Love is not a fairytale

di Juliet88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** A big surprise ***
Capitolo 3: *** SMS - sotto mentite spoglie ***
Capitolo 4: *** Anche se è amore non si vede ***
Capitolo 5: *** Abito da sposa cercasi ***
Capitolo 6: *** Amore: agitare bene prima dell'uso. ***
Capitolo 7: *** Shall I go? ***
Capitolo 8: *** Love is a losing game ***
Capitolo 9: *** It's all about me ***
Capitolo 10: *** Last tango, then Europe ***
Capitolo 11: *** I will always love you ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Blair's POV Quella mattina ebbi un risveglio poco gradevole. La colpa fu, come al solito, della maldestria di Dorota, che involontariamente aveva rovesciato dell'ottimo caffè arabico sul tappeto persiano della mia camera. Con fare annoiato, quasi fosse una routine, tolsi la mia mascherina per il sonno, ed osservando il disastro irreversibile urlai: "Dorota, guarda cosa hai combinato! Ma dove hai la testa?!" . "Mi scusi, signorina Waldorf, sono davvero mortificata". Stavo per controbattere alla sua solita risposta, quando, casualmente, guardai l'orologio; le nove del mattino. Spalancai gli occhi. "La riunione! La riunione! È tardissimo, Dorota! Perchè non mi hai svegliata prima?!" chiesi, adirata. "Ma signorina, io ho provato a svegliarla, ma ieri ha praticamente fatto piazza pulita alla mia riserva di Vodka, nemmeno Tom Cruise sarebbe riuscito a svegliarla! ". Oh, ecco spiegata la mia emicrania, era il postumo di una sbronza! In fretta e furia feci una doccia, indossai un abito beige di Dolce&Gabbana, che tra l'altro, avevo comprato solo per far dispetto ad un altra ragazza arrivata dopo di me, louboutin nere e borsa rossa di Dior. Mi truccai mentre Dorota mi ripeteva insistentemente di mangiare la colazione, che alla fine piú per disperazione che per vero appetito trangugiai in un solo boccone. Scesi in strada e trovai la mia limousine nuova di zecca, con tanto di autista tirato al lucido. Sul sedile posteriore cercai di rilassarmi prima di arrivare in ufficio, cosí, afferrai il quotidiano, e vidi, in prima pagina, quel viso fin troppo conosciuto. Il viso di Chuck Bass. Inaspettatamente, fui colpita da una morsa allo stomaco. Da qualche anno, ormai i rapporti tra me e Chuck si limitavano strettamente agli affari ed al lavoro; lui possedeva una parte della Waldorf designs, ed io possedevo una quota nelle Bass Industries, per volere di Eleanor e Lily. Ed io, ingenuamente, accettai pensando che tutto ció mi potesse, in qualche modo, riavvicinare a colui che fino a poco tempo prima, reputavo "l'uomo della mia vita", ottenendo, poi, l'effetto contrario. Da quando ci eravamo definitivamente lasciati, tre anni prima, Chuck cambió completamente, si concentró esclusivamente sul lavoro, mettendo da parte famiglia, amici e me. Sinceramente, non ricordo nemmeno piú l'ultima volta che mi ha rivolto un semplice "ciao". I miei pensieri furono interrotti dal rumore stridulo dei freni sull'asfalto, e contro la mia volontà, una nuova giornata di lavoro mi aspettava. Mi diressi spedita verso la sala conferenze dell'empire hotel, accompagnata dal rumore dei tacchi sul parquet. Apparentemente tranquilla, non potevo immaginare la svolta che quella mattina la riunione avrebbe preso.

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Capitolo 2
*** A big surprise ***


A big surprise Blair's POV

Arrivai dinanzi a quella porta di legno pregiato, notando subito la piccola ed elegante targhetta dorata con scritto "Riservato", ed avvertii subito un senso di ansia e nervosismo, quasi dovessi affrontare un'interrogazione. Mi sistemai l'abito, i capelli, tirai un ultimo sospiro ed entrai. La situazione in cui trovai tutti gli azionisti, i finanziatori ed i posseditori di una quota nelle Bass Industries fu totalmente differente dall'atmosfera che la mia mente, a dir poco fervida, si era immaginata. Vidi innumerevoli bottiglie di
Champagne Perrier Jouet Belle Epoque, accompagnati da un'infinita serie di flute. Vidi le persone che più contavano a New York ridere, e fare conversazione, come delle casalinghe in una delle loro riunioni da "Club del libro".Totalmente disorientata i miei occhi cercarono un punto di riferimento ed in meno di un secondo dopo scorsi, a capotavola, con la giacca sbottonata e la cravatta allentata, Chuck Bass. Quando mi notò la sua espressione cambiò radicalmente, passando da un'espressione divertita e rilassata, ad un espressione più seria e compita. Tutti gli uomini d'affari dentro quella sala si avvicinarono a me per scambiare un segno di saluto, tutti, tranne l'unico che volevo davvero salutare, che continuava a guardarmi con un'espressione preoccupata che non potevo capire. Finiti tutti quei convenevoli, arrivai, finalmente, al mio posto e, sicura che la riunione sarebbe iniziata di lì a poco, tirai fuori tutti i documenti dalla mia cartella da lavoro griffata Louis Vuitton.
Ma mi sbagliavo. Tutti continuarono a festeggiare indisturbati. Allora, infastidita, dissi: "Beh? Cosa festeggiamo quest'oggi? Non che debba esserci un pretesto per festeggiare, ovviamente". Un uomo sulla trentina, con un'orribile cravatta azzurra, il cui nome credo fosse Phil disse, sghignazzando: "Non lo sai? Come fai a non esserne a conoscenza?!".
Essere a conoscenza? A conoscenza di cosa?
"Paul, -
Ah, ecco Paul, si chiamava Paul- secondo molti di noi, hai bevuto un po' troppo Champagne", disse Chuck.
"No, Blair fa parte della compagnia, deve saperlo almeno prima dei giornali!" disse Phil/Paul.
La mia curiosità aspettava, impaziente, di essere saziata.
"Paul, non..." Chuck stava per continuare la frase ma fu interrotto.
"Blair! Chuck si sposa!".
Mi ci vollero cinque secondi, o forse più, per capire bene quanto affermato da quell'idiota sbronzo.
"Chuck si sposa!"
"Chuck si sposa!" "Chuck si sposa!"
Quelle parole riecheggiavano, quasi a duplicare, triplicare il dolore che quella frase mi aveva inflitto.
Il mio sguardo diventato ora vuoto, ora colmo di rabbia, ora rassegnato, andò subito a Chuck, che ricambiò.
Mi sentivo un groppo in gola grande quanto il mondo, e, come se non bastasse, la minaccia di lacrime si faceva sempre più insistente.
"Devo uscire, non posso farmi vedere in questo stato. Io sono Blair Waldorf" pensai.
Mi dileguai con una scusa qualsiasi, ed andai nella terrazza dell'Empire Hotel.
Il vento che mi scompigliava i capelli ebbe, paradossalmente, la capacità di calmarmi.
"Blair..." disse quella voce che avrei riconosciuto tra mille altre.
E tanti saluti alla calma regalatami dal vento.
"Chuck..." fu tutto quello che riuscii a dire".
"Blair, davvero, te l'avrei detto..un giorno di questi, mi dispiace che tu l'abbia dovuto scoprire in questo modo"
"No, Chuck, è tutto a posto, davvero. Io e te non stiamo più insieme da un bel pezzo. Credo..credo sia legittimo voler andare avanti.."
Chuck continuava a guardarmi, probabilmente per capire se ciò che provavo corrispondesse a ciò che gli stavo dicendo.
"La cosa che più mi ha sorpreso è che non sapevo nemmeno che fossi fidanzato!" continuai, cercando di sdrammatizzare con un sorriso. Ero brava a nascondere le mie emozioni, ma Bass mi conosceva troppo bene. Sapeva quando mentivo.
"Già, in realtà non stiamo insieme da molto, ma è una brava ragazza, e...la amo. Quindi, mi son detto, perchè aspettare?
"...La amo".

"Non te l'ho detto prima perchè, pensaci un attimo, non ci parliamo da anni...Cosa dovevo fare, venire a casa tua a prendere un caffè e dirti che mi sposavo? Continuò, nervosamente.
"H-hai ragione, ma non mi hai ancora detto il nome!". Affermai, cercando di sviare il discorso.
"Beh, probabilmente non la conosci. Si chiama Catherine, Catherine Duforth, lavora presso la filiale delle Bass Industries in Australia, è davvero simpatica. Sono certo che vi piacereste se vi conosceste...
Un po' improbabile, pensai...ma volevo conoscere quella donna, volevo conoscere la donna che aveva fatto innamorare Chuck, per la seconda volta.
"Beh, perchè non organizzi una festa di fidanzamento, o qualcosa di simile? Sarò felice di conoscerla" dissi nel modo più convincente possibile.
"D'accordo" fu la sua risposta, sollevando il sopracciglio destro.


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Capitolo 3
*** SMS - sotto mentite spoglie ***


SMS - sotto mentite spoglie La mattina dopo mi svegliai solo grazie alla luce del sole, proveniente dalle grandi finestre della mia stanza, che Dorota aveva aperto nel disperato tentativo di persuadermi ad abbandonare il mio caldo letto. Non volevo, non volevo mettere i piedi per terra, perchè sapevo che avrebbe significato affrontare un'altro giorno, fare i conti con la realtà in cui mi trovavo. I miei pensieri furono interrotti da quell'accento polacco, che in fondo, adoravo. "Su, signorina Blair il sole è alto in cielo, e lei deve alzarsi da quel letto", disse ad alta voce Dorota. Per tutta risposta mi portai il piumone rosa cipria di seta alla testa, coprendo tutto il corpo. Dopo vari tentativi e sbuffi da parte di Dorota, fui sorpresa, però, dall'unica voce che quella mattina volevo davvero sentire. "Ora ci penso io, Dorota, vai pure".
"E' così testarda! Questa mattina non vuole proprio alzarsi, nessuno sa il motivo. Solo lei può riuscirci, signorina Serena!
Sentìì una leggera risata provenire da Serena, mentre Dorota abbandonava la stanza, anche se, sicuramente, avrebbe origliato tutto.
"B, che succede? E' domenica, tra un'ora comincia il Brunch a casa mia! Cosa fai ancora in pigiama?"
Feci capolino dalla coperta, e cercando di imitare al meglio possibile la voce di un'influenzata dissi: "Benso che passerò oggi, S. Non mi sendo affaddo bene, credo di aver beccado l'influenz...etciù!" - Il peggior finto starnuto nella storia del mondo - .
Serena mi guardò di sottecchi, aveva capito, ovviamente. "B, non c'è bisogno di mentire. Che succede?" domandò.
A questo punto continuare con la recita sarebbe stato inutile.
Non sapevo se era meglio parlarle, e mostrare ogni mia debolezza, o tacere ciò che mi affliggeva, conservando almeno un po' della dignità che mi rimaneva. Continua a guardarla mentre studiava la mia espressione. "D'accordo, d'accordo" dissi. "Ma, in realtà, credo tu lo sappia già". Aggrottò le sopracciglia, e dopo pochi secondi esclamò "Oh..."
Una lacrima mi rigò il viso. Perchè piangevo? Che senso aveva piangere? Io sono Blair Waldorf, pensai, nessuno, nemmeno quel Bass poteva disporre della capacità di cambiare il mio umore. "In realtà, B, io lo sapevo già da tempo...". "Cosa?", urlai.
"Blair, non potevo dirtelo io! Chuck mi ha pregato di non dirti nulla, doveva farlo lui, al momento debito." "Ed il momento debito sarebbe a poco più di un mese dalle nozze?"
"Non arrabiarti con me, non l'ho detto anche perchè, nonostante ti ostini a nasconderlo, so che sei ancora innamorata di Chuck".
"Io non sono innamorata di Chuck." risposi, secca, dopo un momento di silenzio.
"Smettila, B. Per quale altro insano motivo dovresti ridurti in questo stato? chiese.
"Sai una cosa? Hai ragione! Che si sposi ed abbia una vita felice con quella Catherine, non m'importa più nulla" risposi, alzando il tono della voce. E così dicendo, mi alzai dal letto in un balzo solo, fiondandomi nella cabina armadio, vestirmi, e prendere parte a quel dannato Brunch.
 Cercai di prepararmi più lentamente possibile, in modo da prendere tempo, ma feci sempre troppo in fretta.
Dissi a Dorota di chiamare George, che fu da me in un lampo. Così salimmo sulla limousine, e partimmo.
Per mia fortuna durante il viaggio verso l'appartamento dei Van Der Woodsen incontrammo molta confusione, e ne approfittai per rilassarmi. Il tentativo fallì miseramente quando Serena disse che al Brunch sarebbe venuto anche Chuck, probabilmente in compagnia della futura mogliettina. Disgustoso.
Quando arrivammo al loft, uscì dall'ascensore con un'espressione fredda, nel caso in cui ci fosse stato Bass. Ma lui, fortunatamente, non c'era ancora. Non appena Lily mi vide, mi venne in contro, come se non mi vedesse da anni. Abbracciai Rufus, e per mia sorpresa vidi anche Eric e Jenny. Non vedevo Jenny dai tempi del liceo, da quando l'avevo "cacciata" da Manhattan. Mi guardava con degli occhi, che tradivano un'espressione mista tra la paura e la tristezza. Le feci un sorriso, per rassicurarla. "Ormai non ero più un'adolescente, ero cresciuta. Eravamo cresciuti tutti. Non aveva più senso portarle rancore", pensai.
Ci sedemmo sul divano, e mi raccontò come la sua carriera stilistica si avviasse sempre più, mi disse che aveva lavorato per stilisti del calibro di Gucci, Vivienne Westwood, Elie Saab, Yves Saint Laurent. Ero contenta per lei, in fondo quando lavorava per mia madre avevo intravisto alcuni dei suoi modelli, era davvero brava. Così mi venne un lampo di genio. All'atelier Waldorf, avevo da poco licenziato una delle disegnatrici, in quanto aveva creato un sito web contro di me, e nessuno, aveva il coraggio necessario vista la mia severità, famosa a New York. Ma Jenny Humphrey avrebbe potuto tenermi testa. "Ehy, Jenny", dissi interrompendola dal suo monologo.  "Avrai saputo che mia madre Eleanor ha voluto che fossi io ad occuparmi dell'Atelier..." . "Sì, certo!" esclamò. "E stai anche facendo un gran lavoro! " . "Già!" , "E...mi stavo chiedendo se ti andasse di lavorare per me". "C-cosa? Sei sicura? Cioè, certo che mi andrebbe! Ma..." , "No, niente ma. Ci vediamo domani all'atelier."
Mi sorrise, ed andò ad aiutare il padre con i suoi mitici waffle.
A quel punto sentì il "tin" dell'ascensore, insieme ad una scontatissima morsa allo stomaco.
Serena mi sorrise, e mi guardò quasi ad infondermi calma. Dovevo, almeno, provarci.
Bass uscì dall'ascensore con la sua solita andatura che mi innervosiva non poco. Aspettavo di vedere una seconda figura accanto a lui, ma, sorprendentemente, non arrivò nessuno, e mi sentii triste e sollevata al tempo stesso.
Salutò Lily, Serena, e tutti gli altri, tranne me. In realtà, non mi aspettavo un suo saluto, erano anni che non  lo faceva, ci avevo fatto l'abitudine...ma inaspettatamente mi rivolse un sorriso ed un cenno con la testa, a cui risposi con un gesto della mano. Wow, è già qualcosa, pensai.
"Charles, non hai portato Catherine con te? Come mai?" domandò Lily, esortandoci a sedere a tavola.
"Beh, in realtà c'è stato un contrattempo con la filiale australiana, ed ha insistito perchè se ne occupasse lei"
"Ma che brava ragazza" dissi involontariamente. E Chuck mi guardò.
Fortunatamente Jenny cambiò argomento, e rivolgendosi a Rufus e Lily comunicò entusiasta l'offerta di lavoro che le avevo fatto poco prima. E Chuck mi guardò nuovamente, con aria sorpresa.
Dopo le congratulazioni a Jenny, ed i ringraziamenti di Rufus, cominciammo a mangiare.
Lo squillo del mio cellulare ruppe il silenzio che si era creato, così, domandando scusa, guardai il mittente del messaggio: Numero Sconosciuto..."Strano", pensai. Decisi di aprire ugualmente l'SMS, ma il testo era ancora, se possibile, più inconsueto.
"So che conosci Chuck molto bene, e so anche che lui si sta per sposare. Ho bisogno di parlare con lui, ti prego aiutami. E.F."
Senza pensare, il mio sguardo andò a Chuck, che mi guardò, confuso.
Mi serviva una scusa.
"Scusate, mi sarebbe piaciuto trattenermi ancora, ma io devo andare all'atelier, un'apprendista ha combinato un pasticcio con i vestiti della nuova collezione..."
Mentre mi alzavo da quel tavolo di  vetro rotondo, ci fu un "Ciao" all'unisono, anche se nel saluto di gruppo non riconobbi la voce di Chuck.
Stavo già uscendo, quando sentii Bass alle mie spalle. "...Blair!"
Mi voltai.
"Chuck, che succede? "
Mi aveva scoperta. Ma perchè devo sempre essere così facile da scoprire? E adesso che gli dico?
"Oh, niente, niente di cui preoccuparsi. Ricordi quando mi hai detto di organizzare quella festa di fidanzamento?" domandò
"Si, certo che ricordo..." risposi, sollevata.
"Beh, ho pensato che non è una cattiva idea, così ho deciso di organizzare la festa in questione per domani sera, e ci tenevo a darti l'invito personalmente.
La busta dell'invito era lilla, con dei fiori abbinati come ornamento, riconobbi il buongusto di Chuck.
"Oh, non posso certo perdermi l'occasione di conoscere la ragazza che ti ha fatto perdere la testa..." dissi, con un sorriso accennato ed una punta di spontaneo sarcasmo.  "Ci sarò sicuramente" continuai.
Mi sorrise e si girò per ritornare dagli altri.
Mentre io tornai alla mia auto leggendo e rileggendo il testo di quel messaggio.

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Capitolo 4
*** Anche se è amore non si vede ***


Anche se è amore non si vede Passai la successiva notte completamente insonne, e non c'era nulla di peggio di una Blair Waldorf nevrastenica. Contrariamente a quanto pensavo, trovare un investigatore privato su internet non era affatto facile e solo al mattino realizzai che era piuttosto normale.
Erano le sette del mattino, e stanca di fare tentativi vani, chiamai Dorota per un caffè, che arrivò, stranamente, prima di quanto mi aspettassi. Solo dopo scoprii che il caffè non era esattamente una buona idea. feci una doccia calda allo scopo di rilassare i miei nervi. Quando fui pronta, George mi portò all'atelier per un'altra giornata di lavoro. Fin qui tutto normale, direi.
Durante il viaggio verso il mio ufficio, mentre pregavo per un segno, o qualcosa di simile, fui illuminata da un lampo di genio.
Avevo riflettuto a lungo su cosa potessero significare quelle due iniziali poste alla fine del messaggio, senza trovare una risposta che avesse un senso.
"Che stupida! Come ho fatto a non pensarci subito?" mi rimproverai, ad alta voce.
"Signorina Blair? Tutto bene?" disse George, con un'espressione allibita dipinta sul volto. Avrà sicuramente creduto che io sia pazza.
"Si, George. Tutto alla grande". Risposi, su di giri.
Elizabeth Fisher. Ecco chi era,
Non c'era altra spiegazione . Elizabeth Fisher! La presunta madre di Chuck!
Ma...perchè aveva deciso di contattare proprio me?
Non appena arrivai in ufficio, decisi di continuare le ricerche iniziate la notte precedente. Ma stavolta era diverso, stavolta avevo una pista. Dissi a Helen, la segretaria, di non voler essere disturbata per nessuna ragione. Così dicendo annuì con il suo sguardo intelligente, motivo per il quale l'avevo assunta, e ricominciò a picchiettare nervosamente sul computer.
Improvvisamente, una rinnovata intuizione. Era il mio giorno fortunato, mi ricordai del Sig. Smith. "Cristopher Smith!", esclamai.
Non lo sentivo dai tempi in cui gli chiesi di cercare notizie riguardo Chuck, quando io ero a Parigi, e lui a Praga, a terra, sanguinante.
Pregai di avere ancora il suo numero in rubrica, mentre scorrevo impaziente la lettera "C".
"Cristopher Smith, eccolo!", pensai.
Decisi di chiamarlo subito.
Dopo molti squilli una voce roca, ma professionale, mi disse prontamente "Risponde Cristopher Smith, con chi ho l'onore di parlare?"
"Sig. Smith? Sono Blair, Blair Waldorf, si ricord..." Non mi lasciò terminare la frase che subito intervenne entusiasta.
"Oh, si certo! Da quanto tempo Signorina! Come sta?
"Bene..." tagliai corto. 
"Come mai mi chiama?
"Beh, se si trova nei pressi di New York preferirei parlarne di persona....".
Bofonchiò qualcosa, per poi dire "...D'accordo, d'accordo. Cercherò di essere da lei per le quattro del pomeriggio".
Gli diedi l'indirizzo, e chiusi la telefonata.
Subito dopo sentii bussare qualcuno alla porta. Mi sembrava di aver detto ad Helen di non essere disturbata, evidentemente non era poi così intelligente.
"Signorina Waldorf, mi scusi. So che ha specificatamente detto di non volere visite, ma c'è una certa Jenny Humphrey che continua ad insistere..." disse, dispiaciuta.
Jenny. Mi ero completamente dimenticata di Jenny.
"Oh, sì. Falla entrare pure".
"Ehy, Blair!". Alzai gli occhi per salutarla, ed era stracolma di bozze, figurini, stoffe, raccoglitori...
Non potei fare a meno di ridere, ed aiutandola a liberarsi le mani le chiesi se andasse tutto bene.
Mi rispose che stava benissimo, e gentilmente mi invitò a dare un'occhiata a tutto ciò che aveva portato.
Sorrisi nuovamente. "Jenny, forse ci siamo fraintese ieri..."
"In che senso?" disse, allarmata.
"Non c'è bisogno di alcun colloquio! So già del tuo talento, puoi considerarti assunta!" dissi, sincera.
"Beh, grazie. Non so davvero cosa dire" fu la sua risposta.
"Non devi dire nulla, devi solo metterti al lavoro...domani ho in programma di presentare la mia nuova collezione, e vorrei davvero introdurre un modello disegnato da te. So che è pochissimo tempo, quello che ti chiedo è davvero un miracolo."
Accettò, ed evidentemente euforica, lasciò il mio ufficio.
Il resto della mattina passò quasi subito, impegnata com'ero tra l'organizzazione della sfilata, e la messa a punto degli ultimi modelli, mentre aspettavo un capolavoro dalla piccola J.
Avevo deciso di saltare il pranzo, non potevo distrarmi dal lavoro e da tutto il resto, ma inaspettatamente vidi arrivare Serena che mi invitò, anzi no, mi obbligò a pranzare con lei. Arrivate al ristorante, mangiai tutto velocemente, perchè non volevo rischiare di tardare all'appuntamento con il sig.Smith, sotto lo sguardo sbalordito di Serena, che mi parlava costantemente di Dan. Dan, Dan, Dan ed ancora Dan. Sorrisi, mi piaceva vedere la mia migliore amica felice. Tuttavia,  mi dileguai con una scusa qualsiasi, e tornai all'atelier.
L'investigatore fu in anticipo, e tutto sommato, non fece neanche troppe domande, malgrado questo fosse il suo lavoro. Semplicemente mi ascoltò, e si fece bastare quanto da me riferitogli. Cominciava a piacermi.
Lasciò la stanza dicendo semplicemente "Se scoprirò qualcosa, glielo riferirò senz'altro". Il che non mi diede molte speranze. Gli anticipai, comunque, una parte della ricompensa, in termini di denaro.
Tornai a casa prima del solito, anche perchè dovevo prepararmi per la "festa di fidanzamento" di Chuck. Il luogo sarebbe stato il Palace...molto scontato, direi.
Feci una lunga doccia, indossai un'abito di Oscar De La Renta, bianco e nero, abbinato a delle scarpe Gucci e pochette, entrambe rosse.
Nella limousine non potei fare a meno di provare un senso d'ansia e nervosismo, e mi sentii stupida per questo.
Per di più Christopher Smith non aveva chiamato in tutto il pomeriggio... cominciai a dubitare della sua professionalità.
Arrivai al Palace, e vidi la sala del ricevimento agghindata sfarzosamente: Champagne, buona musica, e fiocchi dappertutto.
Vidi subito Nate, che abbracciai, in compagnia di un'altra delle sue solite fidanzate-arrampicatrici sociali; questa volta era il turno di una certa Emma. Serena con Dan, ovviamente, e poi vidi Chuck. Chuck e, alla sua destra, una ragazza mora, non molto alta ma, devo ammetterlo, graziosa in viso. Appena Chuck mi vide, prese la moretta per la mano, mentre veniva verso di me.
"Ehy, Blair, sei venuta!"
"Già, non potevo mancare..." risposi, sforzando un sorriso.
"Ti presento Catherine, la mia..."
"So chi è" non volevo che dicesse quella parola, sarebbe stato ancora più reale.
"Piacere di conoscerti, Catherine, io sono Bl..." Mi sforzai di essere più carina possibile, ma fui interrotta.
"Anch'io so chi sei!" disse con la sua voce squillante, ed il suo accento australiano.
Per un attimo pensai che sapesse tutto. Che sapesse tutto riguardo me, Chuck, e tutto ciò che c'era stato, tutto ciò che eravamo stati.
Ma poi aggiunse:  "Seguo la Waldorf Designs da quando c'era ancora tua madre Eleanor alla guida dell'atelier..."
Ah, ecco a cosa si riferiva.
Continuò a parlare e a parlare, ed io che facevo solo finta di prestare attenzione a ciò che diceva, in realtà guardavo Chuck, che parlava a sua volta con i finanziatori delle Bass Industries.
"Da quanto tempo conosci Chuck?" domandò, improvvisamente.
"Beh, ci conosciamo più o meno dalle elementari..."
"Wow, e com'era? Voglio sapere tutto di Chuck!" disse, quasi urlando.
Non nascondo che la domanda m'infastidì un po'. "Lui...lui era un'adolescente un po' strano...all'apparenza sembrava come tutti gli altri; un donnaiolo, a cui non fregava altro che se stesso ed il sesso. Ma era esattamente il contrario, -sorrisi- .E piano piano, con gli anni è diventato l'uomo meraviglioso che è adesso. Tu...tu sei davvero fortunata". Dissi, forse un po' troppo sincera.
E me ne andai. Dovevo parlare con Chuck. Lui si meritava di avere una famiglia, e non potevo nascondergli di aver ricevuto un messaggio dalla madre. Lo presi per un braccio, e lo portai in un angolino appartato.
"Blair, che succede?" chiese.
"Ascolta, Chuck...ieri a pranzo da Lily, il messaggio non era dall'atelier. Era da un numero sconosciuto, ma rivolto a te: leggi".
Dopo qualche secondo di silenzio, si soffermò con gli occhi sull'ultima parte del messaggio; le iniziali.
"Elizabeth Fisher" dicemmo all'unisono.
"Perchè? Perchè ha contattato te e non me?"
"Ti giuro che non lo so, Chuck. E' quello che sto tentando di scoprire...ho ingaggiato un investigatore privato..."
"E...?"
"Lui non ha ancora scoperto nulla, e se mai lo farà mi chiamerà."
Giusto il tempo di finire la frase, che sentii il blackberry suonare dalla pochette. Risposi subito.
"Signorina Blair? Sono Christopher, Christopher Smith. Ho rintracciato la signora di cui mi ha parlato oggi pomeriggio, lei adesso si trova all'hotel Empire, mi ha chiesto di comunicare a lei ed al Signor Bass di raggiungerla al più presto".
"D'accordo. Grazie per il lavoro ben svolto, ti manderò il resto dei soldi per posta".
Chuck, che aveva sentito tutto, mi guardò come se non sapesse cosa fare.
Cecai di aiutarlo. "Chuck, è la tua festa di fidanzamento. Torna di là, andrò a dire ad Elizabeth che vi incontrerete domani".  
"No" rispose. "E' giusto che venga anche io con te"
"E Catherine?" domandai.
"Catherine non se ne accorgerà nemmeno".
Così, ci avviammo verso l'uscita sul retro, in modo che nessuno ci vedesse, e prendemmo la sua limousine.
Arrivati all'hotel Empire, andammo subito alla suite di Chuck e Nate. Da quanto tempo non entravo in quel posto...
Elizabeth era seduta sul divano con un'espressione preoccupata. Sentendo il rumore dell'ascensore, girò leggermente la testa, e si rasserenò vedendo me ed il figlio arrivare.
"Chuck!" disse. E così dicendo lo abbracciò. Chuck dapprima si mostrò restio all'abbraccio, come se si fosse imposto di non voler bene alla madre. Ma dopo pochi secondi cedette e si abbandonò anche lui all'abbraccio.
Mi voltai per ritornare alla macchina, dopotutto avevano bisogno di stare soli...ma improvvisamente, mi sentii trattenere dal polso.
Era Chuck. "Non andare, ti prego", disse.
Lo guardai, e gli strinsi la mano.
"Voi due siete una coppia perfetta. Quando sposerai questa bella ragazza, Chuck?" disse Elizabeth
A quel punto ridemmo insieme.
"No, Signora Fisher..." dissi. "Elizabeth, ti prego" mi corresse lei.
"Elizabeth, c'è stato un equivoco...non sono io la donna che Chuck sposerà tra breve..."
"Cosa?", "ma io pensavo fossi tu...ecco perchè ho inviato a te il messaggio"
"Sì, in realtà, mi sposo con un'altra ragazza..." affermò Chuck. E forse fu più convinzione personale, ma non potei fare a meno di notare una punta di amarezza nel tono di Chuck.
Parlammo per ore ed ore del più e del meno, Elizabeth si scusò anche con Chuck, per tutto il male che gli aveva fatto e Chuck la perdonò immediatamente. Era davvero cambiato. Elizabeth diede anche a Chuck un ciondolo, simile a quello che Chuck già possedeva, ma con una foto più nuova, più recente. "Blair, potresti posare il ciondolo nella cassaforte?", "La combinazione dovresti saperla..."
"Sì, certo, me la ricordo bene" - era la data di nascita di Elizabeth -
Aprendo la cassaforte, posai il ciondolo, e vidi un piccolo cofanetto Harry Winston che avrei riconosciuto tra mille.
Il cofanetto del mio anello.
Lo presi, e lo aprii, volevo essere sicura, sicura che fosse davvero il mio.
E lo era.
Ad un certo punto, mi voltai, e vidi Chuck, che mi guardava impietrito.
"Chuck, questo...questo è ciò che penso?"
"Beh...sì"  
"Perchè, perchè l'hai conservato?"  
"In realtà non apro quella cassaforte da un bel po'...e l'ultima volta che l'ho fatto risale a quando ci lasciammo. All'epoca non mi sentivo pronto a restituirlo, perchè avrebbe significato la fine, la fine di tutto.
Lo guardai a lungo.
"E adesso sei pronto, invece?" dissi con le lacrime agli occhi.
"...E chi può saperlo"
Mi asciugò una lacrima. "Vieni, voglio farti vedere una cosa." disse, con tono rassicurante.
Uscì fuori moltissime vecchie foto, foto della scuola elementare, media, superiore. Quanto eravamo cambiati...
E così, ridendo tra un ricordo e l'altro ci addormentammo. E  nonostante la scomodità del divano, fu la prima volta che dopo tanti anni riposai davvero bene.



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Capitolo 5
*** Abito da sposa cercasi ***


Abito da sposa cercasi Blair's POV


I timidi raggi solari mattutini mi illuminarono il viso, provocando un fastidio agli occhi non irrilevante. Stavo per urlare a Dorota di chiudere immediatamente le tende, quando, istintivamente, aprii gli occhi, realizzando dove mi trovassi realmente. La suite di Chuck. Girai la testa per riprendere la cognizione del tempo, e vidi una figura davanti al divano, che guardava insistentemente. Strizzai gli occhi nel tentativo di focalizzare il viso, ma a causa della controluce, invano. Lo sconosciuto bofonchiò qualcosa che somigliava ad un "Bene, bene, bene". Era la voce di Nate. Contemporaneamente, anche Chuck si svegliò, dicendo: "Nathaniel, invece di saltare a conclusioni affrettate come un'anziana signora pettegola, prepara due caffè". Sorrisi.
Nate andò verso la cucina, allontanandosi con uno sguardo preoccupato e divertito al tempo stesso.
A quel punto la sveglia del mio blackberry suonò, erano le otto del mattino.
Feci per spegnere la sveglia, quando mi accorsi di avere la mano destra "impegnata".
Per qualche insano motivo avevamo dormito con le mani intrecciate.
Ecco a cosa si riferiva Nate...
Entrambi le guardammo per qualche secondo, per poi ritirarle nervosamente. Ebbi una specie di deja-vù.
Nate arrivo con i due caffè ancora fumanti, aggiungendo con un sorrisino idiota stampato in volto che sarebbe andato in ufficio.
Mi alzai da quel divano, scoprendo senza sorpresa, che abbandonare il materasso ortopedico del mio letto non era stata una buona idea. Ma ne era comunque valsa la pena.
Presi la mia tazzina da caffè, ed ancora intontita dal sonno, mi sedetti a tavola. Chuck mi raggiunse poco dopo.
"Ieri siamo letteralmente caduti in coma..." disse Chuck, sorridendo.
"Erano le tre del mattino Chuck, ed eravamo arrivato solo agli anni '90!" risposi, con una risata.
"...e la bottiglia di Champagne non è stata esattamente un buon modo per svegliarsi!"
"Già, ma addormentarmi qui è stato stupido ed incosciente" aggiunsi, seria.
"Che intendi dire?"
"Chuck, pensa se invece di Nate, oggi fosse entrata Catherine. Come avremmo spiegato la situazione un po' equivoca?"
"Blair, non abbiamo fatto nulla di compromettente".
"Già, ma non è proprio facile da credere"
Rise. "Forse hai ragione, ma la colpa non è stata tua. Sono stato io a chiederti di restare..." disse, con la sua voce calda e profonda.
"Adesso dovrei...dovrei tornare a casa, per evitare che qualcuno ci veda".
"...A dir la verità, Chuck, dovremmo proprio evitare di vederci. Non giova a nessuno di noi" continuai, contro la mia volontà.
Seguì un breve momento di silenzio.
"Pranzo, da Daniel?" disse Chuck, con un'aria speranzosa.
"...Andata." risposi, sorridendo.
Arrivai al mio appartamento, feci una doccia veloce, ed andai all'atelier, come da routine.
Quando arrivai, trovai già Jenny, che lavorava alla macchina da cucire.
"Buongiorno, Jenny! E' quel che credo che sia, vero?" dissi, riferendomi all'abito che stava cucendo.
"Sì, Blair. Ci ho lavorato tutta la notte, ma credo che ne sia valsa davvero la pena!"
"Voglio sperarlo" risposi con una punta di arroganza.

Chuck's POV
 
"Non posso permettermelo", pensai. "Non posso permettermi di ricaderci..." pensai, di fronte al mio solito bicchiere di scotch.
Non mi ero reso conto, fino alla sera precedente quanto mi mancasse Blair. Quanto mi mancasse avere qualcuno che mi capisse davvero. Quanto mi mancasse avere qualcuno che mi conoscesse davvero.
Riflettendoci, Catherine sapeva molto poco di me...Non sapeva della mia adolescenza dedita a sesso ed alcool, non sapeva di tutti i complotti, le cattive azioni, della mia famiglia a dir poco complicata...Non sapeva nemmeno del grande amore che c'era stato tra me e Blair. Semplicemente non avevo mai sentito il bisogno di raccontarle "Chuck Bass".
Lei era così diversa da Blair...Catherine era una ragazza così innocente, affabile, gentile...
Tutte qualità che Blair non possedeva.
Ma perchè, allora, ero più attratto dai difetti di Blair, che dai pregi di Catherine? Era un paradosso.
Nella mia testa c'era una gran confusione.
Mi ero auto-convinto, anzi no, imposto di non essere più innamorato di Blair. Ma può la convinzione di anni ed anni crollare in una sola notte?
Tra l'altro, in quella notte non era accaduto nulla che potesse in qualche modo essere "eticamente" sbagliato.
Mi chiesi se avessi voluto compiere davvero qualcosa di eticamente sbagliato, la scorsa notte...e la riposta non mi faceva affatto onore.
Ma ormai ero andato troppo avanti...non potevo mollare tutto per una donna che, forse, non mi amava nemmeno più...
Non potevo.

Blair's POV

La giornata di lavoro procedeva senza particolari avvenimenti, semplicemente perfezionavo gli ultimi dettagli della sfilata che ci sarebbe stata nel pomeriggio. Tutti i giornali non parlavano d'altro, e malgrado non lo dimostrassi...tutto ciò mi rendeva ancora più nervosa. Tuttavia, non avrei mai potuto immaginare la persona che sarebbe venuta all'atelier.
Era mezzogiorno, ed Helen m'informò che c'era una visita.
"Helen, delle prevendite si occupa Jean-Pierre, non io. L'hai dimenticato?"
"Ma signorina Blair, questa signorina dice di voler parlare solo con lei, ho tentato di dirle che non vuole visite, ma non vuole capire..." disse, sottovoce.
"...Il nome."
"Come?" chiese Helen.
"Il nome!" "Dimmi il nome di questa fantomatica ragazza..."
"Oh...dice di chiamarsi Catherine Duforth."
Catherine Duforth? Cosa ci faceva lei qui?
"Falla entrare..." dissi, sorpresa.
La moretta bussò tre volte sulla mia porta, entrando con passo aggraziato.
"...Avanti", dissi con tono annoiato.
"Ciao, Blair! esclamò, troppo confidenzialmente, per i miei gusti.
"Buongiorno", mi limitai a dire.
Qual buon vento...dissi, sarcastica.
Ma forse il sarcasmo era un concetto troppo elaborato...
"Beh...sono venuta per chiederti una piccola cosa, ma andrò dritta al punto." E così dicendo, si sedette sulla mia sedia.
"In realtà, non ho ancora acquistato l'abito da sposa per quando sposerò Chuck, e mi chiedevo, visto che oltre ad essere sua amica sei anche una grande stilista, se potessi disegnare tu il mio abito bianco..."
Mi venne il voltastomaco.
"Catherine, la Eleanor Waldorf's designs non è specializzata negli abiti da sposa. Va' da Vera Wang e piantala."
"Ma io ci tenevo che fossi tu la stilista...so di chiederti molto, ma te lo chiedo per favore, pagherò qualsiasi somma!"
...Disegnare l'abito da sposa della donna che avrebbe sposato l'uomo che amavo? No, era davvero troppo.
"...Per favore!" ripetè. "Fallo per Chuck..."
Non so per quale motivo, ma finii con l'accettare.
Se ne andò sprizzando gioia da tutti i pori, mentre inconsapevolmente, aveva appena finanziato un abito da sposa peggiore di quello di Kim Kardashian.
Quando se ne fu andata, presi il cappotto, dissi ad Helen di chiamare George, e mi avviai verso il ristorante.
Quando arrivai da "Daniel", Chuck era già lì che fissava un punto impreciso fuori dalla vetrata, chissà a cosa pensava...
"Blair!"
"Ehy, Chuck!" dissi, sedendomi.
"Ho già ordinato per entrambi, spero non ti dispiaccia..."
"No, affatto. Come stai?"
"Piuttosto bene, solo un po' di diverbi al lavoro." affermò, rassegnato.
"Diverbi? Perchè?"
"Ricordi l'ultima riunione delle Bass Industries? Riguardo l'apertura della nuova filiale in Indonesia?"
"Si, certo!" risposi, ma non ricordavo un fico secco. L'ultima riunione non è stata esattamente la mia preferita...
"Beh, gli indonesiani pretendono che io, insieme ad un altro rappresentante della società, vada in Indonesia e firmi l'accordo di persona, altrimenti non se ne fa nulla..."
Purtroppo il mio cervello cominciò ad elaborare delle idee, ma lasciai cadere il discorso.
Mentre l'ottimo cibo francese cominciò ad arrivare, parlai a Chuck della strana visita ricevuta poche ore prima.
"Beh, se ci riflettiamo un attimo non è poi così strano" disse.
"Io, io credo che tu le stia simpatica, malgrado non ti impegni affatto per piacerle", sorrise.
"Beh, che ci vuoi fare. Mi stimano e rispettano anche le persone che non stimo e non rispetto." dissi, ridendo, ma rendendomi conto troppo tardi che la seconda parte doveva essere omessa.
"Oh, e come mai?" chiese, ovviamente.
Presi tempo bevendo un sorso d'acqua, e poi dissi la prima cosa che mi venne in mente: "E' australiana, Chuck! Sai dei miei stereotipi verso gli australiani" aggiunsi, ridendo nervosamente.
"Questa mi giunge nuova..." disse, accennando un sorriso.
Trascorremmo il resto del pranzo parlando di cose futili e di poco conto, ma mi divertii come non facevo da tanto.Nonostante l'insistenza di Chuck, pagai io il conto, e fu solo quando ci trovammo fuori dal ristorante che gli parlai della sfilata che avrebbe avuto luogo nel pomeriggio.
"Chuck, probabilmente non ti ho detto che oggi presenterò la nuova collezione Primavera/Estate. Ti ho riservato un posto, a te ed Elizabeth"
Mi guardò di sottecchi.
"Oh, ed anche a Catherine, naturalmente..."
Scoppiò a ridere.
"Vedrò cosa posso fare, Waldorf" disse con un sorriso sghembo in viso.
"D'accordo. Ci vediamo, Bass."
Ritornai alla sfilata, e cominciai a preparare la passerella e le modelle, dando loro le istruzioni su come far risaltare al meglio i meii vestiti.
Dopo aver assegnato i posti a giornalisti, critici e persone che di cognome facevano Bass, era tutto pronto.
I primi ospiti cominciarono già ad arrivare, ed il mio senso di nervosismo cresceva sempre più.
Vidi arrivare anche Serena e Dan, seguiti da Lily e Rufus, che mi salutarono, augurandomi buona fortuna. Li ringraziai sorridendo.
Dopo pochi minuti arrivò anche Chuck, con Elizabeth e Catherine, che stavano facendo un po' di conversazione.
Salutai tutti, e ritornai nel backstage.
Le modelle erano quasi tutte pronte. Stranamente, tutto stava procedendo per il meglio.
Vidi Jenny correre da una parte all'altra, con un'espressione euforica in volto, "Jenny! Che succede?"
"Blair, ho preparato una sorpresa per te, ma la vedrai solo durante la sfilata".
"Jenny, gli anni alla Constance non ti hanno insegnato nulla? Io odio le sorprese..."
"Lo so, Blair. Ma sono sicura che questa sarà di tuo gradimento".
"Lo spero per te" dissi, cinica.
La sfilata cominciò,  giornalisti e critici sembravano apprezzare quanto vedevano, così cominciai a sentirmi un po' più sollevata...
ma il pensiero della sorpresa di Jenny non mi abbandonò nemmeno per un istante.
Feci capolino dal backstage per osservare la reazione degli ospiti più importanti all'uscita dei vestiti.
Improvvisamente, vidi una chioma di capelli rossi che avrei riconosciuto tra mille: Georgina Sparks.
"Cosa cavolo ci fa Sparks alla mia sfilata?" dissi, sottovoce.
Georgina Sparks, negli anni aveva assunto il significato di "complotto" e "distruzione", e dubito che fosse lì per acquistare uno dei miei abiti.
Dovevo impedirgli di rovinare la mia sfilata.
Stavo per uscire, con passo spedito, verso di lei, quando capii il vero motivo della sua presenza.
Si sedette accanto a Catherine, chissà per quale motivo. Mi spostai per cercare di sentire la conversazione.
"E' ammirevole..." disse Georgina.
",,,Prego?" rispose Catherine. Evidentemente non si conoscevano.
Georgina rise. "Dicevo, che è davvero ammirevole quanto tu sia innocente ed ingenua, tesoro..."
Catherine non rispose, semplicemente continuò a guardarla, sempre più confusa.
"Venire alla sfilata di Blair Waldorf, dimostrando che non hai nessun sentimento di odio nei confronti della tua rivale in amore..."
"Rivale in amore? Di cosa stai parlando? E tu chi sei, innanzitutto?
"C-cosa? Non sapevi che Chuck e Blair sono stati insieme? Oh, mi dispiace! Che gaffe!" disse Georgina, fingendosi dispiaciuta.
"Nel caso in cui cercassi delle prove, il sito di Gossip Girl potrà esserti utile".
"...Scusa, devo cercare Chuck."
Chuck non aveva detto nulla del nostro passato alla donna con cui avrebbe dovuto trascorrere tutta la sua vita. Perchè?
Ad ogni modo, dovevo raggiungere Chuck.
Mi diressi verso l'uscita, ed è lì che scorsi Chuck e Catherine nel pieno di un litigio.
"Perchè non me l'hai detto, Chuck?"
"Che senso avrebbe avuto, Catherine? Tra noi non c'è più niente, ti avrei dato solo delle inutli preoccupazioni." Rispose, tranquillo.
"Si, è vero quel che dice Chuck. Sono passati talmente tanti anni!" m'intromisi.
"Il nostro è stato solo un amore adolescenziale, nulla di più" dissi, guardando Chuck, con gli occhi che urlavano il contrario.
Catherine adesso appariva un po' meno arrabiata, ci voleva davvero così poco?
"Scusate, adesso è giusto che vi lasci soli e torni alla mia sfilata. Con permesso". dissi, tornando alla location.
Passarono circa dieci minuti, e vidi i piccioncini rientrare. Mi aspettavo che Catherine fosse ancora arrabiata con Chuck, ma era praticamente avvinghiata a lui, e rideva come se non fosse successo nulla. Disgustoso.
I miei pensieri furono interrotti da Jenny, che con il suo solito entusiasmo mi annunciò che la sorpresa stava per andare in scena.
Vidi uscire dal backstage una modella con indosso un vestito bianco, che aveva tutta l'aria di essere un vestito da sposa.
C'era del pizzo ed un fiocco sulla schiena, senza però sembrare volgare.
Era il più bel vestito da sposa che io abbia mai visto.
"Allora, ti piace?" chiese Jenny gioiosa.
"Ti ho sentita mentre parlavi con quella cliente...così ho deciso di smontare l'abito che stavo cucendo e farti questa sorpresa. Il lavoro era tanto ed il tempo era poco, ma credo di avercela fatta."
"E' bellissimo, Jenny..." Furono le uniche parole che riuscii a dire.
Troppo bello per una sempliciotta come Catherine.
La presentazione degli abiti era finita, ed io dovevo fare la mia "uscita trionfale" insieme a tutte le modelle.
Una volta fuori, tra tutti gli applausi, vidi Duforth con un sorriso a trentadue denti, ed un Chuck serissimo.
Fortunatamente, dopo la sfilata, tutte le interviste mi tennero occupata, non avevo nessuna voglia di parlare con quei due.
Tornai a casa, e stanca com'ero, volevo solo fare una doccia calda ed andare a dormire, ma Dorota m'informò che c'erano visite.
Scesi le scale e vidi Chuck, appoggiato al pianoforte.
"Chuck, che ci fai qui?" chiesi, sinceramente stupita.  
"Hai dimenticato il blackberry a casa mia, stamattina..."
"E' la scusa più brutta che io abbia mai sentito" dissi, ridendo.
"Hai ragione" disse, abbozzando un sorriso anche lui.
"Oggi, quel vestito...non credevo che lo avresti fatto davvero"
"In teoria, l'ha fatto Jenny, ma perchè non avrei dovuto? Insomma, se lei ti rende felice, sono felice anch'io". Dissi, sinceramente.
"Perchè...lei ti rende felice, giusto?" chiesi.
"Io...io non lo so più".        
"Chuck, credo sia normale avere questo tipo di domande, prima di compiere un passo importante come il matrimonio. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarti..."
"In realtà, puoi..."
Lo guardai con aria interrogativa.
"E' bastato passare con te qualche giorno, per pormi delle domande sull'autenticità del sentimento che provo per Catherine. Io vorrei, vorrei sapere se c'è ancora qualcosa tra di noi."
"Chuck, l'abbiamo detto anche oggi. Tra noi non c'è più nul..."
Fui interrotta da quelle labbra perfette che tanto avevo desiderato, negli ultimi anni.
Sapevo di non aver mai dimenticato Chuck, ma quel bacio me lo ricordò quasi dolorosamente.
Adesso era chiaro. Non avrei mai amato nessuno come amavo Chuck, per il semplice motivo che non avrei mai smesso di amarlo.

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Capitolo 6
*** Amore: agitare bene prima dell'uso. ***


Manuale d'amore La mattina successiva la sveglia del mio Blackberry suonò puntuale come un orologio svizzero, ma la posticipai di minuto, ero troppo stanca.
In fondo, la sfilata era andata più che bene e molti furono i titolari di negozi importanti che richiesero la mia nuova collezione. Avevo diritto ad un po' di riposo extra. Spalancai gli occhi quando sentii qualcuno respirare rumorosamente alle mie spalle.
Non ricordavo che Chuck era rimasto a dormire a casa mia.
Mi sedetti sul materasso e lo osservai per qualche istante, non potei fare a meno di ripensare al bacio della sera precedente.
Lo svegliai, gettandolo giù dal letto.
"Eleanor non vuole che faccia salire animali sul mio letto" dissi, sarcastica.
"Allora perchè tu hai accesso libero?" chiese, anche lui ironico, ma ancora intontito dal sonno.
"...Spiritoso"
"Vorrei informarti che se oggi accuserò dolori alla schiena, ti arriverà sicuramente il conto della mia fisioterapista" disse, Bass.
"Bene, ma sappi che la corromperò per peggiorare la situazione"
"Non ti sarà facile. Svetlana è un osso duro." Rispose, ridendo.
"Come già sicuramente saprai, Waldorf, oggi c'è la riunione settimanale delle Bass Industries, per discutere dell'affare con gli Indonesiani..." mi ricordò, tornando serio.
"Sì, lo so, Bass. Ci sarò indubbiamente."
"Faccio preparare la colazione da Dorota, d'accordo? E' da un po' che non mangi i suoi strudel!"
"D'accordo, ma lo faccio solo per gli strudel di Dorota"
Finse di pensarci qualche istante.
"Certo, certo" dissi io, sorridendo.
Dorota finì con il preparare tanto di quel cibo da sfamare un intero esercito, ma un pensiero mi continuava a girare nella mente. Non vedevo l'ora di parlare di quello che era successo la sera prima. Dopo parecchie allusioni, speravo che Chuck avesse capito il punto e che iniziasse il discorso. Dovevo capire il suo punto di vista, ma lui non si fece avanti.
Così decisi di farlo io.
"Chuck...riguardo quello che è successo ieri..." m'interruppe.
"Oh, si. Devo chiederti scusa, Blair, non avevo nessun diritto.  E'...E' stato uno sbaglio, un'enorme sbaglio. Avevi ragione tu, tra noi è finita, e quel bacio ne è stata la prova inconfutabile."
Se c'era qualcuno che sapeva perfettamente come buttare a terra l'umore di Blair Waldorf, quello era Chuck Bass.
L'immagine ipotetica di un nuovo futuro per noi, morì con la stessa velocità con cui era nata. Ero stata così stupida nel credere che Bass potesse provare ancora qualcosa per me. "Stupida, stupida" mi ripetei nella mente.
"Tu...tu sei d'accordo, giusto?" chiese Chuck.  
Sì, certo. Mi hai letteralmente tolto le parole di bocca." dissi, con un falso sorriso.
"Adesso, se non ti dispiace, dovrei andare all'atelier. Ci vediamo dopo per la riunione."
La mattinata alla Waldorf's Designs, trascorse senza particolari avvenimenti, semplicemente interviste al telefono e prenotazioni d'abiti.
Mentre io continuavo a pensare che il mio sentimento verso Chuck era un vicolo cieco. Una strada a senso unico, non portava da nessuna parte. Blair Waldorf, donna in carriera, non poteva permettersi di avere delle distrazioni come Chuck Bass. Dovevo dimenticarlo. Ma non era facile come dirlo semplicemente.
Mi resi conto che la riunione stava per cominciare, così chiamai George e partì verso l'Empire Hotel.  
Al mio arrivo, la riunione era già cominciata, e tutti stavano animatamente discutendo su chi sarebbe dovuto andare in Indonesia.
Mi sedetti al mio posto e cercai di prendere il filo del discorso.
Guardai Chuck, ed appariva non poco confuso, mentre tutti gli altri presenti improvvisavano delle banalissime scuse per non dover scomodarsi. Improvvisamente Phil/Paul, da me gentilmente soprannominato "l'idiota" mi ricordò, per l'ennesima volta, il motivo dell'aggettivo in questione.
"Chuck, come puoi notare qui abbiamo tutti da fare...Forse Blair potrebbe accompagnarti in Indonesia?
Gli lanciai un'occhiata di fuoco.
"Io, non credo sia il caso...come saprete ho un'altra azienda da gestire, e..."
Chuck mi guardava con un'espressione disperata in volto. "Per favore" mimò, muovendo solo le labbra senza emettere alcun suono.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
"...Quando è prevista la partenza?" chiesi, rassegnata.
Chissà perchè mi ostinavo a fare delle buone azioni.
"Non dare in escascendenze, però..." disse Chuck.
"Chuck? Perchè, perche dovrei..."
"Oggi, alle sei del pomeriggio" disse, con un sorriso di scuse.
"Cosa?" , urlai. "Ma vuoi scherzare, spero!"
"Bene, signori. La riunione è sciolta. Margaret si occuperà di comunicarvi la prossima." Disse Chuck, rivolgendosi agli altri uomini presenti, in modo da continuare la nostra discussione da soli.
Fu solo quando restammo soltanto noi nella stanza, che mi rivolse delle scuse per non avermelo detto prima, e l'eterna gratitudine che mi avrebbe dimostrato, se fossi andata con lui in questo maledetto viaggio.
"Dammi solo il tempo di avvisare Dorota, e tutti i dipendenti dell'atelier. Ci vediamo alle cinque e mezzo del pomeriggio, davanti l'Empire State Building".
"D'accordo" disse Chuck, entusiasta.
C'era una specie di proporzionalità indiretta tra me e Bass. Più io cercavo di allontanarmi da lui, meno era facile riuscirci, più volevo stargli accanto, meno eravamo vicini.. Piuttosto strano.
Quando scesi in strada, per cercare George con la mia limousine, fui fermata da Arthur, l'autista di Chuck. Mi chiesi cosa volesse.
"Signorina Waldorf, quindi sarà lei ad accompagnare il signor Chuck in Indonesia?" chiese, leggermente invadente.
"Sì, Arthur. Ho già detto a Chuck che ci vedremo alle sei del pomeriggio all'Empire State Building"
"Oh, bene. La signorina Duforth ne è al corrente?"
"Questi non sono affari miei. E nemmeno tuoi." risposi, secca.
"Ha ragione, ma vorrei sapesse che ho sempre tifato per lei"
"Beh, ti ringrazio, allora. Ma non c'è nulla da tifare, Chuck non è un premio." E sorridendo, mi allontanai.
Quando arrivai al mio attico, dissi subito a Dorota di preparare le valigie. Molto stranamente, eseguì l'ordine senza fare domande.
Probabilmente sapeva già.
Adesso dovevo occuparmi dell'atelier. Decisi di chiamare Jenny.
"Ciao, Jenny. Sono Blair..."
"Ciao, Blair! Che succede?
"Oh, nulla. Potresti raggiungermi nel mio appartamento tra dieci minuti?"
"Beh, d'accordo...ci vediamo tra poco".
Dopo dieci minuti esatti, Jenny si trovava a casa mia.
"...Blair?"
"Jenny, che velocità! Sembri essere immune al traffico di New York!
Rise. "Come mai mi hai fatto venire fin qui?"
"Jenny, io devo partire per l'Indonesia questo pomeriggio..."
"Cosa? Perchè?" chiese, allarmata.
"...Affari" , tagliai corto.
"E mi chiedevo se vorresti prendere il mio posto per qualche giorno all'atelier".
"Ma s-sei sicura? Certo che vorrei! Ma non so se ne sono in grado..."
"Smettila di piangerti addosso! Ci pensi tu ad avvisare Helen?"
"...Va bene" disse, triste e felice al tempo stesso. E così dicendo tornò al lavoro.
Tra un breve sonnellino pomeridiano, ed una doccia, guardando l'orologio, vidi che erano le cinque ed un quarto.
Salutai Dorota, e mi misi subito in macchina, andando prima a fare un saluto a Serena e poi all'Empire State Building.
Quando arrivai al mio amato grattacielo, Bass era già lì.
Ci salutammo con un abbraccio, uno di quelli che vorresti fossero di più, almeno da parte mia, e decidemmo di avviarci verso l'aereoporto con la sua limousine,
Durante il tragitto parlai con Chuck del più e del meno, con delle frequenti interruzioni e battute che non potevo capire, da parte di Arthur.  
Facemmo il check-in e, velocemente, prendemmo posto in aereo. Stavamo discutendo, come dei bambini, su chi dovesse sedere vicino al finestrino, quando fummo interrotti da una bionda hostess con un sorrisino finto stampato in volto.  
Dopo aver chiesto se avessimo bisogno di qualcosa, l'assistente di volo con due canotti al posto delle labbra, cominciò a rivolgere delle spudorate avances a Chuck. Non nascondo di essere compiaciuta del fatto che Chuck non corrispose alle "attenzioni".
Durante il lungo volo ci addormentammo, ed io mi svegliai solo quando stavamo per atterrare, con il capo poggiato sulla spalla di Chuck, che a sua volta poggiava la testa sulla mia.
Ci guardammo per qualche secondo negli occhi, per poi allacciare le cinture, e prepararci all'atterraggio.
Scendemmo dall'aereo, e stanchissimi chiamammo un taxi che ci accompagnasse in hotel.
L'albergo era bellissimo, cinque stelle, ovviamente, ma non avevamo idea della sorpresa che avremmo avuto alla reception.
"Salve, dovrebbero esserci due prenotazioni a nome di Chuck Bass e Blair Waldorf..."
"Sì, controllo subito." disse, il receptionist, professionale.
"Oh, sì. ecco qui la chiave della suite..." continuò.
Guardai immediatamente Chuck, totalmente confusa.
"Deve esserci sicuramente un errore..." dissi
"Sì, erano state prenotate due camere singole, non una suite matrimoniale" disse, Chuck.
"Mi dispiace, signori. Nessun errore. La prenotazione risulta essere di una sola suite, e non ci sono più camere singole disponibili...Mi dispiace per il disagio. Disdico la prenotazione?"
Stavo per dire un deciso "sì", quando fui preceduta da Chuck.
"No, no. Mi faccia solo portare le valigie nella suite, subito."
"Certamente, Signor Bass"
Aspettai che ci allontanassimo abbastanza per cercare di farmi spiegare ciò che era successo, e fu solo nell'ascensore che gli chiesi: "Chuck? Hai prenotato una suite? Ma che cos..."
"Non l'ho prenotata io, Blair...Sarà sicuramente stato... Arthur. Adesso si spiega il sorrisino ebete..."
"E la discussione che abbiamo avuto..." aggiunsi.
"Discussione?" chiese, stranito.
"Beh, sì. Mi ha semplicimente chiesto se avessi dovuto venire io con te..."
Scoppiammo a ridere.
"Dovrebbero fare un servizio alla CNN, sull'invadenza di certi collaboratori personali" dissi, ridendo.
"Credo tu abbia ragione..."
Una volta arrivati in camera facemmo entrambi una doccia, per poi andare a questa famosa riunione.
Gli indonesiani, furono sorprendentemente cortesi e scherzosi. La riunione concluse nel migliore dei modi, adesso le Bass Industries avevano una filiale anche in Indonesia. Vedere che Chuck era in grado di far decollare la sua azienda, anche senza Bart, mi riempiva di gioia.
Gli affaristi ci invitarono ad una festa che si sarebbe tenuta alla sera, nel nostro hotel. Accettammo di presenziare, e andammo in albergo. Mangiammo qualcosa, e dopo un po' di relax nella zona benessere dell'hotel, cominciai a prepararmi per la festa.
Avevo portato più di un vestito da sera in valigia, tutti sui toni del viola. Direi che la scelta del colore non era affatto casuale.
Dopo un'ora di piena crisi, ed auto-rimproveri per non avre fatto shopping prima di partire, decisi di indossare un abito color aubergine
di Yves Saint Laurent, con delle scarpe di Jimmy Choo dorate.
Ebbi la soddisfazione di vedere gli occhi sorpresi di Chuck fermarsi per qualche secondo su di me.
"Sei da mozzare il fiato, Waldorf" disse, sorridendo.
"Lo sono sempre, Bass" risposi, sorridendo anch'io.
"...Andiamo?" continuai.
"Si, certo." rispose lui, e ci avviammo verso la sala ricevimenti dell'hotel.
Quando arrivammo,  la sala era elegantemente adornata e gli azionisti ci stavano già circondando per i saluti ed i vari convenevoli, ma fui salvata dal suono del mio cellulare. Guardai il display, era Serena. Mi allontanai un poco.
"Ehi, Serena!"  
"B, come sta andando?"
"Tutto procede per il meglio. Abbiamo ottenuto l'accordo, così pensiamo di ritornare già per domani pomeriggio."  
"L'atelier è ancora in piedi?" chiesi.
"Si, certo. Jenny sta facendo davvero un ottimo lavoro, non preoccuparti. Pensa, piuttosto, a te e Chuck..."
"Non c'è nulla da pensare, Serena. Anche stamattina, dopo quel maledetto bacio, mi ha detto che tra noi fosse finita...devo rassegnarmi ed andare avanti."
"Smettila, B. Non sei riuscita a dimenticarlo in due anni, non ci riuscirai certo domattina! Specialmente, se condividete una stanza matrimoniale..."
"Già, non è facile per nient.. aspetta un minuto, come fai a saperlo?"
"Ehm...diciamo che Arthur non è l'unico a credere che voi due dovreste tornare insieme." disse, ridendo.
"S, ricordami di ucciderti quando farò torno a New York."
"Certo, ma ti ricorderò di ringraziarmi! Adesso devo andare, B. Ci sentiamo domani" e così dicendo, riattaccò.Tornai al ricevimento, e trovai Chuck, su un palco improvvisato, che stava tenendo un discorso di ringraziamento.
"...Le Bass Industries sono arrivate ad essere tra le più importanti nel mondo, e speriamo di continuare a mantenere il primato, anche grazie all'apertura di questa nuova filiale. Sono sicuro che non rimarrete delusi riguardo alla professionalità americana. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile, senza la mia amica, e socia in affari, Blair Wladorf. La invito, quindi a raggiungermi sul palco, per dire qualcosa! Blair?"
Gli lanciai un'occhiataccia, e mi avvai  verso di lui.
"Vorrei, ucciderti, ma ci sono troppi testimoni...aspetterò qualche ora" dissi, sarcastica.
Sentii una risata generale provenire dalla folla.
"Ti prego, non riusciresti a vivere senza di me!" mi rispose, all'orecchio.
Gli rivolsi uno sguardo scettico, e presi il suo posto.
"Nelle mie aspettative più rosee, le Bass Industries arriveranno ad essere le prime al livello mondiale. Ma come ogni cosa, si procede lentamente. L'apertura della filiale in Indonesia segna l'avvio della nostra azienda nel lontano Oriente, e questo, oltre a farmi sentire un po' come la versione moderna di Marco Polo, è già una grande conquista.  Facciamo quindi un applauso, a noi, e vpi, per l'ottima scelta di cui non vi pentirete".
La folla cominciò ad applaudire, mentre il mio sguardo era rivolto a Chuck, che ricambiava con  un'espressione fiera e compiaciuta.
Lo raggiunsi, e ci abbracciammo, mentre l'orchestra cominciava a suonare un lento, una bellissima versione dello schiaccianoci di Ciaikovskij.
"Sei sempre stata più brava di me con i discorsi" disse, Chuck.  
"Oh, non è vero! Ricordi quel bellissimo discorso che facesti in seconda media, durante la recita scolastica?"
"Sì, ma... dovevo inventarmi qualcosa, non avevo imparato una parola del discorso che l'insegnante aveva scritto per me!"
"Per non parlare del tuo discorso al matrimonio di Bart e Lily. Meraviglioso." dissi, mentre lui mi cingeva i fianchi.
"Fu meraviglioso, solo perchè avevo qualcuno che mi ispirasse..."
"Come ha fatto il tempo a scorrere così in fretta?" gli chiesi, poggiando il mio mento sulla sua spalla.
"Non lo so, ma forse, forse non è necessariamente cambiato tutto" disse.
Lo guardai negli occhi, per capire cosa avesse voluto dire con quella frase, ma uno degli azionisti indonesiani ci interruppe, per informarci che "in onore degli americani, avremmo ballato delle danze locali".
E fu così che passammo il resto della serata, e malgrado fossimo i peggiori ballerini folkloristici, ci divertimmo davvero tanto.
Erano le due del mattino, quando ritornammo nella nostra suite, tra risate e sghignazzi.
Avevo probabilmente bevuto qualche bicchiere di champagne di troppo, perchè ebbi un capogiro, che, se non fosse stato per Chuck, mi avrebbe fatto arrivare per terra.
"Ehi! Mi sa che hai bevuto un po' troppo..."
"Quello champagne era davvero buono..."
Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, o minuto, i nostri visi erano a pochi centimetri di distanza, ed improvvisamente mi baciò.
Un bacio molto più appassionato del precedente, che ci fece finire immediatamente su quel comodo letto.
Gli tolsi la giacca, mentre lui prese a baciarmi sul collo, e sull'incavo della clavicola. Fu chiaro che avessimo un disperato bisogno l'uno dell'altro.
Era come se non il tempo non fosse trascorso, come non fosse cambiato nulla. Ed i nostri sentimenti, non erano cambiati di certo.

Ecco l'outfit di Blair, durante la serata:  http://www.polyvore.com/cgi/set?id=64228363&.locale=it

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Capitolo 7
*** Shall I go? ***


da modificare Fu il buon odore di croissant, uova e pancetta, a causare il mio risveglio il mattino dopo. Prima di allora non sapevo nemmeno che a Jakarta offrissero questo tipo di colazione. Per qualche strano motivo avevo immaginato una colazione con degli intrugli locali.
Aprii gli occhi con fare annoiato, sbattendo le ciglia più volte, prima di prendere coscienza dello spazio che mi circondava.
C'era Chuck, seduto du una comoda sedia, fare colazione mentre leggeva il New York Times. Osservai le lenzuola stropicciate, e scombinate, ed in ultimo vidi me, con solo un baby doll di pizzo rosa antico indosso.  
Gettai la testa all'indietro, atterrando sul cuscino.
"No, dimmi che non è come penso..." dissi a Chuck
"Ehy, ti sei svegliata..."
"Chuck?" invocai il suo nome, pretendendo una risposta.
"Vorrei potertelo dire...ma sarebbe una bugia" rispose, con un tono severo verso se stesso.
Mi alzai dal letto e mi avvicinai verso di lui, che si irrigidì.
"Chuck, mi dispiace. E' stata tutta colp..."
"Non provarci nemmeno, Blair" disse.
"Con questo tipo di colpe, generalmente si fa fifty-fifty, non è così?" continuò.
"Si, ma è stata colpa mia! Non avrei dovuto bere tutto quello champagne"
"No, Blair, non essere ridicola.  Tu avevi bevuto, non eri in te stessa, si può perdonare. Ma io non ho scuse. Io ero perfettamente sobrio,  non mi ero nemmeno avvicinato all'alcool, eppure l'ho fatto perchè..."
Seguì un breve momento di silenzio.
"...Perchè?" Lo esortai.
"Perchè volevo farlo, Blair. Perchè nonostante io abbia impiegato anni per dimenticarti, o perlomeno credere di averti dimenticata, sono bastate ventiquattro ore a farmi capire che non avrei mai amato nessun altra donna come avevo amato, e continuavo ad amare te. Perchè avevo dimenticato cosa significasse avere accanto una persona che ti capisse davvero, che conoscesse tutto di te."
Continuavo ad ascoltarlo, mentre sentivo già le lacrime sgorgare dai miei occhi.  
"...E solo adesso mi rendo conto che Catherine era un diversivo, una distrazione."
"Non sono poi cambiato così tanto dagli anni del liceo...."
"Chuck, ma vuoi scherzare? Adesso sei un uomo splendido, il migliore che io conosca, e mentirei se dicessi che vorrei cancellare questa notte, perchè io, in fondo, la desideravo anche più di te. Ma se questo potrebbe farti sentire meglio, lo farei all'istante."
"Blair, cancellare questa notte è l'ultima cosa che vorrei fare."
Posò le sue mani sul mio viso, bagnato dalle lacrime.
"Blair, ti prego di rispondere sinceramente alla domanda che ti farò...E', E' possibile che tu possa ancora amarmi?"
Posai le mie mani sulle sue, e forse più sincera del dovuto, risposi: "...Ti amo Chuck Bass, in realtà, non ho mai smesso di farlo".
Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato, quasi dispiaciuto.
"Ti amo anche io, Blair". E così dicendo posò le sue labbra sulle mie.
Quel bacio, che cresceva di intensità attimo dopo attimo, ci avrebbe fatto ripetere la scena della sera prima, se il fattorino dell'hotel non avesse bussato alla porta. Mi venne voglia di percuoterlo violentemente.
"Sig.Bass, il volo di ritorno verso New York partirà tra venti minuti."
"Grazie, John." disse Chuck, mentre gli consegnava una piccola mancia.
Adesso avevo la certezza che Chuck ricambiasse il sentimento...ma chissà se fosse un bene o un male.
Continuavo a guardarlo mentre si sistemava la cravatta, indossava la giacca...
 Era perfetto.
Troppo perfetto per contaminarlo con la mia personalità contorta.
Durante la nostra lontananza Chuck era cambiato. In senso positivo, è ovvio.
Aveva abbandonato l'arte del complotto, era diventato un benefattore (da qualche anno donava annualmente una quantità ingente di denaro a delle associazioni benefiche), era generoso, fedele, dedito al proprio lavoro...
Tutte qualità che mai avrei sognato attribuire a Chuck Bass.
Decisi di continuare queste riflessioni in aereo, mentre feci una doccia veloce, ed indossai un vestito di Chanel.
Chiamammo un taxi, in modo da farci accompagnare sino all'aereoporto, che arrivò in perfetto orario. Era evidente che non fossimo a New York.
Nel taxi nessuno di noi parlò, e non fu un buon segno.
Stavamo semplicemente poggiati al finestrino, immersi nei nostri pensieri mentre osservavamo la pioggia fuori dal finestrino.
Stavo quasi per addormentarmi, quando un improvviso lampo di luce mi diede fastidio agli occhi. Li socchiusi, per osservare cosa stesse succedendo. Era il cellulare di Chuck che vibrava perchè "qualcuno" lo stava chiamando.
Mi guardò, mentre facevo finta di dormire, e con aria nostalgica staccò la chiamata.
Non aveva il coraggio di affrontarla...perchè forse amava anche lei.
Un tipo di amore diverso da quello che provava per me, più semplice, più umano.
Il nostro era un amore impossibile, distruttivo, perchè probabilmente sbagliato.
Facemmo il check-in, e prendemmo posto in aereo, mi sentivo così stanca...
 "...Blair?"
Mi girai verso di lui, trovando il suo viso a pochi centimetri dal mio.
"Vorrei che sapessi che non appena atterreremo a New York, parlerò con Catherine... le dirò che il matrimonio è annullato"
"Chuck, tu...tu sei sicuro?"
"Blair, io amo te. Voglio bene a Catherine, ma non la amo. Avrei dovuto semplicemente accorgermene prima..."
"...Se è questo quello che vuoi" dissi, indecisa.
E così dicendo mi avvolse il suo braccio intorno alle mie spalle, mentre mi stringevo a lui.
Doveva essere uno di quei momenti "happy ending", invece c'era qualcosa che mi teneva lontana dalla felicità.
Credo che le persone normali li chiamino "rimorsi di coscienza"...
"Era ridicolo. Blair Waldorf non aveva sensi di colpa! Nei confronti di chi, poi...
di una sempliciotta stupida e slavata. "Non ha alcun senso!" pensai, come forma di auto-persuasione.
Il mio sguardo andò a Chuck, che riposava sulla mia spalla.
Non sapevo quale fosse la cosa giusta da fare, la cosa giusta per renderlo felice...
Per qualche strano scherzo del destino mi trovavo nella stessa situazione di Chuck, quando mi sposai con Louis, qualche anno prima.
"Devo lasciarti andare, devi anche tu sfruttare la tua occasione di essere felice", mi disse.
E adesso era il mio turno, io DOVEVO lasciarlo andare.
Chiamai l'assistente di volo, chiedendogli del sonnifero. Passai, così, il resto del volo dormendo.
Dopo un bel po' di ore, Chuck mi svegliò, accennando a qualcosa riguardo il pilota, e le cinture di sicurezza.
Ne ricavai che stavamo atterrando.
Fu solo dentro l'areoporto, mentre cercavamo di recuperare le nostre valigie, che riferii a Chuck quanto avevo realizzato sull'aereo.
"...Non posso essere così egoista, Chuck. Io devo lasciarti andare."
"Blair, non essere ridicola. Non è la prima volta che prendiamo una decisione di questo tipo, e guarda! Siamo sempre ritornati al punto di partenza."
"Mi dispiace, Chuck. Ma so che, in fondo, provi qualcosa anche per Catherine ed io non posso fare questo nè a te, nè a Catherine.
"...Non lo meritate entrambi".
Mi guardava, in preda alla confusione.
"Ho-ho deciso di prolungare la mia assenza a New York, giusto per chiarire le mie idee. Non tornerò tra molto, lo prometto. Non potrei mai mancare al tuo matrimonio"
Il groppo in gola esplose, all'improvviso, sulla parola "matrimonio".
Mi abbracciò, e mi disse che mi amava, ed ovviamente risposi che lo amavo anche io.
Mi voltai, ed andai verso le partenze, non sapendo bene nemmeno quale sarebbe stata la meta.



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Capitolo 8
*** Love is a losing game ***


abcdefghilmnopqrstuvz "Fate attenzione durante il viaggio!" disse mio padre, con la sua solita apprensione.
"...e tornate presto a trovarci!" aggiunse Roman.
Abbracciai così forte mio padre, da notare addirittura un cambiamento di colore al suo volto. Quando mi trovavo tra le sue braccia era come se la Blair dolce ed innocente, la Blair bambina non fosse mai andata via.
Salutai con un bacio anche Roman e Gatto, e mi avviai verso il taxi.
A Parigi era una giornata straordinaria, non diversa, però, da il resto dei giorni trascorsi nella mia città europea preferita, ma purtroppo le condizioni metereologiche non rispecchiavano affatto il mio umore.
Nelle ultime due settimane avevo volontariamente evitato di pensare a Bass, in fondo era proprio quello il motivo della mia assenza prolungata da New York, anche se mio padre non mi facilitava certo il compito. Durante il mio soggiorno nella città delle luci, papà continuava stranamente a chiedere sue notizie, quasi volesse stuzzicarmi.
"Blair, tesoro, avevo intenzione di andare a vedere "Tristano ed Isotta" a teatro, così mi chiedevo che fine avesse fatto il nostro caro Charles, so bene quanto gli piacciano le tragedie" disse mio padre, utilizzando evidentemente la prima scusa venutagli in mente.
"Beh papà, non che Chuck possa trovare il tempo per una tragedia a Parigi, visti gli impegni dovuti agli affari delle Bass Industries" risposi io, omettendo il vero motivo.
"...Gli affari, certo, certo" disse con poca convinzione, ed a mio parere, anche con del sarcasmo.
"Blair, io non credo che questo sia davvero l'unico motivo" gongolò, avvicinandomi una busta color avorio.
"...Non sapevo avesse invitato anche voi. E'- è stato gentile da parte sua." risposi, fingendo nonchalance.
"Già, ma tu... stai bene, non è così?" domandò, aggrottando le sopracciglia, e stringendomi la mano destra.
"Bien sûr, papà! Tra me e Chuck non c'è nulla che non sia un'affettuosa amicizia"
"...affettuosa amicizia, eh?! Tesoro mio, se tu provi ancor-"
"Papà, davvero non è necessario. So quello che provo, e quello che voglio" dissi, apparendo più sicura di quanto non fossi in realtà.
Nel tragitto verso il Charles De Gaulle, mi girai verso la parte opposta dell'auto, e fu in quel momento che mi ricordai di Andrèe.
Andrèe era l'ennesima dimostrazione della mia immaturità, del fatto che poco ero cambiata dai gloriosi anni liceali.
Ma in realtà lo interpretai più come un segno divino.
Conobbi Andrèe pochi giorni dopo il mio arrivo a Parigi, durante una seduta di shopping terapeutico, e tra un croissant e l'altro le sue labbra erano già appicciccate alle mie.
Quel tipo era un perfetto idiota, ma in fondo cosa potevo aspettarmi da un modello di Marc Jacobs? Era semplicemente una distrazione, e come tale doveva essere trattato. Decisi quindi, di lasciarlo poco dopo il nostro arrivo a New York.

Trascorsi tutto il viaggio in aereo dormendo, o meglio fingendo di dormire, per evitare Andrèe: dire che quel tipo cominciava a stancarmi sarebbe stato un eufemismo.
Impegnata com'ero a simulare il sonno, devo essermi addormentata davvero, perchè senza sapere nè come, nè quando, mi ritrovai sullo scomodo sedile di un taxi in corsa.
Aprii gli occhi lentamente, mentre cominciavo già a vedere in lontananza l'Empire State Building, e l'Empire State Building poteva significare soltanto una cosa: New York.
"Accidenti" pensai, urlando nella mia mente. Avrei dovuto mollare Andrèe ore fa, ed invece era ancora lì con me.
"Che idiota" mi ripetei.
"Mon trèsor, ti sei svegliata?" disse il parigino, con tono sdolcinato.
"Così sembra. Andrèe io dovrei parlarti di una cosa..."
"Certo, ma prima io: mentre dormivi il tuo cellulare ha cominciato a squillare, ma eri così bella mentre dormivi che non ho trovato la forza di disturbarti. Così ho risposto io ed era la tua amica, ehm Sabrina..."
"...Serena" lo corressi, mentre ascoltavo la fine di quella frase che purtroppo già credevo di conoscere.
"Serena, giusto. Ad ogni modo ci ha invitato al brunch che si terrà tra meno di mezz'ora"
"E tu cosa hai risposto?" domandai, rassegnata.
"Beh, ho risposto che ci saremmo andati. Tesoro è da quando ti conosco che mi parli dei tuoi amici, e finalmente adesso li potrò conoscere!"
disse in preda all'eccitazione.
Gli rivolsi un falso sorriso, mentre voltandomi gettai gli occhi al cielo.
Non appena fummo arrivati all'attico di Serena avvertii un senso d'ansia, mi sistemai l'abito, e tirando un grande respiro, entrai.
Girando l'angolo mi accorsi che (per mia fortuna) c'era molta più gente di quanto mi aspettassi: più persone con cui parlare senza incontrare il volto di Chuck. Perfetto.
 La mia chioma bionda preferita si voltò, e non appena mi vide cominciò a saltellare, per poi stringermi in un abbraccio quasi omicida.
"B, mi sei mancata così tanto. Com'era Parigi?"
"Splendida, ma lo sarebbe stata di più se tu fossi venuta con me!" la rimproverai.
"Purtroppo devo darti ragione, ma a quanto vedo non sei poi stata così sola" disse, spostando lo sguardo da me ad un punto impreciso alla mia destra. Ci fu qualche attimo di silenzio prima che io capissi a cosa davvero si riferisse.
"Oh! Scusa, ehm lui è Andrèe, un mio..."
"il suo ragazzo" disse, fiero.
Odio quando prendeva iniziative.
"Già, già" farfugliai, con un sorrisetto isterico.
"Se volete scusarmi, ho bisogno del mio Dom Perignon" dissi, mentre mi allontanavo.
Pensavo davvero di averla fatta franca, ma Serena mi raggiunse poco dopo.
"Ti prego, dimmi che lui non è ciò che penso"
"Dipende da cosa pensi che sia" risposi, cercando di salvaguardare quello straccio di dignità che tra pochi secondi avrei perso.
"B, stai cercando di far ingelosire Chuck, non è così?" chiese.
"No! Certo che no!" esclamai, mentre il suo sguardo cominciava a farsi sempre più sospetto.
"E', è più una distrazione..." aggiunsi a bassa voce.
"Ci avrei scommesso. Blair, non puoi continuare ad usarlo, è immorale!"
"S, da quando l'etica è il mio punto forte?"
"...Blair!" urlò, in segno di disapprovazione.
"D'accordo, d'accordo. Farò come dici tu, vado a parlargli..." dissi, contro la mia volontà.
Nello stesso momento in cui mi stavo avviando per assumere finalmente un comportamento che si possa definire adulto, ecco che vedo apparire Bass e Duforth. Era come se l'universo ostacolasse il mio cammino sulla retta via, come se fossi predestinata al lato oscuro.
Feci tre passi indietro,  e sussurrai a Serena: "S, credo che tu mi abbia dato un'idea". Andai verso di loro, mentre Serena stava ancora dicendomi di non farlo. Paradossalmente questa situazione aveva il potere di divertirmi.
"Catherine, santo cielo, è da moltissimo tempo che non ti vedo!" urlai, allungando le braccia, e sfoderando la migliore espressione da "amica" in stile Blair Waldorf.
"Si, Blair! Chuck mi ha detto che sei stata a Parigi, non è così?"
"Sì, è così. D'altronde l'investigatore privato di Chuck non sbaglia mai!" (mi chiesi se con quella frecciatina avessi esagerato. Trovai risposta nell'espressione severa di Chuck).
"Ehm, come procedono i preparativi per le nozze?
"Meravigliosamente, procede tutto meravigliosamente" rispose Duforth, con gli occhi che intanto avevano assunto la forma di un cuore. Disgustoso.
"Sono così contenta per voi. Ma adesso vorrei presentarvi Andrèe. Andrèe?
Mi girai per cercare tra la folla quella figura muscolosa, e senza sorpresa, scoprì che si era già addentrato nel buffet.
"Andrèe, loro sono Chuck e Catherine, due miei carissimi amici. Chuck, Catherine, lui è Andrèe: il mio ragazzo".
A quel punto ebbi la soddisfazione di vedere sgranare gli occhi nocciola di Chuck, mentre sul mio viso non potei fare a meno di scolpire un sorrisetto sghembo.
Per circa un quarto d'ora Catherine ed Andrèe parlarono come due amici di vecchia data, (probabilmente avevano trovato affinità nella loro stupidità),  mentre Chuck non smetteva di guardare me con un'espressione serissima in volto.
"Catherine, Andrèe, volete scusarci solo un istante? Blair è rimasta in Europa per un bel po' di tempo, ed io ho il dovere di aggiornarla su alcune questioni delle Bass Industries".
Mi complimentai mentalmente con Chuck per l'originalità della scusa. Mi prese per un braccio, trascinandomi nella vecchia stanza di Serena.
"Si può sapere che cosa ti dice quel cervello?" disse, in preda alla furia.
"Non so di cosa tu stia parlando"
"Andiamo insieme in Indonesia, vieni a letto con me, mi confessi il tuo amore, improvvisamente decidi di lasciarmi all'aereoporto, non torni per due settimane, e quando decidi di farlo lo fai in compagnia di un'idiota modello parigino?"  
"...Geloso?"
La mia risposta ebbe il potere di sorprenderlo, come fu evidente dal cambiamento della sua espressione. Studiò per qualche secondo il mio viso, probabilmente pensando cosa dire.
"Cosa? Io? Ti prego, Blair! Dimentichi con chi stai parlando!" disse, sfoderando un sorriso malizioso che tanto mi ricordava il Chuck Bass teen-ager.
"...Anche tu!"
"Blair, i tuoi fidanzati non hanno mai retto il confronto con l'originale, e lo sai bene anche tu"
"Forse, ma stavolta con Andrèe è diverso, lui non ti somiglia affatto, ed è proprio questo che amo di lui."
Per tutta risposta Chuck cominciò a sorridere, come se la frase appena detta fosse un'idiozia.
Improvvisamente, con una ferrea presa al mio busto, Chuck mi attirò a sè, ed i nostri visi furono a pochi centimetri di distanza.
"...Ma la domanda sorge spontanea. Se mi è concesso sapere, non mi somiglia nemmeno un po'? Nemmeno nel nostro sport preferito?" sussurrò, facendo scivolare la sua mano sulla mia gamba.
Io risposi tirandolo per la cravatta pervinca di seta pregiata, limitandomi a dire: "In realtà, no. Non ti è concesso sapere".
Così dicendo, girai i tacchi e me ne andai.
Non appena aprii la porta Catherine ed Andrèe mi presero per l'avambraccio, come per dirmi qualcosa.
Entrambi parlarono all'unisono e capire ciò che stavano dicendo era praticamente impossibile. L'ordine fu ristabilito solo all'arrivo di Chuck, che con il suo solito savoir- faire chiese: "Che succede qui?"
"Tesoro, parlando con Andrèe ho notato che abbiamo così tante cose in comune! Che ne diresti se domani sera andassimo a cena tutti insieme?"
Io e Chuck ci guardammo immediatamente, in cerca di una scusa, un'idea, o semplicemente qualcosa da dire.
La pausa di silenzio fu più lunga del previsto, e nessuno di noi si cimentava a parlare.
"Beh? Che ne dite?"
"Certo, per me sarebbe un piacere conoscere il nuovo amore di Blair"
Una serie di gesti, quali il sopracciglio inarcato, lo sguardo fisso su di me, ed il suo odioso sorriso mi fecero capire che il complotto era iniziato.
E se è il gioco che Chuck vuole, allora il gioco avrà.


                         

 
Writer's Corner
Scusate la longeva assenza, ma il mio computer ha avuto la felice idea di abbandonarmi, facendomi perdere anche i capitoli scritti, spero che questo vi piaccia! Baci.
'



 

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Capitolo 9
*** It's all about me ***


123456789 "Signorina Blair?"
"Signorina Blair?!"
Fu la voce di Dorota a svegliarmi quella mattina, la stessa voce che stranamente non era accompagnata nè dall'odore di caffè, nè dall'odore di croissant. Il che mi rese nervosa. Mi chiedo perchè con tutte le governanti del mondo Eleanor abbia dovuto scegliere proprio la più fastidiosa. Sapeva che odiavo essere svegliata.
"Cosa vuoi, Dorota?!"
"Il suo nuovo ragazzo, quell'Andrèe ha dormito sul divano del piano di sotto!"
"Dorota, non m'interessa. Ed il fatto che tu mi abbia svegliata per una cosa simile ti porta sempre più vicina al licenziamento."
"Signorina Blair, la conosco da molti anni ormai, e non è mai successo che un suo fidanzato dormisse sul divano" disse, alzando un sopracciglio.
"Dorota, a cosa stai alludendo, esattamente?" chiesi, mettendomi a sedere sul letto.
"...Cosa c'è sotto?"
Non ci potevo credere. In tanti anni Dorota non era mai stata così diretta, mi chiesi se negli ultimi tempi l'avessi trattata troppo educatamente.
"Dorota! Non sono affari tuoi. Adesso va' di sotto, e non tornare finchè non avrai stretto una tazza di caffè fumante per me."
Lei mi sorrise, ammiccando, e fece come le avevo chiesto.
Rimasi ancora un po' a letto, pensando all'ardua giornata che mi aspettava, mentre attendevo il mio caffè. Tuttavia passò quasi un'ora, così decisi di scendere le scale, sembrava quasi che Dorota lo stesse coltivando quel caffè. Per mia sfortuna, però,  assistetti ad uno spettacolo raccapricciante: Un Andrèe ancora in mutande, mentre dormiva di tutto gusto. Avrei tanto voluto dire a Dorota di procurarmi dell'acqua ghiacciata per scaraventarla addosso a quel cafone parigino che adesso dormiva sul mio divano, ma malgrado mi rendesse nervosa ammetterlo, Andrèe mi serviva per uno scopo ben preciso, e non potevo mandare tutto all'aria.
Mi sforzai di fare la carina, per tutta la durata della colazione, anche se non fu affatto facile.
Appena finii di fare colazione feci una doccia, mi vestii, ed andai all'atelier, raccomandando a Dorota di non far toccare nulla a quell'idiota.
Stranamente mi accorsi che il lavoro cominciava a mancarmi, così come i vestiti, l'odore della stoffa nuova, volevo rivedere persino la mia sciatta segretaria Helen, anche se avevo paura delle condizioni in cui avrei trovato tutto ciò.
Avevo praticamente affidato tutto a Jenny durante le settimane a Parigi, e malgrado confidassi molto nelle sue capacità temevo per il peggio.
Quando fui arrivata le mie infondate paure svanirono, l'ufficio era ancora in piedi, e nonostante mi costasse molto ammetterlo, Jenny aveva svolto un ottimo lavoro.
Tutte le successive ore trascorsero molto normalmente, tra tulle, pizzi, e Jenny Humphrey che parlava di Nate Archibald. Era impossibile che in tanti anni quella ragazza non lo avesse mai dimenticato.
Inaspettatamente, verso mezzogiorno ricevetti una "visita"
La mia spina nel fianco, ovviamente.
"Buongiorno, raggio di sole. Difficile riprendere il ritmo lavorativo?"
"In realtà non c'è nulla che mi renda più felice"
"...Mmh, io non ne sarei così sicuro" disse, con il suo solito sorrisetto che tanto mi innervosiva.
Alzai gli occhi al cielo.
"Sono venuto perchè volevo comunicarti di persona che ci vedremo stasera alle nove in punto, al "Gramercy Tavern", il tuo ristorante preferito, è esatto?"
"Chuck, è davvero necessario complicare in questo modo le cose?"
"Blair, noi non le stiamo affatto complicando, le stiamo rendendo più divertenti" ammiccò, sfogliando alcuni figurini.
Lo guardai di sottecchi, odiavo quando diceva la cosa giusta.
"Ci vediamo stasera"
Risposi con un rumoroso sospiro.
"Oh, e... vorrei vederti in rosso. Adoro come ti sta quel colore."
"...Sparisci!"
Quel pomeriggio andai a pranzo con Serena (che mi rimproverò, ovviamente sul tipo di comportamento che stavo assumendo, anche se non me ne curai molto), per poi andare a fare un po' di sano shopping. Comprai anche qualcosa ad Andrèe, non volevo che si presentasse con uno dei completi del suo insignificante stilista preferito.
Per la serata scelsi un abito di Valentino color porpora, esaudendo inconsciamente la richiesta di Bass.
Era demotivante e pericoloso l'ascendente che quell'uomo aveva su di me.
Finii di prepararmi, per poi chiamare George. Fortunatamente arrivammo al ristorante in perfetto orario.
"Buonasera, splendori. E' tanto che aspettate? chiesi.
"No, per nulla, anzi siamo appena arrivati!" rispose Catherine, probabilmente perchè Chuck era "ipnotizzato" dalla mia mise.
Mi misi a sedere in modo che il mio viso ed il suo fossero praticamente l'uno di fronte all'altro, e solo allora notai il papillon della stessa tonalità del mio abito, ricordai che adoravamo vestire abbinati quando potevamo chiamarci ancora una coppia. Involontariamente, sul mio viso si dipinse un sorriso, ma non divertito, solo un po' nostalgico.
Mentre Catherine ed Andrèe facevano un po' di conversazione, e noi due fingevamo di esserne interessati, arrivò il cameriere, con dei menu ricamati in mano.
"Io opterei per far scegliere a Blair questa sera, in fondo conosce i piatti a memoria, non è così?" chiese Chuck, stuzzicandomi.
"Oh, beh, se riponete davvero tutta questa fiducia in me, allora prenderemo il menu-standard alla Blair Waldorf, lo chef Micheal sa già di cosa si tratta."
Il cameriere annuii, andando via.
"Allora, cominciate già ad essere nervosi? Al matrimonio mancano pochi giorni!" dissi, con gli occhi rivolti a Chuck.
"Non sono il tipo da ansia da prestazione, e tu lo sai bene"
"Oh, meglio di chiunque altro" risposi, involontariamente.
"...E poi se c'è una cosa che ho imparato dalla vita è che possono cambiare più cose in una manciata di minuti, che in un intero anno". disse, senza mai togliere lo sguardo dal mio.
Catherine, appena udita quella risposta aggrottò la sopracciglia, in senso di confusione. Come biasimarla.
"E dove andrete in luna di miele?" pronunciai quella frase come fosse la cosa più neuseabonda al mondo.
"Pensavamo ad un giro in Europa: Praga, Vienna, Parigi, Madrid, Bruxelles. Mi piacerebbe anche vedere l'Italia."
"Sì, l'Italia è un posto meraviglioso. Ti consiglio la Toscana, in fondo Chuck non ci è mai venuto"
"...andato" disse Andrèe.
"Cosa?" chiesi. Chissà cosa voleva ancora quell'idiota.
"Non conosco perfettamente la lingua, ma so per certo che si dice andato, non venuto." disse, ridendo a crepapelle.
"Oh, si certo. Scusate, errore mio".
Ovviamente non poteva sapere il vero motivo di quello sbaglio solo apparentemente grammaticale.
Ma Chuck poteva eccome, e di fatti il suo sguardo balzò da Andrèe a me, con un'espressione di rammarico.
Ma volli cambiare discorso, non mi andava di deprimermi, nè di deprimere Chuck. Quindi uscii fuori un argomento più consono ad una cena a quattro.
"Ho sentito dire che è usanza di molte coppie astenersi dal sesso, nei giorni precedenti al matrimonio, voi state intraprendendo questa pratica?"
 Cercai di trattenermi dal ridere quando vidi l'occhiataccia di Chuck, e lo sguardo quasi sbalordito di Catherine.
"Dico questo, perchè anche io sarei interessata all'idea, semmai mi sposerò..." continuai, mentre stringevo la mano di Andrèe in modo che Chuck potesse vederla.
"In realtà, abbiamo deciso di comune accordo di astenerci per tutta la durata del fidanzamento. Vedi, Blair, la mia famiglia è molto cristiana..."
Di comune accordo? Mi venne da ridere. Un Chuck che si asteneva dal sesso, era come un Picasso astenutosi dal dipingere: totalmente innaturale e contro la sua vocazione.
Adesso, però era il momento di attaccare. Avevo finalmente scoperto il suo tallone d'Achille, e dovevo assolutamente sfruttarlo.
"Oh, non ne avevo idea" risposi a Catherine, mentre Chuck si passava una mano fra i capelli.
"La tua forza di volontà è da ammirare Catherine, così come Chuck. Io non so se riuscirei, ho bisogno del mio Andrèe" dissi inarcando un sopracciglio, e passando la mia mano tra le gambe di Andrèe, sotto lo sguardo sbalordito dello stesso.
L'espressione di Chuck fu qualcosa di impagabile: iracondo, e geloso al tempo stesso.
E dire che ero ancora all'inizio.
Nel frattempo gli antipasti erano già arrivati e Catherine cominciò a mangiare, assorta nel cibo.
Chuck disse di non avere molta fame, e questo mi fece divertire ancor di più. Adoravo avere tutto quel potere su di lui.
Io continuai nel mio scopo, sussurrando frasette dolci all'orecchio di Andrèe, e stampandogli impronte di rossetto sul collo.
Quelle azioni mi costavano non poco, ma ero sicura che ne sarebbe valsa la pena.
A quel punto portai la mano di Andrèe al mio ginocchio, continuando a guardare Chuck.
Catherine si sentì davvero a disagio, poichè tossì più volte, ed altrettante volte guardò Chuck, allibita, anche se Bass non ricambiò mai.
Il cameriere portò di già il primo, mentre io decisi che era il momento di dare il colpo di grazia.
Lentamente, presi un elastico dalla pochette, e lo usai per legare accuratamente i miei capelli. Dopodichè finsi che la collana Harry Winston si fosse slacciata e chiesi ad Andrèe di richiudere il gancetto.
Fu solo allora che vidi Chuck fermare pericolosamente lo sguardo sulla nuca, il suo punto debole. E non importa quanti anni siano potuti passare, noi, in fondo, eravamo sempre gli stessi Chuck e Blair.
"Blair, questo cibo è sublime. Credo che dovremmo portare i nostri saluti e ringraziamenti allo chef."
Sapevo che era soltanto una scusa, e che mi aspettava una sfuriata epica, ma ero stata io a volere quella situazione, e adesso dovevo assumermene le conseguenze.
"Sono assolutamente d'accordo con te. Torniamo subito."
Mi prese per un braccio e, con passo svelto, andammo nel retro del ristorante.
"La nuca, Blair? Questo è un colpo basso"
"Lo so, mi piace giocare d'azzardo" dissi, sorridendo.
Decisi di andare fino in fondo, così lo spinsi contro il muro, gli sfiorai il viso, e lo baciai.
Inizialmente Chuck parve ricambiare il bacio, ma dopo solo qualche secondo preferì sottrarsi probabilmente per il motivo che già conoscevo, per il motivo per cui avevo fatto tutto questo.
"Blair, io...io non posso farlo" disse portando una ciocca ribelle dei miei capelli dietro l'orecchio.
"Non sarebbe giusto nei confronti di Catherine." continuò.
"Sapevo che l'avresti detto" dissi, scolpendo sul mio viso un sorriso un po' malinconico.
"Come?"
"In realtà sbagli quando affermi che non sei cambiato dagli anni liceali. Il Chuck della St. Jude non si sarebbe mai comportato così, non avrebbe mai agito così onestamente"
"...Ed è una cosa buona?" chiese, ironico.
"Certo che lo è. In fondo sono sicura che tu ami anche Catherine. Un tipo di amore diverso dal nostro: più sano, più umano."
"...E sono certa che sarai felice al suo fianco."
Con queste parole gli diedi un casto bacio sulla guancia, e tornai dai nostri "fidanzati"
Guardando Andrèe mi ricordai che dovevo essere io a fare la cosa giusta adesso. Così aspettai che fossimo soli e cominciai con la mia prima azione matura.
"Andrèe, io devo assolutamente parlarti, e ti prego di interrompermi mentre lo faccio. Io non credo che tra noi due funzionerebbe, siamo troppo diversi. E non sono stata completamente sincera con te, perchè..."
"Perchè mi hai usato per far ingelosire quel Chuck, non è così?"
Lo guardai, sorpresa. "C-cosa? Come hai fatto a..."
"Era abbstanza evidente, ma ho voluto reggerti il gioco. Spero solo di averti aiutato a capire qualcosa di più"
"Sei più sveglio di quel che pensassi" dissi, sincera.
"Lo prenderò come un complimento."
"Adesso che farai?" chiesi.
"Beh, credo che tornerò a Parigi, e continuerò a fare quello che ho sempre fatto."
Mi abbracciò, per poi salire su un taxi.
A quel punto decisi che una passeggiata non mi avrebbe fatto altro che bene, anche se significava camminare per un'ora sotto la pioggia, e così diedi a George il resto della serata libera.







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Capitolo 10
*** Last tango, then Europe ***


qazwsxedcrfvtgbyhnujmikolp *coff* *coff*
Quella notte avevo dormito molto poco, a causa del raffreddore che mi ero procurata. Evidentemente fare una passeggiata sotto la pioggia non era stata esattamente quella che si definisce una "buona idea".
Gettai lo sguardo fuori dalla finestra, e vidi, senza sorpresa, che i raggi del sole erano ancora timidi e fiochi, trovai conferma nell'orologio poggiato sul mio comodino, che segnava solo le sei del mattino.
Avevo voglia di un buon caffè, ma non mi andava di svegliare Dorota, così presi la mia vestaglia di seta, e scesi in cucina.
Temevo di far bruciare tutta la casa, la mia esperienza in cucina era pari all'esperienza di Jenny Humphrey nelle relazioni d'amore, ma riuscii a farlo senza troppi problemi.
Dopo il caffè decisi di concedermi una bella corsa mattutina a Central Park, così indossai una tuta, feci una coda di cavallo, e lasciai un bigliettino a Dorota nel caso in cui si fosse svegliata durante la mia assenza.
Le prime luci del giorno a Central Park sono sempre uno spettacolo mozzafiato, si può respirare un'aria così stranamente pulita, e incontaminata, si percepisce una calma così lontana dalla vita frenetica di New York. Era come se Central Park fosse coperto da una barriera invisibile, come se fosse un'isola distante dalla Grande Mela.
Tornai all'attico un'ora dopo circa, e dopo aver fatto una doccia, mangiai un croissant integrale e scappai all'atelier.
Una volta lì trovai Jenny Humphrey seduta sulla mia sedia, con gli occhi sognanti, mentre guardava il cellulare.
"J, cosa ci fai nel mio ufficio?"
"Oh, Blair! Sei arrivata. Ehm, volevo farti vedere alcuni schizzi per la prossima collezione."
"Fa' vedere."
Erano ottimi, ma non volevo dare tutta quella soddisfazione a Jenny, così risposi semplicemente: "Carini, ma dovrò dargli una sistemata."
"Certo, certo" rispose lei, sinceramente felice.
Tuttavia dubitavo che la sua felicità fosse solo causa mia.
"Jenny, come mai quando sono entrata sembrava che Cupido avesse scagliato una delle sue frecce?"
"Si vede davvero così tanto?"
"Non sei brava a mascherare le emozioni"
"O forse sei tu brava a leggere le persone"
"Se stai cercando di entare tra le grazie del datore di lavoro, vorrei informarti che non attacca."
Rise. "In realtà, sto uscendo con Nate, finalmente"
"Davvero? Sono contenta per te. Non potevo più stare a sentire i tuoi lamenti"
"Adesso torna al lavoro, e...spegni il cellulare" ordinai.
"Sarà fatto" rispose lei, obbediente.
Non appena fu uscita dal mio ufficio, mi sedetti sulla mia sedia, e notai solo allora un post-it giallo appiccicato sul mio computer, probabilmente da Helen.
Il post-it diceva chiaramente che una certa signora Bass aveva chiamato, e che non avendomi trovata, sarebbe venuta entro quella mattina per farmi una comunicazione.
"Signora Bass?" Con quale sfacciataggine osava già farsi chiamare signora Bass? Mancavano ancora moltissimi giorni al matrimonio, e lei non aveva nessun diritto di...
I pensieri arrivavano velocissimi alla mia mente, ma proprio mentre stavo per implodere, controllai inconsapevolmente la data sul computer, e feci l'amara scoperta che al matrimonio mancavano solo due giorni, quarantotto ore, duemilaottocentottanta minuti.
Mi girò la testa.
Ordinai ad Helen di procurarmi una bevanda zuccherata, e per il resto della mattinata volli astenermi dal pensare, anche solo per un secondo, alla catastrofe che avrebbe avuto luogo a breve.
Ovviamente l'impresa fallì miseramente quando la cosiddetta signora Bass si presentò al mio cospetto.
"Blair, buongiorno!"
"Buongiorno, Catherine. Qual buon vento?"
"Non sapevi che sarei venuta qui? Eppure ho raccomandato alla tua segretaria di riferirtelo..."
"Oh, si, è vero. Ho letto il post-it."
"Bene. Sono qui perchè volevo invitarti alla mia festa di addio al nubilato! Spero che verrai, perchè ci divertiremo un sacco, saremo noi e le mie testimoni di nozze, ma se vuoi puoi portare anche la tua bionda amica"
"Ci saranno spogliarellisti?"
"No, certo che no!"
"Alcool?"

"Santo cielo, no!

"Allora io e la mia bionda amica eviteremo di venire."
"Su, perfavore! Io e Chuck ci terremmo così tanto!"
Continuammo così per circa dieci minuti, mentre lei continuava ad insistere e fare gli occhi dolci quasi fosse una bambina, io ovviamente finii con l'accettare. Magari aveva utilizzato questa tecnica per farsi sposare da Chuck.
"Perfetto! Ti mando un SMS con l'indirizzo e l'orario." disse, quasi urlando.
Mentre la futura signora Bass lasciava il mio ufficio, io avevo già preso il cellulare per avvisare Serena dei nostri avvincenti programmi per la serata.
"S? Sono Blair. Ti prego, dimmi che non hai impegni per stasera."
"No, ma vorrei dirti sì. B, Cos'hai in mente?"
"Nulla, sfortunatamente. Catherine ci ha invitate, (o obbligate) ad andare al suo addio al nubilato"
"Davvero? E...noi abbiamo intenzione di andarci?"
"Si, ma per sopportare al meglio la serata dobbiamo prima fare rifornimento di alcool."
"D'accordo, d'accordo. Ci vediamo alle sei del pomeriggio, al Bemelmans bar".
Trascorsi il resto del mattino normalmente, fin quando a mezzogiorno mi accorsi che avrei dovuto incontrare mio padre all'aereoporto circa mezz'ora prima.
Svelta, indossai il soprabito, e salii sulla limousine, che sfrecciava quasi fosse una macchina da corsa. Non appena arrivai al JFK vidi Ròman e Harold poggiati ad un muro portante, con delle espressioni che definire accigliate sarebbe un eufemismo.
"Papà, Ròman! Mi dispiace! All'atelier ho totalmente perso la cognizione del tempo"
"Sta' tranquilla, tesoro. Se tu non fossi venuta adesso, non avremmo potuto conoscere Asami ed Hoshiko." disse, mio padre.
"Asami ed Hoshiko?" chiesi, ironica.
"Sì, due turisti cinesi. Ma non è importante. Piuttosto stiamo praticamente morendo di fame, che ne dici di andare nel primo ristorante che incontriamo?"
Finimmo per mangiare in un fast food, uno di quelli troppo affollati ed anarchici nei confronti delle norme igieniche, ma fu divertente, nonostante i digestivi che dovemmo prendere subito dopo.
Una volta tornata a casa feci un'altra doccia a causa dell'odore di frittura che si era unito a miei capelli, e lì non ebbi più diversivi con cui distrarre la mia mente.
Mi chiesi cosa avrebbe fatto Chuck Bass nel suo addio al celibato, ed immaginai litri di scotch, Jack Bass, ed un centinaio di modelle stile Victoria's Secret.
Aveva senso, ma chi poteva davvero saperlo?
Mi vestii in pochi minuti e fui in perfetto orario per l'appuntamento con Serena.
Trascorremmo una piacevole ora, facendo pronostici sulla "festa" di Catherine, e ricordando un po' i vecchi tempi.
Non appena fummo arrivate al locale vidi palloncini e festoni rosa, come se fosse non un addio al nubilato, ma il compleanno di un'innocente bambina.
Ed in fondo era proprio quel che Catherine era: un'innocente bambina.
Dopo aver posato i soprabiti, Catherine ci presentò le sue più intime amiche che, insieme a noi, avevano ottenuto "l'onore" di partecipare a quella festa.
Io non feci altro che lamentarmi, aggrappandomi a qualsiasi sciocchezza: dalla carta da parati, agli orripilanti gusti in fatto di abiti da parte di Catherine e del resto delle invitate, compresa Serena, che rispose alzando gli occhi al cielo, come se si fosse abituata alle mie critiche.
Vedevo tutte quelle anatre starnazzare alla vista dell'anello regalatole da Chuck, o dei vestiti uguali delle damigelle, o dei luoghi dove poi sarebbero andati alla fine delle loro nozze.
Alla fine delle loro nozze. Cioè quando Chuck sarebbe diventato marito di Catherine, e Catherine moglie di Chuck. Era difficile persino da pensare un Chuck Bass con la fede dorata che scintillava sull'anulare sinistro.
"S, io devo assentarmi per qualche minuto" sussurrai al suo padiglione auricolare.
"Ma vuoi scherzare, B! Dove dovresti and..." s'interruppe, probabilmente perchè aveva capito la mia destinazione.
"No, no, no. Scordatelo"
"Per favore, S. Ho bisogno di parlargli".
"D'accordo, d'accordo. Dirò che sei stata colpita da una forte emicrania"
"Grazie, ti devo un favore" dissi, mentre la abbracciavo.
Presi il cappotto, e salii sulla mia limousine, pensando a cosa avrei dovuto dire davvero.
Dopotutto l'avevo esortato io a non lasciare Catherine, ero stata io a persuaderlo dall'annullare le nozze, non mi sarei sorpresa se mi avesse sbattuto la porta in faccia.
Nel momento in cui entrai nella sua suite, la scena che mi si presentò davanti fu completamente diversa da quella che mi aspettavo.
C'era lui, adagiato sul divano, completamente da solo, eccezion fatta per il suo solito bicchiere di scotch.
"A questo punto mi aspettavo di vedere una decina di escort, e bottiglie di superalcolici sparse per tutta la suite"
"Beh, anche Nate e Jack avevano proposto una cosa simile, ma ho rifiutato" rispose, senza un minimo di stupore; come se fosse già a conoscenza della mia presenza lì.
Mi sedetti accanto a lui.
"Perchè?" chiesi.
"Se proprio devo comportarmi come il Chuck del liceo, allora tanto vale farlo con l'unica persona con cui vorrei farlo davvero"
Sorrisi.
"Perchè sei qui, Blair?"
"Bella domanda." risposi.
Lui alzò un sopracciglio, esortandomi a dire di più. 
"So bene che sono totalmente incoerente ad essere qui, adesso. Ed anche di essere l'ultima persona che dovrebbe essere seduta accanto a te, ma avevo bisogno di vederti, prima di tutti, prima di tutto." 
A quel punto passai la mia mano tra i suoi capelli, mentre lui chiuse gli occhi, sovrapponendo la sua mano alla mia. Così lo avvicinai a me, e non m'interessava affatto se mi avesse respinta o meno, avevo bisogno di lui.
Le sue labbra sapevano di scotch invecchiato, e mentre lui mi sfiorò il braccio, arrivando alla cerniera lampo dell'abito, un brivido violento percorse la mia schiena.
Quella notte non ci staccammo nemmeno per un secondo, ed era come se per l'ultima volta avessimo bisogno di marcare il territorio. Il nostro territorio.









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Capitolo 11
*** I will always love you ***


gyjfjyfjfukfj *toc* *toc*
Quella mattina il risveglio fu tutt'altro che rilassante, perchè causato dal continuo bussare di qualcuno.
Qualcuno che, a pensarci bene, poteva essere anche Catherine, tuttavia passarono alcuni secondi perchè io arrivassi a questa conclusione.
Strizzai gli occhi, infastidita per la violenza con cui il visitatore batteva sulla porta
"Chuck, stanno bussando?!" chiesi, con aria interrogativa ed esclamativa allo stesso tempo.
"Credo di si" disse, un po' preoccupato, passandosi una mano tra i capelli bruni.
In un lampo indossò la sua giacca da camera di seta (ovviamente viola), ed andò ad aprire alla porta, anche se a me appariva più come un incontro con il destino. E se fosse stata Catherine? Come avremmo spiegato la mia presenza in sottoveste, sotto le coperte di Chuck?
Decisi che ci avrei pensato al momento.
"Chuck! Apri, sono io, Nate!"
Tirai un sospiro di sollievo, e credo anche Chuck.
"Nate, sei tu..."
"Sì, sono io. E' mezz'ora che busso alla porta"
"Scusami, stavo ancora dormendo"
"Ma come, oggi è..." inaspettatamente, ci fu qualche secondo di silenzio.
"Aspetta un momento; conosco quell'espressione, i capelli così scompigliati, la vestaglia viola del post-sesso"
"Nathaniel, che accidenti stai dic..."
"Non ci provare. Chi c'è in camera da letto?"
Accidenti a Chuck, adesso Nate lo avrebbe scoperto di sicuro. Non che non mi fidassi di Nate, era ed è ancora un ottimo amico, ma il fatto che qualcuno lo sapesse lo rendeva ancora più reale.
"No, aspetta non me lo dire, indovino da me. Solo una persona è in grado di ridurti in questo stato" continuò Nate, ridendo.
"Blair, adesso puoi anche uscire" cantò Nate, senza che Chuck dicesse una sola parola.
A quel punto indossai la camicia che la sera precedente avevo praticamente strappato via da Chuck, ed uscii.
Quando uscii vidi Chuck seduto sul divano, con un'espressione rassegnata, ed il suo solito scotch per colazione.
"Buongiorno, Nate" dissi, con tono stanco.
Lui rise, era straordinario come Nate prendesse tutto alla leggera.
"Sapevo che ci sareste ricascati, voi due. Era solo questione di tempo. Io e Serena avevamo anche fatto una scommessa a riguardo"
"Una scommessa?" chiese ironico, Chuck.
"Si, ci chiedevamo se avreste smesso di reprimere i vostri sentimenti prima o dopo il matrimonio. Io avevo scommesso sul dopo."
"...Interessante" aggiunsi, io.
Mi ripromisi di fare un discorsetto a Serena, non appena l'avessi vista.
"Ad ogni modo, ero venuto qui per portarti lo smoking, anche se a questo punto non so se ne avrai ancora bisogno..." affermò,  divertito.
"Lascialo pure sulla sedia" comandai.
E così facendo decise che era il momento di andarsene, e ci lasciò da soli.
"Blair, perdona la domanda, ma vorrei sapere realmente cosa ha significato per te questa notte" domandò, dopo qualche secondo.
"Tanto, Chuck. Molto più di quanto tu creda. Perchè ho capito che mi ami, con la stessa intensità e passione di tanti anni fa."
"Credevo lo sapessi già, Blair io non ho mai smesso di amarti, ho solo cercato di reprimere questo mio sentimento prendendomi gioco di te, di Catherine, ed anche di me stesso."
"Chuck, voglio che tu sappia una cosa: quando ti ho lasciato all'aereoporto, qualche settimana fa, non è stato solo per accantonare il mio egoismo, per darti una nuova possibilità di amare, e di essere felice; l'ho fatto anche perchè avevo paura, paura che potessi essere tu ad abbandonare me, paura che potessi preferire Catherine a me". dissi, ignorando la sua dichiarazione.
"E' assurdo..." bisbigliò.
"Forse. Ma diciamocelo, Catherine è di gran lunga una persona migliore della sottoscritta: è dolce, affabile, non conosce nemmeno il significato della parola "complotto", adora i bambini, darebbe tutto per avere una famiglia, e ti ha fatto addirittura convertire. E' tutto l'opposto di Blair Waldorf."
"Questa notte è stato un altro, l'ennesimo, errore. Ma ti prometto che cambierò. Io-io...Non avrai altre mie interferenze nella tua vita da parte mia. "
"Credo che tu abbia diritto alla felicità, e non puoi con me che ti ronzo intorno." continuai, con un groppo in gola.
Lui stava lì, e mi guardava semplicemente, con gli occhi sempre più lucidi.
Avvicinai il mio viso al suo, in modo che le nostre fronti si toccassero, e chiusi gli occhi. Lui mi imitò.
"Ti amo, Chuck. Ti ho sempre amato."
E così dicendo mi staccai da lui, presi il soprabito, ciò che rimaneva dei miei vestiti, e dandola vinta alla codardia, me ne andai, con il viso segretamente coperto di lacrime.

"Pronto, Salve. Parlo con la signorina Blair Waldorf?"
"Sì. Chi è?"
"Sono il dottor Newman. Il signor Bass ha avuto un incidente stradale..."
"Cosa?!" Urlai, in preda al panico.
"Stia calma, è fuori pericolo. Ma chiede con insistenza la sua presenza"
"Certo, certo. Arrivo immediatamente." risposi, chiudendo la telefonata.
A quel punto ruppi fede alla mia promessa fatta poche ore prima, ma non m'importava. Chuck aveva bisogno di me, e...aveva bisogno di me, non avevo bisogno di altre ragioni.
Credo di non aver mai corso in quel modo con un semplice taxi prima di allora, e non mi preoccupavo nemmeno del tipico traffico newyorchese, avrei preso l'elicottero, se necessario.
Non appena arrivai all'ospedale, vidi Nate e Jenny, Serena e Humphrey, stringere tutti un caffè fumante, ed un espressione impaziente in volto.
Notai l'assenza di Catherine, forse era nella stanza con Chuck.
Ehy,Blair" dissero, tutti all'unisono.
"Ciao, dov'è Chuck?" chiesi frettolosa.
"Beh, è lì, ma dovremmo parlarti di una cosa prim..." disse, Serena.
"S, me ne puoi parlare dopo? Ho bisogno di vedere Chuck."
"Ma, Blair!" gridò, mentre io stavo già aprendo la porta.
Mi sorprese vedere che nella stanza non c'era nessuna Duforth.
Mi avvicinai con cautela, aveva gli occhi chiusi, ma non ero certa che stesse davvero dormendo.
Aveva il viso pieno di graffi, e lividi, ed era ricoperto da spaventose fasce bianche.
Mi sedetti sulla sedia, e lo vidi alzare quelle lunghe ciglia nere, sbattendole più volte.
"...Blair, sei qui" disse, con un tono mellifluo.
"Sì, non sono brava a mantenere le promesse, come puoi ben vedere." dissi, con un sorriso malinconico.
Lui accennò un sorriso, mentre aspettava che parlassi.
Ma io non sapevo cosa dire. Non sapevo nemmeno per quale motivo si era ridotto in quello stato.
"Immagino ti starai chiedendo cosa sia successo..." disse.
La  mia espressione interrogativa doveva essere piuttosto esplicita.
"In questo momento, ti credevo all'altare, non di certo qui..." dissi.
"In realtà, io...stavo venendo da te."
Ero sbalordita, e felice al tempo stesso.
"Non potevo sposare Catherine, io non provo nulla per lei. L'unica cosa che mi rimprovero è quella di aver aspettato fino a questo giorno, di aver aspettato di trovarmi in smoking davanti ad un altare con una donna che non eri tu, per capirlo"
Gli presi la mano e gliela strinsi, forte, vicino le mie labbra.
"Io non amo lei ed i suoi pregi, amo te ed i tuoi difetti. So che è totalmente masochista, ma non posso farne a meno. Ti amo, Blair"
 Lo guardai dritto in quegli occhi nocciola più potenti di una bomba atomica, e gli dissi che l'amavo anche io, questa volta senza "ma", o "però".
Gli posai un bacio delicato su quelle labbra gonfie, e sentivo che mai, per nulla al mondo, ci saremmo lasciati più.

Quindici giorni dopo
"Chuck, vuoi una mano per scendere dalla limousine?" chiesi. Da quando Chuck si era infortunato, ero praticamente iperprotettiva.
"No, Blair. Ci riesco, davvero!" rispose, alzando gli occhi al cielo.
"Sei appena uscito dall'ospedale, non fare lo spaccone, come sei abituato a fare" sussurrai, ironica.
"D'accordo, d'accordo, mammina" ridacchiò.
Entrammo nella reception dell'albergo, e fu come sentirsi a casa.
"Mi era mancato questo posto" disse, e sapevo che era vero.
"Ma soprattutto, mi era mancato fare questo" bisbigliò, al mio padiglione auricolare.
Mi prese per un fianco, attraendomi a lui, e baciandomi, con un'intensità inverosimile.
Ah, il mio Chuck.
Dinanzi all'uscio della suite, improvvisamente mi bloccò, dicendomi di stare lì, ferma.
Successivamente chiamò Arthur, che, per mia sorpresa era già nella suite. Chuck si avvicinò a lui, che gli consegnò qualcosa che non riuscii a vedere, per poi andarsene a passo svelto.
Nel viso di Chuck riconobbi una luce strana, ma bellissima. Adoravo vederlo così felice.
"Tra di noi, non è mai stato facile, perchè forse siamo noi a non esserlo. Ma in fondo è proprio di questo che ci siamo innamorati..."
E con quelle parole capii già cosa stava per chiedermi. Come conferma del mio pronostico, s'inginocchiò, senza troppo sforzo.
"Blair Cornelia Page Waldorf, vuoi sposarmi? chiese, con gli occhi pieni d'amore.
Io feci una risatina, e con le lacrime che già mi rigavano il viso, risposi: "Sì!"
M'inginocchiai anche io, e glielo ripetei altre dieci, o venti volte, baciandolo ripetutamente.
"Ti amo" mi disse.
"Ti amo anche io, Chuck Bass, fonte di tutti i miei guai, ma anche e soprattutto delle mie gioie."







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