conto mi acquattai lontano dalle sbarre.
Drago camminò fino a trovarsi di fronte alle nostre due
celle. Un
ghigno spaventoso gli increspava le labbra. Si voltò a
guardare
prima Ilaria, ritornata nell'ombra, e poi me. La divisa era sempre
impeccabile.
«Non
ti pare ovvio?» mi chiese. La malevolenza gli si leggeva
negli
occhi. «Non vedi come le cose vanno per il verso giusto
adesso? I
giusti al potere, i traditori puniti.» aveva alzato una mano
per
indicare prima se stesso e poi me, dunque aveva fatto spallucce.
«E
i ribelli catturati.»
Cessai
di respirare per qualche secondo, e pensai ai miei compagni. La paura
che potesse succedere loro qualcosa di brutto mi investì
come una
macchina in corsa.
«Tutto
andrebbe secondo i piani...» Drago nel frattempo
portò avanti
quello che si era delineato più come un monologo che altro.
«...se
solo non venissi a sapere che nonostante tutto ciò
che ho fatto,
qualcuno si ostina a disobbedire ai miei ordini, come se avesse
davvero il diritto di farlo. Guardami quando ti parlo,
Viandante.»
sibilò dopo essersi voltato completamente verso di me.
Constatai
che la presenza di Ilaria, ancora immobile con lo sguardo rivolto
verso il basso in un'espressione di malcelata insofferenza, Ali di
Drago faticava a considerarla. Era piuttosto intento a studiare la
mia inflessibilità di fronte a quel suo chiaro avviso di
rabbia.
Mi
girai lentamente a guardarlo, l'espressione impassibile.
«Perché
disubbidisci?» tuonò.
«Perché
non voglio sottostare alle regole di nessuno.»
I
lineamenti di Drago vennero contorti da un eccesso d'ira. «Ma
ti ho
anche fatto la cortesia di portarti il tuo vecchio amico, non un
comune Guaritore, Viandante.»
«Non
mi sento in dovere di ringraziarti per questo.»
«E
invece dovresti!» gridò, battendo un piede per
terra e stringendo i
pugni. Sussultai e distolsi lo sguardo da lui.
«Perché mi costringi
a farti del male, dannazione?! Sarebbe tutto così
facile...»
Drago
lasciò morire la frase nel silenzio. Restò
così per qualche
istante, fissando la mia figura nell'ombra, poi si mosse.
Estrasse
le chiavi dalla divisa, aprì la cella e venne ad afferrarmi
un
braccio. Mi fece alzare di peso e dovetti seguirlo nonostante i
dolori al corpo, sotto lo sguardo pietrificato di Ilaria, che
assistette alla scena senza fiatare. Uscimmo dal lugubre tugurio di
pietra e terra da cui non mi ero mai allontanata prima d'allora,
salimmo la scala di metallo e ci ritrovammo a percorrere un lungo
corridoio bianco e illuminato. Drago nel frattempo tirò
fuori dalla
divisa delle manette, me le mise dietro la schiena e mi spinse
davanti a lui, ignorando le occhiate dei passanti.
Mi
buttò fuori con la dovuta delicatezza, facendomi cadere di
faccia
sul terreno arido e sabbioso di un campo militare. Appena atterrai mi
sentii la sabbia in bocca e gli occhi di decine e decine di anime
addosso: quelle più vicine si erano fermate ad osservare la
scena.
Tossii,
ritrovandomi stesa su un fianco con la guancia destra a contatto con
la sabbia rovente, mentre Drago rimaneva a qualche metro di distanza
con gli occhi fissi su di me.
«Se
non hai nessun motivo per cui voler essere curata.» disse
senza
alcun ritegno «Allora te ne darò uno io.»
Col
cuore in gola e il respiro corto, alzai lo sguardo e vidi Drago
manipolare con fare esperto una cosa lunga, sottile, nera, che gli
aveva dato un Cercatore che adesso si stava allontanando per poter
assistere da lontano. Una frusta.
Cielo,
no., pensai
immediatamente,
tornando d'un tratto a sentire sulla schiena le ferite causate dalla
corda. Non avevo subìto abbastanza per quel giorno? Non
valeva più
l'espressione ''per oggi basta''?
Chiusi
gli occhi e trattenni il fiato. Poi la sentii, la consistenza dura e
ardente della frusta che mi si conficcava nella pelle, lacerandola,
strappandola una, due, tre volte. Gridai tra la sofferenza e le
lacrime, dimentica delle decine di Cercatori presenti intorno a noi.
«Eppure
sai, ti credevo più sveglia, Viandante. Più in
grado di rimanere
fedele ai principi con cui sei nata e cresciuta. Ma evidentemente gli
umani ti hanno fatto perdere del tutto la ragione.»
Un
altro colpo, un altro urlo. Il sole rovente del deserto sembrava
farmi bruciare ancora di più le ferite che erano tornate a
sanguinare, la sabbia mi si era incastrata sotto le unghie e in gola.
«Basterebbe
solo che mi dicessi la verità, Viandante.»
continuò imperterrito
Ali di Drago, senza curarsi degli sguardi impressionati dei presenti.
Percepivo
il retrogusto metallico del sangue, l'adrenalina nelle vene che mi
faceva tremare ogni terminazione nervosa, il sudore sulla pelle
gelida nonostante il caldo. E vedevo tutto girare un po' troppo
perché potessi riprendermi subito come altre volte.
Drago
sferrò un'altra frustrata prima che le parole mi uscissero
di bocca
da sole.
«NON
C'E' PIU' LA TUA CERCATRICE!»
Drago
si fermò, guardandomi mentre mi trascinavo coi gomiti sulla
sabbia.
Poco dopo mi ritrovai i suoi stivali neri sotto gli occhi.
«Come?»
domandò.
Respirai
a fondo. «Non c'è più...»
Drago
serrò i denti, le palpebre tremanti per la rabbia mista
all'incredulità, poi mi prese improvvisamente per i capelli,
costringendomi a mettermi in ginocchio davanti a lui.
«Basta...
ti prego.» sussurrai singhiozzando. Un istante dopo, la porta
da
dove eravamo usciti si spalancò e Liam fece irruzione nel
campo.
Indossava anche lui la divisa. Appena mi vide rimase immobile a
fissarmi. Ma Drago non si curò del suo arrivo, e
continuò a tenermi
per i capelli perché potesse guardarmi in faccia.
«Cosa.
Hai. Detto?» sillabò. E stavolta la sua voce era
stata scossa da un
vile tremolio. Teneva la mandibola contratta, gli occhi vitrei nei
miei, a cercarci qualcosa che non poteva – o non voleva
–
trovare.
«Non
c'è più.» mormorai di nuovo. Chiusi gli
occhi. Silenzio. Drago non
smise di fissarmi. «Tu menti.» concluse poco dopo,
in tono
arrogante.
«No,
no... Non mento.»
«Invece
sì, dannazione! Stai mentendo, STAI MENTENDO!»
gridò così
forte che per poco non mi ruppe i timpani. Ma la cosa che mi fece
più
male fu il pugno con cui mi catapultò per terra. Sentii
qualcosa
risalirmi dallo stomaco. Iniziai a tossire, ma non accadde nulla.
Tutto continuava a girare, stavolta anche troppo, e il labbro
inferiore stava cominciando a pulsare.
«Io
ti uccido. Ti uccido.»
In
uno scatto, Drago estrasse una pistola e me la puntò in
testa.
Improvvisamente un formicolio sempre più intenso si
propagò dalle
braccia fino alle gambe, seguito dalla sensazione di cadere. Il cuore
mi batteva tanto forte da farmi quasi male.
L'ultima
cosa che sentii fu Liam che urlava «NO!» mentre
correva verso di
noi.
§
«Ci
sei riuscito. Strano.»
Sotto
le palpebre c'erano milioni di puntini su sfondo nero. Si muovevano
senza spostarsi, creando piccole scie che scomparivano subito dopo.
«Sarebbe
stato da stupidi lasciarlo fare, non credi?» si avvicinarono
due
voci familiari.
«Pensi
che abbia detto la verità?»
Un
attimo di silenzio. «Sì.»
«Cosa
te lo fa credere?»
Percepii
una leggera pressione alla mano destra, qualcosa di caldo, poi
più
niente. «Non lo so. So solo che è
così.»
«Cosa
ha detto di voler fare lui?» chiese la prima voce.
Un
sospiro concitato. «Ha fatto inviare due crioserbatoi al
centro. Ha
intenzione di scoprire tutto indagando nelle menti di quei due
prigionieri. Se tu gli hai detto che erano suoi amici, forse potrebbe
trovare qualcosa.»
«Beh,
ha senso.»
«E
invece non ha per niente senso.» proruppe la seconda.
«Perché?»
«Perché
la verità la sa già e non c'è bisogno
di uccidere due persone
innocenti. E poi tu avresti potuto tenere la bocca chiusa, invece di
fare l'egoista come sempre.»
«Scusami
se non voglio andare nei casini, Liam, ma ti ricordo che se mi
comporto in una certa maniera, non è per me stessa, ma
per...»
«Senti,
Claire, piantala di mettere sempre in mezzo Rachel. Non è
solo per
lei che te ne infischi della gente, e lo sappiamo tutti qui dentro.
Io per primo. Ti conosco.»
Qualcosa
strusciò sul pavimento, probabilmente una sedia.
«Pensi che io sia
felice di vivere sotto le continue pressioni di questi parassiti,
Liam? Pensi che io non stia male quando abbraccio mia figlia prima di
andarmene, sapendo che non potrei rivederla più? Non
è così
facile, per niente. Anzi, è terribile,
devastante.» sbottò lei.
«Se
quella notte fossi rimasta con me invece di sgattaiolare da Thomas,
tutto questo non sarebbe successo.» quelle parole furono
pronunciate
tanto sottovoce da non poter essere udite da Claire.
«Cosa
hai detto?»
«Niente,
non ho detto niente.»
«Ce
l'hai ancora con me vero? Per quello che ti ho fatto. Lo vedo nei
tuoi occhi, il rancore che provi nei miei confronti. È per
questo
che quando ti parlo sei sempre sulla difensiva, sempre
sprezzante.»
Silenzio.
Un altro sospiro, molto profondo.
«Io
ti amavo. E ho sacrificato la mia vita per stare con te. Poi, per
qualche crudele scherzo del destino, tu hai deciso di sacrificare la
nostra.»
Mi
aspettai una controbattuta da parte di Claire, ma non fu
così. Me la
immaginai mentre abbassava lo sguardo e incrociava le braccia, a
disagio per la frecciata che aveva appena ricevuto da Liam. Poi
sentii un'altra pressione, questa volta sul viso. Mi resi conto solo
in quel momento di aleggiare in uno stato particolare in cui potevo
sentire ciò che avevo intorno ma non potevo fare niente per
aprire
gli occhi e alzarmi.
«Liam,
io...»
«Cosa?»
«Mi
dispiace, per tutto. Non avrei dovuto ferirti in questo modo.»
«Ma
l'hai fatto.»
«Sì,
e me ne pento. Ogni giorno.»
«Perché?
Perché non è andata bene nemmeno con Thomas
nonostante sia il padre
di tua figlia? Perché ti manca un uomo a cui accollare tutti
i tuoi
capricci?»
Uno
sbuffo e dei passi concitati. «Senti... Tu... ecco, io...
C'è una
cosa che vorrei dirti. Da tanto tempo. E se te l'ho nascosta fin'ora
non è stato per ferirti ma perché quando ci siamo
lasciati tu eri
arrabbiato, e io ho avuto paura. Paura di perderti di nuovo.»
I
due non dissero nient'altro per qualche altro secondo. Fu Liam a
rompere il silenzio per primo. «Parla.»
«Okay.»
Claire si schiarì la voce. «Ti ricordi di quando
è nata Rachel e
pensavo di averla partorita prematuramente?»
«Sì...»
«Ma
lei era sana e non aveva problemi.»
«Me
lo ricordo.»
«Ecco...»
Claire titubò «Devi sapere che non è
vero che è nata prematura. E
che io ho sbagliato... perché ho contato male...»
«Stai
scherzando.» disse Liam dopo un minuto buono, la voce atona.
Improvvisamente sembrava sul punto di affogare, come se qualcuno
volesse mandarlo giù a forza di spintoni e lui facesse di
tutto per
fermarlo.
«Credimi,
ho avuto la stessa reazione quando me ne sono resa conto.»
«Tu...»
«Ho
pensato che se il bambino fosse stato di Thomas sarebbe stato troppo
presto.» Claire trasse un lungo respiro. «Se invece
fosse stato
tuo, tutto sarebbe stato nella norma.»
Passarono
attimi che sembrarono ore, giorni. Pensai di essermi riaddormentata e
di non aver potuto sentire cosa era accaduto dopo che Claire aveva
confessato il suo segreto a Liam, ma non fu così.
«Rachel
è tua figlia.» disse lei, la voce scossa da un
leggero tremolio.
Oh.
«Vattene.»
rispose Liam.
«Liam...»
«Hai
idea di quello che mi stai dicendo, Claire?»
replicò lui, duro e
aspro. «O di quello che sto provando?»
«Sì,
certo. Non...»
«Mi
hai appena detto che ho una figlia. Che Rachel è
mia figlia.
Che la bambina di quelli che sono stati il mio migliore amico e la
mia donna è mia, Claire. E ancora una
volta rimango sconvolto
dal tuo falso buonismo e dal tuo egoismo. Ti rendi conto che hai
usato come una marionetta Thomas, che gli hai fatto credere di essere
suo padre e di aver nascosto a me la verità per due anni? Ne
sei
anche solo lontanamente consapevole?» disse Liam, piccato.
Era la
prima volta che lo sentivo così arrabbiato e triste, il che
mi
lasciava sconcertata.
«Liam,
ti prego. Io...»
«Vattene.»
«Ma...»
«Vattene
via, Claire. Wanda ha bisogno di riposare. In pace.»
Il
rumore della sedia che strisciava di nuovo sul pavimento, passi
lenti, una porta che sbatteva. Poi più niente.
§
«Come
sta?»
«I
parametri vitali sono buoni, è stazionaria, ma ha subito
diversi
traumi. Si riprenderà col tempo.»
«Perché
non l'hai ancora guarita?»
«Perché
il Cercatore non vuole.»
Non
sapevo quanto tempo fosse passato da quando ero tornata a sentire.
L'unica certezza era che ancora una volta le sole persone che avevo
intorno erano Claire e Liam. Strano che fossero di nuovo insieme,
nella stessa stanza a parlare tranquillamente.
«È
assurdo. Prima voleva e adesso no?»
«Ha
detto che nessuno può usare le medicine su di lei. Deve
soffrire
fino a che lui non deciderà il contrario. Sino ad allora,
chiunque
non rispetterà gli ordini sarà punito. Le due
guardie qua fuori non
ci sono solo per girarsi i pollici.»
C'era
odore di disinfettante nell'aria, qualcosa di tipico degli ospedali
mischiato al profumo frizzante del limone. Qualcuno stava armeggiando
con della plastica alla mia destra.
«Drago
ha già ricevuto i crioserbatoi?»
domandò Claire.
«Li
ha usati stamattina.» Liam era del tutto inespressivo,
sembrava
quasi che non gli importasse più nulla di quella faccenda.
«E..?»
«E
quando ha riferito ai Cercatori che facevano la guardia di potargli i
prigionieri, la ragazza ha tentato di scappare ma non ci è
riuscita,
e poi è morta. Ha ingerito qualcosa che l'ha
uccisa.» un risata
bassa priva di qualsiasi divertimento. «Una vita buttata via
per
niente.»
«Perché
continui a pensare che tutto quello che Drago sta facendo non serve a
niente?» Claire era realmente interessata.
«Te
l'ho detto. Lui sa già la verità.»
«Sei
ostinato a crederle.»
«Già.»
«Perché?»
Percepii
qualcuno stringermi una mano. Immaginai che fosse Liam. Quel breve
momento di silenzio durò più di quanto mi
aspettassi.
«Wanda
non è una di quelle anime che si sono lasciate coinvolgere
da ciò
che è il male. Lei è ancora buona, giusta,
sincera. È qualcosa che
molte altre anime come noi hanno perso vivendo qui sulla Terra. Una
creatura tanto pura non meriterebbe mai tutto quello che sta passando
lei.»
Altro
momento di silenzio. Poi Claire disse con fare poco convinto e quasi
scocciato: «E l'altro prigioniero?»
«Lui...»
Qualcuno
stava correndo oltre la porta. Non era una persona sola, ce n'erano
molte. La porta si aprì e il rumore dei passi velocissimi
divenne
più forte.
«Cosa
sta succedendo?» chiese ad alta voce Claire.
«Sono
scappati degli umani.» fu ciò che disse uno di
quelli che dovevano
essere altri Cercatori, prima che calasse il silenzio più
glaciale.
Il
battito del cuore mi accelerò un po' di più
mentre pensavo ad un
unico nome. Kyle.
Il
suo piano doveva essere andato in porto, quegli umani dovevano essere
i miei amici. Melanie, Aaron, Jared, Brandt e Ian si erano liberati.
Gioia e terrore invasero all'improvviso ogni singola parte del mio
corpo. Adesso che potevo essere l'unico ostaggio rimasto, la paura di
non farcela era diventata più concreta. Ma non dovevo
perdere il
coraggio. Avevo ancora qualche possibilità, come per esempio
quella
di uccidere Ali di Drago. Sì, l'avrei fatto, anche se il
solo
pensare ad una cosa del genere andasse contro ogni mia morale.
L'avrei ucciso per vendicare tutti quelli che erano morti e che
avevano sofferto per colpa sua. L'avrei ucciso per Lily, Trudy,
Lacey, Jeb.
«Com'è
potuto succedere?» Claire era incredula. «Ma
certo...» disse fra
sé e sé. «È stato quel
ragazzo... quello che è scappato un po'
di tempo fa.»
«Già.»
C'era
un che di compiacenza nella voce di Liam. Come se si stesse godendo
quella piccola vittoria che nonostante non lo riguardasse lo faceva
sembrare comunque felice.
«Pensavo
fosse morto.»
«Beh,
pensavi male.»
Spazio
autore:
Weee,
gente! Perdonate il lungo periodo di inattività in cui vi ho
abbandonati. Sappiate che non mi è mai passato per la testa
di
venire meno alla promessa che vi avevo fatto la scorsa volta, quando
vi avevo detto che mi ero rimessa in pista e che mi sarei impegnata a
proseguire. Ci ho impiegato un bel po' per scrivere questo capitolo,
un po' perché con lo studio sono quasi affogata nei libri,
un po'
perché volevo fare un lavoro decente e soprattutto scrivere
un po'
di più del solito.
Insomma,
non mi sono persa d'animo nemmeno se nello scorso capitolo molti
lettori sono rimasti in silenzio e quasi nessuno mi ha dato segni di
vita. Ma tranquilli, se volete fare a meno di me non temete,
perché
ho già pianificato il resto della storia, tutto, epilogo
incluso, il
che sta a significare solo una cosa: la fine non è tanto
lontana.
Fatto sta che per arrivarci, bisogna prima parlare di questo
diciottesimo capitolo.
Beh,
capite che adesso la situazione è diventata piuttosto
critica.
Innanzitutto, Wanda ha detto la verità, il che di certo non
le ha
portato vantaggi, e ha saputo di Kyle e degli altri dopo aver
ricevuto informazioni da Ilaria (ve la ricordavate? Ahah) e sentito
qualcosa da Claire; Liam ha sorprendentemente scoperto una cosa che
ha sconvolto sia lui che un po' tutti devo dire.
Come
andrà a finire? Che cosa sperate che accada adesso?
Fatemi
sapere!
Sha
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Capitolo 19 *** Schieramenti ***
19
Schieramenti
Parcheggiai
davanti al palazzo di mattoni rossi, vicino all'alberello sempreverde
che ormai aveva raggiunto la finestra del primo piano. Ricordavo
ancora com'era quando l'avevo visto per la prima volta: un po'
spoglio, con un tronco piuttosto sottile, il ramo più alto
superava
di poco il portone d'ingresso. Adesso, pensai mentre ci passavo
accanto, aveva come minimo il doppio delle foglie e il tronco era
molto più spesso.
Suonai
al citofono. Pochi secondi dopo lo sentii gracchiare. «Chi
è?»
disse una voce.
«Sono
io.»
«Oh,
entra. Ti stavamo aspettando.»
La
serratura del portone scattò. Decisi di non prendere le
scale,
almeno per quella volta. Mi era un po' difficile stare ferma e calma
in un luogo piccolo come l'ascensore in quel momento. Non lo davo a
vedere, ma in realtà ad ogni scalino che facevo il cuore mi
batteva
sempre più forte e le mani non smettevano di sudare.
Quando
raggiunsi il secondo piano, Camilla mi stava già aspettando
con la
testa che sbucava fuori dalla porta. Sorrideva.
«Ehi.»
«Ciao.
Posso?» le chiesi.
«Certo.»
indietreggiò per farmi entrare. «Vieni.
È di là che gioca.»
Seguii
Camilla attraverso la sala, impeccabile come sempre, poi camminai per
il corridoio che portava alle altre stanze. «Dov'è
il tuo
compagno?» domandai.
«È
dovuto andare a lavorare. In realtà anche il nostro vicino
è dovuto
scappare. Pare che siano stati chiamati tutti i Cercatori
perché è
successo qualcosa di grosso... Non so di cosa si tratta. Tu ne hai
idea?»
«Ehm...
no. Non proprio almeno. Ho sentito dire che c'è stato un
inconveniente nelle carceri sotterranee, ma niente di
più.» dissi,
facendo spallucce come se quella faccenda non avesse nulla a che fare
con me.
«Oh.
Spero non sia niente di irrisolvibile.»
«Ma
no... sarà il solito piccolo imprevisto.»
Camilla
sorrise benevola, poi mi fece cenno di aprire la porta che avevamo
raggiunto. Era socchiusa e dallo spiraglio potevo intravedere il
tappeto arancione e la tenda con le margherite.
Aprii
del tutto la porta. Sparsi per il pavimento c'erano giochi di
qualsiasi genere, costruzioni, peluche, sonagli, e proprio al centro
del tappeto c'era una bimba con un vestitino tutto rosso e un codino
sulla testa che faceva sventolare i capelli biondi ogni volta che si
muoveva.
Quando
mi vide, abbandonò per terra il ciuccio che teneva in bocca
e
sorrise. «Mamma!»
disse.
«Rachel,
hai visto chi è venuta a trovarti?» fece Camilla.
Rachel
allungò le braccia verso di me quando mi chinai per poterle
dare un
bacio sulla fronte. La guardai, felice di poterla rivedere dopo
giorni, e per un attimo invidiai la sua spensieratezza. Piccola
com'era, non aveva altro di cui preoccuparsi se non che mangiare e
dormire. Non si sentiva mai il petto pesante, la testa piena di
pensieri, le mani tremanti. Non aveva paura di dover ferire qualcuno
per suo tornaconto. Era felice, felice nonostante avesse una madre
che aveva ferito e...
«Non
sai quanto mi dispiace, Camilla.» mormorai mentre mi rialzavo
e mi
giravo verso di lei. Mi guardò, confusa. «Per
cosa, Claire?»
domandò.
Mi
avvicinai e prima ancora che se ne potesse accorgere, impugnai la
pistola nascosta nella tasca del giubbotto.
Camilla
spalancò gli occhi, alzando automaticamente le braccia.
«Claire.
Cosa vuoi fare con quella?»
Avevo
la vista leggermente annebbiata. «Non avrei mai voluto
questo.»
mormorai intanto che una lacrima mi solcava silenziosamente il viso.
«Cosa
vuoi dire?»
«Ti
ringrazio per come ti sei presa cura di mia figlia, Camilla. Ma
adesso è arrivato il momento di cambiare. Noi non possiamo
più
stare qui.»
La
ragazza scosse la testa, continuando ad indietreggiare per tenersi
lontano dalla pistola che le stavo puntando contro. Rachel, alle mie
spalle, iniziò a lamentarsi.
«Lo
sai che non lo puoi fare. Te la porterebbero via, ti
ucciderebbero.»
Non
pensare, non pensare, non pensare.
Un
movimento appena udibile del mio dito sul grilletto. Camilla mi
fissò, incredula, poi un rivolo di sangue le
spuntò dalla bocca.
Cadde sulle ginocchia. Il suo corpo si riversò per terra con
un
tonfo sordo, senza più muoversi. Una macchia rossa
iniziò a
spandersi sulla sua camicetta, all'altezza dell'addome.
Ero
in lacrime quando mi accorsi di tremare come una foglia, in preda al
dolore e al senso di colpa, con la mano ancora stretta intorno alla
pistola. I lamenti di Rachel si erano tramutati in un pianto
rumoroso.
Tirai
su col naso, mi inginocchiai su Camilla blaterando un appena udibile
''scusami, scusami tanto'', poi mi alzai e senza smettere di fissarla
arretrai per tornare nella stanza di Rachel. Appena dentro mi voltai
e andai a prenderla, tirandola su e stringendomela al petto.
«Ssh,
tesoro. Va tutto bene, va tutto bene. Adesso ce ne andiamo,
okay?»
«Lalla.»
disse quando tornò calma, allungando un ditino verso
Camilla. Lalla.
Era così che la chiamava lei.
In
fretta e furia riposi la pistola in tasca, misi Rachel nel suo
lettino e andai ad aprire l'armadio. Presi uno zaino abbastanza
grande, lo aprii e cominciai a raccogliere tutte le cose che
sarebbero servite per il viaggio. Rachel mi guardava in silenzio e mi
chiesi se avesse capito tutto, se capisse perché Camilla era
in
corridoio, circondata da una pozza di sangue sempre più
ampia, o
perché sua madre non smetteva di tremare e piangere per aver
ucciso
una persona.
Era
una parassita., mi diceva una voce nella mia testa.
No,
era pur sempre una persona. Era come Wanda, come Liam.,
Preparato
lo zaino, misi a Rachel il suo giubbottino e quando la ripresi
controllai oltre la finestra per verificare che tutto fosse rimasto
tranquillo. D'altro canto avevo usato il silenziatore, non potevano
aver sentito qualcosa.
No,
no. Non hanno sentito.
«Ecco,
amore.» dissi quando le diedi il suo peluche.
Uscite
dall'appartamento, mi guardai intorno e camminai a passo veloce verso
l'ascensore.
«Andiamo...»
blaterai, premendo più volte il tasto di chiamata. La
tacchetta
segnava il numero zero. Decisi di prendere ancora le scale. Chiunque
stesse salendo dai garage non doveva vedermi.
Giunsi
in macchina e dopo aver sistemato Rachel sul seggiolino, partii.
Diedi un'ultima occhiata all'edificio dallo specchietto retrovisore,
poi svoltai l'angolo e i mattoni rossi scomparvero.
Respirai
a fondo. Altre lacrime avevano preso a scendermi imperterrite sul
viso. Non avevo mai ucciso nessuno, non avevo mai voluto far del male
a qualcuno.
Eppure,
questa vita infelice a cui ero stata costretta mi aveva obbligata a
compiere azioni che non avrei mai voluto commettere, scelte che non
avrei mai voluto fare. E adesso ero lì, con le mani che mi
sembravano sporche di sangue anche se erano pulitissime, sola insieme
a mia figlia, terrorizzata all'idea di poter essere divisa
definitivamente da lei se qualcuno mi avesse scoperta. Cosa avrebbe
pensato Rachel di me, un giorno? Cosa avrebbe detto quando avrebbe
saputo che sua madre era un'assassina? E come si sarebbe comportato
Liam? Liam, Liam che ora sembrava l'unico appiglio a cui aggrapparmi,
l'unico in grado di tranquillizzarmi su tutto, l'unico che poteva
aiutarmi.
Rallentai.
Avevo raggiunto la strada sterrata che portava all'ospedale. Ai lati
del sentiero rami e alberi secchi erano coperti per metà
dalla
sabbia del deserto. Mi fermai davanti all'ingresso, scesi dalla
macchina ed entrai solo dopo aver preso Rachel, che si era appisolata
sul seggiolino.
L'ospedale
era illuminato come sempre e dalla palestra-mensa giungevano diverse
voci che non riuscivo a distinguere. Mi diressi subito verso
l'ascensore, camminando attraverso il corridoio azzurro, respirando
l'aria familiare di quella che consideravo casa.
Avevo
bisogno di vedere solo una persona in quel momento, il tempo era poco
e indispensabile.
Al
primo piano non c'era anima viva. Le porte erano tutte chiuse a
chiave. Mi fiondai di nuovo in ascensore per raggiungere il secondo.
Nell'attesa diedi un'occhiata a Rachel, accoccolata sulla mia spalla
con gli occhi chiusi e il dito in bocca.
Tin.
L'ascensore
mi avvisò di essere arrivato un secondo prima di aprirsi. E
quando
lo fece, la prima cosa che vidi fu l'ultima che mi sarei aspettata.
«Ian?
Cosa ci fai qui?» dissi, sorpresa.
Lui
mi guardò, sorpreso quanto me. Aveva i vestiti sporchi, i
jeans
strappati e un taglio insanguinato sul sopracciglio destro. Non era
una ferita fresca, il sangue si era insecchito. Non era molto in
forma, tuttavia il fucile che aveva in mano bastava a non fargli
perdere l'aria minacciosa di chi che voleva strozzarti.
«Tu...»
sibilò.
Le
porte dell'ascensore stavano per richiudersi, ma Ian fu più
veloce:
le bloccò con un piede, poi usò le braccia per
aprirle. Io
indietreggiai, tenendo stretta Rachel.
«Senti...
aspetta... mi dispiace, okay?» balbettai mentre andavo a
sbattere
contro la parete, mostrandogli il palmo della mano libera. Ian,
veloce come un fulmine, si allungò verso di me e mi
afferrò,
spingendomi fuori dall'ascensore.
«Ti
prego, non farci del male.»
«Ah,
no? E cosa dovrei fare, allora? Ringraziarti per come ti sei
comportata?» sbottò lui a voce alta, con gli occhi
e le narici
dilatati. Mi fissò, poi spostò lo sguardo su
Rachel. La guardò
come se si fosse accorto di lei solo in quel momento.
«Lei
è mia figlia...» dissi con non troppa convinzione,
evitandogli di
chiedere spiegazioni.
Ian
storse il viso in un'espressione confusa. «Tu hai una
figlia?»
domandò, come se non potesse essere possibile una cosa del
genere.
«Sì.»
«E
perché non l'hai mai detto?»
«Perché
volevo proteggerla.» risposi. Lui mi guardò storto
per qualche
altro secondo, poi rise di una risata priva di qualsiasi
divertimento.
«Dici
sul serio?»
«Certo
che dico sul serio.»
Rise
di nuovo. «Questa è bella... Non smetti mai di
sorprendermi, sai
Claire?» Tornò a stringere il suo fucile. Poco
dopo, la sua
espressione era diventata seria e arrabbiata come prima.
«Beh,
comunque sia, sta' tranquilla per tua figlia. Non è lei che
vorrei
uccidere in questo momento. Cosa stavi facendo qui?»
«Potrei
farti la stessa domanda.»
«Non
giocare con me, per favore.»
Sostenni
il suo sguardo per un lungo istante, osservandolo trattenere la
rabbia, poi mi puntò il fucile contro e fece cenno di andare
avanti.
«Muoviti.» disse.
Decisi
di dargli retta. Lentamente, camminai fino alla fine del corridoio
con lui alle spalle, quindi entrai nell'unica stanza aperta. Non
ricordavo a chi appartenesse. C'era solo un letto a castello, un
comodino senza abatjour e un armadio completamente sgombro.
«Posso
metterla lì?» chiesi a Ian indicando Rachel.
«Sì.»
La
riposi delicatamente sul letto in basso, lei si mosse ma senza
svegliarsi. Le accarezzai piano una guancia intanto che con l'altra
mano frugavo nella tasca del giubbotto.
Fu
un attimo. Impugnai l'arma e scattai nella direzione di Ian.
Anche
stavolta mi colse di sorpresa: lui aveva già puntato il suo
fucile
contro di me.
«Ti
hanno mai detto che sei prevedibile?» domandò.
«Che
cos'è successo a tutte le persone che erano qui?»
«Mi
crederesti se te lo dicessi?»
«Dimmelo.»
«Penso
che in questo momento siano in viaggio.» disse continuando a
mantenere la mira.
Corrugai
la fronte. «In viaggio? Verso dove?»
«Un
posto lontano da questa città. Al sicuro.»
«Perché?»
«Perché
noi non siamo quel genere di umani che per sopravvivere vendono altri
umani ai Cercatori.»
Ecco.
Molto probabilmente non vedeva l'ora di usare quella frase per
zittirmi.
«Noi
non l'abbiamo fatto per male.» dissi.
«No?
E per cosa allora?»
«L'hai
detto tu. Per sopravvivere.»
«Non
lo trovo un buon modo per sopravvivere.»
«Non
tutti la pensano alla stessa maniera.»
Ian
sbuffò, irritato, poi però lo vidi cercare di
rilassarsi. «Senti.»
cominciò, con un tono diverso da quello irriverente di poco
prima,
più pacato. «Non mi costringere a farti del male.
Voglio solo
sapere dov'è Wanda.»
«E
se te lo dicessi cosa ci faresti dopo? Ci riporteresti dai
Cercatori?»
«Ehi.
Non l'hai detto tu stessa che non tutti la pensano alla stessa
maniera?» domandò, abbassando il fucile per poter
allargare le
braccia. Il che mi prese in contropiede e nonostante io non volli
fare lo stesso, lui rimase con la guardia abbassata.
«No.»
aggiunse. «Non vi porterei dai Cercatori. Non sono come voi,
Claire.
Io penso che ogni umano sia indispensabile. Incluse voi due. Dunque,
se mi dirai quello che voglio sapere, ti garantisco un futuro per te
e tua figlia. Ma ti avverto: in questo momento alcuni dei miei
compagni stanno programmando degli ordigni che abbiamo trovato in un
magazzino. Non rimarrà più niente del campo,
né delle carceri
sotterranee. Quindi sta a te scegliere. O i buoni o i cattivi. Non ci
sono molte opzioni.»
La
pistola mi tremava appena per l'adrenalina. Non era un gesto tanto
nobile quello di puntare un'arma contro qualcuno che non si voleva
difendere con la propria, ma la testa mi diceva che non mi dovevo
fidare del tutto di Ian. Avevo mentito alla sua compagnia, li avevo
rapiti e dati in mano alle anime, gli avevo portato via la donna che
amava.
Non
aveva nessun buon motivo per non uccidermi.
«C'era
Liam tra la gente che avete fatto partire?» chiesi d'un
tratto.
«No,
non c'era.» rispose Ian impassibile.
«È-è
al campo allora.»
«Non
lo so, Claire. Non abbiamo visto né lui né Wanda.
Non sappiamo dove
siano.»
Non
poteva rimanere al campo, non adesso. Se l'avesse fatto sarebbe morto
insieme a tutti gli altri.
«Claire,
mi devi aiutare. Sai tu stessa di non poter fare
diversamente.»
Ian
parlava come se avesse a che fare con una bambina che voleva
persuadere con una caramella.
«Se
io ti aiuto a trovare Wanda, tu farai lo stesso per Liam?»
Lui
annuì lentamente. «Sì.»
«E
garantiresti anche per lui?»
«Non
vogliamo togliere a nessuno di noi la possibilità di
salvarsi e
vivere una vita felice, Claire. A
nessuno di noi.» Ian fece un passo
verso di me, poi un
altro. Quando mi fu abbastanza vicino allungò una mano e mi
guardò,
aspettando che gli potessi dare la pistola. Deglutii, fissando il suo
palmo aperto.
Ian
considerava Liam come uno di noi, ma forse ero stata io, che gli
avevo fatto capire quanto fosse importante per me che anche lui si
salvasse, a spingerlo a pensare in quel modo. O forse l'aveva fatto
solo perché comprendeva quanto io tenessi a Liam,
così quanto lui
teneva a Wanda.
«Fai
la cosa giusta, Claire.» mi esortò, a voce bassa.
Guardai
i suoi occhi azzurri, così limpidi e chiari da essere
dannatamente
difficili da sostenere. Non li macchiava nemmeno una traccia
d'inganno, niente.
Un
minuto dopo la pistola scivolò in silenzio dalla mia mano
per poter
cadere nella sua.
«Ottima
scelta.» disse sorridendomi.
«Loro
non possono trovarci, non qui. Se lo faranno li uccideranno. I
Cercatori sono troppi.»
Scossi
la testa, senza sapere a cosa pensare, poi guardai Liam. Aveva
arricciato le labbra e sospirato profondamente, consapevole di quanto
fosse ovvio quello che avevo appena detto. «Lo so. E lo sanno
anche
loro, Wanda, sanno che tu sei molto importante per Drago e che
nessuno arriverebbe a torcerti un capello con lui alle calcagna. Ma
forse hanno ragione a dire di farcela. Stanno organizzando qualcosa
di potente.»
«Non
lo so, Liam...»
Liam
posò una mano sulla mia, pigramente abbandonata sul
lenzuolo, e la
strinse appena, come preoccupato di rompermela se avesse usato un po'
più di forza.
«Fidati
di loro, Wanda.»
Mi
regalò un sorriso di conforto. Aveva fatto così
anche quando mi ero
risvegliata, trovandomi in quella stanza sconosciuta dalle pareti
verde-acqua, con fili e bende attaccati ovunque. ''Sta' tranquilla,
sei al sicuro.'' aveva detto sempre con quel suo sorriso sulle
labbra. Io l'avevo guardato, stordita e senza sapere bene come
comportarmi, diffidente e insicura di me stessa, di come avrei potuto
reagire a tutte quelle cose che avevo sentito e che una volta sveglia
pensavo di essermi solo sognata. Poi però, non so per quale
motivo,
fu lui a togliermi il dubbio parlandomene ancora prima che glielo
domandassi. Mi raccontò anche di come aveva scoperto di
essere il
padre di Rachel.
''Wow.''
dissi non appena Liam mi diede la grande notizia. Lui non
ostentò
nessun segno di grande entusiasmo.
''Sì,
beh...''
''Liam,
è fantastico. Hai scoperto di avere una figlia, di essere
padre. È
una bella cosa.''
Aspettai
qualche istante per capire se il fatto di essere felice per lui
potesse essere una cosa positiva o negativa, cercando una risposta
nei suoi occhi. Brillavano del loro azzurro, ma non erano
particolarmente luminosi.
''Non...
non è una bella cosa? Voglio dire, una persona potrebbe
sempr...''
''Ma
io non sono una persona, Wanda. Non so nemmeno come
fare il
padre... Ed è per questo che mi sono arrabbiato
molto con
Claire, anche se poi abbiamo deciso di darci una tregua...'' Per la
prima volta mi ritrovai a capire perfettamente Liam. Tante cose erano
sconosciute anche a me nonostante vivessi e mi considerassi umana,
quindi immaginavo cosa stesse provando in quel momento.
''Quindi
avete fatto pace?'' domandai, alzando le sopracciglia e asserendo col
capo per incitarlo a parlare. Liam contrasse il viso in una smorfia,
poi si grattò la testa e rise tristemente. ''Non penso che
ci sia
mai stata una... pace da fare, ecco.'' Alla parola
«pace» aveva
mimato le virgolette con le mani, poi le aveva abbassate e facendo
spallucce aveva detto che avrebbe risolto tutto pian piano.
Sembrò
che non fossi mai stata catturata da Drago, che non mi avessero mai
mentito né torturata, che tutto quello che era accaduto dopo
che
Claire mi aveva sedata non fosse mai avvenuto. Avevo avuto davanti il
Liam con cui mi ero incontrata per la prima volta, quello gentile e
sincero, non quello sfrontato ed egoista che mi aveva consegnata a
Drago. Era stato strano all'inizio. ''Le cose sono cambiate, non
doveva andare così, niente doveva andare così. Ho
deciso da che
parte stare e penso che abbia fatto lo stesso Claire.'' aveva ammesso
quella mattina, prima di iniziare a parlarmi dell'incontro tra Ian e
Claire, che gli aveva raccontato tutto. Era stato in quel momento che
qualcosa dentro di me era scattato come una molla che tornava a
funzionare. Posso fidarmi, avevo pensato, posso
tornare a
fidarmi di lui.
«Okay.»
dissi appoggiando la testa sul cuscino e rilassandomi. Liam mi diede
un buffetto sul dorso della mano.
«Non
ti preoccupare. Vedrai che andrà tutto bene e che presto ci
sbarazzeremo di loro.» sussurrò facendo cenno
verso le due guardie
che c'erano al di là della porta. Dal vetro infisso nella
parete,
che potevo solo intravedere per via delle tendine di plastica
abbassate, scorsi le figure di due Cercatori armati fino ai denti.
Ridacchiai,
osservando Liam spiarli con fare diffidente e alquanto teatrale.
Assomigliava tanto a Ian quando faceva così. Anche lui
adorava
scherzare e farmi ridere per tirarmi su di morale.
Quanto
mi mancava. Se ripensavo al modo in cui ci eravamo lasciati l'ultima
volta poi...
«Bene,
penso sia il caso di andare, o il Cercatore si insospettirà.
Ti
serve qualcosa?» mi chiese Liam mentre si alzava dalla sedia
vicino
al letto.
«No,
grazie, sto bene.» Lo osservai armeggiare con la busta di
plastica
che era collegata con un tubicino all'altra mia mano. All'interno
c'era una cosa gialla e densa che non aveva l'aria di essere
appetitosa. «Per quanto dovrai darmi questa roba
disgustosa?»
«Per
tua informazione» iniziò, con tono stizzito
«Questa roba
disgustosa ti ha fatto sopravvivere quando te ne stavi qui a
fare
la Bella Addormentata.»
«Rimarrà
sempre una roba disgustosa.» dissi rivolgendogli un sorriso
di
plastica.
Liam
mi lanciò un finto sguardo truce, poi si
appropinquò alla porta e
salutandomi se la richiuse alle spalle.
Rimasta
sola, mi girai su un fianco e presi a fissare le goccioline che una
dopo l'altra cadevano dalla busta al tubicino. Nel muovermi percepii
le ferite sulla schiena tirare. Al mio risveglio, Liam mi aveva anche
fatto sapere che sembravo ''una a cui era passato sopra un tir'',
elencandomi sempre coi suoi modi impeccabili e puntuali che cosa
coprivano tutti i cerotti che mi aveva appiccicato addosso. La ferita
più fastidiosa era quella che mi ero procurata sul labbro
inferiore
prendendo un pugno da parte di Drago, le altre erano più o
meno
sopportabili. Ma ci sarebbe voluto ben di più per farmi
desistere
dal mettere in atto il mio piano. In un modo o nell'altro avrei
sempre cercato di uccidere il Cercatore, e di salvare i miei amici,
anche se ancora non sapevo come.
Udii
delle voci attraverso la porta.
Girai
appena la testa per poter vedere di chi si trattava. Scorsi i capelli
biondo cenere di un uomo che stava parlando con una delle guardie.
Era Drago. Teneva gli occhi socchiusi e gesticolava copiosamente,
come se le stesse spiegando una cosa complicata da capire. Il suo
interlocutore annuiva soltanto. Appena fece un cenno con la testa
questi si spostò per poterlo far passare.
Quando
Drago entrò nella stanza io mi ero voltata e avevo chiuso
gli occhi
per fingere di dormire. Sentii i suoi stivali neri toccare
leggiadramente il pavimento, era la prima volta che mi rendevo conto
di quanto la sua cadenza fosse sempre stata elegante e delicata, in
contrasto coi suoi atteggiamenti impetuosi e arroganti.
Le
vene mi pulsavano come se al posto del sangue ci fosse adrenalina. Il
pensiero di tornare ad averlo a così poca distanza mi
terrorizzava.
Lo
percepii fare il giro del letto e mettersi lì dove pochi
minuti
prima c'era stato Liam. Il suono appena udibile degli stivali a
contatto col pavimento s'interruppe. Non sentii più niente
per un
lungo minuto.
«Goditi
le attenzioni che ti prestano i tuoi amici, Viandante.» Mi
venne
quasi da sussultare quando la voce sottile di Drago mi
carezzò le
orecchie, più vicina di quanto immaginassi.
«Presto non potrai più
averle.»
Un
brivido mi corse lungo la schiena, il battito del cuore si fece
più
agitato. Un attimo dopo era tornato di nuovo il silenzio, interrotto
solo dai passi del Cercatore verso la porta. Quando la sentii
sbattere riaprii gli occhi e respirai a fondo. Non mi ero accorta di
aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
«Cosa
sei venuto a fare qui?»
D'un
tratto mi accorsi delle voci che si erano alzate in corridoio, una
era di Liam.
«Non
voglio che mi si facciano domande insensate, Guaritore, e tantomeno
che si usi un tono del genere con me.»
Drago
gli stava difronte con quell'aria indisponente e superba che tanto lo
caratterizzava, guardando Liam dall'alto in basso come se fosse una
formica.
«È
chiaro?» disse.
«Sì.»
«Aggiornami,
Guaritore.»
Non
riuscii a sentire quello di cui parlarono dopo, l'unica cosa che
capii era che l'argomento della loro conversazione ero io. Quando
Drago fu soddisfatto se ne andò.
«Perché
hai permesso che venisse?» domandai a Liam appena fu dentro.
Lui
rimase con la mano sulla maniglia a guardarmi.
«Pensavo
stessi dormendo.» aggiunse prima di avvicinarsi. Si era messo
le
mani in tasca, fermandosi davanti al letto. Vedendo la mia
espressione sospirò.
«Non
posso impedire che lui ti faccia visita, Wanda. Non sono io che
decido.» spiegò, alzando le
spalle.
Trattenni
il respiro. Improvvisamente mi sentivo come se trovandomi a
così
poca distanza da Drago qualcosa mi avesse urticata. Il solo pensiero
di poter essere semplicemente toccata da lui mi aveva messo una paura
che non credevo di possedere.
«Lo
so... Scusami, è che...»
«Ehi.»
Liam fece il giro del letto e mi si avvicinò fino a
ritrovarmi il
suo viso a poche spanne dal mio. «Non gli
permetterò di farti
ancora del male, hai capito?»
Puntai
lo sguardo nel suo. Era onesto, determinato, confortevole. Non
nascondeva niente, né quanto in là si sarebbe
spinto pur di
proteggermi, né quanto tenesse a me. Sì, Liam
teneva a me, aveva
anche avuto il coraggio di dirmelo e i suoi occhi dicevano che se
avessi voluto il contrario lui avrebbe fatto comunque di testa sua.
«Sì.»
risposi, sospirando.
La
linea diritta che era la bocca di Liam si rilassò in un
sorriso
dolce.
«Adesso
dobbiamo prepararci. Tra qualche giorno festeggeremo la
libertà.»
Spazio
autore:
Okay,
okay.
Comincio
col dirvi che vi amo tutti ahah
Nello
scorso capitolo mi sono ritrovata ad essere sostenuta in un modo che
neanche immaginavo, mi avete caricato in una maniera pazzesca e
questo mi ha fatto veramente bene. Quindi vi ringrazio di cuore
<3
Ecco,
dopo questa premessa (che non ho fatto per aver scritto un capitolo
moolto più corto del precedente e che vi avrà
lasciati
insoddisfatti, ma perché sentivo di dovervi riconoscere il
sostegno
che mi avete dato ahah), ci tenevo a dirvi che se effettivamente qui
non è successo granché è
perché se avessi fatto succedere altro
avrei dovuto pubblicare un capitolo di trecento pagine, e non mi
sembrava il caso. Non voglio tenervi troppo sulle spine lasciandovi
col fiato sospeso perché termino il capitolo in un momento
critico,
l'ho già fatto altre volte, per vostro grande dispiacere
ahah, ma
stavolta no. Deve essere una potente scarica di adrenalina che deve
arrivarvi in una botta sola, altrimenti non c'è
soddisfazione, o no?
XD
Ma
parliamo seriamente di questo capitolo.
La
prima parte è un flashback che ci racconta Claire, molto
importante,
perché ci dice cose che dal punto di vista di Wanda non
potremmo mai
conoscere. Capite che lei non si lascia scivolare tutto via
così
facilmente come può sembrare, compie gesti estremi ma non
senza
sentirsi in colpa, ci pensa, si crogiola nella disperazione
perché
non era questo quello che voleva dalla vita. Abbiamo anche la
possibilità di analizzare i suoi sentimenti, verso la
figlia, verso
Liam. Lei sa che non è stata del tutto corretta con lui, che
era e
che è piuttosto incline a istinti piuttosto egoistici
perché la
paura di perdere chi ama la tormenta, ma sa anche che non si
può
tornare indietro e cancellare il passato. Quel che è fatto
è fatto.
C'è di buono che Liam non l'ha respinta al punto tale da non
volerne
più sapere di lei.
Fatto
sta che adesso Claire ha preso le parti dei buoni grazie
all'intervento di Ian, e la stessa cosa l'ha fatta Liam,
principalmente grazie a Wanda, anche se lei non ha fatto niente di
concreto nei suoi confronti per fargli cambiare idea.
Quindi,
ragazzi, abbiamo scoperto che Kyle ha effettivamente liberato gli
altri dalla prigione e che ora stanno preparando un piano.
La
seconda parte ci mostra il presente di Wanda ed ha un'aria
decisamente tranquilla rispetto a quello che avete letto nello scorso
capitolo e all'inizio di questo. Che cosa mi dite? Cosa pensate
riguardo ai tre personaggi che avete visto agire?
Deliziatemi
con i vostri commenti! :D
Io
vi lascio con una promessa e un piccolo spoiler: nel prossimo
aggiornamento ci sarà molto movimento. La citazione che ho
scelto
come introduzione è ''Ogni minuto che passa è
un'occasione per
rivoluzionare tutto completamente.'' dal film Vanilla Sky. ;)
A
presto,
Sha
|
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Capitolo 20 *** E' reale ***
20
È
reale
Ogni
minuto che passa è un'occasione per rivoluzionare tutto
completamente.
[Vanilla
Sky]
C'era
una sola finestra in quella stanza d'ospedale, corta e larga. Passai
gran parte del giorno ad osservare il deserto che si estendeva fino
ai canyon all'orizzonte, come un immenso lago dorato. Di tanto in
tanto nuvole bianche e sottili oscuravano il sole, accompagnandolo
nel corso del suo movimento verso ovest. Non riuscivo ad intravedere
nient'altro, niente che lasciasse intendere dov'ero. Anche la stanza
sembrava non voler suggerire nulla, se non il fatto di non essere una
vera stanza d'ospedale. Il letto non era uno di quelli alti e
sofisticati con le sbarre ai lati, al muro non c'erano prese dove
attaccare i macchinari a cui collegare i pazienti. L'arredamento era
costituito solo da un comune materasso a mezza piazza, un'asta di
metallo da cui pendeva la sacca contenente la roba disgustosa, una
sedia di legno e un tavolino.
Quando
mi misi seduta e allontanai le lenzuola una delle guardie intenta a
fare avanti e indietro per il corridoio puntò lo sguardo su
di me,
ma io la ignorai. Mi stiracchiai, e per la prima volta dopo tanto
tempo pensai di sentirmi meglio. Non mi girava più la testa,
né lo
stomaco mi bruciava per la fame. Probabilmente era grazie alla quella
poltiglia nella sacca di plastica che ero quasi del tutto in forma.
L'unica cosa che continuava a dolermi erano le ferite sulla schiena.
Abbassai
gli occhi sui miei vestiti e ricordai di non averli più
sporchi e
sgualciti: dopo la visita di Drago – speravo l'ultima della
giornata – Liam me li aveva portati nascosti in un sacco
nero. Era
stato piacevole annusare un odore che non ricordasse il puzzo stantio
del sangue incrostato e della terra secca.
Appoggiai
i piedi sul pavimento fresco, barcollando col terrore di vedere le
pareti della stanza girarmi vorticosamente intorno, ma la sensazione
durò solo qualche istante prima che riuscissi a incespicare
due
passi verso la finestra. Sbirciai sotto e scoprii di trovarmi al
primo piano di un edificio, pochi metri più in là
si ergeva una
barriera di cemento sulla cui cima si arrotolava del filo spinato. Lo
stesso che avevo visto quando mi avevano trasferita dalla cella tutta
bianca alla stanza da interrogatorio, trasportandomi su un furgone
attraverso un campo.
Quando
Ian aveva promesso che sarebbe venuto a prendermi.
L'acqua
del bicchiere sul tavolino vibrò, così come il
vetro della
finestra. Allontanai la mano che vi avevo posto sopra, osservando
l'alone delle dita ritrarsi velocemente prima di scomparire del
tutto. Poi l'acqua e il vetro vibrarono un'altra volta, più
forte, e
il bicchiere cadde, frantumandosi in mille pezzi sul pavimento.
Quando mi voltai verso la porta vidi le guardie lanciarsi occhiate
perplesse e diffidenti e impugnare con più decisione le loro
armi.
Poi una di loro sgranò gli occhi, spalancò la
bocca per dire
qualcosa che tuttavia io non riuscii a sentire.
Stavolta
non fu solo il bicchiere a spargersi in milioni di piccole schegge,
ma anche le due vetrate adiacenti alla porta e la finestra. Un ondata
di fuoco e fiamme spazzò via la parete che dava sul
corridoio e
parte del soffitto, facendo piovere pezzi di legno e ferri
tutt'intorno.
Ebbi
giusto il tempo di gettare un urlo e infilarmi sotto il letto prima
che l'esplosione arrivasse come un uragano. Mi rannicchiai in
posizione fetale, strappandomi via il tubicino sul dorso della mano e
coprendomi le orecchie ad occhi chiusi.
Sentii
il cuore rimbalzarmi nel petto e salirmi in gola mentre il boato
scemava e l'esplosione abbandonava il suo apice fino a dissolversi.
Gli attimi che seguirono furono scanditi dal silenzio e dallo
scroscio non troppo lontano del fuoco che scoppiettava e del cemento
che si staccava e cadeva per terra.
Poi
udii i passi di qualcuno che si avvicinava correndo, e qualche attimo
dopo la luce scura dietro le palpebre divenne più chiara,
come se
avessero acceso una luce o spalancato una finestra in una stanza
buia.
«Santo
cielo. Wanda.» Era Liam. Aveva ribaltato il letto scoprendo
il mio
nascondiglio, e adesso mi guardava con un'espressione di malcelato
orrore in faccia, con la divisa annerita e i capelli castano dorato
pieni di fuliggine. Inaspettatamente si chinò verso di me e
mi
abbracciò forte, facendomi premere il viso sulla sua spalla.
L'aria
era appesantita dalla polvere e dal fumo.
«Stai
bene? Sei ferita?» mi chiese quando ci staccammo.
«No,
io sto bene ma...» per qualche motivo avevo il fiatone e
continuavo
a sentirmi il cuore in gola. «Tu?»
«Anche
io sto bene.»
«Cos'è
successo?» chiesi.
«Credo
di saperlo. E credo che lo sappia anche tu.» disse mentre si
rialzava e mi dava una mano a fare lo stesso. Poi si ripulì
la
divisa, per quanto poteva, e si guardò intorno.
Vicino
a dove pochi minuti prima si ergeva la porta c'era una piccola
montagna di macerie mischiate a pezzi di vetro, da cui spuntava la
mano di una delle guardie. Il corpo dell'altra era accasciato poco
più in là, ma non era sepolto. Alla vista delle
sue ferite e della
posizione innaturale delle gambe percepii il sapore amaro della bile
salirmi in bocca.
«Non
può essere che siano stati Kyle e gli altri.»
commentai dopo aver
ricacciato indietro il conato di vomito. «Saremmo potuti
morire
anche noi.»
«Forse
qualcosa è andato storto, allora.»
ipotizzò Liam «Ma non c'è
tempo. Dobbiamo andarcene da qui. Ora.»
Senza
aggiungere altro Liam mi prese per mano, trascinandomi fuori di
lì.
La parte destra del corridoio era inagibile: si percorrevano solo
alcuni metri prima di incappare in un cumulo di macerie che arrivava
fino al soffitto. Doveva essere giunto da quella parte il bum. La
parte sinistra invece era libera e si estendeva in un corridoio che
si affacciava su altre stanze.
«Cosa
stai facendo?» chiesi quando Liam si chinò vicino
alla guardia non
sepolta.
«Sto
cercando qualcosa che potrebbe tornarci utile.» disse prima
di
tirare fuori da sotto un grumo di cemento un fucile. «Tipo
questo.»
Alla
vista dell'arma trasalii senza che lui se ne accorgesse.
Passò a
frugare nella divisa del cadavere, trovando una pistola.
«Prendila.
Ti servirà.» disse quando me la porse. Fissai
l'oggetto per qualche
istante, rendendomi conto di quanto poco Liam mi conoscesse per non
sapere quanto odiassi impugnare una di quelle cose, ma decisi di non
fare troppe storie. La presi trattenendo la repulsione, e
ricordandomi di come si comportava Ian quando usava la sua, la
nascosi dietro la schiena, sotto la maglietta.
«Ci
sono state altre due esplosioni, nel campo.» Liam parlava a
bassa
voce mentre camminavamo. «Poi si sono fermate. Non ho idea se
ce ne
saranno altre.»
«Dici
che Drago è...?»
«No.
Non lo so a dirla tutta.»
Pendevano
fili scoperti dal soffitto, alcuni erano spezzati e producevano
piccole scintille gialle, e tra la polvere e le macerie
scoppiettavano delle innocue fiammelle in via d'estinzione. Le pareti
erano annerite e in alcuni tratti smembrate. Il corridoio che
percorrevamo si unì ad un altro, formando un incrocio. Fummo
sul
punto di passarci attraverso, quando i proiettili di qualche pistola
iniziarono a rimbalzarci accanto, accompagnati da esclamazioni:
«Eccoli! Eccoli!»
Con
una prontezza che non pensavo avesse, Liam mi spinse in avanti,
facendomi attraversare l'incrocio e planare indenne dall'altra parte.
Lui invece rimase lì dov'era, inginocchiato all'angolo col
fucile
pronto per l'uso.
«Liam!»
esclamai, raggomitolandomi accanto alla parete.
«Va'
via, Wanda!» disse prima di affacciarsi per rispondere al
fuoco.
«Non
se ne parla!»
Per
qualche ragione Liam assomigliava ad uno di quegli uomini super
addestrati in grado di uccidere la gente in qualsiasi modo mentre
prendeva la mira e sparava, tenendo gli occhi concentrati sul
bersaglio. Non indossava giacca e cravatta costose come il tizio
della copertina di un DVD che una volta Melanie mi aveva fatto vedere
passando davanti ad un negozio di elettronica, ma l'aria decisa e
minacciosa era la stessa.
«Wanda,
bisogna che io rimanga qui a trattenerli, altrimenti non riusciremo
mai a scappare. Qualcuno deve tenerli occupati.»
«Non
posso andarmene senza di te, Liam.» la mia voce
suonò stridula. «Se
non dovessi tornare, io... Claire non...»
La
frase rimase così, a metà, interrotta. Dopo aver
finito i colpi in
canna Liam tornò a nascondersi dietro il muro, puntandomi
gli occhi
addosso. Poi, in un istante infinitesimale che parve procedere al
rallentatore, intanto che io avevo parlato lui si era gettato nel
corridoio senza avere paura di essere colpito, era arrivato dalla mia
parte e aveva premuto la mano libera sulla mia nuca per tirarmi a
sé.
Mi
baciò.
Il
contatto mi colse di sorpresa, per cui in un primo momento rimasi
immobile con gli occhi sbarrati e le braccia abbandonate lungo i
fianchi. Liam fece scivolare la mano sul mio fianco e mi strinse
più
forte, facendo cozzare i nostri corpi. A quel punto la tensione nei
muscoli scomparve, lasciando il posto ad un calore febbricitante che
mi spinse ad allacciargli le braccia al collo e a ricambiare il
bacio. Le sue labbra non erano morbide come quelle di Ian e anche il
sapore non era lo stesso, era frizzante e sapeva di limone e sale.
Liam
mi baciò come se non ci fosse stato tempo da perdere e ogni
istante
che passava dovesse essere assaporato a fondo. Mi baciò come
se non
avesse aspettato altro, come se non ci sarebbe più stata
un'altra
occasione.
Poi
si staccò, lentamente, e il tempo intorno a noi
ricominciò a
scorrere normalmente. Trassi un respiro profondo, rendendomi conto di
aver trattenuto il fiato, e guardai Liam costernata.
«Tornerò.»
sussurrò allora lui, sorridendo.
Fissai
il cerchio azzurro delle sue iridi, che brillava di una luce
più
forte di quella che ricordavo, poi mi accarezzò una guancia,
sfiorandomi come se avesse avuto paura di farmi male.
«Adesso
va'.» disse.
Annuii
piano e senza farmelo ripetere un'altra volta mi tirai su e mi voltai
verso il corridoio che avrei dovuto percorrere da sola. Anche se
decisi di non girarmi a guardare Liam, seppi per certo che il suo
sguardo continuò a seguirmi finché non svoltai
l'angolo.
Ad
un certo punto, dopo aver passato in rassegna tre porte di emergenza
chiuse a chiave e aver preso direzioni un po' a caso, constatai di
essermi persa. L'edificio non era così piccolo come
sembrava, ma
doveva pur esserci un'uscita, là dentro, lo sapevo, ne ero
sicura,
peccato che non mi stessi concentrando abbastanza per poter prendere
sul serio la cosa. Ogni volta che chiudevo gli occhi, il nero dietro
le palpebre diventava uno schermo in cui si proiettavano le immagini
di Liam che mi baciava e mi sorrideva. La scena si ripeteva
all'infinito, come un disco inceppato, poi vedevo me stessa
ricambiare il bacio e mi sentivo sprofondare.
Una
parte di me sapeva che Liam aveva sempre provato qualcosa, ma, a
differenza dell'altra più superficiale e impulsiva, non
aveva mai
pensato che quel ''qualcosa'' potesse essere tanto importante. Molto
probabilmente era perché in vita mia avevo sempre e solo visto
Ian, che non mi ero accorta di Liam. Non c'era mai stato nessun altro
in quel senso (a parte Jared, ma il mio amore per
Jared era
stato particolare).
E
poi c'era Claire, c'erano i sentimenti di Liam per lei, c'erano le
confidenze che lui stesso mi aveva raccontato riguardo la loro
storia. Non poteva essere cambiato tutto, soprattutto ora che aveva
scoperto di essere il padre di Rachel. Sarebbe dovuto essere felice
di poter avere un legame così forte con la donna di cui era
ancora
innamorato, avrebbe dovuto considerare la loro bambina come pretesto
per poter riaggiustare le cose.
Cosa
avrei detto a Ian adesso?
Si
avvicinarono delle voci. Riuscivo chiaramente a distinguerne due,
entrambe provenienti dal fondo del corridoio, il quale si
interrompeva lasciando il posto ad una scala.
C'era
un che di familiare in quelle voci...
«Tutta
questa storia mi ha stufato. Non vedo l'ora di trasferirmi da qualche
altra parte. Lontano, molto lontano.»
«Ti
stanchi facilmente, Nick. Pensavo che il divertimento dovesse ancora
cominciare.»
«Tu
non hai idea di quello che dici, novellino.»
borbottò la prima
voce, maschile come la seconda, con impazienza «Forza,
sbrighiamoci.
Prima troviamo la viaggiatrice meglio è.» aggiunse
poco dopo.
Un
suono molto simile a quello di una pistola che veniva caricata mi
fece accapponare la pelle. Scorsi le ombre delle due anime sulle
pareti e trasalendo impercettibilmente mi nascosti dietro lo stipite
di una porta. La pistola dietro la schiena mi premette nella carne,
come per ricordarmi della sua esistenza.
«Hai
sentito?» sussurrò la seconda voce.
C'era
qualcosa che non andava. Qualcosa di sbagliato, ma non riuscivo a
capire perché. La riflessione
durò solo per un istante, poi
la mia mano scivolò lungo il legno fino a trovare la
maniglia, ma
quando l'abbassai la porta rimase chiusa.
Maledizione.
«Io
vado di qua, okay?» disse il primo uomo. Lo sentii
allontanarsi
verso un'altra direzione, poi il rumore dei suoi passi scomparve. Non
ci fu risposta al suo avviso, il silenzio diventò
improvvisamente
sovrano, nel corridoio.
Cessai
di respirare e decisi di far scorrere la mano dalla maniglia alla
pistola. Impugnai lentamente l'arma, pronta a premere il grilletto
nel caso fosse servito... Poi la sagoma bianca del Cercatore mi si
parò davanti.
Lanciai
un urlo, tentando di puntargli la pistola contro, ma lui mi
colpì
abilmente il braccio e mi spinse per terra. La pistola volò
qualche
metro più in là, sul pavimento lucido.
Il
Cercatore si avvicinò rapidamente e mi prese per una gamba
quando si
accorse che tentavo di raggiungere l'arma gattonando nella sua
direzione, e mi tirò dalla parte opposta. Sentii le ossa
scricchiolare.
Cercai
di divincolarmi a forza di calci, ma nonostante tutto lui
riuscì a
tenermi testa. A quel punto smisi di allungare il braccio verso
l'arma e mi voltai.
Fissai
il suo viso, incredula, il sangue che defluiva tutto un tratto dal
cervello.
«Jeb?»
Un
brivido mi percorse la schiena.
Jeb
era lì, davanti a me. Con la divisa da Cercatore addosso e
una
pistola munita di silenziatore nella mano libera. La barba era molto
più corta e i capelli lunghi erano ordinatamente raccolti in
una
coda bassa, lucidi per il gel. Tutto in lui sarebbe potuto risultare
familiare, tranne i cerchi azzurri nei suoi occhi. I suoi occhi che
un tempo erano stati scuri, neri come la pece, e che ora erano
chiarissimi e inquietanti.
Ecco
perché avevo avuto una strana sensazione, prima. Avevo
riconosciuto
la sua voce.
«Jeb.
Sono io.» dissi tremando. Jeb mi guardò,
perplesso. «Sono Wanda.»
Immaginai
che al mio nome sarebbe successo qualcosa, che magari mi avrebbe
riconosciuta, ridestandosi dal suo stato confusionale, ma non accadde
nulla. Jeb rimase una statua di granito, senza lasciar trapelare
nessuna emozione.
«Non
può essere...» Sentii salirmi un groppo in gola.
Jeb.
Jeb che mi aveva trovata nel deserto con Melanie, Jeb che era stato
il primo a fidarsi di me nelle grotte, che mi aveva protetta dagli
altri, che mi aveva accolta come membro della sua famiglia. Lo stesso
Jeb che mi aveva sempre guardata con affetto e fiducia, adesso non
riusciva a far altro che lanciarmi sguardi sprezzanti e diffidenti.
«Non
puoi non riconoscermi... Jeb.»
Il
cuore mi batteva all'impazzata nel petto, le mani erano fredde e
sudavano. Lui mi squadrò per un altro istante, poi si
chinò e mi
afferrò la gola. Il respiro mi si mozzò,
rimanendomi bloccato in
gola. Le unghie che graffiavano il dorso delle sue mani nel tentativo
di allontanarle.
Non
sta succedendo davvero,
continuavo a ripetermi, senza trovare la forza per respingerlo. Non
avevo mai voluto pensare che lui non fosse riuscito ad ingerire la
pillola. Crederlo morto in quel modo era meno doloroso, meno
difficile da sopportare. Ma vederlo così, con quegli occhi
troppo
diversi dai suoi e la
voglia di uccidere in faccia, era mille volte peggio.
«Io
ti conosco.» disse d'un tratto, con tono duro. «Tu
sei la
viaggiatrice.»
«Sì...
sono io. Sono... Viandante, Wanda. Sono tua amica, Jeb, sono... dalla
tua parte.»
La
stretta sulla gola si allentò leggermente, giusto in tempo
per
evitare di farmi soffocare.
Jeb
mi guardò per un lungo istante, sempre con distacco.
«No.» inveì
poco dopo. «Tu sei una traditrice. E devi essere
uccisa.» C'era
cattiveria nella sua voce.
«Jeb,
no...»
Le
lacrime iniziarono ad accumularsi negli occhi. Smisi di affondare le
unghie nella sua pelle, abbandonando le braccia per terra, lungo i
fianchi. «Ti prego, cerca di ricordare.»
«Sei
solo una traditrice...» sibilava. Poi mi puntò la
pistola sulla
fronte e la caricò.
Trasalii,
grattando fino a scorticarmi le mani sul pavimento. La crudele
determinazione del suo viso mi mise paura.
Pensai
a Melanie, a come aveva combattuto quando i Cercatori l'avevano
inseguita, a cosa aveva provato quando aveva capito che non ce
l'avrebbe fatta, e poi al suo atto estremo, giù da quella
finestra.
Aveva combattuto per proteggere Jamie, Jared, sapendo di non poter
fare altro per salvarli. Quando avevo soggiornato nel suo corpo mi
ero lasciata un po' influenzare da quel suo senso del dovere, dal suo
coraggio. Immaginai Mel lì con me adesso, e mi chiesi che
cosa
avrebbe fatto lei al mio posto. Come si sarebbe comportata con l'uomo
che di suo zio non aveva altro se non che i lineamenti.
«No.»
La
mia voce uscì come un basso grugnito. Jeb mi
osservò, interdetto,
poi gli afferrai i polsi e facendo leva con le gambe inarcai la
schiena e gli sferrai un calcio nella pancia. Lui schizzò
indietro
sgranando gli occhi per la sorpresa, e perse l'equilibrio. Cadde e
lasciò la pistola, che volò per terra e
scivolò sulle piastrelle
fino alla ringhiera accanto alla scala. Penzolò per qualche
istante,
in bilico tra il vuoto e il pavimento, prima di sparire di sotto.
Mi
tirai su e mi massaggiai la gola che pulsava dolorosamente, fissando
Jeb che nel frattempo si era rialzato e tossiva. Nei suoi occhi
scorsi un guizzo di rabbia, reso più concreto dai lineamenti
tesi
del volto.
Arretrai
di qualche passo appena lo vidi sfilarsi un coltello da uno degli
stivali e cominciare ad avanzare con un sorrisetto inquietante.
«Maledetta...»
disse mentre si fiondava contro di me e io mi abbassavo all'istante
per evitare la lama, muovendomi così velocemente da stupire
anche me
stessa. Jeb tentò un altro affondo, sferragliando il
coltello dal
basso per potermelo conficcare nel fianco. Mi mossi ancora un volta,
agile come un gatto, ma stavolta lui mi fece lo sgambetto e caddi a
terra. Il dolore che si scatenò improvvisamente sulla
schiena mi
tolse il fiato. Sentivo i punti affondarmi nella carne.
Jeb
alzò sopra di me l'arma scintillante, ma io rotolai a
destra: il
coltello andò a conficcarsi nel punto in cui poco prima
c'ero io,
con un fragore metallico. Un fiotto di sollievo mi diede animo
quando, nello schivare Jeb, scorsi la mia pistola a meno di un metro
di distanza, nera e scintillante sotto le luci a neon del corridoio.
Mi alzai e corsi verso di lei, udendo Jeb imprecare mentre mi veniva
dietro e cercava di agguantarmi. Fui lì lì per
chinarmi a prenderla
quando lo sentii afferrarmi la maglietta e tirarmi verso di
sé.
Lanciò un grido di rabbia e mi spinse contro il muro. Un
altro
spasmo di dolore mi fece battere i denti, ma non gridai, trattenni le
fitte e le ricacciai indietro. Poi Jeb alzò il coltello,
mirando al
petto. Io gli afferrai il polso con entrambe le mani e opposi
resistenza. Aveva una gran forza, più di quanto mi fossi
immaginata,
ma la punta della lama rimase comunque bloccata a qualche centimetro
di distanza dal mio sterno. Sia la mia che la sua mano tremavano per
lo sforzo, io per resistere e lui per affondare.
«Tu
sei meglio di così, Jeb.» dissi col fiato mozzato.
«Lo sai.»
Il
Cercatore rise. «Ti sbagli. Io sono così.»
«Non
sto parlando con te.» sibilai. Lui
inclinò il capo,
interdetto. «So che ci sei ancora, Jeb. Lì
dentro, da
qualche parte.» Fissai i suoi occhi, il cerchio azzurro che
brillava
come una fiamma indomabile. Il Cercatore mi guardò, freddo e
stizzito, e serrò la mascella per poi spingere con
più forza il
coltello nella mia direzione. Un verso di sofferenza mi uscì
dalla
bocca quando dovetti aumentare la resistenza. La lama si
avvicinò
pericolosamente a me.
«Non
c'è nessuno qui dentro, oltre a me.»
rispose mentre sentivo
il ferro gelido e affilato del coltello pungermi la pelle. Alla vista
del rivolo di sangue che iniziava a colare lento dalla ferita, il
Cercatore tornò a sfoderare quel suo sorriso pauroso, che
Jeb, il
vero Jeb, non sarebbe mai stato in grado di fare.
«Non
ti credo.» sibilai prima di pestargli un piede con
tutta la
forza che avevo. Un ringhio di dolore uscì dalla sua bocca,
la
pressione sul coltello diminuì per un istante che mi diede
la
possibilità di resistergli con solo una mano. Ricordandomi
di una
delle lezioni impartitemi da Ian quando eravamo ancora nelle grotte,
chiusi l'altra a pugno e gliela tirai in faccia. Le nocche
protestarono quando gli colpirono le ossa della guancia e del naso,
scricchiolando. Il Cercatore arretrò barcollando, gemette, e
poi si
coprì il viso con una mano.
«Ah...»
borbottai io, scuotendo piano la mano dolorante, poi corsi via e
raggiunsi il punto in cui era finita la mia pistola. La presi e
quando mi voltai indietro scoprii che lui mi aveva inseguita, il viso
sporco di sangue, ma non tanto velocemente da potermi cogliere di
sorpresa.
Puntai
la pistola verso di lui e mirai. Non al cuore, non al cuore,
pensai mentre premevo il grilletto e il proiettile fendeva l'aria.
Non ero mai stata brava a sparare, non ero mai stata brava con nessun
tipo di arma, ma sperai che almeno per quella volta la fortuna fosse
dalla mia parte. Non potevo uccidere Jeb, non l'avrei mai potuto
fare, men che meno se ci fosse ancora stata la possibilità
di
riaverlo indietro.
Quando
venne colpito il Cercatore gridò, afferrandosi la spalla
sinistra.
Sulla divisa iniziò a spandersi una chiazza rosso scuro.
«Mi
dispiace.» dissi.
D'un
tratto in fondo al corridoio si udirono delle voci. Non erano solo
due o tre persone stavolta, ma molte, molte di più. Mi
avvicinai di
un passo al Cercatore. Sul viso sfregiato da graffi e lividi comparve
una gioia malvagia. «Non hai scampo, viaggiatrice.»
ghignò. Si
reggeva in piedi stando appoggiato al muro che aveva alle spalle. La
lotta gli aveva fatto sfuggire qualche ciocca di capello grigio dalla
coda.
«Dimmi
come posso uscire da qui.» gli ordinai.
Lui
fece una risata strozzata. «Credi davvero che te lo
direi?» Il tono
sembrava quasi divertito ed era lo stesso che Jeb era solito usare
con chi voleva fare il furbo con lui ma non ci riusciva.
«Credo
che tu preferisca rimanere tutto intero.» dissi, alzando la
pistola.
«Non
avresti il coraggio di uccidermi.» dichiarò
«Ho visto i suoi
ricordi. Per quanto tu possa essere una Viandante coi
fiocchi, la
fragilità è uno dei tuoi tratti caratteristici.
Insieme alla tua
immensa compassione.»
Non
è Jeb che sta parlando, pensai mentre trattenevo a
stento il
desiderio di dargli un altro pugno. Non devo starlo a sentire.
«La
Viandante che conosci tu è diversa da quella che hai
davanti.»
«Ah,
sì?»
«Già.
Perché la vecchia» spiegai «non farebbe
mai una cosa del genere.»
puntai la pistola, chiusi gli occhi per un istante. Poi sparai nella
sua gamba. Il Cercatore gridò di nuovo e si
accasciò a terra,
strabuzzando gli occhi per la sorpresa. Le voci in lontananza si
stavano avvicinando.
«L'uscita.»
ripetei, controllando il tremolio della mia voce.
«Oltre
quelle scale.» disse mentre stringeva i denti e si prendeva
la
gamba. Altro sangue stava macchiando il tessuto chiaro della sua
divisa, saltando all'occhio insieme a quello colato per terra.
Trassi
un respiro profondo e mi chinai su di lui. «Verrò
a riprenderti,
Jeb.» dissi prima di correre via, verso le
scale.
L'ultima
cosa che vidi mentre attraversavo i gradini furono le ombre degli
altri Cercatori che raggiungevano il corridoio, e Jeb chino su di
sé
poco più in là.
Scese
le due rampe di scale, mi ritrovai su un pianerottolo lungo e stretto
il cui pavimento scuro si intonava perfettamente con le pareti grigio
perla. A metà strada era stato posizionato un grosso vaso
bianco –
la pianta era una piccola palma molto verde – e poco
più in là
riversava per terra un quadro, molto probabilmente caduto a causa
delle scosse provocate dalle bombe. Il soffitto presentava delle
crepe piuttosto recenti e oltre il quadro c'era una porta sopra cui
era affissa una scritta luminescente:
USCITA DI EMERGENZA. Le scale che proseguivano verso il
piano
terra le erano accanto.
Da
quello di sopra giunsero i chiari rumori dei Cercatori che
scendevano. Camminai veloce verso la porta, sperando con tutto il
cuore che non fosse l'ennesima chiusa a chiave. Abbassai la maniglia
con forza e uscii, risucchiata dalla potente luce del giorno. Mi
ritrovai su un balcone lungo quanto l'intera facciata, dalle
piastrelle scolorite e la ringhiera in cemento. Il sole era alto nel
cielo (forse era pomeriggio) e rendeva calda e afosa l'aria intorno.
Il vento, che sapeva di sabbia e fumo, prese a sferzarmi i capelli
appiccicati alla nuca, i raggi del sole a pizzicarmi gli occhi.
Davanti a me, la distesa oro del deserto, all'orizzonte la grande
muraglia dei canyon.
Poco
più in là c'era il muro che barricava il campo e
nient'altro.
Sicuramente mi trovavo sul retro.
La
porta si richiuse con un tonfo intanto che mi guardavo intorno e
tentavo di trovare un'eventuale scala di emergenza o qualche altra
uscita attraverso cui scappare. Ma là non c'era niente se
non un
tubo di rame più o meno spesso che si prolungava per tutta
l'altezza
dell'edificio, oltre il balcone, proseguendo verso il basso.
Attraverso
la porta udii le voci dei Cercatori farsi sempre più vicine.
Mi
voltai e guardai la maniglia, aspettandomi di vederla abbassarsi da
un momento all'altro, come in un film dell'orrore. L'attimo dopo
scattò, ma chi stava dietro non ebbe il tempo di
spalancarla, perché
io mi ci buttai contro e feci pressione per poterla tenere chiusa.
«Ma
che diavolo...» imprecò qualcuno al di
là della porta.
«Che
succede?» fece un altro che sembrava più lontano.
«Non...
si... apre...»
I
Cercatori spinsero un po' di più nel tentativo di
conquistarsi
qualche spanna.
«Oh,
cavolo...» annaspai, premendo la schiena e la testa contro la
porta
a denti stretti.
«Fate
fare a me.» grugnì la seconda voce. Per un attimo
calò il
silenzio, e la pressione che avevo sentito fino a quel momento si
attenuò. Cogliendo l'occasione per potermi concentrare anche
su
altro, mi guardai di nuovo intorno, cercando qualcosa che potesse
tenere bloccata la maniglia, un bastone, un tubo... Ma l'unico tubo
che c'era era troppo spesso per potersi infilare tra la maniglia e la
porta, e troppo lontano per riuscire a recuperarlo in tempo. Posai lo
sguardo sui miei vestiti sporchi di sangue e polvere, sugli stivali
consumati e la maglietta che si era strappata quando Jeb me l'aveva
tirata. Dunque gli occhi scivolarono sulla pistola e...
Presi
l'arma, la sfilai dai jeans e la misi subito nel buco tra la maniglia
e la porta. Un secondo dopo qualcuno ci andò a sbattere con
forza,
io balzai indietro, osservandola tremare e sospirando quando rimase
chiusa.
«Lurida
puttanella!» esclamò la voce.
Bene,
Wanda. Risolto un problema se ne crea un altro.,
borbottò in modo infelice una vocina nella mia testa.
«Wanda?»
Qualcuno mi chiamò. La parola non giunse ovattata come
potevano fare
quelle dei Cercatori dietro la porta, ma nitida e... vicina. Confusa,
mi affacciai al balcone e guardai di sotto. Per un attimo pensai di
stare immaginando tutto, ma ero troppo sveglia e agitata per riuscire
a sognare ad occhi aperti.
Lui
era lì, incredulo, con una mano penzolante su un fianco e
un'altra
sopra la fronte a schernire i raggi del sole.
«Jared!»
la gioia mi riempì il cuore, un sorriso di sollievo
iniziò ad
incresparmi le labbra «Oh, Jared, grazie al cielo!»
Sorrise
anche lui. «Wanda! Che ci fai lassù?»
«Mi
stanno inseguendo.»
Jared
si guardò intorno. «Puoi scendere?»
domandò, avvicinandosi di
più.
«Dovrei,
ma non so se ce la faccio. Di là c'è un
tubo.»
Attraversai
il balcone fino alla fine, Jared mi seguì da sotto. Da
vicino il
tubo era ancora più spesso e sembrava più
resistente. Terminava non
proprio in basso, in un modo che poco s'addiceva ad un tubo che si
sarebbe dovuto effettivamente interrompere in quel punto. Sembrava
rotto. E vecchio.
«Ce
la puoi fare. Non è troppo alto.»
No,
non ce la faccio. Non ce la faccio, non ce la faccio.
Respirai
a fondo e scavalcai la balconata, scoprendo con mio grande sollievo
di non soffrire le vertigini. Allungai un braccio verso il tubo,
afferrandolo con non troppa sicurezza, poi fu la volta del piede.
Quando mi lasciai andare per arrampicarmi col resto del corpo lanciai
un urletto e chiusi gli occhi, sentendo le viti cigolare sotto la
pressione del mio peso.
«Non
agitarti, Wanda. Hai tutto il tempo per...» La porta
improvvisamente
si spalancò e ne uscì fuori un'orda di Cercatori.
«Okay,
scherzavo.» balbettò Jared.
Appena
le anime mi notarono strabuzzarono gli occhi.
«Eccola!» esclamarono
«Prendiamola!»
Mi
feci coraggio e scivolai giù per il tubo con Jared che mi
aspettava
di sotto. Quando fui abbastanza vicina mi aiutò a scendere e
iniziammo a scappare, correndo sotto la pioggia di proiettili dei
Cercatori.
Jared
mi portò lontano dall'edificio, che da quella distanza
sembrò
essere un presidio di guardia, oltre la zona asfaltata. Lo osservai
per bene, vedendo che parte del tetto era stato demolito e che la
facciata frontale era per metà distrutta. Dietro l'edificio
s'intravedevano alte lingue di fuoco intente a bruciare quel che ne
restava di un caseggiato vicino.
Scavalcammo
la recinzione di ferro che costeggiava la zona e atterrammo sullo
sterrato, continuando la nostra corsa fino a che non trovammo una
sporgenza dietro cui nasconderci.
«Cavolo...»
Appoggiai una mano sul muro e trassi un respiro profondo. Jared si
puntellò sulle ginocchia, ansante, poi alzò lo
sguardo verso di me.
Aveva anche lui il fiatone.
«C'è
mancato poco...» bofonchiai.
«Già.
Tu... tu stai bene?»
Annuii.
«E tu?»
«Sì...
sto bene.»
Jared
si rimise dritto. Indossava una camicia a quadri sporca di sangue e
dei pantaloni beige sgualciti. Aveva della terra nei capelli e in
viso, dove un livido gli colorava di viola uno zigomo. Dal collo gli
pendeva un fucile di medie dimensioni.
Jared
mi guardò per un attimo, poi si aprì in un largo
sorriso. «Vieni
qui.» disse, e mi tirò verso di sé,
abbracciandomi. Sapeva di
terra e sudore.
«Abbiamo
pensato che fossi morta.» annunciò, stringendomi
un po' di più
prima di lasciarmi andare. Gemetti appena per il bruciore che
percepii sulla schiena nei punti in cui c'erano i graffi. Jared mi
fissò allarmato. «Sei ferita?»
«No,
va tutto bene.»
La
sua premura mi fece tornare indietro di diversi mesi, a quando
Melanie e io eravamo ancora nello stesso corpo e lui si preoccupava
per noi come in quel momento stava facendo per me. Era la prima volta
che si mostrava così apprensivo nonostante fossi solo io
l'oggetto
della sua attenzione.
«Come
stanno gli altri? Melanie e...» domandai, ma Jared
m'interruppe
prima che concludessi la frase. «Stanno tutti
bene.»
Sospirai
di sollievo.
«Conviene
spostarsi da qui. Non è un posto sicuro.»
commentò dopo aver
sbirciato oltre il muro. Impugnò il suo fucile.
«E
dove andiamo?»
«Ian
e gli altri stanno aspettando al furgone.»
Al
nome di Ian, il cuore prese a battermi più veloce. Lui era
là, da
qualche parte, non molto lontano da noi, e ci stava aspettando. Lui e
gli altri stavano tutti bene.
«Pronta?»
domandò il ragazzo.
Mi
diedi un'occhiata e per un secondo cercai d'istinto la pistola dietro
la schiena. Ma ormai l'avevo persa e non rimanevo con nient'altro se
non che coi miei vestiti sporchi e insanguinati. Insanguinati del mio
sangue o di quello di qualcun altro. O di Jeb.
Al
suo ricordo trasalii, ma non così rumorosamente da poter
essere
sentita da Jared. Ancora non me la sentivo di potergli raccontare di
lui.
«Pronta.»
risposi.
«Dove
le avete trovate?»
Stavamo
camminando lungo il confine, in modo da passare inosservati
attraverso tutto il campo. Di tanto in tanto sentivamo i rombi dei
motori che percorrevano la strada lentamente, come per scovare
qualcosa in mezzo alle case dietro cui ci nascondevamo, allora ci
fermavano e aspettavamo. Jared aveva l'aria di sapere dove andare e
come orientarsi, e questo era un bene, dato il mio scarso senso
dell'orientamento.
Nuvole
di fumo volavano alte nel cielo, indicando la posizione esatta del
presidio di guardia da cui ero fuggita.
«Che
cosa?» chiese lui.
«Le
bombe.» dissi, oltrepassando dei sacchi d'immondizia
addossati al
muro di un casolare, tanto numerosi da ostruire lo spazio tra la
stessa e il confine. «Liam mi ha detto del piano.»
Jared
parlò continuando a camminare e a guardare davanti a
sé. «Dopo
essere usciti dalle celle, Kyle ci ha portati in un magazzino. Era
l'unico posto sicuro in cui potevamo nasconderci in quel momento. Lui
non se n'era neanche accorto, delle bombe. Le ho scoperte io, per
caso, e così ci è venuto in mente il piano. Aaron
ne ha piazzate
per tutta la zona, ma qualcosa è andato storto. Un ordigno
è
esploso per sbaglio innescando una reazione a catena che ne ha fatti
saltare altri, ma è riuscito a interromperla.»
«Ah,
ecco perché.» dissi mentre mi fermavo.
«Aaron dovrebbe proprio
sapere che c'è mancato davvero poco perc...»
Il
silenzio del vicinato venne improvvisamente interrotto dalla suoneria
di un cellulare. «Oh, porca...» Jared
sobbalzò «È il mio,
scusa.» disse, e lo tirò fuori dai pantaloni.
«L'ho
trovata.» si affrettò a chiarire appena avviata la
chiamata,
voltandosi nella mia direzione. «Sì, è
qui con me. Vi stiamo
raggiungendo. Siete sempre lì, giusto?»
Un
brusio oltre la comunicazione. Jared aprì la bocca per
parlare e
simultaneamente giunse il suono familiare dell'ennesima bomba che
scoppiava, non molto lontano da noi. La terra tremò e in
automatico
sia io che lui ci abbassammo coprendoci la testa.
«Ragazzi,
ma che diavolo succede?»
sbraitò il mio amico con malcelata
impazienza. Il mio orecchio riuscì a captare solo le parole
''Wanda'', ''tempo'' e ''maggiore''. Jared alzò gli occhi al
cielo,
poi lanciò un'occhiata oltre il muro dietro cui ci stavamo
nascondendo. «Okay. Sentite, adesso devo andare. Ci vediamo
tra
poco.»
Il
ragazzo interruppe la comunicazione e una volta riposto il telefono
in tasca frugò nell'altra alla ricerca di qualcosa.
«Okay,
ci sono dei Cercatori che stanno venendo nella nostra direzione. Le
cose sono due: o ci facciamo scoprire subito e tentiamo una missione
suicida, oppure continuiamo a camminare per altri venti metri e
tentiamo una missione suicida tra cinque minuti.»
Sbattei
le palpebre senza sapere bene cosa dire. Nel frattempo Jared aveva
trovato ciò che cercava. «L'unico modo per
raggiungere gli altri è
uscire allo scoperto.» spiegò mentre mi porgeva un
oggetto piccolo
e lucido, un coltellino.
«Non
è un gran che, ma potrebbe sempre servirti.»
aggiunse davanti alla
mia espressione non proprio convinta. «Stammi vicino, va
bene?»
Jared
caricò il fucile e mi riservò uno sguardo di
incoraggiamento. Non
aveva l'aria calma e sicura di chi sapeva bene come muoversi adesso,
anzi in realtà era un po' teso, e il fatto che volesse
infondermi
coraggio sembrava un po' un controsenso.
Agguantai
il coltellino e me lo rigirai tra le dita. «Ti copro le
spalle.»
risposi io, senza badare troppo al guizzo di sorpresa che gli
attraversò gli occhi.
Jared
mi diede le spalle e guardò oltre il muro. In un muto
avviso, capii
di doverlo seguire e iniziai a corrergli dietro a testa bassa. Per un
momento intravidi il gruppo di Cercatori che, armati e non, si
stavano riversando in strada dopo l'ennesima esplosione, bianchi
nelle loro uniformi, in contrasto col nero delle pistole. In
particolare, cinque si stavano dirigendo proprio verso di noi.
Corsi
fino all'altro casolare, tornando nascosta insieme a Jared.
«Hai
visto quanti sono?» dissi in un sussurro mentre mi guardavo
alle
spalle.
«Sì.»
«Come
faremo ad affrontarli? Sono troppi per noi.»
Jared
si voltò verso di me. La luce del sole metteva in mostra le
ombre
scure sotto gli occhi e la pelle sottile degli zigomi. Era come se
avesse perso peso. «Più riusciamo ad avvicinarci
senza essere
visti, più sono alte le possibilità di tener loro
testa. Non credo
che i ragazzi esiteranno a coprirci mentre cerchiamo di
raggiungerli.»
Corrugai
la fronte. «Quale sarebbe il piano esattamente? Voglio
dire... una
volta riuniti con gli altri che facciamo?»
«Ridurre
in cenere questo posto, tornare a casa, riprenderci la nostra vita.
Non penso sia una cosa che stiamo cercando di ottenere per la prima
volta.» C'era un che di ironico nel suo tono, come se l'idea
di
avere sempre a che fare con tutto questo lo mettesse di buon umore.
Stetti
per ribattere, ma un rumore non identificato giunse dietro di me.
Jared spalancò gli occhi e puntò il fucile oltre
la mia spalla.
Partirono due colpi e quando mi girai giunsi a vedere in tempo uno
dei Cercatori che si faceva scivolare l'arma di mano prima di cadere
per terra, morto.
«Sono
qui!» gridò allora un altro, che stava
poco più in là
rispetto al collega. Da qualche parte risuonò una specie di
allarme
e senza accorgermene mi ritrovai ad essere trascinata via da Jared.
Corsi e mi diressi verso la strada principale con a fianco lui che
sparava, colpendo la sentinella sul tetto di una casa o ancora quella
nascosta dietro una jeep. Trovammo un Cercatore riversato per strada.
C'era una pistola vicino al suo corpo: decisi di prenderla,
così mi
abbassai e lasciai che Jared mi anticipasse nell'arrivare dietro un
cumulo di sacchi di sabbia. Raccattai la pistola evitando di guardare
il viso imbrattato di sangue dell'uomo.
«Wanda!
Corri!» gridò nel frattempo Jared appena si
accorse che ero rimasta
indietro.
«Arrivo!»
Mi
tirai su. Mentre raggiungevo il mio amico proiettili e schegge
colluttavano col terreno e contro le case stesse, come ad una grande
festa dove tutti giocavano con le pistole ad acqua senza curarsi di
prendere bene la mira. Jared mi coprì e non appena fui
abbastanza
vicina allungò una mano verso di me. Io l'afferrai d'istinto
e lui
mi tirò nella sua direzione.
In
quel momento qualcosa di piccolo e incandescente mi sfiorò
il
braccio, come un fiammifero acceso, e la sensazione si acuì
quando
mi ritrovai sbalzata per terra. Mi presi il braccio e un verso mi
uscì dalle labbra quando riconobbi sulla pelle la
consistenza
viscida del sangue.
«Maledizione.»
biascicai, stringendo i denti. Una pallottola mi aveva sfiorato ma
senza penetrarmi, procurandomi un lungo taglio orizzontale.
«Wanda.»
Jared si precipitò da me inginocchiandomisi accanto.
«Ti hanno...»
Il
ragazzo non ebbe il tempo di finire la frase. Un Cercatore apparse
dietro il muro puntandoci contro un'arma, allora io, colta
dall'istinto, scattai per prendere la pistola che era troppo lontana.
Quindi chiamai Jared, che però non si voltò
tempestivamente verso
l'uomo. Per un attimo il tempo sembrò sospendersi, dilatarsi.
Un
furgone apparve dal nulla fermandosi oltre le spalle del Cercatore.
Poi un uomo armato, sbucato dal retro, lo colpì nella
schiena.
«Presto,
ragazzi, venite!»
Quando
riconobbi il suo viso non riuscii davvero a crederci, nemmeno mentre
Jared sorrideva e mi aiutava ad alzarmi.
«Kyle!»
esclamò sollevato.
«Su,
forza! Non c'è tempo da perdere.»
Kyle
ci fece segno di raggiungerlo e noi ubbidimmo. Ero così
felice di
vederlo che per un attimo mi dimenticai del dolore al braccio. Quando
ci avvicinammo al furgone e incrociò il mio sguardo sorrise
affettuosamente, porgendomi una mano per aiutarmi a salire sul retro.
«Finalmente
ci rivediamo.» disse mentre io gliela afferravo.
«Già.» io
sorrisi di rimando.
Appena
entrai nell'abitacolo il caldo afoso scomparve, sostituito da una
leggera frescura. Così mi accorsi di lui.
Una
massa arruffata di capelli neri più lunghi del solito, un
naso
aquilino reso imperfetto da una gobba quasi invisibile, il tatuaggio
che recitava Hic et nunc sull'avambraccio. Appena
fui dentro
si girò di scatto nella mia direzione e quando si accorse di
me un
guizzo di incredulità gli attraversò gli occhi
azzurri.
«Ian.»
mormorai.
Quante
volte mi ero sognata quel momento, quanti giorni avevo sperato di
poterlo vivere davvero. Quante notti avevo pensato a tutto quello che
mi sarei potuta perdere se non fossi riuscita a scappare. Alla vita,
alle albe e ai tramonti che non avrei più potuto trascorrere
con
lui. Alle carezze, ai baci e ai sussurri che ci sarebbero potuti
essere.
Un
secondo dopo Ian si era alzato dalla panchina e mi aveva circondato
con le sue braccia, premendomi una mano sulla schiena e un'altra
sulla nuca. Io avevo stretto il tessuto della sua maglietta, avevo
tuffato il viso nella sua spalla e annusato e toccato il suo corpo
come per potermi assicurare che fosse vero, senza accorgermi nemmeno
delle lacrime che avevano iniziato a rigarmi le guance.
«Sei
qui...» sussurrai ad occhi chiusi.
«Sono
qui.»
Ian
aveva la voce incrinata, il respiro corto. Percepivo il suo cuore
battere forte contro il mio petto, il suono più bello che
potessi
sentire in quella giornata. È reale.
«Sei
venuto a prendermi.»
Lui
si scostò per guardarmi negli occhi. L'intensità
del suo sguardo mi
fece stringere lo stomaco. Era bello anche con un taglio sul
sopracciglio e terra e sudore addosso.
«Ho
fatto una promessa. Non potevo permettermi di non
mantenerla.» disse
mentre l'ombra di un sorriso iniziava a incurvargli le labbra
screpolate.
Allora
mi avvicinai di nuovo a lui e chiudendo ancora una volta gli occhi
premetti la bocca contro la sua, in un bacio urgente e dolce al tempo
stesso, un bacio che spiegava ogni parola non detta, che appagava
ogni nostalgia inespressa.
È
reale.
Spazio
autore:
Eccomi
ritornata! In grinta ed entusiasta, felice di essere riuscita a
scrivere questo capitolo dopo tutti questi mesi di assenza. Ci ho
lavorato su tanto, volevo che tutto fosse perfetto, come avevo
pianificato, così ho voluto prendermi qualche tempo in
più per
riflettere ed elaborarlo bene. Non so se sono riuscita nel mio
intento, se sono stata all'altezza delle vostre aspettative. Io lo
spero con tutto il cuore, anche perché ci ho messo davvero
tutta me
stessa :)
Tra
l'altro ho voluto scrivere più del solito perché
sapevo che in
qualche modo avrei dovuto ricambiare i mesi di silenzio con qualcosa
di sostanzioso e cospicuo, che potesse saziare la fame che avete
patito durante l'attesa insomma ahahah. Così ecco questo
capitolo,
lungo e pieno di eventi. A cominciare dal primo, quello che
sicuramente molti di voi sospettavano che ci sarebbe potuto essere:
il bacio tra Liam e Wanda. Ho pensato che tra questi due le cose non
potessero proprio andare diversamente, era evidente che avevo fatto
in modo che tra loro nascesse qualcosa, un sentimento di
solidarietà,
un'intesa, e che inevitabilmente uno dei due finisse per andare oltre
tale sentimento. Quindi eccovi qui questo bacio, un po' sorprendete
se vi ricordo che Wanda lo ha ricambiato.
Cosa
pensate possa succedere adesso? Come si comporterà Wanda con
Ian?
Come andrà a finire?
E
poi segue la sorpresa delle sorprese, l'incubo che Wanda non avrebbe
mai voluto che si avverasse: Jeb è diventato un ospite. Uno
shock,
una cosa impensabile, però è successo e adesso
bisogna farci i
conti. Wanda lo dirà agli altri? Salverà Jeb?
Infine
l'arrivo di Jared e l'incontro – desiderato disperatamente
– con
Ian. So di aver tranciato un po' l'ultima parte, ma purtroppo era
necessario farlo perché altrimenti mi sarei dilungata
troppo. Per
confortarvi però, vi dico che non salterò questa
scena e che nel
prossimo capitolo ripartirò direttamente da qui.
Ma
che mi dite dei personaggi che non sono comparsi? Liam, Drago, che
fine pensate abbiamo fatto? Sono vivi o sono morti?
Aspetto
le vostre risposte!
A
presto,
Sha
:*
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