Castiel, una storia da vivere

di Jay_Myler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un incontro non molto dolce ***
Capitolo 2: *** Una strana svolta ***
Capitolo 3: *** Un inizio imbarazzante... ***
Capitolo 4: *** … ed un fine giornata sorprendente ***
Capitolo 5: *** E ti pareva! ***
Capitolo 6: *** Non si può scappare dal passato ***
Capitolo 7: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 8: *** Un senso ***
Capitolo 9: *** Cosa ci fai tu qui? ***
Capitolo 10: *** Tieni giù le mani dalle mie cose! ***
Capitolo 11: *** La punizione ***
Capitolo 12: *** Stupida! ***
Capitolo 13: *** Dangerous pain ***
Capitolo 14: *** Il fantasma ***
Capitolo 15: *** Quel plettro rosso ***
Capitolo 16: *** Until Death ***



Capitolo 1
*** Un incontro non molto dolce ***


Era iniziato un normale giorno di lezioni al liceo Dolce Amoris; la campanella era suonata da un bel pezzo e tutti gli studenti stavano nelle loro classi a sentire la lezione del giorno. Solo nel corridoio

stava una ragazza in preda al panico, che ansimando dopo una lunga corsa, stava percorrendo il corridoio con l'orario delle lezioni in mano, trascinandosi dietro una vecchia borsa a tracolla dove teneva le sue cose.

Doveva vedere dove stava il suo armadietto, doveva trovare la sua classe, ma le sembrava un'impresa impossibile in quel momento, mentre vedeva il deserto nei corridoi e lo stesso nella sua testa dove c'era solo un rimbombare di colpi.

"Maledizione, anche il mio primo giorno in ritardo!"

Iniziò a cercare classe per classe la sua,quando sentì alzarsi dal fondo del corridoio una sonora risata.

Era un ragazzo dai capelli rosso fuoco che si stava avvicinando a lei.

La guardava con aria divertita all'inizio, per poi passare ad un espressione che lei avrebbe definito da bulletto antipatico e spocchioso; ma vedendolo le si aprì il cuore, notando la calma che il ragazzo aveva, ma sopratutto che non stava correndo come lei alla ricerca della sua classe. Solo una cosa poteva significare: che ringraziando il cielo non era in ritardo.

"Meno male, temevo di essere arrivata tardi.."

Il ragazzo la guardò accigliata e sempre con la solita aria da bulletto; probabilmente doveva essere la sua espressione preferita.

"Cosa della mia risata ti ha lasciato intendere che non sei in ritardo?"

La ragazza iniziò ad annaspare peggio di quando le mancava il fiato per la corsa, ma non gli avrebbe lasciato per nulla al mondo l'ultima parola.

"M-ma tu stai camminando così tranquillo per i corridoi e pensavo che non fosse ancora suonata la prima ora e.."

"E sto saltando la prima ora di lezione invece, piccoletta; non saltare a conclusioni sbagliate prima del tempo.. Io posso andare piano quanto mi pare, tu dovresti iniziare a correre.."

Il ragazzo, senza degnarla più di uno sguardo, le passò avanti andandosene con il suo solito fare prepotente, verso il cortile del liceo.

"Aspetta... non so neanche come ti chiami.."

"CASTIEEEEL!" Si sentì un urlo dal fondo del corridoio.

Arrivò quasi di corsa un ragazzo con in mano un paio di cartelle, e appena ripreso fiato, si girò verso il ragazzo dai capelli rossi e lo guardò malissimo.

"Sei irrecuperabile Castiel! Incominciamo a marinare le lezioni fin dalla prima ora."

«Sono libero di fare quello che voglio, non vedo come tu possa impormi di fare quello che vuoi..»
«Castiel, se continui così per tutto il semestre sappi che ti farò espellere!»

Poi si girò verso la ragazza e le porse la mano.

"Piacere, sono Nathaniel, il segretario del liceo, scusami per la scenata, ma non è nuovo a queste bravate. Tu devi essere Jay."

Jay lo squadrò prima un po' dalla testa ai piedi: era poco più alto di Castiel, capelli biondo grano e occhi color dell'ambra; dopo di che optò per dargli una stretta di mano molto veloce.

Nathaniel si girò di scatto verso Castiel, mandandogli l'ennesimo sguardo di dissenso e lo rimproverò nuovamente:

"Se hai deciso di intraprendere per un altro anno questo stupido comportamento, e di continuare per la cattiva strada, ti prego di non coinvolgere anche i nuovi studenti!"

Castiel fece spallucce, si mise le mani dietro la testa e noncurante continuò ad andare per la sua strada, ignorando completamente Nathaniel e la sua paternale.

«Quel ragazzo evitalo se vuoi star fuori dai guai, frequentarlo non può che farti male.»

In quel momento si spalancò la porta del liceo e corse dentro un altro studente con degli occhiali grandi quanto la sua faccia, affannato proprio come Jay qualche minuto prima, che andò a sbattere contro Castiel, il quale lo prese a parolacce prima di uscire definitivamente dalla loro visuale.

La ragazza lo guardò sbalordita.

«Ken?! Cosa ci fai qui?»
Il ragazzetto stava ancora riprendendo fiato e ancora con l'affanno cercò di formulare la sua risposta.

«N-n-non potevo... non... seguirti... mi sono fatto... trasferire.»
E le sorrise, o almeno fece una smorfia che somigliava ad un sorriso; la guardò e le porse la mano.

«Andiamo insieme a cercare le nostre classi?»
Jay se lo ricordava fin troppo bene Ken; era un ragazzo della sua vecchia scuola, che era innamorato pazzo di lei, e continuava a seguirla senza niente in cambio, solo per starle vicino.

«Scusami Ken, ho altro da fare, magari più tardi, ok?»
«C-certo..»disse Ken nascondendo il suo dispiacere dietro un falso sorriso.

Nathaniel che era rimasto accanto a Jay si offrì di farle un permesso che giustificasse il suo ritardo, ma Jay rifiutò gentilmente, dicendo che se la sarebbe cavata a sola.

Nathaniel sorrise di cuore e le mise un braccio intorno alle spalle.

«Finalmente un'alunna seria che decide di prendersi le sue responsabilità! Mi fa piacere. Io seguo l'altro ragazzo, Ken, penso che abbia più bisogno di una mano rispetto a te.»
E così se ne andò dandole una leggera pacca sulla spalla.

Jay era ben lontana dal trovare la sua classe, e le sarebbe proprio servita una mano esperta che l'accompagnasse e che le facesse un permesso per evitare una ramanzina, ma nonostante la gentilezza di quel ragazzo, non le piacque il tono ed i modi con i quali parlava di Castiel e con Castiel.

Quando si entrava nell'argomento «Castiel» si era accorta che si faceva molto nervoso, perdendo la calma, e a volte anche di rispetto nei confronti del ragazzo, dandogli dell'irrecuperabile e del testone.

Con tutti i difetti che poteva avere e con tutto il comportamento da strafottente, secondo lei non c'era bisogno di un tale accanimento contro di lui.

Forse a Castiel semplicemente non gli piaceva ricevere ordini.

Dopo un quarto d'ora riuscì a trovare la sua classe, ma mentre stava entrando pronta e ricevere una ramanzina, suonò la campanella della prima ora, e per poco non venne investita dal flusso di gente che stava uscendo dalle aule. Evitando di inciampare si trovò faccia a faccia con il suo ex compagno di classe Ken, che la salutò in modo molto animato, muovendo in aria a mo' di bandiera il suo orario.

«Vediamo quali lezioni abbiamo in comune.. oh guarda la prossima ora ce l'abbiamo insieme, che bello! Se vieni con me ti posso accompagnare; quel ragazzo tanto gentile con i capelli biondi mi ha fatto fare un veloce giro della scuola prima.»
«Nathaniel? Non mi ispira nulla di troppo buono quel ragazzo, il suo essere perfetto si limita ad una cerchia stretta di argomenti.»
«Eh? Non so di cosa stai parlando, a me sembra molto professionale e disponibile, ora seguimi, altrimenti faremo tardi.»
La prese per mano e la portò dietro di sì fino all'aula E-3 dove si fermarono di botto e Ken cade a terra.

Jay si accorse che nella fretta il ragazzo aveva urtato una studente, che stava lì con sue due amiche; aiutò Ken ad alzarsi e subito il ragazzo chiese scusa.

La ragazza contro la quale aveva sbattuto, che aveva dei lungi capelli biondi, lo guardò quasi disgustata, poi squadrò anche Jay e rivolgendosi alle sue amiche disse:

«Questi devono essere i nuovi arrivati, che sfigati!»
E partì una rista di coro.

Jay era infuriata nera, avrebbe voluto dargli un cazzotto sul naso, ma preferiva non avere nessun guaio già il primo giorno di scuola.

Continuando a ridacchiare la ragazza li guardò entrambi.

«State insieme o cosa? Sei proprio una sfigata, non avrai vita semplice finché ci sarò anche io i questo liceo.»
Prima che Jay potesse rispondere, l'insegnante richiamò tutti all'ordine e li fece accomodare ai banchi; gli unici rimasti liberi -dopo che la strega bionda aveva rubato gli ultimi tre in fondo- erano i banchi in prima fila, dove si andarono a sedere uno accanto all'altra Ken e Jay.

Il professore notò che mancavano delle giustificazioni per le prime ore ai nuovi arrivati.

Subito le tre ragazze terribili iniziarono a ridere e la più antipatica delle tre, la ragazza che li aveva presi in giro, si alzò e disse:
«Professore, non le sembra strano che entrambi i nuovi arrivati siano arrivati solo alla seconda ora? Io penso che si siano appartati prima di entrare»

Da un punto imprecisato della classe si sentì uno

'Sfigati!'

E partì una risata generale.

Ken diventò rosso ed iniziò a farfugliare dicendo un marea di parole una dietro l'altra, cosa che le fece risultare incomprensibili;

Jay si coprì la faccia con le mani girandosi verso la lavagna e il professore alzò la voce ed intimò di fare silenzio.

«Signorina Ambra, i suoi commenti e le sue congetture non sono rilevanti in questo caso.»
Dopo di che incominciò la sua lezione.

*****

Suonò la campana che annunciava l'inizio del pranzo, tutti uscirono di corsa dalla classe, compreso Ken, che tra la folla aveva perso di vista Jay, che in realtà stava ancora seduta nel suo banco.
Il professore stava finendo di cancellare la lavagna, e girandosi vide la sua studente seduta ancora al suo posto.

«Può andare signorina, la lezione è finita, vada pure a pranzare.»
«Non ho fame professore, penso rimarrò ancora un altro po'.»
Il professore la guardo con aria apprensiva.

«I primi giorni sono sempre i più difficili, ma vedrà che andrà tutto bene.» posò il cassino e prendendo la sua roba se ne andò anche lui, lasciandola da sola.

Jay iniziò a prendere le sue cose molto lentamente, mettendole nella sua rovinata tracolla, che era stata con lei fedelmente per tanti anni.

Uscì dall'aula ed incontrò Nathaniel.

«Come sta andando il tuo primo giorno di scuola?» le chiese mettendole una mano sulla spalla.

«Lasciamo perdere...» disse, togliendosi la mano del ragazzo da dosso.

«Qualcosa non va?»
Avrebbe potuto dirgli della sveglia che non aveva suonato, della bicicletta che aveva forato, del pullman che le aveva fatto fare tardi, del ritrovarsi per l'ennesima volta Ken davanti, di quelle insopportabili ragazze di prima e di tante altre cose, ma decise di metterne in ballo solo un argomento...

«Perché odi Castiel?»

La faccia del ragazzo divenne cupa ed iniziò a camminare velocemente per il corridoio.

«Non lo odio affatto, ma il mio ruolo di segretario mi impone di riprendere gli alunni che violano le regole dello statuto scolastico che prevedono..»
«Smettila di parlare come un automa, non capisci che non è di questo che sto parlando? Sei sempre così rigido e dedito alle regole tu?»

«Ti ho già detto di lasciarlo perdere! E' sempre la stessa storia! Quel ragazzo ogni anno fa infatuare tante di quelle ragazze che prendono anche loro una cattiva strada.. cosa trovate di così bello in uno stupido ribelle come lui!»

Jay si sentiva offesa; essere paragonata a stupide ragazzine innamorate di un ragazzo carino, quando invece lei aveva preso a cuore la causa umana.

«Non sono affatto innamorata, neanche lo conosco!»
«Appunto, non lo conosci, non ci conosci, non sai la situazione, eppure lo difendi a spada tratta.»
«Non mi piace come ti rapporti con lui; non puoi essere gentile con tutti e con lui no! Allora se mai facessi una sciocchezza finirei anche io sulla tua stupida lista nera? Tu e le regole siete sposati o cosa?»
Sapeva che così facendo nei confronti di Nathaniel stava certamente perdendo colpi.

«Non essere sciocca, è una cosa seria il regolamento, non puoi trattarlo alla stregua di regole che a scelta si posso rispettare o meno..»
«Tu non puoi trattare comunque Castiel in quel modo; per quanto il suo carattere possa essere impossibile, non puoi essere così... così..»
Nathaniel stava aspettando solo l'ultima parola per poter definitivamente mettere una croce su quella ragazza e considerarla irrecuperabile come Castiel.

«Non ho bisogno dell'avvocato difensore, so difendermi anche da solo.»
Castiel era appena uscito dalla classe vicino a dove stavano parlando; stava appoggiato di fianco al muro e li guardava.

Chissà da quanto tempo li stava ascoltando;

«Non ti sto facendo da avvocato, sto solo dicendo a Nathaniel che..»

«Evita. Una volta tanto sono d'accordo con lui: non mi conosci affatto.»

Poi come se nulla fosse se ne andò via.

A Jay cadde la tracolla per la rabbia e con essa tutti i libri, che fecero un sacco di rumore rimbombando nei corridoi vuoti; Castiel si fermò e si girò a guardare; la ragazza si abbassò per raccogliere i suoi libri, e così fece pure Nathaniel, ma Jay gli fermò la mano e lo guardò facendogli capire che non voleva il suo aiuto.

Nathaniel si sentiva mortificato, si stava facendo nemica una nuova alunna per una sciocchezza, ma era lei ad essere così testarda! Poi senza aspettare che finisse di raccogliere i libri le disse:

«La discussione è finita, preferirei non continuare più a parlare di questo argomento..»

Si girò e se ne andò; Castiel aspettò che se ne andasse e poi prese la strada opposta.

Jay, una volta raccolti i libri, aveva tanta di quella rabbia in corpo che non emise neanche un sibilo; andò al suo armadietto, vi gettò tutto dentro e poi si avviò alla prima uscita vicina, arrivando nel cortile sul retro del liceo.

Si andò a sedere sotto l'ombra di un grande albero, chiudendo gli occhi e cominciando a contare per sbollire la rabbia.

«Hai intenzione di continuare per molto? Qui c'è gente che vorrebbe riposarsi tra una lezione e l'altra.»
Jay aprì gli occhi, ma non vide nessuno; guadò a destra, a sinistra, dietro l'albero, poi sentì un tonfo, si girò e vide che Castiel era appena saltato giù dall'albero.

«Riposarsi tra una lezione e l'altra, ah! Disse il salta lezioni.»
Castiel non le sorrise, ma non aveva nemmeno la solita espressione crucciata che aveva quando vedeva Nathaniel.

La ragazza lo squadrò un po' meglio di come aveva fatto la mattina; vestiva con colori scuri, e portava una giacchetta di pelle nera, ma quello che attirò la sua attenzione fu la maglietta.

«Hey, quella maglia mi dice qualcosa..»
Castiel incrociò le braccia e la guardò.

«Ti ricorderà un vestitino per le tue bambole.»
Continuò a fissarla aspettando la sua risposta per misurarla meticolosamente.

«Ma no, c'è il simbolo di una rock band che ascolto.»

Castiel la guardò stupita.

«Ascolti il rock?»
«Si.. perché?»

Per la prima volta accennò ad un sorriso, e le sue guance si fecero leggermente rosse; poi si ricompose a la guardò con un espressione che non gli aveva mai visto: entusiasta.

«Nessuna ragazza qui dentro mi ha mai stupito così tanto.»
A Jay piacevano le attenzioni che le stava dando Castiel, ma pochi minuti prima le aveva ringhiato contro di non volere un avvocato difensore, così girò i tacchi e si avviò alla porta.

«Ci vediamo.»
E senza voltarsi indietro se entrò di nuovo nel liceo.

Finalmente era arrivata l'ora di andarsene, e sollevata andò a posare i libri della giornata nell'armadietto.

Lo chiuse praticamente sbattendolo e con la sua borsa a tracolla poggiata sulla spalla destra , lasciandola a penzoloni, attraversò il corridoio.

Passò davanti la sala degli insegnati, dove vide Nathaniel che stava finendo si scrivere qualcosa, probabilmente era per lavoro che gli piaceva tanto fare; alzò la testa e la vide, fece un cenno per salutarla; lei ricambiò con un cenno della testa.

Arrivata fuori si trovò il passaggio bloccato da Castiel.

«Hey piccoletta, le lezioni sono finite, cose ne dici se ti faccio vedere un posto?»

Jay nonostante fosse distrutta seguì Castiel per quattro rampe di scale, sul retro della scuola, passando probabilmente – sicuramente - in posti per loro vietati, ed arrivarono su una terrazza all'ultimo piano dove si vedeva tutta la città.

Restarono lì in silenzio a guardare il panorama, una accanto all'altro, aspettando che il sole tramontasse.


Jay Myler 
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Capitolo 2
*** Una strana svolta ***


Era quasi una settimana che frequentava quel nuovo liceo, e alla ragazza l'unica cosa che le era sembrata bella, era stato quando Castiel l'aveva presa e portata a vedere il panorama che si poteva ammirare da sopra la scuola. Dopo che avevano visto il sole tramontare, il ragazzo le aveva dato una mano a scendere dalla scaletta che li aveva portati lì, facendo arrossire Jay.

Appena arrivati all'inizio del corridoio nella scuola ormai deserta, tranne che per qualche delegato e qualche bidello, si videro venire incontro Nathaniel; non c'era sicuramente sorpresa peggiore di questa, dopo quella serata con Castiel. Lo sguardo del ragazzo si fece cupo, fin da quando non vide il segretario scolastico dirigersi verso di loro a passo veloce; presa Jay per il braccio, la tirò dietro di sé, senza dire niente. Si sentiva che c'era astio tra di loro, e che Castiel voleva evitare l'ennesima ramanzina di Nathaniel; ma il ragazzo dietro di loro non li mollava un secondo e si avvicinava sempre si più.

Castiel continuava a camminare a passo svelto portandosi dietro Jay che si sentiva in mezzo a due fuochi nemici.

«Calmo signor segretario, ce ne stiamo andando, non ti preoccupare..» gli disse Castiel senza neanche voltarsi o fermarsi.

Gli si vedeva in viso che però adorava quando poteva mettere in dubbio la posizione di potere del delegato scolastico.

Ma anche dopo questo avviso Nathaniel non si fermò, anzi aumentò il passo fino a raggiungerli quasi.

«Per l'amore del cielo, Castiel, fermati, ti stavamo cercando, devi andare dalla direttrice!»
Castiel si fermò di botto, facendo quasi cadere Jay, ma continuando a tenerla saldamente.

«Ora stai esagerando, per così poco vorresti mandarmi in direzione? Siamo oltre l'orario scolastico, non ti sembra di esagerare per così poco?»

Il volto di Nathaniel non aveva niente di rassicurante, ma non era l'espressione che aveva avuto quel pomeriggio quando si accaniva contro Castiel; si vedeva che era profondamente turbato da qualcosa.

Castiel continuò a fissarlo per un po' fin quando si accorse che la faccenda era più grave del previsto, e si fece anche lui scuro in volto.

«Castiel, ti prego vai dalla direttrice al più presto.»

«E' per lei
Sembrò che i due ragazzi si fossero capiti senza neanche parlarsi, cosa che sembrava così strana visto che non si sopportavano affatto;

«..si, è per lei

Castiel senza aspettare una parola di più iniziò a correre nel corridoio verso l'ufficio della preside, e Nathaniel non disse niente riguardo al non correre nei corridoi.

Quei due ragazzi erano così strani, si davano addosso l'uno con l'altro eppure sembravano così complici a volte, come se si conoscessero così bene da non utilizzare parole per intendersi; Nathaniel aveva due facce, una che mostrava a tutti, da bravo ragazzo, sempre disponibile, con un bel sorriso e pronto ad aiutarti, ed una che mostrava solo a quel ragazzo che era venuto a chiamare per mandarlo dalla preside, una faccia del tutto diversa, piena di rancore, e di maniacalità per le regole; Castiel sembrava avere tanti di quei segreti, nascosti nel suo piccolo mondo, ben nascosto ed impenetrabile, dove non faceva entrare nessuno; eppure questi due ragazzi così diversi, in pochi istanti erano riusciti a capirsi senza farle capire un'accidente. Ma quella sera la faccia che aveva mostrato a Castiel era ancora un'altra, e la cosa la preoccupava.

«Nathaniel, mi spiace, è colpa mia, sono io che ho accettato, non punirlo per colpa mia.»
Nathaniel continuava a fissare il punto verso il quale era sparito Castiel; si girò verso di lei, come se fosse uscito improvvisamente da un sogno ad occhi aperti e le sorrise in modo melanconico, per poi metterle una mano sulla testa e scompigliarle leggermente i capelli.

«Non è colpa tua, dolcezza.»
E senza aggiungere niente se ne andò.

Dolcezza? Da quando la chiamava dolcezza? Qualcosa non tornava, qualcosa era andata storto, ma a lei non era dato saperlo a quanto pare; andò ad aspettare Castiel davanti all'ufficio della preside, e già da lontano si sentiva la voce di Castiel che sbraitava ed urlava contro qualcuno.

«Non aspetterò proprio nessuno!»
Si avvicinò sempre di più fino ad arrivare a pochi metri dalla porta, le sembrava brutto avvicinarsi di più, perché non voleva dare l'idea che stesse origliando, ma la voce di Castiel risuonava lo stesso come non mai dalla stanza chiusa.

In quel momento vide il ragazzo uscire di corsa, che si girò per guardarla, ma continuò ad andare dritto ed uscì dal liceo, seguito dalla voce di Nathaniel che si era affacciato dalla porta tentando di richiamarlo a gran voce per farlo tornare indietro. Ma ormai era troppo tardi, Castiel era già lontano e di certo non lo avrebbe sentito.

Chiudendo la porta Nathaniel si accorse della presenza di Jay, che si trovava quasi dietro la porta dell'ufficio.

«Torna a casa, si sta facendo tardi.»
E così dicendo, senza neanche rivolgerle un sorriso, le chiuse la porta in faccia; altro che dolcezza e carinerie, l'aveva completamente snobbata, e dalle sagome che si intravedevano dal vetro opaco dell'ufficio capì che stava mettendo a posto delle carte e fu lì che sentì il commento della preside.

«Povero ragazzo..»
Dopo di che silenzio assoluto.

Jay avrebbe voluto capirci qualcosa, sfondare la porta con una calcio e chiedere spiegazioni, ma non era di certo la soluzione più appropriata.

Dopo quell'episodio non vide Castiel per più di una settimana.

*****

Era una giornata come un'altra al liceo, e quello che Jay aveva capito di sicuro era che non tutti gli alunni erano simpatici come credeva.

L'unica esperienza la aveva avuta con quella prepotente ragazza bionda che la aveva presa in giro con Ken, che scoprì poi chiamarsi Ambra.

Ambra, Li e Charlotte, erano le tre ragazze che ogni giorno se ne inventavano una nuova per infastidirla.

Un giorno le incollarono l'armadietto, un altro le rovinarono i libri, un altro ancora avevano fatto girare dicerie su di lei, e anche se non le andava giù questo comportamento decise di lasciar perdere ed essere una persona matura senza scendere al loro livello.

Ma quel giorno le cose cambiarono, quando Ambra ne fece una delle sue solite; andando verso la mensa la presero e la circondarono.

«Senti Jay, ho saputo che sei la fidanzata di Ken, che dire tra sfigati vi capite. Quindi evita di girare intorno a Nathaniel, e stai con il tuo caro Ken.»le disse guardandola con sguardo ambiguo.
La strattonarono e se ne andarono via.

Basta, questa cosa doveva smettere al più presto, ma era ancora decisa a non scendere in campo con qualche bambinata degna solo di poca intelligenza, così decise di andare a lamentarsi ai piani alti.

Percorse il corridoio infuriata, quando la sua attenzione fu attratta da Ken che la salutò in modo del tutto normale; cosa molto strana per Ken, così tornò su i suoi passi e andò a parlare con quel ragazzo che tanto le era stato appiccicato.

«Hey, Jay, tutto bene?» le chiese quasi senza intonazione.

«No che non va tutto bene, quelle tre streghe mi stanno torturando dal primo giorno che le abbiamo viste!»
Ken sembrò riprendere vita.

«Anche a te? Ed io che pensavo di essere il loro unico bersaglio..»
«Ma non la passeranno liscia, questa volta vado a lamentarmi, così questa storia finirà.»
Continuò la sua camminata infuriata e spalancò la porta della sala dei professori con un calcio – che fortunatamente era vuota – dove stava Nathaniel che lavorava.. come al solito.

«Guarda!» gli disse sbandierandogli sotto gli occhi il suo braccio con un evidente livido sopra.

«Cos'è successo?» le chiese con voce perplessa.

«La colpa è di quell'imbecille di Ambra e delle sue stupide amiche! Si credono chissà chi e fanno le prepotenti!»

Nathaniel la guardò male.

«Ambra è mia sorella.»
Jay capì di aver fatto una figura di niente, ma continuò imperterrita a chiedere l'aiuto del segretario.

«Mi perseguitano! Ed anche a Ken..»
Nathaniel sembrava preoccupato, ma non era sicuro che sua sorella potesse essere una simile peste a scuola.

«Ma stai scherzando?»

Jay era spazientita.

«Si..» disse sardonica.
«E ti sembrano scherzi da fare questi?» le risposte il ragazzo con la mano sulla fronte.

«Nathaniel, ero sarcastica! Tua sorella fa questo ad anche peggio, per colpa sua ieri sono andata per tutto il liceo zuppa d'acqua e con un qualcosa verde appiccicata ai vestiti; tua sorella non è l'angioletto che credi tu.»
Il ragazzo, visibilmente mortificato, si mise una mano nei capelli.

«Questa volta non la passa liscia.»
«Preferirei che ci parlassi al più presto.»
«Certo che si, lo farò immediatamente.»
Uscì dalla sala visibilmente adirato.

Avviandosi verso il cortile, Jay fu fermata dalla direttrice che la prese per le spalle e la portò con sé davanti alla porta principale.

«Signorina, vorrei tanto che lei scegliesse un club da frequentare.»
La sua affermazione lasciò sbalordita Jay che non si aspettava affatto una cosa simile.

«Io... beh.. che club ci sarebbero?»
«Attualmente abbiamo un posto vacante nel club di basket e uno nel club di giardinaggio.»
«Basket.» disse la ragazza senza neanche far passare un secondo dalla fine della frase.

«Bene, buona giornata.» così dicendo la direttrice se ne andò via.

Ora si aggiungeva una grana in più in quello stupido liceo, non sapeva niente di basket, ma odiava i fiori, tremendamente, ed in più la direttrice non si era neanche degnata di dirle dove si trovasse il club di basket.

Uscendo si vide venire incontro Ken, con la sua solita vitalità, che tutto contento le diede la bella notizia che si era aggregato al club di giardinaggio.

«Io sarei in quello di basket a dir la verità.. » gli disse continuando a camminare verso il cortile.

«Oh, capisco, quindi le nostre strade si dividono, io devo andare di qua» disse indicandole una strada alla sua destra.

«Aspetta un attimo, sai dove si trova il mio club?»
«No, mi spiace, ma ti farò sapere se scopro qualcosa.» disse salutandola vistosamente con la mano da lontano.

«Club?» le sussurrò una voce all'orecchio.

Jay sussultò e si girò vedendo alle sue spalle Castiel.

«Toh, guarda chi si rivede, mi spiace ma ho degli impegni.» disse continuando a proseguire dritto.

«Se continui così uscirai dal liceo prima dell'orario.. ci diamo alla cattiva strada?»
«Sto cercando uno stupido club di basket a dire la verità. Sai dov'è?»
«Può darsi.. cosa ci guadagno?» le chiese sogghignando.
«Lo stare in mia compagnia?» gli rispose Jay facendo spallucce.
Le sorrise e iniziò ad incamminarsi verso la palestra.

«Seguimi, forza.»
La portò in palestra e senza neanche darle il tempo di ringraziarlo, se ne andò senza dirle niente; nel club la misero subito al lavoro come raccattapalle, lo aveva detto che era solo una grana in più e si stava rivelando ancora più fastidiosa del previsto.

Dopo aver finito di aiutare il suo club, andò a prendere il suo cellulare che aveva lasciato nel suo armadietto.

Prima che potesse aprirlo, qualcuno ci diede un forte pugno dentro, che fece saltare dalla paura la povera Jay.

«Così vai a lamentarti da mio fratello eh? Mocciosa.»

Ambra la guardava con aria di odio, come se avesse voluto incenerirla con gli occhi; Jay sentiva una fitta come se la ragazza davanti a lei la stesse pugnalando con una lama invisibile nello stomaco.

Ma Ambra senza aggiungere altro se ne andò.

Finalmente sola.

Anche quando si comportava da ragazza matura senza fare guai e avere liti, le cose andavano per il verso sbagliato e si trovava per l'ennesima volta davanti ad una situazione che non faceva altro che metterle pressione.

Aprì l'armadietto e iniziò a cercare il cellulare nella borsa, quando si sentì toccare una spalla; si girò e vide Nathaniel che le stava sorridendo.

«Non ho fatto niente.» disse come sentendosi presa con le mani nel sacco a fare qualcosa di cattivo.

«Tranquilla, sono qui per... chiederti un piccolo favore.»

Il ragazzo fece un sorriso smagliate, atto evidentemente a convincere la ragazza a farle accettare di buon grado la cosa; ma era ovvio che non avrebbe potuto rifiutare.
«Sarebbe a dire?» gli chiese alzando un sopracciglio.

«Dovresti far firmare questo foglio delle assenza a Castiel.»
«Per quale motivo lo chiedi a me?»

Gli rispose in tono molto evasivo, cercando di fare scucire al ragazzo qualche complimento sulla sua perseveranza o sul quanto fosse una brava ragazza.

«Perché siete due testoni, e tra voi vi capite.»

Sottolineò con la voce la parola testoni; Jay, sentendosi offesa lo lasciò a parlare da solo davanti al suo armadietto.

Nathaniel la seguì e prendendola per la mano la fermò, guardandola con uno sguardo supplicante, facendole capire che meno vedeva Castiel meglio era; per evitare che i due ragazzi si innervosissero anche questa giornata, litigando come non mai, prese il foglio dalle mani del segretario.

«Ehm... ci proverò, ma non ti assicuro niente.»
Lui le diede una pacca sulla spalla e la spinse verso il cortile; l'aveva proprio buttata in pasto ai lupi; non le andava molto di vedere Castiel però... era passata una settimana da quando era corso via dalla scuola lasciandola da sola e non le aveva ancora spiegato il motivo, ma ora doveva risolvere questa situazione.

Castiel, come previsto, stava nel cortile a leggere una rivista.

«Castiel puoi firmarmi questo?»

Castiel alzò lo sguardo incrociando il suo, e poi lo riabbassò continuando a leggere; così Jay prese il foglio e glielo mise davanti all'articolo che stava leggendo.

«Firma e non ne parliamo più» e si mise a sedere vicino a lui, accavallando le gambe.

Castiel si alzò, prese il foglio e glielo restituì.

«Ti manda Nathaniel vero? Puoi anche riportarglielo, io non firmo niente; se proprio vuole costringermi che venga lui, che faccia l'uomo.»
Jay non sapeva se prenderlo sulla parola e tornare indietro; vedendo che Castiel stava aspettando che lei andasse si alzò ed andò a cercare Nathaniel.

Quando lo trovò lo guardò male.

«Tutto bene?»

Jay gli fece l'imitazione di Castiel che diceva di prendersi le sue responsabilità da uomo.

«Vai da Castiel e digli che l'uomo deve farlo lui, e fagli firmare quel foglio!»
«Non sono mica il vostro postino privato.. Però, potrei provarci ancora in cambio di qualcosa..» gli sorrise sorniona.

Nathaniel arrossì, e andando ad aprire la finestra si allentò il colletto.

«Cioè..?» balbettò il ragazzo.

«Informazioni... vorrei sapere cos'è successo l'altra settimana con Castiel; se ne è andato via senza dirmi nulla, sono giorni che non lo vedo ed oggi non si è degnato neanche di inventare una storia o di dirmi scusa.»

«Possibile che il tuo argomento sia sempre quel ragazzo?»

Jay vide che Nathaniel stava lentamente perdendo il rossore sulle guance; da come gli aveva proposto lo scambio probabilmente Nathaniel aveva frainteso, ed ora si sentiva a disagio.

«E comunque non posso rivelarti niente, sono cose private che non sono autorizzato a dirti.»

La prese, la girò e spingendola per le spalle come prima la cacciò dal suo ufficio.

«Vai!»
Così per la terza volta fu costretta a fare da intermediario tra i due; arrivata nel cortile, non ebbe nemmeno il tempo di cercarlo, che Castiel le piombò addosso.

«Allora?»
«Firma.»
«Ancora? Non capisci che sta facendo questo solo perché vuole cacciarmi da scuola?»

Jay lo guardò allibita, come se non gli credesse, ma vedendo che il ragazzo non cambiava espressione, né stava scherzando, entrò velocemente nel liceo e andò da Nathaniel, sbattendogli il foglio in mano.

«Non sarò io a far cacciare Castiel, scordatelo, fattelo firmare tu, se proprio ci tieni.»

«Siete proprio uguali..» disse sbuffando.

Jay se ne andò, lasciando il segretario da solo con il suo impiccio, e finalmente era libera di tornare a fare quello che stava facendo prima.

Aver scelto il club di basket era stata davvero una scelta poco ispirata, la fecero sgobbare per tutto il tempo, e si sentì bene solo quando fu libera di andarsi a fare una doccia nello spogliatoio.

Doveva solo recuperare le sue cose, e poteva tornare a casa dopo questa ennesima, pesantissima, giornata scolastica.

Basta segretari, basta ribelli che non si fanno vedere per giorni e poi fanno come se niente fosse, basta con Ken, basta con il club, basta con le lezioni... almeno per quella giornata.

Ma non si poteva sbagliare di più: in fondo al corridoio, proprio davanti al suo armadietto, stavano litigando Nathaniel e Castiel, che aveva bloccato il segretario vicino agli armadietti, tenendolo per il colletto.

Non capiva per cosa stessero litigando, ma comunque doveva avvicinarsi per prendere le sue cose dall'armadietto, e facendo una corsa andò dai due ragazzi.

Stavano litigando per il foglio delle assenze.

Jay si intromise nella discussione prendendo le parti di Castiel, andando contro al segretario che la guardava come se non avesse avuto più speranza di redenzione ai suoi occhi.

La discussione si faceva sempre più accesa fino a quando Castiel stava per tirare un pugno dritto in faccia a Nathaniel.

Jay gli prese la mano per fermarlo; Castiel si immobilizzò.

Gli sentiva battere il cuore... lo sentiva ansimare dalla rabbia.

Castiel si liberò dalla sua presa e la scansò, camminando come un matto fino alla porta.

Nathaniel non le disse niente, si aggiustò la camicia e se ne andò anche lui.

Non era stata una bella giornata, per nessuno dei tre, ma almeno era arrivato il fine settimana.


Jay Myler 
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Capitolo 3
*** Un inizio imbarazzante... ***


Il sole era alto nel cielo, scaldava lievemente quella tiepida e serena giornata primaverile e all'orizzonte neanche una nuvola; l'aria di quella mattina aveva qualcosa di elettrico che dava vita alle strade deserte delle otto e trenta.
Nella stanza di Jay, il sole si faceva spazio, penetrando da una piccola fessura tra le tende viola appese alla finestra, ed un piccolo fascio di luce andò a sbattere contro lo specchio di fronte al letto, che riflettendosi illuminò tutta la parete opposta; la ragazza strizzò gli occhi, si mise una mano sulla faccia e si girò su un fianco, continuando a tenere gli occhi chiusi.
Dalla finestra leggermente aperta iniziava ad entrare una lieve brezza, che le scompigliava i capelli; aprì gli occhi e posò il suo sguardo sulla sveglia digitale:

8:42

richiuse gli occhi tranquilla per tornare nel mondo dei sogni.
Poi d'un tratto si alzò di scatto, prese la sveglia e l'avvicinò al viso per vedere se aveva visto bene l'orario; erano proprio le otto e quarantadue minuti, tradotto in parole semplici in ritardo assurdo e non contemplato.
Scese dal letto e si infilò le scarpe, poi fece una corsa nel bagno per lavarsi i denti e la faccia; seconda tappa la cucina, dove prese una fetta di pane, se la mise in bocca e si incamminò lungo il corridoio che precedeva la porta; si mise una giacca al volo, prese lo zaino da terra, uscì di corsa dalla porta e la chiuse dietro di sé dando un ultimo sguardo all'ingresso.
L'attaccapanni si era liberato di un paio di maglie facendole cadere a terra, briciole di pane ovunque, ed il calendario segnava ancora la data del giorno prima:

Sabato, 23 Marzo

Jay si bloccò.
La porta fece un gran botto, e chiudendosi fece incastrare il pantaloncino del suo pigiama tra la casa e l'esterno; la ragazza si tolse la tracolla, che sentiva stranamente leggera, l'aprì, e vide che effettivamente era completamente vuota, ora le opzioni erano due: o qualcuno le aveva svuotato la borsa durante la notte, o quella era una tranquilla mattinata di Domenica, dove naturalmente non c'è scuola, e la sera prima lei aveva preso le sue cose dalla tracolla per metterle nella borsa con cui era uscita.
«Ma porca la miseria..»
Cercò le chiavi nella tracolla, sperando vivamente che fossero state le uniche sopravvissute della razzia della sera prima, ma con grande delusione si accorse che, a parte un pacco di fazzoletti, la borsa era completamente vuota; avrebbe potuto chiamare la zia, che le aveva regalato l'appartamento, la quale possedeva delle chiavi di riserva, ma ovviamente il suo cellulare era rimasto sul suo comodino, dove lo aveva lasciato la sera prima. Decise di provare ad aprire la porta sul retro, che era più facile sfondare, ma solo quando tentò di fare un passo in avanti si accorse di essere rimasta incastrata nella porta; allora notò che aveva ancora addosso il suo pigiama fragola, e l'unica cosa che la copriva un po' era la felpa che si era presa all'entrata.
L'inizio peggiore di giornata che aveva avuto in questo ultimo anno; si trovava fuori al suo portico, con il pigiama, che si era incastrato nella porta che non le permetteva di stare lontana da essa più di tre centimetri, con solo una felpa leggera a coprirla e con una tracolla contenente solo un pacchetto di fazzoletti... neanche Mc Gyver sarebbe riuscito a fare qualcosa per liberarsi.
Una soluzione però c'era... se riusciva a sfilarsi la parte di sotto del pigiama sarebbe potuta andare sul retro e provare ad entrare, sperando, in tutto ciò, di non essere vista da nessuno.
Proprio mente si era convinta che questo piano era perfetto - più che altro perché era il suo unico piano, visto che di chiedere aiuto a qualche passante non se parlava proprio – sentì dei rumori dal marciapiede, che venivano verso la sua casa.

Quando la fonte di tanti schiamazzi si rivelò un cane, Jay si rilassò per un secondo, fin quando non vide che quel cane stava al guinzaglio; a meno che non fosse un guinzaglio magico, alla sua fine ci doveva essere qualcuno.

Dannazione.

Non voleva farsi vedere in quelle condizioni da qualcuno, ma era inevitabile; a meno che non avesse fatto finta di niente e con disinvoltura avesse fatto come se niente fosse. E se la persona che stava portando il cane a spasso era un suo conoscente? Magari si sarebbe anche avvicinato a fare due chiacchiere, e lì la figura sarebbe stata ancora più pessima
'' Ma infondo quante probabilità ci possono essere '' pensò, e fece come previsto dalla sua idea originaria; si appoggiò tranquillamente con la schiena sulla porta, e facendo finta di niente finse di aspettare qualcosa o qualcuno.
In quel momento finì il guinzaglio ed il proprietario di quell'enorme cane nero passò proprio di fronte a lei; Jay non si azzardò proprio a posare lo sguardo su quella persona, sperando che egli facesse lo stesso senza curarsi di quella tranquilla ragazza in pigiama sulla soglia di casa. Tutto sembrava andare per il verso giusto, il proprietario passava imperterrito, quando però si fermò di botto.
'' Fa che non si giri, fa che non si giri..''

Il ragazzo si girò verso di lei.

«Hey piccoletta, sveglia già a quest'ora?»
Jay rimase pietrificata; non molte persone la chiamavano piccoletta, anzi, solo una lo faceva, ed era proprio l'ultima persona che voleva incontrare; alzò molto lentamente lo sguardo e vide che davanti al vialetto di casa sua c'era Castiel.
Rispose alla sua domanda con una risatina isterica e poi cercando di sembrare disinvolta iniziò a parlare.
«Già, già... bella giornata vero? Sono uscita per... beh... per prendere un po' d'aria!» disse con un tono di voce leggermente più alto del normale, e facendo piccoli saltelli con le mani alzate come se volesse fargli vedere l'aria che stava prendendo.
Saltellando sentì un rumore poco carino, che si accorse provenire dal suo pigiama incastrato, quindi smise di saltare immediatamente.
Castiel si rese conto che qualcosa non andava; nonostante fosse una giornata non molto fredda, uscire in pantaloncini gli sembrava comunque inadatto, quindi fece qualche passo verso la porta.
«Non ti sembra ancora un po' freddo il tempo?» le chiese sospettoso.

Jay rise di nuovo isterica.

«Si si, infatti, ma comunque è molto bella questa giornata!» esclamò cercando di indietreggiare quando vide il ragazzo avvicinarsi, come se cercasse di passare attraverso la porta di casa.
«Allora dovresti cambiarti suppongo...»
«Cosa..?» la ragazza lo guardava senza capire; si guardò e si ricordò di essere ancora in pigiama, un pigiama che per altro aveva deciso di strapparsi su un fianco.
«M-ma ora entro, tranquillo... ho preso tutta l'aria che mi serviva. Sto entrando vedi?» gli disse girandosi e facendo finta di inserire le chiavi, facendo rumore sulla maniglia della porta con una pinzetta che aveva nei capelli con una mano e con l'altra mantenendosi il pigiama rotto.
Il ragazzo che stava portando il cane a spasso si mise a ridere; prese il suo cane ed andò vicino alla ragazza, che ormai si sentiva più che scoperta.
Castiel si mise, spalle alla porta vicino a lei;

«E così prendi un po' d'aria in pigiama, felpa e tracolla, e apri casa tua con una molletta eh?»
Jay lo guardò, ma appena incrociò lo sguardo del ragazzo lo abbassò subito sentendosi a disagio.

«Eh già, ognuno ha le proprie abitudini..»
Castiel si mise di nuovo a ridere, poi la guardò continuando a sorridere.
«Se è così, io andrei, buona giornata!» le disse all'improvviso, scendendo gli scalini del portico, con il suo enorme cane al seguito.
«Castiel..» sussurrò la ragazza.
Il ragazzo si girò guardandola e divertendosi a vedere quella scena.
«Sei rimasta fuori casa eh?»
«Già..»
«Ed hai lasciato anche una finestra aperta.. tieni un po' qua..» le disse dandole la sua estremità del guinzaglio, per poi andare di lato alla casa.
Jay lo chiamò a bassa voce un paio di volte, poi sconfortata non le rimase che aspettare; così si mise ad osservare l'enorme bestia che le era stata affidata da Castiel, che stava mangiando il pezzo di pane che le era caduto quando era uscita di casa.
«Hey, ciao tu...» gli disse accarezzandolo sulla testa.
Il cane contento delle coccole si mise a pancia in su.
«Mi dispiace enorme palla di pelo, ma non posso abbassarmi per farti le coccole, vedi.. sono incastrata! E il tuo padrone chissà dove è andato..»
Il cane si rialzò e si mise a sedere, guardandola con la testa piegata da un lato, come se trovasse anche lui la cosa divertente.
«Non guardarmi anche tu così! Lo so che vi divertite addosso a me tu e il tuo padrone dai capelli rosso fuoco, sai! Quindi non incominciare pure tu cane enorme..»

Sentì uno scatto e si sentì libera di muoversi, si girò e vide Castiel che le stava aprendo la porta del suo appartamento a due piani dal quale si era chiusa fuori.
«Demon.. quel 'cane enorme' si chiama Demon. E' un Bauceron e a quanto pare gli piaci» le disse vedendo che Demon si stava strusciando contro le gambe di Jay.
«Ma come.. ma come hai fatto?»
«Avevi lasciato la finestra al secondo piano aperta, e salendo sull'albero sono entrato; hai lasciato via libera a ladri, malintenzionati e ragazzacci.»
«A quanto pare uno ci è appena entrato..» gli disse passandogli avanti seguita da Demon.
«A proposito, bel pigiama» le disse sorridendole.
Jay arrossì e gli restituì il guinzaglio dopo aver dato un'ultima carezza a Demon.
«Non è che..» dissero insieme; si azzittirono entrambi.
«Vorrei chiederti di..» ripeterono di nuovo all'unisono.
«Prima tu..» disse Jay.
«Ma no niente, lascia perdere» le disse mentre varcava la soglia di casa.
«Castiel, non è che vorresti.. entrare... a bere qualcosa eh! Non volevo proporre niente di che...volevo solo..»
«Devo portare Demon a casa.» le disse fermandosi sul portico.
«Capisco..»
Jay abbassò la testa, sconfortata; non era esattamente in quel modo che voleva offrirgli qualcosa da bere per sdebitarsi.
«Sappi che sei in debito con me.. se non fosse stato per il mio aiuto saresti rimasta lì tutto il giorno; o magari ti sarebbe venuta la malsana idea di toglierti il pantaloncino e di cercare di entrare da chissà dove in mutande, attirando attenzioni indesiderate..»
«Ma cosa dici, non mi sarebbe mai passato per la testa..»
Castiel alzò un sopracciglio.
«E va bene, ci avevo pensato!»
Ma il ragazzo continuava a guardarla come se sapesse che stava mentendo.
«Si, lo stavo anche per fare, ma poi sei arrivato tu..»
«Oggi pomeriggio, alle quattro...»
«...?»
«Se hai impegni, cancellali!»
Castiel si girò e se ne andò con Demon, alzando una mano in segno di saluto, ma senza girarsi.

Stupido Castiel, ora era in debito con lui e non le aveva detto nemmeno cosa significasse quell'oggi alle quattro.
Conoscendolo le avrebbe dato da fare i suoi compiti per il giorno dopo, quando lei non aveva finito di fare neanche i suoi!
Dopo essersi accorta di stare fissando il suo giardino, sulla soglia della porta, ancora in pigiama, decise di chiudere la porta ed andare a fare almeno qualcosa simile ad una colazione, e poi andare a farsi una doccia.
Si tolse la felpa e la gettò per terra con le altre tre che già l'avevano preceduta, vicino ci gettò la tracolla e andò a sedersi in cucina, prendendo un biscotto ed iniziando a sgranocchiarlo.
Castiel era così strano a volte, e faceva fatica a capire veramente com'era; a scuola era sempre strafottente e menefreghista, un bulletto che faceva i suoi comodi, un ribelle insomma, che non stava a sentire nessuno, che non amava la compagnia di nessuno, che spesso spariva per ore, per poi ricomparire poco prima dell'ultima campanella, o a volte non si vedeva proprio all'uscita, anche se lo aveva visto la mattina. Ripensandoci erano tre giorni alla settimana che non usciva all'ultima campanella, anche se aveva visto che era presente; che lei sapesse non faceva parte di nessun club, e la cosa le sembrava più che strana, anche se il ragazzo non era di certo l'essere più comprensibile della terra. 
Il primo giorno poi l'aveva abbandonata al liceo, per qualcuno, di sicuro una ragazza, che conoscevano sia lui che Nathaniel, ed era andato via di corsa, con la faccia della preoccupazione, come se non ci fosse tempo da perdere. Chissà cosa era successo, e per chi stava correndo in quel modo; non ne aveva più parlato da allora. Eppure prima che succedesse ciò, lui era stato così disponibile – a modo suo- nei suoi confronti, portandola perfino a vedere quel magnifico panorama; a volte la trattava bene, altre la trattava male senza un vero perché, forse solo per orgoglio o per mantenere un certo tipo di atteggiamento, fatto sta, che non lo aveva mai visto parlare con nessuna ragazza tranne che con lei, ed una volta lo aveva intravisto parlare con Ambra nel cortile della scuola, dalla finestra mentre lei stava in classe che seguiva l'ora di storia. Che la ragazza per la quale era corso via fosse proprio Ambra? Una domanda a cui non sapeva rispondersi, ma la cosa sembrava avere un certo senso.. in quel liceo Castiel non aveva rapporti con le altre ragazze, tranne che con lei e con quell'antipatica di Ambra; quando Nathaniel lo aveva avvertito di andare subito dalla preside aveva anche lui l'aria molto accigliata, ma non sembrava così disperato come se il problema fosse con sua sorella, in quel caso sarebbe stato lui a correre e di certo non sarebbe andato a chiamare Castiel; ma magari era stata la ragazza a chiedere al fratello di andare a chiamare il suo ipotetico fidanzato, sarebbe a dire Castiel. Ma questo congettura aveva senso solo da una parte, in quanto è l'unica Lei che entrambi conoscono; ma non reggeva, in quanto la direttrice aveva espresso il suo dispiacere nei confronti di Castiel, mentre invece avrebbe dovuto esprimerlo nei confronti di Nathaniel nel caso di un eventuale incidente ad Ambra, ed a maggior ragione, questa tesi veniva completamente screditata in quanto la settimana dopo Castiel non c'era stato, mentre invece Ambra era viva e vegeta al liceo, occupata a tormentarla in qualsiasi modo la divertisse.

Per avere la verità avrebbe dovuto chiedere a Castiel in quanto Nathaniel aveva deciso di non dirle nemmeno una parola, neanche darle un piccolo indizio.

Era decisa.
Glielo avrebbe chiesto... un giorno.
Mise la mano nel barattolo, ma i biscotti erano finiti, così si alzò per prendere il resto della busta e riempire nuovamente il barattolo; passando davanti al frigo notò un post-it che prima non c'era:

 

Alle 16:00

davanti casa tua

sta sera sei mia.

 

Così per la prima volta, vide la calligrafia di Castiel.


 


Jay Myler 
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Capitolo 4
*** … ed un fine giornata sorprendente ***


- Chissà dove vorrà portarmi Castiel – pensò Jay ad alta voce.

«Stai parlando con me tesoro?» le domandò la zia dalla cucina al piano di sotto.
«No no.. stavo solo pensando.»
La zia salì le scale e si affacciò alla porta della camera della ragazza, e la vide stesa sul letto a pancia in su che fissava il soffitto.

«Problemi?»

Jay sospirò.

«Ha a che fare con questo?» le chiese sventolando in aria un pezzetto di carta color giallo.

Jay si girò per guardare cosa teneva in mano, e vide che stava sventolando il post it di Castiel come una bandierina ad una festa; saltò giù dal letto e gliela tolse di mano con uno scatto fulmineo, senza neanche darle il tempo di ritrare la mano.

«L'essere venuta a trovarmi non ti da l'autorizzazione a toccare le mie cose, zietta cara»

La zia sorrise, seguendola con lo sguardo mentre lisciava il piccolo pezzo di carta leggermente sgualcito ed attaccarlo sullo specchio della toletta.

«Chi è questo misterioso cavaliere?»

«Lo definirei più un barbaro, e non è un appuntamento! Credo..» disse continuando a guardare il messaggio lasciatole del ragazzo, fingendo di guardarsi allo specchio.

«Volevo solo sapere il nome del ragazzo, non volevo di certo intromettermi.» sbuffò con aria mortificata.

Jay andò verso la zia e l'abbracciò più forte che poteva.

«Tranquilla, sono solo un po' in ansia; non so cosa aspettarmi da lui.. a volte è freddo, altre no, poi mi porta a vedere posti bellissimi per poi piantarmi in asso..»

La zia le mise una mano tra i capelli e la strinse a sua volta; senza lasciare la presa fece un passo indietro e si sporse per controllare la scala, come se anche lei aspettasse qualcuno.

«Credo che tra poco sarai ancora più in ansia.. Sono le 16:00 spaccate!» le disse la donna prima di scendere amorevolmente ed in tranquillità le scale.

La ragazza fece un salto all'indietro degno di un acrobata e si butto sulla sua trousse cercando tutti i trucchi possibili ed immaginabili; doveva ancora aggiustarsi i capelli, trovare qualcosa di decente da mettersi – ma cosa, visto che quello stupido non era stato chiaro se il loro fosse un appuntamento o meno- trovare le scarpe che misteriosamente sparivano proprio quando le servivano ed un altro centinaio di cose.

«Non penso sia il tipo di ragazzo preciso e puntuale» biascicò Jay mentre si metteva un rossetto, che appena finito di applicare si tolse immediatamente.

Neanche il tempo di respirare riusciva a trovare in quel momento e le sembrava che tutto andasse storto e più al rilento possibile.

Din Don

«Maledetto! Zia non aprire per nessunissima ragion..»

«Prego caro, entra pure, devi essere Castiel, piacere di conoscerti!»

La voce della zia risuonò per tutto il corridoio e le rampe delle scale in modo davvero inquietante, che fece le gelare il sangue delle vene due volte peggio.

- Corri, muoviti, sbrigati, truccati... anzi no lascia perdere.. prendi la borsa, mettici il cellulare, anzi no, niente borsa, meglio evitare, ma il telefonino... ma dove staaaa.. eccolo! -
«Jay sta di sopra, è sempre molto lenta e mai puntuale, da quanto vi conoscete?»

- E il portafogli.. e magari anche i soldi.. ma perché non stanno dentro? Ah, il jeans! Ma non ho tempo di mettermelo, dovrò restare con i pantaloncini e sto ancora in felpa... che manca? Le scarpe.. cerca, forza... dove posso stare, mica si muovono...Trovate, eccovi dove eravate nascoste... ma i lacci?! -
«Capisco caro, salendo le rampe di scale, la prima porta a sinistra.»
Ma era impazzita? Far salire Castiel in camera sua?
Castiel il polemico; Castiel il bulletto; Castiel il maleducato; QUEL Castiel!

Ma non era detto che Castiel sarebbe salito, ormai aveva capito che tipo era e non voleva perdere tempo; probabilmente si era già bello e che congedato da sua zia e la stava aspettando fuori; ma per sicurezza chiuse la porta.

Sentì rumore di passi per le scale.

Maledizione!

Jay entrò ancor più visibilmente nel panico; non ricordava come mettersi le scarpe, si mise la destra al piede sinistro e stava imprecando a bassa voce contro il suo piede chiedendogli perché avesse deciso di smettere di funzionare (?).

I passi si facevano sempre più vicini.
La ragazza stava seduta, con una ciocca di capelli sugli occhi che le impedivano una visuale decente, ma sopportabili da tenere per evitare di perdere tempo ad aggiustarli, con un gamba all'insù cercando di infilarsi una scarpa che – dopo non poche peripezie- riuscì ad infilarsi, e una discreta quantità di panni che la circondavano.

- Forza che manca poco.. devo solo allacciare questo e ho..-
La porta si spalancò di botto; Jay sbiancò, ed il tempo sembrò fermarsi.
«Io vado, è stato bello rivederti. Ah, e stai calma il tuo amico ha detto che ti avrebbe aspettato fuori, tesoro!» le disse sua zia, salutandola con la mano e riscendendo le scale.
Jay riprese lentamente colore, guardò la zia giù alle scale e con un'espressione soddisfatta e sorniona le disse da davanti la porta:
«Lo sapevo, lo conosco fin troppo bene; non mi prenderà mai con le mani nel sacco!» sogghignò con aria vincente mentre si girava per prendere il cellulare rimasto a terra reduce della battaglia 'Jay- scarpa del piede sbagliato'.
«Presa» le disse una voce alle sue spalle, calda e suadente come sempre, ma soprattutto inconfondibile.

«L'albero, la finestra aperta.. non imparo mai, potrebbero entrarci dei ragazzacci no?»

«Vieni piccoletta, basta perdere tempo, ti tocca seguirmi ora; sta sera sei completamente mia.» le ricordò scendendo le scale senza aspettarla.

Le corse un brivido freddo lungo la schiena.

«Se ti dico che mi fai accapponare la pelle quando lo dici, mi credi?» lo punzecchiò seguendolo.

Castiel si fermò di botto e la mise spalle al muro.

«Mi stupirei del contrario.» le disse guardandola maliziosamente.

A Jay tremavano le gambe, e sentì un calore sul viso, come se le stesse andando a fuoco; Castiel si avvicinò di qualche centimetro a lei, fino ad arrivare a farle sentire il suo respiro addosso..

Ora gli sentiva anche battere il cuore, che a differenza del suo – che stava accelerando in maniera spropositata- andava calmo e a ritmo, come se stesse seguendo uno spartito musicale.
Chiuse gli occhi, deglutì ed attese, senza sapere cosa aspettarsi.

Uno attimo, poi due..

Un rumore di qualcosa che sbatteva.

Aprì gli occhi, e vide che Castiel stava sul portico che le faceva segno di sbrigarsi.

Imbecille...

.. lei, non lui; si sentiva lei la stupida che aveva pensato che un arrogante simile potesse fare qualcosa di carino – anche se dalla sua faccia, non sembrava che volesse fare niente che potesse essere aggettivato con 'carino' -.
«Sarà felicissimo di vederti.»

Jay lo guardò stranita: o aveva cominciato a parlare da solo o come al solito parlava per enigmi; continuò a seguirlo senza chiedergli nulla, fino ad arrivare ad una moto rossa fiammante, di quelle che vedeva solo ai motociclisti dei raduni.

«Prendi.» le disse lanciandole un casco integrale.

Jay lo guardò ancora più sospettosa... che volesse portarla in moto? Non se ne parlava proprio! Adorava le moto, ma di salirci sopra - con Castiel alla guida poi – era l'ultimo dei suoi desideri.
«Mettitelo, non ti si guasteranno i capelli.. ed anche se lo facessero, non ci sarebbe grande differenza.» le disse facendole una smorfia mentre si allacciava il casco.

Questa era proprio una gran bella offesa in pure stile Castiel, piena di humor e divertente che non faceva affatto ridere nessuno, tranne lui che invece si gustava tutte le sue prelibate cattiverie.

Aspettò che il ragazzo si sedesse, e poi in modo molto sgraziato, dopo la terza volta che ci aveva provato, riuscì a salirci anche lei in maniera quasi decente.

Salire su una moto, non era esattamente quello che aveva in programma per la giornata, in particolar modo se a guidarla era quello spericolato di Castiel che per hobby infrangeva le regole.

«Cosa aspetti?» le intimò il ragazzo. «Non abbiamo tutto il giorno da perdere.»

«Devi mettere in moto tu, mica io!» le disse sconcertata la ragazza con un filo di voce da sotto il casco. La paura iniziava a farsi sentire, o meglio a NON farsi sentire, visto che quando era nervosa la voce le spariva quasi del tutto.

«Intendevo mantieniti a me, preferirei evitare di vederti cadere e rotolare a terra rompendoti chissà quante ossa!»

Eh no, questo non aiutava mica a farla rilassare; mise le braccia intorno alla vita del ragazzo e lo strinse più forte che poteva.

«Ora ragioniamo!»

Diede sonoramente gas alla moto e partì a razzo, prima ancora che Jay potesse chiedergli di non correre troppo.

Neanche dieci minuti dopo erano arrivati in periferia, andare veloci aveva anche dei lati positivi, che per Jay evidentemente inconsapevole e ancora in procinto di analizzare cosa le era successo, erano del tutto inesistenti o insignificanti; sprecare dieci anni della sua vita per una corsa in moto per arrivare qualche minuto prima le sembrava più che una pessima idea, quindi con ancora il casco indosso si appoggiò alla moto dopo che Castiel aveva messo il cavalletto.

«Aspettami qui.»

Castiel tornò due minuti dopo con al guinzaglio Demon, che si fermò un attimo di fronte a lei senza essere sicuro che fosse la stessa ragazza della mattina; al padrone non sfuggì che la ragazza stava tremando leggermente, capì che forse aveva esagerato e allora pensò che fosse meglio evitare una delle sue solite battutacce.

Jay, senza alzarsi, si tolse il casco, tenendo lo sguardo fisso su Demon, posò il casco sulla moto e lentamente alzò gli occhi sul ragazzo.

«Porca puttana, Castiel, sei impazzito o cosa?»

Castiel aveva già pronta una delle sue risposte sgradevoli che solo lui sapeva dare, ma non ebbe il tempo di rispondere che subito lo incalzò la ragazza.

«E' stato.. grandioso, per la miseria! Wow!»

Castiel la guardò come se fosse impazzita, chiedendosi come mai una reazione così diversa da quella che credeva.

«Non ti esaltare piccoletta, ora viene davvero il bello.»

Ma Jay lo stava ignorando, completamente presa dal coccolare il suo grosso cagnolone nero, che, contento di rivede quel volto amico, iniziò a leccarla e a farle le feste; lei si accovacciò ed iniziò a fargli i grattini sulla pancia, cosa che Demon gradiva molto, visto la sua espressione soddisfatta.

«Hey, HEY! Quando hai smesso di provarci con il mio cane, me lo fai sapere così possiamo andare..»

«Bhè, trovo il tuo cane molto più simpatico ed attraente di te sai!»

«Sono contento, così non avrai di certo problemi a fare il bagno al tuo nuovo fidanzato.»

«Cosa..? Dovrei lavare questo pony?»

Ma Castiel non le rispose, semplicemente incominciò a camminare a passo svelto, arrivando a fine isolato e girando all'angolo per entrare in un vecchio cancello, di cui Castiel aveva le chiavi, che portava ad una specie di parchetto, dove si trovava un'enorme tinozza piena di acqua. Quella che sembrava un parchetto in realtà era un giardino privato di una villetta vicina, che ,le spiegò Castiel, apparteneva ad amici dei suoi genitori, proprietari di cani e possidenti dello spazio adeguato per la loro pulizia, che gentilmente gli avevano prestato per il bagno una volta ogni due settimane.

Le passò il guinzaglio e le indicò la tinozza al centro del giardino.
«Piccoletta, a te l'onore.»

Jay, forse perché decisa a fare bella figura, forse per riscattarsi, o forse per l'adrenalina che ancora le girava in corpo, si era convinta che era la persona giusta per quell'incarico e che lo avrebbe svolto egregiamente; in fondo cosa ci voleva? Bastava prendere Demon, metterlo nella tinozza, lavarlo ed asciugarlo, ed il gioco era fatto!

Ma il primo problema sorse, ancora prima del mettere Demon nella tinozza: il cane si era disteso sull'erba, riscaldato dal sole primaverile, senza la minima intenzione di alzarsi da lì, nel più completo riposo dei sensi; ma Jay era troppo convinta e con fare deciso intimò al cane di alzarsi.

Demon sembrava non l'avesse nemmeno sentita.

Riprovò di nuovo con decisione, ma il cane non si mosse minimamente; vide a pochi passi da lei un pupazzetto rovinato, e prendendolo, entusiasta, lo fece vedere a Demon, saltellando, esponendogli tutte le sue qualità e lanciandolo nella tinozza gridò al cane di andarlo a prendere.

Ma l'entusiasmo le scomparve quando vide che il cane non aveva nessuna intenzione di andarlo a prendere; se lei stava perdendo le speranze ed il buonumore c'era qualcuno invece che appoggiato alla staccionata, stava ridendo di gusto.

«Senza che ridi mio caro Castiel, non ho ancora giocato tutte le mie carte.» disse altezzosamente la ragazza.

Le provò di tutte: si mise a quattro zampe correndo come un cane per invogliarlo almeno ad alzarsi, iniziò ad addentare i suoi giocattoli per coinvolgerlo, cercò di persuaderlo a parole, lo schizzò con l'acqua, gli saltò addosso a mo' di cavallo come se volesse cavalcarlo fino alla tinozza, cercò perfino di corromperlo con dei croccantini; ma Demon li mangiò prepotentemente e tornò con la testa spalmata a terra.

La ragazza, distrutta, si stese a terra vicino al cane, e chiuse gli occhi, rassegnata.

«Certo che sei tale e quale al tuo padrone..»

Demon alzò leggermente la testa e la leccò in faccia.

«Ma per fortuna lui non mi lecca la faccia.» gli disse pulendosi con una mano.

Castiel si stava divertendo, ma cercava di trattenersi per mantenere la sua solita aria da duro.

«Se lo avessi saputo, che sei così inetta, avrei fatto da solo!» le disse ridendole dietro.

Si avvicinò al cane, prese l'estremità del guinzaglio da terra, e con una leggera strattonata fece alzare Demon e lo portò vicino alla tinozza, togliendogli il guinzaglio.

«Sei solo a metà dell'opera, devi ancora farlo entrare nella vasca» gli disse con quel poco di superbia che le era rimasta.

Il ragazzo poggiò il guinzaglio a terra e diede un colpetto sul didietro del cane, che come se avesse capito cosa stava per succedere si mise con le due zampe anteriori sul bordo.

«Forza vieni, cosa aspetti? Aiutami quantomeno a lavarlo!» le disse, mentre si alzava le maniche per non bagnarle.

Jay si alzò e fece una corsa per raggiungerli; Demon saltò dentro la tinozza, bagnandola completamente, mentre Castiel diligentemente si era allontanato di qualche passo.

«Grazie dell'avvertimento eh!»

Iniziarono a lavare il cane, insieme, e passarono la restante parte del pomeriggio a finire di lavarlo ed asciugarlo e bagnandosi l'un l'altro di tanto in tanto; finito il bagno Demon era pronto per sporcarsi di nuovo, infatti si gettò nell'unica zolla di terra priva d'erba.

«Ma Demon..» piagnucolò disperata la ragazza, temendo un secondo bagno riparatore.

«Non ti preoccupare, fa sempre così, non c'è verso di tenerlo il più pulito possibile; riportiamolo a casa.»

Fecero tutto l'isolato in silenzio, senza dirsi nulla, ma entrambi erano contenti perché avevano passato un bel pomeriggio senza quasi mai punzecchiarsi.

Castiel aprì un portoncino ed uscì senza Demon al seguito, che triste, si affacciò tra le sbarre di ferro che lo separavano dai suoi amici.

Jay si avvicinò alla ringhiera e gli regalò altre due coccole; il cane, soddisfatto, se ne tornò nella cuccia, e dopo aver sbadigliato si mise a dormire, tranquillo.

«Mi riaccompagni ora?» gli chiese sbadigliando assonnata.

«Non credo proprio piccoletta.»

«Beh dimmi almeno dove posso trovare la fermata del pullman.»

Castiel alzò la sella della moto, prese il casco e glielo mise in testa.

«Ti avevo detto che sta sera saresti stata mia no? Ora è incominciata la sera e già vuoi andartene?»

Era sempre così ambiguo che Jay non sapeva se arrossire o dargli un ceffone; ma ormai si era già messo il casco e non le conveniva più dargli uno schiaffo; cosa intendeva che quella sera sarebbe stata sua? In che senso, in che modo e poi -sopratutto – perché? Non era esattamente un comportamento da duro, ma con lei era sempre stato meno rigido degli altri.

Montarono di nuovo in sella e presero la strada che portava fuori città; dopo un quarto d'ora di moto arrivarono a destinazione.

Scesero dalla moto e si tolsero i caschi; rimasero entrambi fermi e senza fiato per la vista che si apriva davanti ai loro occhi:

Castiel l'aveva portata su una piccola collinetta, da dove si vedeva tutta la città e dietro di essa il sole stava lentamente scivolando verso l'orizzonte.

«Ami proprio questi panorami eh?»

«Diciamo che non mi dispiacciono, ma non è per questo che ti ho portata qui.»

Ambiguità alla riscossa.

«E.. potrei sapere il motivo adesso?» le chiese febbricitante e con il cuore in gola.

«Dovrai aspettare che il sole tramonti e che tutto sia avvolto dall'oscurità.»

«Per l'amor del cielo, Castiel, non vorrai uccidermi?» gli chiese sgranando gli occhi.

Castiel le tolse il casco di mano e con il suo li mise nella sella, da dove prese un telo, che poggiò a terra; si sedette e le fece segno di mettersi vicino a lui.

«Aspetta e vedrai.» le disse cingendole le spalle con un braccio.

Aspettarono che il sole tramontasse, e che iniziasse a scendere la notte; intanto Jay stava allerta, non pensava certo che volesse ucciderla, ma sempre meglio stare con gli occhi bene aperti. Mentre aspettavano decise di chiedergli qualcosa.

«Come mai tante assenze?»

«Uhm, diciamo affari miei..»

«Tipo?»
«Del tipo che ti annoierebbe sentirli e che mi annoierebbe raccontarti ora..»

Aveva detto ora, quindi un giorno ne avrebbero parlato; erano pur sempre progressi. Per non rovinare la conversazione decise di cambiare argomento.

«E' vero che ogni anno fai razzia di cuori tra le ragazze?»

«Chi te lo avrebbe detto?» le chiese sorridendo.

«Nathaniel.»

«Non prendere per oro colato tutto ciò che dice.»
«...»
«Ma in effetti ne ho una per ogni giorno della settimana volendo...»

Jay si girò di scatto facendogli togliere il braccio che le teneva sulle spalle; le stava dicendo che la considerava solo una delle tante con cui stava perdendo tempo?

«Hey piccola, non fare così... non mi vedo con nessuna se è quello che ti da sui nervi; anche se non vedo perché dovrebbe importartene.» le disse in tono molto basso e suadente, passandole una mano sul braccio.

«Non fare il cascamorto, lo sai che l'unico maschio della mia vita è Demon, e non sarà certo con te che lo tradirò sai!» gli disse scherzando.

«E comunque non vedo cosa ci sia di male se ti vedessi con altre.. questo non è un appuntamento, giusto?»

«Portare una ragazza a lavare il mio cane non lo considero propriamente un appuntamento sai.»

Risero entrambi, poi calò il silenzio.

Ma ora non stavano più lavando il suo cane, e si trovavano seduti su un prato dove avevano guardato il sole morire dietro i palazzi, e per qualche oscura ragione stavano aspettando la sera inoltrata.

«Ma ora siamo qui no? Voglio dire, solo io e te.. non sto insinuando nulla, intendiamoci, ma non credi che..»

«E' ora.» le disse facendola stendere di botto e mantenendola per le mani.

Cosa stai facendo idiota? Prima dici che non è un appuntamento e poi miri solo a questo? In fondo c'era da aspettarselo, i ragazzi sono fatti tutti con lo stesso stampo, ed a maggior ragione era palese che lui non fosse un romanticone, ma così, senza un perché è inappropriato; ma nonostante lo detestasse per quel gesto improvviso sentiva il cuore batterle a mille e la testa completamente vuota. Quel secondo le sembrò un eternità.

Poi Castiel le sorrise e le disse con un sussurro, che solo lei poteva sentire a quella distanza:
«Guarda, piccola.»
Si scostò da sopra di lei, e davanti ai suoi occhi vide una delle poche cose che le piacevano di più al mondo: stelle cadenti; una pioggia di meteoriti, che le faceva un certo effetto visto da quel posto... le sembrava quasi di poterle toccare, infatti alzò una mano, come se cercasse di prenderne una.

Il cielo sembrava illuminato a festa, ed era pieno di luci; le sembrava quasi di stare in pieno giorno. Castiel era disteso vicino a lei, a guardare il cielo, e le strinse la mano che aveva ancora in aria, per poi portarsela sul petto.

Finita la pioggia colorata restarono ancora un'ora là, stesi sull'erba, mentre Castiel le mostrava tutte le costellazioni visibili, sempre tenendole la mano stretta nella sua, saldamente.

 


 


Jay Myler 
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Capitolo 5
*** E ti pareva! ***


Nonostante gli occhi saldamente chiusi, la ragazza capì che il sole era appena sorto e l'aria fresca tipica delle mattinate primaverili le andò a solleticare le braccia che teneva scoperte; aprì leggermente un occhio per controllare di non essere in ritardo – visto che era lunedì – e vedendo l'orario sulla sua detestata sveglia sul comodino vide che era presto, poteva dormire un'altra oretta, ma sentiva che non avrebbe più riuscito a prendere sonno.

Magari se avesse tenuto chiusa la finestra, avrebbe riposato fino alle sette senza interruzioni, ma si dava il caso che si ostinava a lasciarla aperta quella maledetta, nonostante l'evidente semplicità di entrare nel suo appartamento da parte di una qualsiasi persona capace di arrampicarsi su un albero. Ma il quartiere dove stava era uno dei più tranquilli ed agiati di tutta la città e di certo a nessuno sarebbe saltato in mente di arrampicarsi su di un albero, nel giardino di una casa altrui per entrare nell'appartamento a fare chissà cosa. Fatta eccezione per Castiel ovviamente, lui doveva essere l'eccezione alla regola per tutto e per tutti, e da bravo ragazzaccio ribelle si sentiva di fare ciò che più gli piaceva; ma Jay in queste ultime settimane aveva conosciuto un'altra parte di lui – forse il vero Castiel, pensò – che era capace di fare dei gesti carini e di comportarsi da persona matura e responsabile come la sua età gli imponeva.

Dopotutto la sua prima impressione era stata giusta, non era di certo la persona irrecuperabile che definiva Nathaniel ed a maggior ragione si era giustificata per tutte le volte che si era accanita contro quel prevenuto segretario scolastico; neanche lui era perfetto, ognuno ha delle pecche... Quella di Castiel era il suo modo di fare impertinente ed irrispettoso, Nathaniel partiva un po' troppo prevenuto, mentre lei si sentiva un po' troppo impulsiva e colta sul vivo quando il ragazzo biondo iniziava ad esprimersi sul suo argomento più odiato, dando fondo a tutto l'astio che covava; mai giudizio fu più sbagliato di quello di Nathaniel. Le persone a volte fingono di essere ciò che non sono solo per proteggersi dagli altri, nessuno avrebbe dovuto essere emarginato ed etichettato a prescindere senza che qualcuno conoscesse la sua storia.. e lei ne sapeva qualcosa.

Ma non le andava di pensare a quella stupida vecchia storia; cambiando liceo aveva deciso di cambiare vita e di certo non avrebbe commesso gli stessi errori passati per ricaderci un'ennesima volta.

Si mise a pancia in su, a ricordare la sera prima.

Castiel non l'aveva solo stupita per la sua strana – quanto inaspettata – dolcezza nei suoi confronti, ma anche delle sue conoscenze astronomiche, tra le quali si destreggiava come un veterano del campo; questo era uno dei tanti argomenti che avrebbe voluto approfondire con lui, così, solo per conoscerlo meglio e farsi un'idea più precisa del tipo di persona e del perché di certi atteggiamenti nei suoi, e nei confronti del mondo intero.

Si girò verso la sveglia.

Erano passati appena dieci minuti; il tempo aveva deciso di rallentare e di farle rimpiangere quei mancati minuti di sano sonno ristoratore; la sera prima Castiel l'aveva accompagnata a casa verso mezzanotte, e nonostante le scarse sei ore di sonno che si era fatta si sentiva piena di energie.. ma la voglia di alzarsi, beh, quella decisamente non c'era. Ma non trovava ragione di restare nel letto senza fare niente, così decise di alzarsi e prepararsi un bel bagno caldo per rilassarsi prima di un'altra, estenuante, giornata scolastica.

Si alzò dal letto, evitando prontamente le pantofole che avevano un posto fisso vicino al suo letto, ma che non venivano mai indossate, si infilò un cardigan che usava per casa ed andò alla finestra per chiuderla una buona volta; l'abbassò e mise il blocco, giusto per affermare la sua decisione di chiuderla una volta e per sempre.

Entrò in bagno, aprendo il rubinetto e regolandolo su una media temperatura, troppo fredda per definirlo un vero bagno caldo, ma abbastanza caldo da non poterlo definire un bagno fresco per svegliarsi; versò i sali e il bagnoschiuma ed andò in cucina a prendersi qualcosa da mangiare nell'attesa che la vasca si riempisse.

Scese al piano di sotto, aprì il frigo ed afferrò un barattolo di yogurt bianco, prese un cucchiaino e si mise a sedere al tavolo della cucina per mangiare la sua misera colazione; era una delle sue poche colazioni, che solitamente era costretta a saltare a causa dei suoi continui ritardi; ed ora, invece, che aveva tutto il tempo del mondo a disposizione per farla, il suo stomaco aveva deciso di non voler digerire nulla. Dopo la prima cucchiaiata lo stomaco le si chiuse definitivamente, costringendola a rimettere il vasetto dove lo aveva preso, cercando di coprirlo nel modo migliore possibile e gettando il malcapitato cucchiaio, nella vasca del lavandino, senza alcuna pietà. Sentiva una sorta di crampi allo stomaco, ma era certa che non fosse fame; decisa ad ignorarli tornò a salire le scale per vedere a che punto fosse il suo bagno caldo.

La mattinata passava calma e tranquilla, e il tempo sembrava assecondarla nei suoi lenti gesti e movimenti senza far passare i minuti troppo in fretta.

Ma ora era arrivato il tempo di smettere di pensare, e di entrare nella vasca a farsi cullare dal tiepido amore che le volevano regalare l'acqua e i sali versati.

Lo trovò estremamente rilassante e liberatorio, come se le si stese togliendo di dosso tutti i problemi e le insicurezze delle settimane passate, e si lasciò andare completamente immergendo anche la testa per qualche istante.

Le lancette dell'orologio scandivano secondo per secondo le sue emozioni, e ad ogni battito sentiva la sua mente liberarsi da tutto.

Si prese i suoi tempi per finire di lavarsi e prepararsi, e arrivate le otto si accingeva a prendere le ultime cose per uscire di casa; avrebbe fatto la strada fino a scuola in bici, o forse anche a piedi, in fondo era una bella giornata e la scuola distava appena venti minuti da casa sua; arrivata all'ingresso strappò il foglietto dal calendario che segnava ancora la data del giorno prima, ma non lo gettò come al solito nel cestino, ma lo piegò con cura e lo ripose nel cassetto del mobile all'ingresso, dove riponeva sempre le chiavi.

Non le mancava più niente ora, lei e la sua amata tracolla poteva liberamente andarsene da sole in tranquillità verso la scuola.

Più o meno.

«Cosa ci fai qui?» chiese vendendo Castiel appoggiato al portico di casa sua.

«Ho visto la finestra chiusa e ho pensato di aspettarti qui.»

«Ma allora funziona davvero questo sistema a tenere fuori i ragazzacci!» lo punzecchiò passandogli davanti ed incamminandosi.

«Non pensare chissà cosa, è che oggi non ho la moto e mi è toccato farmela a piedi. L'autobus mi ha lasciato due fermate più in là, ed invece di aspettarne un altro ho deciso di farmela a piedi; così passando davanti casa tua mi sono detto che avrei potuto aspettarti. A dir la verità contavo sul tuo solito andazzo ritardatario, in modo da avere una nuova scusa per l'entrata posticipata, ma a quanto pare hai deciso di farmi arrivare in tempo oggi.»

Jay non vedeva motivo di rispondergli, né di approfondire la questione, così, accettò la sua compagnia per la strada verso scuola; Castiel era un po' come un gatto: quando ti dava il suo affetto era meglio non chiedergli il perché ed accettarlo di buon grado.

Il ragazzo ogni tanto le dava qualche piccola spinta giocosa, che lei ricambiava dolcemente; arrivati quasi davanti a scuola cambiò espressione.

Si vide venire incontro Ken, con tanto di lacrimoni appesi agli occhi, ben distinguibili anche da sotto gli occhialoni spessi che gli coprivano gran parte del viso.

«Devo salutarti Jay..» le disse tra un singhiozzo e l'altro.

«...?»

« Il destino ci è avverso.. mio padre ha deciso di ritirarmi e di farmi finire l'anno all'accademia militare; dice che mi farà diventare un uomo. Ma non ti dimenticherò.»

Si sentì un fragoroso clacson suonare.

Ken iniziò a correre verso una jeep nera parcheggiata qualche metro dietro di loro.

« Non ti dimenticherò!» continuava a ripetere sbandierando la sua mano sulla testa, mentre correva, fino a quando non salì nell'auto dai vetri oscurati che partì senza dargli altro tempo per dire altro.

« Beh piccola, una grana in meno, no?»

« In fondo era una bravo ragazzo, appiccicoso questo si, ma non ha mai fatto nulla di male.»

Castiel fece spallucce e si avviò nell'edificio scolastico, lasciandola da sola a contemplare il punto dove pochi istanti prima c'era la jeep dove era salito Ken.

Era dalla sera prima che il 'piccoletta' di Castiel era diventato semplicemente 'piccola', cosa che le dava un senso di intimità maggiore rispetto all'inizio.

Suonò la campanella.

Ecco che con ogni singolo trillo scandiva l'inizio del tormento giornaliero.

La giornata in realtà passò abbastanza in fretta, tra una lezione l'altra si incontrava nel corridoio con Castiel, all'ora del pranzo erano andati in terrazza a mangiare, e durante qualche lezione che avevano in comune si erano seduti vicini nel banco; ma niente di rilevante da segnalare, tranne che quel pomeriggio lo avrebbe passato a sgobbare – come al solito – nel suo stupido club.

Ma la giornata non era ancora finita e aveva un'ora buca prima che finissero le lezioni dando il via libera ai ragazzi per frequentare il proprio club nell'orario pomeridiano.

Stava passeggiando per il corridoio quando vide un piccolo cagnolino correrle davanti e scappare verso il fondo del corridoio; lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla sua visuale per poi essere rimproverata da una voce autorevole.

«Signorina, se succede qualcosa a Kiki, la riterrò diretta responsabile!»

«Ma non ho fatto niente..» disse passando sulla difensiva.
«Appunto, avrebbe potuto fermarla, ora si sbrighi a riportarmela al più presto o ne passerà di tutti i colori!» e se ne andò infuriata senza darle il tempo di rispondere.

Tutte a lei capitavano, e adesso non poteva neanche passare la sua ora di libertà in pace e come voleva; si era già organizzata tutto: con il suo libro preferito in mano stava andando a sedersi sotto l'enorme quercia del cortile scolastico, ma a quanto pare erano state cambiate le priorità della giornata. Cercare lo stupido cane della direttrice - che poi perché si trovava al liceo?-

Andò a posare il libro nel suo armadietto, chiudendolo più rumorosamente del consueto; la giornata era cominciata fin troppo bene, non poteva mica finire altrettanto!

«Qui cane bello, vieni dalla zietta.» disse aprendo appena appena la porta dall'aula E-3 dove lo aveva visto dirigersi; la classe era completamente vuota, tranne che per una ragazza che era seduta in un banco in mezzo a due pile di libri a ripassare Dio sa solo quale materia scientifica.

«Il cane della preside è scappato ancora eh? Ciao, io sono Iris» le disse alzando la mano per salutarla.

«Ciao, io sono Jay, penso di averti già vista a qualche lezione, hai la faccia familiare.. comunque si, la preside mi ha affibbiato la colpa della fuga del suo piccolo cagnetto isterico.»

« Si abbiamo le stesse ore di matematica se non sbaglio e non è la prima volta che Kiki scappa per tutto il liceo; non lo fa spesso, ma quando succede tocca sempre ad uno studente mal capitato di recuperarlo. Lo scorso mese è toccato a me! Ti auguro buona fortuna» le sorrise amichevole per poi tornare con la testa sui libri.

Jay chiuse la porta delicatamente per non disturbarla; cercò Kiki in tutte le classi che erano vuote, poi nei bagni e perfino in terrazza, senza alcun risultato; si mise a gridare per il corridoio il nome della bestiola, camminando lentamente e controvoglia.

Nathaniel si affacciò dalla sala dei delegati e le fece segno di entrarci; per Jay ogni motivo era buono per interrompere la ricerca di quell'astuta creatura.

«Sentivo una voce familiare gridare per il corridoio..» le disse con tono di ammonimento.

«Devo cercare Kiki che si è dato alla fuga.»
«Di nuovo? Oh, quel cagnetto è davvero imprevedibile.»

Il ragazzo si andò a sedere dietro una scrivania ed aprì un cassetto, cercando qualcosa che evidentemente non trovava, per poi assumere un'espressione trionfante cacciando un collarino.

«Ecco qui.. questa è il collare di Kiki, ti servirà se vuoi prendere l'animale..»
«Noto un certo distacco quando parli di Kiki; non sei un vero appassionato di cani eh?»

«Preferisco i gatti a dirla tutta... ma vedo che qualcuno ti sta cercando» le disse con una smorfia, indicandole il corridoio davanti alla porta aperta.

C'era Castiel che guardava bieco Nathaniel, come se lo volesse fulminare con gli occhi.

«Continuate a vedervi eh..» la sua espressione era mutata in pochi secondi, solo per la vista del ragazzo.

«Non porterà a niente di buono, ma alla fine sono scelte tue. Stai attenta però...» le raccomandò accompagnandola alla porta.

«... si sta affezionando»

E chiuse definitivamente la porta della sala.

Castiel si avvicinò con il suo solito fare distaccato, masticando una gomma e con le mani dietro la testa;

«Cosa voleva?» le chiese fissando la strana collana che la ragazza aveva in mano.

I ragazzi incominciarono a camminare per il corridoio per arrivare alla porta principale.

«Sto cercando Kiki, e mi ha gentilmente dato questo.. affare, per riprenderlo. Sostiene che così non scapperà.»
Castiel sbuffò.

«Perché lo fai?»
«Non voglio che la preside abbia da ridire..»
«Al massimo può punirti.»
«Preferisco evitare lo stesso.»
«Come vuoi, buona ricerca allora!» e se ne uscì senza tanti convenevoli.

Bel tipetto! La sera prima le stringeva la mano, ed oggi la lasciava al suo destino di cacciatrice di cani a tempo perso. Intanto continuava a cercare in giro, fin quando non vide il codino del cane che stava scodinzolando alla fine di un corridoio; poi senza alcun motivo cominciò a correre via come un dannato.

La ragazza iniziò a rincorrerlo, lo aveva quasi acciuffato e la corsa del piccoletto era finita ormai, stava per girare in un angolo dove c'era un porta che dava sul retro.

Volle il caso che il quel momento una ragazza stava entrando nel liceo da quella porta, e senza un attimo di riflessione il cagnolino si diede alla fuga verso l'esterno.

«Oddio, sono mortificata!» disse la ragazza in modo sincero.

Era una ragazza nella norma, con capelli non troppo lunghi e castani e portava una graziosa gonna celeste in tinta con la maglietta.

«Sapevo che Kiki era in giro, ho trovato questo là fuori» le disse porgendole un giochino a forma di giraffa «Non volevo di certo fartelo scappare via»
«Tranquilla..»
«Melody, sono Melody, è un piacere conoscerti!»
La sua simpatia le ricordava vagamente qualcuno.

«Jay» disse stringendole la mano.

«Io devo andare, se mi cerchi sono da Nathaniel, ogni tanto lo aiuto con le scartoffie. A dopo e in bocca al lupo!»

Non era la prima che quel giorno le dava la buona fortuna per l'inseguimento alla bestiola, e la cosa non prometteva affatto bene; ma non voleva perdere tempo, ogni minuto perso a riflettere, Kiki lo usava di vantaggio per poter andare sempre più lontano. Uscì dalla porta sul retro, dando una veloce occhiata sia a destra che a sinistra, ma non vedendo indizi su dove potesse essere andato, prese la strada di sinistra, che la portò davanti una serra.

Davanti a lei si stendeva un campo di fiori colorati, che ricopriva la maggior parte del terreno; doveva essere capitata nel club di giardinaggio; cercando di non rovinare troppi fiori si fece strada tra primule e violette e fu lì che qualcuno la riprese duramente.

«Fai piano, non vedi che stai calpestando i fiori?»

Era un ragazzo dai capelli celesti che era in tenuta da giardiniere.

«Ehm, perdonami, ma vado di fretta, sto inseguendo un cane e..»
«E allora questo deve essere tuo.» le disse lanciandole un guinzaglio in mano.

«Vieni, passa di qua, così farai meno guai.»

Le indicò il passaggio che la portò dritta davanti a lui, che togliendosi un guanto le porse la mano.

«Sono Jade, il giardiniere che si occupa di questo club e lei invece è Violet» le disse indicando una ragazza del tutto anonima dai capelli viola, che non aveva nemmeno notato fosse lì con loro; Violet arrossì, sentendosi al centro dell'attenzione, alzò timidamente una mano dalla sua enorme cartellina e si aggiustò i capelli mormorando un 'Ciao'.

«Oggi sto facendo un sacco di nuove conoscenza sai..» reclamò sbuffando Jay, stringendo la mano per l'ennesima volta in quella giornata.

«Seguimi così eviteremo di rovinare tutte queste meravigliose piante.»

Jade la scortò per tutto il giardino fiorito, e la lasciò dall'altra parte.

«Per caso..»
«No, mi spiace non ho visto il cane, ma sicuramente sarà andato da quella parte» le disse indicandole la palestra «Dall'altro lato la strada è chiusa.» e sorridendole tornò in mezzo ai fiori per aggiustare il caos che gli aveva creato.

Jay vide Violet seguire Jade attraverso i fiori, e notò una certa complicità tra i due, che ridevano e scherzavano in modo davvero affiatato; le ricordava quei rari momenti in cui Castiel si comportava da essere umano.

Parli del diavolo..

Ecco Castiel che stava tranquillamente seduto a gambe accavallate e braccia incrociate sulla panchina.

«Non ho visto nessun cane se è questo che vuoi sapere.»

«Non darmi una mano eh!» gli sbuffò contro.

«Problemi tuoi, non miei» le disse strafottente come al solito suo. «Vedo che oggi stiamo chiedendo informazioni a tutto il genere maschile presente nel liceo..»
«Chi? Jade? Ma se gli ho ucciso mezzo giardino! Penso che mi odierà a vita.»

Castiel sorrise, quasi sollevato, poi indicò la palestra.

«Quella non è la tua preda?»
Jay corse immediatamente dietro il Kiki, che stava correndo come un ossesso, fino a rifugiarsi dentro una siepe; la ragazza si avvicinò lentamente, facendo suonare il pupazzetto di gomma; il cane sembrava tranquillo, allora fece qualche altro passo verso la siepe ed allungò una mano con il collare per prenderlo; ma con un balzo fulmineo Kiki era già fuggito verso il liceo.

«Odioso!» gridò con tutta la voce che aveva in corpo.

Tornò sconfitta da Castiel e si accasciò sulla panchina senza più un briciolo di forze.
«Quel cane.. mi odia!» sbuffò prima di disperarsi completamente con il viso tra le mani.

Castiel le diede un colpetto sulla testa con qualcosa; Jay alzò la testa e vide che le stava porgendo dei croccantini per cani.

«Tu..» gli disse senza smettere di fissare i croccantini.

«Tu, sei il mio salvatore!» glieli prese da mano ed iniziò a correre verso l'entrata; ma arrivata davanti la porta si fermò, tornò indietro fino a trovarsi faccia a faccia con Castiel.

Il ragazzo la guardava stranito, lei voleva abbracciarlo per la gioia, ma si limitò ad allungare lentamente una mano – come si farebbe con una bestia feroce ed imprevedibile – e gli diede qualche pacca sulla spalla.

Castiel scoppiò a ridere, come ogni volta che la trovava buffa ed impacciata.

«Te lo dovevo, in fondo mi hai aiutato con il foglio delle assenze qualche settimana fa.»

Jay non poteva perdere altro tempo, aveva tutto ciò che le serviva per acciuffare il suo fuggitivo; si sentiva come un eroe alla fine di un film, quando il protagonista dopo tante agonie riesce a trovare il modo di sconfiggere la sua nemesi.

Non era un granché avere un cane come nemico, ma era esattamente l'antagonista di quella vicenda, che le aveva impedito di passare quell'unica ora libera in pace.

Sentì abbaiare per le scale, e seguendo il rumore dei suoi passetti lo trovò a rosicchiare un piccolo blocco appunti; lentamente prese dei croccantini e li adagiò a terra, facendo due passi indietro; il cane, visibilmente incuriosito da cosa le avesse messo in terra quella strana persona che gli dava la caccia, avvicinandosi ad annusare ed iniziò a mangiare golosamente e senza indugi. La cosa qui divenne semplice: attaccò il guinzaglio al collarino che gli mise, raccolse il blocchetto riponendolo in tasca e riportò Kiki alla sua proprietaria, che senza sbilanciarsi più di tanto il ringraziamenti se ne andò verso il suo ufficio.

«Di niente!» le gridò dietro Jay, ma la preside non accennò ad averla sentita.

«Bene, ed ora mi tocca andare anche al club... che giornataccia.»

E si incamminò, ormai stremata.


 


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Capitolo 6
*** Non si può scappare dal passato ***


Ormai non c'era niente da fare, la giornata aveva preso una brutta piega e non poteva farci niente; poteva solo sperare che migliorasse, ma visto l'andazzo non si aspettava grandi cambiamenti.

Con in mano la bustina dei croccantini che le aveva dato Castiel, iniziò a cercarlo per restituirgliela, e a colpo sicuro puntò al cortile.

Era così prevedibile, che sapeva di trovarlo lì a perdere tempo.

«Grazie per l'aiuto» gli disse porgendogli indietro la bustina.

Castiel la prese senza risponderle nulla e la poggiò sulla panchina accanto a lui; prima di poter pensare anche solo di sedersi, la campanella suonò e come al solito non preannunciava nulla di buono.

Il ragazzo si alzò e sbadigliando si stiracchiò.

Era arrivato il tanto odiato momento club, dove l'aspettava il simpaticissimo lavoro di raccattapalle e galoppino dei ragazzi titolari della squadra.

«Io vado, ci vediamo dopo.» gli disse alzando la mano come se fosse stata un blocco di cemento.

Castiel le fece un cenno della testa ed entrò nel liceo, con il suo solito camminare lento ed annoiato.

Jay aspettò che se ne andasse prima di prendere il blocchetto, nascosto sapientemente – in realtà sporgeva da tutte le parti – nella tasca posteriore del jeans, che aveva trovato per le scale tra le fauci di Kiki, che allegramente se lo stava rosicchiando.

Per fortuna non si era rovinato molto: erano rimasti solo due segni sulla copertina dei denti del cane.

Non sapendo a chi appartenesse si domandava se portarlo da Nathaniel o aprirlo e vedere di chi fosse; ma la curiosità prevalse sul buon senso e lo aprì senza pensarci più di tanto.

Nomi strani su altri nomi strani, in inglese, in latino, tra i quali riconobbe anche dei nomi di fiori che conosceva.

Doveva appartenere a qualcuno del club di giardinaggio, questo era sicuro; continuò a sfogliarlo giusto per perdere tempo, e all'interno vi trovò una foto di Jade e Violet scattata in una di quelle macchinette automatiche che si trovano in giro per strada. Ci aveva visto bene, tra i due c'era qualcosa, non sapeva cosa, ma di sicuro non aveva avuto una sensazione del tutto errata.

Decise di riportarlo al giardiniere, cercando anche di farsi perdonare per avergli distrutto le piante.

Fece una corsa veloce verso il club e lì vide Jade e Violet che stavano allegramente scherzando tra di loro; appena si avvicinò, Violet tornò la ragazza timida ed invisibile che era con tutti quanti.

«Scusate se vi disturbo, ma questo, penso sia vostro.» e porse il quaderno in avanti per vedere a chi appartenesse, sia il quaderno ma in particolare la foto al suo interno.

«Oh, ecco perché non lo trovavo! Ti perdono dall'aver distrutto le mie piante» le disse Jade sorridendo e prendendo il proprio quaderno dalle mani di Jay.

«Sono in ritardo per il mio club, bona giornata.» disse scappando il più velocemente dai ragazzi, per lasciarli da soli a parlare.

«Torna quando vuoi!» le gridò dietro il ragazzo.

Arrivò stremata al club, e lo vide completamente vuoto.

«Ma che accidenti..?»
«Hey!» sentì una voce salutarla.

Le si avvicinò un ragazzo simpatico, dagli occhi marroni, dreadlock neri attaccati in un codino e la carnagione scura.

«Piacere, sono Dajan, sono qui per uno scambio sportivo.» le disse sorridendole.

«Sono Jay e faccio parte del club di basket.» ricambiò il sorriso.
«Allora potresti dirmi per quale motivo la palestra oggi è vuota.» disse girandosi verso il campo desolato.

«A dire la verità mi trovi impreparata e stupita quanto te..»
«Forse avevano una partita.» sostenne alzando gli occhi al cielo e facendo girare la palla su un dito.

«Probabile, qua nessuno mi dice mai niente, sono stata praticamente costretta ad entrarci in questo club! Anche se a dire la verità non mi dispiace il basket.»
«Facciamo due tiri?»la sfidò il ragazzo.
Jay lo seguì nel campo, e dalla zona di tiro libero lo vide prendere la mira.

Canestro.

«Mi sono scordato di comprare l'acqua, che miseria.» sbuffò passando il pallone alla ragazza.

Jay non vedeva il motivo di restare in palestra se non aveva niente da fare, e andare a fare due passi le sembrava la cosa più giusta per allentare un po' la tensione.

«Se vuoi vado io, tu finisci pure di allenarti.»
Dajan le sorrise e le prese il pallone da mano.

«Accetto volentieri, ma scommetto che dici così solo perché sei una schiappa nei tiri liberi!» esordì ridendo.

Jay rise con lui, poi gli rubò il pallone da basket, prese la mira e la tirò a canestro.

Centro perfetto.

«Un colpo di fortuna.» le disse prendendola in giro; la ragazza prese un'altra palla e fece un altro canestro.

«Brava quanto bella, mi chiedo perché non ti abbiano preso in squadra.»
«Sono troppo bassa e troppo talentuosa, farei fare una brutta figura a tutti.» disse scherzosamente.

Poi Dajan, dopo uno smagliante sorriso, tornò a concentrarsi sul canestro e sui tiri liberi.

Jay uscì fuori, prendendo una boccata d'aria, e si avviò ai distributori nella mensa scolastica; in meno di due minuti aveva attraversato mezzo liceo per prendere una stupida bottiglia d'acqua.

Cercò il numero della bevanda nel distributore.

Eccola!

10 $

Le sembrava una rapina, ma ormai lo aveva promesso a Dajan, quindi con un po' di riluttanza inserì i soldi nella macchinetta e prese la bottiglietta.

Camminando per il corridoio sentì delle voci provenire da una classe; incuriosita si affacciò e vide che c'erano le amiche ed Ambra che stavano ridendo di gusto.

Si concentrò e si mise vicino alla porta per cercare di sentire qualcosa.

«.... e così gli ho preso la collana e l'ho messa nel mio armadietto; è un peccato che un ragazzo così carino sia solo di passaggio, almeno così avrò un suo ricordo, non vi pare?»

Di passaggio? Che stessero parlando di Dajan?
«Potrei anche uscirci qualche volta, ma è da sfigati quel club di basket, che figura ci farei a farmi vedere con quel tipo?»

Stavano parlando decisamente di Dajan.

Una delle sue amiche, che si stava guardando in uno specchietto rotondo, aggiustandosi il rossetto intervenne interrompendola.

«Ma sei sicura che nessuno te la prenda la collana? Hai lasciato l'armadietto aperto prima!»
«Chi vuoi che me la rubi, in fondo nessuno lo sa» e partì la solita risatina di gruppo.

Ambra aveva l'armadietto due file dopo di lei, e dopo averlo trovato lo aprì e la prima cosa che le saltò all'occhio fu una collana con uno strano ciondolo. Doveva essere quella la collana rubata, la prese e se la mise in tasca.

Quella doveva esser la sua giornata del ritrova le cose degli altri.

Fece una piccola corsa fino alla palestra, ma si trovò davanti Castiel che le bloccò il passaggio.

«Chi sarebbe?»

Jay si guardò in giro in cerca di qualcuno, ma non vide nessuno nei paragi.
«Il ragazzo in palestra, intendi? Un tizio che sta facendo uno scambio scolastico.»
«E tu cosa ci fai fuori dal club?» le chiese con aria intimidatoria.
«Scusa mamma, sono andata a prendergli una bottiglietta d'acqua» gli disse facendogli il verso.

«Non mi piace.» le rispose immediatamente e in modo sgarbato.

«Sei geloso?» gli sussurrò all'orecchio con aria maliziosa.

«Ma va là» le disse arrossendo visibilmente in volto ed andandosene il più velocemente possibile.

Ormai era abituata al cambio repentino di atteggiamento che aveva Castiel, quindi senza dargli più di tanto importanza , tornò in palestra dal ragazzo, che stava ancora facendo dei tiri liberi.

«Oh, ecco la mia acqua, ti ringrazio. Quanto ti devo?»

«L'ho pagata 10 $, ma non devi per forza restituirmeli..» esordì imbarazzata.

«Ma che dici, ecco a te 10» le disse prendendo una banconota nella tasca posteriore del pantalone.

«Ah, questo penso sia tua.» gli disse porgendogli la collana trovata nell'armadietto di Ambra.

«L'hai trovata! Pensavo di averla persa ormai, è un ricordo molto caro. Dov'era finita?» le chiese curioso.

«Ehm, nel corridoio, stava a terra.» mentì spudoratamente

«Grazie ancora per tutto. Facciamo altri due tiri?»

In quel momento entrò tutta la squadra al completo, portandosi dietro un chiacchiericcio assordante.

«Hey Dajan, come butta bello?» lo salutò un ragazzo dandogli il cinque.

«Facciamo allenamento dopo la partita di oggi; è andata bene, ma non eravamo al massimo della forma, ti unisci a noi?»

«Volentieri» rispose sorridendo, poi si rivolse a Jay.

«Vuoi rimaner a vedere l'allenamento?»

«E' a porte chiuso bello, nessun estraneo, solo i giocatori.»

Dajan fece spallucce e alzò una mano per salutare Jay prima di entrare in campo; bei compagni di club che aveva, l'avevano trattata alla stregua di una studente qualunque, lei faceva parte del loro stesso club, per la miseria!
Meglio così, finalmente poteva andarsi a fare la doccia e scappare via a casa.

Una doccia era quello che ci voleva per togliersi tutto lo stress e la collera di dosso, ed una volta pulita e profumata si incamminò fuori, vedendo di nuovo la giornata con un possibile finale positivo; ultima tappa prima di scappare era il suo armadietto.

Arrivata nel corridoio non poté far a meno di notare che, come al solito, era l'ultima ad andarsene ed il liceo vuoto le faceva tutto un altro effetto.

Iniziò a fischiettare, aprì l'armadietto e prese le sue cose, per poi fare dietro front e uscire definitivamente dalla porta della scuola; fece il corridoio lentamente, aspettando che Castiel sbucasse da qualche angolo da un momento all'altro; ma arrivata a metà corridoio, del ragazzo, nemmeno l'ombra. Si fermò a dare un'occhiata per vedere se le stava tendendo un agguato, ma non lo vide; se si era nascosto, lo stava facendo molto bene.

Passò come al solito davanti la sala delegati e vide Melody uscire con una pila di fogli in mano.

«Ciao! Com'è andata con il cane poi?»

«Tutto bene, missione compiuta... ma che ci fai ancora a quest'ora al liceo?»
«Davo una mano a Nath, ed ho appena finito; sai è sempre oberato di lavoro che una mano qualche volta non gliela riesco a negare.» dicendolo, le si colorarono le guance.
«Capisco, ci vediamo eh!»

Melody le sorrise e se ne andò per la sua strada.

Jay si affacciò nella sala e vide che Nathaniel stava ancora seduto alla scrivania a compilare moduli e carte su carte.
«Il segretario fa conquiste!»
Nathaniel alzò la testa e solo allora si accorse della presenza della ragazza.

«Cosa?»

«Melody, sai.. la ragazza bruna, con gli occhi scuri..» disse facendogli l'occhiolino.

«Ma no, mi da solo una mano ogni tanto.»
«Come credi NATH, come credi..»

«A proposito, ti devo parlare, Jay»

La ragazza entrò nell'ufficio e si mise a sedere proprio di fronte a Nathaniel, mettendo i piedi poggiati sulla scrivania.

«Uguali, siete completamente uguali tu e Castiel.»

Jay lo guardò alzando un sopracciglio, stupita che fosse proprio lui a mettere in campo quell'argomento; ormai era palese a tutti quanto odiasse parlare del 'caso disperato Castiel'.

A maggior ragione si chiedeva se magari volesse dirle qualcosa al riguardo.

«Hai deciso finalmente di darmi le informazioni che volevo?» gli chiese euforica alla sola idea che potesse essere così.
«Ti ho già detto, Jay, che non sono autorizzato a dirti nulla, e togli i piedi dalla scrivania!» le disse facendole il gesto di scendere le gambe a terra.

«Allora non so proprio che cosa tu possa volere da me Nath.. A proposito, sai dove si sia cacciato Castiel?»
«Non sono esattamente un suo fan, ma l'ho visto andare via dal liceo un quarto d'ora fa visibilmente infastidito da qualcosa, sbattendo tutte le porte che si trovava davanti e dando a pugni negli armadietti. Quando gli ho chiesto che cosa non andava mi ha mandato al diavolo, e se n'è andato.»
«Ah..»
«Ma siamo qui per altro io e te.»
Si alzò dalla sedia e si avvicinò ad uno di quegli asettici ed incolori archivi grigi che stanno in tutte le scuole ed iniziò a cercare un qualche tipo di documento.

Jay sprofondò nella sedia ed aspettò che l'oggetto della conversazione le fosse spiegato.

«Dovremmo parlare di una certa cosa, signorina...» disse continuando a rovistare tra i vari fogli.

«Posso chiederti una cosa?» gli chiese Jay tutto d'un getto.

«Certo, ma non ti assicuro di poterti rispondere se è qualcosa che riguarda gli alunni di questo liceo.» disse alludendo ovviamente a Castiel

«No, volevo farti una domanda su una cosa che mi hai detto oggi..»
«Spara!» disse girandosi verso di lei per darle la sua totale attenzione.

«Come fai a sapere che si sta affezionando?»

Nathaniel sbuffò visibilmente rassegnato e scocciato dal monotono argomento di conversazione; smise di cercare ed andò ad accovacciarsi davanti Jay.

«Non dovrei parlartene, ma per questa volta farò uno strappo.. Io e lui ci conosciamo fin da piccoli, e lo conosco meglio di quanto tu possa pensare; siamo come cane e gatto, questo è ovvio, ma conosco la storia che lo ha fatto diventare così, conosco il fardello che si porta dietro. E proprio perché so com'è davvero che mi arrabbio con lui cercando di farlo tornare in carreggiata. Non so cosa ti abbia raccontato e cosa no, ma dagli tempo.. Castiel è come un gatto, che egli stesso definisce un animale ingrato, ma quando ti da affetto sai che è sincero e non chiedergli il perché, accettalo senza troppe domande e goditi il momento.

Un gatto sceglie un umano come suo convivente solo se lo reputa alla sua altezza; non so davvero cosa ci sia tra di voi in questo momento, ma quando se ne andato ha imprecato contro il nuovo studente arrivato per lo scambio, Dajan.. e se non sbaglio gioca a basket nel tuo club momentaneamente.»
«Esatto..» sussurrò la ragazza.
«Ed oggi hai passato il pomeriggio con Dajan e non con lui.»
«Esatto ancora..» disse in evidente imbarazzo, senza guardarlo negli occhi.

«Fa solo finta di essere complicato, è più semplice di quello che pensi..»

Per la prima volta sentiva Nathaniel parlare con il cuore aperto di Castiel, e glielo leggeva negli occhi che era sincero e non stava fingendo per ingraziarsela.

Nathaniel si alzò e tornò a rovistare tra i vari moduli aprendo e chiudendo dei cassetti in ordine puramente casuale.

Non pensava che potesse conoscere Castiel così bene e così nel profondo; ma ovviamente lei non sapeva tutto, e secondo Nathaniel doveva solo dare a Castiel il tempo necessario ed aspettare che gliene parlasse lui stesso, di sua spontanea volontà.

Jay si sentiva in colpa nei suoi confronti adesso: lo aveva aggredito senza sapere che cosa si celava dietro il suo atteggiamento, senza sapere la sua storia, senza sapere che dietro i loro battibecchi ci fosse una conoscenza di svariati anni alle spalle; si era comportata proprio come detestava di più al mondo, giudicando senza alcuna base, e senza i dati necessari per farlo.

Che stupida che era stata!

Nathaniel finalmente trovò quello che stava cercando nell'armadietto, e la sua espressione, non era certo trionfante, ma anzi, era cupa e seria.

«Noi invece dovremmo parlare di questo, è appena arrivato dalla tua vecchia scuola, e ci hanno spiegato anche il motivo per il quale sia arrivato così in ritardo rispetto al tuo arrivo.»

Jay spalancò gli occhi.

Come poteva essere possibile, aveva fatto tanto per allontanarsi dal suo passato ed ora questo lo inseguiva; tutto il lavoro che aveva fatto per cancellarlo non era servito a niente.

Nathaniel si accorse di aver toccato un tasto dolente e, sedendosi alla scrivania, le gettò un pila di fogli in una cartellina gialla.

Era il suo odiato fascicolo scolastico..

Era la sua nemesi.


 


Jay Myler 
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Capitolo 7
*** Un tuffo nel passato ***


«Promettimi che non lo dirai a nessuno..»
«Conosci il mio ruolo da delegato e una cosa simile non può essere taciuta.»
«Ormai è acqua passata... è una storia vecchia e non è tutto vero» Jay cercò di dissuadere il ragazzo dal dirlo a qualcuno in giro; una cosa simile su di lei, non doveva essere risaputa, non dopo tutto quello che aveva fatto per evitarla.

«Non posso evitare di dirlo a chi di dovere.» le disse in modo fermo e deciso.

«Davvero non ci credo ancora; l'unica persona che mi abbia creduto è stato Ken..» disse sorridendo a malincuore e abbassando la testa per non far vedere a Nathaniel una lacrima che le stava lentamente solcando la guancia.

 

Un anno prima.

 

«Cos'hai da guardare, pivellino?» intimò ad un ragazzino dai capelli rossi e coperto di lentiggini che la stava fissando, completamente impaurito accanto al suo armadietto.

Due uomini la mantenevano per le braccia facendola camminare a ritmo sostenuto, ed impedendole di scappare via, come aveva fatto l'ultima volta.

Ormai conosceva la strada a memoria e non c'era bisogno che l'accompagnassero, così strattonò via le due persone che la stavano scortando, che fecero due passi indietro e la seguirono da lontano, mentre lei, a passi rumorosi si incamminò verso il solito ufficio che frequentava almeno una volta alla settimana; tutti la fissavano mentre camminava nel corridoio, ma non se ne preoccupava, era abituata ad avere gli occhi puntati su di lei.

Si andò a sedere nella sua solita sedia, dove ormai nessuno più osava sedersi sapendo che lei lo considerava come il suo posto privato.

Si mise con le gambe incrociate sul poco spazio che le offriva la sedia rossa e di plastica che la faceva stare comoda in quella sala, più spesso del desiderato; le calze le si impigliarono nel tavolino di fronte a lei e le si sfilarono all'altezza del ginocchio, ma nel giro di pochi secondi si mimetizzò con gli altri buchi già presenti che le avevano sfilato le calze pochi minuti prima.

Prese una rivista ed iniziò a sfogliarla tanto per passare il tempo, nell'attesa del via libera; era già la quarta volta in sei giorni che si trovava lì dentro costretta ad aspettare controvoglia, qualcosa che avrebbe sicuramente voluto evitare.

Una ragazza dietro il bancone stava prendendo delle chiamate senza toglierle un'istante gli occhi di dosso, come se avesse avuto paura, che da un momento all'altro, le sarebbe potuta saltare addosso come una bestia selvatica si getta sulla sua preda; ma la ragazza – della quale non ricordava il nome, nonostante la vedesse almeno una volta ogni due giorni – era decisamente l'ultimo dei suoi problemi e dei suoi interessi.

Dalla porta aperta che dava sul corridoio entrò una ragazza bionda con i capelli in disordine, con un occhio nero, gli abiti sgualciti e sporchi di polvere e a tratti strappati - scortata dai due uomini che avevano cercato di accompagnarla prima – che appena la vide accelerò il passo per poi scomparire in una porta alle spalle della receptionist, che si chiuse immediatamente senza darle il tempo di vedere nemmeno uno squarcio dell'ufficio; alla fine della fila, rimasto fuori con i due gorilla accompagnatori, c'era una ragazzetto strano che si vide chiudere la porta in faccia.

Girandosi vide la ragazza seduta con la rivista in mano, e le si andò a sedersi vicino.

«Ho visto tutto, stai tranquilla, dirò la verità a tutto si risolverà!» le comunicò allegramente mentre le prendeva la mano.

«A che serve? Tanto non ti crederanno e daranno comunque la colpa a me. Niente di nuovo, sono abituata.» gli disse alzando le spalle e gettando la rivista sul tavolino.

Il ragazzo la guardò da sotto gli occhiali e con faccia rassegnata si mise a sedere composta nella sua piccola sedia a schiera.

Dopo circa mezz'ora, la ragazza bionda uscì dall'ufficio con aria trionfante e lanciandole un'occhiata di sfida.

La ragazza al bancone fece segno loro di entrare; i due si alzarono ed entrarono nell'ufficio più velocemente possibile. Prima iniziavano e prima avrebbero finito.

«Vorrei dire che mi stupisce rivederla, ma evidentemente non è così. Mi ero aspettato un cambiamento dall'ultima volta che ci siamo visti, cioè martedì, e ad oggi, giovedì, la ritrovo di nuovo qui a dover discutere.»

L'anziano signore che le stava davanti si ergeva dritto nella sua poltrona girevole, e tra una respiro e un altro si girava a destra e sinistra scrutandola come un avvoltoio; il suo ufficio lo rispecchiava in pieno: grigio e senz'anima.

Non c'era neanche un accenno di colore, e le uniche cose presenti, a parte la scrivania centrale, erano degli armadietti, e altri mobili che contenevano svariati documenti.

«Io.. non so davvero più che fare. Guardi qui.» le disse lanciandole davanti un fascicolo che per voluminosità ne valeva sei.

«Vogliamo leggere qualcosa da qui? Dai, leggiamocela.

Vediamo cosa dice qui... disadattamento scolastico, atteggiamenti non consoni all'ambiente, mancanza di rispetto per le persone che coprono ruoli autoritari, volti altalenanti ed assenze frequenti e continue. Questo è il suo primo anno in questo liceo, e già incomincia ad aggiungere miriadi di altri crimini che si aggiungeranno al suo fascicolo.

Lei ha già avuto precedenti problemi in questa e nelle sue scuole precedenti per una sequela di risse e svariate scenate di violenza gratuita con i cuoi coetanei, ed una volta anche con un insegnate. Lei continua a ripetere sempre gli stessi errori, ormai questo stupido foglio firmato dallo psicologo scolastico non ha più senso! Non è l'istituzione scolastica che è sbagliata nei suoi confronti, è lei che sbaglia in modo recidivo e repentino, senza mai avere una valida scusa. Mi costringe a prendere seri provvedimenti questa volta; so già com'è andata la cosa, mi è stata già ampiamente descritta e narrata, ma come è giusto che sia mi dia la sua versione.»

Il ragazzo vicino a lei, che era rimasto in piedi, tentò di dire qualcosa, ma la mano della sua amica glielo impedì prontamente.

«Cosa vuole che le dica? Solita storia: io sono la bulletta che prende a botte tutti; è questo che voleva sentirsi dire, non è vero? Non mi sento in dovere di spiegare nulla, le prove parlano da sé. Ci siamo picchiate.»
Ma l'uomo anziano, che la scrutava da sotto i suoi occhialetti rotondi appoggiati sul naso, non era affatto contento della risposta ed evidentemente deluso dall'ennesimo comportamento sciocco della ragazza si passò una mano su quei pochi capelli che gli erano rimasti; continuava a giocherellare con le dita sul tavolo, cercando di trovare qualcosa di efficace e duraturo da dirle per farle cambiare comportamento.

Cosa le importava di dare la sua versione, i conti erano già stati fatti e già la considerava colpevole, glielo leggeva negli occhi; era prevedibile: lei non era certo l'icona della brava ragazza, e per una bravata o per un'altra stava più spesso del dovuto dal preside della scuola.

Ma non riusciva proprio a tenersi fuori dai guai e con cadenza settimanale una rissa non gliela toglieva nessuno; era più forte di lei, non riusciva a trattenersi quando sentiva quella massa di gente idiota fare commenti del tutto inappropriati.

«Non vuole nemmeno fare un commento al riguardo?»

Senza dire niente mostrò all'uomo seduto di fronte a lei il labbro inferiore spaccato.

«Ho decisamente vinto io no? Non ha visto come è conciata l'altra?» disse sorridendo.

«Non è una cosa su cui scherzare! La ragazza ha riportato varie ferite, tra cui un ginocchio e un gomito sbucciato, un occhio nero, una spalla lussata e molto probabilmente una costola incrinata, visto i dolori acuti che accusava.»
«Gliel'ho detto che me la sono cavata meglio io.»

«Esca fuori, immediatamente! In punizione oggi, ed è sospesa per un mese con obbligo di frequenza alle lezioni e contatterò seduta stante i suoi..»
La ragazza alzò un sopracciglio e lo guardò accigliata.

«Il suo tutore legale insomma.» disse in evidente imbarazzo.

Senza dargli il tempo di aprire la porta per farli accomodare fuori la ragazza prese un foglio di carta davanti a lei ed una penna e ci scrisse sopra un nome ed un numero di telefono.

«Se magari prova a chiamare, potrebbe anche risponderle mio padre; sempre che i dottori glielo passino.» le disse strappando quel pezzo di carta per poi metterlo nella mano del preside che la guardava scioccato.

Dopo avergli fatto una smorfia soddisfatta se ne uscì fuori.

Il ragazzo invece rimase lì dov'era e guardando il preside con aria ancora più triste di quando era entrato gli prese il foglio e lo buttò nella pattumiera.

«A volte serve leggere più attentamente i dossier che riguardano uno studente; parlargli senza sapere esattamente le cose non è la scelta più giusta. Ma anche se non le interessassero i motivi che ci sono dietro al suo comportamento, sappia che tutte le zuffe in cui si caccia, non sono mai volute o incominciate da lei – almeno la maggior parte-. Non creda che gli altri studenti siano migliori di lei, anzi, molto spesso le danno la colpa perché conoscono la sua nominata.; le posso assicurare che il 90% delle cose scritte su quel fascicolo non sono imputabili a lei.»

Il preside continuava a guardarlo, senza riuscire a dire nulla.

«Oggi l'ha accusata di non aver mai avuto istigazione o motivazione per i suoi gesti di violenza, ma le assicuro che non ha mai sbagliato di più; è vero che è irascibile e poco controllata, ma le assicuro che senza una valida motivazione non farebbe male ad una mosca.

Se le interessa davvero qualcosa, non della ragazza in particolare, ma dell'educazione che volete impartire ai vostri alunni, bhe, dovrebbe decisamente far evitare stupidi commenti sui suoi genitori; ne ha sentite di tutti i colori da anni!

Io la conosco dall'asilo, ed è da tutta una vita che la etichettano come la figlia di un tossicodipendente; ma non ha mai reagito in alcun modo, fin quando l'unica figura amorevole che aveva è venuta mancare, e da quel giorno in poi si è chiusa in sé stessa, e l'unico modo che ha per proteggersi è l'isolarsi e il difendersi a pugni; i commenti inutili ed offensivi sulla madre, sappia che volano un po' troppo spesso tra i ragazzetti di questa età.

Non la sto di certo giustificando ma almeno cerchi i veri colpevoli nelle situazioni che le vengono sotto poste; il suo stare da sola in questi anni le ha fatto evitare la maggior parte delle eventuali risse che si sarebbero potute creare, ma spesso, ragazzi crudeli la vanno ad infastidire nel suo piccolo mondo che si è creata, andandola ad infastidire, a loro rischio e pericolo, oserei dire.

Voi la considerate prima di tutto come una persona che causa solo guai, poi come studente, poi come essere umano, ma solo alla fine, forse, iniziate a considerarla come Jay Myler.

Jay è Jay, e c'è tutto un mondo dietro il suo atteggiamento ed il suo modo di fare che voi, a quanto apre, non avete voglia nemmeno di approfondire.» dopo di che, lasciandolo a bocca aperta e senza parole, se ne uscì correndo alla ricerca della ragazza che era uscita due minuti prima di lui.

Si affacciò nel corridoio, per vedere se a colpo d'occhio riusciva a vederla, ma probabilmente si era già allontanata troppo; si girò verso la brunetta al banco – che portava un cartellino con il nome, Katy - e la salutò per chiederle se aveva visto da che parte era andata la sua amica. La ragazza si limitò ad indicargli di andare a destra mentre rispondeva ad una chiamata da parte della scuola.

Si incamminò per il corridoio prendendo la strada che gli avevano indicato e proseguendo a quando sentì un tonfo e vide formarsi un capannello di persone vicino alle scale.

Cercò di farsi spazio tra la gente, fino ad arrivare ad essere davanti e tutti e vide che c'era la ragazza bionda, che aveva visto prima dal preside, a terra svenuta; un paio di alunni le si avvicinarono per vedere se stava bene, mentre tre di loro correvano a cercare aiuto e ad avvertire chi di dovere.

L'infermiera scolastica ed il preside arrivarono immediatamente, accertatisi dell'incolumità della ragazza chiesero a gran voce cosa fosse successo.

«E' stata lei!» gridò uno del primo anno dai capelli rossi del primo qualcuno che si trovava in piedi all'inizio della rampe di scale. «L'ho sentite litigare, e poi l'ho vista rotolare giù!»

Il ragazzo si aggiustò gli occhiali per vedere meglio quella figura indistinta che si stagliava immobile sull'ultimo scalino.

«E' stato un incidente! Lo giuro, non sono stata io!» disse indietreggiando di qualche passo.

Il preside iniziò a salire le scale con foga, prendendo la ragazza per il braccio e trascinandosela dietro, fino a raggiungere il pian terreno.

«Non sono stata io vi dico!» disse cercando di liberarsi dalla presa.

«Tu mi credi, vero Ken?» chiese supplichevole Jay, mentre gli passò davanti; ma i ragazzi intorno a loro iniziarono a gridarle contro che era una bugiarda e non sentì che cosa, - e se – il ragazzo le avesse risposto, costretta ad andare per la seconda volta nell'ufficio del preside.

 

 

«Tu mi credi, vero Nathaniel?»


 


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Capitolo 8
*** Un senso ***


Nathaniel le andò vicino e le alzò il volto con la mano, facendo incontrare i loro sguardi; alla ragazza stavano scendendo delle lacrime, senza riuscire a trattenerle.

«Ma allora perché hai bruciato il tuo fascicolo prima di trasferirti qui? Pensavi che non ce ne fossero altre copie anche non scritte?»

Quel ragazzo continuava a non capire.

«Non sono stata io! E' stata quella ragazza, mi odiava; era dalle elementari che continuava a farmi i dispetti, e in tutti questi anni solo una volta le ho messo le mai addosso, quando ci siamo picchiate, e non di certo per spingerla giù per le scale.»

«Non ti ho chiesto questo» le disse con la solita espressione che aveva quando la risposta non gli piaceva.

«Mi odia, e l'ho vista con i miei occhi dare fuoco a quel fascicolo, ci stavo per lasciarci le penne, per colpa di quella stupida. Stavo aspettando che il mio tutore venisse a scuola, visto che era stato convocato, e anche se sapevo che sarei stata giudicata colpevole da tutti, non c'erano le prove che fossi stata io, nessuno mi aveva vista spingerla, era stata lei, imprudente, ad essere caduta.»

Davanti ai suoi occhi le ritornò in mente quel giorno, e come se stesse vedendo un film raccontò nei minimi dettagli tutta la storia a Nathaniel.

 

'' Stavo nel solito ufficio, sulla solita sedia sulla sinistra, aspettando che i miei carcerieri mi venissero a condannare una volta per tutte; sapevo di non essere stata io, ma come al solito a nessuno sarebbe importato. Mentre aspettavo notai che tutto era stranamente silenzioso e sembrava che fossero scomparsi tutti dal liceo; probabilmente avevano messo tutti gli studenti nella sala conferenze, per annunciargli che c'era una pazza a piede libero nel loro liceo, e di fare attenzione.

Vidi il mio tutore correre verso la presidenza, ma mentre stava per varcare la soglia dell'anticamera, la ragazza bruna che rispondeva al telefono gli andò incontro e lo portò da un'altra parte; dopo di che arrivò l'impensabile. Vidi arrivare Cindy – la ragazza bionda con la quale avevo avuto la zuffa – venirmi incontro con un braccio fasciato. Da una parte ero sollevata di vederla in sana e salva, ma mi chiesi come mai stava già in piedi invece di restare a letto.

La vidi venire verso di me, e prontamente mi nascosi tra due archivi dell'ufficio, che si trovavano sulla parete opposta della scrivania in modo che non potesse vedermi ma che io potessi vedere lei; non so perché lo feci, ma istintivamente sentivo che era la cosa giusta da fare.

Con in mano un pacchetto di fiammiferi, Cindy si avvicinò alla scrivania ed immediatamente trovò quello che stava cercando; sfregò tre volte il fiammifero, prima che si accendesse e poi diede fuoco al mio fascicolo. Immediatamente presero fuoco anche tutti i fogli vicini, e come avevo sospettato era un po' troppo presto perché potesse già stare in piedi; infatti cadde a terra.

La prima cosa che cercai di fare fu di soccorrerla, ma mi ero incastrata tra i due mobili e non riuscivo più ad uscirne; intanto il fuoco iniziava a prendere piede e il fumo si alzava sempre di più. Ma l'allarme antincendio ancora non partiva, nessuna sirena, nessun getto d'acqua, nulla di nulla; ero terrorizzata e sentivo il calore della stanza che lentamente aumentava e quasi non tremavo più, pietrificata dalla paura che quella sarebbe stata l'ultima cosa che avrei visto.

Iniziai a gridare per farmi sentire da qualcuno, ma nessuno correva ad aiutarci.

«Cindy, forza apri gli occhi.. Cindy!»

Il fumo aumentava sempre di più ed avendo riempito tutta la stanza stava cominciando lentamente ad affumicare il resto della scuola, e ormai non vedevo più niente tanto che mi lacrimavano gli occhi, e mi stava iniziando a mancare l'aria.

Iniziò a suonare l'allarme antincendio, ma nell'ufficio le pompe d'acqua non si azionarono,e così continuai a gridare aiuto.

Per fortuna riuscii a liberarmi, strappandomi la maglietta, ma almeno ero libera di fuggire e di mettermi in salvo.

Presi Cindy per un braccio e la trascinai fuori in corridoio, dove l'acqua stava scendendo a pioggia sempre più copiosamente; attirati dalla sirena dell'allarme arrivarono sul posto il mio tutore ed un gruppo di insegnati, seguiti dal preside che teneva saldamente tra le braccia un estintore.

L'anziano uomo corse dentro l'ufficio per spegnere l'incendio, mentre alcune persone – che ancora non ricordo chi fossero – ci stavano chiedendo come stavamo e se riuscivamo a sentirli.

Dopo di che non ricordo più niente, tutto nero, fin quando non ho riaperto gli occhi e mi sono trovata in un letto d'ospedale attaccata ad una flebo.

Spiegai loro la situazione, anche se convinta che nessuno mi avrebbe creduto; invece mi risposero che già sapevano tutto, visto che Cindy si era svegliata prima di me.

Mi preparai ad essere incolpata dell'ennesimo reato che non avevo compiuto, invece la ragazza che tanto mi aveva odiato aveva confessato tutto; forse era stata la commozione cerebrale, o il fumo che aveva inalato che le aveva mandato in pappa il cervello, ma da quel giorno mi trattò come se fossi stata la sua migliore amica da sempre, e mi era grata per averla salvata. Nonostante tutto, a scuola giravano voci che oltre ad essere una pazza disturbata che buttava giù dalle scale gli studenti, ero anche una piromane.

I genitori di Cindy le fecero cambiare scuola, una settimana dopo, non convinti del tutto della mia innocenza.

Finalmente gli assistenti sociali mi affidarono ad una parente, una zia paterna che non vedevo da anni, ma che mi ha accolto a braccia aperte; mi ha sempre sostenuta, e ascoltando la ma storia e leggendo i vari rapporti, mi ha sempre considerata innocente. Ho perso una anno per colpa per questo evento, e invece che passarlo in un liceo lo passai da uno psicologo, e così mi ritrovo oggi, qui, a parlarti di questo. Non mi importa se mi credi o meno, ma ti prego, Nathaniel, TI PREGO, non devi dirlo a nessuno; finalmente sono riuscita a non essere al centro dell'attenzione, finalmente posso ricominciare una nuova vita, senza risse continue e senza etichette. Dammi una possibilità.»

Si sentì un rumore sordo provenire da fuori alla sala; Jay si girò di scatto, terrorizzata dal fatto che qualcuno avesse potuto aver origliato e quindi essere al corrente di tutta la situazione, ma non vide niente, tranne un'ombra che – si disse – si era creata con il calare del sole; Nathaniel si affacciò nel corridoio, incuriosito anche lui dal capire cosa avesse prodotto quel tonfo; non c'era, ma sentì un altro rumore provenire dall'ultimo piano.

«Non c'è nessuno, tranquilla, è solo il vento.» le disse mettendosi a sedere dietro la scrivania.

Jay si asciugò la lacrime con le maniche della felpa, aspettando che il ragazzo le dicesse qualcosa al riguardo alla sua decisione.

«Si è fatto tardi, ora ti accompagno a casa.» le disse facendola alzare dalla sedia e prendendole la tracolla da terra per poi mettergliela delicatamente sulla spalla.
«Aspettami all'entrata io chiudo la porta.»

«Ma..» balbettò la ragazza, chiedendogli con lo sguardo di mantenerle il segreto.

«Ho le mani legate.»

Il ragazzo la guardò soltanto e lei indispettita se ne andò via correndo.

«Non hai capito proprio nulla!» gli gridò mentre scappava via.

Nathaniel rientrò nella saletta, prese il fascicolo della ragazza ed invece di rimetterlo al proprio posto lo mise sul fondo dell'ultimo cassetto della sua scrivania, che era sempre chiuso a chiave; una chiave che possedeva solo lui.

Poi chiuse la porta ed uscì di corsa per inseguire Jay che era scappata via, esasperata; una volta fuori al cortile sentì come se qualcuno lo stesse fissando.

Non era rimasto più nessuno, tranne il custode, ed in giro non si vedeva nessuno; si girò verso l'edificio e guardò verso la terrazza che c'era in cima, senza alcun motivo preciso; poi iniziò a correre per continuare la ricerca della ragazza, temendo per la sua incolumità.

Non ci mise molto a trovarla, stava camminando a passo svelto lungo la strada che portava al suo quartiere.

«Non mi devi accompagnare, tranquillo, so farcela da sola.» le disse senza neanche fermarsi a guardarlo in faccia.

«Non ti sto seguendo sai, anche io devo andare di qua.» le disse in modo calmo e controllato.

Nathaniel la seguì a distanza fino a quando non la vide entrare in casa.

«Grazie di a vermi accompagnato lo stesso, anche se ti avevo detto di non farlo.» gli urlò senza alcun tono, affacciandosi dall'unica finestra che dava sul davanti.

Non aveva più voglia di continuare a vivere la vita di prima, quando per un niente reagiva facendo a botte e facendo bravate; le ci erano voluti mesi di terapia per imparare a controllarsi, ed ora che aveva il pieno controllo su di sé e sulla sua vita non voleva che il suo passato potesse impedirle di continuarla a gestire in questo modo.

Andò a dormire piena di collera e di rancore per la 'vecchia' lei, che le aveva procurato tutti questi stupidi ed inutili problemi.

Non era finita ancora la sua sofferenza?

*******

 

La mattina dopo aveva pensato di non andare a scuola, ma vedendo che a casa i pensieri iniziavano ad affollarsi nella sua mente, decise di andarci nonostante non avesse chiuso occhio tutta la notte.

Si avviò con largo anticipo, e completamente distrutta dopo la notte insonne che aveva passato; si era deliziata di questa nuova vita solo da pochi mesi, e già le stava cadendo tutto il suo nuovo mondo addosso; l'unica cosa che poteva sperare era che la notizia non si diffondesse più di tanto e che smettesse di girare il più velocemente possibile.

Arrivare in anticipo, aveva i suoi vantaggi: il liceo ancora semi deserto, le concedeva di camminare per i corridoio senza dover temere di incappare in qualcuno di indesiderato. Andò al suo armadietto a prendere l'orario ed i libri che le sarebbero serviti per la prima ora, e mettendoli nella tracolla, si avviò verso il cortile per andare a leggere un po' sotto la grande quercia.

Ma appena prima di poter mettere un piede fuori, si trovò faccia a faccia con una personaggio del tutto nuovo, che non aveva mai visto; dall'aspetto lo catalogò decisamente come un professore, ma sicuramente non era uno dei suoi.

«Signorina, mi fa piacer vedere qualcuno! Sono nuovo di qui e vorrei visitare questo liceo» disse pieno di vita e di buoni propositi.

Convinta di non voler tornare alle cattive abitudini dandogli un calcio nel sedere, decise di perdere il suo poco tempo a disposizione per scortare il nuovo professore – che si chiamava Faraize, come le disse due minuti dopo – nel fare un giro completo della scuola.

Ritornati al punto di partenza il professore le sorrise e la ringraziò, dicendole che un giorno le avrebbe ricambiato il favore.

Bella consolazione!

Avrebbe preferito non incontrarlo proprio e non aver nessun favore da ricevere; ma ormai si era decisa a voler leggere quel dannato libro e anche a costo di saltare la prima ora, uscì fuori all'entrata.

Stranamente la scuola sembrava essere ancora priva di vita, nonostante le ore otto fossero già passate da dieci minuti; meglio così, almeno poteva finalmente iniziare a leggere il libro in pace, senza essere disturbata da nessuno.

«Il liceo è pieno di studenti intellettuali che si dedicano alla lettura dei libri anche in orario extra scolastico!» esordì una voce pimpante alle sue spalle, facendola trasalire.

Quel libro doveva avere una specie di maledizione, perché ogni volta che provava a leggerlo succedeva qualcosa; doveva decisamente sbarazzarsene.

«Un titolo scadente.. nulla di che insomma, ma mi serve un articolo da mettere in prima pagina.» disse la stessa ragazza che le aveva strillato nell'orecchio un secondo prima.

«Mi chiamo Penny, e sono una delle giornaliste che scrive sul giornaletto scolastico!»

«Bene Penny, sappi che non sono proprio il tipo da ispirazione letteraria... se cerchi un qualcosa da scrivere perché non vai a vedere in mensa? I distributori hanno prezzi decisamente alti..» le disse cercando di farla appassionare a qualche altro argomento.

«Questo scoop c'è già stato, è uscito circa tre settimane fa l'articolo, mi serve qualcosa di fresco, di nuovo, che attiri l'attenzione della gente!» disse con gli occhi che le brillavano dalla smania.

«Capisco, penso che troverai qualcosa di interessante da scrivere sul liceo, se magari ENTRI nel liceo.. che dici?» le disse con tono suadente.
«Si, suona sensato, andrò in cerca di scoop immediatamente! Fammi gli auguri!»
«Auguroni..» le disse contenta di stare da sola con il suo dannatissimo libro.

Abbassò lo sguardo sul libro ed incominciò a leggere tranquilla e serena.

Qualcuno glielo strappò dalle mani.
«Che cosa stai leggendo? Oddio, ma è un libro!» esclamò disgustata Ambra davanti a lei tenendo il libro con due dita.

«Sono sempre più stupita dalla tua arguzia.» le disse alzandosi per riprendersi ciò che era suo.

«Ma noi siamo qua per altro; oggi mi mancano i soldi per il pranzo, 10 $ possono andare bene» le intimò mettendole avanti la mano come se si aspettasse che le regalasse i soldi.

Jay non si scomodò neanche a risponderle e tornò con la testa nel libro; ma Ambra era decisa ad avere quei soldi e senza tanti problemi mise la mano nella borsa della ragazza e se li prese.

Jay scattò in piedi.

«Razza di..»

Le amiche della strega, ai due lati, le diedero una spintonata facendola tornare a sedere, mentre Ambra le lanciava ai suoi piedi la tracolla.

«Grazie mille per i soldi!» sogghignò facendole l'occhiolino prima di andarsene.

Solo questo ci mancava!

Era dal giorno prima che tutto andava storto, che prendeva un brutta piega senza un vero perché, e nonostante cercasse di prenderla con positività, cercando un po' di pace e tranquillità, tutti quanti si erano uniti contro di lei per infastidirla in ogni modo possibile.

Alzò le bracca in alto, lanciando il libro a terra e gridando, attirando l'attenzione di tutti i presenti.

«Allora, non c'è più nessuno che vuole chiedermi, dirmi, darmi o farmi qualcosa? Avete finalmente finito?»

Neanche il tempo di terminare la frase che qualcuno la prese per il braccio, trascinandosela dietro.

«Dimmi che sei venuto ad uccidermi e non a parlarmi, ti prego Castiel.» gli disse con aria implorante mentre il ragazzo la trascinava dietro di sé senza alcun ritegno dietro la palestra.

«Fallo in fretta e non troppo dolorosamente.» concluse chiudendo gli occhi.

Castiel la prese e la mise spalle al muro, mettendosi quasi addosso per non darle modo di andarsene.

«Perché ieri sera ti sei vista con Nathaniel?»

Un pugno nel muro terminò la frase.

Jay non poté far a meno di mettersi una mano sulla fronte, proprio come faceva Nathaniel, visto che per la quarta volta qualcuno interrompeva la sua lettura mattutina per inondarla con altri problemi; non aveva avuto mai giornata più stressante di quella, e non era neanche iniziata; sentiva che stava crescendo sempre di più una rabbia che stava covando da poche ore, che non provava da moltissimo tempo.

«Tu come lo sai?» gli chiese guardandolo perplessa e con la paura che quel rumore della sera prima potesse essere venuto dal ragazzo mentre origliava.

«Vi hanno visto! Vi hanno visto anche tornare a casa insieme!» continuò Castiel alzando sempre di più la voce.

Non ce la faceva più, doveva sfogarsi con qualcuno, ma non voleva ricadere negli eccessi d'ira di una volta, così prendendo Castiel per il colletto della maglia se lo avvicinò ancora di più al viso ed iniziò a cantargliene quattro.

«Prima cosa, io non mi vedo con nessuno; anzi, se dovessi dire se mi sto vedendo con qualcuno direi che lo sto facendo con te, ma il signorino Castiel continua a fare l'altalena degli umori, e una volta si, e cinque no, mi tratta male.

Seconda cosa, ieri, io e il signor delegato ci siamo incontrati nel corridoio e mi ha chiesto di restare cinque minuti per parlare di stupida burocrazia e carte da firmare per completare la mia iscrizione a questo liceo di matti. Ti consiglio di cambiare informatore, perché non siamo affatto tornati a casa insieme, anzi! Gli ho chiesto di lasciarmi perdere ed evitando di mandarlo al diavolo me ne sono andata prima di lui; ma mister Perfezione lo conosci anche tu, no?! Ha voluto comunque seguirmi, per paura di vedermi schiacciata sotto una macchina forse, chi lo sa! So solo che arrivata a casa, l'ho completamente ignorato e se n'è andato. Ora..» gli disse lasciandogli il colletto e prendendolo per le spalle per poi girarlo e dirigerlo verso il corridoio di strada che portava di nuovo sul davanti dell'edificio scolastico. «... se vuoi puoi anche andare a picchiare a sangue chi ti è venuto a riferire in maniera così stupida ed errata l'accaduto!» concluse la sfuriata dandogli una pacca non molto leggera sulla spalla, proprio come si fa con i cavalli quando si vuole farli camminare.

Castiel si girò verso di lei, in un misto di divertimento ed incredulità.

«Hey, fai male..» disse arrossendo.

«Scusa, non volevo di certo sfogarmi su di te..» o forse si..?

Iniziarono a camminare vicini, tornando alla panchina dove aveva abbandonato le sue cose per seguiore Castiel

«E' una giornata di.. una di quelle. Da sta mattina non ho avuto una attimo di tregua e sta notte non ho chiuso occhio...»

Nonostante Jay gli avesse assicurato che la sera prima avesse mandato via Nathaniel in maniera brusca, il suo cervello non poté fare a meno di ricollegare un paio di cose che aveva visto quella mattina: aveva incontrato Nathaniel per il corridoio che stava cercando da tutte le parti Jay , arrivando anche a chiederlo a lui se l'avesse vista perché doveva dirle una cosa davvero importante; la ragazza lamentava di non aver dormito tutta la notte, e la sera prima erano tornati a casa inseme...

Non le diede neanche il tempo di realizzare che se ne fosse andato via correndo come una furia per andare a chiarire un paio di cose in sospeso che voleva assolutamente capire, e come un lampo si fiondò nel liceo.

Jay non notò subito che il ragazzo, con cui stava parlando, se ne fosse andato, ma solo dopo due minuti che non sentiva nessun commento sarcastico di Castiel si girò e vide che non c'era più a camminare alle sue spalle; non le servì neanche un secondo per capire dove si era andato a cacciare. Quel testone non voleva proprio capire, doveva per forza fare di testa sua anche se gli aveva assicurato che non si stava vedendo con nessuno, in particolar modo con Nathaniel e che la loro conversazione della sera prima non fosse altro che per la sua iscrizione. Senza neanche raccogliere le sue cose da vicino la panchina corse verso l'entrata, spalancando la porta e seguendo le grida di Castiel che stava discutendo con Nathaniel; arrivò davanti alla sala delegati e si mise a discuter con i due cercando di farli zittire entrambi; ma i ragazzi continuavano a discutere, anche se questa volta era riuscita a non farli arrivare alle mani stando nel mezzo.

Si mise istintivamente davanti al rosso irascibile, che la preoccupava di più in fatto di scatti d'ira; infatti rimanendo vicino a lui riuscì ad evitare più volte che, senza ragionare, si lanciasse contro il segretario per iniziare una scazzottata.

Nathaniel perse la pazienza e prendendo qualcosa dalla sua scrivania, la lanciò davanti al ragazzo che era venuto ad accusarlo di avergli rubato la ragazza, e alzando la voce gli disse:
«Ecco, è per questo che siamo rimasti ieri sera.»

E lasciando tutto come stava andò a chiudere la porta per evitare che alunni esterni alla discussione venissero a curiosare, e cercando di minimizzare il rumore per non attirare l'attenzione della preside.

Jay guardò la pila di fogli sul tavolo... era la stessa che aveva visto la sera prima; era il suo dossier.

«Ora sta a te fare quello che credi! Ma guardala, è qui, non hai bisogno di altro, basta che le chiedi. Se ora leggerai questo, sappi che sia tu che io andremo nei guai, che Jay mi odierà per tutta la vita, perché le avevo promesso di non dirlo a nessuno ed in particolar modo a te.. e vuoi sapere perché? Perché te lo avrebbe voluto dire lei, ma aveva paura che non ti interessasse; come darle torto? A quanto ne so non le hai mai detto niente, e nonostante non sappia cosa ci sia fra di voi ora - come ho detto anche ieri a lei – siete sulla buona strada per combinare qualcosa, ma se non vi fidate l'uno dell'altro e non vi dite niente... lasciate perdere che è meglio!»

La ragazza non sapeva se gettarsi sui fogli per portarli via dalla loro portata, gettarsi addosso a Nathaniel perché stava sventolando ai quattro venti il suo dossier e le confidenze fatte, o gettarsi addosso a Castiel perché era un completo idiota.

Poi il segretario fece un respiro profondo e si calmò.

«Ascoltami, non andiamo d'accordo, lo sappiamo entrambi, ma sai anche che so mantenere la parola data; non posso dirti quello che ci siamo detti ieri sera qua in ufficio, ma non è successo niente di quello che tu pensi né durante né dopo.»

Castiel aveva sentito la stessa versione da entrambi i ragazzi, e li aveva guardati negli occhi mentre gli dicevano e confermavano che non c'era niente tra di loro, intuendo la loro sincerità; ma ormai aveva portato avanti questa storia e non poteva lasciar correre.

Con tutta la consapevolezza di star commettendo un errore, ma convinto di non volersi rimangiare la parola, fece un passo verso Nathaniel per tirargli un pugno come si deve una volta e per tutte.

«La volete finire?!»

Disse alzando per la prima volta la voce e facendo fermare Castiel a metà strada con la mano serrata ancora a mezz'aria mentre manteneva Nathaniel per il colletto della camicia.

«Parlate di me come se non fossi presente, ma ci sono, eccomi!» disse gesticolando vistosamente come se dovesse farsi vedere da qualcuno che si trovava a metri di distanza.

Prese il fascicolo in mano, mentre il segretario teneva lo sguardo fisso e vigile su di lei, per misurarne ogni movimento e possibile sbaglio, condizionato da quello che aveva trovato scritto dalle precedenti scuole dove era stata.

«Tu non mi credi!» disse indicando Nathaniel «O comunque non abbastanza; non ho intenzione di fare niente a questo fascicolo, e non ne ho mai avuta, ma sappi che le seconde occasioni vanno date nella vita perché le persone dai loro sbagli crescono e si correggono. E tu..» disse girandosi verso Castiel, mentre Nathaniel abbassava lo sguardo, preso dal dispiacere di non essersi comportato da esempio quale voleva essere per tutti.

«Tu neanche mi credi, in altro contesto, per un'altra storia, ma continui a non credermi, nessuno mi crede! Tieni.» gli disse lasciandogli in mano il suo voluminoso fascicolo.

«Leggilo tutto e non tralasciare niente, mi eviterai di doverti dire cose imbarazzanti e stupide che mi riguardano; a quanto pare le mie sole parole non bastano per convincerti, spero che almeno dei documenti scritti possano farti capire che l'unica persona con cui avevo intenzione di frequentarmi non era di certo Nathaniel...»

Poi si girò andandosene a passo svelto verso la porta, respirò profondamente per evitare di piangere dal nervoso.

«Castiel, leggilo. Non scherzo, Nathaniel ha deciso di rischiare di passare un guaio per fartici dare un'occhiata e per finire.. voi non mi avete visto, oggi sono assente e non ho intenzione di sentirvi né di vedervi!» e se ne andò sbattendo la porta.

Nathaniel si allentò il nodo della cravatta mettendosi a sedere sulla scrivania, con le gambe a penzoloni, deluso di sé stesso e della reazione che aveva avuto, guardando cosa avrebbe scelto di fare Castiel, che dal canto suo era rimasto per la prima volta senza parole e senza sapere cosa fare; l'aveva spiazzato del tutto.

Non gli voleva nascondere una relazione con il segretario scolastico, ma qualcosa del suo passato... la capiva meglio di chiunque altro, anche lui custodiva gelosamente dei segreti che avrebbe preferito tener nascosti al mondo intero. Di lei si poteva fidare, aveva passato più tempo in sua compagnia che con chiunque altra persona avesse conosciuto in tutta la sua vita, e nonostante volesse tenerla stretta a sé non ci stava riuscendo, anzi, stava avendo proprio l'effetto contrario. Si stava comportando come uno stupido nei suoi confronti, confondendola trattandola in maniera sempre diversa, solo per non perdere la sua reputazione in ambito scolastico; ma che cos'era una reputazione rispetto a quello che poteva avere – e che aveva – ogni volta che le stava accanto.

«Pensaci bene. Tutto quello che ti serve, è appena uscito dalla porta... ti invidio sai.” gli disse Nathaniel con lo sguardo basso.

“Persone come lei non si incontrano spesso; non so tutta la sua storia, ma ha avuto una vita difficile, un po' come te... sarà per questo che andrete d'accordo forse, ma io darei di tutto per avere una persona che ci tiene così tanto a me come lei ci tiene a te. Il fascicolo ce l'hai, sta a te ora decidere.» gli disse incrociando lo sguardo con il suo, mostrandogli per la prima volta la stessa faccia dolce e disponibile che mostrava agli altri.

Non poteva di certo lasciar andare le cose così questa volta...

Non poteva permetterselo.

Non voleva farlo.

Doveva parlarle.

Doveva dirle tutto, della sua vita, dei suoi atteggiamenti, di chi fosse la famosa lei per la quale l'aveva piantata il primo giorno che l'aveva conosciuta.

Cercò di ricordare ogni singola parola che le aveva detto quella ragazza fin dal primo giorno che si erano incontrati e stranamente si accorse di ricordarsi tutto quello che la riguardava, ogni singola parola, ma non sapeva niente del suo passato, della sua famiglia, di quello che le piaceva o meno.. non glielo aveva mai chiesto, e dei fogli di carta non gli avrebbero detto un bel niente riguardo alla sua storia.
Doveva sapere tutto su di lei, il prima possibile.

Lasciò la presa del fascicolo, che cadde a terra, spargendo tutti i fogli al suo interno contenenti la storia di quella strana quanto meravigliosa ragazza, sul pavimento.

Doveva sentirla pronunciare dalle sue labbra; solo così avrebbero avuto veramente un senso.


 


Jay Myler 
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Capitolo 9
*** Cosa ci fai tu qui? ***


Basta, aveva chiuso con tutta questa storia del tenere nascosta la sua vecchia vita, i suoi errori e le sue bravate, ne aveva abbastanza di continuare quella farsa solo per avere l'illusione di essere anche lei una persona normale per qualche mese. Avrebbe voluto smettere di continuare a pensare a tutta questa storia e le sue ovvie conseguenze, ma tutto quello che le era successo nelle ultime quarantotto ore non le lasciava un po' di spazio libero nella mente; quello che l'aveva colpita maggiormente era la reazione che aveva avuto Castiel, quel ragazzo così ambiguo che non le dava modo di capire il suo punto di vista sulla loro relazione e sulle possibili svolte.

La prima domanda che le sorgeva spontanea era da chi aveva avuto l'informazione che la lei e Nathaniel si erano incontrati dopo l'orario scolastico; pensava di essere stata l'unica ad essersi trattenuta più del dovuto. Forse era stata Melody, che con la sua innocenza gli aveva riferito del loro incontro serale.

Ma non sapeva se Melody e Castiel parlassero... a dire il vero non sapeva neanche se i due si conoscessero; ma la dolce Melody non sembrava un tipo che potesse relazionarsi con quel ragazzaccio di Castiel.

Ecco, ragazzaccio non era mai stato un termine più appropriato, perché un ragazzo normale, per quanto ottuso e testardo possa essere non si sarebbe comportato come lui.

Non poteva definire Castiel esattamente come un libro aperto, ma neanche un libro chiuso... avrebbe prima dovuto conoscere il genere ed il titolo, e forse dopo sarebbe riuscita a comprendere quella trama così complicata del suo carattere.

Lei sapeva di essere folle, ma a quanto pare qualcuno aveva deciso di strafare e superarla.

Si chiedeva come mai fosse scattato così all'improvviso per andare a cercare Nathaniel, dopo una stupida frase che aveva detto, completamente estranea da quel biondo segretario così dedito al lavoro; cosa poteva centrare la sua notte insonne con la voglia da parte di Castiel di picchiare Nathaniel? Forse stava cercando solo una scusa qualunque per potergli dare quel famoso cazzotto che si era già scampato la volta prima, o forse era solo nervoso e aveva deciso di usare la faccia di Nathaniel come antistress o forse...

No, non era possibile, era troppo irreale ed innaturale quel pensiero che le aveva sfiorato la mente; non poteva essere così scemo da pensare che tra la sua notte insonne e il fatto che fossero tornati a casa insieme potesse esserci una sorta di legame che collegasse entrambe le cose.

Se così fosse, avrebbe potuto affermare con massima sicurezza che quel ragazzo era proprio geloso di lei!

Se solo avesse capito qualcosa durante la loro discussione, forse a quest'ora avrebbe saputo dirsi se essere contenta del fatto che Castiel la stesse prendendo a cuore, o dovesse arrendersi all'idea che Nathaniel aveva proprio una faccia da sacco da box per lui.

Ma per quale motivo la sua testa continuava a rimuginare su cose che voleva lasciar perdere per una giornata, o almeno per un paio d'ore non se lo sapeva proprio spiegare!

Stupida, stupida mente che non sa far altro che continuare a dire...

Woof woof!

Ora poteva definirsi clinicamente pazza: la sua testa iniziava ad abbaiare; qualcosa doveva aver fatto cortocircuito.

Woof woof!

In men che non si dica qualcosa di bavoso le leccò completamente la faccia, coprendola di saliva e di tanto affetto.

«Bello, che ci fai qui?» disse accarezzando la 'testolina', grande quanto un panettone, di Demon.

Il cane si limitò a girarsi sulla pancia per ricevere la sua razione quotidiana di grattini, muovendo la zampa anteriore a tempo.

«Come ci sei arrivato qui? Quello scellerato del tuo padrone sta a scuola adesso, e ora come ora sono troppo arrabbiata con lui, quindi cosa ne dici di passaere un po' di tempo con me? Comunque dobbiamo aspettare la fine delle lezioni, tanto vale che ci andiamo a fare una passeggiata no?» Demon fece un salto di gioia – o almeno così lo interpretò Jay – ed incominciò a farle le feste come se avesse capito che quella giornata la avrebbe passata all'insegna dell'aria aperta e delle coccole gratuite; così senza troppi indugi cominciò a seguirla per il marciapiede, camminandole a fianco e andandole di tanto in tanto addosso, colpendola leggermente.

O questo cane era sbronzo o la stava prendendo in giro, perché sembrava che facesse esattamente con il padrone quando passeggiavano insieme.

Il cane iniziò a precederla, come se volesse dirle di seguirlo, prendendo una stradina a sinistra due isolati prima di arrivare a casa sua; nonostante non sapesse dove portasse svoltò a sinistra come suggeritole, senza tanti problemi e così si ritrovò a seguire delle indicazioni stradali datele da un cane.

Dopo pochi metri il paesaggio intorno cambiò radicalmente, e si trovò in un quartiere di cui non conosceva assolutamente l'esistenza, completamente immerso nel verde degli alberi e nei colori dei fiori appena sbocciati; Demon iniziò a scodinzolare dalla felicità vedendo da lontano un enorme parco.

Jay intuì la richiesta del cane, ed insieme si avviarono alla scoperta di questo nuovo posto; il parco era pieno di persone diverse tra di loro: c'era chi faceva la sua corsa mattutina, chi portava a spasso il cane – come lei, anche se in effetti non le apparteneva – chi leggeva all'ombra di un albero, chi scriveva, chi ascoltava la musica o chi passeggiava tranquillamente godendosi quella bella mattinata di sole all'insegna della benamata primavera. Demon si destreggiava tra quelle stradine fiorite come se le conoscesse da anni, e abbaiandole contro le fece capire di voler essere seguito, iniziando subito dopo a correre a perdifiato verso un laghetto poco più avanti, per poi buttarsi tra una siepe alta e scomparire.

Jay lo chiamò più volte, cercando di non urlare troppo per non attirare l'attenzione su di lei, ma il cane non si vedeva più ed iniziava a preoccuparsi; in fondo ora era lei la responsabile di quella bestiola e non voleva che gli accadesse niente, così un po' a malincuore, decise di attraversare anche lei la siepe, consapevole del fatto che probabilmente avrebbe perso pezzi di vestiti tra i rami appuntiti delle piante. Iniziò ad infilare una gamba, e si accorse di quanto la pianta fosse fitta solo in apparenza e senza tanti problemi riuscì a passare dall'altra parte, rimanendo stupita per la straordinarie vista che le si stava aprendo un po' alla volta. Demon aveva trovato una sorta di scorciatoia che li aveva portati tra due file di ciliegi in fiore, che con il loro candido colore rosa rendevano l'atmosfera intorno calma e pacata. Da lì riusciva a vedere il laghetto del parco e tra i rami fitti degli alberi intravedeva il sole, che trapelava appena tra la miriade di foglie e fiori che popolava quel posto. Trovò Demon qualche metro più avanti, sdraiato sotto il sole tiepido ai piedi di un albero quasi in riva al laghetto, mentre fissava le paperelle sguazzare nell'acqua. In quel momento adorava alla follia quell'animale, che, come se sapesse intuito il suo stato d'animo, la aveva portata in quel posto di pace e tranquillità; il cagnolone steso e tranquillo, iniziò a concentrare la sua attenzione su di lei, come se la stesse invitando a sedersi accanto a lui; ma Jay si limitò a fargli una carezza sulla schiena per poi incamminarsi tra le file degli alberi.

Come la rilassava quel posto.

Ovviamente nessuno sembrava essere a conoscenza della sua esistenza, e questo rendeva la cosa ancora più bella ed eccitante, facendola sentire finalmente parte del mondo ma senza sentirsene travolta.

Fece un respiro profondo, inebriandosi del forte odore dei fiori circostanti che le donò un po' di sollievo all'animo, ormai così tormentato ed in pena.

Scoprì che quella piccola stradina tra gli alberi non conduceva da nessuna parte, così, senza alcuna fretta si incamminò indietro, per raggiungere Demon sotto l'albero in riva al laghetto, e potersi finalmente sedere a riposarsi dopo la frenesia della mattinata.

Scoprì che l'aria fresca e la compagnia di quel cagnolone le davano pace e serenità come nessun altra cosa e si lasciò cullare dal rumore del vento che increspava il laghetto e dalla luce riflessa in quel limpido specchio d'acqua.

Chiuse gli occhi e si addormentò.

Vedeva chiaramente una limpida giornata di sole, mentre camminava mano nella mano con Castiel, percorrendo un piccola stradina delimitata da delle rocce di colore rosso vivo; stavano uno vicino all'altro camminando e ridendo felici, senza avere memoria di tutto quello che avevano vissuto; Si sentiva così leggera e a posto con sì stessa, così viva e libera. Vicino a lui sentiva che sarebbe riuscita a scalare una montagna e a conquistare tutto ciò che desiderava, ma tutto quello che voleva la teneva già saldamente stretta nella sua mano.

Un leggero ed armonico abbaiare li accompagnava da lontano, crescendo lentamente, fino a quando non videro venirsi incontro Demon, che saltando a rallentatore - come una scena di un film - iniziò a festeggiare la loro compagnia e tutti e tre insieme continuarono a passeggiare spensierati.

Mentre camminavano il cielo cambiò colore e si coprì completamente, oscurando tutto il meraviglioso sole che si stavano godendo un attimo prima. Poi il ragazzo vide Nathaniel ed avvicinandosi a quest'ultimo iniziò ad allontanarsi sempre di più con dietro Demon, senza dirle niente più niente, mentre lei, pur rincorrendoli, non riusciva a raggiungerli.

Sentì la voce di Castiel che le diceva di averla solo illusa e di averle mentito per tutto il tempo, e che la considerava solo come un allegro passatempo; lentamente la voce cambiò e diventò quella di Nathaniel che la cacciava da scuola per aver commesso troppi sbagli nella sua vita e nei vari istituti, bandendola da qualsiasi altro liceo presente sulla terra e proibendole di vedere tutte le persone che le stavano a cuore.

Alla sua voce si unirono quella della preside, poi quelle di tutti gli studenti che aveva incontrato nella sua vita, deriderla ed intimarle di andare via.

La scena cambiò e vide sua zia in lacrime, mentre singhiozzava disperata per l'avere una nipote diversa e criminale, che le portava solo guai e dispiaceri.

Poi solo voci che si parlavano una sopra l'altra senza farle capire cosa stessero dicendo, alzando sempre di più la voce ed accavallandosi sempre di più, fin quando non ebbe solo il caos totale nella sua testa fino a darle la sensazione che le stava per esplodere ...

Un rumore secco la fece trasalire.

Si era spezzato un ramo poco distante da lei, ma per fortuna la aveva soltanto sfiorata ad una gamba, e mentre recuperava Demon che aveva iniziato ad inseguire le papere al bagno, notò che ormai era ora di pranzo, così si avviò verso la siepe da cui era entrata; scavalcando il ramo caduto notò un piccolo tronco cavo, dentro il quale c'era riposto qualcosa di luccicante.

Si chinò per prenderlo e vide che era un pezzo di plastica rosso dalla forma triangolare, usurato dal tempo e con sopra inciso un simbolo che non aveva mai visto: era un plettro. Senza pensarci se lo mise in tasca, affascinata dalla bellezza dell'oggettino e dall'eventuale storia che potesse starci dietro.

Sulla strada del ritorno, giocherellando con il plettro, iniziò a fantasticare su quale potesse essere la sua storia e su chi potesse essere il suo proprietario..

Quel plettro poteva essere appartenuto ad un famoso musicista, che aveva usato quel posto come un piccolo santuario di pace, ed aveva deciso di lasciarci un pezzo di sé; o forse poteva appartenere ad un cantautore che andava lì di tanto in tanto a prendere ispirazione per le sue canzoni, e lei si era appropriata del suo plettro di riserva. Ma ormai che importanza aveva, se ne era già impossessata e non aveva la minima intenzione di riportarlo indietro; se qualcuno lo avesse avuto davvero a cuore non lo avrebbe di certo messo in un posto così alla portata di chiunque.

Arrivati a casa, Jay aprì la porta e fece cenno al cane di entrare che incuriosito già si stava chiedendo se lo facesse entrare in casa per restare in sua compagnia o avrebbe dovuto restare da solo in giardino; lasciò cadere la sua borsa sul pavimento ed andò in cucina a prendere qualcosa da mangiare per Demon, che la stava seguendo dappertutto.

Ma cosa mangiavano i cani, o meglio, cosa mangiava quel cane?

Per prima cosa gli diede una ciotola con dell'acqua per farlo rinfrescare e poi trovò nella dispensa un scatoletta di cibo in scatola che le aveva dato la zia; glielo aprì e servì in un piatto, e senza aspettare il permesso vi ci fiondò sopra mostrando appetito ed apprezzamento per quel pranzetto improvvisato che gli aveva preparato la sua amica.

Ma a differenza del cane, che voracemente stava divorando la sua porzione di pappa, la ragazza non aveva affatto fame, e rivolgendosi a lui come ad una persona gli disse che se la cercava stava al piano di sopra, nella sua camera.

Il cane non diede segno neanche di averla sentita, continuando a concentrarsi solo sul suo delizioso pranzetto; convinta che in caso di necessità il cane la avesse trovata comunque se ne salì senza aggiungere niente.

Aprì la porta di camera sua si tolse la felpa di dosso lanciandola sulla sedia della scrivania, poi vedendo la finestra della sua camera di nuovo aperta andò e chiuderla per l'ennesima – ma non ultima – volta, convinta che chiuderla fosse il più potente antifurto esistente al mondo; alla fine dei conti, la finestra chiusa era riuscita più volte a non far entrare in casa sua Castiel, e quella giornata era esattamente una di quelle in cui meno lo vedeva meglio era.

Restò un po' a fissare l'esterno di casa sua, che si affacciava sul suo giardino e le faceva intravedere un pezzo del giardino sul retro dei vicini, che in quel momento stavano iniziando a cucinare la carne al barbecue.

Si girò dando le spalle alla finestra e..

«Sorpresa.» le disse Castiel a torso nudo ed in piedi davanti a lei.

«Per l'amor del cielo vestiti, vestiti!» gli urlò mettendosi le mani davanti agli occhi.

Castiel iniziò a ridere.

«Guarda che sono senza maglietta, mica nudo! E poi la sorpresa non è mica il mio nudo parziale, sai.» continuò prendendola in giro.

«E allora cosa ci fai qui, in camera mia, mezzo spogliato?» gli gridò contro con le mani ancora sugli occhi. «Non è il modo più ortodosso per farti perdonare; è efficace, questo mi sembra ovvio, ma non va bene!» disse con una nota di imbarazzo, ma allo stesso tempo sbirciando di tanto in tanto da in mezzo le dita, contemplando il fisico scolpito del ragazzo.

«Mi si è strappata la maglietta mentre salivo dall'albero e per evitare che si finisse di rompere me la sono tolta.» continuò arrossendo in viso, ma senza lei se ne accorgesse visto le mani saldamente attaccate al viso.

La ragazza iniziò a camminare con gli occhi chiusi e a tentoni, con le mani davanti, cercando di raggiungere la scrivania, senza guardare il ragazzo per evitare di imbarazzarsi ancora peggio di quanto avesse già fatto; ma il camminare ad occhi chiusi si rivelò una scelta poco azzeccata, perché si trovò faccia a faccia con il ragazzo – senza accorgersene – che la abbracciò stringendola a sé.

Jay arrossì dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi, e cercando di trattenersi iniziò conversare, come se niente fosse, per poi terminare con un:

«Ma tu non sei la maglia che stavo cercando per fartela indossare!»
Castiel adorava quando diventata impacciata per l'imbarazzo e lo divertiva così tanto che creava la maggior parte delle situazioni ambigue per vederla in quella condizione – oltre che per avvicinarsi a lei -.
La lasciò andare, prendendola per le spalle e standole dietro, per non farsi vedere e poterla far camminare ad occhi aperti per evitarle di farla sbattere in qualche mobile.

«Forza signorina imbarazzata, mi metto dietro le tue spalle così puoi camminare ad occhi aperti senza vedermi.. almeno finché non mi trovi qualcosa da mettere.»
«Preferirei non vederti proprio oggi sai..» gli disse con voce bassa e rotta, mentre prendeva una maglietta verde militare da un cassetto.

«Io invece preferirei parlarti e magari non vederti con questo sguardo rivolto verso il basso...» le disse dolcemente, alzandole il viso, con due dita, da sotto il mento.

Jay alzò la testa e lo sguardo , vedendo riflessa sé stessa e Castiel nello specchio che aveva proprio sopra la scrivania davanti alla quale stava, guardando interamente, e con calma, Castiel a torso nudo, non pensando che lui potesse vederla altrettanto dallo specchio; il ragazzo, che si era accorto di quelle attenzioni, le sorrise e le passò una mano su un fianco.

«Mettiti questa maledetta maglia!» gli disse girandosi di scatto verso di lui e lanciandogli contemporaneamente la maglia addosso, mentre un brivido le percorreva tutta la lunghezza della schiena.

Castiel si tolse la maglia che gli era piombata in testa e se la appoggiò sulla spalla, guardando per la seconda volta negli occhi quella ragazza da così vicino, ma questa volta con la consapevolezza di non volerla lasciar andare; si avvicinò qualche centimetro di più, mentre la ragazza continuava a schiacciarsi sempre di più sul bordo della scrivania, sperando di poterci entrare dentro in qualche modo.

«Sono ancora in collera con te, e mi domando che cosa tu ci faccia qui..» gli sussurrò; ma erano abbastanza vicini che anche il minimo sibilo era percepibile per l'altro.

«Sono vento a farmi perdonare.» le disse con il suo amabile tono suadente ed accattivante, mettendole le mani sulle anche.

Continuò ad avvicinarsi sempre di più, proprio come aveva fatto il giorno del loro primo appuntamento; ma quel giorno lui si era fermato, mentre ora non le sembrava affatto che fosse interessato solo a stuzzicarla per farsi due risate sulla sua goffaggine.

Riusciva a sentire il suo respiro addosso ed anche il suo cuore, proprio come quella volta, ma in questa occasione non era l'unica a cui il cuore era impazzito cominciando a battere freneticamente.

«Ma è ora di pranzo adesso!» gridò all'improvviso Jay imbarazzata, gesticolando vistosamente e scatenando una crisi di risate in Castiel che non riusciva più a smettere.

Jay si liberò, correndo fuori alla porta, deliziandosi dell'udire la prima risata di cuore del ragazzo; era così armonica e leggera che sembrava una canzone.

Da quella posizione iniziò a vederlo per come veramente era, e constatò che anche uno con un caratteraccio come il suo, rideva come tutte le altre persone.

Poi il ragazzo, lentamente, iniziò a calmarsi e a smettere di ridere, asciugandosi gli occhi dalle lacrime che gli erano uscite mentre rideva; si infilò la maglia e con uno scatto fulmineo riprese il controllo della situazione ristabilendo i pochi centimetri di distanza che avevano avuto fin ad un istante prima.

«Dove eravamo rimasti allora?» le disse prendendola alla sprovvista.

Ora era sicura che le cose avrebbero preso una certa piega, anche se lei si sentiva ancora arrabbiata con lui; ma era così vicino che riusciva a vedergli la vena del collo pulsare, così socchiuse gli occhi e...

«Che ci fai tu qui?» chiese Castiel da terra, con il proprio cane addosso.

Jay aprì gli occhi di scatto e vide che Demon era saltato addosso al padrone, eccitato dal vederlo.

«Bravo cane, bravo cucciolo, tempismo perfetto!» lo elogiò mentre scappava giù per le scale velocemente, arrivando in cucina e sedendosi sulla prima sedia che trovò.

«Che ci fa qui Demon?» chiese il ragazzo raggiungendola nella cucina con a seguito il suo cane.

«Chiediglielo a lui, io me lo sono solo trovato davanti per strada e me lo sono portato a casa con l'intenzione di riportartelo nel pomeriggio dopo scuola... a proposito, perché non sei a scuola?»

«Sono un ragazzaccio ricordi? Saltare le lezioni è il mio pane quotidiano.»
Rivedere quel ragazzo e parlargli della scuola le faceva ritornare alla mente tutto quello che le era successo quella mattina, e quella poca pace che era riuscita a trovare in quel magico posto svanì in un lampo.

«Uhm..» fu l'unica cosa che riuscì ad articolare.

«Riguardo a sta mattina..» riprese il ragazzo con particolare passione nel parlare.

«Non ho niente da dire.» concluse prima di fargli finire la frase.

«In realtà dovresti dirmi tutto; sono qui apposta. Degli stupidi fogli di carta non possono di certo raccontarmi la tua storia.» disse buttandosi in bocca un biscotto trovato là sul tavolo.

«Non saprei neanche da dove incominciare..»

Si sentiva bloccata e in difficoltà, non voleva parlare di quella storia in quel momento ed il fatto che Castiel era andata a casa sua esclusivamente per quello le metteva ancora più pressione sentendosi in dovergli di raccontare tutto e subito; era già pronta a rispondergli male per mandarlo a quel paese, ma il ragazzo le prese una mano, poggiandosi con il busto sul tavolo.

«Non ti chiedo di dirmelo ora e tutto insieme, ma con calma e quando ti sentirai pronta; quello che importa è che io lo senta uscire dalle tue labbra e non da stupidi fogli di carta. E se vorrai, potrei anche parlarti di qualcosa che ti interessa sapere su di me.»
Gli occhi le si illuminarono e gli fece il suo primo vero sorriso non contraffatto, né solo accennato.

Dopo quella discussione i due ragazzi cominciarono a parlare di cose più stupide e frivole, scherzando e giocando tra di loro mentre si preparavano il pranzo.

Così trascorsero tutta la giornata: parlando, seduti sul divano, del più e del meno, iniziando a parlare delle loro cose un po' alla volta, partendo dagli argomenti più leggeri, senza mettersi fretta l'uno con l'altro.

La giornata finì più in fretta del previsto, quando entrambi si addormentarono sul divano mentre guardavano un film, vicini e tenendosi per mano.

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La mattina dopo Jay fu svegliata da un buon odore di caffè che proveniva dalla cucina e dal muso di Demon che le premeva sulla coscia.

Il cane si era addormentato sopra di loro, ma attualmente la sua vittima designata era lei, in quanto era l'unica rimasta ancora sul divano; cercando di non svegliarlo se lo tolse di dosso e si alzò per seguire l'aroma della preziosa ambrosia scura che ogni mattino la aiutava a svegliarsi.

Entrando in cucina vide Castiel davanti a lei con in mano una tazza di caffè fumante che stava sorseggiando, e una che le stava porgendo.

«Sapevo che ti avrebbe svegliato.» le disse sorridendole per la prima volta in quella giornata, rendendole per la prima volta in vita sua una mattinata piacevole.

«Ti spiace se uso la doccia? Ieri sera Demon ci ha usati come cuscini..»

«L'ho notato» disse scuotendosi il braccio che le si era addormentato. «E' l'ultima porta e sinistra qui al pian terreno. Se poi vuoi fare un bagno c'è il mio bagno personale al piano di sopra che ha la vasca.» gli disse mentre si scottava la lingua bevendo il suo caffè.

«Se mi vado a fare un bagno vieni con me?» le disse abbracciandola a guardandola negli occhi come solo lui sapeva fare.

«Gli asciugamani stanno nel mobile alto, a destra della doccia, e il bagno schiuma lo trovi sulla mensola, per la spugna arrangiati un po'.» le disse con il tono che una volta aveva il ragazzo nei suoi confronti.

Ma invece di lasciarla andare, Castiel la baciò a tradimento, prendendola completamente alla sprovvista; le sembrò durare una vita quel minuscolo, ma intenso attimo di amore.

«Sei bella anche con il trucco sbavato e il viso pieno di sonno arretrato.» le disse lasciandola scioccata ed immobile dove l'aveva lasciata.

L'aveva baciata... per pochi istanti, ma quel bastardo lo aveva fatto, solo perché... perché lo aveva fatto?

Andò in salone ancora intontita, cercando di aggiustare anche se sommariamente il disastro che avevano combinato la sera prima, tra pop corn e patatine che erano volati da tutte le parti, cercando di spazzare via la maggior parte dello sporco.

Quel bastardo di Castiel non l'aveva baciata il giorno prima nonostante tutte le occasioni che aveva avuto, ed ora lo aveva fatto così, senza un perché e giusto per avere l'ultima parola.

Subdolo e perfido.

Vide che erano le undici passate, quando sentì suonare il campanello della porta; si chiese chi potesse mai essere, ed andò ad aprire la porta così come stava.

«Disturbo Jay? Perdonami se mi sono presentato così senza avvertirti ma ho una bella notizia per te! Riguarda il tuo fascicolo. Posso entrare?» le disse radioso Nathaniel dopo che gli ebbe aperto la porta. Gli fece segno di accomodarsi e lo portò in cucina, ma non si andò a sedere vicino a lui, restò in piedi nel corridoio come se volesse tenere sotto controllo una situazione potenzialmente pericolosa.

«Lo so che non ci siamo lasciati bene ieri mattina, ma sappi che Castiel non ha voluto guardare quell'ammasso di fogli, ed io ho deciso di fare qualcosa per te, perché ti credo, e non è giusto che nessuno sia mai andato fino in fondo alle accuse che ti sono state mosse per tutti questi anni...»

La ragazza solo allora pensò a tutto quello che potesse trovare di indecente Nathaniel in quella casa: era completamente sotto sopra sia il salone che la cucina, lei era vestita ancora con i panni del giorno prima, le era rimasto solo un occhio truccato mentre l'altro era completamente sbavato e nel suo bagno c'era Castiel che si stava facendo una doccia nudo.. ovviamente era nudo, mica poteva lavarsi vestito, ma questa era decisamente una cattiva occasione per accogliere Nathaniel in casa sua.

Il ragazzo si accorse che Jay si stava innervosendo ed imbarazzando.

«Vuoi che ripassi? E' che ero così contento della notizia che ho voluto subito informarti e non vedendoti a scuola e trovando il telefono di casa fuori posto ho pensato di venirtelo a dire di persona. Ho scelto un brutto momento?» le disse disponibile e preoccupato come al solito.

«No, è che.. come dire...»

Demon si affacciò alla porta della cucina, andandosi a mettere in mezzo alle gambe di Jay, aspettandosi le coccole del buongiorno.

«Ma questo non è il cane di Castiel?» chiese perplesso il segretario.

In quel momento uscì Castiel dal bagno coperto solo da un piccolo asciugamano

«Stai parlando con me?» le disse ancora coperto di schiuma.

Vedendo la ragazza in piedi nel corridoio da sola, la prese per i fianchi portandosela vicino e baciandola per la seconda volta, per poi proporle sensualmente:

«Cosa ne dici di continuare il discorso di ieri?»

Jay arrossì molto di più del solito, e incuriosito dal fatto Castiel si girò verso la cucina, e si accorse che non erano da soli.

La ragazza si sentì bruciare dalla vergogna e avrebbe voluto tanto essere da un'altra parte ed in un altra situazione, anche se consapevole che non c'era niente di male nel far fare una doccia a Castiel nel suo bagno.

Nathaniel sconcertato vide Castiel con addosso solo un asciugamano che a malapena lo copriva, completamente bagnato e pieno di schiuma, per poi guardarlo infastidito dicendogli:

«Cosa ci fai tu qui?»


 


Jay Myler 
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Capitolo 10
*** Tieni giù le mani dalle mie cose! ***


“Cosa ci faccio io qui? Cosa ci fai tu a casa della mia ragazza piuttosto...” ribatté Castiel nervoso. Nathaniel scattò dalla sedia per avvicinarsi al ragazzo davanti a lui, lo guardò negli occhi con aria di sfida.

“Spero per te che non ti stia approfittando di lei..” gli disse facendosi sentire solo da lui.

Jay seguì con lo sguardo ogni minima mossa che facevano quei due, senza mai perderli di vista, sperando che quella mattinata non si concludesse con una lite.

“Mi spiace Nath, ma non è come sembra è che..” iniziò a farfugliare la ragazza cercando le parole per spiegargli quello che stava succedendo, senza sapere neanche lei in realtà come stessero precisamente le cose; Castiel l'aveva appena definita come sua ragazza, ma si era persa il momento in cui erano diventati una coppia.

“Non ti preoccupare, non devi spiegarmi niente.” le disse mandando ancora sguardi velenosi a quel ragazzo in asciugamano. “Ho soltanto scelto il momento sbagliato; è colpa mia. Ne riparleremo un'altra volta, non pensavo di certo che Castiel fosse venuto a farsi perdonare così presto.” continuò mentre camminava per il corridoio, per poi uscire dalla porta principale senza aggiungere altro.

“Lo hai chiamato Nath?” le chiese perplesso Castiel.

“La tua ragazza?” gli disse imbeccando immediatamente il discorso senza tanti preamboli.

“Dovevo pur trovarmi dalla parte della ragione, no?” le disse punzecchiandola.

“Vai via, muoviti! E per favore sii presentabile la prossima volta che esci da quella porta.” disse dando una leggera spinta al ragazzo, che immediatamente tornò nel bagno.

Aveva dato una pessima impressione a Nathaniel probabilmente, ma la cosa non la turbava più di tanto, sapendo che le cose non erano come potevano sembrare, e l'unica cosa che non riusciva a togliersi dalla testa in quel preciso momento era il motivo per il quale Nathaniel si era presentato a casa sua; il suo fascicolo. Aveva detto qualcosa riguardante quell'argomento, ma non era riuscita ben a capire di che cosa si trattasse, essendo distratta dal contesto in cui si trovavano; ma erano buone notizie, questo lo aveva ben capito.

Diede dell'acqua a Demon che stava passeggiando per la cucina odorando tutto quello che si trovava a portata di mano, poi togliendo le due tazze da caffè dal tavolo della cucina, chiuse la mente a tutti i pensieri negativi che poteva avere e decise di continuare quella giornata all'insegna della positività.

Si andò a cambiare e quando scese trovò Castiel che la stava aspettando al piano di sotto, con Demon che gli stava appiccicato al fianco.

“Forza, accompagniamo Demon a casa, così passo anche a cambiarmi e poi possiamo fare quello che ci pare.” le disse con quel tono da bulletto che aveva usato durante il loro periodo di conoscenza, ma questa volta sorridendole.

Jay ricambiò solo con un sorriso, e lo seguì fuori dall'appartamento senza ribattere nulla.

Dopo una mezzora di camminata a piedi, arrivarono nei quartieri di periferia, dove – come ricordava dall'ultima volta che ci era stata – abitava Castiel, che le stava indicando di seguirlo per una stradina secondaria, che scoprì essere una scorciatoia per arrivare a casa del ragazzo.

Castiel cercò le chiavi nella tasca del suo jeans, ed aprendo un portoncino di ferro facendo forza per aprirlo completamente, lasciò il suo cane nel giardino, che senza neanche pensarci si fiondò nella cuccia per farsi un sonnellino. Jay rimase fuori ad aspettarlo, esattamente come la prima volta che ci era stata con lui, sperando che si sbrigasse e non le facesse attendere troppo; ma il ragazzo si affacciò al cancelletto, guardandola e facendole segno di entrare.

“Cosa stai aspettando? Un invito scritto per caso?” le intimò prima di scomparire dietro una porta di legno massiccio che era l'entrata della sua piccola casetta.

La ragazza lo seguì un po' intimidita, per poi ritrovarselo davanti mentre la aspettava per chiudere la porta dietro di lei.
“Mi sembrava strano che non usavi più quel tono da saccente nei miei confronti.” gli disse dandogli un pugno sulla spalla.

“Lo so che ti mancava per questo l'ho detto con quel tono; ora se vuoi seguirmi, la mia camera è da questa parte.”

Jay si mise a ridere.

“Vai pure, non ti seguirò di certo mio caro, ti ho già visto troppe volte mezzo nudo in queste ultime ore.”

“Come vuoi, ma non sai cosa ti perdi.” disse prima di salir delle scalinate immediatamente di fronte all'entrata.

Si guardò intorno, incuriosita dall'arredamento molto sofisticato che si intravedeva già da quel piccolo atrio, dove si ergeva un piccolo tavolinetto, con sopra un vaso pieno di fiori ormai sfioriti, che le sembrarono essere state una volta delle splendide rose.

La ragazza iniziò a gironzolare per il salone che stava immediatamente sulla sua sinistra, dando un'occhiata all'arredamento: era molto carino e curato.

Di certo non era stato lui ad arredarlo.

Al centro della stanza c'era una poltrona con una stoffa floreale, dove il colore predominante richiamava quello beige della parete; affianco un piccolo tavolino di vetro basso, completamente spoglio se non fosse stato per una ceneriera che conteneva due mozziconi di sigarette, ed una terza spenta ma ancora a metà.

Davanti alla poltrona c'era un caminetto ormai spento da tempo, che nei mesi caldi fungeva da mensola per poggiarci sopra i vari soprammobili e due fotografie.

La prima aveva un cornice elaborata che sembrava molto preziosa, con dentro una fotografia che raffigurava due ragazzi nel giorno del lor matrimonio: lei era molto bella, alta, slanciata, con i capelli neri e gli occhi verdi, ed indossava un abito aderente con le maniche in pizzo che le vestivano abbastanza larghe; mentre lo sposo, in classico abito da cerimonia nero con una rosa rossa all'occhiello, aveva i capelli castani e gli occhi di un grigio molto intenso. Ovviamente dovevano essere i genitori di Castiel, dei quali però, il ragazzo non le aveva mai parlato.

La seconda cornice invece, era molto più semplice e spartana, e raffigurato c'era un bellissimo ritratto di famiglia, con le due persone che nella foto precedente erano al loro matrimonio e in mezzo a loro un bimbo di circa sei mesi, con dei capelli nerissimi come la mamma, ma con gli occhi grigi del padre, ma con la stessa intensità di sguardo della madre.

Sfiorò leggermente il vetro che stava davanti alla foto, come se cercasse di capire con il tatto se quel bambino con un sorriso dolcissimo della fotografia potesse essere veramente lo stesso ragazzo che pochi istanti fa aveva visto salire le scale.

Da piccolo era davvero stupendo e pieno di felicità, ancora di più rispetto alla normale allegria che possiedono tutti i bambini.

Per non curiosare un altro po' in giro, senza considerarsi da sola un'impicciona, decise di raggiungere il ragazzo al piano superiore; salì velocemente la rampa di scale fino a trovarsi davanti un piccolo corridoio che continuava ancora per qualche metro in avanti, ed affacciandosi vide che conduceva ad una stanza da letto matrimoniale; era più buia del resto quella parte di corridoio, ma intravedeva lo stile con il quale era arredato la camera, che richiamava molto gli eleganti mobili nel resto della casa. Decise di andare a dare giusto una piccola sbirciata, ma Castiel la chiamò chiedendole di raggiungerlo.

Tornò nel corridoio principale dove, sulla destra, c'era l'unica altra diramazione che in tutto aveva due porte, una per lato; sentì provenire dei rumori dalla stanza sulla destra, ma vide che era l'altra la camera da letto di Castiel, che aveva rimasto la porta aperta.

Rispetto al resto della casa, era molto spoglia e piccola e confrontata con lo stile generale, era più moderna del resto; al centro c'era il letto, sfatto da chissà quanto tempo, e gli unici mobili che aveva erano un armadio ed una mensola piena di vari dischi di cantanti e gruppi rock.

Vicino al letto invece di un comodino c'era la custodia di un qualche strumento musicale, che dalla forma poteva essere un basso o una chitarra elettrica con sopra inciso un simbolo che aveva già visto da qualche parte, ma non riusciva a ricordarsi proprio dove.

Castiel uscì dal bagno e prendendola per i fianchi la spostò di lato per poter entrare in camera sua, per poi dirle che potevano andare via quando volevano, lasciandole intendere che volendo potevano anche perdere un po' di tempo là in camera sua, da soli.

Jay uscì dalla camera prendendolo per mano.

Insieme scesero le scale ed uscirono di casa, chiudendosi la porta alle proprie spalle.

“Dove vogliamo andare allora?” le chiese Castiel entusiasta di quella limpida giornata che gli era complice.

“Visto che la giornata è così bella oggi, potremmo..” ma Jay non finì di completare la frase che sentì un cellulare squillare.

Era quello di Castiel.

Il ragazzo lo prese da tasca, deciso a non rispondere ma vedendo chi lo stava cercando le fece segno di aspettare un attimo, e allontanandosi di pochi passi rispose alla chiamata; lo vide camminare freneticamente su e giù, fino a quando non annuì con la testa rispondendo al suo interlocutore che sarebbe arrivato al più presto.

“Mi dispiace, devo andare, è importante. Ma salta in sella, che ti accompagno a casa con la moto prima di andare.” le disse aprendo la sella della moto per prenderle il casco.

Jay lo guardò triste, pensando alla bella giornata che avrebbero potuto passare insieme; invece ora se ne andava piantandola per la seconda volta, ma capì che si trattava di una vera emergenza, e così gli sorrise anche se a malincuore.

“Da quanto ho capito è urgente, quindi vai. Io tornerò a casa a piedi, tranquillo.”

Castiel le sorrise, vedendo che aveva capito la gravità della situazione, e abbracciandola le promise che se fosse riuscito a liberarsi sarebbe passato la sera da casa sua.; si mise il casco, montò in sella e partì a razzo, lasciandosi dietro solo una scia di fumo.

Un'altra mezzora di passeggiata la fece tornare nel suo quartiere, dove le case erano molto più grandi e sembravano tutte uguali; nonostante fossero così belle e spaziose, sembravano tutte senza personalità.

Mentre camminava vide da lontano un ragazzo dai capelli biondi che aumentando il passo alzò la mano per salutarla.

Nathaniel.

“Che ci fai qui?”

“Io ci abito qui!” le disse sorridendole.

“Oh, allora era vero quella sera che dovevi andare anche tu in questo quartiere” gli disse guardando l'orario sul suo cellulare; erano passate da qualche minuto le due.

“Certo che si!” disse guardandola leggermente offeso dal fatto che non lo avesse creduto. “Vado di fretta ora, non posso fermarmi a parlare con te, magari potremmo finire il discorso di oggi a scuola.” esclamò incamminandosi di fretta per la sua strada.

 

Arrivata a casa Jay aspettò ansiosamente che arrivasse sera.

Ma Castiel non si fece vedere.

 

****

 

Ennesima giornata di scuola.

Le sembrava di essere chiusa in quel ''carcere'' da una vita ormai! Le giornate faticavano a passare e la stressavano sempre di più.

Era una settimana che non vedeva Castiel e Nathaniel, né a scuola né in privato, sembravano essere entrambi scomparsi, nello stesso periodo per lo più. Ma forse era solo una coincidenza e le loro assenze in comune erano solo date dal caso. Fatto sta che questa cosa la insospettiva tremendamente, ma sopratutto la indispettiva: Nathaniel doveva ancora parlare della bella notizia che le voleva dare sul suo fascicolo, e Castiel – che si era autoproclamato suo ragazzo – non si era fatto più sentire dopo quella strana chiamata.

Varcando il cancello scolastico vide Jade e Violet che stavano davanti alla loro serra, presi, come al solito, in una delle loro intense chiacchierate; quella ragazza non si apriva molto con la gente, preferiva restarsene sulle sue, ma quando c'era con lei Jade, cambiava radicalmente diventando la persona più solare e socievole del mondo, ridendo a tutte le sue battute e scherzando di gusto. Erano così carini insieme, che decise di non disturbarli e di lasciarli da soli insieme fin quando potevano. Le sarebbe piaciuto sapere se tra di loro le cose andavano bene, o meglio, si vedeva che andavano d'accordo, ma si chiedeva se tra di loro potesse essere nato del tenero; in fondo era nato qualcosa tra lei e Castiel, quindi c'era speranza per tutti.

Camminando per il cortile scolastico si vide venire incontro Nathaniel.

Finalmente si faceva vivo.

Il ragazzo continuò dritto per la sua strada, ed invece di fermarsi a salutarla o a parlarle la prese per il braccio portandosela dietro e sorridendole come non mai; non era propriamente un gesto tipico di quel ragazzo così attento e metodico, se lo sarebbe aspettato più da Castiel, ma probabilmente era solo molto di fretta e aveva reputato l'idea di parlare come una stupida perdita di tempo.

Infatti appena arrivati nella sala delegati finalmente le rivolse la parola, ma non gli diede il tempo che subito gli pose una domanda.

“Dove cavolo siete finiti tu e Castiel in questa settimana? Mi avete lasciato in mano a quell'antipatica di tua sorella.” esclamò sbuffando.

“Ma come, il tuo ragazzo non ti ha ancora dato la bella notizia?” le disse sorridendole e con l'espressione di una persona che avesse fatto una grossa vincita al lotto. “E' successo qualcosa con Ambra?” incalzò subito dopo, con aria preoccupata.

“Cosa dovrebbe dirmi il mio ragazzo, che ormai è una settimana che non lo vedo? E comunque quale delle tante altre cose vorresti sapere su tua sorella? Che mi tormenta, che mi assilla ogni giorno, che mi ruba i soldi per il pranzo..”

“Ma come non lo vedi da una settimana? L'ho incontrato fuori al cancello proprio sta mattina! Cosa ti ha fatto mia sorella?” disse tutto d'un fiato.

“Tante cose!”

“Ti ha rubato i soldi per il pranzo? Ora è arrivata proprio al limite, non posso sopportare un simile comportamento in questo liceo, non è affatto corretto e giusto nei tuoi confronti.”
Jay iniziò a guardarlo ammirata per la prima volta.

“Alla buon'ora! Ci sei arrivato anche tu finalmente!”
“Scusami, ma devo andare a dirle due parole..” le disse uscendo dalla stanza come una furia.

“Ma il fascicolo! Cosa dovevi dirmi sula fascicolo?!”

Ma ormai Nathaniel era troppo lontano per sentirla.

Con il segretario fuori dai giochi, l'interrogatorio toccava a Castiel, che da una settimana si dava per latitante; visto che Nathaniel le aveva detto di averlo visto, il posto più ovvio dove cercarlo sarebbe stato il cortile; ma era stata fino a poco prima là, e non lo aveva visto, quindi per esclusione, pensò potesse essere andato sulla terrazza della scuola. Dopo aver dato comunque un'occhiata veloce al cortile per essere sicura, salì velocemente le scale che portavano alla terrazza della scuola, dove spesso avevano pranzato insieme; aprì la porta e se lo vide proprio davanti, appoggiato al cornicione, mentre guardava la situazione generale dall'alto.

Guardarlo le riempiva il petto di varie emozioni contrastanti e così diverse tra di loro: sentiva il cuore che le batteva forte come tutte le volte che lo vedeva; la bocca dello stomaco stringersi per la stizza; l'avversione nei suoi confronti visto che non si era ancora aperto del tutto con lei, ma stranamente, quel giorno le trasmetteva un qualcosa che era misto a felicità e tristezza allo stesso tempo; quel ragazzo la mandava completamente in confusione.

Gli andò da dietro, appoggiandogli le mani sui fianchi come lui faceva sempre con lei, per poi abbracciarlo; le sembrava la cosa più giusta da fare in quel momento, di cui voleva essere consapevole e partecipe.

Castiel girò la testa verso di lei, sorridendole, per poi girarsi e metterle - come al solito – le mani sui fianchi; in quel momento si spalancò la porta dalla quale era entrata pochi istanti prima, e si fece avanti Ambra del tutto livida di rabbia e senza il suo solito seguito dietro; ma nel momento in cui vide i due ragazzi, cambiò espressione, che Jay non sapeva esattamente come definirla: era ancora livida di rabbia, ma il vederli così vicini l'aveva scioccata.

“Tu!” le urlò contro puntandole il dito dritto in faccia. “Ti diverti proprio ad andare a lamentarti con mio fratello eh? Non capisco poi perché ti dia retta quello stupido, ve la fate insieme o cosa? Vedi di filare lontano da mio fratello, e tieni le tue manacce lontane dalle cose mie!” le disse indicando Castiel.

Poi, rossa in viso, girò i tacchi e tornò a varcare la porta facendola sbattere in modo molto rumoroso.

Jay guardò perplessa il ragazzo vicino a lei.
“Rientreresti tra le sue cose?” gli chiese ridendo.

“Non direi proprio, anche ne era pienamente convinta.. cosa le hai fatto?”

“Io niente, è lei che mi tormenta ogni santo giorno della sua vita.”

Castiel la guardò sorridendo con aria malevola.

“E perché non ti vendichi di lei, invece di andare a fare la spia da suo fratello?”

“Non faccio la spia! E poi mi sembra infantile scendere ai suoi livelli.” gli rispose con superiorità.

“Scommetto che dici così colo perché non sei capace di trovare un brutto tiro da farle..” le disse con tono di sfida.

“Non sai di cosa sono capace, e comunque ti stupirò.. dammi solo il tempo di trovare qualcosa, che non sia un semplice cazzotto in faccia.”
Il ragazzo cominciò a ridere.

“Tu, dare un pugno a qualcuno? Ma per piacere!” e continuò a ridere.

Jay sapeva che la stava semplicemente prendendo in giro, ma davvero lui non sapeva com'era stata fino a poco tempo prima, quando ogni minima scusa era un buon pretesto per fare una rissa; non voleva di certo ritornare come una volta, ma Ambra le faceva tornare tutta la voglia di prendere a cazzotti qualcuno. Avrebbe voluto dire a Castiel di tutte le volte che aveva fatto a botte con ragazze e ragazzi delle sue vecchie scuole, ma non le sembrava proprio un bellissimo aneddoto da raccontare, e visto che Castiel si era rifiutato di leggere il suo fascicolo, poteva tenerlo all'oscuro di questo suo aspetto; confrontato con la lei di un tempo, Castiel non era altro che un ragazzino un po' ribelle ed antipatico.

Jay aspettò che finisse di ridere, per poi informarlo che sarebbe andata immediatamente a cercare qualche tiro mancino da farle, visto che aveva mezza giornata esonerata dal suo club, dato che la squadra era via un pomeriggio intero per un torneo.

“Vedrai sarò cattiva, ma non troppo, non cerco mica guai.” gli disse allontanandosi a piccoli passi, tenendogli la mano; Castiel la tirò a sé e la baciò all'improvviso, come tutte le precedenti volte.

“Non posso baciarti, devo tenere le mie manacce lontane dalle cose di Ambra!” disse fingendo di spaventarsi delle minacce che le aveva fatto la strega bionda.

Il ragazzo si mise a ridere, come faceva tutte le volte che Jay faceva facce buffe o stupide imitazioni e la lasciò andare, dicendole di informarlo sulla vendetta che avrebbe inferto ad Ambra.

Miseriaccia, non sapeva proprio dove andare a parare; Castiel aveva più che ragione, non era portata per escogitare vendette. Iniziò a cercare una classe vuota, dove potersi organizzare un vero e proprio campo base per studiare la sua prossima mossa; trovò tutte le aule occupate, tranne una dove però c'era una ragazza dai capelli rossi che stava studiando come al solito, che riconobbe essere Iris. Entrò, convinta che quella ragazza così intelligente e studiosa potesse darle una mano per trovare una vendetta adatta al caso; si andò a sedere vicino a lei e la salutò.
“Ciao Jay, come va?” le disse alzando appena la testa da un libro di matematica ma sorridendole cordiale.

“Non c'è male.. ma ti piace proprio la matematica eh? Anche l'altra volta ti ho vista studiare le stesse materie.” le chiese alzando leggermente un libro per poter leggere qualche titolo.
“Diciamo che me la cavo, ma devo sempre ripassare per essere sicura di saper svolgere gli esercizi in maniera corretta e senza saltare nessun passaggio.” le spiegò continuando a scrivere una sequenza di numeri e lettere.

“Capisco.. posso chiederti un favore?”

“Certamente!” le disse dandole la piena attenzione chiudendo il libro davanti a lei; in quel momento le ricordò un po' Nathaniel, che quando era immerso nello studio non dava particolare attenzione a chi gli dava a parlare.

“Conosci Ambra, giusto?”
“Ho sentito parlare male di te da quelle tre ragazze terribili, dicevano peste e corna!”

Jay fece spallucce.

“Non che la cosa mi stupisca; volevo sapere se magari tu conoscendola meglio potessi sapere un suo punto debole.”
Iris la guardò con sguardo complice, capendo al volo le sue intenzioni.

“Vendetta eh? Ambra ama molto la moda, potresti infastidirla vestendoti come lei; non è un'idea molto cattiva ma sicuramente la infastidirà, direi che si può tentare no?”

“Certo che si, sempre meglio del mio vuoto totale di idee; ma dove posso trovare dei vestiti simili ai suoi?” in fondo lei era nuova della città, e non si era mai degnata di andare a fare un giro in centro per vedere i vari negozi.

“Qui davanti c'è un negozietto di vestiti, se vuoi posso accompagnarti a cercare qualcosa di somigliante, ho un'ora buca.”

Così senza aggiungere altro le due ragazze andarono al negozio di vestiti davanti alla scuola, dove le accolse un ragazzo molto carino con i capelli scuri ed un abbigliamento un po' eccentrico, che era il proprietario del negozio. Dopo mezz'ora riuscirono a trovare tutto l'occorrente e pagando un top, una collana ed una tracolla, simili – se non uguali – a quelli di Ambra tornarono al liceo, curiose di vedere come sarebbe andata a finire la cosa.

Attraversando il cancello del liceo, Jay vide seduto alla solita panchina Castiel, che leggeva tranquillamente una rivista; non aveva la minima intenzione di farsi vedere conciata in quella maniera, che considerava altamente ridicola e anche perché non la trovava una vendetta all'altezza delle aspettative del ragazzo; così prese Iris per mano e le fece segno di passare per il retro della scuola, attraversando il club di giardinaggio.

Non fu una grande idea.
“Jay, da quanto tempo non ti fai vedere, sei venuta a controllare come stanno quelle povere piantine che hai brutalmente schiacciato?” le chiese con aria insolitamente felice.

Ma il tono di voce di Jade risuonò per tutto il cortile attirando l'attenzione dei pochi presenti tra i quali anche Castiel.

Si avvicinò ancora incerto sull'identità di quella ragazza vestita come Ambra, e quando ebbe la sicurezza che fosse proprio la sua ragazza iniziò a ridersela sotto i baffi.

“Cosa dovrebbe essere ciò? La tua famosa vendetta crudele?” le disse cercando di trattenersi dal ridere.

“Già, la ferirò nell'orgoglio!” rispose spavaldamente Jay, come se fosse convinta della sua scelta, per poi lasciarlo a sghignazzare da solo, iniziando a cercare Ambra per farle vedere il suo nuovo look. Non dovette aspettare molto, le bastò entrare nel corridoio e se la trovò davanti mentre stava uscendo dalla classe per andare nel bagno; la ragazza le passò davanti guardandola disgustata, per poi fermarsi a vedere come era conciata.

“Ma, come ti sei vestita?” le disse con aria indispettita.

Forse aveva fatto centro.

“Un cosetta così, niente di che a dire la verità.” le rispose, sorridendole compiaciuta, Jay.

“Oh, povera Jay, sei così in difficoltà con il tuo pessimo look che hai deciso di copiarmi; devo dirti che addosso a te sta molto male, ma per qualche altro spicciolo potrei anche darti lezioni di moda.” aggiunse continuando ad andare per la sua strada.

Si era trovata da sopra.

Maledetta.

Doveva assolutamente trovare qualcosa di più efficace ed al più presto; ma prima si sarebbe andata a togliere quei vestiti tremendi di dosso; ritornata al suo abbigliamento abituale, andò dall'unica persona che poteva sapere con sicurezza cosa avrebbe potuto infastidire Ambra: Nathaniel.

Sapeva dove trovarlo; sempre al suo solito posto, nella sala docenti a leggere, firmare o studiare qualcosa; ed infatti lì lo trovò.

“Hey Nathaniel, mi servirebbe il tuo aiuto.”


 


Jay Myler 
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Capitolo 11
*** La punizione ***


Il ragazzo alzò lentamente lo sguardo dai suoi soliti documenti, e la guardò con aria incuriosita, aspettando di sapere in che cosa potesse aiutare quella ragazza che lo stava guardando con due occhioni enormi come se volesse chiedergli il favore più grande di tutta la sua vita.

«Dimmi Jay, in cosa ti serve il mio aiuto?»

Jay lo guardo ancora per qualche secondo con una faccina dolce per intenerirlo, poi si mise a sedere di fronte a lui, reggendosi il viso con le mani e sbattendo vistosamente le ciglia.

«Ecco, Nath, vorrei sapere da te una cosa, che solo tu sai di sicuro e puoi dirmi.» disse enfatizzando la frase sbattendo ancora di più le ciglia.

Nathaniel iniziava a guardarla con disappunto, intuendo che le sue intenzioni non erano delle migliori, e tutto quell'essere carina e dolce poteva significare solo una cosa: voleva avere informazioni che non poteva darle.

«Forza, pochi giri di parole, cosa ti serve?»

Il trucchetto degli occhioni dolci non funzionava con quel ragazzo così ligio al dovere, quindi Jay cambiò immediatamente espressione e tattica, decidendo di essere più schietta possibile, per fargli capire che le informazioni che cercava le serviva veramente e per una 'buona' causa.

«Cosa detesta di più al mondo tua sorella?» gli domandò a brucia pelo, senza prendere fiato tra una parola e l'altra.

Nathaniel capì immediatamente dove voleva andare a parare e non era minimamente intenzionato ad immischiarsi in mezzo ai loro stupidi ed inutili battibecchi.

«Vuoi vendicarti di mia sorella? Lo sai che nonostante tutto ci tengo a lei, e a chi vieni a domandare con cosa puoi tirarle un brutto scherzo? A me? Non credo di essere la persona più giusta per darti un'idea simile..» le disse in modo fermo ed irremovibile, con la sua solita espressione delusa.

Jay conosceva fin troppo bene quella sua espressione, gliela aveva rivolta molte volte in quei pochi mesi di conoscenza, ma aveva imparato anche quali tasti toccare per rigirarselo a modo suo.
«Lo so Nathaniel, sei più un tipo che fa i discorsi ammonitori e che da un'altra possibilità alle persone. Facciamo così, parlale prima e poi, se tua sorella dovesse persistere, decidi se darmi una mano o meno..» gli disse con aria sorniona. «Ah, già! Che sciocca, le hai già parlato, per ben due volte e la piccola Ambra insiste nei suoi comportamenti scorretti verso gli altri. Non credo che le parole le facciano molto effetto sai. Una lezione non le farà che bene.» esordì piena di sé, e convinta di aver argomentato più che bene la sua teoria, ma vide, che dopo aver detto di voler dare una lezione a sua sorella, lo sguardo di Nathaniel, che per tutto il discorso era stato accondiscendente, cambiò improvvisamente per tornare quello che più teneva in sua presenza: dubbioso e infastidito.

«Niente di che alla fine, una sciocchezza, una lezioncina.» precisò subito per far tornare il consenso sul viso di quel ragazzo che doveva darle l'idea vincente per vendicarsi una volta per tutte di quella strega acida di Ambra; la piccola precisazione ebbe l'effetto desiderato, infatti il ragazzo si mostrò disponibile al darle le informazioni che chiedeva.

«Va bene, ti darò una mano; so che se vuoi sai essere molto 'fisica' nel confrontarti con le persone, quindi ti darò una mano.» disse alludendo evidentemente al suo passato pieno di scazzottate e risse.

Quell'allusione fece tornare in mente a Jay che Nathaniel doveva darle ancora quella bella notizia riguardante il suo fascicolo, ed evidentemente anche al ragazzo venne in mente la stessa cosa, visto che subito dopo aprì l'argomento.

«A proposito, il tuo ragazzo ti ha dato la bella notizia o no?»

«Veramente oggi eravamo occupati a .. discutere di altre cose» gli rispose frettolosamente e chiudendo la porta come se volesse evitare di essere interrotta ancora una volta.

«Capisco, allora sarò proprio io a darti questa bella notizia!» le disse sorridendole raggiante. «Hai notato sicuramente che in questa settimana sono stato assente, ma di certo non per problemi personali, ma per te.»

Jay teneva fissi i suoi occhi celesti in quelli del ragazzo che li aveva color ambra, per non perdersi nemmeno uno sguardo che polesse sottintendere qualcosa.

«Spero mi perdonerai per quello che ho fatto, ma ho parlato alla direttrice della tua situazione, del tuo fascicolo, del tuo passato insomma. Ma aspetta...» le disse frenandola ancora prima che potesse ribattere qualsiasi cosa.

«L'ho fatto semplicemente perché ti credo, davvero, non per modo di dire, sono realmente convinto che tutto quello che tu mi abbia detto sia la verità e di conseguenza non trovo giusto che il tuo fascicolo personale sia pieno di brutte cose che non hai fatto realmente. Così insieme alla direttrice abbiamo deciso di fare questo 'servizio di pulizia' e di far cercare di togliere tutte le false accuse che ti hanno seguito per tutti questi anni in questa enorme pila di fogli.» disse prendendo una cartellina che sembrava essere la sua ma molto meno voluminosa.

«Questa settimana sono stato nelle segreterie delle tue vecchie scuola e raccogliendo testimonianze tra i vari alunni – tra i quali c'erano anche Cindy e sopratutto Ken che molto gentilmente si è reso disponibile a darci una mano quando lo abbiamo contattato telefonicamente – siamo riusciti ad eliminare la maggior parte delle false accuse che ti erano state fatte, e ad oggi questo è il tuo nuovo fascicolo.» le sorrise porgendole quella cartellina palesemente alleggerita rispetto all'ultima volta che l'aveva vista.

Non poteva crederci che Nathaniel, nonostante si fosse rassegnato al fatto che non sarebbe di certo stata una studentessa modello che le sarebbe stato a fianco nelle sue continue lotte contro i ribelli, – come ad esempio Castiel – avesse deciso di darle una mano credendole sulla parola; nessuno si era mai fidato così ciecamente di lei e si era adoperato per darle una mano.

Non riusciva a trovare parole per ringraziarlo, lo abbracciò e basta; ma Nathaniel sentiva che c'era ancora qualcosa che voleva sapere prima di chiudere quel discorso.

«Castiel non era con me in questa ultima settima. Se si è assentato sarà sicuramente stato per altri motivi.»

Ancora abbracciata a Nathaniel le uscì solo un filo di voce.

«Motivi che non ha ritenuto necessari dirmi..»

Il ragazzo la strinse a sé per un'ultima volta, poi la lasciò e guardandola negli occhi disse una sola parola.

«Ragni.»
Jay lo guardò confusa.

«Ragni?»
«Mia sorella Ambra odia i ragni, li detesta.»

Lungo la schiena della ragazza passò un lungo brivido freddo.
«Anche io detesto i ragni.» gli disse con aria disgustata al solo pensiero di quelle orrende bestiole che otto zampe.

«Non devi mica prendere ragni veri, basteranno quelli di gomma che si usano ad Halloween o giù di lì; non sarà una idea grandiosa, ma se li nascondessi nel suo armadietto le farebbero sicuramente un certo effetto, non pensi?» esordì guardandola come se fossero due complici di una rapina che stanno organizzando un piano.
«Beh sì, si potrebbe fare.» gli disse sorridendogli appena.

«Credo che.. andrò subito a cercare un posto dove comprarli, ho due ore buche dopo pranzo, quindi...» gli disse avviandosi alla porta.

Nathaniel alzò una mano per salutarla, mentre Jay continuava ad accennargli un sorriso mentre apriva la porta dell'ufficio delegati, per poi trovarsi faccia a faccia con Castiel, che stava contemporaneamente aprendo la porta.

«Oh» esclamò la ragazza trovandoselo davanti.

Castiel, stranamente, le sorrise amorevolmente in un luogo pubblico, poi prendendola per i fianchi come faceva sempre la baciò senza preavviso e guardandola negli occhi le disse che doveva parlare da solo con Nathaniel, chiedendole però di aspettarlo fuori al cortile, dopo di che entrò nella sala delegati e chiuse la porta alle sue spalle.

Era sempre lo stesso quel ragazzo, faceva a,un po' come gli pareva, non le diceva mai tutto, la prendeva sempre alla sprovvista con i suoi baci a tradimento, e non si era mai aperto del tutto sul suo passato o su i suoi sentimenti; non sapeva esattamente cosa ci fosse tra loro, non era propriamente un'amicizia, ma non si sentiva nemmeno di chiamarla relazione solo perché Nathaniel lo definiva il suo ragazzo. Non le rimaneva che dargli ancora tempo, fin quando non si sarebbe sentito abbastanza a suo agio e pronto per dirle tutto.

Jay non riusciva a ricordare da quando aveva sviluppato tutta questa pazienza nei confronti di qualcuno; non si era mai definita una persona paziente e di certo non glielo avrebbero dato gli altri questo appellativo, ma stranamente nei confronti di Castiel ne aveva un'infinità.

Uscita fuori al cortile vide che era abbastanza movimentato: come lei, del resto, anche agli altri alunni potevano avere ore buche, per non parlare di chi saltava le lezioni. Proprio mentre faceva questo ragionamento si vide sventolare una mano a mo' di saluto dalla sua sinistra; era Jade, che con in mano un bulbo di una pianta che la stava salutando facendole segno di raggiungerlo.

Questa volta quel ragazzo così carino ed appassionato di botanica, era da solo a curare i suoi amati fiori.

«Come va Jay, mi sembri un po' turbata.»

Jade con le persone ed il loro umore ci sapeva proprio fare.

«Tutto bene non ti preoccupare, a te come va?» gli disse ricambiandogli l'interesse.

«Non mi lamento, ma le giornata passano lente quando non c'è Violet a farmi compagnia.» le disse schiettamente e sorridendole.

Ci aveva visto proprio bene, tra di loro c'era sicuramente un'intesa particolare.

«Scusa l'indiscrezione, ma quando trovai il tuo taccuino, per sbaglio ho visto la foto che ci tieni all'interno e..»

Jade finì di sotterrare il bulbo, poi togliendosi quei guanti così spessi che usava per curare il giardino, prese il taccuino dalla tasca della salopette e tirò fuori la foto di lui e Violet.

«E' una di quelle foto fatte così, per scherzare, ma in realtà mi ricorda quella fantastica giornata che passammo io e lei qualche mese fa. Uscimmo per prendere dei semi che ci servivano ed alla fine è diventato un vero e proprio appuntamento.» I suoi occhi brillavano dalla gioia e il suo sorriso sembrava essere infinito quando parlava di lei.

Poi diventò più serio.

«Ma da allora non ci siamo più visti fuori da qui; nonostante sembro così aperto sono molto timido, sopratutto con le ragazze che mi piacciono, e non riesco mai a trovare il coraggio di chiederle di uscire.»

Jay gli mise una mano sulla spalla e prese la fotografia in mano per vederla meglio; era esattamente come se la ricordava: una classica foto a cinque, di quelle che si fanno nelle macchinette che si trovano per strada, ma la cosa che le era rimasta veramente impressa erano le loro espressioni così felici. Jade vide un sorriso nascere sulle labbra della ragazza guardando le loro foto, e senza pensarci le disse:

«Ho buone speranze allora!»

Jay lo guardò stranita, ma continuandogli a sorridere.

«In base a cosa lo dici? Ancora non mi sono espressa!» gli disse punzecchiandolo un po'.

«In base a quel sorriso che hai fatto guardando le foto; è lo stesso che hai quando stai da sola con Castiel.» disse spontaneamente e con un sorriso ammaliante.

La ragazza arrossì completamente, per poi girarsi verso il sole ed esclamare convinta:

«Che caldo che fa oggi, eh?!»

Jade si mise a ridere.
«Non conosco molto bene quel ragazzo, anche se qualcosa di lui l'ho capita; se non si fosse intuito sono molto bravo a capire le persone e direi che insieme state davvero bene, ma non intendo solo come coppia. Quando state vicini e parlate, nonostante interpretiate le vostre parti da persone dure e solitarie vi vedo sorridere – sopratutto perché la maggior parte delle conversazioni ve le fate qui in cortile - e dai vostri sorrisi capisco che state proprio dove volete, e in particolar modo con chi volete; anche se, credo vi sia ancora qualche piccola incomprensione, ma penso sia colpa del suo carattere.. un giorno saprete tutto l'uno dell'altro.»

«Wow.. hai tutta questa parlantina e non trovi mai le parole giuste per invitare Violet?» gli disse cercando di allentare un po' la tensione per evitare di sentirsi in imbarazzo; non era abituata a parlare di quello che provava e della sua vita privata.

Jade le sorrise, poi Jay riprese a parlare.

«Conosci Violet, è così timida e tranquilla, ma quando sta con te si scioglie, parla in continuazione, si diverte davvero.»
«Hai ragione, oggi le chiederò di uscire.» disse all'improvviso il ragazzo davanti a lei, preso da una ventata di coraggio.

Jay si sentiva come in uno di quei programmi che si vedevano una volta, che aiutavano le persone a confessarsi e a far fare il primo passo verso la persona amata; era contenta di aver aiutato qualcuno quel giorno, si sentiva come, se facendo quella buona azione potesse giustificarsi quella cattiva nei confronti di Ambra che stava preparando.

Vide Castiel uscire dalla porta del liceo e cercarla con lo sguardo nel cortile; salutò Jade e si avviò verso il suo 'ragazzo'.

«Eccoti qua.» le disse quando lo raggiunse davanti all'ingresso. «Hai trovato la tua tremenda vendetta, che non abbia a che fare con collane ed vestiti?» sogghignò ridendosela ancora sotto i baffi.

Non le sembrava il caso di dirgli che la sua grandiosa vendetta consisteva nel metterle un paio di ragni di plastica nel suo armadietto; non era propriamente un vendetta in grande stile come l'aveva descritta.

«A dire la verità no; tu avresti qualche idea?»

«Non sono affari che mi riguardano questi e di certo non sono il centro informazioni» le disse con il suo solito fare arrogante più per stuzzicarla che per trattarla male.

«Neanche una piccola piccola?» gli chiese facendogli gli occhioni dolci, anche per vedere se stava perdendo colpi, o se funzionavano ancora.

«Che ne so io!» sbottò arrossendo leggermente e cercando di resistere al suo modo di corromperlo per farsi dare una mano.

«Falle un tag sull'armadietto!» disse di getto il ragazzo.

- Si! - esultò mentalmente la ragazza.

«E.. con cosa dovrei farlo?» chiese ingenuamente e continuando a fissarlo negli occhi.
Castiel continuava a mantenere la sua facciata da duro, ma ormai si era intromesso nell'argomento, tanto valeva finire il lavoro come si doveva e darle tutte le informazioni che le servivano.

«Ah, Signorina Ingenua, con una bomboletta naturalmente! Ti accompagnerei io stesso al negozio, ma sono impegnato, quindi..» prese un foglio di carta dalla tasca e facendosi dare dalla ragazza una penna iniziò a tracciarle una mappa per arrivare al negozio che vendeva questi articoli.
«Se hai del tempo libero vai là, sono persone che conosco, fai il mio nome e ti tratteranno bene.» disse porgendole il foglietto. «Ti ho disegnato una mappa, così dubito che ti perderai.» Poi fece una cosa che non sarebbe aspettata facesse davanti a così tanta gente, ma lo fece con così tanta naturalezza, che le sembrò una cosa normale: la baciò, per poi andarsene e lasciarla al suo posto, senza dire una parola.

Jade la raggiunse correndo e riprendendo fiato le disse: «Beh, cosa ti aveva detto, ora sono ancora più motivato a provarci con Violet.»

 

****

Una volta arrivata al negozio e comprato ciò che le serviva – comprò anche i ragni di plastica, perché voleva vendicarsi per bene – vide che era ancora presto per l'inizio delle lezioni pomeridiane, ed aveva un'altra ora e mezza libera.

Il negozio che le aveva suggerito Castiel era poco lontano dalla scuola, ma leggermente fuori mano, completamente immerso nel verde, circondato da alberi e pochi altri edifici; le ricordava un po' quel quartiere dove Demon l'aveva portata. Così le ritornò alla mente il parco in cui erano stati, sopratutto quella specie di nascondiglio oltre la siepe, dove aveva trovato quello strano plettro, che ancora si portava dietro, in una tasca del portafoglio.

Pensandoci bene, non doveva essere troppo lontano da lì quel parco, visto che pochi metri davanti a lei notò la stradina che aveva intrapreso con il cane di Castiel; iniziò a percorrere la strada che avevano fatto, cercando di non perdersi e focalizzando bene la sua attenzione su quel giorno, anche se la sua mente era distratta dall'enormità di cose che le stavano accadendo. Era felice perché grazie a Nathaniel le erano state tolte molte accuse false dalla sua fedina scolastica; era felice anche perché Castiel la trattava molto meglio rispetto all'inizio e perché la trattava come la sua ragazza anche a scuola – anche se non glielo aveva ancora detto che la considerava come tale – ma non riusciva a godersi queste belle cose, perché era troppo accigliata dal pensare all'enormità di segreti che si accumulavano ed ergevano tra lei ed il suo Castiel. Ancora non sapeva niente del suo passato, della sua famiglia, di chi fosse la famosa Lei, del motivo per il quale faceva tante assenze, di dove era stato nell'ultima settimana, di cosa aveva voluto parlare con Nathaniel quel giorno. Troppe cose le ronzavano per la testa ed ora, l'unica cosa a cui aveva dato la priorità era quella di vendicarsi di quella stupida d Ambra; alla fine lei era solo uno sfogo per tutte le cose che le stavano succedendo, ma di certo non si dispiaceva per la perfida ragazza che fungeva da capro espiatorio. Dopo dieci minuti di cammino trovò finalmente quel parco tanto agognato, e senza neanche rifletterci si avviò al posto dietro la siepe per poter rilassarsi e stare per qualche minuto lontana dalla solita vita; come la prima volta non fece alcuna fatica a passare in mezzo a quell'enorme siepe che solo all'apparenza era così fitta, e si avvicinò al solito albero per andarsi a godere due minuti di pace. Camminando per raggiungerlo, si trovò di nuovo faccia a faccia con quel tronco cavo, dove aveva trovato il plettro, e a quell'ora, con il sole alto nel cielo, riusciva a distinguere la forma di qualcosa che si trovava all'interno. Presa dalla curiosità, infilò una mano nella cavità, per trovare qualcosa di voluminoso, ma leggero, che riconobbe subito come della semplice carta impilata; tirò fuori la mano, e vide che erano svariate lettere legate tra di loro da un sottile filo di lana rosso.

Sciolse il fiocchetto che le univa e vide che nessuna aveva scritto il mittente o il destinatario, ma notò che su tutte era stata scritta la stessa data, che differiva solo per l'anno.
Portavano tutte la data di quel giorno:

20 Maggio

ma su ogni busta c'era una data diversa; la più vecchia era del 2000, e c'erano cinque buste belle piene, quattro più leggere ed altre tre che sembravano quasi essere vuote, e sull'ultima era riportata la data di quel giorno.
A chiunque appartenesse questa fitta corrispondenza, l'aveva aggiornata proprio quel giorno.

Aprì la prima lettera, che portava la data più vecchia e diede uno sguardo veloce; non c'era una vera e propria lettera all'interno, ma dei ritagli di giornale, che parlavano tutti dello stesso incidente automobilistico che aveva visto coinvolta una famiglia formata dai genitori ed il loro figlio di cinque anni, di cui erano sopravvissuti tutti tranne il padre, ed attaccato con una graffetta ad uno di questi articoli c'era un fiore ormai rinsecchito. Aveva deciso di 'violare' quella corrispondenza trovata nell'albero, ormai incuriosita da quella storia; ma non aveva più tempo per restare lì a leggere, quindi decise di portare le buste con sé e poi una volta placata la sua sete di curiosità le avrebbe riportate al loro posto come se niente fosse.

Legò nuovamente le buste con quel filo rosso, se le mise nella borsa e si avviò a scuola decisa ad attuare la sua vendetta, munita di tutto ciò che le potesse servire.

Era arrivata l'ora di ripagare Ambra con la sua stessa moneta, e tirarle una volta per tutte un brutto tiro che le desse una lezione, per farle capire che lei non era nessuno di così importante come credeva di essere; controllò che i corridoio fossero vuoti, e cacciò dalla borsa i ragnetti di plastica da mettere nell'armadietto. Ma infilare quei dannati cosi, in un armadietto chiuso si rivelò più difficile del previsto, ma dopo qualche prova, riuscì ad infilarli dalle fessure che si trovavano in alto; aveva perso molto tempo per mettere quegli stupidi ragni, ma non voleva lasciare le cose a metà, così prese la bomboletta che aveva comprato – di colore rosso, in onore di Castiel che le aveva dato l'idea - ed iniziò a taggare l'armadietto di quella perfida strega. Mentre iniziava a mettere vernice su metallo, arrivò una delle amiche di Ambra, Lì, che inconfondibile con il suo rossetto alla mano le intimò di smetterla immediatamente.

Ma il tono troppo alto della ragazza attirò la direttrice e vedendo entrambe le ragazze davanti all'armadietto parzialmente rovinato, le additò come colpevoli dando la colpa alle due anche degli altri tag presenti nella scuola e punendole per quel pomeriggio, costringendole a pulire i vari disegni sparsi per la scuola.

Maledizione, questa non ci voleva proprio.

Voleva solo che Ambra avesse una lezione, ed invece la lezione l'aveva avuta lei.

Non sarebbe mai dovuta scendere ai suoi livelli e se non fosse stata per la stupida idea di Castiel ora non sarebbe finita in quel guaio.

Ben le stava, così imparava a dar retta ad un bulletto, che per altro era anche il suo – probabile – ragazzo.


 


Jay Myler 
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Capitolo 12
*** Stupida! ***


Maledizione!

Alla fine quella che ci era andata per sotto era stata proprio lei, che era costretta – tra l'altro con una delle migliori amiche di Ambra – a passare la serata a scuola, in punizione, a pulire tutti i tag del sottoscala, per colpa della sua stupida bravata, convinta di dare una volta per tutte una lezione a quella antipatica; ora invece si ritrovava a cercare per ogni dove nel liceo, qualcosa con cui pulire quegli stramaledetti tag. Non era di certo stata lei a farli, né tanto meno Li, ma la preside aveva 'decretato' che visto la loro presenza sulla 'scena del crimine' – sarebbe a dire l'armadietto mezzo imbrattato di Ambra – erano colpevoli anche di tutti gli altri atti vandalici che erano presenti nella scuola. Erano ormai venti minuti che vagava avanti ed indietro cercando qualcuno che le potesse dirle dove trovare detergenti, spugne e magari un secchio, per togliersi davanti quella faticaccia; ma nessuno sembrava avere tempo da dedicarle e quando le serviva Nathaniel non si trovava in giro, ma era l'unico che poteva sicuramente darle una mano, quindi cambiando priorità, mise in cima alla sua lista di cose da fare di trovare quel ragazzo. In un certo senso, però, ce l'aveva anche un po' con lui: in fondo era stata la sua stupida idea di mettere dei ragni finti nell'armadietto a farle perdere tempo e quindi a farsi trovare con le mani nel sacco; ma la vera idea che l'aveva portata a farsi punire era stata quella ancora più geniale del tag, gentilmente offertale dal suo pseudo-ragazzo Castiel.

Castiel era decisamente la persona che voleva evitare di vedere in quel momento, sia perché aveva voglia di tirargli un bel cazzotto dritto sul naso, sia perché sapeva che l'avrebbe presa in giro fino alla fine dei tempi per essere stata colta in flagrante; si stupiva di come più spesso del previsto volesse evitare di incrociare quel ragazzo, non che le dispiacesse stare in sua compagnia, ma nonostante si fosse addolcito – se così si può dire – nei suoi confronti, sapeva che era il solito sbruffone e ribelle. Sapeva ogni sua reazione ancora prima di vederla, sia perché aveva imparato a conoscerlo almeno un poco, sia perché anche lei era stata la bulletta della scuola; che razza di situazione. Nathaniel era proprio introvabile, non si trovava come al suo solito in mezzo alle sue scartoffie, e non si vedeva neanche in giro per i corridoi, poteva essere a lezione, ma era davvero la sua unica salvezza, non poteva far altro che aspettarlo da qualche parte prima che l'ultima campanella suonasse, ma mancavano ancora una ventina di minuti, e visto che ormai l'ultima ora l'aveva persa per fare lo scherzetto ad Ambra, decise di godersi questi ultimi in santa pace, lontano da tutto e tutti prima di iniziare a sgobbare seriamente; non si aspettava di certo che la sua compagna di disavventure, Li, si mettesse con spugna alla mano ad aiutarla a ripulire i muri. Quale posto migliore per prendersi qualche minuto e stare tranquilli se non la terrazza scolastica, ma non quella dove andavano spesso gli studenti all'ora di pranzo per prendere un po' d'aria, ma la terrazza dove l'aveva portata Castiel il suo primo giorno di scuola. Le sembrava fossero passati davvero dei secoli da quel giorno, mentre invece si trattava a mala pena di qualche mese; in pochi mesi la sua vita si era ben inserita con questa sua nuova identità di studentessa qualunque, e anche se non aveva particolari amicizie aveva deciso che quella sarebbe stata la strada giusta per rimettersi sia con il fisico che con la mente dai brutti anni precedenti che aveva passato. Non le rimaneva nessuno su cui appoggiarsi se non sua zia - l'unica zia paterna che aveva - che l'aveva accolta dopo tanto tempo in cui aveva girato di tutore in tutore con scarsi risultati affettivi e scolastici; suo padre era lontano da lei, e non aveva modo di contattarla da dove si trovava, ma era meglio così, non era nelle condizioni di mantenerla e crescerla, doveva solo pensare a sé stesso e guarire dalle sue malattie; non ci contava più di rivederlo, ma la cosa non la tangeva di molto, in quanto non lo aveva conosciuto mai veramente, visto che era stato ricoverato quando lei era molto piccola. Non aveva sue notizie da anni, e le uniche cose che le avevano riferito era che suo padre era ricoverato in una clinica per tossico dipendenti, e che sarebbe stato molto difficile che ne uscisse visto la sua allarmante situazione; ma nessuno dei suoi tutori legali l'aveva mai portata a conoscerlo, e non le avevano mai dato l'opportunità di saperne qualcosa in più in merito; era sempre troppo piccola per capire, per sapere, per avere un padre. Sua zia le aveva detto che ogni mese andava a trovarlo in clinica e le aveva detto che se avesse voluto avrebbe portato anche lei con sé per conoscerlo dopo tutti quegli anni di lontananza. Ma non se la sentiva ancora di conoscere una persona che avrebbe dovuto avere un ruolo così importante nella sua vita, ma che, per forza di causa, non era stato presente e per lei non aveva nessuno valore affettivo. Non si sentiva davvero una bella persona quando pensava queste cose, ma non riusciva a giustificare il padre di nessun modo, non tanto perché non l'aveva cresciuta, ma per l'aver abbandonato sua madre per dedicarsi completamente a questa sua dipendenza; sapeva che ormai era entrato in un tunnel che non aveva via di uscita, ma non sapeva proprio come cercare di mitigare quel sentimento di rabbia ed odio che aveva nei suoi confronti. Non era semplicemente un caso di dipendenza da droghe, ormai quella sua malsana abitudine gli aveva bruciato la maggior parte dei neuroni, e da quello che aveva saputo dai medici della clinica, quando li chiamò la prima ed unica volta, il danno era così esteso che suo padre a mala pena aveva concezione di sé stesso e la maggior parte del tempo lo passava a delirare nella sua stanza, alternando con brevi momenti di lucidità in cui chiedeva di sua moglie e di sua figlia; ma nessuno aveva mai il coraggio di dirgli la verità, e quei pochi momenti in cui riusciva a ragionare veniva liquidato con qualche sciocca frase di circostanza che gli dava una risposta che lo poteva soddisfare momentaneamente, senza però togliergli mai del tutti i suoi dubbi e i suoi turbamenti; nessuno aveva mai il coraggio di dirgli che la sua famiglia, per come riusciva a ricordarsela, non esisteva più e che sua moglie era venuta a mancare molti anni prima. Jay cercava di pensare al suo passato il meno possibile, cercando di concentrarsi sul presente e sulla strada che voleva intraprendere, fingendo di essere una persona come tutte le altre. Fingere. Solo questo poteva fare, perché nella sua vita tutto era stata, tranne che una persona normale. Le sarebbe piaciuto discutere con le amiche di quale rossetto mettere e quali vestiti indossare, ma non erano certo suoi problemi principali, tanto meno suoi interessi; da piccola era sempre stata considerata come un maschiaccio e le cose decisamente femminili non l'attiravano per niente: il rosa, i fronzoli e i vari ninnoli che interessavano a tutte le altre non erano di certo nei suoi pensieri; anche il trucco che per le donne è così essenziale per lei era una cosa del tutto superficiale, usando giusto un filo di correttore e l'immancabile mascara. Ma i vari interessi femminili, come i ragazzi, le uscite o il vestirsi alla moda non erano i suoi hobby preferiti. Era andata sulla terrazza con l'intento di liberarsi la mente per qualche minuto ed aveva finito per sfociare nei pensieri che più al mondo avrebbe voluto evitare che le affollassero la testa; così si mise appoggiata con le braccia sulla ringhiera, volgendo lo sguardo a quella vista mozzafiato, che mostrava tutta la città ed anche uno scorcio di campagna. Lo stare lassù, le dava, per qualche strano motivo, una sensazione di tranquillità e di controllo, che le faceva riacquistare un po' di ottimismo per il suo fine giornata.

Sentì il cigolare della porta alla sue spalle, portandola a girarsi per vedere che cosa avesse portato la porta a fare un simile rumore; dalla porta di servizio che portava all'interno dell'edificio scolastico, uscì Castiel, che senza notarla, stava uscendo sulla terrazza aprendo la porta con una spalla, mentre cercava di accendere una sigaretta che teneva tra le labbra; alzando leggermente la testa e tirando un respiro profondo per riempirsi i polmoni di aria fresca – e di fumo - si accorse che c'era Jay davanti a lui. Senza pensarci due volte, prese la sigaretta, la spense e prendendo un pacchetto dalla tasca dietro del pantalone la rimise a posto.
«Ho saputo che ti hanno beccata, pivellina.» le disse schernendola.

Jay sbuffò soltanto, guardandolo ancora male per averlo visto accendersi una sigaretta; non che fosse una cosa proibita o impossibile, ma non le andava che le persone che le stavano intorno fossero succubi dei loro vizi. Anche se era la prima volta che vedeva Castiel con una sigaretta in mano dopo tutto quel tempo, niente negava che in sua assenza fumasse ogni due minuti... e pensare che tutte le volte in cui erano stati a stretto contato non aveva mai percepito niente. O doveva essere un vizio nuovo, oppure era una cosa molto sporadica, ma comunque non le andava che il suo 'ragazzo' fumasse davanti a lei, e per tutta risposta alla sua provocazione gli storse il naso.

Castiel sgranò leggermente gli occhi e fece il solito sorriso che gli segnava il viso tutte le volte che Jay faceva qualcosa di buffo o di impacciato; la prese vicino a sé e senza motivo la strinse al petto, dandole una strana sensazione di calore nello stomaco e di appagatezza dei sensi. Non sapeva neanche lei come descrivere quella sensazione, era come quando in una fredda giornata niente riesce a scaldarti, ma solo stendendo le mani leggermente verso il fuoco del camino accesso inizi a prendere calore, un calore completo, che ti prende iniziando dalla punta delle dita fino a percorrerti tutto il corpo, senza lasciare nessuna zona tiepida, ma tenendoti costantemente al caldo. Era una sensazione simile a quando dopo tanto tempo passato via si ritorna alla propria casa, un senso di appartenenza e di proprietà, che ti fa sentire realizzato ed allo stesso tempo al sicuro, una sensazione che, effettivamente, non aveva mai provato nei confronti di una qualsiasi altra persona che non fosse stata a suo tempo, sua madre. L'unica cosa che desiderava in quel momento la ragazza, era che quegli istanti non passassero mai, che l'orologio si bloccasse di colpo, che le lancette decidessero di regalarle un momento di eternità, e che le concedessero di stare così, beata, tra le braccia di quel ragazzo. Era tutto come in un sogno, etereo ed intangibile; le cose che sentiva non si potevano quantificare in nessuno modo e non c'era nemmeno un qualsiasi metodo per catturale e conservarle, se non infondo alla sua anima; non aveva sentito emozioni tanto forti come in quel momento, lo sentiva stranamente molto più vicino del solito, e la stava abbracciando come se volesse tenerla lontana da tutto e tutti per averla solo sua e non farla soffrire più.

Tutto questo per essere stata beccata a fare un atto di vandalismo? C'era sicuramente qualcos'altro sotto, ma non riusciva a pensare a cosa potesse essere, presa dall'estasi di quel momento. Sentiva che c'era più intesa tra di loro in quel momento che neanche in tutti i baci che le aveva rubato Castiel. Le venne spontaneo chiedergli, l'istante immediatamente dopo che il ragazzo allentò la presa, che cose fosse successo; ma non ebbe la risposta che cercava, in quanto Castiel si mise a ridere e a prenderla in giro su come era stata beccata dalla preside. Ma a Jay non sfuggì che sotto quel suo falso sorriso si celasse qualcosa di più importante, qualcosa che lo turbava.

«Dove sei stato in questa settimana?»

Castiel cambiò espressione e passò immediatamente sulla difensiva, mettendosi con la spalle al muro.

«In giro.»
«A fare?» lo aggredì senza dargli neanche il tempo di pensare a cosa risponderle.

«A fare cose. Avevo da fare, semplice.»

Jay era ancora più esasperata di quando era salita.

«Io ero solo venuto qui a prendere una boccata d'aria, e visto che ti trovavi qui ti stavo solo prendendo un po' in giro, non sapevo mica di dover essere sottoposto ad un terzo grado di domande su quello che faccio o che non faccio.» le rispose in maniera stranamente pacata, senza alzare la voce né alterarsi.

La persona che invece stava iniziando a perdere la calma era proprio la ragazza, che per un insieme di cose stava riversando addosso a Castiel tutte le sue frustrazioni.

«Sei sempre in giro a fare.. cose! Cose che ogni volta non posso sapere, a cui non posso partecipare, cosa che ti portano a piantarmi in asso senza tanti problemi, vorrei sapere cosa ti passa per la testa!» sbottò tutto d'un fiato, respirando solo a frase finita.

Castiel, noto per la sua proverbiale irascibilità e acidità, invece le rispose in modo coinciso e garbato, senza sbilanciarsi più di tanto.
«Sono cose importanti, Jay, non ti lascerei mai altrimenti..» poi fece uno scatto in avanti, la prese per le spalle, i ruoli si invertirono e quella con le spalle al muro ora era Jay.

«Vuoi capire che per me sei importante, dannazione? Sei praticamente l'unica di cui mi interessi qualcosa.» le disse con un tono che non coincideva affatto con il significato di quelle parole, infatti quasi gliele sussurrò all'orecchio, sbattendo una mano sul muro e solo quello bastò a dare carattere alla frase.

«La mia vita è un pozzo buio nel quale preferirei non trascinarti, non sopporterei vederti cadere in questo maledetto baratro. Non voglio farti soffrire ancora..»

Ancora...?

Castiel si avvicinava sempre di più a lei; ad ogni parola che pronunciava la distanza tra di loro diminuiva.

«Cosa ne sai tu della mia vita? Non sai niente di me, Castiel! Sei solo uno stupido egoista che non si apre con la persona che lo ama, sei... un bambino!» disse scappando dalla sua presa per poi rientrare nel liceo, intenzionata a trovare Nathaniel che gli avrebbe detto dove trovare il materiale che le serviva per pulire; prima finiva quella giornata, meglio era. Con quale potere Castiel aveva deciso di che cosa metterle al corrente e di cosa no? Non poteva di certo decidere lui cosa era meglio per lei, infondo quando aveva deciso di frequentarlo sapeva cosa andava incontro e sapeva che non sarebbe stata esattamente una passeggiata, ma con lui voleva condividere tutto, non solo i bei momenti passati insieme, voleva stargli vicino anche quando le cose non andavano per il verso giusto, quando gli mancava il fiato per la rabbia o quando le lacrime gli scendevano senza ragione, lei desiderava stargli accanto tutto il tempo, in tutte le occasioni. E poi cosa ne poteva sapere lui di cosa aveva è passato nella sua vita, dicendole di non voler farla soffrire ancora.. lui non aveva letto il suo fascicolo. O almeno questo è quello che le aveva riferito, poteva anche essere che invece lo aveva letto tutto e sapeva ogni particolare del suo passato scolastico; ma anche se lo aveva fatto, non c'erano di certo le informazioni che potevano fargli affermare che in passato avesse sofferto. Riteneva Castiel molto più comprensibile quando era sarcastico ed antipatico, che quando faceva la parte del cavaliere che si preoccupava dei suoi sentimenti.

Scese le scale più in fretta che poteva, cercando di allontanarsi dal ragazzo il prima possibile e sperando, in cuor suo, che non avesse deciso di seguirla; ma perché sentiva nel petto batterle così forte il cuore? Sentiva che ogni battito le diceva di correre il più velocemente possibile e di allontanarsi senza girarsi indietro; sentiva nello stomaco una strana sensazione se pensava che in quella giornata potesse incontrare di nuovo il suo sguardo, ma perché?

«...Sei solo uno stupido egoista che non si apre con la persona che lo ama...»

La scena di pochi attimi prima le riaffiorò davanti agli occhi, vivido come se lo stesse vivendo proprio in quel momento.

Porca miseria.

Gli aveva detto che..

No, non era possibile.

Aveva sicuramente usato altre parole, un altra intonazione, un altro verbo o comunque qualsiasi altra cosa che non volesse intendere quello.

Pensava che se avesse rallentato avrebbe dato l'opportunità a Castiel di raggiungerla e rincontrarla per, magari, chiarire o terminare il discorso di prima, e questa era davvero un problema; non se la sentiva di affrontare quell'argomento così spinoso, e nella testa le iniziò a frullare l'idea che dicendogli quelle parole avesse potuto allontanarlo da lei in qualche modo.

Stupida! Stupida! Stupida!

Come le erano uscite quelle parole di bocca?

Finite le scale e arrivando all'inizio del corridoio vide da lontano Nathaniel con la sua cartellina in mano, che si stava dirigendo verso la sala delegati; lo chiamò da lontano, urlano più del dovuto, cercando di coprire un'altra voce più alta della sua, della quale non si distinguevano le parole.. ma quella voce la sentiva solo lei nella sua testa, e cercava di ignorarla e sovrastarla in qualunque modo.

«Jay, ho saputo che ti hanno scoperta..»
«Già.» rispese asetticamente Jay.

«Tutto bene? In fondo è solo per questa sera, giusto?» le chiese vedendola chiaramente scossa, pensando che potesse essere rimasta male per la punizione.

«Cosa? Ah, si, giusto.. ma ero venuta a chiederti una cosa. Mica sai dove posso trovare i prodotti che mi servono?»

«Certo, se passi più tardi da me te li faccio trovare qui nella saletta..»

«No. Voglio dire.. sarebbe troppo disturbo ed io no ho niente da fare, posso andarci da sola..»

La spaventava enormemente l'idea di rimanere da sola a zonzo per il liceo fin quando Castiel era ancora lì nei paragi.

«Beh, puoi sempre aspettarmi qua, te li vado a prendere subito.» disse con aria preoccupata vedendo la reazione della ragazza.
«Oh, si, grazie mille... qui non.. insomma.. non entrano tutti gli alunni, vero?»
«Solo i delegati, ma posso fare un'eccezione per te, tranquilla. Sei sicura che vada tutto bene?» le chiese mettendole una mano sulla spalla.

«Non proprio, ma se qualcuno mi cerca.. tu non mi hai visto.»
«E se..»
«Nathaniel, chiunque te lo chieda, tu non sai niente.» disse rimarcando la parola chiunque per fargli capire che non doveva fare eccezione per nessuno.

Si mise a sedere su una poltroncina che stava proprio dietro la porta, in modo da non farsi vedere da nessuno che passeggiasse fuori al corridoio.

«Hey Jay!»

«Per l'amor del cielo, non urlare!» disse prendendo la ragazza per le spalle e facendola sedere vicino a lei. Melody la guardò preoccupata, chiedendole immediatamente se qualcosa non andava.

«Non è niente tranquilla, ma se qualcuno chiede, io qui non ci sono.»

Melody era ancora stranita per il suo strano comportamento ma accettandolo di buon grado senza chiedere ulteriori informazione tornò a sorriderle come tutti i giorni.

«Ti capisco, ci sono delle giornate in cui anche io preferisco non essere trovata da nessuno; hai visto Nathaniel?»

«Uh? Si, dovrebbe tornare a momenti è andato a prendermi i prodotti per pulire...»
«Ma allora sei tu una delle due ragazze che hanno beccato la punizione oggi!»

«Ha fatto il giro dell'istituto questa notizia..»

La ragazza le sorrise amichevolmente e le disse di non preoccuparsi e si fece raccontare tutta la storia, che Jay dovette ripetere a malavoglia.

Appena finito di raccontarle la vicenda, suonò la campanella e Nathaniel entrò nella sala delegati con in mano un secchio, una spugna e vari prodotti per pulire; Jay non gli diede neanche il tempo di dire qualcosa che gli strappò dalle mani le cose che le aveva portato ed esclamò con tutta la rabbia e la collera dovuta al ripensare a quel fattaccio:
«Grazie... Grazie ai tuoi stupidi ragni e alla tua stupida idea! E' colpa tua se ho tardato e mi hanno beccata!» e senza aggiungere altro se ne andò via a passo svelto.

Nathaniel e Melody si guardarono, e con lo stesso sguardo si dissero che era stata una brutta giornata per lei e che era arrabbiata per la situazione. Ma in effetti, Jay era davvero arrabbiata con Nathaniel per quella stupida idea, come lo era con Castiel per la sua idea ancora più stupida, ma in prima posizione, per la stupidità maggiore, era arrabbiata con sé stessa che aveva deciso di fare questa bambinata. Andò nel posto che meno desiderava visitare, l'atrio, dove tutti gli studenti stavano passando per tornarsene alle loro accoglienti casette, mentre lei era costretta ad aspettare Li, che per giunta non le avrebbe neanche dato una mano a pulire.

Vide passarle davanti Iris, Charlotte, Violet, Melody e altri studenti; poi le passò davanti Ambra che si limitò a fulminarla con lo sguardo, passandole avanti con aria sprezzante. Poi la persona che meno desiderava vedere le si palesò davanti: Castiel stava andando a passo sostenuto verso di lei, dopo aver preso le sue cose dall'armadietto. Non aveva via di fuga; poteva scappare in modo teatrale, ma sarebbe stato troppo evidente che cercava di evitarlo. In un attimo e vide che dietro di lui c'era Li, che come al solito, con specchietto alla mano, si stava mettendo il rossetto; approfittando di quel colpo di fortuna, si mise a camminare andando incontro al ragazzo, ma prima che potesse aprire bocca lo congedò frettolosamente.

«Oh Castiel, che bella sorpresa... rimarrei a parlare, ma devo andare.. ci vediamo domani. Addio.»
e scappò via, cercando di uscire dal campo visivo del ragazzo.

Lei non lo vide, ma Castiel fece quel solito sorriso che aveva in sua presenza, quando si comportava in modo goffo e buffo, ma senza insistere se ne andò via.

Li, non l'accolse in modo molto caloroso, ma le intimò di sbrigarsi a finire perché non voleva fare tardi e disse esplicitamente che non avrebbe mosso un dito per aiutarla.


 


Jay Myler 
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Capitolo 13
*** Dangerous pain ***


«Guarda papà, com'è bello quel cagnolino!» disse il bambino vicino al suo papà, tirandolo per la mano che gli stringeva ancora più forte per l'emozione.
«Quale?» gli chiese il padre rallentando leggermente il passo.
«Quello che sta sdraiato! Mi piace tantissimo!»
Non aveva mai visto un cane di quella razza, e si era perdutamente innamorato di quel musetto dolce che lo scrutava da dietro il vetro.
Il padre si fermò di botto e prendendolo in braccio lo avvicinò al vetro nel negozio di animali, dove stava quel cagnetto così simpatico e buffo, che appena vide avvicinare il piccolo iniziò a saltare festoso.

 

Era passata circa un'ora e mezza da quando aveva incominciato a pulire e la maggior parte del lavoro era fatto, manca solo qualche altro colpo di spugna, ma ormai la stanchezza si faceva sentire e così Jay decise di prendersi qualche minuto di pausa; se Li l'avesse vista l'avrebbe subito rimproverata, ricordandole che non voleva tardare troppo, ma ovviamente senza scomodarsi a muovere un dito per aiutarla a velocizzare un po' la cosa. Era vero che la ragazza non centrava e che era stata lei ad imbrattare l'armadietto di Ambra, ma era sicura che a quella ragazza così superficiale non avrebbe di certo fatto male una sana punizione, non era di certo una santa! Ma non importava più, il lavoro era quasi finito e visto che doveva vedersela da sola, poteva decidere quando e se prendersi una pausa. Si mise a sedere sulla scalinata del sottoscala, un posticino abbastanza appartato e non molto frequentato neanche di giorno dagli studenti; aprì la sua borsa a tracolla che aveva lasciato lì, sul terzo scalino, cercando la bottiglietta d'acqua per rinfrescarsi la gola che sentiva completamente asciutta.

Dalla borsa cadde qualcosa di voluminoso, sparpagliandosi sui gradini inferiori: erano le lettere che aveva trovato nel parco quel pomeriggio; se ne era completamente scordata. Riguardandole così, tutte insieme e raccogliendole, sentì lo stomaco chiudersi e pensò che portare via quelle lettere dal quel tronco cavo non fosse stata la migliore scelta. Sentiva come se stesse violando la corrispondenza altrui, come se stesse infilando il naso in argomenti che non le competevano; ma da altro canto non vedeva come una cosa estremamente riservata potesse essere messa così alla mercé di chiunque. Il suo non era un atto di cattiveria, voleva solo sapere di che cosa si trattava, che cosa contenevano quelle buste così insignificanti e banali, senza alcun segno particolare, ma che per qualche motivo se ne sentiva attratta; la loro storia le chiedeva di essere letta, di essere conosciuta e dopo aver aperto la prima la sua curiosità si era insinuata ancora di più nella sua mente.

Varie domande le frullavano in testa.

Chi le aveva scritte?
A chi erano indirizzate?
Perché non sono state spedite?

Perché si trovavano in quel tronco?

E molte altre domande ancora le giravano nella testa, alle quali però non aveva un risposta, ma che sperava di trovare leggendo il contenuto di quelle cinque buste.

Aprì sempre quella più vecchia, ingiallita ormai dal tempo e leggermente sporca di terriccio; diede una lettura accurata a quegli articoli ai quali nel pomeriggio aveva dato solo un'occhiata. Tutti i vari ritagli parlavano del medesimo incidente, le parole potevano essere diverse, lo stile di scrittura poteva differire, ma per il resto i dati di uno erano riportati su tutti gli altri nello stesso modo. Sarebbe potuto passare per uno dei tanti articoli del genere che si trovano quasi ogni giorno – purtroppo – sui giornali, ma per qualche motivo questo doveva interessare molto al mittente di tali lettere. Ripose tutto al solito posto ed iniziò a dare un'occhiata al contenuto anche delle altre buste; la seconda per data – risaliva al 2001 - conteneva un foglio a righi sul quale erano riportate brevi frasi, che sembravano sconnesse tra di loro, che anche se lette di seguito non avevano un senso logico. Non si parlava di persone, oggetti, luoghi o cose ben definite, erano semplicemente frasi – come quelle che si scrivono alle elementari – annotate su quel foglio.

Frasi del tutto banali e prive di un significato nascosto, pensò la ragazza.

Ma tra tutte quelle una era segnata in rosso:

Mamma mi ha regalato una chitarra.

E il foglio, riempito solo per metà di frasette simili, terminava così.

Prese la terza busta, con data 2011, e come le precedenti era abbastanza leggera, ma tra questa e la precedente c'erano un bel po' di anni di differenza; dato il peso non si aspettava di trovare molti fogli, ma con sua sorpresa vide che dentro c'erano quattro fogli, ma non fogli normali, erano spartiti musicali, scritti a mano con una sequenza di note e pause. Jay dedusse fosse una canzone, ma non essendo molto ferrata per le note scritte in pentagrammi, non si sforzò neanche di cercare di capire la melodia che poteva creare se fosse stata suonata; ma non c'era nessuna parola segnata, neanche un titolo. I segni delle note erano fatti approssimativamente, a matita ed il tempo aveva iniziato a farle sbiadire un po'; sui lati delle pagine c'erano degli appunti, che avrebbero potuto essere accordi o semplici segni e nomi di note, questo non lo sapeva e se c'era un codice nascosto tra quelle pagine non ne aveva né la voglia né la forza di scoprirlo, quindi, rimettendo il foglio con cura nella sua busta, prese la quarta busta.

Voleva continuare a leggere quella corrispondenza, ma più andava avanti più sentiva sentimenti contrastanti nascerle nel cervello: continuava a ripetersi che non era una cosa bella leggere lettere altrui, ma allo stesso tempo la curiosità la stava divorando. Come erano collegate tra di loro quegli articoli di giornali, le frasette da scuola elementare e quello spartito di una ipotetica canzone inedita?

Non poteva rimanere con questa domanda che le martellava nel cervello e forse la risposta l'avrebbe trovata nelle due buste rimanenti; poteva continuare a violare quella corrispondenza senza che il senso di colpa le lacerasse lo stomaco? Ormai il danno era fatto e non c'era motivo di restare con il fiato sospeso e con la curiosità che le stringeva lo stomaco.

La quarta busta riportava la solita data, 20 Maggio dell'anno 2012; la corrispondenza aveva avuto un blocco momentaneo di ben 10 anni, ma sembrava continuare senza più interruzioni; il contenuto di questa era un semplice foglio bianco, riempito su ambo i lati da una calligrafia semplice e lineare, ed il titolo spiccava all'inizio della prima pagina:

Dangerous pain (Dolore pericoloso)

Soffermarsi un attimo e pensare è l'errore più grande di tutta una vita,

trovarsi ad illudersi che un domani ci possa essere un'altra strada, un'uscita;

Ma in un mondo di illusioni, non ci sono certezze,

solo strana figure che hanno incerte fattezze.

Non credo ci sia una via di uscita e questa pioggia, questa pioggia rossa come rubini, me lo conferma; questo dolore è così imponente, così presente e l'unica cosa che posso fare per sfuggirgli è scappare senza voltarmi a guardare.

Da un dolore pericoloso,

nasce un desiderio che ti brucia il cuore.

Per questo dolore pericoloso,

ti condanni l'anima.

Pensavo di essere forte, di essere diverso ma,

non tutto così come sembra; questo cuore

è come una finestra umida:

fa scivolare via tutto ciò che ci si posa sopra, ma anche se dopo sembra mostrarti ancora le cose limpidamente,

ma se ti avvicini scopri che è rimasto opaco e trovi ancora i segni di vecchi rimpianti.

Da un dolore pericoloso,

nasce un desiderio che ti brucia il cuore.

Per questo dolore pericoloso,

ti condanni l'anima.

Il tempo è passato, la clessidra ha dichiarato;

l'ultimo granello ha toccato il fondo.

Il baratro è vicino, ma non ho paura e trattenendo il respiro mi butto nell'ignoto,

tornando nel passato.

Da un dolore pericoloso,

nasce un desiderio che mi brucia il cuore.

Le fiamme mi attendono

Per questo dolore pericoloso,

mi condanno l'anima.

Mi condanno l'anima.

Il limbo è vicino

Il cuore le batteva forte nel petto, sentiva ognuna di quelle parole rimbombarle nell'anima senza darle tregua, continuando a ripetersi, scandendosi sillaba per sillaba, lettera per lettera, fino a quando ogni parola rimase impressa nel suo cuore; non riusciva ben a definire cosa le facessero provare, ma sentiva che da quelle parole usciva un dolore che non aveva mai sentito e l'angoscia le saliva direttamente dalle dita che si trovavano a contatto con quella carta maledetta. Le sembrava di trovarsi in un incubo dal quale non riusciva ad uscire e proprio come le parole del testo si sentiva come davanti ad un baratro, pronta a saltare senza paura e senza ripensamenti; non sapeva chi lo avesse scritto, ma chiunque fosse stato aveva l'anima completamente piena di dolore e lacrime che non riusciva ad esternare. Ma quei angosciosi pensieri che quel testo riusciva a trasmetterle, le davano allo stesso tempo un senso di affetto e di amore infinito che non sapeva affatto spiegare.

Quel testo esprimeva lo stare immobili, in una condizione di perenne tragedia e di dolore dal quale non si sapeva uscire, eppure, tra le righe, leggeva un attaccamento a quel dolore che qualunque persona che non abbia mai avuto dei veri dolori non sarebbe riuscito a capire; era quella sensazione di appartenenza che si ha dopo un lutto o ad un forte dispiacere, che anche se ti fa soffrire pensarci e conviverci, ti riporta alla mente dei ricordi a te cari ai quali non sai rinunciare e per i quali ti getteresti a capofitto in una spirale senza fine di dolore perpetuo.

Non era di certo la carica emotiva che le sarebbe potuta servire quella sera o nella sua nuova vita, ma capiva chiaramente il messaggio nascosto che riportava tra le apparenti vuote ed insensibili parole del testo; quella grafia così semplice e lineare, senza neanche una sbavatura, come se le parole fossero uscite senza alcun bisogno di essere aggiustate, scritte di getto senza pensarci su; quella grafia così familiare ma così criptica che le ricordava qualcosa, ma non sapeva spiegarsi cosa. Mentre cercava di capire che cosa le portasse alla mente quella calligrafia, notò che la busta era ancora pesante, nonostante l'avesse svuotata. La rovesciò sul palmo della sua mano e ne uscì uno strana pezzo di plastica rosso con sopra un simbolo che le parve molto familiare. Prese il portafogli dalla borsa e cercando freneticamente tra le varie tasche trovò il plettro che giorni prima aveva trovato sempre nei pressi di quell'albero tronco e vide che erano identici. Non era una grande scoperta, ma poteva asserire che chiunque avesse perso quel plettro era il proprietario e quindi autore di quelle lettere. Ma la storia si faceva ancora più criptica e complicata invece di dipanarsi questa matassa continuava ad attorcigliarsi su sé stessa.

Non le rimaneva che l'ultima lettera, forse in quella era racchiusa la chiave per capire tutto il resto, e per una 'coincidenza' portava la data di quel giorno, di quel mese e di quell'anno. Era stata scritta ed 'imbucata' nell'albero cavo, quello stesso giorno. Non voleva perdere altro tempo, prima leggeva prima si sarebbe tolta questa curiosità ad avrebbe potuto rimettere quelle lettere al loro posto, come se nulla avesse sconvolto il loro solito andazzo.

«Hey, tu, che facciamo, battiamo la fiacca?» le disse Li, squadrandola dall'alto al basso con aria scocciata. «Cosa stai leggendo? La tua insulsa corrispondenza te la leggi a casa tua, non quando hai del lavoro da sbrigare, forza, muoviti! Non ho tempo da perdere! Non mi muovo di qui finché non hai finito!»disse puntandole il rossetto addosso.

La ragazza non staccò gli occhi da Jay finché mezz'ora dopo l'ultimo centimetro di colore non fu rimosso completamente.

Jay non poteva detestarla di più, le aveva impedito di leggere l'ultima parte di quelle strane lettere e la curiosità la stava per far impazzire; doveva tornarsene immediatamente a casa per poter leggere in tutta tranquillità quella lettera; andò a svuotare il secchio pieno di acqua sporca nel bagno delle ragazze, e guardandosi allo specchio vide come quelle due ore di lavoro avevano pesato sul suo aspetto: i capelli erano completamente schizzati, le occhiaie erano più che mai presenti ed aveva l'aria di chi non dorme da settimane. I lavori manuali non erano sicuramente quelli che preferiva, ma ormai il peggio era passato; non c'era nessun rumore di passi, niente di niente che potesse disturbarla, quindi non c'era momento migliore per leggere l'ultima fatidica lettera. Ma tutta la corrispondenza si trovava nella sua tracolla, che aveva lasciato sulle scale.

Maledizione.

Non le andava una bene!

Portò il secchio e tutto il resto di quello che le aveva procurato Nathaniel nella sala delegati ormai spenta; sembrava così vuota senza Nath che si dava da fare sempre in mezzo a mille scartoffie da compilare.

Andò nel sottoscala a recuperare la borsa ed avvertire Li che ormai avevano finito e potevano andarsene, ma la ragazza non si trovava in giro; le sembrava sentire della musica nell'aria, una musica così bassa e fievole che sembrava venire da un altro mondo e che poteva essere la sua immaginazione unita alla stanchezza a giocarle un brutto scherzo. Recuperò la tracolla e si mise a chiamare la sua compagna di disavventure ad alta voce.

«Hey, ma cosa gridi?»le disse altezzosamente una voce alle sue spalle.

Li, era dietro di lei, nella penombra della stanza e non l'aveva vista.

«Oh, sei qui. Io ho finito possiamo andare.»

Le uscì solo un filo di voce dall'esasperazione, e rimarcò pesantemente il fatto che lei da sola aveva finito tutto il lavoro; ma Li non si degnò più di tanto a risponderle, ma come al suo solito prese lo specchietto, suo immancabile accessorio, e si mise ad aggiustarsi quel rossetto così vistoso.

Jay sbuffò e le chiese come mai non si fosse aggiustata il trucco in tutto quel tempo che aveva avuto libero nel guardarla lavorare senza fare un bel niente.

Ma le sue lamentele furono interrotte da un rumore cupo e tetro, che sembrava provenire dal fondo dell'istituto scolastico. Sembrava il rantolare di un animale feroce unito al rumore di catene sbattute sul pavimento; le due ragazze indietreggiarono lentamente verso il corridoio principale quando all'improvviso saltò la luce. Entrambe gridarono allo stesso momento.

Jay cercava di non perdere la calma, mentre Li continuava a gridare come un ossesso.

«Smettila! E' solo andata via la luce!»le sbraitò con un tono decisamente non rassicurante.

Cercava di calmare quella ragazza accanto a lei, ma sopratutto di calmarsi da sola, ma la situazione era così surreale che le ricordava uno di quei film horror che tanto adorava vedere; ma tra i film e la realtà ci passava il mare, e quella sensazione di ansia che tanto amava trovare nei film, nella realtà la detestava e le chiudeva lo stomaco.

Dopo l'ennesima strattonata a Li, sembrava aver ristabilito una sorta di calma tornando a farla ragionare.

«Oddio, cos'è?!» gridò Li all'improvviso in modo stranamente civettuolo, scappando a gambe levate un secondo dopo e lasciando da sola Jay nell'oscurità della stanza.

Una scura figura si stava avvicinando alla ragazza, senza darle il tempo di connettere sul da farsi, senza darle il tempo di ragionare su come comportarsi.
Quella zona del liceo così isolata a poco frequentata anche di giorno...
La musica che le sembrava provenire dall'oltre tomba...
Il rumore di catene e il rantolio che avevano sentito poco prima...
La luce che era saltata all'improvviso...
Ed ora questa strana figura...
Quel liceo era infestato da in fantasma.


 


Jay Myler 
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Capitolo 14
*** Il fantasma ***


Il piccolo guardava con aria trasognata il suo papà, metre seguiva con lo sguardo tutti i suoi movimenti della mano che gli indicavano quella notte stellata.

«Come fai a conoscere tutte queste cose?» gli chiese con pieno stupore ed incredulità con la voce tremolante, ancora emozionato per la carrellata di nuove informazioni; il padre gli mise una mano in testa scompigliandogli leggermente i capelli. Una bella donna con i capelli neri, lunghi e lisci come la seta, li guardava con aria amorevole con i suoi occhi verde smeraldo.

«E' il lavoro di papà conoscere tutte queste cose.» disse prendendo tra le sue braccia il bimbo, che in mezzo ai suoi genitori si sentiva al settimo cielo, sentendosi amato e protetto.

 

 

Jay arrivò al liceo dopo una notte insonne passata sotto le coperte a ripensare a quella fatidica notte del giorno prima: aveva visto proprio un fantasma, uno di quelli veri, non uno da quattro soldi che si vedono in quei filmetti scadenti che danno in televisione; e non era l'unica che lo aveva visto, aveva anche la testimonianza di Li, che l'aveva abbandonata a quell'oscura figura senza preoccuparsene tanto.

Ma alla fine anche lei era scappata a gambe levate senza voltarsi indietro, facendo una corsa dritta a casa, senza neanche fermarsi a prendere fiato. Aveva passato una nottata pessima a girarsi e rigirarsi tra le coperte, senza riuscire a prendere sonno ancora scioccata per lo spavento che si era presa; e non era tutto. Visto che non riusciva ad addormentarsi aveva pensato di leggersi finalemnte quelle dannata lettera che aveva lasciato in sospeso, ma quando era andata per prenderla dalla sua tracolla si era accorta che mancava all'appello. C'erano tutte, ma solo quella mancava.

Le sembrava strano che Li avesse potuto prenderla, non tanto perché non era un gesto tipico suo, ma perché sarebbe stato stupido prendere solo una lettera e non tutte quante inseme; ma in fondo poteva anche essere stata una sua bravata, visto che con Ambra gliene avea fatte passare di cotte e di crude; ma un'ipotesi certamente da non scartare era quella che poteva averla persa nel sottoscala e se così era doveva recuperarla al più presto. Solo per questo quella mattina si era alzata dal letto ed era andata a scuola, perché tra fantasmi e il fatto che aveva detto una certa frase a Castiel, la voglia di uscire di casa per andare in quel liceo era completamente scomparsa. Ma non poteva perdere una lettera così cruciale per capire la situazione e che per lo più non le apparteneva; in cuor suo sperava di averla persa nel sottoscala e che non fosse finita in mani indesiderate. Fece una camminata dritta fino alla fine del corriodio che la portava proprio dove era stata la sera prima, ma a metà perscorso le fu bloccato il passaggio.

Erano Ambra e le sue amiche.

Come sempre la ragazza bionda si trovava al centro ed ai suoi lati Li e Charlotte che le stavano attaccate come se fossero prolungamenti del suo corpo.

«Li ci ha detto che ieri avete visto un fantasma e che sei scappata via urlando a gambe levate. Che sfigata!» le disse in una fragorosa risata mentre si allontanavano senza neanche darle il tempo di ribattere. Li, però, aveva omesso la parte in cui lei per prima era scappata via lasciandola da sola senza pensarci due volte; quella che sembrava aver avuto più paura era proprio quella ragazza che si faceva tanto coraggiosa agli occhi delle sue amiche.

Ma non le interessava la cosa; che pensassero quello che volessero senza però infastidirla più di tanto.

Continuò per la sua strada, senza incontrare nessuno che conosceva e cosa più importante senza trovare Castiel in giro; arrivata nel sottoscala notò con sconforto che la lettera che aveva perso non si trovava lì. Ma almeno non si trovava nelle mani di quelle tre arpie che aveva incontrato prima o le avrebbero immediatamente rinfacciato la cosa per trattarla male come al solito. Ma dove poteva essere allora? Che qualcuno l'avesse trovata prima di lei? Magari se qualcuno l'aveva trovata, l'aveva pure portata da Nathaniel che si occupava degli oggetti trovati per il liceo; non le restava che andare a chiedere direttamente a lui se tra gli oggetti smarriti avesse una lettera.

Ma prima che se ne andasse la sua attenzione fu attirata da qualcosa che si trovava a terra; poteva sembrare la solita immondizia che si trova in un liceo, ma in quella zona, così poco frequentata, era davvero un fatto eccezionale e fuori dal normale. C'erano dei pezzi di plastica sul pavimento, li raccolse e vide che era normalissima plastica, trasparente, che poteva appartenere a qualsiasi tipo di oggetto e poco distante da quelli, sulle scalinate, c'erano dei mozziconi di sigaretta; un po' riluttante prese tutto e li mise in un sacchetto di plastica vuoto che aveva nella borsa, dove una volta teneva le caramelle. Quelle erano le prove che non era pazza e che anche se non esisteva un fantasma, la sera prima su quelle scale c'era stata qualcuno che le aveva spaventate. Come un bravo investigatore raccolse le prove e se le mise nella borsa pronta a continuare le sue indagini; chiunque si fosse trovato lì quella sera poteva aver visto la busta che tanto stava cercando disperatamente. Prossima tappa era l'uffico delegati dove avrebbe trovato Nathaniel.

Ma con suo stupore incontrò il ragazzo a metà del corridoio mentre era intento a leggere un foglio mentre camminava distrattamente senza guardarsi avanti.
«Hay Nath!» gli disse sorridendogli.
«Cosa ti serve Jay?» le rispose sempre con un sorriso, ma con aria rassegnata di chi sa già dove si andrà a finire con la conversazione.

«Non dire così! Non mi serve per forza qualcosa, ti stavo giusto salutando.» esclamò con aria leggermente stizzita, cercando di passare per la santarella del momento; ma a Nathaniel non la si dava a bere e senza tanti convenevoli le disse di dirgli che cosa poteva fare per lei.

«Se la metti così allora... Per caso tra gli oggetti smarriti hai una lettera? L'ho persa ieri sera nel sottoscala, mentre pulivo i tag.»

Nathaniel scosse la testa in senso negativo, poi la guardò meglio e le chiese:

«Ho sentito che ieri sera tu e la tua amica vi siete prese uno bello spavento! Fantasmi, che sciocchezze.» decretò tornando con la testa nei suoi fogli.

Jay lo guardò leggermente offesa, poi cercando di mantere la calma attirò la sua attenzione per fare alcuni chiarimenti sulla situazione.
«Prima di tutto, Li non è mia amica; secondo, fantasma o no, sicuramente c'era qualcuno là sotto ieri sera.»
Nathaniel si fece più evasivo e scostante, inizando ad accellerare il passo; Jay continuava a stargli dietro, aspettando che facesse uno dei suoi soliti commenti su quanto fosse sciocco quello che pensava o faceva, ma invece il ragazzo non proferì parola. La ragazza gli si mise davanti bloccandogli il passaggio fin quando Nathaniel non fu costretto ad alzare gli occhi per incrociare il suo sguardo, che in quel momento lo stava fulminando come per chiedergli se ne sapesse qualcosa. Quell'aria così evasiva di Nathaniel non era per niente normale, voleva dire che era in difficoltà e che forse sapeva qualcosa visto che non era esattamente il tipo che riesce a mantere la calma anche nei momenti di tensione.

«Non guardarmi così! Cosa vuoi che ti dica è semplicemente una stupidaggine! Un fantasma... come potrei crederci.»
«Pensala come vuoi, ma qualcuno c'era di sicuro, guarda..» gli disse mostrandogli le prove che aveva accuratamente raccolto dal corridoio incriminato.

«Caramelle?» chiese confuso Nathaniel.

«Ma quali caramelle, è solo la carta.. guarda dentro: ci sono dei pezzi di plastica e delle cicche di sigaretta.»

Nathaniel iniziava ad arrossire sulle guance, come gli capitava quando si sentiva in imbarazzo e Jay non riusciva a capire come mai in quella situazione si sentisse imbarazzato; qualcosa la sapeva ma non voleva dirgliela.

«Questo significa solo che qualcuno se ne frega delle regole e che ha fumato nel liceo; una cosa del tutto fuori luogo ma che non dimostra un bel niente.»

«Ti proverò il contrario.»
«Bhe, se ci tieni tanto...» le rispose con un filo di voce mentre se ne andava via indisturbatamente in mezzo agli altri alunni, scomparendo tra la folla.

Non aveva nessuna prova vera e propria, soltanto degli stupidi pezzi di plastica e qualche mozzicone di sigaretta; non era esattamente una prova che testava l'esistenza di un fantasma, ma almeno sapeva che qualcuno di relae l'aveva spaventata la sera prima.

Si avviò al suo armadietto per prendere i libri che le servivano; mentre apriva il suo armadietto vide che quello accato era aperto e con l'anta leggermente aperta riusciva a distinguere le sagome di quello che c'era dentro: qualche foglio, un paio di libri, una busta ed un qualcosa di rosso che si trovava nellla penombra. Si avvicinò giusto di qualche centimetro di più per cercare di capire cosa fosse quella cosa di un rosso brillante, ma immediatamente qualcuno ci si avvicinò di botto mettendosi avanti per prendere qualcosa al suo interno.

Quella giacca era inconfondibile, con il suo nero lucente e il colletto alzato e quei capelli non lasciavano il minimo dubbio; per tutti i mesi in cui era stata in quel liceo non se ne era mai accorta: Castiel aveva l'armadietto vicino al suo.

Come poteva evitare di continuare il discorso del giorno prima con lui? Si sentiva ancora in imbarazzo per quello che aveva detto, ma le parole le erano uscite così, di getto, senza pensarci ed alla fine si era trovata in questa situazione; ma non poteva evitarlo per sempre, prima o poi avrebbe comunque dovuto togliersi questo dente. Ma desiderava non farlo quel giorno, preferiva temporeggiare un altro po', fin quando non riusciva a schiarisi meglio le idee.

Castiel si girò verso di lei, di botto, fissandola negli occhi; erano completamente diversi dai suoi quegli occhi così grigi e profondi, che le davano la sensazione di essere profondi come dei pozzi senza fondo, nei quali perdersi era più una regola che una coincidenza, mentre i suoi, colore del cielo,erano così limpidi che ti ci potevi specchiare dentro.

Chissà se Castiel si vedeva riflesso nel suoi occhi.

Come al solito, senza preavviso, la prese e la baciò, tenendosela stretta a sé ancora per un po'; un misto tra un'abbraccio ed una presa soffocante; ma quella stretta opprimente era così tenera e calda, che non voleva farne a meno. Quelli erano gli abbracci goffi di Castiel. Poi la lasciò andare e senza darle il tempo di defilarsi da un ipotetico discorso.

«Ho saputo che ieri sera sei corsa via terrorizzata dal liceo. Mi hanno detto che la tua fervida immaginazione abbia visto un fantasma.» disse ridendo di gusto.

Jay senza dire nulla aprì la tracolla e prese la bustina con dentro le sue prove.

«Caramelle? Non mi corremperai per così poco.» le disse Castiel guardando il pacchetto confuso.

«E' la seconda volta che me lo dicono.. Non sono caramelle sono prove! Guarda, pezzi di plastica e mozziconi di..»
«E' solo la tua immaginazione, non vedo connessioni tra questi oggetti ed un eventuale fantasma.» Come Nathaniel anche Castiel era passato sulla difensiva, ma a differenza del segretrio delegato, quel ragazzo ribelle quando si sentiva in difficoltà iniziava ad aggredire il suo interlocutore.

Le indicò qualcosa a terra.

«Ti è caduta quella.»

Jay si abbassò per prendere il foglio di carta che le aveva indicato e quando si rialzò Castiel non c'era più, se n'era andato.

Quei due non gliela contavano giusta.

Mise la mano nella borsa lasciando cadere quela foglio che aveva raccolto, intenzionata a trovare delle prove convincenti sulla sua tesi, decidendo che quella sera sarebbe rimasta fino a tardi per vedere se incontrava di nuovo quel fantasma.

Finite le lezioni, andò in giro per l'istituto, per vedere se era rimasto qualcuno, ma vide soltanto Nathaniel per il corridoio che la fermò.
«Cosa ci fai qui?»

«Potrei farti la stessa domanda.» gli rispose prontamente

«Stavo finendo di compliare dei moduli, ora me ne torno a casa, ci vediamo domani allora..» le disse in tono evasivo, senza darle il tempo di rispondergli.

Jay arrivò nel sottoscale, pronta e piena di coraggio, decisa a svelare quel mistero che tanto suscitava allarme in Castiel e Nathaniel.

Si mise ad aspettare nel buio, nello stesso punto del giorno prima, nella penombra; ci fu un calo di tensione come il giorno prima, gli stessi strani rumori, quella musica che sembrava provenire da un altro modo; quella musica era così bella e maliconica, che la attraeva e nela sua testa si chiedeva se avvicinandosi di più al muro sarebbe riuscita a carpire qualche parola del testo. Poi di nuovo quella figura nel buio e in men che non si dica Jay era già scappata verso l'uscita, senza scoprire un bel niente su quella storia.

*****

 

«Mamma, guarda che bello che è!» il piccoletto stava saltando per tutta la stanza, preso da un irrefrenabile entusiasmo; i suoi capelli neri si libravano in aria dopo ogni suo salto e il suo sorriso era più bello che mai.

«Non dovevi Tony, ne avevamo parlato.» disse con tono apprensivo verso suo marito.

«Come facevo a non prenderglielo Elly? Guarda com'è contento.» disse Tony riempendosi gli occhi di gioia vedendo suo figlio così entusiasta.

«Mmm, non fa niente, ormai lo hai già preso. Come vuoi chiamarlo, tesoro?» chiese accovacciandosi vicino suo figlio per guardarlo meglio nei suoi occhioni chiari, identitici a quelli del padre.

«Lo chiamerò..»

 

Che vergogna, per la seconda volta era scappata a gambe levate, senza aver scoperto che cosa si celava dietro il misterioso fantasma del liceo; ma questa volta l'aveva pensata per bene, non si voleva far fermare da niente e da nessuno. Aveva preso la sua macchinetta fotografica per metterla nella borsa, in modo da poter fotografare questo misterioso ''fantasma''. Quella mattina sarebbe andata di nuovo nel sottoscala, per vedere se anche questa volta quella misteriosa figura avesse lasciato dietro di sè qualce traccia. Prese la sua borsa e mettendoci dentro la macchinetta fotografica sentì qualcosa di ruvido vicino alla sua mano; la prese e vide che era il foglio che Castiel le aveva indicato il giorno prima, dicendole che lo aveva perso. Ma non le sembrava uno dei suoi fogli e per lo più era anche strappato nella parte finale; soltanto quando lo aprì e vide la scittura si rese conto che era l'ultima lettera che aveva perso due giorni prima. Non c'era più la busta, ma una parte della lettera era ancora integra, anche se la parte finale si era rovinata; la prima parte però era ancora leggibile.

 

Sono passati molti anni, eppure a quelle maledette note non ero ancora riuscito a trovare le parole giuste; ma da quando è arrivata lei le cose sono cambiate. Elenoire da qualche giorno sta molto meglio, la vedo più colorita, ha ripreso un po' del suo buon'umore, anche grazie alle mie storie quotidiane che le racconto.

Mi dice sempre che è una benedizione quella ragazza e che non vede l'ora che gliela presenti; no che io non voglia, ma non credo di essere pronto e deciso a trascinarla con me in questo baratro di desolazione e sofferenza. Sono solo pochi giorni, che - purtroppo per colpa della mia testardaggine non ho saputo aspettare e darle il tempo necessario – ho scoperto la sua intera storia andando in giro da tutte le persone con cui in tutti questi anni si è rapportata. Ci ho messo una settimana e penso di averle tirato un colpo basso: ora io mi trovo a sapere tutta la sua vita, mentre lei di me non sa quasi nulla. Vorrei davvero metterla al corrente di tutta la vicenda, ma ho paura di finire nella pietà, che tanto detesto vedere nei miei confronti. Lei è diversa, è speciale. Sai papà, è da tempo che non incontro una persona così speciale ed in gamba come te; in molte cose mi ricorda te in effetti, siete tutti e due molto impacciati e fate quelle espressioni...

 

Da quin in poi la lettera era illegibile perché strappata.

Maledizione la cosa si incasinava ancora di più; chi era questa Eleonoire e chi era l'autore di quelle lettere; da come era impostata questa dedusse fosse il bambino che aveva subito la perdita del padre in quell'incidente stradale di molti anni prima, ma i giornali per la privacy non avevano riportato il nome ed il cognome delle vittime.

 

«Che nome particolare gli hai dato, tesoro.» disse Elly sorridendogli.

«A me piace.» sbuffò incrociando la braccia sul petto, il bambino.

Tony lo prese in braccio e lo fece volare.

«Se piace a te, piace anche e noi. In fondo è il tuo cane e puoi chiamarlo come vuoi!»

 

Basta, doveva chiuderla con questa storia, se era andata così significava che non doveva sapere, quandi rimise tutto nella borsa, attaccando tra di loro tutte le buste, intenzionata a riportarle al loro posto nell'ora di pranzo. Arrivata a scuola, esattamente come il giorno prima si diresse sparata nel sottoscala e proprio come aveva sperato, trovò qualche altra prova: questa volta c'erano un quaderno con delle parole – la maggior parte in rima – annotate e un pezzo di plastica rosso. Quando lo prese in mano capì che le coincidenze non esistevano.

Era un pezzo di plastica, triangolare con inciso sopra un logo che ben conosceva ormai e che non aveva neanche bisogno di confrontare; era lo stesso plettro che aveva trovato nel tronco cavo e in una delle buste trovate nel medesimo tronco. Questo una sola cosa poteva significa: l'autore di quelle lettere si trovava nel liceo con lei, ora, ed era la stessa persona che da due notte a questa parte l'aveva spaventata facendosi passare per un fantsma. In quel liceo qualcuno sicuramente sapeva qualcosa, e questi erano Castiel e Nathaniel che le nascondevano qualcosa al riguardo, magari una sciocchezza, ma qualcosa le tenvano nascosto.

Prese le nuove prove e le mise nel sacchetto delle prove – il sacchetto delle caramelle – e si avviò a passo deciso, pronta ad incontrare uno dei due ragazzi; ma dei due neanche l'ombra.

Riuscì a trovare Nathaniel dopo le lezioni mattutine, bruciandosi l'ora di pranzo per parlare con quel ragazzo, che con lo stesso tono evasivo del giorno prima le aveva detto di lasciar perdere e di non sprecare del tempo dietro queste sciocchezze.

Castiel, che come al solito stava nel cortile, le rispose ancora con più riluttanza quando vide le nuove prove, ed infiammandosi in meno di un minuto, se ne andò via sbraitando e voltandole le spalle per entrare nel liceo. Jay era stremata, più le sembrava di avere degli indizi validi più la verità le sfuggiva di mano, era davvero stanca di fare l'investigatore privato a tempo perso; se quella sera non fosse riuscita a scoprire la verità avrebbe lasciato perdere tutta la storia del fantasma, delle lettere e tutto il resto collegato.

Si andò a sedere su una panchina, quando si vide raggiungere da Jade, che si mise a sedere accanto a lei.

«Qualcosa non va con Castiel?» le chiese mettendole una mano sulla spalla per consolarla ancora prima di una risposta positiva.

«Bhe, se ti riferisci a quella scenata di prima, non ti preoccupare, si è alterato per una cavolata che non centra con la nostra 'relazione'» disse mimando delle virgolette intorno alla parola relazione.

«Eppure mi sembra che qualcosa ti turbi.»
«Ecco Jade, praticamente l'altro giorno ci trovammo a dicutere sulla terrazza posteriore della scuola e tra una cosa ed un'altra gli ho detto che è uno stupido bambino..»
Jade le sorrise.

«Non penso se la prenda a male per così poco, tranquilla, lui ti ama.» le disse sorridendole non solo con la bocca, ma anche con gli occhi.

«C-cosa?» Jay non riusciva a credere a quello che le aveva appena detto quel ragazzo.

«Lui magari non te l'ha ancora detto, ma glielo leggo negli occhi; lo sai che azzecco sempre questo tipo di cose, ho il pollice verde non solo per le piante.» le disse fecendole l'occhiolino.

«Jade, quel giorno gli dissi ''Sei solo uno stupido egoista che non si apre con la persona che lo ama'' .. ricordo ancora tutte le parole precise. Mi rimbombano ancora nel cervello.»

«Non mi sembra che da allora le cose siano peggiorate, anzi. Anche quando si è alterato poco fa gli ho letto negli occhi che gli dispiaceva alzare la voce con te, cosa rara in Castiel. Se si arrabbia lo fa per un motivo e non se ne dispiace di certo. Se vuoi te lo ripeto, così te ne convinci e quando te lo dirà ci crederai subito: lui ti ama

«Allora com'è andata con Violet?» gli chiese con un volume troppo alto di voce cercando di cambiare discorso il più in fretta possibile.

Jade non continuò a parlare della sua relazione con Castiele e l'aggiornò sulla ultime novità tra lui e Violet; le aveva chiesto di uscire, ed erano andati in campagna, tra i fiori, ed avevano passato una bella giornata e da quel giorno in poi erano usciti sempre più spesso. Non si voleva sbilanciare dicendo che era già la sua ragazza, ma erano sicuaramente più complici di prima

Jay lo salutò, contenta per loro, ma sconfortata per ore rimanenti di lezione prima di poter smascherare il fantasma.

Entrò nel liceo e vide una cosa che la fece rimanere a bocca aperta: in fondo al corridoio c'erano Castiel e Nathaniel che parlavano insieme, senza litigare o urlare, discutendo di qualcosa a bassa voce solo tra di loro; appena la videro, come se niente fosse si divisero senza scambairsi una parola di più.

 

 

 

«Attento Tony, la macchina!»

«State bene?»

«Mio marito, mio Dio, mio marito... chiamate qualcuno... chiamate i soccorsi.»
«Papà? Papà?! Perché non rispondi? Papà?»

...

Elly prese tra le braccia il suo piccolo, portandolo fuori da quella macchina che ormai era diventata un rottame; lo strinse forte al petto, portandolo all'ambulanza più vicina che era accorsa per farlo controllare.

«Mamma...»

«Papà non può risponderti Castiel, papà non sta bene.»


 


Jay Myler 
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Capitolo 15
*** Quel plettro rosso ***


«Mi spiace richiamarla di nuovo qui, ma suo figlio è... insostenibile»

Elenoire scosse la testa lentamente e rivolse lo sguardo verso il basso; sapeva cosa rispondergli, ma non voleva farsi compatire.

Si passò una mano sulla testa, sfiorando quel leggero foulard che portava sul capo, per poi tornare ad incrociare mani sul grembo.

«Sta crescendo, è l'età... sono sicura che tra qualche tempo tornerà il bambino di una volta.» disse con un sorriso amareggiato, non riuscendo neanche lei a credere alle parole che aveva appena pronunciato.

«Signora..»
Elenoire fu colpita da un forte attacco di tosse che le fece mancare il fiato per diversi secondi e le fece divertare il viso paonazzo, fino a quando lentamente riprese un colorito più umano, ma sempre pallido. La donna alzò una mano verso quell'uomo, come a dirgli che stava bene, ed annaspando per riprendere il normale respiro iniziò a chiedersi se le cose fossero mai tornate come quelle di una volta.

 

 

Vedere Castiel e Nathaniel parlare in modo calmo ed appartato era un evento ancora più raro e misterioso del vedere un fantasma nel liceo; ma per prima cosa voleva risolvere questo mistero del sottoscala che aveva scoperto essere strettamente legato con l'autore delle lettere. Chiunque ci fosse dietro a tutta questa storia sapeva di sicuro qualcosa.

Quel plettro.

Quel plettro era ovunque, lo aveva visto svariate volte, in luoghi diversi, ma era sicura che oltre ad averlo trovato nel liceo e nelle lettere trovate nel parco, lo aveva già visto da qualche altra parte, ma non riusciva proprio a fare mente locale per avere un pezzo in più di quell'intricato puzzle. Ma una volta e per sempre questa storia sembrava volgere al termine e con in mano la sua macchinetta fotografica, si mise a camminare per il corridoio per vedere se era rimasto qualcun altro al liceo. Con suo grande stupore notò che non c'era più nessuno in giro e l'instancabile Nathaniel non era al suo posto in mezzo ai vari documenti che lo affiancavano giornalmente. Non le rimaneva che mettersi d'impegno, trovare tutto il suo coraggio ed andare ad aspettare quell'oscura figura che si aggirava da un paio di notti nel sottoscala del liceo; più facile a dirsi che a farsi, nascondersi dietro ad una fotocamera non la rassicurava per niente, ma la curiosità e l'esasperazione di questa storia le facevano venire sempre di più la voglia di darci una taglio.

 

 

«Le ha trovate e le ha con sé.»

«Quindi le ha lette.»
«Deduco di si, ma l'ultima... l'ultima non poteva leggerla, non completamente.»
Eleonoire non commentò, restò semplicemente in silenzio aspettando che continuasse a parlare.

«L'ho strappata. Non voglio che entri nel mio baratro senza fondo.»

 

 

Arrivata nel sottoscala attese impaziente che il fantasma si facesse vivo.

Nessuno strano rumore, nessuna musica spettrale proveniva dal solito punto dell'edificio e le luci erano fisse come al solito.

Che il fantasma si facesse beffa di lei?

Possibile che l'avesse vista armata di macchina fotografica ed avesse deciso di non farsi vivo per restare nell'ombra?
Non ebbe neanche il tempo di pensare queste cose che la luce iniziò a tremolare; il sottoscala era già abbastanza buio con tutte le luci accese, ma con quell'intermittenza luminosa era illuminato ancora peggio.

Vide la figura nera avvicinarsi a lei, sempre di più, questa volta era decisamente intenzionata ad avere un incontro diretto con lei; l'adrenalina le saliva su per tutto il corpo ed anche se la testa le diceva di scappare Jay inforcò la macchinetta e scattò una fotografia. Un forte flash illuminò tutta quella stanza abbagliando la ragazza per qualche secondo; ma non importava, ormai aveva la prova dell'esistenza di quel fantasma e nessuno avrebbe più potuto contraddirla.

«Stai cercando di accecarmi o cosa?»

Quella voce era così familiare e la riconobbe in pochi istanti.

«Castiel?! Che ci fai qui? Sei tu il fantasma?»

«Piano, piano, una domanda alla volta.» le disse il ragazzo stropicciandosi gli occhi per riacquistare a pieno la vista.

Jay lo seguì e si andarono a sedere sugli scalini dietro di loro.

«Scusami per il flash, ma non sapevo fossi tu!» le disse con un tono di rimprovero nei suoi confronti che poco ricordava un tono di scuse.

«In questi giorni sei stata così petulante e testarda che non ho potuto fare a meno che decidere di metterti al corrente di tutto, anche se.. dopo dovrò ucciderti» le sorrise con aria malevola.

«Smettila di fare il cretino e dimmi che cosa sta succedendo» sbuffò la ragazza ormai in preda alla curiosità più totale.

Castiel sapeva qualcosa, era al centro di questa situazione ed era certa che le avrebbe potuto dare tutte le informazioni che le servivano; ma se quel ragazzo si trovva immischiato in tutto questo... voleva dire che aveva a che fare anche con le lettere che aveva trovato, direttamente o indirettamente. Il cuore le batteva forte e lo sentiva battere nelle tempie; se fosse stato proprio lui l'autore di quelle lettere.. allora sapeva cosa era successo alla sua famiglia e quell'ultima lettera, forse era riferita a lei. Quella corrispondenza poteva appartenere ad un simile zoticone pieno di sé? QUEL Castiel era capace di esternare certi sentimenti su carta?

«Anche Nathaniel centra in questa storia?» domandò in preda alle mille domande che le balenavano nel cervello.

«Certo che si, è lui che ci ha scoperto con il duplicato delle chiavi del sottoscala; se qualcuno ci scoprisse finiremmo tutti e due in grossi guai. Non dirai niente, vero?»

«No, certo che no... ma cosa fai nel sottoscala? E perché hai detto che Nathaniel Vi ha scoperto, tu e chi?»
«Io ed un mio amico, Lysandre, suoniamo nella sala che si trova sotto queste scale, una specie di auditorium, c'è una buona acustica e la usiamo per le prove.»

Nella testa di Jay si formavano ancora più domande di quelle che aveva prima, senza riuscire a domandare quello che veramente le premeva di più sapere.

«Suonare?»
«Si, suonare sai...» fece un movimento come se stesse suonando una chitarra.

«Oh, ma certo. Ma non c'è un club di musica qui al liceo?»
«Non avremmo potuto fare la nostra musica; dai vieni che ti presento Lysandre.» la prese per mano e la portò nella stanzetta sotto le scale, che inaspettatamente era più grande di quel che ci si poteva aspettare.

In quella stanza ignota a molti alunni, c'erano Nathaniel e il famoso Lysandre; Nathaniel stava appoggiato spalle al muro nei pressi della porta, come se stesse controllando la situazione sia all'ainterno che all'esterno, mentre l'amico di Castiel stava poco lontano con in mano vari fogli su cui scriveva freneticamente. Quel ragazzo non passava di certo inosservato e Jay non riusciva a capacitarsi di come in tutti questi mesi in cui era stata in quel liceo non si era mai accorta di lui; vestiva in maniera davvero bizzarra, ma affascinante, un look vittoriano davvero ben riuscito e molto gradevole alla vista, anche se inconsueto.

«Lysendre, lei è Jay.» disse Castiel presentadola al suo amico.

Da vero gentiluomo da quale era vestito, Lysandre accennando un baciamano si presentò in maniera molto sofisticata e leggiadra; se il suo look non fosse già abbastanza vistoso, aveva un'ulteriore particolarità chiamata eterocromia: aveva le due iridi di colore diverso l'una dall'altra, una del colore del mare, e l'altra ambrata come mai ne aveva viste. Un ragazzo particolare in tutti i sensi.

«E' davvero un piacere conoscerti, Castiel mi ha parlato molto di te; ma questo non avrei dovuto dirlo, che smemorato» disse guardando lo sguardo che gli rivolse il suo amico. «Mi scuso per l'altra volta quando ho spaventato te e la tua amica, sono davvero desolato.»

Quando parlava quel ragazzo era così elegante ed etereo che non sembrava neanche appartenere al suo stesso mondo, così perso nei suoi pensieri anche quando si trovava faccia a faccia con il suo interlocutore.

«Oh figurati, quella non era neanche una mia amica..» aprì la tracolla e si mise a cercare qualcosa al suo interno. «Questo deve essere tuo suppongo.» gli disse porgendogli il taccuino che aveva trovato quella mattina sulle scale.

«Ecco dov'era finito, pensavo di averlo perso.»

«Lysandre, tu dimentichi sempre tutto, perderesti anche la testa se non ti fosse attaccata al collo.» ribattè Castiel con tono deciso di chi conosceva bene l'argomento, o in questo caso la persona.

«Non posso darti torto.» concordò il ragazzo.

«Direi che per sta sera abbiamo finito Castiel, io torno a casa.»

«Lysandre..»

Lysandre si fermò girandosi verso Castiel che lo aveva chiamato, in modo così soave e leggero che sembrava essere sospeso a pochi centimetri dal suolo, proprio come un vero fantasma; Castiel gli stava porgendo il suo blocco note.

«Grazie, me ne ero completamente dimenticato» gli disse prendendo il blocco dalle sue mani sorridedogli, tornando poi, senza aggiungere nulla, sulla sua strada pienamente immerso nel suo mondo.

Nathaniel fece un segno a Castiel, che di risposta annuì semplicemente senza dirgli nulla; dopo quello scambio di informazioni in codice il ragazzo dietro di loro, che per tutto quel tempo era rimasto vigile accanto alla porta, se ne andò, dando la buonanotte ai due rimasti nella stanza.

«Forza, torniamocene anche noi a casa; ti accompagno che si è fatto tardi, dammi solo il tempo di recuperare le mie cose» disse Castiel dopo l'uscita di Nathaniel.

Quante cose avrebbe voluto domadare a quel ragazzo.

«Se era Lysandre il fantasma, come si spiegano i rumori sinistri che si sentivano?»
«Eravamo noi da questa saletta» rispose immediatamente Castiel.

«E la musica che sentivo, eravate voi che facevate le prove»

«Giusto; e prima che mi fai altre domande ti rispondo io direttamente. I pezzi di plastica che hai trovato sono di un nostro CD, il blocco degli appunti come hai capito è di Lysandro, ci segna i testi delle canzoni e i mozziconi di sigaretta sono miei. Ogni tanto fumo; e penso che lo avessi capito già quando ci siamo incontrati sulla terrazza. A proposito di quel giorno..:»

«Ma allora, la luce che se ne andava?» chiese parlado da sopra a Castiel per non fargli finire la frase.

«Si, ce ne siamo accorti anche noi; ogni volta che attacco la chitarra ci sono dei cali di tensione. Consuma molta energia a quanto pare» le rispose come se non avesse interrotto un discorso così importante.

«Riprendendo il discorso di prima, l'altro giorno, sulla terrazza tu...»

«E quel plettro? Cosa sai tu di questo?» gli chiese estraendo dalla borsa quel pezzo di plastica triangolare che in gergo si chiama plettro.

«Che si usa per suonare.» le rispose senza intonazione.

«Ma non mi dire. Non sai dirmi altro?» gli disse stizzita.

«Lo uso io per suonare, contenta?» affermò mostrandole la sua chiatarra elettrica mentre la riponeva e prendendo un plettro identico da una tasca del fodero.

A Jay mancò l'aria.

«E'... tuo?» balbettò facendosi tutta rossa in viso.

Quella calligrafia così familiare.

«Si, è mio, quante volte devo ripetertelo? Forza andiamo, si sta facendo tardi; non ho la moto oggi, quindi dovremmo camminare un po'.»

La prese per mano e la trascinò dietro di sé, accompagnandola per i vari isolati che li separavano da casa di lei.

La testa della ragazza era in pieno 4 Luglio, un misto di fuochi di artificio e botti assordanti; sentiva il cuore che le saliva e scendeva per l'esofago, mentre lo stomaco le si chiudeva ed attorcigliava su sé stesso, procurandole una sensazione di spossatezza e di malessere. Le cose stavano prendendo una strana piega, un risvolto insaspettato ma sperato; qualcosa nel loro rapporto sarebbe cambiato ma non sapeva neanche lei se in meglio o in peggio. Un'accavallarsi di sensazioni la stavano assalendo, senza darle il tempo di capire che cosa stesse realemte succedendo, ma facendole solo vivere una strana avventura.
E quelle lettere...

[...] Lei è diversa, è speciale. Sai papà, è da tempo che non incontro una persona così speciale [...]

Non poteva essere così.

Sarebbe stato surreale.

«Cosa significa quel simbolo sul plettro?»

Jay ruppe il silenzio quasi obbligato che si era creato tra i due da quando avevano lasciato il liceo.

«Niente di che, è semplicemente un logo di una band che ascolto.» le rispose evasivamente.

«Non ha nessun valore affettivo per te?» gli domandò nella speranza di riuscire a carpire qualche notizia in più prima di fargli la fatidica domanda.

«A dire la verità, si ce l'ha.»

Jay aspettava con ansia la storia che nascodneva quel plettro e l'importanza che aveva per lui, ma Castiel non aprì più bocca.

L'evasività di quel ragazzo era direttamente proporzionale alla curiosità di Jay che sempre più velocemente le stava crescendo divorandola da dentro; se i suoi sospetti era giusti lei aveva violato una corrispondenza molto particolare e speciale e Castiel questo non gleilo avrebbe mai perdonato. Quindi non poteva rimanere con questo peso ancora per un altro giorno, voleva sapere a tutti i costi in che cosa si era cacciata portando con sé e leggendo quelle lettere nascoste da occhi indiscreti.

Quando trovò il coraggio di chiedergli se voleva raccontarle la storia di quel simbolo e di quell'oggeto ormai erano arrivati davanti a casa sua.

«Eccoci qua.» le disse Castiel.

Jay non voleva lasciare quella conversazione a metà, voleva sapere tutto, tutta la storia che si nascondeva dietro quel plettro e dietro quelle lettere trovate in un albero cavo.

«So cosa vuoi chiedermi, ma non ti darò le risposte che cerchi.»

Castiel la guardava fisso negli occhi, con un'aria molto seria ma allo stesso tempo dolce.

«Risponderò alle tue domande solo se tu finirai quel discorso con me.»

Jay distolse lo sguardo iniziando a fissare il marciapiede; Castiel le alzò il viso per incrociare di nuovo il suo sguardo.

«Dove sei scappato il primo giorno che ci siamo visti? Chi è la lei dalla quale corri molte volte? Dove sei stato quella settimana in cui sei mancato in contemporanea con Nathaneil? Cosa significa quel simbolo per te? Sono tue queste lettere che ho trovato? Chi è Elenoire? Cos'è successo a tua madre? Perché non mi hai mai raccontato niente della tua vita?»
«Semplice. Perché ti amo Jay.»

 

 

«E' davvero in gamba questa ragazza, eh figliolo?» disse tra un colpo di tosse ed uno altro Eleonoire.
«Non sforzarti troppo, non ti sei ancora rimessa in forma» le rispose il ragazzo, mettendole uno scialle sulle spalle.
«Sciocchezze!» ribadì la donna sorridendo al figlio. «Quando me la porterai a conoscere?»
Il ragazzo si rabbuiò.
«Ho fatto una cosa che non le piacerà sapere... l'ho scavalcata. Sono andata dai suoi parenti e conoscenti, andando a chiedere quale fosse la sua storia, la sua vita; non ho avuto il coraggio di guardarla negli occhi ed ascoltarlo dalla sua bocca. Mi sono sentito male solo a sentirla raccontare da persone non direttamente coinvolte, non avrei sopportato di farle rivivere per l'ennesima volta le sue disgrazie. Non si merita questo trattamento. Non merita uno stronzo come me.»
Elenoire lo abbracciò amorevolemente e lo strinse a sé più che poteva.
«Ma cosa dici, sciocco. Sei giovane e queste cose è normale farle, ti capirà e ti perdonerà, e sai perché? Per il motivo per cui hai fatto tutto questo, il motivo per cui hai strappato la lettera, il motivo per il quale hai deciso di conoscere la sua storia non facendogliela rivivere.»
«...»
«Perché tu, la ami, Castiel.»


 


Jay Myler 
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Capitolo 16
*** Until Death ***


Jay guardava Castiel dritto negli occhi, aspettando le sue risposte, quelle risposte per cui aveva tanto aspettato, quelle risposte che le avrebbero fatto capire realmente le cose come stessero; lo guardava con aria dura, ma i suoi occhi gli chiedevano amorevolmente spiegazioni. Non capiva perché quel ragazzo si ostinasse così tanto nel rimanere chiuso in sé stesso, senza aprire neanche una breccia in quel muro così spesso che lo divideva dal mondo esterno. Eppure lei gli aveva teso più volte la mano per aiutarlo ad uscire dal suo mondo isolato, cercando di dargli l'aiuto che lei non aveva avuto anni prima, ma che si era cercata da sola finendo in situazioni sempre più pesanti; poteva solo immaginare che cosa provasse dentro di lui, ma se non decideva a dirle le cose come stavano non poteva di certo dargli tutta sé stessa. Aveva deciso di andare fino in fondo, senza pensarci troppo, voleva capire se la storia che aveva vissuto tramite le lettere, tutte quelle emozioni racchiuse lì dentro, tutte le sensazioni delle quale erano impregnate, appartenessero al ragazzo che amava. Si, lo amava, lo aveva capito fin dal primo momento in cui lo aveva visto nel corridoio il primo giorno di scuola quando la prendeva in giro, nell'istante esato in cui si erano incontrati i loro sguardi: aveva sentito una stretta allo stomaco ed una sensazione di leggerezza che le faceva sembrare di essere una piuma trasportata dal vento. Ogni minima cosa, anche il gesto più stupido da parte di Castiel aveva un significato profondo per lei e non riusciva a dimenticarsene neanche uno. Il primo giorno l'aveva presa quasi con la forza per portarla sulla terrazza posteriore della scuola per farle vedere il panorama, e pure in quel momento, in cui erano due estranei completamente immersi nel silenzio del loro imbarazzo, lo aveva sentito vicino come nesun altro mai al mondo; una presenza che non le lasciava scampo e che sapeva di non poterne fare a meno. Da subito si era sentita in dovere di proteggerlo e di difenderlo a spada tratta, come se lo conoscesse da sempre; in lui aveva rivisto la vecchia lei, piena di problemi e carica di solitudine, quando aveva deciso che l'unico modo per sopravvivere fosse rifarsi alla legge del più forte e che solo così sarebbe riuscita ad andare avanti con la sua vita. Castiel aveva il suo stesso attegiamento, lo stesso modo di comportarsi e non riusciva a starsene immobile sapendo di poterlo aiutare. E quall'aiuto mai chiesto che gli aveva dato, lo aveva fatto avvicinare al suo cuore, ma non era mai riuscito a sciogliersi ed a essere completamente sé stesso per paura di farla stare male.
Poi d'un tratto aveva detto quello che aspettava di sentire da tempo, anche se ormai non ci sperava più e pensava che sarebbe stato solo un bel sogno destinato a rimanere nella sua mente.

«Semplice. Perché ti amo Jay.»

Con queste cinque parole le aveva cambiato tutti i pensieri e le domande che le giravano per la testa, che ormai si era svuotata completamente lasciandole una strana sensazione di vuoto e di freddo nella mente. Jade glielo aveva detto, e ripetuto più di una volta e proprio come aveva detto lui, Jay ci credeva ciecamente, non avendo il minimo dubbio sulla veridicità della cosa.
La amava.
E lei amava lui.
E allora perché le cose continuavano ad essere così complesse? L'amore non è semplice, l'amore è complicato, ma quando è vero supera tutti problemi e le intemperie che gli si parano davanti. Ma ora era giunto il momento per loro di fare chiarezza su tutto: sulla loro relazione, sulla loro vita, sui loro sentimenti, sui loro segreti, non potevano basare il loro amore su fondamenta piene di cose non dette e sentimenti nascosti. La ragazza non sentiva più nessun rumore, l'aria intorno a lei si era immobilizzata e l'aveva lasciata in uno stato temporane di calma e quiete che le diede il tempo di riflettere e di metabolizzare le parole che le aveva rivolto Castiel. Parole così importanti, così imponenti, pesanti come due blocchi di cemento sul petto, che ti bloccano il respiro e rischiano di schiacciarti sotto il loro peso se non reagisci al più presto. Era questo che sentiva su di sé, erano queste le emozioni che provava. Ma questa non era nemmeno lontanamente paragonabile alla strana sensazione che le pecorreva per tutto il corpo; era qualcosa di nuovo, di elettrico, di magnetico che la faceva vibrare da dentro, che partiva dell'anima e le faceva tremare tutto. In quel momento Castiel la strinse a sé, più profondamente ed intensamente di come avesse mai fatto, e poggiando la testa vicino alla sua, le chiese scusa, raccontandole di come avesse fatto una cosa di cui non andava fiero. Le raccontò di come in quella settimana era andato a cercare notizie della sua vita da tutte le persone che erano state coinvolte nella sua vita, puntualizzando ogni volta di come fosse un codardo per non aver avuto il coraggio di chiederglielo e sentirglielo dire di persona. Ma Jay lo capiva, non era arrabbiata. Non c'era niente di sbagliato in quello che aveva fatto, in fondo avrebbe potuto leggere il suo dossier quando glielo aveva lasciato tra le mani, ma lui era deciso a conoscere lei com'era davvero, non la ragazza che era descritta in quei fogli chiusi in una squallida cartellina gialla; Castiel ci aveva provato, ma le sue mille insicurezze lo avevano portato su quella strada e facendogli decidere di scavalcarla chiedendo ad altri la sua storia. Di male non c'era assolutamente nulla, anzi, voleva ringraziarlo dal profondo del cuore di non averle chiesto di rivivere ancora una volta tutta la sua vita cercando di raccontargliela nel tempo più breve possibile; quello lo avrebbe fatto di sicuro, gli avrebbe raccontato la sua vita pezzo per pezzo, minuto per minuto, ma con il tempo, con la costanza e con la dovuta calma, in modo da poter assimilare anche lei la cosa al meglio. Il ragazzo, che continuava a stringerla, continuava a decantare il suo essere uno stronzo, ma Jay non era affatto d'accordo; aveva preso la scelta più giusta e non riusciva a dargli torto per quello che aveva fatto.
«Castiel, smettila.» gli disse facendogli una carezza sul viso.
Non lo aveva mai visto così semplice, così vulnerabile, così debole; quello doveva essere il suo sé stesso insicuro che gli stava dicendo di ripeterle mille volte le sue scuse, cercando disperatamente un perdono che era sicuro non avrebbe mai trovato.
«Ho letto e portato con me le tue lettere, penso che siamo pari»
«Non ho mai detto che quelle lettere fossero mie»
«Non serve che tu lo dica, lo sento, lo vedo ora, con i miei occhi, riconosco il cuore che ha scritto quelle cose Castiel. E poi... ho trovato un tuo plettro in una delle buste» gli disse cercando di sdrammatizzare per far passare quel senso di colpa che per qualche motivo continuava ad ossessionare il ragazzo davanti a lei.
«Già il plettro, ma rimane il fatto che io..»
«Ti amo Castiel, te l'ho già detto indirettamente e spontaneamente sulla terrazza. Ti amo, e ti perdono, se tu perdonerai me per aver preso senza permesso queste» La sua mano tremava leggermente mentre gli porgeva le lettere che gli appartenevano.
«Se preferisci posso riportarle al loro posto.»
«Sei stata di parola, abbiamo terminato quel discorso quindi mi tocca fare la mia parte; domani passo a prenderti e finalemente avrai tutte le risposte che volevi; te lo devo. Lo devo alla mia ragazza»
Castiel la baciò, ma non come al solito, non era uno dei suoi soliti baci improvvisi che la prendevano di sorpresa senza neanche darle il tempo di apprezzare il gesto, questa volta fu il bacio, il loro primo vero bacio da fidanzati, da amanti, e a testimoniare il loro amore c'era solo la Luna ed una leggera brezza serale. Questo bacio si faceva attendere, desiderare, mentre i loro sguardi giocavano ad inseguirsi e i loro viso a sfiorarsi leggermente; non riuscivano a smettere di sorridere mentre la distanza tra le loro labbra diminuiva sempre di più. Riuscivano a sentire il respiro dell'altro addosso, ed i loro cuori battevano all'unisono, formando la melodia più bella che avessero mai sentito. E quando finalemente le loro labbra si sfiorarono, tutta il tempo dell'attesa ne valse la pena, facendo sprigionare un'emozione incredibile e l'estasi dei sensi; mentre con passione e con impazienza, con amore e confidenza le loro labbra si toccava tra di loro, sentivano di essere arrivati al punto tanto desiderato e tanto anelato.
Quel bacio era il simbolo dell'innocenza e del loro amore puro, un misto di tenerezza e di gioia che nessuno si sarebbe aspettato trovare in quei due ragazzi.
Dopo quel bacio, durato infinitamente poco rispetto a quello che desideravano, non riuscivano più a staccarsi l'uno dall'altra, illuminati solo dalla luce gelida della Luna piena.
Castiel l'accompagnò fino alla porta, senza riuscire a staccarsi da lei, per poi salutarla dandole un bacio sulla fronte ed un ultimo su quelle labbra così vellutate.
Jay chiuse la porta alle sue spalle appoggiandosi ad essa e tutta l'emozione che stava trattenendo le fece cedere le gambe e si mise a sedere a terra, sul quel pavimento così freddo; non sapeva dirsi se era il pavimento ad essere freddo o lei ad essere calda, sapeva soltanto che senza Castiel sentiva un certo freddo che in sua presenza non provava. Era troppo eccitata e troppo contenta per poter riuscire a dormire, ma doveva assolutamente perché il giorno dopo sarebe stata tutta la giornata con il suo ragazzo che finalemente aveva deciso ad aprirsi. La prima cosa che fece fu quella di riempire la vasca da bagno e nell'attesa che si riempisse si mise a saltare sul letto, stringendo più forte che poteva il suo cuscino rosso.

 

                                                                                       ****

 

Jay si svegliò alle sette di mattina, troppo ansiosa per dormire e troppo eccitata per poter aspettare il suo ragazzo nel letto a poltrire; quindi si alzò ed iniziò a prepararsi, non sapendo l'orario in cui Castiel sarebbe venuto a prenderla.
Sentì bussare.
Ma non era alla porta, stavano bussando alla sua finestra, scostò le tende e vide Castiel appollaiato sul ramo di fronte alla sua finestra.
«Abbiamo preso la buona abitudine di chiudere questa finestra» le disse quando la ragazza le aprì i batenti per farlo entrare.
«Non si sa mai, qualche ragazzaccio potrebbe approfittarne per entrare» lo punzecchiò mentre lo salutava con un bacio. Era così bello averlo tra i piedi a qualsiasi ora, in qualsiasi posto, l'importante era averlo accanto a sé.
«Devi smetterla di entrare dalla finestra, i vicini chissà cosa penseranno» esclamò sorridedogli maliziosa.
«Lasciali pensare, che neanche pensano troppo male.» le rispose prendendole il viso tra le mani e baciandola come se non ci fosse un domani. La prese in braccio, indietreggiando ed adagiandola sulle coperte ancora sfatte di quel morbido letto; la ragazza non disse nulla in contrario, anzi, iniziò a baciarlo anche lei con tutta la passione che aveva in corpo. Castiel la faceva sentire bene, anche solo con il suo respiro accanto al suo, tra un bacio e l'altro che li portava nel vortice della passione e della perdizione. Il ragazzo prima la baciava sulle labbra, poi sul collo, scendendo sempre di più, fino alle clavicole, per poi tornare ad inebriarsi del nettare divino delle sue labbra rosse. I loro corpi erano vicini, ma ancora di più i loro cuori, che in un tornado di emozioni si stavano sovraccaricando portandoli all'apice del loro amore.
«Jay, sono io, la tua zietta; sono passata a salutarti cara.»
La porta d'ingresso si chiuse rumorosamente.
Jay e Castiel si bloccarono all'improvviso, mentre nella loro testa e nei loro cuori stava cessando la più bella sensazione che avessero mai provato in vita loro; i due ragazzi si alzarono di botto dal letto, Jay si mise subito ad aggiustarsi i capelli, i vestiti, che si stavano stropicciando addosso, e schiarendosi la voce scese le scale in fretta rispondendo alla zia che era entrata nel suo appartamento proprio sul più bello, mentre Castiel la seguiva, con il suo solito fare in maniera più pacata e meno frenetica.
«Oh tesoro, pensavo stessi ancora nel letto. Ti ho appena svegliata vero?» le disse la zia stringendola in un abbraccio veloce.
«Ma no, figurati zia.» rispose a bassa voce ed arrosendo sulle guance.
«Hai davvero un bel colorito ed un'espressione raggiante oggi, tesoro. Se non fosse per quei capelli non si direbbe proprio che ora scendi dal letto.»
«Eh già..»
Castiel si affacciò nella cucina dove stavano parlando zia e nipote e con un mezzo sorriso salutò la zia.
«Oh carino, ci sei anche tu, che piacere vederti! Dovevo immaginarlo, di chi poteva essere quella moto parcheggiata fuori!» disse la zia stringendo in un abbraccio inaspettato anche lui.
«Cosa ci fai qui così presto?»
Castiel e Jay distolsero lo sguardo da quella simpatica signora che li stava osservando interamente e solo in quel momento realizzò il fatto nella sua integralità.
«Oh cielo... Sono desolata ragazzi. Vi lascio soli. Scusate ancora!» disse prendendo la sua borsa ed uscendo di casa in tempo record.
«Te lo avevo detto che qualcuno avrebbe pensato male» disse Jay in una risata isterica.
«Forza andiamo, devo presentarti una persona» e prendendola per mano la portò alla sua moto fuori al giardino.
In un quarto d'ora circa arrivarono a casa del ragazzo.
Scesi dalla moto sentì Demon che da dietro il cancello iniziava a saltare, contento di rivedere quella sua amica a cui voleva tanto bene; appena entrati Jay fu letteralmente bloccata da quel cagnolone che le impose di fargli le coccole per farsi perdonare di non essersi più fatta vedere. Solo quando Demon si considerò soddisfatto la lasciò libera di continuare a camminare indisturbatamente. Castiel la prese per un fianco, portandola con sé al piano di sopra, passando per quelle scale che, anche se le aveva viste una sola volta, le sembravano già così familiari. Arrivati in cima le fece segno di aspettare e si avviò nella parte del corridoio incassata nel muro, dove la volta prima Jay aveva visto una camera da letto matromoniale; il ragazzo sparì dietro una porta di monago e ne uscì pochi minuti dopo, facendole segno di seguirlo. Spalancò quelle porte che fino a quel momento erano state chiuse e prendendo Jay per mano l'accompagnò all'interno della stanza. Illuminata era tutta un'altra storia, la carta da parati molto classica e con tonalità che ricordava l'oro brillava sotto la luce dei raggi di sole e si rifletteva su tutto l'arredamento composto per la maggior parte da mobili di legno.
«Jay, lei è Eleonoire.»

 

Una mano si allungò verso di lei in modo amichevole.
Una bella signora dai capelli neri raccolti in uno chignon le stava porgendo la mano; il suo viso era scavato e la carnagione pallida faceva risaltare i suoi occhi verde smeraldo. La sua espressione, anche con un sorriso stampato sulla faccia, le trasmetteva un senso di sofferenza e di tristezza.
Era seduta nel letto, con addosso una coperta fin sul grembo ed uno scialle leggero sulle spalle.
«Mio figlio ha la malsana abitudine di chiamarmi per nome; non mi da mai la soddisfazione di chiamarmi mamma»
Jay si avvicinò a quella donna che una volta strettole la mano la tirò a sé e l'abbraccio più forte che poteva.
«Sei una benedizione ragazza mia»
Castiel guardava la scena appoggiato alla stipite della porta, fin quando non incrociò lo sguardo della madre.
«Ho capito, vi lascio sole» disse alzando le mani in alto ed andandosene via.
«Finalmente ho il piacere di conoscerti cara, non sai da quanto tempo aspettavo questo momento. So che vorresti delle risposte ad alcune domande che ormai ti girano in testa da un po'. Ad alcune di quelle posso risponderti io» asserì sorridendole dopo un colpo di forte tosse.
Jay senza pensarci prese il bicchiere d'acqua che stava sul comodino di fianco al letto e lo porse ad Eleonoire che prendendone un sorso le ripetè:
«Sei una benedizione.»
Allungò una sua mano lunga ed affusolata e strinse quella di Jay che si trovava accanto a lei, facendola sedere sul letto ed iniziò a raccontarle quello che tanto aveva voluto sapere.
«Cosa vuoi saper per prima cosa? Direi di cominciare dall'inizio, sei d'accordo?
La cosa successe molti anni fa, quando io, Castiel e Tony eravamo una famiglia del tutto normale, come tante altre, felici e spensierati. Antony era un astronomo..» le disse indicandole un uomo sulla foto che aveva sul suo comodino,era lo stesso che era raffigurato nelle foto sul caminetto del salone.
«...ed era follemente innamorato del suo lavoro ed adorava passare le serata fuori al giardino con suo figlio a descrivergli le costellazoni e le stelle che ci sono nel cielo. Castiel era molto legato al padre, che in un modo o nell'altro lo viziava un po'; è lui che gli ha regalato Demon.
Io sono sempre stata una madre apprensiva, sapevo che Castiel poteva prendere da me la salute cagionevole e non sono stata mai il tipo di mamma troppo permissivo; mentre Tony... Tony gliele faceva passare quasi tutte per buone, lo coccolava e lo trattava come un principino; entrambi lo amavamo e lo coccolavamo, ma lui è sempre stato più aperto espontaneo con i suoi sentimenti, mentre io sono sempre stata più chiusa. Il nostro piccolino era un bambino così tranquillo, a modo, educato e giocoso e cresceva tranquillo nella quiete della nostra famiglia. Eravano così felici insieme e niente poteva intaccare il nostro piccolo nido d'amore. Poi accade l'impensabile. Stavamo tornando da un picnic, poco lontano da qui, su una collinetta da dove si poteva vedere tutta la città, e ci è voluto un attimo, solo un'istante per mandare tutto in fumo.»
Dal fondo del corridoio, si sentiva Castiel che suonava la sua chitarra acustica, creando un sottofondo melanconico che calzava a pennello con il racconto di Elenoire.
«Bastò un attimo e perdemmo il nostro amato Tony. Le cose non tornarono mai come prima, sia per me che per Castiel; lui aveva perso la sua spensieratezza di bambino e si era chiuso in sé stesso, non parlava quasi più e con gli altri bambini faceva il prepotente, non riusciva più a relazionarsi in maniera appropriata. Molte volte fui convocata per parlare con le maestre ed ogni volta ripetevo che sarebbe tornato il bambino di una volta, anche se ripetendolo così tante colte penso che stessi cercando di convincere me stessa più che loro. Da allora Castiel è cambiato e così anche la nostra vita; senza Tony la casa è rimasta vuota, spenta, priva di vita, e quella che io chiamavo la mia salute cagionevole si rivelò essere altro. Dopo l'incidente ci portarono all'ospedale per fare dei controlli, per accertarsi che stessimo bene, ma i miei risultati riportarono qualcosa che segnò ulteriorlmente le nostre vite. Non sto bene, Jay, non vogli angosciarti con i miei problemi e la mia malattia, ma sappi che la cosa non è una sciocchezza; è solo da questa settimana che sono tornata in casa mia, ho passato mesi e mesi in diverse cliniche, cercando di guarire e forse ora siamo ad un bivio positivo. Il dottore che mi ha visitato ieri si chiede come sia possibile che in così poco tempo le mie condizioni siano migliorate.»
Il suono della chitarra si interruppe all'improvviso, dando più risalto alle parole della donna, che ora rimbombanano nella casa, come unica fonte di rumore.
«Ma io il motivo lo so, e sei tu, mia cara. Grazie a te Castiel sta tornando quello di una volta, non si sta mettendo più nei guai e sta iniziando a sorridere di nuovo. E' dal primo giorno di scuola che non fa altro che parlarmi della ragazza nuova, di quanto sia impacciata, buffa, in gamba, fantistica ed incredibile. Ogni giorno, quando trona da scuola e gli chiedo com'è andata non fa che parlarmi di qualcosa che riguarda te, ed ogni volta che lo fa, sorride. Capisci? Mio figlio sorride. Tutte le votle che ti ha lasciata da sola è stata per colpa mia, anche se gli ho ripetuto più volte di sentirmi meglio, basta che una volta abbia un calo di pressione che lo chiamano per farlo tornare immediatamente da me; sono io quella famosa lei e mi dispiace avertelo rubato per più volte.
Ultimamente è venuto a trovarmi quel ragazzo tanto caro e simpatico che andava in classe con Castiel.. come si chiamava? Ah, si Nathaniel. Nonostante mio figlio lo tratti sempre male, lui ci è sempre stato vicino, e mi ha raccontato di come in questo anno Castiel non abbia fatto nessun grosso guaio. Erano anni che mio figlio entrava ed usciva dalla presidenza, e tu, in pochi mesi, sei riuscita a cambiarlo in meglio; conosco anche io qualcosa della tua storia, so che sai cosa significa sentirsi emarginati, sentirsi soli. So anche che tu non hai più nessuno accanto a te, se non tua zia, ma se mi concederai l'onore di questa occasione, vorrei esserci io per te, a patto che tu ci sia sempre per mo figlio.»
Quelle parole così sincere e spontanee, nate dal cuore di quella donna le faceva affiorare le lacrime agli occhi; sapeva cosa significava perdere una persona cara ed importante come la propria madre, e Castiel erano anni che se la stava vedendo portar via dalla malattia, senza che lui potesse fare niente.
Elenoire le strinse ancora di più la mano tra le sue e guardandola con i suoi occhi verdi ed intensi le chiese di prendersi cura di suo figlio.
Jay ricambiò la stretta e piena di vita si alzò in piedi di scatto, sorridendo alla donna che la guardava sempre più entusiasta e contenta.
«Le darò io una mano a tenere d'occhio Castiel, non si preoccupi; lo terrò a bada io quel ragazzaccio» rise facendole l'occhiolino. «Non ritengo di sapere ogni minima emozione, sensazione o dolore che abbia provato, ma sono sicura di capire la situazione e le varie conseguenze che ci sono state; non credo che dobbiamo basare tutta la nostra vita sugli eventi passati, ne dovremmo parlare, ci dovremmo riflettere sopra, ma la cosa essenziale è vivere ogni giorno al meglio, e pensare al nostro futuro, imparando anche dal passato. Non crede anche lei Eleonore? E quando si sentirà meglio andremo tutti e tre insieme su quella collina, a fare un picnic tutti insieme, in modo da farle riprovare quella sensazione di tranquillità e normalità ancora una volta, e poi un'altra ancora e così via. Può contare su di me, non vi lascerò per nessun motivo al mondo.»
Elenoire aveva gli occhi lucidi e con la voce strozzata in gola riuscì soltanto a ripeterle la stessa frase:
«Sei una benedizione, grazie» Poi dopo aver preso un altro sorso d'acqua si schiarì la voce e continuò a parlare. «Aspetta un attimo, abbiamo un ospite che sta origliando da dietro la porta; forza entra, potevi dirmelo se volevi restare con noi»
Castiel voltò l'angolo ed entrò nella stanza, con le braccia incrociate, e le guance leggermente rosse per l'imbarazzo, con un lieve sorriso accennato.
«Vedi Jay, è di questo che parlavo, guarda.»
Castiel si sentì i riflettori puntati contro e tornò a mostrare la sua faccia rude e scocciata; ma Jay gli sorrise e lo prese sotto il braccio, portandolo a sedere accanto a lei e la madre; il ragazzo si trovava seduto in mezzo alle due donne, le due donne più importanti della sua vita.
«In voi, rivedo molto la coppia che eravamo io e mio marito tanto tempo fa, ma cosa ci fate ancora qua? Andate forza, uscite, passate il vostro tempo insieme all'aria aperta, godetevi questa giornata di sole» disse sorridendo ai due ragazzi e facendoli scendere dal letto.
Jay guardò Elenoire un po' preoccupata, non voleva lasciare una donna così speciale da sola senza alcuna compagnia; in questo poco tempo che aveva trascorso insieme erano riuscite già a stabilire un forte legame tra di loro e l'affetto non si risparmiava. Quella donna, così fragile all'apparenza, ma così forte all'interno, la considerava già come parte integrante della loro famiglia senza aspettare neanche un minuto di più e Jay non se la sentiva di lasciarla ad annoiarsi da sola in quel letto.
«Tranquilla» le disse Elenoire capendo al volo il suo rammarico «A minuti dovrebbe arrivare un mia cugina a farmi compagnia, vai pure tranquilla, starò bene, dopo averti incontrata mi sento molto meglio» Jay si avvicinò al letto a l'abbracciò forte, poi Castiel le rimboccò le coperte e le disse qualcosa nell'orecchio, la madre annuì stancamente senza dire niente con gli occhi inumiditi.
Castiel prese per mano Jay, ed appannò la porta della stanza della madre, per poi scendere le scale il più velocemente possibile, attraversando il piccolo giardino ancora più in fretta per non farsi bloccare la strada dal suo cane a volte un po' troppo affettuoso rispetto a quello che lascia intendere il suo nome.
Si infilarono i caschi e salirono in moto.
I due ragazzi passaro la giornata in campagna, vicino ad un campo di grano, godendosi la vista che potevano ammirare da quella posizione; e parlarono, eccome se parlarono! E si avvicinarono sempre di più; per la prima volta, Castiel di sua spontanea volontà, le stava parlando di suo padre, di quel poco che ricordava di quando passava il suo tempo con lui da piccolo, di come gli avesse insegnato il nome delle stelle e di quando gli aveva regalato Demon. Il tempo trascorreva in fretta e tra una storia ed un bacio, arrivò il tramonto; Jay si alzò in fretta da terra e tendendo un braccio al suo ragazzo gli diede una mano ad alzarsi. Castiel la guardava un po' confuso, non capiva come mai non volesse godersi quella vista meravigliosa che avevano ai loro piedi. La ragazzo lo costrinse a rimettersi il casco e tornare in sella dicendogli di tornare in fretta nel suo quartiere prima che si facesse troppo tarsi. Arrivati davanti casa della ragazza, lei saltò letteralmente giù dalla moto, si sfilò il casco e lo passò a Castiel, che dopo averlo messo apposto, raggiunse la ragazza che stava correndo dall'altra parte della strada; la seguì ed imboccarono una stradina laterale che li condusse nel mezzo del verde proprio di fianco al parco centrale della città.
«Potevamo restare lì se volevi stare nel verde, no?»
Jay gli sorrise e lo prese per mano, continuando a correre verso il cancello del parco, mentre il custode lo stava chiudendo.
«Un attimo, la prego, facciamo in fretta, ci dia solo cinque minuti, è importante.»
Il custode non poteva rimandare la chiusura, ma guardando gli occhi imploranti di Jay, capì l'importanza che la cosa aveva per la ragazza e senza guardarli in faccia disse: «Cinque minuti precisi.»
Jay urlò un grazie mentre continuava a correre portandosi dietro Castiel ed insieme attraversarono la siepe che li divideva da quell'angolo appartato di cui nessuno, neanche il custode, era a conoscenza. Prese le lettere dalla borsa e le porse a Castiel, facendogli segno di rimetterle a posto.
Il ragazzo la guardò incredula, si era fatta tutta quella corsa per rimettere a posto le lettere che avrebbe potuto benissimamente restituirgli senza obbligarsi a riportarle lei di persona; ma ci teneva, voleva essere insieme a lui quando le avrebbe restituite a quel rifugio segreto, quella cassetta postale che arrivava dritto al ricordo del padre.
Castiel prese in mano le lettere, strette nel loro nastrino rosso, e cacciò di tasca un pezzo di carta leggermente stropicciato, che le porse senza dirle niente; cacciò dal gruppo una lettera e gliela mise in mano insieme a quel pezzo di carta che le aveva dato pochi secondi prima.
«Questa, voglio che la tenga tu.»
Mentre Castiel attraversava il filare di alberi per trovare il suo albero cavo per riporci di nuovo le lettere, Jay rimase al suo posto, con gli ultimi raggi di sole che le illuminavano il viso, tingendola di arancione e rosa. La busta che le aveva dato era quella che riportava la data di quell'anno, ed aprendo il pezzo di carta stropicciato che le aveva dato per primo, vide che era la continuazione di quella lettera. Prese la prima parte della lettera per rileggere l'ultima frase per potersi ricollegare all'ultimo pezzo.

 

Sai papà, è da tempo che non incontro una persona così speciale ed in gamba come te; in molte cose mi ricorda te in effetti, siete tutti e due molto impacciati e fate quelle espressioni...
...così buffe quando vi sentite in imbarazzo; anche lei è molto curiosa ed ogni volta che la vedo mi vieni in mente tu.
Non credo che finirà per il verso giusto questa storia, sono stato troppo vigliacco per meritarmi di stare con lei; Elenoire dice che passerà, che capirà e mi perdonerà.
Ma l'unica cosa che so per certo è che provo qualcosa per lei, qualcosa di forte, di inspiegabile con le parole, indefinibile ed inquantificabile.
Papà, io penso proprio di amarla.

 

Castiel tornò indietro correndo e la portò dietro di sé per tutto il parco, raggiungendo il più velocemente possibile il cancello per non tardare ulteriormente e non far passare un guaio a quel custode che era stato così disponibile nei loro confronti; con un cenno lo ringraziò mentre passavano davanti a lui, percorrendo a ritroso la strada che avevano fatto all'andata di corsa. Jay era rimasta spaesata dopo aver letto la parte finale della lettera: leggerlo nero su bianco, scritto dalla mano di Castiel rendeva il tutto ancora più reale e concreto.
Mentre camminavano per il quartiere, per tornare alla moto, incontrarono Ambra e Nathaniel che stavano tornando a casa.
«Oh, ancora con questa malsana idea di stare con Castiel? Non ti basta fare la gattamorta con mio fratello?» le imbeccò immediatamente quella strega bionda appena la vide.
Ambra le si avvicinò in modo minaccioso, alzando una mano per darle uno schiaffo, ma prima che potesse farlo, qualcuno prendendola per il braccio la fermò.
«Smettila Ambra, non posso crederci nenache a vederlo che ti comporti come una bambina viziata; non serve che ti ostini tanto in questo tuo dramma, guardali! Non vedi che sono innamorati? Mi vergogno per te, non ti sei mai comportata così, devi finirla!» Era la prima volta che vedevano Nathaniel sgridare sua sorella con tanta foga.
Ambra se ne andò via rossa in volta per la rabbia senza aspettare il fratello; Castiel guardò sorpreso quel ragazzo biondo che era stato sempre così calmo e serafico, che da anni difendeva sua sorella senza voler sentire alcuna ragione.
«Mi sorprendi signor segretario delegato, non pensavo avessi tanta energia»
«Ti invidio sai, Castiel... invidio il fatto che tu abbia trovato una ragazza come lei, che ti ama e ci tiene davvero a te. Trattala bene o ne dovrai rispondere a me.»
«Non ho la minima intenzione di farlo o di mettermi a discutere con te, quindi non lo avrei fatto in alcun caso»
Nathaniel sorrise.
«E' da questo che si capisce che questa ragazza ti fa solo bene, fino a pochi mesi fa avresti usato il pretesto per mettermi le mani addoso. Devo lasciarvi ora, vado a recuperare Ambra.» e se ne andò a passo svelto superandoli.
Arrivarono davanti casa di Jay e si andarono a sedere sotto il porticato di casa, restarono in silenzio, uno accanto all'altra, godendosi ogni secondo dello stare insieme senza aver bisogno di aggiungere nient'altro.

 

 

«Cos'hai detto a tua madre prima di uscire?» chiese con un soffio di voce la ragzza, con la testa appoggiata sulla spalla del ragazzo.
«Uhm?»
«Ma si, quando le hai rimboccato le coperte, le hai detto qualcosa nell'orecchio e lei ha annuito»
«Ah si, le ho chiesto una cosa»
«Che cosa?»
Castiel la guardò negli occhi.
«Le ho chiesto: Mamma, è quella giusta?»
I due si baciarono mentre il sole scompariva completamente dietro i palazzi, inaugurando una nuova vita da coltivare e condividere insieme, nei bei momenti e in quelli tristi, nelle situazioni di crisi ed in quelle prospere, nella buona e nella cattiva sorte.

 

Untll Death.

 

 

 

 

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Commento dell'autrice:

Siamo arrivati alla fine a quanto si può intuire.
Until Death” è stato il capitolo finale di questa fan fiction a capitoli che spero vivamente sia piaciuta a tutti quelli che l'hanno letta.
Un grazie doveroso è per tutti voi, si anche a te, anzi, soprattutto a te che stai leggendo ora questo, ti ringrazio per aver letto ogni singolo capitolo, ogni singola parola, di aver percepito ogni sentimento ed emozione che sono intrinsechi in queste lettere messe una di seguito all'altro.
Until Death fa pensare a qualcosa che porterà alla tomba, alla fine dei tempi, ma questo titolo è così bello che forse lo userò per una nuova storia, chissà, è tutto da vedere.
E' stato bello condividere con tutte/i voi questa avventura, spero di rivdervi sempre più spesso a leggere le mie storie.
Un bacio ed alla prossima!


 


Jay Myler 
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