My guitar lies bleeding in my arms

di CowgirlSara
(/viewuser.php?uid=535)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Distance between brothers ***
Capitolo 2: *** 2 - Shot through the heart ***
Capitolo 3: *** 3 - A pale shade of what we were ***
Capitolo 4: *** 4 - Strong enough to save ***
Capitolo 5: *** 5 - The best times are coming ***



Capitolo 1
*** 1 - Distance between brothers ***


Bleeding - 1 Una nuova storia. È sempre bello iniziare una nuova avventura, ma questa introduzione non è facile per me. Devo spiegare alcune scelte che ho fatto. Questa non è una storia facile, non è la mia solita commedia romantica (oh, ragazzi, le amo e ne scriverò ancora, eh!). È una storia che parla di una crisi nel rapporto tra Bill e Tom e spero di riuscire ad esplorare al meglio i sentimenti di questi personaggi. C’è anche un’altra cosa anomala in questa fanfiction: Bill è omosessuale.
Dopo questa dichiarazione, probabilmente, mi sarò attirata le ire di orde di fan, ma questa scelta è funzionale alla storia. Avevo bisogno di un Bill così, ma ripeto non è una twincest, poiché io non le sopporto e sono anche felice che le abbiano tolte dal sito. Tanto per chiarire.
Tornando a quella decisione. Per molto sono stata indecisa se pubblicare o meno, non è mio costume speculare sui gusti sessuali della gente. Però, sia Tom che Bill sono personaggi difficili da interpretare, sono sfuggenti, ambigui e misteriosi, come è giusto che siano dei divi, quindi Bill potrebbe benissimo essere gay come il più grande sciupafemmine dell’universo, dopo suo fratello. Io questo non lo so e non lo posso sapere, quindi in questo racconto la faccenda sta così. Magari nel prossimo si porterà a letto due ragazze alla volta.
Qui c’è un maschio nel suo cuore e nel suo letto, quindi rassegnatevi. Se l’idea non vi piace, cambiate storia.

La fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel, per gli altri personaggi reali citati, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono (ma ormai sono nel club delle Zie), così come gli altri personaggi reali e le canzoni che eventualmente userò.
La canzone che da il titolo alla storia e la introduce è “My Guitar Lies Bleeding In My Arms”, stupendo pezzo contenuto nell’album “These Days” dei Bon Jovi. Ascoltatela, è bellissima e perfetta per lo stato d’animo del Tom di questo racconto.

Note e saluti alla fine!
Vi lascio alla lettura e aspetto con trepidazione i vostri commenti.
Baci
Sara

*****
I can't write a love song the way I feel today
I can't sing no song of hope, I got nothing to say
Life is feeling kind of strange, it's strange enough these days
I send this song to you, wherever you are
As…
~ My Guitar Lies Bleeding In My Arms ~

1 – Distance between brothers

Il suo corpo fendeva l’acqua più lentamente di quanto avrebbe voluto, mentre le immagini di quel giorno gli attraversavano la mente. Paula, elegante in cima ai suoi jeans firmati, innegabilmente bella, di certo sfrontata, dietro quegli occhiali da sole. Tom ed il suo sorriso irriverente, con quegli sguardi non troppo nascosti verso di lei. E di nuovo la ragazza ed i suoi occhi soddisfatti e per nulla intimoriti, inginocchiata tra le sue gambe. E il viso di suo fratello, arrossato e un po’ affannato, che stentava a mettere a fuoco la sua faccia sconvolta. E poi vedeva se stesso, come se guardasse un film, fermo sulla porta del camerino a guardare incredulo quella scena.
Si vedeva sbattere gli occhi, come sperando che quelle immagini sparissero, desiderando che fosse un sogno; poi aveva sentito il proprio viso avvampare ed aveva dato le spalle alla stanza, chiudendo la porta. Ed era fuggito a gambe levate.
Non era per la scena in se, perché non era certo la prima volta che sorprendeva suo fratello in atteggiamenti compromettenti con qualche ragazza. E non era nemmeno per Paula, anche se Bill non riusciva proprio a farsela riuscire simpatica. Ma lui sapeva chi era lei e capiva che una relazione con Tom era potenzialmente pericolosa. Così lo aveva detto al fratello, quello stesso pomeriggio, con la sincerità che usava per dirgli ogni cosa. Era la reazione di Tom che non aveva previsto.
Lui gli aveva urlato contro, dicendogli di farsi gli affari suoi, con freddezza. Beh, Tom, a volte, era un po’ permaloso, ma era la prima volta che reagiva con quella rabbia. Bill, sorpreso e dispiaciuto, era stato solo capace di abbassare gli occhi, mentre suo fratello lo scansava per uscire dalla loro suite. Era successo il giorno prima e, da allora, non si parlavano.
Bill, dovette fermarsi, gli veniva voglia di piangere anche nuotando. Emerse dall’acqua, appoggiandosi al bordo della piscina e respirò a lungo. Quando sentì un brivido percorrergli la schiena, decise di uscire ed andare a prepararsi per la cena.
Sgusciò fuori, lasciando che l’acqua gli scivolasse di dosso e, ad occhi chiusi, si sciolse i capelli che aveva legato per nuotare, quindi cercò l’asciugamano che ricordava da aver appoggiato su un lettino lì vicino, ma non c’era. Si guardò intorno cercandolo, finché qualcuno non gli posò il telo di cotone bianco sulle spalle, stringendolo con tenerezza.
Bill socchiuse gli occhi, sollevando appena il mento e sospirò. Sperava che fosse Tom, ma sapeva che non era così. Non era il suo profumo quello e poi chi lo abbracciava era troppo alto…
“Ciao stella…” Gli sussurrò una voce dolce all’orecchio. “…come stai?”
Il cantante si girò, tra le braccia del nuovo arrivato, sorridendo felice, ma senza riuscire a nascondere la malinconia del suo sguardo.
“Andreas!” Esclamò a bassa voce, poi abbracciò d’impeto l’amico.
“Hey, scoiattolo!” Reagì l’altro ridendo con calore, come era nel suo stile. “Così mi bagni tutto!”
“Oh, scusa…” Mormorò imbarazzato Bill, scansandosi quasi bruscamente e abbassando gli occhi.
“Tranquillo, niente d’irreparabile!” Lo rassicurò subito Andreas allegro, controllando la maglietta appena umida, poi rialzò lo sguardo ed osservò l’amico, trovandolo stranamente tormentato. “Che c’è?” Gli domandò aggrottando la fronte.
“Niente.” Negò troppo velocemente il cantante, guardando altrove. “Vorrei andare a farmi una doccia, mi prederesti l’accappatoio, è laggiù.” Aggiunse, indicando all’altro l’attaccapanni sul muro di fronte. Andreas lo guardò con sospetto, ma poi decise di non indagare ed andò a prendere l’accappatoio. Conosceva Bill e sapeva che non era il caso d’insistere.

La suite che i gemelli dividevano era composta da due camere da letto, ognuna con bagno annesso, un piccolo soggiorno con poltrone, tavolo e attrezzatura home theatre, un breve corridoio. Nel salottino non c’era un eccessivo casino, a parte qualche avanzo sul carrello del servizio in camera, alcune riviste sul tavolino tra le poltrone e un contenitore per cd aperto sul mobile dell’ingresso.
Andreas si guardò intorno, tutto sembrava normale come poteva sempre esserlo nelle stanze d’albergo dei gemelli. Tutto, tranne l’atteggiamento di Bill. Era distratto, scostante, triste, niente a che vedere con il dolcissimo, vanesio chiacchierone che Andreas adorava. Non aveva più spiccicato parola da quando avevano lasciato la piscina e lui cominciava a preoccuparsi.
“Vado a farmi la doccia.” Annunciò il cantante, aprendo la porta della sua camera.
“Tom?” Domandò l’amico e poté giurare di aver visto le spalle di Bill contrarsi, mentre si fermava con la mano sulla maniglia.
“Non credo che ci sia.” Gli rispose poi.
“Non abbiamo provato a…” Tentò Andreas, facendo per girarsi verso la stanza del chitarrista.
“Credimi, non c’è.” Affermò secco Bill, entrando in camera e chiudendosi la porta alle spalle.
Il ragazzo rimase di sasso, fissando la porta bianca che si era appena chiusa davanti a lui. Rifletté per un attimo e poi pensò di aver capito: i gemelli dovevano aver litigato, non c’era altra spiegazione al gelo che si respirava nell’aria.
Provò a bussare alla porta di Tom, nessuno rispose, quindi decise di provare ad entrare. La porta era aperta, nella stanza non c’era nessuno. Andreas si guardò intorno. Il letto era fatto, in giro non c’era molta roba a parte una valigia aperta sull’ottomana e un paio di scarpe sul tappeto. Richiuse la camera e tornò nel soggiorno ad aspettare Bill.
Più di mezz’ora dopo, il ragazzo gettò con uno sbuffo la copia di Rolling Stone che stava leggendo sull’altra poltrona, quindi si alzò, deciso a stanare la primadonna.
“Bill?” Chiamò dopo aver bussato. Non giunse risposta, quindi Andreas entrò.
Aperta la porta si trovò davanti un disordine epocale e pensò che Bill era sempre il solito casinista. C’erano più magliette sul letto, scarpe in giro, fogli, riviste di quanti sarebbe umanamente possibile spargere in una camera. Valige aperte sul pavimento. Il cantante era seduto davanti alla specchiera, il cui piano era ingombro di trucchi, attrezzature e prodotti per capelli. Guardava il vuoto.
“Bill?” Fece interrogativo il ragazzo.
“Hn?” Rispose lui, senza girare la testa; era abbandonato sulla poltroncina, aveva un’aria distratta ed indossava ancora l’accappatoio.
“Bill, ma stai ancora così? Sono quasi le otto, faremo tardi a cena.” Gli disse; l’amico lo guardò con espressione ebete, come se non capisse quello che gli diceva. “Ti sei fatto la doccia, almeno?”
“Sì.” Annuì Bill. “Non so che cosa mettermi…” Aggiunse poi, decidendosi a raddrizzarsi sulla sedia e prendere in mano, almeno, la matita per gli occhi.
“Sant’Iddio, qui sembra esploso il magazzino della Gap, possibile che non trovi nulla da metterti!” Replicò Andreas scoraggiato, guardando il casino che aveva attorno.
“Hn…” Bill fece una smorfia nauseata.
Andreas sbuffò e si mise a cercare qualcosa da fargli mettere, in mezzo al disastro. “Che ne dici di questa maglietta nera con i tribali bianchi?” Propose, ma il cantante arricciò schifato il naso. “T-shirt rossa con i cuori gotici?” Stavolta gli rispose un verso disgustato. “Una guepiere di pizzo nero coi fiocchi di raso?” Continuò ironico lui.
“Ehhh?!” Reagì questa volta Bill; Andreas scosse il capo e poi gli lanciò la prima maglietta sotto mano, prima di sedersi sul letto.
“Andiamo, vestiti!” L’incitò quindi. “Di che hai ancora bisogno, un tiro da sei di boys in smoking che ti lanciano petali di rose mentre scendi le scale?”
“Ah ah ah, come sei simpatico!” Protestò acido Bill, alzandosi.
“Ti vesti o no?!” Sbottò l’amico e si ritrovò sommerso dall’accappatoio lanciato dal cantante; quando riuscì a liberarsene, aveva davanti Bill in mutande che s’infilava un paio di jeans.
Seguì i suoi movimenti. I pantaloni che salivano lungo le sue gambe magre, le sue dita smaltate di nero che chiudevano i bottoni e la grossa fibbia della cintura. La stella tatuata sul suo addome. Lo aveva già visto vestirsi, o spogliarsi, ma ogni volta… Dio, era così magro, come un ramo di salice. Perché ogni volta gli veniva solo voglia di abbracciarlo e proteggerlo? E specie quando lo vedeva tanto abbattuto…
“Scoiattolo…” Lo chiamò dolcemente, lui lo guardò. “Hai litigato con Tom?” Si decise a chiedergli; Bill abbassò il capo e guardò altrove. “Hai litigato con Tom.” Affermò quindi, sicuro ormai che era la verità.
“Sì…” Ammise infine il cantante.
“Mi vuoi dire che è successo?” Gli propose comprensivo l’amico. Bill sospirò e si sedette accanto a lui, dopo essersi infilato la maglia.
“Circa un mese fa si è aggiunta allo staff del gruppo una ragazza, Paula Schneider si chiama.” Esordì il cantante, sotto lo sguardo attento dell’amico. “È molto bella, e disinibita…” Descrisse. “Sta per laurearsi in scienze della comunicazione a Monaco ed ora lavora come assistente dell’addetto stampa.” Spiegò poi.
“Kurtzmann?” Domandò Andreas. Bill annuì.
“È abbastanza brava nel suo lavoro, ma non è per questo che sta nell’entourage.” Riprese il cantante. “Vedi, lei è la donna di Werner Velbaum.”
Andreas spalancò gli occhi. “Quello della casa discografica?”
“Già, proprio lui.” Rispose Bill annuendo.  
“E cosa ci entrate tu e Tom in tutto questo?” Chiese quindi l’amico.
“Indovina un po’…”
“No, aspetta.” Fece Andreas, realizzando. “Tom non se la sta scopando, vero?”
“Se la sta scopando eccome, Andi.” Replicò sconsolato Bill.
“Dai, non può essere così cretino…” Commentò l’altro con espressione incredula. “E… tu? Non avrà tirato in mezzo anche te?” Chiese poi, preoccupato, posando una mano sulla schiena del cantante. Non poteva credere che Bill si fosse fatto coinvolgere in un simile quadrilatero di relazioni.
“Io li ho sorpresi insieme.” Raccontò, però, l’amico, dandogli un immediato sollievo. “E poi ho parlato a Tom, dicendogli che secondo me sbagliava ad avere una relazione con lei.”
“Hai fatto bene.” Intervenne Andreas.
“Sì, ma lui mi ha trattato di merda, Andi!” Ribatté subito l’altro, girandosi verso di lui. “Non aveva mai reagito così, giuro! Ci sono rimasto talmente male che se ci penso piango ancora! Non mi parla da ieri.” Concluse sconsolato.
“Mi dispiace.” Gli disse solidale l’amico, passandogli un braccio sulle spalle. “Ma vedrai che gli passa, magari si è solo offeso perché glielo hai detto…”
“Lo spero!” Esclamò triste Bill.
“Tranquillo, Scoiattolo, ora ci sono io e troveremo un modo per fare pace, dai!” Lo rassicurò Andreas con allegra dolcezza, stringendolo a se.
“Oh, Andi, speriamo!” Affermò mogio Bill, rintanandosi contro la sua spalla.
“Dai, vedrai che gli passa tutto in un paio di giorni!” Replicò ottimista l’amico. “Vai, adesso finisci di truccarti, che così, con un occhio solo sembri il gatto di mia nonna!”
“Stronzo!” Reagì Bill ridendo, mentre gli dava una piccola spinta.
“Ma mi ami così, no?” Il cantante lo guardò per un attimo nei brillanti occhi verdi, reprimendo il tuffo al cuore, poi sorrise incerto.
“Già, ti amo così…” Mormorò, prima di tornare allo specchio e lasciare Andreas al suo batticuore.

Tom era davanti all’entrata del ristorante e stava rispondendo ad un messaggio sul cellulare. La mattina erano stati in sala prove e nel pomeriggio lui si era visto con Paula. Avevano passato diverse ore in camera di lei, a fare l’amore, senza pensare a nulla.
Il ragazzo era ancora arrabbiato per l’intrusione di suo fratello nella sua vita privata. Ma che cosa gliene fregava, a Bill, se lui si scopava Paula? Sì, lo sapeva perfettamente che lei stava con quel tipo della casa discografica, ma era un vecchio. E poi, insomma, mica se la voleva sposare! Fare sesso con lei era bello, una cavalcata selvaggia che toglieva ogni pensiero dalla testa. Meglio dell’alcool. Paula gli faceva davvero bollire il sangue. Forse perché era più grande, ma non era la prima venticinquenne che si faceva. Certo era bella, sexy, capace di fartelo venire duro con uno sguardo, ma non era solo questo. Lei lo aveva trovato in un momento di fragilità, anche se lui non lo avrebbe mai ammesso. Gli faceva rabbia pensare di essere stato debole, ma aveva stupidamente bisogno di quella donna. Anche per questo aveva preso così male le parole di Bill. Adesso, però, chissà perché, si sentiva strano all’idea di aver litigato col gemello… A volte, questo legame ancestrale con Bill, era proprio fastidioso!
Sbuffò, mentre riponeva il telefono, appena prima di sentirsi chiamare da una voce familiare. Si girò e vide Andreas venirgli incontro.
“Ciao, Andi!” Salutò cordiale, abbracciando l’amico.
“Ciao Büchse (*), come va?” Rispose l’altro, dandogli delle amichevoli pacche sulle spalle.
“Hm, abbastanza bene.” Gli disse, poi si staccarono. “Quando sei arrivato?” Chiese Tom, guardandolo negl’occhi.
“Oggi pomeriggio.” Affermò Andreas. “Sono stato con Bill.” Spiegò quindi.
“Ah…” Fece soltanto l’altro, guardando altrove. Calò un silenzio imbarazzato, Andreas non sapeva se dirgli che era a conoscenza del litigio.
“Mi ha detto che avete avuto una discussione.” Confessò infine; fu colpito dalla freddezza dello sguardo con cui rispose Tom.
“Ti ha già spiattellato tutto, eh?” Replicò quindi il chitarrista. “Non regge neanche il semolino…” Aggiunse scuotendo la testa. Andreas aggrottò la fronte, insospettito.
“Guarda che è molto triste, per questa cosa, vorrebbe davvero fare la pace…” Gli disse.
“Doveva pensarci prima di farsi i cazzi miei!” Intervenne Tom, interrompendo l’amico. L’altro gli scoccò un’occhiata di rimprovero.
“Ci sta male davvero, Tom.” Affermò Andreas severo.
“Ripeto. Doveva pensarci prima.” Ribatté duro il chitarrista. “E, tanto, adesso ci sei tu a consolarlo…”
“Non ti permetto…” Fece Andreas appena minaccioso.
Bill, in quello stesso momento, stava raggiungendo il ristorante; non si accorse del fratello, perché Andreas gli copriva la visuale. “Sì, l’avevo lasciato in camera il tel…” Esordì, rivolto all’amico, che si girò, scoprendo Tom e la sua espressione cupa. Il cantante interruppe la frase e si fermò sul posto.
I due gemelli si guardarono per un lungo istante negl’occhi. Lo sguardo di Bill era triste e aggrottava la fronte come se stesse trattenendo le lacrime. Quello di Tom, invece, era quasi di sfida. Infine, quest’ultimo fece un sorrisino beffardo, lanciò un’ultima occhiata ad Andreas, poi voltò le spalle ad entrambi ed entrò nella sala.
Andreas, che lo aveva seguito mentre se ne andava, si voltò verso Bill. Il ragazzo non si era mosso di un millimetro. Quando i suoi occhi nocciola incontrarono quelli dell’amico erano lucidi, gli tremava il mento. Andi gli corse accanto.
“Non piangere, dai.” Gli disse, circondandogli le spalle con un braccio. “Andrà tutto bene, si sistemerà tutto…” Mormorò poi, accarezzandogli il viso nell’intento d’impedirgli di scoppiare in lacrime. “Su, Mäuschen (*), che poi ti cola il trucco…” Il nomignolo riuscì a strappare un sorrisino triste a Bill; Andreas sospirò sollevato, stringendoselo contro e portandolo finalmente in sala.
La cena, ad ogni modo, non fu il convivio divertente che era solita essere con i ragazzi. Andreas chiacchierò con Georg e Gustav, dato che era molto tempo che non si vedevano, ma sempre tenendo d’occhio Bill, che quasi non toccò cibo quella sera. Tom lo ignorava, non lo guardava e non gli rivolgeva la parola, nemmeno per chiedere il pane o il sale. Andi, ogni tanto, scorgeva sguardi pieni di tristezza da parte del cantante per il gemello e questo faceva male anche lui. Stava cominciando a pensare che questa storia fosse più grave di quanto credeva.

“Grazie.” Disse Andreas al cameriere del servizio in camera, dopo avergli dato la mancia; lui salutò e se ne andò silenzioso.
La porta della camera si aprì, attirando l’attenzione del ragazzo; ne spuntò la versione notturno-depressa di Bill: niente trucco, pantaloni del pigiama neri a righe, maglietta grigia ed espressione da poeta esistenzialista con manie suicide.
“Che cos’è?” Domandò il cantante, indicando il carrello, mentre si sedeva su una poltrona.
“Ti ho ordinato qualcosa da mangiare, non hai toccato nulla a cena.” Rispose Andreas, che era in piedi davanti al tavolino dell’ingresso e faceva qualcosa col cellulare.
“Dimmi che è dolce…” Piagnucolò Bill, rannicchiandosi sulla poltrona.
L’amico si girò con un sorriso. “Torta al cioccolato con doppia farcitura fondente.” Gli rivelò soddisfatto.
“Oh, ti adoro!” Proclamò il cantante giungendo le mani. “Hai preso anche il latte?” Continuò avvicinandosi incuriosito al carrello.
“Sì.” Annuì Andreas.
“Sei meglio della mia mamma!” Sentenziò Bill, ritrovando un po’ di verve.
“Dai, adesso mangia.” L’incitò con un sorriso. “Io vado, ci vediamo domattina.” Annunciò poi.
L’altro ragazzo, a quelle parole, fermò la mano sul coperchio del vassoio e guardò l’amico. La sua espressione si era fatta improvvisamente seria.
“Resta, Andi.” Lo supplicò quindi.
Ecco, lo sapeva che glielo avrebbe chiesto. C’erano un milione di motivi per dirgli di no, prima fra tutti la sua sanità mentale. Ma c’era un solo enorme motivo per cui, alla fine, gli avrebbe risposto di sì: era Bill. E Andreas, quando lui lo fissava con quegli occhioni da cucciolo smarrito, sarebbe stato capace di saltare negli anelli di fuoco, come le tigri dei circhi.
“Non credo che sia il caso…” Tentò comunque il ragazzo, aggrappandosi disperatamente al proprio buonsenso.
“Ti prego, non voglio stare solo…” Mormorò Bill, con una faccina sempre più triste.
“Ma tornerà Tom…” Provò ancora Andreas.
“Non tornerà.” Affermò secco l’altro, abbassando gli occhi. “E anche se lo facesse non…”
“Bill.” L’interruppe l’amico. “Anche se volessi restare, non c’è nemmeno un divano dove potrei dormire.” Spiegò, sperando che fosse una scusa sufficiente.
Il cantante alzò due occhi lucidi e supplicanti sull’interlocutore. “Puoi dormire con me, il letto è grande.”
No, no, no! Qui si andava di male in peggio! Lui non poteva dormire con Bill! L’ultima volta che era successo erano in campeggio e c’erano anche suo fratello Bertie e Tom, più che dormire avevano sparato cazzate fino all’alba… Ma ora, così, con Bill in quelle condizioni… E se cercava conforto? E se lo abbracciava? Oddio… Poteva controllarsi, di giorno, in pubblico, ma di notte, nello stesso letto, a pochi centimetri di distanza? Oh, Dio…
“Ti prego…” Mormorò ancora il cantante. E, ad Andreas, bastò osservare per un altro solo secondo il suo visetto sconfortato, per dimenticare ogni raccomandazione che si era fatto.
“E va bene.” Si arrese infine, strappando un sorriso gioioso alle belle labbra di Bill. “Tu mangia, io vado a prendere la mia roba.”
“Grazie!” Esclamò l’altro soddisfatto, scoprendo finalmente la torta. Andreas scosse il capo e si diresse nella propria camera. Ennesima battaglia persa.

La camera era illuminata solo da una piccola lampada su uno dei comodini. Bill era steso supino, coi capelli sparsi come un’esplosione sul cuscino e guardava un qualche punto non identificato.
Andreas si sedette sul letto, ravviandosi i capelli e cercando qualcosa da dire. Non era la prima volta che dormivano insieme, ma quando erano ragazzini era sempre un’affollata avventura e il cantante solo uno dei tanti amici, magari più folle, sensibile e dolce degli altri, ma null’altro. Solo da un paio d’anni era consapevole di provare per Bill qualcosa che andava oltre il semplice affetto. E questo qualcosa lo aveva sempre tenuto sotto stretto controllo, senza dargli la possibilità di venire in superficie. La possibilità di essere corrisposto nemmeno la considerava, perché questo avrebbe significato grossi problemi per la carriera di Bill. Eppure, c’erano momenti in cui…
“Immagino questo significhi che devo prendermi il lato sinistro.” Esordì finalmente Andreas, alludendo alla posizione di Bill sul letto.
Il cantante si girò lentamente verso di lui, con un sorriso mesto e lo sguardo spento, poi allungò una mano sul materasso fino a sfiorare la sua. Il ragazzo trattenne un brivido.
“Se vuoi stare di qua, devi solo dirlo.” Mormorò Bill.
“Va… va bene così.” Rispose Andi, quindi gli sorrise. “Va meglio?” Gli chiese poi.
“No, ma grazie per avermelo chiesto.” Replicò il cantante, rimettendosi supino.
“Dai, vedrai che farete presto la pace!” Esclamò l’altro, cercando di essere allegro.
“Non capisco come fai ad esserne tanto sicuro.” Fece Bill, guardandolo con la coda dell’occhio, mentre si stendeva accanto a lui.
“Beh, è perché siete tu e Tom.” Spiegò Andreas. “Un mondo dove tu e Tom non vi volete bene non esiste, è impossibile, non ci crederei nemmeno vedendolo.”
“Vorrei essere io così ottimista…” Commentò sconsolato l’altro, fissando il soffitto.
“Andiamo!” Sbottò l’amico con un gran sorriso, mentre gli dava una piccola spinta. “Andrà tutto bene, Pfuscherei!(*)”
Bill spalancò gli occhi, sorpreso e divertito. “Come mi hai chiamato?!”
“Pfuscherei!” Ripeté Andreas tranquillamente sorridente. “Perché? È il tuo, perfetto per un casinista come te, guarda che bordello è questa stanza!” Continuò, indicando la camera sotto sopra.
“Tu, con questa fissa dei nomignoli, ti metterai nei guai un giorno o l’altro!” Esclamò Bill, che ormai rideva.
Andreas, anche lui ridendo, lo guardava, preso dall’allegria, con quella risata argentina che tanto amava e le gambe per aria. Per la prima volta, quel giorno, si sentì meno inquieto e poté rilassarsi un po’. Sempre per quanto gli permetteva la situazione.
Bill, quando riuscì a vincere un po’ l’ilarità, si girò verso l’amico, avvicinandosi alla sua spalla; ogni tanto era ancora scosso da qualche risatina e aveva gli occhi lucidi. Andreas lo guardò con dolcezza, poi gli scostò dal viso una ciocca di capelli.
“Sei bellissimo, così…” Gli sfuggì e, quando se ne accorse, ritrasse appena la mano.
“Lo pensi davvero?” Domandò però Bill, che ovviamente lo aveva sentito.
“Ce… certo…” Balbettò Andreas. “…altrimenti non te lo avrei detto…”
“Grazie.” Mormorò l’altro, mentre si accoccolava a pochi centimetri da lui.
Il ragazzo sospirò, gli carezzò piano la testa e poi spense la luce. Addormentarsi non sarebbe stato facile.

Era notte fonda, quando Tom entrò nella suite che divideva col fratello. Era tornato lì, non perché ne avesse voglia, ma solo per farsi una doccia, cambiarsi e dormire un po’ in pace. E poi, anche perché Paula si era fissata che era meglio non passare la notte insieme.
Il ragazzo attraversò il corridoio e vide, nel soggiorno, il carrello con la torta mangiucchiata ed il bicchiere sporco di latte. Sempre il solito, Bill.
Pensare a suo fratello con la bocca sporca di cioccolata gli strappò un sorrisetto e, chissà perché, gli fece venire voglia di vederlo. Ma questo non significava che ce l’avesse meno con lui. Si tolse le scarpe e raggiunse la porta del gemello. Era solo accostata e, quindi, gli bastò spingerla appena per avere una visuale sufficiente della stanza.
Il rettangolo di luce della porta raggiungeva i piedi del letto, ma illuminava abbastanza da consentire di vedere le due figure stese sopra.
Bill era rannicchiato su un fianco, con il capo posato contro il torace di Andreas, che invece era supino, con un braccio sopra la propria testa e l’altro oltre quella di Bill. Tom strinse i denti.
E poi Andreas aveva anche il coraggio di affermare che non era lì per consolare Bill! Certo, come no! E questo come lo chiamava? Era, tutto tranquillo, a letto con suo fratello!
Era incazzato. Sì, perché uno dei suoi migliori amici non gli aveva neanche chiesto la sua versione delle cose, ma aveva dato, a prescindere, ragione a Bill. E il motivo della sua preferenza era più che chiaro, o no? Nemmeno per un momento, Tom, mentre andava in camera sua, pensò che forse era solo geloso del rapporto tra il suo gemello e Andreas. Sapeva solo di essere sempre più arrabbiato con Bill. Come si permetteva di giudicare lui, per la sua storia con Paula, e poi flirtare apertamente con Andreas, finendoci anche a letto insieme?!
Quando entrò nella propria stanza, chiuse la porta un po’ più rumorosamente di quanto fosse necessario.

Bill sussultò, svegliandosi. Si guardò intorno smarrito, cercando di capire se aveva sentito davvero qualcosa, un rumore. Andreas dormiva tranquillo al suo fianco, ronfando placidamente.
Il ragazzo si sollevò su un gomito e spiò il buio, in direzione della porta. Gli sembrava più aperta di come l’avevano lasciata, ma non sapeva dire se si trattasse di un’impressione.
Qualcosa, però, gli diceva che Tom era tornato. Qualcosa nella pancia, una sensazione che conosceva bene e che, purtroppo, in quei giorni era accompagnata da tristi pensieri.
“Tomi?” Provò a chiamare a bassa voce. Gli rispose solo il silenzio della notte; così, triste e deluso, si rimise giù, rannicchiandosi più vicino ad Andreas.

CONTINUA

(*) Büchse - scoppietto
     Mäuschen - topolino
     Pfuscherei – pasticcio, danno


Mah, ditemi voti, io continuo a pensare che questa storia e i personaggi siano un tantino patetici. Temo di annaspare troppo tra lacrime e melassa. Chiaritemi le idee con le vostre recensioni.

Saluto tutti quelli che leggeranno e commenteranno e ne approfitto per ringraziare coloro che hanno commentato l’ultimo capitolo di “Something like summertime”: siete stupendi, un sostegno indispensabile per ogni scrittore! Vi aspetto ancora!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 - Shot through the heart ***


Bleeding - 2
Secondo capitolo. Devo ammettere che la stesura della ff procede più lentamente del previsto, ma vi assicuro che procede!
Vi prego, dopo la lettura di questo capitolo, non odiate troppo Tom, spero di riuscire a spiegare le sue motivazioni al meglio. Però, vi avverto, potreste aver voglia di prenderlo a sberle.

Ringraziamenti e note alla fine!

Buona lettura
Sara

2 – Shot through the heart

Andreas si svegliò per primo, quella mattina. Una luce chiara attraversava le tende, infastidendo gli occhi ancora assonnati del ragazzo. Si girò sul fianco e guardò Bill che dormiva, ma con un’espressione tormentata. Prima di alzarsi gli carezzò piano la tempia, scostando i capelli. Adorava il suo bel viso, dicevano che era troppo efebico, ma a lui non importava.
Si alzò, stiracchiandosi e, dopo essersi aggiustato la maglia, si diresse in bagno; mentre passava davanti alla porta della camera, però, vide Tom nel soggiorno e cambiò idea.
“Buongiorno.” Salutò, raggiungendo l’amico.
Tom sollevò gli occhi dal cellulare e lo guardò di sbieco. “Buongiorno.” Rispose, con un insopportabile tono ironico; Andreas aggrottò subito la fronte.
“Che c’è?” Gli domandò sospettoso.
“Passato una bella nottata?” Replicò acido il chitarrista, con aria allusiva.
Andreas si avvicinò a lui, vagamente minaccioso. “Vedi di smetterla, con queste insinuazioni, perché non mi piacciono per niente.”
Tom fece un sorrisino sarcastico. “Ah, non ti piacciono… ma andare a letto con mio fratello ti piace eccome…” Ribatté poi; Andi l’afferrò per la maglietta.
“Non ti permetto di giudicarci, anche perché non abbiamo fatto niente di male.” Affermò il ragazzo, stringendo la presa. Tom si sottrasse, sempre con la solita espressione provocatoria che aveva dall’inizio della conversazione.
“Non prendermi per stupido, Andi.” Affermò il chitarrista. “L’ho capito molto tempo fa che t’interessa Bill, anche se hai continuato a nasconderti dietro alle tue fidanzate fighe…”
“Io non ti riconosco, Tomi.” Mormorò preoccupato Andreas, fissando l’amico. “Che cosa ti è successo? Che cos’è tutta questa rabbia?” Gli domandò quindi.
“È così difficile da capire?” Rispose il ragazzo. “Non voglio che qualcuno mi giudichi, quando è il primo ad avere difetti e segreti!”
“Ma Tom, ragiona!” Replicò Andreas incredulo. “Bill soffre come un cane, per questa storia!”
Tom sbuffò un sorrisetto sardonico. “E tu sei lì per lui, no? Adesso che è triste si getterà tra le tue braccia… e non aspettavi altro!” Esclamò poi, prima di dirigersi alla porta.
“Tom!” Sbottò Andreas, con tono di rimprovero.
“Ci vediamo alla sala prove.” Gli disse però l’altro, senza ascoltarlo. “Tanto, immagino che vieni anche tu, eh?” Aggiunse ironico, quindi, salutandolo con la mano, uscì dalla stanza.
Andreas, rimasto solo, corse subito in camera, per verificare che Bill non si fosse svegliato e avesse assistito alla scena. Il cantante sembrava dormire ancora profondamente e, quando se ne fu assicurato, l’amico sospirò sollevato e decise di ordinare la colazione.

Tom era seduto sul bordo del suo sgabello, le spalle appoggiate alla parete insonorizzata della sala prove. Nessuno dall’altra parte del vetro. Il corpo di Paula aderiva al suo, caldo. Una sua mano gli percorreva esperta l’addome, mentre l’altra era scivolata oltre il bordo dei suoi boxer e gli carezzava una natica. La bocca della ragazza gli tormentava il collo. Gli stava diventando duro e non era proprio il caso. Per quanto Tom non si facesse scappare le occasioni, da un momento all’altro poteva entrare qualcuno. Georg o Gustav, ad andare bene. David, se la sfiga lo perseguitava. La prospettiva peggiore era l’entrata di Bill e il chitarrista nemmeno sapeva spiegarsi perché l’idea lo atterriva tanto.
“Mi piace trovare la tua pelle sotto tutta questa roba…” Gli sussurrò Paula all’orecchio, con la sua voce roca ed erotica. “Mi eccita da morire…” Aggiunse, affondando poi i denti nell’incavo della spalla del chitarrista.
“Paula… ah…” Tentò di reagire lui, ma fu soffocato da un bacio.
“Ti stai eccitando anche tu, piccolino?” Gli chiese la ragazza, strusciandosi ancora di più. “Oddio… non tanto piccolino…” Affermò poi, scoccandogli un’occhiata più che eloquente, mentre portava la mano destra in un punto ben preciso.
“Dai, ci sono le prove…” Protestò Tom, scostandola da se con un gesto eroico.
“Ahahah! Mi fai impazzire, quando t’imbarazzi!” Rise lei senza vergogna. “Adoro le tue guance arrossate!” Continuò, strizzandogli tra indice e medio quella parte del viso, lui la scostò brusco. “Sei proprio un bambino, Tom, ma è per questo che mi piaci tanto…”
“Sai che ti odio, quando mi dici che sono un bambino?!” Sbottò il ragazzo, incrociando le braccia.
“So io, come farmi perdonare…” Mormorò lei, con uno sguardo languido.
Paula, però, non poté portare avanti il suo piano, poiché in quel momento entrarono chiacchierando Georg e Gustav. I due salutarono sbrigativamente e presero posizione ai loro strumenti, continuando a commentare l’ultima partita di Champions League.
“Io vado.” Annunciò la ragazza e Tom si sentì, in qualche modo, sollevato.
“Bene.” Annuì il chitarrista.
“Ci vediamo dopo, Funke.(*)” Salutò quindi lei, con un ultimo sguardo carico di indecenti promesse, diretto a Tom.
Gustav, che si stava sedendo alla batteria, alzò gli occhi e vide, mentre Paula si stava allontanando da Tom, una mano della ragazza fare un massaggio non proprio sanitario al sedere del chitarrista. Il ragazzo rimase a occhi spalancati, pensando seriamente che non doveva più lasciare gli occhiali in macchina o mangiare panini con wurst e senape a colazione.
Georg, nel frattempo, aveva ascoltato il nomignolo usato da Paula verso Tom e aggrottava perplesso la fronte, ma ammirò comunque il fondoschiena da urlo della tipa, mentre lei usciva sculettando.
“A più tardi, ragazzi.” Disse la ragazza uscendo.
“Ciao!” Salutarono bassista e batterista.
“Funke?” Fece Georg, all’indirizzo di Tom, quando i musicisti furono rimasti soli.
“Beh? Che c’è?” Replicò l’interessato, stringendosi nelle spalle.
“Non so se mi piacerebbe essere chiamato così da una ragazza.” Spiegò divertito il bassista. “Le scintille durano poco…”
“Tu non capisci un cazzo.” Soggiunse l’altro, scuotendo il capo. “La scintilla è ciò che accende il fuoco e io l’accendo.” Si compiacque quindi.
“Se lo dici tu…” Commentò noncurante Georg.
“Piuttosto…” Riprese Tom, mentre sistemava la chitarra. “…che fine ha fatto la nostra primadonna?” Georg e Gustav lo fissarono, non credendo al tono acidissimo che aveva usato.
“Sono andato un attimo in bagno.” Rispose una voce glaciale alle loro spalle; si voltarono e videro Bill fermo sulla porta. Il suo viso era pallido come una maschera di cera ed aveva un’espressione indecifrabile.
“Ah, ci hai messo tanto…” Commentò Tom, con un sorrisetto beffardo, rimettendosi subito a trafficare con la chitarra. “…eri da solo?”
Bill aggrottò la fronte e lo fissò sospettoso. “Che vuoi dire?” Chiese al fratello, avvicinandosi di un passo.
“Ti ha accompagnato Andreas?” Fece Tom, alzando gli occhi su di lui, il tono allusivo, l’espressione vagamente infastidita.
La maschera di Bill tremò, come le onde quando s’increspano e questo fu l’unico segno del turbamento che lo aveva attraversato, poiché continuò a fissare il gemello con sguardo immobile. Nessuno poteva sapere che qualcosa, nel suo cuore, si era rotto. Quell’insinuazione da parte di Tom lo aveva lasciato incrinato, ora gli mancava un pezzo.
“Bill…” Chiamò Georg, accorgendosi che qualcosa non andava. “Bill.” Finalmente il cantante si voltò, sempre più pallido. “Cominciamo con «Reden»?” Gli chiese quindi il bassista, sperando che iniziare le prove servisse a scuotere Bill.
“S… sì…” Rispose infine l’altro, posizionandosi con fare incerto dietro al microfono. Ma non poté fare a meno di guardare ancora una volta Tom, il quale, ormai, aveva gli occhi altrove.

Le prove non furono proprio soddisfacenti. La voce di Bill s’infrangeva spesso e volentieri e non riusciva a raggiungere i toni necessari. Tom suonava la sua chitarra praticamente voltato verso il muro, isolato dagli altri. E sbagliava degli accordi. Georg e Gustav, pur facendo del loro meglio, non potevano rimediare alla frattura quasi fisica tra i gemelli.
“Basta così. Pausa.” Proclamò David, dall’altra parte del vetro, quindi alzò le mani arreso e uscì dalla saletta delle attrezzature, seguito dal tecnico. Lì rimase solo Andreas.
“Dio, abbiamo fatto schifo oggi!” Esclamò Tom, alzandosi e depositando la chitarra sul suo sostegno; continuava a non guardare gli altri.
“Parla per te!” Sbottò Georg, dopo aver sistemato il suo basso. “Noi abbiamo fatto del nostro meglio!”
“Beh, non ho niente da dire a te e Gus, infatti.” Replicò Tom, stringendosi nelle spalle. “Ma Bill ha cantato come una vecchia dell’ospizio.” Il fratello allargò gli occhi.
“Non sono in forma, oggi…” Si giustificò poi.
“Cos’è? Hai sprecato troppe energie stanotte?” Gli chiese quindi Tom, provocatorio.
“Smettila, Tom.” Gl’intimò preoccupato Gustav, in piedi dietro alla batteria.
“Vorrei vedere te, con un fratello che ti tratta così.” Commentò Georg, rivolto al chitarrista. “Non capisco perché ti comporti in questo modo, perché fai certe allusioni…” Aggiunse serio.
“Le faccio perché so chi ho davanti.” Rispose duro Tom, mentre Bill agghiacciava, temendo il seguito. “Io l’ho visto a letto con Andreas.”
L’affermazione fece scendere un silenzio pesantissimo nella saletta. Gustav era impietrito, a bocca aperta e con gli occhi spalancati fermi su Tom, cercando di decifrare ciò che aveva sentito. Georg, invece, spostava continuamente lo sguardo da un gemello all’altro, mentre il suo cervello immaginava scene che non riusciva ad accettare. Tom aveva un insopportabile sorrisino compiaciuto. Bill era una statua, ma i suoi occhi erano lucidi; quando riuscì a socchiuderli, una lacrima scese incontrollata, portandosi dietro una scia nera.
“Adesso basta!” Proclamò una voce decisa, rompendo la specie di limbo in cui erano caduti i membri del gruppo.
Era Andreas, che si era catapultato dentro, passando tra Georg e Bill e afferrando Tom per la maglia. Il cantante aveva immediatamente allungato una mano per fermarlo.
“La devi smettere, hai capito?! Non ti rendi conto che gli fai del male così!?” Gridava però il ragazzo, scuotendo il chitarrista. “Stavamo solo dormendo!”
Tom non si era ancora tolto il sorrisetto. “Magari ieri stavate dormendo e la volta prima avete fatto altro…” Ipotizzò maligno.
“Ma io ti spacco la faccia!” Minacciò Andreas, strattonandolo più forte.
“Andi!” Gridò allarmato Bill, afferrandolo per la manica della maglietta.
Gustav e Georg, che non avevano mai visto Andreas così alterato, di solito era un tipo più che calmo, iniziarono a preoccuparsi seriamente.
“Guarda! Sembra che il tuo fidanzatino non voglia che tu mi picchi!” Affermò ironico Tom.
“Hai veramente un atteggiamento insopportabile, Tom!” Replicò l’altro, continuando a stringerlo per il collo della maglia.
“Andi, ti prego!” Lo supplicava nel frattempo Bill, cercando di staccarlo dal fratello.
Il cantante, poi, spostò lo sguardo sugli altri componenti del gruppo, cercando appoggio. Quello che vide, però, lo sconvolse. Gli occhi di Gustav e Georg erano pieni di dubbi e domande. E lui vi lesse anche una certa accusa, che forse in realtà era preoccupazione, ma fu male interpretata. Lasciò subito la manica di Andreas e si diresse risoluto verso la porta. L’aprì, uscì, oltrepassò la saletta delle attrezzature, passò la seconda porta e scappò lungo il corridoio.
Andi mollò di botto la maglietta di Tom, facendolo sbattere contro il suo sgabello, che cadde rumorosamente a terra. Il chitarrista rise.
“Fottiti, Tom!” L’insultò rabbioso l’amico, prima di precipitarsi fuori all’inseguimento di Bill.
“Ma che cazzo ridi?” Domandò poco dopo Georg a Tom. “Sei diventato veramente uno stronzo…” Aggiunse poi, con tono deluso.
“La pensi così?” Gli chiese il chitarrista, ricomponendosi; l’altro annuì. “E tu?” Fece quindi, rivolgendosi a Gustav, che confermò. “Se le cose stanno in questo modo, allora, se prendete le sue difese, potete andarvene a fare in culo tutti quanti!” E dopo questa dichiarazione diede le spalle ad entrambi e lasciò la stanza.
“Cazzo…” Commentò Gustav, quando sentì Tom sbattere la seconda porta. Georg sbuffò, sedendosi sullo sgabello e ravviandosi nervosamente i capelli. “Tu pensi che sia vero? Intendo, quello che Tom ha detto di Bill?” Chiese quindi il batterista.
“Andiamo, Gus, anche tu hai gli occhi!” Rispose l’amico. “E avrai notato di sicuro che Bill s’illumina, quando c’è Andreas…” Continuò sconsolato.
“Merda, che casino…” Fu tutto ciò che aggiunse Gustav, prima di lanciare una delle sue bacchette contro il vetro divisorio.

Andreas, nel frattempo, era riuscito a seguire Bill fin sul terrazzo dello studio. Il cielo era grigio, plumbeo, minacciava pioggia. Il cantante era di spalle, appoggiato all’alta ringhiera, i suoi capelli si muovevano scomposti nel vento che annunciava il temporale.
“Bill…” Chiamò Andreas a bassa voce, mentre si avvicinava. “Bill, devo chiederti scusa…” Continuò il ragazzo.
Il cantante scosse il capo e negò con un gesto le parole dell’amico, quindi sospirò mestamente, posando il mento sulle mani appoggiate sul corrimano.
“Ma mi sono lasciato trasportare ed ho aggredito Tom…” Insisté Andreas.
“Non fa niente.” Mormorò arreso Bill, continuando a negare col braccio. “Sono io che dovrei scusarmi con te, per averti coinvolto in questa cosa…” La sua voce si spezzò in un singhiozzo.
“Tu non mi hai coinvolto in niente…” Tentò l’altro.
“Adesso mi odiano tutti.” L’interruppe il cantante, con tono sconfortato. Andreas si preoccupò e fece un altro passo verso di lui. “Tom mi odia, gli faccio schifo…”
“Non dire così…”
“Avrei dovuto dirglielo.” Riprese però Bill, senza ascoltarlo. “Avrei dovuto spiegargli come sono io…” Continuò indicandosi con la mano aperta sul petto. “…ma ho sempre saputo che lo aveva capito, lui sa sempre tutto di me e io… io sapevo tutto di lui e ora…” Singhiozzò più forte e Andreas, dalla posizione in cui si trovava, poté vedere le lacrime scendere sul suo bel viso. “…ora mi sento come se mi avessero strappato a forza metà di me, mi sento segato in due.” La sua voce tremò di nuovo e non riuscì a fare altro che soffocare il viso nel gomito piegato.
“Fammi capire.” Gli chiese Andreas, fermandosi accanto a lui. “Tu pensi che Tom ti odi perché sei… omosessuale?”
“Perché? Non è così?” L’interrogò di rimando il cantante, con espressione contratta.
“Bill…” Fece l’amico, con tono comprensivo. “…io non credo che le tue preferenze sessuali abbiano qualcosa a che fare con il comportamento di Tom…”
“E allora?!” Esclamò disperato il ragazzo, con il trucco che ormai gli rigava pesantemente il viso. “Io non capisco… io non lo capisco più e… ho paura, Andi! Non mi sono mai sentito così solo!”
“Ma tu non sei solo, Bill!” Replicò d’impeto l’amico, afferrandolo per le spalle. “Ci sono io!”
“No, Andi…” Mormorò il cantante, abbassando gli occhi e scuotendo il capo. “Io non posso farti questo, non voglio che pensino male di te, ci tengo troppo alla tua amicizia…”
“Bill, ma non capisci?” Fece allora l’altro, costringendolo ad alzare lo sguardo. “Io ci sono già impantanato in questa cosa.” L’altro ragazzo aggrottò la fronte con espressione interrogativa. “Già, dalla prima volta che ti ho guardato negl’occhi…”
Bill sentì qualcosa di molto forte e caldo scendere fin nel suo stomaco, poi risalire verso il suo cuore e allargarlo. Le lacrime gli risalirono agli occhi, ma stavolta non erano lacrime di dolore. Non poteva credere a ciò che pensava di aver capito. Erano stati proprio i suoi sentimenti per Andreas a chiarirgli le idee, a convincerlo definitivamente sulle proprie preferenze. E adesso? Le parole dell’amico significavano forse che era corrisposto? Questo non lo aveva mai nemmeno sperato… ma se c’era una possibilità… Andi, dimmi che c’è, ne ho bisogno…
“Bill, io…” Riprese Andreas, continuando a tenere le mani sulle spalle del cantante, salde. “…ti giuro che avrei tenuto per me questa cosa per sempre, non voglio crearti problemi.” Aggiunse serio. “Ma ora sei tu che me lo hai confessato e non posso sapere questo di te, senza dirti quello che provo io.” Le labbra di Bill tremarono. “Io… ti voglio bene… e non come un amico dovrebbe…”
Quelle ultime tremanti parole ebbero l’effetto del sorgere del sole, nel cuore di Bill. Un sorriso incerto gli allungò le labbra pallide, mentre il cantante si stupiva di come dolore e gioia potessero convivere dentro di lui. Perché era felice di quella dichiarazione, gli sollevava l’anima, ma continuava a soffrire per la storia di Tom. Sopraffatto dalle emozioni, non poté fare altro che abbracciare Andreas, il quale, sorpreso, rispose solo dopo qualche secondo.
Stava cominciando a piovere, ma i due ragazzi non ci fecero molto caso, stretti l’uno all’altro, finalmente liberi dalle barriere che si erano autoimposti. Il respiro di Bill contro il collo, riempiva Andreas di brividi, per anni lo aveva desiderato così vicino. Il calore delle mani di Andreas sulla propria schiena, facevano sentire Bill un po’ sereno, per la prima volta da giorni.
Il cantante alzò gli occhi, scrutando quelli verdi dell’amico e la sua bocca. Desiderava baciarlo. Sollevò una mano e gli sfiorò le labbra con le affusolate dita. L’altro lo guardò, sorpreso da quel gesto inaspettato, poi si guardò intorno.
Erano su un terrazzo, pioveva, ma la cosa peggiore era che stavano in uno spazio aperto e vulnerabile. Per quanto lo desiderasse anche lui, non potevano baciarsi lì.
Andreas trascinò, quasi di peso, Bill dentro la torretta delle scale. Lo fece appoggiare contro il muro e quindi si mise ad osservarlo. Nonostante i capelli già un po’ bagnati, il trucco sfatto e colato sul viso, l’espressione comunque triste, era bellissimo, come sempre. Allungò una mano, gli aggiustò un ciuffo di capelli e gli pulì appena gli zigomi dal nero sceso dagli occhi, poi gli carezzò la guancia e si avvicinò. Bill non attese oltre, gli gettò le braccia al collo e lo baciò d’impeto.

Vuoto. Eccolo che tornava, pensò Tom, sprofondato nel sedile del taxi che lo riportava in albergo. Erano almeno sei mesi che si sentiva così e non trovava nulla che riuscisse a riempire quella specie di buco nero che si era creato dentro di lui. Non servivano ragazze o birra e, ultimamente, anche la musica aveva un’utilità limitata e non mai successo. Gli veniva più difficile comporre, accordare il suo stato d’animo alle parole, sempre così profonde, dei testi di Bill.
Già, Bill. Non riuscivano più a parlare come una volta, loro due. Suo fratello sembrava vivere nel suo mondo, completamente soddisfatto di ciò che lo circondava, del successo, dei premi, della musica e continuava a scrivere canzoni sempre più belle. E lui non riusciva a seguirlo, a stargli al passo, a scrivere musica all’altezza di quelle parole. Non lo capiva più.
All’inizio questa cosa lo aveva spaventato, ma poi si era detto che, forse, doveva succedere. Crescendo, si sa, si cambia e anche due gemelli affiatati come loro si creano nuovi interessi, passioni diverse, ideali diversi. E, chissà perché, questa consapevolezza lo aveva fatto arrabbiare. Non riusciva ancora a collegare che quello era anche il momento in cui era comparso il vuoto.
Quando aveva conosciuto Paula, per un attimo, aveva pensato che la ragazza potesse riempire la voragine, senza capire che quell’assenza era troppo grande.
Perché Bill non si accorgeva che lui stava male? Ora Tom pensava di aver capito il motivo: c’era qualcosa che lo distraeva. C’era qualcuno che limitava il suo sguardo. C’era Andreas.
Il migliore amico che entrambi avessero avuto, quello che gli era stato vicino sempre, che li aveva sostenuti, quando erano davvero in pochi a credere in loro e Tom gli voleva bene… gli aveva voluto bene, perché ora non sapeva esattamente definire il sentimento che provava.
Si era accorto subito che tra Andreas e Bill c’era qualcosa che scorreva sotto la superficie, più potente dell’amicizia, fin dal loro primo incontro. Ogni battito del cuore del suo gemello, allora, gli arrivava addosso come i cerchi concentrici nell’acqua raggiungono la riva dopo che hai buttato un sasso. Oh, e il cuore di Bill, in presenza Andreas era una specie di locomotiva lanciata a tutta!
Perché aveva dovuto mettersi in mezzo? Perché Tom si sentiva come se tutto ciò che perdeva nel rapporto con Bill, fosse raccolto da Andreas? Avrebbe dovuto essere felice per suo fratello, invece gli si allargava il buco nel cuore…
Tutti erano contro di lui. Era così. Nessuno lo capiva, deploravano il suo comportamento, la sua storia con Paula, il suo sarcasmo e lui si sentiva assediato. E reagiva con la rabbia, chiudendosi ancora di più in se stesso. Bill soffriva? Beh, non gliene importava nulla, che soffrisse pure. Non lo capiva più e preferiva la compagnia di Andreas? Bene, era chiusa così. Fanculo tutti quanti e soprattutto quella checca isterica di suo fratello, tanto, a quanto pare, gli piaceva anche.
Tom prese una decisione, appena prima che il taxi fermasse davanti all’hotel. Doveva prendere in mano la sua vita. Ma che cazzo stava facendo?

David tornò nella sala prove dopo essersi fumato un paio di sigarette e non trovò cantante e chitarrista, ma solo le facce non proprio allegre degli altri due. L’uomo chiese dove fossero Tom e Bill, ma l’unica risposta che ottenne fu un contemporaneo stringimento di spalle. Allora, con un’incazzatura già ben avviata, andò a chiedere in portineria. Lì seppe che Tom aveva chiamato un taxi e se n’era andato da solo, mentre sembrava che Bill fosse salito sul terrazzo.
“Se è andato a fumare lo strozzo…” Mormorò tra se il manager, mentre saliva le scale due alla volta. Ma la scena che si trovò di fronte, una volta giunto sul pianerottolo, non fu certo quella che si aspettava.
L’uomo rimase impietrito, con il piede sull’ultimo gradino, quando vide Bill e Andreas, appoggiati al muro, che si baciavano. E non era un bacio tra amici. No, decisamente non sbatti sul muro un amico in quel modo. E non gli ficchi in bocca mezzo metro di lingua. E non infili le mani sotto la sua maglietta come faceva Bill con Andreas.
Lo sapeva. Il momento tanto temuto era infine giunto: il suo cantate aveva aperto gli occhi, e qualcos’altro, alla propria natura…
David si ricompose, respirò a fondo, aggiustandosi la maglietta e il giubbotto di pelle, quindi tossicchiò, per attirare l’attenzione dei due giovani. Loro si staccarono, quasi sobbalzando, quando si accorsero di essere osservati. Bill spalancò occhi e bocca in un’espressione terrorizzata. Andreas si grattò la nuca, imbarazzato.
“Ok…” Fece il manager con invidiabile self control. “Parliamone.”
Qualche minuto dopo erano asserragliati nella sala prove. Andreas e Bill in piedi, quasi sotto accusa, David seduto di fronte a loro, sullo sgabello di Georg; quest’ultimo e Gustav erano dietro la batteria e assistevano un po’ perplessi alla scena.
“Bene.” Esordì il manager, battendo piano le mani. “Da quanto va avanti?” Chiese a Bill e Andreas.
“Da circa… dieci minuti…” Rispose il secondo, il cantante annuì.
“Volete dire che non era mai successo nulla prima di questo?” L’interrogò l’uomo sorpreso, con un gesto che includeva i due ragazzi e un riferimento al balcone. Bill negò col capo. “Tutti questi anni e… niente?” Continuò l’uomo, loro negarono nuovamente.
“Che ci vuoi fare, siamo scemi.” Affermò Andreas con un’alzata di spalle, il cantante gli fece un sorriso triste.
“Uff…” Soffiò David, passandosi una mano tra i capelli. “È meno grave di quel che credevo, allora…” Mormorò poi, leggermente sollevato.
Gustav e Georg continuavano ad ascoltare e a non capirci un cavolo. Ma che era successo? Avevano capito solo che Bill aveva pianto, ma non era difficile, ora assomigliava ad un panda, visto quanto era sbavato il suo trucco. Ma che c’entrava Andreas?
“Vi ha visti qualcuno, a parte me?” Gli domandò allora il manager.
“No.” Rispose Bill.
“Bene.” Annuì l’altro. “E, a parte i presenti, lo sa qualcun altro?”
“Solo Tom.” Disse Andreas, provocando un’espressione tristissima sul viso del cantante; quando se ne accorse, lo prese per le spalle e lo strinse delicatamente. Bill gli sorrise, vagamente riconoscente.
Bassista e batterista cominciarono a pensare che David li avesse beccati in atteggiamenti non proprio da amici. Ad ogni modo, qualcosa era successo. Il loro modo di fare era cambiato in quei pochi minuti, erano più intimi, complici e gli sguardi che si scambiavano fin troppo eloquenti.
“Tu e Tom avete litigato per questo?” Domandò allora il manager al cantante, indicando con un cenno l’amico che lo teneva ancora per le spalle.
“Ehm, no…” Rispose lui incerto. “Cioè, non solo, ma…”
“Posso sapere il motivo?” Soggiunse l’uomo.
“Veramente…” Fece Bill, abbassando gli occhi. “…sarebbe una cosa… privata…” Ma anche lui stentava a capire il vero motivo che aveva scatenato la rabbia di Tom. Il manager annuì.
“Allora…” Riprese David. “…niente di tutto questo esce da qui.” Sentenziò, quindi rivolse lo sguardo a Georg e Gustav, spronandoli ad una risposta.
“Certo che no.” “Niente.” Risposero loro, che non sapevano nemmeno di che si parlava, però lo fecero, per spirito di gruppo.
“E mi raccomando discrezione, da parte vostra.” Continuò il manager, stavolta rivolto a Bill e Andreas.
“Stai tranquillo, David.” Gli rispose il cantante. “Sono sempre stato discreto, lo sai.” L’altro annuì, dandogli fiducia con uno sguardo.
“Un’altra cosa.” Affermò l’uomo, dopo essersi alzato ed aver radunato i ragazzi davanti a se. “Da ora in avanti, fino all’intervista di domani e alla conferenza stampa di giovedì, non si parla coi giornalisti, non si risponde alle domande, nessuna domanda che non sia concordata. Fate finta di non sentire, glissate, aggirate, ma non rispondete. Dobbiamo arginare qualunque pericolo.” Gli raccomandò serio. Tutti annuirono. “Con Tom ci parlo io.” Aggiunse quindi, per togliere dall’imbarazzo Bill e gli altri.
“Bill.” Chiamò Georg, quando David era già uscito dalla sala ed erano rimasti solo i ragazzi. Il cantante si girò, con espressione interrogativa. “Io e Gustav volevamo dirti che, per noi, non cambia nulla.” Affermò il bassista, quindi spronò l’altro a continuare.
“Già.” Fece Gustav annuendo. “Sei sempre il nostro Bill e non siamo qui per giudicarti.”
Il cantante si sentì profondamente commosso da quelle parole. Aveva creduto di aver perso la stima dei suoi amici, per ciò che era venuto fuori quel giorno, ma ora sapeva che non era così.
“In fondo, una stranezza in più o in meno che differenza fa?” Soggiunse il bassista, stringendosi nelle spalle.
“Vero.” Annuì il batterista. “Noi ti vogliamo bene così come sei.”
Gli occhi di Bill erano di nuovo lucidi. Non avrebbe mai immaginato una reazione del genere da parte dei suoi compagni. Certo, non erano mai stati intolleranti, ma la loro esperienza non era stata così ravvicinata. Gli sorrise riconoscente.
“Grazie, ragazzi…” Mormorò con voce rotta. “Anch’io vi voglio bene…”

CONTINUA

(*) Funke – scintilla

Ringraziamenti:
Michela – spero che questo secondo capitolo ti abbia soddisfatto come il primo. Grazie per i complimenti.
Lilya – mi fa davvero piacere che tu trovi umani i miei personaggi, ci tengo molto a questo aspetto. Credo che in molti amino Bill e Andi, direi che posso essere soddisfatta. Ah, e sono felice di averti salvato dalla morte cerebrale!
Sarakey – Sarina che ti devo dire… sei proprio una tessssora! Il capitolo ormai lo hai letto, ma so che lo rifarai, quindi ti ringrazio di nuovo, per la passione con cui ami la coppia Bill/Andreas, per le sberle che vorresti dare a Tom, anche se so quanto grande sia il tuo amore per lui e per le bellissime cose che mi dici sempre. Ti cito, dichiarando che ti ADORO!
RubyChubb – se le meringhe non ci travolgono (e hai visto che in questo capitolo piovono, letteralmente) dovremmo uscirne vivi. Mi fa tanto piacere che non giudichi patetica questa storia, perché ci tengo all’opinione di una scrittrice che ammiro. Spero che l’insulina non ti ci voglia, ma ho paura che quella scena in terrazza…
Melusina – grazie per i complimenti, sono felice che questo Bill ti piaccia, ho cercato di lasciargli le sue caratteristiche, pur adattandolo alla storia e se i lettori lo apprezzano non posso che gioirne!
Whity – grazie! Un’altra ammiratrice di Bill/Andreas! Allora sti due funzionano, eh? Anche in questo capitolo? Bill è Bill? Il complimento più soddisfacente! Adoro la definizione di Tom: disperatamente antipatico. È così che lo voglio in questa storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 - A pale shade of what we were ***


lies bleeding - 3
Terzo capitolo. La storia va avanti e le cose tra i gemelli non migliorano, ma la speranza ci accompagna! Può darsi che i prossimi aggiornamenti non siano così regolari, perché i capitoli sono ancora in fase di scrittura. Mi spiace, ma siate felici che comunque continuo!

Ah, ho visto che ci sono tante tante letture in questo racconto, ma poche recensioni. Via, vi prego, fate uno sforzino e ditemi cosa ne pensate, anche se vi fa schifo!

Da questo capitolo ho alzato il rating. Si comincia a parlare di sesso e, anche se non entrerò molto nei particolari, ci potrebbero essere tematiche che è meglio trattare sotto rating Rosso. Mi spiace per quelli che non potranno accedervi, ma era necessario. Meglio prevenire.

Adesso vi lascio alla lettura. Saluti e ringraziamenti alla fine.


3 – A pale shade of what we were

Bill aveva fatto la doccia, si era messo il pigiama ed ora era rannicchiato sulla poltrona, pensando cosa fare: guardare la tv? Andare a dormire? Chiamare i ragazzi? Scrivere?
In realtà tutto ciò che cercava, in quella sera troppo solitaria, era il vuoto nel cervello. Troppi pensieri. Troppo dolore. Troppo silenzio in quella stanza d’albergo. Gli mancava disperatamente Tom. E aveva ancora dubbi su ciò che era successo con Andreas quel pomeriggio.
Aveva tante di quelle cose in mente che non riusciva a rimetterle in ordine. Si strinse la fronte tra le dita, massaggiandosi. Gli stava maturando un gran bel mal di testa. C’era troppa luce, quindi si alzò per spegnere la lampada, ma in quel momento bussarono.
Il cantante andò ad aprire con passo stanco. Quando alzò gli occhi, dopo aver tirato a se la porta, si trovò di fronte proprio Andreas. Il cuore gli balzò in gola.
“Ciao.” Salutò il ragazzo. “Posso entrare?” Gli chiese poi, quando vide l’altro immobile. Bill, si scostò per farlo passare, dopo aver annuito.
“Come va?” Domandò Andreas, quando i due furono tornati nel soggiorno.
Bill si strinse nelle spalle magre. “Sopravvivo…” Mormorò poi, stancamente.
C’era un discreto imbarazzo nell’aria, in fondo non si erano spiegati molto, prima del bacio. E dopo non ne avevano avuto il tempo. Ma Andreas voleva sistemare le cose per bene. Ora che, finalmente, tutto era venuto fuori, non poteva perdere tempo. E poi, non voleva lasciare solo Bill. No, non voleva lasciarlo mai più.
Il ragazzo guardò il cantante prendere qualcosa sul tavolino tra le due poltrone, poi aprire la finestra e uscire sul balcone. Non ci volle molto perché un odore familiare arrivasse anche dentro.
“Non dovresti fumare.” Consigliò Andreas, una volta raggiunta la finestra. Bill era vicino alla balaustra, un braccio attorno al torace, l’altro alzato a tenere la sigaretta.
Il cantante si strinse nelle spalle, poi scrollò la cenere giù dal balcone. L’amico restò sulla soglia del terrazzo a guardarlo fumare, in silenzio, finché lui non finì la sigaretta e la spense nell’apposito vaso d’ottone pieno di sabbia, posizionato nell’angolo alla sua destra. Bill, quindi, tornò dentro, passandogli a fianco, ma senza guardarlo.
“Senti, Andi…” Esordì infine il cantante, fermo davanti al televisore, con le braccia lungo i fianchi.
“Dimmi.” L’incitò l’amico.
“Siediti, per favore.” Lo pregò Bill, indicandogli la poltrona davanti a se. Lui lo fece. “Andi…” Il ragazzo dai capelli scuri sembrava molto titubante. “…riguardo a quello che è successo oggi…”
“Se credi che sia pentito, ti sbagli.” Affermò Andreas, serio e deciso. “Ho aspettato anni, per avere da te ciò che mi hai dato oggi e non torno indietro.”
Gli occhi di Bill si fecero grandi, poi aggrottò la fronte e fece un sorriso incredulo e commosso, quindi si avvicinò all’altro ragazzo. Posò le proprie mani su quelle di lui, ferme sui braccioli della poltrona. Erano calde, le mani di Andi. Il cantante sorrise di nuovo, con più calore e l’amico sentì qualcosa muoversi dentro di se. Paura e desiderio combattevano nel suo stomaco. Bill s’inginocchiò davanti alla poltrona e il cuore di Andreas si fermò.
“Allora, mi vuoi davvero?” Gli domandò il cantante, ancora sorpreso da quella realtà.
“Non voglio nessun altro che te.” Sussurrò Andreas in risposta.
Bill si sporse velocemente e catturò le sue labbra. Un bacio leggero ma sensuale. Spostò quindi lo sguardo in basso e cominciò a sbottonare la camicia che l’altro indossava. Quando fu aperta, gli carezzò l’addome e il petto con le sue dita particolarmente fredde, facendo venire i brividi al ragazzo, che non riusciva a distogliere gli occhi da quelle unghie laccate di nero.
La memoria di Bill tornò alla sua prima volta. Erano in vacanza in quel bellissimo villaggio. Il sole, il mare, il cielo azzurro, tutto perfetto. Lui era gentile, sexy, lo eccitava, ma gli ci volle una canna per perdere le inibizioni, quella sera. Perché pensava sempre ad Andreas, anche se lui era fidanzato. Quel ragazzo fu tenero e abile, però fu doloroso lo stesso.
Stanotte sarebbe stato diverso. Stanotte c’era Andi con lui e niente avrebbe rovinato quel momento.
Il cantante si piegò su di lui e cominciò a baciarlo, risalendo dall’ombelico al petto, con delicatezza, quasi venerando ogni centimetro di pelle che conquistava. Andreas era sempre più eccitato e il suo respiro si era fatto pesante. Quando Bill si fermò su un capezzolo, inarcò la schiena e socchiuse gli occhi. Ma l’altro smise e si allontanò un po’.
Andreas aprì gli occhi e trovò Bill fermo davanti a lui, sempre inginocchiato tra le sue gambe, che lo fissava serio, solo col respiro un po’ affannato. Lui lo fissò interrogativo.
“Lo hai mai fatto con un ragazzo?” Gli domandò il cantante, Andreas negò col capo. “Non ti preoccupare…” Continuò Bill, alzandosi e porgendogli le mani perché facesse lo stesso. “…ti insegno io.” E il sorriso che seguì gli tolse ogni dubbio.
Andreas afferrò saldamente le mani di Bill, che non erano più così fredde e si alzò, sorridendo a sua volta. L’altro lo condusse verso la camera, dopo aver spento le luci del soggiorno. La porta bianca si chiuse dietro di loro.

Non sapeva perché quella luce azzurrina e opaca entrava nella stanza, filtrata dalle tende; forse c’era la luna piena e particolarmente bassa. Fatto sta che la camera era fiocamente illuminata e lui poteva vederlo, poteva gioire di quello spettacolo.
Bill era steso a pancia in giù e dormiva beato, tra le lenzuola stropicciate. La sua schiena bianca, scoperta fino ai fianchi, si offriva all’ammirazione, liscia. I capelli, sparsi sulle spalle, contrastavano con tutto quel candore. Andreas l’accarezzò piano, seguendo la linea sinuosa della spina, scansando un paio di nei incontrati nel cammino. Arrivato ai fianchi, afferrò il lenzuolo e lo coprì un po’ di più. Non si era accorto che l’altro si era svegliato.
“Non dormi?” Gli domandò con un filo di voce, prima di allungare una mano e sfiorargli il viso. Andreas, colto di sorpresa, sussultò appena, poi sorrise e negò col capo.
“Preferisco guardarti, sei così bello…” Rispose poi, in un sussurro. Il sorriso che ebbe in cambio era pagamento sufficiente per un milione di frasi del genere.
“Neanche tu sei tanto male.” Affermò divertito il cantante, continuando a carezzargli la guancia. “Ma credo che dovremmo davvero dormire un po’, sembra ancora notte fonda…”
“Sono le tre passate da poco.” L’informò l’altro.
“L’avevo detto che era notte…” Commentò languido Bill, rituffandosi nel cuscino con un sospiro. Andreas ridacchiò.
Bill, a occhi chiusi, si spinse verso l’altro ragazzo e gli passò un braccio intorno alla vita, abbracciandolo. Andreas lo accolse e alzò il mento, per permettergli di posare il capo sulla sua spalla. Il cantante sospirò soddisfatto, sistemandosi con un sorriso.
“Ti ho fatto molto male?” Domandò poco dopo Andreas, con tono apprensivo.
Bill sollevò appena il viso dal suo collo e lo guardò sorpreso. “Non più del necessario.” Rispose poi, tranquillo. Andi abbassò lo stesso gli occhi.
“È che…” Riprese poi. “…io non vorrei mai farti del male.” Il tono era mesto.
“Hey!” Soggiunse Bill, sollevandosi sui gomiti e prendendogli il viso tra le mani. “Sei dolce a pensare certe cose, ma non sono così fragile, non sono di vetro!”
“Sì, ma tu sei… prezioso, per me…”
“Oh, Andi!” Esclamò piano Bill, con uno sguardo pieno di tenerezza. “Sei davvero gentile a preoccuparti per me, ma, credimi, tu non potresti mai nuocermi.” L’espressione dell’altro, però, continuava ad essere poco convinta. “Smettila di fare questa faccia, o vuoi che mi penta di aver fatto l’amore con te?”
Lo sguardo di Andreas si fece corrucciato. “Lo faresti?” Interrogò con preoccupazione.
“Mai.” Rispose Bill con grande dolcezza, quindi si strinse di nuovo a lui.
Il suo corpo era tiepido e sottile e l’altro ragazzo lo abbracciò delicatamente. Rimasero così, a godersi il tepore della pelle contro la pelle, del respiro dolce dell’altro, finché il sonno non li vinse. E Andreas pensò che quello era il contatto più intimo e bello che avesse mai provato.

Bill fu svegliato da un rumore particolare. Come quando si sposta una chitarra e nel farlo la si sbatte accidentalmente e la cassa risuona a vuoto. Troppo familiare per non attirare l’attenzione del cantante. Forse Tom era tornato, doveva saperlo.
Il ragazzo si alzò, scivolando dal debole abbraccio di Andreas, che dormiva profondamente. Si mise i boxer e una maglietta e lasciò silenzioso la stanza. Attraversò il soggiorno e raggiunse la camera di Tom. La porta era aperta e, quando vide cosa succedeva dentro, rimase pietrificato sulla soglia.
“Tomi, che cosa stai facendo?” Domandò allarmato al fratello.
“Che ti sembra?” Replicò il chitarrista, senza voltarsi, mentre ripiegava con poco garbo una maglietta. “Sto facendo le valige.”
“Perché?!” Esclamò Bill, quasi spaventato.
“Me ne vado, no?” Ribatté gelido il gemello.
“Co… cosa?! Come, te ne vai? E dove?!” Il ragazzo era completamente disorientato, che cosa stava succedendo? Tom se ne andava? Li lasciava così?!
“Prendi aria, cambio solo camera.” Affermò Tom, con tono indifferente, mentre chiudeva la valigia.
“Ma… mi spieghi per quale motivo?” Gli chiese il fratello, che certo era stato rassicurato, perché temeva proprio che Tom stesse lasciando il gruppo, ma non riusciva comunque a capire.
Il chitarrista si girò verso di lui per la prima volta dall’inizio della conversazione. I suoi occhi erano freddi, quasi annoiati. Incrociò le braccia in una posa esasperata.
“Mi sembra che entrambi abbiamo bisogno di privacy.” Rispose infine, serio.
“Ma… ma Tomi… noi abbiamo sempre diviso la camera…” Balbettò incredulo Bill.
“I tempi cambiano.” Soggiunse l’altro, stringendosi nelle spalle; quindi si caricò in spalla un borsone e prese la custodia della chitarra. “Il resto torno a prenderlo dopo, salutami Andreas…” Aggiunse, concludendo la frase con un sorrisino malizioso.
“To… Tomi…” Mormorò Bill con un filo di voce, continuando a fissare la stanza, mentre il gemello se ne andava.
Il ragazzo rimase immobile, appoggiato senza forza contro lo stipite della porta. Non riusciva a credere a quello che era appena successo. Lui e Tom. Avevano diviso ogni cosa, a partire dal liquido amniotico e non avevano mai avuto problemi a condividere lo stesso letto, figuriamoci una stanza d’albergo, per giunta con due camere… Che cosa stava succedendo?! COSA?!
Il rumore soffuso della serratura principale che si richiudeva alle spalle di Tom lo risvegliò dallo stato catatonico in cui sembrava caduto. Sussultò forte, con un singhiozzo, come se quel rumore appena accennato fosse stato lo scoppio di un petardo. Si portò una mano alla bocca e una allo stomaco e strinse. Quindi corse verso la sua stanza.

Andreas si era svegliato da qualche secondo, stupito di non trovare Bill accanto a se. Stava per scendere dal letto per cercarlo, quando il cantante si precipitò dentro la camera, gli passò davanti senza guardarlo e infilò la porta del bagno, chiudendosela alle spalle con violenza.
Il ragazzo capì subito che era successo qualcosa, anche prima di sentire rumori di oggetti caduti, o meglio lanciati, provenire dalla stanza accanto.
Si liberò sbrigativamente delle lenzuola e cercò i suoi boxer, che non trovò subito, mentre ai suoni di oggetti rovesciati si aggiungevano i singhiozzi di Bill. Una volta rivestito si precipitò alla porta del bagno, per fortuna non era chiusa a chiave. Trovò il cantante che, con il viso sconvolto dalle lacrime e dalla rabbia, lanciava di tutto in giro per il bagno. Lo bloccò prima che scaraventasse un pesante porta fazzoletti di alabastro contro il vetro della doccia.
“Bill, per l’amor di Dio!” Esclamò, afferrando l’oggetto dalle sue mani. “Hai già fatto abbastanza danni, tesoro, ora basta…” Gli sussurrò poi, con dolcezza.
Bill si divincolò dalla sua presa ed emise un suono esasperato, a metà tra un ringhio e un gemito, poi si lasciò andare al pianto, portandosi le mani sul viso.
“Piccolo, ma che cosa è successo?” Gli domandò preoccupato Andreas, avvicinandosi e toccandogli una spalla. Lui si ritrasse.
“Se n’è andato…” Mormorò Bill, fissando il vuoto. “Se n’è andato, capisci?!” Gridò poi e, con un altro gemito, cadde seduto sullo scalino della vasca da bagno.
“Chi?” Domandò Andreas, dopo essersi messo accanto a lui, cercando di essere delicato.
“Tom!” Rispose in un sibilo il cantante. “Ha cambiato camera!”
L’altro ragazzo si fece perplesso, aggrottando la fronte. “È così grave?” Chiese, pensando che forse era anche meglio, se in quella situazione il chitarrista si era allontanato.
Bill lo guardò in un modo tale che, per un momento, Andreas pensò lo avrebbe ucciso, c’era una rabbia così sorda nei suoi occhi che ne ebbe quasi paura. Poi, però, il suo sguardo tornò triste e le lacrime ripresero a scorrere.
“Ma non capisci?” Gli disse, con voce rotta. “Lui non vuole stare più con me, lo so… Lo sto perdendo, Andi!” Aggiunse disperato, tuffandosi tra le sue braccia. L’altro non poté fare altro che accoglierlo e stringerlo a se. “Come faccio io, senza di lui?” Mormorò quindi Bill, soffocando il pianto nella spalla dell’amante.
Andreas capì che non c’era niente di utile da dirgli in quel momento. Nulla che lui potesse dire poteva rassicurare Bill. Solo Tom, dentro di se, aveva le parole giuste, ma non sembrava pronto a trovarle. Abbracciò dolcemente Bill, cullandolo contro di se. Forse non poteva tranquillizzarlo a parole, ma poteva dargli il proprio amore. Gli baciò i capelli e lo strinse di più.

Qualche ora dopo, quando Bill riaprì gli occhi, steso sul letto, aveva un cerchio alla testa assurdo. Si passò una mano sulla fronte, sperando che quel senso d’oppressione sparisse, ma quando piangi tanto non è proprio facile.
“Buongiorno.” Mormorò dolcemente Andreas, sedendosi sul bordo del letto. Bill gli sorrise appena. “Mal di testa?” Gli domandò allora il ragazzo.
Lui annuì e l’altro gli mostrò un bicchiere d’acqua e due aspirine, che posò sul comodino, prima di rialzarsi. Bill si tirò su, pronto a prenderle.
“Grazie.” Affermò, mentre afferrava il bicchiere.
“Figurati.” Replicò Andreas, negando con un gesto. “Mi dispiace averti svegliato, ma è già passata due volte Dutti, a mezzogiorno dovete essere ad Mtv e sono quasi le dieci.”
“Non ti preoccupare, dovevo alzarmi comunque.” Ribatté Bill, dopo aver ingoiato le aspirine. “È inutile stare qui a piangersi addosso, no?”
“Non sei mai stato il tipo che si piange addosso.” Gli disse l’altro, alzandosi.
“Humpf, non lo so…” Sbuffò il cantante. “…in questi giorni mi sembra di essere tornato il ragazzino sfigato che ero ai tempi della scuola.” Aggiunse sconsolato.
“Anche allora…” Affermò Andreas, tornando verso di lui. “…non ti sei mai arreso e, alla fine, sei stato tu a farcela, non quegli stronzi che ti sfottevano.”
Bill lo guardò riconoscente, poi fece un breve sorriso. “Ma come fai a dirmi sempre la cosa giusta?” Gli chiese poi; anche Andreas sorrise.
“Non lo so, però…” Rispose quindi. “Lo sai che io ci sono sempre, per te, vero?”
“Ringrazio Dio, o chi per lui, di questo.” Ammise Bill. “Se tu non ci fossi mi sarei già buttato dalla finestra…” Aggiunse mogio.
“Non dire cazzate!” Sbottò l’altro, facendosi subito allarmato.
“Tranquillo, non lo farei mai…” Lo rassicurò il cantante, con un sorriso incerto. Andreas corse da lui e lo abbracciò d’impeto.
“Non farmi preoccupare, hai capito?” Gli ordinò, stringendolo con forza. Bill annuì, contro il suo collo, poi sospirò e gli abbracciò dolcemente il capo, annuendo ancora.

I quattro componenti dei Tokio Hotel erano seduti nel camerino loro assegnato negli studi di Mtv. Mancava ancora mezz’ora all’inizio di Trl, programma cui dovevano partecipare.
Gustav, seduto davanti allo specchio, picchiettava nervosamente con le dita sul tavolo, seguendo l’irritante ritmo di un suo trip mentale, dato che aveva lo sguardo vacuo. Tom stava alla finestra, fumando assorto. Bill si aggiustava continuamente i capelli, gettandoli dietro le spalle con un perpetuo gesto delle mani. Georg si arrese all’esasperazione e soffiò pesantemente, poi si girò verso il cantante, che era seduto accanto a lui sul divano.
“Bill…” Gli disse con uno sguardo minaccioso. “…se ti aggiusti di nuovo i capelli ti tiro una testata, giuro.”
“Scu… scusa…” Balbettò l’altro, imbarazzato, ritirando la mano che si era appena alzata per scostare di nuovo i ciuffi sulla schiena. “È che sono un po’ nervoso…”
“Lo siamo tutti.” Rispose a sorpresa Gustav.
I tre ragazzi si guardarono, mentre Tom li ignorava, continuando a scrutare fuori della finestra. I loro volti erano tesi, si preoccupavano delle domande che gli potevano essere rivolte: nonostante fossero state concordate, c’era sempre da regolarsi con le risposte. Quel momento di crisi non aiutava di certo. Bill rivolse un’occhiata fuggevole al fratello, poi si girò verso agli altri.
“Vado un attimo fuori a fumare una sigaretta.” Dichiarò prima di alzarsi dal divano.
“Ok.” Annuì Gustav, sempre fermo nel solito posto.
“Vai, sì.” L’incitò Georg, con una pacca sulla spalla. “Così ti rilassi un attimo.” Bill annuì e si diresse fuori. Non si accorse che Tom lo aveva seguito con la coda dell’occhio.
Il cantante era andato a fumare sulla scala antincendio. Si era acceso una sigaretta guardando verso il basso. La struttura di metallo terminava in una specie di vicolo, stretto e lungo, chiuso da un alto cancello scorrevole, di quelli che non ci potevi vedere attraverso. Bill, dalla sua posizione, in alto rispetto alla strada, poteva vedere le teste delle loro fan che si assiepavano davanti agli studi. Il cielo era sempre grigio e l’aria umida.
“Non si era detto che smettevi?” Domandò una voce alle sue spalle; era David e Bill si voltò, sorridendogli a stento.
“È la prima che fumo da ieri.” Rispose, soffiando via il fumo.
“Ok, te ne concedo quattro al giorno.” Affermò allora il manager, mentre si avvicinava.
“Sei.” Replicò Bill.
“Cinque.” Ribatté Jost.
“Andata.” Acconsentì il cantante annuendo.
L’uomo si fermò accanto al ragazzo, con le mani sulla ringhiera e scrutò a sua volta oltre il cancello. Bill, nel frattempo, finì la sigaretta.
“Hai parlato con Tom?” Chiese quindi il cantante.
“No.” Rispose David, scuotendo il capo. “Lo farò più tardi, però ho saputo che ha cambiato camera.” Aggiunse, scrutando l’altro che annuiva.
“Non ci capisco più niente.” Mormorò Bill affranto.
“Figurati io!” Esclamò il manager, levando gli occhi al cielo. “Voi due siete sempre stati un mistero per me…” Ammise poi; Bill abbassò il capo, il suo ciuffo sparato ondeggiò mesto.
“Non so che dirti, David…” Disse piano il cantante.
“Lascia stare.” Fece lui, negando con la mano. “Senti, a proposito, mi hanno anche riferito che Andreas ha passato la notte da te.”
“Ah…” Commentò soltanto Bill, sorpreso. “Come… come lo hai saputo?”
“Non sono cose che puoi nascondere allo staff.” Rispose David senza guardarlo.
“Capisco.” Annuì Bill, prima di chinare gli occhi imbarazzato.
“Ascolta, hai già capito che non m’interessa quello che fate, la vostra vita privata è solo vostra e mi sono sempre immischiato il meno possibile.” Dichiarò l’uomo, voltandosi verso il cantante e alzando lo sguardo su di lui. “Però, anche se mi rendo conto di chiederti un sacrificio, preferirei che non succedesse più, vista la situazione che stiamo attraversando.”
Bill prese un lungo respiro. “Non devi spiegarmi niente, David.” Affermò poi, guardando il manager negl’occhi. “Capisco perfettamente e ti prometto che non succederà più, saremo discreti. Tu sai quanto ci tengo a tutto questo.” Aggiunse serio.
“Sì, mi fido di te e anche di Andreas, so che siete due ragazzi responsabili.” Replicò David, dandogli un pacca sulla spalla. “Mi dispiace dovervelo chiedere, però non dipende da voi.”  
“Lo so, purtroppo non si può mai sapere da dove trapela una notizia…” Commentò sconsolato il cantante.
“È così.” Confermò l’uomo annuendo. “Dai, ora andiamo o faremo incazzare il conduttore come quella volta a Roma.” Aggiunse, spingendo Bill verso la porta a vetri.
“Ma quella volta a Roma fu colpa del traffico!” Affermò il ragazzo, mentre rientrava nell’edificio.
“Sì, e dei tuoi capelli…”
“Ma se i miei capelli erano semplicemente perfetti!”
“Appunto, un po’ troppo…”
“Il conduttore di Trl era solo invidioso perché io sono magro e bellissimo!” Proclamò allora Bill, aggiustandosi la fluente capigliatura con un gesto orgoglioso. David scosse il capo rassegnato.

L’intervento a Trl filò abbastanza liscio. Le domande della breve intervista furono quelle concordate e i ragazzi riuscirono abbastanza sciolti nel rispondere. Parlarono del concerto che si sarebbe dovuto tenere da lì a qualche giorno, poi glissarono abilmente sulle solite richieste a proposito di presunte fidanzate o storie varie. Nessun accenno ad ipotetiche crisi nel gruppo. Bill cercò di sorridere il più possibile. Alle fan presenti, però, non sfuggì una certa tensione sui volti dei musicisti e nemmeno il fatto che Tom e Bill non si guardassero mentre si esibivano. La questione finì in rete ancora prima che i Tokio Hotel fossero usciti dagli studi di Mtv.

La sera, dopo una cena frettolosa, i quattro ragazzi si ritirarono nelle proprie camere. Il nervosismo li aveva stancati molto più di quanto non avessero fatto gli impegni di lavoro.
Bill e Andreas riuscirono a sfuggire al controllo di David ed a ritagliarsi un po’ di tempo, prima che il manager decidesse che era abbastanza e li obbligasse ad andare a letto. In camere separate. I due giovani, adesso, erano nella suite del cantante, seduti su una poltrona, uno in braccio all’altro, che si scambiavano tenerezze, dicendo cavolate e ridendo di tanto in tanto. Tutto questo rilassava molto Bill che, perso negl’occhi di Andreas, riusciva almeno per un po’ a non pensare ai suoi problemi.
Qualcuno, però, bussò alla porta. Il cantante alzò gli occhi sorpreso, poi scambiò un’occhiata con l’amico e, visto che continuavano a bussare, si alzò riluttante.
“Chi è?” Chiese il ragazzo, prima di aprire.
“Siamo noi.” Rispose la voce di Georg. “Apri.”
Bill, ancora un po’ perplesso aprì la porta. Si trovò davanti bassista e batterista che, un po’ imbarazzati, aspettavano che li facesse entrare.
“Abbiamo interrotto qualcosa?” S’informò prudente Gustav.
“No.” Negò stupito Bill. “Entrate.” L’invitò poi, con un gesto; loro varcarono la soglia della camera. “Cosa siete venuti a fare?” Gli domandò però il cantante, seguendoli all’interno.
“Ciao ragazzi.” Li salutò nel frattempo Andreas.
“Ciao Andi.” Gli rispose Gustav.
“Ciao…” Fece Georg distratto, prima di girarsi verso Bill per rispondergli. “Beh, ufficiosamente, siamo qui per una partita a Monopoli.” Disse al cantante, mentre Gustav sventolava la scatola del gioco. Bill aggrottò la fronte.
“E ufficialmente?” S’informò quindi.
“Per parlare di Tom.” Sentenziò Georg serio. I due si fissarono per un attimo negl’occhi, finché il cantante non li abbassò e si diresse verso la finestra.
“Gustav, perché stati disponendo il Monopoli, dato che siete qui per tutt’altro?” Domandò Andreas al batterista, occupato a preparare il gioco.
“È un diversivo…” Rispose lui, ammiccando. “…così se entra qualcuno abbiamo una scusa.”
“Ah, ho capito…” Annuì il ragazzo divertito.
Bill, nel frattempo, aveva aperto la finestra e si era acceso una sigaretta. Pioveva e alcuni schizzi, rimbalzati sulla pietra del terrazzo, arrivavano quasi a bagnare i piedi del ragazzo. Georg lo raggiunse e si fermò a pochi passi da lui. Quando il cantante alzò gli occhi incrociò subito quelli chiari dell’amico, che lo scrutavano seri.
“Adesso mi dici perché avete litigato.” Gli ordinò il bassista, incrociando le braccia.
Bill prese un nervoso tiro dalla sigaretta, con la mano leggermente tremante, poi la gettò fuori, dove la pioggia la spense subito, in un lieve filo di fumo.
“Qualche giorno fa ho sorpreso Tom in un camerino con Paula Schneider e non stavano davvero giocando a Monopoli…” Raccontò il cantante, con un cenno distratto al gioco.
“Ah…” Commentò Georg, slacciando le braccia.
“Lo sapevo che non me l’ero sognato!” Intervenne Gustav, sobbalzando appena. Tutti lo guardarono.
“Che cosa?” Gli chiese il bassista.
“Ti ricordi che ieri, quando siamo entrati in sala prove, c’era anche Paula?” Georg annuì. “Beh, prima di andare via ha palpeggiato il culo di Tom.” Spiegò poi il batterista; Andreas spalancò gli occhi stupito, Bill sospirò.
“Ma davvero?” Interrogò invece Georg.
“Sì.” Annuì Gustav. “Gli ha dato una bella ravanata.”
Il bassista tornò a girarsi verso il cantante, che si era rimesso a guardare fuori. “Tu glielo hai detto che è un cretino a scoparsi quella stronza rizzacazzi?” Gli chiese quindi.
Bill si voltò. “Secondo te?” Fece retorico. “È per quello che abbiamo litigato, mi ha trattato di merda e poi se n’è andato sbattendomi la porta in faccia.” Rivangò tristemente il ragazzo.
“Sì, va bene, però se è una cazzata come questa, il problema, farete la pace.” Affermò allora il bassista, mani ai fianchi. Bill lo scrutò con uno sguardo affranto, che non sfuggì ad Andreas.
“Georg…” Lo chiamò Gustav, facendo voltare l’amico. “…non dirmi che non te ne sei accorto, non è da qualche giorno che Tom è strano, sono settimane che si comporta in modo imprevedibile.” Continuò serio. “Suona voltato verso di me e non certo per guardarmi, non sorride al pubblico e non guarda Bill negl’occhi durante i live da tempo immemorabile.”
La verità di quelle parole fece male a Bill, la cui mente ripercorse in un flash settimane, forse mesi, di comportamenti del fratello. Fu doloroso. Prese, infine, un lungo respiro, e diede le spalle agli altri ragazzi. L’aria umida di pioggia aveva un buon odore, rassicurante quasi, ma si rendeva conto di dover dire qualcosa.
“È colpa mia.” Dichiarò quindi, tornando a girarsi verso l’interno della stanza. Georg, Andreas e Gustav lo stavano fissando, ma lui abbassò gli occhi. “Io e Tom, ultimamente, ci siamo un po’ allontanati, ma pensavo che fosse una precisa esigenza di mio fratello, perché è stato lui il primo a staccarsi, o almeno lo pensavo.” Spiegò mesto. “Credevo che Tom avesse bisogno di più spazio per esprimersi, che volesse sviluppare la sua individualità, invece di essere metà dei gemelli Kaulitz, ma ho paura di aver frainteso il suo comportamento.”
“Ma che discorsi sono?” Intervenne Andreas. “Voi due siete sempre stati degli individui con una propria e, lasciamelo dire, forte personalità, non la metà di qualcosa.”
“Appunto.” Fece Bill. “È stato un mio errore anche pensare questo, come lo è stato nascondergli una parte importante di me…” Aggiunse sconsolato, guardando Andi negl’occhi. “…cioè quello che provo per te.”  
“Mi spiace dovertelo dire così…” Riprese Andreas con tono sincero. “…ma credo se ne sia reso conto da tempo.”
Il cantante abbassò di nuovo il capo. “Sì, lo credo anche io.” Mormorò poi. “Giuro che avrei voluto parlargliene, ma ogni volta che ci ho provato ho avuto paura e mi sono fermato…”
“Bill…” Lo richiamò Georg, il suo viso era serio, quasi cupo. “Una cosa è certa, tu sei l’unico che può far ragionare Tom, devi parlarci.” Proclamò quindi, fissandolo. “Non è solo qualcosa tra di voi. Tu e Tom siete il cuore di quello che siamo tutti e se non funzionate, ogni cosa va a puttane.”
Sì, Bill era consapevole di tutto questo e sapeva di dover parlare. Il problema era trovare il coraggio per costringere Tom ad ascoltarlo.

Tom si girò tra le lenzuola stropicciate, mettendosi supino. Allungò un braccio, ma sapeva che lei non c’era più. Paula non dormiva mai con lui e questo, da una parte, gli faceva quasi piacere. Non era una storia che volesse approfondire, quella con lei. Sentiva, però, di averne bisogno. Una contraddizione sciocca, di cui non si sapeva spiegare la ragione.
Il profumo di lei, dolcissimo e persistente, impregnava tutto il letto. In quell’esatto momento gli dava abbastanza fastidio. Stropicciò il naso con il dorso della mano, mentre si metteva seduto sul bordo del materasso. Prese un lungo respiro, poi si alzò.
Il ragazzo raccolse i suoi boxer e se l’infilò, poi si diresse alla finestra che dava sul balcone. Aprì il vetro. Pioveva. Si accese una sigaretta e cominciò a fumare appoggiato allo stipite, ma faceva freddo, senza quasi niente addosso.
Tom ripensò a quello che era successo poche ore prima. David, dopo cena, mentre gli altri andavano in camera, lo aveva garbatamente trattenuto. Il manager gli aveva intimato di non farsi scappare una parola su quello che stava succedendo. Non c’era stato bisogno di tanti discorsi, perché Tom capisse che David sapeva del litigio con Bill e della storia di Andreas.
Lui non aveva mai avuto intenzione di raccontare in giro gli affari di suo fratello, quindi quella conversazione era completamente inutile. Ma, d’altra parte, era anche vero che era stato proprio lui a sganciare la bomba addosso a Georg e Gustav. Non sapeva nemmeno perché lo avesse fatto. Era solo che in quel momento si sentiva pieno di rabbia, di frustrazione e di… gelosia.
Sì, fu costretto ad ammettere, mentre finiva la sigaretta, era geloso. Lui e Bill avevano sempre avuto un rapporto esclusivo, quasi simbiotico, fino a quando si era inserito Andreas che, con il suo carattere mite e solido, aveva conquistato entrambi i loro cuori. Era il loro amico, la persona speciale sulla quale contare sempre, quella da chiamare quando litigavi con tuo fratello. Aveva sempre saputo che tra Andreas e Bill il legame era ancora più profondo, ma finora non si era mai sentito minacciato. Il suo gemello ed il suo migliore amico. Se loro si amavano, lui che fine faceva? Che posto occupava tra di loro?
Tom non avrebbe mai ammesso di sentirsi fragile, ma l’idea di vedersi allontanato da entrambi gli faceva tremare il cuore.
Chiuse la finestra e si voltò verso l’interno della camera, poggiando la schiena contro il vetro freddo. Guardando la stanza vuota, illuminata fiocamente, col letto sfatto, si sentì tremendamente solo. L’orgoglio andò a farsi benedire, mentre desiderava avere Bill vicino, parlarci, ridere e battibeccare come un tempo. Ma lui non c’era. Lui era con Andreas.

Andreas salutò Gustav e Georg sulla porta, poi tornò nel soggiorno. Bill non c’era più e pensando che fosse andato in camera, il ragazzo spense le luci, ma poi si accorse che l’altro era di nuovo fuori sul terrazzo. Lo raggiunse.
Aveva smesso di piovere, ma l’aria era fredda e appiccicosa. Bill stava coi gomiti appoggiati alla balaustra e non era difficile immaginare cosa avesse in mano, visto il lieve filo di fumo grigio che gli saliva davanti alla faccia.
“Che cosa devo fare per farti smettere?” Sbottò Andreas con le mani sui fianchi.
Bill si girò con un breve sorriso, poi portò la sigaretta alle labbra e prese un tiro. “È l’ultima.” Dichiarò poi.
“Ah, finalmente!” Esclamò allora l’altro, avvicinandosi sorridente.
“L’ultima per oggi.” Precisò il cantante, agitando la mano adornata dalla cicca; Andreas lo scrutò torvo. “David me ne ha concesse cinque al giorno.”
“Io preferirei zero, però è un buon compromesso, per ora.” Concesse magnanimo Andreas.
“Che palle!” Soffiò Bill, roteando platealmente gli occhi. “Fumi anche tu.”
“Sì, due o tre sigarette al giorno, ma io non canto!” Replicò il ragazzo biondo, fermandosi vicino a lui. Si sorrisero.
“Te ne vai?” Chiese poco dopo Bill, guardando negl’occhi l’amico.
“Lo sai.” Rispose Andreas, ricambiando lo sguardo; l’altro chinò il capo. “E domani non ci sono.” Aggiunse il ragazzo, facendo rialzare gli occhi al cantante.
“Dove vai?” Domandò sorpreso.
“Ho il pranzo con quelli del fan club, te lo avevo detto.” Spiegò Andreas, con un sorriso comprensivo.
“Oh, sì! Scusami… ho la testa su Plutone in questi giorni!” Ribatté Bill rammaricato, portandosi una mano alla fronte, mentre con l’altra spegneva il mozzicone nel posacenere.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò l’altro.
“Saluta tutti e porta un bacio da parte mia.” Affermò allora il cantante. “Sono sempre così carine, le ragazze del fan club, hanno ogni volta un pensiero dolce per noi…”
“Saranno felici dei tuoi saluti.” Annuì Andreas. “Adesso vado, che domattina mi devo alzare presto.” Aggiunse, allontanandosi verso la porta.
“Andi…” Lo richiamò Bill.
“Bill, non chiedermelo…” Fece lui, senza girarsi.
“Volevo solo che mi abbracciassi.” Mormorò l’altro con tono leggermente colpevole.
Andreas si voltò con un sorriso dolce e allargò le braccia. Bill corse leggero fino a lui e strinse a se il corpo magro del compagno, che gli carezzò piano i capelli.
“Io non ti lascerò mai, ci sarò sempre quando avrai bisogno di me.” Sussurrò Andreas al suo orecchio, prima di baciargli la tempia. Bill sospirò contro il suo collo.
“Lo so.” Disse solo, stringendosi di più a lui.
La notte era fredda e odorava di pioggia, ma quell’abbraccio era talmente perfetto che Bill si sentiva al caldo e al sicuro. E all’improvviso avvertì qualcosa traboccare dal suo cuore e non poté fare a meno di dargli voce. Alzò gli occhi sul viso dell’altro ragazzo.
“Io ti amo, Andi.” Dichiarò a bassa voce, ma con tono sicuro.
Andreas perse un paio di battiti e dovette prendere un lungo respiro, prima di capire che non stava sognando. La voce gli era improvvisamente morta.
“Bill… i… io…” Balbettò smarrito.
“Tranquillo.” Lo rassicurò il cantante, tornando a posare il viso sulla sua spalla. “Dovevo dirtelo, ce l’avevo dentro da così tanto tempo, ma non sei obbligato a…”
Il ragazzo, però, l’interruppe, posando le dita sulle sue labbra. “Anche io ti amo, Bill.” Gli disse con un sorriso. Il cantante, felice, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con dolcezza.  

CONTINUA

Ringraziamenti:
Whity – via non picchiare Tom, avrai ragioni sufficienti dopo questo capitolo… sono contenta che ti sia piaciuto il comportamento di David e dei G-boys, per me era una reazione naturale.
RubyChubb – tu mi seppellisci di complimenti, quanto io di dolciumi! Troppo, troppo! Sei troppo gentile, ma come si è detto su msn, alla fine, se non ce li facciamo tra noi? Mi sento orgogliosa di averti commossa, spero che l’overdose romantica non ti faccia troppo male, perché continuaaaa…
Egittofona – ti ho commosso? Sono lusingata e ti ringrazio per i complimenti. Beh, ognuno è libero di pensarla come vuole sui personaggi, del resto ho scritto anche ff dove Bill è etero, sono un po’ indecisa su di lui… Spero che il seguito ti soddisfi!
MissZombie – beh, se la mia storia ti piace non posso che esserne contenta. Eh sì, la ff è un po’ triste, ma sai per lo meno (da come lo vedo io) c’è il lato romantico che ci tira su! È stata proprio l’idea di una frattura tra i gemelli ad ispirarmi questa storia e anche se fa stare male anche me, mi sembrava giusto esplorare la cosa. Grazie per i complimenti e continua a seguire la ff!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 - Strong enough to save ***


liese bleeding
Questo quarto capitolo sarà il penultimo. È abbastanza lungo, ma era necessario per l’argomento che ho deciso di trattare. Finalmente ci sarà un confronto tra i gemelli. Devo ancora iniziare a scrivere l’ultimo capitolo, ma spero di non dovervi fare aspettare troppo!
Attenzione poi, in questa parte della storia ci sarà una scena che potrebbe essere ritenuta volgare o troppo spinta, ma è uno dei motivi che mi hanno convinta a scegliere il rating Rosso. Spero comunque non aver esagerato.
Vi lascio alla lettura, note e saluti alla fine.

Sara

4 – Strong enough to save

Bill, quando si svegliò, quella mattina, si sentì d’umore decisamente migliore; forse perché, per la prima volta da quando erano arrivati lì, quel giorno c’era il sole e l’autunno non sembrava così grigio.
Il ragazzo fece colazione in camera e si preparò. Quel mattino avevano un servizio fotografico; se le cose andavano come al solito li avrebbe impegnati almeno fino al dopo pranzo. Riuscì a fare tutto in orario, ma accumulò i soliti dieci minuti di ritardo per smessaggiare con Andreas, il quale si era messo in viaggio un paio d’ore prima.
Dutti lo rimproverò, David lo sgridò, Georg sbuffò e Gustav si strinse nelle spalle rassegnato, ma Bill non perse la serenità; almeno finché non incontrò gli occhi gelidi di Tom, che però si distolsero subito. Lui si rattristò un pochino. Gli mancava specchiarsi in quegl’occhi tanto simili ai suoi, eppure così diversi nei loro segreti. Decise, però, che quel giorno avrebbe fatto il suo lavoro con professionalità, senza farsi condizionare dai sentimenti.  
Il viaggio fu piuttosto sbrigativo, ma il fotografo, per fortuna, era a sua volta in ritardo: quando arrivarono allo studio stava ancora preparando le macchine e lo scenario. Questo fece in modo che non inferissero più di tanto su Bill. I ragazzi furono mandati a cambiarsi e al trucco.
Georg, una volta indossata la particolare camicia bianca, con laccetti e cinghie al posto dei bottoni, ed i pantaloni neri che gli avevano dato, si guardò allo specchio, ravviandosi i capelli.
“Sono proprio un figo.” Si disse compiaciuto.
“Hm, non stai male.” Commentò Gustav, raggiungendolo ed entrando nel raggio dello specchio.
L’altro si girò appena e lo guardò. Il batterista indossava una camicia grigio perla, leggermente lucida e anche lui pantaloni neri. Georg annuì compunto.
“Anche tu non stai male.” Affermò poi.
“Grazie.” Rispose l’amico.
“Siete pronti, ragazzi?” Domandò dalle loro spalle la voce di Bill; i due si voltarono e spalancarono subito gli occhi.
“Oh, cazzo…” Mormorò Gustav ad occhi sgranati.
Bill si scrutò per un attimo, quindi alzò gli occhi sugli altri due, aggrottando la fronte. “Trovate che sia un pochino… azzardato?”
Bassista e batterista lo fissarono, poi si guardarono, quindi tornarono a guardare il cantante, dall’alto in basso, incrociando le braccia. I suoi capelli sfidavano la forza di gravità, come al solito, ma erano particolarmente lucidi. Indossava un paio di pantaloni di pelle piuttosto aderenti e degli stivali da motociclista, sopra aveva una maglia abbastanza larga, che gli ciondolava addosso e specie sulle spalle, che ogni tanto gli si scoprivano quando si muoveva; era nera, a rete fitta, ma s’intravedeva tranquillamente la pelle. La maglia era aperta davanti fino al petto e lui portava al collo diverse catene, nere e argento. Il viso, infine, era truccato in un modo particolare: gli occhi erano circondati sempre da una riga nera di eyeliner, ma poi l’incorniciava un alone d’ombretto rosso fuoco che sfumava fino agli zigomi, facendo risaltare il colore nocciola delle iridi.
“Credo che ancora siamo lontani da ciò che può essere definito azzardato, per i tuoi standard, Bill.” Disse Georg con aria saggia. “Però…”
“Questa rivista venderà un sacco di copie…” Intervenne Gustav, interrompendo l’amico.
“Già.” Annuì convinto il bassista, girandosi verso l’altro.
“Ci aspettano.” Gli annunciò proprio in quel momento la voce cupa di Tom. I tre musicisti fecero appena in tempo a vederlo, vestito di un paio di larghissimi e lucidi pantaloni neri e una maglietta bianca, enorme e con indefiniti disegni argento.

I ragazzi posarono per molte foto di gruppo; il fotografo era bravo e riusciva a far risultare in evidenza tutti i componenti. Si dedicò ad ogni membro della band, con foto singole, ma fu il look di Bill ad ispirarlo in modo particolare.
La sessione del cantante fu la più lunga ed elaborata. Lo riprese disteso sul pavimento, di profilo, tre quarti e mentre gattonava con sguardo ammaliante. Bill si divertì molto, per la prima volta da giorni. Adorava mettersi in posa e quel trucco lo spingeva ad essere provocante.
“Bill, per cortesia, potresti metterti laggiù, ora?” Gli chiese ad un certo punto il fotografo, indicando un’installazione di strane lampade gotiche.
Il ragazzo si diresse verso quel punto della sala e, mentre lo faceva, passò accanto a Tom. I loro sguardi si sfiorarono solo per un secondo, ma quell’istante non sfuggì al fotografo. Scrutò i due fratelli per un lungo istante, soppesando le loro caratteristiche.
“Aspetta un attimo, Bill.” Intervenne l’uomo; il cantante si fermò, girandosi, ma lui si era già rivolto al gemello. “Tom, potresti toglierti il cappello?” Il chitarrista, riluttante, dopo un gesto d’incoraggiamento di David, si tolse il copricapo. “Anche la fascia e scioglierti i capelli?” Continuò il fotografo; Tom sbuffò appena, ma eseguì.
Solo allora l’uomo annuì soddisfatto e fece trascinare un recalcitrante Tom al trucco, mentre tutti s’interrogavano su cosa avesse in mente. Quando il ragazzo tornò aveva i capelli sciolti e selvaggi sulle spalle ed era stato truccato in modo simile a Bill, solo con un ombretto bianco.
“Bene, proprio quello che volevo!” Esclamò allegro il fotografo. “Adesso scattiamo un po’ di foto dei gemelli insieme!” Aggiunse, portando Tom vicino a Bill.
I due ragazzi si guardarono preoccupati, ma non ebbero tempo per farsi tante domande, perché l’uomo cominciò a disporli per le pose.

Fu una lunga mezz’ora di lavoro. La maggior parte delle volte li metteva spalla a spalla o sfalzati. In una foto Tom era girato in avanti e guardava torvo l’obiettivo, mentre Bill era di spalle, davanti a lui ma lo guardava, quindi era ripreso di profilo.
Tutta questa vicinanza, gli sguardi sfiorati, il cercare di non toccarsi senza poterlo evitare, però creava elettricità ed emozione a livelli quasi insostenibili. I gemelli, però furono professionali.
O almeno, lo furono finché l’uomo non disse: “Adesso, guardatevi negl’occhi.”
Bill e Tom si voltarono l’uno verso l’altro, con espressione quasi preoccupata. Erano giorni che non si guardavano negli occhi a lungo; entrambi temevano di farlo, quasi.
“Tu, Bill, ora apri la bocca, come se urlassi contro Tom.” Suggerì il fotografo; il cantante lo guardò per un attimo, allarmato, poi rivolse gli occhi al fratello, il quale lo fissava apparentemente impassibile.
Quando, però, gli occhi di Bill si fissarono in quelli di Tom, quest’ultimo non poté fare a meno di sentirsi turbato. C’erano settimane, mesi, di silenzi tra di loro. Troppe parole non dette. E quelle che erano state dette, forse, erano sbagliate. Anzi, no. Sicuramente lo erano. E gli occhi di Bill erano tormentati e tristi. E quelli di Tom fragili e turbati.    
Bill simulò l’urlo richiesto e Tom, come previsto, non riuscì a sostenere quello sguardo frustrato e distolse il viso da quello del gemello, piegandolo di lato.
“Bene! Bene! Bravi!” L’incitava nel frattempo il fotografo, girandogli intorno e scattando senza posa. “Ma dovete guardarvi!”
Ma Tom perseverava nell’evitare gli occhi del fratello. Bill, allora, lo afferrò per la maglietta e lo strattonò, obbligandolo a dargli attenzione. L’altro sollevò gli occhi, quasi arrabbiato e afferrò con forza i polsi sottili del gemello. E, in quell’attimo, i loro occhi s’incontrarono davvero.
Era strano. Come pensate che possa essere fissare degli occhi uguali ai tuoi, ma che tuoi non sono? Era come se Tom si guardasse allo specchio, ma non vedeva la rabbia che sentiva dentro, né la frustrazione o il dolore confuso con cui combatteva da mesi. Perché quelli erano gli occhi di Bill. E dentro c’era una tristezza profonda, smarrimento, paura e colpa… una colpa che non avrebbe dovuto esserci, perché lui non c’entrava nulla in come si sentiva Tom. Quanto male posso farti, Bill? E quanto puoi farne tu a me?
Il chitarrista si liberò dalla stretta del gemello con una spinta neanche troppo forte. Bill, con un lieve gemito, si allontanò di qualche passo, barcollando.
“Bravi…” Mormorò il fotografo, dopo aver smesso di scattare perché si era improvvisamente accorto della tensione nell’aria. “Credo… sì, credo che possa bastare…”
“Sei un’idiota, Bill.” Affermò Tom, prima di dare le spalle a tutti e tornare nei camerini.
Il cantante era rimasto immobile in mezzo alla scenografia, guardava un punto imprecisato sul pavimento con sguardo perso. “Posso… posso avere un po’ d’acqua?” Chiese quindi, atono.
Il servizio fotografico si concluse così. I ragazzi si cambiarono e struccarono, anche se Bill si truccò di nuovo subito, con la sua solita riga nera; infine, dopo i ringraziamenti ai collaboratori, lo staff dei Tokio Hotel, compresi i musicisti, lasciò lo studio.

Andreas bussò alla porta di Bill che erano le sette e mezza di sera. Era appena tornato dall’incontro col fan club locale ed era stata una giornata spossante. Non vedeva l’ora di rivedere il suo Scoiattolo.
La porta si aprì e il ragazzo fu accolto da un sorriso particolarmente brillante, che si allargò ancora quando il cantante lo vide. Bill lo fece entrare, chiuse la porta e gli diede un lieve bacio sulle labbra, poi si diresse col suo passo danzante nel soggiorno, seguito da Andi.
La prima cosa di cui il ragazzo si accorse fu l’invasione di pacchi, pacchetti e buste sparsi nella stanza. Emporio Armani, Prada, Versace Jeans, Just Cavalli… aveva svaligiato le migliori boutique della città! Ecco perché aveva quell’aria allegra!
“Fatto spese?” Domandò ironico Andreas, guardando Bill che si fermava, appoggiandosi leggero coi fianchi contro la scrivania.
“Beh, il servizio fotografico è stato un po’ pesante…” Esordì lui, chinando per un attimo il capo, qualcosa di fuggevole e doloroso passò nei suoi occhi. “Ho pensato che un po’ di shopping mi avrebbe fatto bene!” Aggiunse subito dopo, tornando a sorridere.
“Un po’ di shopping?” Commentò scettico il ragazzo biondo, incrociando le braccia. “A giudicare dalla roba che vedo, devi aver dato fondo alla riserva mensile!”
“Non serve a questo una carta platino illimitata?” Rispose noncurante Bill, stringendosi nelle spalle.
“Ah, piccola viziata rockstar!” Scherzò Andreas divertito. “Ad ogni modo sono felice di vederti più allegro.” Bill gli sorrise in quel suo modo tenero e vagamente fragile che ammorbidiva il cuore.
“Vorrei che andasse ancora meglio, ma mi accontento…” Fece poi, abbassando appena gli occhi, con aria improvvisamente tormentata.
Andreas avvertì subito il cambiamento e cercò di cambiare discorso. “A proposito del servizio fotografico, hai già i provini?” Gli chiese, fingendosi molto curioso.
“No, Dutti ce li darà a cena.” Rispose Bill, girato verso lo specchio per controllare il trucco.
“Allora, andiamo a cena?” Propose quindi Andreas. Il cantante si girò verso di lui sorridendo.
“Prima un bacio.” Affermò raggiungendolo e circondandogli il collo con le braccia. Fu accontentato con molto piacere. “Com’è andata al fan club?” Domandò poi Bill, rimanendo abbracciato ad Andi.
“Molto bene.” Rispose lui. “Le ragazze hanno apprezzato il saluto, ti mandano tanti baci e un paio di proposte di matrimonio…” Bill rise deliziato. “Mi hanno chiesto se hai la ragazza.”
“Ah, sì?” Fece sorpreso il cantante, Andreas annuì. “E tu cosa gli hai detto?”
“La verità, che tu non hai la ragazza.” Rispose lui con noncuranza.
“Già…” Replicò gongolante Bill, stringendosi un po’ di più al ragazzo biondo. “Io ho il ragazzo…” Stavolta fu Andi a ridere soddisfatto, quindi si baciarono ancora.
“Adesso, andiamo a cena.” Proclamò poi il cantante, spingendo il compagno verso la porta; risero uscendo, mentre si tenevano per le spalle.

I due ragazzi, dopo cena, tornarono nella suite di Bill. Andreas era curioso di vedere i provini del servizio fotografico. Preso da bere, si sistemarono nel soggiorno.
Andreas si mise subito a frugare nelle cartelline delle foto, mentre Bill metteva su un po’ di musica; il cantante, poi, si sedette al suo fianco, sul bracciolo della poltrona, sorseggiando la sua birra.
“Sono molto belle ed originali.” Commentò poco dopo il ragazzo biondo. Bill sorrise. “Però…” Aggiunse Andi subito. “…adesso capisco perché è stato così pesante, per te.”
Bill sospirò, posando la bottiglia sul tavolino. “Era così tanto che io e Tom non ci guardavamo veramente negl’occhi…” Affermò serio. “È stato… spaventoso…”
“Capisco…” Soggiunse Andreas, rimettendosi a guardare i provini. “Guarda qui, uno davanti all’altro e anche lui truccato così… Dio, è impressionante quanto vi somigliate, sembrate il riflesso speculare della stessa persona, dal vivo non ci se ne rende conto…”
“Io ho sempre pensato…” Intervenne Bill, sorridendo assorto con lo sguardo sulle foto. “…che Tom sia più bello di me.” Andi sollevò gli occhi su di lui. “Io nascondo i miei difetti con il trucco, ma lui non ha bisogno di nulla, è perfetto così…” E allungò una mano per carezzare il profilo del gemello in una fotografia.
“Glielo hai mai detto?” Gli chiese Andreas, continuando ad osservare il suo sguardo perso.
“No.” Negò Bill, scotendo il capo, poi si girò verso di lui e sorrise. “Non voglio che pensi di essere più bello di me!” Esclamò, fingendosi divertito.
“Ho paura che lo creda già…” Replicò sarcastico l’altro; risero, quando Bill annuì reticente.
La visione delle foto continuò e, ben presto, Andi raggiunse quelle di Bill da solo. Vedere quegli scatti, dove il cantante metteva in mostra tutto il suo sex appeal, con sfrontatezza e quegli sguardi magnetici e liquidi che solo lui sapeva fare, provocava un certo turbamento in Andreas.
“Che ne pensi?” Domandò soffice Bill, che si era accorto dell’inquietudine del compagno e gli era scivolato appena più vicino.
“Sei molto….” Rispose Andi, fermandosi per un lungo respiro. “…molto… sexy, in queste foto…”
“Trovi?” Fece Bill, socchiudendo gli occhi e strusciando il naso contro il collo dell’altro ragazzo.
Andreas chiuse gli occhi sospirando. “Sei… provocante, direi…” Mormorò in un ansito, mentre il cantante prendeva a baciargli collo e orecchio. “Bill, ti prego… basta…” Cercò di imporsi, ma l’altro gli era già praticamente scivolato addosso e continuava a baciarlo e leccarlo. “Smettila…”
Bill, dopo quell’affermazione, si scostò bruscamente e incrociò le braccia, mettendo il broncio, improvvisamente dritto come un fuso sul bracciolo della poltrona.
“Però da Greta te lo facevi fare eccome!” Protestò piccato.
“Ma cosa c’entra!” Replicò stupito Andi. “Greta era la mia ragazza…” Bill lo guardò malissimo, come a dire «e io che cosa sono?». “…e ci siamo lasciati da sette mesi ormai.”
“Lo so.” Ammise il ragazzo moro, guardando altrove. “Ho festeggiato con lo champagne…” Confessò poi, arrossendo brevemente.
“Lo hai fatto davvero?!” Esclamò incredulo Andreas; sapeva che Bill non aveva mai amato troppo Greta, ma addirittura brindare. Scoprì che gli faceva piacere.
“Beh…” Biascicò l’altro imbarazzato. “La odiavo e non capivo cosa ci trovassi in lei, perché baciassi lei e non ti accorgessi… di me…”
“Sciocco.” Affermò Andi con un sorriso. “Tu ci sei sempre stato, prima di tutti nel mio cuore, quindi… vieni qui.” Aggiunse, afferrandolo per la vita e trascinandolo su di se. “È solo che ho paura di un controllo di David, se passo la notte qui…”
“Oh, ma è presto!” Esclamò Bill abbracciandolo, col viso affondato tra i suoi capelli biondi. “Non ti preoccupare, non gli daremo modo di criticarci… faremo presto…” Continuò, prima di ricominciare a baciarlo con passione sotto l’orecchio.
“B… Bill…” Cercò d’intervenire Andreas, ma fu zittito da un profondo bacio sulle labbra.
“Voglio fare l’amore con te.” Dichiarò deciso Bill, con voce già arrochita dal desiderio. “Vieni…” L’incitò, alzandosi e trascinandolo in piedi. “…ti manderò in camera tua, poi…”
Andreas, travolto da tutta quella passione, si fece praticamente trasportare a suon di baci fin allo stipite della camera. Lì, Bill si liberò velocemente della maglietta che indossava e riprese a baciare senza posa Andi, che era vagamente stordito. Le mani leggere del cantante erano ormai sotto la sua maglia e percorrevano con urgenza il suo corpo.
“Bill… Bill, ti prego… fermati…” Supplicò Andreas, quando le dita del moro raggiunsero la fibbia della cintura e cominciarono a slacciarla.
“Che cosa c’è?!” Sbottò l’altro, in un sibilo frustrato, accentuato dal respiro pesante.
“È… è che…” Andi tentò di rispondere, ma anche lui aveva la respirazione difficoltosa, perché era inutile negare che fosse eccitato. “…non ti facevo così intraprendente, in fatto di sesso…”
Bill arrossì di colpo e abbassò gli occhi, lasciando la presa sulla cintura del compagno. “Non… non lo sono, difatti, ma…” Balbettò poi, passandosi una mano tremante tra i capelli.
“Capisco che abbiamo poco tempo, ma preferirei fare lo stesso con calma.” Affermò Andreas a bassa voce. “Tu sei il primo ragazzo con cui… insomma, non voglio correre…”
“Oddio…” Mormorò Bill, portando le mani al viso. “Adesso penserai che io sia stato con chissà quanti ragazzi, ma in realtà io…”
“Tranquillo.” Lo rassicurò subito Andreas, con una carezza sulla guancia pallida. “Ho capito che non è così.”
“Che cosa devo fare, allora?” L’interrogò a quel punto Bill. Andi sorrise, l’espressione confusa dell’altro era talmente tenera che quasi lo commuoveva.
“Va bene così, solo… un po’ più lentamente.” Rispose sereno il ragazzo biondo, tirandoselo vicino. Il cantante sorrise a sua volta, prima di ricominciare a baciarlo. E stavolta la fibbia si aprì.  

In un’altra stanza, nel frattempo, si stava consumando un rapporto dove la tenerezza era l’ultima partecipante; anzi, nell’unione di quei due corpi nudi e sudati c’era un’urgenza quasi selvatica.
Paula gemeva, persa nel piacere, con il capo reclinato oltre il bordo del materasso e la mano aggrappata ai dreads sciolti di Tom, mentre le spinte quasi rabbiose di lui la portavano fuori dalla sua mente.
Tom le mordeva la pelle morbida della scapola, con i palmi delle mani contro i suoi capezzoli turgidi. Non pensava a nulla, voleva solo godere di quel corpo, di quel momento e dimenticare ogni altra cosa. Lei era calda, profumata, accogliente e lui non aveva bisogno d’altro. Non voleva aver bisogno d’altro.
Quando Tom sentì di stare per raggiungere il culmine, si sollevò appena da Paula, inarcando la schiena; aveva le sue cosce strette contro i fianchi che lo trattenevano dentro di lei. La donna lo incitava a non fermarsi, segno che stava a sua volta per raggiungere l’orgasmo.
Tom si scostò subito dalla ragazza, quando gli ultimi brividi del piacere lo abbandonarono e si lasciò andare supino accanto a lei, con il petto sottile ancora ansante. Sentì Paula sospirare soddisfatta, ma non si girò verso di lei.
“Ahh…” Soffiò la donna. “Avrei dovuto iniziare prima a frequentare ragazzini, la tua generazione è portata per il sesso.” Aggiunse ironica.
“Vaffanculo stronza.” Rispose soltanto Tom.
“Ahahah!” Rise lei. “Mi piace quando sei volgare!”
“Fottiti.” Replicò acido lui.
“Lo hai appena fatto tu!” Ribatté la donna sempre ridendo. “Ma se preferisci vado a prendere il mio vibratore.” Aggiunse, incrociando per la prima volta lo sguardo distratto di Tom, quindi si alzò e, nuda come stava, si diresse al frigobar per prendere da bere.
Lui guardò altrove. A volte gli dava fastidio l’ostentata sensualità di Paula, altre lo eccitava da morire. Così come il suo modo di parlare sboccato, dopo aver fatto sesso.
“Sei sempre stato scazzato, da quando ti conosco…” Riprese Paula, sorseggiando un’acqua tonica. “…ma stasera sembra che ti girino come l’elica di un fuoribordo.” Tom la ignorava, mentre si tirava seduto e cercava il pacchetto delle sigarette. “Cos’è, hai di nuovo litigato con il tuo bel fratellino?”
“Quello che facciamo io e Bill non ti deve riguardare.” Sibilò lui senza voltarsi.
Paula alzò le sopracciglia divertita. “Non saranno mica vere quelle voci che girano su di voi?”
“Non dire stronzate!” Sbottò Tom con rabbia. “Come fanno anche solo a pensarlo…” Commentò poi, a bassa voce, rivolto più a se stesso, scotendo la testa, mentre si accendeva una sigaretta.
“Spegnila.” Gli ordinò però la donna, appena lui ebbe preso la prima boccata. “Lo sai che il fumo mi da fastidio.”
“Ma si può sapere cosa vuoi?” Replicò piccato Tom, volgendole appena la testa, ma restando coi gomiti appoggiati alle ginocchia. “Non ti da fastidio succhiare cazzi e prenderlo da dietro e rompi i coglioni per una cazzo di sigaretta?!” Ringhiò poi. “Sei proprio una puttana.”
“Ti piacerebbe che fossi una puttana, così potresti rifilarmi un centone e buttarmi fuori.” Affermò lei senza scomporsi.
“No, è meglio così, credimi.” Ribatté il ragazzo con noncuranza. “Almeno posso sbatterti fuori senza darti un bel niente.”
“Non dici sul serio.” Decretò Paula sicura, con un sorrisetto serafico. “Sei solo teso…” Continuò, scalando il letto e mettendosi in ginocchio dietro di lui. “Devi rilassarti.” Aggiunse, cominciando a massaggiargli le spalle.
Tom, all’inizio, tentò di sottrarsi, quasi infastidito, ma lei si fece più vicina, aderendo alla sua schiena con il seno morbido e le cosce contro i suoi fianchi. Lui spense la sigaretta nel posacenere, mentre reclinava appena il capo. Paula cominciò a baciargli il collo e la scapola, scendendo con la mano lungo il suo petto e l’addome, fino a raggiungere un punto preciso tra le sue gambe. Tom si lasciò ben presto andare, tra le mani esperte della ragazza.
“Ormai ti conosco…” Sussurrò sensualmente lei all’orecchio del chitarrista. “…so che una non ti basta…”
Tom emise una specie di gemito ringhioso, sottraendosi bruscamente alla sua presa, per girarsi e afferrarla alla vita. La sbatté sul materasso e le fu subito addosso, con baci rabbiosi, sollevandole le braccia oltre la testa. Era quello che Paula voleva. Pochi istanti ed invertì le posizioni, sedendosi sopra di lui. E iniziò l’ennesimo amplesso senza sentimenti.

Bill scivolò tra le lenzuola, fino a raggiungere il corpo caldo di Andreas, poi si strinse a lui, sospirando tristemente.
“Che cosa c’è, Scoiattolo?” Gli domandò il ragazzo, accarezzandogli i capelli. Bill sollevò gli occhi.
“Volevo scusarmi per essere stato un po’ troppo…” Esitò cercando la parola adatta. “…sfrontato, prima.”
“Bill, ti ho già detto…”
“Continuo a pensare di esserti sembrato eccessivamente esperto.” Continuò il cantante, impedendogli di replicare. “E voglio che tu sappia che prima di te c’è stato solo un altro e… una ragazza, ma onestamente preferirei rimuovere l’esperienza…”
“Bill.” Lo bloccò Andi con gentilezza, alzandogli il mento con le dita. “Tu non perderesti il tuo candore nemmeno se fossi l’eunuco prediletto del gran sultano, è stata la fretta a toglierti le inibizioni, ma so benissimo come sei fatto.”
“Non è stata solo la fretta.” Ammise Bill, abbassando lo sguardo. “È che sono frustrato per questa cosa di Tom, non so più come comportarmi…” Mormorò sconfortato.
“Io credo che abbia ragione Georg, devi affrontarlo, parlarci seriamente.” Affermò Andreas, mentre gli carezzava la schiena. “Altrimenti non ne uscirete mai.”
Bill si fece pensieroso e appoggiò il capo sul petto di Andreas, cominciando a disegnare linee immaginarie sulla sua pelle. Era assorto, con gli occhi aperti rivolti verso la finestra, ma sembrava non guardare nulla in particolare.
Sì, era arrivato ad un punto limite, se i rapporti con Tom si deterioravano ulteriormente il suo cuore non avrebbe retto. Aveva un disperato bisogno dell’affetto di suo fratello, ma era anche vero quello che diceva Georg: troppe cose dipendevano da loro. Perché Tom non lo capiva? Buttare via la loro unione, era buttare via i Tokio Hotel e tutto quello che ruotava intorno al gruppo. E questo Bill non poteva permetterlo.  
Il cantante si rialzò all’improvviso su un gomito, guardando negli occhi Andreas. Aveva un’espressione seria e compunta, che rendeva il suo viso, già naturalmente portato, piuttosto drammatico.
“Devo parlarci.” Affermò quindi.
“Sì, su questo punto, ormai, siamo concordi, direi…” Replicò confuso Andi.
“Intendo che devo farlo ora.” Ribatté Bill sicuro.
Andreas si sollevò un po’ contro i cuscini alle sue spalle, fissando incredulo gli occhi un po’ lucidi dell’altro ragazzo. “Proprio adesso?” Gli chiese poi.
“Sì!” Annuì Bill con forza. “Sento che non avrò mai più il coraggio che sento ora, o lo faccio adesso o potrei non farcela.” Aggiunse, stringendo la presa sul petto del compagno.
Andreas sembrò riflettere per qualche secondo, studiando i tratti delicati del cantante, poi posò la propria mano sulla sua e la strinse delicatamente.
“Se te la senti, vai.” Gli disse quindi. Bill sorrise e lo abbracciò. “Vuoi che venga con te?” Gli domandò anche, lui negò contro la sua pelle.
“No, non credo che sia il caso e poi… devo farlo da solo.” Mormorò poi, mentre si scostava da lui ed usciva dal letto.
“Ti rendi conto, vero, che è l’una passata e che Tom potrebbe avere compagnia?” Gli fece presente Andreas, mentre lui si vestiva.
“Lo so.” Rispose Bill, infilandosi i pantaloni di una tuta nera ed una maglietta dello stesso colore.
“E allora?” Fece l’altro preoccupato.
“Non sarà un problema.” Dichiarò pronto il cantante, ravviandosi i capelli. “Tu mi aspetti qui?” Aggiunse poi, voltandosi con sguardo speranzoso. Andi annuì. “Ti amo.”
“Anche io ti amo, Bill.” E il cantante gli rispose con un ultimo dolce sorriso, prima di uscire leggero dalla stanza, senza essersi messo le scarpe. Andreas sospirò, rilasciandosi contro i cuscini.

La porta di legno chiaro della 1022 era davanti a lui ormai da qualche minuto, ma Bill esitava ancora a bussare. Le maniche della maglia tirate fino a coprire metà mano e i piedi che si tormentavano l’un l’altro. Si mordicchiò l’unghia del pollice, indeciso. Preso, poi, un lungo respiro allungò la mano verso la porta e bussò.
Bill sentì un certo movimento all’interno e un’imprecazione sommessa. E la voragine nel suo stomaco aumentò di dimensioni in modo preoccupante, quando si accorse che qualcuno andava ad aprire. Deglutì a vuoto.
“Chi è?” Domandò la voce di Tom, chiaramente infastidita.
“Sono io, apri.” Rispose Bill, con una sicurezza che non si aspettava da se stesso.
Ci fu qualche momento d’attesa che il ragazzo moro giudicò come incertezza, poi la porta si aprì. Il cuore di Bill traballò come una palafitta senza un palo. Ma era deciso a non cedere.
Fu ricevuto dall’espressione sospettosa di Tom, che indossava una maglietta grigia stropicciata ed un paio di boxer a quadretti azzurri. Braccia incrociate e capelli sciolti.
“Che cosa vuoi?” Gli domandò con arrogante urgenza.
“Parlare con te.” Rispose il gemello senza intimidirsi.
“Non so se ho voglia di ascoltarti.” Ribatté Tom, ostentando un’indifferenza che sapeva di non avere. Non riusciva, infatti, a controllare il battito del proprio cuore.
“Beh, dovrai farlo, perché io non me ne vado.” Affermò duro Bill. Si scrutarono cupi.
“Ciao, Bill.” S’intromise una voce femminile.
I gemelli si voltarono di scatto, all’unisono, verso Paula che era appoggiata allo stipite della porta del bagno con addosso l’accappatoio. I loro volti erano seri, tirati e perfino una donna smaliziata come lei rimase colpita da quanto severi potessero diventare quei lineamenti da pittura rinascimentale.
Bill fu il primo a tornare padrone di se stesso. “Paula, potresti lasciarci soli?” Le chiese con tono autoritario; lei spalancò gli occhi, sorpresa.
“Come vuoi…” Fece, quasi infastidita. “…io vado di là e apro l’acqua.” Aggiunse supponente, indicando il bagno, poi si rivolse a Tom. “Ti aspetto nella vasca.” Sussurrò sensuale, con uno sguardo ammiccante; lui la ignorò guardando altrove.
Quando Paula se ne fu andata lo sguardo di Bill si rialzò subito in quello di Tom, il quale si rese immediatamente conto che da quegli occhi, quella sera, non avrebbe potuto fuggire.
“Insomma, che vuoi?” Gli chiese con arroganza.
“Voglio sapere che cosa ti sta succedendo.” Rispose Bill. Sentiva le proprie mani sudare, ma non voleva mostrare il proprio nervosismo.
“Non capisco di cosa stai parlando…” Replicò vago il fratello.
Bill sospirò stancamente, abbassando gli occhi. Tom lo fissava in silenzio, con sguardo duro; non sapeva che presto la barriera che aveva costruito tra se e le sue paure sarebbe miseramente crollata.
“Devi scusarmi.” Affermò il cantante, stupendo il gemello che però non lo diede a vedere. “Devi scusarmi perché non mi sono reso conto che stai male, che c’è qualcosa che non va, se mi sono allontanato da te quando avevi bisogno.” Tom ora lo fissava attento. “Ma tu perché non sei venuto da me? Perché non mi hai chiesto aiuto?” Gli chiese poi.
Il chitarrista lo guardò perplesso, con gli occhi improvvisamente fragili. Già, perché non lo aveva fatto? Ma poi che cos’erano tutti questi discorsi? Non voleva paternali da nessuno! Provò a reagire alzando una mano, ma fu bloccato da Bill che riprese il discorso.
“Ma tanto non ha importanza adesso, ad ogni modo.” Disse, scotendo tristemente il capo, senza guardare il fratello. Quelle parole attirarono però, inspiegabilmente, l’attenzione di Tom. “Il tuo comportamento, ora, non è più solo un problema tra noi due, Tom. Il tuo modo di fare sta creando complicazioni anche con Georg e Gustav, con David e tutto lo staff.” Sentendosi messo sotto accusa, il chitarrista recuperò l’orgoglio e si preparò a ribattere, ma anche stavolta fu interrotto da Bill. “Tom, io non lo so che cosa ti sta succedendo, ma se continui così, sarò costretto a prendere dei provvedimenti…” Respirò profondamente, ingoiando l’indecisione; se non lo provocava, suo fratello non avrebbe mai reagito… e lui non se lo poteva permettere. “Ci sono tanti giovani chitarristi in gamba, pronti a sostituirti, se tu hai bisogno di un periodo…”
Tom, a quelle parole, spalancò gli occhi e si sporse verso il gemello. “Che cosa significa?!” Esclamò sconvolto.
“Significa che sono disposto a convincere David e gli altri a lasciarti un po’ di tempo per riflettere, lontano dalla confusione, lontano dallo stress…” Spiegò Bill, con una calma del tutto estranea al furioso ritmo del suo cuore.
“Io non ho bisogno di un bel niente!” Gridò Tom. “Tu non puoi farmi questo!”
“Credimi, fa più male a me che a te.” Replicò calmo l’altro. E solo lui sapeva quanto erano vere le sue parole, poiché il suo cuore si stava consumando come carta bruciata a fare quei discorsi.
“Certo, come no!” Sbottò scettico il gemello, combattendo con un improvviso vuoto d’aria allo stomaco, assolutamente impossibile da verificarsi con i piedi ben pianti a terra.
“Allontanarti è l’ultima cosa che voglio fare, Tom!” Reagì Bill con veemenza. “Ma se tu non mi apri di nuovo il tuo cuore, io non ti posso aiutare e non ti permetterò di rovinare tutto! Ci sono troppe persone che dipendono da noi!”
Calò il silenzio, quasi all’improvviso. Lo sguardo di Tom era perso, vagava per la stanza in cerca di un appiglio qualsiasi, febbrilmente. Bill aveva il respiro pesante e gli occhi lucidi, ma non voleva piangere, voleva essere forte e combattere questa importantissima battaglia. Trovò la determinazione per parlare ancora.
“È il nostro sogno, Tomi.” Mormorò con voce rotta. “È quello per cui abbiamo lottato tutta la vita, da quando eravamo piccolissimi e tu usavi la scopa come chitarra e io cantavo nella spazzola di mamma…” Tom non lo guardava più, teneva lo sguardo spostato e abbassato, mentre quei ricordi comuni aggredivano il suo cuore, esattamente come quello del gemello. “…ci siamo promessi che ce l’avremmo fatta insieme, che saremmo andati avanti insieme. Sempre. Insieme.” Parlava accorato, stringendo i pugni, e tremava. “Quindi, ti prego, non obbligarmi a fare qualcosa che mi uccide al solo pensiero… torna da me, Tom…” Supplicò infine, lasciando che una lacrima a lungo trattenuta gli scendesse sul viso struccato.
Tom era smarrito, confuso. Sapeva di aver fatto del male a Bill, consapevolmente lo aveva fatto. Ma suo fratello avrebbe davvero avuto il coraggio di allontanarlo dal gruppo? Alzò gli occhi in quelli di Bill, per cercare la risposta; nonostante le lacrime, ancora ferme e tremanti tra le sue ciglia, vi lesse una determinazione che conosceva bene. Bill era senza dubbio una persona dall’animo sensibile, ma questo non significava che non sapesse lottare, quando la vita lo richiedeva. Lo avrebbe fatto, eccome. E questa certezza fu devastante per Tom.
“Non è tardi, Tom.” Dichiarò ancora Bill, fissandolo per la prima volta direttamente negli occhi. “Posso dimenticare tutto quello che hai detto e fatto, mettere una pietra su ogni cosa, ma tu devi ammettere che un problema c’è…”
Tom si girò di scatto, dandogli le spalle. E questo non era un buon segno. Bill decise di affrontare un altro argomento spinoso, ma che gli stava particolarmente a cuore.
“Dimmi che non è per via di Andreas, che ti comporti così con me.” Lo pregò, allungando una mano verso di lui, ma Tom non si fece toccare, sottraendosi brusco. “Tomi, come faccio a spiegarti che quello che provo per lui non cambia i miei sentimenti per te? Sei mio fratello, la persona che amo di più a questo mondo…” Spiegò quindi Bill, il gemello lo guardò diffidente. “Non c’è niente e nessuno che possa sostituirti nel mio cuore, io ti voglio bene…”
Tom spalancò gli occhi, preoccupato di sentire quella frase che si ripetevano l’un l’altro da quando avevano iniziato a parlare. Ogni notte. Prima di dormire. Non farlo, Bill…
“…fino alla luna.” Mormorò però l’altro, con un lieve e triste sorriso.
Ecco, a quel punto sarebbe stata meglio una pugnalata dritta nel cuore. Un colpo e via, muori e non ci pensi più. E invece lui lo lasciava lì a sanguinare, senza sapere cosa dire. Senza sapere più nemmeno parlare. Boccheggiante e con gli occhi spalancati. Colpo basso, fratellino…
“Ti ho detto tutto quello che dovevo.” Dichiarò a quel punto Bill, afferrando la maniglia per uscire. “Sappi, però, che qualunque decisione sarò costretto a prendere, questo non cambia, ti vorrò sempre bene, Tomi.” Aggiunse, aprendo la porta.
Sì, certo. Avrebbe voluto dire il chitarrista, con un tono scettico e duro. Ma dentro di se sapeva che le parole di Bill erano la verità. Lo sentiva nella pancia, come diceva proprio il suo adorato gemello traditore. Sì, perché, nonostante tutto, anche lui gli voleva ancora bene, per quanto avesse, quasi disperatamente, provato ad odiarlo. Quanto sei idiota, Tom…
“Buonanotte…” Sentì mormorare, mentre la porta si richiudeva leggera dietro le spalle sottili di Bill e lui spariva nel corridoio.
E adesso cosa faceva? Tutte le false sicurezze che si era costruito erano state sbriciolate in pochi minuti. Il terreno gli stava crollando sotto i piedi. Solo una cosa lo aveva tenuto a galla, in quell’ultimo periodo, ed era la musica. I concerti, le esibizioni, prendere in mano la sua chitarra e non pensare a niente. Se gli toglievano quello era finita.
Ma ciò che gli faceva più male era la consapevolezza di essersi ficcato da solo, con le proprie mani, in quell’immane casino, allontanandosi da Bill, non confidandosi con lui come aveva sempre fatto e facendosi accecare dalla gelosia per la storia di Andreas. Stupido. Cretino. Idiota!
Le sue riflessioni rabbiose furono interrotte da un’inopportuna voce femminile. “Però…” Commentò sarcastica Paula. “…non si direbbe, ma sotto tutto quel trucco, il ragazzino ha le palle.”
“Stai zitta!” Le urlò Tom, senza girarsi verso di lei.
“Uh, come sei acido!” Ribatté noncurante la donna. “Forse dovevo sedurre lui… ma ho sentito dire che preferisce altro…” Quell’ultimo commento le attirò uno sguardo omicida da parte del ragazzo.
Tom, quindi, senza aggiungere una parola, si voltò, le passò accanto veloce, dirigendosi dall’altra parte del letto e prendendo i vestiti. Paula lo guardò sorpresa, mentre si vestiva a gesti bruschi.
“Che cosa stai facendo?” Gli chiese alzando un sopracciglio.
“Vado a fare un giro.” Rispose sbrigativo lui, calcandosi il cappellino sugli occhi, poi si diresse alla porta. “Quando torno non voglio trovarti.” Le disse, con sguardo torvo, fermandosi per un attimo davanti a lei; Paula lo fissò sorpresa e indignata dal tono usato, ma non poté reagire, perché Tom aveva già infilato la porta.  

Bill tornò in camera sua camminando lentamente lungo il corridoio coperto di moquette beige. Aprì la porta, entrò e la richiuse, appoggiandosi poi contro l’anta.
La stanza era buia, solo la luce della luna entrava pallida dalle vetrate che davano sul balcone. Il ragazzo prese un lungo respiro e tirò su col naso, ricacciando indietro le lacrime che sentiva pungere nei suoi occhi. Non voleva che Andreas lo vedesse turbato. Si stropicciò la bocca con il dorso di una mano, staccandosi dalla porta.
“Andi.” Chiamò, dirigendosi verso la camera; non giunse risposta. “Andreas?” Ripeté allora, superando la porta bianca.
C’era una delle lampade verde giada accesa, sul comodino di destra, ma il letto era vuoto. Bill aggrottò la fronte deluso, poi si girò verso il bagno, ma la luce lì era spenta. Vuoto. Andreas non c’era ad aspettarlo come aveva promesso…
Stava davvero per piangere, quando un fastidioso suono ronzante attirò la sua attenzione, poco prima che dal suo cellulare partisse la suoneria. Bill lo afferrò distrattamente dal piano della specchiera e rispose, quasi senza guardare il display.
“Pronto?” Mormorò con voce stanca.
“Sono io.” Rispose Andreas con tono altrettanto spento. “È passato David e mi ha spedito in camera mia…” Spiegò poi.
“Ah…” Commentò soltanto Bill, senza riuscire a dimostrare sollievo.
“Mi dispiace…” Affermò rammaricato l’altro. “Come stai?” Gli chiese quindi.
“Bene.” Fece Bill, ma non traspariva nessuna convinzione dalle sue parole.
“Sei sicuro? Una parola e vengo lì, sfido perfino Cerbero-Jost per te, lo sai…” Si sbrigò a dire Andreas, preoccupato.
“No, dai, stai tranquillo…” Soggiunse il cantante. “Va tutto bene, davvero. È meglio che non creiamo altri problemi, Andi, ti prego.”
“Come vuoi tu, Scoiattolo.”
“Sì, dai, ci vediamo domattina.”
“A domani, allora…”
“Ciao.”
Bill, dopo aver chiuso la chiamata e appoggiato il telefono sul comodino, si tolse i pantaloni e infilò a letto. Si rannicchiò tra le coperte, dove il calore di Andi era ormai scomparso, e lasciò che le lacrime si sfogassero. Ad occhi aperti, in silenzio. Sperava che Tom capisse, che quella conversazione servisse a qualcosa. Che suo fratello avesse abbastanza paura da fare quel passo necessario verso di lui. Perché Bill era lì che lo aspettava. Anche per sempre, se era necessario.

Tom vagò per le strade per un tempo che non seppe quantificare, mentre la città si spegneva intorno a lui. Lampioni, insegne, lasciavano via via il posto al buio frizzante di quella notte di settembre. E lui camminava, senza sapere dove andare.
Pensò a quei mesi, a tutti gli sbagli che aveva fatto. Ad ogni premio e canzone nuova. A tutte le volte che tirava fuori la sua carta di credito e pagava, senza domandarsi nemmeno il prezzo. Si domandò quando era stato che tutto questo, il talento, il successo, il denaro, l’affetto degli amici e della sua famiglia, non gli era bastato più. Si chiese cosa gli mancasse davvero.
Ricordò la prima volta in cui un accordo di chitarra non gli era venuto come voleva. O quando si era svegliato con qualcuna nel letto e si era disgustato. Quando una birra o un cocktail gli avevano dato la nausea. Il primo sguardo scambiato con Paula. Il primo rapporto con lei che, seppur dolorosamente desiderato, lo aveva lasciato come svuotato, quasi schifato da se stesso.
La prima volta che aveva evitato gli occhi di Bill. Per paura. Per vergogna.
Faceva male. Dio, se faceva male. E lo terrorizzava. Perché temeva la determinazione di Bill, la forza che lui aveva sotto la sua apparenza fragile. Solo ora, dopo quelle minacce fatte con le lacrime agli occhi, capiva quanto tutto quello che aveva fosse importante. Solo ora che lo stava perdendo.
E lui non voleva perdere il suo sogno. Il sogno suo e di Bill.
Ma aveva paura.
Una paura così tremenda da restare annichilito.
Solo l’idea di perdere in modo definitivo Bill lo atterriva di più.
Ma non era da lui arrendersi davanti alle difficoltà. Tom Kaulitz era sempre andato avanti. Testa bassa, battute pungenti e sorriso sbieco. Questo era lui. Doveva buttare via questa malinconia inspiegabile che gli attanagliava il cuore. Nessuno gli avrebbe strappato il suo sogno. Niente e nessuno lo avrebbe diviso da Bill.
L’alba lo colse mentre passeggiava in un parco. Era pallida e chiara e Tom la guardò mesto. Si sentì molto triste, con un magone formato gigante alla bocca dello stomaco. E per la prima volta, in tanti anni, provò una fortissima voglia di piangere.
Il ragazzo tornò in albergo che erano quasi le sei del mattino. La tristezza gli aleggiava ancora intorno. Si fermò per un attimo davanti alla porta di Bill, domandandosi se fosse sveglio, e poi raggiunse la sua. Paula se n’era andata, per fortuna.
Tom si avvicinò alla scrivania, dove era posata la custodia della sua chitarra acustica preferita. L’aprì, ma ignorò lo strumento, prendendo qualcosa dalla tasca per gli spartiti, ma non era musica. Si sedette sul letto e guardò quella fotografia.
Era vecchia, stropicciata e con i bordi un po’ consumati. Erano tanti anni che la portava con se. Vi erano ripresi due bambini dai sorrisi luminosi e birichini. Due bambini biondi uguali in tutto, fuori che nel nome cucito sulle loro magliette azzurre. Bill e Tom. Inseparabili gemelli.
Fu in quel momento, con gli occhi fissi sulla dimostrazione del loro immenso affetto, che qualcosa si ruppe nel cuore di Tom e le lacrime cominciarono a scendere copiose e inarrestabili sul suo viso.
Il ragazzo cadde di fianco sul materasso, scosso dai singhiozzi, stringendo forte la foto. E pianse fino a che ne ebbe la forza.

CONTINUA

-    Allora, che ne dite? La scena con Tom e Paula non è troppo forte, vero? Fatemelo sapere.
-    Il confronto tra Tom e Bill, lo ammetto, è stato duro da scrivere, spero di non essere stata ripetitiva o pedante. Anche qui aspetto il vostro giudizio.
-    Il titolo del capitolo è preso da un verso della canzone “None but the brave” di Bruce Springsteen, di cui ovviamente consiglio a tutti l’ascolto.

Ringrazio tutti quelli che hanno commentato lo scorso capitolo: Whity, RubyChubb, egittofona, Moony Magic, _LaMaNiAcApErBiLl_, anna9223. Siete state tutte troppo gentili e sono felice che questa storia un po’ fuori dai canoni vi abbia coinvolto! Aspetto i vostri commenti!
Grazie anche a quelli che hanno solo letto, so che siete tanti.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 - The best times are coming ***


bleeding
È finita. Eh, sì, un’altra storia è giunta al termine. È stato impegnativo scrivere questa cosa, perché di solito io preferisco la commedia come genere e una storia come questa richiede uno sforzo anche emotivo. Sono felice che abbiate apprezzato questo lavoro, perché ci sono state davvero tante letture (anche se un po’ meno commenti, eh eh, non si fa, impegnatevi!).
Adesso vi lascio alla lettura, perché il capitolo è lungo e denso.
Saluti e ringraziamenti alla fine!

Un bacio a tutti!
Sara

5 – The best times are coming

La saletta era accogliente e luminosa, con la grande finestra che buttava dentro la tenue luce di quella mattina autunnale. Su un tavolo coperto da una tovaglia bianca erano disposte le migliori cose che qualcuno poteva desiderare per fare colazione: brioches calde, ripiene e non, frutta di ogni tipo, cereali e latte, caffè e cioccolata calda. Se uno avesse avuto fame sarebbe stato perfetto. Appunto, se.
Bill guardava fuori dalla finestra e si sentiva come se avesse un pallone da rugby piantato alla bocca dello stomaco. Appetito zero e anche un po’ di nausea. Niente era andato per il verso giusto dopo la sua conversazione con Tom: era tornato in camera e non aveva trovato Andreas, aveva dormito pochissimo e malissimo, si era svegliato con delle occhiaie degne della sposa di Frankenstein e si era pure beccato una ramanzina da parte di David per aver fatto restare Andi con se… e di Tom nessuna traccia… Chissà come se la passava quello zuccone.
Una mano si posò leggera sulla sua spalla, facendolo sobbalzare, tanto era distratto. Il cantante si girò e vide Andreas sorridergli.
“Mangi niente?” Gli chiese l’amico, lui si limitò a scuotere il capo. “Nemmeno un muffin o un po’ di frutta?” Insisté il ragazzo biondo.
“No, davvero.” Rispose allora Bill. “Se metto in bocca qualcosa vomito.” Precisò poi, stringendo appena la mano di Andreas ancora posata sulla sua spalla.
“Come vuoi.” Si arrese l’altro, lasciandolo e dirigendosi verso i thermos del caffè. Lì scambiò un’occhiata eloquente con Georg e scosse la testa.
Bill aveva parlato con Gustav e Georg della sua conversazione con Tom e gli altri due membri del gruppo erano stati concordi con lui, rassicurandolo e dicendogli che non era stato troppo duro.
I ragazzi, poi, avevano parlato di cosa li aspettava quel giorno: da lì a pochi minuti sarebbero stati davanti alla stampa e sapevano perfettamente che qualcosa, di tutto il movimento di quei giorni, doveva essere trapelato. Era impossibile il contrario, del resto, con tutti i potenziali testimoni che c’erano in giro e il comportamento non proprio esemplare di Tom. Adesso c’era solo da sperare che le domande dei giornalisti non fossero troppo imbarazzanti. David li aveva già messi in guardia, specie Bill, durante la famosa ramanzina; anche se sapeva perfettamente che il cantante non era tipo da farsi mettere in mezzo dai giornalisti, il suo stato emotivo preoccupava un po’ il manager e preferiva di gran lunga un silenzio a qualche battuta di sfuggita su Tom, o peggio, su Andreas.
“Allora, ragazzi, ormai manca poco!” Annunciò proprio David entrando nella stanza e battendo le mani. “Siete pronti?” Georg, Bill e Gustav risposero annuendo. “Tom dov’è?” Domandò poi il manager.
I tre musicisti si guardarono intorno perplessi, quindi si scambiarono occhiate allarmate. Bill si rivolse ad Andreas con uno sguardo preoccupato, come se rischiasse la condanna a morte.
“Non ditemi che nessuno di voi lo ha chiamato…” Fece David, mani ai fianchi ed espressione severa.
“Ehm… temo di no…” Mormorò Gustav, l’unico che ebbe fiato per parlare.
“Ma che cazzo sta succedendo a questa band?!” Sbottò l’uomo; Bill chinò gli occhi, cominciando a tormentarsi le unghie dei pollici. “Adesso vado io a tirarlo fuori dal letto…”
“David!” Lo fermò però il cantante, prima che infilasse la porta, lui si girò. “Ieri sera, io e Tom… abbiamo… parlato…” Aggiunse Bill incerto, evitando il suo sguardo.
David lo fissò per un istante, sorpreso, poi roteò gli occhi sbuffando. “Quando prendi queste cazzo d’iniziative, io lo voglio sapere, perdio!” Lo rimproverò quindi, alzando la voce.
“Ma David, è mio fratello!” Protestò Bill stringendo i pugni.
“Non me ne importa una sega! Per me potete anche sbattervelo nel culo a vicenda, basta che me lo dici prima!” Replicò il manager rabbioso, quindi gli diede le spalle ed uscì dalla stanza seguito dalla sua assistente, mentre Bill fissava indignato la sua schiena.

David piombò sulla porta di Tom come un uragano di massimo livello, cominciando a bussare con forza, ma nessuno rispose. L’uomo cominciò anche ad urlare.
“Tom, apri questa porta, porca puttana!”
“Oddio, ma non gli sarà mica successo qualcosa?” Mormorò allarmata la ragazza che lo aveva accompagnato, girandosi appena verso di lui.
David, che fino a quel momento non aveva pensato ad un’eventualità simile, si accigliò. Era vero, lui non sapeva cosa si erano detti i gemelli, né che sconvolgimento emotivo potesse aver portato quel confronto. Il manager si ritrovò molto preoccupato.
“Non dire queste cose, Johanna…” Soffiò con espressione sofferta.
In quel momento, accanto a loro, passò il carrello del servizio camere, spinto da una giovane donna dall’aria seria. David lasciò perdere il discorso che stava per fare e la seguì con lo sguardo, mentre lei tirava fuori il passpartout per aprire una stanza.
“Mi dia immediatamente quel passpartout!” Le ordinò correndo nella sua direzione.
La donna, un po’ spaventata, strinse la tessera magnetica al petto. “Mi scusi, ma… non sono autorizzata a fornire ai clienti…”
“Senta, sono il manager dei Tokio Hotel…” Affermò l’uomo, dando per scontato che lei sapesse di che si trattava. “…potrebbe essere successo qualcosa al mio chitarrista, quindi mi dia il passpartout, parlerò io con il direttore!”
“Guardi, io non credo…” Tentò la donna, ma mentre parlava una porta si aprì.
Johanna, a quel rumore, si voltò, smettendo di seguire la discussione tra David e la cameriera. La stanza di Tom si era aperta ed il ragazzo era sulla soglia con un’aria perplessa.
“Che cos’è questo casino?” Domandò quindi, guardando prima Johanna e poi David e la donna.
Tom non sembrava molto in forma. Tralasciando il colorito degno della buccia del Brie, i capelli ancora sciolti e gli abiti stropicciati come se ci avesse dormito dentro, aveva due occhi stanchi, arrossati e cerchiati da occhiaie ciclopiche. Sembrava passato attraverso un uragano.
“Tom!” Esclamò David, lasciando immediatamente perdere la cameriera e correndo verso di lui. “Maledetto imbecille!” Aggiunse, mentre gli dava una spinta per mandarlo dentro. Johanna li seguì, chiudendosi con precauzione la porta alle spalle.
“Ma si può sapere che cazzo vuoi?!” Sbottava nel frattempo Tom, liberatosi dal manager.
“Lo hai visto che ore sono, eh?” Replicò David, mani ai fianchi. “Tra meno di dieci minuti inizia la conferenza stampa!”
Il ragazzo spalancò gli occhi, poi cercò con lo sguardo la sveglia sul comodino, quindi tornò a guardare l’uomo con espressione confusa. “Scusa, me n’ero dimenticato…” Mormorò quindi.
“Le scuse non valgono nulla!” Ribatté David. “Il tuo comportamento, di recente, si meriterebbe una scarica di calci in culo, invece di tanti discorsi. Tuo fratello è anche troppo buono!”
Gli occhi di Tom, al solo sentir menzionare Bill, si fecero grandi e lucidi. “Che cosa c’entra lui, adesso?” Domandò con voce tremante.
“Niente.” Rispose l’uomo, resosi conto di aver esagerato. “Vai a cambiarti adesso, ti do cinque minuti.” Aggiunse poi, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Johanna, nel frattempo, si era avvicinata al letto sfatto ed aveva preso in mano la fotografia dei gemelli che Tom aveva lasciato lì. Il ragazzo, ormai, era entrato in bagno. Lei si rivolse a David.
“Non avevo mai visto Tom in questo stato.” Affermò la ragazza a bassa voce. “Hai pensato che magari sta male sul serio?”
David incrociò le braccia, fissando assorto la porta chiusa del bagno. “Certo che l’ho pensato…” Dichiarò serio.

Il gruppo si presentò alla conferenza stampa solo con qualche minuto di ritardo. Prima di entrare nella sala predisposta, Bill osservò di sottecchi il fratello, sperando di cogliere uno sguardo di rimando, ma Tom non alzò mai gli occhi.
Venne, quindi, il momento di affrontare gli squali. I quattro ragazzi si sedettero dietro al lungo tavolo coperto da un telo con il logo e il nome della band. I musicisti salutarono, cercando di sorridere in modo convincente, mentre David si scusava per il ritardo.
“Adesso…” Dichiarò poi il manager. “…possiamo iniziare con le dichiarazioni relative al concerto di domani ed ai nuovi progetti.”
I ragazzi parlarono, con il solito entusiasmo, seppur vagamente falso, della loro prossima esibizione dal vivo, delle sorprese che avevano in serbo per il pubblico e delle canzoni nuove che avrebbero suonato in anteprima; quindi passarono a parlare del progetto per il disco in preparazione.
Finite le dichiarazioni dei Tokio Hotel, i giornalisti già fremevano, ma prima dovettero assolvere al dovere delle domande relative agli argomenti trattati.
Mancavano poco più di dieci minuti al termine del tempo a disposizione, quando la giornalista di un tabloid si alzò con un sorriso poco rassicurante.
“A questo punto possiamo osare qualche domanda un po’ più personale?” Fece la donna. I ragazzi si scambiarono un’occhiata veloce, poi Bill annuì.
“Sono vere alcune voci che circolano a proposito di una crisi del gruppo?” Domandò la giornalista a bruciapelo.
Tom, che fino ad allora, si era ben guardato dal calcolare il parterre di scribacchini che aveva davanti, limitandosi a guardarsi intorno con aria scazzata, alzò gli occhi di scatto. Bill spalancò la bocca, ma non disse nulla e cercò di recuperare subito il controllo. Gustav si trincerò dietro la sua classica espressione impenetrabile. Fu Georg, con sorpresa di tutti, a rispondere.
“Non c’è nessuna crisi nella band.” Dichiarò sicuro, sporgendosi verso il microfono davanti a lui. “Noi quattro siamo in armonia come sempre.”
“Confermo in pieno le parole di Georg.” L’appoggiò subito Bill sorridente, cogliendo la palla al balzo. I due si scambiarono uno sguardo complice.
“E come spiegate, allora, la notizia secondo la quale un paio di giorni fa, in una sala prove, è avvenuto un violento litigio tra i membri della band?” Riprese la giornalista serafica.
Bill dovette mettere in atto un complicato meccanismo di autocontrollo per non cedere all’emozione che stava provando. Somigliava alla paura. Se qualcuno aveva visto lui e Andreas erano perduti. Incrocio mentalmente le dita e pregò che non scavassero di più, mentre cercava le parole per rispondere alla domanda. Un aiuto del tutto insperato gli venne in soccorso.
Tom si schiarì la voce, poi si raddrizzò sulla sedia, lasciando la sua posizione abbandonata contro lo schienale della poltroncina e si sporse verso il microfono.
“Non c’è stato nessun violento litigio.” Affermò serio, poi lanciò un’occhiata al viso preoccupato di suo fratello. “Solo un piccolo diverbio per questioni di… divergenze artistiche.” Aggiunse, tornando a guardare la giornalista.
“Sarà…” Fece la donna, con tono scettico. “…ma alcuni testimoni dichiarano di aver sentito grida, parole grosse e sembra che tu, Tom, te ne sia andato di corsa prima della fine delle prove e che Bill si sia allontanato in lacrime…”
Lo sguardo allarmato che passò tra i componenti del gruppo le diede notevole soddisfazione, ma prima che potesse infierire ulteriormente, Bill riprese il controllo delle sue azioni, bloccandola prima che aprisse di nuovo la sua boccaccia.
“Qualunque cosa sia accaduta in sala prove…” Affermò senza tentennamenti il cantante. “…è una questione completamente risolta.” Aggiunse, quindi si voltò verso Tom. “Completamente.”
I due gemelli si fissarono negl’occhi per un interminabile istante e Tom capì cosa voleva dire Bill: gli stava facendo capire che metteva in atto i suoi propositi, passava su ogni cosa, compresi i discorsi orrendi di quel maledetto giorno in sala prove. Il chitarrista non annuì, ne disse nulla, ma il fratello comprese che aveva capito, quindi tornò a sfidare la giornalista con uno sguardo altezzoso dei suoi: bello e dignitoso come una sfinge egizia.
“Se la faccenda è risolta, mi piacerebbe sapere perché Tom ha lasciato la camera che divideva con Bill.” Insisté però la donna, confermando di avere delle ottime fonti.
Il cantante stava per rispondere, ma fu interrotto dal gemello, che si sporse sul suo microfono, schiacciandosi contro il suo fianco. Bill lo guardò, stranito per attimo; era tanto che non aveva suo fratello così vicino, si accorse che gli mancava il suo calore. Ascoltò serio quello che aveva da dire.
“Questo posso spiegarlo tranquillamente io.” Esordì il chitarrista, mettendo su uno dei suoi sorrisi sornioni. “Si tratta di una mera questione di privacy.”
“Privacy?” Soggiunse dubbiosa la donna.
“Beh, sì.” Continuò il ragazzo con sguardo malizioso, sempre appoggiato al fianco di Bill, che si concesse un sorrisetto. “Come sapete bene, spesso mi capita di non essere solo, la notte e non mi va di passare per infantile perché divido la camera con mio fratello…” Alcuni dei presenti risero, al suo tono divertito.
“E io non voglio dormire con i tappi nelle orecchie!” Si affrettò a dichiarare Bill, sporgendosi a sua volta sul microfono. La sua affermazione strappò altre risate.
“Questa spiegazione non mi convince affatto…” Tentò la donna, con espressione perplessa.
“Non credo che su questo argomento ci sia nient’altro da aggiungere.” Intervenne però Tom a muso duro, interrompendola, poi si allontanò dal microfono come a dimostrare di non voler parlare oltre.
Bill lo guardò con gli occhi pieni d’orgoglio e un mezzo sorriso soddisfatto; avrebbe desiderato abbracciarlo, per il modo in cui aveva reagito a quell’attacco. Il cantante tornò quindi a fissare i giornalisti, ma stavolta la sicurezza che mostrava era vera.
“Ho io, un’ultima cosa da dire.” Dichiarò calmo, attirando l’attenzione di tutti i presenti. “Vorrei che fosse chiara una cosa, per tutti voi.” Continuò, quasi glaciale. “Questo non è un gruppo messo in piedi dai produttori, noi quattro, prima di essere dei musicisti che collaborano, siamo amici. Veramente amici.” Concluse con piglio quasi autoritario.
“Ben detto!” Lo appoggiò subito Georg, dandogli una pacca sulle spalle magre.  
“Sante parole.” Sentenziò nello stesso momento Gustav, dal suo angolo.
“E questo è tutto.” Affermò Bill, con ancora il braccio del bassista sulle spalle, quindi si girò a guardare il fratello. Tom, espressione severa, annuì.
“Ma ci sarebbero altre domande da…” Tentò qualcuno tra i giornalisti.
“Mi dispiace, signori.” Intervenne David, prendendo possesso di uno dei microfoni. “Il tempo che potevamo concedervi è terminato, adesso potete fare le foto.” E questo mise definitivamente fine alla conferenza stampa dei Tokio Hotel.

Tornati nella stanza posteriore, i ragazzi si fermarono, creando una specie di cerchio involontario intorno a David, il quale li studiò per qualche secondo. Andreas si avvicinò subito.
“È andata meno peggio del previsto.” Sentenziò il manager.
“Sapevano un sacco di cose, David.” Commentò preoccupato Bill, mentre prendeva dalle mani di Andi una tazza di caffè fumante, ringraziandolo con un cenno.
“Sì, ma non sapevano quelle che era importante non sapessero.” Replicò l’uomo, senza far mancare un’occhiata di rimprovero ai due ragazzi. “Se avessero visto quello che ho visto io…” Bill e Andreas si scambiarono un’occhiata e il biondo si lasciò sfuggire in sorrisino divertito.
“Certo.” Intervenne però Georg. “Ma scriveranno un articolaccio lo stesso.”
“È sicuro che lo faranno.” Affermò David annuendo. “E noi smentiremo. Siete stati bravi, non sarà difficile.” Aggiunse sicuro, poi si girò verso il bassista. “Sei stato grande Georg.”
“Grazie.” Rispose il ragazzo con un gesto del capo.
“Tom.” Chiamò poi il manager, voltandosi verso il chitarrista.
Lui, mani in tasca e cappello calato sugl’occhi, alzò la testa. “Hey.” Fece con un cenno.
“Grande anche tu.” Gli disse l’uomo con un sorriso sbieco. Tom rispose con un’altra mossa scazzata della testa, poi gli diede le spalle. “Bene, adesso andate a pranzo, ma ricordatevi che dopo c’è la sessione autografi, poi avete il resto del pomeriggio libero.”
“Come no.” Commentò Georg, dirigendosi all’uscita. “Sempre che le ragazze non siano così tante da non farci scollare il culo dalla sedia fino all’ora di cena…”
“E ricordatevi…” Gli gridò dietro il manager. “…di essere gentili, sorridenti e sdolcinati!”
“Tranquillo, David, saremo come meringhe rosa.” Gli rispose solo Gustav, ultimo rimasto dentro la stanza, salutandolo con la mano.

Era ormai sera. La sessione autografi, alla fine, li aveva impegnati fin quasi alle sei del pomeriggio. Tom era seduto al bar e sorseggiava apparentemente annoiato una birra. In sottofondo c’era una canzone cupa e intensa; al momento gli sfuggiva chi la cantasse, ma il testo aveva catturato la sua attenzione. Sembrava scritta per lui, per il momento che viveva.
«Non posso scrivere una canzone d’amore come mi sento oggi» (*) - già, lui si sentiva di merda da settimane e non aveva più scritto nulla.
«Non posso cantare una canzone di speranza. Non ho niente da dire» - e poi le parole, di solito, le scriveva Bill. Le cantava lui, con quella sua voce struggente.
«La vita è un po’ strana, da quando sei lontano» - troppo strana senza Bill, le sue risate, i suoi rimproveri, il suo non fermarsi mai, le sue scene da diva…
«Canto questa canzone per te ovunque tu sia» - sentimi Bill, ti prego. «Mentre la mia chitarra mente sanguinando tra le mie braccia…» - che cazzo di testo emo e dire che li odiava…
Posò il bicchiere sul tavolino, con un sorriso amaramente ironico, quindi appoggiò i gomiti sulle ginocchia, fissando il vuoto nella penombra davanti a se. Qualcuno gli mise una mano sulla spalla, mentre si sedeva accanto a lui sul divanetto di velluto. Tom alzò gli occhi e vide David, con in mano un cocktail colorato.
“Aperitivo?” Gli domandò l’uomo, indicando con un cenno del capo la birra abbandonata.
“Una specie.” Rispose serafico il chitarrista.
“Oggi sei stato bravo nella conferenza stampa.” Affermò l’uomo, dopo aver preso un sorso della sua bibita.
“Me lo hai già detto.” Replicò Tom senza guardarlo.
“Ma, correggimi se sbaglio...” Continuò David, ignorando la risposta. “…non mi sembra un bel periodo per te.” Quindi, aspettando la reazione del giovane, prese e mangiò qualche nocciolina.
Tom lo guardò con la coda dell’occhio. David sembrava tranquillissimo e non c’era motivo per cui il ragazzo non si dovesse fidare di lui.
“Senti, se vuoi farmi la filippica…” Reagì però, cercando di evitare una delle paternali infinite stile David Jost, che quando voleva sapeva essere più peso di Bill e mamma Simone messi insieme.
“No. “ Rispose però l’uomo, sorprendendolo. “Volevo solo sapere se stai bene.”
Tom alzò veloce gli occhi su di lui, che si era girato in direzione del ragazzo. Lo sguardo che David si trovò davanti, però, non se lo sarebbe aspettato: era triste, spento, lucido, non erano i soliti occhi pieni di sfida o di malizia.
“Non sto bene, David.” Ammise infine il chitarrista, dopo un lungo attimo di silenzio; si era finalmente deciso a confessare a qualcuno il suo disagio.
Il manager lo fissò serio, poi gli posò una mano sulla spalla con una presa decisa. “Dimmi che non c’entra la droga, Tom.” Gli chiese.
Lui negò fermamente col capo. “Ammetto che qualche canna l’ho anche fumata e che una volta una tipa mi ha rifilato un intruglio a suo dire afrodisiaco, ma che mi ha fatto solo vomitare come un vulcano in eruzione, però giuro che…”
“Basta, basta, ho capito!” Si arrese David, interrompendolo e alzando le mani. “Che succede allora?” Domandò poi.
“Io… io non lo so…” Balbettò Tom, guardandosi le mani. “Sono confuso…” Aggiunse, prima di alzare di nuovo gli occhi in quelli dell’uomo.
“Sai cosa penso io?” Fece l’altro, passandogli un braccio intorno alle spalle, Tom negò col capo e sembrava proprio quel bimbo che ormai non era più da troppo tempo. “Secondo me hai solo bisogno di fare un po’ di pulizia nel tuo cuore.”
“Pulizia?!” Ribatté perplesso il ragazzo.
“Sì.” Annuì il manager. “Devi buttare via un po’ di cose inutili e superflue, togliere la polvere e le ragnatele e ricominciare da quella cosa ingombrante e luccicosa che ci troverai sotto.” Tom spalancò gli occhi con espressione molto interrogativa. “Bill.” Gli disse David, intuendo la domanda.
Tom ridacchiò. “Ingombrante e luccicoso…” Mormorò divertito.
“Che non gli si addice?”
“Eccome!” Confermò il chitarrista ridendo, poi chinò di nuovo il capo, ma senza perdere il sorriso. “Credo che tu abbia ragione.”
“Certo che ce l’ho!” Esclamò David, mentre gli dava una pacca sulla spalla. “E poi…” Continuò con tono più complice. “…se questo non bastasse, vieni da me, conosco un paio di persone che ci sanno fare nel campo.”
“Mi vuoi mandare dallo strizzacervelli?!” Chiese offeso Tom.
“Tu e Bill avreste dovuto andarci anni fa, mi sarei risparmiato un sacco di fatica!” Replicò l’uomo ridendo; anche l’altro lo fece.
“Grazie David, sei un amico.” Affermò quindi il ragazzo, riconoscente.
“Hey, non t’allargare!” Sbottò subito l’uomo, allontanandosi un po’ da lui. “Tu sei fondamentale per il gruppo, devo preservarvi, sennò come cazzo lo pago il mutuo della villa?”
“Dannata sanguisuga!” L’insultò Tom alzandosi con un sorriso.
“E adesso dove vai?” Gli domandò l’uomo che ancora rideva.
“A buttare via un po’ di spazzatura.” Rispose serio il chitarrista, poi portò la mano alla tesa del cappello salutando, lui rispose con un’alzata del bicchiere a mo’ di brindisi.  

Il ragazzo bussò con energia alla porta. Era di legno chiaro, come tutte quelle del grande albergo dove soggiornavano, anche se qui non si era al piano delle suite.
Paula venne ad aprire con addosso un paio di jeans talmente bassi che sarebbe stato impossibile portarci sotto un qualsiasi paio di mutande ed una canottiera finissima da cui trasparivano chiaramente i suoi capezzoli scuri. Capelli sciolti, labbra turgide e atteggiamento sempre pronto. Appena lo vide fece un’espressione stupita, poi sorrise compiaciuta.
“Sapevo che saresti tornato.” Gli disse soddisfatta.
“Non cantare vittoria.” La gelò subito Tom, senza accennare a voler entrare. “Sono solo venuto a dirti che è finita.”
“Finita?” Fece lei scettica, alzando un sopracciglio.
“Sì.” Ribadì lui, privo di tentennamenti.
“Bambino, scusami se dubito che tu sia capace di finirla con me…” Ironizzò la ragazza, incrociando le braccia e mettendo così in evidenza il suo seno prosperoso.
“Beh, mia cara, i tuoi dubbi puoi anche ficcarteli da qualche parte, perché quando decido una cosa io non torno indietro.” Replicò calmo Tom. “Non voglio più avere nulla a che fare con te, non voglio più vederti, o parlarti, o sentire la tua voce, non voglio che mi tocchi, che mi vieni vicino, anzi, accetta un consiglio spassionato: cambia lavoro.”
Paula spalancò la bocca, indignata, poi trasformò l’espressione in un sorrisetto sbieco e maligno. “Ma senti senti il bamboccio! Ha anche delle pretese!” Sbottò acida. “Non saranno richieste un po’ troppo esigenti, da parte di uno che fino a ieri mi scopava alla prima occasione e godendoci anche parecchio?” Gli chiese quindi.
“Non m’importa un accidente di quello che pensi. Io non ti voglio più vedere, mi dai fastidio, non ti voglio intorno. Vedi un po’ tu qual è la soluzione migliore.” Affermò il ragazzo deciso.
“Ah!” Esclamò lei con alzata della fronte. “Ma non ti davo tanto fastidio, quando ti succhiavo l’uccello nel gabinetto del tour bus!”
“Era solo sesso.” Ribatté lui glaciale. “Non mi sei mai interessata per nient’altro che quello ed ora che è finita anche l’attrazione, preferisco che tu sparisca.” Aggiunse impassibile. “Ti lascio libera di scegliere di andartene, ma se preferisci parlerò con David…”
“E che cosa credi che possa fare il tuo David? È stato Werner a mettermi qui!” Intervenne lei rabbiosa, stava decisamente perdendo la pazienza.
Tom si lasciò andare ad uno dei suoi sorrisetti sarcastici. “Vedremo quanto gradirà il tuo Herr Velbaum di sapere che mi facevi pompini dietro le quinte…” Minacciò poi.
“Sei un bastardo Tom.” Affermò lei, abbassando i pugni che aveva alzato nella concitazione. “Sei un piccolo bastardo presuntuoso e arrogante.”
“Se questo serve a liberarmi di te, allora sì, lo sono.” Affermò duro il ragazzo. “Buonanotte.” Le augurò atono, prima di darle le spalle e allontanarsi nel corridoio.
“Tornerai strisciando, Tom Kaulitz! Non la troverai un’altra come me!” Gli gridò dietro la donna, inviperita. Non sopportava che lui la liquidasse in quel modo.
Tom si voltò verso di lei e la fissò con uno sguardo freddo e tagliente come un iceberg. “Tu non lo hai capito chi sono io.” Le disse secco. “C’è una sola persona per cui sarei disposto a strisciare e decisamente non sei te.” Quindi riprese a camminare, ignorando l’urlo soffocato di Paula.

Bill e Andreas erano fermi davanti alla porta della camera del cantante. Si guardavano negli occhi in silenzio. Sapevano che dovevano salutarsi, un altro sgarro come quello della sera prima non sarebbe stato tollerato. Ma erano lì, immobili che si fissavano, entrambi incapaci di fare il primo passo. Avrebbero solo desiderato abbracciarsi e restare così tutta la notte, anche senza fare l’amore.
“Allora, a domani…” Mormorò infine Bill, abbassando lo sguardo.
“Sì, a domani…” Replicò mesto Andreas, mascherandosi con un sorriso finto; poi fece per allontanarsi, ma Bill gli afferrò la mano impedendogli di andare via.
David li vide così, cristallizzati in quella posa, quando girò l’angolo per raggiungere la sua stanza. Si fermò osservandoli, per vedere come sarebbe andata a finire, ma i due ragazzi non si mossero, continuando a guardarsi con aria triste. L’uomo si sentì vagamente in colpa. In fondo Bill e Andi erano stati attenti, la loro storia non era venuta fuori. E sembrava proprio una cosa seria, si volevano bene davvero. Forse, si meritavano un po’ più di fiducia.
“Ragazzi.” Fece, con un cenno di saluto.
Loro si voltarono di scatto e Bill mollò velocemente la mano di Andreas. Entrambi fissarono il manager, leggermente allarmati. David sorrise avvicinandosi.
“Ci stavamo solo salutando, David.” Si affrettò a dire il cantante.
“Sì, stavo andando in camera mia.” Rincarò Andreas passandosi una mano tra i capelli.
L’uomo si fermò davanti a loro, mani in tasca e li studiò ancora per un attimo, poi sorrise sereno. “Tranquilli.” Gli disse. “Non volevo rimproverarvi.”
I due ragazzi si guardarono increduli e sospettosi, quindi tornarono a rivolgersi al manager con espressione interrogativa.
“Riflettevo su una cosa.” Affermò David, grattandosi la nuca. “Questa è, a tutti gli effetti, l’ultima notte che passiamo qui, perché domani c’è il concerto e, tra after show e tutto, non avremo molto tempo visto che partiamo presto la mattina dopo…”
“Che vuoi dire?” L’interrogò Bill, intuendo che l’altro stava girando intorno a qualcosa.
“So che voi due non potrete rivedervi presto, poi.” Tentò di spiegare l’uomo. “Tu torni in Germania, vero Andreas?” Domandò poi.
“Sì.” Rispose il ragazzo biondo.
“E noi dobbiamo finire il tour qui in Francia e poi spostarci in Italia, prima di un mese non torneremo in patria.” Dichiarò il manager.
“Grazie David.” Intervenne Bill sconsolato. “Ora che me l’hai ricordato mi sento proprio meglio…”
“Scusa, ma vedi…” Riprese David, con un sorrisino. “…sono qui per rimediare almeno un po’…” Bill e Andi si guardarono di nuovo, stupiti. “Credo di essere stato un po’ troppo rigido con voi.”
“Che vuol dire, scusa?” Domandò il cantante perplesso.
“Che forse dovreste stare insieme, stanotte.” Rispose David con un lieve imbarazzo. Un altro sguardo incredulo passò tra i due ragazzi.
“Ci prendi in giro?” Fece Andreas, tornando a guardarlo.
“No.” Disse l’uomo, negando col capo; stavolta Bill sorrise apertamente, guardando di nuovo Andi. “Vi lascio liberi, solo… non fate casino e, per sicurezza, disfate anche l’altro letto, così se passa qualcosa, lui ha dormito nell’altra camera.” Concluse, facendogli l’occhiolino.
Bill e Andreas sorrisero all’unisono, troppo contenti per dire qualsiasi cosa, mentre si scambiavano occhiate felici e incredule.
“Allora, buonanotte.” Li salutò l’uomo, quando loro stavano ancora cercando le parole.
Bill si girò verso di lui, con un sorriso pieno di gratitudine. “Grazie David, faremo i bravi.” Il manager annuì, salutandoli con la mano, mentre raggiungeva la sua camera.
Quando David fu sparito dietro la sua porta, gli occhi di Bill si piantarono in quelli di Andreas, l’espressione già maliziosa. Il cantante sollevò il suo famoso sopracciglio piercingato, mentre scorreva la tessera magnetica per aprire la porta, poi afferrò la mano di Andi e lo tirò dentro.
Si ritrovarono nell’ingresso della stanza. Bill appoggiato alla porta già chiusa e Andreas davanti a lui. Si scrutarono per un lungo istante.
“Abbiamo tutta la notte.” Affermò Andi, quasi incredulo.
“A quanto pare…” Replicò Bill con un’espressione fin troppo provocante.
“Che facciamo?” Chiese allora il ragazzo biondo.
Domanda retorica, per Bill, che sorrise come un gatto pronto ad afferrare il pesciolino. “Beh, David ha detto di disfare anche l’altro letto…”
“Cominciamo da lì?” Suggerì Andreas.
Il ragazzo non ebbe una risposta, perché Bill, senza dire una parola, gli arrivò addosso e lo baciò intensamente. Andi abbassò le mani e le strinse sulle natiche di Bill, come non aveva mai fatto e il cantante sorrise compiaciuto, prima di mordergli il collo. Così avvinghiati raggiunsero la camera.

Era notte fonda, quando Andreas si svegliò di soprassalto chiamato da Bill, che lo scuoteva anche per le spalle. Il ragazzo si stropicciò gli occhi confuso.
“Che c’è?” Domandò biascicando per il sonno.
“La senti?” Fece Bill stringendogli le braccia, sollevato su di lui.
“Cosa?” Replicò Andi; lui non sentiva niente, se non il respiro del compagno.
“La musica!” Esclamò però il cantante, indicandogli la finestra da cui filtrava la luce della luna.
“Quale musica?”
Bill roteò gli occhi esasperato. “Quella che viene da fuori.” Affermò poi, continuando ad indicare la finestra. “È una chitarra, potrebbe essere Tom!”
“Bill, io… non sento… niente…” Fu costretto ad ammettere l’altro, rilasciandosi contro i cuscini.
“Non è possibile!” Proclamò Bill, mentre usciva dal letto.
“Ma dove vai?! Sei nudo!” Gli ricordò il biondo. Il cantante sbuffò e acchiappò un lembo di trapunta portandoselo dietro.
Si diresse alla porta finestra che conduceva sul balcone, avvolto malamente nella coperta, mentre Andreas, rimasto col solo lenzuolo addosso, rabbrividiva. Bill aprì l’anta e mise la testa fuori, cercando di captare un qualsiasi suono che somigliasse a quello di una chitarra. Gli sembrò si sentire un paio di accordi piuttosto dolci, ma poi non arrivò più niente.
“Dai Bill, vieni a letto.” Lo supplicò Andreas. “Fa freddo…”
“Eppure…” Mormorò Bill, ora voltato verso l’interno con la trapunta messa addosso stile tunica greca. “…sono sicuro di aver sentito qualcosa…”
“Bill, ascolta.” Disse Andi, ormai seduto sul letto. “Puoi parlare domani con Tom, se veramente stava suonando te lo dirà…”
“Tu credi?” Chiese l’altro, sollevando finalmente gli occhi su di lui; Andreas annuì.
“Torna a letto, adesso, su.”
Bill fece una smorfia un po’ scettica, poi si tolse la coperta dalle spalle e la rimise sopra le lenzuola, con grande gioia dell’altro ragazzo, quindi si strinse nelle spalle e si rimise a letto, accoccolandosi accanto ad Andreas, che lo strinse a se. Ma quella musica continuò a tormentarlo tutta la notte. Sperava con tutto il cuore che fosse la prova della rinata ispirazione di Tom.

La mattina successiva trascorse abbastanza tranquilla e subito dopo pranzo i ragazzi salirono sul pullman diretti al luogo del concerto. Vi arrivarono verso le tre del pomeriggio e già c’erano moltissime ragazze in fila davanti ai cancelli.
Tom era parso a tutti particolarmente di buon umore, a paragone del recente passato. Bill, vedendolo così, non poté fare altro che gioirne, speranzoso di nuovi sviluppi. Il chitarrista salutò perfino con fervore le fans urlanti, quando scese dal bus.
Georg e Gustav, che lo seguivano, si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre lui improvvisava un mini show davanti alla pesante rete metallica che li separava dal serpentone in attesa.
“Ma che succede oggi?” Fece Gustav allarmato. “Sembra il vecchio Tom…”
“Già…” Replicò incredulo il bassista.
Entrambi, poi, sentirono una presenza incombente alle loro spalle e si girarono piano, alzando un poco la testa. Sul gradino precedente c’era Bill che osservava il fratello con uno dei suoi sorrisi migliori: a tutti i denti e scuotendo allegramente la testa.
I due ragazzi, ormai certi della follia dilagante in casa Kaulitz, si strinsero nelle spalle rassegnati, scendendo l’ultimo gradino e dirigendosi nel palazzetto.
Il sound check iniziò puntuale alle sedici. L’arena era grande, ma appena ebbe messo piede sul palco, Bill manifestò di avere le idee chiare su luci e riflettori, quindi le prove dell’illuminazione furono abbastanza veloci. Fu poi la volta del suono e dei microfoni, la solita routine un po’ uggiosa dell’accordatura degli strumenti e, infine, l’aggiustamento della scaletta.
Iniziarono quindi le prove delle canzoni, che andarono avanti per un paio d’ore buone. Durante tutto questo tempo ai presenti non sfuggirono gli sguardi che Tom e Bill si scambiavano, uno all’insaputa dell’altro, come se avessero reciprocamente qualcosa da dirsi.
Bill avrebbe voluto chiedere al gemello se era veramente lui a suonare, la notte prima, oppure se se l’era sognato. Sapeva solo che quelle note ce le aveva ancora in testa.
Tom, invece, aveva ben chiaro in mente quel che doveva fare. Aspettava solo il momento giusto. E, nel frattempo, studiava Bill per capire o solo intuire i suoi pensieri, come succedeva una volta.
Alla fine delle prove, però, il cantante, dopo aver ricevuto i complimenti di tutti ed aver ricambiato con incoraggiamenti per i compagni, si girò verso il fratello. Tom stava ancora sistemando le corde della chitarra, a testa bassa, leggermente voltato di lato.
“Tom…” Lo chiamò Bill.
Lui alzò il capo, sorpreso dall’essere stato chiamato proprio da lui. “Dimmi…” Replicò poi, un po’ confuso, stringendo le mani sullo strumento.
“Ecco, io…” Riprese il gemello, titubante.
“Che cosa c’è?” Lo spronò Tom aggrottando la fronte; il cuore gli batteva a mille, forse questo era il contatto che aspettava.
“No, niente.” Rispose però Bill, prima di abbassare gli occhi. “Volevo solo dirti che sei stato grande nelle prove…” Affermò poi, rinunciando a chiedergli della musica notturna.
“Ah, grazie…” Fece l’altro un po’ deluso. “Anche tu.”
“Grazie.”
Bill, quindi, un po’ scontento di se stesso, prese il suo microfono dall’asta, diede le spalle al fratello e si diresse dietro le quinte. Tom, ormai solo, rimase immobile, con la chitarra tra le braccia e chinò il capo, respirando profondamente. Doveva farlo, era pronto ora.

Il ragazzo si guardò nel grande specchio illuminato, trovandosi estraneo perfino a se stesso, mentre le persone intorno a lui sembravano muoversi solo nel riflesso e non nello spazio reale. Era una sensazione stranissima. Eppure la sua immagine era sempre la stessa, quasi immutabile.
I capelli puntavano al soffitto come se il suo corpo fosse stato percorso da una scarica ad alto voltaggio. Il viso liscio, bianco e fin troppo perfetto. Gli occhi limpidi e un po’ tristi, resi ancora più profondi da quel pesante trucco nero. Le labbra, appena rosate, atteggiate in una piega drammatica. Ma sono io questo? si domandò Bill, alzando interrogativo un sopracciglio, poi chinò il capo.
Quando il via vai di persone fu scemato e anche l’ultimo truccatore, o parrucchiere, se ne fu andato, il cantante rialzò gli occhi sullo specchio. Lo vide subito, lo guardava attraverso il riflesso. Era vicino alla porta, appoggiato contro il muro. Bill si girò lentamente, insieme alla poltrona; aveva un’espressione sorpresa.
“Tomi…” Mormorò, artigliando i braccioli della sedia.
Il suo gemello si staccò dal muro, ficcando le mani in tasca e distogliendo lo sguardo. “Ce li hai due minuti per me?” Gli chiese poi.
“Certo.” Rispose Bill alzandosi.
Tom fece qualche passo alla sua sinistra, tolse le mani di tasca e si aggiusto il cappello. Sembrava molto indeciso, quasi preoccupato.
“Ieri… ieri sera ho scaricato Paula.” Esordì infine, continuando però a non guardare il fratello.
“Oh…” Fu tutto ciò che riuscì a dire Bill, troppo sorpreso.
“Ti domanderai perché sono qui.” Fece poi Tom, alzando finalmente gli occhi. Bill annuì. “Ecco io… io… la verità è che…” Balbettava, ma si mise davanti al fratello. “Sono venuto a chiederti scusa.” Dichiarò alla fine, puntando gli occhi in quelli dell’altro.
Bill spalancò la bocca ed i suoi occhi si fecero lucidi, quindi prese un lungo respiro e fece per dire qualcosa, ma Tom lo bloccò alzando una mano.
“Ti prego, non dire nulla.” Gli disse. “Io… non sono come te, lo sai, non sono buono a parlare, non so fare i discorsi seri, quindi… non m’interrompere, per favore.” Lo supplicò, continuando a fissarlo. Il fratello ubbidì. “Ho fatto un sacco di casini negli ultimi tempi e non… non so perché…” Continuò impacciato, movendo le mani in quel modo così suo che faceva sciogliere di tenerezza il cuore di Bill. “…e mi devi perdonare, perché sono stato cattivo con te e con Andreas e gli altri, con tutti, ma…”
A Bill questo bastava. Gli aveva già perdonato ogni cosa. Ora voleva solo abbracciarlo. Allungò una mano, per afferrare Tom e stringerlo a se, ma il fratello si sottrasse.
“Ho sbagliato tutto.” Affermò il chitarrista, continuando il discorso. “Mi sono allontanato da te, credendo che mi avrebbe fatto bene, ma sono solo stato peggio. Avevi ragione, sarei dovuto venire da te e dirti che… che sto male, Bill.”
Il cantante corrugò la fronte, dispiaciuto che il gemello soffrisse, ma anche in un certo senso contento che alla fine lo avesse ammesso. Era il primo passo per uscirne.
“Non so cosa sia, questa cosa che ho.” Dichiarò Tom. “So soltanto che sono insoddisfatto, niente riesce ad aiutarmi e tu, invece, continuavi come sempre, sembravi così felice che… che quasi t’invidiavo. Poi è arrivato Andreas, voi siete innamorati ed io… lo so, sono uno stupido, ma ho pensato che vi avrei persi entrambi!”
“Oh, Tomi…” Commentò Bill rammaricato. “…non dovevi.”
“Lo so.” Ammise lui. “Adesso l’ho capito, tu me lo hai fatto capire. È per questo che ora io ti chiedo perdono, per ogni cosa. E anche ad Andi…” Tom alzò di nuovo gli occhi in quelli del fratello. “Non devi rispondermi subito, so che l’ho fatta grossa, pensaci, ok?”
“Tom…” Fece Bill, cercando di parlare e dire che non aveva bisogno di pensarci.
“No, dai.” Lo bloccò l’altro. “Volevo solo che sapessi che sono pentito, hai tutto il tempo che vuoi. Puoi anche non perdonarmi, l’importante è che te ne abbia parlato.”
“Tomi…” Tentò ancora Bill, ma Tom era già sulla porta.
“Adesso vado, manca poco ormai…” Riprese però il chitarrista, uscendo nel corridoio. “Ci vediamo sul palco.” Aggiunse allontanandosi.
“Tom, aspetta…” Bill si slanciò per fermarlo, ma il fratello era già sparito in un’altra stanza; il ragazzo si fermò sulla soglia del camerino, con le braccia lungo i fianchi, ancora incredulo.

Bill attraversò la penombra del backstage, dopo aver individuato gli altri membri della band che parlavano con David proprio dietro l’entrata del palco.
“Ah, Bill! Finalmente!” Esclamò il manager, quando lo vide. Lui rispose annuendo.
“Siete pronti, ragazzi?” Domandò poi il cantante, mentre si fermava accanto a loro e posava una mano sulla spalla di Georg. Tutti risposero sì.
Bill quindi scambiò un lungo sguardo con Tom, poi annuì e il fratello fece altrettanto. Un segno d’accordo che mancava da un po’ e che fece piacere ad entrambi. Il cantante, infine, si rivolse a David con espressione determinata.
“Vado sul palco con loro.” Dichiarò deciso.
“Come?!” Fece l’uomo stupito.
“Saliamo sul palco tutti insieme.” Precisò Bill. “Oggi mi va così.”
“Ma Bill, di solito…” Intervenne Gustav perplesso.
“Già.” Rincarò Georg, scrutandolo sospettoso.
“Oggi non è di solito.” Precisò il cantante quasi solenne, poi lanciò un’occhiata a Tom, che lo fissava con la fronte aggrottata. Bill tornò quindi a guardare David. “Ci pensi tu ad avvertire quelli delle luci?” Gli chiese.
“Sì, ma…” Rispose l’uomo, che aveva intuito qualcosa in quella strana richiesta. “…che cosa hai in mente?” Gli domandò, infatti.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò Bill e all’uomo bastò guardarlo un attimo negl’occhi, per sapere che non avrebbe combinato guai.
“Ok, ci penso io.” Annuì allora David. “Voi adesso andate, è tardi.” L’incitò quindi, spingendoli verso l’entrata del palco. Lui e Bill si scambiarono un cenno d’intesa.

Un oceano di persone che si condensa in un grido solo, quando le luci rischiarano il palco. Un brivido lunghissimo, quasi un tremito, che ti percorre dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Una sensazione particolarissima, quasi un’ondata di adrenalina che ti fa barcollare e ti fa capire che sì, sei vivo davvero. E la senti, è viva anche lei, la vibrazione che il pubblico ti trasmette. Ora sei pronto per cominciare.
Ma Bill quella sera aveva qualcosa da fare, prima di regalare l’anima ai suoi fans. C’era un pezzettino di quell’anima che era stato staccato ed aspettava di tornare nel suo caldo posticino, nel punto più prezioso e sicuro del suo cuore.
Gustav, ignorando quel che passava per la testa dell’amico, cominciò a battere le sue bacchette per dare il tempo, ma quando Tom suonò le prime note e Georg stava per unirsi, creando infine la melodia, il cantante alzò una mano bloccandoli tutti e tre.
Sguardi terribilmente allarmati saettarono tra i membri della band, mentre lo staff, dietro le quinte, si animava come un formicaio calpestato, tra i vari «Oddio!», «Che cazzo succede?» e «E ora?!».
Bill, però, afferrò il microfono con l’aria serafica di un maestro yoga e parlò tranquillo alla folla ammutolita, mentre Georg e Gustav erano diventati due statue di sale cui si muovevano solo gli occhi. Tom era di pietra e fissava il fratello senza muovere un muscolo, stringendo la chitarra tanto forte da frantumarla.
“Mi dispiace ritardare l’inizio del concerto.” Esordì nel frattempo Bill, parlando al pubblico. “Ma devo assolutamente fare una cosa, non posso aspettare e spero che capirete.”
Detto questo sistemò il microfono sull’asta e si girò verso Georg, che aveva un’espressione a dir poco sconvolta. Il bassista gli chiese cosa stava facendo, solo muovendo le labbra. Lui gli rispose di stare tranquillo, poi gli diede le spalle e si diresse verso Tom.
Il chitarrista cominciò a guardarsi intorno quasi spaventato, cercando appiglio da qualche parte, ma intorno a lui c’era solo una fossa di ragazzine con gli occhi spalancati e più sconvolte di lui e un ammasso di strumenti in cui avrebbe solo potuto inciampare scappando. E scappare perché, poi?
Alzò allora gli occhi in quelli del gemello, che non aveva mai visto così intensi da tanto, tanto, tempo. Il suo bellissimo, adorato, meraviglioso fratello. E Tom non poté fare a meno di sentire qualcosa di liquido scendergli nel cuore, quando Bill gli sorrise con tutta la dolcezza di cui era capace, fermandosi ad un passo da lui e piegandosi verso il suo orecchio. Quindi sussurrò una frase.
“Non devo pensarci.” Mormorò Bill, perché solo Tom lo sentisse. “Ti ho già perdonato tutto.” Aggiunse con gli occhi lucidi. “Ti voglio bene, fratellino.”
E concluse la frase dandogli un lento e tenero bacio sulla guancia, che fece singhiozzare palesemente Tom… e venire giù il teatro.
L’applauso fu lunghissimo e le urla devastanti, mentre Bill si allontanava da Tom e quest’ultimo si asciugava furtivamente una lacrima, mormorando «Cazzo!».
Bill, raggiunta nuovamente la sua postazione davanti al microfono, lo prese, dopo essersi a sua volta asciugato le lacrime, e disse: “Ne è valsa la pena, vero?” Gli rispose un assurdo grido di approvazione. “E adesso è ora di cominciare!!!!” Aggiunse, alzando poi il braccio in aria, come era solito fare per incitare il pubblico. E la musica prese il via.

Durante lo spettacolo ci fu almeno un altro momento che mise a dura prova tutte le fan e in particolare quelle dal cuore tenero: quando i gemelli suonarono «In die nacht».
Bill la interpretò con un’intensità se possibile più profonda del solito e Tom suonò con passione e impegno. E non smisero di guardarsi negl’occhi per un solo istante della canzone, abbracciandosi brevemente alla fine. Tom invitò le fans a godere del gesto in quel momento, perché non li avrebbero visti farlo tanto spesso. Bill sorrise della storica ritrosia del fratello.
Quando il concerto finì, i quattro musicisti salutarono il pubblico tutti insieme, tenendosi reciprocamente per le spalle, come se la pace finalmente ritrovata tra i gemelli avesse rinsaldato il legame tra tutti loro. David e Andreas li osservavano soddisfatti da dietro le quinte.
Bill e Tom rientrarono nel backstage per ultimi e, mentre gli altri prendevano da bere, o gli asciugamani e ricevevano i complimenti dello staff, si guardarono negl’occhi. Fu un lungo sguardo pieno di significati e, quando gli occhi divennero lucidi, si abbracciarono con tutta la forza che avevano.
Era un abbraccio caldo, familiare come nient’altro può essere, perché è qualcosa che esiste da sempre, da ancora prima di nascere. Qualcosa che era mancato disperatamente ad entrambi.
Quella notte i gemelli la passarono a parlare, a tirare fuori ciò che non si erano detti in settimane di silenzi, tutti i dubbi, le paure, le incertezze, le piccole gioie e le soddisfazioni. Un dialogo totalmente aperto, non privo di risate, lacrime, tensioni, richieste d’aiuto. Aprirono all’altro il proprio cuore come non succedeva probabilmente da anni e questo li riavvicinò molto più di quanto avevano fatto le scuse. Alla fine si addormentarono uno davanti all’altro, le fronti che si sfioravano ed il pollice di Tom nella mano di Bill, come quando erano bambini.

Era una mattina limpida e la stanza era illuminata chiaramente in ogni angolo, elegante, linda e un po’ anonima, come tutte la camere d’albergo. Bill era appoggiato con i fianchi al piano della specchiera ed osservava i raggi del sole disegnare ombre sulla moquette. Sorrideva tranquillo.
“Hey.” Fece Andreas affacciandosi alla porta che dava su un altrettanto illuminato soggiorno. Bill si girò e gli sorrise con calore. “Che fai?” Gli domandò l’altro.
“Pensavo.” Rispose lui; Andi si avvicinò con espressione interrogativa. “Riflettevo sul fatto che, nonostante tutto, avrò dei bei ricordi di questa stanza.” Gli spiegò quindi Bill.
“Beh, anche io.” Confermò il ragazzo biondo, condividendo quella convinzione.
Bill sollevò una mano gli carezzò il viso con dolcezza, mentre Andreas lo guardava negl’occhi, un po’ triste perché partiva, un po’ allegro perché i suoi migliori amici avevano fatto pace. E, come sempre, uno si perse nello sguardo dell’altro.
“Hanno già portato giù le tue valige.” Affermò però Andi, rompendo l’atmosfera. “E se vuoi che a David non parta un embolo, dovresti scendere anche tu.”
Bill rise allegramente, poi si scostò dal mobile, mettendosi davanti all’altro ragazzo. “Prima dammi un bacio.” Gli ordinò. “Fuori non potrò farlo e voglio salutarti come si deve.” Aggiunse, passandogli le braccia intorno al collo. Andi sorrise e lo accontentò.
Fu un urlo roco e inorridito a farli scostare uno dall’altro. Si voltarono verso la porta, dove c’era Tom che si riparava il viso con le braccia, come un vampiro davanti ad un crocefisso.
“Per l’amor del cielo, non fatelo più davanti a me!” Proclamò disgustato il chitarrista, dando velocemente le spalle alla scena.
“Ma Tomi, ti dovrai abituare!” Protestò piccato Bill.
“Io non voglio abituarmi a un bel cavolo di niente!” Sentenziò il gemello allontanandosi. “L’unica cosa positiva di questa storia è che ora c’è più fica per me!”
Bill e Andi si guardarono un attimo negl’occhi, poi scoppiarono a ridere.
“Il mio Tom.” Dichiarò poi orgoglioso il cantante, ancora con le lacrime agli occhi.
“Già, il tuo Tom.” Confermò allegro l’altro.
Bill, quindi, afferrò la sua amatissima borsa da sopra il letto, poi prese per mano Andreas e insieme lasciarono quella suite che, nel bene e nel male, in quei pochi giorni ne aveva viste di tutti i colori.

Il tour bus li stava aspettando nel piazzale davanti all’hotel. Gustav, David e Georg erano già lì e loro li raggiunsero in pochi minuti. Bill e Andi, naturalmente, si erano lasciato la mano prima di scendere dall’ascensore.
Davanti alle porte aperte del pullman i ragazzi si salutarono per l’ultima volta, dopo aver incassato le ennesime raccomandazioni del manager. I due innamorati si abbracciarono brevemente ed in modo amichevole, poi si guardarono negl’occhi.
“Riguardati.” Disse Bill ad Andreas, che subito sorrise divertito.
“Dovrei dirlo io a te.” Replicò poi, aggiustandogli una ciocca di capelli sulla spalla. Si guardarono negl’occhi, cercando di esprimere quello che era difficile dire a voce, poi non ci fu più tempo: David, dall’interno del bus chiamò Bill.
“Ti chiamo quando arriviamo.” Garantì il cantante all’altro ragazzo.
“Ok…” Rispose Andreas con un sorriso triste. “Ciao.” Lo salutò poi.
“Ciao…” Rispose Bill, salendo le scalette, senza voltarsi perché aveva le lacrime agl’occhi.
Tom si fermò davanti ad Andreas, mentre lui seguiva ancora con lo sguardo la fuga di Bill; quando il ragazzo biondo se ne accorse, lo guardò e gli sorrise.
“Temo che, per salvare le apparenze, sarai costretto ad abbracciare anche me.” Affermò il chitarrista.
“Credi che ti abbracci solo per le apparenze?” Gli chiese l’amico.
“Spero di no.” Rispose Tom, prima di stringere a se Andi. “Scusami ancora.” Gli sussurrò poi all’orecchio.
“Basta scuse adesso, ho già dimenticato tutto.” Replicò l’altro, allontanandolo da se.
“Ok.” Annuì Tom. “Fatti sentire, va bene?” Aggiunse serio.
“Contaci.” Gli garantì Andreas, prima di dargli una pacca sulla spalla. “Ah… tienimelo d’occhio, ok?” Aggiunse, riferendosi a Bill.
“Tranquillo.” Gl’assicurò l’altro, che era già sul primo gradino del pullman.
Il mezzo partì appena furono tutti a bordo. Andreas rimase nel piazzale, sapeva che mancava qualcosa. Infatti, come il bus si fu allontanato di qualche metro, al grande finestrino posteriore apparve Bill, che lo salutava sbracciandosi.
Andi sorrise, era sempre il solito romanticone il suo Scoiattolo. Lo salutò con la mano e poi gli fece il gesto del «ti amo» con le dita e Bill rispose alla stessa maniera; quindi non gli restò che guardarsi, mentre diventavano sempre più piccoli con la lontananza. Un mesto sorriso si dipinse sul viso del giovane, quando mise le mani in tasca e tornò verso l’hotel.

Erano in viaggio da circa un’ora, quando Bill raggiunse Tom nel salottino del piano superiore del bus. L’autostrada correva davanti a loro, silenziosa. Il cantante si sedette accanto al fratello, posando il capo sulla sua spalla. Tom lo accolse spostando appena il mento e accomodandosi meglio sul divanetto di pelle.
“Tomi?” Mormorò Bill, rannicchiato contro il fianco del gemello.
“Eh?” Fece Tom, abbassando appena gli occhi.
“C’è una cosa che non ti ho chiesto, ieri sera.” Riprese il cantante. Tom si spostò, l’attenzione risvegliata, e guardò il fratello.
“Cosa?” L’interrogò poi.
Bill guardò oltre l’ampio finestrino. Il cielo era azzurro, oltre il guard rail dell’autostrada c’erano campi coltivati. Si stava bene. Si stava come a casa vicino a Tom.
“L’altra notte mi sono svegliato e mi è sembrato di sentire una musica.” Raccontò Bill, mentre il fratello lo ascoltava attento. “Ho aperto anche la finestra, ma è finita…” Il ragazzo si scostò dal gemello e lo guardò negl’occhi. “Eri… per caso, eri tu che…”
Tom sorrise, allungò un braccio e prese Bill per le spalle, tirandolo di nuovo nella posizione di prima, contro il suo fianco, poi gli carezzò i capelli.
“Ti è piaciuta la canzone nuova?” Gli domandò poi, con dolcezza, rispondendo implicitamente alla domanda del fratello.
Bill alzò gli occhi, guardandolo da sotto, sorridendo felice. “È bellissima, Tomi.” Proclamò poi, mentre si stringeva di nuovo a lui. “Dopo, me la fai ascoltare tutta?”
“Quando vuoi, fratellino.” Rispose Tom con un sorriso tenero. “Quando vuoi…”
In quel momento arrivarono Gustav e Georg, che sorrisero soddisfatti davanti ai gemelli riuniti, poi sedettero davanti a loro, dall’altro lato del tavolo. Non si misero a parlare, né a mangiare le patatine che i due avevano portato. C’era un silenzio confortevole nel salottino. Solo il rumore soffice del motore del bus turbava la tranquillità. Bill e Gustav furono i primi ad addormentarsi. Tom e Georg si scambiarono un sorriso complice, poi chiusero gli occhi a loro volta. E tutti poterono finalmente godere della ritrovata armonia, sotto gli occhi attenti e ora rilassati di David, fermo sulla porta con le braccia incrociate.  

FINE

(*) La canzone ascoltata da Tom nel bar è quella che da il titolo al racconto “My guitar lies bleeding in my arms”; i versi in lingua originale sono questi: “I can't write a love song the way I feel today / I can't sing no song of hope, I got nothing to say / Life is feeling kind of strange, since you went away / I sing this song to you, wherever you are / As my guitar lies bleeding in my arms…”. La mia traduzione non è letterale, l’ho fatta un po’ a comodo, perdonatemi.

Ringrazio con tutto il mio cuoricino rockettaro per prime le persone che mi hanno messo nei preferiti: anna9223, eddy, kaulitz angel, melusina, Mikela_Th, My Chemical Girl,  picchia e l’incommensurabile RubyChubb. Grazie, grazie. Baci, baci.

Poi grazie a tutti quelli che hanno commentato i capitoli, specie per quello precedente. Sono davvero contenta se vi ha fatto emozionare, spero di avervi soddisfatto anche con l’ultimo capitolo, fatemelo sapere mi raccomando! Un grazie particolare a Whity, per la bella recensione al capitolo 4, hai centrato tutti i punti che volevo evidenziare, mi ha fatto molto piacere.

A questo punto vi saluto, spero di tornare prossimamente su queste pagine, perché i’ mi’ bambini continuano ad ispirarmi! Mi raccomando commentate, che mi fa sentire tanto bene!

Un abbraccio forte forte a tutti!
Sara - La Zietta dei Tokio Hotel

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=168786