Live Again

di EllieHope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A new life in Vancouver ***
Capitolo 2: *** A pair of eyes as blue as the ocean ***
Capitolo 3: *** It's time to go shopping! ***
Capitolo 4: *** And I felt alive ***
Capitolo 5: *** The power of the ocean ***



Capitolo 1
*** A new life in Vancouver ***


Ehi! Primo capitolo di una nuova storia. Non potete nemmeno immaginare la tremarella che ho in questo momento: Piacerà? Non piacerà?
Ma, mi son detta, buttati e lo saprai! J
Spero davvero che vi colpisca e che vi piaccia e, vi prego, di lasciarmi una recensioncina per farmi sapere che ne pensate. Se vi piace come inizio e se vi fa schifo. Se, secondo voi, dovrei cambiare qualcosa…insomma, fatemi sapere!! :D
Un bacione
Ele.

Ps. Consiglio musicale à  http://www.youtube.com/watch?v=ZRci-l11A0E                                 

 

 

 

A new life in Vancouver

 

 

 

                                                                                                                                            12 novembre 2012.

 

Cara Sophie,
ho  deciso di partire e andarmene da qui. Abbandono Londra, per sempre.
Sto scappando dai ricordi.
Sto scappando da me stessa.
Sto scappando verso Vancouver.
Sperando che sia più facile. Sperando di non trovare altro dolore, altre perdite.
Prima tu, poi i miei genitori. Ora sono sola. Sola.
Completamente sola.

 

Quell’ultima parola rimbombò come se l’avessi urlata, pesante come un macigno.
Chiusi gli occhi, impedendo all’ennesima lacrima di rigarmi il viso, e mi passai una mano tra i capelli rossicci. Presi un profondo respiro, ritrovando l’autocontrollo di sempre. Riaprii gli occhi, posai la penna e chiusi il diario color rosso brillante e lo riposi con cura in fondo alla borsa, dopodiché mi alzai e, facendo attenzione a non svegliare la signora che dormiva beatamente nel posto di fianco al mio, mi diressi in bagno, sgranchiendomi le gambe indolenzite.
Erano già passate sette ore da quando l’aereo era decollato.
Sette ore da quando avevo lasciato Londra e tra poco più di due ore sarei arrivata a Vancouver, in Canada.
Vancouver.
La città che sognavamo di visitare io e Sophie non appena ci fossimo diplomate.
Ma poi tutto era andato storto.
Il mondo mi era crollato addosso quando, una sera, tornando dal lavoro, avevo trovato mio padre, in salotto, intento a confortare mia madre in lacrime. Si accorsero di me e mi vennero incontro e mi abbracciarono. Restai immobile. Non capivo cosa stesse succedendo. Fino a quando la verità arrivò inaspettata e sconvolgente: Sophie. La mia migliore amica. La persona con la quale ero cresciuta, non c’era più. Morta in un incidente d’auto assieme ai suoi genitori.
Scomparsa, per sempre.
Nei mesi successivi mi chiusi in me stessa. Non mangiavo. Non parlavo. Mi sentivo vuota, senza vita. Ma, senza l’aiuto di nessuno, mi rialzai con la consapevolezza che lei, non avrebbe mai voluto che mi lasciassi morire, che mi buttassi via così.
Quel pizzico di serenità ritrovata, però, fu spazzato via quando, un anno più tardi, anche i miei genitori morirono.
Un incidente d’auto.
Un ALTRO incidente d’auto.
L’ENNESIMO che mi portava via le persone che più amavo.

Mi riscossi e osservai il mio riflesso allo specchio del minuscolo bagno dell’aereo: ero stanca e occhiaie scure contornavano i miei occhi verdi, quasi lampeggiando sulla mia pelle color avorio.
Mi lavai le mani e mi sciacquai il viso per rinfrescarmi, dopodiché uscì e, accompagnata dal sorriso caloroso dell’anziana hostess, tornai al mio posto.
Mi infilai le cuffie dell’Ipod nelle orecchie e, cullata dalla musica, mi addormentai.
Dopo quelli che mi parvero venti minuti, fui svegliata dalla voce del comandante che, attraverso l’altoparlante, ci comunicava che, a breve, sarebbero iniziate le operazioni di atterraggio e contemporaneamente la spia luminosa ci informò che era giunto il momento di allacciare le cinture.
A poco meno di trenta minuti, mi sarei stata catapultata in una nuova realtà.
A poco meno di trenta minuti, avrei cominciato la mia nuova vita.

Inevitabilmente agitata e altrettanto emozionata, scesi dall’aereo e con la navetta raggiunsi lo stabile dell’aeroporto internazionale di Vancouver.
Scrutai il cielo e notai che la perenne coltre di nubi lasciava scorgere il pallido sole canadese.
Sorrisi.
Il sole mi metteva di buon umore, sin da quando ero bambina.
A Londra, proprio come a Vancouver, era raro che il sole riuscisse a scavalcare le spesse nuvole e si facesse vedere. Così, non appena accadeva, correvo a chiamare Sophie, che abitava in fondo a Pierremount Avenue, e insieme andavamo a giocare in giardino, fingendo di essere due principesse in attesa dei rispettivi principi azzurri.
Raggiunti i sedici anni però, di fiabesco, nella mia vita, era rimasto ben poco.
Scacciai quei pensieri malinconici.
Non volevo ricordare.
Non ancora.
Non ero pronta.

Recuperai le mie valigie e, superati i minuziosi controlli, uscii.
L’aria gelida di novembre mi investì e mi strinsi nel pesante cappotto color panna per proteggermi dal freddo.

Non mi sembra il caso di inaugurare la tua nuova vita con un’influenza, Kristen, mi dissi.
Fermai un taxi e vi salii.
‘1128 Hastings Street W.
Marriott Pinnacle Hotel
, per favore.’ dissi gentilmente all’autista. Avrei alloggiato in albergo, fino a quando fossi riuscita a trovare un posticino che facesse al caso mio.
‘Certamente, signorina.’ mi rispose cordialmente e partì.
Ringraziai il cielo che mi fosse capitato un autista taciturno e discreto, poiché non avrei sopportato domande e interrogativi, sul perché mi trovassi a Vancouver, da dove venissi, perché ero partita e altri mille bla bla bla.
Ne avevo già avuto abbastanza alla dogana dell’aeroporto dove mi avevano tempestato di domande, insospettiti dalla mia giovane età e incuriositi dal motivo della mia visita.
Ma non era una semplice visita.
Ero venuta per restare. E nonostante avessi soltanto diciannove anni, avevo già pianificato il mio futuro: mi sarei iscritta alla University of British Columbia, frequentato la facoltà di interpretariato e traduzione, e avrei cercato un lavoretto part-time, aspettando di laurearmi e trovare un lavoro vero.
Ma, sebbene avessi le idee chiare, me la stavo letteralmente facendo sotto.
Sospirai.
Il taxi arrivò a destinazione e l’autista, estremamente gentile, mi aiutò a scaricare le pesanti valigie. Gli sorrisi e gli diedi anche una buona mancia, ringraziandolo.
Ripartì, lasciandomi sola e imbambolata davanti all’imponente edificio.
Alzai lo sguardo e respirai a fondo, cercando coraggio.

Bene Kristen
, mi dissi,
pronta per una nuova vita?

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Capitolo 2
*** A pair of eyes as blue as the ocean ***


Ciao a tutti! Scusatemi per la lunga assenza, ma tra scuola, trasloco e tutto il resto sono stata super impegnata. Prometto che posterò al più presto anche il nono capitolo di 'You are my wonderwall'!!
Ringrazio
ERMY CULLEN e Simplymyself22 per aver aggiunto la mia storia tra le preferite! Grazie mille! (:
Fatemi sapere cosa ne pensate e per chi volesse, potete aggiungermi su facebook(http://www.facebook.com/profile.php?id=100003712748229&sk=wall)!
Un bacione,
Ele

 
Alessia NightOwl:
Ehi! In realtà mi chiamo Eleonora! Ahah J
Sono davvero contenta che ti piaccia il capitolo. Scrivo da poco e devo ancora imparare ad riportare il casino che ho in testa sulla carta, nel modo più comprensibile possibile. Ci sto lavorando, insomma! Ti ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite, lo apprezzo davvero tanto! Visiterò il tuo profilo e leggerò le tue storie con molto piacere, non appena avrò un po’ di tempo libero. *Promise* (:
Fammi sapere cosa ne pensi di questo secondo capitolo e…scusa per la lunga attesa!
Un bacione,
Ele

 
Cri cri: Ciao! Ti ringrazio per la recensione e mi fa piacere che ti sia piaciuto il primissimo capitolo! Spero che questo nuovo capitolo non ti deluda e che continui ad incuriosirti!
Fammi sapere cosa ne pensi!
Un bacio e scusa per la lunga attesa!
Ele

 

P.s: se potete, ascoltatela mentre leggete! http://www.youtube.com/watch?v=pOv4XL3yMZs&ob=av2e

 

 

 

A pair of eyes as blue as the ocean.

 

 

Erano passate due settimane dal mio arrivo a Vancouver e, ormai, ne riconoscevo strade, piazze e negozi.

Mi piaceva, no, la amavo letteralmente.

Era la città perfetta per me, con un’atmosfera lontana da quella della Londra caotica e inquinata da cui ero fuggita.

Qui nessuno era di fretta.

Qui tutti erano gentili e disponibili.

Qui avevo ritrovato la serenità, che tanto agognavo.

Certo, ero serena, ma la malinconia persisteva e sapevo che non avrei potuto farci niente.

Quel senso di vuoto e desolazione che mi aveva assalito dopo la scomparsa dei miei genitori e, prima ancora, della mia migliore amica, mi avrebbe accompagnata per il resto della mia vita.

Dovevo solo imparare a conviverci, senza permettergli di distruggermi.

 

Cara Sophie,
finalmente trovo un po’di tempo per scriverti.
Tra l’iscrizione, le pratiche per l’università e il ‘trasloco’ non ho avuto nemmeno un attimo di pace.
Finalmente ho trovato un appartamento! È perfetto e sono sicura che piacerebbe anche a te, se solo fossi qui: è luminoso, spazioso e ha un’enorme cabina armadio per cui tu perderesti la testa!!
Ti ricordi quando ci nascondemmo nel tuo guardaroba per paura che tua madre ci scoprisse, mentre ci provavamo i vestiti supercorti per la festa di Tom Russ!?! Ogni volta che sentivamo i passi di tua madre che attraversavano il corridoio, il terrore si impossessava di noi…al solo pensarci mi viene ancora da ridere!
Non vivo da sola, non temere, ho una coinquilina. Si chiama Lindsey e viene da New York. È bellissima, sul serio, è bionda, gli occhi blu e due gambe che farebbero invidia a chiunque! Fortunatamente non è una snob, anzi, è simpaticissima e ama la moda quanto te e, proprio come facevi tu, sbuffa quando mi vede uscire di casa in jeans e comodissime scarpe da ginnastica: andreste sicuramente d’amore e d’accordo!!
La tua mancanza si sente, Sophie.
E si intensifica ogni giorno di più.
Avresti dovuto essere qui. Con me. A sostenermi come hai sempre fatto.
Ora devo salutarti, Lindsey si sta spazientendo…è la quinta volta che mi avvisa che è ora di andare.
Ti voglio bene.

 

‘KRISTEEEN!’ strillò Lindsey per l’ennesima volta.
Chiusi il diario e lo infilai velocemente in borsa, dopodiché afferrai i libri che mi sarebbero serviti quella mattina e raggiunsi la mia coinquilina che, impaziente, era già sul pianerottolo di casa.

‘Ce ne hai messo di tempo, londinese!’ disse scendendo le scale a due a due. ‘Si può sapere che diavolo stavi combinando?! Vuoi forse fare tardi il tuo primo giorno alla University of British Columbia?!’ chiese aumentando il passo.

Oddio, ma dove correva?! L’università era a pochi minuti dal nostro appartamento e all’inizio delle lezioni mancava ancora…guardai l’orologio..un minuto.


Oh cazzo
, Imprecai mentalmente.

‘Io..ehm, ecco…io stavo..Mi stavo preparando!!’ improvvisai.

In realtà avevo finito di prepararmi quasi un’ora prima, perché avevo paura di arrivare in ritardo. Ma non le avrei detto che stavo scrivendo il mio diario. Mi avrebbe preso per una di quelle ragazzine da diario segreto pieno di cuoricini, in attesa del principe azzurro.
Mi squadrò da capo a piedi, analizzando il mio abbigliamento: indossavo un paio di jeans, una camicetta bianca e un paio di stivali color cuoio e ovviamente il pesante cappotto color panna.
Tutto sommato, parve soddisfatta e non fece alcun commento.

Raggiungemmo l’università in tempo record e ci demmo appuntamento per la fine delle lezioni, all’entrata dell’enorme struttura in vetro. Lindsey, infatti, non avrebbe frequentato il mio stesso corso: lei aveva scelto psicologia, io, invece, volevo diventare interprete.

Mi affrettai verso l’aula magna dell’edificio, dove si sarebbe svolta il corso di francese, e presi posto.
La lezione fu interessante e la mattinata passò velocemente.

Quando il professore ci congedò era ormai ora di pranzo, mi alzai e feci per raggiungere la mia nuova amica, ma qualcuno mi urtò e l’intero contenuto della mia borsa si riversò sulle scale che conducevano all’atrio.
‘Ehi! Potresti anche stare più attento!’ urlai al maleducato che mi aveva urtato.

Ma non si degnò nemmeno di chiedermi scusa e continuò a salire i gradini, come niente fosse. ‘Cafone.’ lo apostrofai scocciata.
Magnifico! pensai sconsolata, osservando tutti i miei appunti sparpagliati sui gradini color pietra.
Iniziai a raccogliere tutte le mie cose e ad infilarle disordinatamente in borsa.

‘Ehi, bisogno di aiuto?’ mi chiese una voce a pochi passi da me.

Pensando che mi stesse sfottendo, alzai lo sguardo per rispondergli a tono, ma incontrai gli occhi più azzurri che avessi mai visto e ammutolii.

Boccheggiai.
Cercai di ricordarmi come fare a respirare, osservando meglio il viso dai lineamenti angelici di quel ragazzo.

‘Tutto bene?’ mi chiese divertito, osservando la mia espressione.

Kristen, riprenditi! Stai facendo la figura della perfetta idiota!

‘Io..ecco..io..si..no è che un maleducato mi ha urtato…e si, ecco, io..’ tentai di spiegare, arrossendo violentemente.

Fantastico! Oltre che idiota, sembri pure ritardata!

Per tutta risposta, mi sorrise e mi passò gli ultimi fogli e le chiavi di casa che erano scivolate qualche gradino più in basso.

‘Frequenti anche tu il corso di Monsieur Montaigne?’ chiese, notando gli appunti in francese.

‘Si..Monsieur Montaigne..si’ risposi mordendomi il labbro inferiore, in preda al nervosismo.

‘Robert, piacere’ si presentò sorridente, tendendomi la mano.

Kristen! mi ammonii mentalmente. Presentati e cerca di sembrare una persona normale!

‘Io sono Kristen.’ mi presentai a mia volta, stringendogli la mano.

Dio! Quella mano! Era così forte e delicata nel contempo…e quel sorriso era a dir poco mozzafiato.

‘Non sei di qui, vero?’ mi chiese senza interrompere quel contatto e continuando a sorridermi.

Mi riscossi e ritirai la mano.

‘Io..no. Sono di Londra, in realtà. Mi sono trasferita qui da poco.’ Gli risposi, cercando di riprendere il controllo di me stessa.

‘Io sono di Brighton!’ esclamò entusiasta.

‘Mi sembrava che il tuo accento non fosse americano, in effetti..’ gli confessai sorridendo e sentendomi, per un attimo, a casa.

‘Ehi, che ne dici di pranzare insieme? Potrei parlare con qualcuno che non mi prende in giro per la mia pronuncia, finalmente!’ disse scherzosamente.

Coooosa?!? Mister Divinità mi stava invitando a pranzo?

Wow.

Calmati. Mi imposi, cercando di darmi un contegno.

‘Ecco..io non posso. Ho appuntamento con una mia amica per pranzo e…anzi sono già in ritardo!’ dissi tutto d’un fiato e feci per scendere gli ultimi tre scalini, ma inciampai nei miei stessi piedi e ci mancò davvero poco che mi sfracellassi al suolo.

‘Attenta!’ gridò, afferrandomi prima che cadessi rovinosamente a terra.

Mi ritrovai tra le sue braccia, ed un attacco di iperventilazione imminente dovuto all’eccessiva vicinanza a Robert Mister Perfezione.

Mi posò a terra e mi chiese se mi fossi fatta male.

Lo rassicurai e scappai via, rossa in viso, estremamente imbarazzata.

Dannato equilibrio! Imprecai Perché ero così incline a fare figuracce?!?

Mi stavo guardando intorno, sperando di trovare Lindsey da qualche parte, quando il mio cellulare trillò. Lo estrassi dalla borsa e lessi il messaggio.

Bloccata con la stronza di psicologia. Ci vediamo a casa, scusami. L.

 

Anche Lindsey mi aveva abbandonata.

Mi guardai intorno, sperando di vedere Robert da qualche parte e accettare l’invito per il pranzo, ma il giardino era diventato deserto a causa delle nuvole che, minacciose, ricoprivano il cielo, fino a poco prima azzurro.

Forse è meglio così
, mi dissi e, sorridendo amaramente, mi diressi verso casa accompagnata dalle prime gocce di pioggia.

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Capitolo 3
*** It's time to go shopping! ***


Capitolo 3

 

It’s time to go shopping!

Sorseggiai qualche goccia d’acqua dal bicchiere di vetro e, rivolgendo il mio sguardo verso l’immacolato pavimento della piccola cucina, tornai a contemplare il vuoto.

‘Robert, piacere’ si era presentato sorridente, tendendomi la mano.
‘Io sono Kristen.’
gli avevo risposto, impacciata, afferrando quella mano forte e delicata al tempo stesso.
‘Non sei di qui, vero?’
aveva chiesto senza interrompere quel contatto e continuando a sorridermi.
‘Io..no. Sono di Londra, in realtà. Mi sono trasferita qui da poco.’
‘Io sono di Brighton!’,
sembrava addirittura entusiasta.
‘Mi sembrava che il tuo accento non fosse americano, in effetti..’
avevo confessato sorridendo e per un attimo mi ero sentita come a casa.
‘Ehi, che ne dici di pranzare insieme? Potrei parlare con qualcuno che non mi prende in giro per la mia pronuncia, finalmente!’ mi aveva chiesto, massaggiandosi la nuca, quasi fosse imbarazzato.


Senza volerlo, un sorriso si dipinse sulle mie labbra.
No! Mi ammonii mentalmente, Kristen non farlo. Non iniziare a sognare, smettila!
Ma mi ha invitato a pranzo e mi conosceva da qualche minuto appena!, intervenne l’altra voce.
Kristen ma l’hai visto?! Sembra un modello! Farà così con tutte..apri gli occhi!!, mi fece rinsavire la parte ragionevole del mio cervello.
Già.
Era davvero bello.
Come potevo piacergli io?
Io così anonima. Io così insicura. Io così…così io.
‘Posso sapere il motivo di quel sorriso ebete che hai dipinto in faccia da quindi minuti buoni?’ una voce interruppe il flusso dei miei pensieri, spaventandomi.
Poco ci mancò che il bicchiere mi sfuggisse dalle mani e si infrangesse al suolo, dando vita ad una letale –per i miei piedi scalzi- cascata di schegge di vetro.
Alzai lo sguardo e trovai Lindsey appoggiata allo stipite della porta della cucina, intenta a guardarmi. La mano destra posata sul fianco, in attesa che le dessi una risposta.
Arrossii e cercai di nascondere il mio imbarazzo voltandomi verso il bancone di granito per mettere in salvo il bicchiere dalla mia pessima presa.
‘Beccata!’ strillò, eccitata come se le avessero regalato l’ultima collezione autunno-inverno di Valentino.
‘Stavi pensando ad un ragazzo, vero?!?’ indagò con fare inquisitore.
Elusi la sua domanda, fuggendo attraverso lo stretto corridoio con l’intento di raggiungere la mia camera e sigillar mici dentro per il resto della serata.
Lindsey, però, non era certo il tipo che si arrendeva facilmente e, infatti, dopo qualche istante, eccola lì. Con nonchalance si era buttata sul mio letto, decisa a non cedere fino a che non le avessi confessato la verità.
‘Dai Kristen, sputa il rospo! Chi è?!’ mi voltai verso di lei e, mimando il gesto, sigillai le labbra con una chiave immaginaria e la gettai alle mie spalle.
‘Oh suvvia! Non puoi fare questo alla tua coinquilina preferita, Kris! Chi è?!’ insisté.
Finsi di riordinare la scrivania, già perfettamente ordinata, e non le prestai la benché minima attenzione, ma un sorriso sfuggì al mio controllo e si distese sul mio viso.
‘Kristen, chi è?? Non voglio essere impicciona, voglio solo sapere chi ti rende così allegra!’’ continuò imperterrita.
Mi volsi verso di lei e la guardai storto.
‘Ok, ok, sono un’impicciona! Ma ti prego…’ ammise e assunse l’aria da cane bastonato ingiustamente per farmi sentire in colpa.
‘Ehi! Non è valido cercare di intenerirmi facendomi gli occhioni dolci!’ protestai, ormai conscia che di lì a poco avrei ceduto.
‘Oh, si che è valido, carissima! Tutto è lecito in guerra tra coinquiline!’ ribatté con fare giudizioso.
‘Ma il detto non era: tutto è lecito in guerra e in amore?!’ la schernii.
‘Poche ciance, donna. Sputa il rospo.’ Sorrise risoluta.
Mi arresi. Le raccontai tutto per filo e per segno.
Lindsey ascoltò rapita e rise quando accennai vagamente alla caduta e alla mia difficoltà a rimanere lucida in presenza di Robert, ma si maledì quando le dissi che avevo rifiutato l’invito a pranzo, per lei.

‘Bene, direi che è ora di andare a fare un po’ di shopping..’ disse Lindsey dopo qualche minuto di silenzio.
Un momento. Cosa?! Che mi ero persa?
‘Shopping? E perché?’ le chiesi confusa.
Lindsey sospirò con fare sconsolato. Si passò una mano sugli occhi e poi afferrò il cuscino azzurro e bianco che si trovava dietro di lei.

Oh-oh.
‘Kristen. Jaymes. Stewart. Non. Dirmi. Che. Ti. Sei. Dimenticata. Della. Festa. Di. Benvenuto. Per. Le. Matricole. Di. Cui. Ti. Parlo. Da. Più. Di. Una. Settimana!’ mi urlò ridendo accompagnando ogni parola con una cuscinata. Tentai di proteggermi il viso con le mani e cercai invano di arretrare per evitare i suoi colpi.
Quando finalmente si fermò, scoppiai a ridere e fingendo di raccogliere qualcosa dal pavimento, afferrai il cuscino verde ai piedi del letto e glielo lanciai in piena faccia prendendola alla sprovvista. Ovviamente non se lo aspettava e rimase esterrefatta.
‘Oddio Lindsey’ tentai di parlare, nonostante mi mancasse il fiato dal troppo ridere. ‘Dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Sei esilarante!!!’. Scoppiai di nuovo, tenendomi la pancia.
‘Ah ah ah, davvero molto divertente, londinese!’ disse con fare fintamente acido. ‘Me la pagherai cara. E quale migliore occasione che non un bel pomeriggio intensivo di shopping. Ah ah, vedremo chi riderà per ultimo!’ aggiunse sorridendo.
Tornai seria e sbiancai.
COSAA?!?!
‘No…ehi Lindsey, io scherzavo. Cioè insomma…tu lo sai che io odio fare shopping e poi comunque non credo di venire alla festa….sai…ehm…non sto troppo bene e poi domani devo svegliarmi presto per andare a lezione…non posso fare tardi.’ Dissi accaparrando scuse su scuse.
Tutto pur di evitare la festa. Già avevo poca autostima, se poi dovevo anche confrontarmi con tutte le ragazze dell’università le avrei detto addio definitivamente. E poi…si stava così bene in compagnia di un buon libro.
‘Punto primo: tu stai benissimo. Punto secondo: domani l’università è chiusa perché è domenica. Punto terzo: smettila di cercare scuse inesistenti. Punto quarto: prendi la borsa che dobbiamo andare…’ mi urlò dal corridoio verso il quale si era avviata.
‘Ma Lindsey..sul serio io non st…’cercai di convincerla.
‘Punto quinto: muoviti immediatamente o ti vengo a prendere di peso, tesoro.’ Mi interruppe senza troppi giri di parole.
Era inutile. Tutto inutile. Doveva sempre averla vinta lei.
Accidenti!
‘Dittatrice..’ mormorai a denti stretti, ormai rassegnata. Afferrai la borsa e il cappotto e mi avvia verso la porta dove la mia ‘dolce’ coinquilina mi stava aspettando con una mano destra sul fianco e un sorriso a trentadue denti stampato sul viso angelico.
‘Ci divertiremo un sacco, vedrai!!’ trillò abbracciandomi quando fummo sul pianerottolo di casa.
‘Lo sapevo che saresti venuta!’ aggiunse iniziando a scendere le scale.
Come se avessi avuto altra scelta, pensai sconsolata e mi lasciai trascinare da un negozio all’altro per tutto il pomeriggio.

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Capitolo 4
*** And I felt alive ***


Ciao a tutti, scusatemi per l’imperdonabile ritardo. In realtà avevo postato questo capitolo un paio di giorni fa, ma sono talmente scema che l’ho cancellato e ho cancellato perfino il terzo! *facepalm* … sono senza speranze!
Comunque, ora ho sistemato tutto, perciò riposto questo tanto agognato - da parte mia – capitolo.
Ringrazio tutti per le recensioni! Vi risponderò a breve! :)
Grazie grazie grazie a chi legge silenziosamente e a chi inserisce la storia tra le preferite e da ricordare!
Un grazie immenso,
Ele.

Suggerimento musicale: https://www.youtube.com/watch?v=NNbG1tlaLSA


Capitolo 4


                                                               And I felt alive

‘Lindsey … sul serio, forse farei meglio a tornare a casa.’ Dissi cercando una via di uscita.
‘Kristen, non ricominciare, per favore!’ disse voltandosi verso di me.
La guardai negli occhi sperando che capisse quanto mi sentissi a disagio in quel momento. Parve capirlo perché mi sorrise dolcemente e mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
‘Ehi! Sei uno schianto stasera, Kris! Non capisco proprio di cosa ti vergogni … li stenderai tutti!’ mi incoraggiò.
Sì, li stenderò tutti quando cadrò rovinosamente addosso a qualcuno perché non riuscirò a camminare su queste stupide scarpe! Pensai
‘Niente problemi, niente tristezza, niente paranoie stasera. Solo divertimento, ok?’ aggiunse notando la mia scarsa convinzione.
Solo divertimento? Sì, potevo provarci, almeno.
‘Affare fatto’ le dissi convinta e battendole il cinque.
Dopotutto ne avevo bisogno.
Mi sorrise euforica e ci incamminammo attraverso il campus per raggiungere l’aula magna dove si sarebbe svolta la festa.

La sala era stata sgombrata dalle sedie e dai banchi e riadattata a discoteca. Dal soffitto scendevano decorazioni argentate, che, illuminate dalle luci, davano vita ad una magnifica coreografia di riflessi scintillanti.
Il fondo dell’aula era stato adibito a bar ed era gremito di studenti che chiacchieravano allegramente tra loro. La musica riempiva la stanza e alcuni coraggiosi esibizionisti erano già in pista a ballare.
L’atmosfera era piacevole e fui contenta di non essere tornata all’appartamento.
Lasciammo i cappotti al guardaroba e ci avventurammo tra la folla che ora affluiva numerosa. Mi guardai un po’ in giro e riconobbi qualche compagno di corso, salutai con un cenno e un sorriso divertito Lara, la ragazza bionda con cui avevo svolto un saggio sulla Francia Seicentesca a lezione.
Mi diressi al bar, presi da bere e, sorseggiando il mio drink alla fragola, osservai Lindsey che rideva spensierata in compagnia di un ragazzo moro, alto e che molto probabilmente faceva parte della squadra di rugby dell’università, a pochi metri da me.
La invidiavo.
Invidiavo la sua sicurezza e la sua spensieratezza.
Invidiavo la sua positività e il suo ottimismo.
Io non volevo più permettermi di essere positiva e spensierata. Non potevo. Ogni volta che mi ero permessa un po’ di felicità, le persone a me più care se ne erano tragicamente andate, lasciando mi sola. E io … beh, io non ero più in grado di sopportare altro dolore. Sarebbe stato troppo.
La testa cominciò a girare e sentii un bisogno irrefrenabile di piangere.
Aria.
Avevo bisogno d’aria.
Appoggiai il bicchiere al bancone e lasciai la festa, dirigendomi verso l’esterno dell’edificio.
L’aria fredda mi investì, inspirai profondamente per qualche minuto cercando di far scemare quell’improvviso attacco di panico. Appoggiai la schiena al muro e guardai il cielo scuro, privo di stelle, concentrandomi su di esso.
Non ero pronta a rivivere tutto quel dolore. Non ancora.
Avevo bisogno di tempo.
‘Chissà quanto ancora?’ mi chiesi.

Meno male che si era detto ‘niente tristezza e solo divertimento’! pensai ironica ricordando le parole di Lindsey.
Passai distrattamente una mano tra i capelli e un brivido mi risalì lungo la schiena.
‘Sapevo che le londinesi fossero abituate a climi rigidi, ma non credevo fino a questo punto!’ disse una voce alla mia sinistra.
Mi voltai di scatto, spaventata: Robert se ne stava a pochi metri da me, con le mani in tasca e mi fissava sorridente.
‘Wow, sei davvero bellissima stasera …’ disse guardandomi dalla testa ai piedi; seguii il suo sguardo e solo in quell’istante mi ricordai che avevo indosso soltanto un abitino ondeggiante color blu notte – acquistato quello stesso pomeriggio –, calze blu e un paio di scarpe dal tacco scomodamente alto.
Arrossii violentemente.
‘… E quando arrossisci, sei davvero adorabile’ aggiunse.
Boccheggiai.
Davvero ha detto una cosa del genere o me lo sono immaginata?

‘Grazie Robert, anche tu non sei da meno..’ ribattei cercando di spostare l’attenzione su di lui. Indossava un paio di pantaloni blu, una camicia bianca semi-sbottonata e sopra di essa una giacca beige che portava slacciata.
Rabbrividii involontariamente e mi strinsi le braccia attorno alle spalle cercando di scaldarmi.
Robert si avvicinò, si tolse la giacca e la appoggiò sulle mie spalle. Il suo profumo mi avvolse. Il suo calore mi scaldò nel profondo.
Incontrai il suo sguardo e mormorai un flebile ‘grazie’.
Mi aveva colto alla sprovvista. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me. Questo genere di cose succedeva solo nei film.
Ci fissammo per minuti interi senza proferire parola, mi sentii protetta e mi persi nella profondità del suo sguardo.
Quegli istanti di estrema intimità furono interrotti da un gruppetto di studenti che lasciavano la festa in preda agli effetti dell’alcol e dell’euforia. Li osservai mentre si allontanavano urlando frasi sconnesse e del tutto prive di senso.
Mi sfuggì un sorriso.
‘Che ci facevi qui fuori al freddo tutta sola?’ chiese Robert quando il parco ritornò silenzioso.
‘Avevo bisogno di una boccata d’aria … ’ risposi abbassando lo sguardo. ‘ … e tu, invece? Cercavi donzelle in difficoltà, forse?’ lo schernii.
‘Cercavo te ’ Mi rispose, incatenando il suo sguardo al mio.

Passò qualche istante prima che registrassi il significato delle sua parole.
Cercava me.

Un momento: cercava me?!
‘Me?’ domandai con voce acuta. Mi prende in giro, giusto?

‘Sì, proprio te. Volevo invitarti a pranzo lunedì, visto che oggi mi hai dato buca. ’
Scoppiai a ridere, incredula.
Lui continuò a fissarmi, divertito, ma in attesa di una risposta.
‘Accetto l’invito, allora. ‘ risposi.
Mi afferrò la mano destra e la strinse nella sua. Arrossii. Lui mi regalò un sorriso e il mio cuore perse un battito.
‘Meno male! Un tuo secondo rifiuto mi avrebbe ucciso!’ disse melodrammatico.
Scoppiammo a ridere.
‘Ti va di rientrare? ‘ chiese.
Sospirai.
‘No, sono molto stanca, credo che tornerò a casa …’ gli risposi.
Lessi la delusione nei suoi occhi blu, ma subito si ricompose e si offrì di accompagnarmi.
‘Non potrei lasciare che una dolce fanciulla torni a casa da sola a quest’ora della notte. Ne andrebbe del mio onore di Englishman!’ aggiunse scherzoso, senza smettere di stringermi la mano.
‘Se ne va del tuo onore … non posso far altro che accettare!’ risi.
Ci incamminammo verso l’uscita del campus, la mia mano ancora stretta nella sua a darmi conforto, forza e calore – ogni ombra di imbarazzo, ormai, sparita -.
Arrivati, mi accompagnò fino alla porta dell’appartamento.
‘Io … abito qui.’ Dissi, indicando la porta alle mie spalle. ‘Allora … ehm … grazie per avermi accompagnata e grazie per la giacca’ dissi impacciata, sfilandomela.
Lui, però, mi fermò.
Inaspettatamente prese il mio viso tra le mano e mi regalò un bacio delicato a fior di labbra.
Rimasi impietrita.
Indietreggiai.
Sostenne il mio sguardo, analizzando la mia reazione.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi lasciai andare, sciogliendomi nei suoi baci e nelle sue romantiche, intime attenzioni.
E mi sentii libera.
E mi sentii viva.

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Capitolo 5
*** The power of the ocean ***


Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo. Devo essere sincera e dirvi che questo capitolo mi sta particolarmente a cuore per ragioni che capirete leggendolo, ma anche perché sono riuscita ad esprimermi al meglio mentre lo scrivevo. Ho descritto tutto esattamente come volevo e ne sono molto orgogliosa.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e lasceranno la propria impressione (bella o brutta che sia) scrivendomi una recensione, ma anche coloro che leggeranno silenziosamente.

Lauretta95: Cara Laura, avendo cancellato (per errore, ovvio) i due capitoli precedenti e avendoli poi, reinseriti, anche le recensioni si sono cancellate! Ma, ripeto, ma … avevo salvato la tua e quindi ti rispondo qui
J Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e non sai quanto mi faccia piacere sapere che io sia riuscita a commuoverti attraverso le mie parole. Grazie ancora per i complimenti e aspetto un tuo parere anche su questo capitolo J Un bacione, Ele.

A tutti coloro a cui non ho ancora risposto alle recensioni, scusatemi. Sono andate perse quando ho cancellato due dei capitoli della storia, per sbaglio. Sappiate che però le ho lette e ho apprezzato. Alla ragazza che si era immedesimata nella protagonista, perché aveva perso anche lei una persona estremamente importante, dico che le sono vicina e che posso capirla. Un abbraccio anche a te.


Capitolo 5

The power of the ocean.

Bip-bip-bip  bip-bip-bip  bip-bip-bip..
Sveglia maledetta.
Allungai la mano verso il comodino e spensi quell’aggeggio infernale, poi mi costrinsi ad aprire gli occhi e ad alzarmi. Mi stiracchiai per bene e poi mi diressi verso la camera di Lindsey per svegliarla, ma trovai il suo letto perfettamente in ordine, prova evidente che la mia coinquilina non aveva dormito a casa.
Non mi spaventai.
Molto probabilmente aveva dormito da Josh, il rugbista che aveva conosciuto alla festa tre settimane prima. Nulla di nuovo. Tutto nella norma.
Sorrisi ripensando alla festa e, sovrappensiero, mi diressi in cucina per preparare una grossa tazza di caffè.
Dlin-dlon.
Ecco Lindsey!’ pensai, avviandomi verso la porta.
‘Ehi! Finalmente sei qui, pensavo non arrivas ... ’ dissi spalancando la porta, ma le parole mi morirono in gola non appena notai che non si trattava della mia amica.
Un Robert imbarazzato mi fissava sulla soglia del mio appartamento, grattandosi la nuca.
‘Robert! Ma che ci fai qui?!’ chiesi disorientata.
‘Ehm, ti ho portato la colazione..’ spiegò, porgendomi un vassoio incartato, contenente chissà quale prelibatezza. ‘Non volevo disturbarti, ehm, ecco..’ continuò.
‘No! Certo che non disturbi!’ gli sorrisi sincera. ‘E’ solo che pensavo fossi Lindsey … sai, non ha dormito a casa e, di solito, torna a quest’ora.’ Gli spiegai.
Lo feci entrare e lo condussi in cucina, dove il caffè era ormai pronto.
‘Giusto in tempo per il caffè, ti va?’ gli chiesi, voltandomi verso di lui, ma il suo sguardo era fisso sulle mie gambe.
Solo in quell’istante mi ricordai che stavo indossando solo la maglietta con la quale dormivo.
Oh cazzo.
Arrossii violentemente e lui rise divertito.
‘Sì, grazie … ne gradirei una tazza.’ Rispose.
Gli porsi il caffè e poi corsi in camera ad infilarmi un paio di pantaloni.
Tornai in cucina e mi sedetti attorno al tavolo, vicino a lui e iniziai a sorseggiare il mio caffè ancora bollente.
‘Allora, non vuoi sapere cosa ti ho portato?’ mi chiese avvicinando il vassoio ancora incartato.
‘Certo! Scusa è che mi hai preso alla sprovvista … ’ mi affrettai a dire. Dopodiché scartai il vassoio e vidi una schiera di sei croissant ripieni di cioccolato, direttamente dalla migliore pasticceria francese di Vancouver.
‘Oh Dio! Ma come fai? Sono i miei preferiti!’ strillai emozionata, abbracciandolo.
Rise con me e, una volta sciolto l’abbraccio, trattenne il mio viso tra le mani e depositò un bacio delicato sulle mie labbra. Io, però, non mi accontentai e risposi al bacio che divenne meno casto.
‘Se questa è la ricompensa, te li porto ogni mattina, dolcezza!’ esclamò lui, sorpreso, quando ci separammo.
Risi di gusto e divisi a metà un croissant, porgendogliene una parte.
‘Ho un’altra sorpresa per te, Kristen.’ Disse, mentre riordinavamo la cucina.
‘Non dirmi che hai anche dei brownies e dei waffles!’ gli dissi con fare speranzoso.
Scoppiò a ridere e io arrossii.
Contegno, Kristen!! Mi ordinai.
‘Scusa…’ cercai di dire, ma Robert mi zittì dolcemente.
‘No, mi dispiace. Ma in compenso, potremmo andare a comprarli più tardi. Tanto le lezioni non cominceranno prima della 11.30. La lezione di francese è stata annullata, perché il professore è ad un convegno in qualche altro college della zona. ’ Concluse.
‘Ma è fantastico!’ commentai sollevata, sistemando il barattolo dello zucchero sul ripiano più alto del pensile.
‘Vado subito a prepararmi così usciamo a facciamo un giro per la città, prima che inizino le lezioni. Che ne dici?’
Annuì e sul suo volto si dipinse un’espressione divertita.
‘Che c’è?’ chiesi allarmata.
Si avvicinò a me, incatenando il suo sguardo al mio. ‘Sei sporca di cioccolato.’ Disse.
‘Dove?’ chiesi.
‘Proprio qui.’ Sussurrò a pochi centimetri dal mio volto. Poi mi baciò dolcemente e io mi abbandonai tra le sue braccia che, ora, stringevano i miei fianchi al di sotto della maglietta.
Dio.
Consapevole che quel bacio non presagiva nulla di buono e, non essendo ancora pronta, mi liberai dalla sua stretta e corsi in corridoio.
‘Vado a prepararmi, altrimenti faremo tardi. Intanto, fai come se fossi a casa tua!!’ Gli urlai dal bagno, così che mi potesse sentire. Per tutta risposte lo udii ridere di gusto.
Venti minuti dopo ero pronta. Dopo una bella doccia rilassante, un filo di trucco e vestiti più consoni, ero decisamente più presentabile e pronta ad uscire.
‘Allora … che si fa ora?’ chiesi a voce un po’ troppo alta, entrando nella mia camera per prendere  la sciarpa rossa che tanto si abbinava con il mio cappotto blu e la borsa con i libri dei corsi che avrei seguito più tardi.
Fui sorpresa di trovare Robert intento ad osservare le foto che avevo disposto sulla mensola vicino alla finestra.
‘Ehi … pensavo fossi in salotto, scusa.’ Dissi e indossai la sciarpa.
‘Che fine ha fatto la Kristen di questa foto?’ domandò, indicando la foto che ritraeva me e i miei genitori il giorno del mio sedicesimo compleanno.
Mi immobilizzai e lo guardai dritto negli occhi. Non riuscii a proferir parola.
Come ha fatto ad accorgersi che c’è qualcosa che non va in me?
Nemmeno Lindsey, con la quale vivevo da quasi due mesi se ne era mai accorta.
E lui, che mi conosce da sole tre settimane, riesce a capirlo?
‘Che intendi dire?’ sussurrai a fatica dopo qualche minuto di silenzio, ma ormai tutte le mie barriere erano  crollate e feci fatica a deglutire.
Vedendomi in difficoltà, Robert mi abbracciò come solo lui era in grado di fare e io non riuscii più a trattenermi: scoppiai a piangere stringendomi al suo petto. Restammo così, fermi, per minuti interi e lui aspettò pazientemente che io mi sfogassi.
‘Sc-sc-sc-scusami ..’ singhiozzai.
‘Ssh, non dirlo nemmeno per scherzo, Kris. Non devi vergognarti dei tuoi sentimenti, mai. Se non sei pronta, lo capisco … io sono qui e ti aspetto. Capito?’ disse lasciando un tenero bacio tra i miei capelli.
‘Gr-grazie, Robert.’ Risposi, riprendendo controllo di me stessa. Sciolsi l’abbraccio, spazzai via le lacrime dalle guance e respirai profondamente un paio di volte.
Sorrisi a Robert che, intento ad osservarmi per assicurarsi che stessi bene, mi sorrise di rimando. Nei suoi occhi non c’era traccia di pietà, compassione e gliene fui profondamente grata.

                 ___________________________________________________________

 

Dopo una divertente mattinata trascorsa insieme, io e Robert ci salutammo e ci dirigemmo verso le rispettive aule per assistere alle lezioni. Sebbene il corso fosse lo stesso, le lezioni che seguivamo non erano sempre le stesse, essendo lui già al terzo anno.
Il cellulare mi avvertì che avevo ricevuto un messaggio. Posai la penna lasciando incompleta la frase conclusiva del mio saggio riguardante la sociologia della comunicazione.

Ti passo a prendere alle 19.30. Ho una sorpresa per te. A dopo tesoro, R.

Il mio cuore perse un battito. Mi abbandonai sorridente con la schiena sul materasso.
Sospirai, felice di poter trascorrere un altro po’ di tempo con Rob.
Mi alzai dal letto e attraversai il corridoio per raggiungere la camera di Lindsey.
Bussai e attesi che mi rispondesse. Non appena entrai, notai che, proprio come me qualche istante prima, era intenta a studiare.
‘Ehi Linds, scusami non volevo disturbarti.’ Dissi con l’intenzione di richiudere la porta e lasciarla in pace.
‘No, Kris tranquilla! Ho finito … stavo solo leggendo un passaggio del mio articolo che non mi convinceva molto.’ Mi rassicurò e, poi, mi sorrise.
‘I tuoi articoli sono sempre ottimi, Linds! Volevo solo avvertirti che stasera non sarò a casa, Robert mi passa a prendere verso le sette e mezza.’ Le spiegai.
Mi guardò maliziosamente. ‘No, Linds, non è come pensi! Non siamo mica come te e Josh che non uscite mai dalla camera da letto!’ mi affrettai a ribattere, sconvolta.
‘Magari si trattasse solo della camera da letto … ’mi confessò e, non appena notò la mia espressione incredula, scoppiò a ridere fragorosamente.
Mi alzai, fintamente indignata, e mi tappai le orecchie. ‘Non voglio sentire nient’altro!’ affermai e me ne andai, ma cinque minuti più tardi, potevo ancora udirla ridere.
Digitai una risposta veloce, ma carica di impazienza.

Non vedo l’ora. Ti bacio, K.

Notando che mancava soltanto mezz’ora prima che arrivasse Rob, mi affrettai a prepararmi. Indossai un paio di jeans skinny e un maglioncino di cachemire blu, raccolsi i capelli in una treccia morbida e misi un filo di mascara. Indossai le mie amate converse proprio quando Robert suonò alla porta. Afferrai la borsa, nella quale infilai frettolosamente il cellulare rimasto sul comodino, e il cappotto.
‘Ciao Lindsey!’ salutai la mia coinquilina.
‘Ciao Kris, divertiti!’ ricambiò lei.
Quando finalmente aprii la porta, trovai Robert - Mister Perfezione appoggiato allo stipite dell’uscio.
Wow.
Era di una bellezza mozzafiato.
Mi sorrise, felice di vedermi e mi attirò a sé per baciarmi. Una scarica di emozione pura attraversò il mio corpo e non potei fare a meno di domandarmi se ogni nostro bacio, abbraccio o contatto casuale sarebbe stato sempre così emozionante. In cuor mio, pregai affinché fosse così.
‘Sei pronta?’ mi chiese con il suo miglior sorriso sghembo.
‘Pronta.’ Risposi emozionata.
‘Dove mi porti?’ chiesi mentre raggiungevamo la macchina parcheggiata poco più in là, senza riuscire a mascherare la curiosità che mi stava divorando.
‘E’ una sorpresa, Kris. Se ti svelo dove ti sto portando, che razza di sorpresa è?!’ fece apposta per stuzzicarmi.
‘Come vuoi.’ Dissi, fintamente offesa.
Non passarono nemmeno dieci secondi che, proprio come avevo previsto, mi strinse e mi baciò per farsi perdonare.
‘Perdonato?’ mi chiese speranzoso e divertito insieme.
Finsi di pensarci un po’ su.
‘Ti prego, Kris, perdonami! Non posso vivere senza il tuo perdono.’ Tentò di convincermi e io scoppiai a ridere, seguita a ruota da lui.
Giunti alla macchina, si affrettò ad aprirmi lo sportello metallizzato dalla parte del passeggero ma, prima che salissi, mi disse: ‘Sei adorabile stasera, Kris.’ E lasciò un bacio a fior di labbra. Entrai in macchina e mi accomodai.
‘Sei perdonato, ma sei un ruffiano!’ gli urlai bonariamente dall’interno dell’auto, mentre lui si affrettava dalla parte del guidatore.
Allacciate le cinture, partimmo e, per tutto il tragitto, ridemmo, scherzammo e ascoltammo la radio.
Nonostante non mi capacitassi del fatto che un ragazzo come lui, che avrebbe potuto avere qualunque ragazza di questo pianeta soltanto con uno sguardo e un sorriso sghembo, avesse scelto me, in quel mese trascorso insieme mi ero convinta che faceva sul serio.
Robert era un ragazzo sincero, limpido ed estremamente genuino. Era pur sempre un maschio certo, come mi ricordava Lindsey a giorni alterni, ma mi capiva e riusciva a stupirmi e farmi ridere molto spesso.
E io ero felice. Ero enormemente felice.
Arrivammo a destinazione quarantacinque minuti più tardi, quando la mia curiosità aveva quasi raggiunto il limite.
Scendemmo dall’auto e una folata di vento carica di salsedine mi investì. Aria di mare.
Robert mi strinse la mano e attese una mia reazione che, ovviamente, non tardò ad arrivare.
‘Mi hai portato sull’oceano?’ sussurrai emozionata, con gli occhi che mi brillavano per la sorpresa e la felicità. Lo abbracciai forte.
‘Ho pensato che ti sarebbe piaciuto. E’ il mio posto segreto: vengo qui quando ho bisogno di riflettere e mettere ordine nella mia vita … pensavo, ecco … pensavo che, si insomma … ’ spiegò.
‘… Pensavi che avessi bisogno di mettere ordine anche io. ’ Terminai la frase per lui.
Lo guardai negli occhi e ci lessi dentro un senso di protezione che mai nessuno era riuscito a darmi.
‘Grazie, amore.’ Dissi sincera, scostandomi dal viso le sottili ciocche di capelli svolazzanti sfuggite alla treccia.
Mi guardò stupito e mi stupii anche io dell’intensità che avevo messo in quelle parole.
Accarezzò delicatamente la mia guancia destra, poi, riafferrò la mia mano destra e ci incamminammo verso la spiaggia.
Camminammo per un paio d’ore, respirando la libertà e la forza del mare che il vento trasportava ad ogni onda. Raccontai a Robert tutto ciò che per tanto mi ero tenuta dentro e, sebbene faticosamente, riuscii a non piangere. La morte di Sophie, il periodo di depressione, la morte dei miei genitori e la disperazione che ancora permaneva in me. Gli raccontai ogni cosa e notai che, da quel momento, mi guardò sotto una luce diversa. Rimase in silenzio per tutto il tempo, lasciando che mi sfogassi, lasciando che rivivessi il mio dolore con la consapevolezza che stavo aspettando lui per riviverlo, e non il momento giusto.

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