The Crazy Diamond

di aranceeno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sconforto e indecisione ***
Capitolo 2: *** Siamo in paradiso ***
Capitolo 3: *** Due dimensioni diverse ***
Capitolo 4: *** Jugband Blues ***
Capitolo 5: *** Insonnia ***
Capitolo 6: *** Sotto i raggi della Luna ***
Capitolo 7: *** 1 Gennaio 1968 ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Non ti abbandonerò ***
Capitolo 10: *** Have You Got It Yet? ***
Capitolo 11: *** Silenzio ***



Capitolo 1
*** Sconforto e indecisione ***


“Mi piace il nostro gruppo musicale, sai come definirei i Pink Floyd?”
“Come li definiresti, Syd?”
“Psichedelici. Se ascolti noi, è come farti un trip!”
 
Avevamo appena vent’anni e io e i miei compagni non avevamo completamente idea di dove stessimo andando a finire. Non avevamo completamente idea che di lì a poco saremmo diventati dei cantanti di fama mondiale.
L’unico problema che mi preoccupava era la nostra riunione di quella mattina. Dopo l'ennesimo concerto disastroso all'UFO Club di due giorni prima, con il casino che aveva combinato Syd, avevo urgentemente bisogno di convocare Nick e Rick per discutere riguardo la sua questione.
Syd era il mio migliore amico sin dai primi anni di università e lui aveva fondato il nostro gruppo, i Pink Floyd. Solo che già da un bel po’ di mesi dopo la pubblicazione del nostro primo album aveva cominciato a darci pesantemente dentro con l’LSD. Ormai non ragionava più e non riuscivamo più ad andare avanti con la registrazione di “A Sarceful Of Secrets”. Era davvero pesante per tutti noi questa situazione di tensione e il mio dispiacere nei confronti del mio compagno era enorme.
Suonò il campanello. Erano già arrivati, puntuali come sempre.
Feci entrare Rick e Nick e li feci accomodare in soggiorno.
- Non possiamo andare avanti così, Roger.
Disse Rick una volta seduto sul divano.
- La situazione è diventata incontrollabile anche per te.
Continuò Nick.
Ero davvero demoralizzato. I miei due compagni erano dispiaciuti quanto me ed erano arrivati alle mie stesse conclusioni, soltanto che io non lo volevo ammettere.
- Non so cosa fare ragazzi. Syd è un mio caro amico e non posso lasciarlo solo.
- Non è questione di lasciarlo solo. Non lo abbandoneremo mai a sé stesso. Dobbiamo solamente sostituirlo con qualcun altro. Non ha senso continuare così. Lo sai benissimo che non stiamo andando da nessuna parte.
Mi rispose Nick. Come sempre con le sue maniere brusche.
- Calmati Nick, dobbiamo solo stare tranquilli. Senti Rog, c’è quel chitarrista, quel David Gilmour. Possiamo chiedere a lui se vuole entrare nel nostro gruppo. E’ molto bravo te lo assicuro.
Disse Richard che con la sua calma e la sua tranquillità mi ispirò serenità.
- Va bene ragazzi, ci penserò su.
I miei due amici se ne andarono e rimasi solo a casa. Aprii un cassetto e tirai fuori un vecchio album fotografico di qualche anno fa. Ne trovai una con Syd negli ultimi tempi. Aveva il volto sfigurato dalla droga. Ogni volta che lo vedevamo aveva lo sguardo vuoto, che vagava nell’aria, senza sapere cosa ci facesse lì e forse senza sapere nemmeno chi fosse: nella foto era perfettamente così. Tantissime volte ho tentato di convincerlo a uscirne fuori. Tutti quanti ci eravamo riusciti, ma lui no. Ormai non capiva più nemmeno cosa volesse. Passava da momenti di rabbia a momenti di totale sconforto.
 
“Syd che ne sarà del gruppo se continueremo così?”
“Non me ne importa niente, l’importante è che troviamo i soldi per la roba”
“Ti prego ascoltami, non ne uscirai vivo da tutto questo”
“Sta zitto, lo so che piace pure a te quando vedi il mondo in quella dimensione!”
 
“Dove andrò a finire? Aiutami, rimarrò da solo per sempre.”
“No, Syd, ci sono io con te, non ti preoccupare, tutto si sistemerà. Devi solo avere un po’ di volontà.”
“Siete più forti di me, non servo a niente. Mi mancherai Rog.”
“Non dire sciocchezze. Senti devi andare in un istituto per disintossicarti.”
“MAI!”

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Capitolo 2
*** Siamo in paradiso ***


La discussione di quella mattinata con Richard e Nick mi aveva buttato giù di morale, così mi sono rinchiuso nella mia stanza e ho provato a cercare qualche nuovo accordo per le nostre canzoni.
Di sera dovevo andare a trovare Syd, diceva che dovevamo finire di scrivere alcune canzoni.
In fin dei conti, non aveva bisogno del mio aiuto, lui era un genio. Accoppiava due, tre accordi e poi riusciva ad avvolgerli dentro una tonalità che ti trasportava in un mondo parallelo, colorato.
Suonare la musica scritta da lui e insieme a lui era come essere trascinati all’interno di un vortice di note e suoni che ti risucchiavano e ti facevano sentire rilassato, tranquillo. “Come quando, finalmente, riesci a farti la tua dose”, diceva lui.
Con The Piper At The Gates Of Down avevamo fatto proprio un gran successo. “L’avvento della musica psichedelica”, dicevano alcuni giornalisti. Ed era vero, la musica di Syd riusciva, non solo a prenderti il cuore, ma anche la mente e plasmarla a suo piacimento, proprio come un acido.
“Questo gruppo è la cosa migliore che potesse mai capitarmi al mondo. Meglio di quintali di roba. Tu che dici, fratello?”
Quando mi disse quelle parole non seppi cosa rispondergli. Non potevo assolutamente dargli ragione. All’interno del gruppo non era l’unico a fare uso di sostanze, però era l’unico ad abusarne in modo eccessivo, e, dal modo in cui lo faceva, era evidente che tenesse di più alla roba che alla sua musica.
Ma allo stesso tempo, se ci ripensavo, mi venivano i sensi di colpa.
Dovevamo assolutamente sostituirlo, ma sarebbe stato un duro colpo da accettare per lui. Dave era molto bravo, lo conoscevo anche abbastanza bene. Però, come avrei potuto voltare le spalle al mio amico in quel modo?
Ma, d’altronde, la registrazione del nostro secondo album si era tirata per le lunghe e non potevamo aspettare ogni volta che Syd si facesse la sua dose per riprendere il lavoro.
Dovevo dirglielo in qualche modo.
Ma ora non volevo pensarci, volevo distrarmi.
Era uno stress stare dietro ai problemi di Syd, mentre gli altri se ne fregavano dicendo “non sappiamo cosa fare, pensaci tu”. Ma avevano ragione. Solo io ero in grado di farlo ragionare.
Basta. Ci avrei pensato quel pomeriggio stesso quando sarei andato da lui. Mi sarei inventato qualcosa, come sempre.
Così mi sedetti nella poltroncina della mia stanza e cominciai a suonare il mio basso.
Era rilassante suonare. Ho sempre pensato che suonare fosse la mia salvezza. E così mi abbandonavo ai suoni emessi dalle corde che picchiavo con le dita e, insieme alle note, si innalzavano nell’aria i sensi di colpa, il rancore e il passato.
 
L’uno di fronte all’altro, occhi dentro occhi. Eravamo sereni, anche se la situazione non era delle migliori.
Eravamo seduti su una panchina della stazione, erano già le due di notte e lì sotto non c'era anima viva. Solo gruppi di ragazzi che fumavano hashish.
Eravamo anche felici, soddisfatti: riuscire a trovare un trip a quell’ora era davvero impossibile, ma non per noi.
Come sempre contavamo fino a tre e appoggiavamo la tavoletta proprio sulla punta della lingua, facendo smorfie che ci facevano ridere come matti.
Poi ci calmavamo e chiudevamo le bocche, assaporando la gustosa trippa che si scioglieva sulle nostre papille gustative, facendoci tremare di piacere.
Pian piano cadevamo indietro, fino a ritrovarci per terra, sdraiati, il mio viso di fronte al suo.
Era come il mio specchio. Vedevo nelle sue pupille, che pian piano si allargavano, le mie. Poi la testa girava. Passava un treno proprio in quel momento, ma non faceva rumore. Era come se avessi le orecchie tappate con il cotone. Poi il treno entrava dentro un flusso di colori spiraliforme che girava vorticosamente di fronte a me, come girava la mia testa in quel momento. Poi rivolgevo di nuovo lo sguardo al mio amico che mi sorrideva, beato.
“Si fratello, siamo in paradiso”.

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Capitolo 3
*** Due dimensioni diverse ***


Suonai il campanello, ma nessuno aprì la porta. Suonai altre due o tre volte, ma niente. Decisi così di arrampicarmi sulla grondaia per entrare dalla finestra della stanza di Syd. Che era sempre aperta.
Non ci misi molto, eravamo abituati a farlo sin da quando eravamo piccoli.
Una volta saltato sul parquet liscio della sua stanza, cominciai a chiamarlo, ma nessuno rispose.
Andai nella stanza dedicata agli strumenti, dove suonavamo e componevamo i nostri pezzi. Casa di Syd era il quartier generale dei Floyd ormai.
-Rog, fratello, finalmente sei arrivato. Sei in ritardo.
Mi disse guardandomi con il suo sorriso e sguardo assente che aveva ogni volta che si faceva un trip.
-Sembri pensieroso, cos’hai amico?
Io lo guardavo attonito. A volte mi impressionavano gli stati in cui lo trovavo quando si drogava. Ogni volta mi sembrava che fosse peggiorato. Io e gli altri alla fine non esageravamo con quegli acidi che usava Syd. Preferivamo l’hashish. Lui le preferiva tutte. E infatti, eccolo là, sdraiato per terra con la chitarra senza corde: le aveva tirate via tutte, lasciandone una sola al suo posto per punzecchiarla con l’indice.
Aveva due borse enormi e nere sotto gli occhi. Sembrava che non avesse dormito chissà per quante notti di seguito.
-No, ma cosa dici! Come ti senti? Riesci a suonare?
Volevo sembrare tranquillo ai suoi occhi. Dovevo inventarmi qualcosa per dirgli che non poteva continuare a suonare con noi se faceva così.
Lui, per tutta risposta, mi guardò e mi sorrise, quasi come se non avesse capito o sentito ciò che gli avessi detto.
Lo presi sotto braccio e lo portai in bagno a sciacquarsi il viso. Non avevo idea di quanta ne avesse presa, ma di solito, quando si trovava in quello stato, vuol dire che aveva, per l’ennesima volta, esagerato con la dose.
Dopo essersi ripulito riacquistò un po’ di colore in viso e si mise a sedere sopra il water.
-Senti Syd, non puoi andare avanti così, davvero, sono preoccupato per te.
Lui mi lanciò uno sguardo cupo e pieno di rabbia. Odiava quando gli parlavamo in quel modo della sua situazione. Lui credeva di essere in condizioni normali, o almeno cercava di autoconvincersi. Diceva di essere semplicemente “diverso” dal normale, rispetto agli altri ragazzi. E quindi non sopportava quando aprivamo discussioni di quel genere in sua presenza.
-A te non importa niente di me. Non vi importa assolutamente di come sto! Le mie canzoni nascono da questo! Mi vedi! Guardami! GUARDAMI!
Ecco, avevo sbagliato di nuovo, si era alterato in men che non si dica. Come l’avrei fatto calmare?
-A voi importa solo di guadagnare con le mie canzoni, di me non vi importa!
Ogni frase che pronunciava in quel modo era una pugnalata al cuore. Era un mio grande amico! Sapeva quanto ci tenessi a lui e, dopo tutto quello che avevamo passato insieme, dopo tutti gli ostacoli, droga compresa, che avevamo superato l’uno affianco all’altro, come poteva dire quelle cose? Anche sotto l’effetto di un trip?
-Ascoltami, ti prego. Ho una proposta da farti.
Si calmò per un secondo, forse apparentemente. Poi riacquistò la sua normale espressione da ragazzo tranquillo e taciturno e mi guardò incuriosito.
-Ho pensato che potremmo fare entrare nel gruppo Dave, quel tuo amico di infanzia, hai presente? E’ un chitarrista eccellente. Potrebbe farti da supporto, dato che mi sembri molto stanco. Potrebbe piacergli, non credi?
Il suo viso si illuminò. Forse la mia proposta gli era piaciuta.
In fondo trovargli un sopporto sarebbe stato molto meglio che sostituirlo. Avevo avuto un’idea geniale, come sempre.
-Dave, il mio caro vecchio Dave, si.
Rispose lui guardando un punto a caso tra le piastrelle che ricoprivano la parete del bagno.
Il suo sguardo vuoto mi rabbrividiva. Chissà cosa provava. Chissà se le canzoni che componeva fossero frutto di ciò che sentisse e vedesse nel suo mondo. Era totalmente estraniato, e sul palco, riusciva a fare entrare nel suo mondo pure il pubblico che ascoltava. Questo quando ancora ragionava. Stava perdendo sé stesso dentro questo tunnel immenso e io non riuscivo più a seguirlo. Ma potevo mai abbandonare il mio amico?
 
“Penso che il mondo abbia varie dimensioni. Una è quella reale e una è la nostra immaginazione. Il bello della musica che suoniamo è che riusciamo a trasportare l’una nell’altra. A volte mi sento come se vivessi solo nella dimensione dell’immaginazione e mi sento molto meglio. Chissà perché gli altri non capiscono questo ragionamento. Meno male che ci sei tu, vero Rog?”
Io lo guardavo e annuivo. Anche se ero profondamente convinto che le sue dimensioni non esistessero affatto. E se fossero davvero esistite, una sarebbe stata la realtà e l’altra la droga. E lui era arrivato a confonderle, perdendosi nella seconda, senza più riuscire a trovare la strada del ritorno.

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Capitolo 4
*** Jugband Blues ***


-Non riusciremo a completare quest’album, ormai è da quasi un anno che ci lavoriamo e Syd non ci viene incontro. Pensa solo a sé stesso. Per quanto mi possa dispiacere per la sua situazione, il suo atteggiamento mi irrita parecchio.
-Ha ragione Nick, purtroppo. Si può capire la sua mania di scordare la chitarra quando proviamo a casa sua. Ma non è giusto nei confronti del resto del gruppo rovinare i live. A dire il vero è sempre stato un po’ eccentrico e anticonformista dal vivo, ma negli ultimi tempi è diventato un po’ pazzo. Sembra godere nel rovinarci le performance davanti al pubblico.
-Si è vero! Vi ricordate quando all’UFO club, ad un tratto si è seduto e ha cominciato a scordare le corde della sua chitarra, mentre stavamo suonando See Emily Play? O quando si è presentato in pigiama in studio? O quando la Blackhill ha cancellato tutta la scaletta dei nostri concerti? Secondo me quella vacanza che avete fatto a Formentera lo ha solo peggiorato!
-Nick, lamentarsi in questo modo non ha senso e non aiuterà di certo il nostro amico. Manteniamo la calma e ascoltiamo i consigli di Rog. E’ stata un’ottima idea quella di far entrare Dave nel gruppo come supporto per Syd.
Ascoltavo i miei due amici, nonché compagni di band, mentre parlavano della situazione del gruppo, che era devastante per tutti e quattro. Nick era sempre il solito ragazzo che si lamentava di tutto e a volte risultava un po’ insensibile, mentre Rick era la voce della ragione. Molto modesto e tranquillo, riusciva sempre a trovare una via di mezzo e le parole giuste per calmare tutti. Ma non era sufficiente per la situazione che stata vivendo Syd.
Era una fresca giornata di metà novembre e tutti e tre camminavamo sotto al sole, diretti verso casa di Syd.
Avevo già contattato Dave per chiedergli di fare da chitarrista supporto a Syd e aveva accettato, anche se doveva completare il suo tour con il suo gruppo. Però aveva detto che di lì a poche settimane si sarebbe potuto dedicare a noi.
Avevamo proprio bisogno del suo aiuto. Ormai Syd dava quasi sempre segni di pazzia, sia in studio che nei live. Era dall’Agosto dell’anno prima che tentavamo di completare A Sarceful Of Secrets, e nonostante molti pezzi li avessimo scritti io e Rick, non riuscivamo comunque ad andare avanti velocemente senza il supporto continuo del nostro frontman. Sembrava essersi preso un anno sabbatico nella sua “dimensione dell’immaginazione”. E con il tempo è andato a peggiorare sempre di più.
Molte volte dovevamo far fronte ai suoi attacchi di schizofrenia o di astinenza e quindi interrompevamo di continuo le riprese per farlo calmare o per farlo addormentare sotto effetto dei sedativi, per poi riprendere con l’album il giorno seguente.
Era così frustrante quella situazione. E il fatto che i miei due amici si lamentassero di continuo, aspettando che prendessi io le decisioni più importanti, non era per niente d’aiuto.
Mi sentivo così appesantito. Mi sentivo anche in colpa perché non riuscivo ad aiutare il mio amico che contava su di me. Aveva bisogno di me.
A volte avevo voglia di abbandonare tutto e fuggire via dal mondo della musica, da Syd e da tutti gli altri. Ma ormai quel mondo faceva parte della mia vita, e anche volendo, non riuscivo a sottrarmi ad esso.
Arrivati davanti alla porta di casa, suonammo il campanello.
Alan venne ad accoglierci e ci fece accomodare sui divanetti del piccolo salone di casa Barrett.
-Syd sta arrivando, ha appena finito di farsi la doccia. Oggi è abbastanza di buon umore, non so perché.
Ci disse con tono misterioso. Ma nella sua voce c’era anche della serenità. Quando Syd, per quel po’ che riusciva, ritornava sé stesso, tutti quanti ritornavamo ad essere tranquilli.
-Ragazzi! Ho scritto una nuova canzone!
Era Syd che ci gridava quelle parole, mentre scendeva le scale correndo con un foglio di carta in mano, come un bambino che vuole mostrare il suo giocattolino a suo padre.
Ci mostrò il foglio di carta. Al centro, in alto, c’era scritto a caratteri cubitali “JUGBAND BLUES”.
Io, Nick e Rick ci guardammo straniti.
Non ci aspettavamo completamente una mossa del genere da parte del nostro amico, anzi tutt’altro. Credevamo di dover, per l’ennesima volta, affrontare i suoi problemi psico-fisici.
All’inizio eravamo contenti, però, leggendo il testo della sua canzone, ci accorgemmo che aveva qualcosa di strano.
Oltre il testo che sembrava passare in modo pindarico da uno stato di depressione e malinconia all’ironia più totale, ci rendemmo conto che non aveva una struttura ben precisa. Nemmeno un ritornello.
-Ma Syd, la canzone è… un po’ strana…
Dissi io incerto.
-Voglio registrare questa canzone con la banda dell’Esercito della Salvezza… Sarà meraviglioso!
Ci disse con un sorriso ampio. Era totalmente eccitato all’idea.
I suoi occhi, incorniciati dai riccioli scuri che gli cadevano sempre sul viso, splendevano come non mai. Non vedevamo più quella luce nel suo sguardo da tanto. Sembrava davvero un bambino che crede nei suoi sogni, nel suo mondo della fantasia e dell’immaginazione.
Cosa gli avremmo potuto rispondere?
Rick e Nick mi guardarono, cercando un qualsiasi segno di approvazione o disapprovazione.
Riflettei per qualche secondo..
-Sei tu il capo, Syd. Noi ti seguiamo!
 
Eppure la sua canzone aveva un messaggio. O almeno era quello che pensai io. Forse questo messaggio non esisteva ed era frutto della mia fantasia. Ma tra le righe ironiche di quel testo c’era un che di frustrante e angoscioso. Quasi simile a un addio.
 
È schifosamente premuroso da parte vostra pensare a me qui
Sono quasi obbligato verso di voi per aver chiarito che non sono qui
E non sapevo che la Luna potesse essere tanto grande
E non sapevo che la Luna potesse essere tanto blu
E vi sono grato per aver buttato via le mie scarpe vecchie
E per avermi invece portato qui vestito di rosso
 
E mi chiedo chi potrebbe scrivere questa canzone
Non mi importa se il sole non brilla
E non mi importa se non c'è nulla che mi appartenga
E non mi importa se sono arrabbiato con voi
Amerò in Inverno
 
E il mare non è verde
E io amo la regina
E cosa esattamente è un sogno?
E cosa esattamente è uno scherzo?
Ed avermi portato qui invece vestito di rosso
E mi chiedo chi stia scrivendo questa canzone
 
Non mi importa se il sole non splende
E non m'importa se nulla è mio
E non m'importa se sono nervoso con te
Amerò d'inverno
 
Ed il mare non è verde
Ed io amo la regina
E cos'è esattamente un sogno?
E cos'è esattamente uno scherzo?

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Capitolo 5
*** Insonnia ***


Erano passati ormai dieci giorni dal tour negli Stati Uniti.
Io ero a letto, i preda ai miei pensieri. Al buio delle 3 del mattino guardavo il soffitto bianco in cerca del sonno. Ma non riuscivo a dormire. Appena chiudevo gli occhi, mi riapparivano davanti le scene di Syd durante i concerti dei giorni scorsi.
Era la prima volta che faceva davvero il matto in pubblico. Avevo assolutamente bisogno dell’aiuto di Dave.  L’indomani sarebbe stata la vigilia di Natale. Sarei andato a casa sua a chiedergli di entrare nel gruppo definitivamente, anche perché lui aveva finito con i suoi tour.
Intanto  dovevo pensare a dormire.
Ma non ci riuscivo. E più cercavo il sonno e più le loro parole, il suo viso e le sue grida, si facevano forti dentro la mia mente. Mi tiravano dentro un tunnel di emozioni brutali, dal quale non riuscivo a fuggire. E supplicavo dentro di me, di riuscire a trovare una via d’uscita a tutto questo.
 
Stavamo suonando la nostra nuova canzone, di fronte al pubblico. Ma lui, seduto lì, sulla sedia di fronte al microfono, non accennava a cantare o a muovere un dito. Si limitava solo a sfiorare le corde della chitarra, perso nei suoi viaggi mentali.
Dovevamo fare tutto io e Rick.
Andò così per tre giorni di fila, ormai ci avevamo fatto l’abitudine.
Ma il quarto giorno siamo rimasti sconvolti sia noi che il pubblico.
Era tutto tranquillo. Nick ci dava il tempo con la batteria e io e Rick suonavamo e tentavamo di fare ciò che Syd non faceva minimamente. A ogni nota sbagliata, la rabbia mi invadeva sempre di più. Non lo capivo, davvero. Non riuscivo a farmi una ragione del comportamento di Syd.
Poi si alzò dalla sedia e si girò verso di noi, dando le spalle al pubblico. Cominciava a ridere a crepapelle.
Io e Rick ci spaventammo. Non volevamo interrompere il concerto, il pubblico non faceva neanche tanto caso al comportamento del nostro amico. Ma sapevamo che, se non fossimo intervenuti, sarebbe stato comunque inevitabile l’arresto del concerto.
Troppo tardi.
Syd cominciò a dare di matto spaccando la chitarra per terra con tutta la furia che aveva. Prendeva il microfono e urlava, poi lo buttava in mezzo al pubblico  e poi, dopo aver esaurito tutte le forze, si accasciava per terra, pallido, sudato ed esausto.
 
“Basta, Rog, davvero. Hai fatto il possibile.”
“Non è colpa tua. Ci hai provato, ma niente, è irreparabile la sua situazione.”
Le voci di Rick e Nick rimbombavano ancora nella mia mente.
 
“Io non so più cosa fare. Si rinchiude sempre di più in sé stesso e ogni volta che vengo a casa sua per stare insieme a lui, devo scappare subito dopo mezz’ora perché comincia a impazzire o si ammutolisce senza più dire niente. Stiamo immobili e in silenzio, fino a quando non mi alzo per tornarmene a casa. Io lo lascio! Non ne posso più!”
Anche la voce rotta dalle lacrime di Lindsay mi riempiva il cervello e mi spezzava il cuore più di quanto non lo fosse già.
Mi scoppiava la testa. Ormai avevo raggiunto il limite. Non potevo fare tutto da solo. Avevo davvero bisogno di aiuto.
 
“Vedi fratello… io lo so che non sono come gli altri. Voi invece siete tutti uguali, ecco perché non mi sopportate. Perché è vero, le vedo nei vostri occhi che non mi sopportate. Io lo so. E tu non sei più il ragazzo di una volta. Ma non mi interessa. E’ la mia musica e la suono come mi pare, e se a te non piace, puoi anche uscire dal mio gruppo. Ciao Roger, a domani.”
Ormai si comportava come un bambino. Mi aveva detto quelle parole il giorno prima, di fronte alla porta di casa sua. Ormai non mi lasciava neanche dire ciò che volevo dirgli. Era diventato impossibile discutere e fargli capire qualcosa. E le sue parole mi avevano ferito più che mai.
E sentivo un grave peso dentro di me. Perché in fondo ciò che mi aveva detto non era del tutto falso. Io stavo cercando qualsiasi soluzione per sostituirlo e anche il resto del gruppo non lo voleva più intorno.
Più ci pensavo e più questo penso in me si faceva vivido e reale. Pesava come non mai. Come i sensi di colpa.

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Capitolo 6
*** Sotto i raggi della Luna ***


-Certo che ti aiuterò amico, farei di tutto per Syd. Ci conosciamo da quando siamo nati in pratica.
Furono queste le parole che mi disse Dave la mattina di Natale, quando andai a casa sua per parlargli dei problemi della band e della brutta situazione del nostro frontman.
Sapevo che la cosa che importava più a Dave erano soprattutto la fama e i soldi. A tutti noi importava molto di quelli. Eravamo così giovani e inesperti, e, inoltre, i Pink Floyd erano ormai molto famosi, quindi mi sembrava abbastanza normale che Dave sciogliesse la sua vecchia band, per suonare come lead guitar nella nostra. A Syd sarebbero state assegnate vocals e rhythm guitars.
 
Dopo il disastroso tour negli Stati Uniti io e Richard eravamo riusciti a comporre qualche canzone per il nostro secondo album con qualche dritta da parte di Syd.
Dave era già nel gruppo da qualche settimana dopo Natale e anche lui ci aiutava nella composizione e registrazione di alcune canzoni che avevamo lasciato incomplete per colpa dei vari problemi che avevamo avuto. Era eccezionale come chitarrista supporto, e anche quando Syd non poteva suonare, noi andavamo a casa di Dave per continuare con l’album.
La situazione aveva preso una piega migliore.
Anche se il mio amico sembrava non interessarsi molto al fatto che nella band ci fosse un nuovo membro. Diceva solamente “Si, è un bravo chitarrista. Suonavamo sempre insieme”, e poi cambiava discorso.
A volte dubitavo che Syd si ricordasse davvero di Dave. Una volta lo aveva anche incontrato per strada e non lo aveva nemmeno riconosciuto.
Comunque in quel periodo sembrava aver ripreso un po’ le sue normali sembianze. Forse perché, nella nostra zona, gli spacciatori di acidi erano scomparsi. Di solito scomparivano per qualche settimana, anche per un mese intero, per poi ritornare quando le ispezioni notturne delle pattuglie si spostavano in altri quartieri.
Per quel breve periodo Syd si era dato solo all’hashish e ogni tanto ci capitava di fumare in gruppo, insieme a lui, e di immaginare nuovi ritmi psichedelici per le nostre canzoni. Ormai eravamo dentro la mentalità di Syd: “Le nostre canzoni devono essere dei trip musicali!”.
 
-Volevo chiederti una cosa, fratello.
-Dimmi Syd.
-Non che mi importi così tanto, ma come mai Dave suona con noi? Ci basto già io come chitarrista, non credi?
-Beh..
-E poi, una cosa che mi ha stranito è stato il fatto che l’hai fatto entrare nella band senza chiedere il mio consenso.
-Ci serve solo come supporto, Syd. Nient’altro.
Non sapevo cosa dirgli. Mi faceva quelle domande con un’innocenza tale da spezzarmi il cuore. Forse mi sarei anche messo a piangere vedendo il suo sguardo ingenuo e interrogativo nel chiedermi quelle cose.
Perché doveva andare così? Perché si era rovinato così tanto?
Sicuramente, quando gli spacciatori sarebbero tornati, il suo stato mentale sarebbe cominciato a decadere come le altre volte e a quel punto, lo avremmo dovuto sostituire davvero.
Tutti erano convinti, anche io lo ero, nel volerlo sostituire con Dave.
Sostituirlo avrebbe reso la vita più facile alla band, ma i sensi di colpa avrebbero divorato solo me.
Stavo voltando le spalle al mio amico che aveva davvero bisogno di me. E la cosa che mi pesava davvero era il fatto che non potevo abbandonare la band dopo tutta la strada che avevamo fatto. Ma non potevo nemmeno lasciare Syd da solo, di fronte al suo destino.
Ma Syd aveva abbandonato noi. Lui ormai si era perso per sempre nel suo tunnel psichedelico di trip e non ne voleva davvero sapere di uscirne.
-Dai fratello, passami questa canna e non ci pensiamo più. Domani continueremo con le nostre canzoni.
Mi disse prendendo lo spinello dalle mie mani e aspirando un’ingente quantità di fumo, tenendosela per almeno cinque secondi dentro il petto, per poi sputarla fuori dalla bocca e dal naso, inondando la stanza di quella sostanza grigia e fluttuante.
I raggi della luna entravano dalla finestra aperta della stanza di Syd, illuminando quella folata di fumo che danzava sinuosamente nella stanza. Tutto era argentato, anche la pelle del mio amico aveva assunto un aspetto diverso sotto la luce splendente della luna. Aveva gli occhi chiusi e le labbra incurvate in un sorriso. Si stava rilassando pensando al suo mondo fantastico, ignaro del fatto che stava splendendo, proprio lì, davanti a me.

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Capitolo 7
*** 1 Gennaio 1968 ***


Entrai nella mia stanza e mi sedetti per terra, con la schiena appoggiata al fianco del mio letto.
Dalla finestra si intravedeva il cielo stellato e l’aria gelida che c’era fuori era intrisa delle risate, della musica e della voce delle persone che, felici, ignare di tutto ciò che mi accadeva, festeggiavano.
Io, quella sera, non avevo assolutamente voglia di festeggiare. Ero di malumore. Ormai da qualche mese ero entrato in questo periodo di stress e di tristezza per via del mio amico Syd, e non sapevo assolutamente cosa fare.
 
-Si, lo sostituirò con un nostro vecchio amico, un chitarrista bravo. Si chiama David Gilmour.
-Ma ancora Syd suona nella vostra band.
Mi disse Peter con uno sguardo cupo.
-E diciamo che con lui le cose non vanno per niente bene. Anche quando il suo nuovo singolo Apples And Oranges ha avuto scarso successo, Syd è riuscito a dire ai giornalisti che non gli importasse più di tanto. Ormai l’avete perso, è sempre per le sue.
Disse Andrew con lo sguardo di una persona che vuole dimostrarsi dispiaciuta.
-Non lo possiamo cacciare da un giorno all’altro come se niente fosse! Voi non capite che tutto questo per lui è importante! Ne soffrirebbe!
-Fratello, calmati! Siamo tutti tesi.
Rick mi tenne per un braccio come per calmarmi.
-Va bene Roger, noi abbiamo solo bisogno di nuovi brani originali da presentare all’UFO e al pubblico e poi ci saranno altri tour come quello del mese scorso. Sempre sperando che Syd non faccia il pazzo. E’ meglio se lo lasciate a casa o lo fate curare. E’ in condizioni pessime.
-Faremo il possibile.
Rispose Nick abbassando lo sguardo.

 
La discussione che avevo avuto qualche giorno prima con i nostri manager mi aveva rattristito ancora di più. “Chissà come reagirà quando capirà che stiamo cercando di sostituirlo”, pensavo tra me e me. “E se già lo avesse capito?”, quel pensiero mi fece venire un tonfo al cuore.
Non riuscivo a levarmi quei pensieri dalla mente. Erano sempre lì a preoccuaprmi.
Guardai la foto incorniciata posta sul mio comodino e la presi. Osservai attentamente la foto di quell’uomo che aveva i miei stessi occhi e i miei stessi lineamenti.
-Chissà come sarebbe stato avere un papà. Tu che cosa mi avresti consigliato?
Sussurrai accarezzando la cornice argentata e piena di polvere.
Di botto qualcuno aprì la porta della mia stanza facendomi spaventare. Nascosi la foto sotto il letto e mi alzai di scatto, voltandomi verso la luce che proveniva dal corridoio.
-Rog! Non puoi stare sempre al buio! Scendi sotto a divertirti dai.
Mia madre accese la luce abbagliandomi e costringendomi a coprirmi il viso con un braccio.
Mi prese per il mento costringendomi ad abbassare la il capo per poter rivolgere lo sguardo dritto verso il suo.
-Avete di nuovo fumato quella roba là, vero? Hai gli occhi rossi come due peperoni!
Riusciva sempre a scoprirmi in un modo o nell’altro e si arrabbiava puntualmente, anche se sapeva che ormai fumavo hashish da almeno un anno e mezzo.
-Dai mamma, finiscila. Lo sai che non sono così..
Non sapevo come terminare la frase. Sapeva benissimo che mi riferivo a Syd, anche perché lei aveva paura che potessi entrare nello stesso tunnel in cui era finito lui.
-E va bene, però quando ti fa male la testa non venirmi a chiedere medicinali!
Mi disse dandomi le spalle e dirigendosi verso il piano di sotto dove tutti festeggiavano.
Dopo qualche minuto, prima che mi decidessi a spegnere di nuovo la luce della mia stanza, entrò Syd.
-Il capitano Bob è tornato.
Mi disse con un sorriso ebete, per poi buttarsi a terra di faccia.
Mi chinai subito per soccorrerlo. Tremava, emetteva gemiti, grugniti.
Non capivo se stesse ridendo o piangendo.
Poi mi accorsi che stava facendo entrambe le cose.
-Fratello, quanta ne hai presa?
Di solito il “Capitano Bob”, come soprannominavano lo spacciatore di LSD del quartiere, gliene vendeva 50 mg e Syd se li ingoiava di getto, senza nemmeno spezzare le tavolette.
-Non lo so Rog, so solo che adesso sto benissimo. Andiamo a bere un po’ di Champagne. Sono venuto a chiamarti per quello.
Continuavo a non capirlo.
Si mise seduto a gambe incrociate di fronte a me continuando a ridere-piangere. Voltava il capo a destra e a sinistra, guardandosi attorno come qualcuno che non sa dove si trova.
-Fratello sei proprio uno scemo, non capisci!
-Cosa c’è da capire Syd?
Odiavo quando faceva il misterioso nel tentativo di farmi capire le cose che voleva dirmi girandoci attorno. Soprattutto quando era fatto. Non riuscivo a capire se fosse serio o delirasse.
Rise di nuovo di gusto.
-Felice anno nuovo fratello!
Rimasi, per l’ennesima volta, stupito dal suo atteggiamento. Era eccentrico e strambo anche fuori dal palco.
Me lo disse con un sorriso ampio. Gli occhi persi in punti indefiniti della stanza e l’espressione vuota. Era un sorriso vuoto, ma sorrideva.
Si sdraiò per terra chiudendo gli occhi.
Lo guardai con tenerezza. Era così tranquillo, ma non sapeva assolutamente che quell’anno sarebbero cambiate tante cose. Speravo con tutto il mio cuore che il 1968 potesse portare qualcosa di buono per lui. Ma sapevo che entrambi avremmo dovuto affrontare una grande difficoltà, sia per il gruppo che per la nostra amicizia. E lui ne avrebbe anche sofferto.
Spensi la luce della mia stanza e mi sdraiai accanto a lui con la testa rivolta verso il soffitto.
-Buon Capodanno Syd.

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


Non sapevo dove mi trovassi. Era un corridoio buio, forse era casa di Syd. Non ne ero sicuro. Continuavo a camminare nella speranza di trovare una via d’uscita, avevo bisogno di aria. Quel corridoio era così stretto e claustrofobico.
Passai accanto a una porta che portava in una stanza dalla quale si sentivano dei gemiti. Sembrava il pianto disperato di un bambino.
Aprii piano piano la porta e vidi un ragazzino magro e dai folti capelli ricci che gli dondolavano davanti al viso pieno di lacrime. Era rannicchiato su sé stesso in un angolino, con le spalle a muro e si teneva le gambe strette al petto. Continuava a singhiozzare e a lacrimare per chissà quale dolore o dispiacere.
Si voltò verso di me e mi guardò. Riconobbi i suoi grandi occhi scuri che emanavano la dolcezza del suo animo infantile e innocente. Brillavano nonostante le lacrime.
-Amico mio.. Perché?
Mi gridò con la voce che tremava per il pianto, guardandomi negli occhi in modo che riusciva a spezzarmi il cuore.
-Nessuno vuole più avermi attorno.
Cominciai a tremare e tentai di avvicinarmi a lui per abbracciarlo, anche se i miei movimenti erano troppo pesanti e difficilmente riuscivo ad arrivare dove era.
Sentivo l’irrefrenabile bisogno di stargli accanto, di abbracciarlo e di consolarlo. Di fargli capire che lo stavo facendo per il suo bene e che non volevo fargli del male.
Piangeva per colpa mia. Come potevo fargli una cosa del genere?
-Syd.. sYD!

 
Aprii gli occhi di scatto rimanendo immobile. Fissai il soffitto della mia stanza in silenzio. Il sole era ormai alto e i suoi raggi illuminavano le pareti dell’ambiente. Dovevano essere le 11 del mattino.
Ero ancora sdraiato sul tappeto, accanto a Syd che russava. La testa mi girava per via della canna della sera prima.
Era tutto normale, come lo avevo lasciato prima di addormentarmi. Tirai un profondo sospiro di sollievo.
-Era solo un sogno.
Sussurrai a me stesso, come per rassicurarmi.
Mi misi su un fianco per osservare meglio il volto addormentato di Syd. Aveva dei lineamenti così dolci, sembrava proprio un bambino. Quasi quasi mi sembrava il vecchio Syd di una volta. Quello che rideva e scherzava con tutti, il tipo eccentrico che sapeva attirare il pubblico con i suoi modi psichedelici di suonare nei pub.
All’improvviso sentii come un nodo in gola e la mia mente entrò in subbuglio, invasa da mille ricordi di un passato che sembrava ormai lontano e perduto.
 
-Che cosa ci fai di nuovo qui?
-No, fai finta che non esisto, mi piace come suoni il basso. E’ rilassante.
-Se mi devi prendere in giro, puoi anche risparmiare fiato e andartene.
-Dico davvero.
Avevo 17 anni e lui 14. Cosa voleva da me? Per non stava con quelli della sua scuola?
Continuavo a suonare senza fare caso a quel ragazzino che abitava vicino alla villetta che avevo affittato. Aveva un modo strano di approcciarsi con gli altri. Basti pensare che avevamo fatto amicizia solo perché ogni giorno, da  quando mi ero trasferito a Cambridge per l’università, si sedeva sul davanzale della finestra della mia stanza e mi ascoltava suonare il basso. Era ormai da qualche settimana che andava avanti così. All’inizio pensavo che si comportasse come un bambino solo per prendermi in giro, ma poi mi resi conto che era il suo vero carattere e che si comportava così con tutti. In fondo era un tipo allegro e non era nemmeno tanto fastidioso.
In confronto a lui io ero un po’ più aggressivo e risultavo antipatico agli altri. Per questo non mi relazionavo facilmente con le persone che frequentavano la mia università. Syd ci riusciva alla perfezione. Ma preferiva stare lì, seduto sul davanzale della finestra della mia stanza a guardarmi mentre suonavo.
-Dai, su entra.
 
Un giorno si presentò con la sua chitarra acustica.
-Che cosa pensi di fare?
-Dai, facciamo un duetto. Ti va di imparare alcune canzoni che ho scritto?
-Ma l’hai comprata solo qualche settimana fa e hai già scritto le TUE canzoni?
-Ti prego! Ti piacerà!
All’inizio l’idea non mi piacque, ma preferii provare, tanto per farlo contento. Aveva tante persone attorno a lui, anche a scuola, perché si ostinava a stare con me che non ero assolutamente come lui ed ero per di più antipatico?
Però suonando insieme a lui mi accorsi che c’era qualcosa che andava tra noi. Ci sapevamo intendere, andavamo a tempo insieme. C’era una certa intesa nel modo in cui picchiavamo a tempo le corde dei nostri strumenti. E lui era anche molto bravo.
Era fantastico suonare con lui. E la musica che scriveva, anche se i testi erano bizzarri, era davvero bella e affascinante.
-E’ bello suonare con te, Rog! Posso chiamarti Rog vero?
-Ehm, certo..
Ormai dopo alcuni mesi, mi ero abituato ai suoi modi di fare. Era davvero simpatico, ma molto immaturo.
Come tutti noi del resto. Tutti fumavamo hashish in quel periodo, anche se tra le nuove generazioni, soprattutto quella di Syd, andava di moda provare anche le droghe pesanti.
 
-Ti infastidisco?
-Non avrebbe più senso dirtelo ora, dato che ormai ci frequentiamo da mesi.
-Scusa Rog, è che mi piace avere nuovi amici e tu sei così diverso dagli altri!
-E’ un complimento?
-No Rog, davvero! Se ti infastidisco dimmelo. Non verrò più a casa tua.
Lo guardai negli occhi. Aveva lo stesso sguardo di un bambino. Era lui quello diverso e lo sapevano tutti. Aveva una mente geniale a mio parere.
-Dai Syd, prendiamoci una birra.
-Ma ho 14 anni!
-Hai 14 anni, una fidanzata, provi la droga e non bevi birra?
-Va bene, prendi una bottiglia pure per me.

 
E ora era lì, disteso accanto a me, il volto ormai cupo e le borse sotto gli occhi.
Non aveva più la stessa vitalità che aveva quando lo avevo conosciuto. Era cambiato. La droga lo aveva stravolto, aveva cambiato i lineamenti del suo viso e distrutto quel bambino che aveva in sé, rendendolo aggressivo e più chiuso.
E la sua musica e i suoi testi erano cambiati radicalmente, proprio come era cambiato lui. Sentivo il suo malessere e il suo bisogno di solitudine tra le note e le parole delle sue canzoni.
Ormai parlava solo con me.
Anche per questo non volevo cacciarlo dal gruppo. In fin dei conti aveva solo bisogno di qualcuno che lo capisse. Spesso mi diceva che aveva paura che lo abbandonassi e che aveva bisogno di me come aveva bisogno di suo padre. Ripensare a quelle parole mi faceva entrare in crisi con me stesso. Io gli stavo sempre accanto. Sin da quando lo avevo conosciuto non gli avevo mai negato la mia compagnia, ma quando lo avremmo cacciato davvero dal gruppo come avrebbe reagito? Avrebbe capito che continuando in quelle condizioni i Pink Floyd si sarebbero estinti?
D’un tratto aprì gli occhi e mi fissò. Mi irrigidii, preoccupato. Credevo che avesse sentito i miei pensieri, tanto eravamo vicini. Poi sorrise, i denti dritti e splendenti, molto meglio dei miei.
-Buongiorno fratello! Che bello, rimasto a sognare accanto a me!

"Fratello, mi accetterai lo stesso, anche se mi faccio di trip?"
"Certo Syd"
"Lo sai, a volte mi ricordi mio padre"

Io rimanevo in silenzio e tiravo un'altra boccata di fumo dalla sigaretta.

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Capitolo 9
*** Non ti abbandonerò ***


Quel pomeriggio dovevamo vederci tutti a casa di Syd per completare alcuni brani. Dovevamo solamente sistemare le ultime cose  e poi, finalmente, li avremmo potuti registrare in sala. Non vedevo proprio l’ora.
Io, Rick, Nick e Dave camminavamo l’unico a fianco all’altro, vicino a Holland Park Avenue, diretti a casa di Syd.
-Mancano solo gli ultimi sforzi e finalmente saremo in sala registrazione!
Nick era davvero eccitato all’idea, seguito sempre dalla tranquillità di Rick, che quel giorno sembrava anch’essa intrisa di eccitazione.
-Beh, se non fosse stato per Dave, adesso non saremmo qui!
Dave sorrise alle parole di Rick. Era molto modesto, lo ammiravo per questo. Io e Syd eravamo molto diversi. Ci piaceva farci notare, far sapere a tutti di che pasta eravamo fatti.
Fra Dave e Rick c’era molta intesa. Lo avevo capito subito la prima volta che hanno provato insieme il nostro nuovo brano “A Saurceful Of Secrets”. Insieme erano una coppia perfetta, non me lo sarei mai aspettato.
Arrivammo a casa di Syd. Da fuori sembrava tutto tranquillo, ma, avvicinandoci di più, cominciavamo a sentire il suono della sua Fender sulle note di “Scarecrow” e la sua voce si librava nell’aria circondando la casa con un alone psichedelico di un’allegria accompagnata da un’angoscia che riusciva a farmi sentire come in bilico fra tutte le mie decisioni.
I miei amici rimasero lì ad ascoltare prima di bussare. Rick gesticolava con le mani, come se stesse suonando una tastiera invisibile e Nick batteva il piede per terra a ritmo. Dave si appoggiò la schiena al muro a fianco alla porta, in attesa che qualcuno di noi bussasse.
Sospirai e bussai, sperando di non incorrere a un altro litigio con il mio amico.
 
-Aspetta riprova così, forse sto andando troppo veloce..
-Vi do il tempo con la grancassa?
-Ok, ok, riproviamo
Provavamo lo stesso pezzo da un’oretta. Non riuscivamo a venirne a capo.
“Corporal Clegg”. Era una canzone che avevo scritto in ricordo del sacrificio di mio padre in guerra. Non so perché avessi voluto incidere qualcosa su di lui. Forse per stuzzicare l’interesse quasi scomparso di  Syd, dato che entrambi eravamo orfani di padre e lui sapeva bene cosa provavo io, dato che ne avevamo parlato più volte. O forse l’avevo scritta per affrontare me stesso e tutte le paure che mi avevano atterrito tutta la vita e che ho dovuto affrontare da solo senza una figura paterna al mio fianco.
Syd era seduto sul divanetto a guardarci. Sembrava molto tranquillo, lo sguardo meno vuoto del solito e abbastanza interessato alle prove. Più che altro sembrava tra il giù di morale e l’infastidito.
A volte si alzava e ci urlava che andava in bagno oppure a bere un bicchiere d’acqua.
Pensammo che forse cercasse attenzioni, così passammo a “Remember a Day”, a cui partecipava anche lui con la sua slide guitar.
Stava andando bene. Andava a tempo ed era concentrato in quello che faceva. Se non lo avessi conosciuto davvero non avrei potuto dire che dal suo sguardo si intendeva moltissimo che la musica era la sua vita.
Ad un certo punto alzò lo sguardo e cominciò a guardarmi, senza smettere di suonare. Io ricambiai lo sguardo con totale disappunto quando notai che mi stava letteralmente fulminando. Aveva le sopracciglia corrugate e sembrava che tenesse dentro di sé qualcosa di brutto che purtroppo quello sguardo riusciva a lanciarmi con tutto il suo peso.
Cominciò ad andare fuori tempo fino a che tutti non si fermarono per fissarlo allibiti. Lui continuava imperterrito a suonare una melodia senza senso. Andava sempre più veloce, sembrava in preda a uno dei suoi attacchi schizofrenici.
 Arrivò anche a spezzare il plettro e si fermò, senza smettere di guardarmi in quel modo.
Tutti rimanemmo immobili a guardarlo, sconvolti.
Gettò la chitarra per terra, facendola arrivare ai miei piedi.
-Al diavolo..
Disse borbottando altre cose senza senso e uscendo dalla stanza.
-Ragazzi, per oggi credo possa bastare. Voi andate. A lui.. ci penso io..
Dissi io, deluso,  guardando il pavimento e ripensando al suo sguardo così cattivo e arrabbiato.
Gli altri annuirono e in silenzio presero le loro cose per andarsene.
Prima che mi potessi voltare per dirigermi nella stanza di Syd, Rick mi porse una mano sulla spalla e mi lanciò uno sguardo compassionevole.
Gli risposi facendo spallucce e me ne andai.
Entrai dentro la stanza di Syd e lo vidi seduto a terra, nella stessa posizione in cui l’avevo visto nel mio sogno. Ma non piangeva e continuava a guardare il muro che aveva di fronte, senza degnarmi di uno sguardo. Come se non fossi mai entrato in quella stanza. Ma sapevo che si era accorto di me.
Accanto a lui un piccolo quaderno aperto su una pagina a caso, risalente a 4 anni prima.
“Poor Dad died today”
C’era scritto solo questo. Quanti discorsi avevamo fatto sui nostri padri io e lui. Questo fattore che ci accomunava, ci rendeva caratterialmente molto simili. Forse era per questo che io ero l’unico che riusciva a capirlo e viceversa.
 
-Si, è morto in guerra quando ancora avevo 4 mesi.
-Mio padre se n’è andato proprio 6 mesi fa. Ma non parlavamo molto, stava sempre sulle sue. Lavorava sempre. Però quando non lavorava si dedicava ai suoi hobby preferiti e io amavo guardarlo mentre pitturava o quando suonava. Lui mi ha spinto ad amare la musica.
-Io darei qualsiasi cosa per provare, anche solo per qualche minuto, la sensazione di avere un padre, di conoscerlo e di poter parlare con lui.
 
-Syd, perché fai così? Stavamo andando così bene..
Non mi rispose. Rimase in silenzio, ignorando le mie parole.
-Ti prego Syd, smettila. Stai rompendo le palle.
-Allora vattene via.
Odiavo quando si comportava come un bambino. Non ti permetteva di dare spiegazioni, rimaneva radicato su quello che pensava lui.
-Io non ti capisco, davvero! Cerco di aiutarti in tutti i modi, e tu mi respingi in questo modo! Sei proprio una testa di cazzo! Me ne vado!
Prima che potessi girare i tacchi per uscire da quella casa, pieno di tutta la rabbia che avevo dentro in quel momento, si girò per guardarmi.
Questa volta aveva un altro sguardo. Sembrava come una barca senza remi che galleggiava a malapena tra le onde di un mare in tempesta e l’unico molo a cui poteva reggersi saldamente ero io. Cercava di aggrapparsi a me, anche se aveva qualcosa nei nostri confronti, soprattutto nei miei, che tentava di reprimere. Ma poi cos’era in fondo? Era un anima sperduta che non sapeva dove altro andare e ricadeva sempre sugli stessi errori. Eravamo così confusi e arrabbiati che non riuscivamo a capire che l’unico modo per far andare bene le cose era sostenerci l’un l’altro.
Quel suo sguardo riuscì a calmare tutta la rabbia che era in me. Sembrava il Syd di 14 anni che avevo conosciuto sei anni prima. Era come se volesse dirmi “Ti prego, non mi abbandonare, ho bisogno di te”.
Io non lo avrei mai abbandonato.

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Capitolo 10
*** Have You Got It Yet? ***


Grazie all'aiuto di Dave riuscimmo a completare il lavoro in poco tempo dopo Capodanno e già, durante le prime settimane di Gennaio, ci ritrovammo a registrare i brani in studio. Andrew e Peter erano soddisfatti, nonostante il totale disinteresse di Syd.
Non veniva molto spesso in studio. Diceva di avere da fare la maggior parte delle volte. Altre volte arrivava tardi e quando veniva, stava seduto a pizzicare le corde della chitarra, con lo sguardo assente, come se si trovasse in un luogo sperduto, lontano da tutto e da tutti.
Nonostante questa sua alienazione dal mondo circostante, le registrazioni andarono bene per tutta la settimana. Syd non ci diede molti problemi, anzi, era contento di essere in studio a registrare con noi quell'album. Però un giorno di quella settimana, venne in studio in orario e ci trovò mentre preparavamo il materiale per le ultime registrazioni.
Aveva lo sguardo misterioso e un piccolo ghigno spuntava dalle sue labbra, come se stesse nascondendo qualcosa di speciale e allo stesso tempo sconvolgente.
-Hey ragazzi! Ho composto una canzone! Volete provarla? Si intitola "Have You Got It Yet"!
Rimanemmo perplessi. Lui continuava a guardarci in modo serio, con le labbra incurvate in quel ghigno che non prometteva nulla di buono.
Ci guardammo in silenzio, senza dire nulla. Dave e gli altri si voltarono verso di me, come se aspettassero una mia reazione.
A dir la verità, quella proposta di Syd mi aveva spiazzato. Del resto, Syd riusciva sempre a stupirci in qualche modo con i suoi soliti comportamenti eccentrici. Pensai che, alla fine, non dovesse esserci niente di male, sarebbe stata una delle sue tante canzoni strane.
-Va bene fratello, facci ascoltare un po'.
Dissi un po' titubante, mentre Syd già preparava la chitarra, eccitato all'idea di farci ascoltare la sua nuova creazione.
Si sedette su uno sgabello nero, con la sua acustica in mano e mi guardò  senza abbandonare quell'espressione misteriosa che aveva da quando era entrato in studio.
-Rog, prendi il tuo basso. Ho bisogno del tuo aiuto.
Gli altri sorrisero. Nick, seduto dietro la batteria, fumava una sigaretta in attesa di vedere e sentire quale altra stranezza aveva partito il nostro amico, mentre Rick e Dave, appoggiati a muro, vicino all'apparecchiatura per le registrazioni, mi guardavano mentre mi preparavo con il basso.
Era una proposta alquanto strana, ma allo stesso tempo mi incuriosiva.
Guardai Syd come per chiedergli cosa dovevo fare.
-È semplice, fratello. Devi seguirmi accompagnando questa melodia.
Mi fece sentire quel ritmo con la chitarra. Era abbastanza semplice. In pratica dovevo ripetere gli stessi due accordi per tutto il resto della canzone.
-Ogni volta che io canto "Have You Got It Yet?", tu dovrai rispondere "No!". Capito? Semplice.
Mi disse sorridendo.
Non era la prima volta che Syd mi proponeva di suonare qualcosa di assurdo. Normalmente non mi stupiva più il suo comportamento eccentrico. Però quel giorno, c'era qualcosa di strano. Lo capivo da come mi parlava e quella sua espressione, tra lo scherzoso e il misterioso, mi rendeva incerto.
-Va bene fratello. Ti seguo.
Nick ci diede il tempo e cominciammo a suonare.
La chitarra di Syd era tutta scordata. Mi venne un po' difficile seguirlo. Ma ci riuscii lo stesso.
-Have You Got It Yet?
-No!
Continuammo così per un po'. Dopo quattro volte la cosa cominciò ad annoiarmi, ma poi mi accorsi che Syd stava andando più veloce e aveva anche cambiato tonalità. Continuai a seguirlo continuando a rispondere a quella frase che sembrava così insensata. Andò sempre più veloce, cambiò tonalità così tante volte che non riuscii più a seguirlo e mi fermai.
Si fermò anche lui, rivolgendomi uno sguardo serio. Aveva abbondato il suo ghigno. Lessi della tristezza mista a della rabbia in quello sguardo. Mi guardava come per chiedermi "Adesso hai capito?".
Gli altri rimasero in silenzio. Perplessi. Restai in silenzio anch'io.
Syd si alzò e fece per andarsene, tenendo la chitarra per il manico. Lo sguardo cupo e rivolto verso il basso.
-Hey amico, dove vai? Non rimani con noi a registrare?
Disse Dave andandogli dietro. Era già arrivato alla porta.
-Al diavolo tutto.
Ci lanciò uno sguardo angosciato e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle, senza nemmeno ascoltare la risposta di Dave, che si vide la porta dello studio chiusa in faccia.
 
A casa ripensai a quello che era accaduto in studio nel pomeriggio. Sicuramente non aveva composto quella canzone seriamente. Voleva dire qualcosa. Era venuto in studio solo per fare quella scenata e andarsene. Quindi doveva esserci qualche sua idea stramba dietro.
"Secondo me ci sta solo facendo perdere tempo. A volte mi da i nervi. Sarà incazzato con noi per qualcosa e non ha il coraggio di rendersi conto che la colpa è sua!". Le parole di Nick rimbombavano nella mia testa. Non gli diedi torto. Syd stava attraversando una fase di crollo psicologico e non era nelle condizioni di poter suonare con noi. Se era incazzato perché aveva capito che lo volevamo sostituire, sicuramente non aveva capito che era solo colpa sua. Eppure continuava a prendersela con noi. Con me specialmente, riversando le colpe dei suoi sbagli su di me, che avevo cercato di andargli incontro in tutti modi. All'inizio non avevo proprio intenzione di sostituirlo con Dave. Credevo ancora che Syd potesse recuperare le sue facoltà mentali, perché aveva delle grandi doti musicali. Avevo tentato con tutte le mie forze di capirlo. Ma lui non voleva essere capito.
Ecco che mi ritornava in mente la sua frase.
"Have You Got It Yet? No!".
Forse era questo ciò che voleva dirmi. Dovevo smetterla di spremermi per cercare una soluzione alla sua condizione. Lui non mi sarebbe mai venuto incontro. Ormai lo avevo totalmente perso da tempo e solo quel pomeriggio in studio ne avevo avuto la conferma.
Era inutile spremermi così tanto per tentare di capire una persona che in realtà non voleva essere capita.
Adesso lo avevo capito.
 
 
NOTA: Mi dispiace aver interrotto al nono capitolo nel 2013 e riprendere solo ora. Spero vi piaccia! Cercherò di finire la mia storia!

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Capitolo 11
*** Silenzio ***


Dopo aver finito i lavori in studio, avemmo solo qualche giorno per riposarci perché già Peter e Andrew avevano organizzato i nostri nuovi spettacoli a partire dalla settimana successiva.
Ci sentivamo eccitati e felici all'idea di doverci esibire in nuovi concerti. Ma Syd ancora non accennava a dare segni positivi o, comunque, di vitalità.
Dopo quell'evento molto strano, accaduto negli studi di registrazione, era diventato più taciturno e disinteressato. Ci seguiva senza parlare molto e non dava segni di alcun tipo. Era diventato totalmente apatico.
I primi quattro spettacoli in cui ci esibimmo andarono molto bene, ma, sul palco, lui rimaneva sempre per le sue, a pizzicare le corde della chitarra con lo sguardo assente, incurante del pubblico e del suo dovere di frontman. Credevo ormai che avesse perso totalmente la concezione della realtà, che non sapesse più distinguere tra il vero e l'immaginazione.
Dopo ogni spettacolo, mi avvicinavo a lui per chiedergli come si sentisse o se era soddisfatto del risultato. Lui mi rispondeva con il solito sguardo apatico, oppure con monosillabi. Era come se fosse diventato un automa con lo sguardo perso nel vuoto.
Sul palco comunque, Dave era davvero eccezionale. Riusciva a fare tutto ciò che Syd non faceva e, insieme a Rick, riusciva a improvvisare in perfetta armonia quelle parti che Syd non accennava minimamente a suonare. Alla fine, oltre al suo comportamento assente, non ci diede problemi tanto gravi. Da questo punto di vista, sembrava essersi ripreso. Tutto filò liscio come l'olio. Anche se ormai, sembrava proprio inutile che Syd suonasse con noi. Ormai organizzavamo ogni cosa senza chiedere il suo parere, anche perché lui non sembrava interessarsi molto a quello che facevamo. Forse non sapeva nemmeno lui quello che stavamo facendo. Ci seguiva e basta, ma se ne stava per le sue, perso in chissà quale pensiero angoscioso.
 
Era il 26 gennaio, fuori pioveva molto forte e c'era un freddo glaciale. Ma dentro il pulmino, che ci avrebbe accompagnati per il nostro concerto a Richmond, si stava molto bene. Gli altri stavano mangiando dei panini nei loro sedili, guardando assorti le strade di Holland Park Avenue, ingrigite dal maltempo. Eravamo silenziosi. C'era qualcosa in quella pioggia che sembrava aver messo malinconia nei nostri animi, nonostante fossimo eccitati per l'imminente concerto.
Prima di superare il quartiere dove era nata tutta la nostra musica, si ruppe il silenzio con una frase che, più che una frase, mi era sembrata un proiettile.
-Non dobbiamo passare a prendere Syd?
Non riuscii a capire chi degli altri tre seduti dietro di me fece questa domanda, ma non seguì alcuna risposta. Rimanemmo tutti in silenzio.
Per fortuna mi ero seduto qualche sedile più avanti a loro. Solitamente, alle domande che riguardavano Syd, tutti si voltavano verso di me, come decidessi sempre io per lui. In effetti era vero: pensavo sempre io a lui, perché lo conoscevo meglio di tutti e sapevo come prenderlo. 
Un po'.
Ma non sopportavo il fatto che ogni problema che lo riguardasse dovesse essere addossato anche a me.
Rimasi in silenzio, anche se sentivo lo sguardo corrucciato di Rick che mi infilzava alle spalle. Non era solo un mio problema decidere se Syd fosse in condizione di suonare o meno. Era un problema di tutti. 
Forse tutti e tre avevano già preso quella decisione da tempo. Forse aspettavano solo un mio verdetto per confermare l'uscita di Syd dal gruppo. Forse ero rimasto l'unico a credere in lui e a provarle tutte per farlo rimanere con noi.
Ma mi ero arreso anche io. Non ce l'avevo fatta. E adesso soffocavo i miei sensi di colpa per quella scelta dietro quel silenzio che sigillava la decisione più difficile del nostro gruppo: cacciare via Syd. Il suo creatore: se non fosse stato per lui, i Pink Floyd non sarebbero mai nati e nessuno li avrebbe mai notati.
Ci sarebbe rimasto malissimo. Lui aveva ancora la scaletta dei concerti. Lo avrebbe capito che quel giorno saremmo andati senza di lui. Cosa avrebbe detto? 
Conoscendo il suo comportamento molto infantile, ero sicurissimo che sarebbe rimasto ferito, perché comunque, per lui, il gruppo era diventato davvero importante e la musica era la sua vita.
Il fatto è che lui era stato il primo ad abbandonare noi e la sua stessa musica. Non si sarebbe mai reso conto che, facendo in quel modo, non avrebbe portato a niente di buono. Ormai la sua presenza sul palco era diventata palesemente inutile. Io ero dispiaciuto e sapevo che se la sarebbe presa con noi lo stesso, perché non era in grado di fare un ragionamento così semplice, ma non potevo farci davvero nulla.
Superammo Holland Park Avenue. Nessuno parlò.
Continuammo per la nostra strada verso Richmond.
Senza Syd.
 

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