Persefone

di Welle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** III Capitolo ***



Capitolo 1
*** I Capitolo ***


Era un mattino insolitamente soleggiato per la primavera londinese: gli uccellini cinguettavano e la sveglia continuava ad emettere quel “bip” ripetitivo e snervante. Una mano candida e dalle lunghe unghie verdi afferrò il macchinario e con molta eleganza lo lasciò cadere dal comodino. Controvoglia, la ragazza scese dal letto e si guardò allo specchio: la folta chioma nera aveva perso la piega sinuosa della sera precedente, segni di trucco erano ancora visibili sul volto assonnato e gli occhi grigi erano totalmente inespressivi. Dopo una veloce doccia rigenerante, Ella -così si chiamava-, poté riacquisire sembianze umane: i capelli neri ancora umidi incorniciavano il viso limpido, illuminato dal colore dei suoi occhi.

« Ella! E' pronta la colazione!»

Questo l'urlo che sua madre le lanciò dal piano inferiore, invitandola dolcemente a bere la solita spremuta d'arancia accompagnata da due biscotti -talvolta tre se c'era tempo- al cacao.

« Arrivo!»

Urlò lei di tutta risposta. Dopo aver preparato la borsa ed aver indossato camicia, jeans e un paio di scarpe a caso, scese giù e si sedette al tavolo con sua madre e sua zia.

La madre di Ella, ovvero Agnes, era una donna rotonda, dai capelli neri e boccolosi, rigorosamente tenuti sempre legati in un'ampia coda di cavallo. Gli occhi grigi e le labbra carnose la rendevano molto simile alla figlia, sebbene quei chili in più rendessero meno immediato il paragone fra le due.

Sua zia, invece, era una donna molto alta e longilinea, aveva i capelli ramati e gli occhi castani. Viveva con loro da quando un misterioso incendio aveva carbonizzato la villa in cui viveva col suo ultraottantenne quarto marito. Il poveretto non resse lo shok, così, affranta dal dolore e schiacciata da una grandissima somma di denaro ereditato, Melanie preferì la compagnia di sua sorella a quella di un possibile quinto marito.

« Farai tardi al colloquio, Ella»

Fece notare col suo tono noioso e grave la zia. Un'alzata al cielo degli occhi della ragazza fece capire che anche quella mattina i biscotti destinati ad essere divorati sarebbero stati due.

« Tu sì che sai come tranquillizzarmi»

Ironizzò la nipote per poi buttare giù l'ultima sorsata della spremuta. Un rapido bacio alle due donne di casa e finalmente l'aria primaverile poté investire il viso della giovane.

Quel giorno doveva recarsi presso la biblioteca statale, in quanto erano in cerca di una nuova bibliotecaria. La ragazza che gestiva prima il traffico di libri si era convertita a chissà quale religione e aveva deciso di mollare tutto per andare a vivere in Mongolia. Arrivata dinnanzi l'imponente struttura tipica del periodo vittoriano, prese un bel respire ed entrò. La prima cosa che notò fu uno strano odore. Non era puzza, ma nemmeno profumo. Era un odore che conosceva bene: carta. Un sorriso vispo le affiorò sul viso e con passo fermo si diresse al bancone.

« Le serve qualcosa?»

Chiese una voce nasale.

« Sono qui per il colloquio, a dire il vero...»

Rispose lei guardandosi attorno, non capendo da dove provenisse la domanda.

« Ah, lei deve essere la signorina Noore»

Un signore di mezzetà, alto forse fino alle spalle della ragazza, sbucò da dietro al bancone di mogano. Somigliava ad una talpa, con quegli occhiali grandi e tondi, quel grosso naso rosso e quei denti da roditore. Il fatto che fosse apparso in quel modo rendeva la somiglianza ancora più evidente.

« Sì, esatto. Piacere, Ella Noore. Ci siamo sentiti via email. Lei è il signor Smith, immagino!»

L'entusiasmo della venticinquenne esplose come una bomba puzzolente davanti all'uomo-talpa che arricciò il naso.

« Esatto, sono io. Dal momento che lei è stata l'unica a rispondere all'annuncio, il posto è suo. Voglia seguirmi»

L'ometto uscì da dietro al bancone e cominciò a camminare ad una velocità notevole date le sue tozze gambe. Si destreggiava tra i primi clienti con molta leggerezza, come se quel posto potesse far svanire tutto il suo peso. Ella ammirava i numerosi libri che uscivano da ogni scaffale: copertine di mille colori rendevano l'interno dell'edificio più luminoso che mai, come se non servisse alcuna finestra a far entrare i raggi pigri del sole.

« Comincerà alle otto di mattina e finirà alle cinque dal lunedì al venerdì, il weekend siamo chiusi. Non cediamo libri a persone che non si sono iscritti e non accettiamo libri oltre il termine di scadenza senza una piccola multa: la SPSP -Signora/a, poteva svegliarsi prima!-. I libri che diamo ai clienti devono sempre essere segnati nel registro. Si ricordi di dare da mangiare a Bernoccolo verso mezzoggiorno, le scatolette sono sotto al bancone. E se se lo stesse chiedendo, sto parlando un gatto nero che ha deciso di alloggiare qui tre anni fa. Inoltre, dovrà catalogare tutto questi libri.>

Concluse il signor Smith fermandosi davanti ad una porta bianca. La aprì e un odore di chiuso si intrufolò su per le narici di Ella, che prontamente si coprì la bocca per evitare di esalare quintali di polvere. Tantissimi libri, buttati a casaccio, riempivano quella stanza.

« Tutti?»

Chiese lei abbozzando un sorriso incredulo.

« Sì, tutti. E' assunta. La paga è quella che è, non si lamenti. Io sarò in negozio dalle otto di mattina per due ore, in modo che lei possa sbrigare questa faccenda.»

Rapido e deciso, se ne andò, lasciandola lì alle prese con migliaia di libri.

Senza fare troppo la schizzinosa, si tolse la giacca di pelle e, dopo averla poggiata accanto all'entrata della stanzetta, accese la luce. Si poteva vedere la polvere volteggiare, simile a quei pattinatori su ghiaccio che non si sa come riescono a risultare leggeri nonostante la forza di gravità.

L'occhio di Ella cadde su un libro privo di titolo, dalla copertina di tela nera. Lo prese e, fatto un bel respiro polveroso, ci soffiò sopra: colpi di tosse cominciarono a risuonare nella stanzetta. Gli occhi cominciavano a lacrimarle: aveva alzato ancora più polvere di quanta non ce ne fosse già. Uscita, si sedette su una poltroncina di pelle che era proprio accanto alla porta bianca. Spinta più da curiosità che altro, lo aprì e subito capì che la sua vita non sarebbe stata più la stessa.

Le pagine erano giallastre e sottilissime: un movimento troppo brusco avrebbe sicuramente causato uno strappo. La prima pagina mostrava dei simboli strani, mentre tutte le altre erano vuote. Con aria perplessa, Ella lo richiuse e cercò sul dorso del libro un titolo o un nome, ma era privo di qualsiasi segno di riconoscimento. Con disinvoltura lo lasciò sul piccolo tavolino in legno nella oasi di poltrone, promettendosi che l'avrebbe portato al signor Smith per sapere come poterlo catalogare. Le prime due ore della mattina passarono abbastanza lente e dopo aver catalogato 86 romanzi di vecchia data, dovette chiudere lo stanzino per andare a sostituire il capo al bancone.

« Il libro»

Si ricordò prontamente. Lo afferrò e si diresse all'entrata.

« Il mio turno è finito»

Disse il tono strascicante dell'uomo.

« Lo so, ma prima volevo chiederle cosa devo fare con questo! Non so come catalogarlo... Non c'è né autore, né titolo, né casa editrice... E poi ha solo la prima pagina scritta»

Di tutta risposta, il signor Smith inarcò il sopracciglio.

« Te lo regalo. Consideralo un anticipo dello stipendio»

Prima che la giovane potesse aggiungere altro rimase da sola, alle prese col suo primo giorno di lavoro. La cosa strana era che non appena il propretario della biblioteca uscì, cominciarono ad arrivare molti clienti. Ella aveva come l'impressione che la maggior parte delle persone che frequentavano quella miniera di carta non sopportasse l'uomo-talpa e che quindi preferivano non avere a che fare con lui.

“Tempus Fugit” dicevano i latini. Il primo giorno lavorativo finì subito ed Ella così cominciò a spegnere luci, chiudere finestre e a indossare la giacca di palle. Soppesò il piccolo libro nero, pensando se fosse davvero il caso di portarselo a casa. Scrollò le spalle e lo ficcò dentro la borsa. Trovò un mazzo di chiavi dentro il registro dei clienti e supponendo fosse quello della porta principale uscì fuori e proprio come aveva previsto la serratura scattò.

« Potevi almeno avvisarmi che non tornavi per pranzo!»

Disse sua madre mentre Ella si toglieva le scarpe nell'atrio della sua piccola villetta.

« Scusa, è che ho avuto il posto e non volevo farmi beccare al cellulare da subito!»

Si giustifò la giovane, arrivando in salotto dove sua madre -stranamente- stava rammendando un paio di pantaloni e buttandosi sul divano accompagnata da un profondo sospiro. Per un attimo si lasciò cullare dalla morbida pelle del divano. La mente cominciò a svuotarsi da tutte quelle voci che quel giorno aveva sentito nella biblioteca. Una cosa, però, continuava a tormentarla: il libro nero.

« Vado su a prepararmi che tra poco devo vedermi con Bonnie»

Appena arrivata in camera sua aprì la borsa e tirò fuori l'oggetto. Era piccolo ed insignificante a prima vista, ma sapeva che qualcosa la attraeva e non riusciva a farselo uscire dai pensieri. Decisa lo aprì e accadde qualcosa di strano, veramente strano. I segni confusi che c'erano cominciarono a brillare, come se le lettere fossero infuocate e la carta stesse pian piano bruciando. Si mischiarono fino a formare una nuova parola, che Ella non conosceva: “Persefone”. La parola cominciò lentamente a diventare sempre più luminosa fino a staccarsi letteralmente dal libro. Gli occhi grigi della giovane erano impauriti. Inizialmente li richiuse e li riaprì, nella speranza che fosse solo un effetto collaterale dato dal primo giorno di lavoro. Le lettere incantate iniziarono a vorticare nell'aria attorno alla giovane, che per la paura cadde a terra sul tappeto. La velocità di queste divenne così elevata che attorno a sé Ella vedeva solo un grande fascio di luce. Poi all'improvviso, il nulla.

Gli occhi ancora sgranati mostravano paura e stupore. Nulla di ciò che era accaduto aveva una spiegazione razionale o logica. Rimase seduta a terra, respirando profondamente per un paio di minuti. Con molta cautela si alzò e prese in mano il libro. La prima pagina era vuota, mentre la seconda adesso presentava strani simboli, diversi da quelli che Ella aveva visto sulla precedente.

“Meglio se esco a farmi un giro...”

Pensò mettendo il libro nel comodino. Dopo essersi data una rinfrescata, prese le chiavi del suo fidato scooter e si diresse verso il bar “Loquum”, dove era solita incontrarsi con la sua amica Bonnie. Arrivata a destinazione decise di archiviare ciò che aveva vissuto in camera sua e di limitarsi a dire quanto l'uomo-talpa fosse fastidioso e burbero.

La sua amica era una ragazza molto eccentrica. I capelli rosso fuoco le arrivavano poco più giù delle spalle e la frangia sottolineava gli occhi vispi e verdi. La carnagione chiara e la statura minuta l'avevano sempre fatta sembrare una fata.

« Ehilà bellezza! Tutto bene?»

Chiese Bonnie abbracciando l'amica, mettendosi sulle punte per raggiungerla.

« Ciao Bonnie!»

Le due chiacchierarono per molto tempo, sedute sotto il portico del bar bevendo una CocaCola. La rossa a quanto pare aveva appena conosciuto un ragazzo di cui si era follemente innamorata, peccato che ancora non ne conoscesse il nome.

« Ci sposeremo!»

Aveva detto con espressione sognate, tipico da Bonnie.

L'orologio continuava a muovere le proprie lancette, finché non si fece ora di cena e le due si salutarono. Salita sullo scooter, la sera stava ormai già calando e il cielo assumeva sfumature rosee. Il vento scompigliava i capelli non vincolati dal casco ed Ella, stranamente, si sentiva viva, piena di forze ed energie. Una volta giunta di fronte casa, parcheggiò lo scooter, ma prima di entrare si accostò all'aiuola che, in teoria, avrebbe dovuto curare lei. I fiori che sua madre aveva piantato alcune settimane prima erano germogliati, ma stavano già appassendo. Ella si inginocchiò e come istintivamente li accarezzò. Entrò poi in casa, affamata e capace di divorare l'intera cena che sua madre le aveva preparato. Intanto, fuori, l'aiuola aveva nuovamente acquistato colore.

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Capitolo 2
*** II Capitolo ***


Quella notte nei sogni di Ella continuava a risuonare una sola parola: Persefone. Cosa voleva dire? Ma soprattutto, era davvero accaduto o se l'era solo immaginato? La sveglia cominciò a suonare e come ogni mattina si preparò in tempo record. Prima di uscire dalla propria camera si ricordò di quel dannato libricino e lo mise in borsa, intenta a lasciarlo nello stanzino polveroso dove l'aveva trovato. Appena uscita di casa sorrise, contenta che anche quel giorno il sole splendesse e riscaldasse la città. Incuriosita si voltò verso la piccola aiuola, dove fiori gialli, viola, rossi e bianchi vivevano abbracciati l'un l'altro. Ancora una volta si chiese cosa diavolo stesse accadendo e decise che quella sera avrebbe parlato con sua zia: probabilmente aveva iniziato a mettere i tranquillanti anche nei suoi pasti.

Dopo una passeggiata di cinque minuti, giunse in biblioteca ed entrò, pronta a subirsi una buona dose di malumore già a quelle ore del mattino. Il signor Smith, però, stavolta era in piedi a circa cinque metri dall'entrata, con quei suoi occhietti fissi su di lei.

« ...Sono in ritardo?»

Chiese lei preoccupata, guardando l'orologio.

« Oh no, tutt'altro. Ma oggi saremo chiusi»

Rispose lui, con un tono diverso da quello del giorno precedente. Sembrava quasi allegro.

« Ah, quindi...?»

Chiese lei, non capendo cosa stesse accadendo.

« Quindi oggi cominciamo il tuo allenamento. Hai portato il libro?»

Ella abbozzò un sorriso imabrazzata e lo guardò interrogativa. A quanto pare, oltre ad essere un orso era anche schizofrenico.

« Ma sì, il libro nero, quello hai trovato ieri.»

« Ah, quello!» Disse lei. Lo tirò fuori dalla borsa e glielo porse. « L'ho letto, ma non sono tipa da queste letture, diciamo così ».

L'uomo-talpa talpa era ancora li, in piedi, con le mani giunte dietro la schiena, che la guardava dal basso della sua statura in modo inquietante. Immediatamente Ella pensò che il sua capo volesse molestarla. L'idea di dover tenere a bada un ometto alto sì e no un metro non le metteva poi così paura. Lo poggiò sul bancone e fece un passo indietro.

« Eccome se lo sei! Prendilo e seguimi»

Ancora una volta l'idea di essere stuprata sfiorò la mente di Ella, la quale, chissà perché, rise tra sé e sé. L'ometto camminò per i corridoi stretti formati dagli alti scaffali fino a giungere alla scala che portava al piano rialzato, adibito alla sala lettura. Era una saletta ampia e luminosa, date le grandi finestre che smaterializzavano la parete sinistra. Al centro un lungo tavolo in legno con circa dieci sedie. Sul lato destro una grande libreria che copriva l'intero muro. Sospirando prese l'oggetto e lo seguì ancora confusa su ciò le stava dicendo.

« Facciamola breve» Esordì lui, cominciando a camminare su e giù per la saletta. « Il libro che hai in mano è anche conosciuto come “la profezia”. Dai tempi dell'Antica Grecia gli uomini hanno cercato questo libro e dopo millenni è giunto nelle mani di mio padre, il quale l'ha lasciato poi in eredità a me. Conosci la mitologia greca? »

Ella si sedette. Il tono con cui stava parlando il signor Smith era serio ed estremamente deciso. Si limitò a fare “no” con la testa.

« Crono, dio del tempo, fu spodestato dal figlio Zeus, che divenne poi re degli dei. Si dice che Crono fosse rinchiuso in una terra sconosciuta, in un tempo in bilico fra il prima e il poi. Con il tramonto della civiltà greca, ben presto gli dei si ritrovarono impoveriti dei propri poteri, specialmente Zeus, il cui culto ormai veniva considerato sempre più una mera superstizione. Ecco, col suo indebolimento Crono poté fuggire dalla propria prigione, giurando vendetta. Ben presto ci si rese conto che quella partita sarebbe stata vinta dal Titano. Così, gli dei chiamarono un oracolo, il quale predisse loro uno scontro finale in un'epoca del tutto nuova, un'epoca dove l'uomo sarebbe divenuto ministro della natura. E' ovvio che si riferisse ad un epoca tecnologica come la nostra. Così si decise di formulare un libro profetico dove poter convogliare le proprie energie affinché i poteri divini non svanissero nel nulla. Lo stesso fece Crono, avendo scoperto il piano degli avversari torturando l'oracolo. I due libri si dispersero ed uno eccolo qui. La profezia dice inoltre che il libro di Zeus sarebbe stato aperto solo da Persefone, o meglio da colei destinata ad ereditare lo spirito di questa figura. L'altro, di conseguenza, sarebbe stato aperto da Ade, dio degli inferi, nonché sposo di Persefone.»

Un sonoro deglutimento ruppe il discorso. Ella non sapeva che dire. Aveva paura, era confusa e non capiva se ciò che stava accadendo fosse frutto di una demenza precoce. Perché mai quelle storie avrebbero dovuto avere un fondo di verità? E se fosse stato tutto uno scherzo organizzato da Bonnie? Passava troppo tempo a guardare quei programmi di scherzi, d'altronde.

« Io sarei Persefone?»

Chiese lei incredula. Ormai aveva rinunciato ad opporsi alla situazione. Preferiva rimandare le spiegazioni razionali a quella sera prima di andare a dormire. Suo padre le aveva sempre insegnato di prendersi del tempo per pensare prima di mettersi a dormire. In una società dove tutto ha un costo, sarebbe un peccato non poter usufruire dell'unica cosa ancora a nostra disposizione senza limiti: i nostri pensieri.

« Esattamente. Il libro adesso pian piano rivelerà le altre personalità della mitologia.»

Senza aggiungere altro, il padrone della biblioteca si diresse verso uno scaffale. In punta di piedi raggiunse un volume molto grande, dalla copertina verde. Sul dorso, con la scritta in oro, vi era scritto: “Enciclopedia sulla Mitologia Greca e Latina”. Lo prese e si sedette al tavolo. Con lo sguardo invitò Ella a raggiungerlo. Senza esitare si sedette di fronte a lui.

« Il mito di Persefone è il mio preferito!»

Commentò lui elettrizzato, battendo le mani due volte, proprio come un bambino davanti al suo piatto preferito.

« Vediamo un po'...»

Iniziò a sfogliare le pagine velocemente, come se conoscesse quel libro a memoria.

« ECCOLO!»

Urlò poi, facendo sobbalzare la ragazza. Uno sguardo allarmato si fece strada sul suo viso. Preferiva di più il signor Smith brontolone a quello delirante.

« Persefone fu presa in moglie da Ade, il quale la tenne prigioniera negli Inferi con lei. La madre della giovane, Demetra, furiosa cominciò ad impedire che i campi fossero fertili e fece calare il gelo sulla terra. Giunti ad un compromesso, Persefone passò l'eternità alternando la sua presenza fra le ombre dell'inferno e la luce della superficie. Ogni qualvolta si trovasse fuori dall'oltretomba, la natura festeggiava con lei, quando invece vi faceva ritorno il mondo lentamente moriva. A questo mito sono attribuite l'alternarsi delle stagioni... bla bla bla... bla bla bla...»

Il racconto colpì particolarmente Ella. Aveva prestato attenzione ad ogni singola parola, come se non volesse farsene scappare una. Ignorava la causa di questa, se vogliamo, avidità di sapere, ma in fondo non le dispiaceva l'idea di far parte di un disegno molto più grande di lei. Insomma, fare la bibliotecaria non era una conquista da poco, ma essere una dea era di gran lunga più figo.

« I tuoi poteri quindi sono legati alla natura»

La ragazza inarcò le sopracciglia e piegò la testa leggermente di lato.

« In piedi! Prova a fare qualcosa!»

Propose lui, scendendo dalla sedia e posizionandosi vicino alla parete con le finestre. Senza troppe esitazioni, l'altra lo raggiunse. Con uno sguardo neutro da dietro le spessi lenti, l'uomo la incoraggiò ad esprimere ciò che era ormai in grado di fare.

« Cosa dovrei fare esattamente?»

« Ah beh, questo non lo so di certo io!»

Rispose facendo spallucce. L'espressione del suo viso le fece capire che davvero non aveva idea di cosa dovesse fare con precisione. Doveva semplicemente fare qualche tipo di magia. Iniziò a mordersi il labbro inferiore, rosso fiamma per il rossetto, come era solita fare nelle occasione un po' più snervanti del solito. Si mise le mani in tasca e guardò fuori, cercando l'ispirazione. Da quella finestra si vedeva l'intero quartiere. Le innumerevoli case tutte uguali conferivano allo scenario una certa ripetitività che dava la nausea. Alzò lo sguardo e vide il cielo blu. Un sorriso sincero le affiorò sul volto e senza pensarci due volte fece scattare la serratura e in men che non si dica l'odore della mattina londinese invase la stanza. Una lieve brezza faceva sobbalzare le pagine del libro verde, come se avessero il singhiozzo. Ella tese una mano fuori e un piccolo uccellino vi si posò sopra. Era piccolo, marrone e dal becco giallo vivo. Rimase a fissarla per un po' e successivamente cominciò a gorgogliare felicissimo. I fischi erano acuti e pieni di vita. Istantaneamente la giovane inizò a ridere, come se fosse stata contagiata dall'allegria del piccolo volatile. Immediatamente, però, l'animaletto spiccò il volo e solcò i venti primaverili.

« Beh, come inizio non è poi tanto male. Dovrai solo allenarti maggiormente.»

Senza badare molto però a quello che le stava dicendo il signor Smith, la ragazza girò velocemente la testa. Qualcuno la stava chiamando. Guardò sospettosa l'altro, il quale ricambiò con un'occhiata ancora più interrogativa della sua. Era ovvio che era stata solo una sensazione. Le era capitato già altre volte in passato di sentirsi chiamare, quando in realtà era solo frutto della sua immaginazione. La vocina, però, si fece risentire. Senza dire nulla, iniziò a camminare per la biblioteca, mentre la voce si faceva sempre più forte. Si fermò dinnanzi alla porta d'ingresso e la aprì. Bernoccolo corse dentro e sparì dietro al bancone, alla ricerca della sua ciotola.

« Era il gatto»

Urlò al signor Smith, dall'altra parte del locale.

La giornata andò avanti molto lentamente e il povero gatto divenne lo strumento di allenamento della giornata. Ella doveva cominciare a leggere la mente dell'animale, così da poter affinare le sue abilità di comunicazione col mondo naturale. La fase di manipolazione dei vari elementi -stando a quanto diceva il suo “maestro”- sarebbe venuta poi col tempo.

L'orologio a cucù batté mezzogiorno e un suono orribile -che avrebbe dovuto sembrare un cinguettio- riecheggiò per la biblioteca.

« Riprenderemo domani, credo tu debba digerire molto di ciò che ti ho rivelato oggi»

Uno strano sorriso macabro espresse quello che doveva essere un sentimento di comprensione da parte del suo capo.

« Beh, in effetti... A domani, allora»

Raccolta la borsa e il libro nero si avviò all'uscita, quando si fermò per voltarsi verso l'omino.

« Perché devo imparare queste cose? A cosa mi sto preparando?»

La risposta fu secca e rapida.

«A combattere Crono».

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Capitolo 3
*** III Capitolo ***


Ella trascorse tutta la notte girandosi continuamente da una parte all'altra del letto. I suoi occhi guardavano il soffitto. La mente vagava tra mille dubbi e pensieri a cui non sapeva trovare una risposta e sapeva che non sarebbe stato affatto facile. Questa storia di essere Persefone le stava corrodendo lo stomaco. L'idea di poter fare qualsiasi cosa volesse da un lato la faceva sentire libera e potente, ma dall'altro una strana paura ormai l'aveva assalita. Quella sera, infatti, prima di coricarsi aveva navigato in rete cercando di avere più informazioni sulla mitologia greca. Certamente ne era rimasta affascinata, ma al tempo stesso scoprire la malvagità di alcune divinità -tra cui Crono- le aveva messo non poca agnoscia. Aveva ormai rinunciato a trovare una spiegazione logica, ma non per questo avrebbe permesso che tutte le scivolasse addosso passivamente. Non si sarebbe lasciata andare, mai. Chiuse gli occhi un istante e quando li riaprì il sole era sorto. Non era stata la sveglia a farla alzare. Le palpebre le pesavano molto date le pochissime ore di sonno. Si preparò in silenzio e, notando che erano appena le sei del mattino, decise di andare a farsi un giro.

Il suo quartiere era sempre stato un posto tranquillo e silenzioso, ma vederlo a quelle ore del mattino lo rendeva quasi inquietante. Non era la prima volta che percorreva quelle stradine senza una meta. Le piaceva la sensazione di poter dare libero sfogo alla sua mente, senza che qualcuno la incontrasse e capisse dal suo sguardo che qualcosa non andava. Giunse al piccolo parco di Villa McBryan. I McBryan erano i conti del quartiere che avevano da sempre messo a disposizione le loro proprietà: la possibilità di visitare il giardino della loro casa ne era un esempio. Si sedette su una panchina e senza troppi interrogativi raccolse una margherita. La mise sul palmo della mano destra e con l'altra inizià ad accarezzarne i sottili petali bianchi. Questi immediatamente iniziarono a cambiare colore. Divennero arancioni. Neanche il tempo di sorridere soddisfatta, che questi diventarono viola. Poi azzurri, rossi e rosa. Il vestito di quel fiore non era più un unico colore, bensì un oceano di sfumature che si fondevano assieme.

D'un tratto, poi, la borsa di Ella prese a muoversi, come se fosse stata colpita da qualcosa. La aprì e notò che il libro nero si stava agitando, come se volesse comunicarle qualcosa. Lo tirò fuori e questo si aprì sulla seconda pagina. I simboli avevano iniziato ad illuminarsi. L'ultima volta che era successo lo spirito di Persefone l'aveva riconosciuta e, a meno che quel libretto soffrisse di amnesia, stavolta stava cercando qualcun altro. Si alzò dalla panchina e mise il libro a terra. Questo, come sospinto da una corrente, iniziò a volare. Ella iniziò a seguirlo e ben presto si ritrovò a correre. Si rese conto di dove si stesse dirigendo solo quando iniziò a scorgere l'imponente cancello bianco che separava l'abitazione dal parco aperto ai visitatori. Il libro allora si fermò a terra, come se d'un tratto quell'euforia che l'aveva animato l'avesse abbandonato. La giovane lo raccolse e lo mise in borsa. Guardò in direzione della villa. Evidentemente qualcuno in quella casa aveva a che fare con quella faccenda. Senza troppe esitazioni tornò a casa per fare colazione e decise che avrebbe raccontato tutto al signor Smith. Sicuramente lui avrebbe avuto la risposta.

 

***

« Ovviamente il libro ha individuato un'altra persona»

Queste furono le parole del signor Smith al sentire ciò che era successo.

« Ma questo “spirito”, diciamo, è dei buoni?»

Chiese poi Ella mentre accarezzava Bernoccolo.

« Certo che sì. Se il tuo libro l'ha trovato, vuol dire che sta dalla nostra parte. Il libro di Persefone, quindi il tuo, ha il compito di risvegliare solo gli “spiriti” -disse lui come per farle il verso- che combatteranno Crono. Il libro di Ade quelli che combatteranno al suo fianco.»

L'idea di poter incontrare qualcuno nella sua stessa situazione l'alleggeriva non poco. Avrebbe finalmente potuto confidare le proprie paure a qualcuno in grado di capirla.

«A proposito di Ade» - intervenì Ella- « Come facciamo a sapere se Ade ha aperto il libro?»

« Siete collegati voi due. Entrambi siete la chiave per dare inizio alla profezia e per chiudere questa faccenda una volta per tutte. Se tu hai trovato la Profezia, allora anche lui c'è riuscito.»

Il signor Smith parve non voler aggiungere altro.

A quanto pare anche quel giorno sarebbero stati chiusi. L'idea dell'uomo era quella di concentrarsi al massimo sui poteri della giovane dea affinché potesse essere avvantaggiata nella ricerca degli altri spiriti. La mattinata trascorse noiosamente, con Ella alle prese con quel felino a cui si stava pian piano affezionando. Aveva ormai scoperto quali erano i suoi croccantini preferiti, aveva capito che l'uomo-talpa gli stava antipatico -ma questo non glielo avrebbe mai rivelato- e aveva per di più scoperto dove abitasse prima di spostarsi nella biblioteca. Era un gatto interessante, dopo tutto, però la qualità degli argomenti iniziava a calare dopo un quarto d'ora di lettura nel pensiero.

« Anche oggi finiamo a pranzo?»

Azzardò Ella sorridente, cercando di tirare fuori la parte più convincente di se stessa.

« Certo che no»

La risposta del suo capo arrivò veloce e dolorosa come un calcio in faccia. Non aveva molta voglia di psicoanalizzare quell'animale per tutto il pomeriggio. Fortunatamente, però, l'allenamento pomeridiano prendeva in considerazione l'aspetto pratico. Che Ella fosse un asso nel far cambiare i petali ai fiori, questo era indiscusso. Il potere di Persefone, però, andava oltre. Un sorriso compiaciuto sul volto della ragazza espresse la sua voglia di imparare sempre più.

« Prova a far crescere questa pianta. Non aver paura di esagerare»

Le indicazioni del maestro furono chiare e concise. Posizionò sul tavolo un vaso. Conteneva solo terra. A quanto pareva doveva esserci un seme seppellito da qualche parte. Tese la mano destra e strizzò gli occhi. Il viso cominciava a diventare sempre più colorito. Una risatina stridula la fece voltare scocciata.

« Scusami Ella, ma non devi farti mica venire le emorroidi. Deve essere qualcosa di naturale».

Tornò a focalizzarsi sul vaso e chiuse gli occhi. Provò ad entrare in sintonia con quel piccolo seme, proprio come aveva imparato a fare con Bernoccolo. Sentiva come il battito di un cuoricino. Una sorta di connessione si creò fra lei e la pianta, che iniziò a fendere la terra sempre più fino a raggiungere la superificie. Quando aprì gli occhi notò che il frutto del suo lavoro non era nient'altro che un piccolo germoglio, però le andava bene così.

Le prove che le toccarono poi riguardavano la manipolazione dell'acqua. Doveva provare a creare dei vortici in una bacinella, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu una bolla che scoppiò non appena si staccò dalla superficie dell'acqua.

L'orologio andava avanti ed Ella si sentiva sempre più stanca. Il signor Smith, infatti, la congedò prima del previsto poiché usando i propri poteri per così tanto tempo le sue energie ne avevano risentito. Uscita dalla biblioteca comprò un trancio di pizza e fece ritorno a Villa McBryan. Il suo mentore le aveva detto che non poteva aiutarla in alcun modo nella rilevazione delle altre divinità, dal momento che il libro rispondeva solo a lei. Decisa, arrivò davanti al cancello bianco e suonò. Attese alcuni istanti e una voce maschile rispose.

«Sì?»

Si trovò praticamente spiazzata, poiché non aveva pensato cosa dire nell'eventualità che qualcuno le avrebbe risposto. Rimase in silenzio qualche istante mordendosi le labbra carnose. La sua mente stava elaborando qualcosa di sensato da dire quando la voce riparlò.

« C'è qualcuno?»

«Sì!»

Si limitò a dire.

«Sono Ella Noore, studio sociologia all'Università. Sto facendo un sondaggio, ha qualche minuto da perdere?»

Non era una scusa niente male, in fondo. Guardare tutti quei film horror in cui dei forestieri si intrufolano in casa della propria vittima non era servito solo a farla spaventare a morte.

«Un attimo»

La voce scomparve. Ella intanto frugò nuovamente nella borsa ed aprì alla seconda pagina. I simboli erano ancora luminosi.

« Il conte McBryan l'aspetta»

Un rumore fece capire che il citofono era stato riagganciato e da lontano, la ragazza poté notare la figura di un giovane che avanzava. Aveva i capelli biondi, occhi verdi come le foglie degli alberi e una pelle olivastra da togliere il fiato. Non appena fu più vicino Ella poté notare quanto fosse davvero affascinante. Il ragazzo aprì il cancello premendo un pulsante sullo stesso ed Ella entrò. Porse la mano e si presentò.

«Piacere, Ella Noore»

«Piacere, Oliver»

La voce era diversa da quella del citofono. Come aveva ipotizzato, la famiglia McBryan poteva permettersi addirittura dei maggiordomi.

«Scusi l'intrusione, ma sto conducendo questo sondaggio e sarebbe stato un peccato non poter intervistare anche lei»

«Ti prego, dammi del “tu”! Avrò anche appena compiuto trent'anni, ma mi sento ancora giovane»

La risata profonda e secca di Oliver coprì il rumore che proveniva dalla borsa di Ella. Il libro ormai era posseduto da chissà quale demone. Si agitava troppo violentemente.

I due entrarono in casa e si accomodarono in quello che doveva essere il soggiorno. Alle pareti erano appesi grandi quadri che ricordavano paesaggi visitati in tempi ormai lontani. Per terra un enorme tappeto persiano rosso che riscaldava l'ambiente e dei divani dal tessuto color panna riempivano la stanza.

« Sono tutto tuo, Ella!»

Un sorriso imbarazzato le solcò il viso. Non aveva la minima idea di come procedere. Effettivamente fin da piccola non era mai stata un asso nel pianificare le cose. Di solito era Bonnie che dava l'idea e lei che la metteva in atto. Lei era il braccio che scendeva in azione, non la mente che organizzava il tutto.

«Sì ecco...»

Aprì la borsa e tentò di tirare fuori la sua piccola agenda dove era solita scrivere gli appuntamenti dall'estetista o dal parrucchiere. I movimenti irrequieti del libro rendevano alquanto difficile la manovra.

«Ci sono quasi...»

Infilò anche l'altra mano dentro per tenere fermo quel dannato mostro di carta e riuscì a poggiare sul tavolino dinnanzi a lei l'agenda e una penna.

« Iniziamo con i dati anagrafici...»

Azzardò lei aprendo l'agenda e cercando di essere la più professionale possibile.

« Vediamo... Oliver McBryan, nato a Londra nel 1983.»

«Molto bene...»

Rispose lei. Non si accorse di aver recitato quella frase come Edna Mode de “Gli Incredibili”. Guardò di nuovo la borsa. Continuava a sobbalzare.

«Cosa c'è li dentro?»

Chiese lui curioso.

«Il mio cellulare... Sai, ho messo una vibrazione molto potente»

Oliver inarcò un sopracciglio, scettico. D'altronde non era affar suo e decise di lasciar stare, per dedicarsi al meglio alle domande della ragazza. Ella, invece, sapeva che più tirava alla lunga quella situazione più sarebbe diventato difficile. Così, senza pensarci due volte, prese il libro nero e lo posò sul tavolo, aprendolo.

«Cos'è?»

Non ci fu bisogno di rispondere. Ciò che era successo con Ella, ora stava accadendo con Oliver. Le parole si staccarono dalla pagine e al posto della parola “Persefone”, adesso c'era un altro nome: Ermes.

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