Piccola Telepate di irene862 (/viewuser.php?uid=101953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** L' arrivo di Sara ***
Capitolo 3: *** La sua infanzia ***
Capitolo 4: *** I sogni ***
Capitolo 5: *** Una vita per una vita ***
Capitolo 6: *** E nel frattempo Eric... ***
Capitolo 7: *** Effusioni ***
Capitolo 8: *** Calore ***
Capitolo 9: *** Crisi di colpa ***
Capitolo 10: *** Ferire e sanare ***
Capitolo 11: *** Sconvolgimenti ***
Capitolo 12: *** Godric's Memories ***
Capitolo 13: *** Una parola dolce può calmare un cuore arrabbiato ***
Capitolo 1 *** Intro ***
Intro - Delucidazioni Piccola Telepate
Delucidazioni su “Piccola
Telepate”
Piccola Telepate sarà una fiction AU (Universo
alternativo) con protagonisti i personaggi del Ciclo di Sookie Stackhouse nato
dalla mirabolante penna di Charlaine Harris inseriti ed adattati ad un contesto
completamente differente da quello autentico. Alcune caratteristiche originali tipiche ed appartenenti a
determinati personaggi saranno mantenute mentre altre andranno ad arricchire
quella che sarà la loro personalità. Ho inserito quindi anche l’avviso OOC
(Out of Character).
Ho voluto stravolgere la storia di Sookie e darle un inizio e
un corso differente.
La narrazione avverrà attraverso punti di vista differenti
(ad es. da uno dei personaggi, narratore onnisciente o narratore esterno). In
alcuni capitoli ho inserito spezzoni di brani musicali, immagini o link di
filmati youtube (relativi a video musicali).
Il rating della storia sarà, inizialmente, arancione ma mi
riservo la possibilità di modificarlo in futuro.
La fiction è ancora in elaborazione quindi l’aggiornamento
sarà ogni 3-4 settimane.
Mi auguro che la storia vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne
pensate.
Irene
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Capitolo 2 *** L' arrivo di Sara ***
Cap. 1 - L'arrivo di Sara
Capitolo 1° - L’arrivo di Sara
https://www.youtube.com/watch?v=qzZgNKJxmgs
Era il 1942 e il volto della donna era livido ed emaciato.
Anche respirare le costava fatica, lo faceva lentamente. Inspirava prendendo aria
ed immettendola nei polmoni per poi lasciarla uscire dalla bocca in piccoli
sbuffi di condensa. Le membra e le ossa le dolevano, camminava a fatica e ad
ogni passo sembrava che le gambe potessero cederle da un momento all’altro.
Non poteva fermarsi, doveva arrivare alla fine del paese.
Erano da poco passate le dieci di sera quando finalmente,
stanca ed un poco sudata, arrivò a destinazione. Il portone di legno era
vecchio, forse tarlato, ma imponente. Le persiane come le finestre erano
sprangate, i muri esterni logori e muffiti; la donna pregò che l’interno fosse
un poco meglio.
Il vento soffiava gelido sul suo viso investendo in pieno la
sua esile figura. Rabbrividì e si strinse nel cappotto pesante, accostando
meglio il suo fagotto al petto. Conosceva la natura degli occupanti di quella
vecchia villa, e sapere di dover affidare proprio a loro la cosa più preziosa
che possedeva le faceva stringere il cuore in una morsa di dolore.
Eppure, non vi erano altre alternative.
Si avvicinò alla porta e protese una mano verso il battente. Un’occhiata
alla fascia di stoffa con incisa una stella, intorno al braccio, le ricordò un
altro piccolo ostacolo tra lei e il resto del mondo. Prese un respiro profondo
ed attese.
La porta non venne spalancata ma solo leggermente scostata,
un volto bello ma duro con occhi chiari e freddi, la accolsero. L’uomo era
giovane, aveva corti capelli biondi, un fisico asciutto ma piuttosto muscoloso.
Spalle larghe, braccia e gambe robuste, altezza notevole. Un vero guerriero.
Questo la osservò, a sua volta, per pochi secondi notando subito la stella al
braccio.
“Ebrea, c’è il coprifuoco … torna alla tua dimora prima che
ti faccia arrestare” il tono deciso, il volto privo di espressione alcuna.
“Avrei bisogno di parlare con il generale Schwarz, per
favore. E’ molto importante” replicò lentamente la donna
Il viso del biondo s’indurì appena, gli occhi si
assottigliarono e dalla sua bocca uscì veleno “Il generale non ha tempo da
perdere con una femmina del tuo ceto e della tua razza … vattene!”
La porta si sarebbe richiusa con un tonfo secco se, questa con
un gesto veloce non lo avesse impedito; aveva infilato un piede tra
l’interstizio e la porta stessa.
Con voce pacata ripeté la sua richiesta e alzando lo sguardo,
per la prima volta, lo guardò negli occhi “Låt mig varelse av natten. Jag måste
rådgöra med din far!”
L’uomo sgranò gli occhi sorpreso ed impressionato,
cominciando ad osservarla con più attenzione.
“Chi sei tu? Cosa vuoi?”
La risposta della donna fu anticipata dall’arrivo di un
giovane uomo, di statura più bassa. I suoi capelli erano corti e neri, gli
occhi di un colore indefinibile; il suo viso mostrava curiosità ma anche diffidenza.
Vedendo finalmente il viso di colui a cui avrebbe affidato la
sua vita, con un sorriso, la donna cominciò
a parlare.
“Buonasera, generale Schwarz, avrei bisogno di conferire con
lei. Si tratta di una questione di una certa importanza, un argomento delicato.
Fuori fa freddo e vorrei riservatezza. Posso entrare?”
“Come osi…” le parole velenose dell’uomo biondo vennero
tacitate da un gesto del generale, che fece cenno alla donna di entrare
Si sistemarono in salotto, un grazioso vano caratterizzato da
mobilio di lusso. Il camino era acceso ed un piacevole tepore ammantava
l’intera abitazione. Il generale la invitò ad accomodarsi e mettersi comoda,
per poi fare la medesima cosa. L’uomo biondo era uscito subito, forse in cerca
della cena.
“Ebrea, cosa vuoi da me?”
La donna stirò le labbra in un sorriso sereno e con gesti
lenti iniziò a togliersi il pesante cappotto. Solo allora il generale si rese
conto che tra le braccia teneva un neonato.
“Mi chiamo Myriam e sono qui per lei” rispose accennando alla
creatura che teneva tra le braccia “Ha
bisogno di protezione ed io non posso più offrirgliela. Sono venuta a chiederle
di salvarle la vita, di prendersi cura di lei” spiegò la donna rilassandosi
appena e sistemandosi meglio sulla grande poltrona su cui sedeva
“Ciò che mi chiedi è impossibile, donna”
“Vi prego, lasciate che vi racconti la sua storia … sono
sicura che cambier…”
Il generale scosse la testa “Non cambierò idea! Ora devi
andartene” Si alzò e fece per accompagnarla alla porta quando le parole della
donna lo gelarono sul posto.
“So chi sei, Godric … conosco la tua natura e percepisco la
grandezza del tuo potere. So cosa stai cercando e ti ho portato qualcosa che
aiuterà la tua ricerca. Ti prego, non cacciarmi”
Prima il capo, poi il busto, poi ancora tutto il corpo del
giovane si volsero verso di lei ed un secondo netto dopo se lo ritrovò davanti.
“Come conosci il mio nome? Chi sei tu? Cosa vuoi veramente?”
le parole erano veloci, il tono furioso
“Mi permetti di raccontarti una storia?”
“Voi ebrei amate molto raccontare storie, non è vero?” domandò
il generale più a se stesso che a lei. Il tono si era ammorbidito, lui si era
nuovamente seduto ed ora sembrava come in attesa.
La donna chinò il capo, ringraziandolo, e prendendo un breve
respiro iniziò il suo racconto
“La bambina che ho tra le braccia non è mia, è figlia della
mia migliore amica. Circa trent’anni fa, io avevo appena 17 anni allora ed
abitavo in Romania con la mia famiglia, conobbi Saphira. Era una ragazza
bellissima, dai tratti quasi orientali, pelle ed occhi chiari capelli del colore
del grano. Aveva un carattere buono e generoso. Amava danzare, amava la musica
e amava ridere”
“Una zingara, insomma”
La donna annuì sorridendo e prendendo un altro lungo respiro
si accinse a continuare “Diventammo subito amiche inseparabili, passavamo ogni
ora di ogni giorno insieme. Due anni dopo conobbe un uomo, venuto da lontano e
poco più grande di lei. Aveva tratti fisici differenti, simili a quel tipo
biondo … il vostro sottoposto, con modi ed abitudini completamente differenti.
Eppure s’innamorarono perdutamente l’uno dell’altro e quando lui le chiese di
andar via … beh, Saphira lo seguì felice. Non ebbi più sue notizie sino ad una
decina di anni fa, quando me la trovai praticamente sotto casa. La sua bellezza
non era mutata, il suo viso non recava i segni del tempo trascorso, come invece
era accaduto al mio, eppure in fondo ai suoi occhi vi lessi paura, dolore e una
tristezza senza eguali. Notai subito che era incinta così l’accolsi in casa,
con gioia, e mi feci raccontare cosa le era accaduto. Mi disse che si era
sposata ma che il marito era stato ucciso. Mi disse che il suo sposo era
diverso, che non era umano, che era stato ucciso dal suo stesso padre perché si
era unito carnalmente e spiritualmente a lei. Quel giovane uomo, di cui non
seppi mai il nome, era riuscito a farla fuggire non solo per proteggere lei ma
anche la loro creaturina.”
“Mi stai dicendo che questa è la stessa bambina del tuo
racconto?” interruppe la storia il generale
“Esatto”
“E’ impossibile! Sono trascorsi quanti … più di dieci anni?
E’ impossibile che sia la stessa bambina!”
“Eppure è la verità e non ho motivo di mentirti al riguardo. Lasciami
continuare e capirai da solo. Passai con Saphira solo poche settimane prima che
lei morisse dando alla luce Sara” rispose la donna accennando al fagotto che
ancora teneva stretta al petto
“Venni a sapere che la bambina non era completamente umana.
Non seppi altro sulla natura di suo padre se non quello che ora racconto. Sua
madre invece, Saphira e la sua famiglia così come la mia e i miei antenati, erano
conoscitori originari della
Transilvania.”
“Cosa? Siete gli stregoni del vecchio principato medievale?”
domandò lui alzandosi dallo stupore
La donna si limitò ad annuire
“Ecco spiegato il motivo per cui conosci il mio vero nome e
quello della mia natura, ebrea. Continua” aggiunse accomodandosi nuovamente di
fronte a lei
“Solo qualche giorno dopo la sua venuta seppi della natura di
Sara e di quello che sarebbe stato il suo destino. Lei è speciale, molto
speciale! Sua madre mi disse che il potere del suo sposo era oltre ogni
immaginazione e che la bambina avrebbe ereditato poteri che avrebbero fatto
gola a molti. Sarebbe stato mio compito proteggerla se le fosse accaduto
qualcosa. M’impose di darle tre nomi aggiungendo che altri nomi segreti glieli
avevano imposti lei e suo marito, per protezione, e questo è tutto”
“Quello che non capisco è perché ti sei rivolta a me?”
“Domani all’alba sarò morta … ho aspettato troppo per venire
da te. Forse proprio a causa della tua rivoltante natura ma sono sicura che
solo con voi, Sara, sarà al sicuro”
“Perché dopo tutto questo tempo è ancora così piccola?”
domandò il generale avvicinandosi
“Come ti ho detto, lei non è del tutto umana e la sua
crescita non segue le nostre regole. Sua madre mi disse che sarebbe cresciuta
solo quando sarebbe stata pronta. Ritengo che Sara non sia cosciente di questo
e che la sua maturazione sarà un po’ instabile. Crescerà a tempo debito e forse
proprio questo l’aiuterà ad ambientarsi meglio nella vostra vita”
“Noi non invecchiamo” asserì il generale annuendo
Finalmente, la donna, decise di mostrarle Sara e con
delicatezza allungò la bambina nelle mani di Godric, che spaventato ma anche tremendamente
curioso la strinse a se.
“Di cosa si nutre?” domandò senza staccare gli occhi dalla
neonata
“Latte. Solo latte, per ora. Quando crescerà dovrete andare per
tentativi”
“Cos’è questo alone viola che la circonda?”
“Riesci a vederlo?” domandò la donna sgranando gli occhi
sbalordita
“Non dovrei?” chiese alzando gli occhi verso di lei
“Sei davvero potente … molto bene. Quell’alone sparirà domani
all’alba. E’ una protezione che ho dovuto imporle per non farle male. Quando
morirò anche quell’incantesimo avrà fine”
“Che significa?”
“Venire a contatto con un essere umano la ferisce”
“Cosa?” domandò ancora
“Sua madre era umana, giusto?”
“Si, assolutamente. Credo che si tratti di qualcosa di
passeggero e fintanto che sarà necessario dovrete evitare che venga in contatto
con umani. Non devono toccarla o lei finirà con il ferirsi e soffrirà. Come ti
avevo preventivato, Sara sarà in grado di aiutarti perchè il dono più
importante e che svilupperà per primo sarà quello della telepatia”
Mettere tutto quel potere, Sara stessa e la sua vita e la sua
felicità, nelle mani di una creatura oscura come quel vampiro fece molto male a
Myriam. Era come consegnare un’arma con un potenziale inimmaginabile nella mani
di un guerrafondaio … ma non vi erano altre alternative. E poi vi erano i suoi
sogni … e i sogni di Myriam non sbagliavano mai.
Secondo queste previsioni, Sara, sarebbe stata felice e si
sarebbe innamorata di una creatura oscura. E questa l’avrebbe corrisposta
donandole un amore puro e passionale, luminoso e travolgente, l’avrebbe
protetta con la sua stessa vita, fino alla fine dei tempi.
Tornando al presente riuscì a cogliere le ultime parole di
Godric “Proteggerò e crescerò, Sara, come fosse mia figlia”
Myriam annuì “Bene. Un’ultima cosa…” e tirando fuori un pezzo
di carta lo porse al generale “E’ l’indirizzo della mia abitazione. Troverete tutto
ciò che vi occorrerà per lei, almeno per il prossimo mese. Cibo, vestit...”
“Cos’è questa sensazione che sento? Sembra…” domandò lui
interrompendola
“Non temere. E’ il potere di Sara. L’incantesimo protettivo sta
svanendo lentamente. Ti avviso giovane generale … Sara ha uno strano potere e
una volta che la conosci non puoi fare a meno di amarla … lei non permetterebbe
il contrario. Ha una grande forza di volontà … lotta per le cose che vuole” poi
quasi le forze le fossero venute a meno, si lasciò cadere dolcemente sulla
poltrona su cui era seduta “… e le ottiene sempre”
“Il tuo cuore sta rallentando i suoi battiti” pronunciò
Godric con voce incolore
“Già … l’alba si avvicina” rispose lei respirando sempre più
a fatica “Il suo nome completo è Sara Evie Jocelin”
In quel momento, entrambi sentirono la porta di casa aprirsi
e chiudersi velocemente. Nel salottino entrò, subito dopo, il giovane uomo
biondo.
“Godric? Sono quasi le quattro e…” la sua voce era pacata
quasi soffice ma s’interruppe nel vedere la donna umana seduta sul loro divano
e sgranò gli occhi nel vedere il suo creatore con in braccio un infante.
Anche Godric alzò gli occhi verso di lui e lo invitò ad
entrare
“Eric, entra” disse con voce vellutata quasi volesse
accarezzare il viso del suo unico figlio
“Cosa ci fa questa donna ancora qui? Cosa vuole? E cos’è
quella cosa?” chiese accennando al neonato tra le braccia di suo padre
“Utbildning, Eric!”
“Förlorade far” rispose chinando il capo
Godric sorrise di nuovo e avvicinandosi gli baciò il capo
“Questa è Sara”
“Io … non capisco padre…” replicò il giovane Eric
“Vivrà con noi. Nostro compito è quello di proteggerla.
Capirai presto, figlio mio”
Gli porse il foglietto e gli diede istruzioni di far svuotare
la casa della donna in questione.
“Prendi tre o quattro uomini con te, non di più. Riporta
tutto ciò che potrebbe servire a Sara. Capito?”
“Si padre” e uscì di nuovo velocemente
Godric si avvicinò di nuovo alla donna e guardandola in viso
la trovò sorridente. “E’ viziata, adora essere coccolata. Finché sta in braccio
dorme come un angioletto ma non appena la si stende nel suo lettino diventa un
vero diavoletto”
“Non ci saranno problemi … noi non ci stanchiamo. E devo
ammetterlo, tenerla in braccio mi piace molto … mi sento sereno … suppongo sia
dovuto all’influenza del suo potere”
La donna annuì ancora poi facendosi forza disse “Morirò
presto, tra un paio d’ore e dato che non ho parenti in vita né altri conoscenti
devo affidarmi a voi”
“Vuoi che chiami un rabbino?”
La donna scosse il capo “Sarebbe pericoloso e ci vorrebbe
troppo tempo. Nell’ebraismo, si ritiene che dopo la morte il corpo tornerà alla
terra da cui è originato, mentre l'anima ritornerà alla sua radice divina.
Dunque ho solo bisogno che il mio corpo venga avvolto in un sudario e sepolto
nella terra. Non bruciate o imbalsamate i miei resti. Ho già preparato il rito
per il trapasso del mio spirito”
“Faremo come vuoi, Myriam”
Al sorgere del sole, Myriam, spirò lasciando il mondo terreno
con un dolce sorriso sulle labbra e uno sguardo pieno d’amore rivolto alla sua principessa.
La sera dopo, Godric ed Eric decisero di abbandonare la
Germania. Sarebbero tornati verso casa, verso le terre scandinave. Con loro una
piccola bambina addormentata.
* Sara (principessa in ebraico), Evie (che dà la vita in
ebraico), Jocelin (combattente/guerriera in ebraico)
1) “Låt mig
varelse av natten. Jag
måste rådgöra med din far!” Svedese
tradotto in italiano “Fammi entrare,
creatura della notte. Devo conferire con tuo padre!”
2) “Utbildning, Eric!”
à “Educazione, Eric!”
3) “förlorade far” à “Perdono, padre”
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Capitolo 3 *** La sua infanzia ***
Cap. 2 - L'infanzia di Sara
2° Capitolo –
L’infanzia
di Sara
La primavera era alle porte tuttavia Godric continuava a coprire
la sua piccola Sara come fosse inverno. Erano in Svezia dove freddo e neve eran
sempre presenti. Non poteva permettere che si ammalasse perché, con il passare
degli anni, si era reso conto che il corpo di quella piccola creatura, che gli
era stata affidata tre decenni prima, era ancora più delicato di quel che
pensava. E Sara non era una bambina cagionevole forse proprio grazie a tutta
l’attenzione che lui e suo figlio le dedicavano.
Si volse a guardarla mentre se ne stava, accoccolata, tra le
braccia di Eric. Sorrise al pensiero che, proprio come quella donna gli aveva
detto, Sara era tremendamente viziata, amava le coccole e diventava capricciosa
se non passava la maggior parte del suo tempo tra le loro braccia.
Tutti i giorni, dopo il tramonto, uscivano trascorrendo fuori
casa qualche ora. Era diventato un rito.
Trovavano una taverna o un piccolo ristorantino e vi portavano
Sara a cenare. Le facevano scegliere cosa mangiare divertendosi e ridendo delle
sue faccine buffe. Si andava dalle faccette corrucciate, alle pernacchie o ai
categorici no della piccola se la pietanza non era di suo gradimento; al
contrario, se i piatti le piacevano, vi erano allegre grida estasiate,
sorrisoni felici per arrivare alle insolite richieste di Ne voglio ancora … Proprio buono questo … E’ buono, papi vuoi
assaggiare?.
Dopo cena si scatenava il solito scontro tra lei ed Eric,
sempre sul medesimo argomento. Sara detestava camminare da sola o farsi tenere
per mano, non correva mai, non interagiva con gli altri bambini e non giocava
con loro. Il suo mondo era ristretto e ne facevano parte solo due individui,
oltre a lei. Ed entrambi Impiegavano intere mezz’ore a convincerla ad
interagire con altri bambini, come lei, a giocare con loro o anche solo ad
allontanarsi dalla “zona sicura” che rappresentavano ai suoi occhi innocenti.
Da subito, i due vampiri si resero conto di non avere a che
fare con una bambina normale, nel senso generale del termine, quanto piuttosto
con un essere dotato di grande forza di volontà e determinazione. Avevano
ipotizzato le più svariate teorie per tentare di spiegare i suoi atteggiamenti
o comportamenti ed avevano una loro teoria.
“Credo che, vivere a stretto contatto con noi e le nostre
raccomandazioni, le nostre abitudini e discorsi, i nostri atteggiamenti o modi
di fare l’abbiano spinta a non fidarsi degli altri”.
Eric annuì pensieroso
“Non si avvicina agli altri per paura e questo è comprensibile ma oramai
ha quattro anni … e non capisco perché non le piaccia correre o camminare come quei
piccoli umani” disse indicando due bambini che giocavano tra loro, non molto
lontani.
Godric sorrise e si sporse leggermente in modo da poter osservare
Sara che se ne stava comodamente appollaiata sulle sue ginocchia. Erano seduti
su un’umida panchina di plastica, al parco, mentre lei era intenta ad osservare
con sguardo distaccato i pochi bambini rimasti a giocare.
Uno sguardo che ricordava quello distaccato e freddo che Eric
usava in molte situazioni.
“Sara non è come gli altri bambini, Eric. E’ speciale”
rispose muovendosi in modo che la piccola gli si potesse accostare al collo.
La posizione preferita di Sara era una ed una sola.
Accoccolarsi sul petto dell’uno o dell’altro, incuneare il visino tra collo e
clavicola, un braccio attorno alla nuca e la manina dell’altro braccio poggiata
dall’altra parte del collo, quasi volesse percepire il battito inesistente dei loro
cuori.
“E poi parla così poco…” continuò Eric voltandosi a fissare
Sara che allungò le piccole braccia verso di lui
“Ma come??! Non fai altro che lamentarti delle donne che
frequenti perché dici che parlano troppo e quando ne trovi una che usa le
parole con parsimonia e, aggiungo sempre al momento giusto, te ne lamenti? Non
sei mai contento, figlio mio”
Quest’ultimo commento fece sbuffare Eric, che per tutta
risposta posò a terra, forse un po’ troppo rudemente, la piccola e la incitò ad
andare a fare amicizia.
“Non ti va di conoscerli?” le domandò vedendola esitare
“Tu vieni con me?” domandò lei
“Devi farlo da sola”
“Papi?” domandò allora voltandosi verso Godric
Anticipando la risposta del suo creatore, Eric, la incitò a
fare da sola “Non sei una fifona, vero,
Sara?”
Stuzzicare, con battute di questo tipo, il suo orgoglio era
l’unico modo per incitarla a far qualcosa. Lei per tutta risposta, scosse la
testa e si voltò decisa verso i due bambini. Si sistemò pazientemente i
vestitini e alzò la testa pronta ad affrontare quella nuova sfida, per la prima
volta da sola.
“Non aver timore, Sara” le sussurrò Godric all’orecchio
“E se non mi vogliono? Se mi fanno male?”
“Nessuno ti farà male” la rassicurò Eric con un sorriso “Sono piccoli come te, vedi?”
“Io non sono piccola!” replicò lei corrugando scocciata la
fronte e la boccuccia mentre i due scoppiavano a ridere. Poi senza dire altro
si voltò e lentamente, con sguardo determinato, si avvicinò ai due bambini.
I due vampiri osservarono la scena curiosi ma anche un poco
in ansia. Il loro timore era dovuto all’aver sperimentato la sofferenza di Sara
nel momento in cui toccava o era toccata da un essere umano. Ben salda nelle
loro memorie vi era ancora la scena accaduta ben undici anni prima…
Godric
stava finendo di rivestire Sara, dopo averle fatto il bagno, quando sentì la
porta d’entrata aprirsi e chiudersi con violenza. Delle leggere risa in
corridoio e poi una veloce corsa sulle scale. La porta della camera di Sara era
stata spalancata da una donna alta, con corti boccoli biondi e aspetto curato. Sara,
ormai del tutto vestita, volle esser rimessa a terra.
Sgambettare
felice per casa, rincorsa dal suo papà le piaceva molto. La faceva ridere.
“Eccola
qui! Ma sei una meraviglia, bambolina! Il mio accompagnatore, stasera, non ha
fatto altro che parlare di te ed io son diventata curiosa”
Forse
fu la vista di quei lucenti capelli biondi o di quegli occhi incredibilmente
azzurri, forse fu il suo visino d’angelo che faceva pensare ad un piccolo
cherubino sceso in terra. Probabilmente fu solo l’avventatezza di quella donna
che, quella sera, procurarono a Sara incommensurabile dolore e scatenarono le
ire funeste di Godric.
La
donna si gettò sulla bambina, forse con il solo intento di sfiorarle le guance
o di prenderla in braccio, e nonostante Godric fosse tra le due, Sara cominciò
a gridare di dolore. Le sue grida andarono a fondersi con il ruggito furioso di
Godric che accortosi della situazione uccise la donna spezzandole l’osso del
collo, in pochi secondi.
Eric,
salì le scale a tempo record e a quella vista sgranò gli occhi sconvolto.
Superò con una falcata, senza quasi nemmeno vederlo, il corpo della donna
bionda e si affiancò a suo padre, che nel frattempo aveva tolto la magliettina
del pigiama a Sara.
La
bimba urlava e piangeva furiosamente, dimenandosi dal dolore. Tra pancia e
gamba l’impronta di un’ustione, la forma ricordava quella di una mano.
Erano
entrambi senza parole, non avevano medicinali o altri rimedi umani in casa e
portarla da un dottore era fuori discussione perché l’avrebbe toccata
aggravando la situazione. Mentre Eric rimaneva immobile senza saper bene come
procedere, Godric si era già inciso il palmo della mano. Cominciò con tocchi
delicati e leggeri ad applicare poche gocce del suo sangue, sul pancino della
piccola. Ripassò l’ustione più e più volte mentre le grida di Sara andavano via
via scemando.
Senza
pensarci nemmeno un secondo di più e prendendo esempio dal suo creatore, Eric
si accinse a fare la stessa cosa. Incise profondamente il centro della sua mano
da cui cominciò subito a colare sangue e si avvicinò a Sara. La mano di Godric,
però, lo fermò e il suo sguardo lo raggelò.
“Tänker på den döda kvinnan!”
Era
colpa sua … se non avesse portato quell’umana così vicino a Sara … tutto questo
non sarebbe accaduto. Era colpa sua.
Ed
Eric così fece. Si disfò del cadavere della donna morta, tornando poi subito a
casa. Al rientro aveva trovato Sara addormentata nel suo lettino. Insolito per
lei, dato che amava addormentarsi stretta ai loro petti.
Godric
lo aspettava, in piedi, in salotto.
“Nessun
umano è più ammesso. Non voglio che un altro di loro si avvicini più a mia
figlia”
“Si
padre”
“Usciremo
di casa per nutrirci o per soddisfare altre voglie”
“Si”
“Non
lasceremo mai, e dico mai, da sola Sara. La sua sicurezza così come la sua
felicità è vitale per noi”
“Sono
d’accordo”
“Bene”
“Mi
dispiace padre”
“Non
importa. Ora Sara sta bene. E nessuno di noi ne parlerà più” disse mettendo
fine alla discussione
Tornarono entrambi al presente giusto in tempo per notare che
uno dei due bambini aveva preso per mano Sara per farla partecipare ai loro
giochi.
Eric fu il primo ad arrivarle vicino e strappò con violenza
la sua mano da quella dell’altro bambino. La reazione dei due non si fece
attendere. Scoppiarono a piangere entrambi con violenza.
Eric guardava e tastava febbrilmente la manina di Sara
tentando di scorgere il motivo della sua sofferenza, aspettandosi da un momento
all’altro il sorgere di una grave ustione. Godric al contrario, che aveva
compreso in anticipo il motivo del piangere disperato dei due piccoli, si
accinse ad usare l’ipnosi per calmare il bambino e a mandarlo a casa.
Poi sempre con calma si avvicinò ai suoi due figli ed
esaudendo il desiderio di Sara, che impaziente di essere tranquillizzata gli
tendeva le manine, la prese in braccio.
“Eric, ricomponiti. Sara sta bene”
“Ma … piange”
“Certo che piange!” rispose il primo con un sorriso
indulgente “L’hai spaventata!”
Nel frattempo Sara aveva smesso di piangere prendendo a
singhiozzare di tanto in tanto. Godric le prese la mano mostrandola così ad
Eric.
“Guarda, non ha ferite. Quel piccolo umano non le ha fatto
male” poi rivolgendosi a Sara aggiunse
“Smetti di piangere Sara. Non è successo niente”
“Brutto cattivo” replicò quella rivolta ad Eric “Mi hai fatta piangere!” gli gridò addosso
con gli occhi ancora ricolmi di lacrime e il viso arrossato dallo sforzo
Godric sorrise benevolo tentando di placare gli animi e
ristabilire l’armonia famigliare che tanto gli era cara e che tanto amava
sentire attorno a lui.
“Tuo fratello non voleva farti piangere. Pensava che quel
bambino volesse farti male e voleva proteggerti” le spiegò Godric pazientemente
mentre tutti e tre tornavano verso casa
La piccola Sara rimase in silenzio per qualche minuto poi rivolta
ad Eric domandò “Hai pensato che quel bimbo voleva farmi la bibi?”
Eric non riuscì a fare altro se non annuire e si allungò verso
di lei per prenderla in braccio
“Davvero? Volevi farmi da difendaio?” domandò incespicando
con le parole
“Difensore” le rispose annuendo Eric stringendosela addosso
“Mhm, allora non sei brutto e nemmeno cattivo. Però non
spaventarmi più, va bene?”
“Te lo prometto, Sara” rispose quel guerriero biondo, obbligandosi
a prendere aria dalla bocca fingendo di respirare solo per riuscire a calmarsi
un poco.
Avevano capito molto presto che gli stati d’animo dei
genitori degli umani influivano su quelli dei loro figli e avevano deciso di
applicare lo stesso metodo con Sara. Godric ed Eric non erano i suoi genitori biologici
tuttavia, per lei, erano vitali perché la stavano crescendo. Quindi placando se
stessi si calmava, di conseguenza, anche la piccola Sara.
Eric aspirò ancora una boccata d’ossigeno e trattenne dentro
di sé il profumo che la pelle e il sangue di Sara emanavano. Era un profumo
così delizioso ed invitante da divenire irresistibile eppure entrambi avrebbero
preferito venire uccisi mille volte piuttosto che assaggiare quel sangue.
Questo perché nonostante il suo aroma fosse così avvolgente ed attraente loro
sapevano appartenere alla loro amata Sara.
“Comunque sei in punizione, vero papi?”
La vocina di Sara riportò Eric nuovamente al presente
Godric, che stava sorridendo, annuì in risposta “Quale sarà la sua punizione, Sara?”
La piccola sembrò pensarci seriamente poi infine parlò “Mi
devi fare un sacco di coccole per tanti giorni e dobbiamo giocare sempre
insieme e fare la nanna insieme e la pappa insieme. Sempre!”
Eric scoppiò a ridere mentre Godric replicava trattenendo le
risate “Ma questa non è una punizione Sara … questo è un premio per te!”
“Quel che ha detto è deciso. Non si può più cambiare!”
replicò Eric entrando in casa, con in braccio Sara e seguito da Godric “Sconterò la punizione da domani. Ora a
nanna, pulce!”
* Tänker på den
döda kvinnan= pensa alla donna morta
|
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Capitolo 4 *** I sogni ***
3° Capitolo
3° Capitolo – I sogni
“Eric?”
“Mhm”
“Perché
cambiamo sempre casa?”
La domanda era sorta spontanea in quella piccola testolina
bionda e dato che il suo papà, che sapeva sempre tutto, era via da qualche
giorno, lei lo aveva chiesto al suo Eric.
“Perché è più sicuro” le aveva risposto continuando a leggere
“E’ per me?”
A quelle parole, Eric mise
da parte il giornale per dedicare tutta la propria attenzione a quella bambina
di sette anni, appena compiuti, che gli stava di fronte con gli occhioni azzurri
sgranati.
“Certo che no, Sara. Non è colpa di nessuno. Godric pensa sia
più sicuro se, ogni tanto, cambiamo città” rispose accarezzandole i capelli per
poi sollevarla e prenderla sulle ginocchia.
“E’ perché io sono strana? Oppure perché non potevamo uscire
di giorno?”
“Tu non sei strana”
“E’ perché sono una bambina bellissima?”
Eric scoppiò a ridere “Chi ti ha detto che sei una bambina
bellissima?”
“La nostra vicina, la Sig.ra Dupont. Ieri sera, quando eri
fuori per mangiare, lei veniva a trovarmi”
“Che cosa?” domandò Eric stupito ed arrabbiato “Sara, sai bene che non devi fare entrare
nessuno in casa. E poi sono rimasto fuori nemmeno un’ora. Quando è venuta? Che
cosa voleva? Cosa ha detto? Ti ha toccato?” domandò lui osservando con scrupolosa
attenzione il suo visino in attesa di risposte e poi braccia e gambe in cerca
di segni, lividi o ustioni
“Sono in castigo?” domandò lei abbassando gli occhi e
stropicciandosi il suo vestitino rosso
“Non sei in castigo ma hai fatto una cosa che non devi fare.
Mai. E’ pericoloso! Potevi farti male. Ed io non voglio che ti succeda niente.
Adesso raccontami tutto.”
“Veniva quando tu stavi fuori e mi ha portato le fragole. E
le ho mangiate ed erano così buone. Mhm! Tutte rosse rosse e alcune ci avevano
dei puntini verdi e io me li sono mangiati pure a loro!”
“Stai parlando in maniera assurda. Hai sbagliato tutti i
tempi verbali!”
“Uffa! Non è colpa mia… è questa lingua … non mi piace!”
sbuffò lei arricciando in maniera buffa la sua boccuccia
“Siamo in Francia solo da qualche mese … ti ci abituerai.
Comunque che voleva quella vecchia
impicciona?”
“Mi ha chiesto se ero da sola in casa. Se avrebbi mangiato e
se mi piacevano le fragole.”
Eric annuì aggiungendo “E tu che gli hai detto?”
“Che si, avevo già cenato e che le fragole mi piacerebbero
sempre. E lei me le ha date e io le ho mangiate tutte. Domani me ne compri
altre?”
Eric sorrise della sua parlantina ripensando che molto tempo
prima si lamentava del fatto che parlasse poco. “Hai di nuovo sbagliato i tempi
verbali, Sara. Domani dedicheremo mezzoretta in più alla grammatica francese.”
“Nooo, uffi! Non mi piace. So già il tedesco e svedese e
inglese. Perché devo impararla?”
“La grammatica di queste lingue si somiglia molto ecco perché
non hai avuto difficoltà ad apprenderle velocemente. Il francese, al contrario,
è una lingua di origini latine come lo spagnolo e l’italiano. Hanno una
grammatica differente ed una pronuncia differente. Ora non preoccuparti di
questo. Corri a lavarti i denti e a metterti il pigiama. E’ tardi, sono quasi
le quattro e dovresti essere sotto le coperte già da un pezzo!”
Sorrise ancora quando la sentì in bagno, strofinarsi i denti
per poi correre in camera per infilarsi il pigiama. Quando scese aveva ancora i
capelli legati in due lunghe trecce.
“Mi fai i capelli?”
Annuì per poi cominciare a sfilarle gli elastici e
scioglierle le trecce “Stanno diventando lunghi”
“Lo dice sempre anche papà … dice che sono belli e morbidi”
“E’ vero” replicò lui con un sorriso divertito
“Anche a me mi piacciono molto perché papi me li lava sempre
con lo shampoo profumato alla frutta, che è solo per le bimbe. E poi il profumo
resta su tutti i miei capelli e loro profumano sempre. E a me mi piace tanto
perché sono bellissimi come me”
“Vanitosa” borbottò lui con un sorrisino impertinente
Finito con i capelli, la prese in braccio e la portò di
sopra. In camera sua.
“Forza sotto le coperte, pulce!”
“Non sono più una pulce … sono grande adesso! Ho controllato
sul mio libro degli animali e le pulci saranno piccole e brutte e tu non mi
potessi più chiamare pulce perché io sono una bambina bellissima e grande!”
replicò lei saltando sul letto ed infilandosi in fretta sotto le coperte
“Quando diventerai alta come me smetterò di chiamarti pulce …
nel frattempo continuerò a farlo. Ora dormi. Fai sogni d’oro Sara!” le rimboccò
le coperte e le diede un bacio sulla guancia
“Eric?”
“Mhm?”
“Quando torna papi? Mi manca…” sussurrò quasi addormentata
“Tornerà presto. Ora dormi. Sogni d’oro” replicò lui
alzandosi per andare a spegnere la luce
“Ti voglio bene, Eric”
“Anche io, pulce” sussurrò uscendo dalla sua cameretta
Stava scendendo lentamente le scale quando sentì il cellulare
nella tasca vibrare. Schiacciò il tasto invio e lo posai all’orecchio.
“Godric?”
“Figlio mio, ho buone notizie.”
“Davvero? Dimmi” lo pregò Eric chiudendo la porta del salotto
e accomodandosi in poltrona
“Come sta Sara? Dorme?”
“Si, l’ho appena messa a letto. Stasera era un vulcano, ha
parlato tutto il giorno a macchinetta. E da quando ha scoperto le fragole quasi
non mangia altro. Con il francese invece non ci siamo proprio. Sbaglia tutti i
verbi” gli riferì ridacchiando
“Dobbiamo avere pazienza. Non è facile continuare a cambiare
posto ed imparare sempre una lingua diversa. E’ molto intelligente ma rimane
sempre una bambina.”
“Mi ha chiesto quando torni … perché sente la tua mancanza”
“Ed io la sua” rispose dolcemente Godric “E la tua. Tornerò entro la fine della
settimana. Ora dimmi, ci sono novità inerenti il suo potere?”
“No, alcuno. Coglie immagini ed emozioni come al solito. Purtroppo
la maggior parte di queste non riesce a comprenderle appieno quindi riferirle o
spiegarle le riesce difficile. Non sempre riesco a capire cosa realmente vede o
percepisce. In merito alle nostre uscite, ho notato che i suoi mal di testa
aumentano in maniera proporzionata al tempo che sta a contatto con gli umani”
continuò ad aggiornarlo ancora “Mentre per quanto riguarda il licantropo, quello
a cui avevi parlato, ha seguito il tuo suggerimento ed è andato via due giorni
fa”
“Molto bene. Presta maggiore attenzione a questi mal di testa
o ad altri fastidi.”
“Lo farò. Tu invece? Cosa hai trovato? Fin dove ti sei
spinto?”
“Ho trovato elementi e testimonianze che non lasciano dubbio
alcuno. Credo di aver compreso quale sia la natura del padre biologico di Sara”
“E quale sarebbe?”
“Si tratta di un fairy,
Eric.”
“Una fata?” domandò Eric sollevandosi in piedi di colpo “Sono creature leggendarie … non esistono …
le fate …”
Una risata allegra si diffuse tramite l’apparecchio “Creature leggendarie che non esistono?
Qualcuno potrebbe dire altrettanto dei vampiri, non ti pare?”
“Ma padre … una fata … in tutta la nostra esistenza non ne
abbiamo mai incontrate e non cred…”
“Ne incontrai un esemplare, una volta. Moltissimo tempo fa,
alcune centinaia di anni prima che incontrassi te.”
“Raccontami per favore…” lo pregò Eric
“Non ora e non per telefono. Ho racconto molto materiale e
porterò tutto con me. Tornerò a casa entro tre giorni. A presto” ed interruppe
la comunicazione
Eric sospirò e, dopo aver controllato per bene porte e
finestre, salì al piano di sopra. Controllò che Sara stesse dormendo
serenamente e si infilò nel suo rifugio. Aveva bisogno anche lui di riposo. Si
sdraiò supino e chiuse il coperchio, sigillandolo dall’interno. Si sistemò
meglio e finalmente serrò gli occhi. Un oblio di nulla lo attendeva.
Il momento del risveglio arrivò fin troppo presto, per quel
giorno, tuttavia Eric lo percepì immediatamente. Spalancò gli occhi d’improvviso
e sbloccò il sigillo di chiusura. Sollevò il coperchio e si alzò velocemente.
Per prima cosa controllò Sara e la trovò rannicchiata su se
stessa, sul bordo del suo lettino, ancora addormentata. Quindi si diresse in
cucina, aprì la dispensa e prelevò un paio di bottigliette di true blood che si
premurò di inserire nel fornetto a microonde.
Si sedette al tavolo della cucina e fece la sua solita
colazione. Nel silenzio della stanza, si concentrò meglio ripensando alla
conversazione telefonica che aveva avuto il giorno prima con Godric.
Possibile che si tratti
davvero di un fairy?
Gettò velocemente le bottigliette vuote della colazione nel
sacco dell’immondizia e si accinse a lavarsi le mani. La sua piccola principessa si stava svegliando perciò la raggiunse nella
sua cameretta.
“Ben svegliata, bella addormentata” la accolse, come ad ogni
suo risveglio, Eric
Lei però non rispose con la sua solita frase né si gettò,
come era solita fare, fra le sue braccia per la sua dose di coccole e solletico
mattutina. Rimase immobile, sotto le coperte, con il visino nascosto.
“Sara, cosa c’è? Stai male?” il tono preoccupato
“Quando torna papi?” domandò lei, senza rispondere
“Fra tre giorni al massimo”
“Davvero? Davvero torna fra pochi giorni?” schizzando fuori
dal letto, fiondandosi su di lui che l’accolse con un sorriso rasserenato
“Certo. Ora dimmi, cosa vuoi per colazione?”
“Fragole!” esclamò lei correndo allegramente in bagno per
fare pipì e lavarsi mani e faccia.
“Niente fragole, Sara. Le hai finite ieri. Più tardi usciamo
a comprarle ma per colazione dovrai scegliere altro”
Quando tornò in camera aveva un visino imbronciato e
strascicava i piedi a terra, poi si avvicinò sino ad attaccarsi alla sua
camicia.
“Davvero sono finite?”
“Si, Sara. Te le sei finite tutte, golosona senza fondo!” la
prese in giro arruffandole i capelli spettinati.
“Allora mi toccherà latte e biscotti, uffa!”
“Manco fosse qualcosa di terribilmente amaro!” borbottò lui
Scesero insieme in cucina e, mentre lei immergeva una valanga
di biscotti nella sua tazza di latte, come ogni mattina lui le domandò
“Hai fatto qualche bel sogno?”
“Il solito … sempre quella signora che mi parla ma non la
capisco … però oggi mi ha detto il suo nome” borbottò lei a bocca piena
sputacchiando pezzi di biscotti ovunque
“Non si parla con la bocca piena, Sara, lo sai” la rimproverò
porgendole poi un tovagliolino di stoffa
“E’ colpa tua! Non si chiedono le cose alle bambine quando
mangiano latte e biscotti!”
“E’ sempre la stessa signora? Sei sicura?” continuò lui
sogghignando, senza badare alla sua replica
“Si, sempre la stessa
signorina.”
“Perché dici signorina? Di solito la chiami signora.”
“Stavolta mi ho avvicinata perché la vedevo bene e non avevo
paura. E in faccia è giovane”
“Giovane come me e Godric?” domandò curioso ed interessato
“Si, si” rispose annuendo con il capo
“E qual è il suo nome?”
“Mi ha detto che si chiama Saphira e io gli ho detto che il
suo nome era bello. Non so se mi avesse capito però… ma mi ha sorriso.”
“E poi?”
“E poi basta … perché il sogno fu finito” rispose lei finendo
di bere il latte
“A proposito di fu finito e altre delizie del genere… Sai cosa ci aspetta questa mattina, mia
bellissima bambina?”
“Oggi è giovedì … la mia materia preferita!” esclamò lei
tutta allegra
“Oh no, no, no! Non stamattina, storia è rimandata al
pomeriggio. Stamattina facciamo grammatica francese!” esclamò con un sorrisetto
sadico in volto
https://www.youtube.com/watch?v=VvsMzU0HnFY
Esattamente tre giorni dopo, Godric tornò a casa per la gioia
della piccola Sara. La sera stessa mentre Sara lavava i denti e metteva il
pigiama Godric ed Eric iniziarono a discutere.
“Sono arrivato fino alle remote lande scozzesi per riuscire a
seguire tracce valide ed è lì che ho avuto la conferma. L’idea mi è venuta
quando Sara ha sentito quella strana musica al parco, ricordi?”
“Il mese scorso, certo. Ma era musica di strada, cosa
c’entra?” domandò Eric non riuscendo a trovare l’immediato collegamento
“Ricordi cosa fece non appena sentì quella musica?”
“Si è messa a danzare…”
“Esatto” annuì Godric “La melodia successiva era molto
diversa e lei smise immediatamente. Disse una cosa particolare dopo … disse che
si sentiva triste ma allegra insieme, che quella musica le piaceva tanto perché
era allegra ma subito dopo si è sentita triste. Ed io le risposi che l’emozione
che sentiva si chiamava malinconia”
Eric si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e
indietro quasi inseguendo un pensiero fuggiasco “La malinconia è un’emozione
quasi inconsapevole, consiste nel profondo desiderio di un qualcosa, una cosa o
una persona mai conosciuta oppure un sentimento mai provato, ma di cui si sente
forte la mancanza… la danza!” esclamò all’improvviso voltandosi verso il suo
creatore che rispose annuendo soddisfatto
“Ti raccontai tutto quello che Sarah mi raccontò prima di
morire e di affidarci la piccola perciò mi resi conto di dover scavare più a
fondo. Ed è seguendo questo ragionamento e formulandone di nuovi che sono
giunto alla conclusione che non possa trattarsi che di un esemplare di Fairy.”
“Cosa sappiamo delle fate che si discosti dalle favole?”
domandò Eric sedendosi nuovamente
“Le fate, come ben sai sono creature leggendarie ormai
diffuse in tutto il mondo ma ho trovato figure mitologiche affini nei racconti
medievali dell’Europa dell’est. Secondo le radicate credenze dei paesi
dell’Europa meridionale, forse influenzati dalla religione e dai suoi credi, la
fata non ha nulla di umano e solo in rari casi presenta caratteristiche
umanoidi. Tu ben sai che gli esseri umani sono considerati una forma di vita molto
recente rispetto ad altre creature e agli animali stessi, quindi che ha ancora
molto da imparare. La maggior parte di queste leggende accosta la natura di
queste creature a quelle dell’uomo come sua guida e fra queste vi sono proprio le fate. Vi sono moltissimi miti
sull’origine di queste creature, esattamente come ce ne sono centinaia per la
nostra. Alcuni racconti parlano di un piccolo popolo, quello delle fate che
hanno avuto contatti con la razza umana mentre altri racconti si riferiscono a
questi esseri chiamandoli con il nome di fairies e per queste il contatto con
gli umani è proibito”
“Proibito!” esclamò Eric sollevandosi di nuovo in piedi “Ecco perché suo padre è stato ucciso. E’
stato punito per essersi mostrato!”
“Già, ritengo che sia successo proprio questo” mormorò Godric
annuendo “Durante le mie ricerche, ho notato nonostante le diverse teorie, i
differenti miti o credi alcune caratteristiche ricorrenti. La durata di vita di
queste creature è incredibilmente lunga, sono dotate di doti particolari legate
alla creatività, come l’arte o la danza, o doti intellettive superiori. Gli
umani le accostano quasi alle muse perché sembra suscitino ispirazione ed
intenzioni a forme di cultura molto alte. La indole di queste creature è buona
ma questo, naturalmente, non vale per tutti gli esemplari della specie.
Caratterialmente, invece, sembrano essere piuttosto vanitose, un poco
egocentriche e permalose.”
“Ma questa è Sara!” esclamò Eric alzandosi in piedi
nuovamente “Lei è vanitosa e permalosa e
adora che il mondo le giri intorno! Lei è buona e allegra”
“E incredibilmente sveglia e intelligente” gli fece eco
Godric “E dotata di doni e poteri inimmaginabili!”
La loro discussione venne interrotta dall’arrivo di un
piccolo ciclone in pigiama rosa
“Come sto?” domandò la piccola Sara facendo mezze giravolte
in modo da farsi ammirare da ogni angolo “Adesso sono una bambina molto più
bellissima!” esclamò ridacchiando allegramente
“Tu sei bella sempre, Sara” le sussurrò Godric all’orecchio
mentre lei lo abbracciava ridacchiando allegra
“Sara, ti va di raccontare anche a Godric della signora del
sogno?” domandò Eric andando a spegnere le luci e accendendo un paio di candele
profumate. Lentamente, si avvicinò al grande impianto stereo e premette il
pulsante di avvio.
Una dolce musica di sottofondo riempì subito la stanza,
rilassando tutti e tre all’istante.
Avevano scoperto il potere delle musica new age per riuscire
a far dormire Sara, nei primi mesi. Si accorsero subito che la musica era il
suo tallone d’Achille. Questo genere, infatti, la metteva sempre KO e la
rilassava arrivando quasi ad influenzare la sua coscienza rendendola più
mansueta e malleabile.
Sara difatti si rilassò subito e si accoccolò meglio tra le
braccia di Godric.
“Da qualche giorno sogno sempre una signora … ma prima non la
vedessi bene perché era un po’ confuso ed io ho paura e non mi avvicinavo. Ma
oggi l’ho vista bene ed è una signorina”
“Vuoi dire che è giovane?”
“Si, si. Ed è anche bella ed ha un bel nome. Non capisco
quando lei parla ma oggi si e io lo trovo molto bello il suo nome. Però è più
bello il mio perché io ne ho tanti” aggiunse Sara, ormai quasi addormentata
“E come si chiama questa signorina, Sara?”
“Saphira, papi” rispose lei, in un sussurro, prima di
addormentarsi completamente
Godric alzò di scatto gli occhi verso Eric che lo guardava ed
annuiva sorridendo.
“Saphira?” sussurrò incredulo Godric “Era il nome di sua madre”
“Così sembra, padre” rispose Eric prendendo Sara dalle sue
braccia e stringendola tra le proprie
“La porto di sopra”
E come ogni giorno, dopo averle rimboccato le coperte le diede il bacio della
buonanotte.
“Sogni d’oro, pulce”
|
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Capitolo 5 *** Una vita per una vita ***
4° Capitolo
4° Capitolo – Una vita per una vita
https://www.youtube.com/watch?v=iMyo8I8AKmY
La sofferenza di quella donna le arrivò al cervello veloce ed
improvvisa come un fulmine. Non se lo aspettava e inizialmente non seppe cosa
fare, come reagire.
E forse furono la sua essenza e il suo potere ad agire per
lei.
Sapeva solo di dover trovare la fonte di quel malessere e
mettervi fine perché non poteva accettare che quella signora fosse scossa da un
dolore così straziante.
In fretta si fiondò giù per le scale e arrivò davanti alla
porta. Sapeva bene che sarebbe stata chiusa, così si sollevò sulle punte e si
attaccò al solido e grosso pomello tentando di farlo scattare; se ci fosse
riuscita la porta si sarebbe aperta.
Eravamo in salotto, Godric ed io, a discutere quando quel
piccolo vulcano irruppe nella stanza cominciando a ciarlare velocemente.
Ricordo ancora le esatte parole…
“Dobbiamo
raggiungerla perché sta male” cominciò a spiegare lei “E’ qui vicino … la sento bene” continuò per poi
ingarbugliandosi con le parole, come al solito
“Dovrebbero aiutarla perché penso che stia piangendo per qualcuno di
piccolo!”
“Non si è capito
un accidenti, Sara” la interruppi scocciato
“Spiegati meglio!”
“E’ molto triste
papi … ti prego, aiutiamola” replicò lei rivolta verso Godric, che le stava di
fronte, senza considerare minimamente le mie parole o la mia presenza
Godric continuava
a fissarla insistentemente senza parlare poi, dopo un breve assenso del capo,
le porse la mano
“Dove si trova?”
Sorrise raggiante e gli buttò le braccia la collo. Lui la
prese in braccio e seguendo le sue dettagliate istruzioni raggiungemmo un
piccolo cimitero, sul limitare della città. Da sempre ed ogni volta che
cambiavamo città, sceglievamo un’abitazione ai margini del paesino, in modo da
non dare nell’occhio.
Sara si fece rimettere a terra e seguendo le onde celebrali della
donna, la raggiunse. Quella se ne stava inginocchiata, con in mano una piccola
rosa bianca, di fronte ad una lapide collocata da poco; la terra era scossa e ancora
soffice quindi il trapasso era recente.
“Odore di sangue”
sussurrai annusando l’aria e, prendendo per mano Sara, l’avvicinai a me “Restami vicino” le sussurrai all’orecchio
“Ho paura” mi
rispose con lo stesso tono basso mentre mi si stringeva più addosso “E’ tutto buio”
“Sara” richiamò
la sua attenzione Godric “E’ lei?”
domandò volgendo lo sguardo attento verso la donna inginocchiata che ancora non
aveva scorto la loro presenza
“Si. Vedo un
bimbo piccolo” riferì lei sottovoce
Quelle immagini avrebbero continuato a vorticare per il
cervello di Sara per molto tempo. Quella donna non faceva altro che rimanere aggrappata
a ricordi ed immagini ben precise. E Sara, quasi fosse una radio sintonizzata
sulla mente di quella donna, vedeva e sentiva ogni cosa. Volle avvicinarsi a
lei così fui costretto a seguirla.
“Stai bene, signora?” le domandò abbassandosi e avvicinandosi
a lei
Vidi la doona sorriderle ed annuire in risposta poi la sua
mano si sollevò e si avvicinò alla soffice guancia della mia Sara.
“Non toccarla” ringhiai bloccandole con forza il suo braccio
La donna sgranò gli occhi, che presto andarono a riempirsi di
lacrime, ma annuì.
Sara allungò incautamente
una manina verso le vesti della donna e si accorse che perdeva sangue. Si era
sparata allo stomaco ed ora non faceva altro che aspettar di morire.
“Ti sei fatta
male?” domandò ancora toccandole, questa volta, le mani piene di graffi “Perché
ti esce sangue?”
Gloria entrò nella nostra vita da quella sera. Naturalmente
non come umana, era davvero troppo tardi per riuscire a fare qualcosa per lei.
Fu salvata da Godric perché fu la
prima umana che riuscì a toccare Sara senza farle male.
Fu la prima e rimase l’unica per molto tempo forse proprio perché
stava ormai morendo…
Il fenomeno, legato al contatto tra Sara ed un umano, quindi
la sofferenza e ustione della pelle, era qualcosa che mi aveva sempre
affascinato. Né io né Godric riuscimmo mai a capire cosa lo provocasse anche
perché la madre biologica di Sara, nonostante le sue origini e le sue conoscenze occulte, era sempre stata
umana.
Con il progredire dell’evoluzione di Sara, però, quel
particolare fenomeno diminuì e scomparve del tutto intorno al suo diciannovesimo
anno di età. Questo però lo seppi solo molto tempo dopo perchè fu lei stessa a
riferircelo.
Dall’età di dieci anni, la crescita di Sara si velocizzò.
Sino a quel momento ogni circa nove o dieci anni Sara ne
compiva uno mentre ora ne passavano appena quattro o cinque. Il legame tra lei
e Gloria era maturato di giorno in giorno; l’una felice per l’arrivo di una
figura femminile che potesse fungerle da mamma mentre l’altra, prima la
malattia poi la prematura morte del figlio l’avevano spinta sull’orlo della
depressione e poi del suicidio, quindi fare la mamma era un sogno che si
realizzava.
E forse fu proprio questo che spinse me e Godric ad
allontanarci.
Affidammo Sara, ormai quattordicenne, a Gloria mentre io e
Godric iniziammo a viaggiare. Allontanarci da lei, dalla nostra bambina, era
stato penoso e non vederla per più di vent’anni fu molto duro.
Gloria decise di non lasciare mai la Francia ma cambiavano
molto spesso cittadina, spostandosi per tutto il paese. Ci teneva costantemente
informati su tutto: sui loro spostamenti, sulla vita e i cambiamenti che
avvenivano in Sara, sui suoi doni. Per quanto mi riguarda domandavo più di lei
e del suo quotidiano che dei suoi poteri.
Passavamo molte ore al telefono, io e Sara. Le chiedevo
spesso di raccontarmi le sue giornate, di come andasse con la lingua francese,
della sua golosa ossessione per le fragole. Lei, invece, mi faceva un mucchio
di domande sui miei viaggi, sulle città che visitavo o in cui sostavo.
Era sempre stata curiosa.
I poteri di Sara crescevano e spesso lei ne era spaventata;
da questo punto di vista Gloria l’aiutava moltissimo. Conosceva la sua natura
ed esattamente come me e Godric, sapeva di cosa fosse capace. Quindi a fasi
alterne la consolava o la incitava, la vezzeggiava e l’adulava, l’amava e la
coccolava … nel modo giusto e al momento giusto. Proprio come avrebbe fatto una
madre. La istruiva ed le insegnava a sfruttare al meglio e correttamente le sue
doti facendola diventare, come spesso mi diceva al telefono, ogni giorno più
speciale.
POV Sara
I sogni diventarono sempre più frequenti ma impiegai lo
stesso molto tempo prima di riuscire a capire cosa quella donna dicesse o cosa
volesse comunicarmi. Mi disse di chiamarsi Saphira e di essere mia madre.
Quella rivelazione ebbe il potere di colpirmi profondamente e fu per questo che
non lo raccontai subito a Gloria.
So, con assoluta certezza, che mi avrebbe aiutato e sostenuto
al meglio, lasciandomi libera di pensare e agire come meglio credevo eppure
volli tenerlo, almeno all’inizio, per me sola.
Con il tempo, e l’aiuto di un buon dizionario, compresi quale
fosse la lingua che parlava mia madre: la lingua romena. Una lingua romanza
balcanica di difficile comprensione, appartenente al gruppo indoeuropeo, adottata
in Romania, Moldavia, Serbia, Bulgaria, Russia, Ucraina e Ungheria.
Saphira, nei miei sogni, appariva sempre come una bellissima
e giovane donna con incredibili occhi azzurro cielo, anche se di una tonalità più
chiara dei miei. Mi raccontò molto di lei e della sua famiglia, dei miei nonni
quindi. Mi raccontò di come e quando aveva conosciuto mio padre e di come se
n’era innamorata.
Nei miei sogni, eravamo sempre circondate da un
lussureggiante e rigoglioso giardino floreale. L’erba verde mi accarezzava i
piedi e solleticava le mie caviglie mentre il delicato profumo dei fiori lambiva
dolcemente il mio olfatto.
I nostri incontri mi erano così graditi che ben presto mi
abituai ad incontrarla nei miei sogni. Mi sentivo speciale e fortunata come
poche perché pur non avendola conosciuta in vita avevo la possibilità di viverla. Ogni volta, mi raccontava
aneddoti e storie diverse; mi intratteneva parlandomi della mia natura, di cosa
ero e di quali doni avevo e avrei sviluppato, in futuro. Ed io mi sentivo bene,
sentivo finalmente di appartenere a qualcuno, di far parte di qualcosa di reale
e tangibile.
Dopo qualche mese, però, gli incontri si fecero più diradati
ed in uno degli ultimi conobbi anche mio padre. Era di una bellezza davvero
sfolgorante ed io gli assomigliavo davvero moltissimo. Il colore dei miei
amatissimi capelli era uguale al suo, di un biondo luminoso, così come il
colore degli occhi ed alcuni tratti del viso. Gli assomigliavo in maniera
incredibile.
Mi confidarono che il mio primo nome era Sookie e che si
trattava di un nome molto diffuso e di una certa importanza tra le fate.
Nell’ultimo incontro, parlammo davvero molto ed io raccontai loro tutto di me,
di dove vivevo o di come trascorrevo le mie giornate. I loro sguardi e il tono
della loro voce mi trasmisero sensazioni così dolci e amorevoli da farmi lacrimare
il cuore.
Sentivo che quello sarebbe stato il nostro ultimo randez-vous.
Mi dissero di non amare molto la razza dei vampiri tuttavia
si dimostrarono soddisfatti quando raccontai di Godric, Eric e Gloria e di cosa
e quanto loro avessero fatto per me. Gli spiegai di come, questi tre vampiri,
mi avessero protetta ed accudita per tutti questi anni, di quanti sacrifici e
pericoli avessero corso a causa mia. Io provavo dell’affetto incondizionato per
loro e questo anche se ne conoscevo la natura cruenta e sanguinaria. A questo
proposito mio padre mi pregò di stare attenta e di prestare molta attenzione,
di non fidarmi troppo delle creature di quella specie perché, mi spiegò, si trattava di esseri oscure molto pericolosi per
gli esseri fatati. La causa era imputabile all’aroma del sangue di quest’ultimi
che sembrava essere irresistibile per i vampiri. Molte fate, infatti, erano
state “succhiate a morte” dai vampiri.
Mi salutarono, baciandomi dolcemente la guancia e quella fu
l’ultima volta che li vidi.
Raccontai tutto, a Gloria, ma solo molto tempo dopo.
Lei, con il tempo, era diventata una figura essenziale; per
la mia crescita, per il mio sviluppo intellettivo ed emotivo. Grazie a lei
conobbi la compassione, la generosità e l’altruismo; concetti che fino ad
allora, con Godric ed Eric, non avevo compreso appieno. Riuscì a capire e a percepire al meglio emozioni quali il
dolore della perdita, la paura, l’ansia o il panico. Riuscì a scindere concetti
quali sentimenti, emozioni e passioni differenziandoli all’interno delle menti
degli esseri umani, con il quale entravo in contatto.
La telepatia, capacità di cui ero dotata, si era dimostrata
in molti casi un dono prezioso. Più volte ero riuscita ad agevolare la mia famiglia e persino me stessa,
grazie ad essa. Ma non era affatto facile da gestire. Questa mia intrusione mentale
mi provocava spesso fastidiosi mal di testa ed interferiva, pesantemente, nella
rete sociale di conoscenze ed amicizie. Eppure, con l’aiuto di Gloria ero
riuscita, con il tempo, a creare degli scudi mentali che mi impedissero di star
male o di risultare strana o sgradita
agli altri.
La normalità era un lusso per me. La desideravo con intensità
pari al desiderio d’acqua di un assetato nel deserto.
Forse fu proprio a causa di tutte queste precauzioni che non
riuscì a decifrare interamente i pensieri mentali di Luis, un umano innamorato
di Gloria e di cui lei si innamorò a sua volta.
Fu a causa sua, a causa di Luis, che Gloria morì. Si svolse
tutto così velocemente ai miei occhi che non riuscì a comprendere subito cosa
fosse accaduto. Quando lo vidi ferire a morte, Gloria, e poi scappare … beh,
solo allora compresi.
Le immagini di quella notte sono ancora confuse e deboli
eppure…
Era notte e
stavamo percorrendo, a ritroso, la strada che sempre imboccavamo quando
uscivamo. Non percepì emozioni o sensazioni particolari, ero tranquilla e
rilassata ed un momento dopo gridavo cercando aiuto, preda di forti singhiozzi.
Subito dopo l’attacco, quella notte, non riuscì a fare altro se non ascoltare
attentamente ed ubbidire ciecamente alle istruzioni che Gloria, con voce pacata
ma affaticata, mi dettava.
Non la lasciai
andare e quando si accasciò a terra la seguì, reggendole il capo sulle gambe.
Ero immobilizzata dalla paura e dallo sgomento perché prima di allora non avevo
mai conosciuto la paura della perdita e il dolore dell’abbandono. Nessuno mi
aveva preparata a questo ed io mi sentivo andare in pezzi. Nessun collante mi
teneva unita mentre, immersa in una pozza di sangue, suo e del suo Luis, Gloria
mi prese la mano iniziando a parlare
“Sookie, devi
trovare Godric” le parole venivano fuori a fatica “Parti subito, non indugiare”
“Oh, Gloria …
come faccio… non posso lasciarti qui …” sussurrai in risposta con gli occhi
pieni di lacrime
“Devi tesoro. Non
… non c’è altra soluzione” cominciò a sputare sangue dalla bocca ed io mugolai
come se la ferita fossi io
“Trova Godric.
Con lui sarai al sicuro. Vai … ora”
“Sei ferita … non
voglio lasciarti…” singhiozzai ancora, abbassandomi ad abbracciarla stretta
Lei ricambiò
l’abbraccio baciandomi con dolcezza materna una guancia
“Ora fai come ti
ho detto, Sookie. Devi andare via di qui perché … è pericoloso. Trova Godric e
raccontagli tutto questo. Lui saprà cosa fare.”
Scossi la testa,
continuando a piangere a dirotto. Avevo il cuore spezzato e non riuscivo a fare
altro se non rimanere immobile ed aspettare che parlasse di nuovo
“Morirai… se non
ti aiuto morirai… io non voglio Gloria… ti prego non morire”
“Ti voglio tanto
bene, bambina mia. Ti ho amato moltissimo e sono così orgogliosa di te e di
quello che sei. Non aver paura … ti ho insegnato ad essere forte!”
Annuì tirando su
con il naso e scacciando le lacrime con le mani sporche del suo sangue
“Ora vai. Non c’è
più tempo. Parti subito … corri”
E così feci. Mi
alzai, le diedi un’ultima carezza e cominciai a correre. Mi voltai un’unica
volta indietro e, da lontano, la vidi guardarmi un’ultima volta. Poi il sangue
la soffocò del tutto … e per sempre.
Con la morte nel
cuore e il dolore negli occhi, mi fiondai a casa. Una doccia veloce, un
bagaglio leggero, soldi, telefono e scappai da quella casa per sempre.
Purtroppo non riuscì a rintracciare Godric ma fu capace di scovare
Eric. Presi tutto e mi affrettai all’aeroporto.
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Capitolo 6 *** E nel frattempo Eric... ***
Capitolo 5°
5° Capitolo – e nel frattempo Eric…
Io, seguendo il consiglio di Godric, avevo creato il mio
primo vampiro andando così a dare vita alla mia progenie.
Si trattava di un passo molto importante nella vita di un
vampiro perché si entrava di diritto nella fase successiva della propria eterna
esistenza. Non si era più solo un vampiro con quel passo si diventava creatore,
quindi padre. Diventavi responsabile di un altro essere, che necessitava di
essere guidato ed introdotto in una nuova dimensione, in una nuova vita. Eri
suo padre ma anche il suo insegnante. Importante era l’usare il bastone e la
carota con cognizione di causa in modo da garantirti una discendenza adeguata.
Per quanto mi riguarda,
essere creatore è una sensazione dolceamara. Un qualcosa di nuovo ma non sempre
positivo. Avevo scelto Pam, una donna, e l’avevo plasmata a mia immagine e
somiglianza.
Pam aveva l'aspetto di un'eterna venticinquenne, perché fu a
quell’età che la incontrai e la trasformai. La sua carnagione è chiara e il
viso tondo; il colore dei suoi occhi blu scuro, i suoi capelli biondi.
Quando
la vidi, la prima volta, rimasi immobile, fisso, a guardarla e ci misi parecchi
minuti prima di avvicinarla.
La somiglianza tra Pam
e la mia Sara era molto forte e forse fu proprio questo a spingermi a
trasformarla.
Pam è davvero eccezionale e la mia scelta si è rivelata molto
più che corretta. Prova un profondo affetto per me ed io per lei, naturalmente.
E’ una persona a cui posso parlare di tutto e su cui posso sempre fare affidamento.
E’ leale, sincera e molto perspicace. Sul lavoro è imbattibile, professionale e
competente in ogni situazione … anche la più spinosa. E’ una brava figlia.
Mi piacerebbe molto
farle conoscere la mia Sara …
Mentre Godric viaggiava, seguendo sempre nuovi elementi utili
alla sua ricerca, io mi ero stabilito in Louisiana e avevo aperto un bar a
Shreveport, il Fangtasia. Lo gestivo
con Pam e gli affari andavano a gonfie vele. L’abbigliamento che io, Pam e il
resto del personale indossiamo a lavoro, è un raffinato e molto costoso gothic style.
Il resto del tempo, quando non lavoro, lo trascorro leggendo,
a casa mia. Solo a Pam ho confidato il luogo del mio rifugio diurno in quanto certo
della sua fiducia. Essere a conoscenza del luogo di rifugio diurno di un
vampiro è qualcosa di davvero prezioso, se poi questo vampiro era anche molto
vecchio, potente, ricco e politicamente impegnato era davvero un affare d’oro!
La sera in cui rividi Sara la ricordo bene anche se alcuni
momenti sembrano nascosti da un fitto manto nebbioso.
Avevo appena finito di cenare
e mi stavo accingendo a proseguire la mia unica serata libera in compagnia di
un buon libro quando sentì bussare alla porta.
Era Pam, sul suo volto lessi
curiosità mista ad apprensione perciò mi dimostrai subito curioso ed
interessato. Di certo non preoccupato, con lei non ve n’era bisogno. Andai ad
aprirle e con un gesto l’invitai ad entrare. Lei diede una veloce occhiata in
giro per poi seguirmi in salotto dove ci accomodammo sul mio nuovissimo divano
in pelle nera.
“Cosa c’è Pam?”
“Beh, ecco … nel pomeriggio
una ragazza ha chiesto di te. E’ venuta al locale, io naturalmente non c’ero,
quindi ha parlato con Ivetta. E’ stata lei a riferirmelo”
“E la cosa dovrebbe
interessarmi perché…”
“E’ tornata circa un’ora fa.
Le ho parlato personalmente e non so … mi è sembrata piuttosto scossa e strana.
Mi sono mantenuta sul vago ma boh … mi è rimasta impressa e sono venuta a
parlartene”
Mossi la mano come a voler
scacciar via una mosca “Mhm… sarà la solita fanatica esaltata … non te ne
preoccupare”
“Non è umana, Eric e non sono
riuscita a capire la sua natura”
“Che significa? E’ un mannaro?
Un mutaforma?” domandai più interessato
“No, no” scosse la testa
“Nulla di tutto questo. Te l’ho detto, non sono riuscita a coglierne la natura
però il suo sangue ha un profumo davvero delizioso!”
“L’hai assaggiata?” le
domandai con un ghigno in volto
Sapevo delle tendenze
bisessuali, o forse sarebbe meglio dire delle preferenze lesbiche, della mia
progenie e nonostante avessimo numerosi trascorsi carnali, insieme, mi
divertiva saperla alle prese con nuove esperienze romantiche. Esattamente come mio
padre aveva fatto con me, avevo permesso a Pam libero divertimento su ogni
fronte.
Durante tutta la mia esistenza
assieme a Godric avevo concretizzato ogni tipo di desiderio e perversione mi stuzzicasse
la mente e con Pam mi ero dimostrato, su questo fronte, un creatore altrettanto
permissivo.
Fin dall’inizio le avevo
imposto una piccola scala gerarchica di priorità. Al vertice la nostra
segretezza e sopravvivenza, di seguito, i nostri affari e poi scendendo sempre
più in basso avevamo la realizzazione di istinti, voglie e desideri.
“No, non l’ho assaggiata.
Anche se un pensierino ce l’ho fatto” replicò con un sorrisino impertinente “Basterebbe il suo aspetto a far perdere la
testa a chiunque”
“Io non ho nulla in contrario”
ero sempre più divertito
“Non credo sia interessata a
me” storse il naso contrariata “Vuole
te!”
Scoppiai a ridere di cuore, mi
alzai e andai verso il tavolino dei liquori.
“E come si chiama questo
splendore?”
“Sookie … anche se dice che tu
la conosci come Sara”
Frammentai il bicchiere che
avevo tra le mani in un miliardo di pezzi senza nemmeno rendermene conto. Mi
voltai sconvolto e mi fiondai su Pam
“Dimmi subito dove si trova!”
Un attimo dopo il mio
cellulare prese a suonare ed io mi fiondai su di lui. Era Godric, mi avvisava
che Gloria era morta. Come suo creatore aveva percepito che non c’era più.
Ascoltai nella quasi totale
apatia le sue parole di dolore e solo quando riuscì a formulare un pensiero
coerente aprì la bocca.
“Sara è qui” solo questo
riuscì a dire
“Partirò il prima possibile”
sentì replicare da Godric “Deve esser
accaduto qualcosa. Tienila al sicuro, figlio mio.”
La comunicazione si interruppe
e l’angoscia più nera mi soffocò. Dovevo trovarla.
Avrei
potuto rivederla, riaverla con me...
Con Pam alle calcagna mi
fiondai fuori di casa e, seguendo le indicazioni che Sara le aveva lasciato, mi
recai all’ indirizzo. Si trattava di un minuscolo appartamento composto di due
soli locali. Il quartiere era deserto, sporco e poco illuminato. Non di certo
una zona sicura e benestante.
Bussai alla porta, con forza,
ed attesi.
Vedere di nuovo il suo viso,
rispecchiarmi in quello sguardo cristallino provocò in me sensazioni
contrastanti. Ansia ma anche contentezza, curiosità ed interesse, sospetto e
apprensione, tenerezza ed un infinito senso di tenerezza e protezione.
Scostò lievemente la tendina
della finestra, collocata vicino alla porta, e diede un’occhiata veloce. Mezzo
secondo dopo me la ritrovai fra le braccia, piccola e fragile come la ricordavo.
La sua morbidezza, il suo profumo naturale, i suoi caratteristici colori …
tutto in lei era come sempre.
Come
mi era mancata…
“Oh Eric … sono così triste …
Gloria è … è … credo sia morta” biascicò prima di scoppiare a piangere
Sorrisi del suo, ancora buffo,
modo di parlare. La presi in braccio senza sforzo alcuno e me la strinsi al
petto, entrando in casa seguito da Pam. Mi guardai attorno notando subito
l’unica piccola, e alquanto sporca, poltrona; mi ci sedetti con lei tra le
braccia e mentre le accarezzavo i capelli lunghi e biondi lei lasciava sfogare
il suo dolore piangendo.
Sentivo lo sguardo fisso di
Pam su di me e solo quando alzai gli occhi, vidi che i suoi erano sgranati e
concentrati su quel fagotto che stringevo tra le braccia.
“Eric … puoi spiegarmi, per
favore” mi pregò Pam con voce incerta
Annuì preparandomi a
raccontarle di Sara, continuando però a stringere con dolce fermezza il corpo
di mia sorella al mio.
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Capitolo 7 *** Effusioni ***
6° Capitolo
6° Capitolo – Effusioni
Mi inumidì le labbra e alzando il volto verso Pam, iniziai.
Le raccontai tutto di Sara, certo molto brevemente, ma non tralasciai nulla:
menzionai del suo arrivo, dell’ebrea che l’aveva cresciuta subito dopo la morte
di sua madre, della sua infanzia con noi, dei suoi poteri, della sua natura ed
infine arrivai a Gloria.
Per tutto quel tempo, Sara era rimasta in silenzio a
singhiozzare pacatamente ancora abbarbicata a me. Ma quando arrivai a parlare
di Gloria, la sentì stringersi maggiormente al mio petto e tentare, inutilmente,
di soffocare una crisi di pianto.
Pam rimase in piedi, di fronte a noi, in completo ed assoluto
silenzio sino alla fine
“Riesci a percepire anche i nostri pensieri?” le domandò
La sentì mugugnare qualcosa, in risposta, per poi muoversi e
rivolgere la sua attenzione a Pam
“No, le vostre menti no” rispose asciugandosi gli occhi e
facendo un respiro profondo
Penso volesse sembrare forte di fronte a Pam. In effetti,
indossava ancora i vestiti di scena,
quelli con cui lavorava e che non amava particolarmente preferendo decisamente
abiti dai toni pastello, quindi ammisi anche a me stesso che faceva un certo
effetto vestita così. Sorrisi di quel minuscolo sfoggio di determinazione e,
spinto forse dall’abitudine o forse dalla sola voglia di farlo, le lasciai un
bacio dolce sui capelli passandole un braccio attorno alla vita e stringendola
maggiormente a me.
Pam sgranò gli occhi ma evitò di commentare. Prendendo in
mano la questione e rivolgendomi direttamente a Sara dichiarai “Prendi le tue cose. Ce ne andiamo”
“Ho solo quella borsa” rispose indicando un piccolo borsone
gettato in un angolo di quel tugurio
“Sono così felice di averti trovato perché non sono riuscita a
rintracciare Godric e… e non sapevo cosa fare … e ho pochi soldi perché Gloria
mi ha detto di scappare subito … ed io non so dove li teneva … non sapevo dove
andare perché qua non conosco nessuno”
“Non preoccuparti di questo” dissi scostandole qualche ciocca
di capelli dal viso “Starai con me”
“Davvero?”
Annuì con un sorriso “Non vuoi?”
“Oh, si. Certo che voglio!” replicò ancora per poi sorridere
in quel suo modo tanto speciale.
Ignorando la presenza di Pam e avvicinando i nostri volti
aggiunse “Mi sei mancato tanto Eric” e alzando con lentezza esasperante una
mano mi accarezzò il viso, la fronte, gli zigomi e le guance, la mascella e il
collo “Sei sempre bellissimo come sempre … peccato”
“Non sei cambiato per niente…” sussurrò poi con un sorriso
impertinente
“Tu si invece” replicai
“Sei molto cambiata”
La vidi sorridere raggiante
“E sono ancora bellissima?” domandò presuntuosa
“Molto di più” le sussurrai, baciandole la punta del naso
“Ok, basta con tutte queste smancerie” ci interruppe Pam sbuffando
scocciata “Eric, io torno al locale”
Annuì senza smettere di fissare Sara e solo quando sentì la
porta sbattere mi decisi ad alzarmi e portarla a casa con me.
“Ecco, puoi sistemare le tue cose in questa stanza” annunciai
aprendo la porta dell’unica camera da letto
La stanza era pulita ed accogliente. Il letto era grande e
sistemato al centro della stanza, con la testata a ridosso del muro. Pesanti
tendaggi color vinaccia oscuravano le finestre, sbarrate comunque da imposte in
ferro e persiane blindate.
“Tu dove dormi?” domandò entrando dopo di me
“Di sotto” risposi con tono neutro “Buonanotte, Sara”
“Notte” aveva già chiuso gli occhi e sistemata sotto le
coperte
Nemmeno venti minuti dopo me la ritrovai in camera mia. Bussò
ed entrò dato che avevo lasciato accostata la porta. Si guardò attorno per
molto tempo prima di parlare.
Dormivo in una piccola stanza, in pietra, residuo delle
rovine di un vecchio maniero. Avevo fatto ristrutturare l’intero edificio ed
ero riuscito a ricavare un piccolo vano, sotto terra. Era poco illuminato ma a
me andava benissimo. Nessuna finestra solo una porta d’acciaio rinforzata a
sigillare la stanza. Non avevo mobili, specchi o altro, solo dei piccoli
faretti di luce collocati direttamente sopra il letto. Quest’ultimo era
riccamente decorato, quasi sontuoso a differenza della stanza; la struttura era
in legno e ferro di colore nero, le lenzuola bianche con coltri e cuscini color
vinaccia.
“Mi piace questo posto” esordì avvicinandosi
“Anche a me”
“Ho visto il tuo locale e pensavo che la tua stanza avesse il
medesimo stile” continuò lei
“Lo stile dark del Fangtasia lo ha deciso Pam … e sembra che
funzioni. Per quanto mi riguarda preferisco riposare un tutt’altro ambiente”
“Mhm… si, in effetti non mi piace molto … con tutto quel
nero, quei lacci, cinghie e borchie ovunque … non credo faccia per me”
“Sono d’accordo” replicai sollevandomi a sedere ed
appoggiando la schiena alla morbida imbottitura che ricopriva la struttura del
letto
“Cosa ci fai qui?” domandai curioso
“Ti spiace se dormo con te?”
“C’è qualcosa che non va nel tuo letto?”
La vidi scuotere la testa e abbassare lo sguardo “No, no
affatto. E’ solo che … ecco preferirei non rimanere da sola … a dormire … e mi
chiedevo se potessi farlo assieme a te … sai io, alcune volte … ecco quando
avevo degli incubi dormivo con Gloria … e stasera vorrei ch…”
“Russi?” domandai fermando quel flusso inarrestabile e
complicato di parole
Lei alzò la testa e mi guardò forse pensandoci davvero “No, non credo”
“Molto bene, allora. Accomodati pure”
Mi regalò un altro di quei suoi sorrisoni e con una breve
corsetta mi raggiunse. Il letto era molto grande tuttavia lei si accucciò
vicino a me, proprio come quando era bambina.
“Non so se riuscirò a dormire però” sussurrò raccogliendosi
su se stessa
Tornai a sdraiarmi e mi poggiai su un fianco, una mano a
reggere la testa ed una a sfiorarle il volto
“Pensi a Gloria?”
Lei assentì col capo avvicinandosi ancora “Mi sento così
triste … e colpevole … e mi vergogno”
“Perché?”
“L’ho lasciata lì … per strada … da sola” scosse ancora il
capo “Sarei dovuta rimanere con lei … n-non
avrei dovuto lasciarla sola”
“Hai fatto bene, invece”
“Non si abbandonano così quelli a cui vuoi bene ed io volevo
molto bene a Gloria. Ho avuto paura … e sono stata una vigliacca!” replicò lei
alzandosi a sedere, in mezzo al letto, e prendendosi il viso tra le mani
“No, non lo sei. Sara, hai fatto quello che andava fatto. Scommetto
che anche Gloria te lo avrebbe detto”
“Che ne sai di quello che ha detto?” sibilò tra i denti
Era arrabbiata e forse aveva solo voglia di sfogare questo
suo dolore
Sorrisi e avvicinando il mio viso al suo, le soffiai “Perché ti voleva bene… e perché è quello che
avrei fatto io”
“Perché?” domandò con tono stanco ma poi con un ghigno
triste, che non le avevo mai visto, aggiunse
“Ah, giusto … perché sono speciale!”
“Lo sei, Sara!”
“Smettila di chiamarmi Sara … il mio nome è Sookie”
Quella nuova rivelazione mi lasciò perplesso e lei se ne
accorse dato che poco dopo aggiunse, solo a mio beneficio “Me lo ha detto mia
madre, Saphira. Il mio nome è Sookie… e sembra essere un nome piuttosto
importante tra le fate”
Il tono della sua voce era basso, sussurrava quasi, il suo
viso triste e gli occhi inondati nuovamente di lacrime
“Non mi importa del nome che ti hanno dato i tuoi. Per me sei
e rimani Sara … la mia Sara” le soffiai sulle labbra chinandomi a baciarle una
guancia
“Perché non posso essere normale come tutti gli altri?”
“La normalità è sopravvalutata” replicai “Preferisco di gran lunga essere ciò che sono
piuttosto che essere umano”
“Un tempo, però, lo eri anche tu… io invece sono sempre stata
strana … e diversa”
Mi avvicinai di nuovo a lei e questa volta l’abbracciai e la
strinsi con forza baciandole il collo
“Niente e nessuno a questo mondo è solo normale, Sara … siamo
tutti qualcos’altro oltre a noi stessi”
“Vorrei solo poter smettere di sentire tutto quello che sento
e fare quello che faccio. Sono così spaventata … e a volte ho quasi paura di me
stessa!”
Tornai a sdraiarmi a letto e la portai con me
“Ora ci sono io, penserò io a te. Chiudi gli occhi e dormi”
“Non voglio dormire … non sono stanca” mugugnò in risposta
per poi sbadigliare subito dopo. Diceva lo stesso quando io o Godric la
mettevamo a dormire, da bambina.
Sorrisi “Ma certo” coprendola con l’unico lenzuolo “Smetti di
parlare, spegni il cervello”
“Mi sei mancato così tanto” sussurrò ancora sollevando a
fatica le palpebre per richiuderle subito dopo
“Tu per nulla”
“Bugiardo!” ridacchiò poi si mise su un fianco, dandomi le
spalle “Ti sono mancata anche io, Eric”
mi prese una mano e se la portò vicino al petto
Avevo un braccio attorno alla sua vita, la sua schiena
premuta al mio petto e le sue gambe sfioravano le mie. I suoi capelli biondi
andarono ad unirsi e confondersi con i miei mentre un sorriso sereno si faceva
largo sulle mie labbra.
Decisamente si … mi era
mancata molto anche lei!
“Sogni d’oro” sussurrammo entrambi nello stesso momento
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Capitolo 8 *** Calore ***
7° Capitolo
7° Capitolo - Calore
Aprì gli occhi circondato dal tepore del suo corpo. Era
rannicchiata accanto a me, immersa nel sonno, e con una mano tratteneva un
lembo della mia maglietta bianca. La trovai dolce ed intrigante nella sua innocenza.
Facendo attenzione a non svegliarla mi misi su di un lato e, stravolgendo
l’abitudine mattiniera che avevo di alzarmi subito ed iniziare a fare workout,
rimasi ad osservarla dormire conscio del fatto che, se fosse stata sveglia, il
mio sguardo addosso l’avrebbe forse fatta arrossire.
Era strano constatare quali e quanti particolari si potevano
notare facendo un poco di attenzione. Il suo viso, per esempio, mi sembrava diverso.
Più infantile e più dolce del solito. Il suo corpo, raggomitolato stretto al
mio, sembrava cercasse calore e
protezione così, nonostante la mia natura ormai da molto tempo non raccogliesse
e conservasse più il tipico calore umano, non fui restio a concederglielo. Le
mie braccia andarono a circondarle la vita e sdraiandomi nuovamente prono
chiusi gli occhi richiamando a me l’oblio del sonno.
Non mi addormentai subito forse consapevole di esser
circondato dal suo profumo naturale. Sapeva di miele e sole, di pace e
tranquillità, di estate e dolcezza. Sensazioni che non provavo da molto, molto
tempo e di cui, solo raramente, sentivo la mancanza.
I suoi capelli lunghi e biondi portarono alla mente ricordi
della mia vita passata, di quando ero ancora umano, memorie che credevo ormai
sepolte e perdute da tempo. La dolcezza dei suoi tratti era invece qualcosa di
nuovo forse perché molto diversa dalle decine di donne con cui avevo giaciuto.
Era anche vero che paragonare Sara, l’esperienza di dormire e stare a letto con
lei, a quella delle altre donne era pura eresia; qualcosa di assolutamente
inconcepibile anche il solo pensarlo.
Lei era diversa.
Era diversa da me e da chiunque avessi mai conosciuto. Era
diversa non solo per via di quella sua strana natura ma anche per via del suo
modo di fare e di essere. Era ricca di una preziosità che non avevo trovato in
nessun’altro se non in lei. Era forte e fragile allo stesso tempo, gioiosa e
accattivante, intelligente ma anche tremendamente ingenua. Era un mix irresistibile.
Finalmente il sonno mi colse e, con un sorriso nostalgico sulle
labbra, mi riaddormentai.
Rinvenni diverse ore dopo e nello stesso istante percepì che
anche lei stava riaprendo gli occhi. La sua vicinanza aveva turbato più del
dovuto il mio corpo e questo se da una parte lo considerai normale, dato la
presenza di quel suo meraviglioso corpo femmineo a mia disposizione, dall’altra
mi fece pensare dato che si trattava dell’ingenuo
corpo di Sara.
Mosse le gambe e i piedi, poi il busto e il petto sfregarono
sul mio mentre le mani andavano a stropicciare i tratti del suo volto e i
capelli. Tutto in lei trasmetteva sensualità ed innocenza, purezza e malizia.
L’avevo vista svegliarsi migliaia e migliaia di volte ma non
mi era mai capitato di percepirlo fisicamente in quel modo.
Era
giusto e naturale desiderare fisicamente la propria sorella?
Era
comprensibile il mio carnale desiderio di lei? Un desiderio primitivo, che non
provavo da moltissimi anni, e così forte da mettere in subbuglio addirittura la
mia mente?
Era
corretto da parte mia fondere l’affetto che ci univa a tutto quel “sentire”?
Mi alzai prima che si svegliasse del tutto e corsi in bagno
per una doccia che sciogliesse quella mia tensione. Avrei dovuto parlarne con
Godric appena possibile.
Finì di stiracchiarmi e aprì gli occhi rendendomi subito
conto che mi trovavo sola, a letto. Eric non c’era così tirai su il busto e
tesi l’orecchio. Sentivo lo scrosciare dell’acqua, forse quello della doccia,
provenire dal bagno.
Mi rasserenai e mi lasciai di nuovo cadere sul grande letto,
incurante del fatto che mi sentissi più che riposata. Volevo crogiolarmi ancora
qualche minuto in quella sensazione di calore che mi accompagna sempre appena
sveglia.
“Ti sei svegliata finalmente” la sua bella voce arrivò dal
fondo del corridoio “Sai che abbiamo dormito per più di dodici ore? Non mi era
mai successo prima” aggiunse con un sorriso raggiungendo la stanza in cui mi
trovavo mentre finiva di tamponarsi, con un asciugamano, i capelli bagnati
Allungai le braccia verso di lui sorridendo “Vieni. Io non ho
voglia di alzarmi. Fammi compagnia”
Sorrise di nuovo scuotendo la testa mentre gettava
l’asciugamano ai piedi del letto “Che viziata che sei!” poi avvicinandosi a me,
senza però salire sul letto, aggiunse
“Io però non posso esserlo. Ho un locale da mandare avanti e nonostante
ci sia Pam, devo comunque controllare delle cose”
Scossi la testa e corrucciai le labbra rabbuiata “E devi andarci subito? Non puoi farmi
compagnia solo per un po’?”
Sorrise e mi baciò la fronte “Mi dispiace pulce, non posso”
Mugugnai ancora e mi voltai di fianco dandogli le spalle “Sei un bugiardo. Avevi detto che ti saresti
occupato di me e invece mi lasci per andartene via!”
Lo sentì sospirare e poi sedersi vicino a me “Non vado via a
divertirmi Sara. Devo andare a lavorare. In caso contrario come pensi che
potrei provvedere a te?”
“Potresti assumere qualcun altro che lavori per te” mugugnai ancora
arrabbiata
Rise mentre mi accarezzava i capelli “Ho già qualcuno che
lavora per me, ma quello che faccio io non lo può fare qualcun altro. Ora
smetti di fare l’arrabbiata. Voltati dai, non fare i capricci”
Mi voltai e lo guardai con gli occhi ridotti fessure “Gloria non mi ha mai lasciato sola. Mai! Stava
sempre con me”
“Dio Sara, perché stai facendo tutte queste storie si può
sapere? Devo andare a lavorare. Fine della storia”
Indurì lo sguardo e volsi il capo dall’altra parte. Volevo
tagliarlo fuori e farlo sentire in colpa. Non era giusto che mi lasciasse sola
dopo tutto quello che avevo passato. Io ero la sua famiglia ed ero più
importante di qualsiasi accidenti di lavoro dovesse fare.
Mi prese il volto tra le mani e con un poco di forza mi
costrinse a voltarmi verso di lui.
“So bene che Gloria non lavorava e stava sempre con te. Ma ti
sei mai fermata a riflettere o a domandarti da dove provenissero i soldi che avevate
per vivere?”
Sgranai gli occhi sorpresa e mi tirai a sedere “Glieli davi
tu?”
“Già” annuì con un sorriso ironico “E per farlo devo
lavorare. Hai capito?”
Annuì abbassando il capo
Non avevo mai pensato a
dove e come Gloria si procurasse i soldi che servivano ad entrambe. In effetti
avrei dovuto pensarci e non darlo per scontato. Quindi tutto quello che avevo e
avevo avuto era dovuto a Eric? Dovevo tutto a lui?
“Ora devo andare. E’ davvero troppo tardi e Pam avrà bisogno
di me. Torno appena ho finito. Se hai bisogno chiamami. Ti lascio il numero di
sopra, in cucina, va bene?”
Annuì per poi alzare gli occhi sul suo viso. Gli accarezzai lentamente
il viso con le dita sperando che con quel gesto perdonasse la mia reazione
infantile ed immatura. Sorrisi quando lo vidi fare altrettanto. Guardando la
piccola sveglia, sistemata a terra, si alzò di fretta. Mi salutò velocemente e
corse fuori.
Rimasi sdraiata a letto ancora per molto tempo ripensando al
passato. Mi resi conto che avevo dato per scontate un mucchio di cose. Dai
vestiti al cibo, dalla mia istruzione ai libri, dai miei peluche o giochi
dell’infanzia, ai vestiti e a tutte le altre cose che avevo sempre avuto senza
mai sapere bene da dove venissero.
Solo allora, in quel momento, mi resi conto che era tutto
merito di Eric. Dovevo a lui tutto quello che ero e tutto quello che avevo
avuto.
Sono
in debito con lui!
Lui lavorava e lo aveva sempre fatto per mantenere se stesso
e me e Gloria e chissà cos’altro.
Come
avrei fatto a ricambiare tutto questo?
Decisi che era ora di pensarci bene. Era ora di ripagarlo e
di provvedere da sola a me stessa. Mi fiondai sotto la doccia e cominciai a
pensare alla miriade di soluzioni che avevo per poter fare qualcosa per lui.
Avevo la possibilità di ricambiare i sacrifici che, probabilmente, aveva fatto
per non farmi mai mancare nulla e non mi sarei di certo tirata indietro.
Dovevo trovare un
lavoro!
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Capitolo 9 *** Crisi di colpa ***
8° Cap
8° Capitolo – Crisi di colpa
Mi fiondai a fare una doccia veloce mentre con la mente
scorrevo un’infinità di soluzioni al mio problema.
Trovare un lavoro non sarebbe stato facile e neppure veloce
ma non avrei mollato. Ormai era deciso: avrei ripagato Eric dei suoi sacrifici,
magari non tutto e non subito, ma lo avrei aiutato economicamente. Mi fiondai
di sopra nella stanza che mi era stata assegnata, presi il mio borsone e lo
riportai in camera di Eric.
Non volevo stare da sola, dormire con lui era stato
rilassante e rassicurante. Era da molto tempo che non dormivamo assieme, da
quando ero più piccola in verità, e la cosa mi era mancata tanto. Lui mi era
mancato, moltissimo.
Ripensai a quando era andato via. Avevo una cotta per lui, mi
piaceva molto, e in più sembravo essere il suo centro; un po’ come lui e Godric
lo erano per me. Poi, logicamente, con l’andare del tempo la cosa era sfumata
ed ora averlo di nuovo vicino mi provocava belle sensazioni.
Scossi la testa e corsi a vestirmi. Frugai tra gli abiti e,
tirandone fuori jeans e t-shirt, me li infilai. Stavo per salire di sopra,
diretta in cucina, quando sentì il mio cellulare squillare. Era un suo messaggio.
<< Sara, come forse
avrai già notato, in cucina non c’è nulla da mangiare. Almeno non per te. Ho
notato i biscotti che avevi comperato, mangia quelli per adesso. Più tardi ti
accompagnerò a fare un po’ di spesa. Non uscire da sola. Qui non conosci niente
e nessuno quindi ti perderesti. Non dovrei impiegarci più di 4 o 5 ore al
locale. Poi sarò a casa>>
A
casa…
Come suonava bene quella parola.
Casa.
Tornare a casa. Sorrisi come una sciocca e senza neppure
capirne il motivo. Sapevo solo che quella parola, quel suo tornare a casa, quel
tornare da me mi faceva sentire bene.
Quattro o cinque ore non erano molte dopotutto. Avrei potuto
occuparle ambientandomi in casa, sistemando il mio bagaglio, mangiando e compilando
una lunga lista della spesa e di tutti gli oggetti che mi occorrevano.
Avevo delle scartoffie in arretrato di cui occuparmi e diversi
documenti da leggere, controllare e firmare perciò rimasi in ufficio tutto il
tempo. Come ogni volta Pam, poco prima dell’ora di chiusura, mi fece il
resoconto della serata. Assieme controllammo gli incassi, le scorte e i rifornimenti.
Parlammo dei problemi con i fornitori e quelli avuti quella sera, con un paio
di clienti.
Lasciai a lei il compito di chiudere il locale, la salutai e
mi fiondai fuori diretto verso casa.
Avevo appena varcato la soglia quando un ciclone biondo mi
investì, saltandomi addosso. Sorrisi riconoscendo da subito il dolce aroma
naturale della pelle di Sara. Me la strinsi al petto, chiusi la porta di casa
attivando l’allarme esterno. Le baciai il collo facendole il solletico mentre
lei continuava a ridacchiare divertita.
“Che bel bentornato!” esclamai ridendo per poi aggiungere con
tono divertito “Forse dovrei andare via più spesso se ogni volta mi accogli in
questo modo”
“No, invece” replicò lei sollevando il viso da sopra la mia
spalla poi guardandomi dolcemente “Non mi piace quando sto da sola”
“Ti sei annoiata?” domandai intuendo quale fosse in realtà il
motivo del suo disagio
Le manca Gloria.
“No, non è per quello. Sono solo triste, molto triste. E mi
manca Gloria e anche papà. Per fortuna ci sei tu” mugugnò tornando ad infossare
il viso nel mio collo senza avere l’intenzione di scendere o staccarsi da me
Sorrisi comprensivo e me la strinsi più addosso, lasciandole
un bacio tra la fronte e i capelli
“Hai mangiato?” domandai per cambiare argomento
“Si. Ho finito i biscotti. Dobbiamo assolutamente andare a
fare spese”
Annuì continuando a camminare diretto verso la cucina “Hai
ragione. Abbiamo ancora un’oretta abbondante prima dell’alba. Possiamo comprare
un po’ di alimentari al supermarket qui vicino e al tramonto, andare al centro
commerciale. Va bene?”
“Ho già preparato una lista” mugugnò ancora
Mi sedetti su una sedia e, allontanandola di poco da me,
presi ad osservarla. Aveva gli occhi umidi e la fronte corrugata.
“Non piangere” le sussurrai piano
“Non sto piangendo” negò tirando un poco su con il naso
“Non mi piace quando piangi” e l’avvicinai ancora a me
Mi tornarono alla mente ricordi di lei bambina. La ricordavo
sorridente, sempre, oppure con faccine buffe, di lei musona o capricciosa, di
lei spaventata o sorpresa.
Vederla o anche solo sentirla piangere era qualcosa di
insopportabile, quasi fastidioso. Non
mi piaceva saperla triste o depressa e mi faceva infuriare l’idea che piangesse. Le lacrime esprimevano dolore,
certo non sempre, e per me saperla addolorata era sbagliato.
Lei non doveva provare dolore
perché io non lo sopportavo. Anche saperla triste era inconcepibile. La volevo sorridente, felice, meravigliata,
sorpresa, allegra, capricciosa, viziata, determinata ma non addolorata.
Al locale, avevo provveduto a nutrirmi più che adeguatamente;
una ragazza con sangue dal retrogusto zuccherino aveva provveduto a soddisfare
il mio appetito. Mi preoccupava quindi sapere che lei per tutto il giorno aveva
mangiato solo mezzo pacco di biscotti.
Perciò pochi minuti dopo eravamo fuori. Una breve passeggiata
a piedi ed arrivammo al market.
“Dov’è il reparto della frutta?”
“Più avanti” risposi indicandole il punto di riferimento con
un dito “Prendi tutto quello che vuoi e di cui hai bisogno” aggiunsi spingendo
il carrello vuoto davanti a noi
Mezz’ora dopo eravamo di ritorno. Nei nostri sacchetti
verdura, formaggi, pane, carne e pesce poi una valanga di confezioncine di
fragole.
La guardai con la coda dell’occhio, sulla strada del ritorno,
e notai che sorrideva; questo mi rasserenò un poco ma non del tutto. Sapevo che
la morte di Gloria sarebbe stato un avvenimento lungo e difficile da
affrontare. Arrivati a casa, le baciai una guancia e l’aiutai a sistemare la
spesa in cucina, suddividendo gli alimenti ed utilizzando per la prima volta il
frigorifero inserendoci finalmente alimenti.
Per cena la lasciai sola, scendendo a farmi una doccia.
Quando tornai sopra la trovai intenta a lavare piatti, stoviglie e pentole
utilizzate.
Era così strano pensarla adulta ed autonoma.
Rimasi ad osservarla, inosservato, per parecchi minuti poi sorprendendo
lei e me stesso, la presi in braccio stringendola forte. Camminai lentamente
con la sua risata nelle orecchie diretto verso il salotto. Mi accostai alla
ricca libreria e scelsi un volume.
Ci sedemmo entrambi sul divano, aprì il libro ed iniziai a
leggere ad alta voce. Lei mi si accoccolò vicino e rimase ad ascoltare in
silenzio, attenta. Ogni tanto la sentivo muoversi un poco fino a quando non la
sentì sbadigliare.
Le presi la mano, accarezzandole una guancia con infinita
premura, e me la trascinai dietro. Stesi sul grande letto aspettammo, assieme e
vicini, l’arrivo del sonno.
Quel senso di malessere e tristezza era così pesante. Lo
sentivo mio ma inesplicabilmente lo sentivo anche estraneo.
La morte di Gloria mi aveva sconvolto per diversi motivi. Era
la prima mamma che avevo mai
conosciuto e vedermela portare via a quella maniera, in modo tanto violento e
rabbioso, era stato uno shock spaventoso. Il modo in cui era morta, immersa e
soffocata nel suo stesso sangue, era stato grottesco.
Come poteva un essere
umano, un essere vivente qualsiasi ad essere sinceri, portare dentro tanta
rabbia? Vivere con quell’odio e colmo di sentimenti di disprezzo e vendetta?
E perché non me ne ero
accorta? Come avevo potuto non intravedere i reali fini di Louis? Da cosa ero
stata distorta o accecata nel mio sentire?
La morte di Gloria
quindi in parte era colpa mia?
La forza di quel pensiero e la consapevolezza che si trattava
effettivamente così mi bloccò il respiro ed abbatté su di me un disastro
emotivo senza precedenti. Un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra ed Eric se ne
accorse immediatamente.
“Sara?” domandò riaprendo gli occhi e voltando il capo verso
di me “Cosa c’è?”
Gli voltavo le spalle e mi infossai ancora di più, tentando
di blandirlo “Nulla, dormi”
Un sibilo scocciato e poi me lo ritrovai addosso. Mi aveva
voltato, in fretta e con violenza, verso di lui. Aveva subito scorto le mie
lacrime ed era rimasto immobile con occhi sgranati.
Tentai di liberarmi della sua stretta ma quando appurai di
non essere abbastanza forte mi premetti le mani sugli occhi e scoppiai a
piangere disperata. Tentai di accucciarmi di nuovo sul fianco ma lui me lo
impedì.
Mi strappò le mani dagli occhi e salì a cavalcioni su di me
quando iniziai ad agitarmi come un posseduto. Volevo liberarmi di lui. Stare da
sola. Smettere di pensare. Smettere di vedere quelle terribili immagini di lei
coperta di sangue.
“Smettila di agitarti in questo modo, dannazione. Ti farai
male, sciocca!” mi gridò forzando ancora di più la presa sui miei polsi e quella
del suo corpo sul mio. Da parte mia, ovviamente, non gli prestai ascolto.
“Smettila!” mi sgridò ancora con voce tesa “Falla finita, subito. Sara!”
Continuavo ad agitarmi, con forza, per liberarmi e a piangere
disperata.
“E’ colpa mia!” gridai con rabbia, rivolta a me stessa
“Cosa?” domandò subito “Di che cosa stai parlando?”
“Mia!” urlai di nuovo sconvolta “E’ solo colpa mia! Non l’ho capito … avrei
dovuto saperlo, avrei dovuto sentirlo
… se lo avessi sentito non sarebbe
riuscito ad ammazzarla! E’ colpa mia! Tutta colpa mia!”
“Basta! Smettila!” gridava lui con furia
“Sara, smettila. TI farai male! Ti prego” si abbassò su di me e poggiò il capo sul mio
petto
“Ti prego, Sara, smetti di farti male” il
suo sussurro accorato arrivava dal mio petto, su cui lui poggiava il capo
Smisi di dibattermi ma ero comunque preda di fortissimi
singhiozzi ed ero ancora agitata. Alcuni secondi dopo lui, vedendomi un poco
più calma, mi liberò i polsi e prese ad accarezzarmi tutto il corpo con il solo
intento di tranquillizzarmi.
Portai le mani a coprirmi il viso e lentamente, grazie
soprattutto alle sue carezze dolci e alle sue parole rassicuranti, smisi di
piangere del tutto. La sua presenza era come un balsamo per il mio animo, una
rassicurante presenza che con forza e decisione congelò a poco a poco quel mio
malessere.
Quando riaprì gli occhi, e lo feci solo molto tempo dopo, lo
trovai steso sul mio corpo, aggrappato ad esso con una forza quasi disperata,
mentre le sue mani continuavano ad accarezzarmi lentamente. Passavano delicate
dal viso, alle braccia, alle mani che stringeva un poco fra le sue, poi passava
alla mia vita per poi salirmi al viso e ai capelli. Dopo un paio di respiri
lunghi tentando a fatica di placare quei singhiozzi che mi scuotevano il petto
e il corpo, iniziai a rispondere alle sue carezze.
Lui alzò il viso verso il mio e dentro i suoi occhi potei
scorgere un emozione nuova, mai vista in quegli occhi glaciali. Era un qualcosa
che li illuminava e li incupiva allo stesso tempo. Non riuscì a decifrarla.
Lui si sollevò un poco spingendosi più in alto. Mi si sdraiò
di nuovo sopra, sempre senza mai pesarmi eccessivamente, e il suo viso questa
volta era vicinissimo al mio, nascosto nel mio collo. Sfregò il naso su quella
porzione di pelle che va dalla mascella al collo, di tanto in tanto mi lasciava
qualche bacio.
Restammo in silenzio, così, l’uno sull’altro a coccolarci teneramente
a vicenda sino a quando, in un punto imprecisato del giorno, ci addormentammo. Abbracciati
stretti, le mie mani fra i suoi capelli e sul suo viso, le sue labbra sul mio
collo e il suo respiro sulla mia pelle. Una sua mano aggrappata al mio fianco
ed una stretta al mio polso.
Strettamente uniti, strettamente vicini.
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Capitolo 10 *** Ferire e sanare ***
9° Capitolo
Ferire e sanare
Sentire la sua risata argentina nelle orecchie e
non desiderare altro.
Volerla sempre accanto a me, al mio fianco.
Compagna fedele, instancabile … eterna.
Eternamente bella. Eternamente giovane.
Eternamente viva, allegra, gioiosa. Eternamente mia.
Saperla legato a me, alle mie cure, alla mia
voce, al mio tocco.
Volerla per me e me soltanto. Una gioia infinita
… un desiderio irrealizzabile.
Eravamo sdraiati a letto,
entrambi sulla schiena, attendendo di prender sonno dopo aver passato ore ed
ore entrando ed uscendo da un negozio ad un altro, al centro commerciale.
Della violenta crisi emotiva di
Sara non ne avevamo parlato. Nessuno dei due.
Da parte mia avevo tentato di
placare la mia divorante curiosità senza pressarla o farle domande al fine di
scoprire che diavolo le fosse preso. La mia natura così come il mio carattere
scalpitavano per sapere quale fosse la causa; Ero in pensiero per lei, per i
suoi nervi, per la sua mente eppure avevo capito da tempo che, con Sara, dovevo
rispettare i suoi tempi senza forzarle la mano.
Dopo un episodio del genere, la
morte di una persona amata, era normale aver bisogno di tempo e cure e
pazienza? Forse per gli umani si e lei nonostante lo fosse solo in parte ne
aveva pienamente bisogno.
Al risveglio aveva solo preso un
leggero tranquillante, confessandomi di farne uso da un paio di anni per tentar
di placare il malessere mentale causato dai suoi poteri. Senza aggiungere altro
aveva fatto colazione, mentre io avevo buttato giù due bottiglie di True Blood,
si era vestita e preparata.
Subito dopo eravamo fuori in
macchina, diretti in centro a fare spese. Avevo dato solo una veloce occhiata
alla sua lista ma sembrava non finire mai. Nonostante questo, a parte qualche
battutina qua e là, non avevo fatto rimostranze.
“Credo proprio di aver preso
tutto quello che mi occorreva” la sua voce era tornata ad avere quella
sfumatura leggera e allegra che mi piaceva da matti
Annuì voltando appena il capo e
guardandola di traverso dissi
“Lo credo bene. Abbiamo speso una
fortuna tra vestiti, accessori, scarpe ed oggetti vari. Se fossi stato umano a
quest’ora sarei esausto. Prosciughi tutte le energie tu … altro che vampiro!”
esclamai facendola ridere
“Non è colpa mia!” si difese lei
“Ho lasciato tutto … quando sono scappata” aggiunse per poi smettere lentamente
di sorridere e tornando seria
Merda!
“Non pensavo davvero che i
giovani avessero tutte queste necessità. E poi tutti quei dolci … la commessa è
rimasta scioccata!” esclamai per cambiare discorso “Hai svaligiato l’intera pasticceria!”
Scoppiò di nuovo a ridere
allungandosi a darmi una spinta sulla spalla
“Sono golosa, non è colpa mia! Mi
piacciono da impazzire!” rispose ancora sorridente “Soprattutto i pasticcini alla frutta! Sono
così buoni. Mhmh”
Questa volta fu io a ridere.
Quelle parole mi riportarono alla mente ricordi della sua infanzia. Della sua
passione, mai sopita, per le fragole!
“Quando eri piccola era tutto
diverso“ commentai quasi con nostalgia “I
dolci non li vedevi neppure! Andavi matta per quelle dannate fragole e a volte
non c’era verso di farti mangiare altro. Ancora ricordo il primo giorno in cui
le assaggiasti”
“Sara?”
esclamò Godric entrando in casa dalla porta principale “Sara? Dove sei?” chiamò ancora
Eri
tra le mie braccia perciò ti posai a terra per permetterti di salutarlo. Ti
fiondasti verso di lui per poi abbracciare con forza le sue gambe.
E
Godric scoppiò a ridere … era così strano vederlo ridere o anche solamente
sorridere … prima che arrivassi tu lo faceva così raramente. Con te e grazie a
te, invece, accadeva più spesso, quasi gli venisse naturale in tua presenza.
Era così sereno.
Ti
sollevò tra le braccia, avvicinandosi a me che vi osservavo dai piedi delle
scale. Notai che aveva un sacchetto di plastica attaccato al braccio. Era
piuttosto pieno ed inspirando dal naso intuì di cosa si trattasse.
Da
un po’ di tempo avevamo dei problemi a farti mangiare. Molto spesso facevi i
capricci, rifiutavi sdegnosamente alimenti che fino a poche settimane prima
mangiavi tranquillamente. Così, quella sera, Godric aveva deciso di cambiare
programma. Non saremmo usciti per cena ma avremmo provveduto a comprare
qualcosa per poi mangiarlo a casa.
Notai
che il sorriso sul suo volto era rimasto immutato mentre tu continuavi a
ciarlare di cose reali o assurde. Al contrario di me, Godric, sembrava
veramente attento a tutto quello che dicevi. E a volte sembrava pendere dalle
tue labbra, qualunque sciocchezza vi uscisse fuori.
Avevi
uno strano potere in te, qualcosa di cui forse non eri nemmeno cosciente.
Portavi allegria ad ogni essere con cui venivi in contatto; lo avevi fatto
persino con noi, creature oscure della notte che vivevano lontanissime da ogni
forma di serenità ed armonia.
Presi
il sacchetto dalle sue mani per poi tirarne fuori il contenuto: del pane, dei
biscotti secchi, del prosciutto a cubetti, succo di frutta, una confezione di
formaggio a fette, olive e cetriolini sottaceto, del latte, cioccolato, una
confezione proveniente dalla rosticceria del centro, della carne secca e due confezioni
di fragole rosso sangue.
Aprì
le confezioni e sistemai tutto sul tavolo, preparandomi mentalmente a quella
che sarebbe stata la lunga ed insidiosa strada per farti cenare. Godric, nel
frattempo, ti aveva sistemato nel tuo seggiolone, fornendoti di una manciata di
tovagliolini di carta, bicchiere e posate di plastica.
Sporcarti viso, braccia,
collo e gambe ti piaceva così tanto!
Ti
buttasti per prima cosa sul prosciutto a cubetti, mangiandolo rigorosamente con
le mani e finendolo in pochi minuti. Poi un poco di succo e un pezzo di pane.
Seconda tappa furono le olive e i cetriolini che, dopo averli assaggiati,
allontanasti con faccia disgustata e provocando in noi una sana ed inattesa
risata.
Godric
ti propose, avvicinandola al tuo dolce e sporco musino, una crocchetta di
patate proveniente dalla confezione della rosticceria. Inizialmente la
guardasti con diffidenza, te la sfregasti un poco sotto il naso, forse con
l’intento di annusarla e percepirne l’odore, per poi ficcarla graziosamente in
bocca. Masticasti allegra e dopo aver inghiottito ne cercasti altre.
Non
provasti nient’altro finchè, sempre Godric, ti sistemò sotto al naso una
piccola fragola matura. Scoppiammo a ridere quando prendendola in mano come
prima cosa provasti a toglierle i minuscoli semini verdi. Poi sconfitta, dopo
averla praticamente ridotta ad un cumulo informe di sostanza e succo rosso, le
mie parole di spiegazione sulla natura e il colore della fragola, l’addentasti
a metà sporcandoti sul mento e ai lati della bocca con il succo del frutto.
Affondasti i tuoi dentini nella seconda metà del frutto per poi scoppiare a
ridere allegra e iniziare a ciarlare sulle mirabolanti bontà e delizie che il
frutto ti aveva evocato.
Le
finisti in pochissimi secondi e fu da quel giorno, in quel preciso momento, che
nacque la tua smisurata passione per le fragole.
“Davvero?” domandò lei alla fine
del mio racconto
“Davvero mia bellissima bambina”
esclamai pizzicandoti affettuosamente una guancia
Tu ti sollevasti un poco, ti
accostasti di più al mio corpo e con una mano a sostenere il capo, mi guardasti
per molto tempo
“Non sono più una bambina”
Sorrisi sollevando un
sopracciglio “Ti sembra che questo
dettaglio mi sia sfuggito?”
“Forse si” un solo sussurro prima
di vederti abbassare il capo
“Ti assicuro di no, Sara”
replicai lasciandoti un bacio sulla fronte
“Raccontami ancora della mia
infanzia” mi pregò lei, con un sorriso dolce
“Non hai intenzione di dormire,
vero?” domandai fintamente scocciato e ricevendo un forte diniego da parte sua
“Ebbene … tu forse non ricordi ma
i primi giorni dopo il tuo arrivo furono davvero inenarrabili”
“Perché?” domandasti curiosa
“Quella donna, l’ebrea, ti portò
a casa nostra improvvisamente, una notte. Faceva molto freddo, era inverno e tu
eri con lei. Non mi accorsi subito della tua presenza e forse nemmeno Godric.
Quella donna aveva qualcosa … un’aurea molto forte. Forse dei poteri
particolari.”
“Davvero?”
“Mhm … comunque fui io ad aprirle
e non mi fece una buona impressione. Così la scacciai”
“Eric!” esclamò lei arrabbiata
“Perché l’hai fatto?”
“Perché non mi piaceva, ecco
perché” risposi infastidito “Pretendeva
di parlare con Godric … e aveva pure una certa arroganza nella voce che … mi ha
mandato su tutte le furie”
“E poi?”
“Godric l’ha lasciata entrare ed
io sono uscito a mangiare. Ero mortalmente infastidito e quella sera … bevvi a
sazietà. Rabbiosamente”
La vidi sgranare gli occhi e
sollevarsi a sedere di scatto “Hai
ucciso qualcuno?”
Sbuffai e tentai di non
risponderle. Ma poi sentì le sue mani sul volto, voleva voltarmi il viso verso
di lei
“Si” risposi veloce, voltandomi a
fissarla negli occhi, quasi fosse una sfida
“Perché l’hai fatto?” domandò lei
colpita “Sei un assassino” aggiunse in
un sussurro
E la rabbia scattò in me. Mi
sollevai a sedere anche io e la presi per le braccia stringendole con forza
fino a procurarle un lamento di dolore
“Ne ho uccisi tanti “ le sibilai
sul viso “Sono un vampiro ed è la mia
natura. Ne ho uccisi molti e ne ucciderò tanti altri” continuai
Lei aveva voltato il viso
allontanandolo dal mio. Poi sentendo quelle mie ultime parole, con uno scatto
rabbioso allontanò da lei le mie mani
“Bugiardo!” replicò con vemenza
“Sei un bugiardo! Sei un vampiro ma questo non ti impedisce di sopravvivere
senza ammazzare nessuno! Puoi nutrirti senza dover per forza uccidere o
torturare persone innocenti!” poi guardandomi con una profonda occhiata di disgusto
proseguì “La verità è che ti piace
ammazzare la gente. Ti piace uccidere e torturare e fare del male. Sei un
sadico! E’ questa la tua natura. Essere un vampiro centra fino ad un certo
punto. E’ la tua natura di sadico che ti fa agire così … nient’altro!”
Scese dal letto e si allontanò
ancora un poco, dandomi le spalle
“Ti piace brutalizzare le persone
… gli umani come me … e far loro del male” poi quasi sottovoce aggiunse “Magari
prima o poi farai male anche a me”
Scattai da lei, veloce e rapido.
Le arrivai vicino, di fronte e la costrinsi a guardarmi
“Mai!” sibilai ad un passo dalle
sue labbra “Io non ti farò mai del male.
Mai. Non a te. Come puoi pensarlo?”
L’abbracciai stretta aspirando a
pieni polmoni il suo delicato profumo di miele e sole
“Quando me ne farai non te ne
accorgerai neppure. Ne sono certa”
“Non è vero” replicai baciandole
la fronte “Non lo farò. Te lo giuro, Sara”
Finalmente sentì il suo corpo
rilassarsi, tra le mie braccia, e rispondere al mio abbraccio. Mi allacciò le
mani attorno ai fianchi e posò la testa sul mio petto
Ecco, proprio lì. Lì dove volevo
rimanesse per sempre. Dove avrebbe riposato sicura, protetta e amata sino alla
fine dei suoi giorni. L’avrei tenuta con me, vicina al mio cuore, per tutta la
durata della mia esistenza.
“Ti va se torniamo a letto?”
domandai quasi esitando
Attesi per molto tempo prima di
sentire il suo annuire. Quando lo fece, la presi in braccio regalandole un
sorriso sincero. L’adagiai al centro del materasso e mi misi subito al suo
fianco, cingendole la vita con un braccio.
“Quando tornai a casa, Godric ti
teneva fra le braccia e quell’ebrea era semisdraiata sul nostro divano. Stava
morendo.”
“Non l’ho mai conosciuta. O
almeno non me lo ricordo ma mi dispiace comunque” sussurrò stringendosi a me e
avvicinando il viso al mio sino a sentire le sue labbra sulla mia mascella
“Cos’è che ci distingue?” mi
domandò forzando un poco la mia presa “Perché a me dispiace per lei, nonostante
non l’abbia mai conosciuta, e a te no?”
“Tu l’hai conosciuta … solo non
lo ricordi” replicai un poco infastidito
Perchè
tornava su quel discorso? Perché non capiva che mi irritava parlare di
determinate cose?
“Oh … ma … a pensarci, a me
capita anche con altre persone e anche a loro … cioè anche alle altre persone
capita” si fece un momento perplessa per poi domandarmi “Hai capito quel che voglio dire? Non so se
sono stata molto chiara…”
Sbuffai seccato “Non lo sei
stata, Sara. Difatti non ho capito”
Menzogna.
Bugia. Nonostante il suo garbuglio con le parole avevo capito dove volesse
arrivare.
Ero
io a non voler sentire, a non voler capire.
“Ok. Volevo dire che a me capita
di provare sensazioni di dispiacere o pena o sofferenza per determinate persone
o in determinate situazioni nonostante non li conosca o li abbia mai
incontrati. So che queste sensazioni le provano anche tutti gli altri, le
persone normali. Inizialmente pensavo che questa cosa del sentire fosse solo
una conseguenza del mio potere ma adesso so che non è così. Quindi mi chiedo
perché a me succede e a te no?”
“Non saprei Sara. Non siamo tutti
uguali!” ero arrabbiato, non più seccato né infastidito, e volevo lo sapesse
“Non voglio offenderti o farti
arrabbiare. Voglio solo capire” cercò di blandirmi lei
Fu inutile. Scoppiai
rabbiosamente
“Non ho tutte le risposte, Sara.
Mi mancherà qualcosa, non so che dirti! Sono un mostro senza sentimenti né
emozioni che beve sangue e uccide la gente! Ho sempre vissuto così anche prima
della trasformazione. Uccidevo da umano e uccido adesso. Sarò senza cuore e
senz’anima! Non so che dirti. Non ho tutte le risposte che vorresti. Non ho
risposte riguardo a questo! Sei contenta, adesso?”
Avevo quasi il fiatone. Gli avevo
vomitato quelle parole in faccia e con rabbia. Volevo che capisse come mi
sentivo, che provasse a comprendere un poco chi e cosa ero stato in vita. Ma
soprattutto chi e cosa ero adesso.
Lei rimase in silenzio a
guardarmi per molto tempo. Abbassò il capo per poi rialzarlo lentamente. Mi
guardava con occhi strani, particolari. Non riuscì a leggervi dentro come
invece sapevo fare solitamente e la cosa mi spaventò un poco.
Allungò esitante e paurosa una
mano verso di me sussurrando
“Scusami. Non volevo ferirti o
farti stare male. Scusami. Non mi sono resa conto … sono un’egoista … perdonami”
Lessi sul suo viso l’intenzione
di avvicinarsi a me, non solo fisicamente. Vi lessi il dispiacere, le sue
scuse, la paura e l’angoscia dell’avermi ferito. Vi lessi la voglia di
stringersi a me e di essere stretta.
Accolsi tutto quello ed annuì
impercettibilmente.
Lei si sciolse in un sorriso
esitante e mi si fiondò tra le braccia. Mi abbracciò stretto continuando a
scusarsi e iniziando a piangere.
“Mi dispiace. Non volevo farti
soffrire o farti ricordare cose brutte. Perdonami per favore. Non me ne sono
accorta … sono stata stupida a non pensarci … sono egoista e sciocca”
Sorrisi tra i suoi capelli a
quelle parole. La strinsi anche io e le lasciai un dolce bacio sul collo.
“Non voglio più parlarne”
sussurrai non appena ci staccammo un poco
“Non ne parleremo più” fece lei
annuendo
“Non voglio più parlarne … ma
voglio che tu sappia che non so perché sono così … so solo che non ti farei mai
del male. Non a te. Mai”
In
assoluto. Non le avrei mai fatto del male. L’amavo troppo per poterlo o volerlo
fare. Non si fa del male ad una persona che si ama.
Mi si fiondò ancora tra le braccia “Lo so. Stai tranquillo. Non pensiamoci più.
Ti voglio molto bene e non voglio più ferirti. Scusami”
Si allontanò un poco per
guardarmi in viso. Sorrise e lentamente si chinò a sfiorarmi le labbra con le
sue. Premette piano accostandosi ancora e stupendomi completamente. Mi aveva
baciato. Ed era stato il bacio più dolce e delicato ed ingenuo e puro che
avessi mai ricevuto.
“Ti va di continuare il discorso
di prima … di quando ero piccola?” domandò in un timido ed impacciato sussurro
Annuì ancora stordito e scioccato
da quel suo gesto. Mi lasciai cadere nuovamente sul materasso e tirai giù anche
lei. Me l’accostai vicino, abbracciandola interamente. Le mie mani di nuovo fra
i suoi capelli e sul suo corpo. Le sue strette al petto, vicinissima a me.
“Sembrava felice” dissi dopo
qualche minuto di silenzio
“Chi?” domandasti “La donna?”
“No. Godric. Lui sembrava felice”
risposi accarezzandole lentamente la schiena
“Ti teneva fra le braccia e sorrideva. Era sincero e sembrava che tu gli
piacessi”
Poi aggiunsi “Ti ho odiata. Da quel momento ti ho odiata
profondamente”
Sentì il suo corpo irrigidirsi e
il suo respiro bloccarsi
“Chiesi spiegazioni, perché ero
arrabbiato ma lui mi mandò a prendere le tue cose a casa di quell’ebrea” Risi
forzatamente “Le tue cose, capisci? Eppure dovetti obbedire agli ordini e feci
quello che lui mi chiese”
Il tuo corpo non accennava a dare
segni di cedimento, ancora rigido ancora immobile. Proseguì quasi parlassi con
me stesso invece che con te
“Partimmo il giorno seguente,
tornando in Svezia. Godric ti teneva sempre in braccio, sempre. Ti guardava
spesso e provvedeva a te. Mi dava così fastidio quel comportamento, anzi, mi
davi fastidio tu. Ero arrabbiatissimo con te e ti odiavo! All’inizio avrei
voluto che morissi per tornare ad essere solo noi due. Solo io e Godric. Solo
all’inizio però … perché tutto sommato … dopo molto tempo, mi accorsi che non
eri così brutta. E non piangevi quasi mai, dormivi e mangiavi.”
“Ti sei affezionato, almeno un
pochino a me?”
“Oh, si. Ma non subito. Forse
solo dopo cinque … no erano ormai dieci anni che stavi con noi e cominciavi a
crescere un minimo. Io non me lo spiegavo questo tuo fenomeno ma Godric lo
trovava estremamente affascinante. Non crescendo le tue esigenze non
cambiavano, non mostravi segni distintivi o caratteristici e la nostra
copertura reggeva egregiamente”
“Quando … come … cos’è successo
quando .. come ho fatto a farmi voler bene?”
“Oh, è successo quasi per caso in
verità. Godric da quando c’eri tu usciva meno frequentemente; anche per
mangiare impiegava pochissimo tempo rispetto a prima. Forse non voleva
lasciarti o forse non si fidava di me”
“Non penso fosse questo il
motivo. Godric ti vuole bene. Ti ama”
“Ed io amo lui ma in quel periodo
mi accorsi di un dettaglio che mi diede la forza di cambiare il mio
atteggiamento, soprattutto verso di te. Lui si prendeva cura di quella bambina
perché gli piaceva e non per dovere o senso di responsabilità. Ti teneva sempre
in braccio perché gli piaceva, si sentiva sereno … quasi felice. Me lo raccontò
lui stesso diverso tempo dopo. E quando, finalmente, cominciai a dimenticare il
mio odio nei tuoi confronti e a starti più vicino occupandomi di te me ne resi
conto io stesso.
Era bellissimo tenerti tra le
braccia. Trasmettevi una strana sensazione di benessere e soddisfazione,
personalmente mai provata prima. E’ così che mi affezionai anche io. Tra me e
te non fu amore a prima vista. Fu qualcosa di più intenso, suppongo.”
“Ed ora?”
“Ora non posso immaginarmi senza
vederti o sentirti” risposi onestamente
Sorrideva
allegra e soddisfatta. Ti abbracciai stretta ed i tuoi occhi si socchiusero appena.
Sorrisi e raccogliendo il lenzuolo dal fondo del materasso te lo tirai addosso,
per coprirti
“Ora dormi. Sei stanca”
“Non ho sonno”
“Io si, invece” replicai
chiudendo gli occhi e sistemandomi in modo comodo sul letto “Perciò smetti di ciarlare” aggiunsi cingendoti
alla vita, con un braccio
Ti sentì sospirare e poi posare
il capo accanto alla mia spalla, vicinissimo al mio
“Mi piace dormire con te” un
altro sussurro “Mi rilassa. Sento che
niente di brutto mi può succedere”
“Mhmhm” replicai annuendo e
stringendoti ancora un poco
“Mi fai stare bene. Mi fai
sentire sicura, protetta … amata”
Un paio di respiri ancora ed
entrambi precipitammo gradualmente in un intimo limbo di incoscienza. Dormire
accanto a te, averti stretta al mio corpo e sentire il tuo calore, era serenità
e torpore. Una condizione così delicata e dolce da dare assuefazione.
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Capitolo 11 *** Sconvolgimenti ***
Avviso
AVVISO
Ciao a tutti,
sono in ritardo per la pubblicazione del capitolo, lo so, e
chiedo umilmente venia. Motivo?
Beh ho finito il mese scorso gli esami, almeno per questa
sessione, e ho deciso di prendermi un paio di settimane di ferie (non le ho
fatte quest’estate!); Ho deciso di dedicarmi alla lettura di alcuni libri che
avevo in arretrato (e non dei soliti e noiosissimi testi universitari) e di
recuperare la visione di puntate di serie Tv che seguo.
Non so se alcune di voi hanno avuto il piacere (o il dispiacere
a seconda dei punti di vista!) di leggere l’ultimo libro della nostra
amatissima serie di Sookie. Ebbene io l’ho fatto appunto in questi giorni
(spazzolando pagina dopo pagina tutto il libro in un giorno solo) e ne sono
rimasta molto delusa. Non riesco a capacitarmi di come l’autrice abbia potuto
scegliere per lei un finale così scontato e sbagliato!
Chi di voi l’ha letto? A quanti è piaciuto il finale? Cioè io
sono sconvolta… quasi quanto lo sono della scelta di Cote de Pablo di
abbandonare la serie di NCIS! Ma come!!! Io sono una convintissima TIVA’s fan e
aspetto la loro relazione da tipo dieci stagioni e lei adesso va via… adesso
che finalmente entrambi hanno trovato il coraggio di ammettere di amarsi alla
follia! Sono sconvolta!
Ho da un sacco di tempo una storia tutta loro, su NCIS
intendo, e adesso dopo quello che ho scoperto come farò a dargli un finale
amoroso? Che barba… speriamo solo che cambi idea!
A voi piace NCIS? Lo guardate? Che ne pensate della scelta di
Cote?
Comunque, senza divagare ulteriormente, torniamo alla nostra
Sookie. Ebbene, devo ammettere che dopo aver letto come va a finire mi sono un po’
demoralizzata. Amo la coppia Sookie/Eric e non vederla realizzata mi ha un po’ spiazzata.
Avevo pensato, per la nostra ff con Sara/Eric un finale ben preciso ma ora non
so più che fare.
Mi piacerebbe sapere cosane pensate non solo sul finale ma
anche sui personaggi.
Non so ancora se inserire o meno la figura di Bill nella
vicenda… se si che ruolo fargli rivestire? Più vicino al libro o alla Serie Tv?
La vicenda dei numerosi amanti di Sookie… altra spinosa
questione. Devo ammettere che in tutta onesta, e per tutta la serie, ho sempre
ritenuto Sookie un poco farfallona. Secondo il mio modesto parere cade un po’ troppe
volte nell’idea di essere innamorata mentre poi, in realtà, non lo è davvero.
A vostro parere come potrei trattare la cosa? Anche perché mi
fa un po’ strano pensare a Sara come una che salta da un letto ad un altro.
L’evolversi del carattere di Eric … nel libro si dimostra in
un modo mentre nella serie tv alcuni aspetti di lui sono solo marginali. Il Mio
Eric è un po’ OOC, lo avrete notato, quindi vorrei farlo avvicinare un poco a
quello che è l’Eric del libro… Idee?
Ammetto di aver già scritto i prossimi 2 capitoli e di aver
già impostato gli ultimi 4-5 della fan fiction. Quindi so già come andrà a
finire… quello che mi manca è un cambio di rotta, un incidente che faccia
movimentare un poco la storia. Dovrò pensarci bene.
Infine le figure di Sam e Godric … so già che rivestiranno un
ruolo importante nella vicenda eppure ad entrambi manca qualcosina … che non
riesco ancora a visualizzare.
Beh, ora basta ciarlare. Mi farebbe molto piacere sapere cosa
ne pensate … un po’ su tutto!
A prestissimo
Irene
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Capitolo 12 *** Godric's Memories ***
10° Capitolo
Nota:
Dedico questo capitolo a Neko483 e a MariaMirella ... grazie per il vostro supporto e le vostre parole!
A presto
Irene
Godric’s Flash-back
https://www.youtube.com/watch?v=rlud7K-Hi28
“Ho viaggiato molto figlio mio …
eppure per quante cose abbia scoperto sulla straordinaria natura di Sara, non
sono riuscito a sapere poi molto dei poteri appartenenti alle sue radici
materne”
“Che significa?” domandò curioso
“Quando quell’ebrea, Sarah, si
presentò da noi non ebbi modo di informarmi a dovere sulla natura della nostra
piccola. Stava morendo, ricordi?”
Annuì e rimase in silenzio lasciandomi
proseguire
“Mi disse che sapeva poco o niente
della natura del padre”
“E’ vero, anche noi abbiamo scoperto
di lui solo grazie alle tue ricerche e ai tuoi viaggi” concordò interrompendomi
“Già, eppure quella donna aveva strane
capacità. Mi disse di discendere da stregoni della Transilvania rivelandomi
poi, che anche la famiglia di Saphira, madre biologica di Sara, lo era”
“Non capisco, padre. Stregoni? Che
poteri hanno?” domandò un poco confuso e preoccupato
“Non saprei dirlo di preciso e questo
mi impensierisce non poco. Una strana ombra di mistero ammanta, da sempre, le
origini e i poteri di questa gente. Vengono chiamati i conoscitori della
Transilvania e si dice abbiano particolari capacità. Se queste siano innate o dovute
ad accordi o patti stipulati con creature buone od oscure non saprei dirlo. Non
essendomi mai spinto così vicino quelle terre non posso né voglio azzardare
ipotesi. So di per certo che quell’ebrea aveva praticato un qualche tipo di
incantesimo su Sara, in modo da non poterle nuocere toccandola. L’incantesimo si
è dissolto poco dopo la morte dell’ebrea, eppure ti posso garantire che ne ho
percepito l’essenza ed è stato … bizzarro”
“Mhm… se così fosse Sara sarebbe un
bel miscuglio di capacità e potere” ragionò ad alta voce
“Hai perfettamente ragione e questo
non mi piace affatto. Potrebbe sviluppare capacità al di sopra del suo
controllo magari pericolose per se stessa e gli altri. Non mi piace! Non voglio
che sia in pericolo e ritengo che questi suoi poteri farebbero gola a molti,
incominciando dalla nostra stessa razza.”
“La proteggeremo” dichiarò risoluto e
sicuro di se “Non permetteremo a nessuno
di farle del male o a lei di nuocere a qualcuno”
“Questo è certo! Ma non possiamo neppure
starle con il fiato sul collo per sempre, Eric. Adesso è piccola e va bene,
tuttavia sta crescendo e, bene o male, tra qualche anno diventerà adulta. Non
so proprio come faremo a tenerla al sicuro. Il solo pensiero di saperla
indifesa o in pericolo, lo ammetto, mi riempie il petto di angoscia”
Lo vidi annuire in accordo alle mie
parole e ai miei sentimenti. Provava anche lui, ormai, un profondo affetto per
quella piccola umana e saperla al sicuro era diventato qualcosa di istintivo e
ad entrambi caro, lontanissimo dal solo senso di dovere che lo spingeva
all’inizio.
“E poi, lo vedi anche tu. Ogni giorno
che passa, diventa sempre più vivace ed indipendente. E’ così intelligente e
ricettiva da riempirmi d’orgoglio ma anche di pensieri circa il suo futuro. Sarà
difficile tenerla al sicuro senza soffocarla di attenzioni e responsabilità”
“Non per questo mi arrenderò” affermò
alzandosi in piedi “Magari litigheremo o discuteremo ma non per questo verrò
meno a quella che è la mia volontà di saperla felice e protetta”
Lo guardai e sorrisi in modo sincero.
Era in assoluto accordo con le mie intenzioni. Non ci saremmo arresi. Oramai
Sara apparteneva a noi, era nostra. La sua sicurezza coincideva con la nostra,
il suo benessere corrispondeva a quello di entrambi.
“E per la storia dei nomi? Perché ha
tre nomi?” chiese sedendosi nuovamente
*** La conoscenza del nome è la conoscenza
autentica; pronunciare il nome equivale a plasmare un'immagine spirituale,
rivelare l'essenza di un essere. Nominando si crea. Chi conosce i veri nomi,
nascosti al profano, vive un possesso. [estratto dal libro "Il mondo magico dell'antico
Egitto" di Christian Jacq] ***
“Anticamente
si credeva che la scelta del nome dato ad un bambino o bambina incidesse su
quello che sarebbe stata la vita, le vittorie e le sofferenze future di questa
creatura. L’insieme di alcune vocali e consonanti dava vita a poteri mistici
legati ad invocazioni purtroppo ormai dimenticati. Quindi dare più e diversi
nomi al proprio figlio serviva a garantirgli una vita costellata di benessere,
ricchezze, fama o vittorie … a seconda del nome prescelto. Il nome, dunque, è un vero e proprio tesoro!
Andava difeso e tutelato pena la perdita dell'identità e del proprio potere.
Ora, secondo queste credenze era possibile controllare cose e persone grazie al
loro nome, grazie agli elementi mistici presenti in quei suoni e portatori di
energia. Pronunciando le parole rituali, si usavano i suoni come materia
animata, agendo sul mondo esterno ed eventualmente anche modificarlo. Nominare
significava evocare! Una credenza che è rimasta solo parzialmente in
alcune culture odierne e completamente scomparse in altre. Probabilmente la
natura del padre biologico di Sara era ancora ricca di questi pensieri ed ha
voluto salvaguardare la vita e il benessere futuro di sua figlia.”
“E Sara che altri nomi ha ricevuto? Te
li ha confidati l’ebrea?”
“Disse di aver scelto per lei tre nomi
mentre altri nomi segreti vennero scelti ed imposti a Sara dai genitori stessi.
Sara (principessa), Evie (che dà la vita) e
Jocelin (combattente, guerriera) sono tutti nomi di origine ebraica,
naturalmente. Presto dovremmo provvedere a fare per lei dei documenti”
“Naturalmente” annuì serio “So già a chi rivolgermi. Lascia che ci pensi
io”
“Siamo d’accordo, allora” annuì compiaciuto “Ora andiamo a riposare”
QUALCHE ANNO DOPO…
“Papi?”
“Dimmi Sara” risposi alzando gli occhi
dai documenti che stavo leggendo e voltandomi verso di lei
Era in piedi, vicino alla finestra,
con la schiena rivolta verso di me e lo sguardo verso l’esterno.
Avevo notato quanto spesso si
accostava a quella finestra ad osservare, per un tempo che a me pareva infinito,
il giardino e il cielo o qualsiasi altra elemento esterno catturasse il suo
sguardo e la sua attenzione.
“Cos’è quella cosa bianca? Quella che
cade dal cielo per posarsi in terra?”
Sorrisi nel sentire la sua domanda.
Aveva una proprietà di linguaggio che
lasciava me ed Eric sempre a bocca aperta. A volte, capitava che si
ingarbugliasse con le parole e andasse a formare frasi un poco strambe tuttavia
anche in quei casi, una luminosa curiosità negli occhi le animava il viso. E
così accadeva in quel momento, quando voltandosi finalmente verso di me, mi
permise di notarla.
“E’ neve Sara. L’hai già vista prima”
le risposi delicato
Sapevo già quale sarebbe stato il suo
prossimo quesito perciò adottai un tono pacato, gentile
“Si, so che si chiama neve papi. Quello
che voglio sapere è come si forma. Di cosa è fatta? E’ perché cade solo quando
fa tanto freddo e non c’è il sole? Perché in alcuni paesi si e in altri no?”
Un sentimento simile all’orgoglio e al
compiacimento mi riempì il petto, scaldandolo come solo lei sapeva fare. La sua
curiosità ed intelligenza mi affascinavano ed impaurivano assieme.
Di
questo passo fra qualche anno quante cose conoscerà?
“La neve è un fenomeno atmosferico,
Sara, come lo è la pioggia. E’ fatta di acqua ghiacciata ed è composta da piccolissimi
cristalli che si formano in cielo quando fa molto molto freddo.”
“E poi cade giù?”
“Esatto. Cade e si deposita al suolo,
proteggendolo dal freddo e dal gelo dell’inverno”
“Ma Eric mi ha detto che la neve
diventa ghiaccio” mi domandò ancora “Se
diventa ghiaccio non vuole proteggere la terra, giusto? La inganna e la prende
in giro perché lei cade dal cielo ma poi si ritrova a terra e la terra si
ritrova sotto di lei … quindi la neve dice le bugie, Vero papi?”
Sorrisi nell’ascoltare quel suo fiume
di parole. Mi alzai e le andai vicino. La presi in braccio ed insieme ci
accostammo alla finestra
“In alcuni casi è vero, Eric ti ha
detto la verità. La neve diventa ghiaccio quando le temperature sono molto
basse”
“Sono basse perché fa freddo? E sono
alte se fa caldo?”
“Precisamente” concordai baciandole la
testolina “In altri casi, la neve non
diventa ghiaccio e rimane soffice. Quindi il terreno la accoglie in modo da
proteggersi durante l’inverno”
“Come una coperta? Come quando voi mi
mettete molte coperte quando dormo e molti vestiti quando usciamo fuori? Per
proteggermi?”
“Esatto tesoro. E’ la stessa cosa. La
neve è come un’amica per la terra, non la vuole ingannare.”
“Ma, mah … Eric mi ha detto che tutti
dicono le bugie e tutti vogliono ingannare e che io devo stare attenta e fidarmi
solo di voi quindi io penso che se tutti dicono bugie anche la neve lo aveva
fatto. Io però non le dico le bugie e non li inganno a nessuno perché Eric mi
ha detto che io non lo devo fare e devo dire sempre la verità. Tu dici le bugie
papi? E prendi in giro a qualcuno e li inganni a nessuno?”
Sorrisi nel sentirla ingarbugliarsi
nelle sue stesse frasi. Scossi la testa e mi accigliai nel sentire che razza di
discorsi Eric le facesse.
Stavo per risponderle che non dico
bugie e che solo alcuni le dicono quando entrambi sentimmo la porta di casa
aprirsi. Era Eric che rientrava con la cena per Sara. Avrei dovuto fare una
bella chiacchierata con mio figlio a proposito di quello che era indicato dire
ad una bambina di appena pochi anni e del modo in cui dirglielo.
Sara volle essere rimessa a terra e si
fiondò nell’ingresso per andare ad accogliere e abbracciare il suo Eric, così
lentamente la seguì e la vidi sbracciarsi verso di lui mentre lui, posando la
spesa a terra, la ricambiava con un sorriso radioso.
LA PRIMA VOLTA IN CUI
SARA SI AMMALO’…
“Sara?” la chiamai a bassa voce entrando nella sua stanza
senza far altro rumore “Sara? Sveglia
dormigliona”
Era sepolta da un mare di coperte e nemmeno la testa ne
spuntava fuori. Sorrisi e mi avvicinai al suo letto, scostando un poco le tende
e aprendo un filo la finestra al fine di far entrare il profumo fresco della
notte.
“Sara?” la chiamai ancora, alzando un poco la voce e,
inginocchiandomi accanto al suo letto, scostai di poco le coperte che
l’avvolgevano.
Mi allarmai subito perché rimase rannicchiata su se stessa,
tremante. Solitamente al mattino era sempre arzilla e pimpante. Adorava fare
colazione con noi mentre la sera faceva storie per andare a letto, volendo
rimanere alzata e giocare fino a tardi.
“Papi” gracchiò la sua vocina
Sgranai gli occhi quando notai il suo viso un poco rosso, gli
occhi semi-chiusi, la gola ed il collo gonfi. Le tastai subito la fronte e la guancia,
in una leggera carezza e capì cosa ci fosse di strano. Aveva la febbre.
SI ERA AMMALATA!
Per la prima volta stava male.
Per un momento mi feci prendere dalla rabbia.
Come era possibile che si fosse ammalata se sia io che Eric
eravamo così attenti e delicati con lei? Non usciva mai senza essere più che
coperta e riparata, mangiava solo alimenti freschi e adatti alla sua età.
Usavamo modi e tocchi delicati nel prenderla in braccio, lavarla e badare a
lei.
Come era stato possibile?
La sentì mugolare piano e stendersi un poco verso di me, in
cerca di un abbraccio. E solo quello riportò la mia mente alla giusta
razionalità.
“Papi” continuava a chiamarmi lei strofinandosi il visino e
allungandomi le braccia.
Sorrisi benevolo e l’accolsi al mio petto. La sentì
rabbrividire, la temperatura del suo corpo era superiore al normale e a
contatto con la mia, fredda e morta, le diede fastidio.
“Papi” mugugnò ancora tossicchiando leggermente “Ho freddo”
La sua vocina, di solito acuta e allegra, era spenta e molto
bassa. Stava proprio male.
Presi una coperta di lana pesante e l’avvolsi attorno a lei.
La tenni stretta al mio petto e scesi velocemente di sotto, in cucina. Eric era
seduto al tavolo a leggere il giornale e sollevò la testa non appena mi vide
entrare nella stanza.
“Sara è malata” annunciai con voce tesa guardandolo fisso
negli occhi
“Cosa?” esclamò precipitandosi verso di noi.
Sara continuava a lamentarsi leggermente, forse poco
cosciente ed obnubilata dalla febbre.
“Che cos’ha? E’ ferita? Cosa si è fatta? E’ caduta?” domandò agitato
prendendo quel piccolo e delicato fagotto dalle mie braccia e portandoselo al
petto
“Sara? Piccola mia … che cos’hai?” le domandò in tono gentile
Sorrisi a quella scena. Non lo avevo mai sentito rivolgersi a
lei a quel modo e con quel tono dolce. Sembrava preoccupato e forse lo era. Era
insolito per lui mostrarsi in modo così chiaro, mostrare quel che provava così
apertamente.
Forse Sara stava
cambiando anche lui come aveva fatto con me?
“Credo abbia la febbre. E molto alta” risposi io per lei
“E com’è successo? Ha preso freddo? Come la curiamo? Non
credo sarà sufficiente il nostro sangue come due anni fa” ragionò lui
allontanandosi da me per andare a sedersi in salotto davanti al camino acceso.
Fuori faceva molto freddo, eravamo in pieno inverno e
portarla da un dottore con quel tempo e con il rischio che il suo tocco potesse
farle male, era impensabile.
“Non ci resta che chiamare la Dr.ssa Ludwing e vedere se sia
possibile farla venire a casa” ragionai nella mia mente
“Godric? Come agiamo?” mi domandò Eric
dal salotto “E’ davvero molto calda … la
sua pelle scotta!” continuò sempre più allarmato
Lo misi a parte dei miei piani e preso
il mio cellulare composi in fretta il numero di quella particolare vampira.
Ero al telefono in attesa di prendere
la linea quando sentì le voci di Eric e Sara, dal corridoio
“Vedrai che guarirai presto, Sara” la stava rassicurando lui
“Ho freddo” pronunciò lei tossendo
forte “Mi fa male la gola e le orecchie
… non sento bene”
La sua vocina suonava spenta e triste
persino a me, che ero a due stanze di distanze
“Lo so, tesoro… devi solo resistere”
la consolò dolce “Godric sta chiamando un dottore che ti guarirà prestissimo.
Starai bene”
“Papi?” domandò lei tossendo molto
forte “Dov’è papi?” chiese mettendosi a
piangere
“E’ qui, Sara… no, non piangere.
Starai bene, vedrai” lo sentì ripeterle con tono angosciato
“Sto male” rispose invece lei “Voglio papi”
Lo sentì spostarsi con la poltrona,
forse per avvicinarsi di più al calore del caminetto acceso.
“Non ti vado bene io?” le domandò lui
“Abbraccio” piagnucolò lei capricciosa
“Vieni” lo sentì soffiarle
all’orecchio con tono accorato “Adesso
siamo più vicini al fuoco” continuò lui
“Hai ancora freddo?”
“Tu … sei freddo” gracchiò lei con voce
bassa
“Lo so” rispose lui con voce tesa,
quasi malinconica “E in questo momento
non sai cosa darei per non esserlo affatto … non per te”
“Ti voglio bene” borbottò lei
sbadigliando e accoccolandosi meglio al suo petto
“Anche io, tesoro … tanto … più di
quanto tu possa immaginare” le sussurrò all’orecchio, a bassissima voce
Sorrisi raggiante a quelle parole e
senza fare alcun rumore, senza farmi sentire da Eric, mi allontanai per
prendere accordi con la Ludwing.
Un’oretta dopo, la dottoressa era china sul minuscolo e febbricitante
corpo di Sara, intenta a farle un’accurata visita medica. Non fu delicata, nel
trattare con lei, e un paio di volte dovetti reprimere l’impulso di farla
volare fuori dalla finestra.
L’esito?
Sara aveva una leggera otite, febbre alta e gola infiammata.
Ci diede le dovute medicine solo dietro il pagamento di uno stratosferico compenso.
Pagammo senza nemmeno pensarci dopodiché prese i suoi strumenti, un leggero
cappotto (giusto per apparenza) e con naso all’insù uscì da casa nostra.
SARA E LA BELLEZZA…
Avevo appena finito di farle il bagno, quindi la stavo
asciugando delicatamente con un morbido asciugamano quando lei districandosi a
forza dal telo, incatenò il suo sguardo azzurrissimo al mio.
“Papi, io sono bella?” domandò secca
Rimasi un poco perplesso da quella domanda, chiedendole poi la
ragione di quel quesito
“Tutti mi dicono che sono una bellissima bambina … ma io non
so cosa significa essere bellissima. Io sono bella?”
“Sei molto più che bella, Sara. Ai miei occhi sei una
creatura stupenda” le risposi infilandole la biancheria
“E stupenda è più di bella?”
“Oh si.”
“E io posso essere bella, bellissima e stupenda?”
Scoppiai a ridere e prima di risponderle finì di infilarle il
pigiamino. “Credo di si, che tu possa
essere tutte queste cose”
“Perché?” domandò lei colpita
“Tu non lo sei?”
“Vedi Sara, la bellezza è qualcosa di tremendamente
soggettivo. E’ un insieme di elementi differenti a fare di una persona una
bellezza. Tuttavia è un aggettivo che può essere applicato non solo alle
persone ma anche agli animali, alle cose e all’ambiente”
“Non ho capito, papi” rispose giustamente confusa lei
“Non importa, capirai quando sarai più grande” risposi
prendendola in braccio ed uscendo dal bagno, diretti verso la sua cameretta
“Ma come faccio ad essere bellissima e stupenda se non
capisco quando e come succede?”
“Non è una cosa che puoi manovrare o modificare a tuo
piacimento, Sara” risposi con indulgenza
“Sono le altre persone che decidono se sei bellissima. Non sei tu che
decidi di essere stupenda” chiarì cercando di farle capire meglio il concetto
“Ma … ma quindi io non sono bella, bellissima e stupenda? Prima
mi hai detto di si!” piagnucolò quasi spaventata all’idea di non esserlo
più “Io vogliarò sempre essere
bellissima. Come faccio, se lo decidono gli altri? Devo leggerlo nella loro
mente?”
“Si dice vorrò sempre essere bellissima … e poi ti ho già
spiegato che non puoi usare i tuoi poteri sempre ed in presenza degli altri,
non sarebbe giusto lo sai” la redarguì serio
“Ascolta, il concetto di bellezza è molto difficile da
capire, alcune persone nemmeno da adulti vi riescono. Per farti capire meglio
pensa al cartone Bambi… ti piace Bambi, vero?”
“Oh, si” gli occhi le si illuminarono “Mi piacciono tanto quegli animali, i Bambi,
sono così bellissimi e il loro pelo è così morbido” il tono era trasognante
Sorrisi divertito ed entrando in camera, dove ci aspettava
Eric, continuai “Ecco, il punto è
proprio questo. A te i Bambi piacciono molto e li trovi bellissimi. Ad Eric ad
esempio, i Bambi non piacciono”
Lei si girò colpita e curiosa verso Eric, domandandogli
“Perché i Bambi non ti piacciono? E gli altri animaletti ti piacciono?” domandò
saltandogli in braccio
“Solo le pulci mi piacciono” le rispose lui con un sorriso
ironico
“Le pulci? Sono animali? E come sono fatti?” domandò ancora
con la sua solita vocina acuta
“Sono animali molto piccoli, Sara” le risposi scostando le coperte del suo letto
e prendendola dalle braccia di Eric, ve la posai sopra “Ora dormi. Buona notte”
“Papi?” domandò lei sbadigliando “Domani mi compri un libro
sugli animali? Così li imparo tutti e scelgo quelli che voglierò che sono
bellissimi e quelli che mi piacciono e conoscio anche quella pulci che
piacciono ad Eric?”
I suoi occhietti erano ormai quasi del tutto chiusi quando le
risposi con un “Certo, tesoro” per poi baciarla amorevolmente sulla guancia
Ritornai al presente, lontano da quei ricordi passati, solo
quando finalmente arrivai a destinazione. Ancora poche centinaia di metri e
sarei arrivato al rifugio di Eric.
La sua abitazione non era isolata ma non era neppure situata
nell’affollatissimo centro urbano, era un buon compromesso. Stabile e sicura,
dotata di un ottimo sistema di sicurezza e di un seminterrato assolutamente
invisibile all’esterno e impenetrabile.
Ero a pochi passi dalla porta quando fui respinto indietro da
una forte energia. Mi impediva di entrare. Riprovai nuovamente ma fui respinto
ancora, questa volta con più forza. Mi guardai intorno e non scorsi nessuno.
Feci in giro della casa e notai l’assenza di suoni ed odori provenienti dall’interno.
Mi accigliai e velocemente ritornai all’entrata.
Allungai una mano, davanti a me, riuscendo a sentire e
percepire materialmente quell’energia. Era trasparente ma esattamente come uno
scudo proteggeva la casa e chiunque vi fosse dentro.
“E’ molto simile alla sensazione che provai quando entrai in
diretto contatto con quell’ebrea…” sussurrai a me stesso sgranando gli occhi
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Capitolo 13 *** Una parola dolce può calmare un cuore arrabbiato ***
11° Capitolo
Una parola dolce può calmare un cuore
arrabbiato…
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Ero sdraiata a letto, agitata, intenta a rigirarmi fra quelle
fresche lenzuola. Non riuscivo a prendere sonno e la testa mi doleva quasi
volesse scoppiarmi da un momento all’altro.
Cosa
scatenava i miei mal di testa?
Erano
casuali o ero io stessa a provocarli?
Erano
le mie emozioni o i pensieri che, vorticando frenetici tra le pareti del mio
cranio, premevano per poter uscire?
Assurdo… cosa andavo a pensare!
Nervosa ed scossa mi alzai, tanto era unitile continuare a
rimaner sdraiata a letto senza riuscire a prender sonno. Camminai un poco per
la grande stanza che ormai dividevo con Eric, tenendomi la testa con le mani.
Il mal di testa non accennava a diminuire ed ora avevo anche
la nausea.
Decisi di andare di sopra, in cucina, per mangiare un poco e
prendere qualcosa per quel dolore assurdo che mi trapanava, da diverse ore, il
cranio.
Di sopra, notai che Eric mi aveva comprato altre confezioni
di fragole e mi appuntai mentalmente di ringraziarlo non appena fosse tornato a
casa, da lavoro. Ne mangiai due confezioni, per dessert una bustina di
analgesico, semi sdraiata sul divano. Chiusi gli occhi e pregai che facessero
effetto alla svelta.
Un’ora dopo, con le lacrime agli occhi e una nausea fortissima,
mi costrinsi ad alzarmi per spegnere tutte le luci e prendere una piccola
coperta. Mi misi seduta sul divano, poggiando la testa all’indietro in modo da
non comprimere lo stomaco e aggravare la situazione.
Il mal di testa non era passato, anzi andava peggiorando di
minuto in minuto.
Sudavo freddo e un momento dopo morivo di caldo. Lo stomaco
mi sembrava pesantissimo, avevo acidità e frequenti conati. Eppure, per quante
volte ero andata in bagno, non avevo vomitato. La situazione era rimasta
immutata e stavo arrivando seriamente al limite.
Mi capitava spesso di soffrire di mal di testa ma non erano mai
così persistenti e violenti, tanto da farmi piangere.
Ero preoccupata ed anche un poco in ansia perché non sapevo
come far cessare tutto.
Provai a sdraiarmi nuovamente, chiusi gli occhi e tentai di calmarmi respirando profondamente. Iniziai
a contare mentalmente … 1, 2, 3, 4, 5 …
Rientrai a casa, più tardi rispetto al solito e già mi
immaginavo le storie che avrebbe fatto Sara. Parcheggiai la macchina in garage,
abbassai la bascula e la sigillai con il solito lucchetto pesante. Rialzando il
capo, mi apprestai ad entrare notando, solo in quel momento, che tutte le luci di
casa erano spente e nessun rumore proveniva dall’interno. Prese le chiavi, aprì
la porta di casa come una furia. Preoccupato a morte.
Solo quando accesi la luce in sala mi accorsi di lei. Era seduta
rigida sul divano, gli occhi sgranati e le mani a tenersi il capo con forza.
Davanti a lei, vicinissimo al suo petto, andava creandosi una strana sfera luminosa.
Tentai di toccarla, di arrivare alla sua spalla, ma un
potente scudo d’energia me lo impedì. Anzi mi spedì con forza dall’altra parte
della stanza, scaraventandomi sul tavolino in vetro.
“Che cos’hai?” domandai ad alta voce “Sara!”
Lei non dava segno di sentirmi né di esser cosciente di
quanto le stava accadendo, sembrava concentrata in altro. La chiamai di nuovo,
gridando il suo nome ma con tutta probabilità non mi vedeva né sentiva la mia
voce.
Mi alzai in fretta, ripulendomi dalle schegge di vetro e
tentai nuovamente di avvicinarmi.
“Sara! Svegliati!” gridai
“Guarda cosa stai facendo!!!”
La sfera di energia sembrava ingrandirsi a poco a poco, le
sue mani sembravano aggrappate tenacemente al cuoio capelluto mentre gli occhi erano inondati di lacrime.
Fui scioccato da quella scena. Le sue lacrime avevano sempre
avuto uno strano effetto su di me.
Scossi la testa tentando di schiarirmi le idee. Fermarmi a
pensare a lei, a quanto fosse fragile ed indifesa non avrebbe contribuito a
migliorare la situazione.
Magari,
se tentassi un approccio differente…
Con lentezza esasperante, avvicinai la mia mano alle sue ma
la sua energia, quella che aveva materializzato da chissà dove, mi respinse di
nuovo.
Le sue lacrime continuavano a rigare il suo bellissimo viso e
questo mi fece scattare rabbiosamente. Erano così fastidiose e dolorose che
senza pensarci mi fiondai su quel divano e lo scossi, brutale. Lo sollevai con
la sola forza delle braccia e lo sbatacchiai più volte. Volevo gridare ancora
il suo nome, farla svegliare per fermare qualunque cosa stesse facendo ma dalla
mia gola non uscì altro che una accorata supplica.
“Sara … ti prego, smetti di fare qualunque cosa tu stia
facendo. Torna da me”
Chiusi gli occhi e posai a terra il divano. Mi accasciai
sulle ginocchia, poggiando la testa sul bracciolo del divano tentando di fare
mente locale e trovare una nuova soluzione efficace.
Appena un secondo dopo mi sentì sfiorare i capelli e sollevando
la testa la vidi guardarmi con una dolcezza in volto che mi spezzò dentro, in un
milione di pezzi.
“Sara” sussurrai avvicinando lentamente una mia mano al suo
bellissimo viso
“Sei stanco?” domandò ricambiando la carezza “Quando sei tornato? Non ti ho sentito … devo
essermi addormentata”
Ritrassi la mano come scottato e rimasi a fissarla con
sguardo serio
“Che significa?” domandai teso “Non ricordi?”
“Cosa? Che c’è … perché fai quella faccia … sei arrabbiato?”
domandò non riuscendo a capire quale fosse il motivo del mio irrigidimento
“Come ti senti?” chiesi di rimando, fiondandomi sul divano ad
abbracciarla stretto
“Bene, credo … sono stata male a causa di un tremendo mal di
testa … poi devo essermi addormentata perché non ti ho sentito rientrare” un
sorriso stanco sul volto “Come è andata
a lavoro?”
“Lascia perdere il mio lavoro … voglio sapere come stai” tuonai
in modo brusco, iniziando a tastarle la fronte e le braccia e il collo
Ero morto di paura, qualche minuto prima, nel vederla preda
di quella strana situazione. Ora sembrava non solo che lei non ricordasse nulla
ma che non avesse riportato conseguenze dall’accaduto.
“Io sto bene. Perché continui a chiedermelo?”
Mi guardava negli occhi un poco accigliata e solo allora mi
accorsi che il suo sguardo era ancora bagnato di lacrime. Le avvicinai i
pollici agli zigomi e con calma glieli asciugai non resistendo poi a lasciarle
un lieve bacio a fior di labbra.
Le tenni la testa vicino alla mia, fronte contro fronte,
mentre le mie mani le accarezzavano il collo.
“Eric cosa c’è? Sembri … turbato” sussurrò avvicinandosi con
il resto del corpo “Parlami, non riesco a leggerti nella mente, lo sai … non
con te”
“E’ quasi una fortuna, a volte” sussurrai, scostandomi poi
per baciarle la fronte
“Vieni, parliamo giù … in camera nostra. Sono stanco. Ho
bisogno di una doccia e di cambiarmi”
“Va bene”
Mi alzai per primo e mi voltai appena in tempo per vederla
scivolare a terra. Le erano cedute le gambe, quasi fosse senza forze.
Si guardò lentamente per poi riportare lo sguardo su di me
“Credo di non sentirmi molto b-”
Non riuscì a finire la frase perché si addormentò prima.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare alle mie braccia. L’unica cosa che riuscì a
fare fu prenderla in braccio e portarla di sotto senza dire una parola.
Ero sotto il getto della doccia da quasi due ore eppure mi
rifiutavo di uscire. L’acqua calda mi scorreva sul corpo, lenta, e sembrava
essere l’unica cosa capace di tenere a freno la mia rabbia e la mia paura.
Non
so nemmeno per quale motivo io sia così arrabbiato…
Avevo voglia di urlare e scatenare la mia ira.
Avevo voglia di azione e movimento eppure non potevo fare
altro se non rimanere in quella maledetta doccia, rinchiuso tra due pareti di
marmo.
Che cosa avrei dovuto
fare? Raccontarle tutto quello che aveva fatto o tacerglielo? Come mi sarei
dovuto comportare?
Godric
avrebbe sicuramente saputo come agire…
… il giorno seguente…
Cominciai di nuovo a perdere sangue dal naso, quel dannato
mal di testa era tornato un’ora prima e nonostante l’assunzione di ben due
analgesici non era sparito. Cominciavo a sentirmi di nuovo debole.
Buio.
Avevo bisogno di buio assoluto e di silenzio.
Mi sdraiai sul divano dopo aver oscurato tutta la stanza. Ripresi
a respirare lentamente e tentai di calmarmi. Forse se mi fossi addormentata, sarei
riuscita a farlo passare.
Ieri
sera ha funzionato…
Quando riaprì gli occhi erano passate un paio di ore, era
appena l’una di notte. Il mal di testa era diminuito e il mondo aveva smesso di
vorticarmi attorno. Provai a sollevarmi, lo feci lentamente e con la massima cautela.
Mi diressi in cucina perchè avevo una fame da lupi. Mangiai
in piedi, appoggiata al frigo. Vampate di caldo soffocavano la mia pelle e rimanere
vicinissima alla parete del frigo mi trasmetteva una sensazione di frescura,
davvero piacevole.
Quei
dannati analgesici non funzionano per nulla!
Stavo per tornare in salotto a distendermi quando una fitta
alla tempia mi stordì d’improvviso. Mi ritrovai a barcollare colta da vertigini
e nausea. Appoggiai la schiena al muro e lentamente mi lasciai scivolare a
terra.
“Ma che cavolo mi succede?” biascicai con le lacrime agli
occhi
Sentì solo in lontananza il telefono di casa suonare. Poi la
suoneria del mio cellulare.
Non pensai nemmeno per un momento di andare a rispondere. Non
vi sarei riuscita. Mi presi la testa fra le mani e pregai con tutta me stessa
che finisse tutto presto.
Voglio
stare meglio, voglio stare bene.
“Non risponde nessuno” mi annunciò Pam entrando in ufficio
Ero in piedi col cellulare tra le mani e stavo provando a
chiamarla da diversi minuti. A Pam avevo ordinato di chiamare a casa mentre io
provavo sul suo cellulare. Non rispondeva nessuno.
“Merda!” imprecai ad alta voce
Possibile
che stia ancora male?
Un gigantesco lampo di preoccupazione e paura mi attanagliò
lo stomaco.
Forse,
non avrei dovuto lasciarla a casa da sola.
Non
puoi starle sempre appiccicato al culo, cazzo! E’ adulta ed autonoma!
Pam mi guardava incuriosita e confusa, appoggiata alla porta.
Sollevai lo sguardo e mi volsi verso di lei
“Fai andare via tutti. Chiudi il locale” ordinai mentre
raccattavo le poche cose presenti sulla scrivania
“Cosa?” mi domandò scioccata “Che diavolo stai dicendo, Eric?”
Era stupita, incredula e a buona ragione. Purtroppo in quel
momento non avevo tempo di spiegarle i dettagli, avevo bisogno che mi seguisse
subito a casa.
“Fai come ti ho detto, Pamela” ordinai deciso, sollevando di
scatto la testa verso di lei
Raramente la chiamavo con il suo nome completo e quando lo
facevo era per imporre la mia volontà sulla sua. Si trattava di ordini che non
poteva assolutamente discutere.
“Bene” sibilò infastidita, precipitandosi ad eseguire
Salimmo in macchina velocemente e qualche minuto dopo eravamo
a casa. Notai subito che le luci erano spente e dentro di me pregai
intensamente che lei stesse bene.
“Come mai è tutto spento? Dov’è Sara?” domandò Pam scendendo
dalla macchina
Arrivai alla porta e l’aprì velocemente. Accesi la luce e i
miei incubi si concretizzarono all’istante.
Sara era riversa a terra e sembrava svenuta.
Mi precipitai da lei gridando il suo nome “SARA!!!”
La presi tra le braccia e le sfiorai il viso. Non dava segni
di ripresa ma per fortuna non era preda di quella strana crisi che l’aveva
colpita la sera prima.
“Che cos’ha?”
“Non lo so” risposi prendendo in braccio quel suo fragile corpo
umano
“Sara, piccola mia…” sussurrai al suo orecchio a voce bassissima
Pam, capendo le mie intenzioni, liberò il divano e lo sistemò
permettendomi di posarvela sopra.
Le accarezzai delicato la fronte e la trovai fresca, non
aveva febbre. Corsi in cucina e presi una pezzuola di stoffa e un piccolo
catino, riempiendolo di acqua.
Tornai accanto a lei e cominciai a bagnarle la fronte, il
collo e i polsi. Non sapevo cos’altro fare e mi volsi verso Pam come in cerca
di aiuto.
“Forse dovremmo sollevarle le gambe … potrebbe aiutare”
borbottò dandosi da fare
Non so quanto tempo fosse passato quando notai che lentamente
stava riaprendo gli occhi e tornando cosciente.
“Hey” sussurrai
Era tutto quello che riuscì a dire. Non mi ero allontanato da
lei e non lo avrei fatto sino a quando non si fosse alzata anche lei. Pam era
al mio fianco, in piedi, rigida e silenziosa.
Sarebbe
stato sempre così?
Sarei
morto ogni volta che si fosse sentita male e sarei risorto solo quando si fosse
ripresa?
E che ne era stato del mio carattere? Del mio
modo di fare e di essere? Perché spariva del tutto in sua presenza?
Perché
mi risultava così importante ed essenziale?
Perché
mi scatenava tutto quel sentire quando avevo fatto della mia esistenza una
distesa eterna ed oscura di insensibilità totale?
La porta di casa si spalancò d’improvviso, proprio in quel
momento, e l’autoritaria figura di Godric entrò velocemente.
Arrivò vicinissimo a noi, in pochi istanti, accovacciandosi ad
accarezzare con una dolcezza ultraterrena, che gli invidiavo e che mai mi
sarebbe appartenuta, il livido viso di Sara.
“Papi” sussurrò lei con un sorriso stanco
Mi sollevai di scatto e lasciai il posto a lui, che si
accomodò vicino ai suoi piedi prendendoli sulle sue ginocchia
“Stai meglio, figlia mia?” domandò sollecito, prendendole una
mano tra le sue
“Ora si” risposi io per Sara “Ma è stata molto male ... anche ieri sera”
continuai con tono duro “C’è qualcosa
che non va”
“Lo so bene Eric … la casa è circondata da un alone di energia
molto forte … a tratti è impenetrabile”
“Cosa?”
Mi voltai verso Pam che aveva trattenuto il fiato sorpresa
poi gli domandai “Credi che sia lei?”
“Sono sicuro che sia opera di Sara … ero fuori da qualche
minuto e solo adesso sono riuscito a passare … e quell’energia è ancora qui …
tutta la stanza ne è pervasa” mi spiegò sempre senza distogliere lo sguardo da
Sara, che si era riaddormentata
“E’ fortissima… com’è possibile che tu non riesca a
percepirla?” mi domandò voltandosi e guardandomi, finalmente, per la prima
volta da quando era arrivato
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