Dodici canti da astri lontani

di Altariah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eludere ***
Capitolo 2: *** Fingere ***
Capitolo 3: *** Sapere ***
Capitolo 4: *** Amare ***



Capitolo 1
*** Eludere ***


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Jacob sedeva in un angolo della cabina. Odiava restare coricato a letto quando non riusciva ad addormentarsi. La luce debole di un piccolo led bluastro accanto alla branda riusciva a plasmare tutto ciò che gli serviva vedere.  Si alzò in piedi e raggiunse l'asta degli esercizi, più alta di lui di una spanna, passandoci sopra le dita. Il metallo freddo era più levigato e lucido nei punti in cui poggiava sempre le mani.
Si preparò all'esercizio con un respiro e poi cominciò. I muscoli non esitarono ad obbedire, si muovevano in sintonia gli uni con gli altri: fedeli, precisi. 
Un sospiro, un sospiro, un sospiro ancora. Non teneva più il conto di quante volte riuscisse ad alzare il proprio peso con la forza delle braccia.  Allora, perchè lo faceva? Perchè si allenava così duramente quando già sembrava perfetto? 
Beh, perchè non lo era. 
Quando dei pensieri troppo pesanti cominciavano ad occupargli la mente, lui preferiva lasciarli lì ad ammuffire, cercando di rafforzare il suo corpo, come se questi inutili insetti velenosi non lo avrebbero più potuto scalfire. Era una determinazione stupida cercare buttare fuori con fatica e sudore i sussurri dalla testa, ma questo non gli importava.
Sapeva di essere ben lontano da ciò che sarebbe dovuto diventare, ma, oltre a potenziare i suoi muscoli, cosa riusciva a fare? Nessuno gli aveva mai insegnato a combattere i suoi tormenti, così ristagnavano e puzzavano in un angolo, sotto il tappeto.
Mentre i muscoli si gonfiavano senza perdere ritmo e il suo cuore batteva sempre più forte per poterli ristorare, si sentì meglio. Suo padre, insieme al suo tradimento, era svanito. Le sue ambizioni senza futuro, Miranda era sparita, tutte le delusioni che aveva ricevuto. Si sciolse ogni cosa, ogni suono, ogni emozione, e restarono solo residui simili a chiazze di sporco ad appannargli un po' l'anima. 
Da quelle pozzanghere si sarebbero generati altri mostri, ma in quel momento non gli doveva importare.
Nella notte simulata della Normandy, ogni cosa taceva, indifferente ad un umano come tanti altri. Nella notte senza giorno della Normandy, si ritrovò sveglio solo lui. 
Così, per un tempo che parve infinito, il corpo di Jacob ondeggiò verso l'alto e poi verso il basso in sequenza. 
 
Gli bastava soltanto vedere del sudore per potersi compiacere e finalmente sentire che il suo cervello avesse  iniziato a tacere.












Non so cosa dire come commento personale, quindi, ciau, cipolle. Sono di nuovo qui. Di già. Che schifo.
Ogni copertina, mannaggiaame, sarà personalizzata! Dato che con Giacobbo non ho un rapporto proprio idilliaco, l'ho svaccata un po' disegnandola con la tavoletta grafica su una base preesistente. 
Ho iniziato da lui perché voglio andare in ordine di apparizione in ME2.
Più gioco a Mass Effect, più mi innamoro di ogni personaggio. Non riuscivo a decidere di chi mi sarebbe piaciuto scrivere maggiormente, se Miranda, Kasumi, Thane o Samara... così via, eccoli tutti, comprese le DLC del 2.
*si dilegua, scomparendo tra nebulose di crostatine*

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Capitolo 2
*** Fingere ***


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I capelli di Miranda ondeggiarono mentre piegava la testa di lato. 
Il suo comandante fece qualche passo verso di lei. 
"Non è questione di invidia." Disse l'umana, incerta. Le sopracciglia scure di lui si mossero, creando uno sguardo compiaciuto che riuscì a farla tentennare e desistere dallo spiegarsi meglio. 
Era strano che una come lei non riuscisse a guardargli gli occhi. Per quanto cercasse di convincersi del contrario, li temeva terribilmente. Così si ritrovò come in trance, abbassandoli e osservando le labbra di Shepard dischiudersi. Quando si arrese, abbassando le spalle, crollò anche tutto il muro di pietra che la circondava. Forse avrebbe soltanto dovuto lasciarsi guidare e abbandonarsi all'inerzia che con piccole ed evanescenti mani l'afferrava, sempre più aggressiva.
"Io non ho la tua forza." Bisbigliò, devastata. "Nonostante io sia stata potenziata, nonostante i soldi mi abbiano resa migliore... non sono abbastanza." Continuava a parlare come se non si stesse accorgendo che lui la stava avvicinando sempre di più. "Tutto quello che sei tu, invece..." la sua voce stava diventando sempre più lieve ad ogni parola "tutto deriva dalle tue..." le labbra di Shepard sfiorarono le sue, ma lei era ostinata a finire di pronunciare la sua frase. 
"Tutto deriva dalle tue abilità" concluse, con parole leggere come aria e interrotte da tanti respiri.
Un coro stonato e scomposto le animò la mente, agitandosi convulsamente e conficcandole aguzzi dubbi e terribili timori sotto la pelle.
Quale sapore aveva per lei quel bacio? Lo aveva immaginato diverse volte, ma quella realtà sembrava tradire ogni aspettativa, attimo dopo attimo.
In quel bacio Miranda trovò dell'egoismo, un egoismo sia di Shepard che suo. Perchè per lei quella non era una forma di avventato ringraziamento per l'aiuto che l'uomo le aveva dato con Oriana. Non era l'epilogo di un racconto d'amore. 
La donna sentì i polpastrelli di Shepard scorrerle sulla schiena per poi arrivare ai suoi fianchi. 
Quel bacio sapeva di paura. Quel bacio era il timore della solitudine materializzato, diventato concreto e reale, una cupa ombra fitta e palpabile, pronta a soffocare entrambi. Quel bacio era la superficialità umana guidata dall'instancabile forza dell'istinto e dell'indifferenza.
Lei gli portò una mano alla nuca, accarezzandolo con la punta delle dita, quasi per paura di sciuparlo, di sciupare il lungo lavoro che lei aveva portato avanti su quel corpo grazie al progetto Lazarus. Quella pelle, insieme a muscoli e cicatrici che lei ormai conosceva a memoria.
Shepard espirò pesantemente, e lei percepì l'aria di quel respiro sulla guancia. 
Quel bacio era una menzogna. Ma anche lei aveva dei demoni da combattere, e nessuno le avrebbe impedito di fingere di scacciarli, insieme a lui. 
Perché non illudersi che quei momenti avrebbero potuto lenire le loro ferite ancora pulsanti? 
 
Miranda boccheggiò e provò a dirgli qualcosa con voce impastata per avere un attimo di tregua, ma lui parve fingere di non averlo notato.
 









 
E chiaramente torna lo Shep uomo. Perché io... semplicemente dovevo. Miranda. Miranda è l'amore, e lei mi ha costretta a farsi mettere come 'romance' in questa fic. Mi pregava e io non ho potuto non accontentarla <3
No ok. Cavolate a parte, Miranda è stata la mia prima romance, avendo cominciato da Mass Effect 2 con Shepard uomo, quindi lei per me è speciale. Davvero tanto. <3 E ovviamente non volevo dare a questo capitolo cuoricini e confetti, ma volevo proprio rendere una coppia che si forma non per amore, ma per egoismo. Questo non è lo Shepard di Tali. Questo è uno Shepard che per fingere di non tenere più a chi lo ha lasciato, cerca conforto tra le braccia di qualcun'altra. Ecco cos'è. Quindi, ecco. Mi spiace, non volevo trattare Miry così male, ma tutto sommato credo che sia stata una scelta non troppo "out of character". E basta. 

I barbagianni fanno paura.

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Capitolo 3
*** Sapere ***


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Mordin risalì sulla Normandy in silenzio, seguendo Shepard e Garrus. Raggiunse il laboratorio e inspirò profondamente, sentendosi cullato dall'odore di disinfettante che, paradossalmente, lo faceva sentire a proprio agio.
Troppa polvere, terra, macerie e morte avevano riempito quel giorno, e in quel momento sentì una piccola scintilla di felicità farsi strada nel petto, per poi svanire. 
No, non c'era nulla di cui gioire. 
Sospirò e fece alcuni passi verso il bancone, ma la voce di IDA lo bloccò, facendolo sussultare e bloccare. "Dottor Solus," cominciò l'intelligienza artificiale, cortese "le consiglio di andare a riposarsi e ripulirsi prima di riprendere la sua postazione."
Il Salarian corrugò la fronte già increspata di rughe e i suoi occhi si assottigliarono, pensierosi. Aprì la bocca, cercando le parole giuste, tra tutte quelle che stavano ammucchiate in confusione nella sua mente. 
Sporco. Puzza di marcio, odore di sangue. Genofagia, tentativi inutili, morti.
E poi Maelon.
"Dottor Solus?" La voce di IDA prese sfumature che gli apparvero di preoccupazione. Sorrise tra sè, certo che fosse stata una sua impressione. Lo sapeva, le IA simulano le intonazioni per sembrare più realistiche e facilitare la comprensione e i dialoghi. 
"S-sì." Balbettò, annuendo con la testa. "Ragione. Devo riposare." 
Serrò la magra mascella squadrata e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sè.
Percorse i corridoi metallici della Normandy in una sorta di automatismo, e solo quando davanti ai suoi occhi vide che ci fosse soltanto il pavimento scuro della propria cabina, notò che non avesse acceso la luce. Stava per aprire la bocca per dire a IDA di accenderla, ma desistette, concludendo che, forse, si sentisse meglio così. 
I suoi grandi occhi neri si confusero con l'oscurità della piccola stanza, rischiarata soltanto dalle stelle visibili dal sistema Alarakh che si agitavano fuori dall'oblò e dalla sagoma di un pianeta dalle sfumature brune. 
Mordin si avvicinò al vetro e vi appoggiò una mano. Tuchanka si allontanava lentamente, e per quanto tentò di convincersene, questo non lo sollevò. 
Maelon. In quel momento la figura del giovane tremulò davanti agli occhi del dottore. Mordin si sedette sulla branda e abbassò il capo, guardandosi le mani. Mosse il sottile indice della destra e poi lo strinse assieme alle altre dita in un pugno, come se non fosse convinto che gli avrebbero risposto, come se temesse che fossero paralizzate.
La figura di Maelon tornò davanti alle sue pupille e lui rabbrividì al pensiero di come l'avrebbe ucciso se Shepard non l'avesse fermato. Quel Salarian non era lui, lui valutava ogni situazione, rifletteva, voleva esaminare ogni sfaccettatura. Ma quella volta, un lato occulto che non conosceva gli aveva afferrato le mani e comandato i nervi, facendolo smettere di essere se stesso.
Non capiva se fosse la vecchiaia e che ormai i suoi neuroni stessero lentamente morendo o se fosse soltanto una singola, l'ultima, delusione addossata a tante altre: sapeva semplicemente che avesse iniziato a temere le proprie azioni.
Il senso di colpa cozzava come tante potenti onde contro il suo autocontrollo e ne logorava la resistenza. Si chiese se avrebbe mai potuto espiare le maledizioni che aveva afflitto ai Krogan, se la sua morte sarebbe valsa soltanto una tra quelle di tutti i neonati venuti alla luce già morti.
Si domandò se la sua morte sarebbe riuscita a smorzare almeno un pianto di una madre Krogan.
Le labbra secche e sottili di Mordin composero una smorfia, e poi si separarono, snudando piccoli denti macchiati dall'età. Quel dolore sarebbe stato almeno un po' più sopportabile, se solo avesse avuto qualcuno al suo fianco che si fosse offerto come spalla su cui piangere? Sì, aveva qualcuno che lui avrebbe potuto definire "di fiducia" e che avrebbe aiutato in qualsiasi caso, ma chi ci sarebbe stato davvero per lui? Lui, che aveva riposto la sua vita in fiale ed alambicchi di vetro, in metalli disinfettati, in siringhe e medicine? No. Per l'affetto nella sua vita non c'era mai stato posto e non ce ne sarebbe mai stato. Poteva solo sentirsi sollevato che suo nipote condividesse la sua stessa passione. Però, in realtà non ne era orgoglioso, ma di certo quel dettaglio lo avrebbe tenuto per sè, mentendo, dicendo il contrario.















Non so bene come commentare questo capitolo. In Mordin non mi sono mai immedesimata e questa è stata la prima volta, iniziare a scrivere di lui mi è parso complicato, ma poi, alla fine, ce l'ho fatta. 
Lo dedico alla mia ammicah Irene, la fan più sfegatata di Mordin e vari Salarian che conosca, che so che di tanto in tanto legge la robetta che scrivo <3
Ovviamente anche mille grazie a coloro che hanno messo questa fic tra le seguite, e altre mille grazie a chi ha fino ad ora avuto la pazienza di recensirla pure. Tanti cuori <3 <3 <3

 

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Capitolo 4
*** Amare ***


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Kasumi chiuse gli occhi, sotto l'ombra del cappuccio. 
Dietro il destro un dolore pulsante la faceva innervosire. Avrebbe voluto premere un palmo contro la palpebra, con forza, come aveva già fatto mille volte, ma la consapevolezza dell'inutlità di quel gesto la fece desistere, in quel momento. 
Sotto l'altra mano, un metallo, tiepido ormai. 
Si sistemò sulla pelle del divano, portando le ginocchia al petto e aggrottando le sopracciglia, in risposta all'emicrania. Snudò i denti, resistendo ancora all'impulso di portare le dita alla testa cercando di darle sollievo, concentrandosi sulla graybox che fece passare da una mano all'altra, sfiorandola con dolcezza. 
Voltò poi la testa verso un oblò, osservando le stelle. 
"Keiji," Disse, ad alta voce. "non ti manca la Terra?" 
Sorridendo, il tatuaggio sul labbro inferiore si distese. "Oh, diamine, a me manca un sacco."
Tra le dita, la graybox stava immobile. La ladra la stringeva quasi a volerla scaldare, come se confidasse che quel contatto prolungato avesse il potere di renderla viva. Ma la piccola scatola si limitava a riscaldarsi, ed una volta lasciata tornava fredda, morta, come lo spazio fuori dall'oblò.
"Ci siamo fatti incantare troppo da tutto questo, Keiji." Sussurrò, continuando ad osservare il vuoto dietro il vetro. "Avremmo dovuto capire prima che siamo umani e che ciò che avevamo ci bastava."
"Io ricordo quant'era bella la primavera, tu?" Aspettò un attimo, in attesa di una risposta. "Della primavera amavo i raggi di sole che accarezzavano i nostri fiori di ciliegio. So che è scontato, noi giapponesi andiamo decisamente troppo orgogliosi dei ciliegi... ma li amavo davvero." 
Si passò la lingua sulle labbra. "Amavo l'odore della pioggia che si scontrava sulla terra secca in estate. Cuccioli di cane che giocavano insieme nell'erba."
Erano quelli, i suoi ricordi. Un'infanzia vissuta come nel secolo precedente, un'infanzia lontana  dai viaggi iperluce, dal collegamento spasmodico e costante ad extranet. Qual'era l'attrattiva di quella vita? Era nulla, si convinceva lei, ormai diventata ragazzina. Un pezzo di vita che le era marcito tra le mani, l'aveva limitata, disgustata, oppressa nella sua semplicità. 
"L'aria fredda e umida, le montagne avvolte dalle nuvole."
Gli occhi di Kasumi erano più lucidi del solito e riflessero ogni piccolo chiarore del cielo. I fuochi parvero brillare appena e concentrarsi sulla palpebra, per poi ammassarsi insieme. Una goccia di luce di stella cadde, perdendosi tra le pieghe della tuta. 

 








 
*Si può sapere se si scrive graybox o greybox? Maccheccazz.*
È solo un penoso tentativo di sbloccarmi, non vogliatemene. Mioddio, ora che lo rileggo... LO SCHIFO. No, non lo so... devo studiare storia e sono le undici di sera. 
A questo punto Garrus lo lascerò per ultimo, se non mi viene in mente niente da ricamargli addosso. Oh, che fastidio immane. E va a farsi benedire l'ordine di apparizione. 
Frollini.

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