Come Ogni Volta

di Kitri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui ***
Capitolo 2: *** Lei ***
Capitolo 3: *** Il Sogno e la Realtà (1a parte) ***
Capitolo 4: *** Il Sogno e la Realtà (2a parte) ***
Capitolo 5: *** Il Primo Intervento ***
Capitolo 6: *** Conoscersi ***
Capitolo 7: *** Cambiamenti in Vista ***
Capitolo 8: *** La Festa degli Specializzandi ***
Capitolo 9: *** Fino all'Alba ***
Capitolo 10: *** Innamorarsi ***
Capitolo 11: *** Un Arrivo Inatteso ***
Capitolo 12: *** Gelato al Cioccolato ***
Capitolo 13: *** Senso di Libertà ***
Capitolo 14: *** Buon Natale, Amore Mio! (1a parte) ***
Capitolo 15: *** Buon Natale, Amore Mio! (2a parte) ***
Capitolo 16: *** Nubi all'Orizzonte ***
Capitolo 17: *** Vecchie Ferite ***
Capitolo 18: *** Il Lato Oscuro di Mamoru ***
Capitolo 19: *** Castelli in Aria ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Lui ***


Sei le sbarre al mio silenzio 
Sei il nemico andato via 
Mille volte l'unica poesia 
Sei la cella e il prigioniero 
L'illusione che cadrà 
Mille volte l'unica realtà 
Tu sei l'alito che guida 
Le mie dita su di te

sei il respiro dentro ai miei Perché 
Sei la prossima parola 
Sei la voce calma che 
Dà la forza a tutti i miei Perché 
Tu sei l'inverno in fondo al cuore 
Sei l'estate che non c'è 
Tu sei la via che passa dentro me
.
 
 
 
 
 
    1. LUI
     
     
     
    «Oh, buongiorno, dottore! Ha il turno di mattina oggi?» esclamò l’infermiera, piacevolmente sorpresa nel vederlo entrare.
    «Piccolo cambiamento dell’ultima ora! – le rispose lui sorridendo e continuando a camminare a passo svelto – Oggi sei con me. Preparati! Tra venti minuti iniziamo il giro».
     
    Mamoru Chiba, 30 anni, neurochirurgo, secondo anno da strutturato nell’ospedale principale della Capitale. Intelligente, brillante, appassionato, era stato il migliore della sua classe di specializzazione. Figlio di uno dei più importanti cardiochirurghi del Paese, la strada della sua vita sarebbe stata certamente in discesa, se solo l’avesse voluto.
    Il dottor Hiroshi Chiba, infatti, aveva già deciso da tempo che il figlio avrebbe seguito le sue orme, diventando anch’egli cardiochirurgo. Una volta che lui fosse andato in pensione, Mamoru avrebbe poi preso il suo posto e ne avrebbe continuato il lavoro di ricerca.
    Ma al ragazzo tutti questi programmi, fatti senza il proprio parere, non andavano giù. Ci mancava solo che suo padre decidesse anche con chi avrebbe dovuto sposarsi e passare il resto della sua vita!
    Così, a soli diciott’anni, decise di prendere le distanze dall’ingombrante figura paterna e di andare a studiare medicina nella Capitale.
    Come c’era da immaginarsi, il genitore non approvò e, prima che il ragazzo partisse, padre e figlio ebbero una violenta discussione. Se Mamoru non voleva seguire quello che lui, dall’alto della sua esperienza, riteneva più giusto per la sua carriera, allora non l’avrebbe aiutato in alcun modo perché, da quel momento, Hiroshi Chiba non aveva più un figlio.
    Mamoru non poteva permettere che quel dittatore di suo padre continuasse a gestire la sua vita e a scegliere al suo posto. Non si fece intimorire dalle sue minacce e partì lo stesso, con quei pochi soldi che era riuscito a mettere da parte e che gli sarebbero stati utili nei primi mesi.
    La vita da studente di medicina, solo e squattrinato, in una città sconosciuta, non fu semplice, soprattutto nel primo periodo. La mattina seguiva i corsi all’università, il pomeriggio lavorava come cameriere in un bar e di notte studiava sacrificando ore di sonno.
    Piano piano, col tempo, le cose erano migliorate. Si era ambientato nella nuova città, aveva stretto nuove amicizie e aveva lasciato il bar per lavorare come modello per un’agenzia pubblicitaria, impiego meno faticoso e sicuramente molto più redditizio.
    Era felice come non lo era mai stato. Per la prima volta era libero e aveva il pieno controllo della propria vita. Non aveva alcun rimpianto del passato, pur avendo tagliato completamente i rapporti con suo padre.
    «Un banale caso di omonimia» rispondeva a chi notava con stupore il suo cognome.
    Continuava, però, a sentire sua madre che, per timore della reazione del marito, lo chiamava di nascosto, appena poteva.
    «Sai, - gli disse la donna durante una telefonata – tuo padre è rimasto di sasso quando ti ha visto su quei cartelloni pubblicitari. Non ha detto più una parola. Credo che gli manchi molto».
    Mamoru scoppiò a ridere.
    «Io credo piuttosto che gli sia venuto un colpo al pensiero di cosa avrebbero detto i suoi illustri colleghi! “Il figlio del grande Hiroshi Chiba mezzo nudo su una volgare pubblicità!”» aveva risposto alterato a sua madre.
    «In ogni caso – continuò – quel lavoro è ben retribuito e mi permette di pagare le spese universitarie e di affitto. Qualunque cosa pensi tuo marito non mi interessa. Lui non ha più un figlio, io non ho più un padre!».
     
    Così, in dodici anni, era riuscito a realizzare con grandi sacrifici tutti i suoi sogni. Da solo!
    Era diventato un chirurgo eccellente e tra qualche anno, forse, anche primario di chirurgia.
    «La carriera prima di tutto!» rispondeva a chi, fin troppo spesso, gli faceva notare, però, la mancanza di una donna fissa al suo fianco.
    Già, le donne! Mamoru aveva una propria filosofia a riguardo. Perché accontentarsi di una sola, quando poteva avere tutte quelle che voleva, senza neanche chiedere?
    Alto, moro, occhi blu profondi, sorriso disarmante, viso perfetto e un corpo statuario. Bello, maledettamente bello. E perfettamente consapevole delle proprie armi.
    Quante ce n’erano state negli ultimi anni?
    Neanche lo ricordava. Ma in fondo che importanza aveva?
    Nel suo letto entravano donne bellissime e disponibili. Massimo piacere col minimo sforzo, nessun coinvolgimento, nessuna noia. E poteva così dedicarsi liberamente al suo lavoro, alle sue passioni, ai suoi amici. Non aveva alcuna voglia di crearsi una famiglia e permettere a un’altra persona di interferire con quanto aveva costruito al costo di mille sacrifici.
    «La mia vita è perfetta!» continuava a ripetere.
    E amava convincersi che fosse realmente così.
     
    Quella mattina, Mamoru era arrivato in ospedale in ritardo e continuava a camminare spedito per recuperare qualche minuto. Borsa a tracolla, con la mano sinistra reggeva il casco e la giacca, con la destra il quotidiano al quale gettava qualche occhiata furtiva di tanto in tanto.
    “Niente caffè, rimandiamo a dopo” pensò passando davanti al distributore automatico.
    Arrivò alla fine del corridoio, raggiunse l’ascensore e con uno scatto riuscì a entrarvi, prima che le porte si richiudessero.
    Durante il lento tragitto verso i piani superiori, rilesse con maggiore attenzione i titoli della prima pagina.
    Finalmente, l’ascensore arrivò al quinto piano e si fermò. Le porte si aprirono e lui alzò lo sguardo dal giornale, pronto a riprendere la corsa contro il tempo.
    Ma fu proprio in quel momento che li vide.
    Due meravigliosi occhi azzurri, limpidi e cristallini come i mari esotici che si vedono su quei cataloghi che promettono vacanze paradisiache.
    Fu un attimo in cui tutto si bloccò. Il suo corpo, il suo cuore, la sua mente.
    “Wow!" pensò mentre si immergeva in quel mare caldo e sereno.
    Fu solo un attimo, anche se eterno e bellissimo.
    “Ritorna in te, Chiba!”.
    A fatica abbassò lo sguardo da quegli occhi sconosciuti e uscì dall’ascensore. Sorrise tra sé, scuotendo la testa.
     
    Come una furia, entrò nello spogliatoio dei medici e aprì il suo armadietto. Velocemente indossò la divisa blu da chirurgo e il camice bianco, prese lo stetoscopio e lo appoggiò intorno al collo.
    «Caffè, Chiba?» chiese la voce di una donna, che entrava in quel momento nella stanza.
    «Tempismo perfetto, Tenou!» le rispose lui, allungando il braccio per afferrare la bevanda.
    «Sei in ritardo, Mamoru! In quale letto ti sei risvegliato stamattina? Quello della nuova pediatra? Setsuna Meiou, se non sbaglio» lo prese in giro la ragazza.
    «Ah, ah! Ti hanno mai detto quanto sei simpatica, Heles? Mi hanno avvisato del cambiamento di turno solo un’ora fa - rispose lui accigliato – E poi lo sai che non mi piace dormire in compagnia. Vorrei evitare di rammentarti che l’unica volta che è capitato non ero lucido» continuò allusivo.
    «Infatti, evita! – esclamò la donna seccata, afferrando l’allusione – Comunque, sei evasivo come al solito, Mamoru. Non hai risposto alla domanda» continuò lei.
    «Sono un gentiluomo, non parlo della mia vita sentimentale» disse lui con un sorriso ironico.
    «E da quando avresti una vita sentimentale, tu? Mi sono perso qualcosa?» domandò un altro medico entrando.
    Heles scoppiò a ridere. Mamoru guardò entrambi fingendosi infastidito dal loro stupido sarcasmo.
    «Comunque, parlando di cose serie, – continuò il dottor Furuhata – visto che entrambi siete liberi stasera, che ne direste di una birra al Crown? Domani parto con Reika. Starò via un paio di settimane e mi piacerebbe passare la serata con i miei migliori amici».
    «Ah, bene, Motoki! E dov’è che andrete?» chiese Heles curiosa.
    «Polinesia» rispose soddisfatto, mostrando da un depliant l’immagine del mare cristallino polinesiano.
    Mamoru guardò quella foto, sgranando gli occhi stupito.
    Per un attimo gli venne in mente quel paio di meravigliosi occhi azzurri che aveva incrociato pochi minuti prima. Quel mare era esattamente ciò che aveva visto in essi. Quando si dice le coincidenze! E non poté fare a meno di ridere come uno stupido.
    «Che hai?» gli chiese l’amico perplesso.
    Mamoru scosse la testa continuando a ridere.
    «Niente, niente!».
    «Ormai è andato!» esclamò Heles con disappunto, mimando un gesto di saluto con la mano.
    «Probabile. - disse Mamoru e, schioccando un rumoroso bacio sulla guancia dell’amica, continuò - Io vado, i miei pazienti mi aspettano. Ci vediamo stasera alle sette al Crown».
     
    Motoki Furuhata e Heles Tenou erano i due migliori amici di Mamoru. Chirurgo plastico lui, chirurgo ortopedico lei, li aveva conosciuti entrambi al primo anno di università e da subito erano diventati praticamente inseparabili, quasi come fratelli. Avevano condiviso tutte le esperienze degli ultimi dodici anni, dall’università alla specializzazione, e si conoscevano alla perfezione.
    Con Motoki aveva condiviso il vecchio appartamento per parecchi anni, fino a quando non era arrivata Reika, la sua attuale moglie. Lui era tra quelli che non comprendevano il modo in cui Mamoru si relazionasse con le donne: possibile che a 30 anni non avesse mai sentito il desiderio di amare una donna e di crearsi una famiglia?
    Heles, invece, non lo criticava, lo accettava e basta. Lei era molto più simile a lui, spirito libero e anticonformista. Quante sere avevano passato insieme fuori casa a divertirsi e ubriacarsi, mentre Motoki era già a letto da un pezzo!
    Era una bella ragazza, molto alta, capelli corti biondi, occhi blu, e lui la adorava. La considerava l’unica donna che potesse essere una presenza costante nella sua vita.
    La loro era solo una grande amicizia, non c’era mai stato niente ... o meglio, niente eccetto un’unica notte di sesso sfrenato, ubriachi fradici dopo una serata di bagordi. Avevano passato il giorno dopo a riderne come matti e si erano giurati che non sarebbe accaduto mai più, perché era stato decisamente un ridicolo sbaglio. E poi Heles era già fin troppo incasinata con la sua fidanzata Michiru. Ci mancavano solo altri casini col suo migliore amico, tra l’altro un uomo, il primo e unico della sua vita!
     
    Quella sera, si incontrarono come previsto al Crown, una birreria a pochi passi dall’ospedale, frequentata principalmente da medici e infermieri.
    Il locale non era molto affollato, anzi, era piuttosto tranquillo rispetto al solito.
    I tre amici occuparono un tavolo e ordinarono delle birre. Chiacchierarono del più e del meno, scambiarono informazioni sulle loro rispettive giornate in ospedale, parlarono del viaggio in Polinesia. Poi, la suoneria di un cellulare li interruppe e Motoki, scusandosi con gli amici, uscì dal locale per poter parlare con la moglie senza disturbi alla linea.
    E fu proprio in quello stesso istante che Mamoru la notò.
    Seduta al bancone, una ragazza dai lunghi capelli biondi sembrava pensierosa e annoiata, mentre con la cannuccia giocava con il ghiaccio nel bicchiere che aveva davanti a sé. Indossava dei leggins neri e un maglione grigio perla che le lasciava una spalla scoperta.
    Mamoru non riusciva a vederla bene, ma aveva un’aria familiare. Dove l’aveva già vista? Poi, all’improvviso, come se lei avesse deciso di sciogliere ogni suo dubbio, si era girata facendo ruotare lo sgabello su cui era seduta.
    Per un istante infinito i loro sguardi si incrociarono.
    Era lei! La ragazza dell’ascensore, la proprietaria degli occhi color del mare, in cui proprio quella mattina Mamoru si era tuffato.
    Per la seconda volta in quella giornata pensò “Wow!”.
    Era davvero bellissima. Semplice, delicata, stupenda.
    Il suo cuore sembrava impazzito e quasi gli mancava il respiro.
    “Ma cosa mi prende?” si chiese preoccupato per la sua insolita reazione.
    Poi lei aveva distolto gli occhi, forse imbarazzata o infastidita, e ora continuava a guardarsi intorno come se aspettasse qualcuno. Ma per un paio di volte aveva incrociato ancora lo sguardo di Mamoru, che era come incantato e non riusciva a smettere di contemplarla.
    «È molto bella!» esclamò Heles.
    La sua voce riportò il ragazzo alla realtà.
    «Cosa?» chiese all’amica fingendo di non aver capito.
    «La ragazza che stai fissando come un cretino da almeno dieci minuti. È molto bella!– rispose lei – Ma lascia perdere, non è il tuo tipo! Quelle come lei sono pericolose».
    Mamoru rimase in silenzio fissandola con aria interrogativa.
    «Bella, fine, con quell’aria ingenua e indifesa: sono quelle come lei che fanno più male. E senza che tu te ne accorga ti mettono in catene» continuò Heles.
    «Come Michiru?» la stuzzicò Mamoru.
    «Come Michiru! – disse la ragazza seria, senza rispondere alla provocazione dell’amico - Comunque viso stupendo, belle tette e gran bel culo!» concluse ammiccando e buttando giù un lungo sorso di birra.
    A quest’ultimo commento Mamoru non poté fare a meno di ridere.
    «Sei peggio di un uomo, Heles! Come hai fatto a notare certi particolari se è lì seduta e non si è ancora mossa?».
    «Semplice, mio caro. – spiegò lei con naturalezza sollevando le spalle - L’ho notata molto prima di te, appena è entrata».
    Mamoru scosse la testa incredulo continuando a ridere, volgendo poi uno sguardo furtivo verso la ragazza bionda.
    «Ti ha proprio fulminato, vero Chiba?» insinuò Heles con un sorriso sornione, avvicinandosi di più al ragazzo.
    «Ma cosa dici? – esclamò Mamoru cercando di dissimulare l’imbarazzo – È bella, questo senza dubbio, ma niente di diverso da altre mille ragazze che non abbia già visto e toccato» aggiunse con un tocco di presunzione.
    «Niente di diverso? – chiese Heles che aveva capito fin troppo bene di aver fatto centro – Sei tu che sei diverso, mio caro dottore! Sono anni che ti conosco e non ti avevo mai visto mostrare tutto questo interesse per una donna».
    Mamoru, però, non rispose. Sapeva che era inutile continuare a fingere con la sua amica.
    «In ogni caso, stiamo sprecando fiato. È già impegnata!» disse ancora Heles, voltandosi a guardare l’oggetto della loro discussione che si dirigeva verso l’uscita abbracciata a un uomo.
    E ancora una volta il ragazzo non rispose.
    Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta a un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione.
     

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Capitolo 2
*** Lei ***


LEI 
 
 
«Ciao Usagi, a domani!» esclamò il giovane medico salutando la sua collega.
«Non ci sarò domani. È il mio giorno libero! - rispose la ragazza bionda sorridendo - Dopo tre turni consecutivi di notte, tutto quello che farò sarà dormire, dormire, dormire! Ci vediamo, Seiya, buona giornata!».
«Buona dormita, allora, dottoressa!» la salutò il ragazzo con il suo bel sorriso.
 
Usagi Tsukino, 24 anni, medico, primo anno da specializzanda in chirurgia nell’ospedale principale della Capitale. Si era laureata in medicina col massimo dei voti ed era stata ammessa al programma di specializzazione nell’ospedale della sua città di origine, realizzando, così, quello che era il suo sogno fin da bambina.
Ma quell’estate, poco prima di cominciare il tirocinio, aveva deciso di chiedere il trasferimento nella Capitale. Poiché c’era ancora un posto vacante e dato il suo ottimo curriculum, la domanda fu immediatamente accettata e, in pochi giorni, Usagi si trovò a organizzare la propria partenza. Non c’era un motivo particolare che l’avesse spinta a fare questa scelta improvvisa, ma sentiva di essere cresciuta e di avere bisogno dei propri spazi, lontano dalla famiglia, anche se quella stessa famiglia le sarebbe mancata tantissimo.
Suo padre, Kenji, era un avvocato ed era un papà fantastico, con cui si riusciva a parlare di tutto. Era un uomo forte e premuroso e non aveva mai fatto mancare niente ai suoi figli, soprattutto quando la loro mamma, Ikuko, era venuta a mancare, a causa di una brutta malattia, quindici anni prima.
Usagi allora aveva solo nove anni e suo fratello, Shingo, undici. Erano solo dei bambini e non riuscivano a capire perché proprio la loro mamma, così bella e buona, non ci fosse più.
Ma il loro papà era stato grande. Aveva svolto con immensa fatica il ruolo di entrambi i genitori nel miglior modo che si potesse immaginare. E ancora adesso, da adulti, continuavano a pensare che, se da un lato la vita li aveva puniti privandoli, fin da piccolissimi, della loro mamma, dall’altro li aveva premiati donando loro il padre migliore che si potesse desiderare.
Tre anni dopo la morte della moglie, poi, Kenji si era risposato con Yumiko.
Inizialmente i suoi due figli non avevano gradito la presenza della donna nella vita del padre, perché avevano paura di perdere anche lui. Ma in seguito dovettero ricredersi.
Yumiko li conquistò con la sua dolcezza e la sua infinita pazienza e ben presto cominciarono a considerarla una mamma. E poi con lei, il loro papà finalmente era di nuovo felice, e questo non era certo un dettaglio di poco conto.
Dulcis in fundo, dopo due anni, ad allietare la famiglia Tsukino era arrivata anche una nuova sorellina, la piccola Chibiusa, che ora aveva dieci anni. Era una peste, ma Usagi e Shingo la adoravano, e lei stravedeva per loro.
Eh sì! Usagi avrebbe sentito proprio tanto la loro mancanza. Come pure quella delle sue amiche di sempre: Rei, Ami, Makoto e Minako.
Ma dopotutto, a parte loro, non c’era nient’altro a trattenerla.
Se da un lato la ragazza poteva vantare una famiglia meravigliosa e degli amici fantastici, altrettanto non poteva dire della sua vita sentimentale, che era a dir poco disastrosa.
Nell’arco della sua giovane vita, aveva avuto solo due storie importanti.
La prima, che risaliva ai tempi del liceo ed era durata circa un anno, era un amore adolescenziale e come tale destinato a finire con la stessa leggerezza con cui era nato.
La seconda, invece, era stata ben più importante e sofferta. Era durata circa tre anni, durante i quali Usagi si era annullata quasi completamente, mettendo il suo lui sempre davanti a tutto, spesso lasciando da parte anche lo studio. Alla fine quell’idiota l’aveva lasciata per un’altra, a suo parere più tranquilla e molto meno ambiziosa di Usagi.
Non fu facile per lei, anche se doveva ammettere che la fine di quella storia l’aveva alleggerita di un peso, nonostante ci avesse creduto molto.
Davanti agli altri continuava a essere la Usagi solare di sempre, sorrideva e faceva finta di niente, come se la cosa non l’avesse toccata. Quando era sola, però, era capace di piangere ore intere, ma non per la fine di un amore che, forse, non era mai stato tale, piuttosto per la rabbia di quanto era stata stupida a sacrificare se stessa e la propria vita per qualcuno che non lo meritava minimamente.
Da subito, aveva deciso di non lasciarsi andare, anche se la rabbia e la delusione erano tante, e aveva reagito gettandosi a capofitto nello studio, nel tentativo di recuperare il tempo perso a causa della sua stessa stupidità.
Così, in due anni, era riuscita a mettersi in regola con gli esami e a laurearsi nei tempi previsti.
Come conseguenza negativa, però, Usagi aveva cambiato completamente atteggiamento nei confronti dell’altro sesso e dell’amore in generale.
I suoi legami non duravano più di un mese e non andavano mai al di là dell’attrazione fisica e, se, per caso, si accorgeva di una piccola evoluzione, troncava senza neanche una spiegazione, spariva e basta. E non era raro che frequentasse più di una persona contemporaneamente.
«Non mi interessa che la gente possa pensare che io sia una poco di buono! - rispondeva alle sue amiche, che non approvavano il suo comportamento – Preferisco divertirmi e vivere con leggerezza, piuttosto che illudermi e passare per stupida».
Aveva paura e non credeva più nell’amore. Anche se, inconsciamente, desiderava tornare a essere una sognatrice.
 
A fine agosto, la ragazza aveva lasciato la sua vecchia vita con un po’ di nostalgia, ma sicuramente felice e piena di entusiasmo, perchè stava per realizzare il suo sogno: diventare un bravo chirurgo.
Si trasferì nella capitale, nell’appartamentino in centro che una volta era stato dei suoi nonni e che, fortunatamente, non era mai stato venduto. Era piuttosto piccolo, ma grazioso, e poi era vicinissimo all’ospedale e, soprattutto, aveva una stanza da letto in più per ospitare le sue amiche o i suoi familiari.
 
I corsi erano cominciati da tre mesi e i ritmi lavorativi erano già serratissimi.
Fino ad allora, agli specializzandi del primo anno erano state riservate solo le mansioni più faticose e seccanti. Turni assurdi e massacranti in pronto soccorso e ambulatorio, pile e pile di cartelle pre- e post-operatorie da compilare, centinaia di colonscopie, cateteri e clisteri al giorno. E di tanto in tanto, giusto per ricordare loro che erano medici e non schiavi, qualche giro di visite.
Ma di un bisturi neanche l’ombra!
“Non ne posso più di suture, clisteri e scartoffie!” pensava Usagi nello spogliatoio, mentre toglieva il camice e la divisa azzurra da specializzanda, per indossare jeans e maglietta.
Afferrò la sua borsa, salutò distrattamente i colleghi e si avviò verso l’ascensore del quinto piano.
Sbadigliava e sorseggiava lentamente quel caffè che l’avrebbe aiutata a rimanere sveglia nel tragitto fino a casa.
Dannato ascensore! Ma quanto ci metteva?
Era impaziente di tornarsene a casa e stava quasi per decidere di prendere le scale, quando le porte finalmente si aprirono.
“Alleluja!” esclamò tra sé pronta a fiondarsi dentro.
E fu in quel momento che accadde qualcosa di inatteso.
Due meravigliosi occhi blu, profondi come la notte, rapirono il suo sguardo.
Per un attimo dimenticò tutta la stanchezza della notte passata in bianco, il respiro si fermò e il cuore perse qualche battito.
“Wow!” pensò perdendosi in quella calda notte, piena di pace e serenità.
Fu un attimo eterno di magia, in cui il tempo sembrò essersi fermato.
Poi si costrinse a spezzare l’incantesimo.
“Quanto sei scema! Sono solo due occhi!”si rimproverò sorridendo e attese poi che le porte dell’ascensore si richiudessero prima di voltarsi, per evitare la tentazione di seguire con lo sguardo quel ragazzo, mentre andava via.
Il trillo di un messaggio sul cellulare le fece riprendere il contatto con la realtà. Takashi.
«Sono di passaggio in città. Birra al Crown alle sette e poi a casa tua? Dimmi che sei libera, non immagini neanche la voglia che ho di te».
Usagi e Takashi si erano conosciuti l’estate precedente durante una vacanza in Grecia ed erano rimasti in contatto. Lui faceva il fotografo in giro per il mondo e, ogni volta che tornava da uno dei suoi lunghi viaggi di lavoro, si incontravano per consumare l’intensa attrazione che li legava. Poi, lui ripartiva e tutto tornava come prima.
«Ok, ci vediamo al Crown alle sette» fu la risposta di Usagi, già eccitata al pensiero della notte che l’attendeva.
 
Dormì pesantemente tutta la giornata.
Alle sei del pomeriggio, ancora assonnata, si alzò. Mise su un vecchio cd dei Depeche Mode per caricarsi e poi di corsa a prepararsi per il suo appuntamento, urlando a squarciagola le parole di Personal Jesus.
Dopo una rapida doccia, infilò la biancheria nera di pizzo e optò per un abbigliamento comodo: leggins neri, maglione grigio perla e stivali bassi. Lasciò i capelli sciolti. Un po’ di colore alle guance, un velo di mascara sulle ciglia e una passata di burro di cacao sulle labbra. In mezz’ora era già pronta. Prese la borsa e le chiavi della macchina e uscì.
 
Il locale fortunatamente non era molto affollato, come si aspettava, e quindi subito si rese conto che Takashi ancora non era arrivato. Il solito ritardatario!
Si diresse al bancone e, sedendosi sull’alto sgabello, salutò amichevolmente il barista, che da tre mesi, ormai, vedeva quasi tutti i giorni.
«Buonasera, Joe».
«Ciao, Usagi. Sei da sola questa sera?» chiese il ragazzo, sorpreso di vederla senza il solito gruppo di colleghi.
«In realtà sto aspettando un amico» rispose lei con molta tranquillità.
«Ah, una serata galante … quindi, niente lavoro!».
Usagi sorrise a quella esclamazione.
«Se preferisci chiamarla così! ».
Il ragazzo ricambiò gentilmente il suo sorriso.
«Allora, aspetti il tuo cavaliere per ordinare o vuoi che ti serva già qualcosa?»
«Prendo un gin tonic, grazie».
«Arriva subito».
 
La ragazza era sovrappensiero. Takashi ancora non si vedeva e lei, annoiata, girava e rigirava la cannuccia nel bicchiere giocando col ghiaccio. Ma che fine aveva fatto?
Infastidita dall’attesa, fece ruotare lo sgabello nella direzione della porta di ingresso, sperando di vederlo entrare. Ma, con sua grande sorpresa, si ritrovò, invece, a incrociare quegli stessi occhi blu in cui si era persa proprio quella mattina.
Per la seconda volta in quella giornata, quegli occhi la rapirono. Ma stavolta non si concentrò solo su di essi. Il ragazzo a cui appartenevano era bellissimo, forse il ragazzo più bello che avesse mai incontrato.
Lui continuava a guardarla e lei, per la prima volta in vita sua, stava provando imbarazzo a causa di uno sguardo maschile. Proprio lei, che era consapevole della propria bellezza ed era abituata a sentirsi gli occhi degli uomini puntati addosso, senza neanche farci caso.Quel ragazzo bellissimo con gli occhi blu e i capelli neri era stato capace di farla arrossire, come non accadeva da tempo.
In difficoltà, Usagi provò a distogliere lo sguardo e a voltarsi dall’altra parte, nella speranza che Takashi venisse a liberarla da quella situazione.
Ma, di tanto in tanto, non poteva evitare di cercare ancora quegli occhi, era più forte di lei.
Alla fine, però, notò che il ragazzo non la guardava più, preso dalla conversazione con la donna seduta davanti a lui, sicuramente la sua fidanzata.
“Tutti uguali!” e, proprio mentre questo pensiero di inconscia delusione le passava nella testa, si sentì sfiorare la guancia. Takashi era arrivato.
«Non è mai troppo tardi!» lo rimproverò.
«Scusami – le rispose lui posandole un lieve bacio sulle labbra – Andiamo da te? Non vedo l’ora di spogliarti».
Lei rise scuotendo la testa. Senza neanche chiederle come stesse, Takashi subito era arrivato al sodo. Lui le cinse le spalle e insieme si avviarono all’uscita.
Ma, passando davanti a quel tavolo, Usagi non potè fare a meno di cercare ancora una volta quegli occhi blu sconosciuti, nel tentativo di rubare l’ultima intensa emozione.

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Capitolo 3
*** Il Sogno e la Realtà (1a parte) ***


IL SOGNO E LA REALTà (1a parte) 
 
 
Quella mattina, Mamoru aveva intenzione di dormire un po’ di più.
La sera precedente era tornato a casa tardi e sbronzo e, siccome nel pomeriggio aveva in programma due interventi, non voleva rischiare di essere poco vigile in sala operatoria.
«Che palle!» sbraitò a causa del suono insistente che lo aveva svegliato.
Sbuffando, allungò il braccio e afferrò il cellulare sul comodino. Sul display lampeggiava il nome di Setsuna, la nuova pediatra.
Il primo pensiero istintivo fu quello di interrompere la chiamata e tornare a dormire, ma poi si schiarì la voce e premette il tasto verde.
«Setsuna, buongiorno!» disse, rispondendo al telefono.
«Buongiorno a te, Mamoru. Dormivi? - chiese lei dall’altro lato del telefono - Ti ho chiamato solo per ricordarti la nostra cena di questa sera. Non te ne sei dimenticato, vero?»
“Cazzo! La cena!” pensò lui, ancora sdraiato, picchiandosi la fronte con il palmo della mano.
«Ehm … no! Ma cosa dici? Certo che non me ne sono dimenticato - rispose fingendo spudoratamente – Stavo … ehm … stavo giusto per chiamare il ristorante per prenotare un tavolo».
Odiava mentire, ma meglio che cominciare la giornata con una noiosa ramanzina, soprattutto adesso che era ancora mezzo addormentato e non vedeva l’ora di chiudere la telefonata.
«A stasera allora, dottore super sexy » lo salutò lei con voce suadente.
«A stasera, mia bellissima dottoressa».
Mamoru riagganciò il telefono e sorrise.
“Ma dove cavolo ho la testa?”.
E con questo pensiero si riposizionò sotto le sue calde e accoglienti coperte.
Alla prenotazione avrebbe pensato dopo.
 
Usagi si svegliò tra le braccia di Takashi.
Anche quella notte il suo amante non si era smentito, mostrandosi focoso e passionale come sempre. Lo guardava dormire placidamente e l’ombra di un sorriso comparve sul proprio viso, mentre ricordava la notte appena trascorsa.
A smontare quegli allegri pensieri, sicuramente poco casti, ci pensò ben presto quel senso di vuoto e solitudine che puntualmente si ripresentava ogni volta che andava a letto con un uomo.
“Perché mi sento ancora una volta così?” pensò.
La vibrazione improvvisa del cellulare la fece trasalire. Lentamente si scostò dall’abbraccio di Takashi e lesse il nome sul display. Alex.
«Buongiorno» lo salutò sospirando nervosamente.
«Usagi, ma che fine hai fatto ieri?» la rimproverò l’uomo dall’altro lato del ricevitore.
«Scusami, sono uscita con dei colleghi e ho dimenticato il cellulare a casa» cercò di giustificarsi lei brevemente, nella speranza di evitare altre domande, a cui non aveva voglia di rispondere.
Le andò bene perché ad Alex quella scusa bastò.
«Che ne diresti di venire a cena con me stasera?» le domandò subito, diretto.
«Mhmm…ok» rispose lei scocciata, come se la cosa non la riguardasse.
«Bene! Vestiti elegante, vengo a prenderti alle otto. A stasera, piccola!» la salutò lui soddisfatto.
«Ok. Ciao, Alex».
Usagi riagganciò rapidamente.
Si voltò verso Takashi, che nel frattempo si era svegliato e aveva ascoltato tutta la conversazione.
«Chi è Alex?» le chiese curioso.
«È un tipo» rispose Usagi ancor più infastidita, perché anche a lui non aveva alcuna voglia di dare risposte.
«Un tipo?».
«Un tipo che frequento».
«E dai, Usagi! Raccontami qualcosa di più» insistette Takashi.
«Ieri sera non mi sembravi molto interessato alla mia vita – esclamò Usagi sbuffando e ricordandogli come fosse arrivato subito al sodo – Comunque, cosa vuoi che ti dica? Si chiama Alex, ha quarant’anni, è un avvocato, affascinante, simpatico … e anche ricco».
«…e non immagina che in questo momento la sua donna sia completamente nuda a letto con un altro uomo» continuò lui con tono provocatorio.
«Non credo che siano affari che lo riguardino dal momento che non sono la sua donna. Non gli ho mai fatto pensare neanche lontanamente una cosa del genere! » disse lei con voce stizzita ma maliarda, rispondendo alla provocazione.
Una scintilla si accese negli occhi di Takashi.
«Quindi non gli dispiacerà se approfitto ancora una po’ della sua bellissima donna?» chiese il giovane accarezzandole il seno e avvicinandosi alle sue labbra.
«Non sono la sua donna!» ribadì Usagi baciandolo e avvolgendo la gamba attorno alla vita di lui.
 
Mamoru e Setsuna si accomodarono al tavolo a loro riservato, proprio di fronte alla porta di entrata.
La donna non era stata zitta neanche un secondo, continuava a parlare da quando era entrata in macchina, e lui l’ascoltava distrattamente, limitandosi ad annuire e a sorriderle di tanto in tanto. Gli interventi del pomeriggio erano stati più lunghi e complicati del previsto ed era infinitamente stanco. Era stato quasi tentato di annullare l’appuntamento e neanche l’idea del dopocena lo stuzzicava più di tanto. Ma chissà perché aveva deciso di andarci comunque.
Dopo aver ordinato la cena, Mamoru aveva provato a intavolare qualche discorso più interessante: musica, libri, film, ma non c’era stato niente da fare. Con Setsuna non aveva argomenti in comune! Non sapeva chi erano i Depeche Mode o i Radiohead, non ricordava il titolo dell’ultimo libro che aveva letto e l’ultimo film che aveva visto era stato un filmetto romantico di quarta categoria, che l’aveva fatta piangere per tutto il tempo.
A questo punto, rassegnato, preferì lasciar perdere, era comunque bella e sexy e questo poteva bastare.
Mentre faceva questi ragionamenti, da lui stesso considerati bassi e superficiali, si girò distrattamente verso la porta di ingresso.
Un improvviso sussulto, il cuore in gola per la sorpresa.
Ancora una volta lei!
La ragazza sconosciuta, con gli occhi azzurri come il mare, era apparsa come una visione dinanzi a lui, lasciandolo senza fiato.
Non è possibile!” pensò inebetito da quell’apparizione inaspettata.
Era ancora più bella di quanto ricordasse con quel tubino nero aderente, lungo appena sopra il ginocchio, che le metteva in risalto le forme. Heles aveva proprio ragione: belle tette e gran bel culo!
E le gambe poi? Splendide, così toniche e tornite, rese ancora più slanciate dai tacchi vertiginosi.
Il collo bianco e invitante lasciato scoperto dai capelli raccolti, il viso stupendo su cui brillavano quei meravigliosi occhi. Sembrava un sogno!
Si muoveva sinuosa ed elegante, mettendo in risalto tutta la sua grazia e la sua femminilità.
Mamoru ne aveva avute di donne, tutte bellissime, ma nessuna, a suo parere, poteva essere paragonata, anche solo lontanamente, a quella splendida creatura che aveva di fronte.
Continuò a guardarla per tutto il tempo ed era sicuro che anche lei avesse sussultato lievemente nel vederlo lì, anche se poi aveva distolto lo sguardo mostrando indifferenza.
Anche questa volta notò, con grande disappunto, che non era sola, però il suo accompagnatore non sembrava lo stesso della sera precedente. Questo era molto più vecchio.
Per un istante lo assalì un piccolo lampo di gelosia, o forse invidia, nei confronti di quell’uomo che non smetteva di accarezzarle la schiena.
“Mamoru, smettila di fare il rincoglionito! – si rimproverò – Stai fantasticando su una donna che neanche conosci!”.
Ma, nonostante si sentisse un emerito idiota, non riuscì a non seguirla con lo sguardo fino a quando scomparve nell’altra sala del ristorante.
 
Appena Usagi lo vide seduto a quel tavolo, si sentì mancare il respiro per la sorpresa.
Non riusciva a credere di averlo incontrato ancora una volta, che quegli occhi blu fossero di nuovo lì a giocare con lei e con le sue emozioni. Una coincidenza? Un sogno?
Per un attimo, tutto attorno sembrò sparire e davanti a lei non ci fu nessun altro che lui.
Era ancora più bello in giacca e cravatta, mentre la guardava con insistenza e giocherellava con le posate sul tavolo.
Ancora quella bellissima sensazione di leggerezza che non aveva mai provato, ancora una volta un lieve rossore sul proprio viso.
Però, notò che anche stavolta non era solo. Al tavolo con lui era seduta una donna, ma sicuramente non era la stessa della sera precedente. Un leggero moto di delusione le attraversò la mente e il cuore. Quindi, distolse lo sguardo, fingendo indifferenza nei confronti di quel ragazzo bellissimo.
Continuava, però, a sentire gli occhi invadenti di lui sul suo corpo ma, nonostante fosse imbarazzata e agitata, la cosa non le dispiaceva affatto.
 
All’improvviso, Mamoru era contento di non aver rinunciato a quella cena e di certo non per merito della donna seduta davanti a sé.
Anche se aveva palesemente cambiato atteggiamento nei confronti di Setsuna e rideva e scherzava con lei, durante tutta la cena si sentì inconsciamente inquieto al pensiero che quella ragazza sconosciuta fosse a pochi metri e lui non potesse godere di quello spettacolo.
 
Nell’altra sala del ristorante anche Usagi si sentiva strana. Mangiò pochissimo, rise a qualche battuta di Alex e si limitò a far finta di ascoltare quello che l’uomo le diceva. Continuava a pensare a quel ragazzo e a ciò che lui stava scatenando nella sua mente. E si sentiva ridicola.
Si alzò.
«Esco un attimo a prendere un po’ d’aria, fa molto caldo qui dentro» spiegò ad Alex che la guardava con aria interrogativa.
«Non ti senti bene? Vuoi tornare a casa?» le chiese l’uomo preoccupato.
«Sì, Alex – rispose lei – Forse sarebbe meglio se tu mi riaccompagnassi».  
«Certo, Usagi, come preferisci. Avviati verso l’uscita, ti raggiungo subito».
 
Lo sconosciuto era di spalle.
“Menomale!” pensò Usagi passando veloce davanti al suo tavolo per uscire dal locale.
Ma Mamoru, non appena la vide passargli accanto, si alzò di scatto.
«Mi sono ricordato di una telefonata urgente. Torno subito, scusami!».
Si giustificò con Setsuna e si diresse verso l’uscita.
“Ma che sto facendo? Perché la sto seguendo?” continuava a chiedersi Mamoru sentendosi ancora più imbecille di quanto si fosse sentito fino a poco prima.
Il caso, però, venne in suo soccorso: mentre Usagi camminava, qualcosa le cadde dalla tasca della giacca che reggeva con la mano sinistra.
«Signorina, credo che queste siano le sue!» esclamò Mamoru per attirare la sua attenzione.
Usagi si voltò e si bloccò di colpo trovandosi di fronte proprio lui, che reggeva le sue chiavi di casa e gliele porgeva con un sorriso.
«Grazie!» esclamò la ragazza con un leggero sorriso, dopo aver finalmente ritrovato la voce.
Alzò la mano per prendere quello che le apparteneva e le loro dita si sfiorarono per un attimo.
Il sorriso di Mamoru si fece più malizioso.
Erano così vicini!
Si guardarono con avidità, come se volessero afferrare, l’uno dell’altra, quanti più dettagli possibile, tutti i pezzi che mancavano per rendere l’immagine dell’altro, nella propria mente, più nitida e più vicina a quella reale.
Si persero in quelle sensazioni così stupide e incomprensibili per la ragione umana, ma che per loro in quel momento erano vita, delle sensazioni sconosciute, ma belle e profonde.
Pochi secondi che sembrarono ore.
«Tutto bene? Possiamo andare?».
Era Alex che nel frattempo aveva raggiunto la sua compagna.
«Sì, andiamo!» rispose Usagi, quasi frastornata dal brusco svanire di quel sogno.
 
Setsuna era sopra di lui, completamente nuda e bellissima. Si muoveva lenta e ansimava, mentre lui le accarezzava la schiena. Quando Mamoru la guardò negli occhi, li vide diventare azzurri come il mare. I capelli cominciarono a schiarirsi, il viso le si riempì di piccole e lievi lentiggini.
Stava forse impazzendo? O era stato il vino?
Come se fosse vittima di un sortilegio, le prese il viso tra le mani e la baciò teneramente. Poi fece l’amore con lei nel modo più dolce e passionale che si potesse immaginare.
 
Alex la baciò con foga sollevandole il vestito e risalendo con le mani lungo le cosce, fino ai glutei, che strinse bramoso, spingendo il bacino di lei contro il suo.
Usagi oppose resistenza a quel contatto, poggiandogli le mani sulle spalle e allontanandolo dal proprio viso. Lo guardò per qualche secondo. Confuse il blu dei suoi occhi, con quello di altri occhi, un blu più profondo e più caldo, come la notte.
Era pazza o semplicemente ubriaca?
Si abbandonò completamente e si concesse a lui per la prima ed unica volta, con la dolcezza e la passione che da tempo aveva dimenticato.
 
Erano le otto del mattino e Heles aveva appena finito il suo turno di notte in ospedale.
Uscì dallo spogliatoio e si diresse nel corridoio. Camminava lenta e di tanto in tanto sbadigliava. Quella notte le era sembrata infinita. C’era stato un incidente in periferia e aveva avuto un bel po’ da fare con i cinque feriti. Aveva eseguito due interventi d’urgenza, ma fortunatamente entrambi i pazienti erano fuori pericolo. Era ancora una volta soddisfatta del suo ottimo lavoro, ma era stato davvero massacrante. Il prezzo da pagare per salvare vite!
Arrivò al distributore automatico, selezionò il caffè macchiato e appoggiò il braccio alla macchina in attesa che la bevanda fosse pronta.
Nel voltarsi verso il banco dell’accettazione si accorse di una ragazza bionda che parlava con l’infermiera. Pensò di conoscerla, ma chi era? Dove l’aveva vista?
Improvvisamente, il ricordo balenò nella sua mente: era la tipa che due sere prima, al Crown, Mamoru non smetteva di contemplare.
Il beep annunciò che il suo caffè era pronto. Prese la bevanda e iniziò a sorseggiarla, aspettando che la ragazza si allontanasse.
«Chi era quella ragazza?» chiese avvicinandosi all’infermiera.
«La dottoressa Usagi Tsukino. È una degli specializzandi in chirurgia del primo anno» rispose l’infermiera, senza neanche alzare la testa dalle sue scartoffie.
«Curiosità. Mi sembrava di conoscerla. Buona giornata, Himeko!» disse Heles.
«Buona giornata a lei, dottoressa!».
“Una specializzanda in chirurgia! E proprio oggi Mamoru inizia il suo programma didattico! Penso che ne sarà mooolto contento” pensò Heles sorridendo per quella coincidenza.
Proprio mentre si divertiva al pensiero della faccia del suo amico, nel momento in cui si sarebbe trovato davanti quella ragazza, vide Mamoru uscire dall’ascensore.
«Dottor Chiba! Stavo giusto pensando a te!» lo salutò lei con una punta di ironia, invertendo la direzione di marcia per seguirlo nello spogliatoio.
«Ma non hai ossa da spezzare oggi?» chiese Mamoru seccato a una Heles che continuava a guardarlo, in silenzio, sorseggiando il caffè, mentre lui si preparava per il turno.
«Il mio turno è finito» rispose secca.
«Bene, allora vai a casa!» controbatté lui.
«Sì, tra un po’».
«Sembra che tu abbia qualcosa da dirmi, Heles».
«No, niente – finse la ragazza buttando giù un altro sorso di caffè – Tu, invece, che mi racconti?».
Mamoru richiuse il suo armadietto. Si voltò verso la sua amica e si sedette di fronte a lei.
Aveva voglia di confidarsi, per capire cosa gli stesse accadendo, ma aveva paura che lo avrebbe preso in giro per la propria stupidità. Poi fece un profondo respiro e cominciò a parlare.
«Stanotte sono stato con una donna immaginando che fosse un’altra» disse tutto d’un fiato.
«E qual è il problema? Può capitare – rispose Heles tranquilla – Chi era quella…mhm… insomma quella reale?» gli chiese curiosa.
«Setsuna» rispose lui.
«Beh, Setsuna è bella, sexy…non ti piace forse?».
«Certo che mi piace! - rispose sicuro Mamoru - Ma il problema non è chi fosse quella reale, ma chi fosse quella immaginaria!» continuò alzando leggermente il tono della voce.
Heles cominciò a ridere.
«Chiba, non vorrai dirmi che ero io? Io e te a letto insieme siamo troppo ridicoli, non vorrei proprio ripetere l’esperienza».
«Certo che no! Ma cosa vai a pensare?» esclamò seccato, pensando di aver sbagliato a confidarsi con lei.
«Ah, menomale! Per un attimo ho temuto che lo sbaglio di una volta non ti fosse bastato» disse Heles, continuando a ridere con le lacrime agli occhi al pensiero di quell’esperienza di anni prima. Poi, notando l’espressione di Mamoru, cercò di tornare seria.
«Scusami, scusami! Allora, dimmi, chi sarebbe la fortunata donna immaginaria?». E giù un altro sorso di caffè.
«Hai… hai presente quella ragazza bionda, due sere fa, al Crown?» chiese Mamoru titubante per l’imbarazzo.
Heles cominciò a tossire e a sputare il caffè che le era andato di traverso.
Certo che se ne ricordava e, pochi minuti prima, l’aveva incrociata nel corridoio dell’ospedale!
«Sono pazzo, vero? Neanche la conosco - cercò di giustificarsi il ragazzo davanti alla reazione dell’amica – Il fatto è che ieri l’ho rincontrata al ristorante dove avevamo prenotato per la cena e…e…»
«…ed era così bella e provocante che hai pensato di fartela per finta!».
Heles concluse a modo suo la frase di Mamoru.
«Non ti preoccupare, dottore – cercò poi di consolarlo con una pacca sulla spalla – Non sei pazzo, capita a tutti prima o poi. E prevedo grossi cambiamenti!».
«Non mi prendere in giro! Forse è stato il vino – esclamò Mamoru non capendo cosa intendesse dire Heles – Le probabilità di incontrarla ancora, in una città così grande, sono praticamente pari a zero. E non credo che possa capitare ancora. Tre volte in due giorni è già abbastanza».
«Già, hai ragione! - rispose Heles all’amico ignaro - Inizi il programma didattico, oggi, vero?» gli chiese, poi, per conferma.
«Sì, sostituisco Motoki» rispose lui, colpito dalla semplicità con cui lei avesse cambiato completamente argomento.
«Bene, in bocca al lupo! E fammi sapere come è andata» lo salutò con un sorriso ironico.
Mamoru scrollò le spalle. Certo che Heles, a volte, era proprio strana!
Fece un profondo respiro per mandare via tutti quegli stupidi pensieri che, la notte precedente, l’avevano scombussolato e uscì dallo spogliatoio per andare in reparto, dove lo attendevano i suoi nuovi allievi.
 

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Capitolo 4
*** Il Sogno e la Realtà (2a parte) ***


IL SOGNO E LA REALTà (2a parte) 
 
 
Tra gli specializzandi del primo anno, regnava una grande euforia, perché quella mattina sarebbero stati ammessi al reparto di chirurgia e, finalmente, avrebbero visto una sala operatoria e dei veri chirurghi.
Con trepidazione aspettavano il neurochirurgo, il dottor Mamoru Chiba, con il quale avrebbero iniziato il percorso didattico, prima di essere divisi in gruppi.
«Chissà che tipo è!» esclamò Ryo Urawa rivolgendosi ai colleghi.
«Io ho sentito dire da quelli del secondo anno, che è molto severo ed esigente, nonostante sia molto giovane. Tu non ne sai niente, Seiya? Tuo fratello non te ne ha mai parlato?» chiese Umino Gurio, rivolgendosi a Seiya, fratello del cardiochirurgo dell’ospedale, Taiki Kou.
«In verità, non parlo molto con mio fratello. Questo Chiba l’ho sentito solo nominare, del resto come tutti gli altri suoi colleghi. Credo che gli specializzandi del secondo anno siano una fonte di informazioni molto più valida» rispose Seiya serio, infastidito perchè non passava giorno senza che si sottolineasse il fatto che era fratello di Taiki.
«L’unico Chiba che conosco io è il grande Hiroshi, il cardiochirurgo. Un genio!» esclamò Yuichiro Kumada, che sognava di specializzarsi proprio in cardiochirurgia.
«A me è giunta voce, invece, che sia molto bello e affascinante» disse Naru Osaka sognante, mentre i colleghi uomini la guardavano con sconcerto.
Hotaru Tomoe venne in soccorso della collega.
«Anche io ho sentito la stessa cosa, pare che abbia fatto stragi qui in ospedale! E tu Usagi, hai sentito dire qualcosa? Dottoressa Tsukino, sto parlando con te!».
«Ah? Cosa?».
Usagi era completamente assorta nei suoi pensieri.
La sua mente continuava a tornare alla sera precedente e al fatto di essere andata a letto con Alex, sognando un altro uomo al suo posto. La sua testa le aveva giocato proprio un brutto tiro e razionalmente non riusciva a comprenderne il motivo. Capiva che si era comportata da stupida. Addirittura dopo l’amplesso, aveva letteralmente cacciato Alex da casa sua, trovando come scusa che il turno in ospedale sarebbe iniziato molto presto.
La verità era che si sentiva ancora più vuota e sola di quanto non le fosse capitato in precedenza con gli altri amanti.
Ma la colpa non era certo di Alex. Lui era come tutti gli altri, niente di più, niente di meno.
La colpa era tutta della confusione che era nata nella sua testa a causa di quello sconosciuto, che aveva fatto vacillare tutte le sue convinzioni.
Di sicuro, però, non avrebbe più toccato un bicchiere di vino!
Questi pensieri l’avevano completamente rapita e ora le stavano impedendo di godersi con i colleghi l’euforia di quel momento così importante.
«Ti ho chiesto se tu sai qualcosa sul dottor Chiba, se ne hai sentito parlare. Pare che sia molto bravo, nonostante sia giovane. E poi dicono che sia bellissimo!» ribadì Hotaru.
«E chi sarebbe, scusa questo dottor … ?» chiese Usagi tra lo sbigottimento generale.
«Mamoru Chiba! È il neurochirurgo dell’ospedale, quello con cui apriremo il programma di chirurgia! Svegliati, Usagi!» la rimproverò scherzosamente Seiya.
«Scusate, ragazzi – si giustificò Usagi – ero sovrappensiero! Comunque, no, non ne ho mai sentito parlare. E sinceramente non mi interessa quello che si dice in giro, l’importante è che mi insegni a diventare un bravo chirurgo!».
Mentre terminava l’ultima frase, Usagi vide tutti i suoi colleghi ammutolire improvvisamente e ricomporsi, e ora stavano tutti dritti, come soldatini, fissando la porta dell’aula.
Si voltò anche lei e per poco non sveniva.
“Oh, mio Dio!” pensò, trovandosi davanti proprio lui, vestito con la divisa blu e il camice bianco.
 
Quando si era avvicinato all’aula in compagnia di Sakurada Haruna, la coordinatrice degli specializzandi, Mamoru aveva notato che tutti i ragazzi erano zittiti improvvisamente. L’unica voce che si era udita era stata quella della ragazza bionda di spalle.
«L’importante è che mi insegni a diventare un bravo chirurgo!» le aveva sentito pronunciare con decisione e lui aveva sorriso di quella esclamazione così spontanea e piena di entusiasmo.
Poi, la ragazza bionda si era voltata fissando due limpidi occhi azzurri su di lui.
Il sorriso di Mamoru si irrigidì di colpo.
“Oh, mio Dio! Non può essere!”.
 
La dottoressa Haruna, cominciò a parlare.
« Dottori, vi presento il dottor Mamoru Chiba, uno dei nostri migliori chirurghi, nonché il più giovane e promettente neurochirurgo del Paese. Sarà lui, oggi, a introdurvi nel reparto di chirurgia. Lo seguirete nel suo giro di visite, dopodiché, da domani, sarete divisi in coppie: una coppia lo assisterà per tutta la giornata, tutte le altre saranno affidate ad altrettanti validi chirurghi. E così via nelle giornate a seguire, in base ai turni stabiliti. Da questo momento siete a tutti gli effetti degli specializzandi in chirurgia! Guai a voi se combinate guai! » e pronunciò quest’ultima frase puntando l’indice verso di loro con tono minaccioso.
 
Usagi e Mamoru erano letteralmente sotto shock e non ascoltarono una sola parola del discorso della Haruna, che faceva da sottofondo ai pensieri sconfusionati che affollavano le loro menti.
Usagi non riusciva ancora a crederci e il cuore le batteva a mille. Quel ragazzo sconosciuto dagli occhi blu, il cui pensiero l’aveva tormentata fino a pochi secondi prima, era proprio davanti a lei, che la fissava come ogni volta. E adesso quel ragazzo aveva anche una nome, Mamoru Chiba, il dottor Mamoru Chiba, il più giovane e promettente neurochirurgo del Paese. Lavorava proprio nel suo stesso ospedale ed era anche un suo superiore, nonché un suo insegnante.
Aveva sognato di fare l’amore con lui, senza neanche conoscerlo, e ora questa era la realtà!
E sperava, inutilmente, che lui non l’avesse riconosciuta.
Ah, se almeno quelle maledette chiavi non le fossero cadute e non avesse flirtato fuori a quel ristorante come una liceale, forse ora l’imbarazzo sarebbe stato di meno!
Menomale che quello che era successo dopo poteva saperlo soltanto lei, altrimenti sarebbe andata direttamente a seppellirsi.
Abbassò gli occhi, arrossendo vistosamente. In quel momento voleva solo scomparire per quanto si sentiva ridicola.
Dall’altra parte, Mamoru era rimasto di sasso, in preda allo sconcerto totale e con il cuore impazzito. La ragazza che aveva creato confusione nei suoi pensieri, quella con cui aveva sognato di fare l’amore quella notte, immaginandola al posto di Setsuna, era lì davanti ai suoi occhi con la divisa azzurra e il camice bianco e non era più una sconosciuta, era una sua specializzanda e una sua allieva.
“Sono sicuro che Heles lo sapeva. Che stronza, dopo mi sente!”.
Continuava a darsi dell’ imbecille. Ma perché l’aveva seguita fuori a quel ristorante per flirtare con lei come un adolescente?
Se non l’avesse fatto, forse lei neanche lo avrebbe riconosciuto.
Già, perché era evidente che lei si ricordasse di lui, altrimenti non avrebbe abbassato lo sguardo in quel modo.
“Figuriamoci se immaginasse il resto!” si disse.
 
«Usagi Tsukino, sei pallida! Sei sicura di stare bene?» chiese, improvvisamente, la coordinatrice con uno sguardo arcigno.
«Sì, dottoressa, sto benissimo!» le rispose la ragazza con titubanza.
“Usagi, Usagi Tsukino” pensò in quel momento il giovane medico, sentendone pronunciare il nome per la prima volta.
La dottoressa Haruna, poco convinta della risposta, scrutò ancora Usagi con sguardo indagatore, poi rivolse un’ultima occhiata severa agli altri specializzandi e si voltò.
«In bocca al lupo, Mamoru!» pronunciò con una punta di sarcasmo, salutando il collega.
«Buona giornata, Sakurada. A dopo» rispose lui.
Adesso era il suo turno.
Una strana agitazione lo prese poco prima di parlare. Lui, che nella sua vita non aveva mai vacillato davanti a niente. No, non poteva certo permettere che accadesse adesso a causa di una donna che aveva visto in tutto mezz’ora. Così cercò di riprendere il controllo e di ritrovare la sua autorità. Fece un profondo respiro e cominciò a parlare come era abituato, da insegnante ad allievi.
«Immagino che questi primi mesi di gavetta tra pronto soccorso e ambulatorio siano stati molto duri e faticosi per voi – disse ritrovando la sua espressione fredda e distaccata - Bene, la chirurgia è senza dubbio peggio! Capirete presto cosa significa lavorare ininterrottamente anche per ventiquattro ore di fila, avere il cercapersone acceso ventiquattro ore su ventiquattro ed essere chiamati nel bel mezzo di una cena con amici o nel cuore della notte».
Fece una breve pausa per prendere fiato, poi, schiarendosi nuovamente la voce, continuò il suo discorso
«Quanti ne siete? Una ventina? Beh, meno della metà di voi arriverà al termine della specializzazione. E questa non è una mia opinione, è una statistica! – poi con un sorriso beffardo aggiunse - Dai vostri volti, noto con piacere di avervi messo paura. Non è l’atteggiamento giusto! Il vostro lavoro richiede forza di volontà, passione e sicurezza. Senza, non andrete da nessuna parte! E ora seguitemi, cominciamo le visite. Mi raccomando, niente schiamazzi e risatine stupide, non voglio sentir volare una mosca davanti ai miei pazienti. Il primo che sgarra se ne torna a fare clisteri!».
Mamoru parlò con molta durezza, cercando di sembrare ancora più rigido e severo di quanto fosse normalmente, per evitare di far trapelare la sua agitazione.
Guardò a uno a uno negli occhi tutti i suoi specializzandi, tutti eccetto una, che evitava appositamente per non perdere il filo del discorso. Poi, senza aggiungere altro, girò le spalle e si avviò nel corridoio, seguito da una ventina di pecorelle smarrite.
I ragazzi erano rimasti colpiti dalle parole del giovane medico e dal suo tono autoritario e, da come aveva notato lo stesso Mamoru, sembravano piuttosto preoccupati per i sacrifici che li attendevano da quel momento in poi.
Anche Usagi era rimasta colpita dal modo in cui aveva parlato. Sembrava così severo e sicuro di sé, quasi saccente e presuntuoso, così diverso da come lo aveva immaginato.
Se da un lato la ragazza non era preoccupata per i sacrifici che richiedeva diventare un chirurgo, perché sapeva dal principio a cosa andasse incontro, dall’altro sperava che la sua stupidità dei giorni precedenti non avesse compromesso l’atteggiamento di quel giovane medico nei suoi riguardi. Aveva notato come lui aveva evitato accuratamente di guardarla negli occhi, cosa che non aveva fatto, invece, con gli altri.
Nervosa, Usagi aspettò che tutti uscissero seguendo Chiba e si mise in fila per ultima per farsi notare il meno possibile.
 
La giornata proseguì a ritmi serrati.
Durante la mattinata, gli specializzandi seguirono il dottor Chiba in una ventina di visite di controllo. Poi, fu mostrato loro l’intero reparto di chirurgia e la struttura di una sala operatoria che in quel momento era libera.
Ebbero mezz’ora a disposizione per la pausa pranzo, prima di riprendere il lavoro.
Nel pomeriggio, Mamoru aveva in programma un intervento al quale i suoi specializzandi avrebbero potuto assistere dalla saletta che sovrastava la sala operatoria.
Era un’operazione molto semplice e di breve durata, che aveva eseguito con successo migliaia di altre volte, ma lì quei ragazzi proprio non ce li voleva. O meglio, una sola era quella che non voleva.
Il giovane medico aveva cercato di dare il meglio di sé durante quella mattinata, anche se per tutto il tempo una strana sensazione di insicurezza e ansia, dovuta alla presenza della ragazza e dei suoi occhioni azzurri, non l’aveva mai abbandonato. E aveva paura che quella stessa sensazione potesse compromettere il proprio lavoro in sala operatoria.
Ma di certo si rendeva conto che non poteva escludere solo lei. Così, prima di liberare i ragazzi per il pranzo, trovò un escamotage: divise gli allievi in due gruppi. Il primo avrebbe assistito all’intervento, il secondo, di cui ovviamente faceva parte Usagi, si sarebbe esercitato con le suture altrove. Era l’unica soluzione possibile.
 
Durante la pausa pranzo Mamoru si ritirò in ufficio nella speranza di rilassarsi un po’ dall’agitazione di quella mattinata.
Era nervoso come non mai.
Come aveva potuto permettere che una donna condizionasse in quel modo la sua giornata?
Si appoggiò sul bordo della scrivania, si passò le mani sul viso e cercò di non pensare. Dopodiché, si ricordò che aveva una telefonata da fare.
Selezionò il numero di Heles nella rubrica e aspettò che rispondesse.
«Sei una stronza! Tu lo sapevi» disse, non appena udì la sua voce.
«Che bel risveglio! Grazie, Chiba!» rispose lei dopo essere stata appena svegliata.
«Perché cavolo non me l’hai detto stamattina?» le chiese lui, alzando la voce.
«Immagino ti riferisca alla tua bella specializzanda» ironizzò Heles.
«Già, la mia bella specializzanda! Mi sono sentito un coglione quando me la sono trovata lì davanti agli occhi! Senza contare che mi sono comportato da idiota tutta la mattina» esclamò Mamoru continuando a gridare.
«Sono tornata nello spogliatoio con te per raccontarti quello che avevo visto e per prenderti un po’ in giro, poi, quando ho capito che la situazione era più grave di quanto immaginassi, ho preferito che lo scoprissi da solo. Che colpa ne ho io se sei un coglione?» cercò di giustificarsi Heles, avendo capito fin troppo bene lo stato d’animo del suo migliore amico.
Mamoru inspirò aria profondamente per provare a rilassarsi.
«Scusami, è solo che non hai idea di che mattinata è stata per me. Un continuo stato di agitazione solo a causa della presenza di quella ragazza - si scusò il ragazzo tornando ad assumere un tono di voce normale – Le ho persino impedito di assistere al mio intervento dalla saletta» continuò lui.
«Mamoru sei un coglione, hai ragione! – esclamò Heles decisa, sorpresa dal comportamento del ragazzo - Che colpa ne ha lei se è una tua specializzanda? Neanche ti conosce! Non puoi impedirle di imparare a fare il suo lavoro solo perché tu te la sogni la notte. Qual è il problema? Ti piace? Allora corteggiala e portatela a letto come fai con tutte le altre. Altrimenti, fai la persona seria e matura e affronta subito la situazione. Ti ricordo che ce l’avrai davanti agli occhi tutti i giorni, per altri cinque anni!» lo rimproverò duramente lei.
Mamoru non rispose.
La sua amica aveva pienamente ragione, ma lui, per ora, non se la sentiva di comportarsi diversamente. Era ancora un po’ nervoso e preferiva continuare a nascondersi e aspettare, prima di reagire e affrontare la situazione.
«Bene! E ora se non ti dispiace, Chiba, io tornerei a dormire. Ho avuto un turno massacrante stanotte! Buona giornata!».
«Grazie Tenou, e … scusami!». la salutò lui, concludendo la telefonata.
 
«Fai anche tu parte degli sfigati che passeranno il pomeriggio a fare suture?» chiese ironicamente Seiya a Usagi, sedendosi con il suo pranzo accanto a lei, al tavolo che occupava con Naru e Umino.
«Già!» rispose lei sbuffando.
Non aveva gradito la scelta del dottor Chiba e sperava che fosse solo un caso.
«Speravo di vedere una sala operatoria in funzione, ma pazienza! La prenderò come un modo per rilassarmi un paio di ore lontano da quel generale» esclamò poi, cercando di dissimulare la tensione che l’aveva accompagnata durante tutta la mattinata.
«Hai ragione! Secondo me in un’altra vita era un generale dell’esercito. Ci tratta come soldatini!» ribattè Seiya alle parole della sua collega.
«E’ probabile! – esclamò Naru sorridendo – Però, avete notato come è dolce con i suoi pazienti? Cambia completamente!».
«I pazienti sono prima di tutto delle persone» disse Umino, citando una frase pronunciata da Chiba poco prima.
«E noi che siamo? Extraterrestri?» chiese Seiya con sarcasmo.
«Beh, è un bravo medico, è evidente, e con i suoi pazienti ci sa fare – disse Usagi con lo sguardo basso verso il suo ultimo boccone – Ma, comunque, io non lo sopporto!»
«Il dottor Chiba ha già fatto breccia nel cuore di Usagi!».
La ragazza trasalì a quell’osservazione pronunciata da Seiya con una punta di ilarità.
«Dimmi, - continuò il ragazzo che aveva imparato a conoscere il caratterino della collega – quanto resisterai ancora senza prenderlo a parole per far valere i tuoi diritti di specializzanda?».
Usagi fu lieta di aver travisato e a queste parole si rilassò.
«Devo resistere, se voglio tenermi il posto – disse con tono sarcastico – E ora andiamo, sfaticato! Le suture ci aspettano!».
 
Il pomeriggio fu senza dubbio molto più tranquillo, sia per Usagi che per Mamoru, sentendosi al sicuro, lontano dagli sguardi dell’una e dell’altro.
Mancavano solo dieci minuti prima che il turno terminasse, mettendo definitivamente fine a quella giornata così strana.
Il gruppo di specializzandi, poco prima di andar via, ritrovò il dottor Chiba e la dottoressa Haruna, che avrebbero comunicato le suddivisioni e i turni per il giorno seguente.
«Dottor Chiba, vuole scegliere i suoi assistenti per domani?» gli chiese la Haruna ad alta voce, mentre i ragazzi attendevano trepidanti.
«Sì, dottoressa! Il primo è Kou - disse lui. E poi, rivolgendosi a Seiya – Sono proprio curioso di scoprire se è vero che buon sangue non mente».
«Non la deluderò, dottore!» esclamò Seya soddisfatto. Per una volta la sua parentela non gli dispiaceva. Doveva solo dimostrare di essere all’altezza del nome che portava.
«E poi, - continuò Mamoru con un sorriso ironico sulle labbra – voglio con me quella dottoressa che, stamattina, affermava che l’unica cosa importante era che le insegnassi a diventare un bravo chirurgo e, poi, non ha fatto altro che nascondersi per tutta la giornata!».
Ecco, ce l’aveva fatta a scegliere lei!
Ci aveva pensato su un bel po’, ma poi aveva deciso che era la cosa migliore da farsi: affrontare subito la realtà e distruggere sul nascere quello stupido sogno, anche se era stato bellissimo. 
Usagi sentì le sue guance prendere fuoco, mentre i colleghi la guardavano sghignazzando.
Non poteva di certo scappare!
Doveva accettare che quella era la realtà e affrontarla.
Non avrebbe permesso a uno stupido sogno, seppur bellissimo, di ostacolare la sua carriera. L’avrebbe messo da parte e piano piano se ne sarebbe dimenticata, come se non fosse mai esistito.
Dopo un profondo respiro, si fece spazio tra i colleghi.
«Non mi nascondevo, dottore! – gli disse con aria di sfida, guardandolo negli occhi, quegli stessi occhi blu che l’avevano scombussolata e che ora doveva per forza dimenticare – Ho ascoltato con molto interesse ogni cosa che lei ha detto. Domani sicuramente cambierà opinione su di me!».
Mamoru rimase sbalordito dalla sicurezza, quasi sfrontata, con cui Usagi gli aveva risposto.
Quegli occhi azzurri, che fino a poco prima l’avevano tormentato, ora erano invasi da una luce che non conosceva ancora.
«Vedremo cosa sei capace di fare, dottoressa…Usagi Tsukino» disse con un sorriso malizioso, fingendo di leggere sul cartellino di riconoscimento quel nome, che invece ricordava benissimo.
Poi si rivolse a entrambi.
«Domani mattina puntuali alle sette, se non volete esser fuori da neurochirurgia ancor prima di cominciare».

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Capitolo 5
*** Il Primo Intervento ***


IL PRIMO INTERVENTO 
 
 
La mattina dopo, Mamoru arrivò in ospedale ben prima delle sette e fu piuttosto sorpreso di trovare i due assistenti già lì ad attenderlo, in piedi, nel corridoio del reparto.
Usagi, sempre bellissima nonostante gli occhi stanchi per la levataccia, era appoggiata al muro con le braccia conserte e sorrideva divertita, mentre Seiya, forse un po’ troppo vicino al suo viso, scherzava con lei.
Mamoru si morse il labbro. Per qualche misterioso motivo quella scena lo aveva infastidito. “Cominciamo bene!” pensò, cercando di non perdere la razionalità.
Li raggiunse e si fermò al distributore automatico.
«Buongiorno, dottor Chiba!» lo salutarono i due all’unisono, ricomponendosi, mentre lui, senza neanche guardarli, digitava il tasto del caffè.
«Dottoressa Tsukino, hai dormito male stanotte? – le disse con sarcasmo – Ricordati quello che hai detto ieri sera. Tieni, bevi un caffè e svegliati!» aggiunse, poi, con tono brusco, porgendole la bevanda che aveva appena prelevato dalla macchina.
La ragazza, pensando che Chiba si fosse svegliato con la luna storta, non rispose, ma si limitò a prendere il caffè, senza neanche ringraziarlo.
«E tu, dottor Kou – continuò Mamoru, rivolgendosi al ragazzo quasi con una punta di cattiveria – fossi in te non ci proverei con una donna ancora mezza addormentata, non è nel pieno delle sue facoltà mentali!».
Seiya sgranò gli occhi e arrossì imbarazzato da quello strano rimprovero, mentre Chiba faceva loro segno di seguirlo per cominciare a lavorare.
Dentro di sé, Mamoru se la rideva. Sapeva di aver sbagliato e che avrebbe dovuto farsi gli affari propri, ma era stato più forte di lui. Inconsciamente, ci aveva tenuto a marcare un territorio che in realtà non era neanche di sua proprietà.
“1 a 0 per me!” pensò, sorridendo soddisfatto, anche se non c’era alcuna gara in corso.
 
La mattinata proseguì abbastanza tranquilla, come una normalissima giornata di lavoro. Sembrava che Usagi e Mamoru cominciassero ad abituarsi alle rispettive presenze e che tutta la tensione e l’agitazione del giorno precedente fossero ormai dimenticate. Due fuochi di paglia?
 
Per ogni paziente Mamoru permise, a turno, a entrambi, di visionare la cartella clinica e di fare l’anamnesi. Di tanto in tanto, poneva loro delle domande riguardo i sintomi di una determinata malattia, la diagnosi o la cura farmacologica.
I due medici, che lo avevano seguito con interesse durante tutte le visite, avevano sempre risposto correttamente senza mai lasciarsi cogliere impreparati e avevano interagito con lui in maniera intelligente e stimolante.
Chiba dovette ammettere che erano entrambi molto bravi. Tuttavia, Mamoru non nutriva molta simpatia per quel Kou, per quanto fosse in gamba, e sicuramente non solo per la risaputa e storica rivalità con il fratello Taiki. Per tutto il tempo, infatti, non aveva potuto fare a meno di notare l’interesse di Seiya nei confronti di Usagi: non le staccava gli occhi di dosso e non perdeva occasione per rivolgerle sorrisi e battutine. Ma quello che più lo rendeva stranamente inquieto era che Usagi non sembrasse affatto infastidita dalle attenzioni del giovane collega, anzi, sembrava nutrire una certa simpatia per lui.
Per preservare la sua salute mentale, però, Mamoru preferì ignorare, almeno per il momento, il proprio stato d’animo e continuare a svolgere il proprio lavoro.
 
Quando fu il momento per il giovane chirurgo di scegliere chi dei due portare con sé in sala operatoria e chi lasciare fuori a controllare i pazienti, iniziarono i veri problemi.
Se Mamoru avesse dovuto scegliere in base alle proprie simpatie, Usagi sarebbe andata con lui e Kou sarebbe rimasto fuori. Ma, ripensando agli occhi penetranti di lei, forse sarebbe stato meglio lasciarli fuori entrambi, scelta sicuramente ingiusta e poco professionale nei confronti di quei due giovani medici, che avevano solo voglia di imparare.
«Uffà!» sbuffò silenziosamente Mamoru.
Per la seconda volta, una decisione così semplice e banale si stava trasformando per lui in un vero dilemma esistenziale. Ma come cavoli aveva fatto a diventare così stupido e ridicolo in così pochi giorni? Lui, che era sempre stato così freddo e razionale, non poteva lasciare che i sentimenti prendessero il sopravvento e far sì che decidessero al posto della sua testa che, benché ultimamente gli avesse giocato qualche brutto tiro, era pur sempre una gran bella testa, perfettamente funzionante.
«Dottor Kou, come eseguiresti la craniotomia per l’asportazione delle metastasi della signora Watanabe? » chiese all’improvviso Mamoru, che aveva trovato la banale soluzione per il suo ancor più banale dilemma: scegliere in maniera obiettiva in base alle conoscenze dei ragazzi sull’intervento in questione.
Seiya rispose con prontezza. Mamoru ascoltò attentamente, poi lo fermò con un cenno della mano impedendogli di continuare.
«Molto bravo, Kou, ma non sei stato preciso - Poi, guardando Usagi - Vuoi aggiungere qualcosa, Tsukino?».
Usagi rispose con molta naturalezza e aggiunse gli importanti dettagli che Seiya aveva tralasciato. Mamoru la osservava compiaciuto della risposta, ma soprattutto del fatto che, alla fine, la scelta sarebbe ricaduta su di lei, come aveva inconsciamente desiderato sin dall’inizio.
Decise che si sarebbe controllato e in sala operatoria non ci sarebbe stata alcuna agitazione, dopotutto era o non era il dottor Chiba?
«Molto bene, dottoressa Tsukino – esclamò con decisione – mi fa piacere notare la tua precisione e la tua attenzione ai particolari. Dopo la pausa pranzo, sei in sala operatoria con me. Ci vediamo alle tre».
«Grazie, dottor Chiba!» esclamò lei, del tutto ignara dei pensieri che affollavano la mente del suo superiore, e soprattutto entusiasta, perché non c’era stato nessun favoritismo, come temeva, e la sua prima volta in sala operatoria se l’era guadagnata.
Mamoru si rivolse, invece, con sarcasmo a Seiya.
«La prossima volta presta più attenzione ai pazienti, invece di farti distrarre dal bel visino della tua collega».
Il ragazzo, centrato in pieno per la seconda volta, si fece rosso dalla rabbia. Avrebbe voluto tanto rispondergli che anche lui aveva fatto la medesima cosa e che si era accorto benissimo di come aveva fissato Usagi fino a pochi secondi prima. Ma era pur sempre il suo superiore e doveva tacere.
“Stronzo di un Chiba!” pensò storcendo la bocca, mentre Usagi arrossiva sia per la situazione di imbarazzo che si era creata, a causa sua e per il complimento indiretto che aveva ricevuto dal suo dottore.
Ridendo, prima di se stesso e poi della situazione, Mamoru se ne andò a cercare Heles per il pranzo.
“2 a 0!” pensò divertito.
«Dannazione, Usagi, mi hai soffiato l’intervento» disse Seiya, fingendosi arrabbiato anche con la collega.
«Ah, io non ti ho soffiato proprio nessun intervento. Me lo sono meritato. Impara a essere più preciso, piuttosto» lo canzonò Usagi.
«L’ha detto anche Chiba! È colpa tua che mi hai distratto. Guarda che figura mi hai fatto fare con quello là! Ora per farti perdonare mi devi una birra stasera al Crown» disse il ragazzo malizioso.
«Io non ti devo proprio niente, idiota! Sei sempre il solito cascamorto! Ora andiamo dagli altri, non vedo l’ora di dare loro la bella notizia».
E così dicendo si avviò verso la mensa.
Seiya scosse la testa e tirò un lungo sospiro di rassegnazione per l’ennesimo due di picche da parte di Usagi.
 
Poco prima delle tre, Usagi e Momoru si ritrovarono nell’anticamera della sala operatoria per prepararsi.
Mentre si lavavano allo stesso lavabo, il giovane chirurgo, ancora più bello con quella cuffietta blu, si girò verso di lei e le sorrise.
«Emozionata, Usagi?» le chiese dolcemente.
Usagi non rispose, colpita dal fatto che per la prima volta quelle labbra avevano pronunciato il suo nome. Sorrise e fece cenno di sì con la testa.
«Non ti preoccupare, farò tutto io, tu devi solo guardare!» cercò di rassicurarla ironico, facendole l’occhiolino.
Poi, girandosi a guardare attraverso il vetro che dava nella sala operatoria, chiese:
«Vedi quel medico laggiù, già pronto?».
Usagi si voltò nella stessa direzione a osservare il medico che lui le aveva indicato sollevando il mento.
«Quello è il cardiochirurgo, Taiki Kou. Sarà pronto a intervenire nell’eventualità di un arresto cardiaco – le spiegò Mamoru – Nel caso ti dovessi fidanzare con Seiya, diventerebbe tuo cognato. Dopo, se vuoi, te lo presento!».
Usagi sgranò gli occhi. La stava forse prendendo in giro? E rideva anche!
«Io e Seiya siamo solo amici!» rispose, leggermente infastidita dalla battuta.
«Ah, ti è tornata la voce! – esclamò Mamoru mentre un’infermiera lo aiutava con il camice monouso – Tranquilla, stavo scherzando. Volevo solo farti sciogliere un po’, visto che sei tesa come una corda di violino. Io vado, raggiungimi appena sei pronta».
E sfoderando il sorriso più bello che lei avesse mai visto, il medico si voltò per entrare nella sala.
Usagi, che per tutta la mattinata era stata tranquilla e serena, nonostante la presenza di Mamoru, improvvisamente sentì che stava per prendere fuoco.
Era sorprendente il modo in cui lui aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti. Fino a quella mattina era stato serio, forse anche un po’rigido e antipatico, adesso, invece, la chiamava per nome, le sorrideva e la prendeva in giro.
“Sono tesa come una corda di violino, devo assolutamente rilassarmi!” pensò, facendo un profondo respiro.
Il cuore le batteva a mille e lo stomaco era stretto da una morsa, forse l’emozione del primo intervento, forse il sorriso del bel chirurgo. Ancora un altro respiro.
L’infermiera le fece indossare camice e guanti monouso, l’aiutò con la mascherina e la condusse in sala operatoria accanto a Mamoru, che, non appena la ebbe al suo fianco, esclamò:
«Bene, cominciamo! Bisturi!».
 
L’intervento durò quasi quattro ore, durante le quali Usagi rimase ferma, in piedi accanto al suo dottore, a guardare estasiata tutto quello che accadeva su quel lettino operatorio.
Non sentì neanche per un secondo la stanchezza, tanta era l’emozione di avere a che fare, per la prima volta, con tessuti vivi.
Ammirava incantata le mani di Mamoru che si muovevano con precisione, senza esitazioni.
Un giorno non lontano anche lei, forse, avrebbe avuto quella stessa sicurezza.
Mamoru era concentratissimo sul proprio lavoro, ancora più del solito.
Al contrario di quanto avesse pensato il giorno prima e quella stessa mattina, la presenza della sua specializzanda non lo distraeva, anzi, gli infondeva calma e lo rilassava.
Che stupido era stato a crearsi tutti quei problemi!
Un paio di volte si girò nella sua direzione per assicurarsi che non fosse distratta o addirittura svenuta e rimase sorpreso nel notare che era perfettamente vigile e completamente assorbita da ogni più piccolo dettaglio. I suoi occhi azzurri, messi ancor più in evidenza da mascherina e cuffia, brillavano di entusiasmo come quelli di un bambino davanti al giocattolo che ha sempre desiderato.
Mamoru sorrise verso di lei, consapevole che nessuno avrebbe potuto notare la sua espressione compiaciuta al di sotto della mascherina.
 
Quando a fine turno uscì dallo spogliatoio, la prima cosa di cui Usagi sentì il bisogno fu quella di fare una telefonata per raccontare la magnifica esperienza che aveva appena vissuto.
«Papà – disse con una voce carica di euforia – ho assistito al mio primo intervento! È stato fantastico!».
Raccontò al padre dell’intervento, di come lei fosse stata scelta al posto di Seiya e di come il dottor Chiba era stato bravo.
A causa dell’agitazione con cui parlava la figlia, Kenji non capì molto, soprattutto quando si dilungava in dettagli tecnici per lui incomprensibili, ma sentì perfettamente che Usagi era felice, come non accadeva da tempo.
«Sono orgoglioso di te, tesoro mio» le disse con dolcezza.
«Grazie, papino mio! Ti voglio bene e mi manchi tanto! Salutami Yumiko e la piccola peste» rispose Usagi con altrettanta dolcezza.
«Non mancherò! Fatti viva presto, così magari le saluti personalmente. Un bacio, Usako».
Usagi riagganciò, mentre sentiva di avere gli occhi lucidi. Non riuscì a trattenere una lacrima, che prepotente fuggì per scivolare lungo la guancia.
Mamoru la incrociò in quell’istante, nel viale che portava verso il parcheggio, e subito notò l’espressione della ragazza, mentre posava il telefono nella borsa.
«Brutte notizie, Usagi?» le chiese serio.
La ragazza, che non si era accorta della sua presenza, trasalì.
«Dottor Chiba, non l’avevo vista! Tutto bene, grazie, solo un po’ di malinconia» disse, asciugandosi velocemente gli occhi e mostrando di nuovo il suo bel sorriso.
«Puoi tranquillamente chiamarmi Mamoru e darmi del tu quando siamo fuori dall’ospedale» le disse, mentre continuava a guardarla con dolcezza.
Usagi rimase sorpresa. Non si aspettava minimamente questa concessione. Annuì e sorrise ancora.
«Ok, Mamoru!» disse con tono allegro senza provare il minimo imbarazzo.
Mamoru ebbe un tuffo al cuore. Il proprio nome, pronunciato per la prima volta da quelle labbra, gli sembrò bellissimo, il suono più dolce che avesse mai udito.
«Volevo dirti che sei stata molto brava in sala operatoria, Usagi» esclamò per riprendersi dalle palpitazioni.
«Io non ho fatto niente, ho solo guardato – rispose la ragazza a quell’affermazione - Tu sei stato fantastico!» aggiunse, mostrando tutto l’entusiasmo che aveva dentro.
«Restare immobili a guardare, per quattro lunghe ore, non è semplice! E poi è già tanto se non sei svenuta come mi aspettavo - rispose Mamoru con un pizzico di ironia - Quasi quasi mi hai convinto a insegnarti a diventare un bravo chirurgo».
«Sei uno dei miei insegnanti, devi farlo per forza!».
Usagi non perse tempo a ribattere e gli rispose incrociando le braccia sul petto.
L’espressione buffa che aveva assunto scatenò la reazione di Mamoru, che prima rise sommessamente, poi via via sempre più forte, coinvolgendo anche lei.
Ridevano, e Mamoru continuava a guardarla. Era bellissima, in tutta la sua semplicità e spontaneità. La sua allegria era contagiosa, il suo sorriso una gioia per gi occhi.
Ma non era solo quello. Aveva anche dimostrato di essere intelligente e sveglia. E poi, quella luce che si accendeva nei suoi occhi, quando parlava della chirurgia, era la stessa passione che aveva lui verso il proprio lavoro.
Era sicuro che anche lei sarebbe stata capace di mettere il suo sogno davanti a tutto, proprio come aveva fatto lui fino a quel momento.
Quella ragazza lo attraeva e lo incuriosiva in una maniera assurda. Non sapeva perché, sentiva solo che lei era diversa e che lui desiderava tanto conoscerla come non aveva fatto con nessun’altra.
Sapeva che era sbagliato perché era una sua allieva, e inoltre c’era anche la paura di quei sentimenti sconosciuti a frenarlo, ma al diavolo l’autocontrollo!
Senza pensarci su ulteriormente, con un pizzico di imbarazzo, lasciò che a guidarlo fosse l’impulsività che non sapeva di avere.
«Usagi, ti va una birra?» le chiese all’improvviso, tutto d’un fiato.
Quella richiesta era stata faticosa e imbarazzante, neanche avesse dovuto chiederle “Ti va di venire a letto con me?”. Ma alla fine ce l’aveva fatta. Ora non restava che aspettare la risposta.
Usagi rimase letteralmente spiazzata, in preda ad un vortice di pensieri scombinati.
Il suo superiore, quel chirurgo bellissimo e affascinante, che era stato capace di mandarla in confusione con un solo sguardo, l’aveva appena invitata per una birra, solo loro due, proprio ora che la tranquillità sembrava tornata.
Assolutamente no, non poteva accettare!
Lui era il capo e lei una specializzanda, che cosa avrebbero detto in ospedale?
Una cosa del genere avrebbe sicuramente compromesso il suo percorso di specializzazione.
“Stai correndo troppo, Usagi! È solo una birra! Che cosa può mai succedere?” le sussurrò la vocina tentatrice.
No! Purtroppo non era solo una birra.
Il problema era che lui le piaceva e la attraeva come non era mai capitato fino ad allora, anche se stava cercando di reprimere quei sentimenti, e ciò avrebbe sicuramente minato la propria stabilità e il proprio equilibrio. Appunto per questo non poteva accettare l’invito.
Non ci pensò su altro tempo e, senza controllo, pronunciò un’unica parola
«Sì!».

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Capitolo 6
*** Conoscersi ***


CONOSCERSI 
 
 
«Buonasera Mamoru! Usagi!» li salutò Joe, quando si sedettero al bancone del Crown. La sua espressione di sorpresa nel vederli insieme era palese.
Ma, a parte lui, non c’era nessun altro nel locale che li conoscesse. Quindi Usagi tirò un sospiro di sollievo.
«Cosa vi porto?» chiese cordiale il barista.
«Per me una chiara alla spina. Per te Usagi?» disse Mamoru.
«Anche per me, grazie!» rispose la ragazza.
«Ok, due chiare alla spina! – ripetè Joe - Ve le porto subito!».
E così dicendo si allontanò, per ricomparire dopo un paio di minuti con i due boccali di birra.
 
«Allora, Usagi, dimmi, perché hai scelto di fare il chirurgo?» le chiese Mamoru curioso, mentre cominciava a sorseggiare la sua birra.
Al ricordo del motivo della sua scelta, una leggera malinconia velò gli occhi di Usagi. Ma la ragazza non evitò di rispondere.  
«È stato quando mia madre è venuta a mancare, quindici anni fa. Volevo trovare un modo per curare la sua malattia, in maniera tale che altri bimbi non soffrissero come me e mio fratello Shingo»disse con molta naturalezza, sorridendo al pensiero della sua ingenuità di bambina.
«Mi dispiace, non lo sapevo, altrimenti non ti avrei fatto questa domanda» si scusò Mamoru, alquanto imbarazzato.
«Non ti preoccupare, - la ragazza lo rassicurò– non ho problemi a parlarne. Mia madre è morta da parecchio tempo ormai, ma è sempre qui con me, lo sento! E poi, ho una famiglia meravigliosa, che non mi ha mai fatto sentire sola».
Mamoru rimase colpito da come gli occhi di Usagi si erano di nuovo illuminati parlando della sua famiglia. Di certo, questo non era un punto in comune, dato che lui si sarebbe subito rabbuiato e innervosito parecchio al solo pensiero della famiglia Chiba. Un po’, forse, la invidiava per questo.
«Inizialmente volevo fare l’oncologo – continuò la ragazza, riallacciandosi alla domanda – poi, quando ho capito che il chirurgo è quello che fa il lavoro più difficile, ho deciso che quella sarebbe stata la mia professione. Beh, comunque, a parte i sogni di bambina, non c’è un motivo vero e proprio, è una passione e basta. Penso che tu possa capirmi meglio di chiunque altro o sbaglio?».
«No, non sbagli! Penso come te che sia una passione, un’inclinazione naturale, e che non si possa spiegare il motivo di tale scelta. Anche io da bambino già sapevo che avrei fatto il medico, anche se non per gli stessi tuoi motivi».
Al ricordo delle imposizioni di suo padre un sorriso sghembo, molto più simile ad una smorfia, segnò il volto di Mamoru. Fortunatamente, quella di fare il medico non era stata una vera e propria imposizione, perché lui per primo lo aveva desiderato.
Il fatto è che si chiedeva spesso se avrebbe intrapreso la stessa strada se non fosse stato abituato, sin da piccolo, ad avere a che fare con ospedali e camici bianchi. Ma in fondo, poi, che importanza aveva, se amava il suo lavoro più di qualunque altra cosa?
«Comunque non ho voluto da sempre fare il medico» aggiunse Usagi, che aveva notato il velo di tristezza sui suoi occhi, e cercò di richiamarlo dai suoi tristi pensieri.
«Ah, no? – chiese curiosissimo Mamoru, riportato al presente – E cosa avresti voluto fare? Sentiamo un po’».
«La ballerina di danza classica» e sorrise portandosi il bicchiere alla bocca.
«Davvero?» chiese lui divertito.
«Sì – rispose la ragazza con un’espressione innocente e molto simile a quella di una bambina - Ho studiato danza classica per tanti anni, poi alla fine ho scelto di dedicarmi solo alla medicina, perché entrambe le cose mi portavano via molto tempo. Però non ho mai smesso di allenarmi. A casa ho fatto mettere il parquet e una sbarra per gli esercizi, in soffitta, e anche nel mio appartamento qui ho fatto la stessa cosa nel salotto. Danzo soprattutto quando sono triste o nervosa».
Mamoru la guardava esterrefatto e rideva.
«Danzi nel salotto di casa tua?!? Sei sorprendente Usagi!».
«Ti ringrazio per avermi definito “sorprendente” e non “pazza” come fanno le mie amiche ogni volta che mi trovano in calzamaglie e tutù » disse la ragazza, ridendo a sua volta.
«No, non penso che tu sia pazza. Certo non è una cosa usuale, ma non fai altro che dedicarti a una tua passione per scaricare le tensioni. Solo che mi chiedo cosa mai farai, invece, quando sei allegra».
«Ah, in quel caso metto su un cd dei Depeche Mode e canto a squarciagola».
Mamoru era ancora più sorpreso.
«Ti piacciono i Depeche Mode?» chiese con un’espressione meravigliata dipinta sul volto.
«Sì – rispose la ragazza che ancora non capiva la sua sorpresa – e anche i Radiohead, i Coldplay, i Beatleas, i Talking Heads … ».
Mamoru stentava a crederci.
«Beh, dal punto di vista musicale abbiamo parecchio in comune. Hai appena nominato tutti i miei gruppi preferiti!».
«Allora, se ci sarà una prossima volta insieme in sala operatoria, al posto di quel lamento palloso scelto dal dottor Kou, magari potremmo metter su In rainbow o Music for the Masses».
«Lamento palloso? – ripetè Mamoru ridendo di quella definizione – Comunque la trovo un’idea magnifica e … ci sarà sicuramente un prossima volta insieme in sala operatoria!».
Quando il ragazzo pronunciò quest’ultima frase, i due si guardarono negli occhi intensamente.
In un attimo, l’atmosfera tra loro cambiò e diventò carica di elettricità.
Mamoru guardava estasiato quegli occhi, quella bocca e quei lineamenti, delicati e sensuali nello stesso tempo.
Sapeva di desiderare la donna che aveva di fronte dal primo momento in cui l’aveva vista, ma non riusciva a capire in che modo e perchè quel desiderio sembrasse diverso rispetto a quello provato verso altre donne.
Anche Usagi sapeva di desiderare quell’uomo in maniera differente in confronto ad altri, ma, al contrario di lui, era perfettamente in grado di dare un nome a quella sensazione che la invadeva. Sapeva benissimo che si trattava di qualcosa di molto pericoloso, quel qualcosa da cui lei finora era fuggita. E proprio per questo fu lei a cercare per prima di sciogliere la tensione che si era creata.
«Allora, dottor Chiba - esclamò fingendo naturalezza – Finora ho parlato solo io. Ora tocca a te! Raccontami qualcosa».
«Tipo?» chiese lui.
«Il motivo per cui hai fatto il chirurgo me l’hai detto già e, ora, conosco anche i tuoi gusti musicali. Potresti parlarmi della tua famiglia, dei tuoi amori … che ne so?».
Sul volto di Mamoru calò ancora una volta una leggera ombra. Non aveva poi così tante cose da raccontare, come lei. Lei che era così solare e allegra, mentre lui così freddo e cinico.
«Beh, - esordì con un po’ di titubanza – della mia famiglia non c’è molto da dire. Vivo da solo da dodici anni ormai. Mia madre la sento al telefono ogni settimana e di tanto in tanto passa a trovarmi. Con mio padre, invece, non parlo da quando sono partito. Litigammo per divergenze di opinioni e da allora ci ignoriamo. La mia famiglia, ora, sono i miei due migliori amici, Heles e Motoki, i dottori Tenou e Furuhata, che presto conoscerai».
Usagi ascoltava seria le sue parole e, anche se era molto curiosa di sapere il motivo della lite con il padre, non chiese niente. Dalla sua espressione aveva capito che era qualcosa che faceva molto male a Mamoru. Quindi si limitò ad ascoltare pensierosa.
«Per quanto riguarda gli amori, invece, - continuò lui, questa volta tornando a sorridere sornione - c’è ancora meno da dire. Non c’è mai stata una donna capace di farmi innamorare».
«Dici sul serio? - chiese Usagi con grande stupore, dopo quell’affermazione – Non è possibile che non ti sia mai innamorato o che non ci sia mai stata una donna che ti abbia fatto battere il cuore».
“In realtà una che mi fa battere il cuore c’è- pensò tra se Mamoru guardando con intensità quegli occhioni azzurri davanti a lui – ma di certo non posso dirtelo”.
«Secondo me non vuoi dirlo, ma non posso costringerti » insinuò Usagi, guardandolo negli occhi come per cercare di leggervi un segreto.
Mamoru trasalì.
Sembrava che quella ragazza gli avesse letto nel pensiero. Sorrise mordendosi il labbro e rigirò la domanda.
«E a te, Usagi? Chi è che fa battere il cuore? Quello della sera al Crown o quello della sera al ristorante?» le chiese lui allusivo, ma soprattutto curioso di sapere.
Usagi sorrise mordendosi le labbra a sua volta, facendogli capire di aver afferrato l’allusione ai loro primi incontri e di ricordarsi benissimo di lui.
“Sei tu quello che mi fa battere il cuore” pensò.
«Nessuno dei due! Sono frequentazioni occasionali» rispose secca.
«E il nostro Seiya Kou?» azzardò Mamoru, ancora più curioso di prima.
«È un amico, te l’ho già detto!» ribadì lei.
«Ma lui non sembra pensarla così. Si vede lontano un miglio che gli piaci».
«È un problema suo quello che pensa. Io lo considero un amico, anche se gli voglio molto bene».
Mamoru si sentiva stranamente soddisfatto da queste risposte, quasi sollevato.
Stando a quello che diceva lei, il suo cuore era libero.
Il suo cuore?!? E da quando gli interessava il cuore di una donna?
«Comunque, dottor Chiba, sei bravo a evitare le domande e a spostare l’attenzione su di me – esclamò la ragazza – Poi, se non sbaglio, anche tu non eri solo quelle due sere … ».
Anche Usagi era curiosa di sapere, ma non ebbe il coraggio di chiedere direttamente, quindi si limitò a una mezza constatazione, sperando che lui abboccasse.
Mamoru sorrise per la furbizia della ragazza.
«La donna del Crown è la mia migliore amica, la dottoressa Heles Tenou, di cui ti ho parlato prima. La donna del ristorante, invece, è una “frequentazione occasionale”, come diresti tu » rispose ammiccando sull’ultima frase.
Anche la curiosità di Usagi ora poteva dirsi appagata.
Mamoru era libero e, come aveva immaginato sin dal principio, non era uno che si innamorava facilmente.
In un’altra situazione, per Usagi sarebbe stato l’amante ideale: bello, attraente, intelligente e senza complicazioni. Ma lui era Mamoru Chiba, l’uomo che le stava facendo perdere la testa, quindi decisamente l’ultimo con il quale iniziare una relazione senza conseguenze.
 
Passarono così il resto della serata a parlare e a raccontarsi, dimenticando di essere una specializzanda e il suo superiore, un’allieva e il suo insegnante.
In quel momento erano solo Usagi e Mamoru, due ragazzi giovani e belli che si stavano conoscendo, un uomo e una donna che, nonostante le resistenze, si stavano innamorando.
Solo a mezzanotte passata si resero conto di quanto fosse tardi e di quanto tempo fossero rimasti lì, persi l’una nei racconti dell’altro, rapiti dalle loro emozioni, spaventati da quel sentimento nuovo e sconosciuto che si stava facendo strada nei loro cuori e nelle loro menti.
Raggiunsero il parcheggio dell’ospedale.
Erano l’uno di fronte all’altra vicino all’auto di Usagi.
«Sicura che non vuoi che ti scorti fino a casa con la mia macchina?» le chiese di nuovo Mamoru premuroso.
La ragazza ancora una volta gli rispose che non ce n’era bisogno.
Si guardavano quasi disorientati, persi l’uno negli occhi dell’altra, come era accaduto fin dal loro primo incontro.
Il desiderio tra i due era tangibile.
Entrambi sapevano che sarebbe bastato poco per finire col fare l’amore proprio lì, in quel parcheggio, travolti dalla più assurda e insana passione. Ma entrambi sapevano anche che sarebbe stato un grande sbaglio, e non solo a causa delle conseguenze nel loro lavoro.
Se quel desiderio fosse stato assecondato, se quella passione fosse stata consumata, il sentimento che sentivano nascere dentro di sé avrebbe vinto e sarebbe venuto fuori prepotente, conducendoli insieme a un punto di non ritorno.
Ed entrambi avevano troppa paura di quel sentimento: lui perché non lo aveva mai conosciuto, lei perché non voleva averci più a che fare.
E così, quella sera, Mamoru e Usagi lasciarono che fosse proprio quella stupida paura a prendere il sopravvento, separandosi a malincuore con un semplice, ma dolce ciao.

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Capitolo 7
*** Cambiamenti in Vista ***


CAMBIAMENTI IN VISTA 
 
 
Usagi e Mamoru non erano consapevoli di quanti cambiamenti, da quel momento, stessero per avvenire nelle proprie vite.
Già pochi minuti dopo essersi separati in quel parcheggio, cominciarono a riflettere su come avevano condotto alcuni aspetti della propria esistenza e, nelle loro menti, piano piano, iniziò a insinuarsi un senso di vuoto e di tristezza.
Fino a quel momento, il controllo che esercitavano sulle proprie vite, tenendosi al riparo dalle emozioni, li aveva fatti sentire sicuri di sè e liberi. Ma adesso queste convinzioni cominciavano a vacillare.
 
L’indomani mattina stesso, Usagi chiamò Alex, dopo aver ignorato le sue chiamate per tre giorni, e gli chiese di incontrarsi nella pausa pranzo.
«Scusami, se non ti ho richiamato prima , ma non avevo voglia di sentirti – gli disse con molta franchezza, mentre erano faccia a faccia davanti ad un caffè – Ho avuto modo di riflettere in questi tre giorni e ho capito che è inutile continuare a frequentarci, se non provo per te quello che provi tu. Perdonami!».
Nello stesso istante, Mamoru era nel suo ufficio con Setsuna, che aveva tentato di sedurlo nuovamente, dopo aver chiuso a chiave la porta.
«Sei una bella donna e potrei benissimo continuare ad approfittarmi della tua disponibilità – le disse il ragazzo, dopo aver scansato un bacio – ma non avrebbe senso, perché io voglio di più. Non voglio prenderti in giro e illuderti che tu possa essere questo di più».
Usagi, dopo più di due anni, era riuscita di nuovo a prendersi le proprie responsabilità e a non scappare sparendo nel nulla.
Mamoru, per la prima volta in vita sua, aveva dato delle spiegazioni a una donna, ammettendo prima a se stesso, di volere di più.
 
Erano passati circa dieci giorni da quella sera di passione e desiderio repressi.
Tra loro era rimasto tutto identico, nessun passo avanti, nessuno indietro.
Entrambi avevano preferito considerare le emozioni provate in quei momenti solo una stupida debolezza, alla quale non cedere, benché, proprio a causa di quelle emozioni, avessero cominciato a rimettere ordine nelle proprie vite.
Avevano deciso che non ci sarebbe stata mai alcuna evoluzione nel loro rapporto, che sarebbero rimasti solo una specializzanda e il suo capo e, come tali, avrebbero continuato a comportarsi.
Almeno queste erano le intenzioni!
Avevano preferito fare finta di niente, senza rendersi conto di come, inconsciamente, continuavano a cercarsi, di quanto fossero chiari i segnali che mandavano a ogni piccolo gesto o sguardo.
Ogni loro incontro casuale era accompagnato da sguardi furtivi, che diventavano sorrisi dolci e complici, se poi erano soli.
Diverse volte, Mamoru aveva fatto in modo che fosse Usagi ad assisterlo, con la scusa che la paziente Watanabe avesse chiesto esplicitamente di lei.
Quanto a Usagi, in più casi aveva chiesto uno spostamento di turno pur di avere anche solo la certezza di sapere che lui fosse tra quelle stesse quattro mura, nel medesimo istante.
In occasione della loro seconda volta in sala operatoria insieme, Mamoru si ricordò anche di un piccolo dettaglio.
«Per cortesia, Himeko – disse all’infermiera mentre era già vicino al lettino operatorio – apri la tasca anteriore della mia borsa in anticamera e dimmi cosa trovi».
«C’è un cd, dottore» rispose la donna, dopo aver eseguito quanto richiesto.
«Bene, mettilo al posto di questo lamento palloso che ci propina ogni volta il dottor Kou» esclamò voltandosi verso un’Usagi dagli occhi sbarrati per la sorpresa.
Non si poteva vedere attraverso la mascherina, ma, dall’espressione degli occhi di lui, la ragazza intuì che le stesse regalando un altro dei suoi sorrisi più belli. E lei ricambiò con il suo più dolce.
«Lamento palloso, Chiba? Questo è Mozart!» protestò Taiki.
«E questi sono i Depeche Mode! – rispose Mamoru incurante, mentre Dave Gahan iniziava a cantare Strangelove – Ho bisogno di energia nella mia sala operatoria».
Anche i piccoli lampi di gelosia non erano stati rari.
Mamoru, ogni volta che vedeva Seiya incollato a Usagi, non si sottraeva dal lanciare qualche frecciatina al ragazzo, mentre Usagi evitava nervosa gli sguardi di Mamoru ogni volta che lo incontrava allegro e sorridente in compagnia di qualche bella collega.
 
Mentre i due ragazzi stessi non si accorgevano del loro comportamento, questo non era certo sfuggito agli occhi di due attenti osservatori, Heles e Seiya.
Una mattina, Heles, davanti a un Mamoru stranamente fischiettante, non riuscì più a trattenersi.
Voleva a tutti i costi che lui confessasse ciò che lei, in realtà, già sapeva.
«Ehi, Romeo, - lo prese in giro – cos’è tutto questo buonumore di prima mattina? Lasciami indovinare, scommetto che oggi, tanto per cambiare, la tua Giulietta ti assisterà».
«E chi sarebbe la mia Giulietta?» chiese Mamoru, senza riuscire a mascherare il proprio disagio davanti a quella domanda inattesa.
«Smettila di prendermi in giro e di fare il cretino. Credi che non mi sia accorta che chiedi sempre di lei, di come la guardi o di come tratti quel poverino di Kou quando le sta a una distanza inferiore ai cinque metri?».
Beccato in pieno!
«Continuo a non capire a cosa ti riferisci».
«Senti Chiba, è inutile che continui a fare finta di niente. Qualche sera fa, sono entrata al Crown a prendere una birra e cosa mi sono trovata davanti? Una scena idilliaca, di quelle che ti lasciano il segno: il mio amico dongiovanni, totalmente rimbecillito, che flirta con la sua bella specializzanda, con la quale tra l’altro sogna di fare sesso e … ».
Il discorso di Heles fu interrotto bruscamente da una mano di Mamoru sulla sua bocca.
«Shhhhhh, zitta! Ma dico, sei pazza? Così ti sentiranno tutti!» la rimproverò.
«Beh, almeno impari a non confidarti con la tua migliore amica» disse lei, non appena era riuscita a liberarsi dalla sua mano.
«Ma non c’è niente da raccontare. Solo una birra e basta! – si giustificò con Heles, che lo guardava dubbiosa inarcando un sopracciglio – Non sono riuscito ad andare oltre perché … ».
«Perché … continua! » lo incitò lei con un ghigno sul volto.
«Perché ho avuto timore di quello che ho provato».
Heles sospirò, guardando Mamoru.
Aveva ragione sin dall’inizio. Lo conosceva fin troppo bene e sapeva che, questa volta, per il suo amico le cose si stavano mettendo male - o bene, a seconda dei punti di vista.
 
Pochi giorni dopo, Usagi si trovò, invece, ad affrontare i sospetti del suo collega Seiya, che, innamorato cotto di lei, aveva tenuto sotto controllo tutta la situazione e adesso desiderava solo scoprire qualcosa di più. 
«Come mai Chiba chiede sempre di te?» le aveva chiesto, all’improvviso, dopo l’ennesima richiesta del medico di averla al suo fianco e l’ennesima frecciatina nei suoi riguardi.
Usagi sbiancò, non sapendo cosa rispondergli.
«In realtà, è la sua paziente, la signora Watanabe, che ha chiesto di me» rispose, senza neanche guardarlo, ricordandosi di quanto aveva detto Mamoru.
«Beh, può essere! Ma come mai dà i numeri e mi tratta uno schifo solo quando sono troppo vicino a te?» insistette Seiya sprezzante.
Ormai tra lui e Chiba era in corso una vera e propria guerra, ma ad armi impari, dato che non poteva permettersi di rispondergli senza rischiare di essere declassato all’ambulatorio.
«Seiya, sei tu che stai dando i numeri in questo momento. Cosa vorresti insinuare?».
Questa volta Usagi puntò su di lui i suoi occhi severi.
«Quello ti ha messo gli occhi addosso ed è geloso di me! Ma non ti accorgi che ti spoglia con gli occhi?».
Usagi arrossì vistosamente. Non sapeva più come rispondere e, maggiormente innervosita, gli urlò contro.
«La vuoi piantare? È il mio capo e io sono solo una specializzanda, non ti permetto di pensare anche solo lontanamente una cosa del genere!».
«È inutile che ti arrabbi e alzi la voce, tanto sono convinto di avere ragione, in genere non sbaglio mai su queste cose - continuò a insistere Seiya. Poi, dopo essersi preso qualche secondo di pausa, aggiunse - Mi dà fastidio pensare che si prenda certe libertà solo perché è un superiore».
Gli occhi di Usagi da severi divennero minacciosi.
«Ma di quali libertà stai parlando? Sei impazzito? Mi sa che qui, tra i due, il geloso sei proprio tu!».
Seiya alzò la voce ancora di più, incurante del fatto che potessero sentirlo.
«Sì, è vero, sono geloso! Perché non sembra che le sue attenzioni ti diano fastidio, mentre le mie sì!».
La ragazza alzò il sopracciglio in un’espressione interrogativa.
Seiya si bloccò per qualche secondo.
«Scusami, - le disse – ho esagerato!».
Poi fissò il volto di Usagi, che continuava a guardarlo con quei penetranti occhi azzurri, anche se sembrava decisamente più rilassata.
Allora continuò.
«Avrei voluto chiederti di venire alla serata degli specializzandi con me, ma suppongo che, dopo la mia scenata, la tua risposta sarà un no secco».
Usagi sorrise e scosse la testa.
Ecco dove Seiya voleva arrivare!
Emise un lungo sospiro e alla fine acconsentì.
«D’accordo! Vieni a prendermi alle otto».
Più che altro, si accorse di aver accettato solo per sviare eventuali sospetti.
Seiya, con un sorriso a trentadue denti, sorpreso dalla risposta della ragazza, si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò malizioso:
«Lo sapevo che avresti ceduto, prima o poi. Sarà una serata che non dimenticherai!» e, detto questo, andò via, incurante che la sua collega gli urlasse dietro.
«Seiya, non farti strane idee, non verrò a letto con te!».
«Dottoressa Tsukino! Ma che maniere sono? Urlare in questo modo in un ospedale!».
Usagi, cheaveva riconosciuto quella voce alle sue spalle, nascose la testa tra le spalle e arrossì.
“Che figura!” pensò.
Si voltò e vide che Mamoru era lì, in compagnia della dottoressa Tenou, e la fissava quasi disgustato (o forse geloso, come aveva detto Seiya?).
«Tra l’altro a nessuno interessano i vostri incontri amorosi!» continuò Mamoru ,severo e con uno sguardo che la ragazza trovò decisamente acido.
Usagi si indispettì parecchio.
«Mi stupirei del contrario, dottor Chiba! E comunque non stavamo parlando di incontri amorosi, come li ha definiti lei, ma della festa di domani sera. Ci andiamo insieme».gli disse, quasi volendo stuzzicare la sua presunta gelosia.
«In bocca al lupo, allora» e senza neanche guardarla, Mamoru si allontanò.
“Che stronzo!” pensò Usagi stizzita.
«A nessuno interessano i loro incontri amorosi, a parte te! Comunque ha grinta la ragazza, ti darà filo da torcere» esclamò Heles, mentre si allontanavano, prendendo in giro il suo amico palesemente geloso e notevolmente irritato.
«Piantala!» la fulminò Mamoru.
Ma lei non aveva voglia di smettere e continuò a stuzzicarlo.
«Qualcosa mi dice che domani sera verrai alla festa. Passami a prendere alle otto, non mi perderei la serata per niente al mondo!» e, così dicendo, si dileguò dall’altra parte del corridoio per sottrarsi alle ire dell’amico, prima ancora che potesse aprire bocca.
“Neanche io mi perderei la serata per niente al mondo!” pensò Mamoru infastidito al pensiero di quei due insieme.
Ancora una volta Heles aveva dimostrato di conoscerlo molto bene.

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Capitolo 8
*** La Festa degli Specializzandi ***


LA FESTA DEGLI SPECIALIZZANDI 
 
 
«Sei in ritardo di mezz’ora!» disse Usagi entrando nella macchina di Seiya e fingendosi irritata, visto che, in fondo, sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta a essere pronta per le otto, ritardataria com’era.
«E tu sei bellissima!» rispose, invece, Seiya ammirando la sua collega, che quella sera era spettacolare. Di certo l’avrebbero invidiato tutti nel vederlo arrivare con lei, così bella e corteggiatissima.
«Levati quell’espressione dalla faccia, Seiya, se vuoi che rimanga su questa macchina» rispose acida Usagi, facendogli una smorfia.
Era abituata ai complimenti maschili e non le provocavano nessun effetto particolare, se non una specie di fastidio per la ridicolaggine di cui erano capaci gli uomini di fronte a una donna bella.
 
La sala era già piena di gente elegante e sorridente.
Gli specializzandi del primo anno, per i quali era stata organizzata quella tradizionale festa, erano euforici. Allegri e rumorosi, continuavano a divertirsi e a scattare foto ricordo della loro serata.
I medici e gli infermieri presenti perché liberi dal lavoro, ormai abituati a quella tradizione annuale, sembravano un po’ meno euforici, ma comunque si godevano la festa in tutta tranquillità.
Mamoru, bellissimo ed elegantissimo con il suo smoking nero, chiacchierava tranquillamente con i suoi amici di sempre, in un angolo della sala, di fronte alla scalinata di ingresso.
C’era Heles, accompagnata dalla sua fidanzata Michiru, e poi Motoki e sua moglie Reika, tornati quella mattina dalla Polinesia. Il viaggio dei due sposi e i meravigliosi luoghi che avevano visitato erano appunto l’argomento di conversazione.
Chiacchieravano allegramente, contenti di essersi ritrovati tutti insieme dopo parecchio tempo.
Quando Reika e Michiru si allontanarono un attimo per andare al bagno, i tre amici rimasero soli.
«Allora ragazzi – esordì Motoki sorridente e rilassato dalla lunga vacanza – Cosa mi raccontate? Ci sono novità?».
Heles, che non vedeva l’ora che arrivasse il momento di parlare con il suo amico e metterlo al corrente di tutto ciò che era successo in quelle due settimane, ovviamente fu la prima e l’unica a rispondere.
«La mia vita non è cambiata di una virgola, piuttosto chiedi a Chiba quante belle novità ci sono per lui!» esclamò, rivolgendo un sorriso ammiccante verso Mamoru.
Anche Motoki con aria interrogativa guardò l’amico, il quale, invece, a sua volta si girò verso la solita chiacchierona di Heles per fulminarla con lo sguardo.
La ragazza ignorò categoricamente la pseudo-minacciosità di quegli occhi blu.
«Chiba si è innamorato» esclamò portandosi una mano davanti alla bocca, come per rivelare un segreto.
«Non dire cavolate Heles!» la rimproverò Mamoru, continuando a fissarla severo.
Motoki, nel frattempo, aveva assunto un’espressione più che sorpresa, quasi shockata. Poi scoppiò a ridere fragorosamente e avvicinandosi a Mamoru gli poggiò le mani sulle spalle per congratularsi.
«Ho atteso per dieci anni questo momento e appena mi sono allontanato per due settimane è successo. Ma comunque sono contento per te!» disse tra il divertito e il quasi commosso, mentre Mamoru pensava di strangolare Heles, che, invece, continuava a ridere per la situazione in cui l’aveva messo.
Anche Motoki, ovviamente, ignorava le espressioni di Mamoru.
«Chi è lei?» continuò, curiosissimo di sapere chi fosse la donna che aveva fatto capitolare un dongiovanni incallito come il suo migliore amico.
Ancora una volta fu Heles a intervenire.
«Eccola!» esclamò puntando lo sguardo verso la scalinata di ingresso, dove Usagi aveva appena fatto la sua comparsa sotto al braccio di Seiya.
Motoki e Mamoru si voltarono contemporaneamente.
Il giovane neurochirurgo rimase letteralmente senza fiato.
Usagi era bellissima! Indossava un abito nero stretto e lungo, con uno spacco davanti, che si apriva poco al di sopra del ginocchio, permettendole di camminare. Un ricamo verde cominciava proprio da quel punto per finire all’altezza del seno dopo averle sottolineato la vita sottile. Le spalle completamente nude erano coperte solo dai lunghi capelli biondi leggermente ondulati. Ma, sicuramente, quello che di più bello indossava quella sera erano la luce dei suoi occhi azzurri e quel sorriso dolce e radioso.
«Devo dire che hai sempre avuto donne bellissime, ma questa le supera di gran lunga. È una favola!» esclamò Motoki piacevolmente colpito, avvolgendo con complicità un braccio attorno alle spalle del suo amico.
A quelle parole, Mamoru sorrise sornione, mentre continuava a bearsi della vista di Usagi.
«Non correre, Motoki! Non l’ha neanche sfiorata: ha troppa paura!» intervenne Heles con tono canzonatorio.
La ragazza non aveva intenzioni cattive, tutt’altro! Sperava che così facendo Mamoru fosse spronato a reagire e a prendere una qualsiasi iniziativa, invece di starsene lì imbambolato. Abituata a come era normalmente, in queste condizioni non era per niente un bello spettacolo.
Motoki sbarrò gli occhi per la sorpresa e la guardò con una espressione interrogativa. Doveva assolutamente sapere tutto quello che si era perso nelle sue due settimane di assenza. Heles comprese perfettamente.
«È una specializzanda in chirurgia del primo anno. Ma non credo sia questo il vero problema. Il nostro amico ha avuto un colpo di fulmine, è stato amore a prima vista, e ora ha paura delle conseguenze. L’avresti mai detto?».
Motoki stentava a crederci. Quella situazione era paradossale.
«Ahahahah! Questa è bella! Forse avrei fatto meglio a non partire. Ah, se solo avessi saputo che cosa mi sarei perso! Mamoru, un colpo di fulmine!» e continuò a ridere.
«E non è tutto! Pensa che è anche geloso. Chissà in questo momento quali torture sta pensando di infliggere al povero dottor Kou?».
Motoki diventò di colpo serio.
«Allora è più grave di quello che pensassi».
«Anche io ho detto la stessa cosa» rispose Heles di rimando, annuendo.
I due medici continuavano a discorrere tra loro e a prenderlo in giro come se lui non ci fosse.
Mamoru era completamente assente e non prestò il minimo di attenzione a quanto dicevano. Continuava muto a seguire la sua Usagi, che nel frattempo era stata circondata dai colleghi e sembrava già divertirsi.
Ancora una volta provò un sentimento di gelosia nei confronti di quella ragazza, felice accanto a Seiya e ai suoi amici. Contemporaneamente cresceva la rabbia verso se stesso e verso la propria incapacità di controllarsi. Non si riconosceva più e questo lo rendeva molto nervoso.
Riportò l’attenzione ai discorsi di Heles e Motoki. Seccato, se la prese con loro.
«Andate al diavolo tutti e due! Smettetela di parlare e ridere di me» disse, alzando il tono di voce e allontanandosi.
Ora aveva decisamente bisogno di bere qualcosa, possibilmente forte.
 
Appena entrata nella sala, Usagi aveva notato subito Mamoru e i suoi occhi blu che la ammiravano, ma altrettanto velocemente aveva distolto lo sguardo, fingendo indifferenza, per non dare adito agli altri di farsi strane idee.
Pochi secondi erano, però, bastati per notare quanto fosse ancora più attraente con il suo smoking nero e per consentire al suo cuore di saltarle nel petto come fosse impazzito. Le sembrò che tutti i sentimenti che aveva cercato di reprimere in quei giorni, ignorandoli, adesso si stessero ribellando e tentassero di venire fuori con prepotenza.
Cercando di non apparire agitata e nervosa, aveva salutato i colleghi con un enorme sorriso e volentieri si era messa in posa per qualche foto insieme.
Ho bisogno di bere e, soprattutto, di mangiare!” pensò.
E così, dopo pochi, minuti si allontanò dagli altri e da Seiya, per dirigersi verso il tavolo del buffet.
 
Usagi sorseggiava lentamente un buon vino bianco, lasciando che le bollicine le grattassero piacevolmente la gola, e nel frattempo assaggiava tutte le varianti di tartine e stuzzichini che erano in bella mostra sul lungo tavolo.
Non c’è che dire, il cibo è un vero toccasana in determinate situazioni!
«Dottoressa Tsukino, non immaginavo che mangiassi così tanto!» esclamò, all’improvviso, una voce alle sue spalle.
L’ultimo boccone le andò di traverso e cominciò a tossire. Proprio l’ultima persona di cui aveva bisogno per calmarsi.
«Se continui così, credo che entro fine serata il vestito cederà» continuò Mamoru divertito.
Usagi neanche si voltò, più che altro per l’imbarazzo di incontrare lo sguardo invadente di lui.
«Dottor Chiba, non ho problemi di linea e posso mangiare quanto mi pare» gli rispose decisa, mentre sentiva i suoi occhi blu insistenti piantati su di lei. Un brivido corse lungo la sua schiena.
Mamoru sorrise per come lei avesse sempre la risposta pronta.
Proprio in quel momento Naru li chiamò.
«Dottor Chiba, Usagi! Una foto ricordo della serata?» chiese, mostrando loro la macchina fotografica.
«Perché no?» rispose Mamoru e, afferrando la spalla di Usagi, la abbracciò per mettersi in posa.
Un leggero fremito di piacere invase entrambi al contatto tra la mano calda di lui e la spalla liscia di lei. Usagi imbarazzatissima provò a sorridere ma, non appena udì il click, corse via con la scusa del bagno.
 
Tutta la scena non era sfuggita a Seiya, che non aveva perso d’occhio Usagi neanche per un secondo. Che il dottor Chiba avesse puntato la sua collega, non c’erano dubbi, anzi, era fin troppo palese anche ad altri colleghi. Dentro di sé, però, anche quello che prima era solo un sospetto stava cominciando a diventare certezza, cioè che la stessa Usagi non fosse insensibile al fascino del bel neurochirurgo.
Così, appena la vide andare via, le corse dietro, senza avere un’idea precisa di che cosa dire o fare, e la raggiunse nell’attimo in cui lei si fermò a salutare la dottoressa Tenou e un uomo sconosciuto, forse anche lui un medico.
Le prese il braccio con delicatezza, come per avere la sicurezza che non potesse più fuggire, e salutò le due persone che aveva di fronte.
«Vieni a ballare?» le chiese dolcemente, quando la dottoressa Tenou e quello che aveva scoperto essere il dottor Furuhata si allontanarono.
Usagi non ne aveva molta voglia, ma non se la sentì di rifiutare quella richiesta pronunciata in maniera così dolce e supplichevole.
Seiya, contento, la condusse verso il centro della sala, in mezzo alle altre coppie di ballerini.
Danzavano lenti su quelle melodiose note suonate dall’orchestra e Mamoru da lontano li osservava, mentre sorseggiava il suo vino in compagnia di Taiki Kou.
«Hai capito il piccolo Seiya! – esclamò il cardiochirurgo, a cui non era sfuggita la scena di suo fratello in compagnia della bella collega – A quanto pare stasera si porterà a letto la ragazza più corteggiata di tutto l’ospedale» continuò con orgoglio fraterno.
Mamoru sentì un tuffo al cuore.
«Ballare con una donna non significa portarsela a letto. E poi, sinceramente, non credo che la dottoressa Tsukino sia così stupida!» esclamò con una punta di acidità, raggelando al solo pensiero.
Anche se Usagi la mattina prima aveva urlato il contrario, adesso sembrava non sottrarsi alle avances di Seiya.
Osservò ancora i due ragazzi, infastidito. Lui continuava ad accarezzarle la schiena nuda con la mano sinistra, mentre con la destra le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso, sul quale ora indugiava con le dita. Lei sorrideva, mentre gli sussurrava qualcosa all’orecchio. D’un tratto poi si erano allontanati.
Mamoru fremeva, ma che poteva mai fare se non starsene lì impotente a guardare? Dopotutto, non aveva alcun diritto su di lei.
 
«Seiya, non farti strane idee in testa! – disse Usagi avvicinandosi all’orecchio del suo amico e sorridendo – E ora basta ballare, raggiungiamo gli altri di là» e così dicendo lo trascinò via.
A malincuore, il ragazzo aveva sciolto il suo abbraccio. La desiderava più di ogni altra cosa al mondo, si era innamorato di lei subito, dei suoi occhi, del suo sorriso, della sua solarità. Non poteva permettere che quella serata rimanesse solo un’occasione persa, soprattutto adesso che avvertiva più che mai la minaccia di Chiba.
Faceva questi pensieri mentre la seguiva nel grande corridoio che conduceva all’altra sala e, all’improvviso, agendo di impulso, le afferrò il braccio con forza facendola voltare verso di sé.
Usagi sgranò gli occhi per lo sconcerto, quando si ritrovò le labbra di Seiya schiacciate sulla propria bocca, mentre due braccia vigorose la stringevano con prepotenza.
Con tutta la forza che aveva spinse contro il suo torace per allontanarlo.
«Ma sei impazzito?» gridò.
«Perdonami, io … » farfugliò Seiya imbarazzato.
Usagi, notevolmente alterata, non aggiunse altro, semplicemente voltò le spalle per andarsene.
Seiya continuava a darsi dello stupido per aver agito di impulso e per aver bruciato la sua forse unica possibilità con la donna che amava. Ma, dentro di sé, assieme al rimorso, la rabbia e la gelosia crescevano a dismisura e alla fine non riuscì più a controllarsi.
«Se ci fosse stato Chiba al mio posto non avresti reagito così!» le gridò con tutta la rabbia che aveva dentro. mentre lei si allontanava.
Usagi si fermò di scatto e si voltò a guardarlo.
«Ancora con questa storia? Ma che cavolo dici!».
«Andiamo, ma non hai visto come ci guardava mentre ballavamo. Se avesse potuto, mi avrebbe ucciso senza alcun problema. E tu? Vuoi forse negare che non provi niente per lui? – fece una breve pausa, mentre un sorriso sprezzante compariva sul suo volto - Toglimi una curiosità, siete già stati a letto insieme? In caso contrario, allora, ti consiglio di rimediare quanto prima, sarebbe un grande aiuto per la tua carriera e … ».
PAFFF! Un sonoro ceffone sul volto di Seiya.
Gli occhi di Usagi erano diventati di fuoco.
«Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere! Io non ho bisogno di vendermi per andare avanti nel mio lavoro» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, incurante di eventuali testimoni.
Sconvolta, corse via.
«Vaffanculo, Usagi Tsukino!» le urlò dietro Seiya, mentre lei si dileguava.
Alcune persone si voltarono a guardarlo curiose.
“Sono un cretino a essermi innamorato di te!” pensò.
Poi, andò a prendere le sue cose e abbandonò la festa, sicuro che Usagi non avrebbe fatto fatica a trovare un altro passaggio per il ritorno.
 
Era trascorsa più di mezz’ora da quando Mamoru l’aveva vista correre verso la veranda dell’hotel palesemente agitata, mentre Seiya era andato via da solo.
Avrebbe voluto seguirla per capire cosa fosse successo e tentare di tranquillizzarla, ma pensò che forse sarebbe stato meglio evitare altre chiacchiere. Tuttavia era passato già un bel po’ e di Usagi neanche l’ombra.
Così, con calma, cercando di non farsi notare, si avvicinò alla porta che dava sulla veranda.
Vide che era ancora lì, seduta con la schiena appoggiata a una colonna del porticato e le gambe distese sul muretto. Aveva i piedi scalzi e il vestito sollevato fino alle ginocchia, forse per stare più comoda.
Non riusciva a cogliere la sua espressione, dato che se ne stava immobile col viso voltato verso la finestra a guardare nel vuoto, ma capì che era triste.
Vederla lì da sola, assorta nei suoi tristi pensieri gli fece male.
“Va’ da lei!” sussurrò una voce dentro di sé.
Un’idea balenò nella sua mente.
Si voltò e si diresse rapido verso il tavolo del buffet. Prese due calici di vino bianco e una fetta di torta alle fragole. Poi si apprestò a raggiungere la ragazza.
Non aveva la presunzione di farle tornare il suo splendido sorriso, ma sperava almeno che accettasse un po’ di compagnia.
Entrò silenziosamente nella veranda, senza che Usagi se ne accorgesse e, quando le fu vicino, le porse il piatto con la torta.
«Spero che almeno questa ti tiri un po’ su di morale. So che in mensa fai razzia di torta alle fragole» le disse, destandola dolcemente dai suoi pensieri.
Usagi guardò quel piatto davanti a lei e poi volse lo sguardo sorpreso verso Mamoru.
«E questo per mandarla giù meglio» aggiunse lui, porgendole anche il calice di vino.
La ragazza sorrise senza proferire parola.
«Sono contento di vederti sorridere! – esclamò Mamoru sorridendo di rimando - Ti dispiace se rimango a farti compagnia? Qui si sta decisamente bene lontano da tutti quei medici».
Usagi rise. Poi, dopo aver sistemato una ciocca di capelli dietro l’orecchio, piegò le ginocchia verso di sé per fargli spazio sul muretto.
«Certo, resta!».
 
Mamoru osservava rapito ogni piccolo gesto di quella donna che lo faceva impazzire senza fare niente. Era bellissima, e su questo non c’era alcun dubbio, ma non era per niente ingessata e impettita come altre donne, che avevano, invece, la continua necessità di sentirsi sempre perfette e impeccabili.
Lei era naturale, spontanea e sicura di sé.
Accoccolata in quell’angolo buio, incurante di sgualcire lo splendido vestito, con i piedi nudi e i capelli leggermente scarmigliati, Mamoru pensò che fosse quanto di più bello e dolce avesse mai visto.
La guardò mangiare con appetito la sua torta di fragole. Sembrava una bambina ingenua, ma sussultò quando si leccò maliziosa un dito sporco di panna, guardandolo divertita.
“Ma che mi stai facendo?” si chiese, sentendo il cuore accelerare
 
Il cuore di Usagi batteva forte mentre lui prendeva posto di fronte a lei, con la schiena appoggiata all’altra colonna che delimitava il muretto.
Mamoru aveva avuto un pensiero dolcissimo solo per lei e, anche se era stato inconsapevolmente la causa della sua lite con Seiya e dei suoi ultimi grattacapi, fu contenta che proprio lui fosse venuto a salvarla da quel mare in tempesta in cui stava annegando. L’ennesima contraddizione nella mente di Usagi.
 
«Hai litigato col tuo cavaliere? L’ho visto andar via di fretta mezz’ora fa» azzardò Mamoru, curioso di sapere qualcosa di più.
Usagi si rabbuiò nuovamente al pensiero di Seiya e delle cattiverie che le aveva urlato poco prima. Cercò, però, di non far trasparire ulteriormente il suo stato d’animo, così con una specie di sorriso scrollò le spalle e si decise a rispondere.
«In realtà, è stata tutta colpa mia. Ho sbagliato, non avrei dovuto accettare di venire con lui a questa festa, l’ho indotto a farsi strane idee».
Per Mamoru fu tutto più chiaro, Seiya ci aveva provato con Usagi e lei lo aveva respinto.
Si sentì stranamente sollevato da quella scoperta, ma cercò, per quanto possibile, di mascherare il sorrisetto compiaciuto che stava per nascere sul suo viso.
«Senti, – disse, all’improvviso, ridestandosi dai quei pensieri – io mi sto annoiando e tu non sembri da meno. Che ne dici se ti riaccompagno, visto che sei anche rimasta a piedi? Magari, se ti va, ci possiamo fermare per un frappè al volo – poi, portandosi la mano destra sul petto e la sinistra in alto, aggiunse - Giuro che non mi faccio strane idee!».
Usagi scoppiò a ridere per la battuta e alzò lo sguardo al cielo sospirando. Poi, guardando di nuovo negli occhi il suo bel dottore, rispose.
«Direi che è una splendida idea e che adoro il frappé!».
Al diavolo tutto e tutti! In quel momento, per qualche strano motivo, aveva solo bisogno di lui.
Saltò giù dal muretto veloce e si appoggiò al braccio di Mamoru per infilare le scarpe.
«E adesso portami via di qui, dottor Chiba!» esclamò, con il sorriso più dolce e sensuale che lui avesse mai visto e che in un secondo lo fece sciogliere. 

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Capitolo 9
*** Fino all'Alba ***


FINO ALL’ALBA 
 
 
«Ecco, è lì!» esclamò Usagi, indicando la palazzina gialla sulla destra, dove si trovava il suo appartamento.
Seguendo le indicazioni della ragazza, Mamoru accostò proprio davanti al cancello di ingresso.
Il tempo trascorso insieme non era stato tantissimo, poco meno di un’ora, durante la quale i due ragazzi si erano ritrovati a parlare di musica e concerti e a discutere di chi fosse più carismatico tra Chris Martin e Dave Gahan, mentre facevano una rapida sosta per un frappé al cioccolato.
«Buonanotte allora, dottoressa Tsukino! Riprenderemo domani pomeriggio la nostra discussione» la salutò Mamoru, dispiaciuto che quel momento fosse arrivato così in fretta.
Usagi fece spallucce e sorrise.
«È inutile continuare a discutere, tanto Gahan batte tutti! Buonanotte, dottore!».
E così dicendo, richiuse la portiera della macchina alle sue spalle.
Non riuscì a fare neanche un passo che qualcosa dentro di sè la trattenne.
«Ti va di salire? Ti offro una birra. È il minimo che possa fare per ringraziarti» gli domandò, sporgendosi attraverso il finestrino del lato passeggeri.
Un leggero rossore le invase il viso. La ragazza non sapeva esattamente perché avesse fatto quell’invito, dato che sarebbe stato un po’ come portare il lupo nella tana del coniglio, sentiva solo che non voleva lasciarlo andare così.
Dal canto suo, Mamoru non si immaginava assolutamente quella proposta e la accolse con non poco stupore. Alzò un sopracciglio, mentre continuava a scrutarla, cercando inutilmente di capire la sua espressione. Sapeva perfettamente che non doveva aspettarsi niente, ma una birra gli sarebbe bastata pur di stare ancora un po’con lei.
«Ok, parcheggio la macchina» esclamò, senza pensarci su ancora.
 
Usagi aprì la porta del suo appartamento e accese la luce, poi entrò seguita da Mamoru.
«Prego, accomodati! – gli disse indicandogli il divano – Fa come fossi a casa tua! Io intanto vado a prendere le birre».
E dopo essersi tolta, con un enorme sospiro di sollievo, le scomodissime scarpe tacco dodici, a piedi nudi si diresse in cucina.
Mamoru si guardò intorno curioso.
L’appartamento era molto carino e ben arredato. Il salotto era grande e alle spalle del divano, proprio al centro della stanza, notò subito la sbarra di legno che lei usava per gli esercizi di danza. Sorrise divertito a quel pensiero. Avrebbe proprio voluto vederla danzare.
In fondo alla stanza c’era un’enorme libreria piena, oltre che di libri, anche di cd e dvd. Diede una rapida occhiata ai vari titoli.
“Interessante! Hai decisamente degli ottimi gusti, Usagi”.
Poi, la sua attenzione fu catturata da alcune foto che ritraevano lei, allegra e sorridente come non l’aveva mai vista, in compagnia di diverse persone. Curioso osservò a uno a uno tutti quei volti, immaginando il legame che ognuno potesse avere con Usagi.
Nel frattempo, la ragazza era tornata reggendo due Tennent’s .
«Immagino che tu sia curioso di sapere chi siano le persone sulle foto» esclamò, avvicinandosi e porgendogli la sua birra.
«Allora – disse indicando una alla volta le varie foto – qui siamo io e mio padre Kenji. Loro, invece, sono le mie migliori amiche: Rei, Ami, Makoto e Minako. Questa foto risale ai tempi del liceo e quest’altra è dell’anno scorso. Qui, invece, c’è tutta la mia famiglia al completo: papà, sua moglie Yumiko, mio fratello Shingo e mia sorella Chibiusa. Questa ragazzina dalla buffa acconciatura, invece, sono io all’età di 14 anni con in braccio Chibiusa appena nata. E infine, questa è la mia mamma, un anno prima che volasse in cielo».
Mamoru ascoltò con attenzione la descrizione di Usagi.
La ragazza parlò con disinvoltura e sorrideva, ma lui si accorse che un po’ di tristezza velava quel sorriso.
«Ti mancano, vero?» le chiese, già intuendo la risposta.
Usagi annuì.
«Sono più di tre mesi che non li vedo, ma tra una settimana sarà Natale e tornerò a casa per un paio di giorni! – disse, mentre i suoi occhi tornavano a risplendere – E tu, dottore, dove passerai il Natale?».
Mamoru scrollò le spalle e fece una smorfia.
«Non amo particolarmente il Natale. Se dipendesse da me starei a casa da solo, come un giorno qualsiasi. Ma Motoki e Reika non me lo permettono e quindi, ogni anno, sono costretto a stare con tutti i loro parenti».
Usagi si ricordò di quanto lui le avesse raccontato, quella volta al Crown, a proposito della sua famiglia, e si sentì in colpa per avergli fatto quella domanda così stupida e inopportuna.
“Che smemorata che sono!” si rimproverò.
«Anche Thom Yorke non scherza, comunque!» esclamò, all’improvviso, ricollegandosi al discorso fatto precedentemente in macchina, per provare a porre rimedio alla gaffe appena fatta.
«È il mio preferito!» rispose Mamoru sorridendo, ancora una volta stupito da quella donna, che, nel frattempo, si era lasciata sprofondare nel divano, sopraffatta dalla stanchezza fisica, dove lui la raggiunse.
Passarono così almeno un’altra ora, sul divano a bere birra, chiacchierando e ridendo come quella sera al Crown, con la differenza che stavolta fu Mamoru a esporsi di più, raccontando della sua vita da universitario e specializzando, delle bravate in compagnia di Heles, di aneddoti riguardanti la vita di metà personale ospedaliero.
Usagi rideva come una matta e non si aspettava che quel ragazzo apparentemente così freddo e distaccato si aprisse tanto con lei e in così poco tempo.
«Sei un pettegolo, Mamoru Chiba!» esclamò lei prendendolo in giro, mentre si piegava in due dalle risate a causa di un ennesimo esilarante aneddoto.
«Non sono un pettegolo – rispose lui, fingendosi offeso – E poi, mi sembra che tu ti stia divertendo molto!» aggiunse poi, contento di vederla ridere in quel modo.
Le sue risate cristalline erano musica per le sue orecchie e gioia per i suoi occhi.
«Mi fai ridere tu. Sei un bravo intrattenitore» rispose Usagi, alzando il pollice in segno di approvazione.
«Buono a sapersi, se mi dovesse andar male come neurochirurgo - disse Mamoru stando allo scherzo – Magari tu potresti fare la ballerina nei miei spettacoli di cabaret».
E rivolse un’occhiata allusiva prima alla ragazza e, poi, alla sbarra di legno al centro del salotto.
«Io ho un futuro da grande chirurgo davanti a me e ... – rispose lei impettita. Poi, afferrando il suo sguardo allusivo, esclamò scuotendo la testa e agitando le mani davanti a sè – No, Mamoru, non se ne parla. Non ti darò alcuna dimostrazione!».
«E dai!» la pregò lui, con il tono di voce simile a quello di un bambino capriccioso.
«Ma non ho neanche l’abbigliamento adatto!» cercò di giustificarsi lei, mostrando il vestito nero della festa che ancora indossava.
Ma Mamoru insisteva con il suo sguardo supplichevole e lei non se la sentì di dire ancora di no.
«Ok, ok, solo qualche piccolo esercizio di riscaldamento» disse, quasi seccata dalla facilità con cui aveva ceduto a quella richiesta.
Dopo aver messo la musica adatta con il volume al minimo, si avvicinò alla sbarra, sistemò al meglio lo scomodo abito, sollevandolo leggermente, e assunse la classica posizione da danzatrice, con i piedi incrociati e le braccia tondeggianti.
Mamoru la guardava estasiato e divertito allo stesso tempo, mentre lei muoveva con leggiadria le gambe, la testa e le braccia, guidata da quella dolcissima musica, e i muscoli le si contraevano a ogni movimento, sottolineando la forma delle sue bellissime gambe nude.
Si alzò dal divano e lentamente si avvicinò per godere meglio di quello spettacolo.
Era ammaliato dalla sua grazia e dal suo profumo.
Erano lì, l’uno di fronte all’altra, ma Usagi continuava a danzare, quasi come per ignorare quella forte attrazione. Si voltò dandogli le spalle.
Mamoru fece ancora due passi. Ormai erano vicinissimi, i loro corpi si sfioravano. Chinò leggermente il viso su di lei, nell’incavo tra il collo e la spalla, come se volesse respirare meglio il suo profumo.
Usagi continuava con i suoi leggeri movimenti, che si facevano via via sempre più lenti, e nel seguire il movimento del braccio con la testa, si trovò a pochi centimetri dalla sua bocca.
Avvertì il suo caldo respiro sul viso. Chiuse gli occhi e sospirò in maniera quasi impercettibile, estasiata da quella sensazione. Si voltò ancora verso di lui e poi restò immobile.
Attimi di pura perdizione.
Mamoru si immergeva nel mare calmo degli occhi azzurri di lei e Usagi sprofondava nella notte calda degli occhi blu di lui.
Entrambi immobili, come pietrificati da un incantesimo, senza riuscire a dare voce a quei sentimenti che scuotevano i loro cuori.
«È sbagliato, Mamoru» sussurrò dolcemente lei.
«Lo so, Usagi » rispose lui, quasi con desolazione.
«Forse, è meglio che tu vada» consigliò la ragazza abbassando lo sguardo.
«Già, forse è meglio!» rispose il giovane chirurgo, allontanandosi da lei e avvicinandosi al divano per riprendere la giacca.
Solo tre passi, poi una mano tra i capelli, come per mandare via ogni tentazione, un respiro profondo e, alla fine, non riuscì più a resistere.
Si voltò di scatto verso la sua Usagi e la afferrò con veemenza, le braccia attorno alla vita di lei, le labbra che premevano prepotenti contro la bocca, la lingua che cercava un varco per il paradiso.
Usagi lo accolse con altrettanta passione, come se non aspettasse altro e non potesse resistere ulteriormente. Gli avvolse le braccia attorno al collo e socchiuse la bocca, permettendo alle loro lingue di intrecciarsi in una vorticosa danza di passione, tanto attesa, tanto agognata.
«Sbagliamo assieme, ti prego!» la supplicò Mamoru, staccandosi leggermente per riprendere fiato.
«Non possiamo più tornare indietro, ormai».
Usagi ansimò, poi cercò di nuovo le sue labbra per continuare a sbagliare e perdersi con lui in quel mare di brividi e sensazioni.
A quelle parole, pronunciate con tanta sensualità, quasi come fossero il permesso che stava attendendo, con forza Mamoru la spinse verso il muro continuando a baciare ogni centimetro del suo viso e del suo collo. Con le mani le sollevò il vestito, accarezzandole famelico la pelle liscia delle gambe, mentre lei inarcava la schiena spingendo il bacino contro di lui e gemeva piano a ogni tocco.
«Ti ho desiderato dal primo momento che ti ho visto in quell’ascensore, Usagi» le sussurrò dolcemente, guardandola negli occhi.
Lei sorrise e rimase a guardarlo per qualche istante con altrettanta dolcezza. Anche lei lo aveva desiderato da quello stesso preciso momento, ma non lo disse e gli posò un lieve bacio prima sul collo e poi sulle labbra.
Come due adolescenti alle prese con il primo amore, mano nella mano, entrarono nella stanza di Usagi.
In piedi davanti al letto, uno di fronte all’altro, Usagi gli accarezzò il viso e lentamente scese con le mani lungo il collo fino al suo torace, cominciando a sbottonargli la camicia. Mamoru la baciò ancora, mentre le tirava giù la zip del vestito.
Lei chiuse gli occhi per assaporare meglio quel momento.
Poteva sentire il battito del cuore impazzito di lui, mentre il vestito cadeva ai suoi piedi lasciandola quasi completamente nuda, con gli slip come unico indumento.
Mamoru rimase estasiato da quella visione. Ebbe quasi paura di profanare quel corpo così bello, simile a quello di un angelo.
«Sei bellissima!» mormorò, accarezzandole i capelli.
«Shhhh – rispose lei, poggiandogli delicatamente due dita sulle labbra – Fai l’amore con me, dottore!».
Mamoru prese la sua mano e ne baciò delicatamente prima il palmo poi il dorso, senza lasciare un attimo i suoi occhi azzurri, che in quel momento gli sembravano ancora più belli e magnetici. Le prese il viso tra le mani e iniziò a posarle sulle labbra piccoli baci, prima dolci e delicati, poi sempre più profondi e passionali, fino a quando si ritrovarono sdraiati l’uno sopra all’altra, avvinghiati, sopraffatti da quella folle passione che fino a quel momento avevano represso.
 
Quella notte Mamoru e Usagi si amarono per la prima volta, perdutamente, senza limiti e senza pudori. Si cercarono più volte come se non fossero mai sazi, fino all’alba, quando crollarono sfiniti l’uno nelle braccia dell’altro.
La fortezza invisibile e invalicabile, che si erano costruiti attorno per proteggersi, non aveva retto alla forza di quel sentimento nascente.
Quella notte, proprio non c’era spazio per la razionalità e per le paure.
 

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Capitolo 10
*** Innamorarsi ***


INNAMORARSI 
 
 
Un tenue raggio di sole filtrava attraverso le tende, andando a posarsi sul letto.
Mamoru era già sveglio da un po’ e, con tenerezza, la guardava dormire beatamente, deliziandosi di quello splendido spettacolo di nome Usagi.
Le accarezzava il viso delicatamente per paura di svegliarla e si sentiva stranamente felice, a contatto col tepore del suo corpo.
Quella notte lei era stata sua, ma la sensazione che adesso provava non era la stessa che aveva provato con altre donne. Non era stato un capriccio, capiva che il suo bisogno era molto più profondo e andava al di là del possedere il corpo di quella donna.
Si sentiva completo ed era stata lei a donargli quella sensazione.
“È questo che si prova ad innamorarsi?” si chiese, per provare a spiegare a se stesso quella sensazione sconosciuta.
Usagi aprì gli occhi lentamente e la prima cosa che vide furono gli occhi di lui e il suo bellissimo sorriso.
«Buongiorno, piccola!» le sussurrò lui dolcemente.
“Allora non è stato un sogno!” pensò lei felice.
«Buongiorno!» rispose sorridendo.
Accolse sulle proprie labbra il bacio delicato di lui, lasciandosi andare a quella meravigliosa sensazione di calore e intimità.
«Oh, buongiorno anche a te là sotto!» aggiunse, poi, con uno sguardo malizioso, sentendosi sfiorare il ventre.
«Guarda che mi fai! – rispose Mamoru mordendole un orecchio – Non sono ancora sazio di te».
Usagi a quelle parole fu percorsa da mille brividi. Si avvicinò a lui e catturò le sue labbra in un bacio caldo e sensuale.
Nuovamente si fusero in un unico corpo.
I respiri irregolari e gli occhi chiusi per assaporare meglio tutto il piacere di quell’atto così profondo, fino a perdersi insieme, ancora una volta, nell’estasi che si propagava nei loro corpi e nelle loro menti.
 
Mentre Mamoru era in bagno a fare una doccia, Usagi infilò una culotte bianca e un top coordinato. Voleva andare in cucina a preparare la colazione, ma seduta sul letto i suoi pensieri la distolsero da quell’intenzione.
Tutto quello che era successo quella notte, l’aveva portata a riscoprire se stessa, a ritrovare quella Usagi che credeva morta quasi tre anni prima.
Si era lasciata andare completamente e non per il bisogno di sentirsi desiderata e amata, bensì per il desiderio più profondo di dare voce a quel sentimento che sentiva scoppiarle nel petto.
E ora era felice!
Si era accorta che, per la prima volta, non sentiva più quel senso di vuoto e solitudine che l’attanagliava ogni volta che stava con un uomo e che la spingeva a scappare e a chiudersi sempre di più in se stessa.
Mentre lei sognava a occhi aperti, Mamoru uscì dal bagno con l’asciugamano bianca attorno alla vita e i capelli bagnati. Usagi lo trovò bello, tremendamente bello.
«Dove posso trovare il phon?» le chiese, mentre lei era lì immobile ad ammirare il suo dio greco.
«Te lo prendo subito» rispose, riprendendosi dalla tachicardia che le aveva appena procurato quella visione.
Si alzò dal letto per andare a prendere il phon, mentre Mamoru osservava ebbro la sua bellezza e la sua perfezione, messe in risalto da quel completino bianco di pizzo.
La afferrò da dietro, cingendole la vita.
«Lo sai che sei bellissima?» le sussurrò baciandole la spalla nuda.
Usagi sorrise compiaciuta.
«Non mi dire che non sei ancora sazio, dottore! Se continuiamo così penso che a fine turno non ci arriviamo!».
Mamoru rassegnato sciolse l’abbraccio e la voltò delicatamente verso di lui.
«Hai ragione, dottoressa! Riprenderemo il nostro discorso dopo il lavoro» le disse con un sorriso malizioso, posandole un bacio sulla punta del naso.
A quel gesto di tenerezza Usagi arrossì, mentre lui restava ammaliato da quel suo lato così tenero.
Per un istante, rimasero in silenzio, ma i loro occhi raccontavano più di mille parole.
All’improvviso un beep ruppe l’idillio.
«È il mio cercapersone – esclamò Mamoru – Devo correre in ospedale!».
«Vestiti! – gli disse Usagi – Io nel frattempo ti preparo almeno un caffè».
Dopo dieci minuti, il giovane medico era già pronto per andare via. Bevve al volo il suo caffè e salutò Usagi con un bacio sulle labbra.
«A che ora inizi il tuo turno?» le chiese accarezzandole i capelli.
«Alle due».
«Ci vediamo dopo, allora».
Usagi lo accompagnò all’uscita e aspettò che Mamoru scomparisse dietro le porte dell’ascensore, da cui le rivolgeva un ultimo saluto con un cenno della mano.
Ma, non appena ebbe richiuso la porta alle sue spalle, un’improvvisa ansia l’assalì.
Dalla sera precedente fino a quel momento aveva vissuto in un limbo dorato, oltrepassando tutti i limiti che si era imposta anni prima, lasciandosi amare e, soprattutto, amando per prima, ma adesso la sua parte razionale cominciava a riemergere, in forte contrasto con i suoi sentimenti.
Fino a poco prima era felice, adesso aveva paura della sua stessa felicità.
Prese il telefono e compose il numero della persona con cui in quel momento voleva sfogarsi, l’unica che avrebbe potuto darle il consiglio giusto.
«Pronto, Rei».
  •  
«Sì. Come stai?».
«Io bene, e tu? Non sei in ospedale?».
«Inizio il turno dopo pranzo».
«Capisco. Ma cos’hai? Che cos’è questa voce?».
«Ecco, vedi, avevo bisogno di parlare con te».
«Che cosa è successo? Dimmi tutto, non mi far preoccupare».
«Rei, - esclamò Usagi dopo un lungo sospiro - credo di essermi innamorata!».
 
Poco prima delle due, Usagi arrivò in ospedale.
Per tutta la mattinata non aveva fatto altro che pensare a come la sua vita era stata stravolta in meno di ventiquattro ore e a quello che le aveva detto la sua amica Rei a riguardo.
«Usa-chan, non posso dirti cosa fare. In amore non esistono strategie, deve essere il tuo cuore a guidarti. Però, non fasciarti la testa prima di cadere! Già solo il fatto che ti sia innamorata, lo dovresti considerare una grande benedizione. Vuol dire che sei guarita, che sei tornata la persona che eri, magari più matura, meno ingenua, ma sei di nuovo la vera Usagi e non sai come sono felice di questo. L’unico consiglio che posso darti è di lasciarti andare. Tu credi di essere libera, ma non ti rendi conto che sei solamente schiava dei limiti che ti sei imposta. Così facendo prendi solo in giro te stessa. Vivi questo amore, giusto o sbagliato che sia, ovunque ti porti. Anche se non sarà ricambiato e ti farà soffrire, almeno non avrai rimpianti».
La saggia Rei!
Tutto quello che aveva detto era giusto, ma per Usagi non era affatto facile lasciarsi andare dopo gli ultimi anni passati a scansare l’amore come una grave malattia contagiosa.
E poi, aveva paura delle ripercussioni di questa storia sul suo percorso di studi, delle chiacchiere della gente, e, soprattutto, aveva paura che per Mamoru, lei fosse stata solo il capriccio di una notte, un diversivo, benché quella mattina fosse stato molto dolce e premuroso.
Ma perché doveva essere sempre tutto così complicato?
Pronta per il suo turno, si stava dirigendo in ortopedia per assistere la dottoressa Tenou, quando, persa ancora nei suoi pensieri, scorse Seiya in fondo al corridoio.
“Cavoli – pensò infastidita – ci manca solo lui!”.
Si voltò per tornare indietro e raggiungere il reparto dall’altro corridoio, quando lui la bloccò dopo averla raggiunta di corsa.
«Aspetta, Usagi, ti devo parlare» le disse con il respiro affannato.
«Ti prego, Seiya, non ho voglia di ascoltarti! È già una pessima giornata e poi non voglio far tardi con la dottoressa Tenou! - gli rispose la ragazza con un tono alquanto irritato. Poi aggiunse beffarda - Sai, ho deciso di fingere una forte attrazione per lei per godere di tutte le agevolazioni e fare carriera … ».
«Smettila di fare la cretina! – la rimproverò lui alzando la voce – Volevo solo chiederti scusa per come mi sono comportato ieri e per le cose cattive che ti ho detto».
Poi, davanti allo sguardo diffidente e accigliato della ragazza, continuò a giustificare il proprio comportamento.
«Avevo bevuto un po’ ed ero arrabbiato perché tu mi avevi respinto. Ma ho sbagliato! Ho agito accecato dalla gelosia, perché ho visto come vi cercate, tu e lui, e avrei voluto le tue attenzioni solo per me».
Parlava così mentre lo sguardo di lei si addolciva un po’.
Seiya le poggiò le mani sulle spalle e Usagi abbassò gli occhi.
«Tu mi piaci tantissimo, e lo sai! – aggiunse il ragazzo abbassando il tono della voce - Non penso assolutamente quello che ho detto ieri, lo so bene che non sei quel tipo di donna e che hai tutte le capacità per diventare un bravo chirurgo, altrimenti non mi sarei mai interessato a te. Vorrei che mi dessi almeno una possibilità!».
Lo sguardo di Seiya era supplichevole, quasi disperato.
Usagi vi lesse amore.
Sì, era proprio amore quello che lui provava per lei.
Si sentì quasi in colpa di non ricambiare quel sentimento. Seiya era bello, intelligente, simpatico, decine di ragazze avrebbero fatto follie per lui. Ma lui aveva scelto lei, quella sbagliata, quella che non avrebbe mai potuto dargli l’amore che cercava e che meritava.
Lei era quella che era sempre scappata e che, ironia della sorte, alla fine, aveva ceduto gettandosi tra le braccia di un amore che aveva tutti i presupposti di un amore sbagliato.
«Seiya, io … io non … » farfugliò Usagi con uno sguardo che sembrava quasi implorare perdono.
Il ragazzo intuì.
«Ti prego, ascoltami, lascialo perdere! Non cadere nella sua trappola. Lui è un dongiovanni, è risaputo, e ti farà solo soffrire».
Usagi sospirò a quelle ultime parole e la sua espressione si fece inquieta, mentre una miriade di pensieri confusi le offuscava la mente.
Seiya non ebbe bisogno di altre parole per capire. Il suo volto si oscurò.
«Sono arrivato tardi, vero? È già successo!» chiese profondamente deluso, pur conoscendo la risposta. Anche se Usagi negò, il suo viso e i suoi occhi erano eloquenti.
 
In quel momento, Mamoru girava nel reparto in cerca di Usagi, affinché si occupasse della signora Watanabe, che in mattinata era stata ricoverata di nuovo e operata d’urgenza.
In realtà, aveva pensato a lei tutto il giorno e ora, sapendo che il suo turno era appena cominciato, aveva una voglia irrefrenabile di vederla. Per questo non aveva mandato un’infermiera, ma era andato personalmente a cercarla.
La scenetta che si trovò davanti, quando finalmente la trovò, lo mandò su tutte le furie.
Quell’imbecille di Kou le teneva le mani sulle spalle e le parlava a pochi centimetri dal viso, mentre lei, anche se sembrava infastidita, non reagiva.
Il sangue gli salì al cervello. Se si fossero trovati per strada, un pugno in pieno viso a Seiya certamente non glielo avrebbe tolto nessuno.
Mentre cercava di darsi un contegno percorrendo il lungo corridoio, vide che Seiya improvvisamente si era staccato da lei, rimanendo a fissarla con un’espressione sconvolta.
Che cosa cavolo si erano detti?
La curiosità lo stava divorando e decise che sarebbe stata la stessa Usagi a spiegarglielo privatamente.
«Cercavo proprio voi» esclamò con tono grave non appena li raggiunse.
I due, che non si erano ancora accorti di lui, trasalirono a quell’esclamazione.
Il cuore di Usagi accelerò trovandoselo davanti per la prima volta, dopo quello che era successo quella notte e dopo tutti i pensieri confusi che ancora la opprimevano.
«Dottoressa Tsukino, stamattina c’è stata un’emergenza, la signora Watanabe è stata di nuovo ricoverata e operata d’urgenza. Vorrei che tu l’assistessi finchè io sarò impegnato» le spiegò, chiarendole anche il motivo per cui quella mattina era dovuto scappare.
«Ma oggi sono con la dottoressa Tenou e … ».
«Ho già avvisato Heles. Conosci bene il caso della paziente e quindi sei l’unica che possa assisterla al meglio, mentre io non ci sarò, senza contare che lei stravede per te».
«Ok, va bene! » annuì Usagi, mentre nel frattempo Seiya osservava la scena attento, come per cercare ulteriori conferme a ciò di cui ormai era più che certo.
«Tu, dottor Kou, vai a prepararti. Penso che sia giunto il momento per te di assistere a un intervento di neurochirurgia » esclamò Mamoru rivolto al ragazzo.
“Così potrò tenerti sotto controllo!” aggiunse tra sé.
«Va bene, dottor Chiba» rispose Seiya col tono di voce abbattuto.
In un’altra situazione avrebbe fatto i salti di gioia per quella nuova inattesa opportunità, ma adesso non c’era assolutamente niente di esaltante nel trascorrere tutta la giornata con il suo rivale, l’uomo che gli aveva tolto definitivamente la possibilità di conquistare Usagi.
«Potete andare - disse Mamoru. Poi rivolto ad Usagi aggiunse - Anzi, tu no, Tsukino! Seguimi prima nel mio ufficio, sarà meglio che ti dia un paio di indicazioni su come agire in caso di emergenza».
Seiya si allontanò scuotendo la testa, con il volto segnato da un sorriso sprezzante, mentre il suo cuore andava in frantumi.
Usagi seguì Mamoru, che camminava davanti a lei senza dire una sola parola.
 
Usagi richiuse la porta dell’ufficio, mentre Mamoru se ne stava in piedi davanti alla sua scrivania, in silenzio, dandole le spalle.
Le opinioni divergenti di Seiya e Rei continuavano a rimbombare nella mente della ragazza e non riusciva a stabilire a quale voce dare ascolto.
«Si può sapere cosa voleva da te quell’idiota di Kou?» chiese Mamoru, all’improvviso, con tono freddo, voltandosi verso di lei e interrompendo quel lungo silenzio.
Usagi rimase sconcertata da quella domanda. Dove voleva arrivare?
«Che c’è? Sei geloso?» disse poi con sarcasmo, sostenendo lo sguardo severo di lui.
La ragazza aveva fatto centro.
Mamoru distolse i suoi occhi da quelli azzurri e penetranti di lei, che in quel momento gli stavano facendo male. Cercò poi di giustificare la sua domanda.
«Vorrei solo capire la persona che ho di fronte».
«Ti ho già spiegato che è solo un amico».
Usagi era stizzita. Odiava dare spiegazioni, soprattutto adesso che la sua mente era offuscata da mille pensieri.
«Già, un amico che non vede l’ora di venire a letto con te!» l’apostrofò lui con tono arrogante.
«Beh, io non ho alcun interesse per lui e, anche se fosse vero il contrario, non ti ho detto di avere l’esclusiva!» rispose lei, spietata, innalzando di nuovo la sua barriera protettiva, mentre la voce di Seiya riecheggiava nella sua mente.
Ti farà solo soffrire!”.
Quelle parole colpirono Mamoru come un pugno. Ancora di più dello sguardo gelido di lei, che fino a poche ore prima le era sembrata un angelo.
Un sorriso triste e sprezzante si dipinse sul suo volto.
«Avrei dovuto immaginarlo! Dopotutto, ti ho visto molto affiatata con due uomini diversi nel giro di due sere, le stesse sere in cui flirtavi con me. Poi, Seiya ti ronza intorno continuamente e non sembra che ti dispiaccia, ma nel frattempo, però, vieni a letto con me … ».
Gli occhi di Usagi divennero due fiamme.
«Mi stai dando della sgualdrina?» disse con tutta la rabbia che aveva in corpo, senza dargli la possibilità di concludere il discorso, profondamente ferita da quell’uomo completamente diverso da quello di cui si era innamorata quella notte.
Ti farà solo soffrire!” ripeteva la voce di Seiya.
«Lo stai dicendo tu, io non l’ho mai pensato» le rispose lui con sguardo serio.
«Sai cosa ti dico, caro dottor Chiba? Che tu non sai niente di me! – lo aggredì puntandogli l’indice contro – Sai il mio nome, hai conosciuto il mio corpo, ma della vera Usagi non conosci niente».
Il volto di Mamoru cominciò ad assumere un’espressione meno fredda e accigliata. Si rese conto che la gelosia che non aveva voluto ammettere gli aveva fatto perdere il controllo. Le afferrò la mano che lei aveva puntato contro il suo petto e l’attirò verso di sé, cominciando a parlarle con più calma.
«È quello che sto cercando di dirti. Fatti conoscere, Usagi! È così difficile per te? Sei partita in quarta, come una furia, non mi hai dato neanche la possibilità di parlare e subito sei arrivata alle tue conclusioni! Perché?».
A quelle parole gli occhi furiosi di Usagi furono coperti da un velo di tristezza.
«In passato ho sofferto tanto e ho deciso che non sarebbe più successo – rispose alla domanda di Mamoru – Ho messo me stessa, i miei sogni e la mia felicità prima di ogni altra cosa. Ma adesso ho paura, perchè sento che sto per perdere il controllo della mia vita».
Il giovane medico fece un profondo respiro e abbassò lo sguardo. Poi, tornando a fissare i suoi occhi azzurri, sorrise e decise di parlarle con sincerità.
«Forse non lo sai, ma da ieri per me ci sono state solo prime volte. Ho fatto l’amore con una donna e con lei ho dormito e fatto colazione, io che ero abituato solo al sesso fine a se stesso e senza coinvolgimenti, dopo il quale scappavo a casa. E oggi mi sento diverso, quasi ridicolo, perché sono felice che quella donna sia stata mia … perché ho pensato solo a lei tutta la giornata … perché non vedevo l’ora di rivedere i suoi occhi … perché le ho appena fatto una scenata di gelosia … perché le sto dichiarando quanto mi abbia stravolto la vita in pochi giorni … e perché sto sperando che mi dia almeno una possibilità per conoscerla e capire i miei sentimenti».
Usagi non parlava, ma continuava ad ascoltare le sue parole così dolci e a guardare i suoi occhi che sembravano così sinceri.
Aspettò che finisse di parlare.
Un leggero sorriso ricomparve sul suo volto, leggermente arrossato da tutte le emozioni che aveva provato in quei pochi minuti, lì in quell’ufficio.
«Abbiamo preso solo il caffè!» gli sussurrò teneramente.
Al che Mamoru, incurante del luogo in cui si trovavano e che qualcuno potesse entrare all’improvviso, la portò più vicina a sé e posò delicatamente le sue labbra su quelle di lei.
Usagi si lasciò andare tra le sue braccia forti e virili, accogliendo quel dolce bacio d’amore.
“Vivi questo amore, giusto o sbagliato che sia, ovunque ti porti!”.
Alla fine, Usagi aveva deciso di dare ascolto alla voce di Rei.
 
Qualcuno aveva bussato alla porta dell’ufficio di Mamoru.
I due si staccarono rapidamente da quel bacio clandestino, cercando di ricomporsi alla svelta.
«Avanti!» esclamò il giovane medico, accomodandosi dietro la sua scrivania.
Motoki entrò e rimase piuttosto attonito nel trovare Usagi lì.
Pochi secondi di imbarazzante silenzio, poi un timido « Disturbo? » da parte del ragazzo.
«Entra pure, Motoki! La dottoressa Tsukino stava per andare via» gli disse Mamoru, cercando di sembrare più disinvolto possibile.
Non aveva ancora parlato ai suoi due amici di quello che era successo con Usagi, ma per ora preferiva non farlo e lasciare che rimanesse solo un pettegolezzo privo di conferme. Poi si rivolse a lei.
«La situazione della signora Watanabe dovrebbe essere tranquilla, in ogni caso passerò per un rapido controllo prima di entrare in sala operatoria. Per qualunque problema chiama la dottoressa Haruna».
«Lo farò dottor Chiba, stia tranquillo!» rispose Usagi, rossa in viso e piuttosto agitata dalla situazione.
«Vi auguro buona giornata!» aggiunse poi, salutando entrambi i suoi superiori e uscendo rapidamente dalla stanza.
Motoki assistette alla scena perplesso, guardando di sottecchi prima l’uno poi l’altra.
Appena Usagi lasciò la stanza un sorriso malizioso si dipinse sul suo volto.
«Sbaglio o quella era la tua specializzanda? » chiese enfatizzando la parola tua.
Mamoru lo guardò aggrottando la fronte, come per dirgli “E allora?”.
«Non guardarmi con la faccia di chi cade dalle nuvole, Chiba! C’era un’atmosfera di tale imbarazzo qui dentro fino a pochi secondi fa, che quasi avrei voluto scomparire. È chiaro che io abbia interrotto qualcosa» lo rimproverò Motoki.
«Ancora questa storia! Abbiamo solo preso una birra insieme per festeggiare il suo primo intervento e Heles ci ha ricamato su, come suo solito  rispose Mamoru infastidito dal dover dare continuamente spiegazioni sull’argomento.
«Non mi pare che Heles sia solita inventare storie – lo riprese l’amico – e poi, come fai a dire solo una birra? E gli improvvisi cambi di turno, le scenate di gelosia, i tuoi sbalzi di umore? E poi, dove accidenti sei finito ieri sera? Improvvisamente sei scomparso senza neanche salutare!».
Motoki era arrabbiato, più che altro perché non riusciva a comprendere il motivo per cui Mamoru si ostinasse a negare l’evidenza. È vero, lui era tornato solo da un giorno, non sapeva niente di tutta quella storia nata durante la sua assenza, ma conosceva Mamoru da anni e il suo cambiamento era palese.
«Neghi l’evidenza! – gli disse ancora – e non capisco perché non ti fidi dei tuoi migliori amici».
Mamoru era dispiaciuto per quella situazione, e così, messo alle strette, cercò di giustificare il proprio atteggiamento.
«Non è che non mi fidi di voi – disse – è solo che per me è una situazione nuova, non ci capisco più niente anche io! E poi non è successo ancora nulla, se accadrà sarete i primi a saperlo».
E su quest’ultima frase abbassò lo sguardo come per non far trasparire la sua piccola bugia.
«Come preferisci! – esclamò Motoki con un sospiro di rassegnazione – Comunque ero venuto qui per chiederti un parere su un mio paziente. Appena ti liberi, passa a dargli un’occhiata. Questa è la copia della sua cartella!».
«Ok, lo farò!» rispose Mamoru, come se soddisfare immediatamente la richiesta di Motoki potesse in qualche modo redimerlo dal proprio comportamento sbagliato. Accennò poi un sorriso di gratitudine verso il suo amico per aver compreso la situazione e non aver insistito oltre, al contrario di quanto, invece, avrebbe fatto Heles.
 
Usagi era tornata a casa da poco più di dieci minuti. Non aveva molto tempo a disposizione, Mamoru sarebbe passato a prenderla tra meno di mezz’ora e lei non aveva intenzione di fare da subito, anche con lui, la solita figura della ritardataria.
Dopo una rapida doccia, in intimo e con i capelli ancora bagnati avvolti nell’asciugamano, rimase imbambolata davanti al suo armadio aperto.
«Ufff che mi metto?» sbuffò davanti a quell’ardua decisione da prendere in pochi minuti.
Avvilita, alla fine, scelse quello che la faceva sentire più a suo agio: jeans scuri comprati la settimana precedente e maglione nero a collo alto. Si soffermò con lo sguardo sui décolleté neri.
«Naaaa, ho ancora male ai piedi dopo ieri sera!» esclamò guardandoli quasi con ribrezzo e afferrando, invece, con soddisfazione, il suo caro e comodo paio di anfibi. Dopotutto, lei e Mamoru sarebbero rimasti in casa.
Ripensò sorridendo all’invito di lui.
Nel tardo pomeriggio, il giovane medico era passato nella stanza della signora Watanabe per visionare le condizioni della sua paziente. L’aveva visitata con attenzione, mentre Usagi era lì a osservare. Poi aveva cominciato a scrivere qualcosa sul suo ricettario.
«È tutto a posto, Tsukino! Se la temperatura dovesse salire, somministrale queste medicine» le aveva detto senza neanche rivolgerle uno sguardo ed era andato via, consegnandole quel foglio piegato in due parti.
Usagi lo aveva aperto e con suo grande stupore, oltre al nome della medicina, aveva letto un messaggio per lei:
 
“Stasera pizza da me! Passo a prenderti alle 10.
PS. sei bellissima!”
 
In quel momento, era rimasta senza fiato e, ancora adesso, mentre asciugava i lunghi capelli, il cuore le batteva forte al pensiero di quell’invito così dolce e insolito.
“Che pazzo!” pensò divertita.
Non le aveva dato modo neanche di rispondere, il suo più che un invito era stato un ordine categorico. E se invece lei avesse rifiutato, facendosi trovare già con il pigiama e a letto?
«Non ne avresti avuto il coraggio, stupida Usagi!» disse, facendo una smorfia e tirando un enorme sospiro di rassegnazione verso la sua immagine riflessa nello specchio.
Da quella mattina nella sua testa c’era solo un grande caos.
Prima era stata felice, poi spaventata dalla sua stessa felicità, poi fredda e distaccata, poi arrabbiata, poi di nuovo felice e adesso rassegnata. Era proprio un gran casino!
Appena provava a ragionare sulla situazione, l’immagine di Mamoru, così bello e così sensuale, le si presentava davanti e, a quel punto, di che avrebbe potuto ragionare ancora?
 
Mamoru aveva appena finito di lavorare. Il tempo di fare una doccia e indossare gli abiti puliti, che teneva sempre nel suo armadietto per le emergenze, e corse via come un fulmine, tanta era la voglia di rivederla.
Pensò che forse avrebbe dovuto invitarla a cena e non a casa sua, magari così aveva dato l’impressione di avere solo un secondo fine, mentre in realtà il suo intento era di tenerla lontano da altre chiacchiere inutili.
E poi non le aveva dato neanche la possibilità di replicare. E se lei avesse deciso di dargli buca?
«Uffà!» sbuffò cercando di cacciare via tutti quei pensieri negativi, mentre si dirigeva all’uscita del reparto di chirurgia.
«Mamoru, vieni con noi al Crown? C’è anche Reika» gli chiese Motoki, vedendolo andar via.
«No, vi ringrazio, ragazzi! Sono stanco, vado a casa a dormire. Buona serata e salutami tua moglie!» rispose lui, senza neanche fermarsi un attimo con loro.
«A te sembra uno che sta andando a casa a dormire?» chiese Heles a Motoki, mentre entrambi perplessi lo guardavano andar via di fretta.
«Decisamente no! – rispose il ragazzo secco – La Tsukino è ancora qui?».
«È andata via un’oretta fa! » esclamò lei.
I due amici si scambiarono un sorriso d’intesa.
«È così sfuggente. Ci sta evitando, non si fida più di noi!» aggiunse poi Motoki con tono deluso, dopo qualche secondo di silenzio.
«Dai, non te la prendere – fece Heles sollevando le spalle – è comprensibile! Dagli prima il tempo di capire quello che ha nella testa».
«Tu l’hai già conosciuta. Che tipo è lei?» chiese ancora il ragazzo.
«È sveglia, intelligente, una ragazza dal carattere molto forte e deciso».
«Credi che possa aver puntato Mamoru solo per avere dei favori?».
«Che c’è, sei preoccupato per le sorti del tuo amico? – esclamò Heles ironica – Mamoru non è stupido, e poi lei non mi sembra quel tipo di ragazza. È in gamba nel suo lavoro e molto indipendente. E sinceramente, per quel po’ che ho potuto vedere, anche lei mi sembra cotta».
Motoki sembrò rassicurato dalle parole della sua amica.
«Speriamo bene, allora!» sospirò.
 
Alle dieci, il suono del citofono mandò Usagi in tilt. Lui era arrivato e la stava aspettando sotto casa.
«Sono pronta!» gli disse alzando la cornetta.
Alla svelta, indossò giacca, sciarpa e cappello, prese la borsa e, in preda a una grande agitazione, scese di corsa le scale, come un ragazzina alla prima cotta che corre dal fidanzatino pronta a saltargli addosso. Questa buffa immagine nella sua testa la indusse a bloccarsi di colpo e a cercare di darsi un contegno prima di aprire il portone. Attraversò con calma il vialetto fino al cancello, dove vide lui che l’attendeva appoggiato alla sua macchina, sorridente e bello come sempre. Gli sorrise timida.
«Ciao!» lo salutò dolcemente quando gli fu vicina.
Lui le accarezzò il viso e le posò un bacio casto sull’angolo della bocca.
«Ciao!» disse anche lui.
 Nel silenzio di quella fredda sera di inverno l’unico suono percepibile fu il battito accelerato dei loro cuori.

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Capitolo 11
*** Un Arrivo Inatteso ***


UN ARRIVO INATTESO 
 
 
«La colazione è pronta, dormigliona!» la svegliò dolcemente Mamoru, baciandole la spalla.
Quella mattina si era alzato presto, allegro come non mai.
«Uffa, ma che ore sono?» chiese lei, ancora mezza addormentata.
«Sono le sette e dobbiamo andare a lavorare».
«Le sette ?!? – gridò lei – Ma il mio turno inizia alle dieci! Lasciami dormire ancora un po’, ho tanto sonno».
Mamoru sorrise divertito. Usagi sembrava proprio una bambina in quel momento.
Una scintilla di desiderio si accese nei suoi occhi.
Decise che la colazione poteva aspettare.
Si infilò sotto le coperte e l’abbracciò, piano cominciò a baciarle prima le spalle, poi il collo e il viso, mentre con le mani le accarezzava le gambe e il ventre.
«Mamoru, smettila! Voglio dormire» sussurrò lei con un filo di voce.
«No» le rispose lui, mentre continuava a baciarla e con le mani risaliva famelico, fino al morbido seno di lei.
La sua eccitazione cresceva a mano a mano che Usagi cominciava a cedere.
La sentiva reagire ai suoi tocchi e il suo respiro diventava sempre più intenso.
«L’hai voluto tu, Chiba!» esclamò all’improvviso la ragazza, voltandosi di scatto verso di lui.
Lo spinse supino sul letto e si posizionò a cavalcioni su di lui.
«Ehi, calma, così mi fai paura!» la prese in giro ridendo, ancora più eccitato da questo suo modo brusco di prendere l’iniziativa.
«Adesso sono cavoli tuoi, dottore!» disse lei sensualissima, alzando le braccia per sfilarsi il top e chinandosi a baciarlo.
Lo sguardo di Mamoru si accese ancora di più, mentre un sorriso malizioso compariva sul suo bel viso.
«No, no. Adesso sono cavoli tuoi, dottoressa!».
E così dicendo la avvolse con le sue forti braccia per farla sua ancora una volta.
 
«Dimmi che sono l’unico, Usagi - le sussurrò lui, con il fiato corto, mentre godeva di lei che si muoveva avida e sensuale sopra di lui - Mi sento impazzire al solo pensiero che qualcun altro possa vederti così».
La ragazza, a tale richiesta, avvertì una morsa che le stringeva il cuore e lo stomaco.
Lo guardò negli occhi con intensità e, prendendogli il viso tra le mani, lo baciò.
«Ci sei solo tu, Mamoru».
E a quelle parole sussurrate così, come una promessa, insieme si abbandonarono al culmine del piacere.
 
Se ne stava sdraiata a pancia sotto, con gli occhi chiusi, beandosi delle delicate carezze di Mamoru sulla sua schiena nuda.
«Quante amanti hai portato in questo letto?» esclamò con un’espressione birichina.
Mamoru sorrise, stupito da quella domanda così improvvisa e spontanea.
«Ci crederesti se ti dicessi che sei la prima che entra in casa mia? - le disse lui di rimando, con naturalezza, mentre Usagi sgranava gli occhi per la sorpresa. Poi continuò - Ti ho già detto che, fino all’altra sera, ho sempre voluto dormire da solo. Quindi, poiché non è carino mandar via una donna nel cuore della notte, ho sempre preferito che fossi io ad andarmene».
La ragazza ascoltava con attenzione.
«Un’altra prima volta?» gli chiese diffidente, piegando la testa di lato.
«Un’altra prima volta!» rispose lui deciso con un sorriso che a Usagi sembrò sincero.
Il suono insistente del campanello di casa li interruppe bruscamente.
«E adesso chi è?» chiese Usagi preoccupata, mettendosi a sedere al centro del letto.
«Non lo so - rispose lui, indossando alla svelta i pantaloni e la camicia, che lasciò aperta. - Resta qui, vado a vedere».
Quel modo fastidioso di bussare Mamoru l’avrebbe riconosciuto tra mille, ma, poiché non aveva avuto nessun preavviso, sperò di sbagliarsi.
 
«Amore mio!»
La donna, ancora molto bella nonostante l’età, l’aveva salutato saltandogli al collo e riempiendolo di baci.
«Ciao mamma - aveva risposto lui, cercando di liberarsi dalla sua stretta – Che ci fai qui? Non ti aspettavo».
«So che avrei dovuto avvisarti, ma ho preferito farti una sorpresa» disse lei, trascinando dentro casa la sua pesante valigia, che Mamoru guardò con disappunto, non promettendo nulla di buono. Quanto tempo aveva intenzione di fermarsi?
«Ci sei riuscita!» esclamò con un sorriso nervoso.
Voleva bene a sua madre, senza dubbio, ma vedersela piombare in casa all’improvviso, senza un’adeguata preparazione psicologica, non era certo il massimo.
«Il mio Mamo-chan! Fatti vedere! Ti fai sempre più bello!» esclamò ancora la donna, osservando suo figlio con quello sguardo d’amore che solo una mamma può avere.
Mamoru era infastidito e il pensiero di Usagi bloccata nella sua stanza lo rendeva ancora più nervoso.
«Mamma, – le disse conducendola nell’angolo cucina che costituiva un unico ambiente con il salotto – perché non prepari un bel caffè, mentre io finisco di prepararmi? Sai tra un po’ devo andare in ospedale».
E così dicendo, senza lasciarle neanche il tempo di rispondere, la abbandonò per raggiungere Usagi.
La ragazza, chiusa nella stanza di Mamoru, aveva sentito tutto e ora era in preda alla più totale agitazione.
«La cosa migliore da fare è che tu ti vesta e venga di là a conoscerla» le disse Mamoru cercando di farla ragionare.
«Conoscere tua madre?!? - esclamò lei quasi sconvolta – Neanche per sogno, mi vergogno! Cosa penserebbe di una donna che esce improvvisamente dalla camera da letto del suo Mamo-chan?» disse poi sottolineando con sarcasmo il vezzeggiativo usato poco prima da mamma Chiba.
«E che vuoi fare? Restartene nascosta in camera mia per giorni oppure calarti con una fune dal settimo piano? Guarda che ha una mentalità molto aperta e le farà sicuramente piacere conoscerti».
Sospirò nervosa, mentre andando su e giù per la stanza, pensava a cosa fare.
Mai come in quel momento Usagi desiderò possedere uno di quei favolosi poteri magici, come l’invisibilità o il teletrasporto. A malincuore fu costretta ad ammettere che Mamoru aveva ragione, non c’era altra scelta che uscire da quella stanza e presentarsi a sua madre.
«Questa me la paghi, Chiba!» disse lei, sbuffando al pensiero di ciò che stava per affrontare.
Mamoru sorrise divertito dall’espressione ridicola di Usagi.
«Vestiti ed esci! Stai tranquilla, ci sono io».
E dopo averle posato un bacio sulle labbra, la lasciò sola con il suo nervosismo.
 
«Mamma – disse lui non appena vide la ragazza uscire tentennante dalla sua stanza – Lei è Usagi».
La donna si voltò verso di lei, che se ne stava immobile e rossa come un peperone, vicino alla porta della camera da letto.
«Buongiorno, signora Chiba» fu l’unica frase che riuscì a pronunciare.
«Chiamami Kaori, cara» disse la madre di Mamoru andandole incontro sorridente e abbracciandola, come se la conoscesse da sempre.
Usagi, tra le braccia calorose della donna, guardò Mamoru quasi con odio, come se fosse lui l’artefice di tutto. Il ragazzo, intanto, non riusciva a trattenersi dal ridere per la comicità della scena.
«Vieni a sederti cara, c’è il caffè. E ho anche portato una bella crostata. Non sai che piacere è per me conoscere la fidanzata di mio figlio! Devo dire che sei molto bella, Mamoru ha davvero degli ottimi gusti».
«Ehm, ma io … ».
Usagi cercava di dire qualcosa, ma Kaori parlava a raffica e non le dava la minima possibilità di esprimersi.
«Solo un caffè, Usagi!» la prese in giro il giovane medico, rincarando la dose.
Sua madre era tremenda e Usagi era sul punto di morire per l’imbarazzo.
«Ti ho già detto che me la paghi?» sussurrò Usagi minacciosa, a denti stretti, passando accanto a Mamoru, mentre Kaori la trascinava per un braccio verso il tavolo della cucina e continuava a parlare.
«C’è anche la crostata di marmellata che ti piace tanto» fu la risposta ironica di Mamoru a quell’ennesima ridicola minaccia della ragazza. Poi le rivolse uno di quei bellissimi e innocenti sorrisi, ai quali proprio non sapeva resistere.
Rassegnata, Usagi prese posto accanto a lui per la colazione più rapida che ricordasse dai tempi del liceo.
«Ora devo scappare, si è fatto tardi!» esclamò dopo un paio di minuti pronta a fuggire via il più lontano possibile.
«Di già?» chiese Kaori un po’delusa.
«Mamma, anche Usagi è un medico, il suo turno inizia tra un po’ – disse alla fine Mamoru, quasi impietosito, per salvarla dalle grinfie di sua madre, che di lì a poco avrebbe iniziato l’interrogatorio. Poi rivolto a lei – Non vuoi che ti riaccompagni a casa a prendere la tua macchina?».
«No, ti ringrazio. Vado a piedi. Al ritorno mi farò dare un passaggio da Naru » rispose la ragazza che fremeva per andar via.
«Ok, ti accompagno alla porta».
Usagi salutò educatamente la signora Chiba e seguì Mamoru sull’uscio di casa.
«Scusa! Non immaginavo che piombasse così all’improvviso in casa mia – le disse lui chinandosi per baciarla – Ci vediamo dopo».
«Non ti scusare, - rispose Usagi con un sorriso ironico e decisamente più rilassato, bloccando il suo bacio con la mano - Tanto me la paghi lo stesso».
E così dicendo, andò via, lasciando Mamoru stupito e, al tempo stesso, curioso di sapere che tipo di punizione lei aveva in mente di infliggergli.
 
«Mi piace! – esclamò Kaori Chiba decisa, non appena suo figlio ebbe richiuso la porta – Credi che sia quella giusta?».
Il volto di Mamoru si fece serio.
“Sì, lo è, l’ho riconosciuta tra mille! Mi ha fatto letteralmente perdere la testa … ma ho paura che per lei non sia lo stesso!” pensò con un velo di malinconia.
«Non lo so! Mi piace … vedremo!» rispose, invece, vago, a sua madre, con la quale non era abituato a parlare di certe cose e non aveva certo intenzione di iniziare in quel momento.
Kaori lo guardò con un leggero sorriso sulle labbra, avendo capito perfettamente che aveva mentito. Da mamma, le era bastato poco più di mezz’ora per capire che c’era qualcosa di diverso in lui e, forse, proprio per merito di quella ragazza.
 
Mamoru era riuscito a sottrarsi alle attenzioni morbose di sue madre e ad arrivare puntuale al lavoro. Con la scusa di un improvviso turno di notte, era riuscito a evitare, almeno per quella sera, la consueta cena con lei al ristorante italiano più rinomato della Capitale, in cambio, però, di un molto più rapido e indolore pranzo alla mensa dell’ospedale. Lo scambio era più che vantaggioso. Nella mezz’ora della sua pausa pranzo, Mamoru sarebbe riuscito a gestire molto più facilmente la curiosità e l’esuberanza di sua madre e a evitare i soliti discorsi, tipo suo padre e il Natale in famiglia, e soprattutto l’argomento del giorno: Usagi.
E, a proposito di Usagi, doveva assolutamente trovarla per testare il suo umore. Aveva già idea di dove cercarla. Rapido, si diresse verso la stanza 104.
  •  
«Signora Watanabe! Come si sente questa mattina? Le fanno male i punti?» esclamò entrando nella stanza, gettando un’occhiata fugace a Usagi e sfoderando il suo sorriso affascinante verso entrambe le donne.
“Che buffone!” pensò Usagi divertita, mordendosi il labbro per non ridere.
Mamoru si avvicinò alla sua paziente e la visitò con cura, senza tralasciare niente. Era prima di tutto un medico scrupoloso e attento verso i suoi pazienti e non poteva certo dimenticarsene a causa dei suoi problemucci sentimentali.
«Ci ha fatto preoccupare molto ieri mattina – disse quando ebbe finito - Ma adesso i parametri sono nella norma e direi che il peggio è passato».
«Grazie a lei, dottore! E alle amorevoli attenzioni della dottoressa Tsukino» rispose la signora Watanabe, guardando con immensa gratitudine entrambi i medici.
Mamoru sorrise e guardò compiaciuto Usagi, che nel frattempo era arrossita. Un altro aspetto di lei che adorava.
«La dottoressa Tsukino è molto brava – disse rivolto alla sua paziente – con lei è in ottime mani. Darò disposizioni affinché sia l’unica ad assisterla fino alla sua guarigione».
Poi si rivolse ad Usagi.
«Hai due minuti? Ti dovrei parlare».
La ragazza lo seguì fuori dalla stanza nel corridoio.
«Da uno a dieci quanto sei arrabbiata?» le chiese a bassa voce con sguardo tenero.
Usagi abbozzò una specie di sorriso. Anche se l’arrabbiatura le era passata da un pezzo ed era consapevole che Mamoru non c’entrasse nulla, voleva giocare a mantenere il punto. Era troppo divertente vederlo così!
«Nove! - rispose lei – È stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita!».
«Dai, per farmi perdonare stasera ti porto a cena fuori» disse lui, quasi supplichevole.
«Il mio perdono non si compra con una cena, caro il mio dottor Chiba!» esclamò Usagi incrociando le braccia sul petto e guardandolo con un’espressione sfrontata.
«Ma io non voglio comprare il tuo perdono con una cena, per quello posso usare il dopocena!» le rispose lui malizioso facendole l’occhiolino.
Usagi scosse la testa sorridendo.
«Sei un buffone, Mamoru! – poi, facendosi più seria continuò - Comunque non sono arrabbiata, stavo scherzando. Il motivo per cui non voglio venire a cena con te è che non mi sentirei a mio agio alla portata di occhi indiscreti. Come non mi sento a mio agio adesso a continuare a ridere e scherzare con te, proprio nel bel mezzo di un corridoio dell’ospedale».
A quelle parole Mamoru aggrottò lo sguardo.
«Posso provare a capirti, Usagi, ma non credo ci sia molta differenza tra una cena in un ristorante e una birra al Crown».
«Mi dispiace, ma oggi ho deciso così! Cerca piuttosto di passare un po’di tempo con tua madre. È venuta qui solo per te e non è carino che tu l’abbandoni così».
Poi, senza aggiungere altro, se non una specie di sorriso spiacente, girò le spalle per tornare dentro dalla sua paziente, lasciandolo lì da solo e senza parole.
Davvero quella era la stessa Usagi con cui aveva dormito due notti di fila?
La sua lunaticità lo aveva lasciato di stucco. E poi nessuna donna aveva mai detto di no ad un suo invito supplichevole a cena, anzi, ripensandoci, quando mai aveva supplicato una donna? Era sempre stato il contrario ed era sempre stato lui a dire di no.
Sorrise sprezzante e scosse la testa incredulo. Usagi aveva davvero sconvolto la sua vita e i suoi equilibri in così poco tempo!
 
Era quasi ora di pranzo e Mamoru, trovandosi stranamente libero da impegni, aveva deciso di anticiparsi e andare alla mensa, onde evitare di ritrovarsi sua madre in reparto prima del previsto. Uscendo incrociò Motoki e Heles.
«Pranziamo insieme Chiba?» gli chiese Heles.
«Se non vi disturba la compagnia di una signora chiacchierona e invadente … » rispose lui scocciato.
«Tua madre è in città?» chiese Motoki con sarcasmo, capendo al volo.
«Già! Penso che sia venuta qui con il solito intento di convincermi a tornare a casa per trascorrere il Natale» disse Mamoru, quasi nauseato dal ricordo delle feste in compagnia della famiglia Chiba.
«Allora goditi il tuo pranzo, Mamoru!» esclamò Heles, che conosceva bene la signora Chiba e la sua esuberanza.
«Mi conviene andare, prima che … ».
Troppo tardi!
«Motoki, Heles! Come state?» la voce di Kaori giunse alle spalle di Mamoru.
«Che piacere vederla, signora Chiba!» la salutò Heles.
«Lei come sta?» chiese, invece, Motoki.
Mamoru sospirò e guardò i suoi amici sorridendo rassegnato.
«Come volete che stia? – rispose la donna - Dopo un viaggio così lungo per vedere mio figlio, sono costretta ad accontentarmi della sua pausa pranzo per stare con lui. Ma del resto ci sono abituata, anche con mio marito è sempre stato così».
Mamoru sbuffò. Eccola che cominciava a parlare di lui!
«Però, devo dire che stavolta Mamoru mi ha fatto trovare proprio una bella sorpresa a casa sua – continuò Kaori con un sorriso entusiasta, tra gli sguardi interrogativi dei tre ragazzi – Mi ha presentato Usagi, la sua fidanzata. Voi l’avete già conosciuta?».
Quest’ultima frase generò lo sconcerto totale.
Motoki e Heles si voltarono a guardare Mamoru con un sorriso beffardo, mentre il ragazzo, in difficoltà, si portò la mano sul viso e scosse la testa rassegnato. Era in momenti simili che si chiedeva se sua madre conoscesse il significato delle parole discrezione e riservatezza.
«Andiamo, mamma! - disse con un sospiro, prendendola sottobraccio per trascinarla via. Poi rivolto ai suoi amici, che continuavano a guardarlo divertiti, aggiunse - Sì, ok! Vi prometto che ne parleremo quanto prima».
E detto questo si allontanò con Kaori.
«Mamoru che dorme con una donna!» esclamò Motoki disorientato da quella scoperta.
«A casa sua!» aggiunse Heles ancora più perplessa.
«E la presenta a sua madre come la propria fidanzata!».
«Mi sa che abbiamo proprio un bel po’ di cose di cui parlare!».
Heles e Motoki erano a dir poco sbalorditi. Sicuramente si erano accorti del particolare interesse che il loro migliore amico nutriva nei confronti di Usagi, ma non immaginavano neanche lontanamente che si fosse spinto fino a quel punto e, soprattutto, così repentinamente. Lui, Mamoru Chiba, l’uomo di ghiaccio, cinico e distaccato, play-boy incallito, concentrato solo sul lavoro e sulla carriera, si era fatto mettere KO da una ragazzina in pochi giorni.
 
Usagi era stata impegnatissima tutto il giorno. Era stata chiamata ad assistere il dottor Furuhata (per lei l’ennesimo improvviso e incomprensibile cambiamento di programma!) e nei minuti liberi passava a controllare le condizioni della signora Watanabe. Però, lavorare tanto le faceva decisamente bene, l’aiutava a rilassarsi e a non pensare sempre alle stesse cose: Mamoru e il sesso favoloso con lui, l’infinità di sentimenti contrastanti che affollava la sua mente in quei giorni, l’arrivo della signora Chiba con relative conseguenze.
Era tardo pomeriggio. Stanchissima, se ne stava appoggiata al bancone a correggere la cartella clinica di un paziente, nella quale aveva trovato alcune imprecisioni, e la confrontava con i risultati delle analisi più recenti.
Mamoru la trovò lì, completamente assorta nel suo lavoro.
Non la vedeva dalla mattina e si fermò a osservarla. Con i suoi capelli biondi raccolti in una morbida treccia, i dolci occhi azzurri e la delicatezza dei suoi lineamenti avrebbe potuto indurre chiunque a pensare che fosse una creatura fragile e indifesa, ma lui aveva già imparato che Usagi era in realtà una donna forte e agguerrita.
Ed era bella, pericolosamente bella!
Sapeva benissimo che quel camice, che la faceva sembrare esile e magra, nascondeva un corpo sinuoso, curve morbide e calde che avrebbero fatto impazzire chiunque, lui per primo ne era vittima. Al solo pensiero di quel corpo, un istinto primordiale si impadronì di lui. Fantasticò di afferrarla con la forza e portarla nel suo ufficio, di possederla lì, magari sulla sua scrivania, solo per il piacere di sentirla gemere sotto di lui.
Il ragazzo cercò di mandar via quei pensieri poco casti e fuori luogo su di lei e rise di se stesso per come quella donna lo stesse facendo uscire di senno. Sì, forse stava impazzendo, ma era comunque felice, perché grazie a lei aveva scoperto sensazioni che non pensava potessero esistere, almeno non per lui. Tuttavia, quel suo essere così sfuggente e sempre pronta a volare via, all’improvviso, come se niente fosse, lo destabilizzava e gli faceva dono di un perenne velo di malinconia. Con quel suo atteggiamento, Usagi era capace di essere come la calda estate in un rigido dicembre, ma anche l’inverno più gelido in fondo al cuore di Mamoru.
Forse sentendosi osservata, Usagi alzò gli occhi dalle sue scartoffie e si voltò. Trovò Mamoru in piedi dietro di lei, fermo a pochi metri di distanza. I loro sguardi si incrociarono, si scambiarono un breve ma tenero sorriso complice.
Il giovane medico stava quasi per avvicinarsi a lei, per rinnovarle l’invito e poter così passare la serata insieme, e non a causa di quell’impulso che poco prima si era impadronito di lui. Desiderava semplicemente stare con lei perché sentiva già di non poterne più fare a meno. Ma, ricordandosi di come lei lo avesse respinto quella mattina, la ragione lo convinse che forse stava correndo troppo, mentre lei era rimasta ancora parecchio indietro.
Andò via senza una parola, mentre la ragazza lo seguiva con sguardo pensieroso.

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Capitolo 12
*** Gelato al Cioccolato ***


GELATO AL CIOCCOLATO 
 
 
Usagi rientrò in casa nervosissima. Sbattè la porta e lanciò borsa e giacca verso il divano, mancandolo clamorosamente.
«Al diavolo!» gridò isterica.
Pensò che in quel momento solo una cosa potesse aiutarla a distendersi.
Andò direttamente in camera sua, si spogliò e indossò calzamaglia e body nero, poi attorcigliò i capelli sulla nuca in un comodo chignon.
Col dito scorse veloce i titoli dei suoi cd. Scelse Chopin.
Emise un profondo sospiro, nel vano tentativo di cacciare via tutti i pensieri negativi, e cominciò.
Ma la sua mente sembrava non trovar pace, continuava a tornare a un’ora prima e all’amarezza che aveva provato in quel momento.
 
Aveva appena finito di lavorare e, dopo essersi cambiata velocemente, pensò di dover cercare Mamoru per chiedergli scusa.
Per tutto il tempo, aveva pensato a quello strano incontro avuto con lui poco prima e all’espressione malinconica dei suoi occhi blu. Si convinse che, forse, quella mattina era stata troppo aspra con lui, che, invece, si dimostrava sempre così dolce e premuroso.
Si stupì della sua stessa volubilità, perché prima l’aveva respinto, e adesso aveva solo voglia di vederlo, di baciarlo e accarezzarlo, di sentire ancora la sua dolce voce e non quella del severo dottor Chiba. Non le interessava una cena in qualche lussuoso ristorante, le sarebbe bastato semplicemente passare un po’ di tempo con lui, a godere dei suoi splendidi sorrisi.
Pensava a Mamoru e alla forti emozioni che le aveva regalato in quei giorni e il cuore le batteva forte, mentre lo stomaco era stretto da una morsa.
Svoltò veloce l’angolo del corridoio che portava al suo ufficio, ma qualcosa la indusse prima a rallentare la corsa e poi a bloccarsi all’improvviso.
Mamoru era fuori al suo ufficio, nel corridoio, in compagnia di una donna, con la quale sembrava molto in confidenza.
Avendo cura di non farsi notare, nascosta dietro un grosso armadietto, aguzzò la vista per cercare di capire la situazione.
Tutto d’un colpo, sentì il sangue fluirle al cervello.
L’aveva riconosciuta: era la donna con cui Mamoru era a cena quella famosa sera.
E, stando al camice che indossava, doveva essere anche lei un medico.
Perché diavolo non glielo aveva detto?
Mamoru l’aveva definita una semplice “frequentazione occasionale” e non aveva aggiunto altro. Ma quanto occasionale poteva essere frequentare una donna che vedeva tutti i giorni? Perché le aveva mentito?
Proprio quella mattina, mentre facevano l’amore, Mamoru le aveva fatto giurare di essere l’unico per lei, ma lo stesso non sembrava valesse per lui.
Con la mente e il cuore in subbuglio, cercando a fatica di non giungere a conclusioni affrettate, girò le spalle e corse via, senza che lui si fosse accorto minimamente della sua presenza.
«Mi daresti un passaggio a casa?» chiese a Naru, non appena la incrociò.
«Certamente! Pensavo fossi già andata via. - le rispose la ragazza - Io, Umino e Hotaru volevamo passare prima al Crown a bere qualcosa, ti dispiace? Seiya ci raggiungerà prima di iniziare il turno di notte».
«No, al contrario! È da tempo che non stiamo un po’ tutti insieme» aggiunse Usagi sforzandosi di sorridere e apparire tranquilla. Del resto, pensò che forse era meglio far sbollire un po’ la rabbia in compagnia dei suoi amici, prima di tornare a casa.
E infatti, passare del tempo con loro si rivelò decisamente un’ottima idea. L’aveva aiutata a calmarsi e a ragionare, senza farsi prendere da stupide gelosie. Dopotutto, Mamoru e quella donna non stavano facendo niente di male e, se lui non le aveva raccontato tutto, era solo perché tra loro due, finora, non c’era ancora stata l’occasione per approfondire il discorso “ex-amanti”.
Come non detto!
Improvvisamente, l’attenzione di Usagi e dei suoi colleghi fu catturata dal quartetto che faceva il suo ingresso al Crown: Motoki e Heles avanti, seguiti da Mamoru e, ancora una volta, quella donna. Usagi si sentì gelare il sangue e, a questo punto, non ci fu più alcun dubbio per lei: era chiaro che Mamoru si fosse subito consolato del suo rifiuto, correndo tra le braccia di un’altra. E chissà quante altre volte era capitato!
E pensare che fino a pochi minuti prima aveva anche provato a giustificarlo. Che stupida!
Fissò i suoi occhi infuocati nelle iridi blu del giovane chirurgo, che stavolta si era accorto subito della sua presenza, ma non dava l’impressione di aver compreso quello sguardo carico di astio rivolto proprio nella sua direzione.
L’espressione rammaricata di Seiya, poi, che sembrava volesse dirle “Te l’avevo detto!”, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Usagi si alzò di scatto.
«Naru, non vorrei crearti fastidi. Sono molto stanca e se tu vuoi rimanere, io prendo un taxi».
«Non ti preoccupare, si è fatto tardi e anche io vorrei tornare a casa» le rispose la sua amica.
«Ok – disse Usagi – ti aspetto fuori, allora».
E così dicendo salutò tutti e si avviò rapida verso l’uscita.
«Ma cosa le è preso?» domandò Hotaru stupita dal comportamento della sua collega. Umino fece spallucce, Seiya, che ormai sapeva tutto, pensieroso, abbassò lo sguardo avvilito sulla sua coca.
Nel momento in cui stava per varcare l’uscita, Usagi si sentì afferrare con forza il polso.
Mamoru, incurante degli sguardi curiosi e stupiti degli amici di entrambi, l’aveva bloccata e costretta a voltarsi.
«Che ti prende?» le chiese con l’aria sbigottita di chi cadesse dalle nuvole.
Un’espressione di disprezzo si dipinse sul viso della ragazza.
«Lasciami stare!» gli disse con decisione, sciogliendosi dalla sua presa e riprendendo la fuga.
 
Ancora adesso, lontana da lui e da tutto, dovette sforzarsi per trattenere le lacrime, mentre continuava a danzare e un nodo le stringeva la gola.
  •  
Come aveva potuto essere così stupida da cedere di nuovo alle lusinghe dell’amore e, soprattutto, così ingenua da pensare che un uomo libertino e inaffidabile come Mamoru Chiba potesse essere sincero?
 
Usagi continuava a danzare, lasciando che fosse solo la musica a guidare i suoi movimenti, che sembravano venir fuori come riflessi naturali del corpo, senza il comando della mente e del cuore, che in quel momento erano altrove.
Usagi rifletteva.
Per un istante, provò a mettere da parte la rabbia e a ragionare, facendosi un esame di coscienza. Davvero era tutta colpa di Mamoru? No, certo che non lo era!
Ebbe il coraggio di riconoscere che, in fondo, era stata anche lei a cercarsela, con il suo atteggiamento acido e sfuggente, sempre sulla difensiva e sempre pronta a scappare. Non si era mai esposta, mentre Mamoru era stato l’unico a fare sempre il primo passo. Si rese conto che, così facendo, rischiava di perderlo. Ma cosa poteva farci lei se il suo cuore era pronto ad amare e apparteneva già a quell’uomo, mentre la sua mente ancora riusciva a tenerla incatenata alle sue restrizioni?
Il campanello suonò improvvisamente. Usagi sbraitò al pensiero che potesse essere la sua vicina rompiscatole, che, da quando aveva saputo di avere un medico nell’appartamento accanto, aveva contratto tutte le malattie possibili e immaginabili. In quel momento non aveva proprio voglia di vedere nessuno. Avrebbe potuto fingere di non essere in casa, ma il valzer di Chopin l’aveva già tradita da un pezzo.
Il suono del campanello si fece più insistente.
«Arrivo!» urlò seccata da tanta invadenza.
Ma aprendo la porta, con suo grande stupore, anziché la vicina ipocondriaca, si ritrovò davanti proprio la causa di tutti i suoi mali. D’istinto cercò di richiudere la porta, ma il ragazzo fu più veloce a impedirglielo, frapponendo un piede.
«Che cosa vuoi?» gli urlò con disprezzo.
Mamoru non si fece intimorire dal suo tono di voce e la guardò provando ad accennare un lieve sorriso.
«Ti ho portato del gelato al cioccolato per farmi perdonare».
Usagi aggrottò la fronte sorpresa e storse la bocca in una piccola smorfia.
Gelato? E che ne sapeva Mamoru del gelato al cioccolato?
«Mi fai entrare?» le chiese poi lui timidamente, quasi come se temesse di essere sbranato da un momento all’altro.
Usagi non rispose, ma, sentendosi sconfitta dal principio, sbuffò nervosamente e si fece di lato per farlo passare, mentre lui sorrideva divertito per come era stato facile corromperla.
 
Mamoru era rimasto basito, mentre Usagi gli voltava le spalle e andava via come una furia.
Ma che aveva?
Ci aveva riflettuto su solo qualche secondo. E poi, certo, come aveva fatto a non capirlo prima? Usagi era gelosa!
Aveva riconosciuto Setsuna e, non sapendo che tipo di rapporto ci fosse ora tra loro, aveva dato di matto. Usagi era sempre sfuggente, è vero, ma in quel momento Mamoru aveva scoperto che era anche esageratamente gelosa. E questa constatazione entusiasmò non poco il suo ego, che fino a quel momento era stato solo mortificato e represso.
«Era furiosa! Io le porterei del gelato al cioccolato per corromperla e costringerla ad ascoltarmi. Sa, a volte Usagi è proprio come una bambina».
Una voce aveva parlato alle sue spalle.
Si era voltato e Naru Osaka gli aveva sorriso, con l’espressione maliziosa di chi era a conoscenza di tutto, prima di seguire fuori dal locale la sua amica.
Senza domandarsi più di tanto come e perché la dottoressa Osaka sapesse, decise subito di dare ascolto al suo consiglio. Da lontano, Mamoru si accorse dello sguardo accigliato e carico di sfida, che gli rivolgeva Seiya Kou.
“Scordati che ti lasci la via libera!” pensò, mentre ricambiava quello sguardo con la stessa veemenza. Ma Seiya, adesso, era la sua ultima preoccupazione.
Salutò Heles e Motoki quasi mortificato, con la promessa di raccontare tutto il giorno dopo, abbracciò Setsuna augurandole buona fortuna per la sua prossima esperienza in Africa e andò via.
Aveva due missioni da compiere: la prima, trovare del gelato a dicembre e la seconda, decisamente più impegnativa, affrontare quella furia di Usagi.
 
«La donna che era con me si chiama Setsuna. Immagino che ti ricordi di lei. La sera che ci hai visto è stata la nostra seconda e ultima uscita insieme. Non avevamo niente in comune e poi … e poi avevo già perso la testa per un paio di meravigliosi occhi azzurri!».
Mamoru pronunciò queste parole serio, fissando le sue iridi blu negli occhi freddi di Usagi, la quale si limitava a guardarlo in silenzio.
«Stasera è venuta a salutarmi – aggiunse - Oggi è stato il suo ultimo giorno in servizio, poi partirà per un periodo di volontariato in Africa. Sai, è una pediatra. Così mi è sembrato educato invitarla a bere qualcosa con me, Motoki e Heles».
Mamoru continuava a fissarla, aspettando una risposta. Ma lei non sembrava intenzionata a pronunciare un’unica parola. Continuava a guardarlo, immobile, con le braccia conserte, mordendosi il labbro e con un’espressione di evidente scetticismo sul viso.
«Dannazione, Usagi – imprecò lui dopo qualche secondo – rispondimi, di’ qualcosa! E smettila di guardarmi come se avessi ucciso qualcuno!».
«Se hai finito con le tue storielle, a cui speri che io creda, puoi anche andartene!».
Usagi si era finalmente decisa a parlare, ma la sua risposta non era proprio quella che Mamoru si aspettava, e ne rimase piuttosto sconcertato. Lei credeva che stesse mentendo, ma per quale motivo avrebbe dovuto farlo?
«Beh, Usagi, guarda che io non ho bisogno di mollare, all’improvviso, i miei amici e girare tutta la città per trovare del gelato a dicembre, solo per venire qui a raccontarti delle bugie. Nella mia vita non ho mai dato spiegazioni a nessuno e, se l’ho fatto con te, dopo che sei stata fredda e sfuggente tutta la giornata, vuol dire che un motivo c’è e non è certo quello di portarti a letto. E credimi, per quello avrei solo l’imbarazzo della scelta, senza perder tempo a rincorrere te».
La risata isterica di Usagi interruppe lo sfogo di Mamoru.
«Sei proprio un arrogante pallone gonfiato!» lo aggredì.
«Esattamente! Un arrogante pallone gonfiato! – Mamoru sottolineò quella definizione – Lo ero, fino a quando non sei arrivata tu a smontare tutte le mie convinzioni e tutte le mie sicurezze. Guardami, sono diventato lo spauracchio di me stesso, ma per la prima volta posso dire di essere felice e, soprattutto, di essere sincero!».
Usagi aveva smesso di ridere. Adesso i suoi occhi azzurri erano seri, mentre osservava Mamoru, che sembrava davvero parlarle con il cuore in mano.
«Io sono sincero con me stesso, Usagi, e lo sono anche con te. Tu, invece, no! Quando non siamo soli, sei una persona completamente diversa e, se non conoscessi l’altra tua metà, quella dolce e passionale, penserei che tu ti stia solo prendendo gioco di me … ma, in realtà, è te stessa che prendi in giro!».
A quelle parole il cuore di Usagi perse un battito. Era incredibile, ma Mamoru, pur conoscendola poco, aveva detto di lei le stesse cose di Rei. “Prendi in giro solo te stessa!”.
A quel punto, colpita e affondata, fu costretta a rispondere.
«Io non prendo in giro me stessa, sto solo cercando di difendermi. Perché non lo capisci?» gridò, mentre le lacrime spingevano prepotenti per venire fuori.
«No, io l’ho capito fin troppo bene – esclamò Mamoru, intenerito da quegli occhi azzurri che tanto amava e che ora erano lucidi per le lacrime – sei tu che non capisci che non hai nulla di cui aver paura».
Il viso di Mamoru si incupì. Si passò la mano tra i capelli e sospirò nervosamente, guardando Usagi, che se ne stava in silenzio, con il viso chino e un’espressione indecifrabile, mentre fissava il vuoto.
Pensò che la situazione in cui si trovava era davvero paradossale: lui che, disperatamente, cercava di convincere l’unica donna che non sembrava pendere dalle sue labbra, una ragazzina che si era impossessata prepotentemente del suo cuore e dei suoi pensieri e che l’aveva trasformato in uomo ridicolo.
Quante donne avrebbero voluto occupare il posto di Usagi!
Ma lui non aveva mai permesso a nessuna di prendersi anche solo un pezzetto dei suoi pensieri. Forse questo era il karma che si stava compiendo, era semplicemente il risultato delle sue azioni passate.
Pensò che, ormai, aveva scoperto con lei quasi tutte le sue carte e tanto valeva scoprire anche l’ultima, così almeno non avrebbe avuto rimpianti, tornando alla sua vecchia vita.
«Non ci sei proprio, eh? – le disse interrompendo quel fastidioso silenzio – Non hai ancora capito che mi sono innamorato di te?».
Usagi alzò il viso di scatto, sentendogli pronunciare quella frase.
Il suo sguardo era incredulo, attonito.
Mamoru comprese perfettamente.
«Sì, Usagi, hai sentito bene! Sto dicendo che ti amo! Ti amo dal primo momento in cui ti ho vista. E se questo non dovesse bastarti per farti capire quanto siano serie le mie intenzioni con te e che non voglio assolutamente farti soffrire, allora pazienza! Me ne tornerò a essere il solito freddo e cinico dottor Chiba … ma, almeno, potrò dire di aver provato ad aprire il mio cuore e a essere una persona diversa».
Quelle parole arrivarono come un fulmine al cuore di Usagi. Erano quanto di più bello avesse mai udito.
Le farfalle nella sua pancia, che sembravano addormentate, ripresero a volare vorticosamente, come impazzite. Le lacrime, che aveva trattenuto fino a quel momento, cominciarono a scendere copiose e a bagnare il suo viso.
Mamoru l’amava, l’amava, l’amava!
Con uno slancio si gettò tra le sue braccia, stringendolo con quanta più forza il suo esile corpo potesse sprigionare.
Voleva rispondergli che anche lei lo amava, da sempre, più di quanto avesse mai amato in vita sua, ma i singhiozzi le bloccavano le parole sul nascere o, forse, era solo l’estremo disperato tentativo di convincersi che, tacendo, si potesse sempre tornare indietro.
Ma tutto quello che la sua voce non riusciva a esprimere Usagi lo riversò nel suo corpo e nella passione di quell’abbraccio.
E Mamoru lo capì, non ebbe bisogno di parole. Capì che il suo amore era ricambiato, che anche Usagi lo amava, anche se aveva difficoltà a esprimerlo. Ma lui l’avrebbe aspettata per tutto il tempo necessario e non sarebbe più tornato a essere il freddo e cinico dottor Chiba, perché ormai, grazie a lei, quell’uomo non esisteva più.
Le prese il viso tra le mani, asciugandole delicatamente con i pollici le lacrime che rigavano quelle morbide guance. Le sorrise dolcemente, guardandola come se fosse la cosa più bella e preziosa che avesse mai visto.
Usagi posò le sue mani su quelle di lui, accarezzandogliele con dolcezza, mentre si beava di tutto il calore che emanava da quell’incontro di sguardi, che valevano più di mille parole.
 
La quiete era tornata, vestita di silenzi, sguardi complici e sorrisi maliziosi.
I due ragazzi se ne stavano tranquillamente seduti sul tappeto del salotto, davanti al divano, a mangiare quel gelato che ormai era per metà liquido e, a parte il sapore, aveva ben poco di un cremoso gelato al cioccolato.
Ma loro non sembravano neanche farci caso, presi com’erano l’una dall’altro e ancora stravolti dalle emozioni di poco prima.
«Tua madre?» chiese a un certo punto Usagi, curiosa di avere notizie della signora Chiba.
«Le sei piaciuta tantissimo!» rispose Mamoru sorridendo.
La ragazza arrossì imbarazzata.
«In realtà volevo sapere dove l’hai lasciata».
«È a cena con una sua vecchia amica che incontra ogni volta che viene da me. – rispose il ragazzo – Ma perché ti interessa tanto?».
«Così! – esclamò Usagi sollevando le spalle – Mi stupisce il fatto che tu sia così antipatico con lei. Eppure ti vuole bene!».
«Anche io le voglio bene, ma a volte, anzi spesso, è fastidiosa, oltre che invadente. E poi, per lei ogni scusa è buona per introdurre il solito discorso di mio padre. Quale credi che sia il motivo per cui è arrivata in città, se non quello di convincermi a passare il Natale con loro?».
Usagi osservò il volto buio di Mamoru. Poi formulò la domanda, che per discrezione non gli aveva ancora mai posto.
«Perché hai litigato con tuo padre?».
La risposta del ragazzo non tardò ad arrivare, ma come sempre, quando si toccava questo argomento, fu una risposta evasiva.
«Mio padre è sempre stato un despota e non mi andava che continuasse a gestire la mia vita a suo piacimento».
Non aggiunse altro.
Era evidente dalla sua espressione inquieta e cupa che questo argomento lo infastidisse. E, ancora una volta, Usagi preferì non fare altre domande, anche se la curiosità di conoscere meglio la sua vita e il suo passato era tanta. E poi, Mamoru aveva già cambiato repentinamente discorso.
«Questa è la tua tenuta da battaglia?» le aveva chiesto sorridendo ironico, riferendosi al suo abbigliamento da ballerina e al fatto che la ragazza avesse l’abitudine di ballare per sfogare il suo nervosismo.
Usagi rise per il commento, ma soprattutto perché era contenta di vederlo di nuovo sereno.
«Comunque – continuò il ragazzo – io pensavo che le ballerine mangiassero poco, ma tu hai la fame di un elefante. Hai fatto fuori quasi tutto il gelato!».
«Smettila di prendermi in giro!» gridò Usagi fingendosi offesa e allungandogli un buffetto sul braccio.
Sì, era decisamente tornato il solito Mamoru!
«Dai, sto scherzando! – disse lui ridendo – Adoro vederti mangiare! Lo fai con così tanto piacere che fai venire fame anche a me».
«Hai fame, adesso?» gli chiese Usagi ingenuamente, portandosi un altro cucchiaio di gelato alla bocca, senza accorgersi che le stava colando addosso.
Mamoru sorrise malizioso.
«Sì – le disse – ma di te!».
E senza aspettare la reazione della ragazza, si sollevò sulle ginocchia e si allungò con il viso verso di lei. Posò le labbra direttamente sul suo petto, succhiando quell’invitante goccia di gelato che vi era caduta involontariamente.
La ragazza prima trasalì per il gesto inatteso, poi chiuse gli occhi per assaporare al meglio quella sensazione e, delicatamente, portò una mano dietro la nuca di lui.
Accarezzandogli i capelli neri, accompagnava il suo percorso, mentre risaliva voluttuoso con le labbra e la lingua lungo il collo e il viso, fino alla bocca. Quando le loro labbra finalmente si incontrarono, la passione esplose.
«Come si toglie ‘sto coso?» chiese lui con frenesia indicando il body di Usagi, mentre, tra quegli insoliti indumenti che sembravano incollati al suo corpo, inutilmente cercava un accesso alla pelle morbida e calda di lei.
La ragazza sorrise mordendosi le labbra maliarda e, senza pronunciare un’unica parola, ma continuando a guardarlo con i suoi sensuali occhi tentatori, prese a svestirsi, facendo scivolare le spalline lungo le braccia e scoprendo quelle curve morbide, che facevano impazzire Mamoru, privandolo di ogni briciolo di autocontrollo.
Stesi su quel tappeto, i loro corpi aggrovigliati erano una sorgente infinita di sensazioni ed eccitazione. Mani che si muovevano freneticamente, labbra che sfioravano con ardore pelle sensibile e avida di carezze, occhi febbrili che rubavano immagini di quegli attimi di intensa voluttà.
Non si può spiegare il piacere che scaturisce dal perfetto connubio tra corpo, cuore e mente, la sensazione di completezza e totalità che i due innamorati provavano ogni volta che si univano.
Mentre si muoveva affamato dentro di lei, provocandole a ogni spinta gemiti sommessi, ma lussuriosi, che accrescevano sempre di più il suo ardore e la sua eccitazione, Mamoru intrecciò le sue mani con quelle di Usagi, portandogliele sopra la testa, premendo ancora di più il suo corpo contro quello della ragazza e amplificando così la sensazione di ebbrezza che sgorgava da quel contatto.
«Ti amo, Usako! » le sussurrò dolcemente, posando le labbra sul suo collo.
Quelle parole pronunciate con tanto candore, unite alla dolcezza del nome con cui lui l’aveva chiamata, ebbero il potere di regalarle un ulteriore brivido di piacere che, partendo dal suo cuore, si fermò proprio nel ventre.
Dentro di sé Usagi sorrise, invasa da un senso di benessere profondo.
«Anche io ti amo!» alla fine riuscì a rispondere flebilmente, tra i respiri convulsi di entrambi.
La sensualità e il calore di quelle confessioni sussurrate furono lo stimolo conclusivo che li costrinse a cedere al piacere estremo, che esplose in perfetta sincronia nei loro corpi, lasciandoli estenuati l’una nelle braccia dell’altro a cullarsi dolcemente, consapevoli che ormai si appartenevano completamente.

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Capitolo 13
*** Senso di Libertà ***


SENSO DI LIBERTÀ 
 
 
L’indomani mattina, Mamoru si svegliò piuttosto tardi, rispetto al solito.
Posò un leggero bacio sulla fronte di Usagi, che ancora dormiva placidamente tra le sue braccia. Avendo cura di non svegliarla, si alzò piano dal letto e si rivestì, pensando di dover passare a casa per una doccia veloce e un cambio di abiti, prima di correre in ospedale.
Ne avrebbe anche approfittato per salutare sua madre e per invitarla a cena quella sera. Glielo doveva!
Aveva fatto un lungo viaggio solo per vederlo e lui non si era di certo comportato bene con la donna che lo aveva messo al mondo e che non lo aveva mai abbandonato, appoggiando ogni sua scelta.
In dieci minuti, Mamoru era pronto, mentre Usagi dormiva ancora profondamente.
La guardò e sorrise divertito, pensando che neanche le cannonate avrebbero potuto svegliarla.
Decise che sarebbe stato meglio lasciarle un biglietto e, quindi, si chinò su di lei per baciarla un’ultima volta, prima di andare via.
Ma il movimento improvviso del materasso fece sobbalzare dal sonno la ragazza, che aprì gli occhi, mostrando due limpidi laghi azzurri da togliere il fiato.
«Buongiorno, Usako!» esclamò con dolcezza, cercando di soffocare il desiderio improvviso che si era impossessato di lui e che non avrebbe potuto assecondare, per via del tempo tiranno.
«Stavo andando via – le sussurrò, poi – ma tu continua pure a dormire! Stanotte hai il turno in ospedale ed è meglio se riposi il più possibile. Ci sentiamo dopo».
«Va bene, – rispose Usagi con un filo di voce – Buona giornata, Mamo».
E accolse poi le sue morbide labbra, allungando leggermente il viso verso di lui, che si era letteralmente sciolto, al solo sentire la voce della sua Usako pronunciare quel nomignolo.
 
Erano già le sette di sera e Mamoru era in ritardo di almeno mezz’ora all’appuntamento con Motoki e Heles al Crown.
Aveva incrociato Usagi mentre lei arrivava, per cominciare il suo turno, e lui andava via, dopo aver terminato il suo.
“Solo un bacio!” si era detto, mentre la rapiva per portarla nel suo ufficio, nonostante la reticenza, rivelatasi poi fievole, della ragazza.
Ma si sa che certe cose non si possono programmare. E, infatti, un bacio tira l’altro, travolti dalla passione, avevano finito col fare l’amore contro la parete dell’ufficio.
«La prossima volta proviamo la scrivania!» le aveva detto lui, alla fine, tra il malizioso e il divertito, prendendola in giro, mentre lei gli mollava un sonoro colpo sulla spalla, fingendosi contrariata e scandalizzata da tanta audacia.
«Ecco il nostro Romeo! - esclamò Heles, non appena lui si avvicinò al tavolo – Spero che i tuoi racconti siano così dettagliati da farci dimenticare il tuo clamoroso ritardo».
«Lascialo stare, Heles! – la rimproverò ironicamente Motoki – Sicuramente il nostro dottor Chiba sarà stato trattenuto da qualche impegno improvviso».
«Sì, magari un impegno che inizia con la U e finisce con la I» continuò la ragazza, volgendo il suo sguardo beffardo verso Mamoru.
Il giovane neurochirurgo scosse la testa e sorrise, sentendosi per la prima volta libero di parlare di Usagi con i suoi amici, senza imbarazzi e senza la necessità di inventare banali storielle, perché adesso tutto era più chiaro, sia nella sua mente che nel rapporto con lei.
«Eccomi, sono pronto per essere torturato!» esclamò con sarcasmo, sedendosi di fronte a loro.
Quella non era la prima volta che i tre amici vivevano una situazione del genere.
La stessa sorte era toccata sia a Heles, quando aveva conosciuto Michiru, sia a Motoki, prima, quando aveva incontrato Reika e, poi, quando aveva deciso di sposarsi.
Ma nel caso di Mamoru, si trattava di un vero e proprio evento, tanto improvviso quanto insperato, dato che il ragazzo non aveva mai dato segni di cedimento, a differenza degli altri due amici che, invece, prima degli attuali, avevano avuto altri amori, più o meno seri.
«Non abbiamo alcuna intenzione di torturarti, Chiba» disse Motoki, mentre Mamoru lo guardava con aria interrogativa, corrugando la fronte.
«Sappiamo già tutto! – aggiunse Heles – Ti conosciamo talmente tanto bene, che il tuo comportamento anomalo ci ha già dato tutte le risposte che cercavamo. In pratica, sei un libro aperto per noi».
Mamoru era rimasto sbalordito da tanta clemenza nei suoi riguardi.
E pensare che era pronto ad immolarsi, in nome dell’amicizia che lo legava a quei due rompiscatole, quella stessa amicizia che lui aveva trascurato negli ultimi tempi.
«Mi dispiace, ragazzi, se non mi sono confidato con voi e vi ho raccontato qualche bugia – disse sentendosi quasi un traditore per come si era comportato – Il fatto è che è accaduto tutto così rapidamente, che, all’inizio, ho faticato anche io a capire cosa mi stesse succedendo e, quando poi ho compreso, ho avuto paura di perdere il controllo della mia vita».
Motoki e Heles sorrisero.
«Non ti dispiacere, Mamoru! – lo rincuorò il ragazzo – Piuttosto, adesso come va?».
Mamoru sorrise al pensiero di Usagi nella sua vita e di tutto ciò che di bello aveva portato con sé, in così poco tempo.
«Sono innamorato e felice! – esclamò con una determinazione sul volto e nel tono di voce, che lasciò di stucco i due – Avevate ragione quando dicevate che la mia vita non era perfetta come credevo … adesso lo è!».
«E vissero tutti felici e contenti! – lo interruppe Heles prendendolo in giro, per non far trasparire la propria commozione  – Mamoru, siamo tutti felici per te e per la tua favolosa fidanzata, ma ti prego, così melenso non ti si può sentire! E ora, per farci riprendere dallo shock, ce lo offri o no questo drink?».
I tre amici scoppiarono a ridere.
Certo che Heles era sempre la solita! Quando faceva così era quasi odiosa, ma Mamoru adorava quel suo fare da finta dura e non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua amicizia, come pure all’amicizia di Motoki. Loro due erano la sua famiglia, e adesso con loro c’era anche Usagi.
Dopo aver trascorso un’oretta insieme al Crown, i tre amici dovettero salutarsi, ciascuno preso dai propri impegni: Heles doveva lavorare (per quella notte la sua assistente sarebbe stata proprio Usagi), Motoki doveva correre dalla sua Reika e Mamoru aveva appuntamento con sua madre per portarla a cena.
«Io devo scappare! – esclamò Heles – Darò un bacio da parte tua alla tua bella principessa!» aggiunse, poi, ironica per stuzzicare la gelosia di Mamoru.
«Provaci e sono guai! E via gli occhi dal suo fondoschiena!» la minacciò lui scherzosamente, mentre lei andava via, conoscendo bene i suoi punti deboli.
«Vado anche io! Abbiamo ospiti a cena e chi la sente Reika, se faccio tardi – esclamò Motoki –  Comunque, se vuoi, a Natale puoi portare anche la tua Usagi, ci farebbe davvero molto piacere».
«Grazie Motoki! Ma credo che tornerà per qualche giorno dalla sua famiglia. Sarò da solo come ogni anno».
«Ok, come non detto. Allora, buona serata. Ci vediamo».
«Buona serata anche a te!».
 
L’Italian Restaurant era il ristorante italiano più rinomato della città. Era anche uno dei più cari, ma di certo le sue pietanze valevano ogni centesimo dei salatissimi conti.
Mamoru amava la cucina italiana e in quel locale si mangiava divinamente. Tranne la pizza! L’unica pizza davvero buona l’aveva mangiata durante un suo viaggio in Italia, a Napoli.
“Magari un giorno ci porterò anche Usagi!” pensò.
Sorrise, poi, per quanto la sua fantasia stesse volando. In fondo, loro due non erano neanche mai usciti insieme!
Promise che avrebbe rimediato il prima possibile, non appena Usagi avesse vinto la sua reticenza nel mostrarsi insieme in pubblico.
«Guarda quelle due ragazze che sfacciate! - esclamò sua madre riportandolo alla realtà – Ti stanno letteralmente divorando con gli occhi!».
Mamoru restò sbigottito da quella osservazione.
«Sei gelosa, mamma?» le chiese curioso.
«Io no, - rispose Kaori – lo so benissimo che mio figlio è bello e ha molto successo con le donne, ma credo che la tua fidanzata potrebbe esserlo parecchio di fronte alla sfacciataggine di certe donne».
Mamoru sorrise. Eh, sì, Usagi era davvero molto gelosa!
«Mamma, - le disse – non è che tutte possono sapere se sono impegnato o meno. E poi quelle due che dici tu non le ho neanche guardate. Da quando c’è Usagi, le altre donne non mi interessano».
Kaori Chiba sorrise. Finalmente Mamoru aveva ammesso la verità. Del resto, non le ci era voluto molto a capire quanto suo figlio fosse preso da quella ragazza. Era decisamente cambiato, rispetto all’ultima volta che lo aveva incontrato.
«A proposito di Usagi, perché non hai portato anche lei questa sera? Poteva essere l’occasione per conoscerla meglio» gli chiese Kaori.
«Aveva il turno di notte» rispose lui, conciso.
«Come te, ieri? Guarda che non sono stupida, l’ho capito benissimo che quella di ieri sera era una scusa e che hai dormito da lei».
«E allora perché me lo chiedi, se sai che ho mentito?».
«Perché mi piace vederti arrossire quando si parla di lei».
Kaori sorrise amorevolmente nel vedere suo figlio leggermente imbarazzato. Amava prenderlo in giro. La riportava a quando era ancora un bambino dolce e affettuoso, e non l’uomo freddo e cinico che era diventato, molto simile, in questo, a suo padre Hiroshi. Anche se, adesso, era diverso grazie a Usagi e al piccolo miracolo che aveva cominciato a compiere su di lui. Doveva ricordarsi di ringraziarla.
«Allora, perché non mi racconti un po’ di lei?» chiese ancora Kaori, sperando che Mamoru soddisfacesse la sua immane curiosità.
Il ragazzo sospirò.
«Cosa vuoi che ti dica? – rispose quasi seccato – È un medico, una specializzanda in chirurgia, molto intelligente e in gamba. Si è trasferita in città a settembre e non l’ho conosciuta in ospedale … beh, più o meno!».
«Ah, no?!? E dove vi siete conosciuti?».
Mamoru si era tradito da solo. E adesso cosa avrebbe dovuto raccontarle? Che avevano flirtato come due adolescenti per una settimana, prima di scoprire che lavoravano nello stesso ospedale? E che avevano passato quasi un mese a rincorrersi e sfuggirsi, in preda alle paure più stupide, prima di abbandonarsi totalmente alla passione? No, decisamente quello non era un discorso da fare a sua madre! Anzi, si era esposto fin troppo con lei e, per il momento, era più che sufficiente.
Guardò con tenerezza quei suoi occhi blu, così simili ai propri, che aspettavano con trepidazione una risposta. Sorrise.
«Sai, mamma, mi stupisce vedere che questa volta il tuo argomento preferito sia un altro.– esclamò Mamoru improvvisamente - Come mai non mi hai ancora fatto la solita fatidica domanda?».
«Mi risponderesti forse diversamente, stavolta?» gli chiese lei, con un’espressione scettica sul volto.
«La tua è una domanda retorica» si limitò a risponderle Mamoru con tono sprezzante.
«Ragion per cui ho smesso di fartela! – continuò lei – Sai già come stanno le cose. Tuo padre è pentito e gli manchi tantissimo, ma il suo orgoglio gli impedisce di ammetterlo e di affrontarti».
«E così tu vorresti che fossi io a fare il primo passo? Mi dispiace, mamma! Ma tuo marito in dodici anni non ha mai alzato il telefono per sapere come stessi. Ero solo un ragazzino e lui non ha mai avuto alcuno scrupolo a cacciarmi di casa, non si è mai preoccupato di niente».
«Non giudicarlo così male, Mamo! Lui è sempre stato fatto così».
«Ma perché cerchi sempre di giustificarlo? Dimmi la verità, tu sei mai stata felice con lui?».
Un velo di tristezza coprì gli occhi di Kaori.
« No! – rispose la donna seria - Tuo padre ha sempre messo la carriera davanti alla sua famiglia, uno come lui non avrebbe mai dovuto sposarsi. Inoltre, mi ha sempre tradito. Adesso che sei adulto, te lo posso dire! Sapevo perfettamente quando mi mentiva perché era con un’altra donna. Ne ho sofferto tantissimo, ma l’amavo e non avevo il coraggio di lasciarlo e, poi, c’eri tu, che avevi bisogno di una figura paterna. Però, nel momento in cui ha preferito lasciarti andare via, piuttosto che rivedere la sua posizione, l’ho odiato tantissimo, con tutto il cuore e con tutto il rancore che avevo accumulato in anni e anni di sofferenze e tradimenti. Sono stata sul punto di lasciarlo, perché mio figlio era la mia unica fonte di felicità e lui l’aveva allontanato per sempre da me. Se ben ricordi, sono stata sei mesi a casa di tua nonna con la scusa che era anziana e aveva bisogno di assistenza. Tua nonna stava benissimo! Ero io quella che stava male, in realtà».  
La donna fece una piccola pausa per riprendersi dai quei tristi ricordi, poi continuò la sua confessione.
«Con il tempo, piano piano, il dolore ha incominciato ad affievolirsi. Ho capito che tu stavi meglio così, che era giusto che prendessi la tua strada e che non avevi bisogno di me. Al contrario di Hiroshi, che senza di me era perso. Mi amava, anche se a modo suo e nella maniera più sbagliata che potesse esserci, ma anche io lo amavo. E così sono tornata con lui, anche se non gli ho mai perdonato il modo in cui si era comportato con te. Ma questo lui lo sa benissimo. Non posso dirti che sia cambiato, in fondo chi nasce tondo non muore quadrato, ma posso assicurarti che nel suo piccolo, in tutti questi anni, si è sforzato per cercare di migliorare e, adesso, la nostra convivenza è decisamente migliore. Per questo, ogni volta che vengo a trovarti o ti telefono, spero che ci sia qualche cambiamento anche da parte tua, nei suoi confronti».
Mamoru ascoltava quel racconto in preda alla rabbia, e più sua madre raccontava, più il suo rancore verso suo padre cresceva. Anche perché lui conosceva tutta la verità, una verità che faceva male, e aveva promesso a se stesso di tacere proprio per il bene di sua madre.
Quando poi la donna ebbe finito di parlare, le prese una mano.
«Mi dispiace, mamma! Ti credo quando dici che lui si sia sforzato per migliorare, ma non credo ai risultati. Non puoi chiedermi di riavvicinarmi a lui, soprattutto dopo che mi hai raccontato tutta la sofferenza che ha procurato anche a te. Non c’è mai stato per me, tranne che per decidere quello che era giusto o sbagliato nella mia vita. Io non posso perdonarlo. In tutti questi anni, ho avuto il pieno controllo della mia vita e non potrei tollerare più alcuna sua intromissione».
Kaori guardava suo figlio irremovibile dalla sua posizione.
Una leggera inquietudine si fece largo tra i suoi pensieri. Come avrebbe reagito Mamoru se avesse saputo quello che suo padre aveva fatto per lui, in tutti quegli anni? Pregò il cielo che non venisse mai a scoprirlo, perché orgoglioso e testardo com’era, avrebbe mandato per sempre in fumo anche quell’ultima flebile speranza di vederli riuniti.
«Ti prometto che non ti chiederò più niente, da oggi in poi – esclamò la donna - La scelta sarà soltanto tua. Ma permettimi di sperare, fino al mio ultimo respiro, che un giorno lo perdonerai e che torneremo a essere una famiglia».
Mamoru sospirò, non riuscendo a comprendere come sua madre potesse ancora amare quell’uomo, dopo tutto il male che aveva fatto, anche se quello di cui era a conoscenza era solo la minima parte di una realtà ben più dura. Strinse i pugni a quel ricordo.
«Non posso prometterti niente».
«Lo so! – disse Kaori rassegnata – Promettimi, almeno, che non farai soffrire Usagi. Quella ragazza è un dono del cielo e ti rende felice».
Mamoru sorrise.
«Questo, invece, posso promettertelo» rispose con fermezza.
Kaori sorrise, poi continuò a parlare, cambiando argomento.
«Domani parto. Mi accompagni alla stazione o devi lavorare?» chiese.
«Certo che ti accompagno! Ho il turno di notte e questa volta non mento. E, se ti fa piacere, prima di partire, ti porto anche a fare colazione in quel bar che fa i tuoi croissant preferiti» le rispose il ragazzo, tornando a mostrare il suo bel sorriso.
Kaori sorrise felice, stringendo la mano di suo figlio. Finalmente, sentiva che stava recuperando con lui un rapporto più profondo, dopo anni di distanza. Mamoru ricambiò quel sorriso e si accorse, in quel momento, quanto quella donna le era mancata.
«Ti voglio bene!» le disse, infine, baciando con tenerezza la sua mano.
 
Finalmente era sdraiato nel suo letto, dopo una lunga giornata di emozioni che l’avevano messo a dura prova: prima il chiarimento con Motoki e Heles, poi le confessioni di sua madre.
In entrambi i casi, si era esposto non poco, mettendo a nudo tutti i suoi pensieri. Non era stato facile per lui, che non era abituato a tutti questi sentimentalismi, ma, adesso che l’aveva fatto, si sentiva leggero e un senso di libertà, mai provato prima, regnava nella sua mente.
Anche questo era tutta opera dell’amore?
Prima di abbandonarsi definitivamente tra le braccia di Morfeo, aveva un’ultima cosa da fare.
Prese il suo telefono. Ma, dall’altro lato, qualcuno fu più veloce di lui.
 
“Mamo, dormi già? Beato te! Qui la nottata è fiacca, ne approfitterò per studiare. Ti auguro sogni d’oro e grazie per il bacio che mi hai mandato tramite la Tenou. Uno anche a te! Usako.”
 
Sorrise. Stava per cominciare a digitare la risposta, ma il desiderio di sentire la sua voce fu più forte. Compose il numero, sicuro che non l’avrebbe disturbata, stando a quanto aveva scritto.
«Nottata fiacca, eh? Sempre quando io non sono in servizio!» le disse, non appena Usagi rispose.
«Per ora! Ma la notte è lunga … » esclamò lei.
«Sicuramente i casi disperati arriveranno tutti domani sera».
La ragazza rise.
«Comunque, come è andata la giornata?» gli chiese curiosa.
«Bene, soprattutto dopo che sei venuta a farmi visita nel mio ufficio» rispose Mamoru con una punta di malizia, per provocarla.
«Scemo, guarda che mi ci hai portata tu con la forza!».
«Non mi sembra che ti sia dispiaciuto così tanto, anzi!».
Usagi rise ancora.
«No, infatti!» ammise, infine, con un tono maliardo, che Mamoru trovò irresistibile. Peccato che ci fosse un telefono a divederli!
«Bene, allora domani sera la mia scrivania ti aspetta!» le disse prendendola in giro (forse!).
«Ma la smetti di fare il pervertito?» esclamò lei stizzita.
Mamoru rise ancora. Adorava quando si fingeva scandalizzata.
«Ti amo!» le disse con la solita dolcezza.
«Anche io ti amo!» rispose lei.
E chiusero, poi, la conversazione augurandosi la buonanotte, pieni ormai di quel sentimento che li aveva travolti e non li avrebbe più abbandonati.
 
 

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Capitolo 14
*** Buon Natale, Amore Mio! (1a parte) ***


BUON NATALE, AMORE MIO! (1a parte) 
 
 
Era la mattina della vigilia di Natale.
Il treno che l’avrebbe riportata a casa, dopo quattro mesi di assenza, aveva appena lasciato la stazione di partenza.
Solo quattro ore e poi avrebbe finalmente riabbracciato la sua famiglia e le sue amiche!
Tre giorni di vacanza e di meritato riposo, che Usagi avrebbe dedicato solo a loro.
Li aveva sentiti così poco, per via dei suoi impegni e dei suoi turni estenuanti in ospedale.
Chissà se Chibiusa era cresciuta in quei mesi e se Shingo si era ambientato nella nuova città!
Era curiosa di sapere come procedesse il nuovo lavoro di Yumiko e se il papà avesse vinto quella causa che lo teneva impegnato da tempo.
E le sua amiche? Magari nelle loro vite c’erano stati dei bei cambiamenti, così come era accaduto proprio per lei.
Mentre pensava a tutte quelle cose che non le erano mai venute in mente finora, si rimproverò di essere stata troppo concentrata su se stessa e di essersi comportata in maniera superficiale ed egoista.
Non era stata in grado di trovare cinque minuti da dedicare a ognuno di loro per sapere come procedessero le loro vite. Ma adesso, l’occasione era più che giusta per rimediare e recuperare assolutamente tutto il tempo perduto.
Usagi non stava più nella pelle e non vedeva l’ora di essere a casa.
Poi, i suoi pensieri volarono a Mamoru.
La sua euforia sarebbe stata certamente completa, se non avesse dovuto lasciarlo da solo, proprio a Natale, e se la sua mancanza non avesse cominciato a farsi sentire già dalla sera precedente.
Con la scusa delle visite di controllo, si era trattenuta più del dovuto in ospedale, solo per avere la possibilità di incrociarlo non appena lui avesse preso servizio, e salutarlo come si deve prima di partire.
I loro turni negli ultimi tre giorni non avevano coinciso, ma entrambi avevano preferito non chiedere cambiamenti, onde evitare altri pettegolezzi, soprattutto, dopo la scenata di qualche sera prima al Crown, davanti a un bel gruppetto di colleghi curiosi e stupiti.
Si erano dovuti accontentare di baci rubati e di qualche incontro clandestino nell’ufficio di Mamoru. Ormai, Usagi aveva perso ogni freno inibitore!
Arrossì lievemente al ricordo che, alla fine, aveva anche ceduto, ben volentieri, a quella strana fissa di Mamoru per la scrivania.
Sorrise imbarazzata.
Si sentiva come un’adolescente alla prima cotta, con il cuore in subbuglio e gli ormoni impazziti. Neanche con Sachi, il suo ex-fidanzato, si era mai sentita così.
Del resto, a pensarci, non c’era proprio paragone. Sachi l’aveva corteggiata per mesi, prima che lei cedesse, conquistata, alla fine, dalla perseveranza del ragazzo. Ma, solo adesso che c’era Mamoru nella sua vita, Usagi si rendeva conto che i suoi dubbi di allora erano reali.
Non aveva mai amato Sachi. Semplicemente si era auto-convinta dei propri sentimenti, lasciandosi trascinare dagli eventi e dall’amore che lui provava per lei, anche se, alla fine, si era comportato nel peggiore dei modi, facendola soffrire.
Con Mamoru era stato tutto diverso. L’aveva riconosciuto al primo sguardo e, in un mese, la sua vita era stata stravolta. Anche se, tra loro, lei era quella che si esponeva di meno, ancora trattenuta dalle sue vecchie e stupide paure, sapeva di amarlo da sempre, senza chiedersi perché, lo amava e basta.
Si rendeva conto che, in poco tempo, Mamoru era diventato il suo ossigeno, il pezzo mancante che dava completezza alla sua vita. E, adesso che quel treno la portava lontano da lui, anche se per soli tre giorni, lei si sentiva incompleta.
Ebbe una voglia improvvisa di sentire la sua voce, ma, sicuramente, in quel momento, lui era immerso nel sonno più profondo. Allora, prese il cellulare nella borsa e rapidamente digitò un messaggio.
 
“Immagino che tu stia dormendo. Volevo dirti che sono appena partita e che ci sentiamo quando sarai sveglio. Mi manchi! Ti amo. Usako”
 
Ripose il telefono, senza attendere una risposta. Sospirò, cercando di cacciare via la malinconia e di godersi, invece, la piacevole ansia di riabbracciare i suoi cari. Poi, prese il suo lettore mp3 e il suo libro e si isolò completamente dal resto, nell’attesa di giungere a destinazione.
 
Lo stridio dei freni sui binari la svegliò di soprassalto.
“Cavoli, mi sono addormentata!” pensò.
Ma, fortunatamente, la fermata era quella giusta. Era quasi mezzogiorno ed era finalmente arrivata a casa.
Raccolse velocemente le sue cose, tirò giù il trolley dal vano portabagagli e si diresse verso l’uscita. Scese i gradini, facendo attenzione a non inciampare, e respirò a pieni polmoni quell’aria frizzante, l’aria di casa sua. Peccato solo non ci fosse la neve, come si aspettava, nonostante facesse davvero molto freddo.
«Usaaaaaaa!» una voce familiare gridò alle sue spalle, attirando la sua attenzione.
«Chibiusa, amore mio! - rispose lei con gioia, mentre due braccine le circondavano la vita. - Quanto mi sei mancata, piccola peste!» aggiunse, poi, ricambiando l’abbraccio e riempiendo di baci la sua sorellina.
In quei mesi era cresciuta e notò ancora di più quanto si somigliassero, benché figlie di madri diverse. I geni della nonna paterna, almeno così dicevano in famiglia.
«Ehi, sorella!» esclamò un’altra voce, mentre Usagi non smetteva di accarezzare e ammirare la piccola Chibiusa.
«Shingo! – esclamò lei, gettando le braccia al collo di quel bel ragazzo che, invece, non le somigliava per nulla – Come stai?».
«Benone, e tu? Come te la passi?».
«Alla grande, direi! - rispose sorridendo e lasciando che il fratello intuisse tutto l’entusiasmo per la sua nuova vita. - Ma dov’è papà? Non lo vedo» aggiunse poi, guardandosi intorno.
«Aveva da fare e non ce l’avrebbe fatta a venire in tempo alla stazione».
Usagi rimase delusa nell’apprendere che avrebbe dovuto attendere ancora per riabbracciare il suo adorato papà.
“Vabbè, pazienza!” pensò.
«Usa, - esclamò, a un tratto, la piccola Chibiusa, tirandole un braccio, nel tentativo, tipico dei bambini, di attirare l’attenzione - lo sai che la mamma ha comprato un albero gigante pieno di luci e di palline colorate?».
«Davvero? – le rispose Usagi, cercando di mostrare lo stesso entusiasmo della bambina di fronte a quella notizia – Allora dobbiamo subito correre a casa a vederlo! Forza Shingo, che stai aspettando? Muoviamoci!».
«Agli ordini, signorine!» rispose il ragazzo mettendosi sull’attenti e adottando lo stesso tono entusiasta delle sorelle.
E così, i tre fratelli Tsukino, di nuovo uniti, anche se per poco, si avviarono alla macchina, diretti a casa.
 
«Bentornata a casa Usa-chan! – esclamò Yumiko abbracciandola con calore – Sei ancora più bella di quando sei partita».
«Grazie Yumiko!» rispose Usagi, ricambiando l’abbraccio e riassaporando, per qualche secondo, quel calore che per anni l’aveva consolata, ogni volta che ne aveva avuto bisogno. Quanto le era mancato quell’abbraccio!
«Tuo padre aveva un impegno, ma sarà qui a momenti – disse la donna – Se vuoi, puoi andare in camera tua a riposarti. Ti chiamerò non appena sarà rientrato».
«Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Ho dormito in treno durante tutto il viaggio e così … ».
«La solita dormigliona!» la interruppe Shingo con tono canzonatorio.
«Pensa agli affari tuoi! Io lavoro anche di notte!» gli gridò Usagi con una smorfia, mostrandogli la lingua.
Yumiko sorrise, scuotendo la testa divertita, mentre guardava quei due ragazzi, che amava come se fossero figli suoi.
«È bello notare che non è cambiato niente! Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo» osservò poi malinconica, mentre Usagi, a quell’esclamazione, le gettava di nuovo le braccia al collo, per godere ancora del suo calore di mamma.
«Allora, Chibiusa, mi fai vedere questo meraviglioso albero?» esclamò poi la ragazza, sciogliendosi da quell’abbraccio.
«Andiamo! » rispose la piccola, afferrandole una mano e trascinandola nel salotto, al centro del quale si ergeva un bellissimo albero, pieno di luci e colori.
Gli occhi di Usagi si illuminarono.
«Wow, ma è davvero stupendo come dicevi!» disse rivolgendosi a sua sorella, che, nel frattempo, sorrideva soddisfatta.
 
Usagi era al piano di sopra con la piccola Chibiusa, che in preda all’entusiasmo per il ritorno della sorella maggiore, aveva deciso di darle una mano a sistemare le sue cose. Non aveva molti vestiti da mettere a posto e, in realtà, non ci sarebbe neanche stato bisogno di disfare la valigia, visto che si sarebbe fermata solo per qualche giorno. Ma lei, presa dalla nostalgia, aveva voglia di credere che non fosse solo di passaggio e che la sua permanenza sarebbe durata di più.
D’un tratto una voce la distrasse dai suoi pensieri.
«Dov’è la mia principessa?» sentì pronunciare dal piano inferiore.
«È arrivato papà!» esclamò, fiondandosi fuori dalla sua stanza e scendendo di corsa le scale, per finire, poi, tra le braccia di Kenji.
L’energia che scaturiva da quell’abbraccio, riportò entrambi a quando Usagi era piccola e Kenji, rientrando dal lavoro, la salutava sempre con quella stessa esclamazione.
«Che bello averti a casa, Usako!» disse l’uomo, accarezzando i capelli biondi della figlia.
Usagi sorrise sentendo quel nomignolo con cui era solito chiamarla suo padre, ma che adesso le suonava un po’ strano, pronunciato da lui.
«Anche io sono contenta di essere di nuovo qui!» rispose beandosi delle sue carezze.
«Devo dire che il lavoro e l’aria della Capitale ti fanno proprio bene. Sei ancora più bella!» esclamò Kenji osservandola con attenzione.
«Anche io ho detto la stessa cosa – si intromise Yumiko – Ma non sono tanto sicura che sia l’aria della Capitale a farle questo effetto!» aggiunse, poi, sorridendo maliziosa verso Usagi, che arrossì leggermente.
«Qualunque cosa sia – disse Kenji alzando le spalle – devo ammettere che ti fa proprio bene!».
Usagi sorrise, abbracciando di nuovo suo padre e restando così per qualche minuto, a godersi la gioia di quel momento.
 
«Allora, come si chiama?» le chiese Yumiko allusiva, non appena Kenji si fu allontanato per un attimo.
La ragazza comprese subito e rimase senza parole per un attimo. Ma come aveva fatto Yumiko ad accorgersene?
«È così evidente?» chiese stupita, invece di rispondere alla domanda.
«Sei partita così arrabbiata, sembrava quasi che ce l’avessi col mondo intero. E, adesso, sembri una persona completamente diversa. Non credo che sia solo merito del lavoro».
Usagi sorrise ancora. Yumiko la conosceva davvero benissimo e non le si poteva certo mentire.
«Si chiama Mamoru ed è un medico anche lui» si decise, alla fine, a rispondere mantenendosi sul vago.
«Credo che a tuo padre piacerà! – esclamò, quindi, la donna facendole l’occhiolino, prima di uscire dalla stanza - Sachi non ti faceva per niente lo stesso effetto».
Già, Sachi! Anche lei aveva pensato la stessa identica cosa e, a quanto sembrava, non era l’unica.
A proposito di Mamoru, poi, Usagi guardò l’orario sul suo cellulare ancora muto.
“Che fine avrà fatto?” pensò con una leggera preoccupazione.
 
Dopo il pranzo, si era congedata dalla sua famiglia per recarsi in centro, dove aveva appuntamento con le sue amiche. Non poteva e non voleva rimandare ulteriormente il loro incontro e così si era organizzata per trascorrere l’intero pomeriggio con loro.
Il momento in cui le cinque amiche finalmente si rividero fu un tripudio di baci, abbracci e gridolini di gioia. Abituate com’erano a condividere ogni momento della giornata, quei quattro mesi erano sembrati un’eternità.
«Shhhh, non gridate, ragazze – esclamò Usagi imbarazzata – Ci stanno guardando tutti!».
«Oh, che guardino pure e ci prendano per pazze! – rispose invece la solita esuberante Minako, continuando a gridare – Siamo troppo contente che la nostra Usa-chan sia tornata!».
«Usagi ha ragione, - si intromise la più timida e pacata Ami – stiamo dando spettacolo! Sembriamo delle oche starnazzanti».
Le cinque ragazze risero di quella osservazione.
«Forza, andiamo a sederci al Moonlight Bar al calduccio» le incitò a quel punto Makoto, che stava congelando.
«Sì, abbiamo tanto da raccontarci!» aggiunse Rei.
Così, le cinque amiche entrarono nel bar, sistemandosi attorno al tavolo nell’angolo, dove erano solite sedersi, ogni volta che si incontravano in quel caldo e accogliente locale.
Usagi si guardò intorno, provando un senso di tepore e rilassatezza nel constatare che tutto era uguale. Del resto, quattro mesi erano pochi, benché fossero sembrati un’eternità.
Prima di prendere posto, lanciò un altro sguardo pensieroso al suo telefono.
 Le quattro e ancora niente!
“Possibile che stia ancora dormendo?” pensò, appoggiando il cellulare sul tavolo.
«Allora, ragazze! – chiese Usagi, cercando di allontanare le preoccupazioni da quel momento di euforia con le sua amiche – raccontatemi tutto!».
«Non c’è molto raccontare, le nostre vite non sono cambiate» rispose Makoto.
«Già, siamo le stesse identiche persone che hai lasciato e con le stesse identiche e noiose vite» aggiunse Ami.
«Piuttosto, sei tu quella che ha cambiato vita radicalmente. Cosa si prova ad aprire in due un essere umano?» chiese, invece, Rei.
Usagi rise divertita. Le sue amiche non avevano mai capito la sua passione per quel lavoro.
«È un’emozione indescrivibile … » rispose la ragazza, facendo trasparire tutto il suo entusiasmo.
«Andiamo, ragazze, non fate le ipocrite – la interruppe Minako – A nessuna di voi interessano le macabre pratiche di Usagi!».
«Macabre pratiche? – ripetè Usagi – Guarda, che io sto imparando a salvare vite!».
«E la tua di vita? L’hai salvata? » chiese Makoto con un’espressione allusiva, che Usagi inizialmente non comprese.
«Ci è giunta voce di un certo dottore, che pare ti abbia fatto capitolare» insinuò Minako con sguardo malizioso.
Usagi sgranò gli occhi.
«Rei! – gridò stizzita verso la sua amica – Volevo essere io a raccontare tutto e tu non hai saputo mantenere il segreto!».
«Scusami, Usa! – pronunciò Rei dispiaciuta – Ma era una notizia così bella e inattesa che non ho saputo resistere. Mi perdoni?».
«Dai, Usagi, non te la prendere con Rei, è normale che parlasse, te lo dovevi aspettare» si intromise Ami.
«Quando sei partita eri una pazza furiosa e noi eravamo così preoccupate per te. Rei voleva solo rassicurarci che stessi bene» aggiunse Makoto.
«Una pazza furiosa?!?» ripetè Usagi, stupita.
Davvero quella era l’immagine che aveva dato di sé?
«Già! – ammise Minako – Hai seminato morti e feriti sul tuo cammino».
«Morti e feriti?!?» chiese Usagi, ancora più stupita.
«Akira e Masao ancora chiedono di te» disse Ami.
«Per non parlare di Yukichi. Pare che abbia cambiato città a causa tua» aggiunse Makoto, rincarando la dose.
Usagi era senza parole. Akira, Masao, Yukichi! Ripensandoci adesso, dopo tanto tempo, si era comportata davvero male con loro, giocando con i loro sentimenti. 
«Mi dispiace! Io … io … ero un’altra persona – balbettò Usagi, quasi sconvolta dal ricordo del suo cinismo – Comunque, riguardo a Rei, scherzavo».
«Ah, menomale! – esclamò la diretta interessata – Per un attimo ho temuto che fossi davvero arrabbiata con me».
Usagi scosse la testa accennando un lieve sorriso nella direzione della ragazza.
«Comunque eri davvero un’altra persona. Adesso sembri rinata. È merito del tuo dottore?».
«Dai parlaci di lui! Com’è?».
«Come si chiama? Quanti anni ha?».
«Raccontaci del vostro primo bacio!».
Le ragazze formulavano domande a raffica, prese dall’entusiasmo di quella sorprendente novità nella vita della loro amica, che sembrava così felice.
Usagi sorrise divertita. Quanto le era mancata l’esuberanza di quelle quattro ragazze. E, soprattutto, quanto le era mancata quella complicità che le univa da sempre.
Emise un profondo sospirò, poi cominciò a raccontare tutto dal principio, cercando di soddisfare il più possibile la curiosità di tutte loro.
«Non ci hai detto se è bravo a letto, però!» esclamò Minako seria, quando Usagi ebbe finito di raccontare.
«Mina, sei sempre la solita! - la rimproverò Rei. Poi, rivolgendosi a Usagi chiese maliziosa – E allora, com’è? Diccelo!».
«Dai, siamo curiose. Non puoi tralasciare un particolare così importante!» insistette Makoto.
La ragazza si morse le labbra imbarazzata, mentre stavano tutte a fissarla curiose, tranne Ami, che era sempre timida davanti a certi discorsi.
«Ecco … veramente ... ».
Usagi farfugliava, non sapendo cosa rispondere. Il suo Mamoru era favoloso e fare l’amore con lui era quanto di più bello e intenso potesse esistere, ma non aveva voglia di parlare di certe cose.
Erano le sue migliori amiche e a loro aveva sempre raccontato tutto. Non stavolta, però!
Si sentiva estremamente gelosa dell’intimità che la legava a Mamoru. Un’altra novità!
Mentre continuava a tergiversare sull’argomento, cercando di trovare una possibile scusa per non rispondere, il suo cellulare sul tavolo, cominciò a vibrare. Era Mamoru, finalmente.
Il suo sguardo si illuminò e il cuore prese a batterle forte, come ogni volta che si trattava di lui.
«Scusate, ragazze! Devo rispondere» esclamò con un sorriso a trentadue denti, correndo rapida verso l’esterno del locale, senza neanche avere cura di indossare la giacca, e lasciando le sue amiche lì, immobili, a fissarsi per lo sconcerto.
«Secondo voi era il suo Mamoru?» chiese Makoto.
«E chi altri potrebbe essere a procurarle una reazione del genere?» disse Ami.
«Voi come la vedete?» chiese, poi, Rei pensierosa.
«Felice come non l’ho mai vista. Neanche con Sachi!» rispose Minako, mentre le altre amiche annuivano, pienamente d’accordo su questa affermazione.
 
«Ehi, ma dove sei finito? Sono le cinque passate!» esclamò Usagi, rispondendo al telefono, senza neanche salutarlo.
«Mi dispiace, Usako – disse lui – Ci sono state un paio di emergenze in ospedale e ho avuto molto da fare. Non sono neanche tornato a casa a dormire».
Usagi si vergognò di se stessa. Era un medico, e lei doveva sapere benissimo che potessero esserci state delle emergenze. Perché non ci aveva pensato prima, invece di farsi delle paranoie?
«Scusami, se ti ho aggredito - disse dispiaciuta - Stai tornando a casa, adesso?».
«Non importa! - rispose lui sorridendo – Comunque sì, sto tornando a casa. Ho giusto un paio di ore per riposarmi prima di andare a cena da Motoki e Reika. Inoltre, ti informo che ho chiesto due giorni di ferie, senza reperibilità».
«Dottor Chiba, lei è diventato davvero uno scansafatiche!» esclamò Usagi, ridendo.
Mamoru ascoltò compiaciuto la risata cristallina della ragazza. Come sempre, era quanto di più piacevole le sue orecchie potessero udire.
Seguirono pochi secondi di silenzio.
«Anche tu mi manchi! – disse, poi, rispondendo al messaggio che Usagi gli aveva inviato quella mattina – È triste girare nei corridoi di quell’ospedale sapendo che non ci sei».
Usagi sorrise commossa a quella dichiarazione.
«Non ti preoccupare, tanto torno presto».
«Cercherò di resistere. Tu intanto goditi la tua famiglia e le tue amiche. Lo so che sentivi tanto la loro mancanza».
Usagi pensò che, come sempre, Mamoru sapeva essere dolcissimo e ancora di più sentì la sua mancanza.
«Già, ma vorrei che fossi qui – esclamò, improvvisamente, stupendolo per quella dichiarazione improvvisa – Mi dispiace averti abbandonato proprio a Natale!».
«Non ti preoccupare! Non amo particolarmente il Natale, per me è un giorno come un altro!».
Usagi restò in silenzio.
“Già, ma vorrei ugualmente che lo passassi con me!” pensò malinconica.
«Ora devo lasciarti. Sono arrivato alla macchina. Divertiti! Ti amo, piccola!».
«Anche io ti amo, dottore!».
 
«Ragazze, si è fatto tardi! Devo andare. Yumiko avrà sicuramente bisogno di una mano per preparare la cena» disse Usagi alle sue amiche, rientrando nel bar mezza congelata.
Le cinque amiche così si salutarono, dopo aver preso appuntamento per quella stessa sera a casa di Rei, dove avrebbero trascorso un altro po’ di tempo insieme, in compagnia anche di altri amici. Poi, si diressero a casa, dove ciascuna, immersa nell’intimità della propria famiglia, avrebbe trascorso la vigilia di Natale.
 
Era quasi mezzanotte e Mamoru se ne stava in piedi, davanti alla finestra, impassibile, con lo sguardo perso nel panorama delle luci della città, che si poteva ammirare dal salotto di casa di Motoki.
Le voci allegre e festanti della famiglia Furuhata facevano da sfondo ai suoi pensieri malinconici: il Natale lo riportava sempre alla sua famiglia, quella che non esisteva più e, forse, non era mai esistita. Ripensava alle parole di sua madre e alla speranza di vederli un giorno riuniti. In fondo, pensò che sarebbe bastato solo un proprio gesto affinchè tutto tornasse come prima.
“Neanche per sogno!” si disse.
Tutto come prima, appunto! No, non sarebbe mai accaduto! Non avrebbe mai perdonato suo padre per quello che aveva fatto!
Pensò alla sua Usagi e al suo attaccamento alla famiglia. Quasi invidiò la sua serenità in quel momento, immersa nel confortevole calore familiare, quello che lui non aveva mai conosciuto davvero.
«Tutto bene?» chiese una voce alle sue spalle.
Motoki si era accorto che Mamoru, da un po’, si era isolato dagli altri ed era andato quindi ad assicurarsi che fosse tutto a posto.
«Sì, riflettevo» rispose Mamoru con la sua consueta freddezza.
«Si tratta di Usagi? Credevo andasse a meraviglia tra voi» chiese poi Motoki, con sguardo preoccupato.
«No, Usagi non c’entra. Lei è stupenda! Si tratta di mia madre e di quello che mi ha raccontato ieri su Hiroshi, ma preferisco non scendere nei dettagli».
«Hiroshi Chiba non si smentisce mai! Il suo fantasma torna sempre a tormentarti nei momenti meno opportuni» rispose Motoki, che, insieme a Heles, conosceva bene la storia di Mamoru e non aveva molta simpatia per quell’uomo, benché fosse un genio della chirurgia.
«Già!» disse seccato Mamoru, ripensando a quante volte, nonostante avesse preso da anni le distanze da lui, il suo pensiero fosse tornato ad angosciarlo.
Fortunatamente, in quel momento, il suono del suo cellulare lo distrasse da quei pensieri intrisi di rabbia e tristezza.
«È un messaggio di Usagi » disse sorridendo verso Motoki.
Poi si apprestò a leggerlo a mente.
 
“Buon Natale amore mio! Ti insegnerò ad amare questa festa. Ti amo. Usako”
 
Quel messaggio sembrò provvidenziale, come se Usagi, a chilometri di distanza, avesse letto nella sua mente e si fosse precipitata a soccorrerlo.
Motoki aveva visto il volto del suo amico, che fino a pochi secondi prima era cupo e malinconico, rallegrarsi di colpo, e ne fu sollevato.
Mamoru digitò subito la sua risposta, mentre quel sorriso luminoso ancora non lo abbandonava.
 
“Posso dirti di amarla un po’ di più, adesso che ci sei tu! Buon Natale anche a te, piccola mia. Ti amo”.
 
«Questa ragazza ti fa proprio bene, amico mio!» esclamò Motoki, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
«Già! – rispose Mamoru – Non credevo ci si potesse sentire così ad amare una persona».
«E pensa che è solo l’inizio! – continuò Motoki – Hai ancora un sacco di cose meravigliose da scoprire».
«È solo l’inizio, ma adesso che non c’è, mi manca già!».
«Quando torna?».
«Tra un paio di giorni».
«E ti sembrano un’infinità».
Mamoru annuì con una smorfia, poi ricambiò il sorriso di Motoki.
Entrambi stavano pensando a quanto fosse assurda quella situazione, che fino a un mese prima sembrava impossibile. E, invece, era accaduto! Mamoru Chiba si era innamorato.
Mamoru ci pensò su qualche secondo, poi capendo che non avrebbe resistito altro tempo lontano da lei, prese la sua decisione.
«Basta, – esclamò – Domani mattina parto e la raggiungo».
«Cosa fai?» chiese Motoki stupito da quell’improvvisa decisione.
«Se parto verso le sette, alle dieci sarò da lei e forse ce la faccio anche a tornare per il pranzo».
Motoki non aveva parole.
«Dov’è che vai, Chiba?» si intromise Heles che aveva notato, già da tempo, i due amici che chiacchieravano in disparte.
«Vuole andare da Usagi» rispose Motoki con un’espressione di sconcerto sul volto.
«Ma non era dalla sua famiglia?» chiese la ragazza.
«Sì! Ma ci vorranno solo tre ore di macchina!» rispose Mamoru.
«All’andata! Più altre tre al ritorno!» aggiunse Motoki, al quale quell’idea sembrava un’assurda follia.
«Ma non puoi trovarti un albergo e stare lì un paio di giorni?» chiese Heles.
« No – rispose Mamoru – Non voglio distoglierla dalla sua famiglia! Ci teneva tanto a tornare a casa».
«E che andresti a fare? Giusto il tempo di un bacio?» lo prese in giro Motoki.
«No. Vado ad augurarle Buon Natale e a portarle il mio regalo».
«Oh, mamma! Mamoru Chiba che dispensa auguri e compra regali di Natale!» rise Motoki.
«Amico mio, tu sei completamente andato! – esclamò Heles che ancora stentava a credere – Quella ragazza ti ha fatto davvero perdere il lume della ragione!».
Mamoru rise. Quella sua improvvisa decisione aveva lasciato i suoi due amici di stucco. O forse, era l’improvviso e repentino cambiamento che Usagi aveva causato in lui a scatenare in loro quella reazione.
«Allora, sarà meglio che vada – esclamò Mamoru, senza perdere altro tempo – Ho bisogno di dormire prima di partire. Grazie ancora per la cena Motoki! Vi faccio avere mie notizie domani mattina».
E così dicendo, si avviò verso la sala da pranzo a salutare Reika e gli altri ospiti, prima di andare via.
«Credi che questo suo modo di fare sia normale?» chiese Heles quasi preoccupata.
Motoki scoppiò a ridere ancora una volta.
«No che non lo è! Sembra un ragazzino, non lo riconosco più. Ma in fondo è quello che volevamo, no?».
«Già – rispose Heles scuotendo la testa divertita – Sono felice per lui. Spero solo che non si faccia male, se dovesse cadere, visto lo slancio con cui è partito».

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Capitolo 15
*** Buon Natale, Amore Mio! (2a parte) ***


BUON NATALE, AMORE MIO! ( 2a parte) 
 
 
Quando Usagi aprì gli occhi, la prima cosa che vide furono le tendine rosa della sua stanzetta. Sorrise al pensiero che era stata proprio lei, anni addietro, a sceglierle di un colore così infantile.  
Decise di alzarsi, nonostante la sera precedente avesse fatto piuttosto tardi e avesse bevuto un po’ troppo. Il tepore e la morbidezza del suo letto la invitavano a desistere da quella che sembrava un’ardua impresa, ma aveva almeno due ottimi motivi per non continuare a poltrire: era Natale e voleva godersi la sua famiglia.
Si fece coraggio e, decisa, spostò le coperte di lato.
«Brrrrrr!» esclamò, quando il freddo della stanza avvolse il suo corpo ancora caldo, penetrandole fino alle ossa.
Rapida indossò la sua vestaglia di pile rosa e si affrettò a scendere per la colazione.
Che gioia fu trovare tutti già svegli, intorno alla tavola!
«Buongiorno e buon Natale!» esclamò con un sorriso radioso, entrando in cucina.
L’odore del caffè e della crostata di Yumiko riempivano l’aria, rendendo l’atmosfera ancora più intima e familiare.
Usagi inspirò profondamente quel profumo, in modo da riempirsene il più possibile l’anima e farne scorta per le sue tristi colazioni da sola.
“Tristi quando non ci sarà Mamoru!” pensò sognante, mentre si sedeva al suo solito posto, accanto a Shingo.
 
Erano le nove passate e Mamoru era in viaggio già da un paio di ore.
Aveva chiesto l’indirizzo di Usagi in ospedale, all’ufficio del personale, e alle sette in punto era partito. Era ormai quasi giunto a destinazione.
La ragazza viveva in un quartiere residenziale periferico, piuttosto lontano dal centro della città, ai piedi di una maestosa collina.
Mamoru ci mise un po’ a individuare la direzione giusta, poiché, a quell’altitudine, il navigatore continuava a fare i capricci e a perdere il segnale.
Ma, fortunatamente, non c’era neve e il viaggio era proseguito senza grossi intoppi, secondo la sua tabella di marcia.
Chissà che faccia avrebbe fatto Usagi, quando l’avrebbe chiamata per dirle che era lì!
Era stato tentato di avvisarla del suo arrivo, ma lei amava le sorprese e lui non aveva saputo fare diversamente. Sorrise, invaso da un senso di pace profonda. Pochi minuti ancora e l’avrebbe avuta di nuovo tra le sue braccia.
«Ecco, ci siamo!» esclamò, accostando la sua auto poco distante da quella che doveva essere la villetta degli Tsukino.
Selezionò la voce “Usako” nella rubrica del suo telefono e abbassò il volume dell’autoradio.
 
Dopo aver fatto una doccia calda ed essersi vestita, Usagi accese il pc. Consultò qualche sito internet e un paio di riviste on-line di medicina, poi diede una rapida scorsa alla posta. A parte i vari messaggi pubblicitari, che eliminò direttamente, senza neanche aprirli, ne notò due che non esitò a leggere immediatamente.
Uno era di Takashi, che, senza troppi giri di parole, diretto come sempre, le chiedeva di passare insieme il Capodanno. Aggrottò la fronte. Una smorfia divertita comparve sul suo viso.
“Sono cambiate un bel po’ di cose dall’ultima volta, mio caro Takashi!” disse tra sè.
Magari lo avrebbe chiamato più tardi per accennargli le ultime novità e invitarlo a farsene una ragione, visto che il loro particolare rapporto sarebbe cambiato. Sempre che lui fosse stato intenzionato a coltivare una normale amicizia.
Il secondo messaggio, invece, era di Naru, che le faceva gli auguri di Natale e ne approfittava per inviarle in allegato qualcosa che sperava le facesse piacere.
Usagi cliccò curiosa sull’icona in alto e, con sua grande sorpresa, sullo schermo comparve la foto scattata proprio da Naru alla festa degli specializzandi e che ritraeva lei e Mamoru.
Che pensiero dolcissimo da parte sua!
Naru si era accorta di tutto dall’inizio, ma per discrezione non aveva mai detto niente.
«Non ho mai pensato che il tuo fosse un amore interessato. Siete una coppia bellissima e ho sempre fatto il tifo per voi!» le aveva risposto quando Usagi, dopo l’episodio del gelato, aveva cercato di giustificare la sua storia con un superiore.
La ragazza aveva dimostrato di non avere pregiudizi nei suoi riguardi, nonostante si conoscessero da poco, e di meritare l’amicizia sincera di Usagi.
Si affrettò quindi a risponderle e a ringraziarla di cuore per quella bella sorpresa.
Aprì di nuovo la foto per osservarla meglio e si trovò piuttosto strana in quell’immagine.
L’ imbarazzo del momento in cui era stata scattata era palese sul suo volto contrito e teso. Ricordava benissimo l’agitazione di quella sera e tutto ciò che era successo dopo. Sospirò con aria trasognata.
Mamoru, invece, era sempre bellissimo.
Come una stupida, si ritrovò a pensare se fosse più bello con lo smoking o con il camice, con jeans e maglietta o … nudo nel suo letto. Rise a quel pensiero. Eh sì, era decisamente in piena tempesta ormonale!
“Chissà se è già sveglio!” pensò allungando il braccio per prendere il telefono, che, però, proprio nello stesso istante, cominciò a squillare.
«Buon Natale!» esclamò la voce di Mamoru dall’altro lato del telefono.
«Buongiorno e buon Natale a te! – rispose la ragazza sorridendo – Credevo non ti piacesse questa festa».
«Infatti, non sbagli, ma è che ultimamente sono circondato da persone con un forte spirito natalizio … sarò stato contagiato!» disse lui ironico.
«Spiritoso! – esclamò Usagi con una smorfia – Dove sei adesso?».
«Ehm … sto andando in ospedale, c’è stata un’emergenza».
Mamoru cercò di essere il più convincente possibile e di non far trapelare nulla.
«Ma hai detto che non eri reperibile».
«Già, ma a quanto pare sono l’unico neurochirurgo rimasto in città – cercò di giustificarsi, sperando di essere creduto. Poi, rigirò la domanda - Tu, invece, dove sei?».
«A casa, nella mia stanza».
 Capisco. La tua stanza affaccia sulla strada?».
Usagi corrugò la fronte. E questo che c’entrava?
«Sì, ma perché me lo chiedi?».
«Mi sono sempre chiesto cosa si vedesse dalla tua finestra. Per esempio, adesso, se ti affacci, che vedi?».
«Mamo-chan, sei impazzito o hai bevuto?» chiese la ragazza con sarcasmo.
«Non sei per niente romantica! Volevo solo immaginare di essere con te e vedere le stesse cose che vedi tu» rispose lui fingendosi offeso, ma in realtà divertito dalla reazione della ragazza.
Usagi scrollò le spalle, ancora meravigliata da quella strana richiesta, poi uscì sul suo balcone, incurante del gelo che le pungeva la pelle.
Da lontano, Mamoru riuscì a distinguere la sua sagoma.
«Allora, c’è il mio giardino, che adesso è spoglio e triste. Poi si vede la strada, un lungo viale di ciliegi, che in primavera si riempiono di fiori bianchi e rosa. A sinistra inizia il pendio della collina e a destra … ».
Usagi si bloccò improvvisamente. In lontananza, nel silenzio e nella solitudine del quartiere, notò una macchina rossa, che non aveva mai visto e che sembrava essere proprio quella di Mamoru. Adesso aveva anche le allucinazioni!
“Naaa, ci saranno migliaia, se non addirittura milioni, di macchine come la sua!” si disse scuotendo la testa.
«A destra?» insistette Mamoru.
«Una macchina rossa».
«E poi?» chiese ancora lui, mentre scendeva dalla sua auto.
«C’è anche una persona che … - arrivò a rispondere prima che il respiro le si bloccasse - Tu sei pazzo!» aggiunse sgranando gli occhi per la sorpresa, dopo aver riconosciuto Mamoru.
«Sì!» esclamò lui, divertito dalla reazione di Usagi.
«Ma pazzo davvero!».
La ragazza stentava ancora a credere che quella persona fosse realmente lui, mentre il cuore le batteva a mille per la gioia.
«Sì, pazzo davvero! E adesso vuoi scendere?».
Usagi non se lo fece ripetere. Rientrò e come una furia si precipitò giù per le scale.
«Dove vai, Usagi?» le chiese Yumiko vedendola sfrecciare davanti al salotto.
«Ti spiego dopo!» gridò lei, sbattendo dietro di sé la porta d’ingresso e lasciando la donna interdetta, a chiedersi cosa le fosse successo.
Corse come un fulmine lungo quel silenzioso viale alberato che la divideva da lui e che sembrava non finire mai e, quando finalmente lo raggiunse, concluse quella folle corsa saltandogli in braccio e avvolgendogli le gambe intorno alla vita.
Mamoru l’accolse con prontezza, ma la forza del suo slancio lo fece barcollare leggermente, costringendolo ad appoggiarsi alla portiera della macchina per non cadere. Le loro labbra si incontrarono immediatamente, schiudendosi subito in un bacio profondo e travolgente, dal quale non riuscivano più a staccarsi, neanche per riprendere fiato.
Sembrava la scena di uno di quei film romantici, dove i protagonisti si ritrovano dopo tanto tempo. Solo che, nel loro caso, la lontananza era durata poco più di un giorno e non avevano saputo resistere oltre.
«Ehi, - le disse facendole appoggiare lentamente i piedi a terra- che accoglienza!».
Usagi non riusciva a parlare, persa nel blu di quegli occhi, che dal primo momento l’avevano incantata. Gli accarezzò il viso, con incertezza, quasi come se non credesse ancora che lui fosse lì, vero e reale, a stringerla tra le sue forti braccia.
Mamoru le posò un bacio tenero sulla fronte, mentre lei sospirava, godendo fino in fondo di quel gesto d’amore che tanto le era mancato.
«Sono contenta che tu sia qui» alla fine riuscì a pronunciare.
«Anche io sono contento» sussurrò lui sulle sue labbra, poco prima che queste si schiudessero in un nuovo bacio, meno impetuoso ed esigente, ma altrettanto passionale e profondo.
«Volevo augurarti buon Natale e, soprattutto, ci tenevo a darti questo» disse Mamoru, staccandosi leggermente da lei ed estraendo dalla tasca della giacca un pacchetto rosso, che porse a Usagi.
La ragazza prese tra le sue mani quel pacchetto rettangolare, confezionato in maniera così elegante che quasi aveva paura a scartarlo. Lo rigirò tra le mani, ammirandolo, indecisa su cosa fare. Tutto si aspettava, tranne che un regalo di Natale da parte di Mamoru.
«Forse dovresti aprirlo» le suggerì lui.
Usagi con un colpo deciso stracciò la carta che lo avvolgeva, scoprendo un cofanetto di velluto blu. Lo aprì e sgranò gli occhi per la meraviglia, quando ne vide il contenuto: una collanina con un bellissimo pendente a forma di mezzaluna, tempestato di brillantini.
«È bellissima!» esclamò entusiasta, puntando i suoi occhi azzurri luminosi in quelli di Mamoru, che sorrise contento.
Poi estrasse la collana dalla custodia e gliela porse, perché l’aiutasse a indossarla.
«Non dovevi! - esclamò Usagi, guardandolo, mentre con una mano accarezzava il gioiello che ora pendeva dal suo collo - Grazie Mamo-chan!» aggiunse avvolgendogli le braccia intorno alla nuca e baciandolo.
«Sono felice che ti piaccia, Usako – rispose il ragazzo accogliendola ancora tra le sue braccia – Ora, però, mi sa che è meglio che vada».
«Cosa?!? – chiese Usagi incredula – Vorresti dirmi che sei venuto fin qua solo per pochi minuti e solo per darmi il tuo regalo? Allora tu sei davvero pazzo! Non se ne parla proprio, adesso rimani qui!».
«Volevo vederti, anche solo per pochi minuti. Non posso rimanere».
«E perché mai? Sei libero e non sei reperibile, quale occasione migliore?».
«Usako, tu sei qui per la tua famiglia, non voglio rubarti il tempo che dedicheresti a loro. Lo so quanto ci tenevi a passare questo giorno a casa tua».
«Sì, ma ci tenevo anche a passarlo con te! Forza, prestami il telefono, il mio l’ho lasciato a casa. Chiamo Yumiko e le dico che ti fermi a pranzo con noi».
«No, no! Io torno a casa! Non voglio creare alcun disturbo».
«Ma quale disturbo? Yumiko ne sarà contenta. Adesso la chiamo e poi ce ne andiamo un po’ in giro. Forza, il telefono!».
«Usako, ma … ».
«Niente ma! Non ti faccio tornare a casa da solo il giorno di Natale! E poi l’hai detto tu che volevi conoscermi meglio ed entrare nella mia vita. Ecco, questa è parte della mia vita, benvenuto! E ora dammi il telefono, altrimenti ci vado personalmente ad avvisare Yumiko».
Non c’era verso di farle cambiare idea. Usagi era proprio testarda e, in fondo, Mamoru non aveva così tanta voglia di andarsene e separarsi ancora da lei. Così, ancora con qualche piccola reticenza, le passò il telefono, emettendo un profondo sospiro di rassegnazione.
«Pronto, Yumiko! Sono io, Usagi – disse non appena la donna ebbe risposto al telefono – Senti, ti ricordi di quella persona di cui ti ho parlato, Mamoru? È qui e l’ho invitato a pranzo, è un problema per te?».
«Assolutamente no, anzi, mi farebbe molto piacere conoscerlo».
«Bene! Solo che si rifiuta di venire perché ha paura di disturbare. Glielo dici tu che non è un fastidio?».
«Ma quale fastidio? Passamelo subito!».
Usagi sorrise soddisfatta porgendo il telefono a Mamoru, che, seppur imbarazzatissimo, fu costretto a rispondere.
«Pronto, buongiorno! » disse timidamente.
«Ciao Mamoru, sono Yumiko, la moglie del papà di Usagi. È un vero piacere fare la tua conoscenza, ma sarei ancora più lieta di conoscerti personalmente. Accetteresti il mio invito a pranzo? Ne sarei molto felice».
Mamoru esitò un attimo, fissando Usagi davanti a lui, che se la rideva.
«Ok, se non è un fastidio, accetto volentieri».
Alla fine era stato costretto a cedere.
«Oh, bene, mi fa molto piacere! Ci vediamo dopo allora».
«A dopo» rispose lui riagganciando e lanciando un’occhiata feroce ad Usagi, che continuava a ridere.
La ragazza, alla fine, intenerita dopo averlo messo in difficoltà, lo abbracciò, posandogli tanti baci sulle guance.
Mamoru non potè non sciogliersi sotto quei baci caldi e affettuosi della sua Usako.
«Riesci sempre a ottenere quello che vuoi, vero?» le chiese di nuovo sorridente.
Usagi annuì.
«Che ne dici adesso di una cioccolata calda per riscaldarci?» gli chiese, poi.
«Ottima idea! Fa piuttosto freddo qui».
E così dicendo, salirono in macchina e si avviarono verso il Moonlight Bar, pronti a recuperare quelle poche ore che avevano vissuto separati.
 
«Rilassati! – esclamò Usagi a un Mamoru visibilmente agitato, davanti alla porta di casa Tsukino – Sei teso come una corda di chitarra!».
Gli sorrise e con una mano gli accarezzò i capelli, mentre lui tentava di abbozzare un sorriso, che, invece, somigliava più a una smorfia.
«Andrà tutto bene, vedrai – aggiunse la ragazza – I miei sono tranquillissimi. Sachi praticamente viveva qui».
Il ragazzo la fissò, dimenticando per un attimo il suo stato di agitazione.
«Sachi? Chi è Sachi?» arrivò a chiedere, prima che la porta si aprisse e comparisse la figura di una donna.
«Benvenuto! Io sono Yumiko. Ci siamo parlati prima al telefono» disse sorridendo e tendendogli la mano per salutarlo.
«È un vero piacere conoscerla, io sono Mamoru. La ringrazio per il suo invito».
«Ma figurati, è un vero piacere per me. Ma prego, accomodati. Usa-chan, fai tu gli onori di casa?».
Usagi lo trascinò verso il salotto, dove Kenji leggeva il giornale sul divano, mentre Shingo e Chibiusa, seduti a terra, davanti al televisore, si divertivano con i videogiochi.
L’atmosfera che regnava era di grande armonia e serenità, e Mamoru avvertì subito una sensazione di intimità e calore invaderlo.
Il momento delle presentazioni con il padre e il fratello maggiore di Usagi non fu così tragico come aveva immaginato. Non erano affatto i due orchi dagli occhi infuocati e minacciosi, che si aspettava, pronti a sbranarlo se avesse osato fare del male alla loro Usagi. E la piccola Chibiusa era un’Usagi in miniatura, davvero deliziosa, se si escludeva il fatto che avesse deciso di metterlo da subito in imbarazzo, ancora di più di quanto non lo fosse già.
«Sei il fidanzato di Usagi?» aveva chiesto con aria innocente.
«Ehm … » farfugliò Mamoru.
“E adesso che le dico?”.
«Ehm … sì!».
«E le vuoi bene?».
Cavoli, la seconda domanda era pure peggio della prima. A mettere così a nudo i propri sentimenti, davanti a tutti, proprio non ci era abituato. Ma cos’era, il tribunale dell’Inquisizione?
«Certo che le voglio bene!» rispose cercando di sembrare naturale e provando a smorzare la tensione, sotto gli sguardi curiosi della famiglia Tsukino al completo.
Fortunatamente, la bambina sembrò soddisfatta dalle sue risposte. L’unica cosa che le stava a cuore era la felicità della sorella e Mamoru con le sue risposte l’aveva rassicurata che non c’era da temere. E così, con un grande sorriso stampato sul viso si allontanò tornando ai suoi giochi, mentre Mamoru potè tirare un enorme sospiro di sollievo.
 
Il pranzo andò benissimo. Yumiko era un’ottima cuoca e la compagnia era delle migliori.
Mamoru, salvo il più che normale imbarazzo iniziale, si sentì perfettamente a suo agio con la famiglia di Usagi. Erano davvero molto affiatati e sentì quasi di far parte di quel calore familiare.
In particolare, si trovò subito d’accordo con Shingo, che era un ragazzo molto intelligente, ma anche simpatico e spiritoso. Si divertì con lui a prendere in giro la povera Usagi, che però non sembrava prendersela. Anzi, era piuttosto contenta che Mamoru si fosse subito adattato, nel migliore dei modi, a quella insolita situazione. E non aveva importanza se avesse cominciato a chiamarla Odango, dopo aver scoperto la buffa acconciatura a polpette che portava da piccola, anche se lei si fingeva irritata.
Per tutto il tempo, il ragazzo ebbe modo di osservare il rapporto che legava tutti i membri della famiglia Tsukino. I tre fratelli erano molto uniti, nonostante le differenze di età e di carattere. Yumiko era dolce e affettuosa e si vedeva lontano un miglio quanto amasse Usagi e Shingo, nonostante non fossero figli suoi.
E Usagi, poi! Era così allegra!Quella parte fredda e cupa di lei, che aveva conosciuto, sembrava quasi non esistere. Era un’altra persona, così serena, sorridente e rilassata.
Ma, in particolare, l’attenzione di Mamoru si focalizzò su Kenji. Non aveva niente a che vedere con suo padre Hiroshi. Era un avvocato importante e, stando a quanto gli aveva raccontato Usagi era sempre impegnato e spesso viaggiava per lavoro, ma questo non sembrava aver compromesso in alcun modo il suo ruolo all’interno della famiglia. Non perdeva occasione di dimostrarsi affettuoso e premuroso nei confronti della moglie e dei suoi figli, a dimostrazione, dunque, che quella di Hiroshi Chiba era soltanto una scusa. Del resto, pensò, Hiroshi era sempre stato impegnato altrove.
«Tutto bene?» gli chiese la ragazza, sedendosi accanto a lui sul divano e accarezzandogli amorevolmente i capelli, mentre Yumiko serviva il dolce e il caffè.
Mamoru annuì.
«Siete proprio una bellissima famiglia!» disse.
Usagi sorrise.
«Lo so! - rispose, immaginando tutta la malinconia del ragazzo nascosta dietro quella frase - Da oggi, se lo vuoi, ne fai parte anche tu!».
Mamoru si sentì riempito dall’amore di Usagi, espresso attraverso quelle semplici e dolci parole. Adesso che c’era lei nella sua vita, tutto il resto non aveva importanza. E lui l’amava più di qualunque altra cosa. Chiuse gli occhi godendo della delicatezza delle sue carezze e stringendo con passione la sua mano piccola e delicata, senza aver timore di mostrare ad altri quell’innocente effusione.
«Vieni, voglio mostrarti una cosa» esclamò la ragazza improvvisamente, alzandosi dal divano. Mamoru la guardò con aria interrogativa.
«Non preoccuparti – lo rassicurò lei, facendogli l’occhiolino – è solo giunto il momento di darti il mio regalo!».
«Un regalo per me?» chiese il ragazzo sorpreso.
Usagi annuì sorridendo. Gli prese la mano e lo condusse fino in soffitta.
 
«Vedo che qui sei molto più attrezzata che a casa tua» esclamò Mamoru ironico, osservando la saletta che Usagi aveva allestito per dedicarsi alla sua passione per la danza.
«È una questione di spazi. L’altra casa è troppo piccola – rispose la ragazza. Poi aggiunse – Comunque non è questo il tuo regalo».
E, mentre si dirigeva verso l’armadietto bianco, lo guardò maliziosa, alludendo a come era andata a finire la prima volta che aveva ballato per lui.
Mamoru rispose a quel sorriso furbo abbracciandola da dietro e posandole un casto bacio sul collo, indugiando per qualche secondo sulla sua pelle bianca e profumata.
Usagi, senza farsi sedurre dalla sensualità di quel bacio, aprì le ante dell’armadio e ne estrasse una valigetta marrone rigida, con un enorme fiocco rosso.
«Buon Natale!» esclamò sorridente, porgendola a Mamoru.
Lui la guardò curioso, non riuscendo a immaginare cosa potesse contenere. Poggiò quella strana custodia sul tavolo e l’aprì. Sgranò gli occhi per lo stupore, quando si trovò davanti una decina di vinili dei Beatles, introvabili. Insomma, un vero tesoro.
«Usako, ma sono stupendi – disse ammirandone uno e rigirandoselo tra le mani – Avrai speso una fortuna!».
«Lo sapevo che ti sarebbero piaciuti! Li ho presi ieri pomeriggio in un negozio di dischi fornitissimo, qui in centro».
«Grazie, Usako!» le disse poi abbracciandola.
La ragazza si avvicinò alla valigetta e cominciò a rovistare tra i dischi. Ne estrasse uno.
«Eccolo!» esclamò.
Lo sistemò sul suo giradischi e posizionò la testina. La voce di John Lennon cominciò a cantare dolci parole d’amore, mentre Usagi e Mamoru, abbracciati, si muovevano lentamente, seguendo quella musica che avvolgeva i loro cuori.
 
Love is real, real is love
Love is feeling, feeling love
Love is wanting to be loved
Love is touch, touch is love
Love is reaching, reaching love
Love is asking to be loved

Love is you
You and me
Love is knowing
We can be

Love is free, free is love
Love is living, living love
Love is needing to be loved




Non parlavano. Ascoltavano il battito dei loro cuori, il ritmo cadenzato dei loro respiri. Guancia a guancia, stretti in un abbraccio infinito. E John Lennon continuava a cantare le parole che Usagi non aveva mai saputo pronunciare, ma che scalpitavano per venire fuori.
“L’amore sei tu, tu e io, l’amore è conoscere ciò che possiamo essere”.
Alla fine, Usagi aveva ceduto completamente, permettendogli di entrare nella sua vita e dando a entrambi la possibilità di vedere cosa avrebbero potuto costruire insieme.
“L’amore è libero, l’amore è vivere l’amore, l’amore è avere bisogno di essere amati”.
Alla fine, Usagi aveva scelto di sciogliere i suoi vincoli e di essere libera, aveva scelto di vivere l’amore, perché non c’era niente di più bello che amare ed essere amati.
«Buon Natale, amore mio!» gli sussurrò dolcemente, mentre la musica sfumava in sottofondo. Mamoru le prese il viso tra le mani, fissando i suoi occhi blu in quelli azzurri di lei, cielo notturno che si specchiava in un mare limpido e cristallino, come la prima volta, come ogni volta.
Aveva compreso perfettamente la dichiarazione d’amore di Usagi, di quella donna che era entrata così prepotentemente nella sua vita e di cui già non riusciva più a fare a meno, di quella creatura così bella e delicata, che in quel momento gli stava donando il suo cuore.
«Buon Natale anche a te, amore mio!» pronunciò, posando le sue labbra su quelle morbide e calde di lei. Un bacio casto e innocente, che divenne sempre più intimo e travolgente, come a suggellare la tacita promessa che si erano appena scambiati.
Staccandosi piano e a malincuore dalla bocca di Usagi, Mamoru rise, ancora appoggiato sulle labbra umide di lei.
«È meglio che ci fermiamo qui, altrimenti non rispondo più delle mie azioni».
La ragazza sorrise d’accordo, donandogli un ultimo delicato bacio, prima di sciogliersi definitivamente dall’abbraccio.
Appena in tempo!
«Usa, Usa! Vieni a vedere, nevica!».
La voce allegra di Chibiusa, che si affacciava sulla porta aperta della soffitta, li richiamò alla realtà.
«Davvero? – esclamò la ragazza con lo stesso tono entusiasta della sorellina – Andiamo a vedere Mamo!».
Abbondanti fiocchi di neve cadevano velocemente giù dal cielo e avevano già ricoperto l’intero giardino. Era uno spettacolo magnifico.
«Non puoi tornare a casa con questo tempo!» esclamò Kenji rivolto a Mamoru.
«Non è un problema, sono abituato a guidare con la neve» rispose il ragazzo.
«Ma è buio e il tempo peggiorerà!» intervenne Usagi.
«È pericoloso, Mamoru! Rischieresti di rimanere bloccato in una bufera – continuò Kenji – Perché non ti fermi qui per la notte? Abbiamo una stanza per gli ospiti. Poi domani mattina ripartirai».
Mamoru rimase spiazzato da tanta disponibilità.
«Non vorrei crearvi altri fastidi, davvero!» rispose il ragazzo.
«Ma quali fastidi? È deciso, stanotte resti qui! Chi la sentirebbe Usagi se dovesse succederti qualcosa!» aggiunse l’uomo sorridendo e strizzando un occhio.
Mamoru sorrise di rimando. Adesso capiva da chi avesse preso Usagi.
«Ok, grazie mille, signor Tsukino».
 
Distesa nel suo letto, non riusciva ad addormentarsi. Si girava e rigirava, nel tentativo di trovare la posizione adatta che le conciliasse il sonno, ma niente da fare. Morfeo, per quella notte, aveva deciso di non passare a farle visita.
Era l’una passata e il pensiero di Mamoru, nella stanza accanto alla sua, era un chiodo fisso. Un’idea decisamente folle, data la situazione, le era balzata in mente e non riusciva più a mandarla via.
«Basta!» esclamò saltando in piedi dal letto.
Aprì con cautela la porta della sua stanza e drizzò le orecchie per captare eventuali rumori. Niente, via libera!
La stanza di Kenji e Yumiko era dall’altro lato del corridoio e non c’era il problema che si alzassero nel cuore della notte, dato che avevano il bagno in camera. Chibiusa aveva ereditato proprio da lei il gene del sonno profondo e neanche le cannonate l’avrebbero svegliata, e sapeva che Shingo non avrebbe spifferato nulla se l’avesse scoperta.
Si fece coraggio e, piano piano, si avvicinò alla stanza dove dormiva Mamoru.
«Mamo-chan, dormi?» sussurrò aprendo lentamente la porta.
«Usako, che ci fai qui?» rispose a bassa voce lui.
«Non riuscivo a dormire, sapendo che tu eri qui - rispose richiudendo delicatamente la porta alle sue spalle e avvicinandosi al letto - Ho voglia di fare l’amore con te!» aggiunse provocante.
«Qui? Adesso?» chiese lui.
Nella penombra della stanza, Usagi non riusciva a distinguere la sua espressione, ma dal tono di voce le era sembrato quasi preoccupato. Le scappò una risatina sommessa.
«Mhm, mhm!» rispose, mentre con le labbra già si era avvicinata ad accarezzargli il collo.
«Usako, ma non mi sembra il caso. Nella stessa casa in cui dorme la tua famiglia!» protestò lui, cercando di sottrarsi a quelle pericolose carezze.
«Come sei antico!» esclamò lei senza demordere e continuando a baciarlo.
«Non sono antico! Non mi sentirei a mio agio sapendo che qualcuno potrebbe scoprirci. Sai che figura!».
«Nessuno entrerebbe in questa stanza, fidati! Quindi non possono scoprirci».
«Ma è una mancanza di rispetto nei confronti di tuo padre, che è stato così gentile a ospitarmi!» disse, mentre i baci caldi di lei già cominciavano a far vacillare la sua integrità morale.
«Gli chiederai scusa domani!» disse Usagi ironica, alzandosi dal letto per sfilarsi il pantalone del pigiama.
Con uno scatto scostò le coperte sistemandosi a cavalcioni su di lui.
«Nessuno ci sentirà, saremo silenziosi!».
«Guarda che tu non lo sei per niente!» rispose lui malizioso.
Era ancora combattuto tra il senso del dovere nei confronti di Kenji e la forte eccitazione che quella situazione gli aveva provocato.
Usagi continuava a sfiorarlo con le labbra, mentre la sua mano, audace, scendeva sempre più giù. Resistere o cedere? La pressione sul proprio torace nudo del morbido seno di Usagi, libero sotto la sottile maglia del pigiama, fu la goccia che fece traboccare il vaso. La lussuria di quel contatto sciolse ogni dubbio, facendolo andare completamente in tilt.
«Al diavolo!» esclamò sfilandole con foga la maglietta e cominciando ad assaporare le sue morbide rotondità, mentre lei sorrideva compiaciuta e lo spingeva supino sul letto.
Il corpo di Usagi era infuocato ed eccitante, ancora più del solito. La visione di lei, nuda e bellissima, lo mandava in estasi. Era uno spettacolo vederla muoversi così lasciva, mentre a stento tratteneva ansimi di piacere, nel tentativo di essere più silenziosa possibile. Uno spettacolo riservato solo a lui!
Le mani di Mamoru fremevano nel desiderio estenuante di prendere il controllo e di dirigere la situazione. Le afferrò i fianchi e con uno scattò deciso invertì le posizioni, ritrovando quel corpo voluttuoso ed esigente sotto il proprio.
La baciò con passione, come a voler reprimere quei piccoli gemiti che Usagi non riusciva a trattenere.
«Sto mancando di rispetto a tuo padre» le sussurrò sorridendo.
«Ma stai facendo felice me» rispose lei con una voce sensuale, che lo accese ancora di più.
Una spinta più decisa e profonda, costrinse Usagi a inarcare la schiena, mentre non riusciva a controllare un gemito più forte, che Mamoru prontamente soffocò, catturando di nuovo la sua bocca. Risero, ancora labbra contro labbra.
«Scusa» sussurrò lei, mentre gli accarezzava la schiena.
Mamoru non riusciva a credere quanta felicità potesse nascere da un momento come quello, indipendentemente dal piacere fisico di possedere la sua compagna. Usagi era sua anche nell’anima. Erano complici e insieme si completavano.
Le accarezzò delicatamente il viso, incantato dalle sue espressioni di abbandono totale, proprio mentre sentivano che il culmine del piacere era vicino. Usagi si aggrappò alla schiena di Mamoru, mordendogli una spalla nel tentativo disperato di soffocare l’ultimo gemito estremo, quello più intenso. Mamoru si liberò completamente dentro di lei, accasciandosi, alla fine, sul suo corpo.
«Ti amo» le sussurrò in un orecchio.
Usagi girò il viso verso di lui.
«Ti amo!» rispose fissando i suoi occhi azzurri ricolmi di amore, in quelli blu di Mamoru, che brillavano solo quando erano pieni di lei.
 
«Chi è Sachi?» chiese all’improvviso Mamoru, mentre erano ancora sotto le calde coperte abbracciati.
Usagi lo guardò e le parve di scorgere un velo di gelosia negli occhi del suo compagno.
«È il mio ex-fidanzato! Quello che proclamava a destra e a manca tutto l’amore che aveva per me e alla fine mi ha lasciato dopo aver messo incinta un’altra!».
Per la prima volta Usagi rise di quella storia.
«È acqua passata Mamo! Ora ci sei solo tu» aggiunse, allungando il viso verso di lui per baciarlo.
Ma Mamoru si scansò voltandosi dall’altro lato, mentre Usagi lo guardava con sconcerto.
«Acqua passata, dici? E perché il primo che ti è venuto in mente è stato proprio lui?».
Usagi sorrise. Quanto lo amava quando faceva il geloso! Era ancora più sexy!
«Perché è l’unico fidanzato che ho avuto e che ha conosciuto i miei genitori – rispose con naturalezza cercando di tranquillizzarlo – Ma non ti preoccupare, a loro non piaceva quanto piaci tu!».
Ma Mamoru la guardò con un’espressione scettica, al che Usagi aggiunse:
«E se proprio lo vuoi sapere, non l’ho mai amato! Me ne sono resa conto quando ho conosciuto te».
Mamoru non dava segno di crederle e la ragazza sospirò, quasi infastidita.
«Vestiti pesante, usciamo! Ti porto in un posto speciale».
 
Non era stato facile convincere Mamoru a rivestirsi e uscire nel cuore della notte, soprattutto dopo la bufera di neve che c’era stata. E a pensarci bene, non era stata proprio una buona idea decidere di portarlo lì con quel freddo. Ma lei ci teneva tantissimo e, alla fine, era riuscita a convincerlo.
Otteneva sempre tutto quello che voleva, l’aveva detto lui!
Nonostante l’iniziale reticenza per quell’idea e il fastidio che ancora provava dopo averla sentita parlare del suo ex-fidanzato, Mamoru rimase senza fiato quando si trovò ad ammirare quel panorama suggestivo della città, dal grande terrazzamento in cima alla collina.
Arrivarci con tutta quella neve, di notte, era stata un’impresa. Ma alla fine ne era valsa la pena! L’unica cosa che non capiva era perché, a parte per la bellezza del posto, Usagi avesse scelto di portarlo proprio lì.
«La prima e unica volta che sono venuta qui mi ha portato proprio Sachi - disse lei, quasi interpretando i pensieri di Mamoru – Rimasi incantata dalla bellezza del panorama e la prima cosa che pensai fu che avrei voluto portarci la persona che amavo».
Mamoru la guardò, ancora infastidito, senza però riuscire a capire cosa lei stesse cercando di dire.
Usagi intuì i suoi dubbi.
«Mamo, quello che sto cercando di dirti è che, benché lui fosse il mio fidanzato, io pensavo a qualcuno che ancora non conoscevo. È stato in quel momento che ho incominciato a dubitare dei miei sentimenti».
Gli si avvicinò prendendogli una mano.
«Quello che sto cercando di dirti è che tu sei il mio primo e unico amore e che quella sera di tanti anni fa era te che volevo accanto a me ad ammirare questo panorama. Può sembrare una cosa stupida, ma è un sogno che avevo da tempo. E stasera l’ho realizzato!».
Lo sguardo di Mamoru si era addolcito di fronte alla dolcezza e alla spontaneità di Usagi e, senza pronunciare una parola, l’abbracciò con forza e passione, grato di tutto quello che lei gli aveva donato in così poco tempo.
«Non è una cosa stupida, Usako! – le sussurrò – Mi hai fatto entrare completamente nel tuo mondo e io sono la persona più felice della terra!».
 
Nel cuore della notte, nel buio più assoluto, rischiarato solo dal pallido riflesso dei raggi della luna sulla neve, Usagi e Mamoru abbracciarono definitivamente la consapevolezza di essersi cercati e trovati. Adesso si appartenevano e da quel momento niente li avrebbe più divisi.

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Capitolo 16
*** Nubi all'Orizzonte ***


NUBI ALL’ORIZZONTE 
 
 
6 mesi dopo …
 
Era in ritardo, clamorosamente in ritardo!
Stavolta Mamo si sarebbe arrabbiato sul serio.
Ma non poteva mica pretendere che, dopo un esame di cinque ore e un turno di sei, si presentasse a casa di Motoki e Reika senza nemmeno fare una doccia e darsi una sistemata!
E poi la festeggiata era lei, che aveva superato brillantemente l’esame del primo anno di specializzazione, e poteva permettersi il lusso di arrivare un po’ più tardi … già, un po’ più tardi, non un’ora e mezza dopo! E non poteva neanche avvisare per via del cellulare scarico. Dannazione!
Se solo quella vipera della Haruna non l’avesse trattenuta inutilmente più del dovuto. Era sicura che l’avesse fatto di proposito. Era risaputo che avesse un particolare interesse per il dottor Chiba e, da quando la sua storia con Mamoru era stata ufficializzata, era diventata ancora più acida, soprattutto nei suoi riguardi.
“Strega invidiosa!” l’apostrofò Usagi, indispettita da quel pensiero.
 
«Non sei ancora riuscito a rintracciarla?» chiese Motoki.
«No! Ha il cellulare staccato – rispose Mamoru, innervosito dall’eccessivo ritardo di Usagi – Stavolta mi sente, però!».
«Dai, sei il solito esagerato! – intervenne Heles – Forse è stata trattenuta in ospedale per un’urgenza».
«E tu sei sempre pronta a difenderla, eh? - rispose Mamoru - Qualunque cosa l’abbia trattenuta poteva benissimo avvisare!».
Heles rimase un attimo spiazzata dalla brusca risposta del suo amico. Osservò titubante la sua espressione accigliata e, alla fine, non ce la fece più a trattenersi.
«Che hai da ridere?» le chiese il ragazzo sconcertato.
«È che sei poco credibile. Stai sbraitando da un’ora come un vecchio orco, sembra chissà che sfuriata hai intenzione di farle e, invece, non appena la vedrai, basteranno due parole per farti dimenticare tutto».
Mamoru aggrottò la fronte perplesso.
Heles non aveva tutti i torti, ma non voleva certo passare per l’incoerente della situazione.
Guardò Motoki in cerca di appoggio, ma anche lui sembrava d’accordo con lei ed era anche alquanto divertito. E Reika e Michiru non erano da meno.
Alla fine, si vide costretto ad arrendersi, suo malgrado, e a ridere di se stesso, o almeno a provarci.
«Allora, Mamoru, - chiese all’improvviso Michiru, tornando seria – non avevi qualcosa da mostrarci?».
Sul volto di Mamoru comparve un sorriso sghembo e, senza proferire parola, il ragazzo estrasse qualcosa dalla tasca interna della giacca. Pose al centro della tavola una scatolina di velluto blu, tra gli sguardi curiosi e trepidanti dei suoi amici.
Con delicatezza, Michiru la prese e l’aprì.
«Ma è stupendo!» esclamarono all’unisono lei e Reika, mostrando poi l’anello anche agli altri.
«Degno della bellezza di Usagi!» affermò Heles, approvando la scelta.
«Sempre che accetti di sposarlo!» aggiunse Motoki in tono beffardo, riferendosi alla propria iniziale perplessità, e beccandosi un colpo sulla spalla da parte del suo amico.
Quando Mamoru aveva comunicato loro la sua intenzione di voler sposare Usagi, i suoi due amici avevano avuto reazioni completamente diverse tra loro e, senza dubbio, opposte rispetto a quelle attese.
Stranamente, Heles aveva reagito con grande entusiasmo, da subito, mentre Motoki era rimasto a dir poco sbalordito. Il suo dubbio era che fosse troppo presto, dato che si conoscevano da soli sei mesi, e pensava che la decisione di Mamoru fosse dettata solo dalla passione e dall’euforia del momento.
Ma il ragazzo aveva risposto che Usagi era la donna della sua vita e che, se non avesse sposato lei, allora era destino che non si sposasse affatto.
La determinazione e la sicurezza nei suoi occhi e nel tono della sua voce, mentre pronunciava queste parole, tolsero spazio ad ogni dubbio. E così anche Motoki, alla fine, non poté fare a meno di fargli il suo “in bocca al lupo”.
«Hai già deciso quando glielo darai e come?» gli chiese Reika sognante, al ricordo della romantica proposta di Motoki.
«Glielo darò la settimana prossima, il giorno del suo compleanno. Come, non lo so ancora» rispose Mamoru pensieroso.
Erano giorni che cercava un modo romantico per chiedere a Usagi di essere sua per sempre, ma le uniche cose che gli erano venute in mente erano banali e scontate.
Ci voleva qualcosa di speciale per la sua Usako. Ma cosa?
 
Saliva le scale a due a due, ringraziando tra sé la divina provvidenza di averle almeno concesso di trovare un parcheggio al primo colpo. Bussò e, mentre attendeva che qualcuno le aprisse, riprendeva fiato, dopo l’estenuante corsa.
«Ben arrivata, Usagi!» l’accolse Heles sorridente.
«Ti prego, dimmi che non è incavolato nero! Sono troppo stanca per litigare» chiese la ragazza con un’espressione supplichevole sul volto, mentre varcava la soglia dell’appartamento.
Heles scosse la testa sorridendo.
«Adesso non lo è più – la rassicurò, mentre Usagi sospirava di sollievo – Ma tu potevi almeno avvisarlo!».
«Batteria scarica - rispose sventolandole davanti il telefono - Buonasera a tutti e perdonatemi!» aggiunse, poi, entrando nel salotto e salutando.
«Non ti preoccupare, Usagi!» rispose la padrona di casa.
«Piuttosto, complimenti per il tuo esame» aggiunse Michiru, abbracciandola e baciandola.
Mamoru era in fondo alla stanza, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia conserte, e continuava a fissarla con sguardo severo.
«Spero tu abbia un ottimo motivo per giustificare il tuo enorme ritardo» le disse serio.
La sua esclamazione suonò come un rimprovero alle orecchie di Usagi. Ma Heles non aveva detto che adesso era calmo?
«Prenditela con la dottoressa Haruna – rispose per giustificarsi, mentre gli si avvicinava – Stasera ha deciso che le mie suture facevano schifo».
Mamoru osservava Usagi, mentre avanzava, con quel vestitino azzurro che richiamava il colore dei suoi occhi tentatori, i capelli legati e il viso ancora arrossato dalla corsa. Sospirò rassegnato davanti a quella sirena ammaliatrice.
«Ci parlo io con Sakurada, se vuoi» disse cingendole le spalle con un braccio e posandole un bacio sulla fronte.
Menomale, non era più arrabbiato!
«No, non ce n’è bisogno! – esclamò Usagi decisa- Me la so cavare da sola!».
E detto questo gli sfiorò dolcemente le labbra con un bacio.
«Che vi avevo detto? – si intromise Heles – Solo due parole!».
E tutti quanti scoppiarono a ridere, a eccezione della povera Usagi che, ovviamente, non comprese il motivo di tanta ilarità.
 
La cena organizzata sulla terrazza di Motoki e Reika, in quella calda sera di inizio estate, poté quindi proseguire tranquilla, come una serata tra vecchi amici.
Usagi aveva legato da subito con tutti e, ormai, era entrata a far parte di quel gruppo a pieno titolo, e non solo come la donna che aveva fatto capitolare Mamoru Chiba.
Di sicuro aveva il merito di essere riuscita, in poco tempo, in un’impresa considerata praticamente impossibile, ma aveva anche conquistato tutti con la sua spontaneità e la sua allegria.
Solare come sempre, al centro dell’attenzione di tutti, raccontava del suo esame, e, intanto, non dimenticava di lanciare nella direzione di Mamoru continui sguardi di intesa, ricolmi d’amore. E lui, da sei mesi ormai, si riempiva l’anima di quegli sguardi limpidi e cristallini.
Amava quella donna e non avrebbe potuto immaginare la propria vita senza lei.
 
Ogni mattina, a casa di Usagi, dove ormai vivevano, salvo l’arrivo di qualche ospite, si ripeteva sempre la stessa scena.
Mamoru si svegliava almeno con un’ora d’anticipo e, mentre lei continuava a dormire beatamente, lui si lavava, si vestiva, metteva su il caffè e preparava la colazione.
Solo quando era tutto pronto si decideva a svegliare la sua dormigliona. E quella mattina, tutto procedette come al solito.
«Svegliati, Usako! Altrimenti vado in ospedale da solo».
La voce di Mamoru era giunta da lontano a destarla dai suoi sogni. Sorrise. Non poteva esistere risveglio più dolce per lei.
Allungò le braccia per stiracchiarsi ed emise un sonoro sbadiglio.
«Buongiorno, piccola!» le sussurrò Mamoru chinandosi a baciarla.
Usagi gli avvolse le braccia attorno al collo trattenendolo su di sè.
«Buongiorno, Mamo-chan - gli disse lei col suo solito sorriso radioso – Ti stavo sognando».
«Ah, sì?- chiese curioso – E cosa sognavi?».
Usagi non rispose, ma si limitò a mostrare quello sguardo malizioso e birichino che poteva significare solo una cosa. Mamoru rise.
«Mi dispiace, amore – le disse posandole un bacio tenero sul naso e poi alzandosi in piedi – credo che dovremo rimandare la realizzazione dei tuoi sogni a stasera. È già tardi».
Usagi sbuffò. Certo che Mamoru, quando si calava nelle vesti del serio dottor Chiba, era proprio incorruttibile. Ma non gliel’avrebbe data vinta, sapeva bene come sedurlo. Un sorrisino beffardo comparve sul suo viso.
Corse in bagno a fare una rapida doccia e quando uscì, ancora in accappatoio, andò direttamente in cucina, dove lui era intento a leggere il giornale, mentre sorseggiava il caffè. Gli si parò davanti e, quando Mamoru alzò gli occhi dal giornale, Usagi decise di mettere in pratica tutte le proprie capacità seduttive. Cominciò prima a slacciare la cintura e poi a far scorrere lentamente l’accappatoio lungo il suo corpo ancora umido, fino a lasciarlo cadere completamente.
«Credi ancora che sia tardi?» gli disse con voce suadente.
Mamoru sembrò non batter ciglio. Si tolse gli occhiali, piegò il giornale e lo posò sul tavolo. Raccolse l’accappatoio di Usagi da terra e con un gesto rapido e deciso glielo avvolse attorno alle spalle.
«È tardi … » disse guardandola negli occhi.
Usagi si morse un labbro per la delusione. Forse non aveva tutte queste grandi capacità di seduzione! Almeno non con il dottor Chiba.
Era pronta a girar le spalle sconfitta, quando Mamoru l’afferrò di scatto, caricandosela sulle sue forti spalle.
« … ma penso che stavolta mi farò attendere!» aggiunse portandola verso la camera da letto, mentre lei fingeva di dimenarsi, dandogli tanti piccoli colpi sulla schiena e, nel contempo, ridendo soddisfatta.
Questo sì che era il suo Mamo-chan!
 
Un’ora dopo, entravano in ospedale mano nella mano, come tutte le mattine, da sei mesi a quella parte. L’infermiera li salutò sorridente.
«Buongiorno!» disse.
«Buongiorno, Himeko!» risposero all’unisono.
Ormai non dovevano più nascondersi, tutti sapevano che si amavano e che erano una coppia.
Avevano deciso da subito di ufficializzare la storia e di affrontare i pregiudizi dei colleghi, da quando erano rientrati dopo le vacanze di Natale.
Per Mamoru era stato alquanto semplice. Per tutti era solo il classico medico in carriera, giovane e bello, che seduce una sua allieva. Ma per Usagi non era stato altrettanto facile. Era subito stata additata come l’arrivista della situazione, che sfrutta la propria avvenenza fisica per trarne dei vantaggi. Ma fortunatamente aveva sempre potuto contare, oltre che sull’appoggio del suo fidanzato, anche su quello dei propri amici e degli amici di Mamoru, che erano sempre stati pronti a prendere le sue difese e a spegnere sul nascere ogni stupida chiacchiera. E così, passato il primo mese, alle fine, tutti i pettegolezzi erano scemati. Anzi, la maggior parte dei malpensanti aveva addirittura cambiato opinione, di fronte all’autenticità dei loro sentimenti, cominciando a considerarli una coppia bella e invidiabile.
 
Quella mattina correvano un po’ più del solito.
«Siamo in ritardo ed è colpa tua! » esclamò Mamoru con un finto tono irritato.
«Non mi pare che ti sia dispiaciuto! – disse lei guardandolo maliziosa – Soprattutto quando … ». Mamoru le impedì di continuare posandole due dita sulle labbra.
«Ho capito, non c’è bisogno di continuare con i dettagli - disse alzando un sopracciglio, con la solita espressione da furfante, che Usagi trovava divinamente sexy - Quelli possiamo ripassarli dopo nel mio ufficio! » aggiunse con un sorriso allusivo.
La salutò con un bacio sulle labbra, apparentemente casto, ma che racchiudeva in sé mille voluttuose promesse che Usagi captò all’istante.
Lei lo guardò allontanarsi lungo il corridoio opposto e sospirò sognante.
Il suo Mamoru! Bello, intelligente e tremendamente eccitante. Lo amava da impazzire e sognava di vivere tutta la vita con lui.
«Ehi, Usagi!».
Una voce maschile la destò dai suoi pensieri.
«Ciao Seiya!» rispose voltandosi.
«Sei dei nostri stasera? - le chiese il ragazzo, riferendosi alla serata che avevano organizzato per festeggiare la promozione. Poi con un sorriso ironico aggiunse - Non dirmi che il tuo fidanzato geloso ti terrà segregata in casa?».
Usagi alzò gli occhi al cielo sorridendo.
«Certo che verrò! Il mio fidanzato non mi tiene segregata in casa!».
«A proposito di che umore è, oggi?» continuò lui.
«Pessimo!» lo prese in giro Usagi per vendicarsi, sapendo che quella mattina toccava a lui assisterlo.
Seiya storse la bocca in segno di disappunto.
«Mi conviene andare, allora, prima che mi spedisca direttamente a fare clisteri. A stasera!».
«Non litigate!» si raccomandò Usagi, mentre Seiya scappava via.
Il ragazzo si voltò sorridendole.
«Dillo prima a lui!».
Usagi scosse la testa rassegnata.
Quei due erano come cane e gatto, proprio non riuscivano ad andare d’accordo.
Eppure, superati i pregiudizi iniziali, avevano imparato ad avere stima l’uno dell’altro.
Sul lavoro, poi, se la intendevano alla grande, tant’è che Mamoru lo sceglieva sempre più spesso come suo assistente, scatenando un pizzico di gelosia da parte di Usagi.
Quando la ragazza gli chiedeva come mai, nonostante tutto questo feeling professionale, litigassero in continuazione, la risposta di Mamoru era sempre la stessa.
«Boh! Forse inconsciamente sono ancora geloso di lui!».
E questo benché le vecchie rivalità si fossero appianate da tempo.
Seiya ormai aveva scelto, o meglio era stato costretto a dimenticare Usagi, sconfitto in partenza, senza avere neanche la possibilità di lottare, e aveva ereditato quello che prima era il ruolo di Mamoru: play-boy inguaribile, che amava volare di fiore in fiore.
Alla fine, il ragazzo aveva deciso di sfruttare il suo successo con le donne, cambiandone una a settimana. Ultimamente era il turno di Akiko, una giovane infermiera di pediatria, che, a differenza delle altre, era in carica da ben due settimane.
Forse Seiya aveva realmente dimenticato il suo amore per la bella collega o, magari, quello era solo il modo di convincersi che non provava più niente per lei.
 
Dopo una lunga giornata di lavoro, durata più del previsto, Mamoru era seduto alla scrivania nella stanza di Usagi.
Provava a sistemare gli appunti di una ricerca che stava conducendo in ospedale, ma era continuamente distratto dalla vista di Usagi che si preparava per la serata di baldoria con i suoi colleghi.
«Blu o bianco?» gli chiese la ragazza, mostrandogli i due vestitini che aveva scelto, indecisa su quale indossare.
Mamoru li osservò entrambi con attenzione. Decisamente troppo succinti!
«Nessuno dei due!» rispose deciso.
Usagi sorrise.
«Ok, quello blu!» disse, ignorando il suo sguardo contrariato e accingendosi ad indossarlo.
Dopo un quarto d’ora, Usagi uscì dal bagno.
Mamoru restò incantato dalla sua bellezza, ma non poté astenersi dal mostrare il proprio disappunto.
«Quando esci con me non ti vesti mai così!» disse con un pizzico di risentimento.
«Beh, quando usciamo io e te non andiamo mai in giro per locali a ballare!».
Mamoru sollevò un sopracciglio perplesso. Usagi aveva ragione. Sospirò e, senza aggiungere altro, abbassò di nuovo lo sguardo sulle sue scartoffie, cercando di nascondere l’espressione di fidanzato geloso, che aveva impressa in volto.
Usagi gli si avvicinò, avvolgendogli da dietro le braccia intorno al collo e stampandogli un rumoroso bacio sulla guancia.
Il ragazzo si abbandonò un istante a quella tenerezza, poi si alzò per accompagnarla alla porta.
«Ci vediamo dopo!» lo salutò Usagi, sfiorandogli le labbra con un bacio.
«Non fare tardi, non bere e guida con prudenza!» si raccomandò Mamoru.
La ragazza rise.
«Qualche altra cosa ... papà?».
«Non dare confidenza agli sconosciuti!» rispose con particolare enfasi su quest’ultima raccomandazione.
Usagi gli gettò le braccia al collo.
«D’accordo! – gli disse – Ora posso andare?».
«Sì! - rispose Mamoru sospirando -Divertiti» aggiunse poi sorridendo.
«Grazie! Buon lavoro, Mamo-chan!».
Mamoru restò ancora qualche secondo sulla porta prima di richiuderla, osservando Usagi mentre scendeva le scale. Quel vestito era eccessivamente aderente, le metteva troppo in risalto il fondoschiena! Scosse la testa e si sforzò di non pensarci. Richiuse la porta e se ne tornò ai suoi appunti, deciso a lavorare tutta la notte, aspettando che Usagi rincasasse.
 
Mamoru guardò l’orario: quasi l’una.
Stese le braccia per rilassare i muscoli. Erano quasi tre ore che lavorava ininterrottamente al computer e pensò che una piccola pausa ci stava benissimo. Andò in cucina, sapendo che Usagi aveva sempre una bella scorta di birre in frigo. Ne prese una, si preparò uno spuntino veloce e andò a rilassarsi sul divano.
D’un tratto sentì il rumore delle chiavi che giravano nella toppa e vide la porta aprirsi lentamente.
«Non mi dire che la tua serata di baldoria è già finita!» esclamò sorpreso che Usagi fosse rientrata così presto.
«Sono stanchissima!» rispose lei togliendosi subito gli scomodi sandali dai tacchi vertiginosi. Mamoru sorrise, ricordandosi la stessa scena, vista proprio la prima volta che era salito a casa sua.
«Sarà l’età!» aggiunse Usagi andandosi a sdraiare accanto a lui sul divano.
Mamoru l’accolse tra le sue braccia, baciandole la testa, mentre lei si accoccolava sul suo torace.
«Allora, come è andata? Ti sei divertita?» le chiese accarezzandole i lunghi capelli dorati.
«Mhmm … sì!».
«Non mi sembri tanto convinta!».
«Non sono fatta per le discoteche – rispose lamentandosi – La musica era troppo alta e non si poteva parlare, i piedi mi facevano male, non potevo bere perché dovevo guidare e poi c’erano tanti seccatori da tenere a bada e che non mi lasciavano in pace».
Seccatori? Ecco, appunto!
Mamoru pensò che non avrebbe dovuto lasciarla uscire con quel vestito. Sospiròe, per non rovinare la dolcezza di quel momento, decise di lasciar correre.
«Da come ne parli la serata è stata un disastro» disse.
«Non così disastrosa – rispose la ragazza – Ma ho pensato a te tutto il tempo e alla fine ho deciso di mollare tutti e andarmene».
Mamoru sorrise compiaciuto, posandole un altro bacio sulla testa, mentre con la mano continuava ad accarezzarle i capelli.
«Mamo – disse Usagi sollevando il capo e guardandolo negli occhi – A volte ho come l’impressione di vivere in una bolla di cristallo, in cui ci siamo solo e io e te … credi che sia sbagliato? Sii sincero! A me piace vivere in questa bolla, ma ho paura che per te non sia lo stesso, che tu abbia bisogno dei tuoi spazi, in fondo sei sempre stato abituato a startene da solo».
Mamoru la osservava curioso, mentre lei gli esponeva i suoi dubbi.
Ci pensò su un attimo.
«Amavo la mia solitudine … » le rispose serio, provocandole una leggera smorfia di delusione.
« … ma amo di più te – aggiunse infine deciso – Anzi, sai che facciamo? Ci pensavo prima. Domani ci prendiamo un giorno di ferie e ce ne stiamo tutto il tempo da soli nella nostra bolla di cristallo!».
Immediatamente Usagi tornò a sorridere.
«Ti ho mai detto che ti amo tanto, Mamoru Chiba?».
«Sì, molte volte, Usagi Tsukino! Ma mi piace sentirtelo ripetere!» rispose lui, catturandole le labbra in un bacio che divenne subito profondo e passionale.
In men che non si dica, i loro abiti erano già a terra ai piedi del divano.
Erano due calamite e non sarebbe bastata una vita a placare la passione tra loro, quella fiamma che, come sempre insaziabile, ancora una volta esplose in mille scintille.
Mamoru si sollevò dalla posizione supina mettendosi a sedere, continuando a baciare quelle labbra morbide e sensuali che non lasciavano scampo.
Usagi gli avvolse le braccia strette attorno collo, come se volesse trattenerlo e non lasciarlo più andar via. Quando intuì le sue intenzioni, gli cinse la vita con le gambe, incrociandole dietro la sua schiena.
Mamoru sorrise appoggiato alle sue labbra, sfuggendo per un attimo alla presa di quei baci, poi con uno scatto si sollevò in piedi e si avviò verso la stanza di Usagi.
Caddero sul letto non proprio dolcemente, presi dalla foga del momento, e ne risero.
Ancora qualche bacio e qualche carezza bollente, poi Mamoru scivolò senza troppe esitazioni dentro di lei, perdendosi nei suoi respiri ansimanti e lasciandosi guidare da quella musica.
Ogni volta che si univano, si stupiva dolcemente di quanto la sua Usagi fosse sempre una nuova scoperta, una nuova terra da conquistare, e accarezzandola, pensò che non si sarebbe mai stancato di quella pelle di luna, che lo faceva vibrare sempre come se fosse la prima volta.
Quando il piacere giunse, i due innamorati ricongiunsero le labbra come se, da quel bacio, potessero recuperare energia.
Si guardarono intensamente, poi una scintilla si accese nel cuore di Mamoru.
Capì che era il momento giusto e che non poteva attendere una magia più grande di quella che si stava compiendo in quell’istante.
«Mi vuoi sposare?» le sussurrò.
Usagi strizzò gli occhi incredula.
«Che cosa hai detto?» gli chiese, pensando che forse la passione del momento le avevo giocato un brutto scherzo.
Mamoru sorrise di fronte all’espressione stranita di lei.
«Ti ho chiesto se vuoi diventare mia moglie» ripetette con lo stesso tono dolce che aveva utilizzato poco prima.
Gli occhi di Usagi si spalancarono per la sorpresa, diventando di colpo lucidi per le lacrime di gioia.
«Sì, sì, sì, sì! » gridò ridendo e gettandogli le braccia al collo, mentre anche il cuore di Mamoru si riempiva di calde lacrime di gioia.
«Aspetta qui!» le disse interrompendo per pochi secondi l’euforia del momento.
Poi scivolò giù dal letto, mentre Usagi, mettendosi seduta e coprendosi il seno col lenzuolo, ammirava la splendida nudità del suo futuro marito.
Mamoru tornò a letto porgendole una scatolina blu. Le labbra di Usagi si aprirono in un sorriso meraviglioso, di quelli che lasciavano Mamoru senza fiato.
«Volevo dartelo per il tuo compleanno – le disse – ma non ho saputo resistere».
La ragazza aprì la scatolina e quando vide l’anello il suo cuore perse un battito. Non solo per la bellezza di quel gioiello, ma soprattutto per quello che esso rappresentava, la realizzazione di un sogno, la sua vita insieme all’unico uomo che aveva mai amato.
Mamoru, in silenzio, prese l’anello dalla custodia e glielo infilò all’anulare, anticipando quel gesto simbolico ben più importante che sarebbe avvenuto di lì a pochi mesi. E fu in quel momento che Usagi non riuscì più a trattenere le lacrime, abbracciandolo e baciandolo con passione, in una muta richiesta di unirsi di nuovo a lui, questa volta come la futura signora Chiba.
 
Due giorni dopo, Usagi percorreva il corridoio dell’ospedale intenta nel suo lavoro, sforzandosi di rimanere concentrata.
Con il pollice continuava a stuzzicare l’anello che portava all’anulare, pensando sognante a quel giorno di fine settembre in cui lei e Mamoru sarebbero diventati marito e moglie.
Avevano passato l’intera giornata precedente chiusi nel loro nido d’amore, persi nella loro felicità, in quella bolla di cristallo che avevano costruito attorno a sé e da cui era esclusa ogni altra forma di sentimento che non fossero le proprie emozioni.
Avevano fatto mille progetti. Una cerimonia semplice con pochi intimi, da celebrare a settembre, un viaggio in Italia, una casa nuova più grande per i bambini che sarebbero arrivati. Già perché nei loro progetti c’erano anche dei bambini.
«Almeno tre!» aveva esclamato Mamoru, lasciando Usagi perplessa.
«Non più di due! Ricordati che li devo partorire io!».
Questi pensieri e mille altri ancora affollavano la mente di Usagi, quando la dottoressa Haruna, con l’asprezza che la contraddistingueva in quel periodo più che in altri, la riportò alla realtà. «Tsukino svegliati! – la sua voce stridula e brusca arrivò come un rumore fastidioso alle orecchie della ragazza – Sei desiderata nell’ufficio del primario!».
«Nell’ufficio del primario » chiese con aria interrogativa.
Che cosa poteva mai volere il primario da lei?
«Sì, nel suo ufficio e di corsa!» rispose la Haruna ancor più acida, gettandole un’occhiataccia e chiedendosi tra sé cosa ci potesse trovare di tanto interessante Mamoru in quella ragazzina. Bella lo era senza dubbio, e poi?
Usagi sostenne quello sguardo sgarbato, immaginando bene i pensieri che potessero albergare in quel momento nel cervello di quella arpia, e così, senza neanche rispondere, girò le spalle per andare nell’ufficio del primario che si trovava al piano superiore.
Arrivata alla porta, bussò, attendendo con ansia il permesso di entrare.
  •  
La voce del capo la invitò a entrare.
«Buongiorno! Mi ha fatto chiamare?» chiese cercando di mostrare sicurezza.
«Dottoressa Tsukino, prego si accomodi!» le rispose l’uomo sorridendo e invitandola a sedersi con molta gentilezza.
Il primario non era da solo nel suo ufficio.
Usagi notò subito la presenza di un uomo, più o meno attorno ai sessant’anni, che la guardava con un’espressione strana sul viso.
La ragazza fissò subito i suoi occhi azzurri negli occhi blu di quell’uomo che la scrutavano.
Era sicura di non conoscerlo, eppure le sembrava un volto familiare.
«Si chiederà perché l’ho fatta chiamare con tanta urgenza – esordì il primario, mentre Usagi prendeva posto di fronte a lui – Bene, ho il piacere di comunicarle che ci sono ottime notizie per lei».
Usagi lo guardò con aria interrogativa. Di quali ottime notizie stava parlando?
«Nel frattempo, prima che le esponga il motivo per cui è stata convocata, mi permetta di presentarle il professor Hiroshi Chiba» disse indicando l’uomo seduto.
«Quell’Hiroshi Chiba?» ripetette Usagi, sgranando gli occhi per la sorpresa e provocando con la spontaneità di quell’esclamazione un sorriso divertito da parte dei due uomini.
Quello era Hiroshi Chiba, il famoso cardiochirurgo!
Ecco perché il suo volto le era così familiare, sicuramente aveva visto la sua foto su qualche rivista di medicina.
«Vede dottoressa, il professor Chiba sta cercando un assistente per il suo lavoro di ricerca. Dato che siamo ottimi amici, ha chiesto a me di indicargli qualche possibile candidato tra i miei più giovani specializzandi. E tra i vari curriculum che gli ho presentato ha scelto il suo, ritenendolo il più interessante».
Usagi ascoltava le parole del primario e stentava a credere a quanto le stesse dicendo.
«Potrà usufruire di una borsa di studio, della durata di sei mesi, presso uno dei più importanti ospedali universitari del Paese. Sarei molto lieto se lei volesse accettare».
Questa volta era stato proprio il professor Chiba a parlare.
Usagi non si aspettava minimamente che, all’improvviso, arrivasse una proposta del genere.
Era davvero molto allettante e, in un altro momento, avrebbe accettato così su due piedi, senza neanche rifletterci sopra. Ma un dubbio si era insinuato nella sua mente. C’era qualcosa in quella proposta che non la convinceva.
Perché era stata scelta proprio lei?
Il suo era un curriculum eccellente, ma niente a che vedere con quello di altri colleghi, come Umino o Naru.
E, soprattutto, perché un professore del calibro di Chiba, doveva scomodarsi e andare fin lì solo per farle quella proposta?
Di sicuro uno come lui aveva migliaia di persone al suo servizio pronte a svolgere quel compito seccante al suo posto.
«Dottoressa Tsukino, allora? - la richiamò il primario - Che cosa ne pensa?».
«Beh, è una magnifica opportunità, senz’altro! – rispose. Poi aggiunse titubante – Solo che non capisco perché la scelta sia ricaduta proprio su di me».
Il primario stava per rispondere a quel dubbio, ma Chiba lo bloccò con un cenno della mano. «Lascia, Goro! – disse – Rispondo io. La dottoressa è ancora più sveglia di quanto mi aspettassi e pare che abbia compreso subito che c’è anche dell’altro. Rispondo io ai suoi dubbi più che leciti! Leviamoci da subito il pensiero, senza troppi giri di parole».
Si alzò e cominciò nervosamente ad andare su e giù per la stanza, mentre Usagi si chiedeva che altro poteva mai esserci dietro quella proposta.
«Dottoressa Tsukino, sono qui in veste di professore, primario di chirurgia in un importantissimo ospedale, - cominciò a spiegare Chiba - ma principalmente sono qui come padre dell’uomo che sta per sposare!».
Pronunciò quest’ultima frase indugiando con lo sguardo sull’anello che faceva bella mostra di sé sulla mano della ragazza.
A quelle parole Usagi si sentì sprofondare. Si lasciò andare appoggiandosi completamente allo schienale della poltrona.
Stentava a crederci! Quello era il padre di Mamoru.
Il suo futuro marito era figlio del professore Hiroshi Chiba, il cardiochirurgo più importante di tutto il Paese. Ecco perché gli era sembrato subito un volto familiare. Non perchè aveva visto la sua foto su una rivista di medicina, ma perché i suoi occhi blu, la loro espressione, erano identici a quelli di Mamoru. Ma perché lui non glielo aveva mai detto? Si ricordò immediatamente di un episodio avvenuto poco prima. «Hiroshi Chiba…non sarete parenti? » gli aveva chiesto mentre leggeva un articolo pubblicato recentemente dal celebre professore. «Un banale caso di omonimia! » le aveva subito risposto Mamoru, come se fosse abituato a quel tipo di domanda . E, adesso, a pensarci bene, Usagi aveva notato che la sua espressione era cambiata. Ma perché Mamoru le aveva nascosto la verità?
«A giudicare dalla sua espressione, dottoressa, lei non sapeva neanche che Mamoru fosse mio figlio! Non mi stupisce!» esclamò con un ghigno sul volto, attraverso il quale trapelava amarezza e forse malinconia. Sì, Usagi vi lesse una sorta di malinconia.
«Che cosa vuole da me, professor Chiba? » chiese la ragazza con un tono brusco.
Era sconvolta, delusa nei confronti dell’uomo che amava, e confusa perché non riusciva a capire cosa suo padre volesse da lei.
«Usagi, posso darti del tu?» chiese l’uomo.
Quando la ragazza annuì, continuando a fissarlo con il suo sguardo gelido continuò a parlare. «Immagino quello che tu stai pensando. Non ti abbiamo preso in giro, credimi! – provò a spiegarle intuendo l’avversione in quello sguardo – La storia dei curricula è vera. Avevo realmente bisogno di un assistente. E quando mi è capitato il tuo curriculum tra le mani, ho pensato che potesse essere un segno. Usagi Tsukino, la fidanzata di mio figlio. Ero a conoscenza della tua esistenza e, stando a quello che mi aveva raccontato mia moglie Kaori, sapevo quanto tu stessi rendendo felice Mamoru. E di questo ti ringrazio. Sembrerà strano, ma io so tutto di lui e non solo in base ai racconti di Kaori. Quello che voglio dirti, però, è che ho pensato che tu potessi essere l’ultima possibilità per ritrovare a mio figlio».
«Io cosa? - quasi gridò Usagi – Ma mi sta prendendo in giro?»
«So che può sembrarti strano, un piano diabolico architettato ad arte, in cui sei stata coinvolta senza il tuo volere, ma, credimi, Mamoru non mi permetterebbe mai neanche di avvicinarmi a lui. E io ci tengo a recuperare l’affetto di mio figlio».
«E lei crede che così riconquisterà Mamoru?».
Usagi era scandalizzata.
Gli occhi di quell’uomo sembravano malinconici, ma la freddezza con cui parlava era da brividi. Non si stupì che Mamoru avesse tagliato ogni rapporto con lui.
Parlava con la stessa freddezza e obiettività con cui i medici espongono i casi clinici.
«Non lo so! Ma attualmente sei la persona più importante per lui e la mia unica possibilità» rispose lui guardandola diritto negli occhi.
Un sorriso sprezzante comparve sul volto di Usagi.
«Mi dispiace, ma non posso accettare la sua proposta, non voglio entrare in un intrigo del genere, alle spalle dell’uomo che amo. Mamoru non mi ha mai parlato di lei. E non mi stupisce, vedendo di che cosa è capace. Ma dico, come si fa a ricorrere a sotterfugi del genere?».
«Dottoressa Tsukino - a questo punto fu il primario a intervenire, che fino a quel momento era stato solo un silenzioso spettatore – Forse prima di parlare dovrebbe conoscere i fatti».
«Io non li conosco i fatti! Ma si rende conto di che cosa mi è stato chiesto? Capisce che ho appena scoperto che sto per sposare un uomo di cui non so niente? E lei pretende che mi calmi? Sa che le dico, qui si tratta della mia vita e dei miei sentimenti, non ci sto a farmi prendere in giro! E con questo ho chiuso».
E detto questo lasciò l’ufficio di corsa, sbattendo la porta dietro di sé, incurante delle buone maniere e del rispetto verso i suoi superiori.
D’istinto, la prima cosa ovvia che le venne da fare fu di correre subito da Mamoru.
Attraversò di corsa l’intero corridoio, senza neanche badare a medici e infermieri che incrociava sul suo percorso.
La sua mente era altrove.
“Perché, Mamoru? Perché?”continuava a ripetersi, senza riuscire a trovare il motivo per cui una cosa così importante le fosse stata nascosta.
Arrivò davanti al suo ufficio e bussò. Aspettò di udire la voce di Mamoru e poi entrò.
Lui era lì, bello come sempre, che lavorava su una pila di scartoffie e documenti. E quando le sorrise, Usagi si sentì quasi morire. Era l’uomo che amava, ma si rese conto che non sapeva nulla di lui.
«Usako!» esclamò Mamoru felice di vederla.
Lei aveva richiuso la porta alle sue spalle e adesso se ne stava lì immobile, con la schiena appoggiata alla porta, e lo fissava con aria smarrita.
«Cos’hai? È successo qualcosa?» chiese lui preoccupato.
Usagi continuava a guardarlo con la stessa espressione.
«Perché non mi hai detto che sei il figlio di Hiroshi Chiba?» fu la prima cosa che la ragazza riuscì a dire.
 

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Capitolo 17
*** Vecchie Ferite ***


VECCHIE FERITE 
 
 
«Perché non mi hai detto che sei il figlio di Hiroshi Chiba?».
Quella domanda era stata una doccia fredda improvvisa.
Immediatamente, il volto di Mamoru cambiò espressione.
Usagi vide i suoi occhi blu stringersi fino a diventare due fessure. Cercò di scorgervi un qualsiasi sentimento, ma niente! Erano cupi, gelidi, completamente inespressivi. Per la prima volta non li riconobbe e provò quasi un senso di smarrimento di fronte a essi.
«Come lo hai saputo?».
Improvvisamente la voce grave del ragazzo ruppe il pesante silenzio che regnava nella stanza.
«È stato tuo padre in persona» gli rispose Usagi, mentre continuava a guardare quegli occhi, che ora sembravano stravolti da quella rivelazione.
La ragazza provò una fitta al cuore, ma continuò a parlare. Mamoru doveva sapere e lei doveva capire.
«È venuto fin qui per propormi una borsa di studio, solo per riavvicinarsi a te!».
«Che cosa?!?».
Gli occhi di Mamoru quasi saltarono fuori dalle orbite.
Mentre Usagi raccontava tutto quello che era avvenuto nell’ufficio del primario, la sua espressione diveniva sempre più disgustata, mentre la rabbia mai sopita gli cresceva dentro a dismisura.
Quell’uomo era stato capace di servirsi della sua fidanzata, prendendola in giro, solo per arrivare a lui. Un piano cinico degno del migliore stratega!
Si portò le mani al viso sospirando nervosamente, cercando di non perdere il controllo davanti a Usagi, che era già visibilmente scossa.
«È ancora qui?» chiese poi, dopo qualche secondo di silenzio.
La ragazza scosse la testa e alzò le spalle, non sapendo se Hiroshi Chiba fosse ancora in quell’ufficio.
«Perché mi hai nascosto una cosa così importante?» gli chiese, nella speranza di ottenere una risposta valida che potesse giustificare quella mancanza.
Ma un ghigno comparve sul volto di Mamoru.
«Davvero pensi che essere figlio di quell’uomo sia una cosa importante?».
«No, - rispose la ragazza con un velo di amarezza negli occhi – per me è importante conoscere te».
«E mi conosci!» replicò Mamoru a voce alta, lasciando la sua postazione, dietro la scrivania, e procedendo verso lei.
«Non è vero, Mamoru! Conosco solo quello che mostri di te. Non conosco il tuo passato, non conosco i tuoi dolori. Mi sono sempre chiesta cosa ti facesse soffrire così tanto, ma tu non ti sei mai aperto con me! Perché tuo padre è arrivato a questo?».
Ancora una volta Mamoru sospirò nervosamente. Doveva delle spiegazioni ad Usagi, ma in quel momento non se la sentiva.
«Adesso non mi va di parlarne. Magari un’altra volta, ok?» le disse con un tono di voce più dolce, alzando la mano per accarezzarle il viso, sperando di chiudere subito la questione.
«Magari un’altra volta?!? – questa volta fu Usagi ad alzare la voce, scansando decisa la carezza di Mamoru. Per lei la questione non poteva essere rimandata ulteriormente.
«Sono sei mesi che aspetto, - aggiunse indispettita dall’atteggiamento del ragazzo – Ti ho visto soffrire mille volte, ma non ti ho mai fatto domande, nella speranza che fossi tu a raccontarmi qualcosa di te. Ma tu niente! Ci è voluto Hiroshi Chiba in persona perché io sapessi qualcosa».
«Ti prometto che te ne parlerò. Ma ora, ti prego, lasciami in pace! Quello che lui ha fatto e il solo pensiero che possa essere ancora qua … ».
Non concluse la frase ma, in un gesto di impeto, colpì con un pugno la scrivania. Si girò verso la finestra portandosi una mano sugli occhi, visibilmente agitato. Cercò di calmarsi, poi, di nuovo, si voltò verso di lei, che era rimasta impietrita di fronte a quel Mamoru che non riconosceva.
«Ti prego, Usagi, vorrei rimanere solo!» aggiunse il ragazzo.
E a quel punto fu inutile continuare a insistere. Usagi girò le spalle e andò via, lasciandolo solo come lui le aveva chiesto. 
 
Mamoru rimase tutto il giorno nel suo ufficio a combattere contro i fantasmi del suo passato. Non uscì neanche per la pausa pranzo e affidò i suoi pazienti alle cure di Seiya e Naru, dando loro l’ordine tassativo di chiamarlo solo in caso di necessità.
Aveva molto da lavorare e parecchi appunti per la sua ricerca da sistemare. Provò inutilmente a concentrarsi, ma la sua mente continuava a fare salti nel tempo.
 
“Quella mattina era rientrato, come di consueto, per ora di pranzo.
«Mamma, sono a casa!» salutò varcando la soglia.
Kaori lo accolse con un’espressione strana in viso.
«Vieni, oggi c’è anche papà» gli disse.
Mamoru fece una smorfia nauseata.
«Impazzisco di felicità!» esclamò, mentre sua madre gli dava un colpetto sul braccio per farlo zittire, prima di entrare nella sala da pranzo.
«Non si saluta?» chiese suo padre con il suo solito tono austero.
«Ciao! Che bello, pranzi con noi!» rispose il ragazzo con sarcasmo.
Ma Hiroshi, dopo averlo freddato con uno sguardo,decise di ignorarlo.
«Ho belle notizie per te – disse,invece, posando sul tavolo una busta, che Mamoru osservò perplesso – Sei stato ammesso alla facoltà di medicina più prestigiosa del Paese!».
«Che cosa?!?» gridò il ragazzo.
Lui non aveva mai fatto domanda di iscrizione. Anzi, aveva più volte espresso il desiderio di trasferirsi nella capitale a studiare.
«Dovresti fare i salti di gioia, figliolo! Pochi vengono ammessi a quella facoltà. Ho parlato con un mio carissimo amico e ti ha già riservato un posto alla scuola di specializzazione in cardiochirurgia».
Cardiochirurgia?!? Ma era ancora troppo presto per scegliere la specializzazione! E poi lui era sempre stato più propenso per la neurochirurgia. Il suo sguardo cominciò a riempirsi di odio verso quell’uomo che pretendeva di sapere sempre tutto.
«E che altro hai deciso per me?» aggiunse Mamoru.
«Partirai la settimana prossima per Londra. Ti ho già iscritto alla migliore scuola di inglese per perfezionare la lingua».
Questo era troppo!
Mamoru progettava da tempo un viaggio in giro per l’Europa, lontano da tutto, prima di incominciare l’università. E lui voleva impedirgli addirittura un po’ di svago con gli amici.
«Tu vuoi sempre il meglio per me, vero?Ma ti sei mai chiesto io che cosa voglio?».
«Non è importante quello che tu vuoi adesso, sei troppo giovane per decidere. Quando sarai diventato il mio degno successore, vedrai che mi ringrazierai».
«Questo scordatelo! Tu sei pazzo! Io mi sono rotto di fare sempre e solo quello che dici tu!». Mamoru esplose. Non ce la fece più a trattenere tutto quello che gli bruciava in corpo.
«Mamoru, stai attento a quello che dici!» lo rimproverò duramente Hiroshi.
«Perché altrimenti che fai?» rispose lui sfidandolo.
«Tesoro, calmati!».
Sua madre, capendo che la situazione stavolta stava davvero precipitando, si intromise posando una mano sul braccio di Mamoru.
«Lascialo andare Kaori. È solo uno stupido ragazzino ingrato, che non apprezza i sacrifici dei suoi genitori».
«Tranquillo,esimio professor Chiba! Il ragazzino ingrato ha deciso di togliere il disturbo. Me ne vado e non ci metto più piede in questa casa!».
«Vai, vai! Il mondo ti aspetta a braccia aperte! – disse Hiroshi facendosi beffe di suo figlio. Poi continuò - Ma ti vuoi mettere in quel cervello bacato che senza di me non vali nulla?».
Mamoru non gli rispose. Furioso, amareggiato dall’ennessima offesa di quell’uomo, corse in camera sua. Ormai era deciso ad andare via e nessuno l’avrebbe fermato.
Nel giro di mezz’ora aveva racimolato quelle poche cose di cui necessitava, il resto gliele avrebbe portate sua madre, con la quale si sarebbe messo in contatto non appena ne avrebbe avuto la possibilità.
«Lascialo, finchè sei in tempo!» le aveva detto, mentre lei continuava a piangere cercando di fargli cambiare idea.
«Ti chiamo io, sta tranquilla!» le disse, infine, abbracciandola e baciandola.
Uscì dalla sua stanza con lo zaino in spalla.
«Allora sei deciso!» esclamò Hiroshi con sarcasmo, non appena lo vide.
Ancora una volta Mamoru non rispose.
«Se oltrepassi quella porta, io non muoverò più un dito per te, non avrò più un figlio!» aggiunse poi l’uomo indispettito dall’atteggiamento menefreghista del ragazzo.
«Io un padre non l’ho mai avuto!».
E queste furono le ultime parole che Mamoru rivolse a suo padre, prima di uscire definitivamente da quella casa.
Hiroshi era rimasto sbalordito dalla sicurezza di Mamoru, ma non volle mostrare la sua debolezza, nascondendola dietro la sua maschera di ghiaccio.
«Lascialo andare Kaori, tornerà con la coda tra le gambe chiedendo perdono».”
 
A quanto sembrava, però, chi era tornato con la coda tra le gambe era proprio Hiroshi.
A quell’ultimo pensiero, sul volto di Mamoru fece la sua comparsa un ghigno beffardo, ma che subito fu velato da un’espressione malinconica, quando rivide l’immagine degli occhi di sua madre in quel momento.
Non volendo, Mamoru l’aveva fatta soffrire, più di quanto non avesse già sofferto in tutti quegli anni.
 
“La porta era socchiusa e la sentiva piangere e singhiozzare, come spesso accadeva. Sbirciò nella stanza per essere sicuro che fosse sola. Poi, una volta accertatosi che suo padre non c’era, il piccolo Mamoru spalancò la porta e di corsa saltò sul letto accanto a lei. Con la manina le accarezzò il viso.
«Mamma, perchè piangi? Hai di nuovo mal di testa?» le chiese con un’ ingenuità e una dolcezza disarmanti.
Kaori si sforzò di sorridere.
«Sì, amore mio! Ma non ti preoccupare. Adesso la mamma si riposa un po’ e passa tutto come sempre».
«E se ti do tanti bacini ti passa più in fretta?».
«Sì, amore! – aveva risposto la donna stringendolo a sé – Ma devono essere tanti tanti».
E il bambino ridendo si era gettato tra le braccia della sua mamma, pronto a ricoprirla con una pioggia di baci.”
 
Mamoru poggiò i gomiti sulla scrivania, poi si lasciò andare con la testa tra le mani, rimanendo a fissare il vuoto per qualche secondo.
Sua madre! Quella donna a volte così impicciona e fastidiosa, ma che lui amava tanto.
Aveva sofferto tanto e lei stessa, quella sera a cena, sei mesi prima, gli aveva confessato tutte le sue pene. Ma forse, la pena più grande, quella che aveva angustiato lui per tutto quel tempo, le era stata risparmiata. Forse Kaori non sapeva niente e di certo non sarebbe stato lui, suo figlio, ad aggravarla di quell’ulteriore dolore.
Mamoru strinse i pugni, sbattendoli poi sulla scrivania.
Odiava Hiroshi Chiba!
Eppure un tempo era stato il suo eroe, come lo è un padre per ogni bambino.
 
“«Il mio papà mi porta sempre alle giostre» aveva esclamato la bambina bionda.
«Anche il mio papà! E quando torna a casa dal lavoro giochiamo sempre a nascondino» aveva risposto, invece, l’altro bambino orgoglioso.
Mamoru li ascoltava e pensava.
Lui non aveva mai fatto tutte quelle cose con il suo papà.
Quando si trattava di giocare, c’era sempre e solo la sua mamma.
Ma il suo papà era importante e doveva sempre lavorare.
«Il mio papà è un supereroe – pronunciò quindi, impettito, di fronte agli sguardi curiosi dei due amichetti – lui salva le persone malate».
«Davvero?!?» avevano chiesto i due bambini sgranando gli occhietti.
Il bambino aveva annuito fiero.
«Quando il loro cuore non funziona più, il mio papà li opera e loro guariscono. E dopo sono contenti».
I due bambini lo guardavano ammaliati, mentre il piccolo Mamoru sorrideva felice, pensando che un giorno sarebbe diventato proprio come il suo papà”.
 
Da bambino voleva diventare come suo padre e in parte ci era riuscito, anche lui salvava vite.
Ma non si sentiva affatto un eroe, e di certo anche Hiroshi non lo era mai stato.
Ma quand’è che aveva incominciato a vederlo con occhio diverso? Forse quando aveva iniziato a rendersi conto che suo padre non aveva l’animo buono e gentile degli eroi.
 
“«Papà, vieni alla mia recita di Natale?» gli aveva chiesto il bambino trepidante.
«Mi dispiace, Mamoru! Sarò impegnato tutto il giorno» rispose lui, senza neanche degnarlo di uno sguardo.
«Ma verranno tutti i papà e io avrò una parte importante! » piagnucolò il piccolo deluso.
Hiroshi sbuffò. Detestava che il bambino cominciasse a fare i capricci, distogliendolo dai suoi impegni.
«Mamoru – gli disse sforzandosi di essere dolce – sono contento che tu abbia una parte importante nella recita scolastica, ma vedi, io in ospedale ho un ruolo molto più importante».
Il bambino lo guardò ancora con i suoi occhietti languidi, stava quasi per piangere, ma una dolce carezza sulla testa lo tranquillizzò.
«Amore, vieni con la mamma a giocare?» gli chiese quella voce angelica, riportando subito il sorriso sul suo faccino.
«Per una volta potresti prenderti un paio di ore di permesso!» esclamò poi Kaori, rivolgendo un’occhiata gelida a suo marito.
L’uomo sogghignò, tornando alle sue carte.
«Un paio di ore per queste cazzate?».”
 
Di episodi come questi c’erano stati a migliaia.
Nella sua vita, Mamoru non ricordava un unico gesto di affetto da parte di Hiroshi.
Crescendo aveva cominciato a sviluppare una sorta di avversità nei suoi confronti, ma tutto il rancore, che tuttora provava verso suo padre, era nato sicuramente in un preciso momento, quando quella mattina di dicembre Mamoru aveva scoperto il suo segreto.
«Maledizione!» urlò.
E, in un accesso di stizza, con il braccio scaraventò a terra tutto ciò che era sulla scrivania.
Tolse il camice, gettandolo a fare compagnia a tutti quegli oggetti e fogli che ora formavano un tappeto sul pavimento, e poi corse via.
In un attimo di lucidità, l’ultimo pensiero lo rivolse ad Usagi. Un breve sms, freddo e conciso: “Non mi aspettare, non torno!”.
Poi spense il cellulare e cominciò a vagare senza meta, con il solo desiderio di anestetizzare il cervello e soffocare i pensieri.
 
Quando Usagi lesse il messaggio lapidario di Mamoru, provò una forte fitta allo stomaco. Si era sdraiata sul divano al buio, in attesa che lui rientrasse, ma stando a quanto le aveva appena scritto, quella sera non l’avrebbe rivisto.
Immobile nella sua posizione, continuava a fissare il soffitto.
Non riusciva proprio a comprendere cosa ci potesse essere nel passato di Mamoru e nel suo rapporto con il padre. E, qualunque cosa fosse, non poteva di certo giustificare il suo comportamento.
Stavano per sposarsi e lui l’aveva esclusa dalla sua vita, privandola, oltre che della sua fiducia, di una parte importante di lui, per quanto brutta e penosa potesse essere.
Usagi sospirò pensierosa. Guardò l’anello che brillava al suo anulare e ripensò alla gioia che aveva provato quando lui le aveva chiesto di sposarlo.
Avvertì il gusto salato di una lacrima, che era appena scivolata giù lungo il suo viso. L’asciugò velocemente, ma subito ne sopraggiunse un’altra, e un’altra ancora.
Si sentiva ferita da tutte quelle verità nascoste e dal fatto di essere stata lasciata in un angolo, da sola, con la sua delusione e la sua amarezza. Ma allo stesso tempo si sentiva un’egoista, perché sapeva che la sofferenza di Mamoru era più grande della sua e in quel momento anche lui era da solo a combattere contro di essa.
Ebbe quasi l’impulso di rivestirsi per andare a cercarlo, ma sapeva che non sarebbe servito.
Lui le aveva chiesto esplicitamente di restare solo e lei non poteva far altro che rispettare quella richiesta.
 
Mamoru aveva vagato tutta la notte, arrivando fino al mare.
Una birra gli aveva tenuto compagnia, mentre osservava le onde infrangersi sugli scogli, una dietro l’altra. Così aveva atteso l’alba del nuovo giorno, godendo di quel momento di pace, da solo con se stesso.
Spesso il pensiero volò alla sua Usako, da sola a casa e forse in pena per lui, e in più momenti desiderò che fosse lì con lui, a godere dello spettacolo che il sole nascente stava offrendo. Ma poi pensò che in quel momento fosse giusto essere lì da solo, a fare i conti con le vecchie ferite che improvvisamente si erano riaperte.
Tornò alla macchina e, benché stanco della notte passata in bianco a tormentarsi, decise che aveva un’ultima cosa da fare.
Dopo circa mezz’ora, arrivò in un paesino dell’entroterra.
Fermò l’auto davanti al cimitero e, a piedi, proseguì lungo i sentieri di quel piccolo luogo di pace, fino a quando non giunse davanti a due lapidi, dove si fermò.
Erano anni che non andava più lì. L’ultima volta era stata circa dieci anni fa, quando aveva deciso di dare definitivamente un taglio a tutto ciò che ancora lo legava a suo padre e che non doveva più far parte della propria vita.
Restò lì fermo a riflettere, guardando le fotografie su quelle lapidi. Pochi minuti, poi decise di riprendere la strada verso casa.
Si sentiva un po’più sereno, anche se aveva avuto giorni migliori, e ora la cosa più importante era solo tornare da Usagi e parlare con lei, sperando che capisse e lo perdonasse.
 
Per Usagi era stata una giornata infernale in cui non aveva fatto altro che correre avanti e indietro in ospedale, tra un paziente e l’altro, senza contare il putiferio nella sua testa.
I suoi pensieri erano costantemente rivolti a Mamoru, di cui non aveva notizie da più di ventiquattro ore. Cominciava seriamente a essere preoccupata.
Aveva provato diverse volte a chiamarlo, ma il suo telefono era spento e a casa rispondeva solo la segreteria telefonica. Anche Heles e Motoki non l’avevano sentito, ma entrambi, saputo cosa fosse accaduto il giorno prima, la convinsero a stare tranquilla, perché presto si sarebbe fatto vivo. In passato era capitato spesso, le dissero, Mamoru aveva solo bisogno di stare da solo e calmarsi.
Erano quasi le sei del pomeriggio quando Usagi tornò a casa.
Si preparò un bagno caldo alla vaniglia per rilassarsi e lavare via tutto lo stress della giornata. Indossò canottiera e pantaloncini e andò direttamente a sdraiarsi sul letto, dal lato dove era solito dormire Mamoru. Prese il cuscino tra le braccia e, respirando il suo dolce profumo, si addormentò.
 
E fu così che Mamoru la trovò, quando finalmente rientrò a casa, rannicchiata in posizione fetale, avvinghiata al suo cuscino, che dormiva.
Lentamente, avendo cura di non svegliarla, si sistemò sul letto accanto a lei.
Appoggiato sul gomito, la guardò. Doveva essere molto provata per dormire così profondamente già così presto, e sicuramente anche lui aveva contribuito alla sua stanchezza. Si sentì un vigliacco e un egoista ad averla lasciata da sola per un giorno intero, senza dare sue notizie, coinvolgendola in tutto quel casino.
Delicatamente le spostò una ciocca di capelli dal viso e si chinò su di lei per baciarla. «Perdonami, amore mio» sussurrò.
In quello stesso istante, Usagi avvertì la sua presenza e aprì gli occhi.
«Mamoru, sei tornato?» disse con un filo di voce, senza voltarsi, ma rimanendo ferma nella stessa posizione.
«Sì, Usako! Sono qui!» le rispose lui, ancora chinato sul suo viso.
«Dove sei stato?» chiese lei sempre con voce pacata, ma decisa.
«In giro. A riflettere».
«Sono stata molto in pensiero per te!».
«Lo so! – rispose lui baciandola ancora – Mi dispiace, scusami!».
Seguirono pochi secondi di silenzio, durante i quali lui continuava ad accarezzarle i capelli, mentre lei rimaneva immobile, sempre dandogli le spalle.
Poi Mamoru si decise a parlare e porre fine all’attesa di Usagi.
«Quando ieri mi hai detto che lui era qui e che aveva cercato di riavvicinarsi a me tramite te, mi si sono riaperte delle vecchie ferite che credevo rimarginate da tempo. Avevo chiuso con mio padre e anche lui con me. Non credevo che, dopo tanti anni, tentasse di rientrare nella mia vita e, per giunta, in una maniera così vile. Mi dispiace che tu sia stata coinvolta ingiustamente!».
Usagi lo ascoltò attentamente.
«Perché lo odi tanto?» gli chiese.
Mamoru sospirò. Non era facile ripercorrere per l’ennesima volta le stesse vicende, ma Usagi aveva il diritto di sapere. Le raccontò tutto, dalla freddezza di Hiroshi alle lacrime di sua madre, dalle decisioni imposte alle continue liti, fino ad arrivare al giorno in cui era andato via di casa per sempre.
Più il racconto di Mamoru andava avanti, più il cuore di Usagi si stringeva. E la cosa che più le faceva male era che nelle sue parole non avvertiva solo tristezza, ma anche, e soprattutto, rabbia e rancore, come se ci fosse qualcos’altro oltre al pessimo rapporto col padre, qualcosa che si portava dentro e che là, in fondo al suo cuore, sarebbe rimasto.
«Perché non mi hai mai detto niente?» gli chiese stringendosi ancora di più al cuscino, come se vi potesse trovare un conforto.
«Non l’ho mai raccontato a nessuno, perché volevo farmi strada nella vita da solo e non come il solito “figlio di” e, poi, anche perché preferivo dimenticare».
«Ma Heles e Motoki lo sanno!».
«Loro li ho conosciuti due mesi dopo essere andato via di casa, quando la ferita era ancora aperta e avevo bisogno di sfogarmi. Mi sono fidato di loro, anche se non subito. Con te è stato tutto diverso. Quando ti ho conosciuto, è stato come chiudere definitivamente con il passato e con quello che ero diventato a causa di Hiroshi. Tu eri il mio presente e il mio futuro, quello che non volevo sporcare con i ricordi. Volevo solo continuare a vivere nella nostra bolla di cristallo. Scusami, Usako!».
Alla fine, Usagi, che aveva ascoltato tutto senza fiatare, si voltò, fissando il suo sguardo negli occhi blu di Mamoru. Gli accarezzò il viso e lasciò che lui la stringesse tra le sue braccia.
Dentro di sé non era convinta di riuscire a perdonare subito quella sua mancanza, ma voleva solo che lui capisse che aveva compreso il suo dolore e che stava male per lui.
Per questo non disse nulla quando lui la baciò e neanche quando le sue carezze si fecero più audaci.
Si lasciò andare e fece l’amore con lui, anche se in un modo diverso.
Sempre con la stessa passione, ma una passione che, stavolta, racchiudeva dentro di sé non solo l’amore e la complicità che li legava, ma una miriade di altri sentimenti contrastanti.
C’erano rabbia, delusione, tristezza. E poi una strana sensazione che Usagi non riuscì a decifrare.
E anche Mamoru avvertì la stessa strana sensazione.
Mentre i loro corpi si univano e i loro dolori trovavano sfogo, sapeva che Usagi era lì con il cuore e la mente, riusciva a sentire tutto il suo amore, ma aveva come il presentimento che qualcosa si fosse spezzato e che tutto non sarebbe più stato come prima.
Poi Usagi accorciò le distanze tra i loro visi, piegandosi in avanti e appoggiando la sua fronte a quella di Mamoru, occhi negli occhi. I loro respiri si fusero in un unico sospiro. Un ultimo ansimo, quello più intenso, e i loro corpi esplosero, senza però liberare quella sensazione opprimente, che rimase ancora dentro loro.
Mamoru scivolò delicatamente accanto a lei , prendendola tra le braccia. Poi si fece coraggio e le chiese: «Non mi hai perdonato, vero?».
Usagi non rispose subito. Ci mise qualche secondo per riordinare i pensieri.
«Non ce la faccio a fare finta di niente e a dimenticare tutto, così da un momento all’altro. Capisco il tuo dolore e, credimi, sto male anche io, ma quella della bolla di cristallo è una scusa, una stupida giustificazione … ».
Mamoru si scostò dall’abbraccio per guardarla negli occhi.
 «Non è una scusa! È veramente quello che penso».
«Può essere, ma io non la vedo così! – rispose lei sciogliendo definitivamente l’abbraccio – Per me è solo una mancanza di fiducia da parte tua, mi hai escluso dalla tua vita, mentre io ti ho fatto entrare nella mia da subito. Posso capire che la tua situazione familiare non era idilliaca come la mia e che tu ti sia preso i tuoi tempi per rendermene partecipe, ma quand’è che l’avresti fatto? Quando sarebbe arrivato questo momento? Maledizione, Mamoru, stiamo per sposarci!».
«Forse non l’avrei mai fatto!» rispose lui con molta sincerità, dopo essersi messo a sedere.
A quell’esclamazione Usagi sollevò gli occhi al cielo, sospirando nervosamente, e con uno scattò si alzò dal letto.
«Certo, non me l’avresti mai detto! – esclamò perdendo il tono pacato che aveva usato fino a quel momento – E io per tutta la vita sarei stata la moglie ignorante, mentre i tuoi amici sanno tutto di te!».
«Ehi, non correre troppo! Ho detto “forse”, non “sicuramente”. E poi che c’entrano Heles e Motoki?».
«C’entrano dal momento in cui hai deciso che ti fidi più di loro che di me!».
«Sei proprio una bambina! Ti ho già spiegato il motivo per cui loro sanno».
«Bambina io? E tu, che scappi dai tuoi problemi senza affrontarli, cosa saresti?».
«Io non scappo dai miei problemi!».
«Mamoru, invece di andare in quel maledetto ufficio ad affrontare tuo padre, hai preferito chiuderti nel tuo ufficio per poi passare una nottata intera fuori, chissà dove, senza neanche preoccuparti di chi era in pena per te! Questo non lo chiami scappare?».
«Avevo bisogno di stare da solo e riflettere».
A questa affermazione Usagi sorrise sarcasticamente.
«Sai che ti dico? – gli disse – Adesso anche io ho bisogno di stare da sola e riflettere!».
«Che cosa vuol dire?» chiese Mamoru serio, cercando di non far trasparire quanto quell’esclamazione l’avesse colpito.
«Che non voglio vederti! Ho bisogno di ragionare e rimettere in ordine tutti i miei pensieri su questa brutta faccenda».
«E dopo che farai? Hai intenzione di lasciarmi?» chiese lui, ancora più serio.
«Non ho detto questo!».
«Non hai detto questo, ma è una delle due possibilità».
«Mamoru, mi dispiace, ma non riesco a fare finta di niente, dammi almeno il tempo di calmarmi. Ho una tale confusione in testa! E poi, sono convinta che tu non mi abbia detto tutto. C’è dell’altro, ne sono sicura!».
Il volto di Mamoru si oscurò.
«Non c’è nient’altro! » rispose secco, mentendo.
Poi prese la sua giacca e fece per uscire dalla stanza.
«Prenditi il tempo che vuoi!» aggiunse, infine, freddamente, senza neanche darle il tempo di replicare.
Usagi sentì solo il tonfo della porta d’ingresso sbattuta. Cadde sul letto e scoppiò a piangere, sfogando tutta la tensione accumulata in quei giorni, assieme alla paura di averlo perso per sempre. 

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Capitolo 18
*** Il Lato Oscuro di Mamoru ***


IL LATO OSCURO DI MAMORU 
 
 
Era passata una settimana e anche quella mattina Mamoru arrivò in ospedale svogliatamente.
Gli sembrava di vivere per inerzia, trascinato solo dalla routine e dal senso del dovere verso i suoi pazienti.
Di giorno, impegnato con il lavoro, riusciva a tenere a bada il turbinio di pensieri nella sua mente, anche se quella sensazione di inquietudine profonda non lo abbandonava mai.
Ma di notte, quando era solo con se stesso, tutto ciò che aveva cercato di soffocare riemergeva di colpo e lo sopraffaceva … Usagi, Hiroshi, Kaori … e ancora Usagi.
Erano stati sette giorni durante i quali aveva dormito pochissimo e, quando era riuscito a chiudere occhio, il suo sonno era stato agitato.
Il passato continuava a tormentarlo.
I ricordi erano ancora lì, nitidi, come se non fossero passati dodici anni, ma solo un giorno.
Era evidente che non fossero morti e sepolti, come credeva, ma solo nascosti in qualche angolo recondito della sua anima, pronti a saltar fuori alla prima occasione. E questa occasione si era presentata con l’arrivo di suo padre.
Benché Mamoru non l’avesse incontrato, avvertiva la sua presenza come una minaccia.
Da anni giocava a fare il funambulo su di un filo sottile e affrontare Hiroshi avrebbe significato dare il colpo di grazia al suo precario equilibrio.
Preferiva piuttosto continuare a starsene al sicuro nel suo nascondiglio, fatto di dubbi e sensi di colpa, ad aspettare che i fantasmi se ne tornassero in quell’angolo, in cui erano rimasti nascosti per tanto tempo.
Il suo era sicuramente un atteggiamento vile e Mamoru ne era consapevole.
Vigliacco, immaturo, egoista. Si sentiva tutto questo e non ne andava fiero.
Sapeva che stava semplicemente scappando, ancora, come aveva aveva sempre fatto.
Era stato un codardo con Hiroshi quando non gli aveva spiattellato in faccia quello che aveva scoperto sul suo conto, quando aveva nascosto a sua madre la verità per non ferirla, quando era andato via di casa senza mai voltarsi indietro, quando aveva giocato con i sentimenti di tutte le donne che lo avevano amato.
Persino con Usagi non si era comportato diversamente.
Eppure per quegli occhi color del mare, che, in un istante, gli avevano fatto vedere la vita da un’altra angolazione, aveva superato i suoi limiti e si era lasciato andare.
Per lei aveva liberato la sua parte migliore, per lei aveva combattuto quando il loro amore nascente non aveva futuro.
Usagi era stata la sua cura e la sua redenzione, era l’unico amore vero di tutta una vita.
Ma, quando si era trattato di dimostrarle quanto lei fosse importante, aveva fallito miseramente e ora rischiava di perderla, perché fuori dalla bolla di cristallo in cui vivevano insieme, Mamoru non era mai cambiato.
Da quando quella sera avevano litigato, non l’aveva mai cercata e non perché non ne sentisse il bisogno.
L’unico gesto nei suoi confronti era stato quello di inviarle, per il suo compleanno, un mazzo di rose rosse, venticinque come gli anni che compiva, accompagnate da una lettera a cui aveva affidato un lungo flusso di coscienza.
E la risposta di Usagi non si era fatta attendere, arrivando puntuale tramite un freddo e conciso sms.
 
“Capisco il tuo dolore, ma anche io sto male. Dammi tempo! Grazie per le rose”
 
Usagi aveva bisogno di tempo, ma Mamoru aveva la necessità, invece, di specchiarsi nei suoi occhi azzurri, di sentire la sua risata cristallina, di sfiorare il suo candido corpo.
Ormai era diventato impossibile anche incontrarla in ospedale. Sembrava fatto di proposito, ma i loro turni non coincidevano mai.
Tuttavia, lui aveva la consapevolezza che fosse giusto non forzare gli eventi e provare ad attendere pazientemente.
 
Come ogni inizio turno, Mamoru si avvicinò al banco dell’accettazione per prendere le cartelle cliniche. Diede una rapida scorsa alle visite di controllo da effettuare e, nel frattempo, gettò un’occhiata di sottecchi al registro dei turni: Dott.ssa Tsukino Usagi, ore 14-21.
Pensò che se la fortuna fosse stata dalla sua parte, avrebbe potuto incrociarla tra le 14 e le 15, prima di finire il proprio turno.
«Ha insistito per assistere a un mio intervento oggi pomeriggio» esclamò la voce di Heles alle sue spalle.
Mamoru si voltò a guardarla con aria interrogativa.
«Mi riferisco a Usagi – continuò Heles – Credo che questo suo improvviso interesse per la chirurgia ortopedica abbia qualcosa a che fare con te».
Mamoru non rispose, fingendo dinteresse.
«Non vi siete ancora chiariti?» chiese ancora la ragazza, curiosa.
«No» fu la risposta secca e decisa di Mamoru.
«Non ha tutti i torti» esclamò Heles.
Mamoru sbuffò infastidito.
«Heles, non mi va di sentire anche la tua paternale!» le disse, continuando a leggere distrattamente le sue cartelle cliniche.
«Usagi non ti perdonerà mai se non risolvi i tuoi problemi. Vai da tuo padre e affrontalo una volta per tutte, chiudi per sempre questa storia!» lo rimproverò Heles.
Mamoru sospirò nervosamente alzando gli occhi al cielo.
«Ho già chiuso con lui dodici anni fa!» esclamò spazientito.
«Ma vai a raccontarlo a qualcun altro! Quando capirai che hai un problema e che devi risolverlo?».
«Il mio unico problema adesso è Usagi, il resto non mi interessa».
«Usagi è una ragazza intelligente. Fermo restando che lei perdoni le tue mancanze, resterà il fatto che c’è un lato oscuro di te che non accetterà mai, se non vedi di azzerare i conti col tuo passato».
Mamoru la guardò accigliato.
«Te l’ha detto lei?» chiese sospettoso.
Sapeva che Usagi era molto legata a Heles e sicuramente si era confidata con lei.
“Un lato oscuro di me che non accetterà mai!” pensò malinconico.
Heles trasalì pensando che forse si era lasciata andare, rivelando un po’ troppo di quello che le aveva confidato la stessa Usagi. Si affrettò perciò a rimediare.
«No, cosa dici! È  solo il mio punto di vista» rispose, sperando di essere credibile.
Mamoru abbassò di nuovo lo sguardo, piuttosto dubbioso.
«A proposito, – aggiunse Heles cambiando volutamente discorso – Il capo vuole tutte le nostre relazioni entro due giorni La tua è pronta?».
«Quasi» rispose.
Ma in quello stesso istante si ricordò di una cosa che gli era completamente sfuggita di mente: la prima parte della relazione era ancora sul pc di Usagi. Vi aveva lavorato tutta la sera, quando lei era uscita con i suoi colleghi per festeggiare la promozione al secondo anno. Era completa e doveva solo salvarla sulla sua pen-drive. Ma poi era stato distratto dal rientro di Usagi, dalla passione che li aveva travolti e, soprattutto, dalla proposta di matrimonio e da tutta l’euforia che ne era conseguita. A quel pensiero vacillò un attimo.
«Tutto bene?» chiese Heles preoccupata.
«Sì – rispose lui ancora pensieroso e cupo in volto – Ora devo andare. A dopo».
E così salutò la sua amica, voltando le spalle, pronto a incominciare il suo giro di visite e desideroso di staccare momentaneamente la spina.
 
Aveva da poco terminato di visitare i suoi pazienti e, fortunatamente, non c’era alcuna urgenza. Tutto era sotto controllo.
Era quasi ora di pranzo e aveva deciso di mangiare qualcosa nel suo ufficio, così avrebbe cercato di risolvere il problema della prima parte della relazione, rimasta sul computer di Usagi. In fondo al corridoio riconobbe una figura femminile che lo guardava e nel contempo gli sorrideva, mentre si avvicinava.
«Dottor Chiba! È un vero piacere rivederti» lo salutò la donna.
«Setsuna! Che ci fai qui?» esclamò lui, sorpreso di vederla.
«Sono tornata dall’Africa pochi giorni fa e oggi ho ripreso a lavorare».
  •  
«E tu che mi racconti? Ho sentito dire in giro che ti sposi».
Mamoru sollevò le sopracciglia sorpreso.
“Cavoli! Le notizie corrono veloci!” pensò.
«Sì, più o meno» rispose vago, desideroso di chiudere subito l’argomento.
Setsuna lo guardò con aria interrogativa.
Che cosa voleva dire “più o meno”?
Era in procinto di sposarsi oppure no?
«Chi è lei? - chiese Setsuna. Poi, in tono allusivo, convinta di aver fatto centro, aggiunse - Scommetto che è la ragazza bionda per la quale scappasti via dal Crown quella sera, prima che io partissi».
Il ricordo di quella serata e di quello che di bello era successo dopo si palesò nella mente di Mamoru e gli fece piuttosto male.
«Sì, è lei! » rispose con una punta di tristezza nella voce.
«È molto bella» fu il commento della donna, che continuava a fissarlo come se volesse leggergli nei pensieri.
Aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava.
«Sì, lo è! E non solo! - rispose Mamoru deciso. Poi cercando di tagliar corto e di liquidarla la salutò – Il dovere mi chiama. Mi ha fatto piacere incontrarti».
«Anche a me ha fatto piacere – rispose lei provocatoria come sempre – Se la tua futura moglie non è gelosa, qualche volta potremmo andare a prendere un caffè insieme».
Mamoru non le rispose, limitandosi ad abbozzare una specie di sorriso, più che altro di circostanza, mentre alzava la mano in segno di saluto.
“Sempre la solita!” pensò Mamoru, mentre si allontanava, scuotendo la testa, quasi infastidito dall’atteggiamento di Setsuna.
Continuò a camminare spedito per raggiungere le scale e arrivare finalmene nel suo ufficio. Ma quando, all’improvviso, sollevò lo sguardo distrattamente, una dolce sorpresa gli si parò davanti agli occhi. Il suo cuore perse un battito. Usagi era davanti alle scale, che parlava con qualcuno, e si era voltata proprio nel momento in cui lui l’aveva notata.
In quell’attimo furono ancora loro, occhi negli occhi, mare e cielo.
Mamoru rallentò il passo, pensando a una banale scusa pur di parlarle e udire ancora la sua voce, dopo una settimana.
«Ciao» le disse dolcemente quando le fu vicino.
«Ciao» rispose Usagi, con un leggero sorriso sulle labbra.
Ci furono pochi secondi di silenzio, in cui erano ancora persi l’una nello sguardo dell’altro, poi la ragazza si decise a rompere l’incantesimo.
«Mamoru, lui è il mio amico Takashi. Te ne ho parlato, se ricordi. È venuto per salutarmi. Pranziamo insieme prima che io inizi il turno e lui parta per gli Stati Uniti».
La voce di Usagi era quasi incerta. Sembrava volesse giustificarsi, mentre osservava l’espressione di Mamoru che di colpo era diventata cupa. Sapeva che lui era molto geloso, e l’ultima cosa che desiderava era una scenata da parte sua.
«Ciao» esclamò Mamoru freddo, senza neanche tendergli la mano.
Takashi! Ricordava benissimo chi era!
Usagi gli aveva accennato del suo arrivo e lui, come c’era da aspettarsi, non aveva gradito. Si morse un labbro cercando di soffocare la gelosia crescente.
«Devo consegnare la mia relazione tra due giorni ma ho lasciato la prima parte dello scritto sul tuo pc. – le disse, provando a cambiare argomento per non pensarci – Ho dimenticato di trasferirla sulla mia pen-drive. Potresti farmela avere, per favore?».
«Hai le chiavi di casa mia, potresti andare oggi pomeriggio a prendere quello che ti serve. Io non ci sarò, lavoro fino a tardi».
Mamoru ascoltò la risposta di Usagi. Sembrò quasi avesse voluto sottolineare il fatto che non era in casa e di conseguenza che non gradiva incontrarlo.
«Ok» le rispose serio.
Seguirono pochi secondi di imbarazzante silenzio, poi Mamoru decise di uscire dalla pesantezza di quella situazione.
«Bene, io vado – disse accingendosi a salire le scale – Buon pranzo».
Parlò con sarcasmo e con un sorriso sardonico disegnato sulle labbra, mentre pensava al fastidio che aveva provato a sentirsi di troppo davanti a quella che considerava, e di fatto lo era ancora, la sua donna.
 
«Non credo di essere molto simpatico al tuo fidanzato!» esclamò Takashi, mentre si dirigevano insieme verso la mensa dell’ospedale.
«Scusalo! – rispose lei, ancora agitata dall’incontro avvenuto poco prima – Il fatto è che ultimamente ci sono un po’ di problemi tra noi».
«L’avevo capito – rispose il ragazzo deciso. Poi aggiunse con premura – Vuoi parlarne con un amico?».
Usagi tentennò un istante.
«Ecco, non posso raccontarti tutto per rispetto verso Mamoru. È una faccenda sua privata. Diciamo che mi ha mentito su alcune cose e io non so se posso perdonarlo».
Takashi la osservò pensieroso.
«Bugie gravi?».
«Mhm, più o meno … diciamo che più che mentirmi, ha omesso alcune cose che riguardavano la sua vita».
«Ma tu lo ami, vero?».
Usagi abbassò lo sguardo sospirando.
«Dal primo momento in cui l’ho incontrato – disse con decisione - Non ho mai amato nessuno quanto lui!»
«E allora mettici una pietra sopra e perdonalo, no?».
«La fai troppo facile, tu! – l’ammonì Usagi – Proprio perché lo amo così tanto, non credo di meritare tutto questo. E poi, se anche col tempo riuscissi a dimenticare e a perdonare, credo che debba ritrovare se stesso. Solo allora, forse, potremmo parlare di un “noi”».
«Stai dicendo che è finita?».
Gli occhi di Usagi divennero lucidi.
«Per il mio cuore no, per la mia mente sì!» rispose con un po’ di esitazione.
«Pensaci bene, Usa-chan! – le raccomandò Takashi accarezzandole affettuosamente il viso– Per come ti conosco io, tu non sei una persona che si lascia andare tanto facilmente ai sentimentalismi. E se lui è stato capace di sciogliere il tuo cuore, io ci rifletterei bene prima di buttare questa possibilità solo per uno stupido orgoglio».
Usagi annuì.
«È quello che sto cercando di fare, ma non è facile» rispose seria, mentre dentro di sé continuava a rimbombare il frastuono, che facevano la sua mente e il suo cuore che combattevano l’una contro l’altra.
 
Mamoru, dopo il suo turno, aveva fatto un giro in centro per sbrigare alcune commissioni, poi, nel tardo pomeriggio, si era incontrato al Crown con Motoki ed Heles.
Mentre i due amici non gli risparmiavano l’ennesima predica, lui li ascoltava silenziosamente e, nel frattempo, mandava giù un paio di drink. Al terzo bicchiere decise di fermarsi, ricordandosi che era in moto e che stava esagerando. Così, un po’ sbronzo, aveva salutato per andarsene e, benché Motoki avesse fatto storie per convincerlo a farsi accompagnare, lui non ne aveva voluto sapere.
Entrò nell’appartamento di Usagi che erano quasi le otto di sera. Ci avrebbe messo pochi minuti, giusto il tempo di prendere i suoi appunti e poi se ne sarebbe andato, così non si sarebbero incontrati, proprio come Usagi desiderava.
Prima, però, aveva bisogno di una birra fresca. Così andò direttamente in cucina, prese una Tennent’s, la aprì e si diresse quindi verso la camera di Usagi, dove si trovava il computer.
Quando vi entrò, provò una fitta al cuore.
Quella stanza era impregnata dell’odore di lei.
Quanto gli mancava il suo dolce profumo!
Quanto gli mancava quella pelle di luna che mille volte aveva accarezzato proprio in quella stanza!
Sospirò per mandare via la malinconia.
Senza accendere la luce, ma lasciando che fossero i caldi raggi di quel tramonto di luglio a illuminare la stanza, si avvicinò alla scrivania e avviò il pc.
Pensò a quante notti aveva lavorato, proprio seduto su quella sedia, mentre Usagi dormiva beatamente davanti ai suoi occhi.
La sua attenzione fu catturata da qualcosa che brillava sul comodino. Si avvicinò lentamente e, quando capì di cosa si trattava, qualcosa gli morì dentro: erano l’anello con il quale le aveva chiesto di sposarlo e la collanina che le aveva regalato a Natale e dalla quale Usagi non si separava mai.
Il fatto che fossero lì furono un chiaro segnale di quanto stesse accadendo tra loro.
Forse per lei era realmente finita e stava solo aspettando il momento giusto per dirglielo.
Stare in quella casa, dopo tutto quello che aveva vissuto con lei e che, forse, non sarebbe più tornato, era una tortura.
Realizzò che, per la sua salute mentale, doveva fare in fretta a prendere ciò di cui aveva bisogno e andare via prima possibile.
Trovò la sua relazione e collegò la pen-drive.
Mentre aspettava il trasferimento del file sul dispositivo, il suo sguardo si posò sull’icona della posta elettronica. L’idea di aprirla lo tentò. Pensò che non fosse corretto ficcare il naso negli affari di Usagi e, poi, così, avrebbe perso altro tempo.
“Solo una sbirciata!” si disse, alla fine, giustificando a se stesso quel gesto infantile e di totale sfiducia nei confronti di Usagi, mentre apriva la posta.
Una sfilza di nuovi messaggi in arrivo, ma niente di interessante: pubblicità, lavoro, aggiornamenti di medicina. Eppure non era soddisfatto, cercava qualcosa, anche se non sapeva esattamente cosa.Si fidava di Usagi, ma era degli altri che proprio non si fidava.
«Bingo!» esclamò, quando un nome attirò la sua attenzione: Takashi.
Era proprio il tizio che Usagi gli aveva presentato quella mattina e davanti al quale si era sentito un perfetto estraneo.
Erano una ventina di messaggi in tutto, il più recente risalente alla settimana precedente, prima che scoppiasse tutto quel casino. Sapeva che quello che stava facendo era sbagliato, ma in quel momento poco gli fregava che Usagi si sarebbe arrabbiata. Doveva assolutamente sapere cosa le scriveva quel Takashi.
Cominciò proprio dall’ultimo messaggio.
 
“Arrivo venerdì prossimo in mattinata e riparto nella stessa giornata. Pranziamo insieme? sempre che il tuo dottore non sia geloso. Non vedo l’ora di rincontrarti. Takashi.
PS. Sai già che se un giorno ti dovessi stancare di lui io sarò qui ad aspettarti a braccia aperte ;) ”
 
Re:”Ok, va bene, vedrò di spostare il turno e non ti preoccupare di Mamoru, sa già del tuo arrivo. Usagi.
PS. Sì, lo so! ma so anche che non mi scoccerò mai del mio dottore ”
 
Il volto di Mamoru si rabbuiò. Doveva aspettarselo che quel ragazzo fosse invaghito di Usagi. Del resto, quando mai è esistita l’amicizia tra uomini e donne, a parte quella tra lui e Heles. Ma quello era un discorso decisamente differente, dato i diversi gusti sessuali.
Beh, quanto meno Usagi aveva subito messo a posto quel damerino da strapazzo!
Aprì il messaggio precedente, risalente al 25 dicembre. Non c’era la risposta di Usagi, ma la richiesta da parte del ragazzo di passare il Capodanno insieme, fece sorgere in Mamoru qualche sospetto.
Cominciò a leggere uno alla volta tutti i messaggi, comprese le risposte di Usagi.
E sarebbe stato meglio se non lo avesse mai fatto!
Aveva appena scoperto che Usagi e quel bellimbusto avevano avuto una storia, anche abbastanza lunga, solo ed esclusivamente fisica.
Il contenuto dei messaggi era più che esplicito e al terzo messaggio Mamoru non ebbe più il coraggio di andare avanti a leggere e torturarsi.
Gli aveva sempre dato fastidio che Usagi avesse avuto altri uomini in passato, ma vederselo spiattellato in faccia, così crudamente, era davvero un supplizio.
L’immagine di Usagi, nuda sotto quell’essere schifoso, in balia della sua eccitazione, gli lacerava l’anima. Il pensiero che tutti i desideri espressi in quei messaggi fossero stati soddisfatti, magari proprio lì, in quella stessa stanza dove si trovava adesso e dove aveva fatto l’amore con Usagi fino a una settimana prima, lo facevano impazzire. Per non parlare poi delle risposte compiaciute della ragazza. Quelle lo mandavano in bestia! E poco contava che fosse una storia passata.
La folle gelosia che lo rodeva, come un mostro tremendo radicato nel suo corpo, cominciò a insinuare nella sua mente dubbi tremendi. Chi lo rassicurava che non fosse successo anche quella mattina, che Usagi si fosse concessa alle perversioni di quell’uomo? Ecco spiegato il motivo per cui non indossava l’anello e la collanina!
Mamoru era furioso. La gelosia, unita all’effetto dell’alcol e alla tensione di quei giorni, avevano ormai fatto partire completamente la sua razionalità.
Con uno scatto si alzò, rovesciando tutta la birra sul pavimento.
Guardò l’orologio. Erano le nove.
Usagi sarebbe rientrata tra non molto e lui l’avrebbe aspettata. Al diavolo la sua richiesta di non incontrarsi! Si era messo in testa che voleva delle spiegazioni e, se lei aveva intenzione di chiudere definitivamente con lui, doveva dirglielo subito.
A peso morto si gettò sul letto, in attesa che lei tornasse a porre fine a quell’inutile supplizio.
 
Usagi finì di lavorare prima del previsto e, stanchissima, il suo unico desiderio era solo quello di tornare a casa e andare a dormire, nella speranza di riuscire finalmente a chiudere occhio.
Anche per lei non erano stati giorni facili. Stare lontano da Mamoru era un’agonia. Quando quella mattina l’aveva rincontrato avrebbe tanto voluto gettargli le braccia al collo e ripetergli quanto l’amasse e quanto sentisse la sua mancanza.
Ma a che sarebbe servito fare finta di niente?
Lei era delusa e, più passava il tempo e ci rifletteva su, più si sentiva tradita.
Non trovava un motivo plausibile per cui Mamoru le avesse negato una parte della sua esistenza, per lei era inconcepibile il suo comportamento. L’unica spiegazione possibile era il dolore che lui aveva provato e che forse lei non avrebbe mai compreso fino in fondo. Ma se anche l’avesse perdonato, vinta dall’amore infinito che provava per lui, come avrebbe fatto a convivere con la convinzione che lui nascondesse altro? Qualcosa che si ostinava a tenere nascosto in fondo al cuore?
Quando infilò la chiave nella serratura, si accorse che la porta era già aperta. Possibile che lui fosse ancora in casa? Eppure gli aveva fatto capire che non voleva incontrarlo.
Sbuffò e lentamente si avviò verso la camera da letto. Lo trovò addormentato.
«Mamoru, svegliati!» gli disse e, nel frattempo, notò che il pc era ancora acceso e la posta era aperta. Mamoru aveva letto tutta la sua corrispondenza con Takashi!
«Mamoru!» lo chiamò di nuovo, arrabbiatissima, scuotendolo perché si svegliasse.
La voce di Usagi gli arrivò come un’eco lontana. Mamoru aprì gli occhi piano e si accorse che non era un sogno. Usagi era proprio lì.
«Ma cosa hai fatto? – disse lei – Pensavo che l’avessi capito che non volevo trovarti qui al mio rientro».
«Non urlare! Ho mal di testa» rispose lui portandosi una mano sugli occhi.
« Perché ti sei messo a leggere la mia posta? Mi vuoi spiegare?» continuò, infischiandosene del suo mal di testa.
Un attimo per mettere a fuoco la situazione e poi Mamoru ricordò tutto.
Un sorriso sardonico comparve su suo volto.
«Ah, io dovrei spiegare? E tu che mi dici del tuo amico? O forse dovrei dire del tuo amante!».
Usagi trasalì.
«Non è il momento per una delle tue stupide scenate di gelosia» disse, mentre lo tirava per un braccio per costringerlo ad alzarsi.
Mamoru si mise in piedi e si pose diritto davanti a lei, sovrastandola con la sua altezza e fissando i suoi occhi blu nei suoi.
«Credi che io mi diverta, Usagi?» le disse con un tono che alla ragazza sembrò quasi minaccioso.
«Qui nessuno si sta divertendo! Credi di farmi paura con questo tuo atteggiamento spavaldo?» rispose lei con sicurezza sostenendo il suo sguardo.
«Lungi da me metterti paura! – esclamò il ragazzo – Voglio solo che tu capisca quanto sono arrabbiato adesso. Mi sento di impazzire, Usagi! Che hai fatto con quel Takashi, oggi? Dimmelo!».
Usagi alzò gli occhi al cielo sbuffando.
«Hai bevuto!» esclamò.
«Rispondimi, Usagi!» disse afferrandole le spalle e scuotendola.
«Niente, abbiamo solo pranzato insieme – rispose lei cercando a stento di mantenere la calma – E ora ti prego, vattene, lasciami stare!».
E così dicendo si liberò dalla sua presa e voltò le spalle per uscire dalla stanza.
Ma Mamoru le afferrò con forza un polso costringendola a voltarsi e, in un attimo, le serrò anche l’altro, tenendoglieli entrambi stretti per non lasciarla scappare.
«Mamoru, lasciami! Mi fai male!» gridò lei, più per rabbia che per paura.
«Voglio la verità!».
«Te l’ho detta la verità!» esclamò lei ancora più decisa e continuando a tenere i suoi occhi azzurri fissi in quelli di lui.
Lentamente Mamoru allentò la presa e si chinò su di lei tentando di baciarla. Ma Usagi lo scansò prontamente, voltando la testa di lato.
Il ragazzo non si arrese e con decisione l’avvinghiò con le sue forti braccia. In meno di una frazione di secondo, Usagi si ritrovò sdraiata sul letto sotto di lui, che in tutti modi cercava di baciarla e di farsi strada tra i suoi vestiti.
«Mamoru, smettila! Non mi va!» gridò cercando di respingerlo, facendo pressione sul suo torace. Ma la sua era una forza ridicola rispetto a quella del ragazzo e non serviva a niente, se non ad accenderlo ancora di più.
«Non è vero, lo so che ti va! Voglio solo riprendermi quello che mi appartiene» rispose lui schiacciato sul viso di Usagi, mentre con le mani continuava ad accarezzarla bramoso.
«Io non sono tua! E tu sei ubriaco! Smettila» continuò a gridare la ragazza.
Ma era inutile, Mamoru sembrava non sentirla.
Eccolo il lato oscuro di Mamoru, pensava Usagi.
L’uomo che aveva davanti non era lo stesso che lei amava. Possibile che in realtà fosse una persona così diversa da quella che aveva conosciuto?
Lui, che aveva sempre cercato di avere il controllo su tutto, era crollato per una banalità.
Ma quanto grande poteva essere lo squarcio nella sua anima, tanto da spingerlo a perdere totalmente il controllo di se stesso e della sua vita?
Usagi provò una fitta al cuore, forse per rabbia e delusione, o forse per empatia nei confronti dell’uomo che continuava ad amare.
Priva di forze, smise di respingerlo e si abbandonò totalmente, cominciando a piangere. Una dopo l’altra le lacrime scendevano copiose, rigandole il viso.
E fu proprio quando si ritrovò ad assaggiare il sapore amaro di quelle lacrime, che Mamoru tornò in sé.
D’improvviso, si rese conto di cosa stava facendo.
Alzò la testa e guardò quegli occhi in cui amava specchiarsi e che ancora una volta stavano piangendo a causa sua. Ma come aveva potuto fare una cosa del genere alla sua Usako?
Si vergognò di se stesso.
«Scusami, io non so che mi è preso! » disse mortificato con un filo di voce, mettendosi a sedere. Poi l’aiutò a rialzarsi e l’attirò in un profondo abbraccio.
«Scusami, scusami!» continuava a ripetere mentre la cullava tra le sue braccia e le accarezzava i capelli.
«Perché, Mamoru?» chiese Usagi continuando a singhiozzare.
«Perché … perché ero pazzo di gelosia! Lo so, non è una giustificazione, ma non ci ho visto più».
«Ma è una storia vecchia, è passato tanto tempo».
«Lo so! Scusami! È solo che io non ce la faccio più a vivere così, nel dubbio. Io ti amo e voglio stare con te, ma se tu non vuoi più ho bisogno di saperlo ora» le disse sciogliendo l’abbraccio e guardandola negli occhi, cercando di carpire una risposta dalle sue espressioni.
Usagi fece un lungo sospiro.
«Anche io ti amo e credimi quando dico che capisco il tuo dolore. Col tempo potrei imparare ad accettare i tuoi errori e le tue mancanze e perdonarti … ».
«E allora, qual è il problema? Ho sbagliato, ma ti ho spiegato il motivo» disse Mamoru cingendole le spalle.
«Mamoru, io non posso pensare di vivere accanto a una persona che non ha risolto i conti col passato e che alla prima difficoltà cambia totalmente».
Fece una piccola pausa, poi continuò.
«Non si può pensare di suturare delle ferite senza pulirle, rischierebbero di infettarsi. Me l’hai insegnato tu, ricordi?».
Mamoru abbassò lo sguardo, comprendendo perfettamente la metafora di Usagi. E lei, portandogli delicatamente una mano sotto al mento, lo costrinse a guardarla ancora.
«Mamoru, le tue ferite sono infette da troppo tempo, non cicatrizzeranno mai, se non ti decidi a pulirle».
«E cosa dovrei fare?» chiese il ragazzo, pur conoscendo già la risposta.
«Non lo so! Vai da tuo padre, affrontalo, gridagli pure quanto lo odi, se ti fa stare bene. Ma fai qualcosa!».
«Non posso … o forse non voglio!».
«Perché? Dimmelo!».
Mamoru si alzò dal letto.
«Mio padre è … - cominciò a dire stringendo i pugni, ma poi si bloccò di colpo – Scusami, Usako! Scusami per tutto!».
Le accarezzò il viso e, alla fine, andò via, prima di cedere alla tentazione di rivelarle tutto, coinvolgendola ancora.
 
Usagi non reagì in alcun modo.
Che cosa stava per dirle Mamoru?
Stava diventando tutto sempre più complicato e lei, ormai, non ci capiva più nulla. Se lui non voleva contribuire a fare chiarezza, allora avrebbe dovuto cercarsi le risposte da sola.
Prese il telefono e compose il numero dell’ospedale.
«Buonasera, sono la dottoressa Tsukino! Ho bisogno di un favore».

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Capitolo 19
*** Castelli in Aria ***


CASTELLI IN ARIA 
 
 
«Avanti!» esclamò la voce autorevole di un uomo dall’interno del suo ufficio, invitandola a entrare.
Usagi aprì lentamente la porta.
Era tesa e sperava fortemente che da quell’incontro riuscisse a ricavarne qualcosa di utile, qualcosa che l’aiutasse a comprendere Mamoru e che le fornisse le risposte che stava cercando o, almeno, parte di esse.
«Buongiorno, professor Chiba» salutò educatamente la ragazza.
Per un attimo, rimase sconcertata nel riconoscere di nuovo gli occhi di Mamoru sul volto di Hiroshi. Il taglio allungato e il colore blu profondo erano identici, ma anche l’espressione tagliente e penetrante era la stessa.
Provò una leggera soggezione davanti a quello sguardo, ma si impose di sostenerlo.
«Buongiorno, Usagi – esclamò l’uomo con un tono apparentemente cordiale. Poi con un sorriso sardonico sul viso continuò – Sapevo che, prima o poi, saresti venuta a cercarmi».
La ragazza restò alquanto disorientata in seguito a quella affermazione.
«E cosa la rendeva così sicuro?» chiese, indispettita dalla sicurezza ostentata dal suo interlocutore.
Hiroshi sorrise ancora, questa volta divertito, pensando che quella giovane donna non sembrasse per nulla intimidita da quello che lui rappresentava nel suo ambiente.
Era abituato a toni ossequiosi e ruffianerie varie e la sfrontatezza di Usagi lo aveva lasciato piacevolmente colpito.
«Allora? Hai deciso di accettare la mia proposta?» chiese l’uomo con tono provocatorio, invece di rispondere alla sua domanda.
«No! - rispose lei decisa, senza abbassare mai lo sguardo - Le ho già detto che non avrei mai accettato la sua proposta!».
«Bene! – esclamò allora Hiroshi – In questo caso accomodati e spiegami pure il motivo di questa tua visita improvvisa».
Usagi lo osservò con diffidenza prima di sistemarsi sulla poltrona davanti alla scrivania.
L’uomo seduto di fronte a lei sembrava gentile e affabile, ma il suo tono di voce era dispotico e altezzoso, tipico di chi è abituato a comandare.
Se quello era il suo atteggiamento abituale, Mamoru non aveva tutti i torti, era decisamente insopportabile.
«Si tratta di Mamoru, vero?- chiese l’uomo, senza perdere la sua aria di superiorità. E, vedendo Usagi annuire, aggiunse - Che cosa vuoi sapere?».
A quanto sembrava, il padre di Mamoru aveva già intuito tutto, così la ragazza, senza troppi giri di parole, gli rivolse la prima domanda, quella di cui aveva la maggiore necessità di conoscere la risposta.
«Perché Mamoru ha tutto questa rabbia nei suoi confronti?».
Hiroshi sollevò le sopracciglia sorpreso, o forse fingendosi tale.
«Ma come? Mio figlio non ti ha raccontato di quanto, secondo lui, io sia stato un pessimo padre?» chiese con un sorriso sghembo.
«Pensa, invece, di essere stato l’opposto?».
«Gli ho dato il meglio, ma lui non l’ha mai apprezzato».
Usagi sorrise sprezzante. Quell’uomo non aveva la benché minima idea di che cosa avesse bisogno un figlio.
«Beh, forse lei si riferisce alle scuole più prestigiose e a una vita piena di agevolazioni. Ma si è mai chiesto cosa volesse Mamoru?».
«Io gli ho dato un futuro, Usagi. Deve ringraziare me se adesso è quello che è!».
«Mamoru ha costruito la sua carriera da solo, al prezzo di tanti sacrifici!».
Con questa risposta la ragazza alzò lievemente il tono di voce, incurante di mostrare rispetto alla persona che aveva di fronte.
Detestava che altri si prendessero meriti che non avevano. E, soprattutto, detestava che quell’uomo mettesse in dubbio le capacità di Mamoru.
Hiroshi ghignò.
«Ne sei proprio sicura?» chiese con una presunzione che Usagi trovò odiosa.
«Certo che ne sono sicura! - rispose indignata - Che cosa sta dicendo?».
Chiba si prese qualche secondo di pausa, apprezzando la risolutezza e la grinta di quella che, in apparenza, sembrava una ragazzina docile e delicata. Poi riprese a parlare.
«Le borse di studio all’università, la specializzazione, il suo attuale lavoro … dietro ci sono sempre stato io. Sono un medico molto influente e ho molte conoscenze sempre pronte a riverirmi in cambio di piccoli favori. Mi è bastato fare qualche semplice telefonata e Mamoru è stato sistemato. Solo per l’esame di ammissione a medicina ha fatto tutto da solo. In quel periodo, ero troppo arrabbiato con lui e avevo troppi problemi per la testa per occuparmi anche della sua scelleratezza».
A questo punto Hiroshi si interruppe. Scrutò a fondo l’espressione sempre più sdegnata di Usagi, poi riprese le sue confessioni.
«Goro Yamada, il vostro primario, è uno dei miei migliori amici e mi sono sempre tenuto in contatto con lui per sapere di mio figlio. È stato proprio lui a parlarmi di te, prima che lo facesse mia moglie. Logicamente, Mamoru non sa niente di tutto questo. Per tutti questi anni si è soltanto illuso di essersi liberato di me».
Usagi era a dir poco sconvolta da tutte queste dichiarazioni. Quell’uomo era un dominatore nato, prepotente e arrogante. Senza contare il modo repentino con cui era passato da un’espressione seria e malinconica a una di scherno, mentre pronunciava l’ultima frase, il che l’aveva lasciata a dir poco allibita.
«Perché l’ha fatto? Mamoru non voleva » fu tutto ciò che riuscì a dire, a discapito di tutti gli insulti e i disprezzi che avrebbe voluto lanciargli.
«È stato il mio modo di dimostrargli che lo amo, anche se non siamo mai andati d’accordo» rispose Hiroshi, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.
«Bel modo di mostrare il suo amore paterno! – esclamò Usagi con disprezzo – Invece di chiamare i suoi amici, avrebbe potuto chiamare Mamoru e cercare di chiarirvi, e non agire nell’ombra e nella menzogna! Che cosa pensa che farebbe, adesso, se lo scoprisse?».
«Mi dovrebbe ringraziare! Se non l’avessi aiutato, adesso sarebbe ancora un cameriere o, peggio ancora, un belloccio da copertina. Io ho semplicemente impedito che si rovinasse con le sue stesse mani».
«Bella fiducia che ha nelle capacità di suo figlio! Sono disgustata, mi creda!».
«Mio figlio ha sempre avuto un ottimo potenziale, io l’ho solo aiutato a farlo emergere. Nell’ombra, è vero, ma l’ho fatto per lui. In questo mondo bisogna scendere a compromessi per andare avanti!».
«Ma di cosa parla? Siamo medici! La prima cosa è la passione e l’amore per il nostro lavoro!».
«Usagi, non essere ipocrita! Se la pensassi davvero così non saresti in procinto di sposare il più giovane e promettente neurochirurgo del Paese».
L’espressione di Usagi era inorridita. Adesso quell’uomo stava superando ogni limite.
«Ma come si permette? Io amo Mamoru!» urlò.
«L’avresti amato lo stesso se non fosse stato quello che è ora?».
«Io amo Mamoru, non il neurochirurgo!» ribadì la ragazza, scandendo decisa ogni parola.
Alla fine, Hiroshi alzò le mani in segno di resa, anche se il suo viso tradiva una certa ironia che indispettì la ragazza, ancor più di quanto non lo fosse già.
«Lei è davvero una persona spregevole! E non mi stupisce che Mamoru l’abbia tagliata fuori dalla sua vita! Ha fatto benissimo!».
A quel punto Hiroshi divenne improvvisamente serio, come se  fosse stato colpito nel profondo.
«Sì, lo so! Sono spregevole, superbo, dominatore. Ma voglio bene a mio figlio e ribadisco che tutto quello che ho fatto è stato per lui. Anche io ho sofferto per la sua lontananza e questo è stato l’unico modo in cui sono riuscito a stargli vicino e a dimostrargli il mio affetto, nonostante tutto. Forse ho sbagliato. Con l’età sto cominciando a riconsiderare i miei modi di agire, ma fondamentalmente resto quello che sono sempre stato. Non è facile cambiare».
Fece un secondo di pausa per riprendere fiato, come se quelle parole gli costassero fatica ed energia.
«Vorrei rivvicinarmi a mio figlio, ma se lui non ne vuole sapere, pazienza! Mi accontento di saperlo felice».
Usagi lo osservò attentamente. La sua espressione era ancora totalmente cambiata, sembrava un'altra persona. Di nuovo un altro cambiamento repentino nel suo modo di esprimersi.
«Mamoru non è felice! - esclamò la ragazza - E neanche lei lo è!».
Per lei era evidente che anche Hiroshi soffrisse, e quasi ne ebbe pietà.
Era un uomo completamente sbagliato: pessimo carattere, pessimo modo di manifestare i suoi sentimenti. E in tutto questo, il ruolo di responsabilità che ricopriva non l’aveva aiutato per niente. Per un attimo Usagi si chiese come si comportasse, invece, con i suoi pazienti. Era sempre lo stesso professor Chiba?
A quel punto, però, decise che il loro incontro potesse chiudersi così.
«Parlare con lei mi ha fatto capire molte cose - disse Usagi alzandosi dalla poltrona per andare via - Buona giornata, professor Chiba!».
«Usagi, - Hiroshi la bloccò prima che uscisse dall’ufficio - Metterai una buona parola con Mamoru?».
Usagi si voltò a guardarlo.
“No!” sarebbe stata la sua risposta istintiva, ma provò quasi tenerezza per quegli occhi, così uguali a quelli di Mamoru, che, oltre l’espressione dura, sembravano dolci e supplichevoli.
Una speranza non poteva negargliela.
«Questo non posso prometterlo » fu quello che riuscì a dire.
Poi, si voltò per uscire definitivamente da quell’ufficio e, nel mentre, notò su una mensola vicino alla porta due foto in cornice.
In una, riconobbe la famiglia Chiba al completo, Kaori, Hiroshi e Mamoru da piccolo.
Nell’altra, c’erano una giovane donna e una bambina.
Per un millesimo di secondo si bloccò, misteriosamente attratta dalla seconda fotografia, ma subito ignorò quella strana sensazione, decisa a lasciare quanto prima quella stanza e a tornare a casa. L’unica priorità, adesso, era parlare con Mamoru e raccontargli tutto ciò che aveva appena appreso.
 
Finito il suo turno, Mamoru era tremendamente stanco. Un’altra notte in bianco l’avrebbe sicuramente ammazzato, così, prima di andarsene, era passato nella farmacia dell’ospedale a prendere un sonnifero. A mali estremi, estremi rimedi!
Non vedeva l’ora di tornare a casa e spegnere, finalmente, il cervello. Ma, ovviamente, come accade sempre quando si è di fretta, non poteva filare tutto liscio. La sua moto non ne voleva sapere di partire. Provò e riprovò diverse volte, ma niente!
«Dannazione!» gridò scendendo e sferrando un calcio sulla ruota posteriore.
Preso dal noioso inconveniente, non aveva notato che Setsuna era a pochi metri da lui e lo stava osservando divertita.
«Ti ha abbandonato anche lei?» chiese la donna con ironia.
Mamoru si girò verso di lei.
«La tua battuta non mi piace, Setsuna!» le rispose guardandola accigliato.
«Stavo scherzando! Non essere così permaloso» si giustificò la donna.
Mamoru la ignorò e riprovò ancora a far partire la moto, ma senza risultati.
«Vuoi un passaggio?» gli chiese allora Setsuna, vedendolo in difficoltà.
«No, ti ringrazio. Vado a piedi».
«Dai, non fare lo stupido! Ti ci vorrà più di mezz’ora per arrivare a casa».
Mamoru alzò gli occhi al cielo sospirando.
«Ok! Ma guido io» rispose, alla fine, prendendole le chiavi e avviandosi verso la sua auto.
Mentre il ragazzo guidava, in silenzio, immerso nei suoi pensieri, Setsuna lo osservava rapita. Certo che era sempre più bello! Era innamorata di Mamoru da sempre e, quando lui aveva interrotto la loro relazione,  – sempre che fosse mai cominciato qualcosa – era rimasta molto male. Soprattutto quando, poi, aveva scoperto che il vero motivo della rottura era un’altra donna.
La sua delusione era stata anche la causa che l’aveva indotta ad accettare la proposta di volontariato in Africa, sperando di riuscire a dimenticarlo. Ma quando era tornata, i suoi sentimenti erano ancora lì, intatti, ed era rimasta male quando aveva scoperto che lui stava addirittura per sposarsi.
Sapere che anche con Usagi era finita era stato un gran sollievo, che aveva riacceso le sue speranze. Adesso, però, che guardava i suoi occhi tristi e malinconici, si sentiva male ad aver gioito delle sofferenza dell’uomo di cui era innamorata.
«Perché mi guardi?» le chiese il ragazzo voltandosi un attimo e incrociando i suoi occhi verdi.
Setsuna arrossì leggermente, per quanto fosse possibile per una donna audace e sfrontata come lei.
«Niente – disse. Poi aggiunse quasi timidamente – Mi chiedevo come stessi?».
Mamoru, in genere, non amava parlare dei suoi fatti personali. Ma in quel momento gradì l’interessamento della donna, anche se la sua risposta fu comunque evasiva.
«Ho visto giorni migliori!».
«Non vuoi parlarne?».
Mamoru tacque. Erano arrivati sotto casa sua.
«Vuoi salire per un caffè?» le disse, prima di parcheggiare la macchina.
Forse Setsuna non era la persona migliore con cui parlare, ma in quel momento aveva voglia di sfogarsi con qualcuno che si limitasse ad ascoltarlo e non a recitargli la solita paternale, come avrebbero fatto, invece, Heles e Motoki.
«Ok, volentieri» rispose lei, senza farselo ripetere.
 
Usagi guidava sulla strada del ritorno.
Quel rettilineo le sembrava tremendamente lungo e, come se non bastasse, il sole era già calato da un pezzo, contribuendo a rendere il percorso ancora più noioso.
Fremeva per parlare con Mamoru e quel momento sembrava non arrivare mai.
Accese l’autoradio per avere un po’ di compagnia e nel frattempo pensava.
Incontrare Hiroshi, anche se non aveva risolto tutti i misteri intorno a quella storia, l’aveva aiutata a vedere le cose da un’altra prospettiva, quella di Mamoru.
Certo lui aveva sbagliato a non confidarle i suoi problemi, ma adesso lei comprendeva davvero tutte le sue ragioni. Si dava della stupida perché lo aveva lasciato da solo proprio nel momento in cui lui necessitava maggiormente della sua presenza.
Mamoru aveva bisogno di lei, ma anche lei aveva bisogno di Mamoru. Lo amava e voleva stare con lui. Doveva assolutamente spiegargli tutto, sperando che lui volesse ancora stare con lei. E, soprattutto, doveva raccontargli tutto ciò che aveva appreso durante l’incontro con Hiroshi. Sapeva che sarebbe stata dura da accettare, ma Usagi, dal primo momento, aveva avuto intenzione di dirgli tutto, senza dubitare un solo secondo della sua scelta.
Il cellulare squillò, distogliendola dai suoi ragionamenti. Era Makoto. Indossò gli auricolari e rispose, cercando di fingersi tranquilla e di non far trapelare le sue preoccupazioni.
«Ciao, Usa! Come stai?».
«Io bene. E tu?».
«Bene! Hai risolto allora con Mamoru?».
«Sì … più o meno!».
«Sono contenta! I giorni scorsi eri proprio a pezzi».
«Già! Come mai mi hai chiamato?».
«Io e le ragazze stiamo organizzando una mega vacanza per il mese di agosto, in giro per l’Europa, e speriamo tanto che tu ti unisca a noi. Sarebbe l’ultima vacanza insieme prima che ti sposi. Mamoru avrebbe problemi a lasciarti venire con noi?».
«Non lo so … non penso … mi piacerebbe tanto … ma non so se posso venire … il lavoro, gli impegni … ».
«Non dire subito di no, ti prego! Magari un mese è troppo, ma almeno una decina di giorni potresti concederli alle tue amiche! Dai, promettimi almeno che ci pensi!».
«Ok, ci penserò!».
«Grazie, Usa-chan! Lo sai che ci teniamo tanto! Stasera ti mando via e-mail l’itinerario previsto e tutti i costi. Ami come al solito ha già organizzato tutto nei minimi dettagli. Magari così ti convinci!».
«Ok, Mako! Aspetto la tua e-mail, allora».
«Buona serata, amica mia!».
«Buona serata anche a te e salutami le altre».
Usagi riagganciò sorridendo.Una vacanza in compagnia delle sue amiche sarebbe stata proprio l’ideale per riprendersi, ma in quel momento non era proprio il caso scappare via.
Sospirò dispiaciuta, pensando a quanto ci sarebbero rimaste male le ragazze quando avrebbe detto che non si sarebbe unita a loro. Purtroppo, però, adesso doveva solo pensare a risolvere la situazione con Mamoru e a restargli accanto.
 
«E questo è più o meno tutto» disse Mamoru, quando ebbe finito di raccontare per sommi capi le sue ultime vicende.
Setsuna lo aveva ascoltato attentamente senza interromperlo.
«Mi dispiace – disse alla fine, in maniera molto sincera – Non credevo che la situazione fosse così complicata».
«Già!» rispose il ragazzo.
«Andrà tutto bene! Si risolverà tutto, vedrai» cercò di consolarlo Setsuna.
«Grazie – rispose il ragazzo provando a sorridere. Poi, spinto dalla gentilezza che aveva mostrato la donna, si sentì in dovere di aggiungere qualcosa che non le aveva mai detto fino a quel momento – Setsuna, mi dispiace se in passato mi sono comportato male con te».
La donna sorrise.
«Non preoccuparti, è acqua passata – disse cercando di non tradire i suoi veri sentimenti. Poi cambiò volutamente discorso – Ti do una mano a sistemare».
E così dicendo, sollevò il vassoio con le tazzine per riportarlo in cucina. Ma, forse per l’imbarazzo del momento, i suoi movimenti erano incerti e così si rovesciò addosso tutto il caffè rimasto nella caffettiera, ancora quasi piena.
«Che disastro! - esclamò constatando che era tutta sporca dalla testa ai piedi e che aveva rovesciato tutto anche sul pavimento – Scusa, Mamoru».
«Non preoccuparti! Ci penso io a pulire – disse il ragazzo venendo in suo soccorso. Poi la guardò e sorrise divertito – Piuttosto, faresti meglio a cambiarti e a fare una doccia. Puzzi come un cioccolatino ripieno al caffè».
A quel pensiero Setsuna fece una smorfia.
«Forse sarebbe il caso!» esclamò annusando i suoi vestiti.
«Il bagno è in fondo a destra – aggiunse Mamoru – Puoi usare l’accappatoio bianco. Nel frattempo ti prendo una delle mie tute».
«Ok, grazie!» rispose la donna dirigendosi verso il bagno.
 
Usagi suonò con insistenza il campanello dell’appartamento di Mamoru, sperando che fosse in casa. Quei pochi secondi di attesa sul pianerottolo le sembrarono un’infinità. E quando lui finalmente aprì, la ragazza sorrise come ormai non faceva da giorni.
«Usako!» esclamò Mamoru sorpreso, ma nello stesso tempo felicissimo di trovarsela davanti. Poi il suo sguardò si incupì. Non conoscendo il motivo per cui lei fosse arrivata a casa sua così all’improvviso, pensò subito al peggio.
«Che ci fai qui?» le chiese all’istante.
Usagi si prese qualche secondo per trovare le parole giuste. Deglutì e iniziò a spiegargli tutto.
«Sono venuta a chiederti scusa per non esserti stata vicina. Mi dispiace, Mamo! Perdonami! Mi sei mancato tantissimo in questi giorni e ho capito che voglio stare con te e che voglio essere tua moglie, sempre che tu lo voglia ancora, dopo il modo in cui mi sono comportata».
Parlò a raffica, senza prendere neanche una pausa, mentre il ragazzo la guardava sorpreso. Quando ebbe finito, Mamoru sorrise. La sua Usako non aveva smesso di amarlo e desiderava ancora diventare sua moglie. Quelle parole lo portarono al settimo cielo.
«Non hai niente di cui chiedere scusa» quasi le sussurrò e, con veemenza, la prese tra le sue braccia. Catturò le sue labbra in un bacio pretenzioso e incontentabile, come se volesse recuperare tutti i baci che non aveva potuto darle. Ma nello stesso tempo era anche un bacio straziante che implorava perdono, che racchiudeva in sé le sofferenze degli ultimi giorni e di una vita e la felicità di aver ritrovato la sua Usako.
Usagi ricambiò con lo stesso trasporto, percependo tutte le sensazioni di Mamoru e promettendo, con quel bacio, di stargli vicino e di aiutarlo a ritrovare se stesso.
Mentre le sue mani non riuscivano a scollarsi da lei, il ragazzo con un piede richiuse la porta d’ingresso e poi spinse Usagi contro la parete.
«Aspetta, Mamo – disse la ragazza provando a riprendere fiato – Ti devo parlare di una cosa urgente!».
Ma Mamoru non sembrava affatto interessato, preso com’era da altre faccende ben più interessanti.
«Dopo, dopo!» le sussurrò, mentre era intento a esplorare ogni centimetro del suo collo.
Aveva tutte le intenzioni di farla sua in quel momento e il suo cervello ormai era completamente partito, tanto che aveva del tutto dimenticato la presenza di Setsuna.
E infatti, un colpo di tosse improvviso fece sussultare entrambi.
«Scusate – disse Setsuna in evidente imbarazzo e cercando, se possibile, di evitare la scenata che si sarebbe verificata di lì a poco – Io … io ... ecco … io prendo i miei vestiti e tolgo subito il disturbo».
Usagi sgranò gli occhi alla vista della donna, nuda, coperta solo dall’accappatoio bianco.
«Che cosa ci fai tu qui? - esclamò. Poi rivolgendosi a Mamoru, dopo averlo allontanato decisa da sè – Che cosa ci fa lei qui e con il mio accappatoio addosso? Me lo spieghi?».
Gli occhi di Usagi erano due fiamme.
«Non è come sembra, ti posso spiegare … » provò a giustificarsi Mamoru.
«Non è come sembraun classico! Non aveva acqua in casa e così le hai offerto gentilmente di fare la doccia a casa tua?» gridò la ragazza fuori di sé.
Setsuna tentò inutilmente di intromettersi.
«Mi sono rovesciata tutto il caffè addosso e … ».
«Stai zitta, tu!» urlò Usagi, rivolgendo i suoi occhi indemoniati verso la donna e costringendola a tacere.
«Usako, aspetta … fammi parlare».
Mamoru tentò ancora una volta di farsi ascoltare.
«Smettila di chiamarmi così! Mi fai schifo! – gridò Usagi con tutta la rabbia che aveva dentro - Oggi ho fatto chilometri per te, solo per cercare le spiegazioni che tu non mi hai voluto dare e solo per provare a salvare il nostro …c he dico! … il mio amore per te, e tu? Te la spassavi con questa qui!».
Era fuori di sé e gridava con tutto il fiato che aveva in gola, divincolandosi dalle prese di Mamoru che, inutilmente, cercava di calmarla e costringerla ad ascoltare le sue spiegazioni.
«Che fantasia! – aggiunse Usagi - Almeno potevi cambiare, visto che te la sei già scopata in passato».
Il suo tono era pieno di sarcasmo e la sua espressione era disgustata dalla scena che prepotente le martellava i pensieri, mentre dentro di sé continuava a darsi dell’idiota.
A quelle parole, Setsuna trasalì, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.
«Usagi, cerca di ascoltarmi … » provò di nuovo Mamoru, afferrandole un braccio e costringendola a guardarlo negli occhi.
Ma Usagi proprio non ne voleva sapere di sentire le sue motivazioni e con una forza che neanche sapeva di avere, riuscì a liberarsi dalla sua stretta.
«E pensare che sono stata male per te e che mi sono sentita un essere spregevole per come mi sono comportata. Ma a quanto pare l’unico essere spregevole qui sei tu! – poi rivolgendosi a Setsuna – Resta pure qui a godere delle performance sessuali del mio ex- futuro marito! Sono io che tolgo il disturbo».
E così dicendo, Usagi uscì dall’appartamento.
Mamoru la inseguì sul pianerottolo, catturandola subito.
«Usagi, ti prego, mi vuoi far parlare?» quasi la implorò.
«No! – rispose decisa, modulando il tono della voce per evitare di far accorrere i vicini – Non mi meriti! Ne hai combinate troppe e adesso basta. È finita!».
Pronunciò queste parole duramente. Fissò i suoi occhi azzurri penetranti, in quel momento pieni di odio e rancore, in quelli di Mamoru, che a quello sguardo e a quelle parole si senti trafiggere il cuore. La lasciò andare senza controbattere e, mentre lei gli voltava le spalle per andare via definitivamente, lui se ne tornò dentro sconfitto.
«Mi dispiace, Mamoru! Ho rovinato tutto, lei era venuta qui per fare pace e per colpa mia … Mi dispiace!».
Setsuna era quasi in lacrime per quanto si sentiva colpevole.
Mamoru sollevò i suoi occhi blu, ormai spenti dalla rassegnazione. Un velo di tristezza appannava il suo bel viso. Guardandola scosse la testa.
«Non è colpa tua! Evidentemente tra me e Usagi non è destino».
 
Dopo quell’amara scoperta, Usagi non era tornata a casa, ma si era recata direttamente in ospedale, sicura di trovare qualche sostituzione da fare e del lavoro che la tenesse impegnata. Danzare non l’avrebbe aiutata, come in altre occasioni.
Non era nervosa o agitata, era stanca, sfinita, schiacciata dal peso delle macerie di quei castelli in aria che aveva costruito, mattone dopo mattone, mentre sognava la sua vita insieme all’unico uomo che aveva mai amato. In quel momento aveva bisogno dell’unica cosa che amava quasi quanto Mamoru: il suo lavoro.
Aveva passato così la notte tra il pronto soccorso e la sala operatoria a occuparsi, assieme agli strutturati di turno, di alcuni casi urgenti.Solo in tarda mattinata, esausta, si decise a prendere una pausa, visto che il suo turno sarebbe finito solo nel pomeriggio.
Approfittando del fatto che tutto sembrava tranquillo, andò a chiudersi nello spogliatoio degli specializzandi, dove si lasciò cadere sulla panchina, preda della stanchezza fisica, ma soprattutto di quella mentale.
Benché si sforzasse di non pensare a come i suoi sogni erano andati in frantumi, in un attimo, un dolore acuto le lancinava il petto, puntellandolo con tanti aghi sottili. Aveva quasi la sensazione di soffocare. Non aveva mai provato un dolore simile, misto alla paura che forse non sarebbe mai riuscita a uscirne illesa.
Seiya entrò nella stanza e la trovò sdraiata sulla panchina, con un braccio penzolante e l’altro sul viso. Aveva sentito strane voci in giro che parlavano di una rottura tra lei e Mamoru e, in effetti, aveva notato che negli ultimi giorni era un po’ strana. Ma quella notte, in particolare, lei lo era stata più del solito. Senza contare il fatto che si era presentata all’improvviso in ospedale chiedendo di lavorare, come se ne avesse un bisogno disperato. Così, vedendola entrare nello spogliatoio, pensò di andare a sincerarsi che fosse tutto a posto.
«Usagi – la chiamò, dopo averla trovata in quelle condizioni – Tutto bene?».
La ragazza voltò la testa verso la porta di ingresso, vicino alla quale sostava il suo amico.
«Sì – rispose sollevandosi a sedere - Sono solo un po’ stanca!».
Seiya andò a sedersi di fianco a lei.
«Sicura?» le chiese premuroso.
Usagi lo guardò ancora. Provò a respirare profondamente, ma poi non ce la fece più a trattenersi. Quella sensazione di soffocamento e quel peso sul petto non riusciva più a sopportarli.
«No, Seiya! – esclamò scoppiando a piangere e coprendosi il viso con le mani – Non va niente bene! La mia vita è un disastro!».
Seiya rimase profondamente scosso dalla reazione di Usagi, non sapeva cosa le stesse prendendo. Provava ancora qualcosa per lei, anche se in tutto quel periodo aveva cercato di dimenticarla, e ora, vederla così fu un duro colpo che fece riemergere in lui quel sentimento sopito e il desiderio di proteggerla.
L’attirò dolcemente sul suo torace, perché le facesse da cuscino. Con una mano le cingeva le spalle e con l’altra le accarezzava la testa, mentre lei continuava a piangere a dirotto.
«Ti va di parlarne?» le chiese.
Usagi non rispose, ma, tra i singhiozzi che le impedivano di parlare, fece cenno di sì con la testa. Aveva la necessità di sfogarsi con qualcuno e, anche se nei giorni scorsi aveva accennato qualcosa alle sue amiche, non voleva disturbarle ancora tenendole per ore incollate al telefono. E poi il calore del contatto umano, quello non poteva averlo attraverso il ricevitore di un telefono. Ma continuava a piangere e a singhiozzare e non riusciva più a smettere.
«Calma, respira!» la incitò dolcemente Seiya prendendole il viso tra le mani.
Lentamente, la ragazza riuscì a calmarsi, facendo dei lunghi respiri profondi. Cercò di ricomporsi e asciugare le lacrime, provando a cancellare quel fastidioso pizzicore che le avevano lasciato sul viso. Poi, tirando su col naso e facendo un altro profondo respiro, cominciò a sfogare parte del suo dolore, raccontando solo quello che era accaduto la sera precedente e tralasciando i dettagli della vita familiare di Mamoru.
 
Mamoru aveva appena iniziato un’altra giornata trascinato per inerzia.
Dalla sera precedente aveva provato mille volte a chiamare Usagi, ma aveva il telefono staccato. Era andato fino a casa sua per provare a parlarle, ma di lei non c’era traccia. Non aveva idea di dove fosse e non aveva neanche minimamente immaginato che potesse trovarsi nel luogo dove era più scontato che fosse.
Setsuna, non appena lo vide, ancora dispiaciuta per quanto fosse accaduto la sera prima a causa propria, cercò di avere notizie della situazione con Usagi.
«Sei riuscito a chiarirti con lei?» chiese con apprensione.
Mamoru scosse la testa.
«Non so dove sia!».
«Mi dispiace tanto, io … ».
«Setsuna, smettila! Ti ho già detto che tu non c’entri nulla!».
La donna tacque abbassando lo sguardo. Ma quando, dopo pochi secondi, sollevò di nuovo gli occhi, la sua espressione cambiò.
«Mamoru, Usagi è qui!».
E con lo sguardo gliela indicò.
Quando il ragazzo si voltò, la vide venire nella propria direzione in compagnia di Seiya, che le teneva un braccio appoggiato sulle spalle. Aveva il viso arrossato e sconvolto, come se avesse pianto, mentre sembrava che il ragazzo cercasse di tirarle su il morale. Qualunque fosse l’intenzione di Seiya, non gli piacque, ma nella condizione in cui si trovava, anche se per un malinteso, era costretto a tacere.
«Usagi – le disse andandole incontro – ti ho cercato per tutta la notte!».
La ragazza sollevò su di lui il suo sguardo di ghiaccio, ancora arrossato dalle lacrime.
«Ah sì?» fu la risposta acida e carica di disprezzo che gli diede , prima di sciogliersi dalla stretta di Seiya e proseguire il suo percorso da sola, il più lontano possibile da Mamoru.
Setsuna la seguì.
«Usagi è tutto un malinteso» provò a spiegarle la donna per l’ennesima volta.
Ma la ragazza neanche le rispose, continuando a camminare per dileguarsi.
Anche Seiya provò a seguirla, ma fu prontamente bloccato da una mano di Mamoru sul suo torace.
«Stai lontano da lei!» lo minacciò Mamoru con il suo sguardo infuocato.
Seiya non si fece intimorire.
«Perché? Altrimenti che fai? Mi sbatti per un mese in ambulatorio?» lo sfidò con un ghigno dipinto sul viso.
«Stai lontano da lei!» ribadì Mamoru ancora più serio e minaccioso.
Ma Seiya scansò deciso la sua mano che lo bloccava e con un sorriso sprezzante si allontanò.
Per tutta la giornata, Mamoru cercò ripetutamente e inutilmente di avere un chiarimento con lei. Era arrabbiato per come erano andate le cose, proprio nel momento in cui lei aveva deciso di perdonarlo e andare avanti. Cominciava davvero a credere che per loro due non fosse destino, ma lo stesso non voleva arrendersi. Almeno non prima di far sentire le proprie ragioni. Usagi aveva tutte le sue buone motivazioni per schivarlo come la peste e per rifiutare qualunque confronto, ma lui non poteva lasciarla andare così senza che neanche l’avesse ascoltato. Così pensò che l’unica soluzione fosse quella di costringerla.
Approfittò di un momento in cui lei era completamente assorta nella lettura delle cartelle cliniche e, senza farsi notare, arrivò alle sue spalle. Con un gesto deciso le afferrò il braccio e la trascinò nella prima stanza libera a portata di mano.
Nonostante lei cercasse di divincolarsi, la presa di Mamoru era ben salda. Così riuscì a portare a termine il suo intento e a trovarsi faccia a faccia con lei tra quattro mura, senza che potesse sfuggirgli ancora.
«Tu adesso stai zitta e mi ascolti!» le disse con tono severo puntandole l’indice, mentre appoggiato alla porta bloccava l’uscita.
«Non voglio ascoltare le tue bugie! Fammi uscire!» gridò Usagi avventandosi su di lui e cercando di aprire la porta. Ma Mamoru fu più veloce e con uno scatto chiuse a chiave la porta, prendendo poi la chiave.
«Ridammela e fammi uscire!» gridò ancora la ragazza, cercando di strappargliela di mano, cosa che non le fu possibile, data la forza con cui lui serrava l’oggetto della contesa. Alla fine Mamoru ripose la chiave sul bordo superiore della porta, dove Usagi non sarebbe mai riuscita ad arrivare.
La ragazza spalancò gli occhi per la stizza, fortemente indispettita dalla sconfitta subita. Ormai non vedeva più altra via di fuga, se non quella di ascoltarlo. Incrociò le braccia sbuffando e gli diede le spalle.
«Ieri sera c’è stato un terribile malinteso!» disse Mamoru.
«Sì, sì! Come no! Ti credo» lo prese in giro Usagi.
«E smettila di fare la bambina, che sei ridicola! - con uno scatto il ragazzo la costrinse a voltarsi e a guardarlo negli occhi – Setsuna mi ha dato un passaggio a casa perché la mia moto non partiva. L’ho invitata a prendere un caffè da me per sdebitarmi … ».
« … e già che c’era anche una doccia!».
Mamoru la guardò accigliato.
«Non ho ancora finito! – disse con tono fermo – Si è rovesciata tutto il caffè addosso, era sporca dalla testa ai piedi e così le ho messo a disposizione il bagno. Punto.».
«E il mio accappatoio!» aggiunse lei ironica.
«Quando fai così sei insopportabile!».
«Ah, io sarei insopportabile? Speri davvero che io creda a questa storia?».
«Sì perché è la verità!».
«Mamoru, ma è una storia assurda!».
«Lo so! Ma secondo te avrei reagito in quel modo al tuo arrivo, se davvero fossi stato a letto con lei? Quando ti ho visto non ho capito niente più, mi ero persino dimenticato che lei fosse in bagno».
Usagi abbassò lo sguardo portandosi le mani tra i capelli. Non sapeva se credere o meno alle parole di Mamoru, anche se effettivamente la sua spiegazione non faceva una grinza. Sospirò nervosamente, ancora qualche giorno così e sarebbe impazzita completamente. Ma dov’erano finite la serenità e la calma che aveva vissuto per sei lunghi mesi accanto a lui?
Poi si ritrovò a pensare al motivo principale per cui lei, la sera precedente era andata da Mamoru.
«Mi credi, Usako?» le chiese il ragazzo prendendole le spalle.
«Mamoru, non lo so! È tutto così assurdo, tutta la situazione di questi ultimi giorni è assurda. Mi sto convincendo che il destino è contro di noi».
Mamoru rimase basito. Anche Usagi aveva avuto la stessa sensazione, ma, nonostante ciò, lui si rifiutava di accettare che per loro non ci fosse una possibilità. Erano anime gemelle, si erano riconosciuti tra mille al primo sguardo. Che senso aveva avuto tutto quello che avevano condiviso se per loro non c’era futuro?
«Perché dici questo?» le chiese.
Usagi lo guardò negli occhi in un modo che a Mamoru mise agitazione.
«Perché quanto sto per dirti non ti piacerà e ho paura di tutto quello che succederà dopo».
Mamoru si allontanò leggermente da lei, fissandola con aria interrogativa.
«Che cosa, Usagi? Parla!» le chiese allarmato.
«Ieri mattina sono andata a parlare con tuo padre perché avevo bisogno di capire e … vedi, mi ha rivelato delle cose che sicuramente non ti faranno piacere».
Mamoru si sentì colpito da un pugno in pieno viso.
«Perché l’hai fatto?».
«Perché speravo mi desse le risposte che tu non volevi darmi».
Il ragazzo tacque qualche secondo. Usagi era talmente testarda che c’era da aspettarsi un’iniziativa simile.
«E che cosa ti ha detto?» chiese pronto ad accogliere l’ ennesima pugnalata.
Usagi si fece coraggio e cominciò a raccontargli ogni cosa per filo e per segno. Aveva paura di ferirlo, ma sapeva che stava facendo la cosa più giusta per lui.
Ogni rivelazione fu per Mamoru come un coltello che girava e rigirava nella piaga. In pochi secondi tutte le sue certezze, basate su anni e anni di duri sacrifici, crollarono come un castello di carte al primo esile soffio di vento.
Mentre lo vedeva sbiancare sempre di più, la voce di Usagi si faceva tremolante man mano che continuava il suo racconto. Sapeva il dolore che gli stava procurando in quel momento e per un attimo si chiese se davvero aveva fatto la scelta migliore o sarebbe stato preferibile lasciare che continuasse a vivere nella menzogna.
Inizialmente il ragazzo non fiatava, tutte quelle scoperte gli avevano letteralmente rubato la voce e ogni stimolo a reagire. Poi, piano piano, i suoi occhi cominciarono ad accendersi. Usagi non sapeva se era rabbia, odio, dolore, delusione o un miscuglio di tutti questi sentimenti. Prevedeva solo che, da quel momento, le cose non sarebbero più state le stesse per Mamoru.
Quando ebbe finito di parlare rimase in silenzio a osservarlo, in attesa della sua reazione, che si aspettava piuttosto violenta e impulsiva. E invece Mamoru restò apparentemente calmo.
«È tutto?» chiese, con una freddezza che la stupì non poco.
Usagi annuì e lui allungò il braccio per prendere la chiave da dove l’aveva lasciata.
Aprì la porta e fece per uscire. La ragazza lo trattenne per un braccio.
«Che cosa vuoi fare?» gli chiese preoccupata.
«Vado a mettere fine a tutta questa storia – rispose. Poi tornò indietro di qualche passo e, posandole un bacio sulla fronte, aggiunse – Grazie, Usako!». E andò via.
Usagi non capì esattamente cosa intendesse per “mettere fine a tutta questa storia”, ma conosceva Mamoru e sapeva benissimo che era una persona coscienziosa. Ma la sua reazione non era stata assolutamente quella prevista e la cosa la preoccupava abbastanza.
Quanto alla storia con Setsuna, forse era davvero un malinteso, non sapeva se credere al suo racconto oppure no, anche se sentiva ancora quella sensazione di soffocamento. Più lieve, ma era ancora presente. Velocemente asciugò con il polsino del camice una lacrima, che era venuta giù sfuggendo al desiderio di Usagi di autocontrollarsi. Uscì dalla stanza pronta a riprendere il suo lavoro.
 
Mamoru bussò con decisione alla porta dell’ufficio del capo, attendendo con pazienza che lui lo invitasse a entrare. Senza pensarci su due volte, in pochi secondi, aveva preso l’unica decisione che avrebbe potuto farlo uscire da tutta quella situazione.
Era già a pezzi in quegli ultimi giorni e non aveva intenzione di continuare a torturarsi. Con calma e freddezza aveva deciso e non era intenzionato a cambiare idea.
«Mamoru, sei venuto a consegnare la tua relazione?» chiese il primario.
Mamoru abbozzò una specie di sorriso e fece segno di no con la testa.
«Quella non le servirà più, capo!».
Goro Yamada lo guardò strizzando gli occhi con aria interrogativa, cercando di mettere a fuoco le intenzioni di Mamoru.
«Mi licenzio, capo, con effetto immediato!».
«Che cosa fai?!?» urlò il primario alzandosi di scatto.
«Me ne vado, ha capito bene! Non ho intenzione di rimanere un attimo di più in questo ospedale, sapendo di essere stato preso in giro e di occupare un posto che non mi spetta».
«Mamoru, ma cosa stai dicendo? Che vuol dire preso in giro, occupare un posto che non ti spetta?».
«Lo chieda a mio padre non appena vi sentirete».
«Mamoru, ma è assurdo! Tu sei il mio migliore chirurgo, sei il favorito per prendere il mio posto, non te ne puoi andare così!».
«Se lo tenga pure il posto di primario, io non lo voglio! Anzi, lo dia a chi veramente lo merita. Addio, professor Yamada! Nonostante tutto è stato davvero un piacere lavorare con lei».
E così dicendo uscì dall’ufficio, senza lasciargli la possibilità di replicare ulteriormente.
Andò nel suo ufficio con lo scopo di raccogliere alcuni effetti personali prima di andare via. Faceva le cose con estrema calma e lucidità, e pensandoci, gli venne quasi da ridere.
Forse quella freddezza era solo la reazione agli ultimi giorni di stress, ma sentiva che tutte quelle rivelazioni in un certo senso lo avevano liberato. Mancava però un’unica cosa perché si sentisse finalmente libero.
Prese il telefono e compose un numero.
«Pronto?» rispose la voce dall’altro lato.
«Pensavo di non dover mai arrivare a questo» affermò Mamoru, cercando di mantenere un tono di voce fermo e sicuro.
«Chi parla?».
Mamoru scoppiò a ridere fragorosamente.
«Ma come, sei costantemente presente nella mia vita e neanche riconosci la mia voce? Sono sicuro che non sai più neanche che faccia abbia!».
« Mamoru?».
«Indovinato, Hiroshi!».
L’uomo dall’altro lato del ricevitore rimase in silenzio per un tempo indeterminato, fino a quando non fu Mamoru a rompere quel fastidioso silenzio.
«Ti ho chiamato per dirti che hai vinto tu! Mi sono licenziato da questo ospedale e lascio la città. Me ne vado dove la tua fama non può arrivare».
«Mamoru, ma che stai dicendo?».
«Quello che hai capito. E stavolta ti chiedo di lasciarmi in pace! Anche se non saprai mai dove mi trovo».
«L’ho fatto per il tuo bene».
«Che padre premuroso, sono commosso!».
«Eri un ragazzino e non ce l’avresti mai fatta da solo … io ci sono sempre stato».
«Con le menzogne e i tradimenti?»
«Ti sbagli!».
«Puo prendere in giro mia madre, ma non me. Io so che razza di uomo sei! So tutto, sai? E da sempre!»
«Di che stai parlando?».
«Midori e Aiko … questi due nomi ti dicono qualcosa?».
Hiroshi restò muto.
«Stai lontano da me e dalle persone che amo, se non vuoi che dica a tutti quello che hai fatto!» lo minacciò, alla fine, Mamoru prima di riagganciare.
«Ma cosa ti … ».
Non gli diede il tempo di rispondere, chiudendo velocemente la conversazione.
Rimase per un po’ immobile, cercando di riprendersi dalla forte agitazione che aveva provato a parlare con lui dopo tanti anni e, soprattutto, a rivelargli che era a conoscenza del suo segreto.
Prese le cose che aveva raccolto, un’ultima occhiata a quello che era stato il suo rifugio negli ultimi anni e uscì, lasciando definitivamente quel posto, in cui , inevitabilmente, avrebbe lasciato un pezzo importante di se stesso.
 

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


EPILOGO 
 
 
Partire è un po’ come rinascere.
Questo aveva pensato Mamoru quando aveva preso quella decisione di impulso.
Cambiare città, cambiare amici, cambiare abitudini … nuovi stimoli per una nuova esistenza, proprio come aveva già fatto in passato.
Ma allora era solo un ragazzino, inconsapevole e avventato. Adesso era un uomo adulto, che, invece di dimostrare la sua maturità e affrontare i propri problemi, aveva deciso di scappare ancora una volta e rinascere, dimenticando tutto.
Ma davvero sarebbe rinato? O sarebbe stato un lento morire lontano da tutto e tutti?
Passeggiava da solo, nel grande parco cittadino, mani in tasca e sguardo basso. Arrivò fino alla riva del laghetto, dove si fermò a osservare lo spendido spettacolo che offriva la luce rossastra del tramonto, che si rifletteva sull’acqua.
La rinascita non esiste, dentro si porta sempre un po’ di morte.
“Mamoru, le tue ferite sono infette da troppo tempo, non cicatrizzeranno mai, se non ti decidi a pulirle” gli aveva detto Usagi.
E lui riusciva a vedere quanta verità ci fosse in quelle parole.
Le ferite infette portano morte e la rinascita non esiste.
Ma continuava a nascondersi dietro lo stesso alibi, dietro l’illusione di poter dimenticare e ricominciare tutto da capo.
Avrebbe passato il suo tempo a suturare ferite che puntualmente si sarebbero riaperte, per poi suturarle ancora e ancora, fino alla fine.
Diede un calcio a un ciottolo, mandandolo a finire direttamente in acqua. Rimase a osservare le increspature concentriche sulla superficie: piccoli anelli che diventavano via via sempre più grandi e imperfetti.
Un po’ la metafora della sua vita.
Una vita fatta di freddezza e cinismo, delusioni e amare scoperte, da cui era fuggito per rincorrere dei sogni, che alla fine si erano rivelati fallaci ed erano crollati al primo soffio.
Mamoru riprese a camminare per i vialetti solitari del parco, alzando la testa a osservare le fronde fruscianti degli alberi.
Sarebbe riuscito a dimenticare Usagi e a rinascere lontano da lei? Lontano dal suo amore e dalla sua linfa vitale?
Partire avrebbe significato dirle per sempre addio e rinunciare alla speranza che tra loro, un giorno, potesse tornare tutto come prima.
Si morse il labbro inferiore. Tra loro non sarebbe mai tornato tutto come prima. E non perché non ci fossero l’amore e la passione, quelli sarebbero rimasti lì per sempre. Ma perché Usagi era pura, mentre lui era infetto.
Infetto perché le sue ferite lo erano, infetto perché aveva pensato di poterla amare come se l’amore fosse un sentimento a parte, qualcosa che prescindesse dal vero Mamoru.
Usagi lo aveva amato con tutta se stessa, mentre lui l’aveva amata solo con una parte di sé.
Ripensò alla volta in cui avevano finalmente ceduto ai loro sentimenti.
“Sbagliamo assieme, ti prego!” l’aveva supplicata.
Allora si riferiva alla loro condizione di insegnante e allieva, ai pregiudizi della gente, alla paura di quel sentimento nascente. Ma solo adesso si rendeva conto del vero significato di quella implorazione. Le aveva chiesto di sbagliare abbandonandosi a quanto di marcio c’era in lui, lasciandosi andare al suo modo di amare a metà, accettando di avere solo la sua parte migliore.
E pensare che all’inizio credeva che quella sbagliata fosse Usagi, perchè non cedeva e non permetteva di lasciarsi esplorare. E invece, lei era limpida e cristallina, come il mare che aveva sempre visto nei suoi occhi.
Usagi era un angelo, ossigeno allo stato puro, un raggio di luna che illuminava la notte buia dentro il suo cuore. Mentre lui era l’egoista che scappava e che, nonostante tutto, desiderava ardentemente che lei partisse con lui e continuasse a seguirlo nella sua discesa verso il fondo.
Ma Mamoru non poteva permettersi il lusso di pretendere anche questo, dopo tutto quello che lei gli aveva donato e quello che ne aveva ricevuto in cambio.
Non era destino, o forse non era il tempo giusto per loro o, molto più probabilmente, Usagi meritava di meglio.
 
L’indomani mattina, Usagi si presentò al lavoro largamente in anticipo.
A dispetto di quanto pensasse, era riuscita a dormire, crollando come un sasso dopo pochi secondi. La stanchezza fisica l’aveva sopraffatta, avendo la meglio sui suoi tormenti interiori. Mamoru era stato il suo pensiero costante. Chissà cosa aveva combinato, dopo tutte le verità che aveva appreso!
Avrebbe voluto chiamarlo, ma il pensiero di lui insieme a Setsuna l’aveva fatta desistere.
Approfittando della mezz’ora disponibile prima di iniziare il turno, andò al bar dell’ospedale a fare colazione: caffelatte e torta al cioccolato sarebbero stati un ottimo modo di iniziare la giornata.
Ottimo se non si fosse ritrovata, all’improvviso, seduta davanti a sé, Setsuna.
Usagi fece per alzarsi e andare via, sbuffando vistosamente e senza il timore di mostrarle tutto il proprio fastidio.
La donna la trattenne per un braccio e la guardò con aria minacciosa.
«Fino a prova contraria sono sempre un tuo superiore. Quindi signorina, tu ti siedi qui e mi ascolti, fino a quando non avrò finito».
«Ho già parlato con Mamoru e non ho voglia di ascoltare anche te. Sarete sicuramente d’accordo sulla versione da raccontare. E io ne ho le scatole piene!».
«Non ho intenzione di raccontarti di nuovo quello che già sai».
«E io non ho intenzione di ascoltarti!».
«Non fare la bambina! Tu adesso ti siedi e mi ascolti!».
Stavolta Setsuna alzò il tono di voce e alla fine Usagi si sentì quasi costretta a cedere e a riprendere posto di fronte a lei, pur di chiudere definitivamente quella faccenda.
«Che cosa vuoi?» le chiese acida.
«Mamoru ha detto la verità, non c’è stato niente tra noi. È tutto un malinteso … ».
«Hai detto che dovevi parlarmi di altro! Questo già lo so e non ci credo!» la interruppe Usagi infastidita.
«Non ho finito! – tuonò la voce di Setsuna - Io sono sempre stata innamorata di Mamoru, ma lui non ha mai provato niente per me. Anzi, non appena sei entrata tu nella sua vita, mi ha dato il ben servito. Io so che sei la ragazza del ristorante, quella che lui ha fissato come un allocco per tutto il tempo, mentre era a cena con me. Pensava che non me ne fossi accorta e poi mi ha scaricato subito dopo e … ».
«Non è colpa mia!» la interruppe ancora Usagi, questa volta sorridendo sarcastica.
Setsuna la fulminò con lo sguardo prima di continuare a parlare.
«Quello che voglio dirti è che per lui c’è spazio solo per te. Non ti nascondo che ho fatto i salti di gioia quando ho saputo che vi eravate lasciati. Ma poi ho visto i suoi occhi tristi e il suo sorriso spento, mentre mi parlava di te, e ho capito che non ho speranze. Avrei voluto, ma, per mia sfortuna, tra noi non è successo assolutamente nulla! Quindi, ragazzina, non fare i capricci e vedi di andare a riprendertelo!».
«Per quel che mi riguarda puoi anche tenertelo! - rispose Usagi in maniera aspra - E adesso, se non ti dispiace, ho ascoltato abbastanza, non ho intenzione di fare tardi».
E così dicendo si alzò e andò via, lasciando la donna seduta al tavolo da sola.
Le parole di Setsuna non l’avevano lasciata del tutto indifferente, ma non voleva certo darle la soddisfazione di tornare da Mamoru solo perché lei l’aveva quasi minacciata. Perdonare Mamoru sarebbe stata solo una sua decisione! E per adesso una decisione del genere era fuori discussione.
Velocemente si diresse in reparto per assistere, come previsto, Motoki e, quando lo raggiunse, lo trovò in compagnia di Heles.
Notò subito la loro espressione cupa, mentre discutevano animatamente di qualcosa. «Buongiorno!» esclamò salutando entrambi.
«Ciao, Usagi!» risposero i due, all’unisono, volgendo lo sguardo verso di lei.
«Che cosa succede?» chiese la ragazza preoccupata.
I due medici si scambiarono uno sguardo di intesa, poi Heles fu la prima a parlare.
«Si tratta di Mamoru».
Usagi li guardò con aria interrogativa. Cos’altro aveva combinato adesso?
«Si è licenziato … con effetto immediato! E ha intenzione di cambiare città» rispose Motoki, interpretando alla perfezione l’espressione della ragazza.
«Che cosa ha fatto?!?» gridò Usagi, stentando a credere a quanto aveva appena udito.
«A giudicare dalla tua reazione non ne sapevi niente anche tu» intervenne Heles, quasi per niente sorpresa.
«No, io non lo sapevo! Ma cosa gli è saltato in mente?» chiese Usagi, ancora incredula.
«A dir la verità, noi volevamo saperlo da te. Lui non è rintracciabile» disse Motoki.
«Come al solito! Quando c’è qualche problema lui non è mai rintracciabile!» gridò ancora Usagi sollevando gli occhi al cielo, spazientita da quella pessima abitudine di Mamoru.
E proprio in quel momento comprese tutto.
«Suo padre! È a causa di suo padre!» esclamò.
Heles e Motoki la guardarono stupiti.
«Che c’entra suo padre? Che ha fatto? Spiegati meglio Usagi!».
La ragazza raccontò tutto nei minimi dettagli, certa che anche Mamoru si sarebbe fidato ciecamente di loro. I due amici rimasero basiti mentre Usagi spiegava tutto.
«Che gran figlio di … !» fu il commento di Heles.
«C’era da aspettarsi una simile reazione da parte di Mamoru, dopo una una scoperta del genere» aggiunse Motoki, che conoscendo perfettamente l’amico, aveva compreso il suo gesto, anche se troppo impulsivo.
«No! – lo interruppe Heles all’improvviso – Io non me lo sarei mai aspettato da lui. Ha sempre ostentato sicurezza in se stesso e nel suo lavoro. Come ha potuto credere di non essere all’altezza del ruolo che ricopre? Lui è sempre stato il migliore tra tutti noi, e non c’è bisogno che sia io a dirlo, è palese. Mamoru ha sempre meritato quel posto!».
«Hai ragione, Heles! – asserì Motoki - Ma adesso è fatta! Come farai a convincerlo a rimanere? Sai meglio di me come è fatto Mamoru … è testardo e non cambierà mai idea! Non ci darà mai ascolto! Sempre se si decidesse a farci parlare».
«A noi sicuramente no, ma ad Usagi forse sì!» esclamò Heles, voltandosi a guardare Usagi con gli occhi pieni di speranza.
La ragazza sussultò.
«No, io non posso! Tra noi è finita e sarei l’unica persona a cui non darebbe mai ascolto» disse abbassando lo sguardo.
«Usagi, tra voi non è mai finita. Lui ti ama e ha bisogno di un motivo per rimanere» cercò di convincerla Motoki.
«Non sono io quel motivo!» aggiunse Usagi, continuando a tenere la testa bassa.
«È per via di Setsuna?» le chiese Heles, intuendo il motivo di tanta insicurezza da parte della ragazza.
Usagi sollevò lo sguardo su di lei.
«Come lo sai?».
«Ieri Mamoru è venuto a raccontarmi tutto. Sembrava un cane bastonato! Ma dico io, davvero pensi che abbia potuto tradirti con Setsuna?» chiese Heles e, quando Usagi annuì, lei scosse la testa incredula e continuò.
«È giusto che tu lo creda! – affermò in maniera ironica - In fondo, tu dov’eri quando Mamoru usciva con Setsuna e sognava te? Credimi Usagi, abbiamo visto Mamoru cambiare radicalmente grazie a te. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Se lo ami ancora, non gettare tutto all’aria per un malinteso. Vai da lui e costringilo a non partire».
Usagi teneva gli occhi puntati sulle sue scarpe, mentre ascoltava le parole di Heles e scuoteva piano la testa, rifiutando quell’esortazione ad andare da Mamoru.
«Non posso!» si limitò a rispondere flebilmente.
«Sì che puoi!» insistette Heles.
«No! – Usagi alzò i suoi occhi lucidi incrociando lo sguardo verde di Heles – Tra me e Mamoru è finita, e non a causa di Setsuna. Sono successe troppe cose! Chiamale coincidenze, destino o come tu preferisci, ma io e lui non possiamo stare insieme. Non c’è spazio per me nel cuore del vero Mamoru e la dimostrazione è il modo in cui si è comportato non appena sono riemersi tutti i suoi problemi. Anche adesso che ha deciso di partire e mollare tutto, lo ha fatto indipendentemente da cosa ne pensassi io. Come credi che possa convincerlo a restare? Il rancore che prova per suo padre è più forte di quello che prova per me!».
Heles tacque e stavolta fu lei ad abbassare lo sguardo, fissando il vuoto.
Motoki, notando l’espressione di Usagi, le poggiò una mano sulla spalla cercando di darle conforto.
«Iniziamo a lavorare, forse è meglio!» la incitò, convinto che fosse inutile continuare a discutere. Usagi annuì, accogliendo con sollievo l’invito del suo giovane insegnante, arrivato giusto in tempo prima che cedesse a un’altra crisi di pianto.
Alla fine, Mamoru aveva deciso di andarsene e forse non l’avrebbe neanche salutata.
Fino a pochi giorni prima loro erano felici e stavano per sposarsi. Possibile che il loro fosse vero amore, se era crollato alla prima difficoltà?
«So a cosa stai pensando, Usagi» le disse dolcemente Motoki, mentre camminavano fianco a fianco.
La ragazza si voltò verso di lui.
«Se hai solo un piccolo dubbio – continuò il ragazzo – vai! Rischi di pentirtene in futuro».
Usagi non rispose.
Possibile che fosse vero amore? Sì! Lo sapeva con certezza e per lei lo sarebbe stato per sempre.
«Motoki!» lo chiamò all’improvviso.
Il ragazzo sorrise di fronte all’espressione eloquente dei suoi occhi.
«Avviso io il primario, non preoccuparti! Sarà contento anche lui di sapere che proverai a far cambiare idea a Mamoru!».
 
Quando quella mattina Mamoru si svegliò alle otto passate, d’istinto si sollevò di scatto dal letto pensando di essere in ritardo. Poi sorrise tristemente.
“Che stupido!”pensò.
Quel giorno avrebbe dovuto incominciare a organizzare la sua partenza, anche se non sapeva ancora di preciso dove andare.
In Europa forse, Londra o Parigi o Bruxelles … qualunque città sarebbe stata l’ideale pur di fuggire!
Accese il cellulare e non si stupì quando vide tutte le chiamate e i messaggi delle persone che lo avevano cercato: Heles, Motoki, il primario, sua madre. Del resto, era sparito nel nulla, come suo solito in quelle situazioni.
Anche se in fondo se lo aspettava, provò una leggera delusione nel constatare che non c’era una sola chiamata da parte di Usagi. Ma come darle torto? Ancora una volta le aveva dato prova di quanto lui non fosse alla sua altezza.
Forzatamente abbandonò quel desiderio assurdo di lei.
Con Heles e Motoki pensò che avrebbe parlato con calma prima di partire, magari davanti a una birra, la loro ultima birra insieme.Quel pensiero e tutti i ricordi che da esso erano scaturiti gli procurarono un po’ di amarezza.
Sospirò, cercando di mandare via quella stretta allo stomaco, poi selezionò un numero dalla rubrica del telefono e inoltrò la chiamata.
«Mamoru, finalmente!» esclamò Kaori rispondendo.
«Immagino che tu sappia già tutto» disse lui con una punta di acidità.
«Mi dispiace, amore mio!».
«Perché diavolo non mi hai mai detto niente? Tu lo sapevi e non hai mosso un dito! Sapevi quale sarebbe stata la mia reazione!».
«Appunto perché lo sapevo io … ».
«Hai fatto peggio! Del resto c’era da aspettarselo, sei sempre stata un burattino nelle sue mani!».
Sua madre restò in silenzio, la risposta di Mamoru era stata molto aspra e l’aveva colpita come una coltellata. Il ragazzo se ne accorse e subito si pentì di averla offesa. Che diritto aveva di trattarla in quel modo? Anche lui, in fondo, non si era comportato diversamente e le aveva nascosto qualcosa di importante a fin di bene, solo per proteggerla da altre sofferenze.
«Scusami!» le disse quasi subito.
«No, hai ragione! – affermò Kaori dopo un po’ con la voce offuscata da un pianto sommesso - Non sono mai stata una persona forte!»
Mamoru si sentì ancora peggio a quelle parole.
«Mamma, tu sei forte più di quanto immagini. Sono io il debole. Tu sei sempre rimasta, mentre io non faccio altro che scappare» ammise Mamoru.
«Dove andrai adesso?».
«Non lo so ancora. Penso che per un po’ non mi farò sentire, almeno fino a quando non sarò più sereno. Ma non ti preoccupare, mi farò vivo».
Kaori vacillò un attimo rivivendo quella stessa sitazione che aveva vissuto dodici anni prima.
«E Usagi?» chiese poi alla fine.
«Con Usagi è finita!» rispose lui secco.
La donna sospirò ancora più dispiaciuta per quella ragazza, che era stata una parentesi di felicità per suo figlio.
«Non partire, Mamo-chan! Resta qui, resta con Usagi. Lei ti rende felice!».
«Sono io che non rendo felice lei – fu la risposta di Mamoru. Poi volendo chiudere la conversazione si apprestò a salutarla - Ciao mamma! Magari ti richiamo prima di partire».
«Magari?!?» esclamò Kaori agitata.
«Ti richiamo sicuramente, ok?» le disse Mamoru rassicurandola.
«Ok » rispose la donna, ormai rassegnata a dover perdere di nuovo suo figlio, dopo averlo finalmente ritrovato.
Mamoru riagganciò e fu un'altra fitta al cuore. Ma ormai aveva deciso e non sarebbe tornato sui propri passi.
 
Quando Usagi si trovò fuori all’appartamento di Mamoru, ebbe un attimo di smarrimento, ripercorrendo a ritroso gli ultimi giorni, e sperò quasi che lui fosse già partito, per risparmiarsi l’ennesima tortura.
Ma quando lui aprì la porta e si trovò a sprofondare nella notte buia dei suoi occhi, resa ancora più cupa da un velo di tristezza, lei si sentì morire e il cuore prese a batterle forte, come sempre, come ogni volta, davanti a lui. Lo amava e non avrebbe mai smesso di farlo.
«Non partire!» fu la prima cosa che gli disse.
  •  
Mamoru, sorpreso, pronunciò il suo nome e a lei sembrò ancora il suono più bello che avesse mai udito.
«Mamo-chan, resta! Resta per me!» lo supplicò.
Mamoru sorrise. Era un sorriso tenero, ma sapeva di malinconia, di rassegnazione, di sconfitta, di fine.
«Non posso, Usako» le rispose, quasi temendo la sua reazione e voltandole le spalle, per non essere costretto a sostenere ancora l’espressione di delusione su quel viso che adorava.
Usagi richiuse la porta alle sue spalle. Si diede una rapida occhiata intorno e notò che lui aveva già messo via alcune cose e la casa appariva ancora più vuota.
«Perché, Mamoru?» gli chiese.
«Perché è giusto così! Non posso fare finta di niente sapendo che tutto ciò che ho costruito a fatica e in cui ho creduto ciecamente sia solo un’illusione!».
«Ma non lo è! Sei un chirurgo eccezionale, altri ospedali del Paese non potrebbero mai dire di no davanti al tuo nome!».
«Appunto … il mio nome!».
«Sto parlando di Mamoru Chiba e non del figlio di Hiroshi Chiba!».
«Usako, finchè rimango qui, sarò sempre il figlio di Hiroshi Chiba! E se anche cercassi di nasconderlo, come ho sempre fatto, ora come ora vivrei sempre nel dubbio che ci sia lui alle mie spalle! Credimi, io ho molta fiducia nelle mie capacità! Non ne ho dubitato un solo istante. Altrimenti, non avrei mai preso questa decisione di partire così, allo sbaraglio».
Usagi tacque.
Il discorso di Mamoru non era per niente insensato. Se in quei mesi aveva imparato a conoscerlo almeno un po’, doveva sapere perfettamente quanto fosse sicuro di se stesso e quanto ci tenesse al proprio lavoro. Ma una cosa non le era mai stata chiara.
«Mamoru, - gli chiese – non sarebbe tutto più semplice se vi chiariste e ci metteste una pietra sopra? Poi ognuno per la sua strada».
Il ragazzo scoppio a ridere.
«Una pietra sopra dici? – ripetè con sarcasmo – Ci vorrebbe almeno un macigno, grande e pesante come tutto quello che mi porto dentro! Lascia stare, Usako, non potrai mai comprendere!».
«Io posso comprendere! – esclamò la ragazza alzando il tono di voce – Sei tu che non me lo permetti! Io continuo pensare che c’è altro che non mi dici!».
Mamoru tornò improvvisamente serio e lentamente andò a sedersi sul divano. I gomiti appoggiati sulle ginocchia, la testa tra le mani, lo sguardo perso nel vuoto.
Usagi lo seguì dopo poco e andò a sistemarsi accanto a lui.
«Che cosa ti porti dentro, Mamo-chan?» gli chiese con dolcezza, senza mai distogliere lo sguardo da lui.
Mamoru non rispose, ma continuava a riflettere.
Usagi lo conosceva troppo bene e aveva capito fin da subito che nascondeva qualcosa in cui non voleva coinvolgerla. Nello stesso tempo, sentiva che se non si fosse liberato di quel macigno che si portava dietro da troppo tempo, prima o poi sarebbe esploso.
«Ti va di ascoltarmi?» le chiese alzando lo sguardo e mostrando un’espressione quasi impaurita.
Usagi provò una stretta al cuore dinanzi a quegli occhi.
«Sono qui per questo!» gli disse dolcemente accarezzandolo con la voce.
Mamoru respirò profondamente come per prendere coraggio.Si specchiò negli occhi azzurri di Usagi e quello che provò fu un’immensa fiducia e un immenso desiderio di abbandonarsi a lei. Lasciò andare la testa all’indietro, sprofondando nella spalliera del divano e con lo sguardo fissò il vuoto per mettere a fuoco i ricordi.
«Era una mattina di dicembre, pochi mesi prima che me ne andassi di casa – iniziò a raccontare, mentre Usagi lo ascoltava attenta – Avevo marinato la scuola con un paio di amici e avevamo deciso di passare la mattinata al parco e organizzare una partita di calcio. Un mio compagno, Yosuke, mandò il pallone fuori campo e io mi offrii volontario per andare a recuperarlo».
Mamoru fece una pausa, poi riprese il racconto.
«Lo trovai parecchio più avanti, tra i cespugli. Sinceramente, non capii neanche io come avesse fatto Yosuke a mandarlo così lontano. Comunque, mentre mi apprestavo a recuperarlo, a un tratto mi sembrò di sentire la voce di mio padre. Mi parve strano. A quell’ora avrebbe dovuto essere in ospedale, come tutte le mattine e pensai di essermi sbagliato».
Mamoru fece un’altra pausa, ricordando quel giorno. Era passato tanto tempo, ma a lui sembravano solo poche ore.
«E invece?» chiese Usagi apprensiva, incitandolo a continuare il suo racconto.
«E, invece, era proprio lui! – continuò il ragazzo – Mi avvicinai il più possibile, nascondendomi dietro un albero e avendo cura di non farmi beccare. Mio padre non era solo! Con lui c’erano una donna molto più giovane e una bambina piccola.
La bambina venne giù dallo scivolo e rideva divertita, mentre mio padre l’aspettava in fondo. Quando l’afferrò tra le braccia, la sollevò in aria, facendola quasi volare, e rideva insieme a lei. Sembrava divertirsi. Non avevo mai visto Hiroshi così. Pensai addirittura che non potesse essere lui. Con me non era mai stato così affettuoso, mentre con quella bambina sembrava un altro: giocava, rideva, la riempiva di baci e carezze. Inizialmente, la donna se ne stava in disparte, poi si avvicinò a Hiroshi mettendogli un braccio attorno alla vita e appoggiandogli la testa su una spalla … e fu in quel momento che capii».
Mentre Mamoru parlava, a Usagi venne in mente un piccolo dettaglio, a cui poi non aveva più pensato: la fotografia nell’ufficio di Hiroshi. A quel punto, capì subito, ma volendo esserne sicura chiese a Mamoru di essere più esplicito.
«Mamoru, chi erano quella donna e quella bambina?».
Il ragazzo la osservò con un sorriso sghembo dipinto sul volto.
«Midori e Aiko! – rispose e, quando vide gli occhi di Usagi stringersi dubbiosi, continuò – Midori era la giovane assistente di mio padre, di vent’anni più giovane. In seguito feci delle accurate ricerche e scoprii che avevano una relazione da almeno sei anni, da cui era nata Aiko. Quella bambina era mia sorella!».
L’intuito di Usagi non aveva sbagliato. Quella era esattamente la risposta che si aspettava. Guardò Mamoru che continuava a fissare il vuoto. Sembrava calmo, anche nel modo di parlare, ma sapeva perfettamente quello che stava provando in quel momento. Gli accarezzò dolcemente la testa, in attesa che lui riprendesse a parlare.
«Mio padre aveva un’altra famiglia, ecco spiegato il motivo delle sue lunghe assenze, altro che lavoro! Gli impegni, i congressi in giro per il mondo erano solo una scusa per stare vicino a quella famiglia che lui amava di più – affermò Mamoru continuando ad avere un tono di voce molto pacato, come se da tempo si fosse rassegnato a quel dolore – Poco più tardi, decisi anche di incontrare Midori. Lei mi accolse con gentilezza. Devo dire che era una donna straordinaria, molto intelligente, dolce e bella. Mi ricordava mia madre. Ma come mia madre, anche lei era triste, glielo si leggeva negli occhi, anche se si sforzava di sorridere. Mi disse che era dispiaciuta per come stavano le cose, che amava Hiroshi e che non avrebbe voluto vivere nella menzogna, ma che mio padre non le lasciava altra scelta, anche se lei aveva minacciato più volte di lasciarlo. Le ho creduto da subito, anche se, a causa sua, mio padre aveva tradito sia me che mia madre. E più Midori raccontava, più cresceva il mio odio verso Hiroshi».
«È una storia incredibile! - commentò Usagi attonita – E la piccola Aiko? L’hai mai conosciuta?».
Mamoru sorrise preso dalla tenerezza di quel ricordo.
«Sì! Era deliziosa. Era il ritratto di Hiroshi e, di conseguenza, somigliava molto anche a me! Provavo molta tenerezza per quella bambina, perché anche lei, come me, aveva avuto la sfortuna di essere la figlia di Hiroshi Chiba, anche se con lei mio padre sembrava avere un atteggiamento molto più affettuoso. Comunque, le ho viste per qualche altra volta ancora, poi niente più. Avevo soddisfatto la mia curiosità e la mia sete di sapere e capire, ma avevo come l’impressione di tradire mia madre e non potevo farlo».
«Kaori lo sa?» chiese Usagi.
Mamoru scosse la testa.
«Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo, volevo proteggerla. In realtà, solo da poco ho scoperto che lei era a conoscenza dei tradimenti di mio padre, ma non credo immagini, anche solo lontanamente, che la donna era sempre la stessa e che lui avesse anche una figlia. Col senno di poi, ho capito che forse avrei dovuto raccontarle tutto dall’inizio. Ma adesso è troppo tardi».
Usagi sospirò. Comprese alla perfezione la decisione di Mamoru di proteggere sua madre, anche se credeva che in ogni caso la verità fosse sempre la scelta migliore.
Usagi ripensò ancora alla fotografia nell’ufficio di Hiroshi. Ebbe quasi timore di chiedere, ma sapeva che quella triste storia non era ancora conclusa. Si fece coraggio.
«Ora dove sono Midori e Aiko?».
Il volto di Mamoru si fece ancora più cupo.
«Sono morte! Un mese prima che io me ne andassi di casa! – rispose serio – Un incidente stradale!».
Usagi sgranò gli occhi. D’istinto strinse la mano di Mamoru. Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate.
«Midori aveva trent’anni e Aiko solo quattro – continuò – Io non ho mai creduto che fosse un vero incidente».
«Che cosa vuoi dire?» chiese Usagi sconcertata da quell’ultima affermazione.
«Midori aveva chiuso con mio padre da un po’ e, da quello che so, non gli permetteva neanche di vedere la bambina. La sera prima dell’incidente, li sentii discutere animatamente al telefono, per l’ennesima volta, e alla fine di quella telefonata Hiroshi arrivò anche a minacciarla».
«Stai dicendo che tuo padre … ? Ma è una follia, Mamoru! Hai detto che lui amava quella donna e anche sua figlia!».
Mamoru fece una smorfia.
«Usagi, in quell’incidente era coinvolta anche un’altra auto e il conducente era un tipo poco affidabile, molto legato a mio padre».
Usagi si portò una mano alla bocca, trattenendo a stento la propria costernazione. Quello che Mamoru stava affermando era molto grave e lui sembrava più che convinto che fosse la verità.
«Hai mai parlato a qualcuno dei tuoi sospetti?».
Mamoru scosse la testa.
«Sei la prima a cui racconto tutto – disse. Poi aggiunse – Il giorno che andai via di casa, prima che succedesse il putiferio, andai alla polizia chiedendo che indagassero sull’incidente, ma loro risero, dicendo che ero solo un ragazzino e che non avrei dovuto giocare a fare Sherlock Holmes. Poi, è successo quello che già sai e alla fine ho cercato di dimenticare tutto».
Usagi era sconvolta. Non sarebbe mai arrivata a pensare una cosa del genere. Adesso tutti i pezzi del puzzle erano al loro posto e comprendeva finalmente quanto grande e pesante fosse il macigno con cui era stato costretto a crescere Mamoru, sorreggendone da solo il carico.
Lei non poteva competere con quel dolore e tutto il suo amore non sarebbe bastato a trattenerlo. Non sarebbe mai riuscita a salvarlo.
«Dove andrai?» gli chiese, immaginando il giorno della sua partenza e la tristezza che avrebbe portato con sé.
«Parigi! – le rispose Mamoru – Lì avrei molte opportunità. E poi è una città magnifica, piena di arte, cultura, luci. Non sarebbe male svegliarsi tutte le mattine nella magia di quella città e girare per le strade immerso nell’odore di baguette appena sfornate».
«Deve essere bellissima!» esclamò Usagi sforzandosi di sorridere.
Mamoru la guardò. Quegli occhi avevano sempre la capacità di farlo impazzire, dimenticando tutto quello che era giusto e sensato.
«Vieni con me!» le disse, prendendole le mani tra le proprie e ignorando le decisioni che aveva preso quella mattina.
Usagi sorrise amaramente, poi scosse la testa.
«Non è giusto che io venga con te, come non è giusto che tu rimanga qua. Non ha senso! Io ti amo e, se fossi fatta di puro istinto, ti seguirei senza neanche sapere dove stiamo andando. Ma riesco ancora a vedere lucidamente e so che non possiamo essere felici. Il tuo dolore verrà sempre prima di me e io non posso aiutarti, per quanto ne abbia il desiderio e la voglia. Solo tu puoi salvare te stesso!».
«Tu mi hai reso felice, Usako! Mi dispiace non essere stato alla tua altezza!».
Usagi fece segno di no.
«Tu mi hai portato in paradiso, Mamo-chan! Avrei solo voluto che durasse in eterno. Non mi devi chiedere scusa, tu non c’entri niente. Non posso darti torto se, invece di curare le tue ferite, hai scelto di dimenticare tutto questo schifo».
Mamoru si alzò di scatto dal divano e, portandosi di fronte a lei, l’abbracciò con forza. La strinse come se non volesse più lasciarla andare via, anche se quella era la cosa più sensata.
«Ti amo, Usako!» le sussurrò schiacciato contro il suo viso e inspirando profondamente il suo odore, per non dimenticarlo mai più.
Usagi lo accolse tra le sue braccia.
«Anche io ti amo!» gli rispose mentre sentiva il cuore andare in frantumi.
Restarono così per qualche minuto, stretti l’uno nelle braccia dell’altra, come se fosse l’unica cosa di cui avevano bisogno. E quando finalmente riuscirono a staccarsi rimasero fermi a guardarsi negli occhi. I loro cuori avrebbero voluto pronunciare mille parole, ma troppe ne erano state dette e sarebbe stato inutile continuare ad annegare quegli ultimi istanti insieme con fiumi di frasi, che non sarebbero servite a riportarli indietro.
Mamoru accorciò le distanze, lentamente, quasi per paura di un rifiuto. Ma Usagi completò il percorso, poggiando le sue labbra su quelle di Mamoru e schiudendole in un bacio dolce e timido, ma triste, quasi straziante, occhi negli occhi, per la paura di perdere anche solo un singolo istante di quel momento.
Quello che stava per chiederle, a Mamoru sembrò una cosa stupida, ma non volle pensare, voleva solo dare sfogo ai propri sentimenti ed essere libero di amarla fino a che gli fosse stato possibile .
«Voglio averti mia, per l’ultima volta! Non dire no, Usako!» quasi la supplicò.
«Sì!» rispose lei, senza neanche pensarci una volta.
Sapeva che in questo modo avrebbero prolungato la loro sofferenza e che sarebbe stato un lento morire, ma in quel momento erano ancora Usagi e Mamoru e il suo unico desiderio era di sentire ancora la sua pelle e di riempirsi ancora di lui, per l’ultima volta.
Mamoru la prese in braccio piano e la portò nella sua stanza. Delicatamente l’adagiò sul letto, coprendola poi con il suo corpo.
Non c’era frenesia nei loro movimenti, non c’era la bramosia e l’ardore che li aveva sempre travolti, ma solo una straziante lentezza, come se avessero voluto prolungare il più a lungo possibile quel momento, consci che non si sarebbe più ripetuto.
Mamoru baciò ogni lembo di quella candida pelle di luna, e altrettanto fece Usagi, per imprimersi nella mente ogni dettaglio e non dimenticarlo mai più.
E pianse Usagi, pensando a quanto potesse essere amaro non poter più sentire quel calore. Mamoru asciugò tutte le sue lacrime.
«Vieni con me a Parigi!» la supplicò ancora.
Usagi scosse la testa.
«Lo sai che sarebbe inutile!».
Mamoru tacque. Sapeva che Usagi aveva ragione, sapeva che lei meritava di meglio.
Restarono ancora un po’ sdraiati sul fianco, l’uno di fronte all’altro, in silenzio, perché le parole sarebbero state troppo pesanti.
Parlavano i loro occhi, cielo e mare, come ogni volta.
Poi, inesorabile, arrivò il momento di separarsi.
«Ciao, Mamo-chan!» disse lei sforzandosi di sorridere.
«Ciao, Usako!» rispose lui accarezzandole il viso.
 
Mamoru fece scivolare il suo corpo lungo la porta che si era appena chiusa, fino a sedersi a terra. Portò la testa indietro e pensò a quello che gli aveva detto Heles la prima sera che aveva incontrato Usagi.
“Sono quelle come lei che ti mettono in catene!”.
Sorrise. Il suo cuore sarebbe stato per sempre incatenato a quello di Usagi.
 
Usagi asciugò l’ultima lacrima e sorrise. Non aveva alcun rimpianto. Non era stato un amore sbagliato, perché l’aveva aiutata a ritrovare se stessa. Mamoru non era destinato a essere l’uomo della sua vita, ma sarebbe rimasto per sempre l’amore della sua vita.
Prese il telefono e compose un numero. Dall’altro lato risposero.
«Mako, ho deciso! Vengo con voi!».
 


 
FINE?
 
 
 
 
 
 
Lo so, lo so! Chissà quante di voi staranno pensando di “ammazzarmi”…ma per me era giusto che la storia andasse così. Meglio che mi dilegui di corsa :-P
Prima, però,  permettetemi i ringraziamenti di rito.
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito e che hanno recensito, a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate e a tutte le le ”lettrici silenziose”.
Un grazie enorme a Rosa, alias Red85, con la quale ho scoperto di avere una grande sintonia e che con le sue attente osservazioni mi ha dato un sacco di spunti ed idee per andare avanti.
E poi grazie a tutte le ragazze del gruppo di fb: Shelly2010, Princess_Mars, Luciadom, Silviasilvia, Belle e la piccola Bunny e a tutte le altre.  E’ davvero un piacere conoscervi e passare le serate in vostra compagnia! Siete fantastiche!
Una saluto a tutti e…chissà quali saranno le mie prossime idee ;-)

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