My guitar lies bleeding in my arms di CowgirlSara (/viewuser.php?uid=535)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Distance between brothers ***
Capitolo 2: *** 2 - Shot through the heart ***
Capitolo 3: *** 3 - A pale shade of what we were ***
Capitolo 4: *** 4 - Strong enough to save ***
Capitolo 5: *** 5 - The best times are coming ***
Capitolo 1 *** 1 - Distance between brothers ***
Bleeding - 1
Una
nuova storia. È sempre bello iniziare una nuova avventura, ma
questa introduzione non è facile per me. Devo spiegare alcune
scelte che ho fatto. Questa non è una storia facile, non
è la mia solita commedia romantica (oh, ragazzi, le amo e ne
scriverò ancora, eh!). È una storia che parla di una
crisi nel rapporto tra Bill e Tom e spero di riuscire ad esplorare al
meglio i sentimenti di questi personaggi. C’è anche
un’altra cosa anomala in questa fanfiction: Bill è
omosessuale.
Dopo
questa dichiarazione, probabilmente, mi sarò attirata le ire di
orde di fan, ma questa scelta è funzionale alla storia. Avevo
bisogno di un Bill così, ma ripeto non è una twincest,
poiché io non le sopporto e sono anche felice che le abbiano
tolte dal sito. Tanto per chiarire.
Tornando
a quella decisione. Per molto sono stata indecisa se pubblicare o meno,
non è mio costume speculare sui gusti sessuali della gente.
Però, sia Tom che Bill sono personaggi difficili da
interpretare, sono sfuggenti, ambigui e misteriosi, come è
giusto che siano dei divi, quindi Bill potrebbe benissimo essere gay
come il più grande sciupafemmine dell’universo, dopo suo
fratello. Io questo non lo so e non lo posso sapere, quindi in questo
racconto la faccenda sta così. Magari nel prossimo si
porterà a letto due ragazze alla volta.
Qui
c’è un maschio nel suo cuore e nel suo letto, quindi
rassegnatevi. Se l’idea non vi piace, cambiate storia.
La
fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel,
per gli altri personaggi reali citati, il loro lavoro e la loro vita
privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti
narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha
alcun scopo di lucro.
I Tokio
Hotel non mi appartengono (ma ormai sono nel club delle Zie),
così come gli altri personaggi reali e le canzoni che
eventualmente userò.
La
canzone che da il titolo alla storia e la introduce è “My
Guitar Lies Bleeding In My Arms”, stupendo pezzo contenuto
nell’album “These Days” dei Bon Jovi. Ascoltatela,
è bellissima e perfetta per lo stato d’animo del Tom di
questo racconto.
Note e saluti alla fine!
Vi lascio alla lettura e aspetto con trepidazione i vostri commenti.
Baci
Sara
*****
I can't write a love song the way I feel today
I can't sing no song of hope, I got nothing to say
Life is feeling kind of strange, it's strange enough these days
I send this song to you, wherever you are
As…
~ My Guitar Lies Bleeding In My Arms ~
1 – Distance between brothers
Il suo corpo fendeva
l’acqua più lentamente di quanto avrebbe voluto, mentre le
immagini di quel giorno gli attraversavano la mente. Paula, elegante in
cima ai suoi jeans firmati, innegabilmente bella, di certo sfrontata,
dietro quegli occhiali da sole. Tom ed il suo sorriso irriverente, con
quegli sguardi non troppo nascosti verso di lei. E di nuovo la ragazza
ed i suoi occhi soddisfatti e per nulla intimoriti, inginocchiata tra
le sue gambe. E il viso di suo fratello, arrossato e un po’
affannato, che stentava a mettere a fuoco la sua faccia sconvolta. E
poi vedeva se stesso, come se guardasse un film, fermo sulla porta del
camerino a guardare incredulo quella scena.
Si vedeva sbattere gli
occhi, come sperando che quelle immagini sparissero, desiderando che
fosse un sogno; poi aveva sentito il proprio viso avvampare ed aveva
dato le spalle alla stanza, chiudendo la porta. Ed era fuggito a gambe
levate.
Non era per la scena in se,
perché non era certo la prima volta che sorprendeva suo fratello
in atteggiamenti compromettenti con qualche ragazza. E non era nemmeno
per Paula, anche se Bill non riusciva proprio a farsela riuscire
simpatica. Ma lui sapeva chi era lei e capiva che una relazione con Tom
era potenzialmente pericolosa. Così lo aveva detto al fratello,
quello stesso pomeriggio, con la sincerità che usava per dirgli
ogni cosa. Era la reazione di Tom che non aveva previsto.
Lui gli aveva urlato
contro, dicendogli di farsi gli affari suoi, con freddezza. Beh, Tom, a
volte, era un po’ permaloso, ma era la prima volta che reagiva
con quella rabbia. Bill, sorpreso e dispiaciuto, era stato solo capace
di abbassare gli occhi, mentre suo fratello lo scansava per uscire
dalla loro suite. Era successo il giorno prima e, da allora, non si
parlavano.
Bill, dovette fermarsi, gli
veniva voglia di piangere anche nuotando. Emerse dall’acqua,
appoggiandosi al bordo della piscina e respirò a lungo. Quando
sentì un brivido percorrergli la schiena, decise di uscire ed
andare a prepararsi per la cena.
Sgusciò fuori,
lasciando che l’acqua gli scivolasse di dosso e, ad occhi chiusi,
si sciolse i capelli che aveva legato per nuotare, quindi cercò
l’asciugamano che ricordava da aver appoggiato su un lettino
lì vicino, ma non c’era. Si guardò intorno
cercandolo, finché qualcuno non gli posò il telo di
cotone bianco sulle spalle, stringendolo con tenerezza.
Bill socchiuse gli occhi,
sollevando appena il mento e sospirò. Sperava che fosse Tom, ma
sapeva che non era così. Non era il suo profumo quello e poi chi
lo abbracciava era troppo alto…
“Ciao stella…” Gli sussurrò una voce dolce all’orecchio. “…come stai?”
Il cantante si girò,
tra le braccia del nuovo arrivato, sorridendo felice, ma senza riuscire
a nascondere la malinconia del suo sguardo.
“Andreas!” Esclamò a bassa voce, poi abbracciò d’impeto l’amico.
“Hey,
scoiattolo!” Reagì l’altro ridendo con calore, come
era nel suo stile. “Così mi bagni tutto!”
“Oh, scusa…” Mormorò imbarazzato Bill, scansandosi quasi bruscamente e abbassando gli occhi.
“Tranquillo, niente
d’irreparabile!” Lo rassicurò subito Andreas
allegro, controllando la maglietta appena umida, poi rialzò lo
sguardo ed osservò l’amico, trovandolo stranamente
tormentato. “Che c’è?” Gli domandò
aggrottando la fronte.
“Niente.”
Negò troppo velocemente il cantante, guardando altrove.
“Vorrei andare a farmi una doccia, mi prederesti
l’accappatoio, è laggiù.” Aggiunse, indicando
all’altro l’attaccapanni sul muro di fronte. Andreas lo
guardò con sospetto, ma poi decise di non indagare ed
andò a prendere l’accappatoio. Conosceva Bill e sapeva che
non era il caso d’insistere.
La suite che i gemelli
dividevano era composta da due camere da letto, ognuna con bagno
annesso, un piccolo soggiorno con poltrone, tavolo e attrezzatura home
theatre, un breve corridoio. Nel salottino non c’era un eccessivo
casino, a parte qualche avanzo sul carrello del servizio in camera,
alcune riviste sul tavolino tra le poltrone e un contenitore per cd
aperto sul mobile dell’ingresso.
Andreas si guardò
intorno, tutto sembrava normale come poteva sempre esserlo nelle stanze
d’albergo dei gemelli. Tutto, tranne l’atteggiamento di
Bill. Era distratto, scostante, triste, niente a che vedere con il
dolcissimo, vanesio chiacchierone che Andreas adorava. Non aveva
più spiccicato parola da quando avevano lasciato la piscina e
lui cominciava a preoccuparsi.
“Vado a farmi la doccia.” Annunciò il cantante, aprendo la porta della sua camera.
“Tom?”
Domandò l’amico e poté giurare di aver visto le
spalle di Bill contrarsi, mentre si fermava con la mano sulla maniglia.
“Non credo che ci sia.” Gli rispose poi.
“Non abbiamo provato a…” Tentò Andreas, facendo per girarsi verso la stanza del chitarrista.
“Credimi, non c’è.” Affermò secco Bill, entrando in camera e chiudendosi la porta alle spalle.
Il ragazzo rimase di sasso,
fissando la porta bianca che si era appena chiusa davanti a lui.
Rifletté per un attimo e poi pensò di aver capito: i
gemelli dovevano aver litigato, non c’era altra spiegazione al
gelo che si respirava nell’aria.
Provò a bussare alla
porta di Tom, nessuno rispose, quindi decise di provare ad entrare. La
porta era aperta, nella stanza non c’era nessuno. Andreas si
guardò intorno. Il letto era fatto, in giro non c’era
molta roba a parte una valigia aperta sull’ottomana e un paio di
scarpe sul tappeto. Richiuse la camera e tornò nel soggiorno ad
aspettare Bill.
Più di
mezz’ora dopo, il ragazzo gettò con uno sbuffo la copia di
Rolling Stone che stava leggendo sull’altra poltrona, quindi si
alzò, deciso a stanare la primadonna.
“Bill?” Chiamò dopo aver bussato. Non giunse risposta, quindi Andreas entrò.
Aperta la porta si
trovò davanti un disordine epocale e pensò che Bill era
sempre il solito casinista. C’erano più magliette sul
letto, scarpe in giro, fogli, riviste di quanti sarebbe umanamente
possibile spargere in una camera. Valige aperte sul pavimento. Il
cantante era seduto davanti alla specchiera, il cui piano era ingombro
di trucchi, attrezzature e prodotti per capelli. Guardava il vuoto.
“Bill?” Fece interrogativo il ragazzo.
“Hn?” Rispose
lui, senza girare la testa; era abbandonato sulla poltroncina, aveva
un’aria distratta ed indossava ancora l’accappatoio.
“Bill, ma stai ancora
così? Sono quasi le otto, faremo tardi a cena.” Gli disse;
l’amico lo guardò con espressione ebete, come se non
capisse quello che gli diceva. “Ti sei fatto la doccia,
almeno?”
“Sì.”
Annuì Bill. “Non so che cosa mettermi…”
Aggiunse poi, decidendosi a raddrizzarsi sulla sedia e prendere in
mano, almeno, la matita per gli occhi.
“Sant’Iddio,
qui sembra esploso il magazzino della Gap, possibile che non trovi
nulla da metterti!” Replicò Andreas scoraggiato, guardando
il casino che aveva attorno.
“Hn…” Bill fece una smorfia nauseata.
Andreas sbuffò e si
mise a cercare qualcosa da fargli mettere, in mezzo al disastro.
“Che ne dici di questa maglietta nera con i tribali
bianchi?” Propose, ma il cantante arricciò schifato il
naso. “T-shirt rossa con i cuori gotici?” Stavolta gli
rispose un verso disgustato. “Una guepiere di pizzo nero coi
fiocchi di raso?” Continuò ironico lui.
“Ehhh?!”
Reagì questa volta Bill; Andreas scosse il capo e poi gli
lanciò la prima maglietta sotto mano, prima di sedersi sul letto.
“Andiamo,
vestiti!” L’incitò quindi. “Di che hai ancora
bisogno, un tiro da sei di boys in smoking che ti lanciano petali di
rose mentre scendi le scale?”
“Ah ah ah, come sei simpatico!” Protestò acido Bill, alzandosi.
“Ti vesti o
no?!” Sbottò l’amico e si ritrovò sommerso
dall’accappatoio lanciato dal cantante; quando riuscì a
liberarsene, aveva davanti Bill in mutande che s’infilava un paio
di jeans.
Seguì i suoi
movimenti. I pantaloni che salivano lungo le sue gambe magre, le sue
dita smaltate di nero che chiudevano i bottoni e la grossa fibbia della
cintura. La stella tatuata sul suo addome. Lo aveva già visto
vestirsi, o spogliarsi, ma ogni volta… Dio, era così
magro, come un ramo di salice. Perché ogni volta gli veniva solo
voglia di abbracciarlo e proteggerlo? E specie quando lo vedeva tanto
abbattuto…
“Scoiattolo…”
Lo chiamò dolcemente, lui lo guardò. “Hai litigato
con Tom?” Si decise a chiedergli; Bill abbassò il capo e
guardò altrove. “Hai litigato con Tom.”
Affermò quindi, sicuro ormai che era la verità.
“Sì…” Ammise infine il cantante.
“Mi vuoi dire che
è successo?” Gli propose comprensivo l’amico. Bill
sospirò e si sedette accanto a lui, dopo essersi infilato la
maglia.
“Circa un mese fa si
è aggiunta allo staff del gruppo una ragazza, Paula Schneider si
chiama.” Esordì il cantante, sotto lo sguardo attento
dell’amico. “È molto bella, e
disinibita…” Descrisse. “Sta per laurearsi in
scienze della comunicazione a Monaco ed ora lavora come assistente
dell’addetto stampa.” Spiegò poi.
“Kurtzmann?” Domandò Andreas. Bill annuì.
“È abbastanza
brava nel suo lavoro, ma non è per questo che sta
nell’entourage.” Riprese il cantante. “Vedi, lei
è la donna di Werner Velbaum.”
Andreas spalancò gli occhi. “Quello della casa discografica?”
“Già, proprio lui.” Rispose Bill annuendo.
“E cosa ci entrate tu e Tom in tutto questo?” Chiese quindi l’amico.
“Indovina un po’…”
“No, aspetta.” Fece Andreas, realizzando. “Tom non se la sta scopando, vero?”
“Se la sta scopando eccome, Andi.” Replicò sconsolato Bill.
“Dai, non può
essere così cretino…” Commentò l’altro
con espressione incredula. “E… tu? Non avrà tirato
in mezzo anche te?” Chiese poi, preoccupato, posando una mano
sulla schiena del cantante. Non poteva credere che Bill si fosse fatto
coinvolgere in un simile quadrilatero di relazioni.
“Io li ho sorpresi
insieme.” Raccontò, però, l’amico, dandogli
un immediato sollievo. “E poi ho parlato a Tom, dicendogli che
secondo me sbagliava ad avere una relazione con lei.”
“Hai fatto bene.” Intervenne Andreas.
“Sì, ma lui mi
ha trattato di merda, Andi!” Ribatté subito l’altro,
girandosi verso di lui. “Non aveva mai reagito così,
giuro! Ci sono rimasto talmente male che se ci penso piango ancora! Non
mi parla da ieri.” Concluse sconsolato.
“Mi dispiace.”
Gli disse solidale l’amico, passandogli un braccio sulle spalle.
“Ma vedrai che gli passa, magari si è solo offeso
perché glielo hai detto…”
“Lo spero!” Esclamò triste Bill.
“Tranquillo,
Scoiattolo, ora ci sono io e troveremo un modo per fare pace,
dai!” Lo rassicurò Andreas con allegra dolcezza,
stringendolo a se.
“Oh, Andi, speriamo!” Affermò mogio Bill, rintanandosi contro la sua spalla.
“Dai, vedrai che gli
passa tutto in un paio di giorni!” Replicò ottimista
l’amico. “Vai, adesso finisci di truccarti, che
così, con un occhio solo sembri il gatto di mia nonna!”
“Stronzo!” Reagì Bill ridendo, mentre gli dava una piccola spinta.
“Ma mi ami
così, no?” Il cantante lo guardò per un attimo nei
brillanti occhi verdi, reprimendo il tuffo al cuore, poi sorrise
incerto.
“Già, ti amo
così…” Mormorò, prima di tornare allo
specchio e lasciare Andreas al suo batticuore.
Tom era davanti
all’entrata del ristorante e stava rispondendo ad un messaggio
sul cellulare. La mattina erano stati in sala prove e nel pomeriggio
lui si era visto con Paula. Avevano passato diverse ore in camera di
lei, a fare l’amore, senza pensare a nulla.
Il ragazzo era ancora
arrabbiato per l’intrusione di suo fratello nella sua vita
privata. Ma che cosa gliene fregava, a Bill, se lui si scopava Paula?
Sì, lo sapeva perfettamente che lei stava con quel tipo della
casa discografica, ma era un vecchio. E poi, insomma, mica se la voleva
sposare! Fare sesso con lei era bello, una cavalcata selvaggia che
toglieva ogni pensiero dalla testa. Meglio dell’alcool. Paula gli
faceva davvero bollire il sangue. Forse perché era più
grande, ma non era la prima venticinquenne che si faceva. Certo era
bella, sexy, capace di fartelo venire duro con uno sguardo, ma non era
solo questo. Lei lo aveva trovato in un momento di fragilità,
anche se lui non lo avrebbe mai ammesso. Gli faceva rabbia pensare di
essere stato debole, ma aveva stupidamente bisogno di quella donna.
Anche per questo aveva preso così male le parole di Bill.
Adesso, però, chissà perché, si sentiva strano
all’idea di aver litigato col gemello… A volte, questo
legame ancestrale con Bill, era proprio fastidioso!
Sbuffò, mentre
riponeva il telefono, appena prima di sentirsi chiamare da una voce
familiare. Si girò e vide Andreas venirgli incontro.
“Ciao, Andi!” Salutò cordiale, abbracciando l’amico.
“Ciao Büchse (*), come va?” Rispose l’altro, dandogli delle amichevoli pacche sulle spalle.
“Hm, abbastanza
bene.” Gli disse, poi si staccarono. “Quando sei
arrivato?” Chiese Tom, guardandolo negl’occhi.
“Oggi pomeriggio.” Affermò Andreas. “Sono stato con Bill.” Spiegò quindi.
“Ah…”
Fece soltanto l’altro, guardando altrove. Calò un silenzio
imbarazzato, Andreas non sapeva se dirgli che era a conoscenza del
litigio.
“Mi ha detto che
avete avuto una discussione.” Confessò infine; fu colpito
dalla freddezza dello sguardo con cui rispose Tom.
“Ti ha già
spiattellato tutto, eh?” Replicò quindi il chitarrista.
“Non regge neanche il semolino…” Aggiunse scuotendo
la testa. Andreas aggrottò la fronte, insospettito.
“Guarda che è molto triste, per questa cosa, vorrebbe davvero fare la pace…” Gli disse.
“Doveva pensarci
prima di farsi i cazzi miei!” Intervenne Tom, interrompendo
l’amico. L’altro gli scoccò un’occhiata di
rimprovero.
“Ci sta male davvero, Tom.” Affermò Andreas severo.
“Ripeto. Doveva
pensarci prima.” Ribatté duro il chitarrista. “E,
tanto, adesso ci sei tu a consolarlo…”
“Non ti permetto…” Fece Andreas appena minaccioso.
Bill, in quello stesso
momento, stava raggiungendo il ristorante; non si accorse del fratello,
perché Andreas gli copriva la visuale. “Sì,
l’avevo lasciato in camera il tel…” Esordì,
rivolto all’amico, che si girò, scoprendo Tom e la sua
espressione cupa. Il cantante interruppe la frase e si fermò sul
posto.
I due gemelli si guardarono
per un lungo istante negl’occhi. Lo sguardo di Bill era triste e
aggrottava la fronte come se stesse trattenendo le lacrime. Quello di
Tom, invece, era quasi di sfida. Infine, quest’ultimo fece un
sorrisino beffardo, lanciò un’ultima occhiata ad Andreas,
poi voltò le spalle ad entrambi ed entrò nella sala.
Andreas, che lo aveva
seguito mentre se ne andava, si voltò verso Bill. Il ragazzo non
si era mosso di un millimetro. Quando i suoi occhi nocciola
incontrarono quelli dell’amico erano lucidi, gli tremava il
mento. Andi gli corse accanto.
“Non piangere,
dai.” Gli disse, circondandogli le spalle con un braccio.
“Andrà tutto bene, si sistemerà
tutto…” Mormorò poi, accarezzandogli il viso
nell’intento d’impedirgli di scoppiare in lacrime.
“Su, Mäuschen (*), che poi ti cola il trucco…”
Il nomignolo riuscì a strappare un sorrisino triste a Bill;
Andreas sospirò sollevato, stringendoselo contro e portandolo
finalmente in sala.
La cena, ad ogni modo, non
fu il convivio divertente che era solita essere con i ragazzi. Andreas
chiacchierò con Georg e Gustav, dato che era molto tempo che non
si vedevano, ma sempre tenendo d’occhio Bill, che quasi non
toccò cibo quella sera. Tom lo ignorava, non lo guardava e non
gli rivolgeva la parola, nemmeno per chiedere il pane o il sale. Andi,
ogni tanto, scorgeva sguardi pieni di tristezza da parte del cantante
per il gemello e questo faceva male anche lui. Stava cominciando a
pensare che questa storia fosse più grave di quanto credeva.
“Grazie.” Disse
Andreas al cameriere del servizio in camera, dopo avergli dato la
mancia; lui salutò e se ne andò silenzioso.
La porta della camera si
aprì, attirando l’attenzione del ragazzo; ne spuntò
la versione notturno-depressa di Bill: niente trucco, pantaloni del
pigiama neri a righe, maglietta grigia ed espressione da poeta
esistenzialista con manie suicide.
“Che cos’è?” Domandò il cantante, indicando il carrello, mentre si sedeva su una poltrona.
“Ti ho ordinato
qualcosa da mangiare, non hai toccato nulla a cena.” Rispose
Andreas, che era in piedi davanti al tavolino dell’ingresso e
faceva qualcosa col cellulare.
“Dimmi che è dolce…” Piagnucolò Bill, rannicchiandosi sulla poltrona.
L’amico si
girò con un sorriso. “Torta al cioccolato con doppia
farcitura fondente.” Gli rivelò soddisfatto.
“Oh, ti adoro!”
Proclamò il cantante giungendo le mani. “Hai preso anche
il latte?” Continuò avvicinandosi incuriosito al carrello.
“Sì.” Annuì Andreas.
“Sei meglio della mia mamma!” Sentenziò Bill, ritrovando un po’ di verve.
“Dai, adesso
mangia.” L’incitò con un sorriso. “Io vado, ci
vediamo domattina.” Annunciò poi.
L’altro ragazzo, a
quelle parole, fermò la mano sul coperchio del vassoio e
guardò l’amico. La sua espressione si era fatta
improvvisamente seria.
“Resta, Andi.” Lo supplicò quindi.
Ecco, lo sapeva che glielo
avrebbe chiesto. C’erano un milione di motivi per dirgli di no,
prima fra tutti la sua sanità mentale. Ma c’era un solo
enorme motivo per cui, alla fine, gli avrebbe risposto di sì:
era Bill. E Andreas, quando lui lo fissava con quegli occhioni da
cucciolo smarrito, sarebbe stato capace di saltare negli anelli di
fuoco, come le tigri dei circhi.
“Non credo che sia il
caso…” Tentò comunque il ragazzo, aggrappandosi
disperatamente al proprio buonsenso.
“Ti prego, non voglio stare solo…” Mormorò Bill, con una faccina sempre più triste.
“Ma tornerà Tom…” Provò ancora Andreas.
“Non
tornerà.” Affermò secco l’altro, abbassando
gli occhi. “E anche se lo facesse non…”
“Bill.”
L’interruppe l’amico. “Anche se volessi restare, non
c’è nemmeno un divano dove potrei dormire.”
Spiegò, sperando che fosse una scusa sufficiente.
Il cantante alzò due
occhi lucidi e supplicanti sull’interlocutore. “Puoi
dormire con me, il letto è grande.”
No, no, no! Qui si andava
di male in peggio! Lui non poteva dormire con Bill! L’ultima
volta che era successo erano in campeggio e c’erano anche suo
fratello Bertie e Tom, più che dormire avevano sparato cazzate
fino all’alba… Ma ora, così, con Bill in quelle
condizioni… E se cercava conforto? E se lo abbracciava?
Oddio… Poteva controllarsi, di giorno, in pubblico, ma di notte,
nello stesso letto, a pochi centimetri di distanza? Oh, Dio…
“Ti
prego…” Mormorò ancora il cantante. E, ad Andreas,
bastò osservare per un altro solo secondo il suo visetto
sconfortato, per dimenticare ogni raccomandazione che si era fatto.
“E va bene.” Si
arrese infine, strappando un sorriso gioioso alle belle labbra di Bill.
“Tu mangia, io vado a prendere la mia roba.”
“Grazie!”
Esclamò l’altro soddisfatto, scoprendo finalmente la
torta. Andreas scosse il capo e si diresse nella propria camera.
Ennesima battaglia persa.
La camera era illuminata
solo da una piccola lampada su uno dei comodini. Bill era steso supino,
coi capelli sparsi come un’esplosione sul cuscino e guardava un
qualche punto non identificato.
Andreas si sedette sul
letto, ravviandosi i capelli e cercando qualcosa da dire. Non era la
prima volta che dormivano insieme, ma quando erano ragazzini era sempre
un’affollata avventura e il cantante solo uno dei tanti amici,
magari più folle, sensibile e dolce degli altri, ma
null’altro. Solo da un paio d’anni era consapevole di
provare per Bill qualcosa che andava oltre il semplice affetto. E
questo qualcosa lo aveva sempre tenuto sotto stretto controllo, senza
dargli la possibilità di venire in superficie. La
possibilità di essere corrisposto nemmeno la considerava,
perché questo avrebbe significato grossi problemi per la
carriera di Bill. Eppure, c’erano momenti in cui…
“Immagino questo
significhi che devo prendermi il lato sinistro.” Esordì
finalmente Andreas, alludendo alla posizione di Bill sul letto.
Il cantante si girò
lentamente verso di lui, con un sorriso mesto e lo sguardo spento, poi
allungò una mano sul materasso fino a sfiorare la sua. Il
ragazzo trattenne un brivido.
“Se vuoi stare di qua, devi solo dirlo.” Mormorò Bill.
“Va… va bene così.” Rispose Andi, quindi gli sorrise. “Va meglio?” Gli chiese poi.
“No, ma grazie per avermelo chiesto.” Replicò il cantante, rimettendosi supino.
“Dai, vedrai che farete presto la pace!” Esclamò l’altro, cercando di essere allegro.
“Non capisco come fai
ad esserne tanto sicuro.” Fece Bill, guardandolo con la coda
dell’occhio, mentre si stendeva accanto a lui.
“Beh, è
perché siete tu e Tom.” Spiegò Andreas. “Un
mondo dove tu e Tom non vi volete bene non esiste, è
impossibile, non ci crederei nemmeno vedendolo.”
“Vorrei essere io così ottimista…” Commentò sconsolato l’altro, fissando il soffitto.
“Andiamo!”
Sbottò l’amico con un gran sorriso, mentre gli dava una
piccola spinta. “Andrà tutto bene, Pfuscherei!(*)”
Bill spalancò gli occhi, sorpreso e divertito. “Come mi hai chiamato?!”
“Pfuscherei!”
Ripeté Andreas tranquillamente sorridente. “Perché?
È il tuo, perfetto per un casinista come te, guarda che bordello
è questa stanza!” Continuò, indicando la camera
sotto sopra.
“Tu, con questa fissa
dei nomignoli, ti metterai nei guai un giorno o l’altro!”
Esclamò Bill, che ormai rideva.
Andreas, anche lui ridendo,
lo guardava, preso dall’allegria, con quella risata argentina che
tanto amava e le gambe per aria. Per la prima volta, quel giorno, si
sentì meno inquieto e poté rilassarsi un po’.
Sempre per quanto gli permetteva la situazione.
Bill, quando riuscì
a vincere un po’ l’ilarità, si girò verso
l’amico, avvicinandosi alla sua spalla; ogni tanto era ancora
scosso da qualche risatina e aveva gli occhi lucidi. Andreas lo
guardò con dolcezza, poi gli scostò dal viso una ciocca
di capelli.
“Sei bellissimo, così…” Gli sfuggì e, quando se ne accorse, ritrasse appena la mano.
“Lo pensi davvero?” Domandò però Bill, che ovviamente lo aveva sentito.
“Ce… certo…” Balbettò Andreas. “…altrimenti non te lo avrei detto…”
“Grazie.” Mormorò l’altro, mentre si accoccolava a pochi centimetri da lui.
Il ragazzo sospirò, gli carezzò piano la testa e poi spense la luce. Addormentarsi non sarebbe stato facile.
Era notte fonda, quando Tom
entrò nella suite che divideva col fratello. Era tornato
lì, non perché ne avesse voglia, ma solo per farsi una
doccia, cambiarsi e dormire un po’ in pace. E poi, anche
perché Paula si era fissata che era meglio non passare la notte
insieme.
Il ragazzo
attraversò il corridoio e vide, nel soggiorno, il carrello con
la torta mangiucchiata ed il bicchiere sporco di latte. Sempre il
solito, Bill.
Pensare a suo fratello con
la bocca sporca di cioccolata gli strappò un sorrisetto e,
chissà perché, gli fece venire voglia di vederlo. Ma
questo non significava che ce l’avesse meno con lui. Si tolse le
scarpe e raggiunse la porta del gemello. Era solo accostata e, quindi,
gli bastò spingerla appena per avere una visuale sufficiente
della stanza.
Il rettangolo di luce della
porta raggiungeva i piedi del letto, ma illuminava abbastanza da
consentire di vedere le due figure stese sopra.
Bill era rannicchiato su un
fianco, con il capo posato contro il torace di Andreas, che invece era
supino, con un braccio sopra la propria testa e l’altro oltre
quella di Bill. Tom strinse i denti.
E poi Andreas aveva anche
il coraggio di affermare che non era lì per consolare Bill!
Certo, come no! E questo come lo chiamava? Era, tutto tranquillo, a
letto con suo fratello!
Era incazzato. Sì,
perché uno dei suoi migliori amici non gli aveva neanche chiesto
la sua versione delle cose, ma aveva dato, a prescindere, ragione a
Bill. E il motivo della sua preferenza era più che chiaro, o no?
Nemmeno per un momento, Tom, mentre andava in camera sua, pensò
che forse era solo geloso del rapporto tra il suo gemello e Andreas.
Sapeva solo di essere sempre più arrabbiato con Bill. Come si
permetteva di giudicare lui, per la sua storia con Paula, e poi
flirtare apertamente con Andreas, finendoci anche a letto insieme?!
Quando entrò nella propria stanza, chiuse la porta un po’ più rumorosamente di quanto fosse necessario.
Bill sussultò,
svegliandosi. Si guardò intorno smarrito, cercando di capire se
aveva sentito davvero qualcosa, un rumore. Andreas dormiva tranquillo
al suo fianco, ronfando placidamente.
Il ragazzo si
sollevò su un gomito e spiò il buio, in direzione della
porta. Gli sembrava più aperta di come l’avevano lasciata,
ma non sapeva dire se si trattasse di un’impressione.
Qualcosa, però, gli
diceva che Tom era tornato. Qualcosa nella pancia, una sensazione che
conosceva bene e che, purtroppo, in quei giorni era accompagnata da
tristi pensieri.
“Tomi?”
Provò a chiamare a bassa voce. Gli rispose solo il silenzio
della notte; così, triste e deluso, si rimise giù,
rannicchiandosi più vicino ad Andreas.
CONTINUA
(*) Büchse - scoppietto
Mäuschen - topolino
Pfuscherei – pasticcio, danno
Mah,
ditemi voti, io continuo a pensare che questa storia e i personaggi
siano un tantino patetici. Temo di annaspare troppo tra lacrime e
melassa. Chiaritemi le idee con le vostre recensioni.
Saluto
tutti quelli che leggeranno e commenteranno e ne approfitto per
ringraziare coloro che hanno commentato l’ultimo capitolo di
“Something like summertime”: siete stupendi, un sostegno
indispensabile per ogni scrittore! Vi aspetto ancora!
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Capitolo 2 *** 2 - Shot through the heart ***
Bleeding - 2
Secondo
capitolo. Devo ammettere che la stesura della ff procede più
lentamente del previsto, ma vi assicuro che procede!
Vi
prego, dopo la lettura di questo capitolo, non odiate troppo Tom, spero
di riuscire a spiegare le sue motivazioni al meglio. Però, vi
avverto, potreste aver voglia di prenderlo a sberle.
Ringraziamenti e note alla fine!
Buona lettura
Sara
2 – Shot through the heart
Andreas si
svegliò per primo, quella mattina. Una luce chiara attraversava
le tende, infastidendo gli occhi ancora assonnati del ragazzo. Si
girò sul fianco e guardò Bill che dormiva, ma con
un’espressione tormentata. Prima di alzarsi gli carezzò
piano la tempia, scostando i capelli. Adorava il suo bel viso, dicevano
che era troppo efebico, ma a lui non importava.
Si alzò,
stiracchiandosi e, dopo essersi aggiustato la maglia, si diresse in
bagno; mentre passava davanti alla porta della camera, però,
vide Tom nel soggiorno e cambiò idea.
“Buongiorno.” Salutò, raggiungendo l’amico.
Tom sollevò gli
occhi dal cellulare e lo guardò di sbieco.
“Buongiorno.” Rispose, con un insopportabile tono ironico;
Andreas aggrottò subito la fronte.
“Che c’è?” Gli domandò sospettoso.
“Passato una bella nottata?” Replicò acido il chitarrista, con aria allusiva.
Andreas si
avvicinò a lui, vagamente minaccioso. “Vedi di smetterla,
con queste insinuazioni, perché non mi piacciono per
niente.”
Tom fece un sorrisino
sarcastico. “Ah, non ti piacciono… ma andare a letto con
mio fratello ti piace eccome…” Ribatté poi; Andi
l’afferrò per la maglietta.
“Non ti permetto
di giudicarci, anche perché non abbiamo fatto niente di
male.” Affermò il ragazzo, stringendo la presa. Tom si
sottrasse, sempre con la solita espressione provocatoria che aveva
dall’inizio della conversazione.
“Non prendermi
per stupido, Andi.” Affermò il chitarrista.
“L’ho capito molto tempo fa che t’interessa Bill,
anche se hai continuato a nasconderti dietro alle tue fidanzate
fighe…”
“Io non ti
riconosco, Tomi.” Mormorò preoccupato Andreas, fissando
l’amico. “Che cosa ti è successo? Che
cos’è tutta questa rabbia?” Gli domandò
quindi.
“È
così difficile da capire?” Rispose il ragazzo. “Non
voglio che qualcuno mi giudichi, quando è il primo ad avere
difetti e segreti!”
“Ma Tom, ragiona!” Replicò Andreas incredulo. “Bill soffre come un cane, per questa storia!”
Tom sbuffò un
sorrisetto sardonico. “E tu sei lì per lui, no? Adesso che
è triste si getterà tra le tue braccia… e non
aspettavi altro!” Esclamò poi, prima di dirigersi alla
porta.
“Tom!” Sbottò Andreas, con tono di rimprovero.
“Ci vediamo alla
sala prove.” Gli disse però l’altro, senza
ascoltarlo. “Tanto, immagino che vieni anche tu, eh?”
Aggiunse ironico, quindi, salutandolo con la mano, uscì dalla
stanza.
Andreas, rimasto solo,
corse subito in camera, per verificare che Bill non si fosse svegliato
e avesse assistito alla scena. Il cantante sembrava dormire ancora
profondamente e, quando se ne fu assicurato, l’amico
sospirò sollevato e decise di ordinare la colazione.
Tom era seduto sul
bordo del suo sgabello, le spalle appoggiate alla parete insonorizzata
della sala prove. Nessuno dall’altra parte del vetro. Il corpo di
Paula aderiva al suo, caldo. Una sua mano gli percorreva esperta
l’addome, mentre l’altra era scivolata oltre il bordo dei
suoi boxer e gli carezzava una natica. La bocca della ragazza gli
tormentava il collo. Gli stava diventando duro e non era proprio il
caso. Per quanto Tom non si facesse scappare le occasioni, da un
momento all’altro poteva entrare qualcuno. Georg o Gustav, ad
andare bene. David, se la sfiga lo perseguitava. La prospettiva
peggiore era l’entrata di Bill e il chitarrista nemmeno sapeva
spiegarsi perché l’idea lo atterriva tanto.
“Mi piace
trovare la tua pelle sotto tutta questa roba…” Gli
sussurrò Paula all’orecchio, con la sua voce roca ed
erotica. “Mi eccita da morire…” Aggiunse, affondando
poi i denti nell’incavo della spalla del chitarrista.
“Paula… ah…” Tentò di reagire lui, ma fu soffocato da un bacio.
“Ti stai
eccitando anche tu, piccolino?” Gli chiese la ragazza,
strusciandosi ancora di più. “Oddio… non tanto
piccolino…” Affermò poi, scoccandogli
un’occhiata più che eloquente, mentre portava la mano
destra in un punto ben preciso.
“Dai, ci sono le prove…” Protestò Tom, scostandola da se con un gesto eroico.
“Ahahah! Mi fai
impazzire, quando t’imbarazzi!” Rise lei senza vergogna.
“Adoro le tue guance arrossate!” Continuò,
strizzandogli tra indice e medio quella parte del viso, lui la
scostò brusco. “Sei proprio un bambino, Tom, ma è
per questo che mi piaci tanto…”
“Sai che ti odio, quando mi dici che sono un bambino?!” Sbottò il ragazzo, incrociando le braccia.
“So io, come farmi perdonare…” Mormorò lei, con uno sguardo languido.
Paula, però,
non poté portare avanti il suo piano, poiché in quel
momento entrarono chiacchierando Georg e Gustav. I due salutarono
sbrigativamente e presero posizione ai loro strumenti, continuando a
commentare l’ultima partita di Champions League.
“Io vado.” Annunciò la ragazza e Tom si sentì, in qualche modo, sollevato.
“Bene.” Annuì il chitarrista.
“Ci vediamo dopo, Funke.(*)” Salutò quindi lei, con un ultimo sguardo carico di indecenti promesse, diretto a Tom.
Gustav, che si stava
sedendo alla batteria, alzò gli occhi e vide, mentre Paula si
stava allontanando da Tom, una mano della ragazza fare un massaggio non
proprio sanitario al sedere del chitarrista. Il ragazzo rimase a occhi
spalancati, pensando seriamente che non doveva più lasciare gli
occhiali in macchina o mangiare panini con wurst e senape a colazione.
Georg, nel frattempo,
aveva ascoltato il nomignolo usato da Paula verso Tom e aggrottava
perplesso la fronte, ma ammirò comunque il fondoschiena da urlo
della tipa, mentre lei usciva sculettando.
“A più tardi, ragazzi.” Disse la ragazza uscendo.
“Ciao!” Salutarono bassista e batterista.
“Funke?” Fece Georg, all’indirizzo di Tom, quando i musicisti furono rimasti soli.
“Beh? Che c’è?” Replicò l’interessato, stringendosi nelle spalle.
“Non so se mi
piacerebbe essere chiamato così da una ragazza.”
Spiegò divertito il bassista. “Le scintille durano
poco…”
“Tu non capisci
un cazzo.” Soggiunse l’altro, scuotendo il capo. “La
scintilla è ciò che accende il fuoco e io
l’accendo.” Si compiacque quindi.
“Se lo dici tu…” Commentò noncurante Georg.
“Piuttosto…”
Riprese Tom, mentre sistemava la chitarra. “…che fine ha
fatto la nostra primadonna?” Georg e Gustav lo fissarono, non
credendo al tono acidissimo che aveva usato.
“Sono andato un
attimo in bagno.” Rispose una voce glaciale alle loro spalle; si
voltarono e videro Bill fermo sulla porta. Il suo viso era pallido come
una maschera di cera ed aveva un’espressione indecifrabile.
“Ah, ci hai
messo tanto…” Commentò Tom, con un sorrisetto
beffardo, rimettendosi subito a trafficare con la chitarra.
“…eri da solo?”
Bill aggrottò
la fronte e lo fissò sospettoso. “Che vuoi dire?”
Chiese al fratello, avvicinandosi di un passo.
“Ti ha
accompagnato Andreas?” Fece Tom, alzando gli occhi su di lui, il
tono allusivo, l’espressione vagamente infastidita.
La maschera di Bill
tremò, come le onde quando s’increspano e questo fu
l’unico segno del turbamento che lo aveva attraversato,
poiché continuò a fissare il gemello con sguardo
immobile. Nessuno poteva sapere che qualcosa, nel suo cuore, si era
rotto. Quell’insinuazione da parte di Tom lo aveva lasciato
incrinato, ora gli mancava un pezzo.
“Bill…”
Chiamò Georg, accorgendosi che qualcosa non andava.
“Bill.” Finalmente il cantante si voltò, sempre
più pallido. “Cominciamo con «Reden»?”
Gli chiese quindi il bassista, sperando che iniziare le prove servisse
a scuotere Bill.
“S…
sì…” Rispose infine l’altro, posizionandosi
con fare incerto dietro al microfono. Ma non poté fare a meno di
guardare ancora una volta Tom, il quale, ormai, aveva gli occhi altrove.
Le prove non furono
proprio soddisfacenti. La voce di Bill s’infrangeva spesso e
volentieri e non riusciva a raggiungere i toni necessari. Tom suonava
la sua chitarra praticamente voltato verso il muro, isolato dagli
altri. E sbagliava degli accordi. Georg e Gustav, pur facendo del loro
meglio, non potevano rimediare alla frattura quasi fisica tra i gemelli.
“Basta
così. Pausa.” Proclamò David, dall’altra
parte del vetro, quindi alzò le mani arreso e uscì dalla
saletta delle attrezzature, seguito dal tecnico. Lì rimase solo
Andreas.
“Dio, abbiamo
fatto schifo oggi!” Esclamò Tom, alzandosi e depositando
la chitarra sul suo sostegno; continuava a non guardare gli altri.
“Parla per
te!” Sbottò Georg, dopo aver sistemato il suo basso.
“Noi abbiamo fatto del nostro meglio!”
“Beh, non ho
niente da dire a te e Gus, infatti.” Replicò Tom,
stringendosi nelle spalle. “Ma Bill ha cantato come una vecchia
dell’ospizio.” Il fratello allargò gli occhi.
“Non sono in forma, oggi…” Si giustificò poi.
“Cos’è? Hai sprecato troppe energie stanotte?” Gli chiese quindi Tom, provocatorio.
“Smettila, Tom.” Gl’intimò preoccupato Gustav, in piedi dietro alla batteria.
“Vorrei vedere
te, con un fratello che ti tratta così.” Commentò
Georg, rivolto al chitarrista. “Non capisco perché ti
comporti in questo modo, perché fai certe
allusioni…” Aggiunse serio.
“Le faccio
perché so chi ho davanti.” Rispose duro Tom, mentre Bill
agghiacciava, temendo il seguito. “Io l’ho visto a letto
con Andreas.”
L’affermazione
fece scendere un silenzio pesantissimo nella saletta. Gustav era
impietrito, a bocca aperta e con gli occhi spalancati fermi su Tom,
cercando di decifrare ciò che aveva sentito. Georg, invece,
spostava continuamente lo sguardo da un gemello all’altro, mentre
il suo cervello immaginava scene che non riusciva ad accettare. Tom
aveva un insopportabile sorrisino compiaciuto. Bill era una statua, ma
i suoi occhi erano lucidi; quando riuscì a socchiuderli, una
lacrima scese incontrollata, portandosi dietro una scia nera.
“Adesso
basta!” Proclamò una voce decisa, rompendo la specie di
limbo in cui erano caduti i membri del gruppo.
Era Andreas, che si
era catapultato dentro, passando tra Georg e Bill e afferrando Tom per
la maglia. Il cantante aveva immediatamente allungato una mano per
fermarlo.
“La devi
smettere, hai capito?! Non ti rendi conto che gli fai del male
così!?” Gridava però il ragazzo, scuotendo il
chitarrista. “Stavamo solo dormendo!”
Tom non si era ancora
tolto il sorrisetto. “Magari ieri stavate dormendo e la volta
prima avete fatto altro…” Ipotizzò maligno.
“Ma io ti spacco la faccia!” Minacciò Andreas, strattonandolo più forte.
“Andi!” Gridò allarmato Bill, afferrandolo per la manica della maglietta.
Gustav e Georg, che
non avevano mai visto Andreas così alterato, di solito era un
tipo più che calmo, iniziarono a preoccuparsi seriamente.
“Guarda! Sembra che il tuo fidanzatino non voglia che tu mi picchi!” Affermò ironico Tom.
“Hai veramente
un atteggiamento insopportabile, Tom!” Replicò
l’altro, continuando a stringerlo per il collo della maglia.
“Andi, ti prego!” Lo supplicava nel frattempo Bill, cercando di staccarlo dal fratello.
Il cantante, poi,
spostò lo sguardo sugli altri componenti del gruppo, cercando
appoggio. Quello che vide, però, lo sconvolse. Gli occhi di
Gustav e Georg erano pieni di dubbi e domande. E lui vi lesse anche una
certa accusa, che forse in realtà era preoccupazione, ma fu male
interpretata. Lasciò subito la manica di Andreas e si diresse
risoluto verso la porta. L’aprì, uscì,
oltrepassò la saletta delle attrezzature, passò la
seconda porta e scappò lungo il corridoio.
Andi mollò di
botto la maglietta di Tom, facendolo sbattere contro il suo sgabello,
che cadde rumorosamente a terra. Il chitarrista rise.
“Fottiti,
Tom!” L’insultò rabbioso l’amico, prima di
precipitarsi fuori all’inseguimento di Bill.
“Ma che cazzo
ridi?” Domandò poco dopo Georg a Tom. “Sei diventato
veramente uno stronzo…” Aggiunse poi, con tono deluso.
“La pensi
così?” Gli chiese il chitarrista, ricomponendosi;
l’altro annuì. “E tu?” Fece quindi,
rivolgendosi a Gustav, che confermò. “Se le cose stanno in
questo modo, allora, se prendete le sue difese, potete andarvene a fare
in culo tutti quanti!” E dopo questa dichiarazione diede le
spalle ad entrambi e lasciò la stanza.
“Cazzo…”
Commentò Gustav, quando sentì Tom sbattere la seconda
porta. Georg sbuffò, sedendosi sullo sgabello e ravviandosi
nervosamente i capelli. “Tu pensi che sia vero? Intendo, quello
che Tom ha detto di Bill?” Chiese quindi il batterista.
“Andiamo, Gus,
anche tu hai gli occhi!” Rispose l’amico. “E avrai
notato di sicuro che Bill s’illumina, quando c’è
Andreas…” Continuò sconsolato.
“Merda, che
casino…” Fu tutto ciò che aggiunse Gustav, prima di
lanciare una delle sue bacchette contro il vetro divisorio.
Andreas, nel
frattempo, era riuscito a seguire Bill fin sul terrazzo dello studio.
Il cielo era grigio, plumbeo, minacciava pioggia. Il cantante era di
spalle, appoggiato all’alta ringhiera, i suoi capelli si
muovevano scomposti nel vento che annunciava il temporale.
“Bill…”
Chiamò Andreas a bassa voce, mentre si avvicinava. “Bill,
devo chiederti scusa…” Continuò il ragazzo.
Il cantante scosse il
capo e negò con un gesto le parole dell’amico, quindi
sospirò mestamente, posando il mento sulle mani appoggiate sul
corrimano.
“Ma mi sono lasciato trasportare ed ho aggredito Tom…” Insisté Andreas.
“Non fa
niente.” Mormorò arreso Bill, continuando a negare col
braccio. “Sono io che dovrei scusarmi con te, per averti
coinvolto in questa cosa…” La sua voce si spezzò in
un singhiozzo.
“Tu non mi hai coinvolto in niente…” Tentò l’altro.
“Adesso mi
odiano tutti.” L’interruppe il cantante, con tono
sconfortato. Andreas si preoccupò e fece un altro passo verso di
lui. “Tom mi odia, gli faccio schifo…”
“Non dire così…”
“Avrei dovuto
dirglielo.” Riprese però Bill, senza ascoltarlo.
“Avrei dovuto spiegargli come sono io…”
Continuò indicandosi con la mano aperta sul petto.
“…ma ho sempre saputo che lo aveva capito, lui sa sempre
tutto di me e io… io sapevo tutto di lui e ora…”
Singhiozzò più forte e Andreas, dalla posizione in cui si
trovava, poté vedere le lacrime scendere sul suo bel viso.
“…ora mi sento come se mi avessero strappato a forza
metà di me, mi sento segato in due.” La sua voce
tremò di nuovo e non riuscì a fare altro che soffocare il
viso nel gomito piegato.
“Fammi
capire.” Gli chiese Andreas, fermandosi accanto a lui. “Tu
pensi che Tom ti odi perché sei… omosessuale?”
“Perché?
Non è così?” L’interrogò di rimando il
cantante, con espressione contratta.
“Bill…”
Fece l’amico, con tono comprensivo. “…io non credo
che le tue preferenze sessuali abbiano qualcosa a che fare con il
comportamento di Tom…”
“E
allora?!” Esclamò disperato il ragazzo, con il trucco che
ormai gli rigava pesantemente il viso. “Io non capisco… io
non lo capisco più e… ho paura, Andi! Non mi sono mai
sentito così solo!”
“Ma tu non sei
solo, Bill!” Replicò d’impeto l’amico,
afferrandolo per le spalle. “Ci sono io!”
“No,
Andi…” Mormorò il cantante, abbassando gli occhi e
scuotendo il capo. “Io non posso farti questo, non voglio che
pensino male di te, ci tengo troppo alla tua amicizia…”
“Bill, ma non
capisci?” Fece allora l’altro, costringendolo ad alzare lo
sguardo. “Io ci sono già impantanato in questa
cosa.” L’altro ragazzo aggrottò la fronte con
espressione interrogativa. “Già, dalla prima volta che ti
ho guardato negl’occhi…”
Bill sentì
qualcosa di molto forte e caldo scendere fin nel suo stomaco, poi
risalire verso il suo cuore e allargarlo. Le lacrime gli risalirono
agli occhi, ma stavolta non erano lacrime di dolore. Non poteva credere
a ciò che pensava di aver capito. Erano stati proprio i suoi
sentimenti per Andreas a chiarirgli le idee, a convincerlo
definitivamente sulle proprie preferenze. E adesso? Le parole
dell’amico significavano forse che era corrisposto? Questo non lo
aveva mai nemmeno sperato… ma se c’era una
possibilità… Andi, dimmi che c’è, ne ho bisogno…
“Bill,
io…” Riprese Andreas, continuando a tenere le mani sulle
spalle del cantante, salde. “…ti giuro che avrei tenuto
per me questa cosa per sempre, non voglio crearti problemi.”
Aggiunse serio. “Ma ora sei tu che me lo hai confessato e non
posso sapere questo di te, senza dirti quello che provo io.” Le
labbra di Bill tremarono. “Io… ti voglio bene… e
non come un amico dovrebbe…”
Quelle ultime tremanti
parole ebbero l’effetto del sorgere del sole, nel cuore di Bill.
Un sorriso incerto gli allungò le labbra pallide, mentre il
cantante si stupiva di come dolore e gioia potessero convivere dentro
di lui. Perché era felice di quella dichiarazione, gli sollevava
l’anima, ma continuava a soffrire per la storia di Tom.
Sopraffatto dalle emozioni, non poté fare altro che abbracciare
Andreas, il quale, sorpreso, rispose solo dopo qualche secondo.
Stava cominciando a
piovere, ma i due ragazzi non ci fecero molto caso, stretti l’uno
all’altro, finalmente liberi dalle barriere che si erano
autoimposti. Il respiro di Bill contro il collo, riempiva Andreas di
brividi, per anni lo aveva desiderato così vicino. Il calore
delle mani di Andreas sulla propria schiena, facevano sentire Bill un
po’ sereno, per la prima volta da giorni.
Il cantante
alzò gli occhi, scrutando quelli verdi dell’amico e la sua
bocca. Desiderava baciarlo. Sollevò una mano e gli sfiorò
le labbra con le affusolate dita. L’altro lo guardò,
sorpreso da quel gesto inaspettato, poi si guardò intorno.
Erano su un terrazzo,
pioveva, ma la cosa peggiore era che stavano in uno spazio aperto e
vulnerabile. Per quanto lo desiderasse anche lui, non potevano baciarsi
lì.
Andreas
trascinò, quasi di peso, Bill dentro la torretta delle scale. Lo
fece appoggiare contro il muro e quindi si mise ad osservarlo.
Nonostante i capelli già un po’ bagnati, il trucco sfatto
e colato sul viso, l’espressione comunque triste, era bellissimo,
come sempre. Allungò una mano, gli aggiustò un ciuffo di
capelli e gli pulì appena gli zigomi dal nero sceso dagli occhi,
poi gli carezzò la guancia e si avvicinò. Bill non attese
oltre, gli gettò le braccia al collo e lo baciò
d’impeto.
Vuoto. Eccolo che
tornava, pensò Tom, sprofondato nel sedile del taxi che lo
riportava in albergo. Erano almeno sei mesi che si sentiva così
e non trovava nulla che riuscisse a riempire quella specie di buco nero
che si era creato dentro di lui. Non servivano ragazze o birra e,
ultimamente, anche la musica aveva un’utilità limitata e
non mai successo. Gli veniva più difficile comporre, accordare
il suo stato d’animo alle parole, sempre così profonde,
dei testi di Bill.
Già, Bill. Non
riuscivano più a parlare come una volta, loro due. Suo fratello
sembrava vivere nel suo mondo, completamente soddisfatto di ciò
che lo circondava, del successo, dei premi, della musica e continuava a
scrivere canzoni sempre più belle. E lui non riusciva a
seguirlo, a stargli al passo, a scrivere musica all’altezza di
quelle parole. Non lo capiva più.
All’inizio
questa cosa lo aveva spaventato, ma poi si era detto che, forse, doveva
succedere. Crescendo, si sa, si cambia e anche due gemelli affiatati
come loro si creano nuovi interessi, passioni diverse, ideali diversi.
E, chissà perché, questa consapevolezza lo aveva fatto
arrabbiare. Non riusciva ancora a collegare che quello era anche il
momento in cui era comparso il vuoto.
Quando aveva
conosciuto Paula, per un attimo, aveva pensato che la ragazza potesse
riempire la voragine, senza capire che quell’assenza era troppo
grande.
Perché Bill non
si accorgeva che lui stava male? Ora Tom pensava di aver capito il
motivo: c’era qualcosa che lo distraeva. C’era qualcuno che
limitava il suo sguardo. C’era Andreas.
Il migliore amico che
entrambi avessero avuto, quello che gli era stato vicino sempre, che li
aveva sostenuti, quando erano davvero in pochi a credere in loro e Tom
gli voleva bene… gli aveva voluto bene, perché ora non
sapeva esattamente definire il sentimento che provava.
Si era accorto subito
che tra Andreas e Bill c’era qualcosa che scorreva sotto la
superficie, più potente dell’amicizia, fin dal loro primo
incontro. Ogni battito del cuore del suo gemello, allora, gli arrivava
addosso come i cerchi concentrici nell’acqua raggiungono la riva
dopo che hai buttato un sasso. Oh, e il cuore di Bill, in presenza
Andreas era una specie di locomotiva lanciata a tutta!
Perché aveva
dovuto mettersi in mezzo? Perché Tom si sentiva come se tutto
ciò che perdeva nel rapporto con Bill, fosse raccolto da
Andreas? Avrebbe dovuto essere felice per suo fratello, invece gli si
allargava il buco nel cuore…
Tutti erano contro di
lui. Era così. Nessuno lo capiva, deploravano il suo
comportamento, la sua storia con Paula, il suo sarcasmo e lui si
sentiva assediato. E reagiva con la rabbia, chiudendosi ancora di
più in se stesso. Bill soffriva? Beh, non gliene importava
nulla, che soffrisse pure. Non lo capiva più e preferiva la
compagnia di Andreas? Bene, era chiusa così. Fanculo tutti
quanti e soprattutto quella checca isterica di suo fratello, tanto, a
quanto pare, gli piaceva anche.
Tom prese una
decisione, appena prima che il taxi fermasse davanti all’hotel.
Doveva prendere in mano la sua vita. Ma che cazzo stava facendo?
David tornò
nella sala prove dopo essersi fumato un paio di sigarette e non
trovò cantante e chitarrista, ma solo le facce non proprio
allegre degli altri due. L’uomo chiese dove fossero Tom e Bill,
ma l’unica risposta che ottenne fu un contemporaneo stringimento
di spalle. Allora, con un’incazzatura già ben avviata,
andò a chiedere in portineria. Lì seppe che Tom aveva
chiamato un taxi e se n’era andato da solo, mentre sembrava che
Bill fosse salito sul terrazzo.
“Se è
andato a fumare lo strozzo…” Mormorò tra se il
manager, mentre saliva le scale due alla volta. Ma la scena che si
trovò di fronte, una volta giunto sul pianerottolo, non fu certo
quella che si aspettava.
L’uomo rimase
impietrito, con il piede sull’ultimo gradino, quando vide Bill e
Andreas, appoggiati al muro, che si baciavano. E non era un bacio tra
amici. No, decisamente non sbatti sul muro un amico in quel modo. E non
gli ficchi in bocca mezzo metro di lingua. E non infili le mani sotto
la sua maglietta come faceva Bill con Andreas.
Lo sapeva. Il momento
tanto temuto era infine giunto: il suo cantate aveva aperto gli occhi,
e qualcos’altro, alla propria natura…
David si ricompose,
respirò a fondo, aggiustandosi la maglietta e il giubbotto di
pelle, quindi tossicchiò, per attirare l’attenzione dei
due giovani. Loro si staccarono, quasi sobbalzando, quando si accorsero
di essere osservati. Bill spalancò occhi e bocca in
un’espressione terrorizzata. Andreas si grattò la nuca,
imbarazzato.
“Ok…” Fece il manager con invidiabile self control. “Parliamone.”
Qualche minuto dopo
erano asserragliati nella sala prove. Andreas e Bill in piedi, quasi
sotto accusa, David seduto di fronte a loro, sullo sgabello di Georg;
quest’ultimo e Gustav erano dietro la batteria e assistevano un
po’ perplessi alla scena.
“Bene.”
Esordì il manager, battendo piano le mani. “Da quanto va
avanti?” Chiese a Bill e Andreas.
“Da circa… dieci minuti…” Rispose il secondo, il cantante annuì.
“Volete dire che
non era mai successo nulla prima di questo?”
L’interrogò l’uomo sorpreso, con un gesto che
includeva i due ragazzi e un riferimento al balcone. Bill negò
col capo. “Tutti questi anni e… niente?”
Continuò l’uomo, loro negarono nuovamente.
“Che ci vuoi
fare, siamo scemi.” Affermò Andreas con un’alzata di
spalle, il cantante gli fece un sorriso triste.
“Uff…”
Soffiò David, passandosi una mano tra i capelli. “È
meno grave di quel che credevo, allora…” Mormorò
poi, leggermente sollevato.
Gustav e Georg
continuavano ad ascoltare e a non capirci un cavolo. Ma che era
successo? Avevano capito solo che Bill aveva pianto, ma non era
difficile, ora assomigliava ad un panda, visto quanto era sbavato il
suo trucco. Ma che c’entrava Andreas?
“Vi ha visti qualcuno, a parte me?” Gli domandò allora il manager.
“No.” Rispose Bill.
“Bene.” Annuì l’altro. “E, a parte i presenti, lo sa qualcun altro?”
“Solo
Tom.” Disse Andreas, provocando un’espressione tristissima
sul viso del cantante; quando se ne accorse, lo prese per le spalle e
lo strinse delicatamente. Bill gli sorrise, vagamente riconoscente.
Bassista e batterista
cominciarono a pensare che David li avesse beccati in atteggiamenti non
proprio da amici. Ad ogni modo, qualcosa era successo. Il loro modo di
fare era cambiato in quei pochi minuti, erano più intimi,
complici e gli sguardi che si scambiavano fin troppo eloquenti.
“Tu e Tom avete
litigato per questo?” Domandò allora il manager al
cantante, indicando con un cenno l’amico che lo teneva ancora per
le spalle.
“Ehm, no…” Rispose lui incerto. “Cioè, non solo, ma…”
“Posso sapere il motivo?” Soggiunse l’uomo.
“Veramente…”
Fece Bill, abbassando gli occhi. “…sarebbe una
cosa… privata…” Ma anche lui stentava a capire il
vero motivo che aveva scatenato la rabbia di Tom. Il manager
annuì.
“Allora…”
Riprese David. “…niente di tutto questo esce da
qui.” Sentenziò, quindi rivolse lo sguardo a Georg e
Gustav, spronandoli ad una risposta.
“Certo che
no.” “Niente.” Risposero loro, che non sapevano
nemmeno di che si parlava, però lo fecero, per spirito di gruppo.
“E mi raccomando discrezione, da parte vostra.” Continuò il manager, stavolta rivolto a Bill e Andreas.
“Stai
tranquillo, David.” Gli rispose il cantante. “Sono sempre
stato discreto, lo sai.” L’altro annuì, dandogli
fiducia con uno sguardo.
“Un’altra
cosa.” Affermò l’uomo, dopo essersi alzato ed aver
radunato i ragazzi davanti a se. “Da ora in avanti, fino
all’intervista di domani e alla conferenza stampa di
giovedì, non si parla coi giornalisti, non si risponde alle
domande, nessuna domanda che non sia concordata. Fate finta di non
sentire, glissate, aggirate, ma non rispondete. Dobbiamo arginare
qualunque pericolo.” Gli raccomandò serio. Tutti
annuirono. “Con Tom ci parlo io.” Aggiunse quindi, per
togliere dall’imbarazzo Bill e gli altri.
“Bill.”
Chiamò Georg, quando David era già uscito dalla sala ed
erano rimasti solo i ragazzi. Il cantante si girò, con
espressione interrogativa. “Io e Gustav volevamo dirti che, per
noi, non cambia nulla.” Affermò il bassista, quindi
spronò l’altro a continuare.
“Già.” Fece Gustav annuendo. “Sei sempre il nostro Bill e non siamo qui per giudicarti.”
Il cantante si
sentì profondamente commosso da quelle parole. Aveva creduto di
aver perso la stima dei suoi amici, per ciò che era venuto fuori
quel giorno, ma ora sapeva che non era così.
“In fondo, una
stranezza in più o in meno che differenza fa?” Soggiunse
il bassista, stringendosi nelle spalle.
“Vero.” Annuì il batterista. “Noi ti vogliamo bene così come sei.”
Gli occhi di Bill
erano di nuovo lucidi. Non avrebbe mai immaginato una reazione del
genere da parte dei suoi compagni. Certo, non erano mai stati
intolleranti, ma la loro esperienza non era stata così
ravvicinata. Gli sorrise riconoscente.
“Grazie, ragazzi…” Mormorò con voce rotta. “Anch’io vi voglio bene…”
CONTINUA
(*) Funke – scintilla
Ringraziamenti:
Michela – spero che questo secondo capitolo ti abbia soddisfatto come il primo. Grazie per i complimenti.
Lilya –
mi fa davvero piacere che tu trovi umani i miei personaggi, ci tengo
molto a questo aspetto. Credo che in molti amino Bill e Andi, direi che
posso essere soddisfatta. Ah, e sono felice di averti salvato dalla
morte cerebrale!
Sarakey
– Sarina che ti devo dire… sei proprio una tessssora! Il
capitolo ormai lo hai letto, ma so che lo rifarai, quindi ti ringrazio
di nuovo, per la passione con cui ami la coppia Bill/Andreas, per le
sberle che vorresti dare a Tom, anche se so quanto grande sia il tuo
amore per lui e per le bellissime cose che mi dici sempre. Ti cito,
dichiarando che ti ADORO!
RubyChubb
– se le meringhe non ci travolgono (e hai visto che in questo
capitolo piovono, letteralmente) dovremmo uscirne vivi. Mi fa tanto
piacere che non giudichi patetica questa storia, perché ci tengo
all’opinione di una scrittrice che ammiro. Spero che
l’insulina non ti ci voglia, ma ho paura che quella scena in
terrazza…
Melusina
– grazie per i complimenti, sono felice che questo Bill ti
piaccia, ho cercato di lasciargli le sue caratteristiche, pur
adattandolo alla storia e se i lettori lo apprezzano non posso che
gioirne!
Whity
– grazie! Un’altra ammiratrice di Bill/Andreas! Allora sti
due funzionano, eh? Anche in questo capitolo? Bill è Bill? Il
complimento più soddisfacente! Adoro la definizione di Tom:
disperatamente antipatico. È così che lo voglio in questa
storia.
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Capitolo 3 *** 3 - A pale shade of what we were ***
lies bleeding - 3
Terzo
capitolo. La storia va avanti e le cose tra i gemelli non migliorano,
ma la speranza ci accompagna! Può darsi che i prossimi
aggiornamenti non siano così regolari, perché i capitoli
sono ancora in fase di scrittura. Mi spiace, ma siate felici che
comunque continuo!
Ah,
ho visto che ci sono tante tante letture in questo racconto, ma poche
recensioni. Via, vi prego, fate uno sforzino e ditemi cosa ne pensate,
anche se vi fa schifo!
Da
questo capitolo ho alzato il rating. Si comincia a parlare di sesso e,
anche se non entrerò molto nei particolari, ci potrebbero essere
tematiche che è meglio trattare sotto rating Rosso. Mi spiace
per quelli che non potranno accedervi, ma era necessario. Meglio
prevenire.
Adesso vi lascio alla lettura. Saluti e ringraziamenti alla fine.
3 – A pale shade of what we were
Bill aveva fatto la
doccia, si era messo il pigiama ed ora era rannicchiato sulla poltrona,
pensando cosa fare: guardare la tv? Andare a dormire? Chiamare i
ragazzi? Scrivere?
In realtà tutto
ciò che cercava, in quella sera troppo solitaria, era il vuoto
nel cervello. Troppi pensieri. Troppo dolore. Troppo silenzio in quella
stanza d’albergo. Gli mancava disperatamente Tom. E aveva ancora
dubbi su ciò che era successo con Andreas quel pomeriggio.
Aveva tante di quelle
cose in mente che non riusciva a rimetterle in ordine. Si strinse la
fronte tra le dita, massaggiandosi. Gli stava maturando un gran bel mal
di testa. C’era troppa luce, quindi si alzò per spegnere
la lampada, ma in quel momento bussarono.
Il cantante
andò ad aprire con passo stanco. Quando alzò gli occhi,
dopo aver tirato a se la porta, si trovò di fronte proprio
Andreas. Il cuore gli balzò in gola.
“Ciao.”
Salutò il ragazzo. “Posso entrare?” Gli chiese poi,
quando vide l’altro immobile. Bill, si scostò per farlo
passare, dopo aver annuito.
“Come va?” Domandò Andreas, quando i due furono tornati nel soggiorno.
Bill si strinse nelle spalle magre. “Sopravvivo…” Mormorò poi, stancamente.
C’era un
discreto imbarazzo nell’aria, in fondo non si erano spiegati
molto, prima del bacio. E dopo non ne avevano avuto il tempo. Ma
Andreas voleva sistemare le cose per bene. Ora che, finalmente, tutto
era venuto fuori, non poteva perdere tempo. E poi, non voleva lasciare
solo Bill. No, non voleva lasciarlo mai più.
Il ragazzo
guardò il cantante prendere qualcosa sul tavolino tra le due
poltrone, poi aprire la finestra e uscire sul balcone. Non ci volle
molto perché un odore familiare arrivasse anche dentro.
“Non dovresti
fumare.” Consigliò Andreas, una volta raggiunta la
finestra. Bill era vicino alla balaustra, un braccio attorno al torace,
l’altro alzato a tenere la sigaretta.
Il cantante si strinse
nelle spalle, poi scrollò la cenere giù dal balcone.
L’amico restò sulla soglia del terrazzo a guardarlo
fumare, in silenzio, finché lui non finì la sigaretta e
la spense nell’apposito vaso d’ottone pieno di sabbia,
posizionato nell’angolo alla sua destra. Bill, quindi,
tornò dentro, passandogli a fianco, ma senza guardarlo.
“Senti, Andi…” Esordì infine il cantante, fermo davanti al televisore, con le braccia lungo i fianchi.
“Dimmi.” L’incitò l’amico.
“Siediti, per
favore.” Lo pregò Bill, indicandogli la poltrona davanti a
se. Lui lo fece. “Andi…” Il ragazzo dai capelli
scuri sembrava molto titubante. “…riguardo a quello che
è successo oggi…”
“Se credi che
sia pentito, ti sbagli.” Affermò Andreas, serio e deciso.
“Ho aspettato anni, per avere da te ciò che mi hai dato
oggi e non torno indietro.”
Gli occhi di Bill si
fecero grandi, poi aggrottò la fronte e fece un sorriso
incredulo e commosso, quindi si avvicinò all’altro
ragazzo. Posò le proprie mani su quelle di lui, ferme sui
braccioli della poltrona. Erano calde, le mani di Andi. Il cantante
sorrise di nuovo, con più calore e l’amico sentì
qualcosa muoversi dentro di se. Paura e desiderio combattevano nel suo
stomaco. Bill s’inginocchiò davanti alla poltrona e il
cuore di Andreas si fermò.
“Allora, mi vuoi davvero?” Gli domandò il cantante, ancora sorpreso da quella realtà.
“Non voglio nessun altro che te.” Sussurrò Andreas in risposta.
Bill si sporse
velocemente e catturò le sue labbra. Un bacio leggero ma
sensuale. Spostò quindi lo sguardo in basso e cominciò a
sbottonare la camicia che l’altro indossava. Quando fu aperta,
gli carezzò l’addome e il petto con le sue dita
particolarmente fredde, facendo venire i brividi al ragazzo, che non
riusciva a distogliere gli occhi da quelle unghie laccate di nero.
La memoria di Bill
tornò alla sua prima volta. Erano in vacanza in quel bellissimo
villaggio. Il sole, il mare, il cielo azzurro, tutto perfetto. Lui era
gentile, sexy, lo eccitava, ma gli ci volle una canna per perdere le
inibizioni, quella sera. Perché pensava sempre ad Andreas, anche
se lui era fidanzato. Quel ragazzo fu tenero e abile, però fu
doloroso lo stesso.
Stanotte sarebbe stato diverso. Stanotte c’era Andi con lui e niente avrebbe rovinato quel momento.
Il cantante si
piegò su di lui e cominciò a baciarlo, risalendo
dall’ombelico al petto, con delicatezza, quasi venerando ogni
centimetro di pelle che conquistava. Andreas era sempre più
eccitato e il suo respiro si era fatto pesante. Quando Bill si
fermò su un capezzolo, inarcò la schiena e socchiuse gli
occhi. Ma l’altro smise e si allontanò un po’.
Andreas aprì
gli occhi e trovò Bill fermo davanti a lui, sempre inginocchiato
tra le sue gambe, che lo fissava serio, solo col respiro un po’
affannato. Lui lo fissò interrogativo.
“Lo hai mai
fatto con un ragazzo?” Gli domandò il cantante, Andreas
negò col capo. “Non ti preoccupare…”
Continuò Bill, alzandosi e porgendogli le mani perché
facesse lo stesso. “…ti insegno io.” E il sorriso
che seguì gli tolse ogni dubbio.
Andreas afferrò
saldamente le mani di Bill, che non erano più così fredde
e si alzò, sorridendo a sua volta. L’altro lo condusse
verso la camera, dopo aver spento le luci del soggiorno. La porta
bianca si chiuse dietro di loro.
Non sapeva
perché quella luce azzurrina e opaca entrava nella stanza,
filtrata dalle tende; forse c’era la luna piena e particolarmente
bassa. Fatto sta che la camera era fiocamente illuminata e lui poteva
vederlo, poteva gioire di quello spettacolo.
Bill era steso a
pancia in giù e dormiva beato, tra le lenzuola stropicciate. La
sua schiena bianca, scoperta fino ai fianchi, si offriva
all’ammirazione, liscia. I capelli, sparsi sulle spalle,
contrastavano con tutto quel candore. Andreas l’accarezzò
piano, seguendo la linea sinuosa della spina, scansando un paio di nei
incontrati nel cammino. Arrivato ai fianchi, afferrò il lenzuolo
e lo coprì un po’ di più. Non si era accorto che
l’altro si era svegliato.
“Non
dormi?” Gli domandò con un filo di voce, prima di
allungare una mano e sfiorargli il viso. Andreas, colto di sorpresa,
sussultò appena, poi sorrise e negò col capo.
“Preferisco
guardarti, sei così bello…” Rispose poi, in un
sussurro. Il sorriso che ebbe in cambio era pagamento sufficiente per
un milione di frasi del genere.
“Neanche tu sei
tanto male.” Affermò divertito il cantante, continuando a
carezzargli la guancia. “Ma credo che dovremmo davvero dormire un
po’, sembra ancora notte fonda…”
“Sono le tre passate da poco.” L’informò l’altro.
“L’avevo
detto che era notte…” Commentò languido Bill,
rituffandosi nel cuscino con un sospiro. Andreas ridacchiò.
Bill, a occhi chiusi,
si spinse verso l’altro ragazzo e gli passò un braccio
intorno alla vita, abbracciandolo. Andreas lo accolse e alzò il
mento, per permettergli di posare il capo sulla sua spalla. Il cantante
sospirò soddisfatto, sistemandosi con un sorriso.
“Ti ho fatto molto male?” Domandò poco dopo Andreas, con tono apprensivo.
Bill sollevò
appena il viso dal suo collo e lo guardò sorpreso. “Non
più del necessario.” Rispose poi, tranquillo. Andi
abbassò lo stesso gli occhi.
“È che…” Riprese poi. “…io non vorrei mai farti del male.” Il tono era mesto.
“Hey!”
Soggiunse Bill, sollevandosi sui gomiti e prendendogli il viso tra le
mani. “Sei dolce a pensare certe cose, ma non sono così
fragile, non sono di vetro!”
“Sì, ma tu sei… prezioso, per me…”
“Oh,
Andi!” Esclamò piano Bill, con uno sguardo pieno di
tenerezza. “Sei davvero gentile a preoccuparti per me, ma,
credimi, tu non potresti mai nuocermi.” L’espressione
dell’altro, però, continuava ad essere poco convinta.
“Smettila di fare questa faccia, o vuoi che mi penta di aver
fatto l’amore con te?”
Lo sguardo di Andreas si fece corrucciato. “Lo faresti?” Interrogò con preoccupazione.
“Mai.” Rispose Bill con grande dolcezza, quindi si strinse di nuovo a lui.
Il suo corpo era
tiepido e sottile e l’altro ragazzo lo abbracciò
delicatamente. Rimasero così, a godersi il tepore della pelle
contro la pelle, del respiro dolce dell’altro, finché il
sonno non li vinse. E Andreas pensò che quello era il contatto
più intimo e bello che avesse mai provato.
Bill fu svegliato da
un rumore particolare. Come quando si sposta una chitarra e nel farlo
la si sbatte accidentalmente e la cassa risuona a vuoto. Troppo
familiare per non attirare l’attenzione del cantante. Forse Tom
era tornato, doveva saperlo.
Il ragazzo si
alzò, scivolando dal debole abbraccio di Andreas, che dormiva
profondamente. Si mise i boxer e una maglietta e lasciò
silenzioso la stanza. Attraversò il soggiorno e raggiunse la
camera di Tom. La porta era aperta e, quando vide cosa succedeva
dentro, rimase pietrificato sulla soglia.
“Tomi, che cosa stai facendo?” Domandò allarmato al fratello.
“Che ti
sembra?” Replicò il chitarrista, senza voltarsi, mentre
ripiegava con poco garbo una maglietta. “Sto facendo le
valige.”
“Perché?!” Esclamò Bill, quasi spaventato.
“Me ne vado, no?” Ribatté gelido il gemello.
“Co…
cosa?! Come, te ne vai? E dove?!” Il ragazzo era completamente
disorientato, che cosa stava succedendo? Tom se ne andava? Li lasciava
così?!
“Prendi aria, cambio solo camera.” Affermò Tom, con tono indifferente, mentre chiudeva la valigia.
“Ma… mi
spieghi per quale motivo?” Gli chiese il fratello, che certo era
stato rassicurato, perché temeva proprio che Tom stesse
lasciando il gruppo, ma non riusciva comunque a capire.
Il chitarrista si
girò verso di lui per la prima volta dall’inizio della
conversazione. I suoi occhi erano freddi, quasi annoiati.
Incrociò le braccia in una posa esasperata.
“Mi sembra che entrambi abbiamo bisogno di privacy.” Rispose infine, serio.
“Ma… ma Tomi… noi abbiamo sempre diviso la camera…” Balbettò incredulo Bill.
“I tempi
cambiano.” Soggiunse l’altro, stringendosi nelle spalle;
quindi si caricò in spalla un borsone e prese la custodia della
chitarra. “Il resto torno a prenderlo dopo, salutami
Andreas…” Aggiunse, concludendo la frase con un sorrisino
malizioso.
“To…
Tomi…” Mormorò Bill con un filo di voce,
continuando a fissare la stanza, mentre il gemello se ne andava.
Il ragazzo rimase
immobile, appoggiato senza forza contro lo stipite della porta. Non
riusciva a credere a quello che era appena successo. Lui e Tom. Avevano
diviso ogni cosa, a partire dal liquido amniotico e non avevano mai
avuto problemi a condividere lo stesso letto, figuriamoci una stanza
d’albergo, per giunta con due camere… Che cosa stava
succedendo?! COSA?!
Il rumore soffuso
della serratura principale che si richiudeva alle spalle di Tom lo
risvegliò dallo stato catatonico in cui sembrava caduto.
Sussultò forte, con un singhiozzo, come se quel rumore appena
accennato fosse stato lo scoppio di un petardo. Si portò una
mano alla bocca e una allo stomaco e strinse. Quindi corse verso la sua
stanza.
Andreas si era
svegliato da qualche secondo, stupito di non trovare Bill accanto a se.
Stava per scendere dal letto per cercarlo, quando il cantante si
precipitò dentro la camera, gli passò davanti senza
guardarlo e infilò la porta del bagno, chiudendosela alle spalle
con violenza.
Il ragazzo capì
subito che era successo qualcosa, anche prima di sentire rumori di
oggetti caduti, o meglio lanciati, provenire dalla stanza accanto.
Si liberò
sbrigativamente delle lenzuola e cercò i suoi boxer, che non
trovò subito, mentre ai suoni di oggetti rovesciati si
aggiungevano i singhiozzi di Bill. Una volta rivestito si
precipitò alla porta del bagno, per fortuna non era chiusa a
chiave. Trovò il cantante che, con il viso sconvolto dalle
lacrime e dalla rabbia, lanciava di tutto in giro per il bagno. Lo
bloccò prima che scaraventasse un pesante porta fazzoletti di
alabastro contro il vetro della doccia.
“Bill, per
l’amor di Dio!” Esclamò, afferrando l’oggetto
dalle sue mani. “Hai già fatto abbastanza danni, tesoro,
ora basta…” Gli sussurrò poi, con dolcezza.
Bill si
divincolò dalla sua presa ed emise un suono esasperato, a
metà tra un ringhio e un gemito, poi si lasciò andare al
pianto, portandosi le mani sul viso.
“Piccolo, ma che
cosa è successo?” Gli domandò preoccupato Andreas,
avvicinandosi e toccandogli una spalla. Lui si ritrasse.
“Se
n’è andato…” Mormorò Bill, fissando il
vuoto. “Se n’è andato, capisci?!” Gridò
poi e, con un altro gemito, cadde seduto sullo scalino della vasca da
bagno.
“Chi?” Domandò Andreas, dopo essersi messo accanto a lui, cercando di essere delicato.
“Tom!” Rispose in un sibilo il cantante. “Ha cambiato camera!”
L’altro ragazzo
si fece perplesso, aggrottando la fronte. “È così
grave?” Chiese, pensando che forse era anche meglio, se in quella
situazione il chitarrista si era allontanato.
Bill lo guardò
in un modo tale che, per un momento, Andreas pensò lo avrebbe
ucciso, c’era una rabbia così sorda nei suoi occhi che ne
ebbe quasi paura. Poi, però, il suo sguardo tornò triste
e le lacrime ripresero a scorrere.
“Ma non
capisci?” Gli disse, con voce rotta. “Lui non vuole stare
più con me, lo so… Lo sto perdendo, Andi!” Aggiunse
disperato, tuffandosi tra le sue braccia. L’altro non poté
fare altro che accoglierlo e stringerlo a se. “Come faccio io,
senza di lui?” Mormorò quindi Bill, soffocando il pianto
nella spalla dell’amante.
Andreas capì
che non c’era niente di utile da dirgli in quel momento. Nulla
che lui potesse dire poteva rassicurare Bill. Solo Tom, dentro di se,
aveva le parole giuste, ma non sembrava pronto a trovarle.
Abbracciò dolcemente Bill, cullandolo contro di se. Forse non
poteva tranquillizzarlo a parole, ma poteva dargli il proprio amore.
Gli baciò i capelli e lo strinse di più.
Qualche ora dopo,
quando Bill riaprì gli occhi, steso sul letto, aveva un cerchio
alla testa assurdo. Si passò una mano sulla fronte, sperando che
quel senso d’oppressione sparisse, ma quando piangi tanto non
è proprio facile.
“Buongiorno.”
Mormorò dolcemente Andreas, sedendosi sul bordo del letto. Bill
gli sorrise appena. “Mal di testa?” Gli domandò
allora il ragazzo.
Lui annuì e
l’altro gli mostrò un bicchiere d’acqua e due
aspirine, che posò sul comodino, prima di rialzarsi. Bill si
tirò su, pronto a prenderle.
“Grazie.” Affermò, mentre afferrava il bicchiere.
“Figurati.”
Replicò Andreas, negando con un gesto. “Mi dispiace averti
svegliato, ma è già passata due volte Dutti, a
mezzogiorno dovete essere ad Mtv e sono quasi le dieci.”
“Non ti
preoccupare, dovevo alzarmi comunque.” Ribatté Bill, dopo
aver ingoiato le aspirine. “È inutile stare qui a
piangersi addosso, no?”
“Non sei mai stato il tipo che si piange addosso.” Gli disse l’altro, alzandosi.
“Humpf, non lo
so…” Sbuffò il cantante. “…in questi
giorni mi sembra di essere tornato il ragazzino sfigato che ero ai
tempi della scuola.” Aggiunse sconsolato.
“Anche
allora…” Affermò Andreas, tornando verso di lui.
“…non ti sei mai arreso e, alla fine, sei stato tu a
farcela, non quegli stronzi che ti sfottevano.”
Bill lo guardò
riconoscente, poi fece un breve sorriso. “Ma come fai a dirmi
sempre la cosa giusta?” Gli chiese poi; anche Andreas sorrise.
“Non lo so, però…” Rispose quindi. “Lo sai che io ci sono sempre, per te, vero?”
“Ringrazio Dio,
o chi per lui, di questo.” Ammise Bill. “Se tu non ci fossi
mi sarei già buttato dalla finestra…” Aggiunse
mogio.
“Non dire cazzate!” Sbottò l’altro, facendosi subito allarmato.
“Tranquillo, non
lo farei mai…” Lo rassicurò il cantante, con un
sorriso incerto. Andreas corse da lui e lo abbracciò
d’impeto.
“Non farmi
preoccupare, hai capito?” Gli ordinò, stringendolo con
forza. Bill annuì, contro il suo collo, poi sospirò e gli
abbracciò dolcemente il capo, annuendo ancora.
I quattro componenti
dei Tokio Hotel erano seduti nel camerino loro assegnato negli studi di
Mtv. Mancava ancora mezz’ora all’inizio di Trl, programma
cui dovevano partecipare.
Gustav, seduto davanti
allo specchio, picchiettava nervosamente con le dita sul tavolo,
seguendo l’irritante ritmo di un suo trip mentale, dato che aveva
lo sguardo vacuo. Tom stava alla finestra, fumando assorto. Bill si
aggiustava continuamente i capelli, gettandoli dietro le spalle con un
perpetuo gesto delle mani. Georg si arrese all’esasperazione e
soffiò pesantemente, poi si girò verso il cantante, che
era seduto accanto a lui sul divano.
“Bill…”
Gli disse con uno sguardo minaccioso. “…se ti aggiusti di
nuovo i capelli ti tiro una testata, giuro.”
“Scu…
scusa…” Balbettò l’altro, imbarazzato,
ritirando la mano che si era appena alzata per scostare di nuovo i
ciuffi sulla schiena. “È che sono un po’
nervoso…”
“Lo siamo tutti.” Rispose a sorpresa Gustav.
I tre ragazzi si
guardarono, mentre Tom li ignorava, continuando a scrutare fuori della
finestra. I loro volti erano tesi, si preoccupavano delle domande che
gli potevano essere rivolte: nonostante fossero state concordate,
c’era sempre da regolarsi con le risposte. Quel momento di crisi
non aiutava di certo. Bill rivolse un’occhiata fuggevole al
fratello, poi si girò verso agli altri.
“Vado un attimo fuori a fumare una sigaretta.” Dichiarò prima di alzarsi dal divano.
“Ok.” Annuì Gustav, sempre fermo nel solito posto.
“Vai,
sì.” L’incitò Georg, con una pacca sulla
spalla. “Così ti rilassi un attimo.” Bill
annuì e si diresse fuori. Non si accorse che Tom lo aveva
seguito con la coda dell’occhio.
Il cantante era andato
a fumare sulla scala antincendio. Si era acceso una sigaretta guardando
verso il basso. La struttura di metallo terminava in una specie di
vicolo, stretto e lungo, chiuso da un alto cancello scorrevole, di
quelli che non ci potevi vedere attraverso. Bill, dalla sua posizione,
in alto rispetto alla strada, poteva vedere le teste delle loro fan che
si assiepavano davanti agli studi. Il cielo era sempre grigio e
l’aria umida.
“Non si era
detto che smettevi?” Domandò una voce alle sue spalle; era
David e Bill si voltò, sorridendogli a stento.
“È la prima che fumo da ieri.” Rispose, soffiando via il fumo.
“Ok, te ne concedo quattro al giorno.” Affermò allora il manager, mentre si avvicinava.
“Sei.” Replicò Bill.
“Cinque.” Ribatté Jost.
“Andata.” Acconsentì il cantante annuendo.
L’uomo si
fermò accanto al ragazzo, con le mani sulla ringhiera e
scrutò a sua volta oltre il cancello. Bill, nel frattempo,
finì la sigaretta.
“Hai parlato con Tom?” Chiese quindi il cantante.
“No.”
Rispose David, scuotendo il capo. “Lo farò più
tardi, però ho saputo che ha cambiato camera.” Aggiunse,
scrutando l’altro che annuiva.
“Non ci capisco più niente.” Mormorò Bill affranto.
“Figurati
io!” Esclamò il manager, levando gli occhi al cielo.
“Voi due siete sempre stati un mistero per me…”
Ammise poi; Bill abbassò il capo, il suo ciuffo sparato
ondeggiò mesto.
“Non so che dirti, David…” Disse piano il cantante.
“Lascia
stare.” Fece lui, negando con la mano. “Senti, a proposito,
mi hanno anche riferito che Andreas ha passato la notte da te.”
“Ah…” Commentò soltanto Bill, sorpreso. “Come… come lo hai saputo?”
“Non sono cose che puoi nascondere allo staff.” Rispose David senza guardarlo.
“Capisco.” Annuì Bill, prima di chinare gli occhi imbarazzato.
“Ascolta, hai
già capito che non m’interessa quello che fate, la vostra
vita privata è solo vostra e mi sono sempre immischiato il meno
possibile.” Dichiarò l’uomo, voltandosi verso il
cantante e alzando lo sguardo su di lui. “Però, anche se
mi rendo conto di chiederti un sacrificio, preferirei che non
succedesse più, vista la situazione che stiamo
attraversando.”
Bill prese un lungo
respiro. “Non devi spiegarmi niente, David.” Affermò
poi, guardando il manager negl’occhi. “Capisco
perfettamente e ti prometto che non succederà più, saremo
discreti. Tu sai quanto ci tengo a tutto questo.” Aggiunse serio.
“Sì, mi
fido di te e anche di Andreas, so che siete due ragazzi
responsabili.” Replicò David, dandogli un pacca sulla
spalla. “Mi dispiace dovervelo chiedere, però non dipende
da voi.”
“Lo so,
purtroppo non si può mai sapere da dove trapela una
notizia…” Commentò sconsolato il cantante.
“È
così.” Confermò l’uomo annuendo. “Dai,
ora andiamo o faremo incazzare il conduttore come quella volta a
Roma.” Aggiunse, spingendo Bill verso la porta a vetri.
“Ma quella volta a Roma fu colpa del traffico!” Affermò il ragazzo, mentre rientrava nell’edificio.
“Sì, e dei tuoi capelli…”
“Ma se i miei capelli erano semplicemente perfetti!”
“Appunto, un po’ troppo…”
“Il conduttore
di Trl era solo invidioso perché io sono magro e
bellissimo!” Proclamò allora Bill, aggiustandosi la
fluente capigliatura con un gesto orgoglioso. David scosse il capo
rassegnato.
L’intervento a
Trl filò abbastanza liscio. Le domande della breve intervista
furono quelle concordate e i ragazzi riuscirono abbastanza sciolti nel
rispondere. Parlarono del concerto che si sarebbe dovuto tenere da
lì a qualche giorno, poi glissarono abilmente sulle solite
richieste a proposito di presunte fidanzate o storie varie. Nessun
accenno ad ipotetiche crisi nel gruppo. Bill cercò di sorridere
il più possibile. Alle fan presenti, però, non
sfuggì una certa tensione sui volti dei musicisti e nemmeno il
fatto che Tom e Bill non si guardassero mentre si esibivano. La
questione finì in rete ancora prima che i Tokio Hotel fossero
usciti dagli studi di Mtv.
La sera, dopo una cena
frettolosa, i quattro ragazzi si ritirarono nelle proprie camere. Il
nervosismo li aveva stancati molto più di quanto non avessero
fatto gli impegni di lavoro.
Bill e Andreas
riuscirono a sfuggire al controllo di David ed a ritagliarsi un
po’ di tempo, prima che il manager decidesse che era abbastanza e
li obbligasse ad andare a letto. In camere separate. I due giovani,
adesso, erano nella suite del cantante, seduti su una poltrona, uno in
braccio all’altro, che si scambiavano tenerezze, dicendo cavolate
e ridendo di tanto in tanto. Tutto questo rilassava molto Bill che,
perso negl’occhi di Andreas, riusciva almeno per un po’ a
non pensare ai suoi problemi.
Qualcuno, però,
bussò alla porta. Il cantante alzò gli occhi sorpreso,
poi scambiò un’occhiata con l’amico e, visto che
continuavano a bussare, si alzò riluttante.
“Chi è?” Chiese il ragazzo, prima di aprire.
“Siamo noi.” Rispose la voce di Georg. “Apri.”
Bill, ancora un
po’ perplesso aprì la porta. Si trovò davanti
bassista e batterista che, un po’ imbarazzati, aspettavano che li
facesse entrare.
“Abbiamo interrotto qualcosa?” S’informò prudente Gustav.
“No.”
Negò stupito Bill. “Entrate.” L’invitò
poi, con un gesto; loro varcarono la soglia della camera. “Cosa
siete venuti a fare?” Gli domandò però il cantante,
seguendoli all’interno.
“Ciao ragazzi.” Li salutò nel frattempo Andreas.
“Ciao Andi.” Gli rispose Gustav.
“Ciao…”
Fece Georg distratto, prima di girarsi verso Bill per rispondergli.
“Beh, ufficiosamente, siamo qui per una partita a
Monopoli.” Disse al cantante, mentre Gustav sventolava la scatola
del gioco. Bill aggrottò la fronte.
“E ufficialmente?” S’informò quindi.
“Per parlare di
Tom.” Sentenziò Georg serio. I due si fissarono per un
attimo negl’occhi, finché il cantante non li
abbassò e si diresse verso la finestra.
“Gustav,
perché stati disponendo il Monopoli, dato che siete qui per
tutt’altro?” Domandò Andreas al batterista, occupato
a preparare il gioco.
“È un
diversivo…” Rispose lui, ammiccando.
“…così se entra qualcuno abbiamo una scusa.”
“Ah, ho capito…” Annuì il ragazzo divertito.
Bill, nel frattempo,
aveva aperto la finestra e si era acceso una sigaretta. Pioveva e
alcuni schizzi, rimbalzati sulla pietra del terrazzo, arrivavano quasi
a bagnare i piedi del ragazzo. Georg lo raggiunse e si fermò a
pochi passi da lui. Quando il cantante alzò gli occhi
incrociò subito quelli chiari dell’amico, che lo
scrutavano seri.
“Adesso mi dici perché avete litigato.” Gli ordinò il bassista, incrociando le braccia.
Bill prese un nervoso
tiro dalla sigaretta, con la mano leggermente tremante, poi la
gettò fuori, dove la pioggia la spense subito, in un lieve filo
di fumo.
“Qualche giorno
fa ho sorpreso Tom in un camerino con Paula Schneider e non stavano
davvero giocando a Monopoli…” Raccontò il cantante,
con un cenno distratto al gioco.
“Ah…” Commentò Georg, slacciando le braccia.
“Lo sapevo che non me l’ero sognato!” Intervenne Gustav, sobbalzando appena. Tutti lo guardarono.
“Che cosa?” Gli chiese il bassista.
“Ti ricordi che
ieri, quando siamo entrati in sala prove, c’era anche
Paula?” Georg annuì. “Beh, prima di andare via ha
palpeggiato il culo di Tom.” Spiegò poi il batterista;
Andreas spalancò gli occhi stupito, Bill sospirò.
“Ma davvero?” Interrogò invece Georg.
“Sì.” Annuì Gustav. “Gli ha dato una bella ravanata.”
Il bassista
tornò a girarsi verso il cantante, che si era rimesso a guardare
fuori. “Tu glielo hai detto che è un cretino a scoparsi
quella stronza rizzacazzi?” Gli chiese quindi.
Bill si voltò.
“Secondo te?” Fece retorico. “È per quello che
abbiamo litigato, mi ha trattato di merda e poi se n’è
andato sbattendomi la porta in faccia.” Rivangò
tristemente il ragazzo.
“Sì, va
bene, però se è una cazzata come questa, il problema,
farete la pace.” Affermò allora il bassista, mani ai
fianchi. Bill lo scrutò con uno sguardo affranto, che non
sfuggì ad Andreas.
“Georg…”
Lo chiamò Gustav, facendo voltare l’amico.
“…non dirmi che non te ne sei accorto, non è da
qualche giorno che Tom è strano, sono settimane che si comporta
in modo imprevedibile.” Continuò serio. “Suona
voltato verso di me e non certo per guardarmi, non sorride al pubblico
e non guarda Bill negl’occhi durante i live da tempo
immemorabile.”
La verità di
quelle parole fece male a Bill, la cui mente ripercorse in un flash
settimane, forse mesi, di comportamenti del fratello. Fu doloroso.
Prese, infine, un lungo respiro, e diede le spalle agli altri ragazzi.
L’aria umida di pioggia aveva un buon odore, rassicurante quasi,
ma si rendeva conto di dover dire qualcosa.
“È colpa
mia.” Dichiarò quindi, tornando a girarsi verso
l’interno della stanza. Georg, Andreas e Gustav lo stavano
fissando, ma lui abbassò gli occhi. “Io e Tom,
ultimamente, ci siamo un po’ allontanati, ma pensavo che fosse
una precisa esigenza di mio fratello, perché è stato lui
il primo a staccarsi, o almeno lo pensavo.” Spiegò mesto.
“Credevo che Tom avesse bisogno di più spazio per
esprimersi, che volesse sviluppare la sua individualità, invece
di essere metà dei gemelli Kaulitz, ma ho paura di aver
frainteso il suo comportamento.”
“Ma che discorsi
sono?” Intervenne Andreas. “Voi due siete sempre stati
degli individui con una propria e, lasciamelo dire, forte
personalità, non la metà di qualcosa.”
“Appunto.”
Fece Bill. “È stato un mio errore anche pensare questo,
come lo è stato nascondergli una parte importante di
me…” Aggiunse sconsolato, guardando Andi negl’occhi.
“…cioè quello che provo per te.”
“Mi spiace
dovertelo dire così…” Riprese Andreas con tono
sincero. “…ma credo se ne sia reso conto da tempo.”
Il cantante
abbassò di nuovo il capo. “Sì, lo credo anche
io.” Mormorò poi. “Giuro che avrei voluto
parlargliene, ma ogni volta che ci ho provato ho avuto paura e mi sono
fermato…”
“Bill…”
Lo richiamò Georg, il suo viso era serio, quasi cupo. “Una
cosa è certa, tu sei l’unico che può far ragionare
Tom, devi parlarci.” Proclamò quindi, fissandolo.
“Non è solo qualcosa tra di voi. Tu e Tom siete il cuore
di quello che siamo tutti e se non funzionate, ogni cosa va a
puttane.”
Sì, Bill era
consapevole di tutto questo e sapeva di dover parlare. Il problema era
trovare il coraggio per costringere Tom ad ascoltarlo.
Tom si girò tra
le lenzuola stropicciate, mettendosi supino. Allungò un braccio,
ma sapeva che lei non c’era più. Paula non dormiva mai con
lui e questo, da una parte, gli faceva quasi piacere. Non era una
storia che volesse approfondire, quella con lei. Sentiva, però,
di averne bisogno. Una contraddizione sciocca, di cui non si sapeva
spiegare la ragione.
Il profumo di lei,
dolcissimo e persistente, impregnava tutto il letto. In
quell’esatto momento gli dava abbastanza fastidio.
Stropicciò il naso con il dorso della mano, mentre si metteva
seduto sul bordo del materasso. Prese un lungo respiro, poi si
alzò.
Il ragazzo raccolse i
suoi boxer e se l’infilò, poi si diresse alla finestra che
dava sul balcone. Aprì il vetro. Pioveva. Si accese una
sigaretta e cominciò a fumare appoggiato allo stipite, ma faceva
freddo, senza quasi niente addosso.
Tom ripensò a
quello che era successo poche ore prima. David, dopo cena, mentre gli
altri andavano in camera, lo aveva garbatamente trattenuto. Il manager
gli aveva intimato di non farsi scappare una parola su quello che stava
succedendo. Non c’era stato bisogno di tanti discorsi,
perché Tom capisse che David sapeva del litigio con Bill e della
storia di Andreas.
Lui non aveva mai
avuto intenzione di raccontare in giro gli affari di suo fratello,
quindi quella conversazione era completamente inutile. Ma,
d’altra parte, era anche vero che era stato proprio lui a
sganciare la bomba addosso a Georg e Gustav. Non sapeva nemmeno
perché lo avesse fatto. Era solo che in quel momento si sentiva
pieno di rabbia, di frustrazione e di… gelosia.
Sì, fu
costretto ad ammettere, mentre finiva la sigaretta, era geloso. Lui e
Bill avevano sempre avuto un rapporto esclusivo, quasi simbiotico, fino
a quando si era inserito Andreas che, con il suo carattere mite e
solido, aveva conquistato entrambi i loro cuori. Era il loro amico, la
persona speciale sulla quale contare sempre, quella da chiamare quando
litigavi con tuo fratello. Aveva sempre saputo che tra Andreas e Bill
il legame era ancora più profondo, ma finora non si era mai
sentito minacciato. Il suo gemello ed il suo migliore amico. Se loro si
amavano, lui che fine faceva? Che posto occupava tra di loro?
Tom non avrebbe mai
ammesso di sentirsi fragile, ma l’idea di vedersi allontanato da
entrambi gli faceva tremare il cuore.
Chiuse la finestra e
si voltò verso l’interno della camera, poggiando la
schiena contro il vetro freddo. Guardando la stanza vuota, illuminata
fiocamente, col letto sfatto, si sentì tremendamente solo.
L’orgoglio andò a farsi benedire, mentre desiderava avere
Bill vicino, parlarci, ridere e battibeccare come un tempo. Ma lui non
c’era. Lui era con Andreas.
Andreas salutò
Gustav e Georg sulla porta, poi tornò nel soggiorno. Bill non
c’era più e pensando che fosse andato in camera, il
ragazzo spense le luci, ma poi si accorse che l’altro era di
nuovo fuori sul terrazzo. Lo raggiunse.
Aveva smesso di
piovere, ma l’aria era fredda e appiccicosa. Bill stava coi
gomiti appoggiati alla balaustra e non era difficile immaginare cosa
avesse in mano, visto il lieve filo di fumo grigio che gli saliva
davanti alla faccia.
“Che cosa devo fare per farti smettere?” Sbottò Andreas con le mani sui fianchi.
Bill si girò
con un breve sorriso, poi portò la sigaretta alle labbra e prese
un tiro. “È l’ultima.” Dichiarò poi.
“Ah, finalmente!” Esclamò allora l’altro, avvicinandosi sorridente.
“L’ultima
per oggi.” Precisò il cantante, agitando la mano adornata
dalla cicca; Andreas lo scrutò torvo. “David me ne ha
concesse cinque al giorno.”
“Io preferirei zero, però è un buon compromesso, per ora.” Concesse magnanimo Andreas.
“Che palle!” Soffiò Bill, roteando platealmente gli occhi. “Fumi anche tu.”
“Sì, due
o tre sigarette al giorno, ma io non canto!” Replicò il
ragazzo biondo, fermandosi vicino a lui. Si sorrisero.
“Te ne vai?” Chiese poco dopo Bill, guardando negl’occhi l’amico.
“Lo sai.”
Rispose Andreas, ricambiando lo sguardo; l’altro chinò il
capo. “E domani non ci sono.” Aggiunse il ragazzo, facendo
rialzare gli occhi al cantante.
“Dove vai?” Domandò sorpreso.
“Ho il pranzo con quelli del fan club, te lo avevo detto.” Spiegò Andreas, con un sorriso comprensivo.
“Oh, sì!
Scusami… ho la testa su Plutone in questi giorni!”
Ribatté Bill rammaricato, portandosi una mano alla fronte,
mentre con l’altra spegneva il mozzicone nel posacenere.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò l’altro.
“Saluta tutti e
porta un bacio da parte mia.” Affermò allora il cantante.
“Sono sempre così carine, le ragazze del fan club, hanno
ogni volta un pensiero dolce per noi…”
“Saranno felici
dei tuoi saluti.” Annuì Andreas. “Adesso vado, che
domattina mi devo alzare presto.” Aggiunse, allontanandosi verso
la porta.
“Andi…” Lo richiamò Bill.
“Bill, non chiedermelo…” Fece lui, senza girarsi.
“Volevo solo che mi abbracciassi.” Mormorò l’altro con tono leggermente colpevole.
Andreas si
voltò con un sorriso dolce e allargò le braccia. Bill
corse leggero fino a lui e strinse a se il corpo magro del compagno,
che gli carezzò piano i capelli.
“Io non ti
lascerò mai, ci sarò sempre quando avrai bisogno di
me.” Sussurrò Andreas al suo orecchio, prima di baciargli
la tempia. Bill sospirò contro il suo collo.
“Lo so.” Disse solo, stringendosi di più a lui.
La notte era fredda e
odorava di pioggia, ma quell’abbraccio era talmente perfetto che
Bill si sentiva al caldo e al sicuro. E all’improvviso
avvertì qualcosa traboccare dal suo cuore e non poté fare
a meno di dargli voce. Alzò gli occhi sul viso dell’altro
ragazzo.
“Io ti amo, Andi.” Dichiarò a bassa voce, ma con tono sicuro.
Andreas perse un paio
di battiti e dovette prendere un lungo respiro, prima di capire che non
stava sognando. La voce gli era improvvisamente morta.
“Bill… i… io…” Balbettò smarrito.
“Tranquillo.”
Lo rassicurò il cantante, tornando a posare il viso sulla sua
spalla. “Dovevo dirtelo, ce l’avevo dentro da così
tanto tempo, ma non sei obbligato a…”
Il ragazzo,
però, l’interruppe, posando le dita sulle sue labbra.
“Anche io ti amo, Bill.” Gli disse con un sorriso. Il
cantante, felice, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con
dolcezza.
CONTINUA
Ringraziamenti:
Whity
– via non picchiare Tom, avrai ragioni sufficienti dopo questo
capitolo… sono contenta che ti sia piaciuto il comportamento di
David e dei G-boys, per me era una reazione naturale.
RubyChubb
– tu mi seppellisci di complimenti, quanto io di dolciumi!
Troppo, troppo! Sei troppo gentile, ma come si è detto su msn,
alla fine, se non ce li facciamo tra noi? Mi sento orgogliosa di averti
commossa, spero che l’overdose romantica non ti faccia troppo
male, perché continuaaaa…
Egittofona –
ti ho commosso? Sono lusingata e ti ringrazio per i complimenti. Beh,
ognuno è libero di pensarla come vuole sui personaggi, del resto
ho scritto anche ff dove Bill è etero, sono un po’
indecisa su di lui… Spero che il seguito ti soddisfi!
MissZombie
– beh, se la mia storia ti piace non posso che esserne contenta.
Eh sì, la ff è un po’ triste, ma sai per lo meno
(da come lo vedo io) c’è il lato romantico che ci tira su!
È stata proprio l’idea di una frattura tra i gemelli ad
ispirarmi questa storia e anche se fa stare male anche me, mi sembrava
giusto esplorare la cosa. Grazie per i complimenti e continua a seguire
la ff!
|
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Capitolo 4 *** 4 - Strong enough to save ***
liese bleeding
Questo
quarto capitolo sarà il penultimo. È abbastanza lungo, ma
era necessario per l’argomento che ho deciso di trattare.
Finalmente ci sarà un confronto tra i gemelli. Devo ancora
iniziare a scrivere l’ultimo capitolo, ma spero di non dovervi
fare aspettare troppo!
Attenzione
poi, in questa parte della storia ci sarà una scena che potrebbe
essere ritenuta volgare o troppo spinta, ma è uno dei motivi che
mi hanno convinta a scegliere il rating Rosso. Spero comunque non aver
esagerato.
Vi lascio alla lettura, note e saluti alla fine.
Sara
4 – Strong enough to save
Bill, quando si
svegliò, quella mattina, si sentì d’umore
decisamente migliore; forse perché, per la prima volta da quando
erano arrivati lì, quel giorno c’era il sole e
l’autunno non sembrava così grigio.
Il ragazzo fece
colazione in camera e si preparò. Quel mattino avevano un
servizio fotografico; se le cose andavano come al solito li avrebbe
impegnati almeno fino al dopo pranzo. Riuscì a fare tutto in
orario, ma accumulò i soliti dieci minuti di ritardo per
smessaggiare con Andreas, il quale si era messo in viaggio un paio
d’ore prima.
Dutti lo
rimproverò, David lo sgridò, Georg sbuffò e Gustav
si strinse nelle spalle rassegnato, ma Bill non perse la
serenità; almeno finché non incontrò gli occhi
gelidi di Tom, che però si distolsero subito. Lui si
rattristò un pochino. Gli mancava specchiarsi in
quegl’occhi tanto simili ai suoi, eppure così diversi nei
loro segreti. Decise, però, che quel giorno avrebbe fatto il suo
lavoro con professionalità, senza farsi condizionare dai
sentimenti.
Il viaggio fu
piuttosto sbrigativo, ma il fotografo, per fortuna, era a sua volta in
ritardo: quando arrivarono allo studio stava ancora preparando le
macchine e lo scenario. Questo fece in modo che non inferissero
più di tanto su Bill. I ragazzi furono mandati a cambiarsi e al
trucco.
Georg, una volta
indossata la particolare camicia bianca, con laccetti e cinghie al
posto dei bottoni, ed i pantaloni neri che gli avevano dato, si
guardò allo specchio, ravviandosi i capelli.
“Sono proprio un figo.” Si disse compiaciuto.
“Hm, non stai male.” Commentò Gustav, raggiungendolo ed entrando nel raggio dello specchio.
L’altro si
girò appena e lo guardò. Il batterista indossava una
camicia grigio perla, leggermente lucida e anche lui pantaloni neri.
Georg annuì compunto.
“Anche tu non stai male.” Affermò poi.
“Grazie.” Rispose l’amico.
“Siete pronti,
ragazzi?” Domandò dalle loro spalle la voce di Bill; i due
si voltarono e spalancarono subito gli occhi.
“Oh, cazzo…” Mormorò Gustav ad occhi sgranati.
Bill si scrutò
per un attimo, quindi alzò gli occhi sugli altri due,
aggrottando la fronte. “Trovate che sia un pochino…
azzardato?”
Bassista e batterista
lo fissarono, poi si guardarono, quindi tornarono a guardare il
cantante, dall’alto in basso, incrociando le braccia. I suoi
capelli sfidavano la forza di gravità, come al solito, ma erano
particolarmente lucidi. Indossava un paio di pantaloni di pelle
piuttosto aderenti e degli stivali da motociclista, sopra aveva una
maglia abbastanza larga, che gli ciondolava addosso e specie sulle
spalle, che ogni tanto gli si scoprivano quando si muoveva; era nera, a
rete fitta, ma s’intravedeva tranquillamente la pelle. La maglia
era aperta davanti fino al petto e lui portava al collo diverse catene,
nere e argento. Il viso, infine, era truccato in un modo particolare:
gli occhi erano circondati sempre da una riga nera di eyeliner, ma poi
l’incorniciava un alone d’ombretto rosso fuoco che sfumava
fino agli zigomi, facendo risaltare il colore nocciola delle iridi.
“Credo che
ancora siamo lontani da ciò che può essere definito
azzardato, per i tuoi standard, Bill.” Disse Georg con aria
saggia. “Però…”
“Questa rivista venderà un sacco di copie…” Intervenne Gustav, interrompendo l’amico.
“Già.” Annuì convinto il bassista, girandosi verso l’altro.
“Ci
aspettano.” Gli annunciò proprio in quel momento la voce
cupa di Tom. I tre musicisti fecero appena in tempo a vederlo, vestito
di un paio di larghissimi e lucidi pantaloni neri e una maglietta
bianca, enorme e con indefiniti disegni argento.
I ragazzi posarono per
molte foto di gruppo; il fotografo era bravo e riusciva a far risultare
in evidenza tutti i componenti. Si dedicò ad ogni membro della
band, con foto singole, ma fu il look di Bill ad ispirarlo in modo
particolare.
La sessione del
cantante fu la più lunga ed elaborata. Lo riprese disteso sul
pavimento, di profilo, tre quarti e mentre gattonava con sguardo
ammaliante. Bill si divertì molto, per la prima volta da giorni.
Adorava mettersi in posa e quel trucco lo spingeva ad essere provocante.
“Bill, per
cortesia, potresti metterti laggiù, ora?” Gli chiese ad un
certo punto il fotografo, indicando un’installazione di strane
lampade gotiche.
Il ragazzo si diresse
verso quel punto della sala e, mentre lo faceva, passò accanto a
Tom. I loro sguardi si sfiorarono solo per un secondo, ma
quell’istante non sfuggì al fotografo. Scrutò i due
fratelli per un lungo istante, soppesando le loro caratteristiche.
“Aspetta un
attimo, Bill.” Intervenne l’uomo; il cantante si
fermò, girandosi, ma lui si era già rivolto al gemello.
“Tom, potresti toglierti il cappello?” Il chitarrista,
riluttante, dopo un gesto d’incoraggiamento di David, si tolse il
copricapo. “Anche la fascia e scioglierti i capelli?”
Continuò il fotografo; Tom sbuffò appena, ma
eseguì.
Solo allora
l’uomo annuì soddisfatto e fece trascinare un
recalcitrante Tom al trucco, mentre tutti s’interrogavano su cosa
avesse in mente. Quando il ragazzo tornò aveva i capelli sciolti
e selvaggi sulle spalle ed era stato truccato in modo simile a Bill,
solo con un ombretto bianco.
“Bene, proprio
quello che volevo!” Esclamò allegro il fotografo.
“Adesso scattiamo un po’ di foto dei gemelli
insieme!” Aggiunse, portando Tom vicino a Bill.
I due ragazzi si
guardarono preoccupati, ma non ebbero tempo per farsi tante domande,
perché l’uomo cominciò a disporli per le pose.
Fu una lunga
mezz’ora di lavoro. La maggior parte delle volte li metteva
spalla a spalla o sfalzati. In una foto Tom era girato in avanti e
guardava torvo l’obiettivo, mentre Bill era di spalle, davanti a
lui ma lo guardava, quindi era ripreso di profilo.
Tutta questa
vicinanza, gli sguardi sfiorati, il cercare di non toccarsi senza
poterlo evitare, però creava elettricità ed emozione a
livelli quasi insostenibili. I gemelli, però furono
professionali.
O almeno, lo furono finché l’uomo non disse: “Adesso, guardatevi negl’occhi.”
Bill e Tom si
voltarono l’uno verso l’altro, con espressione quasi
preoccupata. Erano giorni che non si guardavano negli occhi a lungo;
entrambi temevano di farlo, quasi.
“Tu, Bill, ora
apri la bocca, come se urlassi contro Tom.” Suggerì il
fotografo; il cantante lo guardò per un attimo, allarmato, poi
rivolse gli occhi al fratello, il quale lo fissava apparentemente
impassibile.
Quando, però,
gli occhi di Bill si fissarono in quelli di Tom, quest’ultimo non
poté fare a meno di sentirsi turbato. C’erano settimane,
mesi, di silenzi tra di loro. Troppe parole non dette. E quelle che
erano state dette, forse, erano sbagliate. Anzi, no. Sicuramente lo
erano. E gli occhi di Bill erano tormentati e tristi. E quelli di Tom
fragili e turbati.
Bill simulò
l’urlo richiesto e Tom, come previsto, non riuscì a
sostenere quello sguardo frustrato e distolse il viso da quello del
gemello, piegandolo di lato.
“Bene! Bene!
Bravi!” L’incitava nel frattempo il fotografo, girandogli
intorno e scattando senza posa. “Ma dovete guardarvi!”
Ma Tom perseverava
nell’evitare gli occhi del fratello. Bill, allora, lo
afferrò per la maglietta e lo strattonò, obbligandolo a
dargli attenzione. L’altro sollevò gli occhi, quasi
arrabbiato e afferrò con forza i polsi sottili del gemello. E,
in quell’attimo, i loro occhi s’incontrarono davvero.
Era strano. Come
pensate che possa essere fissare degli occhi uguali ai tuoi, ma che
tuoi non sono? Era come se Tom si guardasse allo specchio, ma non
vedeva la rabbia che sentiva dentro, né la frustrazione o il
dolore confuso con cui combatteva da mesi. Perché quelli erano
gli occhi di Bill. E dentro c’era una tristezza profonda,
smarrimento, paura e colpa… una colpa che non avrebbe dovuto
esserci, perché lui non c’entrava nulla in come si sentiva
Tom. Quanto male posso farti, Bill? E quanto puoi farne tu a me?
Il chitarrista si
liberò dalla stretta del gemello con una spinta neanche troppo
forte. Bill, con un lieve gemito, si allontanò di qualche passo,
barcollando.
“Bravi…”
Mormorò il fotografo, dopo aver smesso di scattare perché
si era improvvisamente accorto della tensione nell’aria.
“Credo… sì, credo che possa bastare…”
“Sei un’idiota, Bill.” Affermò Tom, prima di dare le spalle a tutti e tornare nei camerini.
Il cantante era
rimasto immobile in mezzo alla scenografia, guardava un punto
imprecisato sul pavimento con sguardo perso. “Posso… posso
avere un po’ d’acqua?” Chiese quindi, atono.
Il servizio
fotografico si concluse così. I ragazzi si cambiarono e
struccarono, anche se Bill si truccò di nuovo subito, con la sua
solita riga nera; infine, dopo i ringraziamenti ai collaboratori, lo
staff dei Tokio Hotel, compresi i musicisti, lasciò lo studio.
Andreas bussò
alla porta di Bill che erano le sette e mezza di sera. Era appena
tornato dall’incontro col fan club locale ed era stata una
giornata spossante. Non vedeva l’ora di rivedere il suo
Scoiattolo.
La porta si
aprì e il ragazzo fu accolto da un sorriso particolarmente
brillante, che si allargò ancora quando il cantante lo vide.
Bill lo fece entrare, chiuse la porta e gli diede un lieve bacio sulle
labbra, poi si diresse col suo passo danzante nel soggiorno, seguito da
Andi.
La prima cosa di cui
il ragazzo si accorse fu l’invasione di pacchi, pacchetti e buste
sparsi nella stanza. Emporio Armani, Prada, Versace Jeans, Just
Cavalli… aveva svaligiato le migliori boutique della
città! Ecco perché aveva quell’aria allegra!
“Fatto
spese?” Domandò ironico Andreas, guardando Bill che si
fermava, appoggiandosi leggero coi fianchi contro la scrivania.
“Beh, il
servizio fotografico è stato un po’ pesante…”
Esordì lui, chinando per un attimo il capo, qualcosa di
fuggevole e doloroso passò nei suoi occhi. “Ho pensato che
un po’ di shopping mi avrebbe fatto bene!” Aggiunse subito
dopo, tornando a sorridere.
“Un po’ di
shopping?” Commentò scettico il ragazzo biondo,
incrociando le braccia. “A giudicare dalla roba che vedo, devi
aver dato fondo alla riserva mensile!”
“Non serve a questo una carta platino illimitata?” Rispose noncurante Bill, stringendosi nelle spalle.
“Ah, piccola
viziata rockstar!” Scherzò Andreas divertito. “Ad
ogni modo sono felice di vederti più allegro.” Bill gli
sorrise in quel suo modo tenero e vagamente fragile che ammorbidiva il
cuore.
“Vorrei che
andasse ancora meglio, ma mi accontento…” Fece poi,
abbassando appena gli occhi, con aria improvvisamente tormentata.
Andreas avvertì
subito il cambiamento e cercò di cambiare discorso. “A
proposito del servizio fotografico, hai già i provini?”
Gli chiese, fingendosi molto curioso.
“No, Dutti ce li darà a cena.” Rispose Bill, girato verso lo specchio per controllare il trucco.
“Allora, andiamo a cena?” Propose quindi Andreas. Il cantante si girò verso di lui sorridendo.
“Prima un
bacio.” Affermò raggiungendolo e circondandogli il collo
con le braccia. Fu accontentato con molto piacere.
“Com’è andata al fan club?” Domandò poi
Bill, rimanendo abbracciato ad Andi.
“Molto
bene.” Rispose lui. “Le ragazze hanno apprezzato il saluto,
ti mandano tanti baci e un paio di proposte di
matrimonio…” Bill rise deliziato. “Mi hanno chiesto
se hai la ragazza.”
“Ah, sì?” Fece sorpreso il cantante, Andreas annuì. “E tu cosa gli hai detto?”
“La verità, che tu non hai la ragazza.” Rispose lui con noncuranza.
“Già…”
Replicò gongolante Bill, stringendosi un po’ di più
al ragazzo biondo. “Io ho il ragazzo…” Stavolta fu
Andi a ridere soddisfatto, quindi si baciarono ancora.
“Adesso, andiamo
a cena.” Proclamò poi il cantante, spingendo il compagno
verso la porta; risero uscendo, mentre si tenevano per le spalle.
I due ragazzi, dopo
cena, tornarono nella suite di Bill. Andreas era curioso di vedere i
provini del servizio fotografico. Preso da bere, si sistemarono nel
soggiorno.
Andreas si mise subito
a frugare nelle cartelline delle foto, mentre Bill metteva su un
po’ di musica; il cantante, poi, si sedette al suo fianco, sul
bracciolo della poltrona, sorseggiando la sua birra.
“Sono molto
belle ed originali.” Commentò poco dopo il ragazzo biondo.
Bill sorrise. “Però…” Aggiunse Andi subito.
“…adesso capisco perché è stato così
pesante, per te.”
Bill sospirò,
posando la bottiglia sul tavolino. “Era così tanto che io
e Tom non ci guardavamo veramente negl’occhi…”
Affermò serio. “È stato…
spaventoso…”
“Capisco…”
Soggiunse Andreas, rimettendosi a guardare i provini. “Guarda
qui, uno davanti all’altro e anche lui truccato
così… Dio, è impressionante quanto vi somigliate,
sembrate il riflesso speculare della stessa persona, dal vivo non ci se
ne rende conto…”
“Io ho sempre
pensato…” Intervenne Bill, sorridendo assorto con lo
sguardo sulle foto. “…che Tom sia più bello di
me.” Andi sollevò gli occhi su di lui. “Io nascondo
i miei difetti con il trucco, ma lui non ha bisogno di nulla, è
perfetto così…” E allungò una mano per
carezzare il profilo del gemello in una fotografia.
“Glielo hai mai detto?” Gli chiese Andreas, continuando ad osservare il suo sguardo perso.
“No.”
Negò Bill, scotendo il capo, poi si girò verso di lui e
sorrise. “Non voglio che pensi di essere più bello di
me!” Esclamò, fingendosi divertito.
“Ho paura che lo
creda già…” Replicò sarcastico
l’altro; risero, quando Bill annuì reticente.
La visione delle foto
continuò e, ben presto, Andi raggiunse quelle di Bill da solo.
Vedere quegli scatti, dove il cantante metteva in mostra tutto il suo
sex appeal, con sfrontatezza e quegli sguardi magnetici e liquidi che
solo lui sapeva fare, provocava un certo turbamento in Andreas.
“Che ne
pensi?” Domandò soffice Bill, che si era accorto
dell’inquietudine del compagno e gli era scivolato appena
più vicino.
“Sei
molto….” Rispose Andi, fermandosi per un lungo respiro.
“…molto… sexy, in queste foto…”
“Trovi?” Fece Bill, socchiudendo gli occhi e strusciando il naso contro il collo dell’altro ragazzo.
Andreas chiuse gli
occhi sospirando. “Sei… provocante, direi…”
Mormorò in un ansito, mentre il cantante prendeva a baciargli
collo e orecchio. “Bill, ti prego… basta…”
Cercò di imporsi, ma l’altro gli era già
praticamente scivolato addosso e continuava a baciarlo e leccarlo.
“Smettila…”
Bill, dopo
quell’affermazione, si scostò bruscamente e
incrociò le braccia, mettendo il broncio, improvvisamente dritto
come un fuso sul bracciolo della poltrona.
“Però da Greta te lo facevi fare eccome!” Protestò piccato.
“Ma cosa
c’entra!” Replicò stupito Andi. “Greta era la
mia ragazza…” Bill lo guardò malissimo, come a dire
«e io che cosa sono?». “…e ci siamo lasciati da sette mesi ormai.”
“Lo so.”
Ammise il ragazzo moro, guardando altrove. “Ho festeggiato con lo
champagne…” Confessò poi, arrossendo brevemente.
“Lo hai fatto
davvero?!” Esclamò incredulo Andreas; sapeva che Bill non
aveva mai amato troppo Greta, ma addirittura brindare. Scoprì
che gli faceva piacere.
“Beh…”
Biascicò l’altro imbarazzato. “La odiavo e non
capivo cosa ci trovassi in lei, perché baciassi lei e non ti
accorgessi… di me…”
“Sciocco.”
Affermò Andi con un sorriso. “Tu ci sei sempre stato,
prima di tutti nel mio cuore, quindi… vieni qui.”
Aggiunse, afferrandolo per la vita e trascinandolo su di se.
“È solo che ho paura di un controllo di David, se passo la
notte qui…”
“Oh, ma è
presto!” Esclamò Bill abbracciandolo, col viso affondato
tra i suoi capelli biondi. “Non ti preoccupare, non gli daremo
modo di criticarci… faremo presto…”
Continuò, prima di ricominciare a baciarlo con passione sotto
l’orecchio.
“B… Bill…” Cercò d’intervenire Andreas, ma fu zittito da un profondo bacio sulle labbra.
“Voglio fare
l’amore con te.” Dichiarò deciso Bill, con voce
già arrochita dal desiderio. “Vieni…”
L’incitò, alzandosi e trascinandolo in piedi.
“…ti manderò in camera tua, poi…”
Andreas, travolto da
tutta quella passione, si fece praticamente trasportare a suon di baci
fin allo stipite della camera. Lì, Bill si liberò
velocemente della maglietta che indossava e riprese a baciare senza
posa Andi, che era vagamente stordito. Le mani leggere del cantante
erano ormai sotto la sua maglia e percorrevano con urgenza il suo corpo.
“Bill…
Bill, ti prego… fermati…” Supplicò Andreas,
quando le dita del moro raggiunsero la fibbia della cintura e
cominciarono a slacciarla.
“Che cosa c’è?!” Sbottò l’altro, in un sibilo frustrato, accentuato dal respiro pesante.
“È…
è che…” Andi tentò di rispondere, ma anche
lui aveva la respirazione difficoltosa, perché era inutile
negare che fosse eccitato. “…non ti facevo così
intraprendente, in fatto di sesso…”
Bill arrossì di
colpo e abbassò gli occhi, lasciando la presa sulla cintura del
compagno. “Non… non lo sono, difatti, ma…”
Balbettò poi, passandosi una mano tremante tra i capelli.
“Capisco che
abbiamo poco tempo, ma preferirei fare lo stesso con calma.”
Affermò Andreas a bassa voce. “Tu sei il primo ragazzo con
cui… insomma, non voglio correre…”
“Oddio…”
Mormorò Bill, portando le mani al viso. “Adesso penserai
che io sia stato con chissà quanti ragazzi, ma in realtà
io…”
“Tranquillo.”
Lo rassicurò subito Andreas, con una carezza sulla guancia
pallida. “Ho capito che non è così.”
“Che cosa devo
fare, allora?” L’interrogò a quel punto Bill. Andi
sorrise, l’espressione confusa dell’altro era talmente
tenera che quasi lo commuoveva.
“Va bene
così, solo… un po’ più lentamente.”
Rispose sereno il ragazzo biondo, tirandoselo vicino. Il cantante
sorrise a sua volta, prima di ricominciare a baciarlo. E stavolta la
fibbia si aprì.
In un’altra
stanza, nel frattempo, si stava consumando un rapporto dove la
tenerezza era l’ultima partecipante; anzi, nell’unione di
quei due corpi nudi e sudati c’era un’urgenza quasi
selvatica.
Paula gemeva, persa
nel piacere, con il capo reclinato oltre il bordo del materasso e la
mano aggrappata ai dreads sciolti di Tom, mentre le spinte quasi
rabbiose di lui la portavano fuori dalla sua mente.
Tom le mordeva la
pelle morbida della scapola, con i palmi delle mani contro i suoi
capezzoli turgidi. Non pensava a nulla, voleva solo godere di quel
corpo, di quel momento e dimenticare ogni altra cosa. Lei era calda,
profumata, accogliente e lui non aveva bisogno d’altro. Non
voleva aver bisogno d’altro.
Quando Tom
sentì di stare per raggiungere il culmine, si sollevò
appena da Paula, inarcando la schiena; aveva le sue cosce strette
contro i fianchi che lo trattenevano dentro di lei. La donna lo
incitava a non fermarsi, segno che stava a sua volta per raggiungere
l’orgasmo.
Tom si scostò
subito dalla ragazza, quando gli ultimi brividi del piacere lo
abbandonarono e si lasciò andare supino accanto a lei, con il
petto sottile ancora ansante. Sentì Paula sospirare soddisfatta,
ma non si girò verso di lei.
“Ahh…”
Soffiò la donna. “Avrei dovuto iniziare prima a
frequentare ragazzini, la tua generazione è portata per il
sesso.” Aggiunse ironica.
“Vaffanculo stronza.” Rispose soltanto Tom.
“Ahahah!” Rise lei. “Mi piace quando sei volgare!”
“Fottiti.” Replicò acido lui.
“Lo hai appena
fatto tu!” Ribatté la donna sempre ridendo. “Ma se
preferisci vado a prendere il mio vibratore.” Aggiunse,
incrociando per la prima volta lo sguardo distratto di Tom, quindi si
alzò e, nuda come stava, si diresse al frigobar per prendere da
bere.
Lui guardò
altrove. A volte gli dava fastidio l’ostentata sensualità
di Paula, altre lo eccitava da morire. Così come il suo modo di
parlare sboccato, dopo aver fatto sesso.
“Sei sempre
stato scazzato, da quando ti conosco…” Riprese Paula,
sorseggiando un’acqua tonica. “…ma stasera sembra
che ti girino come l’elica di un fuoribordo.” Tom la
ignorava, mentre si tirava seduto e cercava il pacchetto delle
sigarette. “Cos’è, hai di nuovo litigato con il tuo
bel fratellino?”
“Quello che facciamo io e Bill non ti deve riguardare.” Sibilò lui senza voltarsi.
Paula alzò le sopracciglia divertita. “Non saranno mica vere quelle voci che girano su di voi?”
“Non dire
stronzate!” Sbottò Tom con rabbia. “Come fanno anche
solo a pensarlo…” Commentò poi, a bassa voce,
rivolto più a se stesso, scotendo la testa, mentre si accendeva
una sigaretta.
“Spegnila.”
Gli ordinò però la donna, appena lui ebbe preso la prima
boccata. “Lo sai che il fumo mi da fastidio.”
“Ma si
può sapere cosa vuoi?” Replicò piccato Tom,
volgendole appena la testa, ma restando coi gomiti appoggiati alle
ginocchia. “Non ti da fastidio succhiare cazzi e prenderlo da
dietro e rompi i coglioni per una cazzo di sigaretta?!”
Ringhiò poi. “Sei proprio una puttana.”
“Ti piacerebbe
che fossi una puttana, così potresti rifilarmi un centone e
buttarmi fuori.” Affermò lei senza scomporsi.
“No, è
meglio così, credimi.” Ribatté il ragazzo con
noncuranza. “Almeno posso sbatterti fuori senza darti un bel
niente.”
“Non dici sul
serio.” Decretò Paula sicura, con un sorrisetto serafico.
“Sei solo teso…” Continuò, scalando il letto
e mettendosi in ginocchio dietro di lui. “Devi rilassarti.”
Aggiunse, cominciando a massaggiargli le spalle.
Tom, all’inizio,
tentò di sottrarsi, quasi infastidito, ma lei si fece più
vicina, aderendo alla sua schiena con il seno morbido e le cosce contro
i suoi fianchi. Lui spense la sigaretta nel posacenere, mentre
reclinava appena il capo. Paula cominciò a baciargli il collo e
la scapola, scendendo con la mano lungo il suo petto e l’addome,
fino a raggiungere un punto preciso tra le sue gambe. Tom si
lasciò ben presto andare, tra le mani esperte della ragazza.
“Ormai ti
conosco…” Sussurrò sensualmente lei
all’orecchio del chitarrista. “…so che una non ti
basta…”
Tom emise una specie
di gemito ringhioso, sottraendosi bruscamente alla sua presa, per
girarsi e afferrarla alla vita. La sbatté sul materasso e le fu
subito addosso, con baci rabbiosi, sollevandole le braccia oltre la
testa. Era quello che Paula voleva. Pochi istanti ed invertì le
posizioni, sedendosi sopra di lui. E iniziò l’ennesimo
amplesso senza sentimenti.
Bill scivolò tra le lenzuola, fino a raggiungere il corpo caldo di Andreas, poi si strinse a lui, sospirando tristemente.
“Che cosa
c’è, Scoiattolo?” Gli domandò il ragazzo,
accarezzandogli i capelli. Bill sollevò gli occhi.
“Volevo scusarmi
per essere stato un po’ troppo…” Esitò
cercando la parola adatta. “…sfrontato, prima.”
“Bill, ti ho già detto…”
“Continuo a
pensare di esserti sembrato eccessivamente esperto.”
Continuò il cantante, impedendogli di replicare. “E voglio
che tu sappia che prima di te c’è stato solo un altro
e… una ragazza, ma onestamente preferirei rimuovere
l’esperienza…”
“Bill.” Lo
bloccò Andi con gentilezza, alzandogli il mento con le dita.
“Tu non perderesti il tuo candore nemmeno se fossi l’eunuco
prediletto del gran sultano, è stata la fretta a toglierti le
inibizioni, ma so benissimo come sei fatto.”
“Non è
stata solo la fretta.” Ammise Bill, abbassando lo sguardo.
“È che sono frustrato per questa cosa di Tom, non so
più come comportarmi…” Mormorò sconfortato.
“Io credo che
abbia ragione Georg, devi affrontarlo, parlarci seriamente.”
Affermò Andreas, mentre gli carezzava la schiena.
“Altrimenti non ne uscirete mai.”
Bill si fece
pensieroso e appoggiò il capo sul petto di Andreas, cominciando
a disegnare linee immaginarie sulla sua pelle. Era assorto, con gli
occhi aperti rivolti verso la finestra, ma sembrava non guardare nulla
in particolare.
Sì, era
arrivato ad un punto limite, se i rapporti con Tom si deterioravano
ulteriormente il suo cuore non avrebbe retto. Aveva un disperato
bisogno dell’affetto di suo fratello, ma era anche vero quello
che diceva Georg: troppe cose dipendevano da loro. Perché Tom
non lo capiva? Buttare via la loro unione, era buttare via i Tokio
Hotel e tutto quello che ruotava intorno al gruppo. E questo Bill non
poteva permetterlo.
Il cantante si
rialzò all’improvviso su un gomito, guardando negli occhi
Andreas. Aveva un’espressione seria e compunta, che rendeva il
suo viso, già naturalmente portato, piuttosto drammatico.
“Devo parlarci.” Affermò quindi.
“Sì, su questo punto, ormai, siamo concordi, direi…” Replicò confuso Andi.
“Intendo che devo farlo ora.” Ribatté Bill sicuro.
Andreas si
sollevò un po’ contro i cuscini alle sue spalle, fissando
incredulo gli occhi un po’ lucidi dell’altro ragazzo.
“Proprio adesso?” Gli chiese poi.
“Sì!”
Annuì Bill con forza. “Sento che non avrò mai
più il coraggio che sento ora, o lo faccio adesso o potrei non
farcela.” Aggiunse, stringendo la presa sul petto del compagno.
Andreas sembrò
riflettere per qualche secondo, studiando i tratti delicati del
cantante, poi posò la propria mano sulla sua e la strinse
delicatamente.
“Se te la senti,
vai.” Gli disse quindi. Bill sorrise e lo abbracciò.
“Vuoi che venga con te?” Gli domandò anche, lui
negò contro la sua pelle.
“No, non credo
che sia il caso e poi… devo farlo da solo.” Mormorò
poi, mentre si scostava da lui ed usciva dal letto.
“Ti rendi conto,
vero, che è l’una passata e che Tom potrebbe avere
compagnia?” Gli fece presente Andreas, mentre lui si vestiva.
“Lo so.” Rispose Bill, infilandosi i pantaloni di una tuta nera ed una maglietta dello stesso colore.
“E allora?” Fece l’altro preoccupato.
“Non sarà
un problema.” Dichiarò pronto il cantante, ravviandosi i
capelli. “Tu mi aspetti qui?” Aggiunse poi, voltandosi con
sguardo speranzoso. Andi annuì. “Ti amo.”
“Anche io ti
amo, Bill.” E il cantante gli rispose con un ultimo dolce
sorriso, prima di uscire leggero dalla stanza, senza essersi messo le
scarpe. Andreas sospirò, rilasciandosi contro i cuscini.
La porta di legno
chiaro della 1022 era davanti a lui ormai da qualche minuto, ma Bill
esitava ancora a bussare. Le maniche della maglia tirate fino a coprire
metà mano e i piedi che si tormentavano l’un
l’altro. Si mordicchiò l’unghia del pollice,
indeciso. Preso, poi, un lungo respiro allungò la mano verso la
porta e bussò.
Bill sentì un
certo movimento all’interno e un’imprecazione sommessa. E
la voragine nel suo stomaco aumentò di dimensioni in modo
preoccupante, quando si accorse che qualcuno andava ad aprire.
Deglutì a vuoto.
“Chi è?” Domandò la voce di Tom, chiaramente infastidita.
“Sono io, apri.” Rispose Bill, con una sicurezza che non si aspettava da se stesso.
Ci fu qualche momento
d’attesa che il ragazzo moro giudicò come incertezza, poi
la porta si aprì. Il cuore di Bill traballò come una
palafitta senza un palo. Ma era deciso a non cedere.
Fu ricevuto
dall’espressione sospettosa di Tom, che indossava una maglietta
grigia stropicciata ed un paio di boxer a quadretti azzurri. Braccia
incrociate e capelli sciolti.
“Che cosa vuoi?” Gli domandò con arrogante urgenza.
“Parlare con te.” Rispose il gemello senza intimidirsi.
“Non so se ho
voglia di ascoltarti.” Ribatté Tom, ostentando
un’indifferenza che sapeva di non avere. Non riusciva, infatti, a
controllare il battito del proprio cuore.
“Beh, dovrai farlo, perché io non me ne vado.” Affermò duro Bill. Si scrutarono cupi.
“Ciao, Bill.” S’intromise una voce femminile.
I gemelli si voltarono
di scatto, all’unisono, verso Paula che era appoggiata allo
stipite della porta del bagno con addosso l’accappatoio. I loro
volti erano seri, tirati e perfino una donna smaliziata come lei rimase
colpita da quanto severi potessero diventare quei lineamenti da pittura
rinascimentale.
Bill fu il primo a
tornare padrone di se stesso. “Paula, potresti lasciarci
soli?” Le chiese con tono autoritario; lei spalancò gli
occhi, sorpresa.
“Come
vuoi…” Fece, quasi infastidita. “…io vado di
là e apro l’acqua.” Aggiunse supponente, indicando
il bagno, poi si rivolse a Tom. “Ti aspetto nella vasca.”
Sussurrò sensuale, con uno sguardo ammiccante; lui la
ignorò guardando altrove.
Quando Paula se ne fu
andata lo sguardo di Bill si rialzò subito in quello di Tom, il
quale si rese immediatamente conto che da quegli occhi, quella sera,
non avrebbe potuto fuggire.
“Insomma, che vuoi?” Gli chiese con arroganza.
“Voglio sapere
che cosa ti sta succedendo.” Rispose Bill. Sentiva le proprie
mani sudare, ma non voleva mostrare il proprio nervosismo.
“Non capisco di cosa stai parlando…” Replicò vago il fratello.
Bill sospirò
stancamente, abbassando gli occhi. Tom lo fissava in silenzio, con
sguardo duro; non sapeva che presto la barriera che aveva costruito tra
se e le sue paure sarebbe miseramente crollata.
“Devi
scusarmi.” Affermò il cantante, stupendo il gemello che
però non lo diede a vedere. “Devi scusarmi perché
non mi sono reso conto che stai male, che c’è qualcosa che
non va, se mi sono allontanato da te quando avevi bisogno.” Tom
ora lo fissava attento. “Ma tu perché non sei venuto da
me? Perché non mi hai chiesto aiuto?” Gli chiese poi.
Il chitarrista lo
guardò perplesso, con gli occhi improvvisamente fragili.
Già, perché non lo aveva fatto? Ma poi che
cos’erano tutti questi discorsi? Non voleva paternali da nessuno!
Provò a reagire alzando una mano, ma fu bloccato da Bill che
riprese il discorso.
“Ma tanto non ha
importanza adesso, ad ogni modo.” Disse, scotendo tristemente il
capo, senza guardare il fratello. Quelle parole attirarono però,
inspiegabilmente, l’attenzione di Tom. “Il tuo
comportamento, ora, non è più solo un problema tra noi
due, Tom. Il tuo modo di fare sta creando complicazioni anche con Georg
e Gustav, con David e tutto lo staff.” Sentendosi messo sotto
accusa, il chitarrista recuperò l’orgoglio e si
preparò a ribattere, ma anche stavolta fu interrotto da Bill.
“Tom, io non lo so che cosa ti sta succedendo, ma se continui
così, sarò costretto a prendere dei
provvedimenti…” Respirò profondamente, ingoiando
l’indecisione; se non lo provocava, suo fratello non avrebbe mai
reagito… e lui non se lo poteva permettere. “Ci sono tanti
giovani chitarristi in gamba, pronti a sostituirti, se tu hai bisogno
di un periodo…”
Tom, a quelle parole,
spalancò gli occhi e si sporse verso il gemello. “Che cosa
significa?!” Esclamò sconvolto.
“Significa che
sono disposto a convincere David e gli altri a lasciarti un po’
di tempo per riflettere, lontano dalla confusione, lontano dallo
stress…” Spiegò Bill, con una calma del tutto
estranea al furioso ritmo del suo cuore.
“Io non ho bisogno di un bel niente!” Gridò Tom. “Tu non puoi farmi questo!”
“Credimi, fa
più male a me che a te.” Replicò calmo
l’altro. E solo lui sapeva quanto erano vere le sue parole,
poiché il suo cuore si stava consumando come carta bruciata a
fare quei discorsi.
“Certo, come
no!” Sbottò scettico il gemello, combattendo con un
improvviso vuoto d’aria allo stomaco, assolutamente impossibile
da verificarsi con i piedi ben pianti a terra.
“Allontanarti
è l’ultima cosa che voglio fare, Tom!” Reagì
Bill con veemenza. “Ma se tu non mi apri di nuovo il tuo cuore,
io non ti posso aiutare e non ti permetterò di rovinare tutto!
Ci sono troppe persone che dipendono da noi!”
Calò il
silenzio, quasi all’improvviso. Lo sguardo di Tom era perso,
vagava per la stanza in cerca di un appiglio qualsiasi, febbrilmente.
Bill aveva il respiro pesante e gli occhi lucidi, ma non voleva
piangere, voleva essere forte e combattere questa importantissima
battaglia. Trovò la determinazione per parlare ancora.
“È il
nostro sogno, Tomi.” Mormorò con voce rotta.
“È quello per cui abbiamo lottato tutta la vita, da quando
eravamo piccolissimi e tu usavi la scopa come chitarra e io cantavo
nella spazzola di mamma…” Tom non lo guardava più,
teneva lo sguardo spostato e abbassato, mentre quei ricordi comuni
aggredivano il suo cuore, esattamente come quello del gemello.
“…ci siamo promessi che ce l’avremmo fatta insieme,
che saremmo andati avanti insieme. Sempre. Insieme.”
Parlava accorato, stringendo i pugni, e tremava. “Quindi, ti
prego, non obbligarmi a fare qualcosa che mi uccide al solo
pensiero… torna da me, Tom…” Supplicò
infine, lasciando che una lacrima a lungo trattenuta gli scendesse sul
viso struccato.
Tom era smarrito,
confuso. Sapeva di aver fatto del male a Bill, consapevolmente lo aveva
fatto. Ma suo fratello avrebbe davvero avuto il coraggio di
allontanarlo dal gruppo? Alzò gli occhi in quelli di Bill, per
cercare la risposta; nonostante le lacrime, ancora ferme e tremanti tra
le sue ciglia, vi lesse una determinazione che conosceva bene. Bill era
senza dubbio una persona dall’animo sensibile, ma questo non
significava che non sapesse lottare, quando la vita lo richiedeva. Lo
avrebbe fatto, eccome. E questa certezza fu devastante per Tom.
“Non è
tardi, Tom.” Dichiarò ancora Bill, fissandolo per la prima
volta direttamente negli occhi. “Posso dimenticare tutto quello
che hai detto e fatto, mettere una pietra su ogni cosa, ma tu devi
ammettere che un problema c’è…”
Tom si girò di
scatto, dandogli le spalle. E questo non era un buon segno. Bill decise
di affrontare un altro argomento spinoso, ma che gli stava
particolarmente a cuore.
“Dimmi che non
è per via di Andreas, che ti comporti così con me.”
Lo pregò, allungando una mano verso di lui, ma Tom non si fece
toccare, sottraendosi brusco. “Tomi, come faccio a spiegarti che
quello che provo per lui non cambia i miei sentimenti per te? Sei mio
fratello, la persona che amo di più a questo
mondo…” Spiegò quindi Bill, il gemello lo
guardò diffidente. “Non c’è niente e nessuno
che possa sostituirti nel mio cuore, io ti voglio bene…”
Tom spalancò
gli occhi, preoccupato di sentire quella frase che si ripetevano
l’un l’altro da quando avevano iniziato a parlare. Ogni
notte. Prima di dormire. Non farlo, Bill…
“…fino alla luna.” Mormorò però l’altro, con un lieve e triste sorriso.
Ecco, a quel punto
sarebbe stata meglio una pugnalata dritta nel cuore. Un colpo e via,
muori e non ci pensi più. E invece lui lo lasciava lì a
sanguinare, senza sapere cosa dire. Senza sapere più nemmeno
parlare. Boccheggiante e con gli occhi spalancati. Colpo basso, fratellino…
“Ti ho detto
tutto quello che dovevo.” Dichiarò a quel punto Bill,
afferrando la maniglia per uscire. “Sappi, però, che
qualunque decisione sarò costretto a prendere, questo non
cambia, ti vorrò sempre bene, Tomi.” Aggiunse, aprendo la
porta.
Sì, certo.
Avrebbe voluto dire il chitarrista, con un tono scettico e duro. Ma
dentro di se sapeva che le parole di Bill erano la verità. Lo
sentiva nella pancia, come diceva proprio il suo adorato gemello
traditore. Sì, perché, nonostante tutto, anche lui gli
voleva ancora bene, per quanto avesse, quasi disperatamente, provato ad
odiarlo. Quanto sei idiota, Tom…
“Buonanotte…”
Sentì mormorare, mentre la porta si richiudeva leggera dietro le
spalle sottili di Bill e lui spariva nel corridoio.
E adesso cosa faceva?
Tutte le false sicurezze che si era costruito erano state sbriciolate
in pochi minuti. Il terreno gli stava crollando sotto i piedi. Solo una
cosa lo aveva tenuto a galla, in quell’ultimo periodo, ed era la
musica. I concerti, le esibizioni, prendere in mano la sua chitarra e
non pensare a niente. Se gli toglievano quello era finita.
Ma ciò che gli
faceva più male era la consapevolezza di essersi ficcato da
solo, con le proprie mani, in quell’immane casino, allontanandosi
da Bill, non confidandosi con lui come aveva sempre fatto e facendosi
accecare dalla gelosia per la storia di Andreas. Stupido. Cretino.
Idiota!
Le sue riflessioni
rabbiose furono interrotte da un’inopportuna voce femminile.
“Però…” Commentò sarcastica Paula.
“…non si direbbe, ma sotto tutto quel trucco, il ragazzino
ha le palle.”
“Stai zitta!” Le urlò Tom, senza girarsi verso di lei.
“Uh, come sei
acido!” Ribatté noncurante la donna. “Forse dovevo
sedurre lui… ma ho sentito dire che preferisce
altro…” Quell’ultimo commento le attirò uno
sguardo omicida da parte del ragazzo.
Tom, quindi, senza
aggiungere una parola, si voltò, le passò accanto veloce,
dirigendosi dall’altra parte del letto e prendendo i vestiti.
Paula lo guardò sorpresa, mentre si vestiva a gesti bruschi.
“Che cosa stai facendo?” Gli chiese alzando un sopracciglio.
“Vado a fare un
giro.” Rispose sbrigativo lui, calcandosi il cappellino sugli
occhi, poi si diresse alla porta. “Quando torno non voglio
trovarti.” Le disse, con sguardo torvo, fermandosi per un attimo
davanti a lei; Paula lo fissò sorpresa e indignata dal tono
usato, ma non poté reagire, perché Tom aveva già
infilato la porta.
Bill tornò in
camera sua camminando lentamente lungo il corridoio coperto di moquette
beige. Aprì la porta, entrò e la richiuse, appoggiandosi
poi contro l’anta.
La stanza era buia,
solo la luce della luna entrava pallida dalle vetrate che davano sul
balcone. Il ragazzo prese un lungo respiro e tirò su col naso,
ricacciando indietro le lacrime che sentiva pungere nei suoi occhi. Non
voleva che Andreas lo vedesse turbato. Si stropicciò la bocca
con il dorso di una mano, staccandosi dalla porta.
“Andi.”
Chiamò, dirigendosi verso la camera; non giunse risposta.
“Andreas?” Ripeté allora, superando la porta bianca.
C’era una delle
lampade verde giada accesa, sul comodino di destra, ma il letto era
vuoto. Bill aggrottò la fronte deluso, poi si girò verso
il bagno, ma la luce lì era spenta. Vuoto. Andreas non
c’era ad aspettarlo come aveva promesso…
Stava davvero per
piangere, quando un fastidioso suono ronzante attirò la sua
attenzione, poco prima che dal suo cellulare partisse la suoneria. Bill
lo afferrò distrattamente dal piano della specchiera e rispose,
quasi senza guardare il display.
“Pronto?” Mormorò con voce stanca.
“Sono io.”
Rispose Andreas con tono altrettanto spento. “È passato
David e mi ha spedito in camera mia…” Spiegò poi.
“Ah…” Commentò soltanto Bill, senza riuscire a dimostrare sollievo.
“Mi dispiace…” Affermò rammaricato l’altro. “Come stai?” Gli chiese quindi.
“Bene.” Fece Bill, ma non traspariva nessuna convinzione dalle sue parole.
“Sei sicuro? Una
parola e vengo lì, sfido perfino Cerbero-Jost per te, lo
sai…” Si sbrigò a dire Andreas, preoccupato.
“No, dai, stai
tranquillo…” Soggiunse il cantante. “Va tutto bene,
davvero. È meglio che non creiamo altri problemi, Andi, ti
prego.”
“Come vuoi tu, Scoiattolo.”
“Sì, dai, ci vediamo domattina.”
“A domani, allora…”
“Ciao.”
Bill, dopo aver chiuso
la chiamata e appoggiato il telefono sul comodino, si tolse i pantaloni
e infilò a letto. Si rannicchiò tra le coperte, dove il
calore di Andi era ormai scomparso, e lasciò che le lacrime si
sfogassero. Ad occhi aperti, in silenzio. Sperava che Tom capisse, che
quella conversazione servisse a qualcosa. Che suo fratello avesse
abbastanza paura da fare quel passo necessario verso di lui.
Perché Bill era lì che lo aspettava. Anche per sempre, se
era necessario.
Tom vagò per le
strade per un tempo che non seppe quantificare, mentre la città
si spegneva intorno a lui. Lampioni, insegne, lasciavano via via il
posto al buio frizzante di quella notte di settembre. E lui camminava,
senza sapere dove andare.
Pensò a quei
mesi, a tutti gli sbagli che aveva fatto. Ad ogni premio e canzone
nuova. A tutte le volte che tirava fuori la sua carta di credito e
pagava, senza domandarsi nemmeno il prezzo. Si domandò quando
era stato che tutto questo, il talento, il successo, il denaro,
l’affetto degli amici e della sua famiglia, non gli era bastato
più. Si chiese cosa gli mancasse davvero.
Ricordò la
prima volta in cui un accordo di chitarra non gli era venuto come
voleva. O quando si era svegliato con qualcuna nel letto e si era
disgustato. Quando una birra o un cocktail gli avevano dato la nausea.
Il primo sguardo scambiato con Paula. Il primo rapporto con lei che,
seppur dolorosamente desiderato, lo aveva lasciato come svuotato, quasi
schifato da se stesso.
La prima volta che aveva evitato gli occhi di Bill. Per paura. Per vergogna.
Faceva male. Dio, se
faceva male. E lo terrorizzava. Perché temeva la determinazione
di Bill, la forza che lui aveva sotto la sua apparenza fragile. Solo
ora, dopo quelle minacce fatte con le lacrime agli occhi, capiva quanto
tutto quello che aveva fosse importante. Solo ora che lo stava perdendo.
E lui non voleva perdere il suo sogno. Il sogno suo e di Bill.
Ma aveva paura.
Una paura così tremenda da restare annichilito.
Solo l’idea di perdere in modo definitivo Bill lo atterriva di più.
Ma non era da lui
arrendersi davanti alle difficoltà. Tom Kaulitz era sempre
andato avanti. Testa bassa, battute pungenti e sorriso sbieco. Questo
era lui. Doveva buttare via questa malinconia inspiegabile che gli
attanagliava il cuore. Nessuno gli avrebbe strappato il suo sogno.
Niente e nessuno lo avrebbe diviso da Bill.
L’alba lo colse
mentre passeggiava in un parco. Era pallida e chiara e Tom la
guardò mesto. Si sentì molto triste, con un magone
formato gigante alla bocca dello stomaco. E per la prima volta, in
tanti anni, provò una fortissima voglia di piangere.
Il ragazzo
tornò in albergo che erano quasi le sei del mattino. La
tristezza gli aleggiava ancora intorno. Si fermò per un attimo
davanti alla porta di Bill, domandandosi se fosse sveglio, e poi
raggiunse la sua. Paula se n’era andata, per fortuna.
Tom si avvicinò
alla scrivania, dove era posata la custodia della sua chitarra acustica
preferita. L’aprì, ma ignorò lo strumento,
prendendo qualcosa dalla tasca per gli spartiti, ma non era musica. Si
sedette sul letto e guardò quella fotografia.
Era vecchia,
stropicciata e con i bordi un po’ consumati. Erano tanti anni che
la portava con se. Vi erano ripresi due bambini dai sorrisi luminosi e
birichini. Due bambini biondi uguali in tutto, fuori che nel nome
cucito sulle loro magliette azzurre. Bill e Tom. Inseparabili gemelli.
Fu in quel momento,
con gli occhi fissi sulla dimostrazione del loro immenso affetto, che
qualcosa si ruppe nel cuore di Tom e le lacrime cominciarono a scendere
copiose e inarrestabili sul suo viso.
Il ragazzo cadde di fianco sul materasso, scosso dai singhiozzi, stringendo forte la foto. E pianse fino a che ne ebbe la forza.
CONTINUA
- Allora, che ne dite? La scena con Tom e Paula non è troppo forte, vero? Fatemelo sapere.
-
Il confronto tra Tom e Bill, lo ammetto, è stato duro da
scrivere, spero di non essere stata ripetitiva o pedante. Anche qui
aspetto il vostro giudizio.
-
Il titolo del capitolo è preso da un verso della canzone
“None but the brave” di Bruce Springsteen, di cui
ovviamente consiglio a tutti l’ascolto.
Ringrazio
tutti quelli che hanno commentato lo scorso capitolo: Whity, RubyChubb,
egittofona, Moony Magic, _LaMaNiAcApErBiLl_, anna9223. Siete state
tutte troppo gentili e sono felice che questa storia un po’ fuori
dai canoni vi abbia coinvolto! Aspetto i vostri commenti!
Grazie anche a quelli che hanno solo letto, so che siete tanti.
Alla prossima!
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Capitolo 5 *** 5 - The best times are coming ***
bleeding
È
finita. Eh, sì, un’altra storia è giunta al
termine. È stato impegnativo scrivere questa cosa, perché
di solito io preferisco la commedia come genere e una storia come
questa richiede uno sforzo anche emotivo. Sono felice che abbiate
apprezzato questo lavoro, perché ci sono state davvero tante
letture (anche se un po’ meno commenti, eh eh, non si fa,
impegnatevi!).
Adesso vi lascio alla lettura, perché il capitolo è lungo e denso.
Saluti e ringraziamenti alla fine!
Un bacio a tutti!
Sara
5 – The best times are coming
La saletta era
accogliente e luminosa, con la grande finestra che buttava dentro la
tenue luce di quella mattina autunnale. Su un tavolo coperto da una
tovaglia bianca erano disposte le migliori cose che qualcuno poteva
desiderare per fare colazione: brioches calde, ripiene e non, frutta di
ogni tipo, cereali e latte, caffè e cioccolata calda. Se uno
avesse avuto fame sarebbe stato perfetto. Appunto, se.
Bill guardava fuori
dalla finestra e si sentiva come se avesse un pallone da rugby piantato
alla bocca dello stomaco. Appetito zero e anche un po’ di nausea.
Niente era andato per il verso giusto dopo la sua conversazione con
Tom: era tornato in camera e non aveva trovato Andreas, aveva dormito
pochissimo e malissimo, si era svegliato con delle occhiaie degne della
sposa di Frankenstein e si era pure beccato una ramanzina da parte di
David per aver fatto restare Andi con se… e di Tom nessuna
traccia… Chissà come se la passava quello zuccone.
Una mano si
posò leggera sulla sua spalla, facendolo sobbalzare, tanto era
distratto. Il cantante si girò e vide Andreas sorridergli.
“Mangi
niente?” Gli chiese l’amico, lui si limitò a
scuotere il capo. “Nemmeno un muffin o un po’ di
frutta?” Insisté il ragazzo biondo.
“No,
davvero.” Rispose allora Bill. “Se metto in bocca qualcosa
vomito.” Precisò poi, stringendo appena la mano di Andreas
ancora posata sulla sua spalla.
“Come
vuoi.” Si arrese l’altro, lasciandolo e dirigendosi verso i
thermos del caffè. Lì scambiò un’occhiata
eloquente con Georg e scosse la testa.
Bill aveva parlato con
Gustav e Georg della sua conversazione con Tom e gli altri due membri
del gruppo erano stati concordi con lui, rassicurandolo e dicendogli
che non era stato troppo duro.
I ragazzi, poi,
avevano parlato di cosa li aspettava quel giorno: da lì a pochi
minuti sarebbero stati davanti alla stampa e sapevano perfettamente che
qualcosa, di tutto il movimento di quei giorni, doveva essere
trapelato. Era impossibile il contrario, del resto, con tutti i
potenziali testimoni che c’erano in giro e il comportamento non
proprio esemplare di Tom. Adesso c’era solo da sperare che le
domande dei giornalisti non fossero troppo imbarazzanti. David li aveva
già messi in guardia, specie Bill, durante la famosa ramanzina;
anche se sapeva perfettamente che il cantante non era tipo da farsi
mettere in mezzo dai giornalisti, il suo stato emotivo preoccupava un
po’ il manager e preferiva di gran lunga un silenzio a qualche
battuta di sfuggita su Tom, o peggio, su Andreas.
“Allora,
ragazzi, ormai manca poco!” Annunciò proprio David
entrando nella stanza e battendo le mani. “Siete pronti?”
Georg, Bill e Gustav risposero annuendo. “Tom
dov’è?” Domandò poi il manager.
I tre musicisti si
guardarono intorno perplessi, quindi si scambiarono occhiate allarmate.
Bill si rivolse ad Andreas con uno sguardo preoccupato, come se
rischiasse la condanna a morte.
“Non ditemi che nessuno di voi lo ha chiamato…” Fece David, mani ai fianchi ed espressione severa.
“Ehm… temo di no…” Mormorò Gustav, l’unico che ebbe fiato per parlare.
“Ma che cazzo
sta succedendo a questa band?!” Sbottò l’uomo; Bill
chinò gli occhi, cominciando a tormentarsi le unghie dei
pollici. “Adesso vado io a tirarlo fuori dal letto…”
“David!”
Lo fermò però il cantante, prima che infilasse la porta,
lui si girò. “Ieri sera, io e Tom… abbiamo…
parlato…” Aggiunse Bill incerto, evitando il suo sguardo.
David lo fissò
per un istante, sorpreso, poi roteò gli occhi sbuffando.
“Quando prendi queste cazzo d’iniziative, io lo voglio
sapere, perdio!” Lo rimproverò quindi, alzando la voce.
“Ma David, è mio fratello!” Protestò Bill stringendo i pugni.
“Non me ne
importa una sega! Per me potete anche sbattervelo nel culo a vicenda,
basta che me lo dici prima!” Replicò il manager rabbioso,
quindi gli diede le spalle ed uscì dalla stanza seguito dalla
sua assistente, mentre Bill fissava indignato la sua schiena.
David piombò
sulla porta di Tom come un uragano di massimo livello, cominciando a
bussare con forza, ma nessuno rispose. L’uomo cominciò
anche ad urlare.
“Tom, apri questa porta, porca puttana!”
“Oddio, ma non
gli sarà mica successo qualcosa?” Mormorò allarmata
la ragazza che lo aveva accompagnato, girandosi appena verso di lui.
David, che fino a quel
momento non aveva pensato ad un’eventualità simile, si
accigliò. Era vero, lui non sapeva cosa si erano detti i
gemelli, né che sconvolgimento emotivo potesse aver portato quel
confronto. Il manager si ritrovò molto preoccupato.
“Non dire queste cose, Johanna…” Soffiò con espressione sofferta.
In quel momento,
accanto a loro, passò il carrello del servizio camere, spinto da
una giovane donna dall’aria seria. David lasciò perdere il
discorso che stava per fare e la seguì con lo sguardo, mentre
lei tirava fuori il passpartout per aprire una stanza.
“Mi dia immediatamente quel passpartout!” Le ordinò correndo nella sua direzione.
La donna, un po’
spaventata, strinse la tessera magnetica al petto. “Mi scusi,
ma… non sono autorizzata a fornire ai clienti…”
“Senta, sono il
manager dei Tokio Hotel…” Affermò l’uomo,
dando per scontato che lei sapesse di che si trattava.
“…potrebbe essere successo qualcosa al mio chitarrista,
quindi mi dia il passpartout, parlerò io con il direttore!”
“Guardi, io non credo…” Tentò la donna, ma mentre parlava una porta si aprì.
Johanna, a quel
rumore, si voltò, smettendo di seguire la discussione tra David
e la cameriera. La stanza di Tom si era aperta ed il ragazzo era sulla
soglia con un’aria perplessa.
“Che cos’è questo casino?” Domandò quindi, guardando prima Johanna e poi David e la donna.
Tom non sembrava molto
in forma. Tralasciando il colorito degno della buccia del Brie, i
capelli ancora sciolti e gli abiti stropicciati come se ci avesse
dormito dentro, aveva due occhi stanchi, arrossati e cerchiati da
occhiaie ciclopiche. Sembrava passato attraverso un uragano.
“Tom!”
Esclamò David, lasciando immediatamente perdere la cameriera e
correndo verso di lui. “Maledetto imbecille!” Aggiunse,
mentre gli dava una spinta per mandarlo dentro. Johanna li
seguì, chiudendosi con precauzione la porta alle spalle.
“Ma si può sapere che cazzo vuoi?!” Sbottava nel frattempo Tom, liberatosi dal manager.
“Lo hai visto
che ore sono, eh?” Replicò David, mani ai fianchi.
“Tra meno di dieci minuti inizia la conferenza stampa!”
Il ragazzo
spalancò gli occhi, poi cercò con lo sguardo la sveglia
sul comodino, quindi tornò a guardare l’uomo con
espressione confusa. “Scusa, me n’ero
dimenticato…” Mormorò quindi.
“Le scuse non
valgono nulla!” Ribatté David. “Il tuo
comportamento, di recente, si meriterebbe una scarica di calci in culo,
invece di tanti discorsi. Tuo fratello è anche troppo
buono!”
Gli occhi di Tom, al
solo sentir menzionare Bill, si fecero grandi e lucidi. “Che cosa
c’entra lui, adesso?” Domandò con voce tremante.
“Niente.”
Rispose l’uomo, resosi conto di aver esagerato. “Vai a
cambiarti adesso, ti do cinque minuti.” Aggiunse poi, dandogli
una pacca amichevole sulla spalla.
Johanna, nel
frattempo, si era avvicinata al letto sfatto ed aveva preso in mano la
fotografia dei gemelli che Tom aveva lasciato lì. Il ragazzo,
ormai, era entrato in bagno. Lei si rivolse a David.
“Non avevo mai
visto Tom in questo stato.” Affermò la ragazza a bassa
voce. “Hai pensato che magari sta male sul serio?”
David incrociò
le braccia, fissando assorto la porta chiusa del bagno. “Certo
che l’ho pensato…” Dichiarò serio.
Il gruppo si
presentò alla conferenza stampa solo con qualche minuto di
ritardo. Prima di entrare nella sala predisposta, Bill osservò
di sottecchi il fratello, sperando di cogliere uno sguardo di rimando,
ma Tom non alzò mai gli occhi.
Venne, quindi, il
momento di affrontare gli squali. I quattro ragazzi si sedettero dietro
al lungo tavolo coperto da un telo con il logo e il nome della band. I
musicisti salutarono, cercando di sorridere in modo convincente, mentre
David si scusava per il ritardo.
“Adesso…”
Dichiarò poi il manager. “…possiamo iniziare con le
dichiarazioni relative al concerto di domani ed ai nuovi
progetti.”
I ragazzi parlarono,
con il solito entusiasmo, seppur vagamente falso, della loro prossima
esibizione dal vivo, delle sorprese che avevano in serbo per il
pubblico e delle canzoni nuove che avrebbero suonato in anteprima;
quindi passarono a parlare del progetto per il disco in preparazione.
Finite le
dichiarazioni dei Tokio Hotel, i giornalisti già fremevano, ma
prima dovettero assolvere al dovere delle domande relative agli
argomenti trattati.
Mancavano poco
più di dieci minuti al termine del tempo a disposizione, quando
la giornalista di un tabloid si alzò con un sorriso poco
rassicurante.
“A questo punto
possiamo osare qualche domanda un po’ più
personale?” Fece la donna. I ragazzi si scambiarono
un’occhiata veloce, poi Bill annuì.
“Sono vere
alcune voci che circolano a proposito di una crisi del gruppo?”
Domandò la giornalista a bruciapelo.
Tom, che fino ad
allora, si era ben guardato dal calcolare il parterre di scribacchini
che aveva davanti, limitandosi a guardarsi intorno con aria scazzata,
alzò gli occhi di scatto. Bill spalancò la bocca, ma non
disse nulla e cercò di recuperare subito il controllo. Gustav si
trincerò dietro la sua classica espressione impenetrabile. Fu
Georg, con sorpresa di tutti, a rispondere.
“Non
c’è nessuna crisi nella band.” Dichiarò
sicuro, sporgendosi verso il microfono davanti a lui. “Noi
quattro siamo in armonia come sempre.”
“Confermo in
pieno le parole di Georg.” L’appoggiò subito Bill
sorridente, cogliendo la palla al balzo. I due si scambiarono uno
sguardo complice.
“E come
spiegate, allora, la notizia secondo la quale un paio di giorni fa, in
una sala prove, è avvenuto un violento litigio tra i membri
della band?” Riprese la giornalista serafica.
Bill dovette mettere
in atto un complicato meccanismo di autocontrollo per non cedere
all’emozione che stava provando. Somigliava alla paura. Se
qualcuno aveva visto lui e Andreas erano perduti. Incrocio mentalmente
le dita e pregò che non scavassero di più, mentre cercava
le parole per rispondere alla domanda. Un aiuto del tutto insperato gli
venne in soccorso.
Tom si schiarì
la voce, poi si raddrizzò sulla sedia, lasciando la sua
posizione abbandonata contro lo schienale della poltroncina e si sporse
verso il microfono.
“Non
c’è stato nessun violento litigio.” Affermò
serio, poi lanciò un’occhiata al viso preoccupato di suo
fratello. “Solo un piccolo diverbio per questioni di…
divergenze artistiche.” Aggiunse, tornando a guardare la
giornalista.
“Sarà…”
Fece la donna, con tono scettico. “…ma alcuni testimoni
dichiarano di aver sentito grida, parole grosse e sembra che tu, Tom,
te ne sia andato di corsa prima della fine delle prove e che Bill si
sia allontanato in lacrime…”
Lo sguardo allarmato
che passò tra i componenti del gruppo le diede notevole
soddisfazione, ma prima che potesse infierire ulteriormente, Bill
riprese il controllo delle sue azioni, bloccandola prima che aprisse di
nuovo la sua boccaccia.
“Qualunque cosa
sia accaduta in sala prove…” Affermò senza
tentennamenti il cantante. “…è una questione
completamente risolta.” Aggiunse, quindi si voltò verso
Tom. “Completamente.”
I due gemelli si
fissarono negl’occhi per un interminabile istante e Tom
capì cosa voleva dire Bill: gli stava facendo capire che metteva
in atto i suoi propositi, passava su ogni cosa, compresi i discorsi
orrendi di quel maledetto giorno in sala prove. Il chitarrista non
annuì, ne disse nulla, ma il fratello comprese che aveva capito,
quindi tornò a sfidare la giornalista con uno sguardo altezzoso
dei suoi: bello e dignitoso come una sfinge egizia.
“Se la faccenda
è risolta, mi piacerebbe sapere perché Tom ha lasciato la
camera che divideva con Bill.” Insisté però la
donna, confermando di avere delle ottime fonti.
Il cantante stava per
rispondere, ma fu interrotto dal gemello, che si sporse sul suo
microfono, schiacciandosi contro il suo fianco. Bill lo guardò,
stranito per attimo; era tanto che non aveva suo fratello così
vicino, si accorse che gli mancava il suo calore. Ascoltò serio
quello che aveva da dire.
“Questo posso
spiegarlo tranquillamente io.” Esordì il chitarrista,
mettendo su uno dei suoi sorrisi sornioni. “Si tratta di una mera
questione di privacy.”
“Privacy?” Soggiunse dubbiosa la donna.
“Beh,
sì.” Continuò il ragazzo con sguardo malizioso,
sempre appoggiato al fianco di Bill, che si concesse un sorrisetto.
“Come sapete bene, spesso mi capita di non essere solo, la notte
e non mi va di passare per infantile perché divido la camera con
mio fratello…” Alcuni dei presenti risero, al suo tono
divertito.
“E io non voglio
dormire con i tappi nelle orecchie!” Si affrettò a
dichiarare Bill, sporgendosi a sua volta sul microfono. La sua
affermazione strappò altre risate.
“Questa spiegazione non mi convince affatto…” Tentò la donna, con espressione perplessa.
“Non credo che
su questo argomento ci sia nient’altro da aggiungere.”
Intervenne però Tom a muso duro, interrompendola, poi si
allontanò dal microfono come a dimostrare di non voler parlare
oltre.
Bill lo guardò
con gli occhi pieni d’orgoglio e un mezzo sorriso soddisfatto;
avrebbe desiderato abbracciarlo, per il modo in cui aveva reagito a
quell’attacco. Il cantante tornò quindi a fissare i
giornalisti, ma stavolta la sicurezza che mostrava era vera.
“Ho io,
un’ultima cosa da dire.” Dichiarò calmo, attirando
l’attenzione di tutti i presenti. “Vorrei che fosse chiara
una cosa, per tutti voi.” Continuò, quasi glaciale.
“Questo non è un gruppo messo in piedi dai produttori, noi
quattro, prima di essere dei musicisti che collaborano, siamo amici.
Veramente amici.” Concluse con piglio quasi autoritario.
“Ben detto!” Lo appoggiò subito Georg, dandogli una pacca sulle spalle magre.
“Sante parole.” Sentenziò nello stesso momento Gustav, dal suo angolo.
“E questo
è tutto.” Affermò Bill, con ancora il braccio del
bassista sulle spalle, quindi si girò a guardare il fratello.
Tom, espressione severa, annuì.
“Ma ci sarebbero altre domande da…” Tentò qualcuno tra i giornalisti.
“Mi dispiace,
signori.” Intervenne David, prendendo possesso di uno dei
microfoni. “Il tempo che potevamo concedervi è terminato,
adesso potete fare le foto.” E questo mise definitivamente fine
alla conferenza stampa dei Tokio Hotel.
Tornati nella stanza
posteriore, i ragazzi si fermarono, creando una specie di cerchio
involontario intorno a David, il quale li studiò per qualche
secondo. Andreas si avvicinò subito.
“È andata meno peggio del previsto.” Sentenziò il manager.
“Sapevano un
sacco di cose, David.” Commentò preoccupato Bill, mentre
prendeva dalle mani di Andi una tazza di caffè fumante,
ringraziandolo con un cenno.
“Sì, ma
non sapevano quelle che era importante non sapessero.”
Replicò l’uomo, senza far mancare un’occhiata di
rimprovero ai due ragazzi. “Se avessero visto quello che ho visto
io…” Bill e Andreas si scambiarono un’occhiata e il
biondo si lasciò sfuggire in sorrisino divertito.
“Certo.” Intervenne però Georg. “Ma scriveranno un articolaccio lo stesso.”
“È sicuro
che lo faranno.” Affermò David annuendo. “E noi
smentiremo. Siete stati bravi, non sarà difficile.”
Aggiunse sicuro, poi si girò verso il bassista. “Sei stato
grande Georg.”
“Grazie.” Rispose il ragazzo con un gesto del capo.
“Tom.” Chiamò poi il manager, voltandosi verso il chitarrista.
Lui, mani in tasca e cappello calato sugl’occhi, alzò la testa. “Hey.” Fece con un cenno.
“Grande anche
tu.” Gli disse l’uomo con un sorriso sbieco. Tom rispose
con un’altra mossa scazzata della testa, poi gli diede le spalle.
“Bene, adesso andate a pranzo, ma ricordatevi che dopo
c’è la sessione autografi, poi avete il resto del
pomeriggio libero.”
“Come no.”
Commentò Georg, dirigendosi all’uscita. “Sempre che
le ragazze non siano così tante da non farci scollare il culo
dalla sedia fino all’ora di cena…”
“E
ricordatevi…” Gli gridò dietro il manager.
“…di essere gentili, sorridenti e sdolcinati!”
“Tranquillo,
David, saremo come meringhe rosa.” Gli rispose solo Gustav,
ultimo rimasto dentro la stanza, salutandolo con la mano.
Era ormai sera. La
sessione autografi, alla fine, li aveva impegnati fin quasi alle sei
del pomeriggio. Tom era seduto al bar e sorseggiava apparentemente
annoiato una birra. In sottofondo c’era una canzone cupa e
intensa; al momento gli sfuggiva chi la cantasse, ma il testo aveva
catturato la sua attenzione. Sembrava scritta per lui, per il momento
che viveva.
«Non posso scrivere una canzone d’amore come mi sento oggi» (*) - già, lui si sentiva di merda da settimane e non aveva più scritto nulla.
«Non posso cantare una canzone di speranza. Non ho niente da dire» - e poi le parole, di solito, le scriveva Bill. Le cantava lui, con quella sua voce struggente.
«La vita è un po’ strana, da quando sei lontano» - troppo strana senza Bill, le sue risate, i suoi rimproveri, il suo non fermarsi mai, le sue scene da diva…
«Canto questa canzone per te ovunque tu sia» - sentimi Bill, ti prego. «Mentre la mia chitarra mente sanguinando tra le mie braccia…» - che cazzo di testo emo e dire che li odiava…
Posò il
bicchiere sul tavolino, con un sorriso amaramente ironico, quindi
appoggiò i gomiti sulle ginocchia, fissando il vuoto nella
penombra davanti a se. Qualcuno gli mise una mano sulla spalla, mentre
si sedeva accanto a lui sul divanetto di velluto. Tom alzò gli
occhi e vide David, con in mano un cocktail colorato.
“Aperitivo?” Gli domandò l’uomo, indicando con un cenno del capo la birra abbandonata.
“Una specie.” Rispose serafico il chitarrista.
“Oggi sei stato
bravo nella conferenza stampa.” Affermò l’uomo, dopo
aver preso un sorso della sua bibita.
“Me lo hai già detto.” Replicò Tom senza guardarlo.
“Ma, correggimi
se sbaglio...” Continuò David, ignorando la risposta.
“…non mi sembra un bel periodo per te.” Quindi,
aspettando la reazione del giovane, prese e mangiò qualche
nocciolina.
Tom lo guardò
con la coda dell’occhio. David sembrava tranquillissimo e non
c’era motivo per cui il ragazzo non si dovesse fidare di lui.
“Senti, se vuoi
farmi la filippica…” Reagì però, cercando di
evitare una delle paternali infinite stile David Jost, che quando
voleva sapeva essere più peso di Bill e mamma Simone messi
insieme.
“No. “ Rispose però l’uomo, sorprendendolo. “Volevo solo sapere se stai bene.”
Tom alzò veloce
gli occhi su di lui, che si era girato in direzione del ragazzo. Lo
sguardo che David si trovò davanti, però, non se lo
sarebbe aspettato: era triste, spento, lucido, non erano i soliti occhi
pieni di sfida o di malizia.
“Non sto bene,
David.” Ammise infine il chitarrista, dopo un lungo attimo di
silenzio; si era finalmente deciso a confessare a qualcuno il suo
disagio.
Il manager lo
fissò serio, poi gli posò una mano sulla spalla con una
presa decisa. “Dimmi che non c’entra la droga, Tom.”
Gli chiese.
Lui negò
fermamente col capo. “Ammetto che qualche canna l’ho anche
fumata e che una volta una tipa mi ha rifilato un intruglio a suo dire
afrodisiaco, ma che mi ha fatto solo vomitare come un vulcano in
eruzione, però giuro che…”
“Basta, basta,
ho capito!” Si arrese David, interrompendolo e alzando le mani.
“Che succede allora?” Domandò poi.
“Io… io
non lo so…” Balbettò Tom, guardandosi le mani.
“Sono confuso…” Aggiunse, prima di alzare di nuovo
gli occhi in quelli dell’uomo.
“Sai cosa penso
io?” Fece l’altro, passandogli un braccio intorno alle
spalle, Tom negò col capo e sembrava proprio quel bimbo che
ormai non era più da troppo tempo. “Secondo me hai solo
bisogno di fare un po’ di pulizia nel tuo cuore.”
“Pulizia?!” Ribatté perplesso il ragazzo.
“Sì.”
Annuì il manager. “Devi buttare via un po’ di cose
inutili e superflue, togliere la polvere e le ragnatele e ricominciare
da quella cosa ingombrante e luccicosa che ci troverai sotto.”
Tom spalancò gli occhi con espressione molto interrogativa.
“Bill.” Gli disse David, intuendo la domanda.
Tom ridacchiò. “Ingombrante e luccicoso…” Mormorò divertito.
“Che non gli si addice?”
“Eccome!”
Confermò il chitarrista ridendo, poi chinò di nuovo il
capo, ma senza perdere il sorriso. “Credo che tu abbia
ragione.”
“Certo che ce
l’ho!” Esclamò David, mentre gli dava una pacca
sulla spalla. “E poi…” Continuò con tono
più complice. “…se questo non bastasse, vieni da
me, conosco un paio di persone che ci sanno fare nel campo.”
“Mi vuoi mandare dallo strizzacervelli?!” Chiese offeso Tom.
“Tu e Bill
avreste dovuto andarci anni fa, mi sarei risparmiato un sacco di
fatica!” Replicò l’uomo ridendo; anche l’altro
lo fece.
“Grazie David, sei un amico.” Affermò quindi il ragazzo, riconoscente.
“Hey, non
t’allargare!” Sbottò subito l’uomo,
allontanandosi un po’ da lui. “Tu sei fondamentale per il
gruppo, devo preservarvi, sennò come cazzo lo pago il mutuo
della villa?”
“Dannata sanguisuga!” L’insultò Tom alzandosi con un sorriso.
“E adesso dove vai?” Gli domandò l’uomo che ancora rideva.
“A buttare via
un po’ di spazzatura.” Rispose serio il chitarrista, poi
portò la mano alla tesa del cappello salutando, lui rispose con
un’alzata del bicchiere a mo’ di brindisi.
Il ragazzo
bussò con energia alla porta. Era di legno chiaro, come tutte
quelle del grande albergo dove soggiornavano, anche se qui non si era
al piano delle suite.
Paula venne ad aprire
con addosso un paio di jeans talmente bassi che sarebbe stato
impossibile portarci sotto un qualsiasi paio di mutande ed una
canottiera finissima da cui trasparivano chiaramente i suoi capezzoli
scuri. Capelli sciolti, labbra turgide e atteggiamento sempre pronto.
Appena lo vide fece un’espressione stupita, poi sorrise
compiaciuta.
“Sapevo che saresti tornato.” Gli disse soddisfatta.
“Non cantare
vittoria.” La gelò subito Tom, senza accennare a voler
entrare. “Sono solo venuto a dirti che è finita.”
“Finita?” Fece lei scettica, alzando un sopracciglio.
“Sì.” Ribadì lui, privo di tentennamenti.
“Bambino,
scusami se dubito che tu sia capace di finirla con me…”
Ironizzò la ragazza, incrociando le braccia e mettendo
così in evidenza il suo seno prosperoso.
“Beh, mia cara,
i tuoi dubbi puoi anche ficcarteli da qualche parte, perché
quando decido una cosa io non torno indietro.” Replicò
calmo Tom. “Non voglio più avere nulla a che fare con te,
non voglio più vederti, o parlarti, o sentire la tua voce, non
voglio che mi tocchi, che mi vieni vicino, anzi, accetta un consiglio
spassionato: cambia lavoro.”
Paula spalancò
la bocca, indignata, poi trasformò l’espressione in un
sorrisetto sbieco e maligno. “Ma senti senti il bamboccio! Ha
anche delle pretese!” Sbottò acida. “Non saranno
richieste un po’ troppo esigenti, da parte di uno che fino a ieri
mi scopava alla prima occasione e godendoci anche parecchio?” Gli
chiese quindi.
“Non
m’importa un accidente di quello che pensi. Io non ti voglio
più vedere, mi dai fastidio, non ti voglio intorno. Vedi un
po’ tu qual è la soluzione migliore.” Affermò
il ragazzo deciso.
“Ah!”
Esclamò lei con alzata della fronte. “Ma non ti davo tanto
fastidio, quando ti succhiavo l’uccello nel gabinetto del tour
bus!”
“Era solo
sesso.” Ribatté lui glaciale. “Non mi sei mai
interessata per nient’altro che quello ed ora che è finita
anche l’attrazione, preferisco che tu sparisca.” Aggiunse
impassibile. “Ti lascio libera di scegliere di andartene, ma se
preferisci parlerò con David…”
“E che cosa
credi che possa fare il tuo David? È stato Werner a mettermi
qui!” Intervenne lei rabbiosa, stava decisamente perdendo la
pazienza.
Tom si lasciò
andare ad uno dei suoi sorrisetti sarcastici. “Vedremo quanto
gradirà il tuo Herr Velbaum di sapere che mi facevi pompini
dietro le quinte…” Minacciò poi.
“Sei un bastardo
Tom.” Affermò lei, abbassando i pugni che aveva alzato
nella concitazione. “Sei un piccolo bastardo presuntuoso e
arrogante.”
“Se questo serve
a liberarmi di te, allora sì, lo sono.” Affermò
duro il ragazzo. “Buonanotte.” Le augurò atono,
prima di darle le spalle e allontanarsi nel corridoio.
“Tornerai
strisciando, Tom Kaulitz! Non la troverai un’altra come
me!” Gli gridò dietro la donna, inviperita. Non sopportava
che lui la liquidasse in quel modo.
Tom si voltò
verso di lei e la fissò con uno sguardo freddo e tagliente come
un iceberg. “Tu non lo hai capito chi sono io.” Le disse
secco. “C’è una sola persona per cui sarei disposto
a strisciare e decisamente non sei te.” Quindi riprese a
camminare, ignorando l’urlo soffocato di Paula.
Bill e Andreas erano
fermi davanti alla porta della camera del cantante. Si guardavano negli
occhi in silenzio. Sapevano che dovevano salutarsi, un altro sgarro
come quello della sera prima non sarebbe stato tollerato. Ma erano
lì, immobili che si fissavano, entrambi incapaci di fare il
primo passo. Avrebbero solo desiderato abbracciarsi e restare
così tutta la notte, anche senza fare l’amore.
“Allora, a domani…” Mormorò infine Bill, abbassando lo sguardo.
“Sì, a
domani…” Replicò mesto Andreas, mascherandosi con
un sorriso finto; poi fece per allontanarsi, ma Bill gli afferrò
la mano impedendogli di andare via.
David li vide
così, cristallizzati in quella posa, quando girò
l’angolo per raggiungere la sua stanza. Si fermò
osservandoli, per vedere come sarebbe andata a finire, ma i due ragazzi
non si mossero, continuando a guardarsi con aria triste. L’uomo
si sentì vagamente in colpa. In fondo Bill e Andi erano stati
attenti, la loro storia non era venuta fuori. E sembrava proprio una
cosa seria, si volevano bene davvero. Forse, si meritavano un po’
più di fiducia.
“Ragazzi.” Fece, con un cenno di saluto.
Loro si voltarono di
scatto e Bill mollò velocemente la mano di Andreas. Entrambi
fissarono il manager, leggermente allarmati. David sorrise
avvicinandosi.
“Ci stavamo solo salutando, David.” Si affrettò a dire il cantante.
“Sì, stavo andando in camera mia.” Rincarò Andreas passandosi una mano tra i capelli.
L’uomo si
fermò davanti a loro, mani in tasca e li studiò ancora
per un attimo, poi sorrise sereno. “Tranquilli.” Gli disse.
“Non volevo rimproverarvi.”
I due ragazzi si guardarono increduli e sospettosi, quindi tornarono a rivolgersi al manager con espressione interrogativa.
“Riflettevo su
una cosa.” Affermò David, grattandosi la nuca.
“Questa è, a tutti gli effetti, l’ultima notte che
passiamo qui, perché domani c’è il concerto e, tra
after show e tutto, non avremo molto tempo visto che partiamo presto la
mattina dopo…”
“Che vuoi dire?” L’interrogò Bill, intuendo che l’altro stava girando intorno a qualcosa.
“So che voi due
non potrete rivedervi presto, poi.” Tentò di spiegare
l’uomo. “Tu torni in Germania, vero Andreas?”
Domandò poi.
“Sì.” Rispose il ragazzo biondo.
“E noi dobbiamo
finire il tour qui in Francia e poi spostarci in Italia, prima di un
mese non torneremo in patria.” Dichiarò il manager.
“Grazie
David.” Intervenne Bill sconsolato. “Ora che me l’hai
ricordato mi sento proprio meglio…”
“Scusa, ma
vedi…” Riprese David, con un sorrisino.
“…sono qui per rimediare almeno un
po’…” Bill e Andi si guardarono di nuovo, stupiti.
“Credo di essere stato un po’ troppo rigido con voi.”
“Che vuol dire, scusa?” Domandò il cantante perplesso.
“Che forse
dovreste stare insieme, stanotte.” Rispose David con un lieve
imbarazzo. Un altro sguardo incredulo passò tra i due ragazzi.
“Ci prendi in giro?” Fece Andreas, tornando a guardarlo.
“No.”
Disse l’uomo, negando col capo; stavolta Bill sorrise
apertamente, guardando di nuovo Andi. “Vi lascio liberi,
solo… non fate casino e, per sicurezza, disfate anche
l’altro letto, così se passa qualcosa, lui ha dormito
nell’altra camera.” Concluse, facendogli l’occhiolino.
Bill e Andreas
sorrisero all’unisono, troppo contenti per dire qualsiasi cosa,
mentre si scambiavano occhiate felici e incredule.
“Allora, buonanotte.” Li salutò l’uomo, quando loro stavano ancora cercando le parole.
Bill si girò
verso di lui, con un sorriso pieno di gratitudine. “Grazie David,
faremo i bravi.” Il manager annuì, salutandoli con la
mano, mentre raggiungeva la sua camera.
Quando David fu
sparito dietro la sua porta, gli occhi di Bill si piantarono in quelli
di Andreas, l’espressione già maliziosa. Il cantante
sollevò il suo famoso sopracciglio piercingato, mentre scorreva
la tessera magnetica per aprire la porta, poi afferrò la mano di
Andi e lo tirò dentro.
Si ritrovarono
nell’ingresso della stanza. Bill appoggiato alla porta già
chiusa e Andreas davanti a lui. Si scrutarono per un lungo istante.
“Abbiamo tutta la notte.” Affermò Andi, quasi incredulo.
“A quanto pare…” Replicò Bill con un’espressione fin troppo provocante.
“Che facciamo?” Chiese allora il ragazzo biondo.
Domanda retorica, per
Bill, che sorrise come un gatto pronto ad afferrare il pesciolino.
“Beh, David ha detto di disfare anche l’altro
letto…”
“Cominciamo da lì?” Suggerì Andreas.
Il ragazzo non ebbe
una risposta, perché Bill, senza dire una parola, gli
arrivò addosso e lo baciò intensamente. Andi
abbassò le mani e le strinse sulle natiche di Bill, come non
aveva mai fatto e il cantante sorrise compiaciuto, prima di mordergli
il collo. Così avvinghiati raggiunsero la camera.
Era notte fonda,
quando Andreas si svegliò di soprassalto chiamato da Bill, che
lo scuoteva anche per le spalle. Il ragazzo si stropicciò gli
occhi confuso.
“Che c’è?” Domandò biascicando per il sonno.
“La senti?” Fece Bill stringendogli le braccia, sollevato su di lui.
“Cosa?” Replicò Andi; lui non sentiva niente, se non il respiro del compagno.
“La musica!” Esclamò però il cantante, indicandogli la finestra da cui filtrava la luce della luna.
“Quale musica?”
Bill roteò gli
occhi esasperato. “Quella che viene da fuori.”
Affermò poi, continuando ad indicare la finestra.
“È una chitarra, potrebbe essere Tom!”
“Bill,
io… non sento… niente…” Fu costretto ad
ammettere l’altro, rilasciandosi contro i cuscini.
“Non è possibile!” Proclamò Bill, mentre usciva dal letto.
“Ma dove vai?!
Sei nudo!” Gli ricordò il biondo. Il cantante
sbuffò e acchiappò un lembo di trapunta portandoselo
dietro.
Si diresse alla porta
finestra che conduceva sul balcone, avvolto malamente nella coperta,
mentre Andreas, rimasto col solo lenzuolo addosso, rabbrividiva. Bill
aprì l’anta e mise la testa fuori, cercando di captare un
qualsiasi suono che somigliasse a quello di una chitarra. Gli
sembrò si sentire un paio di accordi piuttosto dolci, ma poi non
arrivò più niente.
“Dai Bill, vieni a letto.” Lo supplicò Andreas. “Fa freddo…”
“Eppure…”
Mormorò Bill, ora voltato verso l’interno con la trapunta
messa addosso stile tunica greca. “…sono sicuro di aver
sentito qualcosa…”
“Bill,
ascolta.” Disse Andi, ormai seduto sul letto. “Puoi parlare
domani con Tom, se veramente stava suonando te lo
dirà…”
“Tu credi?” Chiese l’altro, sollevando finalmente gli occhi su di lui; Andreas annuì.
“Torna a letto, adesso, su.”
Bill fece una smorfia
un po’ scettica, poi si tolse la coperta dalle spalle e la rimise
sopra le lenzuola, con grande gioia dell’altro ragazzo, quindi si
strinse nelle spalle e si rimise a letto, accoccolandosi accanto ad
Andreas, che lo strinse a se. Ma quella musica continuò a
tormentarlo tutta la notte. Sperava con tutto il cuore che fosse la
prova della rinata ispirazione di Tom.
La mattina successiva
trascorse abbastanza tranquilla e subito dopo pranzo i ragazzi salirono
sul pullman diretti al luogo del concerto. Vi arrivarono verso le tre
del pomeriggio e già c’erano moltissime ragazze in fila
davanti ai cancelli.
Tom era parso a tutti
particolarmente di buon umore, a paragone del recente passato. Bill,
vedendolo così, non poté fare altro che gioirne,
speranzoso di nuovi sviluppi. Il chitarrista salutò perfino con
fervore le fans urlanti, quando scese dal bus.
Georg e Gustav, che lo
seguivano, si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre lui
improvvisava un mini show davanti alla pesante rete metallica che li
separava dal serpentone in attesa.
“Ma che succede oggi?” Fece Gustav allarmato. “Sembra il vecchio Tom…”
“Già…” Replicò incredulo il bassista.
Entrambi, poi,
sentirono una presenza incombente alle loro spalle e si girarono piano,
alzando un poco la testa. Sul gradino precedente c’era Bill che
osservava il fratello con uno dei suoi sorrisi migliori: a tutti i
denti e scuotendo allegramente la testa.
I due ragazzi, ormai
certi della follia dilagante in casa Kaulitz, si strinsero nelle spalle
rassegnati, scendendo l’ultimo gradino e dirigendosi nel
palazzetto.
Il sound check
iniziò puntuale alle sedici. L’arena era grande, ma appena
ebbe messo piede sul palco, Bill manifestò di avere le idee
chiare su luci e riflettori, quindi le prove dell’illuminazione
furono abbastanza veloci. Fu poi la volta del suono e dei microfoni, la
solita routine un po’ uggiosa dell’accordatura degli
strumenti e, infine, l’aggiustamento della scaletta.
Iniziarono quindi le
prove delle canzoni, che andarono avanti per un paio d’ore buone.
Durante tutto questo tempo ai presenti non sfuggirono gli sguardi che
Tom e Bill si scambiavano, uno all’insaputa dell’altro,
come se avessero reciprocamente qualcosa da dirsi.
Bill avrebbe voluto
chiedere al gemello se era veramente lui a suonare, la notte prima,
oppure se se l’era sognato. Sapeva solo che quelle note ce le
aveva ancora in testa.
Tom, invece, aveva ben
chiaro in mente quel che doveva fare. Aspettava solo il momento giusto.
E, nel frattempo, studiava Bill per capire o solo intuire i suoi
pensieri, come succedeva una volta.
Alla fine delle prove,
però, il cantante, dopo aver ricevuto i complimenti di tutti ed
aver ricambiato con incoraggiamenti per i compagni, si girò
verso il fratello. Tom stava ancora sistemando le corde della chitarra,
a testa bassa, leggermente voltato di lato.
“Tom…” Lo chiamò Bill.
Lui alzò il
capo, sorpreso dall’essere stato chiamato proprio da lui.
“Dimmi…” Replicò poi, un po’ confuso,
stringendo le mani sullo strumento.
“Ecco, io…” Riprese il gemello, titubante.
“Che cosa
c’è?” Lo spronò Tom aggrottando la fronte; il
cuore gli batteva a mille, forse questo era il contatto che aspettava.
“No,
niente.” Rispose però Bill, prima di abbassare gli occhi.
“Volevo solo dirti che sei stato grande nelle
prove…” Affermò poi, rinunciando a chiedergli della
musica notturna.
“Ah, grazie…” Fece l’altro un po’ deluso. “Anche tu.”
“Grazie.”
Bill, quindi, un
po’ scontento di se stesso, prese il suo microfono
dall’asta, diede le spalle al fratello e si diresse dietro le
quinte. Tom, ormai solo, rimase immobile, con la chitarra tra le
braccia e chinò il capo, respirando profondamente. Doveva farlo,
era pronto ora.
Il ragazzo si
guardò nel grande specchio illuminato, trovandosi estraneo
perfino a se stesso, mentre le persone intorno a lui sembravano
muoversi solo nel riflesso e non nello spazio reale. Era una sensazione
stranissima. Eppure la sua immagine era sempre la stessa, quasi
immutabile.
I capelli puntavano al
soffitto come se il suo corpo fosse stato percorso da una scarica ad
alto voltaggio. Il viso liscio, bianco e fin troppo perfetto. Gli occhi
limpidi e un po’ tristi, resi ancora più profondi da quel
pesante trucco nero. Le labbra, appena rosate, atteggiate in una piega
drammatica. Ma sono io questo? si domandò Bill, alzando interrogativo un sopracciglio, poi chinò il capo.
Quando il via vai di
persone fu scemato e anche l’ultimo truccatore, o parrucchiere,
se ne fu andato, il cantante rialzò gli occhi sullo specchio. Lo
vide subito, lo guardava attraverso il riflesso. Era vicino alla porta,
appoggiato contro il muro. Bill si girò lentamente, insieme alla
poltrona; aveva un’espressione sorpresa.
“Tomi…” Mormorò, artigliando i braccioli della sedia.
Il suo gemello si
staccò dal muro, ficcando le mani in tasca e distogliendo lo
sguardo. “Ce li hai due minuti per me?” Gli chiese poi.
“Certo.” Rispose Bill alzandosi.
Tom fece qualche passo
alla sua sinistra, tolse le mani di tasca e si aggiusto il cappello.
Sembrava molto indeciso, quasi preoccupato.
“Ieri…
ieri sera ho scaricato Paula.” Esordì infine, continuando
però a non guardare il fratello.
“Oh…” Fu tutto ciò che riuscì a dire Bill, troppo sorpreso.
“Ti domanderai
perché sono qui.” Fece poi Tom, alzando finalmente gli
occhi. Bill annuì. “Ecco io… io… la
verità è che…” Balbettava, ma si mise
davanti al fratello. “Sono venuto a chiederti scusa.”
Dichiarò alla fine, puntando gli occhi in quelli
dell’altro.
Bill spalancò
la bocca ed i suoi occhi si fecero lucidi, quindi prese un lungo
respiro e fece per dire qualcosa, ma Tom lo bloccò alzando una
mano.
“Ti prego, non
dire nulla.” Gli disse. “Io… non sono come te, lo
sai, non sono buono a parlare, non so fare i discorsi seri,
quindi… non m’interrompere, per favore.” Lo
supplicò, continuando a fissarlo. Il fratello ubbidì.
“Ho fatto un sacco di casini negli ultimi tempi e non… non
so perché…” Continuò impacciato, movendo le
mani in quel modo così suo che faceva sciogliere di tenerezza il
cuore di Bill. “…e mi devi perdonare, perché sono
stato cattivo con te e con Andreas e gli altri, con tutti,
ma…”
A Bill questo bastava.
Gli aveva già perdonato ogni cosa. Ora voleva solo abbracciarlo.
Allungò una mano, per afferrare Tom e stringerlo a se, ma il
fratello si sottrasse.
“Ho sbagliato
tutto.” Affermò il chitarrista, continuando il discorso.
“Mi sono allontanato da te, credendo che mi avrebbe fatto bene,
ma sono solo stato peggio. Avevi ragione, sarei dovuto venire da te e
dirti che… che sto male, Bill.”
Il cantante
corrugò la fronte, dispiaciuto che il gemello soffrisse, ma
anche in un certo senso contento che alla fine lo avesse ammesso. Era
il primo passo per uscirne.
“Non so cosa
sia, questa cosa che ho.” Dichiarò Tom. “So soltanto
che sono insoddisfatto, niente riesce ad aiutarmi e tu, invece,
continuavi come sempre, sembravi così felice che… che
quasi t’invidiavo. Poi è arrivato Andreas, voi siete
innamorati ed io… lo so, sono uno stupido, ma ho pensato che vi
avrei persi entrambi!”
“Oh, Tomi…” Commentò Bill rammaricato. “…non dovevi.”
“Lo so.”
Ammise lui. “Adesso l’ho capito, tu me lo hai fatto capire.
È per questo che ora io ti chiedo perdono, per ogni cosa. E
anche ad Andi…” Tom alzò di nuovo gli occhi in
quelli del fratello. “Non devi rispondermi subito, so che
l’ho fatta grossa, pensaci, ok?”
“Tom…” Fece Bill, cercando di parlare e dire che non aveva bisogno di pensarci.
“No, dai.”
Lo bloccò l’altro. “Volevo solo che sapessi che sono
pentito, hai tutto il tempo che vuoi. Puoi anche non perdonarmi,
l’importante è che te ne abbia parlato.”
“Tomi…” Tentò ancora Bill, ma Tom era già sulla porta.
“Adesso vado,
manca poco ormai…” Riprese però il chitarrista,
uscendo nel corridoio. “Ci vediamo sul palco.” Aggiunse
allontanandosi.
“Tom,
aspetta…” Bill si slanciò per fermarlo, ma il
fratello era già sparito in un’altra stanza; il ragazzo si
fermò sulla soglia del camerino, con le braccia lungo i fianchi,
ancora incredulo.
Bill attraversò
la penombra del backstage, dopo aver individuato gli altri membri della
band che parlavano con David proprio dietro l’entrata del palco.
“Ah, Bill! Finalmente!” Esclamò il manager, quando lo vide. Lui rispose annuendo.
“Siete pronti,
ragazzi?” Domandò poi il cantante, mentre si fermava
accanto a loro e posava una mano sulla spalla di Georg. Tutti risposero
sì.
Bill quindi
scambiò un lungo sguardo con Tom, poi annuì e il fratello
fece altrettanto. Un segno d’accordo che mancava da un po’
e che fece piacere ad entrambi. Il cantante, infine, si rivolse a David
con espressione determinata.
“Vado sul palco con loro.” Dichiarò deciso.
“Come?!” Fece l’uomo stupito.
“Saliamo sul palco tutti insieme.” Precisò Bill. “Oggi mi va così.”
“Ma Bill, di solito…” Intervenne Gustav perplesso.
“Già.” Rincarò Georg, scrutandolo sospettoso.
“Oggi non
è di solito.” Precisò il cantante quasi solenne,
poi lanciò un’occhiata a Tom, che lo fissava con la fronte
aggrottata. Bill tornò quindi a guardare David. “Ci pensi
tu ad avvertire quelli delle luci?” Gli chiese.
“Sì,
ma…” Rispose l’uomo, che aveva intuito qualcosa in
quella strana richiesta. “…che cosa hai in mente?”
Gli domandò, infatti.
“Non ti
preoccupare.” Lo rassicurò Bill e all’uomo
bastò guardarlo un attimo negl’occhi, per sapere che non
avrebbe combinato guai.
“Ok, ci penso
io.” Annuì allora David. “Voi adesso andate,
è tardi.” L’incitò quindi, spingendoli verso
l’entrata del palco. Lui e Bill si scambiarono un cenno
d’intesa.
Un oceano di persone
che si condensa in un grido solo, quando le luci rischiarano il palco.
Un brivido lunghissimo, quasi un tremito, che ti percorre dalla punta
dei piedi fino a quella dei capelli. Una sensazione particolarissima,
quasi un’ondata di adrenalina che ti fa barcollare e ti fa capire
che sì, sei vivo davvero. E la senti, è viva anche lei,
la vibrazione che il pubblico ti trasmette. Ora sei pronto per
cominciare.
Ma Bill quella sera
aveva qualcosa da fare, prima di regalare l’anima ai suoi fans.
C’era un pezzettino di quell’anima che era stato staccato
ed aspettava di tornare nel suo caldo posticino, nel punto più
prezioso e sicuro del suo cuore.
Gustav, ignorando quel
che passava per la testa dell’amico, cominciò a battere le
sue bacchette per dare il tempo, ma quando Tom suonò le prime
note e Georg stava per unirsi, creando infine la melodia, il cantante
alzò una mano bloccandoli tutti e tre.
Sguardi terribilmente
allarmati saettarono tra i membri della band, mentre lo staff, dietro
le quinte, si animava come un formicaio calpestato, tra i vari
«Oddio!», «Che cazzo succede?» e «E
ora?!».
Bill, però,
afferrò il microfono con l’aria serafica di un maestro
yoga e parlò tranquillo alla folla ammutolita, mentre Georg e
Gustav erano diventati due statue di sale cui si muovevano solo gli
occhi. Tom era di pietra e fissava il fratello senza muovere un
muscolo, stringendo la chitarra tanto forte da frantumarla.
“Mi dispiace
ritardare l’inizio del concerto.” Esordì nel
frattempo Bill, parlando al pubblico. “Ma devo assolutamente fare
una cosa, non posso aspettare e spero che capirete.”
Detto questo
sistemò il microfono sull’asta e si girò verso
Georg, che aveva un’espressione a dir poco sconvolta. Il bassista
gli chiese cosa stava facendo, solo muovendo le labbra. Lui gli rispose
di stare tranquillo, poi gli diede le spalle e si diresse verso Tom.
Il chitarrista
cominciò a guardarsi intorno quasi spaventato, cercando appiglio
da qualche parte, ma intorno a lui c’era solo una fossa di
ragazzine con gli occhi spalancati e più sconvolte di lui e un
ammasso di strumenti in cui avrebbe solo potuto inciampare scappando. E
scappare perché, poi?
Alzò allora gli
occhi in quelli del gemello, che non aveva mai visto così
intensi da tanto, tanto, tempo. Il suo bellissimo, adorato,
meraviglioso fratello. E Tom non poté fare a meno di sentire
qualcosa di liquido scendergli nel cuore, quando Bill gli sorrise con
tutta la dolcezza di cui era capace, fermandosi ad un passo da lui e
piegandosi verso il suo orecchio. Quindi sussurrò una frase.
“Non devo
pensarci.” Mormorò Bill, perché solo Tom lo
sentisse. “Ti ho già perdonato tutto.” Aggiunse con
gli occhi lucidi. “Ti voglio bene, fratellino.”
E concluse la frase
dandogli un lento e tenero bacio sulla guancia, che fece singhiozzare
palesemente Tom… e venire giù il teatro.
L’applauso fu
lunghissimo e le urla devastanti, mentre Bill si allontanava da Tom e
quest’ultimo si asciugava furtivamente una lacrima, mormorando
«Cazzo!».
Bill, raggiunta
nuovamente la sua postazione davanti al microfono, lo prese, dopo
essersi a sua volta asciugato le lacrime, e disse: “Ne è
valsa la pena, vero?” Gli rispose un assurdo grido di
approvazione. “E adesso è ora di cominciare!!!!”
Aggiunse, alzando poi il braccio in aria, come era solito fare per
incitare il pubblico. E la musica prese il via.
Durante lo spettacolo
ci fu almeno un altro momento che mise a dura prova tutte le fan e in
particolare quelle dal cuore tenero: quando i gemelli suonarono
«In die nacht».
Bill la
interpretò con un’intensità se possibile più
profonda del solito e Tom suonò con passione e impegno. E non
smisero di guardarsi negl’occhi per un solo istante della
canzone, abbracciandosi brevemente alla fine. Tom invitò le fans
a godere del gesto in quel momento, perché non li avrebbero
visti farlo tanto spesso. Bill sorrise della storica ritrosia del
fratello.
Quando il concerto
finì, i quattro musicisti salutarono il pubblico tutti insieme,
tenendosi reciprocamente per le spalle, come se la pace finalmente
ritrovata tra i gemelli avesse rinsaldato il legame tra tutti loro.
David e Andreas li osservavano soddisfatti da dietro le quinte.
Bill e Tom rientrarono
nel backstage per ultimi e, mentre gli altri prendevano da bere, o gli
asciugamani e ricevevano i complimenti dello staff, si guardarono
negl’occhi. Fu un lungo sguardo pieno di significati e, quando
gli occhi divennero lucidi, si abbracciarono con tutta la forza che
avevano.
Era un abbraccio
caldo, familiare come nient’altro può essere,
perché è qualcosa che esiste da sempre, da ancora prima
di nascere. Qualcosa che era mancato disperatamente ad entrambi.
Quella notte i gemelli
la passarono a parlare, a tirare fuori ciò che non si erano
detti in settimane di silenzi, tutti i dubbi, le paure, le incertezze,
le piccole gioie e le soddisfazioni. Un dialogo totalmente aperto, non
privo di risate, lacrime, tensioni, richieste d’aiuto. Aprirono
all’altro il proprio cuore come non succedeva probabilmente da
anni e questo li riavvicinò molto più di quanto avevano
fatto le scuse. Alla fine si addormentarono uno davanti
all’altro, le fronti che si sfioravano ed il pollice di Tom nella
mano di Bill, come quando erano bambini.
Era una mattina
limpida e la stanza era illuminata chiaramente in ogni angolo,
elegante, linda e un po’ anonima, come tutte la camere
d’albergo. Bill era appoggiato con i fianchi al piano della
specchiera ed osservava i raggi del sole disegnare ombre sulla
moquette. Sorrideva tranquillo.
“Hey.”
Fece Andreas affacciandosi alla porta che dava su un altrettanto
illuminato soggiorno. Bill si girò e gli sorrise con calore.
“Che fai?” Gli domandò l’altro.
“Pensavo.”
Rispose lui; Andi si avvicinò con espressione interrogativa.
“Riflettevo sul fatto che, nonostante tutto, avrò dei bei
ricordi di questa stanza.” Gli spiegò quindi Bill.
“Beh, anche io.” Confermò il ragazzo biondo, condividendo quella convinzione.
Bill sollevò
una mano gli carezzò il viso con dolcezza, mentre Andreas lo
guardava negl’occhi, un po’ triste perché partiva,
un po’ allegro perché i suoi migliori amici avevano fatto
pace. E, come sempre, uno si perse nello sguardo dell’altro.
“Hanno
già portato giù le tue valige.” Affermò
però Andi, rompendo l’atmosfera. “E se vuoi che a
David non parta un embolo, dovresti scendere anche tu.”
Bill rise
allegramente, poi si scostò dal mobile, mettendosi davanti
all’altro ragazzo. “Prima dammi un bacio.” Gli
ordinò. “Fuori non potrò farlo e voglio salutarti
come si deve.” Aggiunse, passandogli le braccia intorno al collo.
Andi sorrise e lo accontentò.
Fu un urlo roco e
inorridito a farli scostare uno dall’altro. Si voltarono verso la
porta, dove c’era Tom che si riparava il viso con le braccia,
come un vampiro davanti ad un crocefisso.
“Per
l’amor del cielo, non fatelo più davanti a me!”
Proclamò disgustato il chitarrista, dando velocemente le spalle
alla scena.
“Ma Tomi, ti dovrai abituare!” Protestò piccato Bill.
“Io non voglio
abituarmi a un bel cavolo di niente!” Sentenziò il gemello
allontanandosi. “L’unica cosa positiva di questa storia
è che ora c’è più fica per me!”
Bill e Andi si guardarono un attimo negl’occhi, poi scoppiarono a ridere.
“Il mio Tom.” Dichiarò poi orgoglioso il cantante, ancora con le lacrime agli occhi.
“Già, il tuo Tom.” Confermò allegro l’altro.
Bill, quindi,
afferrò la sua amatissima borsa da sopra il letto, poi prese per
mano Andreas e insieme lasciarono quella suite che, nel bene e nel
male, in quei pochi giorni ne aveva viste di tutti i colori.
Il tour bus li stava
aspettando nel piazzale davanti all’hotel. Gustav, David e Georg
erano già lì e loro li raggiunsero in pochi minuti. Bill
e Andi, naturalmente, si erano lasciato la mano prima di scendere
dall’ascensore.
Davanti alle porte
aperte del pullman i ragazzi si salutarono per l’ultima volta,
dopo aver incassato le ennesime raccomandazioni del manager. I due
innamorati si abbracciarono brevemente ed in modo amichevole, poi si
guardarono negl’occhi.
“Riguardati.” Disse Bill ad Andreas, che subito sorrise divertito.
“Dovrei dirlo io
a te.” Replicò poi, aggiustandogli una ciocca di capelli
sulla spalla. Si guardarono negl’occhi, cercando di esprimere
quello che era difficile dire a voce, poi non ci fu più tempo:
David, dall’interno del bus chiamò Bill.
“Ti chiamo quando arriviamo.” Garantì il cantante all’altro ragazzo.
“Ok…” Rispose Andreas con un sorriso triste. “Ciao.” Lo salutò poi.
“Ciao…” Rispose Bill, salendo le scalette, senza voltarsi perché aveva le lacrime agl’occhi.
Tom si fermò
davanti ad Andreas, mentre lui seguiva ancora con lo sguardo la fuga di
Bill; quando il ragazzo biondo se ne accorse, lo guardò e gli
sorrise.
“Temo che, per salvare le apparenze, sarai costretto ad abbracciare anche me.” Affermò il chitarrista.
“Credi che ti abbracci solo per le apparenze?” Gli chiese l’amico.
“Spero di
no.” Rispose Tom, prima di stringere a se Andi. “Scusami
ancora.” Gli sussurrò poi all’orecchio.
“Basta scuse adesso, ho già dimenticato tutto.” Replicò l’altro, allontanandolo da se.
“Ok.” Annuì Tom. “Fatti sentire, va bene?” Aggiunse serio.
“Contaci.”
Gli garantì Andreas, prima di dargli una pacca sulla spalla.
“Ah… tienimelo d’occhio, ok?” Aggiunse,
riferendosi a Bill.
“Tranquillo.” Gl’assicurò l’altro, che era già sul primo gradino del pullman.
Il mezzo partì
appena furono tutti a bordo. Andreas rimase nel piazzale, sapeva che
mancava qualcosa. Infatti, come il bus si fu allontanato di qualche
metro, al grande finestrino posteriore apparve Bill, che lo salutava
sbracciandosi.
Andi sorrise, era
sempre il solito romanticone il suo Scoiattolo. Lo salutò con la
mano e poi gli fece il gesto del «ti amo» con le dita e
Bill rispose alla stessa maniera; quindi non gli restò che
guardarsi, mentre diventavano sempre più piccoli con la
lontananza. Un mesto sorriso si dipinse sul viso del giovane, quando
mise le mani in tasca e tornò verso l’hotel.
Erano in viaggio da
circa un’ora, quando Bill raggiunse Tom nel salottino del piano
superiore del bus. L’autostrada correva davanti a loro,
silenziosa. Il cantante si sedette accanto al fratello, posando il capo
sulla sua spalla. Tom lo accolse spostando appena il mento e
accomodandosi meglio sul divanetto di pelle.
“Tomi?” Mormorò Bill, rannicchiato contro il fianco del gemello.
“Eh?” Fece Tom, abbassando appena gli occhi.
“C’è
una cosa che non ti ho chiesto, ieri sera.” Riprese il cantante.
Tom si spostò, l’attenzione risvegliata, e guardò
il fratello.
“Cosa?” L’interrogò poi.
Bill guardò
oltre l’ampio finestrino. Il cielo era azzurro, oltre il guard
rail dell’autostrada c’erano campi coltivati. Si stava
bene. Si stava come a casa vicino a Tom.
“L’altra
notte mi sono svegliato e mi è sembrato di sentire una
musica.” Raccontò Bill, mentre il fratello lo ascoltava
attento. “Ho aperto anche la finestra, ma è
finita…” Il ragazzo si scostò dal gemello e lo
guardò negl’occhi. “Eri… per caso, eri tu
che…”
Tom sorrise,
allungò un braccio e prese Bill per le spalle, tirandolo di
nuovo nella posizione di prima, contro il suo fianco, poi gli
carezzò i capelli.
“Ti è
piaciuta la canzone nuova?” Gli domandò poi, con dolcezza,
rispondendo implicitamente alla domanda del fratello.
Bill alzò gli
occhi, guardandolo da sotto, sorridendo felice. “È
bellissima, Tomi.” Proclamò poi, mentre si stringeva di
nuovo a lui. “Dopo, me la fai ascoltare tutta?”
“Quando vuoi, fratellino.” Rispose Tom con un sorriso tenero. “Quando vuoi…”
In quel momento
arrivarono Gustav e Georg, che sorrisero soddisfatti davanti ai gemelli
riuniti, poi sedettero davanti a loro, dall’altro lato del
tavolo. Non si misero a parlare, né a mangiare le patatine che i
due avevano portato. C’era un silenzio confortevole nel
salottino. Solo il rumore soffice del motore del bus turbava la
tranquillità. Bill e Gustav furono i primi ad addormentarsi. Tom
e Georg si scambiarono un sorriso complice, poi chiusero gli occhi a
loro volta. E tutti poterono finalmente godere della ritrovata armonia,
sotto gli occhi attenti e ora rilassati di David, fermo sulla porta con
le braccia incrociate.
FINE
(*)
La canzone ascoltata da Tom nel bar è quella che da il titolo al
racconto “My guitar lies bleeding in my arms”; i versi in
lingua originale sono questi: “I can't write a love song the way
I feel today / I can't sing no song of hope, I got nothing to say
/ Life is feeling kind of strange, since you went away / I sing this
song to you, wherever you are / As my guitar lies bleeding in my
arms…”. La mia traduzione non è letterale,
l’ho fatta un po’ a comodo, perdonatemi.
Ringrazio
con tutto il mio cuoricino rockettaro per prime le persone che mi hanno
messo nei preferiti: anna9223, eddy, kaulitz angel, melusina,
Mikela_Th, My Chemical Girl, picchia e l’incommensurabile
RubyChubb. Grazie, grazie. Baci, baci.
Poi
grazie a tutti quelli che hanno commentato i capitoli, specie per
quello precedente. Sono davvero contenta se vi ha fatto emozionare,
spero di avervi soddisfatto anche con l’ultimo capitolo, fatemelo
sapere mi raccomando! Un grazie particolare a Whity, per la bella
recensione al capitolo 4, hai centrato tutti i punti che volevo
evidenziare, mi ha fatto molto piacere.
A
questo punto vi saluto, spero di tornare prossimamente su queste
pagine, perché i’ mi’ bambini continuano ad
ispirarmi! Mi raccomando commentate, che mi fa sentire tanto bene!
Un abbraccio forte forte a tutti!
Sara - La Zietta dei Tokio Hotel
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