Live Again di EllieHope (/viewuser.php?uid=135231)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A new life in Vancouver ***
Capitolo 2: *** A pair of eyes as blue as the ocean ***
Capitolo 3: *** It's time to go shopping! ***
Capitolo 4: *** And I felt alive ***
Capitolo 5: *** The power of the ocean ***
Capitolo 1 *** A new life in Vancouver ***
Ehi!
Primo capitolo di una nuova storia. Non potete nemmeno immaginare la
tremarella
che ho in questo momento: Piacerà? Non piacerà?
Ma, mi son detta, buttati e lo saprai! J
Spero davvero che vi colpisca e che vi piaccia e, vi prego, di
lasciarmi una
recensioncina per farmi sapere che ne pensate. Se vi piace come inizio
e se vi
fa schifo. Se, secondo voi, dovrei cambiare
qualcosa…insomma, fatemi sapere!!
:D
Un bacione
Ele.
Ps. Consiglio musicale à
http://www.youtube.com/watch?v=ZRci-l11A0E
A new
life in Vancouver
12 novembre 2012.
Cara Sophie,
ho deciso di
partire e andarmene da qui.
Abbandono Londra, per sempre.
Sto scappando dai ricordi.
Sto scappando da me stessa.
Sto scappando verso Vancouver.
Sperando che sia più facile. Sperando di non trovare altro
dolore, altre
perdite.
Prima tu, poi i miei genitori. Ora sono sola. Sola.
Completamente sola.
Quell’ultima
parola rimbombò come se l’avessi urlata, pesante
come un macigno.
Chiusi gli occhi, impedendo all’ennesima lacrima di rigarmi
il viso, e mi
passai una mano tra i capelli rossicci. Presi un profondo respiro,
ritrovando
l’autocontrollo di sempre. Riaprii gli occhi, posai la penna
e chiusi il diario
color rosso brillante e lo riposi con cura in fondo alla borsa,
dopodiché mi
alzai e, facendo attenzione a non svegliare la signora che dormiva
beatamente
nel posto di fianco al mio, mi diressi in bagno, sgranchiendomi le
gambe
indolenzite.
Erano
già passate sette ore da quando l’aereo era
decollato.
Sette ore da quando avevo lasciato Londra e tra poco più di
due ore sarei
arrivata a Vancouver, in Canada.
Vancouver.
La città che sognavamo di visitare io e Sophie non appena ci
fossimo diplomate.
Ma
poi tutto era andato storto.
Il mondo mi era crollato addosso quando, una sera, tornando dal lavoro,
avevo
trovato mio padre, in salotto, intento a confortare mia madre in
lacrime. Si
accorsero di me e mi vennero incontro e mi abbracciarono. Restai
immobile. Non
capivo cosa stesse succedendo. Fino a quando la verità
arrivò inaspettata e
sconvolgente: Sophie. La mia migliore amica. La persona con la quale
ero
cresciuta, non c’era più. Morta in un incidente
d’auto assieme ai suoi
genitori.
Scomparsa,
per sempre.
Nei mesi successivi mi chiusi in me stessa. Non mangiavo. Non parlavo.
Mi
sentivo vuota, senza vita. Ma, senza l’aiuto di nessuno, mi
rialzai con la
consapevolezza che lei, non avrebbe mai voluto che mi lasciassi morire,
che mi
buttassi via così.
Quel
pizzico di serenità ritrovata, però, fu spazzato
via quando, un anno più tardi,
anche i miei genitori morirono.
Un incidente d’auto.
Un ALTRO incidente d’auto.
L’ENNESIMO che mi portava via le persone che più
amavo.
Mi
riscossi e osservai il mio riflesso allo specchio del minuscolo bagno
dell’aereo: ero stanca e occhiaie scure contornavano i miei
occhi verdi, quasi
lampeggiando sulla mia pelle color avorio.
Mi lavai le mani e mi sciacquai il viso per rinfrescarmi,
dopodiché uscì e,
accompagnata dal sorriso caloroso dell’anziana hostess,
tornai al mio posto.
Mi
infilai le cuffie dell’Ipod nelle orecchie e, cullata dalla
musica, mi
addormentai.
Dopo
quelli che mi parvero venti minuti, fui svegliata dalla voce del
comandante
che, attraverso l’altoparlante, ci comunicava che, a breve,
sarebbero iniziate
le operazioni di atterraggio e contemporaneamente la spia luminosa ci
informò
che era giunto il momento di allacciare le cinture.
A
poco meno di trenta minuti, mi sarei stata catapultata in una nuova
realtà.
A poco meno di trenta minuti, avrei cominciato la mia nuova vita.
Inevitabilmente agitata e
altrettanto emozionata, scesi dall’aereo e con la
navetta raggiunsi lo stabile dell’aeroporto internazionale di
Vancouver.
Scrutai il cielo e notai che la perenne coltre di nubi lasciava
scorgere il
pallido sole canadese.
Sorrisi.
Il sole mi metteva di buon umore, sin da quando ero bambina.
A Londra, proprio come a Vancouver, era raro che il sole riuscisse a
scavalcare
le spesse nuvole e si facesse vedere. Così, non appena
accadeva, correvo a
chiamare Sophie, che abitava in fondo a Pierremount Avenue, e insieme
andavamo
a giocare in giardino, fingendo di essere due principesse in attesa dei
rispettivi principi azzurri.
Raggiunti
i sedici anni però, di fiabesco, nella mia vita, era rimasto
ben poco.
Scacciai
quei pensieri malinconici.
Non volevo ricordare.
Non ancora.
Non ero pronta.
Recuperai
le mie valigie e, superati i minuziosi controlli, uscii.
L’aria
gelida di novembre mi investì e mi strinsi nel pesante cappotto color
panna
per proteggermi dal freddo.
Non
mi sembra il
caso di inaugurare la tua nuova vita con un’influenza, Kristen, mi dissi.
Fermai
un taxi e vi salii.
‘1128 Hastings Street W.
Marriott
Pinnacle Hotel, per
favore.’
dissi gentilmente all’autista. Avrei alloggiato in albergo,
fino a quando fossi
riuscita a trovare un posticino che facesse al caso mio.
‘Certamente,
signorina.’ mi rispose cordialmente e partì.
Ringraziai il cielo che mi fosse capitato un autista taciturno e
discreto,
poiché non avrei sopportato domande e interrogativi, sul
perché mi trovassi a
Vancouver, da dove venissi, perché ero partita e altri mille
bla bla bla.
Ne avevo già avuto abbastanza alla dogana
dell’aeroporto dove mi avevano
tempestato di domande, insospettiti dalla mia giovane età e
incuriositi dal
motivo della mia visita.
Ma
non era una semplice visita.
Ero
venuta per restare. E nonostante avessi soltanto diciannove anni, avevo
già
pianificato il mio futuro: mi sarei iscritta alla University of British
Columbia, frequentato la facoltà di interpretariato e
traduzione, e avrei cercato
un lavoretto part-time, aspettando di laurearmi e trovare un lavoro
vero.
Ma,
sebbene avessi le idee chiare, me la stavo letteralmente facendo sotto.
Sospirai.
Il
taxi arrivò a destinazione e l’autista,
estremamente gentile, mi aiutò a
scaricare le pesanti valigie. Gli sorrisi e gli diedi anche una buona
mancia,
ringraziandolo.
Ripartì,
lasciandomi sola e imbambolata davanti all’imponente edificio.
Alzai lo sguardo e respirai a fondo, cercando coraggio.
Bene Kristen, mi dissi, pronta per una nuova vita?
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Capitolo 2 *** A pair of eyes as blue as the ocean ***
Ciao
a tutti! Scusatemi per la lunga
assenza, ma tra scuola, trasloco e tutto il resto sono stata super
impegnata.
Prometto che posterò al più presto anche il nono
capitolo di 'You
are my wonderwall'!!
Ringrazio ERMY
CULLEN e
Simplymyself22
per
aver
aggiunto la mia storia tra le preferite! Grazie mille! (:
Fatemi
sapere cosa ne pensate e per chi
volesse, potete aggiungermi su facebook(http://www.facebook.com/profile.php?id=100003712748229&sk=wall)!
Un bacione,
Ele ♥
Alessia NightOwl:
Ehi!
In
realtà mi chiamo Eleonora! Ahah J
Sono davvero contenta che ti piaccia il capitolo. Scrivo da poco e devo
ancora
imparare ad riportare il casino che ho in testa sulla carta, nel modo
più
comprensibile possibile. Ci sto lavorando, insomma! Ti ringrazio per
aver
inserito la mia storia tra le seguite, lo apprezzo davvero tanto!
Visiterò il
tuo profilo e leggerò le tue storie con molto piacere, non
appena avrò un po’ di
tempo libero. *Promise* (:
Fammi sapere cosa ne pensi di questo secondo capitolo
e…scusa per la lunga
attesa!
Un bacione,
Ele
Cri cri:
Ciao!
Ti ringrazio per la
recensione e mi fa piacere che ti sia piaciuto il primissimo capitolo!
Spero
che questo nuovo capitolo non ti deluda e che continui ad incuriosirti!
Fammi sapere cosa ne pensi!
Un bacio e scusa per la lunga attesa!
Ele
P.s:
se potete, ascoltatela mentre leggete! http://www.youtube.com/watch?v=pOv4XL3yMZs&ob=av2e
A pair of
eyes as
blue as the ocean.
Erano passate due
settimane dal mio arrivo a Vancouver e, ormai, ne riconoscevo strade,
piazze e
negozi.
Mi piaceva, no, la amavo letteralmente.
Era la città perfetta per me, con
un’atmosfera lontana da quella della Londra caotica e
inquinata da cui ero
fuggita.
Qui nessuno era di fretta.
Qui tutti erano gentili e disponibili.
Qui avevo ritrovato la
serenità, che tanto agognavo.
Certo, ero serena, ma la
malinconia persisteva e sapevo che non avrei potuto farci niente.
Quel senso di vuoto e desolazione che mi aveva assalito dopo la
scomparsa dei
miei genitori e, prima ancora, della mia migliore amica, mi avrebbe
accompagnata
per il resto della mia vita.
Dovevo solo imparare a conviverci, senza
permettergli di distruggermi.
Cara Sophie,
finalmente trovo un po’di tempo per scriverti.
Tra l’iscrizione, le pratiche per
l’università e il ‘trasloco’
non ho avuto
nemmeno un attimo di pace.
Finalmente ho trovato un appartamento! È perfetto e sono
sicura che piacerebbe
anche a te, se solo fossi qui: è luminoso, spazioso e ha
un’enorme cabina
armadio per cui tu perderesti la testa!!
Ti ricordi quando ci nascondemmo nel tuo guardaroba per paura che tua
madre ci
scoprisse, mentre ci provavamo i vestiti supercorti per la festa di Tom
Russ!?!
Ogni volta che sentivamo i passi di tua madre che attraversavano il
corridoio,
il terrore si impossessava di noi…al solo pensarci mi viene
ancora da ridere!
Non vivo da sola, non temere, ho una coinquilina.
Si chiama Lindsey e viene da New York. È bellissima, sul
serio, è bionda, gli
occhi blu e due gambe che farebbero invidia a chiunque! Fortunatamente
non è
una snob, anzi, è simpaticissima e ama la moda quanto te e,
proprio come facevi
tu, sbuffa quando mi vede uscire di casa in jeans e comodissime scarpe
da
ginnastica: andreste sicuramente d’amore e
d’accordo!!
La tua mancanza si sente, Sophie.
E si intensifica ogni giorno di più.
Avresti dovuto essere qui. Con me. A sostenermi
come hai sempre fatto.
Ora devo salutarti, Lindsey si sta spazientendo…è
la quinta volta che mi avvisa
che è ora di andare.
Ti voglio bene.
‘KRISTEEEN!’
strillò
Lindsey per l’ennesima volta.
Chiusi il diario e lo infilai velocemente in borsa,
dopodiché afferrai i libri
che mi sarebbero serviti quella mattina e raggiunsi la mia coinquilina
che,
impaziente, era già sul pianerottolo di casa.
‘Ce ne hai messo di tempo,
londinese!’ disse scendendo le scale a due a due.
‘Si può sapere che diavolo
stavi combinando?! Vuoi forse fare tardi il tuo primo giorno alla
University of
British Columbia?!’ chiese aumentando il passo.
Oddio, ma dove correva?!
L’università era a pochi minuti dal nostro
appartamento e all’inizio delle
lezioni mancava ancora…guardai l’orologio..un
minuto.
Oh cazzo,
Imprecai mentalmente.
‘Io..ehm, ecco…io
stavo..Mi stavo preparando!!’ improvvisai.
In realtà avevo finito di prepararmi quasi un’ora
prima, perché avevo paura di
arrivare in ritardo. Ma non le avrei detto che stavo scrivendo il mio
diario.
Mi avrebbe preso per una di quelle ragazzine da diario segreto pieno di
cuoricini, in attesa del principe azzurro.
Mi squadrò da capo a
piedi, analizzando il mio abbigliamento: indossavo un paio di jeans,
una camicetta
bianca e un paio di stivali color cuoio e ovviamente il pesante
cappotto color
panna.
Tutto sommato, parve
soddisfatta e non fece alcun commento.
Raggiungemmo l’università
in tempo record e ci demmo appuntamento per la fine delle lezioni,
all’entrata
dell’enorme struttura in vetro. Lindsey, infatti, non avrebbe
frequentato il
mio stesso corso: lei aveva scelto psicologia, io, invece, volevo
diventare
interprete.
Mi affrettai verso
l’aula
magna dell’edificio, dove si sarebbe svolta il corso di
francese, e presi
posto.
La lezione fu interessante e la mattinata passò velocemente.
Quando il professore ci
congedò era ormai ora di pranzo, mi alzai e feci per
raggiungere la mia nuova
amica, ma qualcuno mi urtò e l’intero contenuto
della mia borsa si riversò sulle
scale che conducevano all’atrio.
‘Ehi! Potresti anche stare più attento!’
urlai al maleducato che mi aveva
urtato.
Ma non si degnò
nemmeno di
chiedermi scusa e continuò a salire i gradini, come niente
fosse. ‘Cafone.’ lo
apostrofai scocciata.
Magnifico! pensai sconsolata,
osservando tutti i miei appunti sparpagliati sui gradini color pietra.
Iniziai a raccogliere tutte le mie cose e ad infilarle disordinatamente
in
borsa.
‘Ehi, bisogno di
aiuto?’
mi chiese una voce a pochi passi da me.
Pensando che mi stesse
sfottendo, alzai lo sguardo per rispondergli a tono, ma incontrai gli
occhi più
azzurri che avessi mai visto e ammutolii.
Boccheggiai.
Cercai di ricordarmi come fare a respirare, osservando meglio il viso
dai
lineamenti angelici di quel ragazzo.
‘Tutto
bene?’ mi chiese
divertito, osservando la mia espressione.
Kristen, riprenditi! Stai
facendo la figura della
perfetta idiota!
‘Io..ecco..io..si..no
è
che un maleducato mi ha urtato…e si, ecco, io..’
tentai di spiegare, arrossendo
violentemente.
Fantastico! Oltre che idiota,
sembri pure
ritardata!
Per tutta risposta, mi
sorrise e mi passò gli ultimi fogli e le chiavi di casa che
erano scivolate
qualche gradino più in basso.
‘Frequenti anche tu
il
corso di Monsieur Montaigne?’ chiese, notando gli appunti in
francese.
‘Si..Monsieur
Montaigne..si’ risposi mordendomi il labbro inferiore, in
preda al nervosismo.
‘Robert,
piacere’ si
presentò sorridente, tendendomi la mano.
Kristen! mi
ammonii mentalmente. Presentati e cerca
di sembrare una persona normale!
‘Io sono
Kristen.’ mi
presentai a mia volta, stringendogli la mano.
Dio! Quella mano! Era
così
forte e delicata nel contempo…e quel sorriso era a dir poco
mozzafiato.
‘Non sei di qui,
vero?’ mi
chiese senza interrompere quel contatto e continuando a sorridermi.
Mi riscossi e ritirai la
mano.
‘Io..no. Sono di
Londra,
in realtà. Mi sono trasferita qui da poco.’ Gli
risposi, cercando di riprendere
il controllo di me stessa.
‘Io sono di
Brighton!’
esclamò entusiasta.
‘Mi sembrava che il
tuo
accento non fosse americano, in effetti..’ gli confessai
sorridendo e
sentendomi, per un attimo, a casa.
‘Ehi, che ne dici di
pranzare insieme? Potrei parlare con qualcuno che non mi prende in giro
per la
mia pronuncia, finalmente!’ disse scherzosamente.
Coooosa?!? Mister
Divinità
mi stava invitando a pranzo?
Wow.
Calmati. Mi
imposi, cercando di darmi un contegno.
‘Ecco..io non posso.
Ho
appuntamento con una mia amica per pranzo e…anzi sono
già in ritardo!’ dissi
tutto d’un fiato e feci per scendere gli ultimi tre scalini,
ma inciampai nei
miei stessi piedi e ci mancò davvero poco che mi
sfracellassi al suolo.
‘Attenta!’
gridò,
afferrandomi prima che cadessi rovinosamente a terra.
Mi ritrovai tra le sue
braccia, ed un attacco di iperventilazione imminente dovuto
all’eccessiva
vicinanza a Robert Mister Perfezione.
Mi posò a terra e
mi
chiese se mi fossi fatta male.
Lo rassicurai e scappai
via, rossa in viso, estremamente imbarazzata.
Dannato equilibrio! Imprecai Perché
ero così incline a fare figuracce?!?
Mi stavo guardando intorno,
sperando di trovare Lindsey da qualche parte, quando il mio cellulare
trillò.
Lo estrassi dalla borsa e lessi il messaggio.
Bloccata con la stronza di
psicologia.
Ci vediamo a casa, scusami. L.
Anche
Lindsey mi aveva
abbandonata.
Mi guardai intorno, sperando di vedere Robert da qualche parte e
accettare
l’invito per il pranzo, ma il giardino era diventato deserto
a causa delle
nuvole che, minacciose, ricoprivano il cielo, fino a poco prima azzurro.
Forse è meglio così, mi dissi e,
sorridendo amaramente, mi diressi verso casa accompagnata dalle prime
gocce di
pioggia.
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Capitolo 3 *** It's time to go shopping! ***
Capitolo 3
It’s time to go shopping!
Sorseggiai
qualche
goccia d’acqua dal bicchiere di vetro e, rivolgendo il mio
sguardo verso
l’immacolato pavimento della piccola cucina, tornai a
contemplare il vuoto.
‘Robert, piacere’ si era
presentato sorridente, tendendomi la mano.
‘Io sono Kristen.’
gli avevo
risposto, impacciata, afferrando quella mano forte e delicata al tempo
stesso.
‘Non sei di qui, vero?’
aveva
chiesto senza interrompere quel contatto e continuando a sorridermi.
‘Io..no.
Sono di Londra, in realtà. Mi sono trasferita qui da
poco.’
‘Io sono di Brighton!’,
sembrava
addirittura entusiasta.
‘Mi sembrava che il tuo accento non
fosse americano, in effetti..’ avevo
confessato sorridendo e per un
attimo mi ero sentita come a casa.
‘Ehi,
che ne dici di pranzare insieme? Potrei parlare con qualcuno che non mi
prende
in giro per la mia pronuncia, finalmente!’ mi aveva chiesto, massaggiandosi la
nuca, quasi fosse imbarazzato.
Senza volerlo, un sorriso si dipinse sulle mie labbra.
No! Mi ammonii mentalmente, Kristen non farlo. Non iniziare a sognare,
smettila!
Ma mi ha invitato a pranzo e mi conosceva
da qualche minuto appena!, intervenne l’altra voce.
Kristen ma l’hai visto?! Sembra un
modello! Farà così con tutte..apri gli occhi!!,
mi fece rinsavire la parte
ragionevole del mio cervello.
Già.
Era davvero bello.
Come potevo piacergli io?
Io così anonima. Io così insicura. Io
così…così io.
‘Posso sapere il motivo di quel sorriso ebete che hai dipinto
in faccia da
quindi minuti buoni?’ una voce interruppe il flusso dei miei
pensieri,
spaventandomi.
Poco ci mancò che il bicchiere mi sfuggisse dalle mani e si
infrangesse al
suolo, dando vita ad una letale –per i miei piedi scalzi-
cascata di schegge di
vetro.
Alzai lo sguardo e trovai Lindsey appoggiata allo stipite della porta
della
cucina, intenta a guardarmi. La mano destra posata sul fianco, in
attesa che le
dessi una risposta.
Arrossii e
cercai di nascondere il mio imbarazzo voltandomi verso il bancone di
granito
per mettere in salvo il bicchiere dalla mia pessima presa.
‘Beccata!’
strillò, eccitata come se le avessero regalato
l’ultima collezione
autunno-inverno di Valentino.
‘Stavi
pensando ad un ragazzo, vero?!?’ indagò con fare
inquisitore.
Elusi la sua domanda, fuggendo attraverso lo stretto corridoio con
l’intento di
raggiungere la mia camera e sigillar mici dentro per il resto della
serata.
Lindsey,
però, non era certo il tipo che si arrendeva facilmente e,
infatti, dopo
qualche istante, eccola lì. Con nonchalance si era buttata
sul mio letto, decisa
a non cedere fino a che non le avessi confessato la verità.
‘Dai Kristen, sputa il rospo! Chi è?!’
mi voltai verso di lei e, mimando il
gesto, sigillai le labbra con una chiave immaginaria e la gettai alle
mie
spalle.
‘Oh suvvia! Non puoi fare questo alla tua coinquilina
preferita, Kris! Chi è?!’
insisté.
Finsi di riordinare la scrivania, già perfettamente
ordinata, e non le prestai la
benché minima attenzione, ma un sorriso sfuggì al
mio controllo e si distese
sul mio viso.
‘Kristen, chi è?? Non voglio essere impicciona,
voglio solo sapere chi ti rende
così allegra!’’ continuò
imperterrita.
Mi volsi verso di lei e la guardai storto.
‘Ok, ok, sono un’impicciona! Ma ti
prego…’ ammise e assunse l’aria da cane
bastonato ingiustamente per farmi sentire in colpa.
‘Ehi! Non è valido cercare di intenerirmi
facendomi gli occhioni dolci!’
protestai, ormai conscia che di lì a poco avrei ceduto.
‘Oh, si che è valido, carissima! Tutto
è lecito in guerra tra coinquiline!’
ribatté
con fare giudizioso.
‘Ma il detto non era: tutto è lecito in guerra e
in amore?!’ la schernii.
‘Poche
ciance, donna. Sputa il rospo.’ Sorrise risoluta.
Mi arresi. Le raccontai tutto per filo e per segno.
Lindsey ascoltò rapita e rise quando accennai vagamente alla
caduta e alla mia
difficoltà a rimanere lucida in presenza di Robert, ma si
maledì quando le
dissi che avevo rifiutato l’invito a pranzo, per lei.
‘Bene,
direi che è ora di andare a fare un po’ di
shopping..’ disse Lindsey dopo
qualche minuto di silenzio.
Un momento. Cosa?! Che mi ero persa?
‘Shopping? E perché?’ le
chiesi confusa.
Lindsey
sospirò con fare sconsolato. Si passò una mano
sugli occhi e poi afferrò il
cuscino azzurro e bianco che si trovava dietro di lei.
Oh-oh.
‘Kristen.
Jaymes.
Stewart. Non. Dirmi. Che. Ti. Sei. Dimenticata. Della. Festa. Di.
Benvenuto.
Per. Le. Matricole. Di. Cui. Ti. Parlo. Da. Più. Di. Una.
Settimana!’ mi urlò
ridendo accompagnando ogni parola con una cuscinata. Tentai di
proteggermi il
viso con le mani e cercai invano di arretrare per evitare i suoi colpi.
Quando
finalmente si fermò, scoppiai a ridere e fingendo di
raccogliere qualcosa dal
pavimento, afferrai il cuscino verde ai piedi del letto e glielo
lanciai in
piena faccia prendendola alla sprovvista. Ovviamente non se lo
aspettava e
rimase esterrefatta.
‘Oddio
Lindsey’ tentai di parlare, nonostante mi mancasse il fiato
dal troppo ridere.
‘Dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Sei
esilarante!!!’. Scoppiai
di nuovo, tenendomi la pancia.
‘Ah ah ah, davvero molto divertente, londinese!’
disse con fare fintamente
acido. ‘Me la pagherai cara. E quale migliore occasione che
non un bel
pomeriggio intensivo di shopping. Ah ah, vedremo chi riderà
per ultimo!’
aggiunse sorridendo.
Tornai
seria e sbiancai.
COSAA?!?!
‘No…ehi Lindsey, io scherzavo. Cioè
insomma…tu lo sai che io odio fare shopping
e poi comunque non credo di venire alla
festa….sai…ehm…non sto troppo bene e
poi domani devo svegliarmi presto per andare a lezione…non
posso fare tardi.’
Dissi accaparrando scuse su scuse.
Tutto pur
di evitare la festa. Già avevo poca autostima, se poi dovevo
anche confrontarmi
con tutte le ragazze dell’università le avrei
detto addio definitivamente. E
poi…si stava così bene in compagnia di un buon
libro.
‘Punto
primo: tu stai benissimo. Punto secondo: domani
l’università è chiusa perché
è
domenica. Punto terzo: smettila di cercare scuse inesistenti. Punto
quarto:
prendi la borsa che dobbiamo andare…’ mi
urlò dal corridoio verso il quale si
era avviata.
‘Ma
Lindsey..sul serio io non st…’cercai di
convincerla.
‘Punto quinto: muoviti immediatamente o ti vengo a prendere
di peso, tesoro.’
Mi interruppe senza troppi giri di parole.
Era
inutile. Tutto inutile. Doveva sempre averla vinta lei.
Accidenti!
‘Dittatrice..’
mormorai a denti stretti, ormai rassegnata. Afferrai la borsa e il
cappotto e
mi avvia verso la porta dove la mia ‘dolce’
coinquilina mi stava aspettando con
una mano destra sul fianco e un sorriso a trentadue denti stampato sul
viso angelico.
‘Ci divertiremo un sacco, vedrai!!’
trillò abbracciandomi quando fummo sul
pianerottolo di casa.
‘Lo sapevo
che saresti venuta!’ aggiunse iniziando a scendere le scale.
Come se avessi avuto altra scelta,
pensai sconsolata e mi lasciai trascinare da un negozio
all’altro per tutto il
pomeriggio.
|
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Capitolo 4 *** And I felt alive ***
Ciao a tutti,
scusatemi per l’imperdonabile ritardo. In realtà
avevo postato questo capitolo
un paio di giorni fa, ma sono talmente scema che l’ho
cancellato e ho
cancellato perfino il terzo! *facepalm* … sono senza
speranze!
Comunque, ora ho sistemato tutto, perciò riposto questo
tanto agognato - da
parte mia – capitolo.
Ringrazio tutti per le recensioni! Vi risponderò a breve! :)
Grazie grazie grazie a chi legge silenziosamente e a chi inserisce la
storia
tra le preferite e da ricordare!
Un grazie immenso,
Ele.
Suggerimento
musicale: https://www.youtube.com/watch?v=NNbG1tlaLSA
Capitolo 4
And I felt alive
‘Lindsey … sul serio, forse farei meglio
a tornare a casa.’ Dissi cercando
una via di uscita.
‘Kristen, non ricominciare, per favore!’ disse
voltandosi verso di me.
La guardai negli occhi sperando che capisse quanto mi sentissi a
disagio in
quel momento. Parve capirlo perché mi sorrise dolcemente e
mi sistemò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio.
‘Ehi! Sei uno schianto stasera, Kris! Non capisco proprio di
cosa ti vergogni …
li stenderai tutti!’ mi incoraggiò.
Sì, li stenderò tutti
quando cadrò
rovinosamente addosso a qualcuno perché non
riuscirò a camminare su queste
stupide scarpe! Pensai
‘Niente problemi, niente tristezza, niente paranoie stasera.
Solo divertimento,
ok?’ aggiunse notando la mia scarsa convinzione.
Solo divertimento? Sì, potevo provarci, almeno.
‘Affare fatto’ le dissi convinta e battendole il
cinque.
Dopotutto ne avevo bisogno.
Mi sorrise euforica e ci incamminammo attraverso il campus per
raggiungere l’aula
magna dove si sarebbe svolta la festa.
La sala era stata sgombrata dalle sedie e dai banchi e riadattata a
discoteca.
Dal soffitto scendevano decorazioni argentate, che, illuminate dalle
luci,
davano vita ad una magnifica coreografia di riflessi scintillanti.
Il fondo dell’aula era stato adibito a bar ed era gremito di
studenti che
chiacchieravano allegramente tra loro. La musica riempiva la stanza e
alcuni
coraggiosi esibizionisti erano già in pista a ballare.
L’atmosfera era piacevole e fui contenta di non essere
tornata all’appartamento.
Lasciammo i cappotti al guardaroba e ci avventurammo tra la folla che
ora
affluiva numerosa. Mi guardai un po’ in giro e riconobbi
qualche compagno di
corso, salutai con un cenno e un sorriso divertito Lara, la ragazza
bionda con
cui avevo svolto un saggio sulla Francia Seicentesca a lezione.
Mi diressi al bar, presi da bere e, sorseggiando il mio drink alla
fragola,
osservai Lindsey che rideva spensierata in compagnia di un ragazzo
moro, alto e
che molto probabilmente faceva parte della squadra di rugby
dell’università, a
pochi metri da me.
La invidiavo.
Invidiavo la sua sicurezza e la sua spensieratezza.
Invidiavo la sua positività e il suo ottimismo.
Io non volevo più permettermi di essere positiva e
spensierata. Non potevo.
Ogni volta che mi ero permessa un po’ di felicità,
le persone a me più care se
ne erano tragicamente andate, lasciando mi sola. E io … beh,
io non ero più in
grado di sopportare altro dolore. Sarebbe stato troppo.
La testa cominciò a girare e sentii un bisogno irrefrenabile
di piangere.
Aria.
Avevo bisogno d’aria.
Appoggiai il bicchiere al bancone e lasciai la festa, dirigendomi verso
l’esterno
dell’edificio.
L’aria fredda mi investì, inspirai profondamente
per qualche minuto cercando di
far scemare quell’improvviso attacco di panico. Appoggiai la
schiena al muro e
guardai il cielo scuro, privo di stelle, concentrandomi su di esso.
Non ero pronta a rivivere tutto quel dolore. Non ancora.
Avevo bisogno di tempo.
‘Chissà quanto ancora?’ mi chiesi.
Meno male che si era detto ‘niente
tristezza e solo divertimento’! pensai ironica
ricordando le parole di
Lindsey.
Passai distrattamente una mano tra i capelli e un brivido mi
risalì lungo la
schiena.
‘Sapevo che le londinesi fossero abituate a climi rigidi, ma
non credevo fino a
questo punto!’ disse una voce alla mia sinistra.
Mi voltai di scatto, spaventata: Robert se ne stava a pochi metri da
me, con le
mani in tasca e mi fissava sorridente.
‘Wow, sei davvero bellissima stasera …’
disse guardandomi dalla testa ai piedi;
seguii il suo sguardo e solo in quell’istante mi ricordai che
avevo indosso
soltanto un abitino ondeggiante color blu notte – acquistato
quello stesso
pomeriggio –, calze blu e un paio di scarpe dal tacco
scomodamente alto.
Arrossii violentemente.
‘… E quando arrossisci, sei davvero
adorabile’ aggiunse.
Boccheggiai.
Davvero ha detto una cosa del genere o me
lo sono immaginata?
‘Grazie
Robert, anche tu non sei da meno..’ ribattei cercando di
spostare l’attenzione
su di lui. Indossava un paio di pantaloni blu, una camicia bianca
semi-sbottonata e sopra di essa una giacca beige che portava slacciata.
Rabbrividii involontariamente e mi strinsi le braccia attorno alle
spalle
cercando di scaldarmi.
Robert si avvicinò, si tolse la giacca e la
appoggiò sulle mie spalle. Il suo profumo
mi avvolse. Il suo calore mi scaldò nel profondo.
Incontrai il suo sguardo e mormorai un flebile
‘grazie’.
Mi aveva colto alla sprovvista. Nessuno aveva mai fatto una cosa del
genere per
me. Questo genere di cose succedeva solo nei film.
Ci fissammo per minuti interi senza proferire parola, mi sentii
protetta e mi
persi nella profondità del suo sguardo.
Quegli istanti di estrema intimità furono interrotti da un
gruppetto di
studenti che lasciavano la festa in preda agli effetti
dell’alcol e dell’euforia.
Li osservai mentre si allontanavano urlando frasi sconnesse e del tutto
prive
di senso.
Mi sfuggì un sorriso.
‘Che ci facevi qui fuori al freddo tutta sola?’
chiese Robert quando il parco
ritornò silenzioso.
‘Avevo bisogno di una boccata d’aria …
’ risposi abbassando lo sguardo. ‘ … e
tu, invece? Cercavi donzelle in difficoltà,
forse?’ lo schernii.
‘Cercavo te ’ Mi rispose, incatenando il suo
sguardo al mio.
Passò
qualche istante prima che registrassi il significato delle sua parole.
Cercava me.
Un momento: cercava me?!
‘Me?’ domandai con voce acuta. Mi
prende in giro, giusto?
‘Sì,
proprio te. Volevo invitarti a pranzo lunedì, visto che oggi
mi hai dato buca. ’
Scoppiai a ridere, incredula.
Lui continuò a fissarmi, divertito, ma in attesa di una
risposta.
‘Accetto l’invito, allora. ‘ risposi.
Mi afferrò la mano destra e la strinse nella sua. Arrossii.
Lui mi regalò un
sorriso e il mio cuore perse un battito.
‘Meno male! Un tuo secondo rifiuto mi avrebbe
ucciso!’ disse melodrammatico.
Scoppiammo a ridere.
‘Ti va di rientrare? ‘ chiese.
Sospirai.
‘No, sono molto stanca, credo che tornerò a casa
…’ gli risposi.
Lessi la delusione nei suoi occhi blu, ma subito si ricompose e si
offrì di
accompagnarmi.
‘Non potrei lasciare che una dolce fanciulla torni a casa da
sola a quest’ora
della notte. Ne andrebbe del mio onore di Englishman!’
aggiunse scherzoso,
senza smettere di stringermi la mano.
‘Se ne va del tuo onore … non posso far altro che
accettare!’ risi.
Ci incamminammo verso l’uscita del campus, la mia mano ancora
stretta nella sua
a darmi conforto, forza e calore – ogni ombra di imbarazzo,
ormai, sparita -.
Arrivati, mi accompagnò fino alla porta
dell’appartamento.
‘Io … abito qui.’ Dissi, indicando la
porta alle mie spalle. ‘Allora … ehm …
grazie per avermi accompagnata e grazie per la giacca’ dissi
impacciata,
sfilandomela.
Lui, però, mi fermò.
Inaspettatamente prese il mio viso tra le mano e mi regalò
un bacio delicato a
fior di labbra.
Rimasi impietrita.
Indietreggiai.
Sostenne il mio sguardo, analizzando la mia reazione.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi lasciai andare, sciogliendomi
nei suoi
baci e nelle sue romantiche, intime attenzioni.
E mi sentii libera.
E mi sentii viva.
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Capitolo 5 *** The power of the ocean ***
Ciao
a tutti! Eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo.
Devo essere sincera e dirvi che questo capitolo mi sta particolarmente
a cuore
per ragioni che capirete leggendolo, ma anche perché sono
riuscita ad esprimermi
al meglio mentre lo scrivevo. Ho descritto tutto esattamente come
volevo e ne
sono molto orgogliosa.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e lasceranno la propria
impressione
(bella o brutta che sia) scrivendomi una recensione, ma anche coloro
che leggeranno
silenziosamente.
Lauretta95: Cara Laura, avendo cancellato (per errore, ovvio) i due
capitoli
precedenti e avendoli poi, reinseriti, anche le recensioni si sono
cancellate!
Ma, ripeto, ma … avevo salvato la tua e quindi ti rispondo
qui J
Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e non
sai quanto mi faccia piacere sapere che io sia riuscita a commuoverti
attraverso
le mie parole. Grazie ancora per i complimenti e aspetto un tuo parere
anche su
questo capitolo J
Un bacione,
Ele.
A tutti coloro a cui non ho ancora risposto alle recensioni, scusatemi.
Sono
andate perse quando ho cancellato due dei capitoli della storia, per
sbaglio.
Sappiate che però le ho lette e ho apprezzato. Alla ragazza
che si era
immedesimata nella protagonista, perché aveva perso anche
lei una persona
estremamente importante, dico che le sono vicina e che posso capirla.
Un
abbraccio anche a te.
Capitolo 5
The power of the ocean.
Bip-bip-bip bip-bip-bip
bip-bip-bip..
Sveglia maledetta.
Allungai la mano verso il comodino e spensi quell’aggeggio
infernale, poi mi
costrinsi ad aprire gli occhi e ad alzarmi. Mi stiracchiai per bene e
poi mi
diressi verso la camera di Lindsey per svegliarla, ma trovai il suo
letto
perfettamente in ordine, prova evidente che la mia coinquilina non
aveva
dormito a casa.
Non mi spaventai.
Molto probabilmente aveva dormito da Josh, il rugbista che aveva
conosciuto
alla festa tre settimane prima. Nulla di nuovo. Tutto nella norma.
Sorrisi ripensando alla festa e, sovrappensiero, mi diressi in cucina
per
preparare una grossa tazza di caffè.
Dlin-dlon.
‘Ecco Lindsey!’
pensai, avviandomi
verso la porta.
‘Ehi! Finalmente sei qui, pensavo non arrivas ... ’
dissi spalancando la porta,
ma le parole mi morirono in gola non appena notai che non si trattava
della mia
amica.
Un Robert imbarazzato mi fissava sulla soglia del mio appartamento,
grattandosi
la nuca.
‘Robert! Ma che ci fai qui?!’ chiesi disorientata.
‘Ehm, ti ho portato la colazione..’
spiegò, porgendomi un vassoio incartato,
contenente chissà quale prelibatezza. ‘Non volevo
disturbarti, ehm, ecco..’
continuò.
‘No! Certo che non disturbi!’ gli sorrisi sincera.
‘E’ solo che pensavo fossi
Lindsey … sai, non ha dormito a casa e, di solito, torna a
quest’ora.’ Gli
spiegai.
Lo feci entrare e lo condussi in cucina, dove il caffè era
ormai pronto.
‘Giusto in tempo per il caffè, ti va?’
gli chiesi, voltandomi verso di lui, ma
il suo sguardo era fisso sulle mie gambe.
Solo in quell’istante mi ricordai che stavo indossando solo
la maglietta con la
quale dormivo.
Oh cazzo.
Arrossii violentemente e lui rise divertito.
‘Sì, grazie … ne gradirei una
tazza.’ Rispose.
Gli porsi il caffè e poi corsi in camera ad infilarmi un
paio di pantaloni.
Tornai in cucina e mi sedetti attorno al tavolo, vicino a lui e iniziai
a
sorseggiare il mio caffè ancora bollente.
‘Allora, non vuoi sapere cosa ti ho portato?’ mi
chiese avvicinando il vassoio
ancora incartato.
‘Certo! Scusa è che mi hai preso alla sprovvista
… ’ mi affrettai a dire.
Dopodiché scartai il vassoio e vidi una schiera di sei
croissant ripieni di
cioccolato, direttamente dalla migliore pasticceria francese di
Vancouver.
‘Oh Dio! Ma come fai? Sono i miei preferiti!’
strillai emozionata,
abbracciandolo.
Rise con me e, una volta sciolto l’abbraccio, trattenne il
mio viso tra le mani
e depositò un bacio delicato sulle mie labbra. Io,
però, non mi accontentai e
risposi al bacio che divenne meno casto.
‘Se questa è la ricompensa, te li porto ogni
mattina, dolcezza!’ esclamò lui,
sorpreso, quando ci separammo.
Risi di gusto e divisi a metà un croissant, porgendogliene
una parte.
‘Ho un’altra sorpresa per te, Kristen.’
Disse, mentre riordinavamo la cucina.
‘Non dirmi che hai anche dei brownies e dei
waffles!’ gli dissi con fare
speranzoso.
Scoppiò a ridere e io arrossii.
Contegno, Kristen!! Mi ordinai.
‘Scusa…’ cercai di dire, ma Robert mi
zittì dolcemente.
‘No, mi dispiace. Ma in compenso, potremmo andare a comprarli
più tardi. Tanto
le lezioni non cominceranno prima della 11.30. La lezione di francese
è stata
annullata, perché il professore è ad un convegno
in qualche altro college della
zona. ’ Concluse.
‘Ma è fantastico!’ commentai sollevata,
sistemando il barattolo dello zucchero
sul ripiano più alto del pensile.
‘Vado subito a prepararmi così usciamo a facciamo
un giro per la città, prima
che inizino le lezioni. Che ne dici?’
Annuì e sul suo volto si dipinse un’espressione
divertita.
‘Che c’è?’ chiesi allarmata.
Si avvicinò a me, incatenando il suo sguardo al mio.
‘Sei sporca di
cioccolato.’ Disse.
‘Dove?’ chiesi.
‘Proprio qui.’ Sussurrò a pochi
centimetri dal mio volto. Poi mi baciò
dolcemente e io mi abbandonai tra le sue braccia che, ora, stringevano
i miei
fianchi al di sotto della maglietta.
Dio.
Consapevole che quel bacio non presagiva nulla di buono e,
non essendo
ancora pronta, mi liberai dalla sua stretta e corsi in corridoio.
‘Vado a prepararmi, altrimenti faremo tardi. Intanto, fai
come se fossi a casa
tua!!’ Gli urlai dal bagno, così che mi potesse
sentire. Per tutta risposte lo
udii ridere di gusto.
Venti minuti dopo ero pronta. Dopo una bella doccia rilassante, un filo
di
trucco e vestiti più consoni, ero decisamente più
presentabile e pronta ad uscire.
‘Allora … che si fa ora?’ chiesi a voce
un po’ troppo alta, entrando nella mia
camera per prendere la
sciarpa rossa che
tanto si abbinava con il mio cappotto blu e la borsa con i libri dei
corsi che
avrei seguito più tardi.
Fui sorpresa di trovare Robert intento ad osservare le foto che avevo
disposto
sulla mensola vicino alla finestra.
‘Ehi … pensavo fossi in salotto, scusa.’
Dissi e indossai la sciarpa.
‘Che fine ha fatto la Kristen di questa foto?’
domandò, indicando la foto che
ritraeva me e i miei genitori il giorno del mio sedicesimo compleanno.
Mi immobilizzai e lo guardai dritto negli occhi. Non riuscii a proferir
parola.
Come ha fatto ad accorgersi che
c’è
qualcosa che non va in me?
Nemmeno Lindsey, con la quale vivevo da quasi due mesi se ne era mai
accorta.
E lui, che mi conosce da sole tre
settimane, riesce a capirlo?
‘Che intendi dire?’ sussurrai a fatica dopo qualche
minuto di silenzio, ma
ormai tutte le mie barriere erano crollate
e feci fatica a deglutire.
Vedendomi in difficoltà, Robert mi abbracciò come
solo lui era in grado di fare
e io non riuscii più a trattenermi: scoppiai a piangere
stringendomi al suo
petto. Restammo così, fermi, per minuti interi e lui
aspettò pazientemente che
io mi sfogassi.
‘Sc-sc-sc-scusami ..’ singhiozzai.
‘Ssh, non dirlo nemmeno per scherzo, Kris. Non devi
vergognarti dei tuoi
sentimenti, mai. Se non sei pronta, lo capisco … io sono qui
e ti aspetto.
Capito?’ disse lasciando un tenero bacio tra i miei capelli.
‘Gr-grazie, Robert.’ Risposi, riprendendo controllo
di me stessa. Sciolsi
l’abbraccio, spazzai via le lacrime dalle guance e respirai
profondamente un
paio di volte.
Sorrisi a Robert che, intento ad osservarmi per assicurarsi che stessi
bene, mi
sorrise di rimando. Nei suoi occhi non c’era traccia di
pietà, compassione e
gliene fui profondamente grata.
___________________________________________________________
Dopo
una divertente mattinata trascorsa insieme, io e Robert
ci salutammo e ci dirigemmo verso le rispettive aule per assistere alle
lezioni. Sebbene il corso fosse lo stesso, le lezioni che seguivamo non
erano
sempre le stesse, essendo lui già al terzo anno.
Il cellulare mi avvertì che avevo ricevuto un messaggio.
Posai la penna
lasciando incompleta la frase conclusiva del mio saggio riguardante la
sociologia della comunicazione.
Ti
passo a prendere alle 19.30.
Ho una sorpresa per te. A dopo tesoro, R.
Il
mio cuore perse un battito. Mi abbandonai sorridente con
la schiena sul materasso.
Sospirai, felice di poter trascorrere un altro po’ di tempo
con Rob.
Mi alzai dal letto e attraversai il corridoio per raggiungere la camera
di
Lindsey.
Bussai e attesi che mi rispondesse. Non appena entrai, notai che,
proprio come
me qualche istante prima, era intenta a studiare.
‘Ehi Linds, scusami non volevo disturbarti.’ Dissi
con l’intenzione di
richiudere la porta e lasciarla in pace.
‘No, Kris tranquilla! Ho finito … stavo solo
leggendo un passaggio del mio
articolo che non mi convinceva molto.’ Mi
rassicurò e, poi, mi sorrise.
‘I tuoi articoli sono sempre ottimi, Linds! Volevo solo
avvertirti che stasera
non sarò a casa, Robert mi passa a prendere verso le sette e
mezza.’ Le
spiegai.
Mi guardò maliziosamente. ‘No, Linds, non
è come pensi! Non siamo mica come te
e Josh che non uscite mai dalla camera da letto!’ mi
affrettai a ribattere,
sconvolta.
‘Magari si trattasse solo della camera da letto …
’mi confessò e, non appena
notò la mia espressione incredula, scoppiò a
ridere fragorosamente.
Mi alzai, fintamente indignata, e mi tappai le orecchie. ‘Non
voglio sentire
nient’altro!’ affermai e me ne andai, ma cinque
minuti più tardi, potevo ancora
udirla ridere.
Digitai una risposta veloce, ma carica di impazienza.
Non
vedo l’ora. Ti bacio, K.
Notando che mancava soltanto mezz’ora
prima che arrivasse Rob, mi
affrettai a prepararmi. Indossai un paio di jeans skinny e un
maglioncino di
cachemire blu, raccolsi i capelli in una treccia morbida e misi un filo
di
mascara. Indossai le mie amate converse proprio quando Robert
suonò alla porta.
Afferrai la borsa, nella quale infilai frettolosamente il cellulare
rimasto sul
comodino, e il cappotto.
‘Ciao Lindsey!’ salutai la mia coinquilina.
‘Ciao Kris, divertiti!’ ricambiò lei.
Quando finalmente aprii la porta, trovai Robert - Mister Perfezione
appoggiato
allo stipite dell’uscio.
Wow.
Era di una bellezza mozzafiato.
Mi sorrise, felice di vedermi e mi attirò a sé
per baciarmi. Una scarica di
emozione pura attraversò il mio corpo e non potei fare a
meno di domandarmi se
ogni nostro bacio, abbraccio o contatto casuale sarebbe stato sempre
così
emozionante. In cuor mio, pregai affinché fosse
così.
‘Sei pronta?’ mi chiese con il suo miglior sorriso
sghembo.
‘Pronta.’ Risposi emozionata.
‘Dove mi porti?’ chiesi mentre raggiungevamo la
macchina parcheggiata poco più
in là, senza riuscire a mascherare la curiosità
che mi stava divorando.
‘E’ una sorpresa, Kris. Se ti svelo dove ti sto
portando, che razza di sorpresa
è?!’ fece apposta per stuzzicarmi.
‘Come vuoi.’ Dissi, fintamente offesa.
Non passarono nemmeno dieci secondi che, proprio come avevo previsto,
mi
strinse e mi baciò per farsi perdonare.
‘Perdonato?’ mi chiese speranzoso e divertito
insieme.
Finsi di pensarci un po’ su.
‘Ti prego, Kris, perdonami! Non posso vivere senza il tuo
perdono.’ Tentò di
convincermi e io scoppiai a ridere, seguita a ruota da lui.
Giunti alla macchina, si affrettò ad aprirmi lo sportello
metallizzato dalla
parte del passeggero ma, prima che salissi, mi disse: ‘Sei
adorabile stasera,
Kris.’ E lasciò un bacio a fior di labbra. Entrai
in macchina e mi accomodai.
‘Sei perdonato, ma sei un ruffiano!’ gli urlai
bonariamente dall’interno dell’auto,
mentre lui si affrettava dalla parte del guidatore.
Allacciate le cinture, partimmo e, per tutto il tragitto, ridemmo,
scherzammo e
ascoltammo la radio.
Nonostante non mi capacitassi del fatto che un ragazzo come lui, che
avrebbe
potuto avere qualunque ragazza di questo pianeta soltanto con uno
sguardo e un
sorriso sghembo, avesse scelto me, in quel mese trascorso insieme mi
ero
convinta che faceva sul serio.
Robert era un ragazzo sincero, limpido ed estremamente genuino. Era pur
sempre
un maschio certo, come mi ricordava Lindsey a giorni alterni, ma mi
capiva e
riusciva a stupirmi e farmi ridere molto spesso.
E io ero felice. Ero enormemente felice.
Arrivammo a destinazione quarantacinque minuti più tardi,
quando la mia
curiosità aveva quasi raggiunto il limite.
Scendemmo dall’auto e una folata di vento carica di salsedine
mi investì. Aria
di mare.
Robert mi strinse la mano e attese una mia reazione che, ovviamente,
non tardò
ad arrivare.
‘Mi hai portato sull’oceano?’ sussurrai
emozionata, con gli occhi che mi
brillavano per la sorpresa e la felicità. Lo abbracciai
forte.
‘Ho pensato che ti sarebbe piaciuto. E’ il mio
posto segreto: vengo qui quando
ho bisogno di riflettere e mettere ordine nella mia vita …
pensavo, ecco …
pensavo che, si insomma … ’ spiegò.
‘… Pensavi che avessi bisogno di mettere ordine
anche io. ’ Terminai la frase
per lui.
Lo guardai negli occhi e ci lessi dentro un senso di protezione che mai
nessuno
era riuscito a darmi.
‘Grazie, amore.’ Dissi sincera, scostandomi dal
viso le sottili ciocche di
capelli svolazzanti sfuggite alla treccia.
Mi guardò stupito e mi stupii anche io
dell’intensità che avevo messo in quelle
parole.
Accarezzò delicatamente la mia guancia destra, poi,
riafferrò la mia mano
destra e ci incamminammo verso la spiaggia.
Camminammo per un paio d’ore, respirando la
libertà e la forza del mare che il
vento trasportava ad ogni onda. Raccontai a Robert tutto ciò
che per tanto mi
ero tenuta dentro e, sebbene faticosamente, riuscii a non piangere. La
morte di
Sophie, il periodo di depressione, la morte dei miei genitori e la
disperazione
che ancora permaneva in me. Gli raccontai ogni cosa e notai che, da
quel
momento, mi guardò sotto una luce diversa. Rimase in
silenzio per tutto il
tempo, lasciando che mi sfogassi, lasciando che rivivessi il mio dolore
con la
consapevolezza che stavo aspettando lui per riviverlo, e non il momento
giusto.
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