Amore di fiele

di Blooming
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lascia ch'io pianga ***
Capitolo 3: *** Qualcosa che nasce ***
Capitolo 4: *** Lasciati amare ***
Capitolo 5: *** Amandoti ***
Capitolo 6: *** Disperazione ***
Capitolo 7: *** Stiamo giocando? ***
Capitolo 8: *** Amore ***
Capitolo 9: *** Follia ***
Capitolo 10: *** Bugie ***
Capitolo 11: *** Una piccola morte ***
Capitolo 12: *** Sono più forte di te ***
Capitolo 13: *** Mi presento, sono il Labirinto ***
Capitolo 14: *** Non mi avrai ***
Capitolo 15: *** Non lasciarmi morire da solo ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il tuo sguardo ha acceso nel mio cuore
quel raggio pieno di presentimenti,per ammonirmi ogni ora
che sono in tuo possesso.
(Il tuo sguardo - Gabriel Garçia Lorca)


 

Sarah guardò il mondo intorno a se distruggersi, il Labirinto si disfaceva sotto i suoi piedi, il cuore saltò un battito quando lo vide, alto, pallido, i capelli biondi che ricadevano selvaggi sugli occhi insoliti e ammalianti, le labbra sottili e curve in un sorriso malizioso, la fissava con aria superiore, come se sapesse già tutto
“Dammi il bambino.” Disse Sarah cercando di mantenere la foce ferma, lo fissava dritto negli occhi.
Lui mosse un passo nella sua direzione
“Sarah bada a te.” Un altro passo e le fu accanto “Sono stato generoso fino a questo momento ma so essere crudele.” La voce ferma e il tono autoritario.
“Generoso?” Sarah lo guardò piena di rancore per tutto quello che aveva fatto “Che cosa hai fatto di generoso?”
La voce di Jareth si incrinò, l’irritazione saliva, si sporse a guardarla
“Tutto! Tutto!” riprese la calma di se stesso “Tutto quello che hai voluto io l’ho fatto.” Le girò attorno come un rapace con la preda “Tu hai chiesto che il bambino fosse preso e io l’ho preso.”
Sarah lo guardava quasi stregata, lui riprese il suo discorso “Tremavi davanti a me e io mi facevo terrificante. Ho sovvertito l’ordine del tempo e ho messo sottosopra il mondo intero. E tutto questo io l’ho fatto per te.” Prese una lunga pausa, si fermò, la guardò in quegli occhi verdi così brillanti, il tono di voce si fece più malinconico “Sono stremato da vivere in funzione di quello che ti aspetti da me, questo non è generoso?”
Sarah prese il coraggio di dire quelle parole che tanto aspettava di dire e porre fine a questa crudele danza
“Tra rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per il castello oltre la città di Goblin.” Si avvicinò al Re, fronteggiandolo con il proprio coraggio “La mia volontà è forte quanto la tua e il mio regno…”
Prima che potesse terminare la frase, Jareth la fermò con un gesto della mano
“Basta!” c’era una punta di terrore della voce del Re di Goblin “Aspetta!” ora la voce si fece melliflua e seducente “Guarda Sarah, guarda quello che ti sto offrendo.”
Con un semplice gesto delle dita fece apparire un sfera di cristallo splendente
“I tuoi sogni.” Sapeva benissimo come incantare quella giovane ragazza di appena quindici anni. Sarah prese fiato, lo fissò, gli occhi verdi puntati sui suoi.
“E il mio regno altrettanto…”
Sarah riprese a camminare davanti a Jareth che indietreggiò, sempre sicuro di se e con la sfera tra le dita
“Ciò che ti chiedo è così poco. Lascia solo che io ti domini,” tentava la ragazza come il serpente tentò Eva “e potrai avere tutto quello che desideri.” La guardò sicuro di aver colpito la sua mente.
Sarah non riusciva a trovare le parole, le si erano perse nella mente, tutto era perduto, ripeteva le parole ma la frase per sconfiggere definitivamente quel mostro non la trovava, Jareth la guardò con pietà, le portò agli occhi la sfera dei desideri
“Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo.”
Sarah abbassò lo sguardo, il cervello le cominciò a frullare vorticosamente, cosa doveva fare? Accetta
Salvare suo fratello! Quello era da fare. Ma l’idea di accettare quella allettante proposta di Jareth era assai difficile da dimenticare, non doveva far altro che accettare, farsi dominare da quell’essere così tenebroso, così affascinante.
Jareth aspettava silenzioso una sua risposta, sapeva di aver fatto breccia nel piccolo fragile cuore mortale di Sarah.
La ragazza corrugò la fronte, lo sguardo perso “Toby”, pensava al fratello, quel piccolo essere umano che le aveva procurato tanti guai, non poteva lasciarlo trasformarsi in uno gnomo verde e gridante ma non voleva rinunciare alla vita nel castello del Labirinto, non con Jareth, voleva vivere con i suoi amici Hoggle, Ludo, Sir Didymus, pensò a loro, non poteva lasciarli soli
Non puoi vivere senza di loro
“Accetto!” la voce incrinata
Jareth sorrise
“Mi lascerò dominare, ti temerò ma non ti amerò, amerò il Labirinto, i miei amici, ma non te.”
Jareth alzò il sopracciglio, gli occhi gli si illuminarono, c’era riuscito, l’aveva avuta. Sarah continuò il suo discorso
“Rimarrò qua con te, nel tuo castello ma tu libererai Toby, lo riporterai nella sua culla e farai si che tutti coloro che hanno avuto contatti con me non mi ricordino, come se non fossi mai nata, tutti proseguiranno la loro vita così non soffriranno della mia mancanza.”
Il Re di Goblin la fissò crudele
“E se non volessi portare indietro il bambino?”
Sarah che si era preparata in anticipo la risposta aspettandosi la risposta precedente, con voce ferma e sicura rispose
“Allora me ne andrò, ti sconfiggerò e prenderò Toby con me e tu rimarrai solo!”
Jareth sorrise malizioso, senza dire niente scomparve, tornò con Toby in braccio
“Saluta il tuo fratellino mia preziosa, per sempre!”
Sarah prese in braccio il bambino, gli baciò il piccolo naso
“Addio Toby! Non ti ricorderai di me quando tornerai a casa, ti porterò sempre nel cuore.” il bambino le strinse i capelli nel piccolo pugno “Ti verrò a trovare qualche volta…”
“Oh no, non lo farai! Non ti allontanerai dai confini del Labirinto, non senza di me, mia cara e stai certa che non ti sarà facile lasciare il mio regno.”
Sarah abbassò remissiva lo sguardo, Jareth si avvicinò, prese il bambino tra le braccia.
“È tempo di andare! L’ultimo bacio al marmocchio, mia dolce Sarah.”
Sarah accarezzò le guancie del fratellino, Jareth con un semplice gesto del polso, creò una sfera di cristallo, la lanciò davanti a se. La sfera si aprì formando un portale nella camera da letto di Karen e di suo padre, Jareth attraversò il confine invisibile da un mondo all’altro ed entrò nella stanza, posò il bambino nella culla, con uno schioccare delle dita lo fece addormentare poi sussurrò qualcosa al vento che trasportò quelle parole, in tutta la casa scomparvero le foto di Sarah, ogni singolo frammento di lei, della sua presenza, si cancellò, la sua camera si svuotò, lasciando soltanto un letto vuoto, una camera mai vissuta.
Il Re di Goblin tornò in pochi minuti. Sarah era rimasta immobile, pietrificata nel vedere tutto di lei svanire –una bolla di sapone.
Jareth gli si mise accanto, avvicinò le labbra al suo orecchio, lo sguardo di Sarah perso nella desolazione del vuoto di quel mondo, lui sussurrò con voce suadente e quasi irrisoria
“Ora sei mia!”
A Sarah crollò il mondo addosso, come aveva potuto proporre un patto così stupido, come aveva potuto pensare di farsi dominare da un essere così spregevole, cosi bello, così oscuro, così… così bello, maledettamente bello. Ma non avrebbe mai accettato di amarlo, non dopo tutto quello che le aveva fatto passare.
Lui le scostò dal volto i capelli
“Come sei bella con la disperazione negli occhi.”
Avvicinò le labbra alle sue, si toccarono, le bocche si unirono in un bacio freddo e senza passione, le lacrime rigarono le guance di Sarah.
Sei stata veramente una stupida.

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Capitolo 2
*** Lascia ch'io pianga ***


Jareth scostò le labbra da quelle di Sarah, lei tremava, un brivido che le percorreva tutto il corpo e che l’aveva resa pallida. Gli occhi gonfi e rossi, il naso arrossato, la pelle secca, lo sguardo fisso davanti a sé.
Jareth le passò il dorso delle dita della guancia
“Sarah, Sarah, Sarah. Non essere così triste. Vedrai i tuoi amici, tutti i giorni, pensa a quanto sei fortunata. Pensa a quanto ci divertiremo insieme.” Il tono beffardo “Pensa a come non ti saresti perdonata se avesti rifiutato la mia richiesta.” Si scostò da lei, la soppesò guardandola dall’alto in basso “Sarai un ottima regina, nonché moglie.”
Sarah ascoltava le sue parole incassando ogni colpo senza piegarsi.
Piegati Sarah
Non poteva permettersi di piegarsi ulteriormente, si sarebbe spezzata, non voleva apparire di fronte al suo nemico ancora più debole di quanto già non lo fosse sembrata accettando la sua richiesta, ma alle parole “regina” e “moglie”, non potè fare a meno di alzare con coraggio il viso e guardare il suo carceriere con occhi colmi di odio
“Ti ripeto, Jareth, che non sono rimasta per amare te!”
Il Sidhe sogghignò
“Oh si che lo farai mia cara, dolce, sciocca Sarah.” La fissò negli occhi smeraldini “Imparerai, con gli anni, ad amarmi, lo posso vedere nei tuoi occhi.”
Fece comparire una sfera e la fece roteare su tutto il corpo sfidando le leggi della fisica, guardò la ragazza che remissiva aveva chinato il capo cingendosi il corpo tra le braccia
“Prendi Sarah, questi sono i tuoi sogni. Ti appartengono.” le porse il cristallo
Sarah non disse niente, rimase silenziosa e curva su se stessa come impossibilitata a muoversi.
Si trovavano ancora tra le rovine del centro del Labirinto, quel Dedalo stregato che tanto aveva fatto soffrire la giovane donna ora sarebbe diventata la sua casa, la sua eterna dimora. Le lacrime le rigarono le gote, una goccia le scivolò sulla punta del naso e cadde infrangendosi a terra
Piangi Sarah, lasciati andare
Sarah crollò sotto il peso di tutto quello che aveva fatto, pensò a suo padre.
Non hai più un padre Sarah
Pensò a Karen, anche se non la sopportava non riusciva a non pensare che ora, nessuno a cui fosse legata si ricordasse di lei, non era mai vissuta, mai nata, mai stata.
Pensò a Toby, quel piccolo bambino dai capelli biondi e gli occhi azzurri che piangeva sempre non lasciandola in pace.
Sarah crollò, crollò a terra, la schiena curva, le braccia strette intorno al petto, i capelli neri ricadevano sul terreno circostante. Jareth la fissò con un’aria tra lo stupito e il divertito, amava quando le persone si piegavano al suo volere ma quasi riusciva a provare un po’ di pietà per quella ragazza china al suo cospetto. Era riuscito a dominarla ma non a farsi amare, avrebbe provato di tutto per farla reagire, anche a essere dolce con lei
Solo per una volta Jareth
Si avvicinò silenzioso a lei, si chinò al suo fianco, il suo abito era cambiato, indossava dei pantaloni grigi e degli stivali di cuoio neri, la camicia scollata bianca e un corpetto nero, un mantello blu che slacciò con un semplice gesto delle dita e lo posò sulla ragazza che tremava scossa dai singhiozzi, lei si voltò, lo fissò negli occhi, uno chiaro, l’altro più scuro. Lo ringraziò di quella premura solo guardandolo, il Re di Goblin ebbe un sussulto, le mise le braccia intorno alla vita, la sollevò delicatamente, lei si sostenne al suo braccio
Jareth cosa stai facendo?
Quella voce non voleva smettere, Jareth non l’ascoltò, provava una sorta di compassione per Sarah, lei non riusciva ad emettere un fiato, le lacrime scivolavano silenziose lungo il viso per cadere inesorabili sulle mani tremanti, il Sidhe la tenne stretta, tirò fuori il tono più dolce e umano che possedeva
“Andiamo Sarah.”
Sarah sperò che si potesse ritrattare sulla sua permanenza nella città di Goblin ma in cuor suo sapeva che Jareth non l’avrebbe mai lasciata andare anche se in quel frangente lui si dimostrò gentile e comprensivo.
Il Sidhe fece comparire un portale sulla sala del trono, tenendo stretta la sua preziosa la portò nel salone, i piccoli gnomi stavano in silenzio a osservare la scena, solo qualche mormorio sommesso
“Quella è la nuova regina?”
“Guardate lui come la tiene stretta.”
Sarah sentiva tutto attutito, Jareth la condusse lungo un corridoio, si ritrovarono davanti a un salone da cui partivano due scalinate, una portava verso il basso, verso le segrete, l’altra in alto, verso il cielo vermiglio.
Jareth guardò Sarah, sempre piegata su se stessa.
“Povera piccola Sarah, come ti ho ridotta.”
La voce calda, come non aveva mai avuto. Proseguirono salendo lentamente, uno scalino per volta, fino a raggiungere un altro corridoio, più luminoso, largo, la tappezzeria rappresentava un bosco, verde smeraldo, verde chiaro, azzurro. Jareth continuò a fissare la ragazza che piangeva, il cuore gli si strinse.
Raggiunsero una porta verde, come gli occhi di Sarah. Con uno scatto si aprì, Sarah alzò gli occhi, non poteva credere a quello che vedeva, seppur in modo offuscato, dietro quella porta c’erano tutte le sue cose, i suoi pupazzi, i suoi poster, il suo scrittoio, le mensole con sopra i libri, Lancillotto posizionato sul suo letto come ad accoglierla. Si staccò da Jareth facendo qualche passo tremante all’interno della stanza, l’unica cosa diversa da camera sua era la finestra, piccola. C’era un’altra porta, quella portava al bagno, uguale a quello di casa sua.
Jareth la fissò compiaciuto
“Pensavo avresti voluto le tue cose.”
Sarah non disse niente, rimase in piedi, fissava il vuoto, continuava a piangere silenziosa. Jareth cercò di essere comprensivo per un’ultima volta
“Non piangere mia adorata.”
Sarah scosse la testa, lo fissò per un tempo indefinibile, quelle piccole gocce d’acqua salate si inseguivano rigando il suo volto da bambina. Jareth non riuscì a essere ancora gentile
“Piangere non ti farà uscire di qui!” disse furente
Il Re di Goblin uscì dalla stanza sbattendo la porta dietro di se, appoggiò la testa contro la porta, sospirò, la sentì singhiozzare violentemente, non doveva mostrarsi debole, non ancora.
Sarah si lanciò piangente sul letto, abbracciò Lancillotto, lo strinse forte al petto, aveva ancora sulle spalle il mantello di Jareth, vi si avvolse, aveva il suo odore, quel profumo inebriante che tentò di stregarla ancora. Continuò a piangere forte
“Cosa ho fatto?!”
Una musica si propagò nei corridoi del castello, Sarah l’udì, nitida e forte, le rimbombò nelle tempie:

Lascia ch’io pianga mia cruda sorte
E che sospiri la libertà


Il duolo infranga queste ritorte
De miei martiri sol per pietà
(*)


Jareth scoppiò a ridere, maligno e divertito, il castello sapeva come si sentiva la nuova regina e glielo diceva sempre più forte.





 
 
 
*La canzone è “Lascia ch’io pianga” di Handel, cantata da Cecilia Bartoli.

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Capitolo 3
*** Qualcosa che nasce ***


I’ve died everyday waiting for you.
Darling don’t be afraid,
I’ve loved you, for a thousand years.

I’ll love you for a thousand more.
 
(A Thousand Years – Christina Perri
)

 
Sarah si svegliò, la stanza popolata dei suoi ricordi, il poster del suo cantante preferito, pupazzi, foto sbiadite appese alla specchiera, possibile che fosse stato tutto un sogno? Che lei avesse sognato di arrivare nel regno di Goblin. Quel essere affascinante e mostruoso non esisteva, l’aveva solo sognato e lei era nella sua camera da letto, strinse forte i pugni, si stiracchiò serena, piano si alzò, non voleva svegliare la sua famiglia.
Era andata a letto vestita, “mi sarò addormentata leggendo” pensò.
Si diresse verso lo scrittoio, prese uno dei libri, cominciò a sfogliarlo sorrise, si guardò allo specchio, gli occhi rossi e stanchi, i capelli arruffati, si diede una spazzolata come meglio poteva. Si mise il rossetto che teneva sul mobile, un colore tenue, rosato.
Guardò le foto intorno allo specchio, alcune erano troppo sbiadite,  sgranò gli occhi: in quella foto ci doveva essere suo padre con lei da piccola in braccio
Non hai un padre Sarah
Sarah lanciò la foto sulla scrivania, si ritrasse, la mano sulla bocca
“No! Non è vero! Non può essere.”
Urlò.
Si alzò dalla sedia, cominciò a camminare su e giù per la stanza, la sua stanza. Allora era tutto vero. Non aveva sognato. Jareth esisteva. Esisteva il patto che avevano fatto. Lei sarebbe rimasta li. Nel Labirinto.
“Quanto posso essere stata scema a proporre una cosa così idiota? E tutto per vedere i miei amici!”
Si portò le mani alla testa. E ora? Che cosa avrebbe fatto?
Non ti lascerà andare, non ti farà scappare
Sarah prese coraggio, era sempre stata coraggiosa fino a quel momento, guardò nell’armadio se trovava qualche vestito ma erano tutti in stile medievale, lunghi abiti di broccato o di seta dai colori forti, qualcuno bianco, altri verdi.
Prese il vestito più normale che trovò, uno lungo bianco, come quello che indossava al parco la mattina prima, quando recitava in solitudine.
Uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Il corridoio era vuoto e silenzioso. Vide degli gnomi saltellare in giro ma nessun’altro a parte quegli esserini verdi e puzzolenti coperti di stracci.
Raggiunse un grande atrio, percorse una lunga scalinata verso il basso, ricordava di averla percorsa la sera prima aggrappata al braccio del Re di Goblin.
In quel momento lui le era stato così amico e poi, di colpo, crudele, violento nel suo silenzio.
Arrivò all’ultimo gradino, sentì uno schianto, delle risate, un urlo furente.
Si precipitò nella direzione di quel chiasso, raggiunse la sala del trono, Jareth teneva per un orecchio uno gnomo che strideva e gracchiava, gli altri gnomi ridevano divertiti, il Sidhe gli urlava contro
“Come hai osato!”
Non era una domanda quella che il re poneva al piccolo suddito, Sarah si nascose dietro lo stipite, tutti gli gnomi ridacchiarono malefici
“Non ridete!”
Si ammutolirono.
“Veniamo a noi, cosa faccio con uno come te! Inutile essere verde. Come hai osato!”
“Non lo sapevo.”
Pigolò spaventato
“Non lo sapevi eh? Non sapevi cosa, di preciso? Che è proibito spiare? Che è proibito toccare ciò che è mio? Dovrei buttarti nella Gora! E lasciarti marcire dentro.”
Un gruppo di gnomi corse nella sala del trono tirandosi un pollo morto, uno di loro andò a sbattere contro la gamba di Sarah, la fissò terrorizzato
“Mi scusi Regina.”
Sarah trasalì, Jareth la vide, sorrise maligno, gli occhi gli scintillarono
“Vieni mia cara, entra a salutare i sudditi.”
Lo gnomo venne scaraventato giù dalla finestra senza pensarci su troppo, tutti risero. Jareth aveva occhi solo per il suo prezioso ospite.
Sarah incespicò un po’ nella camminata, Jareth allargò le braccia avvolgendo tutta la sala
“Benvenuta nella Sala del Trono mia adorata.”
Sarah si guardò intorno, il Sidhe le fu subito vicino, le tese il dorso della mano, lei guardò la mano, subito gli occhi spaiati di lui, le sorrideva, un sorriso quasi glaciale, Sarah chiuse gli occhi, un brivido le corse lungo la schiena, la pelle d’oca, gli tocco la mano, calda, più calda di quanto avesse mai potuto immaginare
“Come hai dormito mio tesoro?”
Sarah si guardò intorno, la mano appoggiata a quella di lui, rispose senza pensarci poiché lui la conduceva all’interno delle vie del Labirinto
“Bene.”
Jareth le fissò le iridi di smeraldo
“Come sei bella mia cara.”
Sarah percepì solo la sua voce, adulatrice, seducente.
Così eccitante
La ragazza sapeva che non se ne sarebbe mai potuta andare da li. In quel momento Jareth era l’unico essere simile a lei che poteva “capirla”, l’unico che le sarebbe stato amico, l’unico che sapeva della sua esistenza.
Sarah gli strinse forte la mano, non lasciandola andare neanche per un secondo. Calda, morbida.
Jareth si sorprese di questa sua trovata, la tirò verso di se, Sarah gli finì addosso, le mani sul suo caldo petto, il cuore del Re di Goblin batteva forte, più forte di qualsiasi essere umano, Sarah poteva sentirlo pulsare sotto la carne
“Allora Sarah, ti piace il mio regno?”
Sarah si scostò un po’ da lui ma il Sidhe la trattenne sul suo petto
“Posso sentire il tuo cuore battere, piccola Sarah, adoro la tua debolezza, adoro poterti manipolare a mio piacimento.”
Sarah sapeva benissimo che queste parole per lui volevano dimostrare amore, non distolse neanche per un secondo gli occhi da quell’essere di aspetto umano, i suoi occhi da predatore la scrutavano nell’anima.
Lui lo sa quello che vuoi Sarah
Questa stupida voce!
Sarah, per un secondo, solo un attimo, pensò ad accettare quel caldo invito che le stava proponendo Jareth, gli si avvicinò, chiuse gli occhi, gli zigomi si sfiorarono, lui poteva sentire il sangue percorrerle il corpo, lei gli si avvicinò all’orecchio
“Sei l’unico che potrà mai amarmi.”
Jareth le prese il mento tra il pollice e l’indice, le labbra si avvicinarono, quasi a sfiorarsi, gli occhi chiusi attendendo l’incontro
“Sarah!”
Una voce familiare fermò il loro idillio, Sarah si voltò verso quel piccolo nano dagli occhi vispi e azzurri
“Hoggle!”
Sarah lasciò la mano di Jareth per lanciarsi in un abbracciò su Hoggle
“Lasciami! Su dai lasciami!”
Si ribellava il nano. Sarah gli diede un bacio
“Ecco! L’hai rifatto! Ora Lui ci manderà ancora nella Gora dell’eterno fetore!”
Jareth camminò nella loro direzione, la voce calma
“Non lo farò Gorgoglio!”
Sarah sorrise a Jareth, gli occhi le brillarono, un sussurrò di ringraziamento, lei in ginocchio davanti a Hoggle
“Ma Sarah, perché sei ancora qui? Non sei riuscita a salvare tuo fratello?”
Sarah si alzò da terra, porse la mano a Hoggle che gliela strinse, lei lo guardò
“Si! L’ho salvato. Ma il resto è una storia lunga. Te la racconto mentre andiamo a trovare Ludo e Sir Didymus, portami da loro, ti va?”
Hoggle sorrise, la trascinò via da Jareth, all’interno del Labirinto.
Sarah si voltò a guardare il volto del suo Re, lui le sorrise.
Jareth tornò verso il castello, le mani giunte sulle labbra
“Oh Sarah, Sarah. Ti ho amato per mille anni, ti amerò per altri mille.”
Poi prese il volo.

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Capitolo 4
*** Lasciati amare ***


Hand out, faces that he seems time again ain’t that familiar
Dark grin, he can't help, when he's happy looks insane
(Even Flow – Pearl Jam)
 
 
Sarah tenendo stretta la mano del vecchio nano, si fece condurre nel Dedalo attraverso le intricate strade polverose
“E così sei rimasta per stare con noi eh.”
Sarah annuì
“Ma io non starò mai con lui, come ti ho già detto, non sono rimasta per amare lui.”
Pensò alla situazione di poco prima, gli aveva detto che era l’unico che poteva amarlo, amarla in senso fisico, forse lui non poteva amare come amava lei. Jareth rimaneva l’unico essere simile a lei con il quale avrebbe condiviso il resto della vita.
Sorrise amaramente.
Tu l’ami
ZITTA! Il Labirinto sapeva cosa si nascondeva nel cuore delle persone.
Il vento sollevò la terra in un turbine, la ragazza si coprì gli occhi, Hoggle la tirò dentro una via segreta
“Sembra che il Labirinto ti respinga ancora Sarah, forse non sei ancora parte di lui, del Labirinto.”
Sarah guardò il vortice di terra e sabbia che passava oltre al loro nascondiglio, corrugò la fronte
“E cosa dovrei fare per essere parte di questo posto? Ho accettato di stare qui!”
Hoggle le strinse la mano e portò la ragazza all’altezza giusta per guardarla negli occhi, gli occhi color del cielo la scrutavano intensamente
“Forse devi accettare Lui.”
Sarah gli mise le mani sulle spalle
“Ma Hoggle, ho già accettato il Labirinto.”
Non il Dedalo ma il suo Re
Sarah abbassò la testa confusa, accettare Jareth. Accettare il suo amore crudele, violento, il suo amore di fiele che l’aveva avvelenata ogni ora, minuto, secondo che lei vagava alla ricerca di Toby.
La ragazza si alzò, fece una carezza sul viso rugoso di Hoggle
“Ci penserò quando tornerò al castello, ora non pensarci e portami dagli altri.”
Il nano la condusse in un atrio davanti a due porte. Sarah le conosceva bene, quelle soglie portavano alla foresta, rabbrividì al solo pensiero di rivedere quei mostriciattoli piumati che le volevano staccare la testa.
Girarono in un vicolo cieco dove un enorme cumulo di pelo color mattone sonnecchiava indisturbato, accanto al petto del cucciolone stava rannicchiato Sir Didymus sul suo cane Ambrogio, Didymus si teneva stretto al pelo di Ludo.
Sarah sorrise dolcemente, Hoggle le lasciò la mano, si diresse verso il groviglio di pellicce
“Dormiglioni! Svegliatevi! C’è una sorpresa!”
Sir Didymus si alzò di soprassalto poiché Ambrogio svegliatosi, cominciò a saltare davanti a Sarah che gli grattò le orecchie, quel cagnone le ricordava Merlino, il suo cane, chissà se lui si ricordava della padrona.
Nessuno sa che esisti
Maledetta verità.
Ludo si alzò sulle zampe posteriori e si eresse in tutta la sua altezza
“Sarah…”
La sua voce rimbombava forte e dolce
“LUDO!”
Sarah immerse le mani e il volto nel folto pelo rossiccio di quel suo amico.
Didymus le abbracciò la gamba
“Donzella! Avevo immaginato che il vostro viaggio fosse terminato con il salvataggio di vostro fratello, ieri al calar della sera, orsù narrate cosa fate ancora in codesta landa.”
Sarah si accomodò tra il pelo di Ludo e si strinse forte a lui e cominciò a raccontare come si fossero svolte le cose, i suoi amici non la giudicarono, cercarono di capirla e quando lei gli raccontò che l’unico modo per vivere, o sopravvivere, nel Labirinto era quello di accettare, in qualche modo, Jareth.
Ludo la strinse nella sua pelliccia
“Jareth… cattivo…”
Sarah lo guardò, gli accarezzò il testone
“No Ludo, Jareth non è cattivo, è solo…”
Non sapeva neanche lei cosa fosse il Re di Goblin ma sapeva che non era cattivo, solo un po’ insensibile e qualche volta crudele, forse poteva amare.
Hoggle guardò il cielo, rosso, coperto da un fumo rosso-arancio, guardò la piccola Sarah giocare e ridere con quei buffi amici pelosi ma sapeva qual era il suo compito. Abbracciò Sarah
“Dobbiamo andare Sarah, devi tornare da Lui, sei fuori da troppo tempo.”
Erano passate poche ore e Sarah non ne voleva sapere di lasciare i suoi amici
“Se vuole che torni, che mi venga a prendere lui!” il tono divertito.
Non finì la frase che un grosso barbagianni atterrò di fronte alla comitiva e si trasformò nel temutissimo Re di Goblin. Ci fu sgomento negli occhi di tutti meno che in quelli di Sarah
“Sono venuto a prenderti, come hai chiesto.”
Sarah si alzò, Jareth gli tese la mano per aiutarla, lei l’accettò e si aggrappò al suo petto.
Il Sidhe si rivolse agli amici della ragazza
“Devo portarvi via la vostra amica ma potete venirla a trovare quando volete.” C’era un non so che di sarcastico nelle sue parole.
Sarah sorrise amaramente, sapeva benissimo che non sarebbero entrati nel castello, aveva troppa paura del sovrano.
La ragazza venne trascinata dal Re di Goblin, lei si voltò a guardare quegli amici che erano più importanti della libertà
Non più di Jareth
Jareth la trascinava tenendola stretta per mano
“Muoviti Sarah!”
“Non stringermi così forte! Mi fai male!”
Lui si bloccò e la strinse a se cingendola per la vita
“So bene cosa ti ha chiesto di fare il Labirinto.”
Sarah si divincolò cercando di togliersi dalla presa d’acciaio del Sidhe
“Vuoi andartene Sarah? Vuoi che ti lasci andare dai tuoi amici? Dalla tua famiglia? Ma tu non hai più una famiglia. Tu sei mia Sarah e se dovrò esserlo, sarò crudele per fartelo capire.”
Sarah lo sfidò guardandolo negli occhi ammaliatori
“Mi pare che tu sia già stato fin troppo crudele.”
Jareth rise, una risata fredda e agghiacciante che raggelò il cuore della ragazza
“Sei sempre una sciocca, come puoi preferire i tuoi amici a me! Io che ho fatto tutto quello che hai chiesto. Sono l’unico che potrà mai amarti. L’hai detto tu. Ricordi?”
Sarah riuscì a fuggire alla sua presa, si spostò di qualche passo ma non potè non rispondere con un flebile e doloroso “Si”.
Il Re di Goblin la guardò calmo e con la voce più sprezzante e crudele che potè trovare disse
“Oh adesso non mi darai che sei triste. In qualche modo dovrai accettarmi, l’hai detto tu e c’è solo un modo che conosca per accettarmi.”
Sarah lo guardò, gli occhi pieni di
Amore
“Dovrai amarmi Sarah. temimi, amami, fai ciò che ti dico e io, un giorno, sarò il tuo schiavo, quando finalmente sarò riuscito a dominarti, a dominare i tuoi pensieri, i tuoi sogni, il tuo corpo. Non hai che da dire una parola, un –Si-. Non è semplice?”
Sarah annuì, Jareth si avvicinò, il volto sempre più vicino a quello della giovane
“E allora cosa vuoi fare bambina?” sussurrò carezzevole
La mente di Sarah esplose in un turbine di idee, i suoi amici, doveva accettare per i suoi amici, ma non voleva sottomettersi completamente anche se l’aveva chiesto lei qualche ora prima. Ora aveva paura, tanta paura.
Hai paura Sarah, lasciati amare

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Capitolo 5
*** Amandoti ***


Sarah guardò negli occhi Jareth, prese fiato, il cuore le fece affluire il sangue al cervello, la mente le turbinava, i suoi occhi se persero nello scrutare ogni singolo filo d’orato dei capelli di Jareth, quasi le veniva da piangere.
Sapeva benissimo che l’amarlo l’avrebbe sciolta, l’avrebbe consumata e distrutta, ma non poteva rinunciare al Labirinto, non poteva rinunciare a Lui
“Se mi lascio amare cosa succederà?”
Jareth le girò attorno, soppesò bene la sua preda
“Sarai mia. Sarai la mia Regina. E finalmente, potrò averti solo per me.”
Sarah abbassò la testa, come poteva accettare una cosa simile, come poteva farlo.
Fallo per il Labirinto
Guardò per l’ultima volta i suoi piedi e le mani una dentro l’altra, il sangue le pulsava nelle tempie, riusciva a sentire il cuore pulsare, i battiti accelerati.
Prese fiato, un lungo e profondo respiro, sollevò lo sguardo fiera e sicura, sfidava la sua nemesi negli occhi, quegli occhi glaciali che risaltavano sulla pelle diafana del Sidhe
“Accetto.”
Jareth si bloccò sul posto, mai avrebbe pensato che la coraggiosa Sarah accettasse di lasciarsi amare, rise, rise di gusto, la risata malefica che fece raggelare il cuore della ragazza.
Finalmente Sarah
“Oh Sarah, hai scelto, finalmente. Non vedo l’ora di dominarti.”
Sarah ricordò le parole pronunciate da Jareth il giorno prima -Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo.- Il suo schiavo. Doveva solo accettare tutte le condizioni che lui le avrebbe proposto e sarebbe stato suo schiavo. Sorrise a Jareth
“E ora cos’hai da sorridere? Dovresti essere disperata.”
Sarah rise, una risata molto simile a quella del Sidhe
“Niente Re di Goblin, niente. Ho solo capito una cosa.”
Jareth rimase confuso, Sarah gli si avvicinò e stringendo la mano al suo petto lo guardò
“Ho accettato. Sono tua Jareth, tua. Ti temo, ti amo, farò tutto ciò che vuoi. Amami Jareth. Amami.”
Sarah si sollevò sulla punta dei piedi e baciò il Re.
Sei sicura Sarah, sei molto più simile a Lui di quanto tu creda
Sarah non diede importanza al Labirinto.
Sapeva benissimo che era simile a Jareth, per questo lui la voleva, per questo lei voleva stare li. Per questo aveva accettato tutto. Solo per lasciarsi amare. Solo per amare. Senza più recitare in un parco da sola.
Jareth la strinse a se
“Ce né voluto di tempo per fartelo capire, sciocca ragazzina.”
Era come se le leggesse nella mente.
Sciocca Sarah, ti consumerà
Sarah guardò il suo amante negli occhi, il vento salì forte, ebbe un sussulto dal freddo che la circondò
“Torniamo al castello, te ne prego.”
Jareth fu accondiscendente verso la sua futura moglie, la scortò al castello, al collo le mise un medaglione simile al suo falcetto, d’argento e le sussurrò che l’avrebbe protetta dai ‘mostri del castello’.
Sarah si sentiva sempre più vuota, ma non le importava. Lasciarsi amare era l’importante adesso da renderlo così suo schiavo.
Il Sidhe la condusse alla sua stanza
“Domani sarai mia moglie.”
Sarah lo guardò un secondo e sorridendogli sfrontata gli chiuse la porta in faccia.
Si guardò intorno, la sua cameretta, uguale in tutto e per tutto, tranne, ovviamente che per le foto. Si sdraiò sul letto
“Papà mi manchi. Mi manca il tuo dopobarba, il tuo abbraccio alla mattina, mi manca perfino quando ti arrabbiavi se discutevo con Karen.”
Strinse Lancillotto a se.
Si asciugò una lacrima che le cadeva sulla guancia
“Devi solo resistere Sarah. Sei forte!”


Jareth passeggiava pensieroso per i corridoi. Sarebbe stata sua. Finalmente.
Sapeva benissimo che prima o poi l’avrebbe ucciso ma l’amore che provava per lei era superiore a qualsiasi paura della morte. Già dal primo momento che l’aveva vista, al parco, la mattina precedente, aveva capito tutto. Aveva cominciato a svuotarsi dentro, l’anima si dissolveva lentamente ogni ora che passava con lei, che pensava a lei. Ma aveva lo stesso bisogno di amarla. Come una droga. La sua dolce, profumata, preziosa droga umana.
I Sidhe non piangono ma Jareth voleva tanto lasciarsi andare, ridere, piangere, lacerarsi il petto e far si che Sarah potesse strappargli il cuore una volta per tutte.
Non aveva dimenticato la frase che le aveva detto, le rimbombava nel cervello da giorni.
Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo.
Lo ripeteva anche il Dedalo. Lei l’avrebbe reso un suo schiavo, una marionetta tra quelle fragili mani.
Non avrebbe mai dovuto proporle il patto, non avrebbe mai dovuto accettare le condizioni che gli aveva proposto, lasciare andare il bambino e prendersi lei.
Ma lo fece.
Sciocco, sciocco Jareth. Grande Re di niente.
Jareth urlò dalla rabbia, sbattè una mano sul muro della Sala del Trono. Gli gnomi squittirono terrorizzati
“Avanti sciocchi! Cantate! Cantate per me! Ne ho davvero bisogno…”
Si sentì distrutto, malinconico, impotente.
Si sedette sul trono, le gambe sul bracciolo, le dita sulla fronte come se bastasse quello per far passare l’emicrania che gli stava per arrivare.
Quello che sentì non era certo la voce degli gnomi, una voce fluida e dolce gli sussurrava all’orecchio una canzone
Amarti m’affatica,
mi svuota dentro,
qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto.
” *

Jareth si voltò, la vide, alta, formosa, i boccoli biondi cadenti sulle spalle, avvolta da mantello color della notte, gli occhi spaiati, un sorriso dolce, affettuoso, non come quello del Re il quale rimase senza parole, si alzò di scatto dal trono. Sorrise
“Mamma!”
L’abbracciò.
La donna lo strinse a se
“Mi sei mancato figlio mio. Vedo che qui dentro non sei ancora impazzito. Non del tutto almeno.”

 
*La canzone è Amandoti di Gianna Nannini.

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Capitolo 6
*** Disperazione ***


Sono il disperato, la voce senza eco... colui che tutto ebbe, colui che tutto perse.
(Pablo Neruda)

 
 
Jareth si staccò dalla madre
“Mamma! Che piacere rivederti!”
Celil, sua madre, vagò per la sala, si guardava attorno coprendosi il collo con il mantello, i suoi occhi guardavano tutto, si soffermò sugli gnomi tremanti nascosti negli angoli polverosi e sudici, fece una smorfia di disgusto
“Vivi ancora con loro?”
Jareth la seguì
“Tengono compagnia.”
Celil non disse niente, si limitò a fissarlo con accondiscendenza, Jareth la fermò, fece comparire la sfera di cristallo e roteandola tra le mani osservava la madre piegata per specchiarsi in un piatto d’argento, si sistemava le ciocche di capelli biondi
“Mamma, cosa sei venuta a fare?”
Si rialzò e guardò il figlio
“Non lo sapevi?” disse con una voce irrisoria “sono scaduti i tuoi mille anni di esilio. Pensavo che appena fossero passati saresti tornato a casa ma forse” sorrise “sei stato così occupato e te ne sei dimenticato.”
Jareth la guardò, gli occhi sbarrati
“I mille anni di esilio, me ne ero quasi dimenticato!”
Celil continuò a vagare per la stanza
“A corte tutti sanno che hai un umana con te. È vero?”
“Si.”
“Ti distruggerà Jareth.”
“Lo so.”
Si avvicinò a lui, gli accarezzò una guancia
“Cosa intendi fare? Non permetterò che un umana distrugga il mio unico figlio.”
“L’unico figlio che avete esiliato.” Ribatté il Sidhe.
Celil abbassò lo sguardo sentendosi in colpa. Bisbigliò qualcosa
“Non ho sentito mamma, puoi ripetere?”
La Sidhe alzò lo sguardo
“Ho detto che non avevamo altra scelta, dopo quello che hai fatto. Come potevamo permettere ti lasciare correre. Il popolo si sarebbe ribellato! E sai che ci serve l’appoggio del popolo.”
Jareth si staccò da lei, ricordò il motivo dell’esilio. O l’esilio nel Labirinto o la morte. E nè Lady Celil, sua madre, nè Lord Urér, suo padre, volevano vedere il loro unico figlio morto. Ma mandandolo nel Labirinto, solo, senza aiuto, l’avevano condannato a un destino ben peggiore: la follia.
Tutti sapevano che il Labirinto rendeva pazzi, non subito, lentamente, ti irretiva, ti scioglieva l’anima e la fondeva con le proprie mura.


Jareth era appena un ragazzo, aveva duemila anni –che poi corrispondo a venti anni umani-, non di più, quella lite, il sangue che gli macchiava le mani e la giacca, il giovane steso a terra agonizzante, la sua fidanzata accanto a lui piangente, il popolo insorgeva, aveva sbagliato e lo sapeva e i suoi genitori lo punirono con l’esilio in quel Dedalo stregato.
Quando si materializzò nel Labirinto pioveva, il vento forte lo spingeva contro le pareti, lo dovette attraversare tutto prima di arrivare nel castello, ci mise più ti quanto volesse ammettere, più ti quanto ci avesse messo Sarah. Raggiunse il castello e subito il Labirinto rise di lui.
Diventerai pazzo Jareth, come me
Non l’aveva ascoltato, ma sapeva che aveva ragione. Per tutti quegli anni, aveva sempre avuto ragione.


Jareth guardò la madre
“Mi avete allontano. Non mi avete neanche chiesto perché l’ho ucciso!”
“No! Jareth! Non devi parlarne! O starai qui per sempre.”
Il Re di Goblin abbassò gli occhi remissivo, Celil si sedette sul trono del figlio
“E così sei diventato Re, ti sei autoproclamato re. Rapisci i bambini umani…”
“Io non li rapisco! Sono i loro tutori a chiedermelo e se vogliono, superano il Labirinto e li rivengono a prendere.”
“Scusami caro. Ora, però, non hai un bambino ma una ragazza, e anche una bella ragazza. La vuoi sposare?”
“La voglio dominare.”
“Non è lo stesso?”
Jareth rise, guardò uno gnomo nell’angolo che tremava
“Tu!” lo indicò “chiamami la ragazza. Non toccarla! Sai che fine fa chi tocca le mie cose. Dille solo di venire qua e conducila da me.”
Lo gnomo verde cominciò a incamminarsi goffamente ma Jareth lo fermò
“Dille di mettersi il vestito viola che troverà nell’armadio. È adatto all’occasione.”
Lo gnomo scomparì dietro l’angolo.
Jareth, con uno schioccare delle dita fece apparire un trono, si sedette e guardò la madre
“Allora mamma, perché non è venuto papà?”
“Aveva da lavorare.” Un sorriso dolce al proprio figlio “Ma raccontami di più di questa ragazza, se la porti fuori dal Labirinto non potrà più farti del male, lo sai vero?”
“Si.”
“Quindi lasci il Labirinto e vieni a corte con lei?”
“No.”
Celil impallidì
“Non ho intenzione di lasciare il Labirinto mamma, mi ci avete spedito, mi sono adattato, sono il Re, ho i miei servi e sono libero.”
“Ma tutti a corte penseranno…”
“Oh ma io lo so già quello che pensano a corte di me… un rapace mi chiamano, malvagio, crudele, scellerato, figlio del demonio, rapitore di bambini e profanatore di ragazze.”
Celil abbassò gli occhi
“Dimmi se sbaglio mamma?” lei non rispose “Come pensavo. Ho avuto tutto da ragazzo. Tutto. E ora cosa sono? Sono disperato, mi aggrappo all’unica cosa che mi ha salvato, il mio eco non risuona neanche più da quanto ho perso la voce a invocare la pietà dopo i primi trecento anni che mi trovavo qua. E ora, quella ragazza, in quella stanza, mi potrebbe salvare, ma non lo farà perché mi odia, o forse mi ama, in genere sono due cose che vanno a braccetto. Ma presto perderò ogni cosa, nella disperazione più profonda verrò gettato e lasciato a putrefare da solo.
Preferisco stare qua altri mille anni, forse di più, con quella ragazza che mi consumerà per non ritornare a corte e farmi trattare come il male allo stato puro.”
Celil non osava alzare lo sguardo, in quel momento aveva paura di suo figlio, quel bambino che appena nato le aveva stretto il dito nel minuscolo pugno e non la lasciava andare.
Come aveva potuto abbandonarlo così.
Che madre degenere, per tutti quegli anni aveva pensato a lui, ma mai una volta aveva pensato di andarlo a trovare, dargli un po’ di conforto. Ma non l’aveva mai fatto. Troppo orgogliosa per ammettere che la punizione inflittagli era stata eccessiva. Mille anni nel Labirinto, nessuno aveva mai resistito tanto.
Lady Celil sei stata cattiva

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Capitolo 7
*** Stiamo giocando? ***


But don’t play with me,
‘cause you’re playing with fire.
(Play with fire -The Rolling Stones)




“Ah.” Sbottò Sarah “Io non vado da nessuna parte!”
Era furiosa, camminava a grandi passi per la stanza, il volto iracondo, arrossato. Si fermò e urlò contro lo gnomo intimidito
“Io. Non. Vado. Da. Nessuna. Parte. CHIARO?!”
Sembrò tranquillizzarsi, si sedette sul bordo del letto, con un libro in mano e lo sfogliò come per cercare il segno di dove si era fermata in precedenza
“Ma signora, vi prego.” Implorò il servo
Lo fulminò con lo sguardo
“Se Jareth mi vuole, mi viene a prendere.” Scosse la testa impercettibilmente “A proposito. Perché non è qui?”
Lo gnomo guardò i piedi della ragazza.
“È occupato.”
Sarah si alzò
“Occupato?! Io devo farmi amare da lui e lui è occupato.” Smise di urlare “Con chi è occupato?”
“Non credo di potervelo dire, se voleste venire nella sala del trono forse…”
Sarah si chinò su di lui, lo guardò negli occhi.
Sei cambiata Sarah
Era vero e Sarah ne era consapevole, il Labirinto l’aveva cambiata in poco tempo.
Riprese la calma, si alzò e con un grande respiro andò verso l’armadio, poi gentilmente si rivolse allo gnomo impaurito
“Quale vestito ha detto che devo mettermi?”
“Quello viola.”
Aprì l’armadio. Il vestito era li. Lungo, elegante. Sarah sfiorò il tessuto con le dita, seta.
Si voltò verso lo gnomo che borbottava tra se e se
“Credo che dovresti uscire.”
“Ho l’ordine di sorvegliarvi sempre.”
Sarah sorrise
“Allora lo dovrò dire a Jareth. Secondo te, se lancia fuori dalle finestre chi tocca le sue cose, cosa credi che possa fare a chi ha visto la sua futura sposa nuda?”
Non fece in tempo a finire la frase che lo gnomo aveva già chiuso la porta dietro di se.

Sarah uscì, il vestito le cadeva morbido sui fianchi e sui seni, perfetto. Come se fosse stato fatto su misura.
Lo gnomo cominciò a saltellare trepidante
“Lo sapete che siamo in ritardo?”
Sarah lo fulminò con lo sguardo
“Allora muoviamoci.”

Lo gnomo si presentò sulla soglia della Sala del Trono, Sarah riuscì a sentire l’ultime parole che si scambiavano Jareth e il suo ospite. Ma non ne capiva il senso.
Jareth si voltò
“Cosa vuoi piccolo essere? L’hai portata?” era stranamente calmo
Sarah si presentò al suo cospetto, manteneva un profilo basso, non guardava Jareth negli occhi.
Ti senti in colpa per quello che stai per fare?
Jareth le tese la mano e lei si avvicinò a lui che la pose davanti a Lady Celil che si alzò e cominciò a girare intorno alla ragazza
“Molto bella Jareth, veramente.” Sorrise al figlio.
Jareth si spostò da Sarah lasciando che la madre la misurasse, la donna continuò a scrutarla finché non si fermò davanti alla figura slanciata di Sarah, le mise l’indice e il medio sotto il mento e le sollevò il viso
“Occhi adorabili. Quanti anni hai?”
Sarah rifuggì quello sguardo delicato ma indagatore, la voce tremante di fronte alla solennità di quella donna di cui non conosceva niente
“Quindici.” Un sussurro
Celil si voltò stupita verso il figlio che giocava con una sfera
“Giovane.”
“Si.” Sicuro di se come sempre
Celil si sedette sul trono di fronte a Sarah, la guardò ancora dall’alto in basso notando ogni sua forma e caratteristica del corpo
“Come hai detto che si chiama tesoro?”
Jareth guardò Sarah e sorrise maligno
“Sarah. Sarah Williams.”
“E è umana?”
“Direi di si.”
Celil rimase muta per una decina di minuti, tempo in cui Jareth fissò Sarah come la sua preda.
La donna, una bellissima donna, si alzò e andando verso Jareth si rivolse a Sarah
“Sarah Williams?!” si fermò dandole le spalle
“Si?”
“Fai del male a mio figlio e stai sicura che ti cercherò e quando ti troverò dovrai scongiurarmi in ginocchio di non ucciderti, di mostrare pietà. Cosa che non avverrà.”
Sarah la fissò, Lady Celil si voltò e la fissò con occhi iniettati di sangue
“Fagli del male e chiederai di non essere mai nata.”
Sarah abbassò gli occhi, Celil si avvicinò a Jareth, gli diede un bacio
“Ci vediamo figlio mio.”
“Arrivederci mamma. Salutami papà.”
Celil scomparì appena passato l’arco della sala.
Jareth si avvicinò a Sarah
“Allora mia preziosa, come ti è sembrata Lady Celil?”
“Bella. Elegante.”
“Io la reputo una strega. Anche se è mia mamma non esclude il fatto che sia una Sidhe molto potente e che essendo suo figlio sono il legittimo erede al trono della corte Sidhe di Sottomondo. Ma…” La guardò negli occhi “noi due dovevamo continuare un discorso.”
Sarah lo fissò enigmatica
“Lasciati amare Sarah.”
Oh si Sarah lasciati amare
“Certo che mi lascerò amare. Ho dato la mia parola, mi farò dominare, ti temerò, ti amerò, farò tutto ciò che vuoi…”
Si morse la lingua
“Sarah.” Sorrise maligno “finisci la frase… non vuoi? La finisco io –e sarò il tuo schiavo.-“ girò intorno a Sarah che rimase senza parole “Vuoi distruggermi Sarah? Vuoi farmi diventare il tuo schiavo?” rise “Potresti farti male.”
Sarah si voltò e lo guardò sfidandolo come mai prima aveva fatto
“Jareth. Hai scoperto il mio piano, non per questo rimarrò senza fare niente lasciandomi ‘violentare’ da uno come te.”
Jareth la spinse con forza contro il muro facendo spaventare gli gnomi, Sarah fece una smorfia di dolore
“Hai dato la tua parola. Ti lascerai amare. Dominare.” Rise “Farai ciò che ti dico. Diventerai la perfetta moglie di un Re. Sarai mia e ti amerò come mai nessuno ha fatto prima.” Le annusò una ciocca dei capelli corvini “Anche se credo che nessuno ti abbia mai amato, nel senso fisico del termine.” Ancora una risata.
Sarah lo guardò disperata, quasi implorasse di lasciarla andare. Riuscì a trovare un po’ di coraggio nel suo cuore
“Lo sai che se giochi con il fuoco poi ti bruci?” la voce soffocata, le faceva male il petto poiché lui comprimeva il proprio corpo sul suo non dandole via di fuga.
Il Sidhe la guardò, le diede un bacio, lungo e appassionato, quasi romantico
“Stiamo giocando?” disse guardandola negli occhi “Credo proprio di no.”
Pensavi di giocare con il Re del Labirinto Sarah? Forse sei tu che rimarrai bruciata

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Capitolo 8
*** Amore ***


C’est lui pour moi,
Moi pour lui dans la vie
Il me l’a dit, l’a jurè
Pour la vie
(La vie en rose; Edith Piaf)




 

Sarah guardava il vuoto. Il muro coperto da foto e poster della sua finta camera le ricordava troppo della sua vita passata.
Singhiozzò, si asciugò una lacrima che correva lungo il viso.
Jareth comparve nella stanza, aveva un mantello d’orato e dei pantaloni bianchi, gli stivali di cuoio
“Perché piangi mia adorata?” la voce melliflua
Non ebbe risposta, Sarah non lo guardava neanche in faccia, non ci riusciva.
Jareth ancora?
Si sentiva tremendamente in colpa per quello che aveva fatto a quella inerme ragazza e anche se lei aveva cercato di ‘tradirlo’, di fargli male, lui non riusciva a non provare qualcosa oltre l’odio.
Amore Jareth
Gli venne un brivido, non sapeva cosa fare. Sapeva di provare qualcosa per quella ragazzina umana, non sapeva se fosse odio o amore. Forse doveva solo amarla veramente e lei si sarebbe sentita meglio, forse avrebbe dovuto trattarla come una donna e non un premio.
Sarah sospirò, si voltò con lo sguardo implorante verso Jareth
“Puoi far sparire tutto questo? Voglio una camera senza ricordi.”
Jareth si picchiettò le dita sulle labbra, chiuse gli occhi e la camera cambiò immediatamente.
Le pareti verdi chiare, un lampadario di cristallo illuminava la stanza, un ampia finestra dava sul Labirinto, Sarah si alzò piano e si affacciò al balcone con il parapetto di pietra. Due gargoyle era sui lati del balcone.
Sarah li toccò, marmo freddo. Guardò il Labirinto, vasto, sconfinato, non ne vedeva la fine. Le nuvole rosse coprivano l’orizzonte.
Si voltò verso Jareth
“Perché io?”
Jareth non rispose, la guardò fisso, senza distogliere lo sguardo, si sfidavano a vicenda
“Dimmelo, hai detto che fai tutto per me. Ora mi devi una spiegazione. Mi hai avuto, hai avuto il mio corpo, era quello che volevi no? Mi hai chiuso in questa stanza per giorni. Non so neanche io quanti. Sentivi che piangevo. Sentivi che urlavo, distruggevo le cose, cose che tornavano intatte un secondo dopo. Devi dirmi perché, tra tutte, hai scelto me, una ragazzina.”
Jareth non aveva una risposta. Sapeva solo che Sarah era una delle cose più importanti della sua vita, forse l’unica.
Scosse lievemente la testa
“Forse perché ti amo.” Disse serio
Sarah impallidì
“Non si ama così una persona, non so come amate voi, voi Sidhe. Ma di certo sulla terra l’amore non è questo.”
Jareth le girò attorno
“Spiegami allora. Illuminami su cos’è l’amore.”
Sarah provò pena, quasi compassione, una sorta di comprensione per quell’uomo davanti a lei.
Amore Sarah, lo ami
Le si fermò un attimo, come poteva amarlo. L’aveva rapita e trattata come un trofeo per tutto il tempo che si trovava lì.
Non saresti rimasta se non lo amassi
Sarah sapeva benissimo che aveva ragione, l’aveva sempre amato, quasi temuto ma sempre sfidato.
Gli aveva sempre tenuto testa da quando era entrata per la prima volta nel Labirinto, aveva cercato di ingannarlo e quando non c’era riuscita si era sentita persa perché sapeva che aveva tradito il suo amato. Non poteva accettare di aver provato a fargli del male.
L’hai sempre amato
“LO SO!” urlò Sarah
Jareth la guardò perplesso. Sarah si portò una mano alla bocca.
Ammetteva di amarlo. Dopo giorni, settimane di negazione, finalmente, il suo cuore era libero di donarsi totalmente.
Si avvicinò a Jareth, gli prese la mano e gli sfilò il guanto nero, sentì la pelle calda a contatto con la propria, la mano pallida, le unghie affilate. Gli strinse le dita.
Jareth la fissò, lo sguardo perso negli occhi di lei, lei così perfetta, così fragile. Doveva proteggerla, anche se sapeva benissimo che non ne aveva bisogno, si sentiva in dovere di assicurare la sua protezione da quel mondo che non le apparteneva.
Sarah prese quella mano, la pose sulla sua guancia e la fece scivolare lungo il collo e sui seni, sul cuore
“L'amore è una cosa che ti scoppia dentro, quando vedi una persona e ogni volta non smetti mai di restarne colpito, quando vivi attraverso le sue parole e i suoi gesti. Quando fai di tutto per farti notare, anche rapire qualcuno,” sorrise dolcemente “anche non dimostrarlo apertamente, solo con piccoli segni. È come vivere in un eterno paradiso ma non spesso si capisce quando si ama, quando si è amati.”
Jareth guardò confuso Sarah che lo guardava con una sorta di devozione negli occhi
“Quindi amare è come il paradiso?”
“Si.” Baciò il dorso bollente della mano del Sidhe
“E se l’amore finisce?” chiese sempre più confuso
“Allora è l’inferno.”
Sarah guardò Jareth, quegli occhi diversi che la scrutavano fin all’anima, la ragazza era costantemente affascinata dallo sguardo del Re, si avvicinò al Sidhe che si ritrasse intimorito dalla giovane donna.
Amore
Sarah schiacciò il suo corpo su quello di Jareth che la strinse a se cingendole la vita
“Hai capito Re?”
Lui annuì “E se mi distruggi Sarah?”
“Cercherò di non farlo.”
Jareth si chinò su di lei, unì le sue labbra salate a quelle dolci e umide di Sarah. Lei ricambiò il bacio stringendo i capelli soffici del Sidhe tra le dita.
Niente più dolore, pensò Sarah.
Vi amate disse il Dedalo, rise.

 
Sarah si svegliò, piano aprì gli occhi, si stiracchiò dolcemente. Ogni muscolo del suo corpo si tese in un’unica, lunga corda.
Piano scivolò accanto al Sidhe ancora addormentato accanto a lei, il volto sempre corrucciato. I capelli biondi sul cuscino. Respirava pesantemente, Sarah poteva sentire il calore emanato dalla pelle del Sidhe anche senza toccarlo.
Lo abbracciò mettendogli una mano sul petto e piano gli sussurrò
“Hey svegliati.”
Jareth si risvegliò e guardando l’oggetto del suo desiderio accanto a sé, dolce, premurosa, che aveva ammesso il suo amore, si sentì percorre il corpo da un fremito.
Ah il potente Jareth innamorato
Prese tra le dita il mento della sua donna e le baciò dolcemente il naso
“Tutto bene?” le chiese
“Si.” Sorrise
Jareth le avvolse le spalle con il braccio, lei si trascinò ancora più vicino a lui e appoggiò la testa sulla spalla del Re
“Siamo io e te, Jareth? Per sempre?”
“Si tesoro.” Non ‘mia preziosa’, solo ‘tesoro’ una semplice parola così umana e così fragile “Lo giuro. Lo giuro sulla mia vita.”
Sarah lo baciò
“E io sulla mia.”

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Capitolo 9
*** Follia ***


In ogni istante della nostra vita siamo ciò che saremo non meno di ciò che siamo stati
(Oscar Wilde)


 

 
Lady Celil comparve a palazzo, suo marito la guardò dall’alto del suo trono
“Dove sei stata? È tutto il giorno che ti faccio cercare.” Disse altero
Celil vagò un po’ per la sala del trono più sicura di sé di quando non fosse al cospetto del figlio.
Lord Urér la fissò
“Hai intenzione di parlare?”
“Oh. Si beh, sono sta in giro.” Rispose distrattamente lei prendendo tra le braccia una volpe
“Dove.” Ribatté con voce profonda
La voce di Celil si fece bassa, quasi un sussurrò nel vento
“Da nostro figlio.”
Urér la fissò con ira
“Ti era proibito fargli visita!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo
“No. È nostro figlio! Nostro, Urér! L’abbiamo esiliato per mille anni, sono passati. Ha il diritto di tornare.”
“Non tornerà mai. Non si piegherà a noi, non l’ha mai fatto.” ormai i due si fronteggiavano e tutti i servi intorno erano scomparsi
“Tornerà mio caro. E non da solo.” Gli occhi di lei si fecero brillanti d’odio
“Non da solo?” Urér la fissò preoccupato “Spiegati moglie.”
Celil vagò per la stanza ridendo e canticchiando
“Smettila di cantare.” In due passi gli fu davanti, faccia a faccia, gli puntò gli occhi spaiati sui suoi perfetti, azzurri “I tuoi occhi mi ricordano lui.”
“Tuo figlio. Sangue del tuo sangue.”
“Allora ho un figlio pazzo.” Urlò Urér
Celil lasciò andare la volpe e cominciò a urlare in preda all’odio. Non aveva mai accettato di esiliare suo figlio e anche se non era mai andata a dargli il suo appoggio, lo amava, come solo una madre può fare
“Calmati Celil. Dimmi in compagnia di quale mostro si trova quel… nostro figlio.” Cercò di calmarla
Lei respirò
“Una donna. Sarah Williams. È umana e lo distruggerà.” Disse lei sussurrando quel nome
“Se c’è una cosa che sa fare Jareth è difendersi, anche da un’umana.” La prima volta in mille anni che Urér pronunciava il nome di suo figlio.




Dal giorno con l’incontro con Lady Celil erano passati tre mesi e i due vivevano quasi in armonia, con amore.
Jareth accarezzò un corvo appoggiato al davanzale della finestra della sala del trono, gli tolse il piccolo pezzo di pergamena arrotolata che aveva legato alla zampa.
Srotolò il messaggio, a grandi lettere scritti in una bellissima calligrafia con molti riccioli c’era scritto
-Lord Urér e sua moglie, nonché tuo padre e tua madre, sono lieti di riabbracciarti a corte e di rintrodurti nella società Sidhe.
Siamo venuti a conoscenza della tua convivenza con una ragazza umana. Potrai portare anche lei al grande ricevimento in tuo onore che si terrà tra una settimana a partire da oggi data 56-17-1783.
Ti aspettiamo per le ore 8.00, orario di inizio del ricevimento.
Un gentile abbraccio
Ci firmiamo in fede
Lord Urér, Lady Celil-
“Distaccati come sempre i cari genitori.” Disse Jareth a se stesso
Ne avevi dubbi Re?
In quell’istante Sarah comparve, sulla groppa di Ludo, si stringeva al suo pelo.
Era riuscita a convincere il suo Re a far entrare i suoi amici nel palazzo, così che mentre lui si occupava delle ‘faccende regali’ lei poteva giocare, chiacchierare con i suoi amici più cari.
Scese con delicatezza e accarezzando il folto pelo dell’ingombrante amico si avvicinò a Jareth, gli diede un bacio veloce ma dolce
“Cosa succede?” gli chiese teneramente
Lui la guardò dolce, le prese il mento tra le dita e le baciò il piccolo naso lentigginoso, lei strizzò gli occhi tenera
“Dobbiamo parlare Sarah.” La voce ferma “Siediti.”
Sarah sorrise
“Devo preoccuparmi?” disse serenamente
“Tu.” Disse Jareth indicando un servo “Scorta fuori gli amici di Sarah e chiudi le porte. Io e la tua Regina dobbiamo parlare.”
Sarah guardò Ludo andarsene
“Ciao Sarah.” Disse con la sua vociona
Lei gli sorrise. Jareth la fece sedere sul trono e sedendosi su quello accanto a lei cominciò a raccontarle tutto. Da quando viveva a corte con i suoi genitori, all’esilio e a quella follia che colpiva chi viveva così tanto nel Labirinto da solo.
Sarah rimaneva ad ascoltarlo comprensiva, era la prima volta in mesi che lui riusciva a confidarsi, a confidare una cosa così importante.
Parlavano sì ma mai così a lungo, spesso si trovavano in stanze separate per giorni e quando stavano insieme le parole rimanevano poche, un semplice ‘Buongiorno’ o un ‘Ciao tesoro.’
Mai Jareth si era esposto così tanto, Sarah invece riusciva sempre a raccontare ogni cosa a quell’uomo che tanto amava, sapeva che a lui non piaceva quando lei parlava della sua vecchia famiglia e evitava l’argomento ma parlava sempre di quello che provava e sentiva in ogni momento.
Sarah guardò amorevole il suo compagno che le teneva la mano a testa bassa
“Hey Jareth.” Lui la guardò “Io ti amo.” Un sorriso che lui ricambiò “Non importa quello che hai fatto, perché l’hai fatto, non mi importa se sei pazzo. Io ti amo e questo basta perché io ho bisogno di te, di te come sei ora. Ho bisogno del mio Jareth.”
Lui la baciò
“I miei mille anni sono finiti da mesi, i cari genitori hanno organizzato una festa per il mio ‘reinserimento in società’ non voglio andarci.”
Sarah rise, la risata argentata che riecheggiò nella sala vuota
“Cos’hai da ridere!” disse irritato
“Niente. È che quel ‘non voglio andarci’ fa tanto adolescente… ma non capisci, certo. Perché non vuoi andarci? Potrebbe essere divertente e poi è un modo per far vedere a tutti che non te ne frega niente.” Spiegò lei
“Devi venire anche tu.”
“Cosa?” chiese lei sorpresa
“Si.” Disse perentorio “Sei stata invitata anche tu. E ci vieni.”
Ora sei obbligata ad andare Sarah
Sarah scosse la testa e accettò e Jareth si sentì sollevato poiché l’unica donna ad amarlo sarebbe stata lì con lui, per lui.
Quel viso dolce che lo scrutava, gli occhi verdi che lo guardavano durante la notte e che lui percepiva come un segno d’amore. Era tutto nuovo per lui ma sapeva bene che qualsiasi cosa provasse lei lo provava il doppio perché era una fragile anima umana
“Ti amo Sarah Williams.” Il solito modo freddo di esprimere il suo amore, la baciò.
Ancora amore


 
Jareth bussò piano, da dentro si sentì la voce flebile di Sarah
“Sono quasi pronta.”
Jareth entrò nella stanza, Sarah si girò guardandolo, indossava un lungo abito verde smeraldino, di tulle e chiffon, il corpetto le stringeva i fianchi, il Re di Goblin ne rimase incantato
“Sei sempre bellissima mia preziosa.”
Sarah arrossì
“Anche tu stai bene vestito così.” Lo indicò
Jareth indossava un lungo mantello blu scuro, come la notte, i pantaloni neri e una camicia con uno collo a V bianca, i guanti neri.
Si avvicinò a lei e sfiorandole la guancia con le dita coperte la baciò
“Dobbiamo andare amore della mia vita.”
Sarah annuì e entrambi attraversarono il portale creato dalla sfera.



 
Giunsero in poco tempo nel atrio di un grande e fastoso palazzo. Nessuno girava per i corridoi, solo due guardie stavano a sorvegliare l’enorme porta d’oro che portava alla sala da ballo.
Erano in ritardo di un’ora abbondante, non che alla strana coppia importasse troppo ma sicuramente Lord Urér e Lady Celil non avrebbero approvato.
Le guardie riconobbero il principe della corte Sidhe, si inchinarono rispettosamente. Jareth rise
“Non fatelo. Odio chi si inchina.” Disse divertito
“Dobbiamo aprire le porte mio signore?” chiesero titubanti
All’interno della sala, ogni Elfo, Sidhe, Ninfa o Fata danzava con armonia. Un ballo elegante sospinto da una musica delicata che le arpe suonate da Fate emettevano, una graziosa Ninfa delle acque cominciò a cantare un canto lirico.
Nessuno mai si sarebbe aspettato che le porte si sarebbero spalancate e che il Re del Labirinto, l’essere più sadico e crudele di tutto Sottomondo sarebbe comparso facendo il suo ingresso con la sua compagna umana.
Tutti gli sguardi furono puntati su di loro che camminavano fianco a fianco, Jareth sorrideva a mezza bocca, Sarah teneva gli occhi fissi su un punto imprecisato della sala concentrata a non farsi venire l’ansia per tutti quegli sguardi.
Ogni presente sapeva che prima o poi Jareth sarebbe arrivato ma ognuno di loro sperava di non vederlo, avevano paura di lui.
Rapiva i bambini umani, questa volta aveva con se una giovane donna con cui aveva deciso di vivere per sempre, la folla cominciò a sussurrare.
“È tornato.”
“Chi è quella ragazza?”
“Cosa le avrà fatto per convincerla a vivere con lui?”
Il Re di Goblin e la giovane umana percorsero silenziosamente tutta la sala, giungendo fino al trono di Lord Urér.
Jareth lo guardò negli occhi, quasi sfidandolo, Sarah rimaneva un gradino sotto di lui aspettando di essere presentata
“Sei arrivato figlio mio, sei in ritardo.”
Jareth sorrise
“Dovete scusarmi padre, non volevo arrivare… in ritardo.” La frase venne lasciata sottintesa
Celil si avvicinò al figlio adorato, gli diede un bacio sulla guancia
“Vedo che hai portato Sarah, perché non andate a ballare.” Guardò la sala freddamente “Fate ripartire la musica.”
Sarah venne portata dal suo Re sulla pista da ballo
“Noi abbiamo già ballato Sarah, te lo ricordi?” le sussurrò sotto gli occhi di tutti
“Si, me lo ricordo bene. Il modo in cui balli è uno dei due motivi per cui sono rimasta con te, l’altro è che ti amo.”
Le diede un piccolo bacio che venne notato da tutti ma facendo finta di niente ripresero a ballare e cantare.
Finito il primo giro di danza, Jareth si spostò in un angolo con Sarah a parlare, entrambi odiavano stare lì, in mezzo a tutta quella gente che considerava lui un mostro e lei una sciocca pedina nelle sue mani.
Entrambi sapevano cosa volevano l’uno dall’altra, amarsi e essere lasciati in pace.
Un Elfo coraggioso, spinto dai suoi compagni andò a parlare con Jareth, la voce gli tremava, teneva lo sguardo basso. Jareth lo fissò mentre si avvicinava
“Salve principe.” Un lieve inchino
“Non farlo.” Disse con la voce calma, quasi umana
“Come scusi?” chiese l’Elfo con paura
“Non ti inchinare, non sono il tuo Re, non sono il tuo principe.”
“Mi scusi mio signore.”
“Neanche mio signore. E non chiedere scusa.” Disse calmo
Sarah fissò l’Elfo, non ne aveva mai visto uno. Li aveva spesso immaginati o visti nei disegni sui libri. Non era come si aspettava, aveva i capelli crespi e che gli ricadevano sul viso, le tipiche orecchie a punte che spuntavano da quel cespuglio blu di capelli, la pelle olivastra, gli occhi gialli
“Come la devo chiamare mio signore?”
Jareth sorrise
“Solo Jareth. Cosa volevi chiedermi Elfo?”
L’Elfo lo guardò piano negli occhi
“Come ha fatto a sopravvivere per anni nel Labirinto?”
Jareth sorrise e lo guardò fisso
“Sono sempre stato folle, tutta la corte lo sa. Credo che siamo sempre stati quelli che siamo adesso, una piccola parte dentro di me è sempre stata pazza poi arriva il fattore scatenante che ti fa uscire tutto fuori. Come un tuono e tutto di esplode intorno e eccomi qua. Il Re del Labirinto, quello pazzo.”
L’Elfo si avvicinò di più
“Noi Elfi siamo sempre stati dalla sua parte, Jareth.”
Lui sorrise
“Gli Elfi sono sempre stati pazzi.” Disse guardandolo
“Grazie. Vi fermerete per molto a corte?” Arrossì
Sarah continuò a fissarlo stupita
“No. Andiamo via tra qualche minuto.” Lo guardò dall’alto in basso, la tunica che indossava lo rendeva più alto di quanto già non fosse “Voi Elfi sarete sempre i benvenuti al Labirinto, la follia non vi colpirà. Come ho già detto siete già pazzi voi orecchie lunghe.”
“È stato un piacere conoscervi, a entrambi.” Scoccò un occhiata di ammirazione a Sarah “Io sono Amlach.”
Sarah lo guardò
“Piacere, Sarah.” Gli tese la mano e lui l’accettò, la stretta fredda quasi eccitante

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Capitolo 10
*** Bugie ***


Un animale può essere feroce e anche astuto, ma per mentire bene non c'è che l'uomo.
(Herbert George Wells)

 
 
Jareth e Sarah uscirono dalla porta principale della sale per ritrovarsi soli nel loro Castello, lontani da tutti e al sicuro dagli sguardi critici degli invitati e soprattutto dal Lord e dalla Lady.
Amlach li guardò scomparire con un sorrisetto dal quale comparivano una fila di denti aguzzi.
Finalmente c’era stata occasione di conoscere il Re pazzo del Labirinto e provava una sorta di devozione e adorazione che non riusciva a non ripetere ai suoi compagni ogni singola parola di quello che si erano detti.
Ma quello a cui lui e tutti gli Elfi puntavano era la graziosa e giovanissima Sarah. Nessun Elfo aveva mai avuto possibilità di interagire con un umano, li spiavano tra gli alberi dei boschi, nell’acqua calma dei laghi o tra le fiamme del fuoco ma nessuno era mai riuscito a parlarci o ad averne uno per se.



Nei libri gli Elfi vengono descritti come creature gentili e amabili, di bell’aspetto e ospitali, quello che nessuno sa è che gli Elfi sono creature subdole con un indole cattiva che predilige gli scherzi e la grandi feste orgiastiche. La loro pelle prende il colore della natura in cui si trovano, i capelli sono rami di viti, alghe, fiori, sono degli esseri camaleontici e possono cambiare forma o carattere a seconda di dove si trovino o con chi si trovino. Hanno il compito di proteggere la natura del Sopramondo ma non gli è permesso interagire con gli abitanti umani. Sono in prevalenza vegetariani ma durante le loro feste sono capaci di nutrirsi di intere mandrie di bovini.
Amlach era un Elfo discendente dal primo Elfo del Sottomondo nato dalla neve caduta in un giorno d’estate.
Era l’Elfo più ambiguo e pazzo della sua razza, quello che tutti rispettavano e temevano.
L’idea era nata nel suo cervello folle e tutti l’avevano approvata.


 
L’Elfo, finita la festa si ritirò nel suo palazzo di quercia all’interno del grande bosco di Randϋr a un giorno di cavallo dal Labirinto.
La festa continuò nel reame degli Elfi.
Amlach desiderava tanto Sarah, la desiderava come mai aveva desiderato qualcosa. Avrebbe fatto di tutto per convincerla a lasciare Jareth, le avrebbe promesso oro,  diamanti, l’immortalità, ogni cosa.
Era ossessionato da lei da quando aveva appreso della sua esistenza nel Sottomondo e dopo che aveva scoperto che l’umana era carina per la sua razza, l’idea si fece più chiara nella mente.
Amlach viveva da più di sedici secoli nel Sottomondo, era uno degli anziani ma non dimostrava più di diciannove anni, il suo colore naturale di pelle era olivastro, quasi muschio ma preferiva cambiarlo nel bruno o nel rosso terra bruciata. I suoi capelli erano lunghi riccioli di vite che arrivano fino ai fianchi, blu che cambiava con l’arancione. L’unica cosa che non cambiava del suo aspetto era il colore dei suoi occhi, un giallo vivo, quasi fosforescente che brillava al buio. Adorava salire nel mondo di sopra e spiare gli umani nella notte da sopra un albero. Adorava spaventali producendo versi di animali. Adorava guardarli e sperava un giorno di poterne toccare uno e con Sarah era arrivata la possibilità.
Rise divertito per il suo piano mentre tutt’intorno nasceva l’orgia del piacere e della follia.


 
“Bella festa non trovi mia cara?” disse il Re di Goblin sedendosi sul letto
Sarah si inginocchiò davanti a lui e gli sfilò gli stivali. Si era divertita veramente a quella festa, ogni testa si era girata a guardarli e adorava far impazzire tutti
“Direi che è stata stupenda. Dovremmo dare una festa noi un giorno. E dare scandalo.”
Jareth si chinò su di lei e la baciò molto dolcemente.
Il Re di Goblin amava veramente la sua Sarah, prima era un amore duro, che non si poteva capire, il cuore bollente del Re bruciava tutto quello che c’era intorno a lui, aveva perfino scottato l’anima di Sarah, l’aveva resa, per un breve periodo, crudele e pericolosa. Ma senza un motivo apparente lui era cambiato, aveva controllato i suoi poteri, aveva cercato di convincere il Labirinto a non avvelenare Sarah e sembrava che avesse accettato.
Jareth l’amava, l’amava veramente tanto. Quasi non riusciva a respirare senza di lei. Era sempre protettivo, anche troppo, nei suoi confronti ma le piccole cose che le concedeva ogni giorno, per lei erano tanto e le apprezzava e capiva lo sforzo che faceva per lasciarle un minimo di libertà, amava stare al fianco della sua Regina e passeggiare con lei per i corridoi del Labirinto, amava insegnarle qualcosa sul Sottomondo. Preferiva raccontarle del Labirinto cercando di tenerla fuori dagli ‘altri’ abitanti del mondo in cui viveva.
“Dovremmo invitare gli Elfi alla nostra festa che faremo, se la faremo.” Disse Sarah tirandosi su e sfilandosi il vestito
Jareth la avvolse da dietro e le baciò il collo dolcemente
“Guardati dagli Elfi mia preziosa, sono malvagi.”
“Io sapevo che erano molto dolci.” Disse lei sorridendo e appoggiando sul mobile della specchiera una collana di perle “Ho letto su un libro che sono dolci e amichevoli…” Jareth rise “Hey,” si girò e lo guardò in faccia “cos’hai da ridere?” chiese
Jareth si sdraiò sul letto e incrociò le braccia dietro la testa
“Gli Elfi delle favole non esistono. Gli Elfi sono crudeli mia piccola Sarah, sorvegliano la natura del tuo mondo ma vi odiano perché non possono avervi. Sai quella sensazione che hai di essere seguita o guardata ma ti giri e non c’è nessuno? Beh sono loro. Amlach si è vantato più volte di aver terrorizzato molti umani, stagli lontano…” una preghiera
“Ma a me non è sembrato così malvagio…” disse Sarah dubbiosa mentre si cambiava
“Sarah, stagli lontano. Non voglio che ti faccia male.” La guardò preoccupato “Lo inviterò lo stesso nel castello. Ma non ti vedrà, non deve farti del male.”
Sarah sorrise e lo baciò stendendosi accanto a lui
“E così il Re del Labirinto è preoccupato per me…”
“Sarah non scherzare. Ti amo, ti amo come mai non ho amato. E se qualcuno prova a ferirti io giuro che lo uccido. Lo sai che odio chi tocca…”
Sarah lo fermò con un bacio
“Te lo prometto. Nessun Elfo parlerà o mi toccherà mai. Lo so che odi chi tocca le tue cose e io sono solo tua. Per sempre.”
Jareth l’abbracciò.
Gli Elfi l’avranno Jareth e tu sarai di nuovo solo
Sarah… ti piace Amlach vero? Io lo so
Nessuno dei due ascoltò il Labirinto, si misero sdraiati l’uno accanto all’altro assorbendosi in un’unica anima.


 
L’indomani Sarah si svegliò sudata, i capelli bruni appiccicati alla faccia, aveva ancora qualche rimasuglio di trucco sugli occhi e si sentiva brutta e incapace.
Jareth non era al suo fianco e vedendo il letto vuoto si sentì depressa, aveva bisogno di una piccola carezza bruciante del suo amore.
Si alzò e indossando una vestaglia di seta blu si diresse verso le scalinate che portavano alla sala del trono.
Camminò a piedi nudi per un po’, scontrandosi con qualche gnomo terrorizzato che scappava via guardandola impaurito.
Si girò a guardarli zampettare via ridacchiando e squittendo.
Si strinse nella vestaglia e continuò a camminare corrucciata e ripensando a quell’Elfo della sera prima, così strano e intrigante.
Scese l’ultimo gradino e poi percorse il lungo corridoio buio per arrivare alla sala del trono.
Trovò un Jareth vestito elegantemente, i capelli più lucenti del solito.
Nel piccolo cerchio davanti al trono sul quale era seduto stava un accumulo di gnomi verdastri e urlanti, si sparsero per la sala ridendo sguaiatamente mostrando un bambino roseo e paffuto.
Sarah sgranò gli occhi smeraldini rimanendo allibita, un altro bambino!
Il Sidhe la fissò senza dire una parola, Sarah si avvicinò al bambino, le ricordava terribilmente il suo Toby.
Si inginocchiò poggiando le ginocchia contro il pavimento freddo. Allungò la mano verso quel bambino che non si rendeva conto del pericolo, le strinse il dito nella sua piccola mano cicciotta.
Sarah sorrise amaramente e un turbinio di ricordi le si accavallò nella mente confusa.
È come Toby
Sì, era come il suo fratellino.
Forse qualcuno aveva desiderato di liberarsene. Anche lei l’aveva fatto, non volendolo veramente e aveva combattuto per riabbracciarlo, anche se per poco perché si era concessa a quel Re crudele che amava come non avrebbe mai potuto amare altri.
Sollevò il piccolo e lo strinse tra le braccia.
Sarah fissò spietata Jareth
“Ne hai preso un altro?” la voce fredda
“No.” Rispose lui altrettanto gelido come la morte
“Riportalo indietro!” gli ordinò lei
“Non posso.” Rispose di nuovo senza sentimenti
Si è stufato di te e vuole un’altra ragazza
Sarah diventò rossa dalla rabbia ma cercò di calmarsi quasi subito, sapeva benissimo che il Sidhe era più forte di lei nel Labirinto, poteva farla rinchiudere nei sotterranei o abbandonarla per qualche giorno nella foresta del Labirinto.
Cominciò a cullare il bambino come quando faceva con Toby
“Ti prego amore mio, lascialo andare.” Lo scongiurò
“Sarah, non posso. Ho il potere di prenderli, non di riportarli.” Si avvicinò al bambino e lo accarezzò amorevole “Mi dispiace.” Sembrava veramente dispiaciuto
“Quindi diventerà uno gnomo, uno come loro?” indicò gli esserini verdi che cantavano stonati
Jareth annuì malinconico.
Sarah rimuginò fissando l’orologio che segnava le 9
“Ma Toby l’hai riportato a casa, fallo anche con lui.”
Jareth la guardò e scosse la testa
“Non posso. Tu ed io abbiamo fatto un patto, tu al suo posto. Questo bambino non lo scambierà nessuno.”
A Sarah cadde una lacrima lungo il viso che Jareth si preoccupò di asciugare con l’indice sottile
“Cosa succede nel Sopramondo quando spariscono i bambini?” chiese cercando di tener ferma la voce
“I genitori dimenticano tutto, come se non fosse mai nato.”
Sarah diede il bambino in braccio al Re e stringendosi a se stessa, abbassò la testa
“Non voglio guardare quando…” stava per piangere
“Si. Okay.” Jareth posò delicatamente il bambino nella buca
“Farò un girò nel Labirinto con Hoggle. Mi trovi con lui.” Gli diede un bacio sulla guancia e scomparì dietro la porta.


 
Sarah si sentiva distrutta per quel bambino.
Cercò di distrarsi come meglio poteva, cacciando le fate con Hoggle o pettinando il pelo arruffato di Ludo che sembrava capirla.
Sdraiata al fianco dei suoi amici si sentì incoraggiata e più sicura ma il Labirinto conosceva tutto di lei.
Vuoi tornare da mamma e papà?
Sì era ovvio.
Non lo ami più come una volta
Questo era falso. Lo amava di più, sempre di più.
Vuoi Amlach vero? Io lo so
No. Mai.
Eppure sapeva che c’era del vero.


 
Jareth la raggiunse e le disse che quella sera si sarebbe svolta una cena con il Re degli Elfi e due suoi amici, Sistas e Romiel, rispettivamente Elfo del Fuoco e del ghiaccio. Pericolosi amici del Re elfico pazzo.
Jareth la trascinò via dai suoi amici del Labirinto e la rinchiuse, senza dirle una parola, nella camera da letto.
Come la prima volta che era entrata in quella stanza, rimase sola, confusa e si sedette sul letto impotente, senza poter cambiare la decisione del suo amato.
Verso le 10 di sera si sentì un potente battere sul portone.
Uno gnomo corse saltellando ad aprire e i tre Elfi entrarono sorridendo e guardandosi attorno compiaciuti.
Sistas era un bellissimo Elfo dalla pelle amaranto con delle strisce sotto l’occhio di colore giallo intenso, gli occhi verdi scintillanti, i capelli lunghi e arancioni intrecciati in lunghe trecce decorate con grossi fiori di oleandro che per magia non bruciavano al contatto con i suoi capelli di fuoco.
Sistas adorava il suo aspetto, a differenza di Amlach che lo cambiava, mai una volta aveva mutato il suo colore, ma anch’egli adorava nascondersi tra le fiamme dei falò e scoppiettare, scottare la gente e non farsi domare ridendo della disperazione dei campeggiatori.
Romiel era poco più basso degli altri due. Indossava una lunga tunica blu che gli fasciava il petto muscoloso, la sua pelle era pallida, quasi bianca con delle sfumature sull’azzurro freddo e duro. I capelli gli ricadevano in un caschetto ceruleo sugli occhi a mandorla di un brillante viola.
Il Re degli Elfi, bello come sempre, aveva deciso di rimanere del suo aspetto naturale.
La pelle olivastra che risplendeva alla luce delle torce del corridoio del castello, era così lucida che ci si poteva specchiare dentro, e i suoi lunghi riccioli di vite colavano sul viso in un trionfo pervinca, gli occhi balenavano grandi come quelli di una tigre nella notte.
Lo gnomo li portò nel grande salone, dove si trovava un tavolo imbandito, con carne, arrosti, pesce appena pescato e grigliato, succose patate cotte al forno e grandi insalate di verdure.
Un intero agnello fu portato in tavola nel corso della cena.
Jareth li accolse a braccia aperte, con un enorme sorriso li condusse al tavolo facendo sedere sull’altro capo del tavolo Amlach, ai lati stavano Sistas e Romiel e a lui spettò il posto di capo tavola, di fronte al Re degli Elfi.
La cena venne apprezzata e dopo vari convenevoli Amlach parlò
“Mio caro ospite, dov’è la vostra Regina?”
Jareth gli puntò gli occhi addosso, era geloso della sua donna, soprattutto sospettando i piani malvagi e subdoli degli Elfi
“Oggi era indisposta, ho preferito lasciarla nella sua stanza prima che il suo malessere umano contagi tutti nel Sottomondo.” Era una scusa bella e buona ma non poteva certo dire la verità
Amlach sembrò deluso, voleva vedere la sua nuova passione ma quel pazzo del Re del Labirinto glielo impediva.
Lasciando soli i suoi amici, si scusò e chiese di andare al bagno.
Jareth lo squadrò e decise che poteva fidarsi, il Labirinto gli avrebbe detto se qualcosa fosse andato storto e così lo lasciò andare.


 
Sarah si preparava per quell’incontro ormai da ore, sapeva che Jareth non le avrebbe permesso di unirsi alla cena, ma comunque si sarebbe fatta vedere nel suo più grande splendore.
Si infilò con eleganza un lungo abito di seta lilla pallido con una scollatura ovale e la schiena nuda, si intrecciò i capelli decorandoli con una dalia e si mise un rossetto scuro.
Mentre si voltava per frugare nel portagioie per cercare una collana o un gioiello da indossare, sentì la porta aprirsi e chiudersi in fretta, pensando che fosse il suo Jareth, sfoderò il miglior sorriso, si mise la collana intorno al collo e si guardò allo specchio
“Amore mio, ti stavo aspettando.” la voce vellutata e dolce che riservava solo al suo grande amore
“Ne sono lusingato giovane umana.” Non era Jareth, la voce era graffiante, come unghie di una pantera che ti ferisce con una sola zampata lacerandoti la carne
Sarah si bloccò fissandosi allo specchio, era immobile. Non sapeva come reagire
Parlagli Sarah
Decise di ascoltare il Dedalo, si voltò e lo fissò negli occhi vitrei d’oro
“Cosa vuoi?” lo guardò quasi con disprezzo sapendo la verità sulla sua razza
Amlach era lì davanti a lei, non si muoveva.
Sorrideva mostrando i denti taglienti
“Volevo vederti.”
“Perché?”
Amlach cominciò a girarle intorno osservandola e scrutandola
“Perché ti voglio. E ti voglio adesso.”
“Sono di Jareth, il mio Re e mio unico amore.” Lo seguiva con lo sguardo
“E se ti promettessi di lasciarti tornare dalla tua famiglia?” le sussurrò all’orecchio fermandosi dietro di lei “Saresti ancora sua?”
Sarah divenne di pietra, non sapeva cosa dire.
Adorava vivere con il suo Jareth ma voleva la sua famiglia, non passava giorno che non desiderasse abbracciarli.
“Se faccio un patto con te posso rivedere la mia famiglia?”
“Si.” Rimaneva dietro di lei osservandole la schiena
“E Jareth soffrirà?” era seriamente preoccupata per il suo Re, il suo unico e vero grande amore, quello che la amava e avrebbe fatto di tutto per lei
“Se dici una bugia non soffrirà.” Sorrise
“Io non dico bugie, non le dico a nessuno. Soprattutto a lui.”
“Allora digli la verità e uccidilo. Digli quanto desideri andartene dal suo castello e dal suo abbraccio velenoso, digli quanto il tuo odio nei suoi confronti sia più forte dell’amore che provi. Digli tutto.” Le mise la pulce nell’orecchio
“Io non lo odio.” Sarah si voltò e spostandosi si mise in un angolo
Cominciava a dubitare dei suoi stessi sentimenti, cosa provava realmente per Jareth? Cosa voleva dalla vita?
Amlach osservò tutti gli oggetti umani sulla specchiera e li sollevava maneggiandoli curioso
“Ho sentito dire che gli uomini sono capaci di mentire meglio di tutti. Devi fare solo ciò che è nella tua natura e soprattutto, essendo donna, riuscirai a nascondere tutto al ‘tuo Re’.” Lo diceva come se non fosse importante, la voce pacata, non la guardava neanche negli occhi
Menti Sarah, di tutte le bugie che vuoi
“Non so se posso…” Sarah stava per piangere, si sentiva le lacrime agli occhi
Amlach si voltò e la guardò sorridendo maleficamente
“Quando vorrai tornare a casa basta che ripeti il mio nome davanti allo specchio e ti pungi un dito facendo uscire una goccia di sangue.”
Uscì dalla porta sorridente, sicuro di aver raggiunto il suo scopo.
 


Finita la cena, Jareth andò dalla sua Sarah e la baciò appassionatamente, lei con il volto mesto e un grande peso addosso non riusciva a ricambiare quei gesti d’amore.
Jareth si staccò da lei e la guardò con occhi pieni di comprensione, si sentiva in colpa per averla lasciata sola per tutta la sera
“Ti senti bene mia preziosa?”
“Si, tutto bene.” Una bugia, una grande, enorme, bugia
Forse la prima bugia della sua vita ma non l’unica.

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Capitolo 11
*** Una piccola morte ***


Quelle ferite al cuore non rimarginabili



 

Passarono sei mesi da quella piccola e insignificante bugia ma ogni giorno Sarah si sentiva debole, sempre più prosciugata e febbrile ma cercava di nascondere tutto al Sidhe.
Quella mattina Sarah si alzò presto.
Dentro si sentiva a pezzi. Non che da quando avesse fatto scambio con Toby fosse tutto normale.
Sentiva ogni organo distrutto, lo stomaco contratto, il cuore trafitto da mille frecce come se quella pantera, quell’Amlach, l’avesse strappato dal petto e ci avesse giocato un po’ e poi l’avesse rimesso a posto.
Jareth dormiva ancora, lo guardò un secondo.
Il viso pallido, i capelli spettinati sul cuscino, il petto scoperto. Brillava sotto i flebili raggi del sole.
Sarah prese la vestaglia e con un sorriso amaro e gli occhi tristi si chiuse la porta della camera dietro sé.
Appena fu nel corridoio tirò fuori dalla tasca di seta una foto, quella foto sbiadita, troppo sbiadita nella quale doveva esserci suo padre ma c’era solo un’ombra che la teneva tra le braccia.
Dai Sarah chiama l’Elfo
Non poteva farlo. Avrebbe fatto del male a Jareth.
I sentimenti in lei erano contrastanti. Da una parte l’amore per il suo Re, l’unico che l’avesse amata veramente, dall’altra parte la sua famiglia, quella umana, quella che ormai non si ricordava niente di lei.
Percorse il corridoio dalle molte porte, probabilmente inutili e provò ad aprirle ma molte erano chiuse e alcune vuote.
Si avvicinò a una porta blu. Non era mai stata in quella parte del Castello, Jareth non lo permetteva. Ma tutti stavano dormendo e lei aveva bisogno di distrarsi dai suoi stessi pensieri e abbandonarli un attimo.
Si avvicinò curiosa a quella porta mai vista e che sembrava nuova con un piccolo uccellino, un pettirosso intarsiato sopra, un pomello dorato. Non c’era serratura ne niente.
Spinse con tutta la forza possibile la porta che dopo un po’ di attrito si aprì per quel poco che bastava a Sarah per infilarsi dentro alla stanza.
Non c’era luce. L’unica luce che entrava era quella del corridoio, pallida e sostanzialmente inutilizzabile.
Ormai la ragazza sapeva che se avesse avuto bisogno di qualcosa sarebbe bastato chiederlo al Castello e così fece. Chiese una candela e dei fiammiferi.
Dopo alcuni secondi sentì qualcosa rotolare verso di lei e fermarsi accanto al suo piede poi un rumorio di legnetti e la scatola di fiammiferi le cadde addosso.
Si piegò a raccogliere entrambi e con le mani un po’ tremanti accese la candela.
Faceva poca luce, si avvicinò alle cose. Un mucchio di cose inutile. Scarpe, vestiti, un letto.
Non aveva finestre, l’unica era stata murata, c’era una piccola porta con un piccolo bagno.
La porta blu si chiuse di colpo facendo sobbalzare Sarah, si guardò alle spalle cercando di farsi luce ma non vide granché.
Camminò un po’ per la piccola stanza scontrandosi con varie cose. Si avvicinò a uno specchio.
Era ovale e con una cornice dorata piena di intarsi.
Poteva chiamare adesso l’Elfo e nessuno mai l’avrebbe scoperto.
Riusciva a guardarsi allo specchio. Era una figura triste, pallida. I capelli neri le ricadevano sulle spalle. Gli occhi verdi non brillavano più come un tempo.
Stare con Jareth ti sta uccidendo
Non riusciva a crederci. Jareth era la cosa più bella che le era capitata
Torna dai tuoi genitori
Lo voleva veramente ma non poteva spezzare così il cuore di Jareth, senza dire una parola.
Si guardò allo specchio. Sembrava invecchiata più del dovuto.
Non era neanche un anno che era via di casa ma era come se ne fossero trascorsi due in una volta sola. Forse il tempo era diverso nel Sottomondo e infatti così era.
Per gli umani passare nove mesi nel Sottomondo equivaleva a passarne due.
Sarah non poteva saperlo e non lo sapeva neanche Jareth ne nessun altro, poiché mai nessun essere umano era stato così a lungo nel regno magico.
Sarah si spostò di lato i capelli con la mano e portò alcune ciocche dietro l’orecchio. Gli orecchini tintinnarono e lei continuò a fissare vacuamente lo specchio e la piccola fiammella che tremolava come se stesse parlando con l’altra riflessa.
Sarah era lì, in piedi. Non riusciva a muoversi. Non sapeva cosa fare. Poteva stare lì. A morire lentamente, obbligata in un amore che le piaceva ma che sembrava soffocarla o poteva fare un patto con Amlach.
Era una donna forte Sarah, lo era sempre stata e lo sapeva anche lei ma Amlach la rendeva impotente, più di quanto potesse farlo il Re di Goblin quando la stringeva tra le braccia.  
Le piaceva quando le baciava il collo e le faceva sentire il petto bruciante sul proprio. E adorava quelle dita affusolate che le scorrevano sulla schiena.
Sorrise arrossendo pensando a quando faceva l’amore con Jareth.
Non poteva lasciarlo. Non l’avrebbe mai lasciato. Mai. Lo amava troppo per spezzargli il cuore e avrebbe spezzato anche il suo piccolo cuore umano se l’avesse fatto.
Si guardò un’ultima volta allo specchio e rise.
Voltò la schiena e sentì un brivido percorrerle la schiena e tutto il corpo, una sensazione di freddo inquietante.
Sarah cosa fai?! Chiama Amlach
Sarah alzò gli occhi al soffitto e spalancò le braccia
“Ma tu da che parte stai? Con Jareth o con l’Elfo pazzo?” parlò al Labirinto
Io amo Jareth ma mi piace dare fastidio
Il Dedalo rise.
“Questo posto è impossibile, non lo capirò mai.” Scosse la testa divertita
Aprì piano la porta. Lasciò la candela spenta a terra, richiuse la porta dietro di se e tornò piano dal suo Jareth.
Lo amava troppo per lasciarlo e non l’avrebbe fatto solo per un capriccio.
Almeno credeva.


 
Amlach batté un pugno contro il marmo freddo della scrivania con specchiera.
Aveva aspettato mesi per quell’incontro. Per vederla triste e sconfortata in una stanza buia e invocare il suo aiuto. Ma quella ragazza era troppo forte per cadere nei suoi tranelli.
Si alzò da quella sedia di quercia e con uno schiocco di dita cambiò lo specchio da portale a normale specchio riflettente.
Si guardò con gli occhi socchiusi pieni d’odio e risentimento.
Urlò alla sua immagine
“Ti odio!” poi cominciò a ridere
Rideva di gusto e tutto a un tratto smise.
Si guardò di nuovo e con odio tirò una scatola di porcellana contro il vetro
“Non riesco neanche a vederti.” Parlava da solo “Sei veramente ripugnante.” Le tante piccole facce che comparivano sullo specchio a pezzi ridevano “Guardati. Con quella pelle olivastra, sembri malato. I tuoi terribili capelli. L’unica cosa bella che hai sono gli occhi. Oh si che sono belli vecchio mio.”
Diede le spalle allo specchio e cominciò a camminare cambiando il suo aspetto, prima divenne fuoco, poi aria, poi acqua, neve, terra… si fermò e rise di nuovo.
Si voltò verso il letto sfatto. Aveva passato una delle notti più interessanti della sua vita con due Elfe dell’Acqua e il suo amico Sistas. Quasi l’Elfo e le Elfe non si distruggevano a vicenda ma aver partecipato a un’orgia così divertente l’aveva, almeno un po’, distratto dai suoi pensieri verso Sarah.
Ma ripensare a quelle due Elfe gli fece tornare in mente i lunghi capelli corvini della donna, le labbra rosse carnose, gli occhi verdi che brillavano.
Se la immaginò nuda davanti a sé, lei che si sedeva sulle sue gambe e lui che piano le mordeva la spalla, il collo e le leccava il mento e le baciava le labbra quasi strappandole con i denti e lei inclinava la testa e lo lasciava fare, lo lasciava assaggiare la sua carne e toccarla con le sue dita fredde in ogni parte del suo corpo. Immaginò di trascinarla con sé in quell’abisso carnale e senza fine, un baratro di sesso e puro piacere e immaginò che lo facesse godere muovendo dolcemente quei fianchi umani di carne morbida e giovane.
Immaginò di baciarle i seni e arrivare all’apice del piacere, senza guardarla negli occhi, trattarla come chiunque altra e poi sussurrarle “Ti amo”, un ‘ti amo’ che non era vero ma che lei avrebbe pensato tale, un ‘ti amo’ detto per illuderla e per lasciarla come si lascia una puttana.
Avrebbe passato ore a pensare a lei in quella maniera, e avrebbe passato vite e vite a fare sesso con quella umana che apparteneva ad un altro, un altro che la amava veramente.
Si guardò di nuovo riflesso nei cocci di specchio
“Sei orribile Amlach. Non sei degno dell’umana.”
Una guardia entrò correndo nella stanza
“Mio signore!”
Amlach piegò il viso guardandolo con odio per aver interrotto la sua pazzia. La pupilla diventò una fessura verticale
“Come osi! Tu sciocco…” si avvicinò per colpirlo ma la guardia parlò subito
“È  qui.”
Amlach si bloccò
“Chi è qui?” la mente vagò, sperava fosse Sarah ma sapeva che non era possibile
La guardia si inginocchiò ancora di più, la testa quasi toccava il pavimento
“Lady Celil. Vuole parlarti.”
Amlach rise e mandò via la guardia.
Si guardò a quel che rimaneva dello specchio
“Vecchio mio, la fortuna sta girando. Rimani comunque orribile. Magari se diventi blu…” cambiò il suo aspetto e diventò blu con delle strisce di azzurro/celeste sul petto
Prese una fascia di seta dorata e se la strinse intorno alla vita lasciando il petto nudo, indossò solo una collana di piccole corna di cervo e andò ad accogliere Lady Celil.



 
La Lady era nel grande salone. Alcune Elfe la guardavano ma avevano paura di avvicinarsi. Lei canticchiava tra sé e sé. I boccoli biondi le ricadevano sul petto e sulle spalle. Arricciava le labbra e sorrideva e guardava un po’ tutto con disprezzo e altezzosità.
Amlach comparve da dietro un broccato rosso baciando e scostando con forza da sé una giovane Elfa del Fuoco che ridacchiò e corse via bruciando.
Amlach si diresse verso Lady Celil e la accolse baciandole la mano, lei lo guardò un secondo
“Parliamo subito di cose serie Re degli Elfi.”
L’Elfo rise
“Ma certo. Non qui. Prego Milady…” le indicò una porta
Entrarono in una stanza completamente insonorizzata e ricoperta d’oro e argento, di pietre preziose, rubini, smeraldi ed enormi opali.
Lady Celil li guardò stregata e Amlach notò divertito l’espressione della donna al suo fianco
“Belli vero? Ci ho messo una vita a trovarli. O a farli trovare, dipende da come si vuol vedere la cosa.”
Celil sorrise
“So che sei interessato alla donna di mio figlio.” Tagliò subito corto
“Prego, sedetevi.” L’Elfo indicò la poltrona più vicina alla donna “Faccio portare qualcosa, del thè magari…” disse sarcastico
“Smettila Elfo.” Celil si stava adirando
Non era certo una donna da prendere in giro o che si facesse prende in giro.
Odiava tutti. Odiava se stessa, odiava il marito, odiava Sarah e l’unica cosa che amava era il figlio. Il figlio che per anni non era riuscita a vedere, il figlio che era stata obbligata a esiliare per salvare le apparenze, il figlio a cui non aveva mai detto ‘ti voglio bene’ né gliel’aveva mai fatto capire.
La sua misantropia era nata quando la famiglia l’aveva obbligata a sposarsi con il Re del Sottomondo, Lord Urér. Aveva solo 1200 anni –dodici anni-.
Non che lui la trattasse male o le facesse violenza, ma Celil aveva sempre desiderato essere libera e quando era nato quel bambino così simile e allo stesso tempo diverso da lei, si era promessa di proteggerlo con tutte le sue forze da quel mondo corrotto nel quale vivevano.
Guardò Amlach per un secondo
“Ti propongo un patto.” Disse seria e fissando gli occhi vacui e malvagi del suo interlocutore
“Parla pure.” Disse lui lasciando da parte le buone maniere
Appoggiò con il gomito sulla coscia e mise il mento sul pugno chiuso.
Adorava i patti. I patti che portavano più vantaggi a lui che agli altri e questo sembrava proprio piacergli.
Parlarono a lungo. Amlach fissava le labbra carnose di Lady Celil e lei sorrideva a ogni nuovo accordo che trovavano.
Sigillarono il patto con una stretta di mano e poi Amlach accompagnò Celil fino alla grande porta di quercia del suo palazzo
“Allora mia signora, come nei piani. Tra un mese…”
“Alle 13 in punto del pomeriggio.”
“Sarò libero di vagare nel Castello del Labirinto.”
“Senza Jareth.”
L’Elfo ridacchiò
“Portati via la ragazza. Fanne quello che vuoi… mangiala, stuprala, vendila. Non mi importa. Ma ricordati, deve sembrare che lei lo abbia lasciato di sua spontanea volontà.” La voce dura e incurante
“Tranquilla Lady Celil.”
“Lo spero.”
La donna sparì nel vento lasciando dietro di sé una scia di profumo intenso e eccitante.
Amlach aveva un suo patto e finalmente avrebbe avuto quello che voleva, lasciando a quella donna il piacere di consolare il figlio.
Si voltò e ritornando nel palazzo gridò
“Dov’è quell’Elfa del Fuoco che ho baciato poco fa?!” la ragazza comparve e lui sorrise maligno “Ho proprio voglia di divertirmi…” e la trascinò nella sua stanza



 
Un mese dopo, alle 12 si sentì un gran trambusto.
Sarah corse giù dalle scale urlando e ridendo. Ludo la stava inseguendo e Sir Didymus lo fronteggiava.
Sarah durante la corsa sbattè contro il petto di Jareth, alzò gli occhi e lo vide sorridere.
Si era abituato a quei giochi di ragazza che lo costringevano a prendere parte e piano i suoi sudditi si erano abituati alla sua presenza.
Sarah lo baciò.
Non aveva più pensato di mentirgli ne di andarsene da lui. E si sentiva più forte ogni giorno.
Lo baciò ancora
“Jareth gioca…” ruggì Ludo
Il Re di Goblin si avvicinò e gli accarezzò il muso peloso
“No. Oggi no bestione.” Si voltò verso Sarah che coccolava Ambrogio “Tra un’ora arriva mia madre.” Disse a bassa voce
Lei si alzò e lo fissò
“Non la voglio.” La odiava
“Lo so. Dai ti prego tesoro mio. Si fermerà solo un’ora, deve mostrarmi qualcosa e poi torno indietro subito. Puoi stare con i tuoi amici.” Le mise le mani sulle guance
“Così mi schiacci però.” Disse lei con la voce impastata
Le diede un bacio sulle labbra
“Va bene. Ma io non la voglio vedere.”
“Neanche un saluto Sarah?” la voce ferma e perentoria e eccitante che usava per convincerla era tornata
“Oh ma se me lo chiedi così allora accetto.” rise 
Alle 12.45 comparve Lady Celil accolta dal figlio con un abbraccio seppur freddo.
Sarah la guardò un secondo, un secondo di odio e le disse un freddo ‘Buongiorno’ poi scomparve nelle sue stanze.
Celil baciò sulle guance il figlio
“Ti mostro una cosa. Vieni con me.” Lo trascinò letteralmente via attraverso un portale
“Ma dove siamo?” chiese lui guardandosi indietro
“Nel bosco. So che ci sono delle bacche che possono uccidere solo toccandole, volevo mostrartele.” Si chinò su un roveto dalle quali spine crescevano piccole bacche blu-nero
Jareth sbuffò ma acconsentì al vaneggio della madre, per farle piacere e si piegò al suo fianco.



 
Sarah si distese sul letto guardando il soffitto.
Com’era stata stupida a pensare di lasciare quell’essere così perfetto e così… un brivido di eccitazione le percorse i lombi e le fece infiammare le orecchie.
Lo amava, lo amava davvero.
Non si erano mai detti ti amo ma appena sarebbe tornato gliel’avrebbe detto, l’avrebbe abbracciato e gliel’avrebbe detto.
Si stava quasi addormentando quando sentì un rumore di specchi rotti. Si alzò di scatto e lo vide.
Una figura alta, i riccioli di vite sulla schiena, si voltò e la guardò. Sorrise. La fila di denti spuntarono dalle labbra sottili
“Cosa vuoi! Cosa ci fai qui?” lei si spostò verso l’angolo del letto, finendo così in trappola
“Sono qui per te.” Disse lui avvicinandosi
“Non ti ho chiamato. E non lo farò mai. Vattene!” lo fissava tremando
“Urla se vuoi. Nessuno ti sentirà.”
Lei riuscì a scansarsi prima che la potesse afferrare, corse fuori dalla stanza camminando a piedi nudi sui vetri.
Doveva salvarsi in qualche modo, non le importava di farsi male. Se avesse raggiunto Ludo nell’atrio del Castello, l’avrebbe protetta.
Scivolò sul suo stesso sangue e cadde. Tentò di rialzarsi e sentì quella voce proprio dietro di lei.
Una mano la afferrò per i capelli e la costrinse a piegare indietro la testa. Si piegò su di lei e le leccò il collo
“Mmh… hai proprio un buon sapore piccola umana.”
“Lasciami!” urlò  e si dimenò con tutta la sua forza
Il Labirinto rideva. Rideva forte quasi da sfondare i timpani.
Finalmente ci divertiamo
“Lasciami! Maledetto!” Sarah stava per piangere
“Mai. Sarai mia, questa notte. E per sempre.” Rise forte
Sarah e Amlach sparirono in uno schianto.



Il Castello rimase in silenzio. Un silenzio tetro. Privo di vita.



Quando Jareth tornò, senza sua madre, sentì che qualcosa era successo. Sentì una parte di sé morire.
Se né andata
Non era possibile, non l’avrebbe mai lasciato così. Non l’avrebbe mai lasciato e basta.
Si amavano.
Doveva esserci una spiegazione.
Salì di corsa in camera, notò il sangue sulle scale. Era sangue umano.
Arrivò nella stanza. Tutto era rotto. Come se ci fosse stata una lotta. Lo specchio era rotto. Tutti i pezzi erano a terra, insanguinati.
Si inginocchiò sui cocci e li raccolse tra le mani
“No. Sarah. No…” il suo cervello stava per esplodere
Non se né andata di sua volontà
Jareth fissò lo specchio rotto, il legno dietro al vetro visibile e tutto graffiato
Respirò profondamente e odorò l’aria, non c’era l’odore di Sarah, un altro. Un essere del Sottomondo, un essere privo di coscienza. Elfo.
Jareth si alzò pieno d’ira.
Capì tutto, sua madre, la trappola per attirarlo fuori dal castello, l’Elfo che si era introdotto e l’aveva rapita…
Finalmente ci sei arrivato Jareth
La sua Sarah. Nelle mani di quel pazzo Re degli Elfi. Chissà cosa le avrebbe fatto, non poteva pensarci.
E lui, così stupido da pensare che sua madre fosse una madre come tutte le altre, che vuole passare del tempo con suo figlio.  Invece voleva solo portargli via Sarah. Portargliela via per poter avere il suo figlio adorato tutto per sé.
Lei ti ama
Jareth ripercorse la strada fino alla porta del Castello che affacciava al Labirinto, guardò il cielo coperto da nuvole vermiglie e urlò il nome della sua amata. Urlò così tanto da farsi male alla gola.
Sentiva dentro di sé di essere morto. Almeno un po’.
Deve essere guerra Jareth, per Sarah

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Capitolo 12
*** Sono più forte di te ***


Talvolta ci vuole coraggio anche  a vivere
(Seneca)

 


 
Sarah si svegliò. Il corpo intorpidito. Sentiva la testa esploderle, la vista era offuscata.
Si sentì il collo pesante, si toccò e sentì una sorta di collare di acciaio intorno alla gola sottile, era incatenata con una lunga catena al muro.
Stava seduta sul pavimento. Il sangue secco sotto i piedi che le facevano male. Cercò di sollevarsi ma le gambe le tremavano. La testa le faceva male e non capiva bene dove si trovava.
Sentì una risata buia dal fondo della stanza.
Si voltò nella direzione della voce
“Chi c’è?! Chi sei?!” sapeva benissimo chi fosse ma in quel momento le sembravano le parole più giuste da dire
Amlach si portò alla luce e le si avvicinò
“Ciao piccola umana.” La guardò dall’alto sorridendo
Sarah non riusciva a rispondere, lo guardava terrorizzata.
Lui si chinò su di lei e le prese il mento tra le dita
“Graziosa davvero.” Le diede un bacio sulle labbra e lei lo morse “Hey.” La spinse via, si toccò le labbra dalle quali usciva un po’ di sangue “Mi hai fatto male piccola.” Rise
Fece ‘no’ col dito e le riprese il volto tra la mano
“Non mordere. Potresti farti male. Potrei fartene io.” Le bisbigliò all’orecchio
Sarah non lo guardava neanche.
Era la seconda volta che qualcuno la rapiva e questa volta la cosa non le piaceva.
Aveva amato così tanto Jareth, così tanto da preferire lui al Sopramondo.
Aveva pensato più volte a lasciarlo per offrire un patto a Amlach, solo per vedere la sua famiglia, anche per un giorno; ma non l’aveva mai voluto davvero.
Amlach le prese una ciocca di capelli e l’annusò
“Che buon profumo, così femminile.”
Lei ringhiò cercando di spostarsi da quell’essere che la terrorizzava e disgustava allo stesso tempo
“Io ti odio!” lo disse guardandolo negli occhi sentendosi morire
D’improvviso si sentì bruciare la guancia, le aveva tirato uno schiaffo.
La gota le bruciava tremendamente, si sentiva avvampare tutto il lato sinistro della faccia. Probabilmente le aveva lasciato l’impronta della mano.
L’aveva colpita così forte da farla lacrimare. Faceva malissimo e lui rideva.
Tirò l’anello del collare d’acciaio e portò il volto di Sarah vicino al suo, vide le lacrime scorrerle lungo il viso
“Non osare più parlarmi con quella voce.” Le asciugò una lacrima con il pollice e la leccò dal dito Sarah provava disgusto per quell’Elfo. Eppure mesi fa aveva sognato che la potesse amare meglio di chiunque altro ma poi era tornata dal suo Jareth, l’unico. Il solo.
Sarah si rannicchiò in un angolo cercando di sfuggire ad Amlach che camminava su e giù per la stanza, si fermava e rideva. Rideva di lei.
La catena la tirava e non poteva muoversi più di tanto. Non poteva sdraiarsi né alzarsi totalmente. Poteva stare seduta e lì, in quell’angolo della cripta stava rannicchiata in sé stessa pregando per l’arrivo di Jareth, per l’arrivo di qualcuno che la salvasse.
Amlach la guardò un secondo tamburellandosi le dita sulle labbra.
La sua pelle era blu e si mescolava con il nero della stanza. Sarah rabbrividiva a sentirlo ridere mentre la guardava.
Le si avvicinò ancora e la sganciò dalla catena al muro, gliela mise tra le mani e la fece alzare tirandola per i capelli, Sarah mugugnò di dolore. Amlach la tirò a sé
“Ti do un’ora di vantaggio.” Aveva una voce macabra che ti trafiggeva il petto e rabbrividivi a sentirla “Se riesci a scappare dal tuo Jareth prima dell’alba, ti lascerò libera.” Trascinandola fuori dalla cripta continuò a parlare “Se invece ti prendo prima io…” rise “Sarai mia per l’eternità.” La trascinò nella grande sala attraverso gli occhi di tutti gli Elfi presenti che la guardavano stregati
La fermò davanti all’ingresso, le porte spalancate davanti al bosco nero e impenetrabile.
Sarah guardò il nero davanti a sé e poi si voltò verso Amlach.
Aveva paura di lui, questo era ovvio, ma era comunque una donna e avrebbe combattuto con tutte le sue armi, le guance si colorarono di fuoco. L’avrebbe sconfitto. Aveva già superato un labirinto e questa volta l’avrebbe fatto con decisione, sicurezza, odio.
Lo guardò negli occhi vitrei
“È come superare un labirinto?” gli disse tornando a guardare il vuoto
“Si. Non come quello del Re di Goblin. Sarà più divertente.” Rise e tutti gli Elfi intorno risero a loro volta
“Allora voglio delle regole.” Tornò a guardarlo dritto in faccia, sicura di sé
“Regole?” Amlach piegò la testa
“Si. Devi darmi tredici ore, anche qui. Se entro le tredici ore sono fuori allora ho vinto e ti avrò sconfitto, se invece sono ancora dentro, anche solo di un piede, potrai fare di me ciò che vuoi.” Sapeva che era un patto poco fruttuoso per Amlach ma tentò lo stesso
“No. Hai cinque ore. Come ti ho detto prima. Se all’alba sei fuori allora sei salva, se ti prendo prima io…” le diede una spinta ridendo cacciandola fuori dalla porta “Hai un’ora di vantaggio, io ti seguirò. Tra un’ora.”
Le porte si chiusero e Sarah rimase al buio.
Sgomento nei suoi occhi. Non sapeva dove andare, quale strada percorrere, perché percorrerla.
Aveva un’ora di vantaggio che probabilmente non sarebbe stata un’ora.
Teneva in mano le catene e il collare le pesava sul collo ma lei continuava a resistere.
Cominciò a camminare nel vuoto e si ripeteva trattenendo le lacrime
“Sono più forte di te. Sono più forte di te.” Una specie di mantra
Camminava nel buio, gli alberi le sembravano uguali. Non sapeva quale fosse la strada giusta, se avesse già percorso quel sentiero o se avesse già passato quell’albero rugoso.
Se avesse lasciato degli indizi per ricordarsi la strada Amlach l’avrebbe capito e gli sarebbe bastato seguire la pista.
Forse aveva ancora qualche fiammifero, si guardò nella tasca del vestito.
Fortunatamente si era tenuta la scatola, ne accese uno. Non faceva una grande luce ma almeno era qualcosa.
Il collare cominciava veramente a pesarle ed era passato solo un quarto d’ora da quando aveva iniziato a camminare.
Strappò un piccolo ramo secco da un albero accanto a lei e strappandosi un lembo del vestito, lo arrotolò alla punta del ramo e gli diede fuoco.
Il sentiero si illuminò più del previsto e Sarah ricominciò a camminare, probabilmente l’avrebbero vista con quella luce ma almeno sapeva dove andava. Teneva in una mano le catene e dall’altra il ramo infuocato e continuava a camminare guardandosi intorno, il cuore le batteva, aveva paura ma continuava a ripetersi che era più forte di lui, lo sapeva dentro il cuore.
Quel piccolo cuore che pulsava all’impazzata.
Sentì un rumore dietro di lei e aumentò il passo.
Si sentiva osservata, come se Amlach avesse mandato spie ovunque per seguirla.
Sentì un ramoscello rompersi e per istinto cominciò a correre.
Quel bosco nero le ricordava tanto il Labirinto, la prima volta che aveva percorso un labirinto era per salvare Toby, ora lo faceva per salvare se stessa.
Non sapeva dove girare, si impigliava nei rovi e gridava appena un ramo la toccava.
Sapeva che tra poco Amlach si sarebbe messo sulle sue tracce ma continuava a correre, il sudore e lo sporco le rigava il volto e il collo. Sentiva la terra umida sotto i piedi e le catene pesavano sempre più. Si sentiva morire.
Il ramo stava per spegnersi, si fermò un secondo e lo riaccese. Le mani le tremavano, la scatola di fiammiferi le cadde sui piedi, si chinò a riprenderla ma non la trovò, sentì una piccola mano rugosa e piena di calli toccarle il polpaccio
“Scusami… Signorina…” lei si voltò e vide la creatura ed urlò , la torcia cadde a terra e si spense
 
 


Jareth tornò dentro al Castello. Furente di rabbia, risentimento, odio.
Il Labirinto non osava parlare, sapeva bene che era anche un po’ colpa sua se il Re stava morendo dentro.
Erano passate poche ore dal rapimento di Sarah e già tutti nel Sottomondo sapevano. Sapevano che l’aveva rapita Amlach. E tutti odiavano Amlach e la sua razza.
D’altra parte, tutti temevano l’ira del Re di Goblin, conosciuto come Re folle del Labirinto.
Jareth, con gli occhi brucianti di collera, sbattè le mani contro un tavolo, ribaltò a calci il trono e urlò con tutta la voce rimasta.
Gli gnomi correvano da tutte le parti spaventati. Jareth urlava e non ragionava più.
Odiava tutti. Odiava sua madre. Odiava sé stesso.
Aprì un portale verso il palazzo dei genitori. Oltrepassandolo sentì come un brivido passargli nelle vene, il sangue ribolliva, ormai la sua temperatura corporea era al limite.
Le guardie davanti alla porta della sala del trono lo fissarono. Con un gesto delle mani scaraventò i due contro le pareti facendogli perdere i sensi. Spinse le porte pesanti e entrò nella sala del trono. Lord Urér si alzò dal trono e lo fissò, non l’aveva mai sopportato ma era comunque suo figlio e forse odiava più sua moglie di quel Sidhe pazzo.
Jareth dal fondo della sala urlò
“Dov’è? Dov’è?” urlava con tutta la forza
Il padre lo guardò
“Chi? La tua giovane umana? So che è stata rapita.” Ridacchiò malefico
Jareth respirava affannosamente
“So bene dov’è la mia Sarah. Dov’è Celil. Dove si nasconde!” Stringeva i pugni e guardava fisso negli occhi il padre
Celil comparve da dietro una tenda, era quasi felice, sorrideva. Guardò il figlio e gli si avvicinò
“Sono qua figliolo.” Si portò davanti a lui “Come stai?” stava lì, sorridente, superba come sempre
Jareth a quelle parole non ci vide più, le tirò uno schiaffo. Mai aveva pensato di schiaffeggiare sua madre ma quella volta aveva oltrepassato ogni limite.
Il volto di Celil si fece rosso, rosso per lo schiaffo, rosso per l’umiliazione ricevuta.
Urér non fece niente per difendere la moglie, guardò la scena quasi compiaciuto. Lady Celil si portò una mano al volto
“Come hai potuto… come hai potuto portarmi via l’unica cosa che amavo in questo mondo. Come hai potuto farlo.” Non voleva una risposta, voleva distruggerla
Madre Celil non riusciva a spiegarsi il comportamento del figlio, pensava che Amlach avesse rispettato i piani e che Jareth cercasse conforto dalla madre.
Jareth l’afferrò per il collo e la sbattè contro un muro
“Hai preso la cosa più importante, la cosa a cui tenevo di più e l’hai data a quel pazzo di Elfo. Che madre sei? Mi hai esiliato per anni, dici di volermi bene ma in mille anni non sei mai venuta a farmi visita, neanche un messaggio. E ora, colma di gelosia, hai fatto rapire la mia Sarah. La donna che ho sempre amato.” La lasciò andare e se ne andò sotto lo sguardo impaurito di tutta la corte
Celil guardò il figlio attraversare un portale
“Ti ucciderà Jareth, lo sta già facendo! Quella ragazza ti ucciderà.” urlò al Sidhe
Jareth si girò, si sentiva il cuore pesante e la follia che la presenza di Sarah gli aveva assopito stava riemergendo più forte
“L’hai fatto tu al suo posto mamma.” La guardò un secondo, un lungo secondo di disgusto “Il Re del Labirinto dichiara guerra a Lady Celil e al popolo Elfo di Randϋr. Prepara le tue armi, presto sarà guerra.” Scomparì all’interno del suo portale
Lord Urér guardò la moglie.
Celil non disse niente. Rimase muta. Neanche una lacrima versò per il figlio che ormai sapeva perduto per sempre. Cominciava ad odiare anche lui adesso.
 



Il piccolo essere scosse la catena di Sarah
“Signorina…” ma lei rimaneva a guardarlo terrorizzata “Ti sono caduti questi.” Le porse la scatola di fiammiferi
Sarah si piegò a prenderli e ne accese uno facendo luce verso l’omino ai suoi piedi, respirò affannosamente impaurita
“Cosa sei?” il fiammifero si spense, ne prese un altro ed accese la torcia
“Sono un Brownie.” Disse con una voce piccola e sottile
“Un cosa?” Sarah lo guardò “Senti io devo correre, mi piacerebbe aiutarti ma mi danno la caccia.” Si voltò e aumentò il passo
“Signorina…” il Brownie le fu subito dietro “Ti posso aiutare.” Zampettava dietro di lei
“Come potresti aiutarmi? Sono inseguita da un Elfo pazzo che chissà cosa vuole farmi, sono in un bosco in cui non c’è luce e ho una catena al collo.” Sarah aumentava il passo
“Ti posso togliere la catena.” La voce stridula tutta affannata
“Veramente?” Sarah si fermò, si piegò verso l’omino illuminandolo con la torcia, si guardò intorno “Sei un Brownie giusto?” lui confermò “Mi aiuteresti a trovare la strada per uscire dal bosco, per arrivare dove c’è il Castello del Labirinto?”
Il Brownie si arrampicò sulla catena del collare di Sarah
“Quando sei arrivata poi mi regali i tuoi capelli?” studiava il ferro e l’acciaio
Sarah si guardò i capelli neri, lunghi e bellissimi, con un po’ di sofferenza accettò. Il Brownie le tolse la catena con uno strattone e il collare saltò via, lo trascinò ai piedi di un albero, scavò una buca e ce lo buttò dentro, ci mise sopra una grossa pietra.
Tutto soddisfatto tornò dalla ragazza
“Così poi lo ritrovo. Ora è mio.” Sarah lo guardò perplessa “Lo volevi tu?”
“Nono. Andiamo. Per favore, indicami la strada per uscire da qui.” Si alzò e caricò il piccolo essere, alto come una mela, sulla spalla
“Credo che il Re degli Elfi sia già sulle tue tracce signorina. Se vai di qua recuperi del tempo.” Indicò a destra, fuori dal sentiero “Ti conviene spegnere la torcia. Ti vede.” Sarah spense la torcia coprendola con la terra
“Lui non vede anche al buio?” chiese al Brownie
“Sì. Ma così lo aiuti, non credi?” ridacchiò toccando i capelli morbidi della ragazza
“Come ti chiami?” Sarah camminava spedita, non si sentiva così braccata avendo un aiuto dalla sua parte
“Geemo. Io so chi sei tu.” Sembrava felice “Tutti sanno chi sei.” Canticchiò qualcosa “Ora vai di qua, sinistra.”
“E chi sarei io?” Sarah quasi correva nel buio e si impigliava nei rovi
“Sarah. La Regina del Labirinto, moglie di Jareth e tutti sanno che Amlach ti vuole. Tutti sanno che Amlach ha fatto un patto con Lady Celil.” Lo diceva come se fosse sempre stato chiaro “Se ti avesse tolta da Jareth lei avrebbe permesso agli Elfi di interagire con gli umani nel Sopramondo.” Sarah non poteva immaginare cosa più orribile
“Ma… gli Elfi sono crudeli. Non possono girare sulla Terra, distruggerebbero tutto e tutti.”
“Già. Le donne… cosa fanno per amore.” Constato Geemo con la sua voce appuntita
Geemo era piccolo, dieci centimetri al massimo. Un’ispida capigliatura arruffata nera e un grosso naso a patata. Aveva un paio di pantaloncini minuscoli, i piedi piatti ed enormi. Ma oltre il brutto aspetto, ormai Sarah aveva imparato la lezione, c’era un grande cuore. I Brownie, secondo le leggende, erano come dei piccoli gnomi marroncini, spesso salivano nel Sopramondo ad aiutare gli uomini, in cambio pretendevano cibo, in particolare panna o latte, o anche vari oggetti luccicanti o capelli per imbottirsi la tana in inverno.
Si fidava di Geemo, lui aveva i suoi interessi nell’aiutarla  e lei doveva uscire da quel labirinto di alberi e oscurità.
 


Amlach aveva dato il via alla caccia. Correva dietro a quella ragazza, vedeva nel buio, annusava l’aria e sentiva dalla terra i pensieri che aveva avuto in quel momento Sarah, sentiva la disperazione e sentiva una punta di coraggio che le dava forza per vivere.
Sentì riecheggiare nell’aria un urlo di Sarah
“Sono più forte di te.”
La caccia ebbe veramente inizio.
Accesero una fila di fiaccole, tutti gli Elfi parteciparono, correvano, saltavano da un albero all’altro, ululavano cercando di terrorizzare Sarah. Ridevano divertiti. Una vera e propria caccia all’uomo.
 


Geemo annusò l’aria
“Sarah.” Lei lo guardò in piedi sulla spalla “Forse è meglio che corri.” Lei continuava a fissarlo “È iniziata la caccia. Corri!” Sarah si guardò intorno, notò le fiaccole infondo al bosco, le urla e le risa e cominciò a correre
Correva senza meta, Geemo le indicava le strade e lei continuava a ripetersi
“Sono più forte di te. Sono più forte di te.”
L’avrebbe sconfitto, l’avrebbe distrutto, l’avrebbe ridotto in un mucchio di polvere. Sarebbe rimasto solo, per sempre.
 



Jareth organizzava il suo esercito. Un potente esercito. Ninfe, Troll e alcuni Sidhe si era riuniti al suo cospetto, gli davano il loro appoggio, gli davano il loro esercito. I Berretti Rossi avevano invaso il Labirinto e aiutavano il Re con dei piani malvagi e astuti per assediare i due Castelli.
Allora è proprio guerra Jareth.
Jareth non rispose
Credi che questo basterà a curare le tue ferite?
Ovviamente no.
Come diceva la profezia, un umana l’avrebbe distrutto. Sarah non voleva distruggerlo, ma la sua scomparsa, saperla nelle mani di Amlach, stava corrodendo il Re da dentro.
Mentre Ninfe e Gnomi e Troll discutevano tra loro quale fosse il piano migliore per attaccare su due fronti, Jareth si avvicinò alla finestra, guardò il cielo cremisi
“Sarah…” bisbigliò al vento
Sentì un rumore, come parole
“Sono più forte di te.” La voce di Sarah che riecheggiava nel vento, non l’aveva immaginata, era proprio la sua
“Sarah…” urlò Jareth sperando che la sua voce arrivasse all’amata
 



Sarah si fermò a prendere fiato, la milza stava per esploderle, non resisteva più, ma doveva correre
“Sono più forte di te.” Diceva
E all’improvviso si alzò un forte vento e udì la voce del suo Re che la chiamava e urlava, poteva sentire la disperazione nel vento
“Sarah…” urlava e urlava ancora
“Jareth…” bisbigliò lei, si guardò intorno “Sto arrivando.” E riprese la corsa verso la salvezza

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Capitolo 13
*** Mi presento, sono il Labirinto ***


Ain’t no sunshine when she’s gone,
only darkness everyday.

Ain’t no sunshine when she’s gone,
and this house just ain’t no home anytime she goes away.

(Ain’t no sunshine; Bill Withers)


 


 
Mi odio. Mi odio terribilmente.
Sono stato cattivo.
Quando è entrata per le mie molteplici strade sapevo già il suo destino con Jareth, lo sapevo appena l’ho guardata.
Volevo divertirmi un po’. Solo un po’.
Volevo che Jareth trovasse la compagna giusta per la sua pazzia.
Era colpa mia se era impazzito. L’avevo corrotto non appena era arrivato. Mi ricordo ancora il momento.
Il vento soffiava forte, sapevo che stava per succedere qualcosa e stavo allerta. Lo vidi all’ingresso. Era bello, giovane, sperduto e così gli parlai
“Ciao Sidhe.” Guardò il cielo spaventato
“Chi sei?!” urlava
“Sono il Labirinto. Chi sei tu?” mi volevo divertire
Jareth. Della corte Sidhe di Lord Urér.” Tremava di paura
“Perché sei qui?” mi interessavano veramente le sue motivazioni
Era stato esiliato perché aveva ucciso un suo compagno, non mi preoccupai più di tanto. Uccidere è una cosa che capita spesso. L’aveva ucciso perché l’aveva preso in giro. Logica motivazione.
Mi stava simpatico quel giovane Sidhe, aveva solo duemila anni quando si avventurò tra le mie strade e visto che mi piaceva lo ‘aiutai’ come potevo. Qualche volta gli facevo sbagliare strada per ridere un po’ ma poi lo rimettevo sulla via giusta, sempre più vicino al Castello, dove sarebbe stato al sicuro.
Parlavamo. E più parlavamo e più mi piaceva.
Mi disse che era figlio di Lord Urér, gli risposi che non mi importava, che tutta quella parte del Sottomondo non mi interessava, ero stato costruito da un mago in tempi antichi, ero stato costruito per il mago stesso che voleva vivere in solitudine. Il mago era pazzo e la sua pazzia venne trasportata nelle mie mura, nelle mie porte, nei miei passaggi segreti, nei miei abitanti.
Sapevo bene cosa si diceva su di me nel resto del Sottomondo ma non mi importava.
Jareth e io parlavamo
“Se vai dritto arrivi prima al Castello sai?”
“Mi stai mentendo ancora?” quando mi parlava guardava sempre il cielo vermiglio
“Sì!” risi “Scusa, è più forte di me.”
Lo conducevo
“Devi oltrepassare una di quelle due porte. Quella che ti sembra giusta, bussa e ti sarà aperto.”
Lui bussò alla porta di destra, il battente aveva l’anello in bocca, quello mugugnò qualcosa di incomprensibile e Jareth passò oltre. Si trovò nella foresta.
Non l’avevo avvertito della foresta. Rimasi a guardarlo senza dire niente. Lui canticchiava per tenersi su di morale, mi incuriosiva molto la sua canzone e la sua voce. Aveva una bella voce, pulita. Dolce e graffiante allo stesso tempo. Mi piaceva.
Dopo l’incontro con i Firey, stupidi animali pazzi dal pelo arancione acceso; Jareth riuscì a liberarsi di loro lanciando le loro teste lontano, corse via dalla foresta, un luogo che ricordò sempre con paura.
Raggiunse un enorme cimitero di quelli che io chiamo ricordi. I suoi abitanti erano vecchi uomini gobbi che raccoglievano quei ricordi sulla loro schiena. Jareth ne fu ricoperto. I suoi ricordi alla corte, i suoi ricordi più tristi.
Lo tirai fuori da lì appena in tempo. Non aveva amici nel Labirinto, solo il Labirinto stesso, cioè me.
Camminò, corse per arrivare alle porte del Castello. Doveva attraversare gli gnomi della città di Goblin. Gli gnomi, se non sotto ordine non avrebbero mai attaccato un Sidhe.
Io condussi Jareth attraverso la città. Gli gnomi lo guardavano impauriti. Lui li vide e cercò un contatto. Cantò di nuovo. Loro ne rimasero stregati e gli divennero amici. Gli divennero sudditi.
Entrato nel Castello seguito da quegli esseri verdi e rumorosi che mi rendevano ‘sporco’ ma divertito, lo condussi con parole dolci e seducenti verso il centro del Castello dove c’era una ripida scala e arrivati in cima c’era una sala con una teca di vetro
“Apri quella teca.” Gli chiesi
Lui si avvicinò e guardò la piccola collana dentro, il falcetto magico del mio costruttore.
“Prendilo. È tuo. Diventerai Re.” Mi guardò
“Sei sicuro?”tirò via il vetro e lo appoggiò per terra “Di chi era?”
“Di colui che mi ha costruito. Ora è tuo. Sei tu, ora, che vivi tra le mie mura. Sei tu che hai il potere. Ti darà magia, forza.”
Lo guardavo curioso delle sue azioni e speravo che lo indossasse. Avevo bisogno di magia per risollevare il mio vero potere.
Lo infilò al collo e sia lui che le mie pareti vibrarono di energia. Energia allo stato puro. Fummo invasi da pura magia. Tutto era così perfetto. Non si tolse mai quell’amuleto.
Ma Jareth, forse a causa mia, cominciò a impazzire. Mi chiese di costruirgli una stanza. Una stanza dei ricordi. Dove mettere tutta la parte triste della sua vita. Avrebbe potuto ricordare quando voleva, ma per sempre i ricordi sarebbero rimasti in quella stanza.
Quella stanza aveva una porta blu con un piccolo uccello intarsiato sopra, un pomello d’ora senza serratura. La piccola finestra era murata, i ricordi non devono avere luce per essere lasciati soli, un piccolo bagno. Tutto il passato triste di Jareth venne racchiuso all’interno della piccola stanza.
Il Sidhe per passare il tempo si inventò un gioco. Saliva nel Sopramondo con la sua forma di rapace, volava sulle città, guardava gli umani e li seguiva e quando qualcuno minacciava il figlio di farlo rapire dagli gnomi, lui si presentava. Prendeva il bambino dalla culla e offriva l’opportunità ai genitori di salvare il loro figlio. Gli dava tredici ore per superare le mie vie e arrivare al Castello ma mai nessuno arrivava. Qualcuno ci provava ma le tredici ore scadevano e tornavano nelle loro case dimenticando tutto, dimenticando di avere un figlio. Quel bambino veniva trasformato in gnomo, piccolo, verde e urlante.
Mi divertiva la cosa anche se era molto crudele.
Poi arrivò Sarah.
Capii subito che tipo di ragazza era quella. Giovane, sveglia, attraente. E Jareth la voleva.
Sapevo che l’amava. Qualcosa negli occhi di lei l’aveva incantato.
Notando il percorso di Sarah notai simili scelte tra lei e Jareth, lo stesso percorso, gli stessi sbagli.
L’unica differenza era che Sarah aveva trovato degli amici. Jareth odiava tutti e si faceva odiare da tutti, tranne che da me. Io lo amavo.
Spinsi Sarah tra le braccia del Sidhe conoscendo ogni conseguenza delle mie azioni.
Piano i due impararono ad amarsi. Li vedevo. Per quanto preferissi il Jareth crudele e spietato, adoravo il suo lato dolce e comprensivo con l’umana.
Sarah era bella, mi ero innamorato di lei, come mi ero innamorato di Jareth.
Nei mesi passati con Sarah, mi feci più luminoso, più splendente e più felice. Ma la mia felicità  pretendeva qualche scherzo.
La sua vivacità era la mia, le sue lacrime erano le mie, i suoi dolori erano i miei.
Mi ero divertito, lo ammetto, quando Jareth le aveva fatto capire che non se ne sarebbe andata facilmente, quando Jareth abusò di lei. Ero crudele.
Poi cominciarono ad amarsi e io mi sentii vivo. Più vivo di quanto mai fossi stato.
Poi tutto andò storto.
Volevo divertirmi. E mi odio per questo, mi odio veramente.
Sapevo benissimo i pensieri di Sarah, i pensieri di Jareth, i pensieri di tutti quelli che erano passati per le stanze del Castello. Sapevo cosa turbinava nella mente di Lady Celil quando conobbe Sarah per la prima volta ma non pensavo sarebbe arrivata a tanto.
Sapevo benissimo cosa comportava mentire a Jareth sui pensieri di Sarah nei confronti di Amlach. E sapevo benissimo cosa comportava mentire a Jareth sul colloquio tra i due.
Sarah passò un periodo buio, io rimanevo zitto, ascoltavo i suoi discorsi silenziosi, ascoltavo le sue lacrime, i suoi dubbi. Sapevo tutto di lei. Sapevo cosa la spaventava.
Involontariamente, una mattina la condussi nella stanza privata dei ricordi di Jareth e lei si mise davanti a una decisione: Jareth o il Sopramondo.
Speravo di divertirmi e cercai di convincerla a chiamare l’Elfo ma lei fu più forte e rimase con Jareth.
Sapevo anche che Amlach era fuori dalle mie porte quando Jareth scomparve con la madre per quell’ora ma comunque non avvisai il mio Re. Non so perché lo feci. Forse avevo paura.
Quando lei venne rapita ero divertito, pensavo fosse tutto un gioco. Ma non lo era. Non lo era mai stato.
Quando Sarah se ne andò mi sembrò tutto buio. Se n’era andata e sia io che Jareth stavamo morendo in quanto la mia forza dipendeva dalla sua. Ci stiamo distruggendo anche adesso a pensare a quella ragazza, fragile creatura umana.
Non c’è sole nelle nostre esistenze da quando se n’è andata e mi sento fragile, come di vetro.
E Jareth si sente come me. Deboli. Siamo deboli. Ma proviamo a curarci, non ci riusciamo perché non c’è nulla a confortarci, nessuna risata argentina a rincuorarci e a renderci più potenti, a darci energia.
E ora che Jareth vuole dichiarare guerra su due fronti, non so come comportarmi. Pensa che questo lo aiuterà a recuperare la vecchia forza, a vendicarsi. A riavere Sarah.
Sarah era il sole di Jareth, la sua linfa vitale.
Ho fatto una cosa orribile ai due. O meglio, ai tre.
Perché quando Sarah venne rapita era incinta.








Angolo autrice
Ciao a tutti! Ci tenevo a spiegare questo capitolo.
Volevo dare una voce anche al Labirinto. Volevo spiegare la sua versione di tutto, un po' del passato di Jareth e di quello che il Labirinto "prova" per il suo Re. 
Gli ho voluto dare una coscienza e volevo che si rendesse conto che quando consigliava a Sarah o a Jareth cosa dire, quando rivelava i veri pensieri di entrambi in realtà voleva solo divertirsi e che per quanto tenesse al suo Re e alla giovane Sarah ha combinato un bel casino mettendosi in mezzo o stando zitto. 
Per quanto sia stato cattivo, il nostro Labirinto ha pur sempre quella che si può definire un'anima e è fin troppo cosciente dei fatti accaduti e ha paura di morire, ha paura che il suo Re muoia e vorrebbe veramente aver fatto delle scelte diverse per proteggere il suo Jareth e la sua Sarah.
Un bacio a tutti e al prossimo capitolo

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Capitolo 14
*** Non mi avrai ***


La forza che è dentro di me
è fuoco, terra e inquietudine.
Combatterò, non perderò
l’orgoglio di un guerriero che non muore mai!
(Non mi avrai così; Zucchero)

 


 
Sarah correva all’impazzata. Geemo si teneva stretto ai suoi capelli e le indicava le strade da percorrere.
Le fiaccole si avvicinavano sempre di più e aveva paura di essere vista e se fosse stata vista allora non ci avrebbero messo troppo a catturarla.
Doveva riprendere fiato. I piedi le facevano male, tutto il suo corpo era in tensione. I nervi tesi a sentire ogni piccolo rumore, ogni piccolo fruscio d’aria.
Si appoggiò a un tronco secco e respirò affannosamente
“Geemo… Ho paura di essere catturata.” Respirò
Le lacrime cominciarono a rigarle il volto. E le domande cominciarono ad affollarle la mente. Aveva paura di non farcela. Di morire. Voleva lasciarsi morire. Si lasciò scivolare lungo il tronco sedendosi per terra e si abbracciò le gambe
“Io non sono poi così forte. Non lo sono mai stata.” Tratteneva i singhiozzi
Geemo guardava quelle perle di acqua che le cadevano sulle gote
“Sarah… è il bosco che ti fa questo effetto. Tu sei forte. Per amare il Re del Labirinto bisogna essere forti, per vivere nel Sottomondo bisogna essere forti, per accettare una sfida con Amlach bisogna essere forti. Tu sei la persona più forte che io conosca. Il bosco ti sta stregando, lui vuole la felicità di Amlach. Ma tu sei forte. Pensa a quanto sei stata forte quando hai attraversato il Labirinto per salvare quel bambino.” Le bisbigliava all’orecchio
“Ma poi ho ceduto e sono rimasta con Jareth…” guardava le luci che scoppiettavano in tutte le direzioni
“E ci vuole coraggio per amare. Tanto coraggio.”
Le luci andavano dall’altra parte del bosco. Sarah fece un profondo respiro
“Devo combattere fino alla fine vero?” chiese a sé stessa ma Geemo rispose lo stesso
“Si. Fino alla fine.”
“E allora combattiamo.” Sarah si alzò e cominciò a camminare, piano, stando attenta a dove metteva i piedi per non schiacciare nessun ramoscello, per non fare rumore
Geemo la guidava. Lei si fidava di lui e lui cominciava a esserle amica
“Sai… c’è un sacco di gente che vorrebbe essere tua amica in questo bosco ma hanno tutti paura di Amlach.”
Sarah guardava il terreno e mentre stava attenta a dove poggiare i piedi rispose
“E tu non hai paura?”
“Si.” Lei rimase confusa “Ma faccio una scelta. Preferisco una parte che mi sembra giusta.”
Sarah si sentì rincuorata ma i problemi ricominciavano ad affollarle la testa.
Sapeva benissimo di essere incinta. L’aveva saputo un paio di settimane prima di entrare nella stanza dalla porta blu. Per questo si sentiva male e voleva chiamare l’Elfo per farsi riportare a casa ma aveva deciso di parlarne a Jareth, poi non c’era stata occasione e aveva preferito aspettare di dirgli quel –Ti amo- che aveva sulle labbra da mesi.
Si era tenuto tutto dentro ma ora… non doveva combattere solo per se stessa, combatteva per Jareth e per quella creatura che cresceva nel suo ventre.
 


Per aiutare Jareth erano giunte anche alcune Banshee. E per quanto il loro aiuto sarebbe stato potente, Jareth non riusciva a rallegrarsi.
Grifoni e Aquile decisero di schierarsi dalla parte del Re di Goblin e ovviamente Ludo, Hoggle e Sir Didymus vollero partecipare alla battaglia per riprendersi la loro Sarah.
Jareth marciò, per prima cosa, contro il palazzo Sidhe di Lord Urér e Lady Celil.
Urér, anche se odiava la moglie, dispiegò ogni sua forza.
L’esercito era allineato su più file davanti alle mura del Castello e della città. I fanti in prima linea, seguiti dai cavalieri e sulle mura stavano gli arcieri, pronti a tirare al segnale del comandante.
L’esercito di Jareth si fermò dietro al Re di Goblin che indossava l’armatura da guerra argentata, il falcetto poggiato al petto. Cavalcava un Grifone  che raschiava il terreno con le zampe di uccello e scalpitava, ruggiva, muoveva le grandi ali pronto ad attaccare al primo segnale.
L’esercito del Re del Labirinto era vastissimo. Contava più di 30.000 guerrieri e guerriere. In prima linea i Berretti Rossi, veloci e crudeli, le Ninfe come cavalleria sui loro destrieri d’acqua, fuoco o erba, i Troll e gli Orchi subito dopo con le loro potenti mazze chiodate e la loro forza bruta. Grifoni e Aquile sulle montagne intorno, pronti a spiccare il volo. Su di loro gli Gnomi della città di Goblin armati di pietre.
Jareth aveva impedito di prendere parte alla battaglia agli amici di Sarah. Voleva proteggergli, se si fossero fatti qualcosa Sarah ne avrebbe sofferto.
Jareth parlò alle truppe, la voce usciva calda e sicura
“Oggi combatteremo. Combatteremo come se fosse l’ultimo giorno della nostra vita. Combatteremo per riprenderci ciò che ci è stato tolto.” Fece una lunga pausa e guardò le file “Ci è stata tolta la dignità di vivere, ci è stata tolta la nostra casa.” Urér e consorte sovrastavano di tasse la popolazione più debole per poter vivere nello sfarzo e dopo l’esilio di Jareth, l’unico che cercava di porre un freno alla loro sete di oro, tutto era precipitato in un baratro “Ci hanno tolto tutto. Combattiamo per riprendercelo! Combattiamo per noi stessi! Combattiamo per vivere!” Jareth si voltò di nuovo verso il Castello “Per Sarah.” Bisbigliò
Sguainò la spada verso il cielo
“Sarah…” urlò forte
Il Grifone si alzò in volo e le prime file cominciarono a muoversi verso l’altro esercito.
I Sidhe dell’esercito di Urér stavano immobili, aspettavano un ordine. I Berretti Rossi correvano con i loro piccoli ma affilati pugnali.
I Sidhe cominciarono a marciare ma la maggior parte venne sopraffatta dai Berretti Rossi, attaccavano in gruppo e si concentravano su un solo soldato. Lo abbattevano e lo uccidevano sgozzandolo.
Il sangue cominciò a diventare il colore dell’erba del campo di battaglia.
Partì da entrambi i fronti la cavalleria, le Ninfe si destreggiavano bene ma la cavalleria Sidhe era molto più potente.
Jareth notò che il vantaggio preso in precedenza stava calando. Urlò dall’alto e i Troll e Orchi si mossero pesantemente, cominciarono a colpire con le clave i soldati nemici che venivano sbattuti contro le mura. Gli arcieri fecero cadere una pioggia di frecce. Colpirono Troll e Orchi che non demorsero e continuarono a farsi strada tra le file nemiche.
Aquile e Grifoni si alzarono in volo, gli Gnomi sul loro dorso lanciavano le pietre acuminate sugli arcieri. Alcune Aquile vennero colpite e si schiantarono al suolo morendo, per i Grifoni fu lo stesso ma l’esercito del Labirinto era più potente.
Jareth vide che un gruppo di Ninfe in difficoltà, calò e scese in battaglia.
Uccise, ferì e si sporcò le mani di sangue fratello. I soldati lo guardavano implorando pietà ma Jareth non conosceva quella parola, ne aveva dimenticato il significato dopo mille anni nel Labirinto.
L’esercito di Urér venne sconfitto rapidamente e riuscirono ad aprire un varco nelle mura. Jareth oltrepassò con altri membri dell’esercito le mura e senza trovare impedimenti arrivò al palazzo.
Aprì le porte.
L’elite della corte Sidhe si nascondeva all’interno della sala del trono.
Vennero bloccate le uscite e il Re di Goblin si diresse a grandi passi verso Lord Urér e Lady Celil. Sorrise
“Dimmi, papà…” lo guardò “Che sovrano è uno che entra in guerra e che non vi partecipa, lasciando a morte certa tutto il suo regno?” lo guardò, il volto sporco di sangue dei suoi simili
Non si aspettava una risposta, si rivolse all’intera corte
“Non sono venuto qui per impadronirmi del trono di mio padre. Non sono venuto con intenzione di distruggere le vostre belle case o violentare le vostre figlie o mogli. Sono venuto a prendermi ciò che è mio.” Guardò alcuni membri dell’esercito del Labirinto che lo ascoltavano “Sono venuto a ridare ciò che è di questa gente, che voi avete preso.” Guardò la madre “Sono venuto a riprendere ciò che è mio.”
Lady Celil lo guardò
“Non ce l’ho io la tua ragazza…” sorrise “A quest’ora sarà morta.” Sfrontata lo guardò negli occhi
Jareth l’afferrò per il collo
“Se è veramente come dici, comincerei a pregare.” La fece schiantare contro il muro
Alcune serve le corsero incontro ma vennero bloccate dalle Ninfe, Lady Celil si rialzò, le colava sangue dalla tempia
“E ora cosa hai intenzione di fare figlio?” aveva grande coraggio
Lui le schiantò addosso uno sguardo di fuoco ma non rispose. Ora l’unica cosa che importava era andare a Randϋr e riprendere Sarah.
 


Ormai l’alba era vicina e Sarah era ancora nel centro del bosco. Correva. Voleva vivere. Doveva vivere.
Vedeva la luce rossastra tra i tronchi, l’alba stava comparendo all’orizzonte. Doveva correre
“Geemo quanto manca.” Piangeva, continuava a correre
“Corri Sarah. Non ti fermare. Sempre dritto.” Sapeva anche lui che non ce l’avrebbe fatta ma le dava coraggio “Corri.”
Sarah correva dritto, saltava i tronchi caduti, non le importava se la sentissero con i suoi schianti. Non le importava se sentissero le foglie scricchiolare sotto i suoi piedi o i legnetti rompersi. Sapeva anche lei di essere spacciata ma continuava a correre.
Sentiva le risate dietro di lei, sentiva Amlach così vicino.
Il cuore le batteva nel petto, un –boom, boom- frenetico, aumentava sempre di più.
Si ripeteva il suo mantra
“Sono più forte di te.” E correva, correva veloce
Il sole cominciò a farsi vedere. Non c’era più tempo. Ma continuava a correre, se non la trovavano forse…
Correva. Gli Elfi la inseguivano saltando da un albero all’altro, ululavano chiamandosi l’un con l’altro, Sarah li sentiva, si voltò a guardare, ne aveva un paio alle spalle di un acceso color porpora. Si voltò e si fermò urlando terrorizzata, le lacrime lungo le guance. I singhiozzi. Il cuore che batteva all’impazzata che piano rallentava. Respirava affannosamente. Guardò Amlach che a pochi centimetri da lei sorrideva.
Sarah singhiozzava, dal terrore, dalla frustrazione per non avercela fatta, si ripeteva –mancava poco, mancava poco.- e piangeva.
Rimase ferma. Non tentò di fuggire, non ne aveva neanche più la forza di fare uno scatto. Aveva perso.
Geemo guardò il Re terrorizzato e si nascose tra i capelli di Sarah. Amlach l’aveva notato ma non disse niente, per il momento.
La ragazza venne accerchiata e incatenata, di nuovo. Amlach le prese il mento tra le dita
“Correvi proprio bene.” La guardò negli occhi coperti dalle lacrime “Ti avevamo vista appena siamo entrati nel bosco. Ma volevamo divertirci un po’.” Rise e si spostò da lei, gli Elfi risero con lui “Sai, è da tanto che non diamo la caccia a nessuno. Non potevamo farla finita subito.” Schioccò le dita “Portela nella sala del trono.” Rise di nuovo vedendola trascinare via “Ci divertiremo un po’ tutti con quella piccola umana.” Li seguì guardando il suo bosco e ridendo.
 


Sarah venne incatenata al trono e picchiata ripetutamente dalle guardie. Si sentiva perduta e disperata, Jareth non si era ancora fatto vedere e pensava di essere stata abbandonata.
Si mise in un angolo alla base del trono e si abbracciò.
Gli Elfi la guardavano, si avvicinavano e poi correvano via quando lei alzava lo sguardo. Divertiti, incuriositi, maligni. Le tiravano pietre per vedere le reazioni. Sarah si proteggeva come meglio poteva, proteggeva se stessa e il bambino dentro di sé.
Il Brownie si calò sulla sua spalla e le parlava
“Sarah devi reagire. Reagisci.” Ma non ce la faceva, stava lì a tremare
Amlach entrò trionfante. Il sole dietro di lui che lo illuminava, rideva. Rideva di gusto.
Seguito dai suoi fedeli amici Sistas e Romiel, dietro di loro un altro gruppo di Elfi ed Elfe che ridevano e si raccontavano gli aneddoti sulla caccia di quella notte.
Amlach vide Sarah raggomitolata contro il trono, le catene al collo e alle caviglie.
Piangeva silenziosamente. L’Elfo tirò una catena e lei venne trascinata verso di lui, la fece alzare e la mostrò a tutti
“Ecco!” rise e la tirò ancora più vicino “Ecco a voi la Regina del Labirinto. Sarah!” la guardò come si guarda un animale, soppesandola “Adesso che non hai scampo sei molto più bella.”
Sembravano quelle stesse parole che le aveva rivolto Jareth non appena aveva fatto il patto. Si sentì ancora più disperata, il mondo che si era appena riuscita a ricostruire era crollato.
La tirò per i capelli
“Allora.” Le lecco il collo “Cosa vogliamo fare con questa umana…” la spostò violentemente da sé e si rivolse agli Elfi “Cosa devo farne di lei?!” tutti risero, Amlach si rivolse a una delle Elfe serve “Staccala da quella catena e lavala, odio le cose sporche.” Sarah venne slegata e affidata all’Elfa “Poi portala nella mia stanza.” Il sorriso e la risata raggelante “Voglio divertirmi.”
Sarah venne portata via quasi a forza. Piangeva a testa bassa. Voleva morire all’istante per non cadere nelle mani di quell’essere. Voleva morire ma quella piccola creatura nascosta nei suoi capelli le sussurrava
“Combatti Sarah, combatti. Devi vivere.” Cercava di darle coraggio
Doveva combattere. Lo sapeva anche lei. Se non per se stessa doveva farlo per quel bambino che cresceva nella sua pancia.
 


Jareth si spostò con il suo esercito verso la foresta di Randϋr. Deciso, questa volta, a distruggere tutto. A distruggere Amlach e tutta la sua razza.
Volava sul Grifone. Volava alto.
Non sapeva se Sarah fosse viva, non sapeva cosa le avessero fatto. Sperava solo di ritrovarla. Se fosse morta non avrebbe saputo come reagire, probabilmente la disperazione l’avrebbe distrutto lentamente, facendolo soffrire e logorandolo col passare del tempo.
Guardò il suo esercito che marciava imperterrito e potente. Probabilmente gli Elfi non sapevano dell’imminente battaglia e questo gli portava un vantaggio.
 


Amlach entrò nella sua stanza. Sarah era lì, legata al letto per le mani, incapace di muoversi. Il Brownie era stato trovato e messo in una piccola gabbia appesa nella sala grande.
Amlach odorò Sarah
“Ora sì che hai un buon profumo piccola umana…” la slegò “Ti libero così avrò da che divertirmi a catturarti, di nuovo, e farti mia per sempre.” Si piegò su di lei
Sarah colse l’occasione e gli tirò un calcio nell’inguine e cercò di correre via.
Amlach soffocò una risata
“Mi hai fatto male.” La inseguì “Dove credi di scappare umana!”
Sarah correva cercando di schivare le prese dell’Elfo e si dirigeva verso la porta spaventata ma il desiderio di essere libera la incoraggiava.
Amlach riuscì ad afferrarla per una caviglia e la trascinò sul pavimento, in un attimo le fu sopra. Sarah non demordeva e lo graffiò cercando di liberarsi ma lui dopo una lugubre risata, le bloccò le mani sul pavimento
“Guarda cosa hai fatto, sciocca. Mi hai sfigurato!” le aveva piantato gli occhi gialli addosso
Sarah rise nervosa
“Almeno adesso sei più bello.” Gli sputò in faccia ma tutto quello che ebbe come reazione fu la risata di un pazzo
D’improvviso la porta della stanza si spalancò e delle guardie corsero dentro
“Mio Re!” Amlach si alzò infuriato, nero dalla rabbia, ma prima che potesse parlare le guardie gli dissero di guardare fuori quello che accadeva
Amlach spalancò le finestre e uscì sul balcone di quercia. L’esercito di Jareth era schierato al limitare del bosco. Lui volava alto nel cielo e guardava verso la finestra, il respiro profondo venne percepito dall’Elfo
“È il Re del Labirinto, mio signore.” Disse una guardia
Sarah sentì quelle parole. Si alzò in piedi e corse verso il balcone, l’adrenalina le scorreva nelle vene, scansò Amlach e uscì fuori. Si aggrappò al parapetto e urlò
“Jareth!” urlò più forte “Jareth!” finché il suo Re non si voltò a guardarla
Jareth la vide appena in tempo, tirata dentro da Amlach che la gettò a terra.
L’Elfo avrebbe sofferto e avrebbe sofferto per sempre. L’avrebbe distrutto.
Sarah schiacciata a terra, si sollevò sulle mani, guardò fuori dalla finestra
“Non mi importa quanto mi picchierai o quanto mi farai del male. Ora che so che lui è vivo, mi difenderò con ogni mezzo a mia disposizione.” Si voltò verso Amlach “Non mi fai più paura. Sei tu quello che ha paura Elfo, paura di rimanere solo, paura di rimanere con te stesso. Paura di perdere, perdere ciò che non hai mai avuto.” Si avvicinò sempre di più “E tu non hai mai avuto il potere e non avrai mai me.”
L’attaccò al regno elfico iniziò.

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Capitolo 15
*** Non lasciarmi morire da solo ***


If I died in your arms
Would you then give me your love?
Would you tell me that you need me
And that I was the one?
(If I died in your arms; Devil Doll)

 

 
 
Il giorno della battaglia finale era arrivato. In entrambi gli schieramenti la tensione era palpabile e probabilmente quasi nessuno era riuscito a dormire.
Jareth ci aveva messo un giorno ad arrivare con tutto l’esercito e durante la notte, ignaro della tentata fuga di Sarah aveva organizzato l’accampamento.
Il Re di Goblin si era vestito con calma, seguendo il suo solito rituale: pantaloni, casacca, gambali, bracciali, armatura, elmo. Prese spada e scudo e si avviò.
Mentre si preparava sapeva che le probabilità di vittoria contro gli Elfi era poca ma doveva provarci, per Sarah.
In quel momento si rese conto che avrebbe dovuto dire ‘ti amo’ una volta di più… ma ormai era troppo tardi, ormai quasi tutti i suoi soldati erano pronti e in lontananza si poteva vedere il Castello di quercia degli Elfi. Non parlò con nessuno. Tra le schiere c’era un silenzio assordante.
Il silenzio prima della battaglia.
Jareth montò sul suo Grifone e volò in alto per controllare la vastità della foresta e non potè non vedere la sua Sarah urlare il suo nome da quella finestra e venir trascinata dentro da Amlach. Non poteva sopportarlo e decise di andare subito verso lo scontro.
Scese dalla sua cavalcatura e si posizionò al limitare del bosco.
Parlò ancora una volta alle truppe
“Oggi,” urlò “è il giorno della battaglia finale. Attraverseremo il bosco perché quella è l’unica strada. Non dividetevi, rimanete tutti uniti: è l'unico modo per avere meno perdite possibili. Guardatevi le spalle l’un l’altro, soccorretevi se necessario.” Diede un’occhiata al rumorio lacerante degli albero dietro di sé “Cercate di tenere duro il più a lungo possibile. Dobbiamo passarlo tutto.” guardò verso il Castello degli Elfi
Il frastuono del bosco era logorante
"ORA!" urlò Jareth
Le Ninfe accesero un fuoco intorno all’esercito, un fuoco magico che li avrebbe protetti durante la traversata e cominciarono ad addentrarsi.
I berretti rossi, più svelti e più attenti, correvano superando le liane e le spire degli alberi che si difendevano dal rogo. Afferravano per le caviglie i soldati trascinandoli nell’oscurità, di loro si sentivano solo le urla strazianti.
Amlach, che controllava il bosco, aveva dato l’ordine di lasciar passare solo il Sidhe per attenderlo nella sala del trono dove l’avrebbe distrutto per sempre e avrebbe, finalmente, preso Sarah.
Jareth camminava attento a dove metteva i piedi, i soldati lo seguivano ma molti vennero presi.
I Grifoni e le Aquile si stagliavano nel cielo azzurro e gridavano emettendo appuntiti strilli avvertendo l’esercito che stavano per essere attaccati dal bosco.
Le Ninfe, sentendo le grida dei morti decisero di accendere il fuoco anche tra le piante più secche così che si propagasse anche in tutto il resto del bosco. Controllavano che le fiamme non attaccassero anche il capo dell’esercito e i soldati limitandolo a distruggere il bosco oscuro.
Le piante e i rovi urlavano tra le fiamme ardenti.
Amlach guardò il suo bosco bruciare e gli occhi divennero due sottili fessure d’odio. Camminò pesantemente verso la gabbia di Sarah, dove l’aveva fatto rinchiudere, la portò davanti alla grande finestra
“Guarda Sarah.” La obbligò a guardare il bosco in fiamme “Guarda il mio bosco che brucia. La mia vita letteralmente in fiamme.” Le tirò uno schiaffo facendola schiantare a terra “Pagherai tu per tutto questo.”
Sarah rimase immobile a terra con la mano sulla guancia, quasi lacrimava ma si tratteneva
“Non vincerai Amlach. Lui è più forte.” Guardò fuori dalla finestra sperando che il Re del Labirinto potesse vederla
Il bosco era ormai in fiamme e i soldati aspettavano solo che smettesse di bruciare per poter proseguire indenni.
Non appena il tetro bosco smise di urlare morendo, l’esercito cominciò a muoversi.
Gli Elfi cominciarono a schierarsi.
Non erano abili combattenti e il bosco era l’unica cosa che li proteggeva dagli attacchi, riuscivano a nascondersi e attaccare nel buio. Ora erano perduti ma comunque si schierarono a protezione del loro regno.
Avevano paura e tremavano. Nessun capo aveva parlato loro come Jareth aveva fatto alle sue truppe e non sapevano per cosa combattevano. Solo per la vita. Molti volevano perfino andarsene, lasciare cadere le armi ma aveva più paura di Amlach che di morire.
 


L’esercito proseguiva tra i tronchi secchi e anneriti. Si poteva ancora sentire il latrato morente della vita di quell’antica foresta stregata.
Arrivarono dopo ore di marcia davanti alle porte del Castello.
Gli Orchi furono incaricati di aprire le porte che vennero sfondate.
Alcuni Elfi arcieri scagliarono le loro frecce, sapevano che sarebbero stati sconfitti ma avevano bisogno di una speranza anche loro.
Le Banshee e i Berretti Rossi salirono sulle mura e attaccarono.
Vedendosi entrare quell’enorme esercito capeggiato dal Re folle del Labirinto, gli Elfi vennero colti dal più crudele dei nemici: la paura.
Ci fu chi si inginocchiò chiedendo pietà, chi lasciò cadere le armi e gli scudi, chi pianse aggrappandosi al mantello del Re.
Jareth li guardò con disgusto. Forse avrebbe dovuto provare pietà per quegli esseri che tanto gli assomigliavano per pazzia ma che tanto gli erano differenti per quella che Sarah chiamava umanità.
Sguainò la spada
“A questi ci penso io.” e cominciò a spargere il sangue di quelle creature
Ne afferrò uno che lo guardò negli occhi e provò dolore ed empatia, lo lasciò andare, lo vide fuggire con i pochi sopravvissuti verso lo scheletro del bosco
“Lasciateli andare. Non meritano di vivere ma neanche di morire.” I soldati sparpagliati nel Castello smisero di far sgorgare il sangue nero e sporco degli Elfi
Mentre fuggivano lasciavano giù armi o pezzi di armatura per correre più veloce, per sfuggire al morso delle spade.
Avevano vinto contro un misero esercito impaurito.
Quello che Jareth voleva era Amlach, voleva trovarlo e distruggerlo.



Jareth camminò sorpassando i cadaveri di soldati di entrambi gli eserciti, si addentrò nel Castello silenziosamente.
Si poteva solo udire la risata rauca di Amlach che scappava.
Quel vigliacco scappava e scappava con Sarah.
Il Re del Labirinto raggiunse la sala del trono dove trovò solo silenzio. Vide le catene legate al trono dove era stata messa Sarah e vide una piccola gabbia dove un piccolo essere si agitava. Si avvicinò e guardò il Brownie
“Tu sei Jareth?” chiese prendendo tra le mani le sbarre
“Sì. Dov’è andato Amlach?” chiese duro
“Sarah mi ha parlato di te. È andato di là.” Indicò un passaggio segreto che nella fretta della fuga era rimasto aperto “Corri se vuoi ritrovarla.”
Jareth prima di andarsene aprì la gabbia e poi corse all’inseguimento
“Grazie Re.” Urlò Geemo fuggendo dalla parte opposta
Jareth corse nell’oscuro cunicolo umido. Sentiva il rimbombare dei passi di due persone, il passo di Sarah era più pesante perché umana e poi c’era quello impercettibile di Amlach che non smetteva di ridere istericamente
“Vieni Jareth. Vieni a riprenderti la tua bella Sarah.” Urlava dalle profondità
Il Sidhe sapeva che era una trappola, cercava di ragionare con razionalità ma il pensiero di Sarah chiusa in una gabbia, in catene e abbandona lo faceva impazzire.
Correva seguendo la voce stridula di quell’essere e ripeteva
“Fatti vedere! Esci razza di mostro.” La spada sguainata e le orecchie attente a qualsiasi rumore
Quel cunicolo sembrava non terminare mai e proseguiva sempre più in basso e continuava a stringersi tanto fino a che Jareth non fu costretto a mettersi carponi e strisciare fino a una porta grande il giusto per essere attraversata.
Uscì e si ritrovò sopra le mura del Castello.
Il vento soffiava forte e trasportava le ceneri del bosco.
Si udì la risata rauca dell’essere e le urla di Sarah, Jareth si diresse verso le urla ma Amlach comparì come fumo dietro di lui e lo colpì
“Allora come va Re?” gli chiese ridendo
Jareth fu subito in piedi
“Adesso meglio!” gli tirò un fendente
I due si fronteggiavano sul torrione più alto. Le lame che stridevano ed entrambi ancora incolumi, si affrontavano a pari merito. Forse Jareth aveva un ottimo gioco di gambe ma Amlach era più veloce nello schivare.
Entrambi gli eserciti rimasero a guardare lo scontro inermi. Ormai tutti speravano nella vittoria del Re del Labirinto, anche gli Elfi.
Con un sorriso scaltro Amlach distrasse Jareth e lo colpì al fianco, subito ci fu la risposta dall’altro combattente e gli fece una profonda ferita sul braccio.
Sarah riuscì a liberarsi dalle corde che la tenevano imprigionata nella torre e corse sulle mura a vedere. Fu il suo più grande errore, Jareth la notò e si distrasse, Amlach con un sorriso e gli occhi da pazzo lo colpì nello stomaco.
Lo guardò agonizzare e poi estrasse la spada sanguinante dal suo corpo che cadde sulle pietre delle mura, Sarah corse da lui
“Jareth.” Urlò prendendolo tra le braccia, piangeva, le lacrime sgorgavano a fiumi
“Sarah…” mormorò lui “Sei viva.”
Lei lo baciò
“Si amore mio. Sono viva.” La voce tremava, gli teneva la testa sulle ginocchia sbucciate “Siamo vivi.” Prese una sua mano e la mise sul ventre “Devi vivere anche tu Jareth. Per me. Per il tuo bambino che cresce dentro di me.” singhiozzò
Jareth sorrise sputando un po’ di sangue
“Ti amo Sarah.” Sorrise stanco “Scusami se non riuscito a proteggerti come dovevo.”
Lei lo baciò ancora e gli accarezzò i capelli
“No Jareth.” Ormai i singhiozzi avevano preso il sopravvento e le parole non erano più capibili “Tu mi hai dato qualcosa per cui vivere davvero. Mi hai dato amore e ti ringrazio.” Un altro bacio
“Smettiamola con tutta questa scenata piccioncini.” La voce stridula di Amlach “Hai perso Jareth. Ora lei è mia.”
Jareth emise una risata soffocata e sputò ancora sangue, strinse il falcetto tra le mane e mormorò una magia. Un vortice di luce si stagliò nel cielo e come un uragano travolse il corpo esanime di Jareth infondendogli nuova vita
“Non credo che io abbia perso Elfo.”
Ci fu paura negli occhi del Re degli Elfi, ci fu orrore e ci fu perfino ammirazione nei confronti delle infinite risorse del suo avversario
“Mi congratulo con te vecchio mio.” Riprese la spada “Ma ho comunque vinto.” Con uno scatto afferrò Sarah e la usò come scudo mettendole la spada alla gola “Se fai un passo la uccido.”
Jareth si bloccò pensandosi ormai perduto ma notò un sorriso sulla faccia di Sarah, un sorriso furbo, sfilò il coltello dalla cintura di Amlach
“Ti ho già detto che non puoi vincere.” E con un colpo deciso gli piantò tutta la lama nel petto
Crollò trascinandola a terra con sé, emise una risata ancora più rauca
“Ciao Sarah.” Lei si alzò ma lui la teneva per il polso “Io volevo amarti sai?” lei non rispondeva
Amlach cominciò a tornare del suo colore naturale, la pelle olivastra, i capelli di vite blu. Gli occhi si bagnarono di lacrime
“Sei riuscita a sconfiggermi.” Rise ancora “Lo so che non te lo dovrei chiedere, dopo tutto quello che ti ho fatto.” Sarah si trascinò provando pietà verso quell’essere
“No, non hai il diritto.” Mormorò lei
“Eppure sei qui.” Rise “Posso morire tra le tue braccia? Posso sentire la tua voce prima di morire?” tossì tenendosi la pancia squartata
Sarah provando pietà e compassione per il suo aguzzino, sempre solo e ormai impazzito, gli prese la testa tra le mani e la fece appoggiare sulle cosce.
Il corpo di Amlach disteso davanti a lei ormai morente
“Mi dispiace Sarah. Dimmi una bugia, dimmi che mi amavi. Io ti amavo. Ho solo sbagliato modo di dimostrartelo. Potrai mai perdonarmi?”
Sarah gli accarezzò gentile la fronte, non se lo meritava e lo sapevano entrambi
“Sì.” Ma Sarah decise di perdonarlo lo stesso, era solo un povero pazzo “Ti perdono Amlach.”
Ma lui era già morto. Un flebile respiro aveva emesso prima di lasciarsi andare, le mani erano crollate sui fianchi senza vita. Gli occhi gialli rimasti aperti a guardare il cielo grigio.
In quel momento Sarah provò un senso di vuoto e di smarrimento, sapeva benissimo che Amlach era un mostro ma forse si meritava una morte migliore e più degna della sua pazzia. Notò delle piccole lacrime cristallizzate sui prominenti zigomi dell’Elfo, si chinò sulla fronte del morto e pianse. Pianse per la vittoria, pianse per essere riuscita a sopravvivere e a sconfiggere il suo mostro, pianse anche un po’ per Amlach, pianse silenziosamente.
Jareth si avvicinò a lei e le toccò una spalla, comprendeva perfettamente i sentimenti di Sarah perché sapeva benissimo che un po’ quella ragazza aveva amato l’Elfo ma non gli importava adesso. Adesso voleva solo tornare a casa
“Vieni Sarah.” Disse malinconico
“Sì.” Si alzò appoggiando delicatamente il volto di Amlach sulla pietra dura “Sì.” Ripetè guardando triste quel corpo freddo e solitario
Jareth l’abbracciò stretta al petto e la lasciò piangere accarezzandola delicato, la stringeva e in quel momento, solo per quell’istante il Sidhe pianse.


 

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Oh we can be Heroes,
just for one day.
(Heroes; David Bowie)



 
Sarah camminava tenendo per mano Hoggle e sulla spalla il piccolo Geemo che si era rifugiato sulla ragazza per sottrarsi ai dispetti del vecchio gnomo geloso
“Non capisco Sarah perché devi andare in giro con quel Brownie sulla spalla.” Borbottò lo gnomo rugoso
Sarah rise, la sua risata riecheggiò per le vie polverose del Labirinto
E da tanto che non ti sento ridere Sarah
Sarah sorrideva felice, ormai erano passati sei mesi dal rapimento e dalla morte di Amlach e ormai era un brutto ricordo, come un incubo.
Era tornata a casa con Jareth, al loro Castello e si sentivano eroi. Erano entrati tenendosi per mano come se niente fosse successo solo i lividi e i graffi dimostravano la brutale guerra che era stata affrontata, si erano seduti sul letto tenendosi per mano, stringendosi senza voler lasciarsi andare e Sarah guardò gli occhi di lui e aprì la bocca per dire qualcosa ma Jareth la zittì con un bacio.
Il bosco di Randϋr era tornato ormai rigoglioso e gli Elfi erano tornati a vivere nel Castello di quercia, avevano sepolto il corpo senza vita del loro Re sotto i resti del vecchio bosco e avevano ricominciato la loro vita controllati in ogni momento da delle guardie.
Sarah ormai era prossima al parto e adorava passeggiare per le vie del Labirinto accompagnata dai suoi amici. Hoggle sopportava poco Geemo ma sia Ludo che Sir Didymus gli erano amici.
La ragazza umana non aveva dimenticato la sua famiglia nel Sopramondo però non desiderava tornarci perché aveva capito che la sua vita era ormai con Jareth nel loro Castello, nel loro mondo. La loro vita.
Sta arrivando 
Bisbigliò il Dedalo.
Sarah si voltò con un sorriso e vide piombare sul terreno polveroso un barbagianni che si tramutò in uomo, in Sidhe, in Re di Goblin.
Jareth si avvicinò a Sarah e le diede un bacio sulle labbra affondando le dita nei capelli neri, mise una mano sul pancione e lo accarezzò
“Ciao creatura.” Sussurrò e sentì Sarah ridere allegra
La prese per mano e insieme presero a passeggiare per le vie del loro  Labirinto. Gli occhi verdi di lei persi in quelli azzurri spaiati di lui, un sorriso innamorato sulle labbra.
Amore, questo sconosciuto




Angolo autrice:
Ciao a tutti i lettori!
Questo è l'ultimo capitolo della mia fanfiction su Labyrinth.
Io spero vi sia piaciuta, ci ho messo l'anima dentro ogni capitolo (cosa che faccio con ogni storia) esprimo le mie emozioni e quello che provo attraverso la scrittura e spero di avervi trasmesso delle emozioni attraverso le parole
Devo ringraziare particolarmente

Mentos E CocaCola
anche se sei arrivata a storia già iniziata hai comune recensito ogni capitolo facendomi capire di esserti appassionata alla storia. Grazie mille perchè grazie a te sono riuscita a terminare la mia versione della storia.

Nimuecal e a DragonTheWise
Che dall'inizio hanno seguito la fanfiction e hanno recensito dandomi la voglia di proseguirla.

e infine ma non meno importanti 
Michey_Nichey; daliakate; solemare
Un grande bacio va anche a voi che avete letto la fanfiction.

Grazie a tutti quelli che hanno messo la fanfiction tra le seguite:
dragon_queen; Faith18; Kayleyn; Lady of the sea; Mentos E CocaCola; MercuryVit; Michey_Nichey; Nimuecal; oOBlackRavenOo; silvermoon e solemare

Un bacio grande a claupotter e a Mentos E CocaCola (ancora! ti è proprio piaciuta ahah) che hanno messo la fanfiction tra le preferite

Un enorme abbraccio a Dakota88 che ha messo la fanfiction tra le ricordate

GRAZIE A TUTTI! un bacio grande!

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