Le stelle non sono niente senza Cielo!

di HildaGreen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tredici anni fa... questa è un'altra storia! ***
Capitolo 2: *** Comincia... Così! ***
Capitolo 3: *** Ultima occasione ***
Capitolo 4: *** Sora in difficoltà? ***
Capitolo 5: *** Come siamo finiti così? ***
Capitolo 6: *** Piangere con il cielo ***
Capitolo 7: *** La prima anima ***
Capitolo 8: *** Giraffe? No, panda! ***
Capitolo 9: *** La tristezza in uno sguardo ***
Capitolo 10: *** La speranza in poche righe ***
Capitolo 11: *** Arigato, Kid! ***
Capitolo 12: *** Freddo...Freddo... che freddo! ***
Capitolo 13: *** Paura e gelosia ***
Capitolo 14: *** Caldi ricordi ***
Capitolo 15: *** Bianco come la morte... ***
Capitolo 16: *** Il segreto di Eis ***
Capitolo 17: *** Anime in sintonia ***
Capitolo 18: *** Il passato di Eis ***
Capitolo 19: *** Eternal Night ***
Capitolo 20: *** Il mio Cielo ***
Capitolo 21: *** La dichiarazione di Sora ***
Capitolo 22: *** Il nuovo studente ***
Capitolo 23: *** Il piano di Lealia ***
Capitolo 24: *** La stessa melodia ***
Capitolo 25: *** Death City in pericolo ***
Capitolo 26: *** Il guerriero oscuro ***
Capitolo 27: *** Defeat ***
Capitolo 28: *** Una speranza per il futuro ***
Capitolo 29: *** Risveglio ***
Capitolo 30: *** Kazoku ***
Capitolo 31: *** Le lacrime di Eis ***



Capitolo 1
*** Tredici anni fa... questa è un'altra storia! ***


Tredici anni fa… questa è un’altra storia!

I ragazzi stavano al campo da basket, in attesa, ma Maka era più assorta nel suo libro.
Soul stava battendo un piede a terra con impazienza, poi, si volse verso gli amici.
«Come mai questa volta ci sei anche tu?»
«Purtroppo mi si sono rotte le unghie… ormai non ho nulla da perdere» rispose Liz che si stava proprio guardando le mani. «E proprio oggi siamo in pochi.»
Maka sollevò gli occhi per un istante, sperando che non la costringessero ancora a giocare e, proprio in quel momento, arrivò di corsa Black Star.
«Finalmente sei arrivato» disse Soul.
«Come mai così in ritardo?» Domandò Kid.
Senza dagli tempo di rispondere, Liz fece un’altra domanda. «Ma scusa, dov’è Tsubaki?»
Aveva appena aperto bocca quando…
«Giraffa!»
Tutti si voltarono verso Patty, sorridente, poi, l’attenzione tornò su Black Star, che finalmente poté spiegare tutto.
«E come sta?» chiese Maka, che aveva chiuso il libro e si era avvicinata.
«Adesso sta a letto» rispose. «Mi aveva detto che io potevo venire a giocare, ma sono venuto solo a dirvi questo.»
«Potremmo andare a trovarla» propose Maka.
«Magari un’altra volta, preferisco farla stare tranquilla.»
Volse le spalle e alzò la mano. «Ci vediamo!»
Lo salutarono, poi Soul tirò la palla a Maka, che sbuffò.
 
Black Star andò in camera da letto, trovando le lenzuola a terra. Sentì dei rumori e corse in bagno.
Vide Tsubaki china sul lavandino ed accorse, tenendole i capelli indietro.
Non gli aveva mai fatto senso il sangue, le ferite e tutto il resto, ma questo gli faceva sentire lo stomaco sottosopra.
«Come stai?» le chiese, una volta che ebbe finito con ancora qualche colpetto di tosse.
Lei rimase a testa bassa. «Non è nulla.»
L’aiutò a pulirsi e insisté per farla rimettere a letto con lui seduto sul bordo.
Lei era in quel letto dalla mattina, non aveva sonno, avrebbe voluto andare a vedere in che disastro era coinvolta la casa ora che non poteva mettere in ordine e le dava fastidio stare lì senza far nulla.
Era sempre stata lei a prendersi cura di Black Star ed ora non gli riconosceva tutta questa premure che, tuttavia, le piaceva.
«Hai bisogno di qualcosa?»
«Nulla…»
«Hai sete?»
Sospirò, almeno questo glielo lasciò fare.
Lui andò nella stanza più grande ed aprì il frigorifero, ma poco prima di prendere la bottiglia, si bloccò, pensando che forse l’acqua era troppo fredda, però non voleva neanche aspettare che si riscaldasse, quindi la prese e, senza pensarci si infilò la bottiglia sotto la maglietta.
Strinse i denti per il freddo e quando Tsubaki lo vide arrivare con un bicchiere, non riuscì a non notare la maglietta bagnata.
Lei si tirò su e lui la aiutò persino a bere.
«Perché non sei rimasto con Soul e gli altri?»
Lui si chiese se parlava sul serio o meno, gli pareva ovvia la risposta.
«Preoccupati di te stessa per una volta.»
 
Quella notte Tsubaki ci mise molto ad addormentarsi e lui aveva aspettato sveglio con lei, appoggiata sul suo petto.
Non era il massimo della comodità in quel piccolo letto, avrebbe fatto meglio se ci avesse unito il suo, infondo su quei letti avevano fatto più che dormirci solamente.
Per la testa gli balenò un pensiero, che poi giudicò assurdo, era impossibile… beh, per la verità, no.
 
«Adesso come stai?»  domandò Maka.
«Va molto meglio, però Black Star non vuole che mi alzi.»
«Sai, non ce lo vedo proprio Black Star a comportarsi così» commentò Liz.
Tsubaki le sorrise, arrossendo sulle gote.
«Piuttosto, a voi come va?»
Liz alzò gli occhi, pensando, facendo ridere Patty. «Come al solito… Può anche essere cresciuto, ma Kid ha ancora le sue manie.»
Maka era rimasta per un po’ in silenzio. «Hai pensato di fare il test?»
Tsubaki si lasciò cadere sul cuscino dietro le spalle e si prese qualche secondo per pensare. «Dovrei?»
«Che altro potresti avere sennò?»
«E poi è piuttosto evidente che c’è qualcosa tra di voi.»
Tsubaki restò ancora pensare poi si rivolse a Maka. «Tu e Soul?»
La meister abbassò gli occhi con una falsa risata.
Liz si piegò a guardarle il viso. «Vuoi dire che non avete ancora…»
Lei scosse la testa, con la stessa espressione, mentre Patty le rideva dietro.
«State insieme da anni!»
Tsubaki fissava il soffitto, poi, portandosi una mano al ventre, si guardò. Era davvero possibile tutto questo?
 
Black Star rientrò a casa e solo in seguito si accorse che le luci del soggiorno erano accese e che non c’era tutto il disordine che aveva lasciato.
Andò nell’altra stanza, trovando la ragazza seduta sul divano, occhi chiusi e braccia sul ventre.
«Tsubaki.»
Lei aprì gli occhi, svegliandosi dal leggero sonno.
Prima di ripeterle per l’ennesima volta di restare a letto, la lasciò parlare.
Le si piazzò davanti, ma doverlo guardare in quel modo, da così in basso, rendeva tutto più difficile.
«Questo è il nostro ultimo anno alla Shibusen… Ed io, Black Star… mi dispiace davvero tanto, ma penso di dovermi ritirare prima.»
Al ragazzo stavano passando per la testa i pensieri più assurdi: aveva forse scoperto che le rimanevano pochi mesi di vita? I suoi genitori volevano farla tornare a casa? Non voleva più essere la sua arma?
«Tsubaki…»
Lei lo guardò, era serio in volto.
«…Ti giuro non lascerò più la casa in disordine, ma ti prego, resta la mia arma!»
Si era persino messo in ginocchio, alla sua altezza.
«Eh?»
Prima lo guardò perplessa, poi si mise a ridere con una mano davanti alla bocca.
«Ma no, Black Star. Io sono incinta.»
Lui aveva spalancato gli occhi. «Di chi?»
«Ma che domande fai?»
Era rimasto senza parole, poi scosse la testa e le prese le mani. «È fantastico!»
«No… non sei arrabbiato?»
«Perché dovrei?»
La abbracciò, premendo la testa contro il suo ventre e sentì la sua mano sulla testa.
Lei sorrise. «Però… non mi dispiacerebbe se lasciassi tutto in ordine!»
 
E qui sono terminate le anticipazioni! Adesso arriva il bello… ovviamente il meglio sono io!




In attesa del prossimo capito di Sacrifice (voglio tenervi sulle spiene), pubblico quest'altra long
Spero tanto che vi piaccia, fatemi sapere
*Tsutsu*

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Capitolo 2
*** Comincia... Così! ***


Comincia... Così!


Ginocchia alte, petto in fuori, sguardo che punta sempre in alto… si, era perfetta!
Si fermò in cima alle scale, guardò la Shibusen, sicura che l’avrebbe fatta cadere ai suoi piedi, dopotutto, cos’era impossibile per lei?
Respirò a fondo, poi si avviò verso l’entrata a passo sicuro, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli azzurri, dei ciuffi legati in una piccola treccia accanto al viso, adornato da un fiorellino rosso.
Inoltre, i capelli non erano la sola cosa a muoversi… Ai ragazzi l’occhio cadeva sempre lì, sui suoi grandi seni, sempre in vista, dopotutto, perché nascondere una simile bellezza?
Sembrava una ragazza come tante… finché non le parlavi.
 
«Oh oh, benvenuti alla Shibusen! La scuola per Armi e Maestri d’armi, volta a mantenere la pace nel mondo!»
E questo era stato il… discorso del Dio della Morte ai nuovi arrivati, dopo il quale, suo figlio tentò di rimediare.
Appena lo vide, sulle guance della ragazza, comparve un leggero rossore… si, quello era il modo migliore per chiuderle la bocca.
Aveva una cotta per lui da quando aveva otto anni, era stato un compagno di classe e amico dei suoi genitori, davanti a lui non si riconosceva tant’era tesa.
Era perfetto per lei, bello, ricco ed era uno shinigami!
Se solo non ci fossero state quelle due pistole… lo avrebbe voluto tutto per lei, dopotutto era la migliore, anche se lui trovava sempre la scusa che, impugnandola, non sarebbe stato simmetrico.
Probabilmente la giudicava solo una bambina, l’aveva praticamente vista nascere…
Sentì una risata e si voltò.
«Questo è l’unico momento in cui si può stare vicini a te!»
Lei lo guardò male, tenendo un broncio da bambina.
Si chiamava Eis, veniva dal nord Europa. Aveva i capelli argentati, sulla nuca e vicino alle orecchie neri e gli occhi indaco.
Era l’unico che avesse il coraggio di parlarle in tutta la scuola.
«Idiota.»
«Esibizionista.»
«Pervertito.»
«Egoista.»
Tra di loro andava sempre a finire così, potevano continuare per ore, finivano solo quando qualcuno li interrompeva, questa volta fu lei a finire per prima.
«Mi hai fatto perdere il discorso di Kid!»
«Tanto lo ascolterai anche l’anno prossimo… e l’anno dopo ancora, nessuno avrà mai il coraggio di diventare il tuo meister.»
«Non ho bisogno di un meister per combattere! E tu perché sei qui?»
«Guardo le nuove arrivate.»
Le venne un tic all’occhio. «Che pervertito!»
«Parla la ragazza con le tette di fuori!»
Uno scroscio di applausi li interruppe e sul suo viso comparve un sorriso.
Quando Eis tornò a guardarla, lei era sparita, non fece in tempo neanche a sospirare che…
«YAHOO! IMPRIMETEVELO BENE IN QUELLA TESTA VUOTA SFIGATI: IO SONO, LA MIGLIORE, COLEI CHE TRASCENDE GLI DEI!»
Non si riusciva proprio a capire da dove prendesse tutta quella voce, lei, che quando parlava  normalmente le serviva un amplificatore.
«INCHINATEVI ALLA GRANDISSIMA ME! IL MIO NOME È SORA!»
 
Eis aveva un’espressione estremamente compiaciuta e serena. «Senti? Che pace!»
Lei lo fulminò con lo sguardo.
«Tutti i giorni la stessa storia, continuando così non potrai neanche più parlare» disse la dottoressa dopo averla controllata. «Sei proprio come quell’idio… come Black Star.»
Sentendo quel nome, la ragazza avrebbe voluto dire qualcosa, ma Eis la prese per le spalle e la trascinò via.
«Voleva dire che la ringrazia, di scusare il disturbo… e che ha delle belle gambe!»
Sora gli pestò il piede e corse via, inseguita da lui.
«Sono davvero buffi quei due! Somigliano anche a te e Soul alla loro età» commentò Blair.
«Sarebbe bello poter tornare indietro a quei giorni!»





Per chi non lo sapesse, Sora significa cielo in giapponese, ad ogni modo, che ne pensate?
è la degna figlia di un dio?
A me piacciono molto anche le Fan Art, ho disegnato Eis... lui si che è cool!
Inoltre mi piace il rapporto che hanno lui e Sora, poi io non posso dire nulla, come autrice non riesco ad essere oggettiva.
Spero che continuerete a seguire le sue (dis)avventure!
Al prossimo capitolo!
*Tsutsu*
    

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Capitolo 3
*** Ultima occasione ***


Ultima occasione


Kid percorreva i corridoi della Shibusen, ma qualcosa si avvicinava a lui a grande velocità.
Se non sputò sangue, c’era andato davvero vicino, poiché la ragazza lo aveva colpito in pieno plesso solare. Lo faceva tutte le volte, abbracciarlo colpendolo di testa, probabilmente non si rendeva neanche conto del male che gli faceva.
Lui prese del tempo per riprendersi. «Hai trovato un maestro d’armi?»
Sora scosse la testa, gli occhi le luccicavano, un po’ come a lui quando vedeva qualcosa di simmetrico.
Ma perché non poteva essere la sua arma? Era una kusari-fundo perfettamente simmetrica e poi, era di lei che si parlava!
Kid le mise una mano sulla testa. «Scusami, ma devo proprio andare. Ci vediamo più tardi.»
Non lo lasciò andare facilmente ma, quando lo fece, rimase imbambolata fino al momento in cui scomparve dietro l’angolo.
«Non hai proprio niente da fare che starmi dietro?» Aggredì l’amico, che se la spassava dietro di lei.
Con le mani in tasca, Eis sollevò le spalle.
 
Entrarono in una stanza dove c’erano i nuovi studenti e tutti quelli che non avevano trovato ancora un partner.
Eis stava bevendo una lattina e Sora gli stava vicino, appoggiata al muro.
«Non hai ancora trovato un’arma?»
Lui si asciugò la bocca con la manica. «Vorrei averne due come…» voleva evitare di dire quel nome, o lei sarebbe andata di nuovo in tilt. «…chi sai tu… o anche più, l’importante è che siano belle ragazze.»
A lei tornò il tic all’occhio. «Sei disgustoso.»
Erano sul punto di ricominciare la solita scena, ma dei ragazzi si avvicinarono a loro.
«Hei! Tu sei un’arma, giusto?»
Eis, continuando a bere, li guardava di traverso.
«Non ti andrebbe di diventare la mia partner?»
«Buona fortuna…» commentò. «…Se rimanete vivi.»
Schiacciò la lattina, mentre l’arma si stava scrocchiando le dita.
«Pensate di essere alla mia altezza?»
Risero.
«Una ragazza difficile.»
«Almeno così è più divertente.»
La ragazza si schiarì la voce. «Ascoltatemi bene: l’illustre sottoscritta me medesima, è l’arma migliore che sia mai esistita, se foste nati shinigami, avreste avuto almeno un minimo di possibilità di diventare i miei meister. Poveri sfigati, restate ad ammirarmi e a sbavare!»
«Come ti permetti?!»
Il suo pugno era stato fermato da una catena, che lei tirò, facendogli sbattere la testa contro il muro.
Schivò il pugno del compagno e gli colpì il ventre con la catena.
Era in quel modo che aveva sempre combattuto: sola, anche se in questo modo non poteva sfruttare tutte le abilità ereditate dalla madre.
Non sbagliava completamente affermando di essere la migliore arma del mondo, già a due anni aveva cominciato a trasformare delle parti del corpo in arma, ma in più, possedeva la sicurezza e la forza del padre.
Era praticamente cresciuta alla Shibusen ma non aveva alcun amico, a parte Eis, ma non sapeva se definirlo tale, non ricordava nemmeno come avevano iniziato a parlarsi.
Dopo averli stesi, Sora mise le mani sui fianchi e puntò l’indice verso l’alto con espressione vittoriosa.
«Fin troppo facile, ma dopotutto, io sono la grande…»
Eis la guardò, poi piegò la testa, ridendo. «La dottoressa ti aveva detto di non alzare più la voce per oggi.»
Lei mostrò il suo broncio da bambina, odiava perdere la voce ogni volta, le capitava fin da bambina.
 
Sora respirò a fondo, la voce le era tornata... Ed eccola di nuovo che urlava.
«Sai benissimo che posso combattere da sola!»
«Beh, ma fin’ora non hai recuperato neanche un’anima, inoltre, in questo modo non puoi sfruttare tutte le tue abilità e potresti scoprire che avere un partner è molto meglio.»
«In questo caso… conosci uno shinigami? Magari bello e ricco?»
Lui tirò fuori l’enorme mano e le arrivò uno Shinigami-Chop in testa.
«E la tua scusa, Eis? Immagino sempre la solita…»
«Troppe ragazze! Non posso avere due armi? Meglio tre o… più…»
«Se non trovate un partner in una settimana, sarete e-spul-si tutti e due!»
Diede il tempo a Sora di una breve risata, prima di stenderla di nuovo.
I due uscirono dalla camera della morte e si misero su uno dei terrazzi della scuola, a vederli così sembravano due buoni amici o un maestro d’armi e la sua arma, loro sapevano solo che finivano insieme ogni volta, come se non avessero alternativa.
«Che farai?»
«Mi troverò un’arma.»
«Oh si, certo, so che tu non vuoi tornare nel tuo paese.»
«Tsk! Che ne sai tu?»
Questa volta sembrava veramente irritato, ma sembrava anche triste e lei smise di parlare, era estremamente serio e lei si accucciò sul muretto, rimanendo a guardare il sole che tramontava.
Sora sentì un rumore e si voltò, vedendogli tirare fuori una barretta e morderla.
«Me ne dai un po’?»
«No.»
«Perché no?»
«La cioccolata fa male alle ciccione come te.»
 

 

 
Io più vado avanti a scrivere, più adoro questi due!
Penso che sia prevedibile come andrà a finire, ma non vi aspettate il COME
Spero tanto che vi piaccia ^^
*Tsutsu*

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Capitolo 4
*** Sora in difficoltà? ***


Sora in difficoltà?


«Dove sono finiti?!»
«Li ho visti andare da questa parte prima.»
«Saranno sul terrazzo.»
«Dobbiamo assolutamente fargliela pagare!»
Spalancarono le porte e la loro determinazione evaporò di colpo vedendo quella scena: il meister era a terra con il braccio allungato dietro di lui e nella mano una barretta, mentre la ragazza gli stava praticamente mettendo i seni in faccia pur di prenderla.
«Scu-scusate il disturbo!»
L’amico lo afferrò per la camicia, vistosamente imbarazzato anche lui. «Hai dimenticato per cosa siamo qui?»
Intanto i due si erano voltati e li fissavano, non erano per nulla imbarazzati, come se quella fosse la cosa più morale del mondo e quindi, continuarono.
«Questa volta… ti sconfiggerò male…»
«Stupido!»
«Depravata!»
«Spilorcio!»
«EHIIIIIIIIIII!» Niente. Non lo ascoltavano proprio.
Eis si infilò tutta la barretta in bocca e la ingoiò senza masticarla, anche se per poco non si strozzava, cosa per cui, Sora rimase delusa.
«DICO A VOI!»
Si voltarono di nuovo.
«Ah… voi siete quelli di stamattina.»
«Basta! Non la sopporto più!»
«Combattete!»
Sora allungò le braccia. «Se vi fa piacere essere massacrati dalla sottoscritta, vi accontenterò.»
Le apparvero delle catene fra i capelli, una le compariva sul braccio direttamente attaccata alla pelle.
Uno dei tre ragazzi si trasformò in arma, una sciabola. «Ehi tu, slavato, per quanto intendi stare a guardare?»
Eis li guardò. «Non sono il suo meister.»
Non ebbero il tempo di dire nient’altro che Sora partì all’attacco.
«Siete qui per parlare o per combattere?»
La catena si piantò a terra, il ragazzo l’aveva evitata appena in tempo.
Mettendosi al suo fianco, cercò di colpirla, ma si parò con una catena, mentre un attacco le arrivava da davanti, dall’altro ragazzo.
Fece ruotare la catena e furono costretti ad allontanarsi e, prima che arrivasse un nuovo attacco, lei saltò sul muretto, contrattaccando dall’alto, ma il terzo ragazzo le comparve da dietro, in piedi su uno spuntone.
L’unica cosa che poteva fare per evitare entrambi, era saltare, e così fece.
Il ragazzo non la vide più e pensò che si fosse schiacciata contro il suolo ma lei fece dondolare la catena e lo buttò giù con un calcio, in seguito, si lasciò andare anche lei ed atterrò.
Ora si trovavano all’entrata della Shibusen ed avevano molto più spazio, inoltre, lui era rimasto solo, se lo avesse battuto prima che arrivasse l’altro, avrebbe avuto già la vittoria in tasca.
Ricominciò gli affondi con la catena, non riusciva a colpirlo ma gli impediva che la colpisse.
Riuscì a prendergli il polso con la catena e lo attirò a sé, colpendolo con un pugno.
Lui era a terra, sembrava non volesse alzarsi, ma in realtà, stava sogghignando.
«Mi prendi in giro? Questa è stata di sicuro la cosa meno dolorosa del combattimento… un pugno da ragazza!»
Era stato veloce a capire il suo punto debole, infatti, ora non lo considerava più un passatempo, ma un vero combattimento, in cui era necessario versare un po’ di sangue per soddisfarla.
«Sora!»
Era talmente concentrata a picchiare il ragazzo da non accorgersi che l’altro le era comparso da dietro e la colpì con il dorso della lama, spingendola nella morsa del compagno.
Non le diedero neanche il tempo di liberarsi, che presero a picchiarla con dei pugni, non gli importava di farle seriamente male, era quello lo scopo per lui.
«Ti è passata la voglia di scherzare?!»
Incurante del dolore, lei alzò la testa, guardandolo con i suoi occhi lilla, con l’intensità di sempre, il che innervosì l’avversario, pronto a colpirla con un altro pugno… che non le arrivò mai.
Sora riaprì gli occhi e vide il ragazzo a terra ed Eis con la mano ancora stretta a pugno, sembrò voler colpire lei, ma aveva colpito quello che la bloccava.
«Perché?» lo aggredì. «Potevo farcela da sola!»
«Certo, ho visto mentre ti facevi pestare!»
Il ragazzo con l’arma si rimise in piedi. «Non è leale così!»
«E tre contro uno lo è?»
Sora era un po’ rossa, ma scorbutica, anche ammettendo che si trovava nei guai, di che si impicciava lui?
Lui la prese per il braccio e la scansò dalla traiettoria di attacco dell’avversario, da cui si allontanarono un bel po’.
Stavano entrambi per dire qualcosa, ma lei sentì qualcosa salirle in gola e tossì, ritrovandosi nel palmo del sangue.
«Trasformati in arma?»
«Io combatto da sola!»
Evitarono un altro attacco ma l’altro ragazzo prese Sora di sorpresa e la colpì, scagliandola contro il muro.
Eis era occupato con il maestro d’armi e Sora si sottrasse dagli attacchi successivi e andò da lui, parando dei colpi di sciabola con la sua catena.
Lei tossì di nuovo, dandogli l’occasione di abbassare la catena e bloccarla a terra con la punta dell’arma.
Prima che potesse colpirla, lei si trasformò completamente in arma ed Eis lo colpì.
Ora il ragazzo teneva in mano una lunghissima catena di acciaio con dei pesi alle estremità.
Sentiva di non aver impugnato mai nessun’altra arma oltre a lei, era come se fosse sua.
Lui corse verso gli avversari.
«Cerca di seguirmi!»
«Ehi! Sei tu che stai indietro, io sono un’era avanti!»
Il ragazzo tentò di colpirlo con la sciabola e lui si difese con la catena, approfittandone per colpire l’avversario al ventre e subito dopo parare con la mano il pugno dell’altro e ribaltarlo.
Sora era rimasta stupita, non lo aveva mai visto in azione e soprattutto, non immaginava che fosse così forte.
«Vogliamo finirla qui?»



Ringrazio Black Nana e la mia amica Maka, spero vi sia piaciuta
scusate il titolo schifoso, ma dovrei passarci le ore a trovarne uno decente...
*Tsutsu*

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Capitolo 5
*** Come siamo finiti così? ***


Come siamo finiti così?

 
I colpi continuavano a battere sulla porta.
«Ti decidi ad uscire da quel bagno?!»
Dall’altra parte, Sora pareva parecchio infastidita, tutto quel baccano non gli faceva sentire la musica che, tuttavia, era già al massimo.
Finì di legarsi i capelli a coda e si infilò il fiore alla base di essa, poi rimase ad ammirarsi allo specchio, perfetta anche con una capigliatura diversa.
Uscì senza fretta dal bagno ed Eis entro, urtandola.
Il prezzo da pagare per restare alla Shibusen, era questo: una stanza nel caos più totale e, ancora una volta, una camera da letto che non poteva essere tutta sua. Lei aveva sempre dormito sul divano, ma, lo stesso divano su cui “la mamma ha detto di essere incinta!” le diceva suo padre, ricordarlo la fece apparire raggiante.
 
Il giorno prima del giorno prima del giorno prima… in pratica, una settimana fa.
 
«Hai preso tutto?»
«Si!»
Chiuse la cerniera della borsa e rimase a terra, fissando un punto qualsiasi, poi andò in cucina.
«Mamma…»
La donna si voltò verso di lei.
«Come è stato per te quando sei venuta a vivere qui?»
Tsubaki sorrise. «Ti preoccupa?»
«Che stai dicendo?! Ho solo fatto una domanda!»
«Non alzare la voce, lo sai che non puoi!»
Sora ruotò gli occhi e si appoggiò alla porta.
«All’inizio era stato un po’ come se fossi andata a trovare un amico, ho realizzato che sarei rimasta lì… cioè… qui, mentre sistemavo le mie cose e durante la prima notte.»
Si fermò un attimo, sorridendo e ricordando. «L’appartamento è piccolo, non è l’ideale per una famiglia, ma alla fine, ci siamo tanto affezionati che siamo voluti rimanere anche dopo la tua nascita.»
Sora guardò il ventre della madre. «Se è piccolo per tre, figurati per quattro.»
«Cinque.»
«Tanto io devo andarmene!»
Tsubaki guardò sua figlia, ormai era una ragazza, forse non molto alta e con un cervello da bambino, proprio come il padre, ma era giusto che andasse per la sua strada… cioè, nella casa a fianco, ma la rattristava comunque e, a quanto sembrava, anche a sua figlia.
La porta si aprì e Sora si fiondò sul padre con il suo solito modo, colpendo di testa, ma, al contrario di Kid, Black Star sembrava non sentire neanche la botta, dopotutto, era stato lui ad insegnarle tutto.
Black Star e Tsubaki lavoravano per la Shibusen, ma ora che lei era di nuovo in dolce attesa, questa volta di due gemellini, faceva tutto lui.
Probabilmente, per Sora era così difficile lasciare quell’ambiente per tutte le attenzioni che le avevano dato, merito di Black Star che aveva deciso di non farle mancare la stessa cosa che era mancata a lui: l’amore della famiglia. Beh, ci era riuscito alla perfezione!
 
«Ecco, siamo di nuovo in ritardo ed è sempre colpa tua!»
«Mia?!»
«Vuoi negarlo? Con tutto il tempo che passi a preparati?!»
«Una dea deve essere sempre perfetta… anche se, io sono sempre perfetta!»
«Tu potresti essere solo la dea dei puffi!»
«Ehi!»
Arrivarono in cima alle scale e corsero dentro la scuola.
Sora non si scomodò neanche ad aprire la porta dell’aula, la buttò direttamente giù.
«YAHOO!»
Adesso era al centro dell’attenzione e soprattutto, voleva far vedere alla professoressa che era lei la migliore.
«Scusi il ritardo» disse Eis.
«Si si, ma adesso andate ai vostri posti!»  
Insieme alla professoressa, c’era anche… quell’altra, ma non si staccavano mai quelle due? E soprattutto, quando si sarebbero staccate dal suo Kid?!
Sora fissò la professoressa come un cane guarda un gatto, poi, Eis le prese il braccio, avviandosi verso dei posti liberi.
«Non venire più in classe con abiti così scollati.»
Sora si fermò e, dopo qualche istante si voltò di scatto. «Che c’è? Gelosa?»
Patty scoppiò a ridere.
I ragazzi andarono ai loro posti, lei aveva messo le gambe sul banco, senza curarsi di nulla.
Alcuni ragazzi ai banchi di sopra si erano sporti in avanti, riuscendo a vedere perfettamente, mentre da sotto…beh… menomale che portava la biancheria!
Sua madre glielo aveva ripetuto sempre di coprirsi di più e di sedersi composta, ma quando mai lei ascoltava?
Al cambio di ora, tutte le volte spariva, ed anche stavolta, solo Eis poteva immaginare, dove andasse, anzi, ne era sicuro al cento per cento.
«Con tutte le ragazze che ti stanno dietro, proprio lei hai scelto?» Gli chiese una sua amica, lei restava sempre in classe a leggere.
«Ci trovavamo nella stessa situazione e comunque, devo ammetterlo, come arma è davvero perfetta, dopotutto è la figlia di una Nakatsukasa.»
«Buona fortuna! Non so come riesci a sopportarla e per quanto continuerai a farlo.»
Lei finì di raccogliere le sue cose, poi si alzò in piedi.
«Ah… un’altra cosa…»
In testa ad Eis arrivò uno dei suoi colpi spacca-cranio.
«…Non azzardarti più a dire a mia madre che ha delle belle gambe!»
Beh anche lei però, non era un’arma facile da sopportare…
 
Sora si era appostata nell’angolo ed attendeva… ancora… ancora… ed ancora, eppure, il suo adorato shinigami passava sempre di lì, tutti i giorni! Lei lo sapeva, aveva imparato a memoria le sue abitudini e i suoi orari… beh, probabilmente era in missione.
No, non poteva sopportarlo di non vederlo anche solo per un giorno, no, no, no!
Si appoggiò al muro, ma non riuscì a stare ferma che per pochi secondi, si rimise in movimento subito dopo.
Eis la ritrovò al crepuscolo in un punto appartato del parco, dove spesso portavano gli studenti.  
L’arma si stava allenando, aveva scoperto questa sua abitudine da quando vivevano assieme, ma pensava che la sconfitta contro quei bulli avesse influenzato molto la durata di quegli esercizi.
Inoltre non aveva fatto nessun commento su quella sfida, se avesse vinto, avrebbe continuato a vantarsene e non avrebbe mai accettato di avere un meister che non fosse… il suo amato Kid, aveva scoperto che teneva perfino una sua foto sotto il cuscino.
Ci provava, ma proprio non riusciva a nascondere questi suoi lati femminili.
«Andiamo, si sta facendo buio.»
«Vacci tu a casa!»
Lei lo aveva trovato piuttosto offensivo. Sua madre le diceva sempre di stare attenta ad uscire di notte, pur sapendo che poteva cavarsela, e questo, solo per essere una ragazza… debole, come ogni ragazza!
Si mise seduta a terra, riprendendo fiato.
«Puoi sempre continuare ad allenarti a casa. Muoviti!»
Eis le porse la mano, mentre lei, dopo averla fissata a  lungo, la scansò con un violento schiaffo e si rimise in piedi.




Non so se sia una cavolata, di tutti i capitoli che ho scritto questo mi sembra il peggiore,
poi giudicate voi ma spero continuerete a seguire la storia
*Tsutsu*

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Capitolo 6
*** Piangere con il cielo ***


Piangere con il cielo

 

Eis sbadigliò ed appoggiò il viso sul palmo della mano.
Sora era in piedi e scrutava tutto dall’alto, beh, una volta tanto era utile, lui non doveva far nulla, ci avrebbe pensato lei a trovare il kishin.
«Che palle!» si gettò all’indietro, le mani dietro la nuca. «Ancora niente?»
Non gli arrivò una risposta, quindi alzò lo sguardo sul suo corpo teso, contentato ad avvertire ogni cambiamento nell’aria.
Non poté neanche fare a meno di guardare il suo lato B, dato che il vento gli tirava su il vestito, ma vestirsi in modo diverso no?
Si congelava, ma lei era come sempre scoperta e si chiese se lo facesse a posta a subirsi tutto quel freddo per diventare più forte.
«Senti, probabilmente si farà vivo solo al tramonto» disse lui sollevandosi. «Che ne dici di andare ad un bar.»
Lei era ancora lì, immobile. «Io devo trovarlo.»

Il ragazzo sospirò. «Lo troverai… ma ora andiamo.»
«Senti» finalmente si voltò a guardarlo. «Io non ti ho detto di stare con me, ho accettato di essere… la tua arma solo per non essere espulsa ma non ho mai detto che avrei combattuto insieme a te. So cavarmela da sola!»
Eis sapeva che era meglio non insistere e lasciarla sola dopo quello che era successo la mattina prima.
Lui entrò nel bar di quello stesso palazzo e, come suo solito, prese una bibita in lattina, quando era arrivato a berne più della metà, tutti nel locale sobbalzarono… tutti, tranne lui, sapeva che sarebbe successo.
Era arrivato fin lì un grido che non sembrava neanche umano ma che non durò se non più di qualche secondo, infatti subito dopo, Sora era di nuovo senza voce.
Dal terrazzo sopra l’edificio, inveiva contro un muro, colpendolo con il pugno ma, tant’era la sua rabbia, che non avvertiva dolore… eppure suo padre non l’avrebbe sentito comunque...
“Che c’è, adesso hai un meister?”
Sollevò la testa, mentre il sangue aveva iniziato ad uscire dalle nocche.
“Non ti dai più tante arie?”
Chiuse gli occhi, stringendo di più il pugno, dal quale fuoriusciva il sangue.
“Se non ti abbiamo cambiato i connotati è solo per quel bastardo…”
Stava per gridare, ma la voce non le usciva.
“…hai perso.”
Colpì ancora il muro, ancora più forte. La sua sconfitta, era stata solo colpa di una distrazione… o meglio, di una sua debolezza.
Sentiva le ferite pulsare, ma continuava a tirare pugni, solo così non lo sentiva.
Perché era così diversa da suo padre?
Uno scroscio, diede inizio ad una violenta pioggia, iniziata dapprima con qualche goccia.
Pianse. Solo in questo modo poteva farlo, quando poteva nascondersi dietro la pioggia, dopotutto, è così che un assassino agisce.
A Death City non pioveva mai e, lei che ci viveva da sempre, aveva visto piovere raramente. Preferiva quel cielo sereno a questo plumbeo che versava lacrime.
D’un tratto la pioggia cessò e sopra di lei sembrò ancora più scuro. Davanti a lei c’era una mano che teneva l’ombrello e, dall’altra parte, Eis che la guardava.
Non sapeva se la voce le era tornata o no, ma non disse nulla in ogni caso, piegando la testa per non farsi vedere.
Lui le aveva visto gli occhi rossi e lucidi, ma non aveva fatto alcun commento.
 
Si erano riparati sotto una tettoia, mentre la pioggia non accennava a voler finire.
La mano della ragazza era fasciata, normalmente non avrebbe mai accettato, ma era come se qualcosa le si fosse rotto dentro.
Eis la guardava con la coda dell’occhio, una volta tanto stava ferma, ma non la riconosceva più. Finalmente aveva visto una parte di lei che non conosceva e, se gliela mostrava, significava che si fidava un pochino di più, anche inconsciamente, beh… sapeva che tipo era, non si mostrava fragile, mai.
Tuttavia, non gli piaceva molto quella sua parte arrendevole, era come se avesse spento tutto, persino il cielo…
«Stupida.»
Lei non si mosse.
«Da quando dai retta alle chiacchiere altrui?»
Stavolta la sentì sussultare e le vide stringere appena le gambe.
«Che bisogno c’è di assomigliare a qualcun altro?»
Non era un qualcun altro qualsiasi, ma suo padre…
«Cosa vuoi che siano le stelle senza cielo?»
Le si spalancarono gli occhi che richiuse subito dopo per trattenere le lacrime. Non sapeva se le era tornata la voce e non voleva scoprirlo, altrimenti, avrebbe dovuto dirgli grazie.
Aveva dato le spalle ad Eis e, nell’istante preciso in cui aveva posato il pugno contro il muro, un urlo straziante aveva prevalso sul fragore dell’acqua.
Era notte ormai, il kishin era uscito allo scoperto.




Finalmente si è mostrata diversa da Black Star! Voi ce la vedete Liz professoressa?
Io no, ma l'ho fatto comunque e questo mi ero dimenticata di scriverlo nell'altro capitolo.
*Tsutsu*



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Capitolo 7
*** La prima anima ***


La prima anima

 
La fioca luce si spense e nel parco tornò l’oscurità, dalla quale emergevano brontolii sinistri.
La creatura avanzò nel lago nero, alla ricerca di una nuova preda.
La calda luce di un lampione, illuminò il kishin: si muoveva sui quattro arti, come una scimmia di dimensioni pazzesche, occhi di sangue ed artigli affilati.
Si sentì un tonfo, seguito da un grido.
Il mostro partì all’attacco, sollevando gli artigli in alto ma, poco prima di colpire, qualcosa ad una velocità incredibile, lo colpì in faccia, facendolo schiantare a terra, mentre la donna scappava.
Un fruscio attraversò l’aria, la catena girava nelle mani della ragazza, con l’espressione di un vero e proprio sicario.
Lanciò la catena, a vuoto questa volta e del kishin non c’era traccia, fin quando non se lo ritrovò davanti.
Fermò gli artigli con la catena, mentre dalla gamba gliene usciva un’altra. Caricò un calcio e colpì l’avversario con la catena e, a giudicare dall’impatto che lei stessa aveva sentito e dal rumore, doveva ammettere che era stata una mossa fantastica.
Nel tentativo di colpirla, il kishin affondò gli artigli nel terreno, mentre lei era saltata e aveva fatto apparire, all’estremità della catena che appariva dai capelli, una falcetta, che gli affondò nel petto.
Quel mostro aveva una pelle durissima e non riuscì ad affondare il colpo, così lui, con un grido raggelante, si buttò contro il muro, schiacciando la ragazza sotto la sua possente mole.
Sulla faccia gli arrivò un sasso e la sua attenzione si spostò su Eis.
Prima che il nemico potesse aggredirlo, una catena gli si avvolse al collo, tirandolo all’indietro e l’arma lo ferì a ripetizione con la falcetta, fino a fargli spegnare definitivamente quegli occhi rossi.
Di lui non rimase altro che un’anima sospesa a mezz’aria, che Sora rimase a guardare con il respiro pesante.
Eis le andò dietro, mettendole una mano sulla spalla.
«Te la sei cavata bene. »
Lei dissentì con un verso… si, le era tornata la voce.
«Grazie.»
«Avresti saputo cavartela anche se non fossi intervenuto. »
«Non intendevo questo…» deglutì, stringendosi nelle spalle. «…per prima.»
Sulle sue gote c’era un leggero rossore, che il ragazzo fece esplodere istantaneamente arruffandole i capelli con la mano sulla testa.
«Non è da te dire grazie, perciò, non sforzarti.»
«Che irriconoscente!»
«Tanto lo sapevo già che ti senti grata nei miei confronti!»
«Sbruffone!»
«Puffetta!»
«Idiota!»
«Asimmetrica! Kid non ti vorrà mai!»
Strinse i pugni e diventò rossa dalla punta dei capelli fino alle dita dei piedi. «Pervertito! Idiota! Maniaco! Deficiente! Stupido!»
«Se perdi di nuovo la voce non è colpa mia…»
«E tu mi hai interrotta per dire questo?»
Eis andò più avanti e prese in mano l’anima. «Vuoi star qui tutta la notte? Predi!»
Sora prese l’anima, la prima che avrebbe mangiato. La guardava, ma in realtà ai suoi occhi era come non vedere nulla, era più concentrata sui suoi pensieri. Alzò gli occhi sul ragazzo.
«Sarai il mio meister?»
Le sorrise. «Finché lo vorrai.»
Finiti i sentimentalismi, la sua attenzione ricadde tutta sull’anima.
 
L’indomani…
 
«Mammaaaaaaaaa!»
Si gettò sulla donna, l’unica con cui i suoi “colpi” sembravano più abbracci che attacchi.
Non lasciò a Tsubaki il tempo di una sola parola che lei partì a raffica.
«Ho preso la mia prima anima! Sono stata una grande!»
Tsubaki la guardò sorridendo, ricordando la sua prima anima…
 «Dov’è papà? Devo dirglielo!»
«È partito, non penso che tornerà tanto presto, questa volta pare che sia una missione davvero importante.»
Sora sospirò.
 
I due emersero in cima alle scale, Death City sullo sfondo, il sole che rideva.
La ragazza puntò il dito, dritto davanti a lei. «Ehi voi!»
I ragazzi si voltarono verso di loro.
«Io vi sfido!»
Sul suo viso si disegnò un sorriso sicuro.
«Questa volta con il mio meister!»




Ci sono riuscita! Ho pubblicato un altro capitolo e spero il risultato sia buono!
Da adesso dovrebbe iniziare la vera storia... qual è l'importante missione in cui è coinvolta la Shibusen?
Lo scoprirete nei capitoli successivi, spero continuerete a seguirmi e, se vi fa piacere, lasciate una recensione, adoro sapere che ne pensiate, temo sempre che Maka mi dica che le mie storie sono belle proprio perchè siamo amiche, anche se di lei mi fido più che di chiunque altro, ma io mi contraddico sempre e lei lo sa!
Grazie Maka e auguri a tutti!
*Tsutsu*

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Capitolo 8
*** Giraffe? No, panda! ***


Giraffe? No, panda!

 
«Centoquarantadue…. Centoquarantatre… Centoquarantaquattro…»
Si fermò qualche secondo, rimasta a testa in giù, mentre la porta si apriva.
«Non hai detto che avresti studiato?»
«Lo sto facendo!»
Saltò giù dall’asta e si stiracchiò.
«Se non so la prossima, cento flessioni…»
«Ah… è così che tu studi?»
Sora era rimasta china ad osservare il libro per qualche secondo, prima di mettersi a terra ed iniziare gli esercizi.
«Anche questo te lo ha insegnato tuo padre?»
«Si.»
«E quanto prendeva di solito?»
«Zero.»
Eis la guardava, come chiedendosi se faceva sul serio o lo stava prendendo in giro.
«Buona fortuna allora.»
«Non mi serve la fortuna, io sono una dea.»
Lui sospirò; per rispondere, lei aveva perso il conto ed aveva ricominciato a contare da uno, come se non lo perdesse già parecchie volte, perciò, tutte le volte che diceva di aver fatto cento flessioni, in realtà ne aveva fatte come minimo cinquecento.
Suo padre era famoso alla Shibusen, ma lui, meister ed “amico” di sua figlia, lo conosceva quanto gli altri, gli era solo capitato di vederlo qualche volta per i corridoi, tuttavia Sora ne parlava così tanto che, ormai, si era fatto un ritratto preciso di lui, il quale combaciava perfettamente a quello di lei.
Le sue labbra si curvarono un po’ e gli occhi si ridussero a due fessure. Spero di non somigliare anch’ io a mio padre… Pensò.
«Ehi» Sora lo riportò alla realtà. «Io vado a fare il bagno. Non sbirciare!»
«Tsk! Tanto vedrei soltanto le stesse cose che vedo adesso… Non guardarmi in questo modo, sei tu che ti vesti così!»
 
Gli arrivò una pacca sulla spalla. Era Lealia.
«Ciao!»
Lui ricambiò il saluto.
«Ho saputo che avete preso la vostra seconda anima!»
«Sora si è già stufata, vuole cercare di prenderne altre novantotto tutte insieme» sospirò. «Tu a che punto sei?»
«Cinque. Stai studiando per l'esame?» chiese la ragazza.
«Beh… più o meno. Sora non ha bisogno di mettersi in mostra, mi distrae già abbastanza così.»
«Dovrei ritenermi fortunata allora, Reliance dorme tutto il tempo… Arriverò prima, come mia madre!»
«Secchiona.»
In mano le era apparso un libro, anche se non aveva idea da dove lo avesse preso.
«Hai detto qualcosa?»
«Ah… no, io non ho detto nulla.»
 
Sora, intanto, si era ritrovata un’altra volta ad aspettare a vuoto Kid, era naturale che non ci fosse, neanche suo padre era tornato, ormai erano tre giorni, chissà che combinava la Shibusen di così importante da non dire nulla neanche agli studenti?
Lei sapeva dei segreti che nascondeva la scuola per il lavoro di suo padre, ma tutti gli altri erano all’oscuro di ogni cosa. Vivevano ogni giorno in quell’ignoranza, come pedine di una scacchiera più grande di quanto potessero immaginare.
La sera seguente si ritrovò seduta ad un tavolino, intenta a fissare lo sproporzionato didietro di Reliance che prendeva i libri dallo scaffale e li gettava a terra, la studiava con l’attento sguardo di un’assassina.
Era identica alla madre, aveva degli occhioni blu che sfavillavano come pietre e i suoi capelli erano lunghi e biondi.
Gettò la testa sul tavolo, con i capelli azzurri che la coprivano.
Eis era seduto accanto a lei, intento a parlare con Lealia di… scienza dell’anima… che palle!
Quando aveva saputo che il suo partner sarebbe andato a studiare con la secchiona della classe, aveva insistito per andare anche lei, poiché, quello era anche l’appartamento della figlia di una delle sue peggiori nemiche.
Reliance cadde dalla sedia con un forte botto, ma nessuno si mosse, tanto si rialzò subito come se nulla fosse successo. Era una delle sue tante stranezze, poteva capitarle qualsiasi cosa, eppure sembrava non sentire nulla, forse perché la testa era ancora più vuota di quella della madre…
Inoltre, dovunque guardassi, ad ogni angolo, quella casa era piena di panda.
Sora si alzò e andò di fronte alla ragazza, abbassandosi all’altezza del suo petto, per poi posarci un dito.
«Sono vere?»
Reliance aveva in viso un sorriso a trentadue denti e lei, adesso, la stava palpando con entrambe le mani… Non è possibile, sono più grandi delle mie!
Quindi, se sua madre aveva le stesse tette, e suo padre non era Kid, significava che l’interesse dello shinigami non era la grandezza del seno… ecco perché la sorella fifona era la minaccia più grande, anche perché lei di figli non ne aveva!
«Devo parlarti!»
Sora le prese il polso e la trascinò nella stanza accanto, lo sgabuzzino.
«Direi che vanno d’accordo» commentò Eis che, insieme alla ragazza, era rimasto a guardare la scena.
«Se prova a molestare la mia meister, le mieto l’anima!»
 
Si ritrovarono in una minuscola stanza buia, dove erano ammassati vari oggetti, compresi altri panda.
«Sta a sentire…» Guardò la bionda con aria di superiorità, mettendosi le mani sui fianchi. «Tua madre, Kid… e quell’altra sono in missione, no?»
«Oh.» Aprì la bocca, in un’espressione che ricordava molto sua madre. «Oh.»
«Sai di che missione si tratta?»
Reliance la guardava come se non capisse, poi alzò gli occhi e Sora pensò che stesse riflettendo su qualcosa.
Aspettò a lungo, la ragazza era rimasta immobile tutto il tempo e così, Sora si decise a controllare a ciò che realmente stava pensando. Alzò lo sguardo, che finì sul gigantesco peluche di un panda.
«Ehi! Ti ho fatto una domanda…»
Prima di poter dire altro, sbatté la testa contro lo scaffale e tutte le cose vennero giù come una valanga e lei ricadde con la faccia contro il petto di Reliance che, ovviamente rise.
La porta si aprì e le due caddero ancora, ritrovandosi sul pavimento.
Sora incrociò lo sguardo di Eis e poi abbassò la sguardo sulla sua mano, che era sopra il seno di Reliance, che continuava a ridere.  
 
Sulla strada di casa, Eis non aveva detto una parola e lei si era beccata un libro in testa, anche se non era sicura se fosse davvero un libro… inoltre non aveva scoperto niente sulla missione della Shibusen.
Una serata davvero penosa…




Allora? Che ve ne pare della figlia di Patty?
Questo capitolo lo dedico alla Patty mia amica, che ama i panda (loro sono simmetrici, altro che le giraffe!)
ed è anche l'ultimo che pubblico quest'anno, purtroppo non ci sarò in questi giorni, perciò auguro a tutti un felice anno nuovo!!!!
*Tsutsu*

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Capitolo 9
*** La tristezza in uno sguardo ***


La tristezza in uno sguardo


«PRIMAAAAA!!!»
Era la prima volta che Eis sentiva Lealia gridare a quel modo, mentre Reliance si era mossa appena, come se fosse ancora mezza addormentata dopo il riposino fatto in aula.
«Oh…»
«Uf… sono passato!»
«Dovresti impegnarti di più, sai!»
«La sufficienza mi basta.»
Lealia sorrise, poi spostò lo sguardo più in basso, sull’ultimo nome della bacheca.
«Sora è sparita di nuovo.»
Eis sospirò. «Non so cosa le passa per la testa in questi ultimi giorni, sarà per l’assenza… di Kid.»
 
Sora si era appostata nel corridoio, in attesa.
«Prima regola dell'assassino: confondersi nelle tenebre...celare il respiro...attendere che l'obiettivo abbassi la guardia.»
Eccolo il momento che aspettava, qualcuno si stava avvicinando.
«Seconda regola dell’assassino:sintonizzarsi con l'obiettivo e dedurre i suoi pensieri e le sue azioni.»
Solo un altro po’ più vicino…
«Terza regola dell'assassino: abbattere l'obiettivo prima che si accorga di voi.»
Kid stava aprendo la porta.
Lei si era messa le mani sul viso, arrossendo era sul punto di saltargli addosso. Oh Kid, fammi essere la madre dei tuoi figli!
Tuttavia, si fermò, vedendo lo shinigami estremamente serio e cupo in viso e, prima che la porta si chiudesse alle sue spalle, entrò.
 
Kid era di fronte al sommo Shinigami, restarono per un po’ a guardarsi in silenzio.
«Abbiamo avuto molte perdite.»
«Sid me ne aveva già parlato… Che mi dici del Kishin?»
Il ragazzo deglutì. «Temo sia più potente di Ashura.»
«Oh… È una vera tragedia… si preannuncia un’altra guerra con le streghe.»
«Inoltre la follia ha cominciato di nuovo ad espandersi...»
Kid si voltò, aveva la sensazione che qualcuno lo stesse osservando, ma non c’era nessuno.
 
Gli studenti si erano rientrati in classe, convocati dal Dottor Stain per una riunione. Sora era rimasta imperterrita seduta al suo posto, persino la presenza di Kid la lasciava del tutto indifferente.
Tutti i professori erano lì, compresa… Liz e anche tutti quelli che lavoravano alla Shibusen, ma c’erano anche la falce della morte con accanto la dottoressa della scuola, non più nel suo camice bianco.
Sora guardò tutti con sguardo indagatore, stava iniziando a comprendere, ed una folle paura le si stava insinuando nel petto e la invase completamente. Il cuore aveva iniziato a batterle forte.
Non attese neanche che Kid iniziasse a parlare che, sbattendo la porta con fragore, uscì dall’aula.
Lo shinigami, comprensivo, chiuse gli occhi per qualche istante, poi, mettendo da parte ogni sentimentalismo, iniziò a parlare.
 
Corse senza sosta, senza mai fermarsi per riprendere fiato, ignorava completamente il suo corpo, che la implorava di fermarsi, ascoltava solo la sua paura, la furia ed il caos che aveva dentro.
Era arrivata in cima alle scale, adesso, doveva solo aprire la porta…
 
«Cosa?!»
Fu il solo commento di Lealia, mentre l’amico si limitava ad osservare con i suoi occhi di ghiaccio, anche quando la sua arma aveva lasciato l’aula era rimasto impassibile.
«Eh?» Reliance, accucciata fra i due, passava prima lo sguardo su lei e poi su lui, in continuazione, come chiedendo spiegazioni. «Uh…»
Kid zittì i presenti. «Come dicevo, dalla recente missione, solo in pochi hanno fatto ritorno, ma, come sapete, il nostro dovere è mantenere la pace e dobbiamo fare tutto il necessario, tuttavia, per ora stiamo ancora studiando bene come agire.» Lo sguardo di Kid si incupì, ma si riprese all’istante. «È inoltre possibile che le streghe attacchino Death City. Prego tutti voi di fare attenzione. È  tutto per il momento.»
 
Sora entrò nell’appartamento, la porta era aperta, ma non udì alcun rumore provenire dall’interno.
Mosse qualche passo incerto. «Mamma… Papà!»
Corse in cucina, di solito sua madre era lì. «Mamma!»
Andò nella stanza in cui dormivano, il bagno, il terrazzo, ma non trovò nulla.
Gli occhi iniziarono a pizzicare e si portò le mani alla bocca.
Lo aveva percepito nello sguardo di Kid, nella sua profonda tristezza, nel suo silenzioso dispiacere per lei… ma era impossibile, non poteva essere… suo padre non era morto… .
Fece qualche passo all’indietro ed inciampò nella tenda, cadendo di schiena sul pavimento, in lacrime.

 





Non uccidetemi, non sapete quanto male abbia fatto a me scrivere questo capitolo, ma state tranquilli... però non vorrei neanche aticiparvi nulla... oh Kami! Vabbè, vado a scrivere il prossimo capitolo, intanto aspetto con impazienza di capere che ne pensate
*Tsutsu*

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Capitolo 10
*** La speranza in poche righe ***


La speranza in poche righe


Il suo passo era pesante per i corridoi, così sentiva anche le sue gambe e non riusciva ad andare ancora più veloce.
Nella mano stringeva la lettera tutta spiegazzata e ancora adesso stringeva i denti per trattenere la rabbia.
Era stato Eis a svegliarla, era andato a colpo sicuro, sapeva che si trovava lì.
Appena aperti gli occhi, vide i suoi lunghi capelli sul pavimento, mossi leggermente dal vento che arrivava dalla finestra rimasta aperta
Alzando lo sguardo aveva incrociato gli occhi freddi del suo meister ed il suo volto illuminato dalla luce argentea della luna.
Si dissero poco, quasi nulla e lui le diede quella lettera.
Ora stava entrando in classe, dove, ad attenderla c’era lui, Death the Kid.
 
Eis passò accanto al letto di Sora, lei era ancora là sotto, completamente coperta.
No, non era il tipo che se ne stava a letto senza far nulla e lui sapeva cosa voleva dire: doveva tirare fuori il suo lato sensibile… rimase allibito per qualche secondo, e da quando un ragazzo è sensibile?
Si lasciò sfuggire un sospiro e tirò via le coperte, lei neanche lo guardò, aveva chiuso gli occhi all’istante. Il viso era coperto dai suoi lunghi capelli, opachi ed arruffati, non sapeva neanche se in quei giorni si era lavata, ma la vedeva dimagrita.
«Lasciami in pace.»
Lui rimase impassibile in apparenza, in verità era un po’ irritato, non trovava nulla da dirle, perché semplicemente non c’era nulla da dire ma, soprattutto, lui non capiva in alcun modo perché soffrisse a quel modo… no, non lo concepiva proprio, se fosse capitata una cosa simile a suo padre, ne sarebbe stato più che felice.
«Alzati.»
Lei  si limitò a seppellire il volto sotto il cuscino, ma lui la strattonò per il braccio.
«Il mio è un ordine! Che cosa risolvi in questo modo?!»
Le erano tornati gli occhi lucidi… che cosa disgustosa, era talmente debole e miserabile in quel momento che, se avesse visto la sua immagine allo specchio, ci avrebbe sputato sopra.
Non sapeva da quanti giorni non andava a scuola o metteva piede fuori casa, se avesse potuto, sarebbe rimasta ancora sul pavimento dell’appartamento in cui era cresciuta, ma Eis l’aveva trascinata via, sempre lui...
Non voleva neanche parlare con sua madre, tanto non avrebbe potuto comunque, era alla Shibusen, giorno e notte e se si fossero parlate, si sarebbero dette solo false consolazioni seguite da tante lacrime.
Ora non aveva neanche guardato il suo meister mentre scacciava la sua mano.
«Merda, guardami in faccia!»
Le aveva afferrato i polsi con talmente tanta forza che lei aveva stretto i denti e, nella foga di liberarsi, cadde sul pavimento, trascinando Eis in ginocchio.
Ancora si ostinava a non guardarlo. Se le avesse fatto una cosa simile prima, si sarebbe infuriata e avrebbero litigato per poi riderci.
Sinceramente, lui non aveva ancora idea di cosa fare, prima o poi le sarebbe passata con il tempo, ma chissà tra quanto, continuando così poi si sarebbe fatta solo del male.
Si, aveva gli occhi lucidi ma non aveva mai pianto, almeno non quando c’era lui.
Sora sentiva arrabbiata, avrebbe voluto solo che Eis la lasciasse in pace, invece si ritrovò stretta tra le sue braccia. Ogni tentativo di liberarsi era inutile, lui la forzava a restare lì e, quando sentì il battito del cuore attenuarsi e il respiro tornare regolare, si arrese ed appoggiò la testa sul suo petto.
La mano sulla sua testa la tranquillizzava… era un po’ l’effetto che le faceva suo padre; quando cadeva, lui la prendeva in braccio e le faceva passare tutto, in questo modo aveva deciso di diventare forte come lui.
Immaginando fosse suo padre, fece scorrere la mano sulla sua schiena e lo strinse con le dita che tremavano convulsamente.
 
«Eis!»
Il ragazzo si voltò, vedendo una donna che andava velocemente verso di lui in modo un po’ goffo.
«Scusa vado un po’ di fretta»
Passò qualche istante a riprendere fiato.
«Ho saputo che Sora è venuta a scuola oggi, ma non lo trovo da nessuna parte.»
«È da un po’ che non la vedo.»
Tsubaki abbassò gli occhi, poi tornò a guardarlo. «Dille che mi dispiace per non aver tempo per lei e… scusa, in questo modo avrò causato problemi anche a te.»
Lui rispose solamente che non era nulla, ma in verità era stata dura affrontarla quella mattina.
 
Il conforto di Eis, era servito a tutt’altro che mettere in cuore in pace a Sora, che si ritrovava ancora una volta appostata nei corridoi ad origliare.
Se, come Kid aveva scritto nella lettera, c’era anche solo una piccola probabilità che suo padre fosse ancora vivo da qualche parte, allora lei doveva andare.
 
La ragazza non lo lasciò parlare. «Dov’è mio padre?»
Kid sospirò, staccandosi dalla cattedra. «Che potresti fare contro un nemico del genere?»
«Io voglio solo ritrovare mio padre.»
«È solo una piccola probabilità che lui sia vivo.»
«Allora non dovrei far nulla?!»
Si fermò di colpo con la mano davanti alla bocca, tossendo. Da piccola i medici le avevano sempre detto che, probabilmente, avrebbe perso la voce se avesse continuato così.
Vedendo che lo shinigami non faceva altro che guardarla sempre con lo stesso sguardo pieno di compassione, lei si avvicino.
«Kid!»
Lui la guardò con i suoi penetranti occhi gialli e la fece quasi rabbrividire, ma lei non distolse lo sguardo.
 
Come aveva potuto sottovalutare le abilità da ninja che gli aveva insegnato suo padre? Se Kid non voleva dirle nulla, allora lo avrebbe scoperto da sola.
 





Amo Black Star!!!
Non ho nulla da dire, ho scritto la prima cosa che mi è venuta in mente...
Ah ecco, volevo sapere se il capitolo è chiaro, visto che ho mischiato un pò gli avvenimenti e poi... scusate il titolo, non mi veniva in mente nulla
*Tsutsu*

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Capitolo 11
*** Arigato, Kid! ***


Arigato, Kid!


Sora aveva seguito tutto e, fin’ora, aveva assistito solamente ad un scambio di informazioni tra Sid e Stain, ma nulla sulla localizzazione del luogo della battaglia. Era riuscita solo ad ottenere qualcosa sull’attività delle streghe, stavano cercando degli “ingredienti” da varie parti del mondo por potenziare il kishin.
La ragazza aveva saputo dalle conversazioni tra Eis e Lealia, che le streghe avevano recuperato una parte del corpo del primo kishin per ridarle vita con una versione potenziata del sangue nero.
Chi cazzo se ne frega delle streghe, pensava tra sé, rimanendo pazientemente in ascolto fino alla fine.
Erano le otto precise, né un secondo di ritardo né di anticipo e Kid era là alla Shibusen.
Sora non sapeva dire cosa provasse per lui in quel momento… aspetta! Pensandoci, se lui non le aveva voluto dire dove si trovasse il kishin, era perché si preoccupava per lei… che dolce!
Si mise le mani sulla bocca, accorgendosi troppo tardi dei rumori che faceva, eppure sembrava che lo shinigami non si fosse accorto di nulla, forse si era solo immaginata di fare quei versi acuti.
Kid si era avvicinato ai due professori, mente Sora cercava di far sparire quel rossore che sentiva sul viso a comando.
«Come procede la situazione?»
«C’è qualcosa di nuovo» annunciò il professor cadav… ehm, Sid «Abbiamo percepito l’anima di una strega nei dintorni di Death City, ma ora deve aver attivato il Soul Protect.»
Kid chiuse gli occhi, riflettendo per qualche secondo. «E che ne dite della missione in Alaska?»
Sora era ancora occupata a cercare di distogliere le sue fantasie su Kid, per poi spalancare gli occhi e rendersi veramente conto di ciò che aveva appena sentito.
 
Kid, senza ascoltare ciò di cui stavano parlando i due, con un sorriso amareggiato, ma anche sollevato, si era voltato, pur sapendo che l’angolo dietro di lui era deserto… almeno adesso.
 
Senza farsi notare, così come era arrivata, stava uscendo dalla scuola molto velocemente, ma d’un tratto si fermò, proprio prima di scendere il primo gradino proprio davanti all’entrata delle scuola.
Il cuore aveva iniziato a batterle forte e non era per l’affanno… no, di sicuro non era per quello.
C’era qualcosa che le stava sullo stomaco e non si decideva ad andare giù, vorticava, la risucchiava, la faceva tremare.
Era giusto quello che stava facendo, andarsene a quel modo?
Non aveva salutato sua madre neanche dopo tutti quei giorni. Era vero che la ragazza non voleva consolazioni ma forse era sua madre ad averne bisogno, lei che aveva passato tutto quel tempo con suo padre…
Digrignando i denti tirò un pugno contro il muro.
Pure Eis… maledizione! Era completamente arrossita rievocando il ricordo. Adesso che ci pensava, come aveva osato toccarla a quel modo?! Pervertito! Se lo avesse avuto davanti ora, lo avrebbe pestato e strozzato con una catena.
Sbuffò e questa volta si fece male da sola contro il muro, così decise di mandare anche quello a fanculo.
 
 



Che ragazza fine è Sora! XD
Comunque, scusate la brevità di questo capitolo, non ho potuto fare in altro modo anche se avrei preferito comunque farlo più lungo perché voglio dedicarlo alle mie lettrici:
Dark Elle, Sad Little Chrona e Black Nana, le ringrazio per aver letto e seguito la storia e aver lasciato delle recensioni che ho apprezzato molto ^^
*Tsutsu*

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Capitolo 12
*** Freddo...Freddo... che freddo! ***


Freddo... Freddo... che freddo!


«Cazzo, che freddo!»
Tutta la vitalità che aveva prima sul treno, era svanita di colpo appena aveva messo piede in quella terra straniera… più che terra, neve… neve, neve, solo neve!
In vita sua aveva visto la neve si e no una o due volte in missione, a Death City faceva sempre un caldo, e lei amava il caldo!
Al contrario, il suo meister pareva trovarsi molto a suo agio là, lui che era cresciuto in uno sperduto villaggio tra i ghiacci.
Eis, conoscendo la sua avversità per il freddo, la neve, il ghiaccio, la montagna e tutto il resto,senza contare tutti gli altri rischi, aveva provato a dissuaderla dalla folle idea di partire ma, com’era prevedibile era stato tutto inutile, così aveva deciso di seguirla fin là, nonostante la sua ostinazione a voler andare da sola.
Era forse per il suo gigantesco ego e il continuo bisogno di voler dimostrare di essere migliore, oppure era perché non voleva mettere altri in pericolo, che voleva andare da sola?
Impossibile, lei non aveva pensieri che non riguardassero lei, la prima opzione era decisamente la più probabile, sebbene lo avesse sorpreso il fatto che gli avesse detto della sua decisione… e anche per il resto.
Non lo aveva guardato in faccia, insolito per lei, che guardava sempre tutti, sfidando costantemente il mondo.
«Ascoltami… se non dovessi tornare, cercati un’altra arma» si era morsa un labbro e si corresse «Trovati un’altra arma, tra di noi la cosa era provvisoria, no? E poi, non era una come me che volevi…»
Erano state esattamente quelle le sue parole, poi lo aveva guardato in viso con i suoi occhi lilla, lucidi, ma spenti.
Quando aveva detto quelle parole, se ne pentì subito; come avrebbe fatto a guardare ancora Eis al suo ritorno –sempre se sarebbe mai tornata-? Non sapeva come avrebbe reagito vedendolo con un’altra arma, perdendo così, non il suo meister, ma il suo unico amico…
Alla fine cosa gliene importava, neanche lei voleva lui come suo meister e non aveva bisogno di amici… o forse si?
«Sei proprio una stupida! Pensi che io ti lasci andare da sola?»
La reazione di lui l’aveva completamente sorpresa e lei era arrossita violentemente.
«È una cosa che devo fare io, l’hai detto tu che è pericoloso!»
Avrebbe voluto seppellirsi sotto terra a fare compagnia al professor cadav… ehm, Sid, vedendo la testa bionda di Reliance uscire dalla porta e adesso, si era dovuta trascinare dietro anche quella secchiona di Lealia, altrimenti quella andava a raccontare tutto a Shinigami.
 
«Che hai intenzione di fare?» chiese Eis. «L’Alaska è grande, non è mica una città!»
Aveva già tentato di spiegarglielo durante il viaggio, ma Sora pareva proprio non voler sentire.
Reliance aveva fermato la partner per la manica. «Ehi, Le-le, in Alaska ci sono i panda?»
Lealia aveva sospirato. «No. Ma ci sono gli orsi polari.»
«Dovremmo chiedere agli abitanti» disse Eis. «Dovrebbero saperne qualcosa»
Sora era in disaccordo, odiava dover chiedere e odiava dover stare ferma, avrebbe voluto entrare subito in azione, invece, l’avevano piantata in un bar con Reliance a prendere una cioccolata calda.
Si era bene presto annoiata ed era rimasta a fissare la stramba ragazza che le sedeva accanto. Quelle due erano un’accoppiata magnifica… per combinare disastri! Eppure Eis e Lealia avevano comunque deciso di lasciarle là come delle bambine.
«Perché ti piacciono i panda?»
Reliance l’aveva guardata con i suoi enormi occhioni blu e le aveva sorriso. «Eh eh!»
L’arma l’aveva guardata con esasperazione.
Ma quanto ci mettevano quei due a tornare? Non faceva proprio per lei star ferma, così prese Reliance per il polso e la trascinò fuori, anche se per poco non le prese un colpo per il freddo, per il quale tornò a lamentarsi quasi all’istante.
Tutti i suoi piani erano stati rovinati da Eis, ancora lui, che era appena tornato.
«Almeno con questo freddo non puoi andare lontano.»
«Taaa…ci…» controbatté a denti stretti, tremante.
Lealia prese la parola. «Abbiamo scoperto che gli agenti della Shibusen sono passati per questo villaggio, ma la battaglia c’è stata a nord-est da qua.»
«Cosa?!» Sora s’era d’un tratto ripresa. «Ancora più nord!»
«Ripensamenti?»
Eis la guardava con aria di sfida, non avrebbe mai rinunciato e così fu.
«Muoviamoci, non stiamo qui a perdere tempo!»
Sora era andata avanti, guidata solo dal forte desiderio di rivedere suo padre, l’unica cosa che la riscaldava davvero, altro che i guanti e la sciarpa…
«Ehm… il nord-est è dall’altra parte!»
Che secchiona!
«Lo sapevo!»



Adoro Reliance xD
Spero di non avervio deluso neanche questa volta
Mi dispiace ma dovrò lasciare la storia in sospero per un pò per riordinare le idee, adesso arriva la parte difficile e sono impegnata in una storia che, mi piacerebbe tanto mettere nel sito, ma vorrei pubblicarla come libro. L'avevo interrotta dopo aver passato tre anni buttati a scrivere una storia che si è cancellata a causa di un virus ma a dire la verità mi faceva anche schifo, quindi sottovalutavo le mie capacità di scrittrice, ho recuperato la fiducia dopo aver ottenuto dei così buoni risultati nelle fan fiction. Tuttavia state tranquilli, non abbandonerò mai le fan fiction e vedrò di mettere il prossimo capitolo il prima possibile!
*Tsutsu*

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Capitolo 13
*** Paura e gelosia ***


Paura e gelosia


Sora era partita di nuovo in quarta, sicura della direzione questa volta. Gli altri la seguivano più indietro.
«Stai attenta» le intimò Eis.
L’arma si voltò, guardandolo come se volesse morderlo.
«Non è un caso che questo posto si chiami “Ice Holes”»
Lealia si fermò accanto a lui. «E non è neanche un caso che le streghe abbiano scelto proprio questo posto.»
Se Sora voleva mordere Eis a lei l’avrebbe sbranata all’istante. Tornò indietro e si mise tra i due.
«Contenti adesso?»
Incrociò lo sguardo di una civetta, che sorresse il suo sguardo, per poi volarsene via.
«Non perdiamo tempo, andiamo!»

«Si può sapere quanto è lontano ancora, quello stupido kishin?» Era tornata a lamentarsi Sora.
«Non cercavi tuo padre?» la corresse Lealia.
«Volevo insultare qualcuno...»
La tentazione di chiamarla secchiona era troppa, ma non le conveniva nella situazione in cui si trovava, uno dei motivi per cui voleva scaricarsi su qualcuno. Inoltre Eis pareva più distaccato del solito, non le aveva rivolto parola quel giorno se non per dirle di stare attenta.
Merda.
Il ragazzo di fermò, intravedendo una sagoma nera sparire dietro un blocco bianco.
«Eis!»
Dietro di lui sentì un suono metallico e vide il braccio di Lealia trasformato in una falce, mentre sulla neve c’era uno shuriken.
A Sora le bruciava un po’, si era accorta prima di lei del pericolo e poi, quello era il SUO meister, anche se il sogno di Eis era proprio di avere più armi, ma non sapeva cosa ci trovasse in una così, un tavolo era più sinuoso di lei.
Senza aspettare che Eis le dicesse qualcosa, si trasformò in una kusari-fundo tra le sue mani, mentre anche la falce si trasformò completamente. Doveva ammettere che non era tanto male ma era tutta apparenza per quella lucente lama celeste.
Inizialmente il meister, si limitò a parare gli attacchi che gli arrivavano, mentre per Reliance, pareva non esistere né prudenza né la difesa, si gettava sui nemici facendo ruotare la falce mentre rideva con sguardo assassino e divertito.
Eis aveva lanciato l’arma divenuta shuriken, colpendo vari nemici e Reliance colpì i restanti, poi scese una calma piatta.
Eis deglutì, cercando di riprendere il controllo dei suoi battiti mentre Sora riprese la sua forma umana, là dove era finita quando era stata lanciata.
«Fin troppo facile» Affermò Lealia. «Davvero troppo...»
Sora guardò Eis, che, al contrario, non le aveva nemmeno rivolto lo sguardo.
Non preoccuparti, eh, tranquillo, sto bene!
Se le avesse chiesto come stava, si sarebbe sentita ugualmente offesa, lei era una dea, invincibile! E allora, non capiva cos’era che la infastidiva tanto, forse era il freddo...
Gli occhi le finirono dritti su una figura nera che teneva alzata una spada, pronta a colpire il ghiaccio.
«Eis!»
Troppo tardi, lui ebbe il tempo di guardarla un istante prima di precipitare in acqua. Il suo cuore andava a mille, quando la colonna d’acqua si era abbassata e non ne era emerso niente. Non riusciva a dire nulla né a muovere un solo passo, guardava solo quella frattura nel ghiaccio ad occhi sbarrati.
Colse un anso e subito dopo una mano afferrò il ghiaccio, in seguito emerse una testa bianca.
Sora avanzò velocemente ed il ghiaccio sotto i suoi piedi crepitò ma non si decise ad indietreggiare.
«Non ti avvicinare!»
Possibile che dovesse sempre darle ordini?!
Voleva lanciargli l’estremità della sua catena, ma non voleva rischiare di colpire loro o il ghiaccio.
Sora rimase ancora lì, il cuore che batteva così forte da farle male, ma non capiva se era per Eis o per la sua paura per l’acqua... si, anche lei aveva una paura.
Le sue gambe tremavano evidentemente e piagnucolava sommessamente.
I suoi compagni erano rimasti appoggiati al ghiaccio, incapaci di fare altro e diventavano sempre più bianchi.
Piano, si accucciò e il ghiaccio scricchiolò di nuovo.
«Torna indietro cretina!»
Aveva così poca fiducia in lei da credere che potesse rompere il ghiaccio e farli morire definitivamente? Si, era da lei fare un disastro simile...
Molto lentamente, avanzò a gattoni.
Se la sua più grande preoccupazione fosse stata per sé stesso, allora non l’avrebbe accompagnata fin là, allora era per lei che aveva paura? No, non doveva assolutamente preoccuparsi per lei... che stupido, era la figlia del grande Black Star, no? E poi, deve essere l’arma a proteggere il proprio maestro.
Doveva essere proprio impazzita per pensare certe cose o forse, era la disperazione di perdere qualcun altro...
Sentì un rumore e il ghiaccio su cui poggiava Eis si era rotto e la crepa si estese quasi fino a lei, che si distese completamente, paralizzata dalla paura.
Quando Eis riemerse ansimante, le intimò ancora di tornare indietro, ma lei rimase ancora lì, come un cucciolo senza la sua mamma.
Si decise a rialzarsi sui gomiti, ma venne inghiottita dall’acqua.
Eis lasciò la presa sul ghiaccio e si avvicinò goffamente a lei e, dopo averla afferrate per un punto qualsiasi, si aggrappò nuovamente al ghiaccio, con lei che lo stringeva tremante.
Non si sentì di rimproverarla, piuttosto, tentò di mantenere la lucidità pensando a un modo per uscire da quella situazione, Lealia e Reliance stavano praticamente congelando, doveva fare in fretta.




Appena scritto, perdonate dei probabili errori, non mi sono ancora tolta l'abitudine di non rileggere quello che scrivo!
Finalmente pubblico di nuovo, mi è mancata questa sensazione e, probabilmente mi mancherà ancora, mentre a voi lascio la suspence (si scrive così? non lo ricordo mai), gomen ne
Al prossimo capitolo
Tsutsu

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Capitolo 14
*** Caldi ricordi ***


Caldi Ricordi


«Sora! Sora!»
Eis aveva provato a smuoverla ma era come se si fosse aggrappata a lui con gli artigli, stava immobile e, di sicuro, non si sarebbe trasformata in arma come avrebbe voluto lui.
Non conosceva il motivo per cui avesse paura dell’acqua, ma era per quello che si erano conosciuti. Gli studenti della Shibusen avevano deciso di organizzare una festa in spiaggia, allora non conoscevano ancora il caratteraccio di Sora, per questo avevano invitato anche lei, che, in quell’occasione rimase stranamente tranquilla. Non si era mai avvicinata all’acqua, restava a crogiolarsi al sole, era un’altra caratteristica che conosceva di lei, praticamente non sentiva mai caldo.
Si scollò di dosso i ricordi, rinunciando alla sua prima ed unica idea.
«Eis, hai una corda?» Gli chiese Lealia.
Lui capì il suo piano e si ricordò della corda che aveva nello zaino, ma non poteva prenderla senza staccarsi dal ghiaccio ed affondare.
Sora non sembrava neanche cosciente, inutile chiederle di aiutarlo, per quanto avesse voluto.
La falce si staccò dal ghiaccio ed aprì lo zainetto, con l’acqua che le sfiorava il naso.
Si appoggiò appena un po’ di più allo zaino e il ghiaccio iniziò a fratturarsi, il peso di Sora lo fece andare a fondo e risalì in superficie dopo un bel po’, mentre l’arma non si era neanche mossa.
«Eis!» Gridò Lealia. «Lo zaino!»
«Cazzo!» Imprecò a denti stretti, mentre l’altra prese il fiato, ma lui la fermò con una mano sulla spalla.
«È pericoloso!»
Gli scacciò la mano. «Non c’è tempo!»
Il meister non fece in tempo a dire altro che lei si era già immersa.
Sopra di lei il ghiaccio era verde acqua e parecchio inquietante, mentre in basso l’acqua diveniva sempre più nera, non aveva fondo e lo zaino si confondeva in quell’oscurità, fino a sparire.
Lo afferrò appena in tempo, ma non riusciva a tornare in superficie con quel peso, il freddo le congelava i muscoli ed il fiato le mancò quasi da subito.
Mentre andava sempre più a fondo, si mise a cercare nello zaino.
In superficie, Eis, ovviamente, non riusciva a non preoccuparsi, non che la considerasse debole solo perché fosse una ragazza, al contrario la rispettava molto, tuttavia si sentiva in colpa, tutto a causa di Sora.
Che si vantasse, studiasse, avesse paura o semplicemente stesse là, ferma, non riusciva a non far incentrare tutto su di sé, possibile che, anche in una situazione come quella, riuscisse a sembrare un’egoista?
Inoltre, lui l’aveva avvisata di restarsene lì dov’era. Era davvero una stupida.
Il tempo passava e Lealia non riemergeva, era risalita nel punto sbagliato, dove il ghiaccio era ancora integro e spesso. Trasformò il suo braccio in una lama e colpì la lastra, scalfendola appena ma non riusciva a spingere di più, era arrivata al limite, non riusciva più trattenere il fiato.
Reliance aveva perso il suo colorito abbronzato e le sue labbra erano divenute viola e anche Eis era quasi arrivato al limite della sopportazione.
Udirono un boato e il ghiaccio si frantumò, pensarono si sarebbe rotto definitivamente, ma videro uscire dall’acqua la testa castana di Lealia, la quale si gettò sul ghiaccio ansimante, ma non si lasciò sopraffare dalla stanchezza.
Si ancorò con la lama ad uno sperone di ghiaccio e lanciò la corda verso di loro Eis e Reliance vi si aggrapparono per poi passarla tra le mani, avanzando, mentre il ghiaccio si rompeva contro i loro fianchi.
Continuarono così fin quando non arrivarono ai piedi della falce, dove il ghiaccio era abbastanza robusto per sorreggerli e vi salirono sopra, anche se per Eis non era stato tanto semplice con Sora che era più appiccicosa della colla, del miele, della resina e di qualsiasi altra cosa appiccicosa messa insieme.
Era più bianca di quanto già non fosse normalmente e le labbra violacee, si mosse solo dopo un po’, sollevandosi dal petto di Eis, ma ancora bloccata dalla paura per riuscire a parlare.
«State bene?» Chiese il meister.
«Non direi...» rispose Lealia. «Non riesco più a capire dove siamo...»
Adesso che glielo faceva notare, tutto era avvolto in della nebbia fittissima e non si distingueva più nulla, solo l’acqua scura e minacciosa.
«Non sono riuscita a recuperare lo zaino» sospirò rassegnata la ragazza. «Abbiamo perso le scorte, la tenda e le coperte e non possiamo neanche tornare in città.»
Eis si alzò. «Restare fermi peggiora le cose, rimarremo congelati in questo modo.»
Rivolse lo sguardo a Sora, probabilmente la paura le era passata, ma stava lì ferma, con lo sguardo basso, se si trovavano in quella situazione era solo colpa sua, ne erano consapevoli entrambi. «Dobbiamo scavare un riparo nella neve e aspettare che si veda qualcosa per tornare in città.»
Raggiunsero un mucchio di neve ed iniziarono a scavare con le mani in un punto riparato dal vento. Sora a tratti scavava con più vigore e poi passava a dei colpi molto più fiacchi, quello che era successo le faceva pensare che doveva rimediare, ma si sentiva inutile, sbagliava tutto.
Una volta concluso il riparo, vi entrarono dentro, chiudendo l’entrata ma lasciando solo una fessura per l’aria e la luce.
«Dovremmo toglierci i vestiti...» disse Eis, dalla voce si percepiva il suo imbarazzo.
Lealia acconsentì, ugualmente imbarazzata. «Tenerli sarebbe... meno opportuno... sono bagnati.»
«E poi... è buio, non si vede niente.»
«Solo perché si tratta di una questione di vita o di morte...»

Eis era andato a prendere una lattina di Coca Cola al bar e, nonostante il rumore del gas che usciva, riuscì a percepire una voce dal tono dolce e gentile e, voltando l’angolo, l’aveva vista mentre accarezzava un cane.
La prima volta che aveva visto quella ragazza dai lunghi capelli azzurri, era sulla spiaggia, ci era rimasta tutto il tempo e, solo in quel momento capì che fine aveva fatto da quando era sparita.
In quel momento, vedendola gli era sembrata... una ragazza come le altre, ma era solo l’effetto che gli faceva il mare, i cani... e Kid.
Il terzo incontro, era avvenuto di nuovo in spiaggia, quando tutti erano dentro a bar per la festa, lei era sulla riva, con i piedi vicino all’acqua, ma non la sfiorava mai. Anche quello era insolito, sarebbe stato “normale” per lei fare baccano, risse o distruggere un bel po’ di mobili e pareti, ma forse, era solo perché allora non aveva amici.
«In città non si vedono tutte queste stelle»
Lui le era avvivato da dietro e lei lo guardò apparentemente senza alcuna espressione, ma in realtà aveva preso tutto come una provocazione.
«Solo perché il cielo è troppo illuminato.»
Eis era rimasto sorpreso da quella reazione, non le era sembrata così scontrosa quando accarezzava il cane.
«Come ti chiami?»
All’inizio lo aveva guardato come volendolo fulminare, poi sembrò addolcirsi, vedendo il suo sincero interesse.
«Sora.»
Cielo... il suo nome significava cielo....

I riflettori offuscano la vera bellezza del cielo.




Nuovo capitolo!!!!!!! Spero vi sia piaciuto ^^
Adesso la parte difficile è passata, adesso arriva la parte difficilissima... povera me...
vi anticipo un pò, ma già lo si potrebbe immaginare leggendo questo capitolo, che riguarderà molto Eis e Sora.
Ma Black Star che fine ha fatto? Boh XD Per quello dovete aspettare ancora un pò.*
Alla prossima ^^
*Tsutsu*

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Capitolo 15
*** Bianco come la morte... ***


Bianco come la morte...


«Ma chi è quella?»
«La figlia di quell’assassino del clan della stella.»
«E dire che sua madre sembrava una brava donna...»
Non aveva il tatuaggio della stella, ma alla gente bastava guardare i suoi capelli azzurri per identificarli a Black Star.
Lei era sempre stata a conoscenza del passato di suo padre ed il trattamento che riservavano a lui, ricadeva su di lei e alla fine se ne approfittavano, essendo ancora piccola ma soprattutto, perché era una ragazza.
Le era sempre pesato il fatto di essere giudicata solo perché era una ragazza, considerata debole solo per non avere muscoli bene in vista, le cose erano cambiate quando le sue curve si erano accentuate e tutt’ad un tratto i ragazzi avevano smesso di prenderla in giro.

«Lasciatemi!» Aveva tentato di opporsi.
Il ragazzo la strattonò per i capelli e lei trattenne un grido tra i denti. «Perché non provi a liberarti da sola, hoshizoku?»
«Che dici? Cosa le facciamo?» domandò un secondo ragazzo. «Le bruciamo i capelli?»
«Troppo banale.»
Poi si volsero entrambi verso la fontana, con la stessa idea in mente ed è così che lei si ritrovò costretta a stare con la testa immersa nell’acqua.
Sentiva le mani del ragazzo che la premevano contro la fontana e tentò invano di agitare le gambe o alzare la testa, ma, pure essendo una potente arma, non aveva la forza necessaria a quell’età.
Inizialmente aveva tenuto gli occhi aperti, ma il fondo della fontana era diventato sempre più minaccioso, fino a farle chiudere gli occhi.
Era terrorizzata e in quei momenti, che le erano sembrati ore, se non addirittura anni, l’istinto di voler sopravvivere le aveva invaso ogni muscolo del suo corpo, come un animale, e non capiva più neanche quale era il sopra o il sotto.
Ricordava perfettamente il cuore che le batteva fortissimo contro il petto, era così tutte le volte da allora ogni volta che vedeva l’acqua.
Aveva smesso completamente di muoversi e neanche a quel punto i ragazzi l’avevano tirata fuori, se era viva adesso, lo doveva solo a Kid...
Da allora aveva cominciato ad ammirarlo ancora di più e, per quel che aveva fatto, gli avrebbe donato persino l’anima.

«Eis! Eis, svegliati!»
Il ragazzo si svegliò, trovandosi davanti il viso di Lealia, che non gli diede neanche il tempo di svegliarsi meglio.
«Sora è andata via!»
Eis si alzò di scatto e che vide il muro di neve che aveva fatto all’entrata non c’era più.

I suoi vestiti erano ancora bagnati, quella sensazione sulla pelle la riportava ai suoi ricordi più brutti, ma, questa volta non sarebbe venuto nessuno a salvarla, non poteva fare sempre affidamento sugli altri, era arrivata fin là per salvare suo padre.
Quella notte non aveva chiuso occhio, passando il tempo a rimuginare sui suoi sensi di colpa, detestava quella sensazione.
Però anche quelli, potevano restarsene a Death City... ma probabilmente, se non fossero venuti, lei sarebbe già morta.
Fin’ora non aveva fatto altro che metterli in pericolo e non aveva risolto nulla, suo padre era ancora da qualche parte, non potava accettare che fosse morto.
Quando la luce che entrava dalla piccola fessura all’entrata, si era rischiarata, aveva deciso di andarsene, sperando che Eis si sarebbe stancato di starle dietro, finendo persino per odiarla, così non la sarebbe andata a cercare e sarebbe rimasto al sicuro.
Si fermò, tutto intorno, l’orizzonte era avvolto in una cupa foschia grigiastra, sembrava fuliggine. Non c’era un albero ed il vento stava iniziando ad alzarsi, mentre in lei si stava facendo strada una tremenda consapevolezza.
Paura.
Aveva iniziato a sentirlo dal battito del suo cuore e le sue gambe avevano cominciato a paralizzarsi. Dispersa nel nulla, sola e al freddo, aveva capito, non c’era più alcuna speranza di ritorno per lei, tanto valeva continuare andare avanti e poter dire “ci ho provato”, ma le veniva da piangere.  
Riemerse in lei il ripianto di non aver visto un’ultima volta sua madre prima di andarsene e tutto diventò ancora più esasperante.
Avrebbe voluto abbandonarsi lì e non pensare più a nulla, ma se si fosse addormentata, non si sarebbe più svegliata.
Dopo svariati minuti di cammino, il desiderio divenne reale e si accasciò sulle ginocchia, cadendo poi bocconi. Ce la mise tutta per resistere ma alla fine chiuse gli occhi, senza più sentire freddo o il calore del suo corpo le sembrava solo di essere avvolta in un soffice bianco, che però la risucchiava come un pozzo nero da cui non vi era modo di uscire, eppure era così invitante...



Ho deciso di chiamare così il capitolo poiché in oriente il bianco e il colore della morte, inoltre, quel che sta succedendo a Sora, viene chiamata morte bianca.
Dato che vi chiedavate perchè Sora avesse paura dell'acqua, vi ho accontentato, penso sia logico aver paura dell'acqua dopo aver vissuto un'esperienza simile, poi spero di aver descritto bene le sue sensazioni, sopratutto alla fine, si sta arrendendo alla morte...
è proprio per queste sensazione che questo per ora è uno dei capitoli che (spero) mi siano venuti meglio, anche perchè parlando di morte e paura, mi sembra molto legato a Soul Eater.
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto ^^
Alla prossima
Tsutsu

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Capitolo 16
*** Il segreto di Eis ***


Il segreto di Eis


«Cosa facciamo?»
Eis rimase in silenzio, scrutando ancora la neve, ma il vento aveva spazzato via ogni traccia.
Si chiedeva che cosa avesse in testa quella ragazza, era davvero impossibile starle accanto. Cosa avrebbe detto a Tsubaki? Tua figlia mi ha portato laggiù solo per suicidarsi.
Era incredibile, così folle da andare incontro alla morte e che voleva dimostrare? Che voleva fare da sola, non sarebbe mai riuscita a salvare suo padre.
Si portò una mano sullo stomaco, i morsi della fame diventavano sempre più intensi e sicuramente era così anche per Lealia e Reliance.
Andare a cercare Sora sarebbe stata morte certa per tutti quanti e poi, era quel che la ragazza aveva sempre voluto, andare da sola... si chiedeva se ora fosse felice della sua scelta.
«Eis...» lo chiamò ancora la falce.
Lui sollevò lo sguardo e rimase ancora immobile.
Dopo un paio di minuti, Lealia insisté.
«Shh!» fece lui e rimase nella medesima posizione.
In seguito si voltò verso di lei con i soliti occhi di ghiaccio, ma con un’espressione sorpresa.
«Io... riesco a vedere le anime!»
La ragazza spalancò gli occhi. «Come mia madre!»
Rimasero immobili ancora a lungo.
«E... riesci anche a vedere dove si trova Sora?»
Eis ridusse gli occhi a due fessure e rimase ancora fermo, scrutando l’orizzonte con attenzione.
«È...»
Lealia deglutì e rimase in attesa.
«...non...»
La ragazza chiuse gli occhi, avendo capito e respirò profondamente, così forte che Eis riusciva a sentirla a qualche passo di distanza.
Eis si irrigidì e rimase ancora fermo. Il cuore accelerò i battiti e lui deglutì. «Devo andare!»
Lealia sembrò come risvegliarsi. «Come? Che stai dicendo?»
Lui si voltò. «La sento, ma è molto debole.» Deglutì di nuovo. «Voi tornate pure indietro.»
Reliance piegò la testa di lato. «Oh..»
«Eh?!» Il volto di Lealia si contrasse in un’espressione di disapprovazione.
Eis si avvicinò a lei, il vento era diventato più forte e copriva le loro voci «È meglio. Non abbiamo più cibo e acqua... se ci perdessimo...»
«E tu come farai?»
La guardò con il fiato sospeso. «Troverò Sora e torneremo da voi.»
Lealia fece un passo indietro, accorgendosi di quanto i loro corpi fossero vicini. «Le vuoi davvero bene...»
Sul volto le si era dipinto un sorriso e lui ricambiò, mentre Reliance li guardava incuriosita.
«Andiamo Reliance.»
«Oki doki!!!» rispose squillante l’altra alzando un braccio. «Ciaoooo.»
Lealia guardò il meister e lui si limitò a salutarle alzando la mano all’altezza del viso, dopodiché le due ragazze si avviarono nella parte opposta.
 
La neve aveva cominciato a turbinare, spazzata da forti correnti, che quasi impedivano al ragazzo di stare in piedi, ma si faceva forza per proseguire mentre percepiva l’anima della sua arma diventare sempre più debole. Era come la piccola fiamma di una candela, che tremola ad ogni spostamento d’aria e si uccide da sola, consumando il filo che la tiene in vita.
Era davvero stupida, ma lui si sentiva ancor più stupido tentando di rimediare ogni volta ai suoi errori. Perché ogni volta le andava dietro? Lasciarla non sarebbe stato molto meglio?
Capiva il bisogno di aiuto che aveva quella ragazza, ma non era un suo problema... eppure, continuava a farlo.
Si fermò. Non riusciva a percepire più nulla.
Cercò di mettere meglio a fuoco, ma la bufera gli offuscava la vista.
Poi fu come se la fiamma della candela, tremolasse un’ultima volta, prima di spegnersi definitivamente e si accorse di alcuni ciuffi azzurri che uscivano dalla neve.
Si getto in ginocchio sulla neve e vi affondò le mani.
«Sora!»
Ancor prima di scoprirle le gambe, la prese tra le braccia, osservando il colore insano della sua pelle.
«Sora» la scosse. «Svegliati!»
Aveva visto parecchia gente morire a quel modo, era il modo più frequente di morire dalle sue parti e sapeva che, se non si fosse svegliata subito, sarebbe morta.
«Svegliati maledizione!»
Le vide muovere appena la bocca, ma non ne uscì un suono percettibile.
Provò a scuoterla ancora e il suo viso si contrasse leggermente, irrigidito dal freddo, poi le vide una lacrima rigarle la guancia e, dal suo bisbigliare, comprese solo una sillaba: “pa”, ma bastò a fargli capire chi stesse chiamando e che stava sognando suo padre.
Il suo petto si irrigidì, come se qualcosa l’avesse colpita e riprese a respirare normalmente.
«È  freddo» mormorò.
Eis le strofinò della neve in faccia. «Svegliati o ti uccido.»
Alzò una mano per fermarlo e riaprì gli occhi, appena in tempo. «Mi stai già uccidendo!»
Si tolse la neve dal viso e si strofinò gli occhi, per poi guardarlo male.
Si allontanò da lui, cadendo nella neve prima di rimettersi in piedi in modo stabile.  «Che ci fai qui?»
Oh, grazie Eis, mi hai salvato la vita!, no, da lei non si aspettava nulla del genere, ma sarebbe stato carino sentirselo dire.
«Se non fossi venuto, saresti morta.»
Si guardò intorno, un po’ spaesata e tornò di nuovo ad attaccarlo.
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Ho percepito la tua anima.»
Dall’espressione truce che aveva, cambiò completamente, i suoi occhi sembravano essersi illuminati. «Allora così riuscirai a sentire dove si trova mio...»
«La vuoi smettere?!»
Aveva alzato talmente tanto la voce, che lei aveva vacillato sulle gambe, non si aspettava certo quella reazione, era impressionante quanto Eis riuscisse a mantenere il controllo anche nelle situazioni più difficili e, probabilmente, lei se n’era sempre approfittata.
Adesso invece si sentiva un cucciolo con la coda fra le gambe, mentre lui era un immenso orso polare che mostrava i denti.
I suoi occhi indaco parevano spilli di ghiaccio che la trapassavano, non ce la faceva a sostenerlo, ma non sapeva che dire.
«Per quale motivo?» Sbottò.
Eis strinse i denti. «Non ne posso più di sentirti parlare di tuo padre, di quanto lui sia perfetto e di quanto vorresti somigliargli!»
«Potevi anche non venire qui!»
Solo in seguito si rese conto di quanto le sue parole lo avessero ferito e si zittì, sforzandosi di mostrarsi comprensiva.
«Qual...» parlò con un tono pacato ma si bloccò, riformulando la frase. «Che succede?»
Forse era una domanda stupida, era scontato che non potessero continuare dopo tutto quel che era successo.
Lui non rispose ed abbassò lo sguardo con i pugni chiusi.
«Eis!» Insistette la ragazza.
Gli vide il petto che si alzava a e abbassava velocemente ma lei continuava ad assillarlo, fin quando non la sopportò più
«Mio padre picchiava me e mio fratello e ha ucciso mia madre!»
 


Ma come sono cattiva, povero Eis... appena ho creato il personaggio, ho sempre avuto chiaro il suo passato.
Comunque, ho provato a fare il capitolo più lungo, come mi è stato suggerito e ho inserito di più le sensazioni dei personaggi, anche se mi è stato difficile... beh in realtà è la cosa che di solito mi riesce meglio (chiedo scusa, ho i miei problemi xD), penso proprio che questo sia il capitolo peggiore...
Beh, fatemi sapere voi cosa ne pensate (titolo schifoso, non sapevo che inventarmi)...
Tsutsu

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Capitolo 17
*** Anime in sintonia ***


Anime in sintonia


Il cuore di Sora perse un battito e le mancò il respiro, mentre vedeva gli occhi di Eis lucidi, ma lui non piangeva.
Lei abbassò la testa, sentendosi colpevole. In quel momento, riusciva solo a sentire qualcosa contorcersi nello stomaco, ed un vortice nel cuore. Era simile ai sensi di colpa e lei non si era mai sentiva mai così.
Provò a visualizzare delle immagini, ma le era difficile immaginare il suo passato con gli occhi di Eis, riemergevano solo i ricordi felici della sua infanzia..
Una cosa come questa le sembrava troppo surreale, fuori dalla sua comprensione, non aveva mai avuto problemi con la sua famiglia... volersi bene, rispettarsi, era una cosa naturale in famiglia e non concepiva come potessero accadere cose simili... soprattutto ad Eis.
Perché lui?
...
Tutte le volte, lui non esitava ad aiutarla e lei non sapeva nulla su di lui, solo ora si rendeva di non conoscerlo per niente... doveva andare fino in Alaska per capirlo?
...
Ora se ne stava in silenzio, alzando e abbassando lo sguardo su di lui in continuazione, aspettando una reazione.
Semplicemente lui si voltò, dopodiché, con tono spento, disse semplicemente: «Andiamo.»
Sora lo raggiunse e gli afferrò il braccio, guardandolo con occhi languidi e, per riuscire a parlare, dovette raccogliere tutto il suo coraggio, cosa che non faceva per una battaglia.
«Eis...io...»
Lui ricambiò il suo sguardo con occhi lucidi e le sorrise appena a labbra strette, poi volse lo sguardo all’orizzonte. «Dobbiamo andare di qua»
Sora lasciò cadere le sue braccia, mentre lui, affondando nella neve, procedeva come se nulla fosse successo, come si era sempre comportato. Lei rimase a guardarlo, gli sembrava un’altra persona per quella compassione che le faceva dolere il petto.
 
Continuava a camminare dietro di lui, si sarebbe sentita a disagio dovendolo guardare e poi, la riparava dal vento e dal freddo alto com’era, la neve gli arrivava al polpaccio, mentre lei affondava fin sopra il ginocchio.
Inoltre, per una volta, doveva ammettere che, tornare indietro era stata la soluzione migliore, adesso teneva una mano sullo stomaco, sentendo le forze venir meno. Non si sentiva più i piedi e le dita delle mani per il freddo e l’aria le congelava i polmoni, mentre sulla pelle c’era ancora quella fastidiosa sensazione dei vestiti bagnati che le si appiccicavano addosso.
Da quel giorno che aveva segnato la sua vita, non si era più fatta un bagno, ma solo la doccia e, appena finita, si asciugava subito.
Assorta nei suoi pensieri, non si era accorta che Eis si era fermato e lei fece lo stesso.
«Cosa...»
Vide le sue spalle irrigidirsi, ma riuscì a rimanere calmo. «Trasformati.»
«Eh?»
Avvertì un fruscio che Eis percepì solo in seguito si voltò, vedendo una shuriken volare verso di loro e si scansarono.
Subito dopo cadde nella neve e, con la sensazione di cadere di nuovo nell’acqua ghiacciata, chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, accanto al suo viso c’era una seconda shuriken e, sopra di lei, Eis, che parlò a bassa voce.
«Stai giù... sono in tanti, non riusciremmo ad evitare troppe shuriken.»
Era una scusa per stare in quella posizione? Non si era certo dimenticata che era un pervertito e lei una che non si smentisce mai, tuttavia, non riuscì a protestare. Possibile che, dopo aver saputo il suo passato, non riuscisse a comportarsi come aveva sempre fatto?
Sentì dei passi, i nemici si stavano avvicinando per controllare se erano riusciti ad ucciderli, ma lei continuava a guardare Eis, che riuscì a vedere che erano ancora abbastanza lontani.
Lui, guardò la sua arma e, quando si accorse che lo stava guardando, fece un’espressione sorpresa, soprattutto perché lei era arrossita.
Sora piegò la testa, anche se il collo in quel modo le faceva male, poi si trasformò in arma.
Una shuriken colpì un nemico che si avvicinava, mentre Eis colpì con un calcio quello che arrivava dalla parte opposta, per poi finirlo quando l’arma era tornata in mano sua.
Il meister vide altre centinaia di nemici avvicinarsi. Avevano lo stesso aspetto di quelli che li avevano già attaccati e fatti finire nell’acqua ghiacciata, non erano riusciti ad eliminarli quella volta, ed erano tornati, per farlo, avevano per forza a che fare con il kishin o le streghe che lo avevano creato.
Si ritrovano circondati da quelle figure vestite di nero e, vedendoli più da vicino, vide che, dove c’erano dei fori per gli occhi, c’erano disegnati dei grandi occhi di gufo e delle piume attaccate al cappuccio del mantello.
Uno di loro lo attaccò, seguito da tutti gli altri. Eis si parò con la catena, per poi colpirlo sul fianco con una delle falcette all’estremità e, al contempo, respinse un nemico con un calcio.
Sora divenne un pugnale ed uccise un altro avversario, intanto, intorno a loro, aumentava il numero di anime che galleggiavano nell’aria.
Eis pugnalò un altro nemico e Sora fece appena in tempo a diventare una kusari-fundo e parare un colpo che arrivava da destra.
Erano in vantaggio, ma non potevano riposarsi neanche per un istante, a qual ritmo si stancavano troppo rapidamente ed i nemici che arrivavano sembravano non finire mai.
I colpi di Eis, per quanto si sforzasse, erano sempre più fiacchi e lenti ed iniziò ad avere il fiatone.
Aveva la mente offuscata, il rumore del suo stomaco era più forte dei suoi pensieri, ma ugualmente tentò di riflettere.
Lui e Sora non avevano mai provato a fare la risonanza dell’anima, a malapena erano sulla stessa lunghezza, ma adesso Sora cambiava modalità senza che lui dovesse dirle niente, era come se si capissero senza bisogno di parlare.
Adesso riusciva anche a sentire anche quella della sua arma e non percepiva l’irrequietezza che si vedeva anche senza l’abilità che aveva appreso da poco.
«Così non va...»
«Mio padre si è ritrovato tantissime volte in situazioni simili, ed ha sempre vinto.»
Rimase in silenzio, non appena pensò a quel che aveva detto, ed Eis non disse neanche nulla, ma poi lo vide sorridere. Impegnato a combattere, forse non aveva ben capito quel che aveva detto.
Scuse accettate.
«Che cazzo dici? Io non ti ho mica chiesto scusa!»
Rimase di nuovo in silenzio, chiedendosi se la stesse prendendo in giro. Era sicura di averlo sentito parlare, ma lui non aveva aperto bocca.
Come sei stupida,fin’ora non ti sei accorta che riesci a capire i miei pensieri?
Si zittì ancora, cosa che le dava incredibilmente fastidio, non più del fatto che lui avesse percepito i suoi pensieri...
Significa che siamo sulla stessa lunghezza... possiamo provare a fare la risonanza dell’anima.
«Sicuro di riuscirci?»
Lo vide sorridere di nuovo... cazzo!
Hai troppa fiducia in me per dire una cosa simile... Non riesci a mascherare i tuoi pensieri!
Bastardo! Ora era lei a sorridere... beh, se non fosse stata un’arma in quel momento, lo avrebbe fatto.  Hai sentito anche questo?
Ricambio subito, nudista!
Lo dici come se ti dispiacesse!
Dopo essersi liberato degli ultimi nemici che aveva attorno e, mentre ne arrivavano altri, Eis si mise in posizione.
«Risonanza dell’anima!» Gridarono all’unisono.
Sentirono le loro anime ingrandirsi a dismisura, fino a toccarsi.
La catena di Sora si allungò verso l’alto, per poi cadere pesantemente a terra, formando un’enorme stella ed i nemici che vi si ritrovarono all’interno, erano immobilizzati.
La catena si ritrasse e, la lama di una falcetta, divenuta enorme, squarciò tutti i nemici paralizzati in un solo istante.
Intorno a loro vi era una moltitudine di anime, erano come fiori in un prato, impossibili da contare.
Eis cadde a gattoni con il fiatone e Sora avrebbe voluto tornare umana ma la battaglia non era ancora conclusa.
Il meister si rialzò corse verso i nemici rimasti e, questa volta erano davvero gli ultimi.
Li colpì, ma Sora sentiva che non affondava abbastanza con la lama e le sue dita che, per quanto si sforzasse, non la tenevano abbastanza forte, per questo colpì i nemici varie volte, prima di vederli dissolversi, lasciando solo l’anima.
Nonostante i nemici fossero ancora vivi, si fermò, avido di aria e, vedendolo incapace di agire, Sora tornò umana e colpì i nemici con la catena che le usciva dal braccio, ma i suoi colpi bastavano solo a farli fermare per qualche istante. Le si stavano offuscando gli occhi.
Scattò, parando un colpo diretto ad Eis, ma un altro nemico arrivò da dietro e sentì il suo meister gridare.  
Prima che colpisse di nuovo il meister, si scagliò contro l’assalitore, uccidendolo.
Sentiva il cuore battere fortissimo ed anche lei sentiva il bisogno di riprendere fiato ma, al contrario, dovette chiudere la bocca. Quando la riaprì, sputò sangue e  stringendo ancora di più la mano con cui aveva fermato il pugnale che l’aveva colpita al fianco.
Sentiva il sangue scivolare tra le pieghe della mano e non aveva abbastanza forza per respingerla prima che la tagliasse in due.
Si arrese alla forza che opponeva il nemico e si scansò, lasciando sulla neve una traccia rossa, ma quel che più non avrebbe voluto fare, era allontanarsi dal suo meister disteso a terra.
Tornò all’attacco e uccise l’avversario.
Dopodiché, con il petto che si abbassava e alzava rapidamente, si posiziono davanti ad Eis, questo bastò a far capire ai nemici che avrebbe combattuto anche in fin di vita.
Una volta essersi assicurata che i nemici se ne fossero andati, si accasciò a terra tossendo e sputando sangue ed in fretta, si abbassò su Eis.
Avvicinò il viso al suo e vi restò a lungo, per potersi accertare che stesse respirando, poi rivolse lo sguardo alla gamba, dove la neve bramava quel colore rosso brillante.



Scusate, scusate, scusate, scusate!!!!!
Mi dispiace tanto per il ritardo e, per non tardare oltre, l'ho scritto adesso, è mezzanotte e, come vedete, questa volta il capitolo è ancora più lungo.
Doveva riguardare Eis questo capitolo, ma sarà il prossimo, questa volta è sicuro. Inoltre, non mi aspettavo che questa storia diventasse così lunga, beh, spero che non vi siate stancati di leggerla.
Grazie per tutte le vostre recensioni, vi sono davvero grata ^^
Baci a tutti
Tsutsu

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Capitolo 18
*** Il passato di Eis ***


Il passato di Eis


Eis mosse le palpebre solo leggermente, strizzandole prima di aprirle, ma dovette chiudere di nuovo gli occhi per la forte luce.
Con la vita ancora annebbiata, distinse un fuoco  che ondeggiava davanti a lui poi, sbattendo più volte le palpebre, vide la sua arma rannicchiata con la testa sulle ginocchia ed uno sguardo stanco ed assonnato.
Ora che vedeva più chiaramente, distinse i tronchi degli alberi ed il buio pesto tra essi e sopra le loro chiome.
Davanti a lui sentiva il calore del fuoco, ma dietro sentiva il freddo salire dalla neve. Solo quando provò a muoversi, lo colpì il dolore acuto alla gamba e, quando abbassò lo sguardo, vide la neve colorata di rosso e un pezzo di stoffa insanguinato legato al polpaccio.
Guardò ancora Sora, che combatteva contro il sonno, alzando ed abbassando lentamente la palpebre in continuazione e gli occhi rossi, dello stesso colore era la sua maglietta ed il cappotto, disteso accanto a lei, ancora bagnato dalla caduta in acqua.
Non ricordava assolutamente nulla dopo essere stato ferito e la tentazione di chiedere spiegazioni era troppa, ma la compagna sembrava troppo stanca e temeva una reazione violenta conoscendola.
«Potresti anche dormire adesso.»
La vide solo sbattere più velocemente le palpebre e stringersi ancora più con le ginocchia contro il petto.  Attese a lungo la sua risposta.
«Potrebbero attaccarci.»
Si sentì piuttosto offeso, pensava che lui non fosse in grado di fare la guardia?
Senza più pensare alla conseguenze, azzardò fare la domanda che tanto lo arrovellava.
«Che cosa è successo?»
Gli occhi della ragazza si ridussero a due fessure e aggrottò le sopracciglia, evidentemente infastidita.
Lei non rispondeva e, prima che potesse farlo, lui fece un’altra domanda. «Perché arrivare fin qui? Dove eravamo, la foresta era piuttosto lontana.»
«Per accendere il fuoco no?! E che vuoi che sia successo... li ho sconfitti!»
Sollevò la testa e lo guardò male. «Pensavi che portarti fin qua per me fosse troppo difficile?»
Eis sospirò. In effetti era quello che aveva pensato, ma non perché la considerasse debole, solo per il fatto che scavare nella neve fosse molto più semplice.
Dato che non rispondeva, Sora sbuffò e affondò di nuovo la testa tra le ginocchia.
L’unico rumore che si udiva nella foresta, era lo scoppiettio del fuoco e quel silenzio era estremamente fastidioso, almeno per il ragazzo perché c’era qualcosa che non irritasse Sora, a parte il suo Kid?
Eis non poteva vedere la ragazza in volto, ma era sicuro che fosse ancora sveglia e non se la sentiva di dormire con lei in quelle condizioni. Per quanta resistenza opponesse, si sarebbe addormentata e, se non lo avesse fatto, sarebbe stata comunque inutile.
Cambiò improvvisamente idea quando lei si voltò a guardarlo con occhi piuttosto furiosi.
«Come cazzo fai a restare così impassibile?!»
Le ultime sillabe le aveva pronunciate a stento, a quanto pareva il suo difetto alle corde vocali era davvero peggiorato, però, in quel momento non aveva importanza per nessuno dei due.
Eis aveva capito benissimo a cosa si riferiva, ma rimase in silenzio non sapendo cosa dire.
Lei lo fissava con sguardo truce, senza lasciargli altra scelta se non quella di parlare.
«Che dovrei fare allora?!»
Lui distolse lo sguardo e lei si fece più vicina, ma notò subito che si muoveva in modo insolito, nascondendo il fianco destro.
Non gli diede tempo di chiederle in motivo che si intromise ancora di più nel suo spazio personale, avvicinandosi pericolosamente al suo viso, suscitando in lui un notevole fastidio.
«C’è qualcos’altro che mi nascondi?!»
Quando lui si voltò, si ritrovò davanti i suoi occhi color malva e, ancora una volta distolse lo sguardo.
«Guardami in faccia quando ti parlo!»
Fra i tanti difetti che aveva, apprezzava che, almeno fino ad ora, non si impicciasse nelle faccende altrui, era talmente egocentrica. Perché tutto quell’interesse?
«Non ti aspettare una storia allegra e a lieto fine!»
Finalmente era riuscito a farla ritrarre, si era seduta di fronte a lui, con le spalle al fuoco ed i lunghi capelli che coprivano il fianco. I suoi contorni erano illuminati dalla luce calda del fuoco, mentre, nel buio che le velava la parte rivolta a lui, brillavano i suoi occhi.
Preferì concentrarsi su quell’immagine che far riemergere il suo passato, ma lo sguardo di lei non ammetteva una retromarcia.
 
Fu all’età di cinque anni che divenne consapevole della reale situazione della sua famiglia, se così si poteva chiamare.
Quel giorno era stato sempre chiuso in casa, un’abitazione semplice circondata da tante altre identiche e da un’immensa foresta di abeti imbiancati. Erano così gli inverni là, si stava al calduccio accanto al fuoco, guardando dalla finestra la bufera di neve che infuriava all’esterno,
Erano sempre stati loro due, madre e figlio, il padre usciva e non si faceva sentire, per giorni o addirittura settimane.
Pensando a sua madre, gli veniva sempre in mente quel suo sorriso dolce e caldo, circondato da quei lisci capelli color miele. Lo teneva sulle sue ginocchia e gli parlava con la sua voce di velluto, ma non aveva alcun ricordo degli argomenti di cui parlava, non erano neanche molti, il loro villaggio era disperso nel nulla e non c’erano né televisioni né computer, tantomeno la corrente.
Quello era stato il periodo più sereno della sua vita, ma solamente perché era all’oscuro di tutto, non conosceva il dolore di sua madre.
Un giorno la porta si spalancò, il vento spense il fuoco nel camino, facendo calare il buio nell’abitazione e la neve si accumulò rapidamente sulla soglia dell’abitazione, su cui stava un uomo imbacuccato, totalmente irriconoscibile.
Sua madre aveva preso Eis per mano, spostandolo delicatamente dietro le sue gambe, ma lui non capiva.
L’uomo si era tolto la sciarpa nera dalla bocca e si era avvicinato con passi per nulla delicati. Era un mese che quel bastardo non si faceva vivo ed ora la donna sapeva bene il motivo della sua visita e ricordava con terrore la sua ultima discussione con lui, le tremavano le gambe al solo pensiero.
Era la tradizione del villaggio che i ragazzi appena adolescenti compiessero un’impresa che dimostrasse il loro valore e le abilità ereditate dal padre. Era così che si misurava il valore di un uomo, ma Eis era appena un bimbo di cinque anni! Tutto questo solo perché era stato umiliato dagli uomini del villaggio, deriso e definito ubriacone, quando avrebbe voluto essere il capotribù.
A stento la donna era riuscita a farlo stare alla larga da suo figlio fino ad allora e non avrebbe rinunciato adesso, ma lui aveva la sua stessa determinazione.
Eis guardava con curiosità quell’uomo, con l’espressione ingenua ed innocente di un bambino, ma sua madre stingeva con forza la sua piccola mano.
La voce dell’uomo era roca e rimase colpito dalla brutalità delle sue parole, che diede inizio ad un furioso litigio, che fece sfociare ulteriormente la violenza dell’uomo, che colpì la donna con un forte schiaffo.
La donna piagnucolò sommessamente, si interruppe all’istante, facendosi forza solo per suo figlio, ma dalle labbra le usciva del sangue.
Il bambino aveva spalancato gli occhi e stringeva i pantaloni della madre, immobilizzato dalla paura e quasi se la faceva sotto, o forse se l’era fatta veramente addosso, quando dalle sue mani erano sfuggiti i pantaloni della madre, strattonata dall’uomo per i capelli.
Lei gridava e si ribellava, cercando di non farsi trascinare, ma lui l’ebbe vinta.
«Ti ricorderò di nuovo chi è che comanda!»
Eis ricordava con orrore quelle parole e si vergognava di sé stesso, mentre sua madre veniva trascinata verso la camera da letto per difendere lui, lui che era rimasto impalato senza fare nulla. Che figlio ingrato.
La notte la casa sembrava essere diventata immensa, l’unica cosa che lo ricordava che non era solo, erano le grida strazianti di sua madre, ma ancora non aveva la forza di andare da lei, non aveva neanche idea di cosa stesse succedendo dall’altra parte della stanza.
La mattina seguente, l’unico che vide uscire dalla camera, fu solo suo padre che, senza dire una parola, lo trascinò fuori senza neanche un cappotto.
Da dentro a fuori, la temperatura variava di tantissimo, rabbrividiva, ma quell’uomo continuava a farlo camminare a passo spedito, troppo veloce per le sue gambe corte che affondavano nella neve.
Lo aveva fatto camminare a lungo, addentrandosi nella foresta e si fermarono dove, legato ad uno degli alberi, c’era una corda che finiva nella neve che esplose in aria, facendo emergere un grosso cane dall’aspetto di un lupo. Era molto denutrito, gli si vedevano le costole e, dalle fauci spalancate, gli colava la saliva che faceva sembrare perlati i suoi affilati denti bianche. Tirava la corda, che a poco a poco si stava sfilacciando, impaziente di accanirsi contro i due, spinto dalla fame.
Eis lo guardava, chiedendosi perché l’animale si trovasse lì, poi, l’uomo gli mise un pugnale nella mano ed era così grande che a malapena le sue dita si chiudevano attorno all’impugnatura.
L’uomo gli aveva dato un comando: «Uccidilo.»
Eis aveva alzato gli occhi su di lui che lo guardava severamente, ma non poté dire nulla che il cane si stava scagliando contro di lui.
 
«Tu... tu lo hai...»
«Non interrompere ci stavo per arrivare.»
«Lo hai ucciso?»
Il meister annuì  e dalla faccia della ragazza capì che ci era rimasta malissimo, sapeva che le piacevano i cani, la prima volta che l’aveva vista ne stava accarezzando uno.
«Vuoi ancora che continui?»
Sora acconsentì.
 
Aveva cercato riparo tra gli alberi ma erano troppo distanti e sarebbe stato inutile ed anche il padre si era allontanato da lui.
Era successo tutto così in fretta che non si era neanche reso contro di ritrovarsi sotto l’animale lo riempiva di graffi cercando di arrivare al collo.
L’uomo stava inveendo e gli ripeteva di ucciderlo e lui, per istinto, spinse la lama vero l’alto, trapassando la gola dal cane che andò a guaire più in là, prima di accasciarsi mestamente sulla neve e morire.
I giorni seguenti si erano susseguiti tutti in modo simile e faticoso, inoltre, quando sbagliava, suo padre lo picchiava, non aveva più tempo di stare con sua madre, l’aveva vista a malapena. Lo aveva guardato con occhi tristi e languidi, senza la possibilità di potergli dire una parola e per lui, non era stato possibile farsi sfuggire le numerose ferite che aveva su tutto il corpo. Il suo viso era trasfigurato e spento senza quel suo sorriso aperto, era luminoso come il sole che, in quel posto dimenticato dal mondo, non appariva quasi mai da dietro le nubi.
Mentre i mesi passavano e lui prendeva sempre più consapevolezza della situazione in cui si trovava, il ventre di sua madre cresceva e l’inverno successivo, fu segnato un susseguirsi di pianti.
Hias, era il nome del suo fratellino e, da quando era nato, sua madre sembrava essere più felice di prima, ma anche preoccupata, temendo che potesse capitare anche a lui quello che era successo al suo primogenito.
Crescendo, Eis sentiva crescere le responsabilità su di lui, sentiva anche lui il bisogno di proteggere Hias e sua madre, a soli sette anni era molto più maturo dei suoi coetanei, anche se lui non avrebbe saputo dirlo, dato che il suo contatto con gli altri era praticamente inesistente. Costretto ad obbedire a quell’uomo -il solo pensiero di essere il suo frutto, inorridiva sotto la pelle- aspettava solo di crescere e poter avere abbastanza forza da opporsi, ma il giorno in cui dovette difendere le persone che amava, arrivò troppo presto. Infatti, il padre, deluso dal suo primo figlio, decise di voler portare con sé anche Hias. In realtà qualche volta lo allenava e lo picchiava anche più di quanto faceva con il fratello maggiore, in quanto, essendo più piccolo, sbagliava anche di più e quell’uomo aveva una scarsissima pazienza.
Eis, ormai cosciente dei maltrattamenti subiti fin troppe volte da sua madre -con probabilità, nato anche egli stesso a quel modo orrendo-, si oppose al posto di lei, che aveva protestato, esattamente come quel giorno di quattro anni prima, ma ora era lui che doveva difendere tutti.
Capì cosa aveva provato sua madre quando suo padre gli diede uno schiaffo, così forte da gettarlo a terra, ma lui si rialzò subito, così come tante altre volte. Alla fine decise di reagire, consapevole che la sua forza non sarebbe comunque bastata, tuttavia, si sorprese nel vedere quanta ne avesse, infondo, quei disumani allenamenti non erano stati inutili, ma non per questo avrebbe lasciato fare a suo padre quello che voleva.
Non era neanche molto leale suo padre, infatti, dopo che Eis si era accanito contro di lui, aveva sfoderato il pugnale.
Gli era bastata una sola manata per sbattere il figlio contro il muro e lui non aveva modo di scappare, stordito anche da tutti colpi presi, ma non voleva accettare che finisse a quel modo. Infatti, andò diversamente...
 
Sora era rimasta scioccata, deglutì, sentendo il cuore battere forte contro il petto.
«Si è... si è messa in mezzo?»
La sua frase non sembrava molto una domanda, piuttosto un’affermazione di stupore. Per un attimo immaginò sé stessa nella stessa situazione di Eis, sapendo benissimo che anche sua madre le avrebbe salvato la vita senza alcun ripensamento.
La voce di Eis era rimasta neutrale per tutto il racconto, ma la ragazza non poté fare a meno di pensare che, sicuramente, aveva dei sensi di colpa... sua madre era morta per difendere lui...
 
Il corpo di sua madre era esanime sul pavimento, l’uomo lo aveva scansato con i piede, quando in realtà, non si sarebbe nemmeno dovuto azzardare a posare lo sguardo su una donna come lei.
Eis non si prese tempo per pensare a quello che era veramente successo, reagì pensando solo al bene di suo fratello, con la morte della loro mamma, non c’era più nulla che li legava a quel posto.
Prese in braccio suo fratello e corsero via, fuori era così buio che il padre perse le loro tracce alle soglie della foresta.
Per tutto il tempo, Eis aveva tenuto la testa del fratello contro il suo petto, nascondendogli le sue lacrime, ma sentiva il petto del bambino muoversi in modo irregolare.
Non chiusero occhio in quella notte infernale. La mattina erano seduti nella neve e  nessuno dei due diceva una sola parola o almeno, questo era quello che parve ad Eis, lui teneva la testa tra le mani e nella testa si ripeteva la scena dell’uccisione di sua madre. Era solo colpa sua. Lui che aveva detto di volerla proteggere...  
«Eis... cosa facciamo?»
Alzò la testa e guardò il fratello con occhi lucidi.
«Non ti preoccupare, ce la caveremo...»
La sua voce tremava, non era riuscito a trattenersi, ma non avrebbe pianto davanti a Hias, anche se non era per nulla sicuro di quello che aveva detto.
Con gli stomaci dolenti, continuarono a vagare per la foresta, con il timore che loro padre avrebbe potuto ritrovarli.
Non avevano idea di dove andare, non si erano mai allontanati dal villaggio.
«Su, dobbiamo andare.»
Aveva detto a Hias, che era rimasto indietro. Stava sorridendo, voleva sforzarsi di farlo per lui, ma smise subito quando vide che respirava affannosamente ed aveva un colorito preoccupante.
Si era abbassato su di lui e gli aveva toccato la fronte. Era bollente.
Preso dal panico, ma senza darlo a vedere, lo prese in braccio e riprese a girovagare per la foresta di corsa.
 
«È finita così» sospirò Eis, con un sorriso amaro sul volto. «Sono rimasto completamente solo...»
Sora non ebbe la forza di dire nulla, e se anche l’avesse avuta, cosa gli avrebbe detto? Se ne stava accucciata con la testa sulla ginocchia e lo sguardo basso.
 
Era finito un altro giorno e con esso, anche suo fratello. Rimasto completamente solo e, preso dalla disperazione, scoppiò il lacrime, lasciando fluire anche il dolore per sua madre. Forse sarebbe stato meglio se non fosse mai nato, sarebbe stato meglio in confronto a quella vita o, più che vita, era meglio chiamarla inferno.
Impiegò molto prima di decidersi ad abbandonare il corpo senza vita di Hias, era solo un peso ora, anche se in vita era stato tutt’altro, uno dei pochissimi motivi per continuare a vivere.
Avrebbe raggiunto l’altra parte della foresta e sarebbe sopravvissuto solo per ricordare le persone che aveva amato, senza alcuna speranza di trovare di meglio.
Dopo varie ore di cammino, si reggeva a malapena in piedi, la fame lo stava distruggendo, ma poi, la sua attenzione ricadde alla sua sinistra, dove sentiva delle voci. Si avvicinò e vide una ragazza che non doveva avere più di venticinque anni e stava maneggiando una falce.
La osservò combattere contro un “mostro”, non sapeva bene come definirlo, non aveva mai visto una cosa simile.
Una volta terminato il combattimento, di quel mostro rimase solo un’anima.
«Perché dobbiamo ancora occuparci di queste cose?»
Eis non capiva da dove venisse la voce, non poteva essere della ragazza, era troppo maschile.
«Non è per nulla fico.»
«Non c’era nessuno che poteva occuparsene al momento, era una missione difficile per gli studenti.»
Lui non si fidava delle persone, non dopo quello che aveva passato, ma ormai non aveva nulla da perdere e si fece avanti.




Shinigami, che capitolo lungo! Non ce la facevo più! Avevo pensato di dividerlo in due capitoli, ma alla fine... eccolo qui! Ancora una volta, scusate il ritardo e per questo capitolo, forse è un pò troppo... non so come dire ma mi è dispiaciuto scrivere cose di questo tipo, per questo non sono voluta entrare nei dettagli e raccontare meglio.
Inoltre, voelvo dirvi che ho scritto una storia e, come storia originale, non sono per nulla sicura di come stia venendo, per questo, se vi fa piacere leggerla, mi farebbe piacere e mi sarebbe utile sapere che ne pensate
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=974090&i=1
Al prossimo capitolo e grazie a tutti quelli che hanno letto ^^
Tsutsu

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Capitolo 19
*** Eternal Night ***


Eternal Night


La stanchezza della ragazza sembrava essersi completamente dileguata, tutti i suoi sensi erano attivi ed i suoi pensieri erano tutti rivolti ad Eis.
Le tornò alla mente la sua brutta esperienza con l’acqua, non potendo fare a meno di rabbrividire, ma non era nulla in confronto all’inferno che aveva passato lui. In quell’occasione, come in tante altre, era lei contro il mondo intero, ma almeno aveva accanto chi le voleva bene, mentre Eis era completamente solo ed il suo nemico, era un membro della sua stessa famiglia.
Per la prima volta, sentì di essersi comportata come un’egoista, aver perso suo padre, l’aveva mandata nella più completa disperazione mentre Eis, pur avendo visto morire la madre ed il fratellino davanti ai suoi occhi, era riuscito a restare in piedi e combattere ancora.
Assorta com’era, non si accorse immediatamente che il ragazzo si era alzato in piedi... o per lo meno, ci aveva provato.
«Che stai cercando di fare?»
Eis la guardò dall’alto. «Dovremmo riprendere a camminare domani mattina.»
Gli occhi di Sora si erano spalancati e poi corrugò le sopracciglia. «Come pensi di fare con la gamba feri...»
Maledì sé stessa, le sue corde vocali sembravano voler smettere di obbedirle definitivamente, ma lei non poteva accettare quel limite.
«Vedrò di abituarmi a questo dolore, sempre meglio che morire qui.»
L’arma lo guardò male e, quando riprese a parlare, Eis dovette piegarsi di fronte a lei per capire quel che stava dicendo.
«Pensi davvero che moriremo?»
Lo guardava con uno sguardo insolitamente serio, non era da lei dire cose di questo tipo.
Il viaggio in Alaska aveva fatto emergere il lato nascosto di ognuno di loro -beh, a parte Reliance... era pur sempre la figlia di Patty... la pigra, dormigliona, amante dei panda, Reliance.
Era anche la prima volta che Eis raccontava la sua storia, ai suoi salvatori della Shibusen aveva detto solo di essere rimasto orfano, poiché non considerava l’uomo che gli aveva tolto tutto suo padre.
Sul suo volto si dipinse un’espressione maliziosa. «Che c’è? Hai paura?»
«Idiota.»
Era ancora seria, ma lui non perse l’occasione di tornare ai tempi più spensierati, o almeno, per viverne la fugace illusione.
«Egocentrica.»
«Burino.»
«Spudorata.»
«Pervertito.»
Questa volta non continuarono a lungo, si scambiarono un’occhiata a si misero a ridere, anche se la voce di Sora non glielo permise per molto.
Eis si arrese e tonò a sedersi affianco all’amica, che fissava il fuoco.
«Parlavo seriamente.»
Il ragazzo sapeva di aver aggirato la verità nel vano tentativo di distogliere i suoi brutti pensieri.
«Ce la caveremo in qualche modo.»
Sora sospirò per poi fare alcuni versi che sembravano il ringhio di un cane, non appena Eis iniziò ad arruffarle i capelli.
«Da quando ti deprimi così? Sei una dea o hai sempre mentito?»
Finalmente il suo volto si illuminò con un sorriso spontaneo. «Si e no, io trascendo gli dei!»
Il ragazzo lasciò scivolare i capelli fra le sue dita, posandole poi sulle spalle della ragazza, persino una come lei aveva bisogno di sostegno e, quella notte, ne era stata la conferma.
Lei si abbandonò al piacere di quel contatto e lasciò cadere la testa sulla spalla di lui, così, il sonno tornò ad impossessarsi del suo corpo.
«Se torneremo a casa, dichiarerò il mio amore a Kid.»
 Eis strinse le dita attorno alla spalla di lei e la guardò sorpreso. «Non penso ce ne sia bisogno... è... è evidente!»
«Lo so, ma voglio farlo.»
All’improvviso, delle luci colorarono la neve, attraversandola velocemente.
I due alzarono gli occhi, vedendo il cielo buio riempirsi di strisce dal colore cangiante, che si muovevano sopra la foresta come se stessero danzando.
Sora aveva l’espressione di una bambina al parco. «Non avevo mai visto un’aurora australe!»
«È un’aurora boreale.»
«È uguale! Che pignolo!»
Sul viso di Eis comparve un sorriso amaro. «Io le ho viste spesso al mio paese... con mia madre.»
Sora lo guardò con apprensione, ma subito lui la rassicurò. «Sono felice di aver rivisto questo spettacolo... e con te.»
Sull’ultima frase, Sora non era sicura di aver capito, ma arrossì violentemente, senza capirne il reale motivo.
«E se torneremo a casa io...»
L’ama alzò gli occhi su di lui e poi lo vide ridere.
«Non ho idea di che farò!»
Lei abbassò lo sguardo e provò a ritrarre la spalla, ma il peso della mano del ragazzo era ancora là ed il battito del suo cuore era accelerato da un bel po’.

Che mi sta succedendo? Perchè il cuore mi batte così forte?





Finalmente un'altro capitolo!!! Anche se è un pò corto... gomen ne!
Mi piacerebbe che faceste una cosa, se vi va, ditemi come vi immaginate che continerà la storia, sarei curiosa di saperlo e lo trovo divertente
Farò del mio meglio per cercare di pubblicere il prima possibile un'altro capitolo
Allla prossima ^^
Tsutsu

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Capitolo 20
*** Il mio Cielo ***


Il mio Cielo


Si svegliò di soprassalto, sentendosi ancor più stanca di prima che si addormentasse. Il suo sonno era stato tormentato dagli incubi, l’ultimo era stato il peggiore, aveva fatto riemergere un brutto ricordo e mandato lei sul fondo... quello della fontana.
Si guardò attorno. Le ceneri grigie erano sparse sulla neve ed il fumo si sollevava ancora verso le cime degli alberi, tra cui i rami, non si vedeva ancora il cielo dell’alba. Alla sua sinistra, Eis dormiva.
Dormiva?! E anche lei aveva dormito senza pensare che avrebbero potuto attaccarli?!
Spostò gli occhi da una parte all’altra, poi, sospirò. Era andato tutto bene, no?
Tuttavia, proprio nell’attimo in cui alzò lo sguardo, vide una civetta appollaiata sul ramo. Aveva un ché di familiare, anche per il modo in cui la sfidava con lo sguardo...
L’uccello aprì le grandi ali e si alzò in volo, quasi si confondeva con le cime imbiancate degli alberi, spiccava solo l’arancione brillante dei suoi grandi occhi.
Era sicura di averla già vista.
Rimase immobile, seduta, concentrandosi sul suo corpo: aveva le sensazione di andare a fuoco, di poter sciogliere la neve solo standole vicino, era come se emanasse un’aura di calore, era scossa da brividi ed era così sudata da volersi strappare via i vestiti.
Infilò le dita nella fasciatura, che aveva buttato là senza troppa attenzione.
Appena la scostò, il dolore divampò come il fuoco, ma non si lasciò sfuggire un urlo di dolore. Nella penombra, vide che la ferita aveva un colore rosso violaceo e da essa risaliva un puzzo disgustoso.
Era colpa di quella stupida ferita se ora aveva la febbre e se faceva gli incubi.
 
Il meister aprì gli occhi, rimanendo a fissar il cielo blu che si faceva spazio tra i rami degli alberi con violenza. Quel colore intenso e la luminosità, gli fecero bruciare gli occhi, così, con dei lamenti, sollevò la testa, il collo gli faceva male per la scomoda posizione, gli ci volle un po’ per abituarsi.
Si alzò in piedi, appoggiando appena la gamba ferita, poi, rivolse lo sguardo alla sua arma, raggomitolata su un fianco.
Si avvicinò a lei, vedendole in viso in un espressione serena, gli dispiaceva svegliarla, ma pensava che dovessero riprendere subito il viaggio di ritorno.
Provò a chiamarla e, solo dopo un po’, le vide aprire l’occhio color malva e, sbadigliando, la ragazza alzò il busto.
Cercava di tenere gli occhi aperti, abbassava lentamente le palpebre, per poi riaprirle di scattò, ma notò che erano lucidi.
Poi, senza dir nulla, si alzò in piedi, aprì bocca solo dopo aver visto Eis zoppicare.
«Ce la fai?»
Lui annuì. «Su... andiamo.»
Quando riprese a camminare, Sora si infilò sotto il suo braccio, per aiutarlo a camminare. Non era sorpreso più di tanto dopo tutto quello che era successo, si limitarono a scambiarsi un’occhiata e a sorridere, ma non dissero nulla.
 
Camminarono per parecchio tempo, forse anche ore, dato che il sole sovrastava ormai tutta la foresta. Si sentivano entrambi spossati e a pezzi, soprattutto per la fame, era da circa tre giorni che i loro stomaci erano vuoti.
Durante il tragitto, con un po’ di fortuna e la conoscenza di Eis, erano riusciti a trovare un ruscello mezzo ghiacciato e si erano fermati.
Il ragazzo si inginocchiò sui sassi taglienti e raccolse dell’acqua con le mani e se la portò alla bocca, mentre Sora era rimasta immobile, guardando l’acqua scorrere e trascinare lastre di ghiaccio.
Riluttante, si lasciò guidare dal solo istinto di sopravvivenza, più forte della sua paura e, chiudendo gli occhi, immerse le mani nell’acqua gelida e bevve avida. Odiava dipendere da ciò che più odiava al mondo, anche se da un po’ al primo posto, c’erano quelli che le avevano tolto suo padre.
Con le mani ancora bagnate, si toccò il viso, sentendo che le stava tornando la febbre.
 
Per lei, quel ritorno era terribilmente umiliante, non aveva trovato suo padre e ad ogni passo malediva quella ferita sul fianco, sentiva anche la febbre le stava tornando.
Eis le passò le bacche che avevano raccolto, erano ancora acerbe, ma andava bene qualsiasi cosa, avevano troppa necessità di mangiare, però erano così poche che gli fecero solo venire più fame.
«Quanto manca per arrivare al villaggio?»
Eis rimase in silenzio, lo sguardo basso sul torrente. «Siamo troppo lenti.»
Non era quello che lei aveva chiesto e si sentì un po’ sminuita, ma significava che non aveva una risposta nemmeno lui.
Il meister si alzò. «Seguiamo il torrente, quando sarà buio, ci accampiamo e proverò a pescare qualcosa.»
Per alzarsi, Sora si spinse con le mani a terra, ma una volta in piedi, ricadde con un lamento, sentendo il dolore al fianco divampare.
«Tutto bene?» Le chiese lui.
«Sono solo scivolata.»
Ripresero a camminare e questa volta Sora era ancora più silenziosa, era scossa dai brividi e sentiva freddo, come se l’aria gelida le s’infilasse sotto la pelle, ma più che altro, era pensierosa. Si sentiva un po’ il colpa per non aver detto ad Eis della sua ferita, ma non poteva concedersi di essere debole in quel momento ma, soprattutto, conoscendo il suo passato, gli avrebbe solo fatto ricordare il fratello, morto in una foresta a causa della febbre...
Deglutì.
 
Rimase a gambe incrociate sulla riva, accanto al fuoco, guardando Eis con i piedi nell’acqua ed un bastone, a cui aveva creato due punte all’estremità.
 Utilizzare lei sarebbe stato molto più facile, ma, anche il quella situazione, Eis non le aveva chiesto nulla.
Spingeva i pesci a riva e li infilzava con l’arpione, o almeno ci provava ma, quel fiumiciattolo era davvero scarso, terribilmente scarso. Riuscì a malapena a prendere un pesce di modeste dimensioni.
Una volta arrostito al fuoco, Eis lo divise in due, a lei era capitata la coda. Lo stomaco le brontolava, ma restava guardare quel... “coso”, era semplice capire la sua riflessione:
Pesce = Acqua
Odiava il pesce... Guardò Eis mangiare totalmente incurante di lei che non sapeva dire se avrebbe preferito avere la parte con la testa, con quell’occhio a palla che la fissava o la parte posteriore con l’intestino e...Che schifo!
Poi, senza pensarci troppo, morse quel coso viscido e lo ingoiò senza masticare.
 
Toccava ad Eis fare il primo turno di guardia, ma lei, che gli dava le spalle, era rimasta comunque sveglia per le continue fitte al fianco, così dolorose che le pizzicavano gli occhi, fino a farla quasi piangere.
Riuscì a prendere sonno solo per un po’, prima che il compagno la svegliasse per darle il cambio.
La mattina, quando Eis aprì gli occhi, vide il sole già alto nel cielo e si tirò su di scatto, avvicinandosi all’amica, che, nonostante avesse dovuto fare la guardia, si era addormentata invece di svegliarlo all’alba.
Per riuscire a svegliarla, dovette urlarle nell’orecchia, ma, anche  in quel modo, lei rimase raggomitolata nella neve, non avendo alcuna intenzione di alzarsi.
«È tardi, dobbiamo andare!»
Lei mormorò qualcosa che non aveva alcun senso, poi la sentì dire:
«Solo un altro po’...»
«Muoviti!» Sbuffò e, non appena la tirò per il polso, lei ritrasse con forza il braccio, gridando e stringendosi ancor di più.
Eis cambiò completamente espressione e cercò di convincerla a scostare le braccia dal fianco. Vedendo la maglia che aveva sotto sporca di sangue, spalancò gli occhi.
«Non è niente» affermò la ragazza che sembrava più lucida di prima.
«È stato quando sei rimasta a combattere... dopo che ho perso i sensi?»
Lei distolse lo sguardo, sentendo chiaramente quello del ragazzo su di sé, si sentiva completamente denudata.
«Perché non mi hai detto nulla?»
«Sto bene no?! Quindi che importa?!»
Dopo quelle parole, non disse più nulla e si alzò in piedi, decisa a proseguire.
Eis la raggiunse troppo velocemente per avere una gamba ferita... e Sora sembrò parecchio infastidita dalla sua apprensione.
«Non ti fidi della gente, ma potresti provare a fidarti almeno di me!»
Perché non capiva? Si fidava completamente di lui...
«Non potevo dopo che mi hai parlato del tuo passato!» Era restia a dirglielo, ma non le andava giù che pensasse che non avesse fiducia in lui.
«Perché non puoi comportarti come hai sempre fatto? Non cambia nulla per me avertelo detto.»
«Non è la stessa cosa che fai tu non chiedendomi  le cose quando c’è di mezzo l’acqua?!»
Lui rimase a fissarla, senza capire dove volesse arrivare e la costrinse a continuare.
«Perché ti preoccupi per gli altri e non vuoi che gli altri si preoccupino per te?! Io non sono debole e non penso che tu lo sia...»
Le erano diventati gli occhi lucidi, più di quanto non fossero già, ma non capiva se per frustrazione o rabbia.
«Io ti ammiro...»
Lui rimase a bocca aperta, non era possibile che avesse detto davvero una cosa simile.
«...tu riesci ad essere forte senza bisogno di esibizioni.... Vorrei essere come te...»
Sora aggrottò le sopracciglia. «Che hai da sorridere?»
«Non ricordi ciò che ti ho detto tempo fa?»
Lei piegò la testa di lato.
«“Le stelle non sono niente senza Cielo”, se riesco ad andare avanti adesso, è perché ho te accanto.»
Sora si voltò, poi lui cadde in ginocchio, colpito allo stomaco dal suo pugno.
«Basta con tutto questo sentimentalismo. Non dovevamo andare?»
Aveva già iniziato ad incamminarsi, si sentiva le gote in fiamma ma era sicura, non era per la febbre questa volta.
Eis rimase per un po’ nella neve e sopirò, guardando quell’imbranata della sua arma finire nella neve alta e caderci dentro.
La sua espressione divertita svanì non vedendo la ragazza rimettersi in piedi. Si alzò e fece più in fretta che poté.
La vide distesa nella neve, immobile, solo il suo ventre si muoveva leggermente. La prese tra le braccia e sbiancò completamente sentendole la fronte bollente. Gli sembrò di tornare indietro nel tempo, quando fuggiva da suo padre nella foresta, lui e suo fratello, portato via dalla febbre...
«Sora! Sora!» la sua voce era incrinata e gli occhi lucidi. «Svegliati Sora!»
Non poteva andarsene anche lei, era tutto ciò che aveva nella vita che si era fatto da quando aveva lasciato il suo villaggio...
Sembrava essere destinato a perdere sempre chi amava.
«Svegliati Sora! Maledizione!»





Finalmente ho finito di scrivere questo capitolo! per farlo, sono persino andata a cercare "come sopravvivere in Alaska" XD
Come promesso, dedico questo capitolo a
darkboi, che ne dici? Sono stata abbastanza sadica?
Ma non preoccupatevi, ovviamente non posso far morire la protagonista se non voglio essere linciata dai lettori o, più probabilmente, dalla mia amica Maka
Al prossimo capitolo (vedrò di non pubblicare in ritardo)
Tsutsu

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Capitolo 21
*** La dichiarazione di Sora ***


La dichiarazione di Sora


La ragazza tirò ancora l’ennesimo pugno, al ragazzo bastò pararsi con le braccia, provando poi a colpirlo sul fianco scoperto, ma pareva inattaccabile.
Erano entrambi grondavano di sudore, i loro vestiti sembravano essere stati buttati in acqua per quanto erano fradici e mollicci. Nella stanza, il puzzo di sudore era asfissiante, ma ormai vi avevano fatto l’abitudine.
I combattenti avevano il fiato corto e i loro movimenti erano diventati via via più lenti e deboli, tuttavia, nessuno dei due riusciva a sopraffare l’altro, anche se il ragazzo sembrava un po’ più in vantaggio, sebbene non si appoggiasse bene sulla gamba ancora convalescente.
A quel punto, Sora si era veramente spazientita ed aveva iniziato a tirare una scarica di pugni senza alcuna logica.
«Adesso basta, riposatevi» intimò la professoressa ma, nonostante Eis si fosse fermato, l’arma continuava.
«Non sforzarti, fermati adesso!»
Lei non sembrava neanche aver ascoltato e, a quel punto, Eis la colpì rapidamente sul fianco ferito, che la fece cadere in ginocchio.
Una volta sicuro che si fosse calmata, la prese per il braccio e l’aiutò ad alzarsi.
Lei lo guardò negli occhi. «Sei davvero un bastardo» sibilò, sottraendosi alla sua presa.
Andarono in un angolo della palestra, lei si sprofondò a terra, mentre lui rimase in piedi, appoggiato al muro e con una lattina in mano. Beveva talmente tanta aranciata, che aveva recuperato i giorni in cui non l’aveva fatto, sembrava che quella fosse la cosa che gli era mancata di più.
Di sicuro, non aveva sentito la mancanza del caldo, a differenza di Sora, alla quale tirò una bottiglietta d’acqua.
«Sei andata bene.»
Lei allentò il tappo della bottiglia. «Taci.»
In quei giorni era talmente intrattabile che sembrava avere perennemente il ciclo, vivendoci assieme, il ragazzo aveva imparato a riconoscere i segnali, soprattutto, odiava che lei lasciasse assorbenti ovunque.
Anche in quel caso, era comprensivo con lei, poteva immaginare la frustrazione che provasse per essere stata salvata l’ennesima volta, lei che era così orgogliosa.
Eis, invece, era solo contento di essere uscito vivo da quella situazione e di ciò, doveva ringraziare solamente Lealia che, non vedendoli tornare al villaggio, aveva chiamato Shinigami.
Al ritorno alla Shibusen, era rimasto in infermeria con Sora, salva quasi per miracolo e nella notte aveva pianto, ma solo qualche lacrima, immaginando che fosse accaduto lo stesso per suo fratello e, se adesso era così severo con la ragazza, fino a colpirla proprio sulla ferita, era solo perché era preoccupato anche se lei, probabilmente, stava iniziando ad odiarlo.
L’ora successiva, Sora era andata nei bagni con altre ragazze, per fare la doccia. L’Alaska non le aveva lasciato solo una cicatrice sul fianco, ma anche nell’anima, infatti, non aveva mai avuto problemi con l’acqua che arrivava dall’alto, ma adesso trovava un po’ di difficoltà prima di infilarsi sotto il getto della doccia.
Vicino a lei c’erano Lealia e... la sua meister? Reliance era irriconoscibile con tutta la schiuma che aveva addosso, la si distingueva solo per la risata da pazza.
Tutto quello che la circondava però non la toccava minimamente, Sora lasciava che l’acqua seguisse la linea sinuosa della sua schiena con un brivido sia doloroso che piacevole, ma i suoi pensieri erano più forti di quello scroscio.
Rifletteva su molte cose, prima di tutto, suo padre, non aveva ancora rinunciato a volerlo salvare, ma far riemergere la sua totale sconfitta, le faceva venire le lacrime agli occhi e le tornava il viso di sua madre.
Tsubaki sembrava intenzionata a volerle tirare uno schiaffo come minimo ma, invece, l’abbracciò e la strinse forte a sé, così tanto, che non fu la sola a piangere.
Non poteva lasciarla di nuovo sola, lei e i suoi fratellini in arrivo. In questo modo  ripensò anche a ciò che Eis le aveva raccontato e lui le avrebbe detto di proteggere sua madre e i suoi fratelli, per non commettere i suoi stessi errori...
Ma che devo fare, cazzo? Sbatté il pugno contro il muro e lo scroscio dell’acqua le invase di nuovo le orecchie.
In quel momento, sollevò la testa e chiuse l’acqua con ancora dei batuffoli di schiuma tra i capelli.
«Dove vai Sora?» domandò Lealia ma lei non si fermò.
Si asciugò con disprezzo l’acqua sul corpo e, con la stessa fretta si rivestì e lasciò i bagni sbattendo la porta.
Camminò per il corridoio con il passo leggero di un elefante, diretta da una precisa persona. Durante il tragitto, incontrò la sua nemica mortale: Liz Thompson.
«Dove stai andando? Le lezioni stanno per cominciare.»
«Torno subito» rispose in malo modo la ragazza, continuando impertinente per la sua strada.
Un’altra cosa che non poteva assolutamente perdonarsi era l’aver tradito la fiducia di Kid che, volontariamente, le aveva detto il luogo in cui si trovava suo padre ed infine, proprio lui era arrivato a salvarla.
Se non fosse stata così maledettamente caparbia o meglio, se si fosse trattato di tutt’altra ragazza, avrebbe pensato “oh, il mio shinigami-principe azzurro!”, ma proprio non sopportava averlo scomodato per una situazione in cui poteva cavarsela benissimo da sola.
Ormai i suoi pensieri era diventati troppo confusi, persino lei si rendeva conto che, se Kid non fosse arrivato, sarebbe morta.
L’unica cosa rimasta lucida nella sua mente, erano gli orari dello Shinigami infatti, quando lui era uscito dalla Death Room, se l’era trovata davanti.
«Devo parlarti.»
 
Andarono su un terrazzo della scuola, quello in cui Eis e Sora passavano spesso le ore libere, ora Kid era là, davanti a lei, eppure pensava a quei momenti con il suo meister. Sarà che era a lui che aveva fatto la promessa di dichiararsi allo Shinigami o forse perché ormai si era troppo abituata ad averlo vicino ed ora si sentiva persa, ma solo perché erano un arma e il suo meister, non significava che dovessero stare insieme tutto il tempo...
Dentro di sé, cercò disperatamente di cancellare tutti i pensieri che le affollavano la testa e via via, il pulsare del suo cuore diveniva più forte, fino a sentirlo chiaramente contro il petto e le ginocchia le tremavano. Era l’effetto che le faceva Kid, o forse era solo spaventata pur sapendo in anticipo come sarebbe andata a finire...
Aveva rimandato troppo a lungo quel momento. Non ci girò molto intorno, lo guardò dritto negli occhi e, sebbene le parole restavano bloccate in gola, riuscì a parlare.
«Kid, io ti amo!»
Ora ogni membra del suo corpo tremava visibilmente e la vista le si era appannata.
Kid chiuse gli occhi e respirò profondamente, poi tornò a guardarla, ma continuando a restare in silenzio, pensando.
La ragazza lo precedette. «Non c’è bisogno di dire nulla...»
«Liz è incinta» affermò lui non un leggero sorriso sulle labbra, ma lei era tutt’altro che felice. «È giusto così Sora, hai l’occasione d’innamorarti di nuovo e di qualcuno che abbia la tua età.»
Adesso anche lei accennò un sorriso e, vedendole gli occhi lucidi, Kid comprese quel che stava per accadere, la salutò con un cenno del capo e le voltò le spalle.  
 Vedendolo andarsene, sentì una pugnalata al cuore.
 
Parecchie ore dopo, quando ormai il sole stava per tramontare, le porte che portavano al terrazzo, si aprirono e, come previsto, Eis trovò Sora seduta sul bordo e rivolta verso Death City.
«È da ore che ti cerco, che fine avevi fatto?» Domandò il ragazzo. «La professoressa si è arrabbiata.»
Le si era avvicinato ma non aveva avuto alcuna reazione. Solo dopo un po’ le sentì mormorare qualcosa.
«Eh?»
«Gliel’ho detto...»
Eis si mise seduto sul muretto nella direzione opposta a quella di Sora, con le spalle rivolte al sole. Non gli ci volle molto per connettere vedendo gli occhi arrossati di lei.
«Perché lo hai fatto?»
Il petto le vibrò, quasi non riuscisse a respirare, lui le diede tempo per rispondere.
«Ho detto che le avrei fatto...»
Singhiozzò e le lacrime erano tornate ad invaderle gli occhi. «Sapevo... sapevo che sarebbe finita così... ma avevo bisogno di sentiglielo dire... solo così... sento di potermi innamorare di qualcun’altro... » resistette con tutta sé stessa per non piangere ma i suoi singhiozzi erano diventati sempre più numerosi e dolorosi. «...però... però.... fa male!»
Le lacrime scesero rapide e copiose sulle sue guance rosee e s’infrangevano sulle sue gambe.
Ad Eis sembrò che anche il suo cuore si fosse spezzato vedendo la sua amica in quello stato, era una scena troppo penosa, quasi ne fosse il responsabile.
La tirò a sé e lei afferrò convulsamente la sua maglietta, tremando vistosamente, come se fosse una bambina e pianse sul suo petto. Lui teneva le mani sulle sue spalle, tentando in qualche modo di farla calmare.
Strinse i denti e le con le dita premette più forte la schiena della ragazza, colto da un improvviso risentimento.
Innamorarsi di qualcun altro, hai detto? Ma quand’è che ti accorgerai di me?






Finalmente sono tornati a Death City, anche se, sicuramente ve lo aspettavate in modo diverso e spero si sia capito come sia successo e immagino anche che a nessuno importi di questo quanto Eis che consola Sora (per chi desidera che si sia un bacio, compresa me, vi giuro che ci sarà, ma non ora)
Il titolo è provvisorio (spero) avevo pensato ad altri molto migliori ma alla fine ho messo questo
Al prossimo capitolo
Tsutsu

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Capitolo 22
*** Il nuovo studente ***


Il nuovo studente

 
«Non abbiamo nuove notizie sulle streghe ed il kishin, ma sappiamo di sicuro, che non si trovano più in Alaska. Comunque continueremo le lezioni ad allenarci per una probabile guerra.»
Proferendo quelle parole, Liz incrociò lo sguardo di Sora, che la fissava spazientita fin dall’inizio della lezione a causa del suo lungo discorso, quella mattina aveva voglia di fare a botte con qualcuno.
E, come se la professoressa le avesse letto nel pensiero, disse: «Oggi arriverà un nuovo studente... beh, è un po’ in ritardo.»
Sora scattò in piedi ed il lato A le traballò vistosamente per la felicità dei maschietti. «Un nuovo studente?»
Era a dir poco entusiasta, un nuovo studente era proprio quel che ci voleva. Alla sua destra c’era Eis e, per far prima, salì sul banco, scese rapidamente le scale ed uscì dall’aula.
«Iniziamo le lezioni» dichiarò Liz, come se non fosse successo nulla, tanto con Sora era una guerra persa. Si voltò, iniziando a scrivere qualcosa alla lavagna.
«Ma le portava le mutande?»
«Si, ma erano trasparenti.»
«Erano di pizzo.»
Eis sentì chiaramente i commenti nell’aula ed in quel momento avrebbe voluto sprofondare, si vergognava più lui che la sua partner. La cosa positiva, era che lei sembrava essersi totalmente ripresa dai recenti avvenimenti.
«Eis.»
Il ragazzo posò lo sguardo sul compagno più in basso.
«Facciamo cambio di arma?»
Eis lo guardò male, anche se non c’e n’era alcun bisogno, i suoi occhi di ghiaccio erano già sufficienti a far rabbrividire chiunque.
 
Sora correva nel corridoio, che a quell’ora era deserto. Solo le voci che arrivavano dalle aule non facevano sembrare abbandonata la Shibusen.
L’uscita le sembrava ancora parecchio lontana tant’era impaziente e desiderosa di una rissa. Sperava davvero che il nuovo studente non fosse una schiappa come il resto della scuola, si sarebbe annoiata se avesse vinto subito.
Svoltò l’angolo, ma sbatté contro qualcosa. Durante la caduta aveva intravisto dei capelli neri e degli occhi gialli, ma non poteva essere Kid, a meno che non avesse cambiato i suoi orari.
Finì col sedere a terra, il pavimento era gelato, lo sentiva perfettamente con quelle mutande che non coprivano nulla.
«Tutto bene?»
Era una voce profonda, da uomo maturo e, quando Sora alzò la testa, non riuscì a dire nulla. In piedi, davanti a lei, c’era un ragazzo che somigliava tantissimo a Kid.
Aveva una lunga chioma di capelli nero pece legati in una coda bassa e i suoi occhi erano ambrati e penetranti come quelli di un felino. La sua pelle era bruna e le sue labbra... assolutamente perfette, di un caldo rosso ciliegia.
Il corpo robusto era vestito da una camicia bianca a maniche corte e dei pantaloni stretti di colore nero.
La ragazza arrossì violentemente, non aveva mai visto un ragazzo così bello, dopo Kid ovviamente e, a differenza di lui, era un ragazzo sui sedici anni.
L’arma scosse la testa e si riprese all’istante. Il ragazzo le porgeva la mano me lei indietreggiò e si rialzo in meno di un millesimo di secondo.
Lui la stava fissando... era bellissimo. Ma che sto facendo?
«Ti sei fatta male?»
Che domande fai? Se dovessi cadere altre volte, vorrei sbattere sempre addosso a te!
«Ah... no... no, tutto a posto... sono... ero... io stavo correndo!»
Che idiota! Ho fatto una figura di merda!
 «Ad ogni modo...»
Oh Shinigami... mi sta sorridendo!
«Io sono un nuovo studente. Mi chiamo Ahti.»
Sora si riprese dal suo shock  e rispose: «I... io sono Sora.»
«Ah! Devi essere la figlia di Black Star.»
«...conosci mio padre?»
«Ovvio, è uno dei meister migliori del mondo. Frequentando la Shibusen, spero almeno di avvicinarmi al suo livello!»
“Tu potrai avere un fidanzato, solo se sarà più forte di me! Ahaha, ma che dico, io sono un Dio! In questo caso, dovrà essere forte quasi quanto me!” questo le disse suo padre a undici anni, se lo ricordava perfettamente e aveva visto sua madre sospirare per l’ennesima volta.
La ragazza si passò un dito sotto il naso, mentre l’altra mano la teneva sul fianco. «Impossibile, neanche io che sono sua figlia riesco a raggiungerlo!»
Lui si limitò a sorridere. «Scusa, ma non sarebbe il caso di andare in classe?»
«Nah, lascia perdere, è una cosa per secchioni...» gli puntò contro l’indice e lo fissava negli occhi. «... non dirmi che lo sei... altrimenti dovrò appenderti per le mutande a uno degli spuntoni della Shibusen.»
 
In classe si stavano svolgendo dei combattimenti, arma e maestro combattevano separati contro un'altra coppia, cercando di coordinarsi solo attraverso le loro lunghezze d’anima.
Ormai avevano combattuto quasi tutti, Eis non avrebbe potuto farlo senza arma, ma comunque lui e Sora erano già riusciti a comunicare con la loro lunghezza d’anima in Alaska.
Lealia, sudata per il combattimento, si rimise seduta accanto a lui e, vedendolo preoccupato, gli chiese: «Tutto bene?»
Lui stava per rispondere ma un boato quasi ruppe i vetri della finestra.
La professoressa sospirò. «Direi che è arrivato il nuovo studente... Eis.»
Il ragazzo si alzò in piedi e si diresse verso la porta. «Non dovrebbe venire anche lei?»
«A che servirebbe, Sora non dà ascolto a nessuno, ma non poteva assomigliare un po’ di più a Tsubaki!»
 
Eis si diresse all’entrata della Shibusen dove ad assistere, vi era anche il Dr.Stein, seduto come sempre sulla sua sedia. Meglio, almeno ci sarebbe stato anche un insegnate come prevedeva la regola , anche se Stein, pur non essendo il suo professore, gli aveva messo sempre un pl di soggezione.
La sua attenzione passò oltre. Sora stava affrontando il nuovo studente, un ragazzo alto almeno quasi quanto lui, che già alla sua età arrivava all’altezza dei professori.
Eis stava per andare a interromperli, ma Stein lo fermò: «Lasciali continuare. Non si vedono combattimenti interessanti da quando è stato sconfitto il primo kishin.»
Il ragazzo si immobilizzò, rassegnato a dover attendere la fine del combattimento.
Il nuovo studente, era sicuramente un maestro d’armi, dato che non si trasformava come Sora, ma non era male, era uno dei pochi che riusciva a contrastare la ragazza senza stare sempre in difesa.
Gli sembrava di vedere la Sora che era prima di avere un meister, l’eccentrica arma che non esitava a sfidare qualsiasi avversario, anche quelli più grandi di lei, anche se, fisicamente, erano tutti più grandi di lei.
Da Black Star aveva preso anche l’altezza, ma almeno lui era cresciuto, lei a dieci anni era un puffo, mentre adesso era un puffo con i tacchi.
Con il passare del tempo, i due combattenti diventavano sempre più rapidi, come se, tutto quello che avevano fatto fino ad allora, non era più che un banale riscaldamento, tuttavia, pareva che nessuno dei due riusciva a superare l’altro, erano perfettamente alla pari.
Alla fine però, prevalse l’agilità della piccola statura della ragazza che, finita a terra, fece un semplice sgambetto all’avversario in piedi davanti a lei.
Una volta fino a terra, Sora si piegò su di lui, puntandogli la falcetta al collo.
Ahti sorrise e sospirò. «Mi arrendo.»
Anche lei sorrise ma, prima che la catena scomparisse, il ragazzo l’afferrò, facendola cadere su di lui.
A quella scena i capelli di Eis si rizzarono e in faccia era così rosso che poteva andare a fuoco. Immaginò che l’arma si arrabbiasse... tutt’altro, stava ridendo!
 
Quella sera, all’appartamento, Sora era insolitamente di buon umore e si pettinava i lunghi capelli con meticolosità, come non faceva da tempo. Seduta sul letto canticchiava una ninna nanna, probabilmente non accorgendosi che Eis sentiva tutto.
Il ragazzo si mise seduto sul letto accanto al suo, ma lei era troppo assorta per farci caso. Lui rimase a guardare il viso dalla pelle diafana incorniciato dai lucenti capelli azzurri.
Era da mezz’ora che spazzolava la stessa ciocca. Si era assorto in quel movimento ripetitivo e delicato, talmente tanto da non accorgersi che lei lo degnava finalmente di un’attenzione.
Quando incrociò i suoi occhi lillà, rimase con la bocca di schiusa e le gote leggermente arrossate. Si aspettava un “Che hai da guardare?” ma non quella sera...
Sora sorrise e si sedette un po’ più avanti, fino a sfiorare con le sue, le ginocchia del meister.
«Non ti riconosco stasera» affermò Eis, pur sapendo che avrebbe potuto farla infuriare.
«Io...» gonfiò il petto, stringendo le mani sulle gambe. «È che sono tanto felice!»
Piegò la testa di lato come fanno i cani ed i capelli seguirono quel movimento. «Che fai Eis?»
Il ragazzo si era alzato e adesso le portava la mano sulla fronte. «Non mi sembra che tu abbia la febbre.»
Lei lo respinse con la mano. «Smettila!»
Il sorriso era tornato anche a lui. «È la prima volta che ti sento dire una cosa simile... devi avere per forza qualcosa.»
«Idiota.»
Adesso si stavano spingendo con le mani, senza distogliere lo sguardo l’uno dall’altra, sfidandosi. Durò poco, poiché Eis aveva sbattuto le gambe contro il letto e Sora ce lo aveva spinto sopra, finendogli addosso, facendola sembrare una cosa completamente innocua.
Aveva i suoi capelli addosso, come se fossero una tenda e i suoi occhi risplendevano nella penombra con sguardo malizioso.
«Adesso che ne dici? Ti sembro stare ancora male?»
Eis sorrise, conosceva bene i punti deboli dell’arma...
Sora scoppiò a ridere e a implorare Eis tra le lacrime di smetterla, ma lui ci aveva preso gusto a farle il solletico ai fianchi.
Sora rotolò di lato per sfuggirgli ma in questo modo, il meister ribaltò le posizioni e, mentre lei si contorceva per tentare di fermarlo, lui si abbassava sempre di più su di lei.
Adora sentire le sue risate, era contento che ridesse, sembrava si fosse dimenticata del padre scomparso eppure sembrava che non si sarebbe mai ripresa. Lo stesso pensava di sé, credeva non sarebbe mai riuscito a lasciare il passato al passato...
A pochi centimetri dal suo viso, incrociò i suoi occhi lucidi per le lacrime e il tempo sembrò come sospendersi.
Alle loro orecchie arrivava solo il ripetitivo tic tac dell’orologio e, più vicino il respiro dell’uno e dell’altra.
«Forse è meglio...»
Eis si alzò e Sora si sollevò con i gomiti. Si scambiarono una fugace occhiata ed un sorriso, poi si misero ognuno nel proprio letto e spensero le luci.
«Buonanotte» mormorò Sora con le coperte fin sopra le orecchie.
«Anche a te...» rispose Eis.
 
Quel breve momento di gioco gli aveva tolto il sonno e, dopo un po’, Eis cominciò a chiedersi se Sora fosse sveglia o no.
La luce argentea della luna entrava dalla finestra ed illuminava i contorni delle cose nella stanza: i vestiti di Sora e tante altre cose appartenenti a lei buttate per la stanza, l’unica cosa in ordine, erano i suoi manga hentai sugli scaffali.
Non aveva molte cose, non aveva avuto molti anni per accumularle, solo gli anni passati a Death City, ma neanche in quella che era stata casa sua aveva molti oggetti, ma uno gli era molto caro: un carillon in legno fatto da sua madre per lui quando era ancora un neonato... chissà che fine aveva fatto ora...
 
Sora era troppo euforica per dormire, riviveva in continuazione gli avvenimenti di quella mattina e non chiudeva occhio.
Era contenta, si sentiva bene anche più di quando aveva sbirciato Kid e aveva visto i suoi addominali... al solo pensiero le veniva ancora da sbavare.
Intanto si chiedeva se Eis stesse dormendo, avrebbe voluto parlargliene, dopotutto è un bisogni che ha ogni ragazza...
Alla fine... pur non sapendo se lui la sentisse, disse: «Penso di essermi innamorata.»
 



Chiamatemi pure bastarda, ma non ho mai detto che il bacio ci sarebbe stato adesso xD
Comunque non lo faccio per farvi arrabbiare, ho fatto in modo che ogni avvenimento sia utile per la storia, pure Black Star che ancora non si sa dove sia finito.
Non ho molto da aggiungere...
Quiiiiindi, chiudo qui sperando di ricevere presto le vostre recensioni, non mi aspettavo che questa storia ne ricevesse così tante
GRAZIEEEEEE
Baci, al prossimo capitolo
Tsutsu

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Capitolo 23
*** Il piano di Lealia ***


Il piano di Lealia




Il mio primo chibi (infatti mi è venuto male...), penso rappresenti bene la disperazione di Eis, poverino xD
ok, vi lascio proseguire. Buona lettura ^^

 




Nessuno sapeva cosa facesse Sora quando, appena suonata la ricreazione, spariva non solo dalla classe, ma da tutta la scuola, per poi ricomparire dal nulla.
Lo stesso aveva fatto nell’ultima settimana, ma non prima che Ahti la raggiungesse ed ora Eis si preoccupava di cosa facesse...
Poco prima di uscire dalla porta -miracolosamente, queste ultime volte non l’aveva buttata giù-, la ragazza aveva incrociato lo sguardo del suo meister, poi corse via quasi fosse Sonic...
Qualcosa bloccò la visuale di Eis che, solo più tardi capì che era stata Lealia a poggiare un tomo proprio davanti a lui e si era seduta sul banco.
Si aspettava un “cosa c’è?” ma lei evitò inutili giri di parole: «Ti piace Sora.»
Eis arrossì violentemente e, nonostante fosse troppo tardi per risultare credibile, negò. Dopo che il suo corpo tonò alla solita temperatura, disse: «Si vede così tanto?»
Lealia annuì. «Lo sa tutta la scuola. Alcuni dicono addirittura che essersi persi in Alaska era una scusa per rimanere da soli...»
Eis sorrise amaramente. «Sono più bravo a nascondere la sofferenza dell’amore...»
«Eppure, Sora esce con quello nuovo.»
«Non ti è molto simpatica immagino?»
Lei sollevò le spalle. «Ci ho fatto l’abitudine, ma, per quanto possa essere egoista, non è una persona cattiva. I miei genitori dicono la stessa cosa su suo padre.»
Nell’aula calò un silenzio assoluto, erano rimasti solo loro due nella stanza, ma Eis si sentiva come se centinaia di occhi fossero puntati su di lui, accusandolo di qualcosa.
«Mettiamoci insieme» mormorò improvvisamente Lealia.
Eis balzò in piedi. «Che?!»
«Intendevo per finta» Lealia si voltò a guardarlo. «Vuoi far ingelosire Sora?»
«N...non so. Per me non gliene importerebbe nulla.»
«Maschi.... come fai a non esserti accorto di come mi guarda quando ti sto vicino!»
Lui arrossì di nuovo. «Lo fa?»
Lealia sorrise maliziosamente e scese dal banco stringendo al petto il suo libro.
«Parliamo di te secchiona... chi ti piace?»
«Q...qu... questi no... non sono affari tuoi!»
 
Sora era rientrata tardi quella sera, verso le otto e mezza, mentre sarebbe dovuta rientrare mezz’ora prima per la cena.
Eis sapeva che si fermava sempre un po’ da Tsubaki, ma quei ritardi erano sempre colpa di... Ahti, avrebbe preferito che fosse ancora fissata con Kid, proprio perché non lui non avrebbe mai funzionato.
La ragazza si era fermata all’entrata e stiracchiò con un sorriso stampato sulle labbra. Annusò l’odore che arrivava dall’altra stanza  e si diresse lì.
Era passata a qualche metro di distanza dal suo meister che, stranamente non l’aveva rimproverata per il ritardo e si fermò.
«La cena è nel microonde» disse lui.
Sora si appoggiò al tavolo, mentre lui metteva a posto i quaderni di scuola. «Vai da qualche parte?»
«Esco con Lealia.»
«Non ci sono compiti in classe... perché studiare?»
«Non ci vediamo per studiare. Andiamo al bar.»
«E Reliance?»
«Non viene.»
Coinvolta dal discorso, Sora lo aveva seguito fino all’uscita, dove aveva preso il giacchetto e stava per uscire.
«Torno tardi. Prendo le chiavi.»
«Mhm.»
 
Eis raggiunse l’amica al bar stabilito dove lei era già seduta ad un piccolo tavolo circolare e lo aspettava.
La raggiunse di corsa e si mise seduto.
«Sei in ritardo» affermò lei, staccando le labbra dalla cannuccia. «Qualche problema con Sora?»
Il ragazzo si protese in avanti verso di lei. «Mi ha solo fatto qualche domanda. Sei proprio sicura che funzioni?»
«Essere così insicuro ti toglie il fascino da indifferente che hai sempre avuto.»
Eis si rimise seduto composto e sospirò.
 
La cena era rimasta nel microonde, che Sora non aveva neanche aperto. Per la verità, aveva già mangiato qualcosa da sua madre, ma quando era entrata, l’odore che aveva sentito, le aveva fatto tornare l’appetito... ma, non capiva bene per qualche motivo, la voglia di mangiare le era passata.
Si buttò sul divano senza nulla da fare e si coprì il gli occhi con il braccio, la luce artificiale le dava fastidio.
Se avesse potuto, avrebbe guardato la televisione, ma, in quello schifo di appartamento non c’era nulla, i soldi che dava la scuola bastavano a malapena e sua madre non voleva viziarla più di quanto non fosse già.
Inoltre, adesso che Tsubaki era incinta e non poteva lavorare e suo padre era scomparso, doveva farsi bastare i soldi che aveva per l’arrivo dei bambini.
Probabilmente, avrebbe fatto meglio a cambiare completamente il suo carattere e aiutare sua madre comportandosi da brava sorella.
Quel silenzio era diventato insostenibile più di un combattimento, i suoi pensieri fluivano e le facevano tornare alla mente eventi spiacevoli o riflessioni che non le appartenevano.
Come pensava di cambiare?
«Sono una cattiva ragazza» sussurrò, togliendosi il braccio dagli occhi e la luce l’accecò.
Poi, tutto le divenne chiaro, se era così annoiata e pensava strane cose, era solo colpa di Eis. Si annoiava anche quando c’era lui, ma alla fine, trovavano sempre da fare, tipo stupidi giochi di carte in cui perdeva sempre ma erano peggiori le sere in cui lui studiava, non lo dava a vedere, ma anche Eis era un secchione sotto sotto...
E venne in mente Lealia, di sicuro ci stava provando con Eis, quella falsa pudica....
Pur non sapendo dove fossero andati quei due, voleva andarli a cercare, ma non si alzò neanche dal divano.
Si mosse solo quando orami erano le undici e mezza, ed andò a letto, addormentandosi quasi subito.
 
«Pensavo sarebbe venuta» sospirò Lealia. «Probabilmente è troppo orgogliosa per farlo.»
«Io dico di finirla qui. Dopo cinque appuntamenti, non è cambiato nulla» Affermò Eis. «Si è anche avvicinata di più a quel tipo!»
«A questo punto... l’unica cosa da fare, è dire chiaramente i tuoi sentimenti a Sora.»
Eis rimase in silenzio, poi sospirò e si alzò.
Andarono nel boschetto dove si svolgevano le lezioni negli ultimi giorni, si allenavano con la risonanza in gruppo, seguendo lo stesso schema che avevano utilizzato anni avanti contro la minaccia del primo kishin.
Lealia era andata avanti, mentre Eis si era fermato a guardare due ragazzi l’uno di fronte all’altra, separati solo da qualche centimetro.
Il ragazzo chiamò Lealia e si fermarono entrambi a guardare la scena.
«Non avevo mai visto Sora così... tranquilla» mormorò la ragazza.
Eis non diceva nulla, così Lealia alzò lo sguardo ma lui non era più lì, si era spostato di qualche passo e aveva dato un pugno ad un albero.
Lei gli si avvicinò e mise la mano sulla sua spalla. «Vedrai che andrà tutto bene.»
«Non posso costringerla ad amarmi.»
 «È vero, ma non arrenderti!»   
  I due ragazzi udirono dei fruscii e, quando si voltarono, videro un ragazzo dai capelli corvini e gli occhi ambrati.
«Buongior ...» esordì Lealia, ma Ahti la interruppe.
«Non ti facevo così meschino da spiare, Eis.»
Non sembrava affatto il ragazzo tranquillo e gentile che si era presentato alla classe, ora nei suoi occhi c’era un bagliore sinistro alquanto inquietante.
Eis strinse i pugni con un’espressione aggressiva che Lealia non gli avrebbe mai riconosciuto.
«Dovresti rinunciare» continuò Ahti. «Sai, ho intenzione di chiedere a Sora di diventare la mia arma... ed anche qualcosa di più.»



Dato che non ho nulla da dire, uso questo spazio per ringraziare di nuovo tutti quelli che leggono e recensiscono la storia (e per favore, non odiatemi per Ahti, vi anticipo che da ora in poi, non sopporterete più questo personaggio)
Allora, alla prossima ^^
Tsutsu

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Capitolo 24
*** La stessa melodia ***


 

 La stessa melodia 

 
«Professore! Potrebbe venire?» ansimò Lealia, piegata in due. «C’è una rissa.»
Ancor prima che il professore potesse dire qualcosa, Sora sparì tra i cespugli come un ninja e raggiunse il luogo dello scontro seguendo i suoi sensi.
Arrivato sul posto si gettò a terra, accanto al suo meister. «Eis!»
Lui non la guardò neanche, teneva lo sguardo fisso sul suo avversario, che la ragazza non aveva degnato neanche di uno sguardo e con sorpresa, scoprì essere Ahti.
L’espressione di Sora mutò rapidamente, ma lui non le lasciò il tempo di dire nulla.
«È stato lui ad attaccarmi.»
Sora era piuttosto diffidente, non riusciva a credere che, il pacifico Eis, avesse iniziato una zuffa, si fidava anche di Ahti ma lo conosceva da poco.
Abbassò lo sguardo poi lo rivolse al partner per avere una conferma. «Eis?»
In risposta, lui distolse lo sguardo, ferito profondamente nell’orgoglio.
Sora non sapeva se arrabbiarsi o chiedere spiegazioni.
«Il mondo sarà presto in balia delle streghe e del kishin e voi avete pensato di perdere tempo con una rissa» disse Stein con una freddezza agghiacciante. «Decidete, seguite il mio corso, o siete fuori.»
Eis si alzò in piedi e Sora rimase in ginocchio a guardarlo, arrovellandosi a immaginare il motivo di quello scontro, in seguito si alzò, seguendo gli altri.  
 
Sul posto si erano già preparate Lealia, Reliance e altri due ragazzi inseriti nella loro squadra.
Sora osservò Ahti più in là e faticava a restare concentrata sugli ordini di Stein, fu l’ultima a trasformarsi in arma.
Quella era la seconda volta che facevano lezione sulla risonanza a catena, la prima volta era andata abbastanza bene, la seconda... anche peggio.
Eis fu come pervaso da una scossa e l’arma gli cadde dalle mani.
«Ma che cazzo fai?!» gli sbraitò contro Sora una volta tornata umana.
La ragazza tremava a si teneva l’avambraccio.
«Questo dovrei dirlo io! Si può sapere dove hai la testa?!»
Sora strinse i denti e staccò la mano dal braccio, scoprendo una grossa bruciatura, simile a quella che Eis aveva sulle mani.
«Hanno fatto delle scintille» rise Reliance, riferendosi alle scosse di prima.
Lealia sospirò. «Questo accade quando arma e maestro d’armi non sono più sulla stessa lunghezza d’onda. È così professore?»
Stein staccò la sigaretta dalle labbra, osservando in silenzio. «Esattamente. La causa è di entrambi.»
Dopo un po’, gli osservatori, videro Sora allontanarsi nel bosco.
Eis strinse i pugni, tentando di contenere la sua rabbia, poi guardò nella direzione in cui era sparita la ragazza e gli sembrò di vedere un ghigno sul volto di Ahti, ma era sicuro fosse un’impressione.
Incrociò lo sguardo di Stein che fumava indifferente. «Vai pure. Qui non sei di alcuna utilità.»
Lealia gli sorrise per incoraggiarlo e lui ricambiò a labbra strette, poi corse via.
 
Questa volta, non aveva la minima idea di dove fosse andata, corse in lungo e in largo per tutti i luoghi in cui andava di solito, ma di lei non c’era la minima traccia.
Come assassina e ninja, sapeva nascondersi benissimo, eppure non lo faceva mai quando aveva un problema, come se, farsi trovare, era ciò che voleva, era un po’ una richiesta d’aiuto.
Lui la conosceva bene e i problemi li aveva sempre risolti a quel modo.
Per cercarla, si spinse fino ai piedi della Shibusen, tra le case, aveva lasciato quella come ultima opzione, non era certo il posto migliore per stare da soli, anche se al tramonto non c’era nessuno.
Tramonto?! Era così tardi? Non se n’era proprio reso conto e ora che ci pensava... doveva andare in bagno e certo lo scroscio della fontana non lo aiutava.
Si dimenticò in fretta dei suoi bisogni fisiologici, notando al di là degli zampilli della fontana, una testa azzurra.
Incuriosito, si avvicinò. Era impossibile che fosse la sua arma, non sarebbe mai stata così vicina all’acqua di sua volontà.
Spalancò la bocca non appena scoprì l’identità di quella ragazza, era proprio Sora.
Stein doveva averle aperto la zucca...
Ora che l’aveva trovata però, riusciva solo a fissarla, non aveva idea di cosa dirle, il silenzio e l’indifferenza di lei peggioravano ancor di più la situazione.
Iniziare con un “come va?” o “tutto bene?”, sarebbe stato sciocco, non gli avrebbe nemmeno risposto.
Fece dei respiri profondi e le si avvicinò di qualche passo e, senza guardarla e con evidente difficoltà, disse: «Mi dispiace...»
Era sinceramente dispiaciuto per quel che era accaduto, non avrebbe voluto prendersela con lei, la verità era che si sentiva ancora bruciare a causa di Ahti e si era sfogato su di lei.
Abbassando lo sguardo, vide che lei non aveva avuto alcuna reazione, come se non lo avesse sentito.
In realtà, Sora non si aspettava che anche questa volta, lui l’avrebbe cercata e neanche quelle scuse e non lo stava ignorando, semplicemente, neanche lei sapeva come comportarsi.
Sentire l’acqua scorrere alle sue spalle, le faceva venire i brividi alla schiena, quell’acqua in particolare, quello scroscio e la pietra fredda della fontana dove, a otto anni, sarebbe potuta morire...
ma, pensare a quell’evento, le aveva evitato di pensare a qualcosa di ancor più doloroso, un cuore in pezzi.
Non aveva pensato ad una soluzione migliore che far passare il dolore con il dolore.
«Che è successo con Ahti?» osò chiedere con una voce che sembrava appartenere ad una fredda macchina.
Eis sospirò di nuovo e si fece coraggio, anche se sentiva il cuore fargli male. «Senti... se vuoi essere l’arma di... Ahti, va bene, non ti obbligo a restare con me...»
Ancora una volta la risposta di Sora si fece attendere, ma piuttosto che ascoltarla, si voltò per andarsene.
«Ho rifiutato» dichiarò lei alzandosi in piedi.
Lui si fermò, ricordando le parole di Ahti «...ho intenzione di chiedere a Sora di diventare la mia arma...», allora, questo significava che aveva mentito e glielo aveva già chiesto.
Si sentì un macigno in meno sul cuore.
«Sono stata io, a chiederti di voler restare la tua arma, sono io che non voglio obbligarti a restare con me.»
Eis si voltò a guardarla, gli stava sorridendo a labbra strette e gli occhi le brillavano nella penombra riflettendo la sua anima. Aveva delle gocce d’acqua sui capelli, colorate dalla luce calda del tramonto e brillavano, incorniciando la sua figura.
Teneva una mano sul cuore e l’altra, indecisa, tremava all’altezza del ventre.
Le gambe erano unite, le ginocchia verso l’interno, i piedi rivolti verso di lui.
Inutile dire che gli occhi gli caddero anche accanto alla mano sul cuore, dopotutto era pur sempre un ragazzo...
«Però...» esordì lei abbassando lo sguardo. «Non hai risposto alla domanda che ti ho fatto.»
Eis gli venne da sorridere, proprio non capiva, che idiota... ma le piaceva anche questo suo aspetto.
In quel momento, tutto l’imbarazzo abbandonò il suo corpo e  la decisione prese possesso di lui, che si diresse a grandi passi verso di lui.
Sora tirò un po’ il busto indietro, guardandolo con sguardo interrogativo. «Eis?»
«Possibile che non hai ancora capito?»
«Capito cos...»
S’irrigidì di colpo e spalancò gli occhi. Le mancava il fiato, l’aria era improvvisamente sparita ed il suo cuore fermato. Le ci volle un po’ per rendersi conto di quel che era accaduto realmente: aveva le labbra di Eis sulle sue!
L’unica cosa che le impediva di cadere in quella posizione, erano le mani del ragazzo che la premevano con forza sul suo corpo, una stretta alla vita e l’altra tra i capelli, sul collo, un contatto che le metteva i brividi.
Le sue labbra morbide, erano decise sulle sue, non conoscevano esitazione e poi, era così caldo... così tanto, che in confronto, la Death Valley sembrava l’Alaska.
Sora chiuse gli occhi e rilassò i muscoli, piantò bene i piedi a terra e si spinse contro di lui, prendendogli il viso tra le mani e ricambiandone il bacio.
Non le importava cosa stesse realmente succedendo o cosa significava, avrebbe voluto solamente che durasse in eterno.



Scusate il ritardo, mi dispiace molto ma questo non è un buon periodo per me e la voglia di scrivere era sparita... e mi dispiace che il capitolo sia così corto
Avevo promesso di mettere dei disegni, avrei voluto tanto fare la scena del bacio, ma tutti i disegni che ho fatto erano schifosi. Se qualcuno si salverà dal cestino  non riuscirò a farne  prima della fine della storia, farò un capitolo in cui li inserirò con la descrizione dei personaggi.
Poi vorrei chidervi una cosa... lascio scegliere a voi il nome di uno dei due gemelli di Tsubaki (tra poco nasceranno), che nome preferite tra Mirai e Misaki? Sono indecisa, spero mi aiuterete.
Ditemi anche che ne pensate della scena del bacio, spero vi sia piaciuta e di non avervi deluso, ho solo potuto immaginarla, dato che non ho ancora dato il primo bacio (è un pò imbarazzante da dire...)
Ho finito di annoiarvi
Alla prossima
Tsutsu

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Capitolo 25
*** Death City in pericolo ***


Death City in pericolo


Il ragazzo si allontanò lentamente e, al posto di quel contatto, sentì il freddo sulle labbra, rimaste dischiuse, chiedendo in silenzio: “ancora”.
Fu terribile avere di nuovo la sensazione del terreno sotto i piedi e non stargli più addosso, ma allo stesso tempo era confusa.
Quello era il suo primo bacio... se l’avesse saputo suo padre, Eis poteva considerarsi morto.
Si, Eis, solo in quel momento diede un nome al ragazzo che l’aveva baciata... ma perché?
Sulle gote sempre pallide di lui, c’era un lieve rossore ed un sorriso sereno sulle labbra... quelle labbra... eh?! Ancora ci stava pensando? Doveva smetterla. Parlare era una soluzione... peccato che non le uscisse la voce, che le sue corde vocali fossero andate definitivamente a farsi benedire?
All’improvviso si ritrovò sulle spalle le mani di lui, che la tirò indietro, al suo fianco.
La sua espressione si era indurita e lei ne seguì lo sguardo, posando gli occhi su un palo della luce dove, in cima, era appollaiata una civetta.
Scrutò meglio il volatile e spalancò gli occhi, rendendosi conto di averlo già visto altre volte e deglutì.
Lanciandogli uno sguardo di sfida, la civetta spiccò il volo in direzione della Shibusen e solo allora la tensione di Eis si alleggerì e lasciò il suo braccio.
Sora lo guardò preoccupata. «Che significa?»
Si sorprese un po’ riuscire di nuovo a parlare, aveva iniziato a pensare che le labbra esistessero solo per un motivo, che non era quello...
«Una strega.»
 
Pochi secondi dopo stavano correndo in direzione della Shibusen quando, una voce conosciuta li chiamò.
«Stein ha dato ordine di evacuare Death City, noi studenti dobbiamo dirlo a tutti gli abitanti, delle streghe si occuperanno lui e gli altri» spiegò Lealia tutto d’un fiato.
«Streghe?»
Sora e Eis si scambiarono uno sguardo complice e ripresero la loro corsa.
«Ehi!»
«Le lasciamo agli altri le missioni da schiappa!» gridò Sora, sentendo la sua voce più viva che mai, la cosa strana era che aveva usato il plurale.
«Sora» la chiamò Eis, che la raggiunge al fianco. «Le streghe non sono avversari semplici come quelli che abbiamo affrontato fin’ora.»
Sora rallentò un po’ il passo e lo guardò.
«Ti senti pronta?»
Si fermarono proprio sotto le scale che portavano alla scuola che, imponente, dominava Death City dall’alto.
Si guardarono negli occhi in silenzio, poi, Sora sorrise. «La domanda vale anche per te. Abbiamo superato ogni ostacolo, ce la faremmo anche questa volta.»
Timidamente, per la prima volta in vita sua, prese la mano del ragazzo, incrociandone le dita e, insieme, salirono il primo gradino,per sconfiggere il boss finale.
Dietro di loro, Death City, scomparve dietro le loro spalle, dove comparve una strana barriera attraversata da onde rosse, al cui interno, vi era solo la Shibusen.
Sora toccò la barriera con un dito, ma le era sembrato solo di toccare il vuoto e, per qualche strano motivo, non riuscire ad andare oltre, come un muro invisibile ma senza sostanza.
«Anche se volessimo cambiare idea, ora non potremmo più farlo» affermò Eis.
«E chi ha voglia di tirarsi indietro?» Sora si scrocchiò le dita e sorrise. «Finalmente, potrò vendicare mio padre.»
Ripresero a salire le scale lentamente, con prudenza, lì, all’interno della barriera, c’era qualche strana interferenza ed Eis non riusciva a percepire le anime poi, un rombo e mezza Shibusen s’infranse al suolo.
Scattarono e, osservando bene in alto, scorsero.... Shinigami! Era la prima volta che lo vedevano fuori dalla camera della morte e stava combattendo contro una strega dai lunghi capelli corvini, lo stesso colore delle grandi ali sulla schiena e una ampia coda a ventaglio.
Sobbalzarono sentendo dei passi alle loro spalle e si rassicurarono, vedendo Stein e la sua falce.
«Dovrei vivisezionarvi per aver disubbidito ai miei ordini, ci penserò dopo, ora mi siete più utili da vivi» esordì lui. «Entrare in questa barriera è stato tutt’altro che semplice e voi ci siete riusciti come se nulla fosse. Tutto questo non mi convince.»
Mosse qualche passo in avanti. «Ma ora occupiamoci di cose più importanti. Qui ci sono minimo tre streghe e un’altra anima che non riesco a capire a chi appartenga.»
Eis si stupì che lui riuscisse a sentire le anime così facilmente mentre a lui bastava una barriera a impedirglielo.
«Io resterò qui a combattere, voi dovete andare nella camera della morte e parlare con Kid, vi spiegherà come togliere la barriera per far entrare gli altri, da soli, non abbiamo speranze.»
Sora era rimasta immobile, senza dire una sola parola dall’inizio e ora Eis cercava di risvegliarla dal suo sonno ad occhi aperti afferrandole il braccio, dovevano sbrigarsi ad andare.
Lei alzò la testa guardando Stein. «Torneremo presto, voglio affrontare anche io le streghe!»
Detto questo, corse via ed Eis la seguì, ma non prima di aver lanciato un ultimo sguardo al professore.
 
Neanche la camera della morte era rimasta intatta, tutta una parete era crollata e da lì, si vedeva lo scontro con più definizione, ma non persero tempo e si avvicinarono allo specchio, al cui interno vi era l’immagine di Kid.
«Mi sentite?»
Eis annuì, anche se la voce non era proprio chiara, la superficie dello specchio era graffita.
«Ho esaminato la barriera, l’unico modo per farla svanire, sarebbe di distruggere il sistema che la tiene eretta, ma non sappiamo che aspetto abbia, potrebbe trattarsi di qualsiasi oggetto o anche persona.»
«Dicendo questo, significa che avete già incontrato queste streghe?» Domando Eis.
«Glayx, Korax e Ierax, hanno creato loro il nuovo Kishin. Ad ogni modo, tu sei in grado di percepire le anime, no? Quindi dovresti percepire questo sistema.»
Il meister ricordò le parole di Stein riguardo a un’anima che non riusciva a capire a chi appartenesse, senza dubbio, apparteneva a ciò che stavano cercando.
«Ma qui dentro non riesco a percepire le anime.»
«Se ti avvicinassi abbastanza a questo sistema, riusciresti sicuramente a percepire qualcosa.»
«Capito.»
«Io intanto cercherò comunque di entrare nella barriera. Fate attenzione, nessuna imprudenza, la vostra vita ha la priorità e, Sora, non lasciare che tua madre perda anche te.»
Un secondo dopo, la sua immagine era sparita e ora vedevano soltanto i loro volti riflessi. Nell’ultima frase di Kid, Sora aveva riconosciuto lo stesso sguardo che aveva quella volta in classe, la stessa tristezza, ma questa volta, lei non si sarebbe lasciata sopraffare dalle lacrime, avrebbe combattuto e vendicato suo padre.
 


Per non rimandare ancora, pubblico questa parte che in realtà doveva essere un capitolo molto più lungo, ma mi ci sarebbe voluto ancora più tempo e il disegno che ho fatto del bacio, non è ancora concluso, ma lo metterò
voglio scusarmi per l'enorme ritardo, ma ora che sono iniziate le vacanze, riuscirò a pubblicare prima.
comunque, anche se sembra di essere arrivati quasi alla conclusione della storia e alla battaglia finale, videluto... vi sbagliate, ma spero che non abbiate pensato "quanto ancora andrà avanti questa schifezza?" ah no, questo l'ho pensato io... e ioltre, ho in mentre di scrivere anche sulla seconda figlia di Tsubaki, ho già in mente tutta la storia ma la farò solo dopo che sarà finita questa su Sora.
ora credo di aver finito... ah, se volete, mi farebbe piacere se leggeste un'altra storia che ho scritto

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1094275&i=1
E ora ho finito davvero
al prossimo capitolo
Tsutsu

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Capitolo 26
*** Il guerriero oscuro ***


Il guerriero oscuro

 
«Non capisco, se Stein riesce a percepire le anime meglio di te, perché non lo cerca lui questo sistema!» Borbottò scontrosa Sora che camminava avanti.
«Sora» tentò di chiamarla il suo meister.
«Ma dove cazzo si trova?» Lei non lo ascoltava minimamente, continuava a guardarsi intorno con impazienza.
«Sora!»
«Uccidiamo direttamente quelle dannate streghe.»
questa volta lui le prese le spalle, costringendola a guardarlo. «Non fare nulla di avventato, so che l’unica cosa che interessa a te è vendicare tuo padre, ma noi non avremmo alcuna possibilità di sconfiggere le streghe.»
Lei si liberò dalla sua presa e fece qualche passo indietro. «Perché?! Siamo diventati molto forti ora, io sono pronta.»
«È meglio essere prudenti, ti sei già dimenticata quello che ti ha detto Kid?!»
«Se hai così paura puoi anche non venire!» 
Non ebbero il tempo di dire una parola che si sentirono schiacciati al suolo, come se la gravità fosse aumentata di colpo.
Eis fece uno sforzo inumano per riuscire a sollevare la testa e capire cosa stesse succedendo. Qualcuno si stava avvicinando a loro, un uomo alto con il viso coperto da una lunga sciarpa bianca che lasciava scoperti solo due puntini verde smeraldo.
Il resto del corpo era vestito da abiti neri ed attillati, persino la pelle scoperta era nere e delle  fiamme dello stesso colore la rivestivano.
Anche in quella barriera, Eis riusciva a percepire la sua immensa anima, così potente da schiacciarli e da far sembrare le loro delle formiche. Che fosse lui il kishin?
E Stein dov’era finito? Era impossibile che non sentisse quell’anima.
«È lui quel sistema?»
Eis deglutì, stringendo i denti la paura che sentiva era paragonabile solo a quella che aveva da piccolo di suo padre. Ancora una volta gli sembrava di tornare indietro, quando non era riuscito a salvare sua madre e suo fratello ed ora si sentiva responsabile della vita di Sora.
L’uomo si fermò distante da loro e, come se gli fosse uscita dalla pelle, in mano gli comparve una lama anch’essa coperta da fiamme nere e sembrava parte stessa del suo corpo.
Gli occhi di Eis si spalancarono dal terrore ed anche Sora non era rimasta indifferente.
Sora sentì una violenta ventata alla sua destra e vide dei ciuffi di capelli passarle davanti agli occhi.
Per poco non aveva perso l’equilibrio tant’era travolgente l’anima dell’avversario ed era così veloce che era appena riuscita a intravedere un’ombra nera.
Per terra vi erano alcune ciocche dei suoi lunghi capelli e, guardandole, deglutì e le sue gambe avevano iniziato a tremare.
Eis sentì un tintinnio di catene e guardò Sora pronta per combattere. «È troppo pericoloso affrontarlo!»
«Allora che dovrei fare? Star ferma ad aspettare che mi faccia fuori?! I codardi come te non li sopporto proprio...»
Detto questo, partì all’attacco, il nemico era rimasto fermo, come se stesse proprio aspettando quella mossa.
Nell’istante preciso in cui era sicura di averlo colpito, si trovò davanti il muro della Shibusen.
«Allontanati da lì!» L’ammonì Eis ma l’uomo l’aveva già colpita alla schiena con l’elsa della spada nera.
Al fragore del colpo sulla schiena della ragazza, il meister si lanciò contro l’avversario ma ancora una volta questo si era come dissolto.
Sora tentò di ad alzarsi, ma improvvisamente tossì, sputando sangue ed Eis si abbassò accanto a lei, mettendole una mano sulle spalle, ma senza perdere di vista il nemico che se ne stava a guardare. Sembrava non volesse ucciderli, altrimenti lo avrebbe già fatto.
Sora strinse le dita sulla sua maglietta per riuscire a alzarsi ma dalle labbra le colava ancora un rivolo di sangue.
«Mi dispiace per prima...»
Subito dopo si era trasformata in kusarigama ed Eis si preparò al combattimento sperando, in qualche modo di riuscire a cavarsela.
Senza preavviso, l’uomo si trovava già davanti a lui, costretto a difendersi con la catena dell’arma, ma era una sfida di forza che non avrebbe mai vinto.
Velocemente, lanciò una falcetta e spiccò un balzo all’indietro ma il suo avversario non si era lasciato colpire e continuava a fendere colpi in aria.
Eis riuscì ad allontanarsi abbastanza dal suo avversario, ma non era stato facile.
-Sora.
-Ci sono...
Eis si allontanò ancora di più dal nemico per attendere il momento giusto, un’occasione persa e un tempismo sbagliato sarebbero stati fatali.
-Muoviti!- Gli ordinò l’arma.
-E come pensi che possa fare?!
-Lo capisci che lui non ti darà mai tempo sufficiente, dobbiamo riuscirci in poco tempo.
-Ma con una risonanza debole non riusciremo a fare niente e consumeremo troppe energie.
-Fallo!
Nella distrazione, l’uomo si era avvicinato ma prima che lo tagliasse con la sua lama, Eis lo colpì nel plesso solare con la parte inferiore della falcetta e lo colpì in viso con l’altra estremità dell’arma, facendolo volare via.
Era la prima volta che riusciva a colpirlo e gli sembrava di aver colpito dell’acciaio.
-Adesso! Non perdiamo tempo!- Insisté Sora.
Iniziarono la risonanza dell’anima mentre il nemico si stava già rialzando, era una questione di secondi prima che li raggiungesse ma, prima che avvenisse, si ritrovò in mezzo alla stella formata dalla catena di Sora.
Entrambi rimasero sbigottiti, quel mostro riusciva a muoversi nonostante gli dovesse essere impossibile. Neanche Stein riuscirebbe a sconfiggere un nemico così.
L’attacco che seguì, era così rapido che Eis non riuscì a fare nulla, la lama era affondata nella sua spalla.
La catena di Sora riuscì a bloccare l’attacco prima che il suo meister finisse completamente squarciato.
La ragazza respinse l’uomo con un calcio nel ventre.
Avrebbe voluto soccorre il suo meister, aveva una ferita molto profonda e stava perdendo molto sangue ma prima doveva riuscire a liberarsi di quel tizio.
Lo attaccava a distanza con le sue catene ma lui riusciva a schivare tutti i colpi ad una velocità sorprendente, se si fosse avvicinato, lei non sarebbe riuscita a schivarlo, la caviglia con cui lo aveva colpito precedentemente le faceva malissimo. Ma di cosa era fatto?
Quando fu troppo vicino, lo evitò aggrappandosi con la catena a uno degli spuntoni della shibusen e scendendo, colpì il nemico alla schiena con il peso che aveva all’estremità della catena.
Atterrò male sulla caviglia e schivò la raffica di attacchi con delle acrobazie in cui usava solamente le mani.
Si ritrovò a terra in ginocchio e, avvolgendo la catena attorno alle gambe del nemico, lo fece sbilanciare e cadere. Questa era l’opportunità per terminare il duello.
Si lanciò contro il nemico, trasformando il peso della catena in una falcetta con cui puntava al petto ma l’altro la fece volare via colpendola con la spada, fu così veloce che lei non sentì dolore neanche finendo contro il muro.
Quando riacquistò la sensibilità, avvertì un dolore lancinante, che la paralizzava, non riusciva più a muoversi ma, non stava perdendo  sangue, quel bastardo l’aveva colpita con il dorso della lama.
Eis intanto cercava di rialzarsi ma si sentiva completamente prosciugato nel corpo e nell’anima, a terra c’era un’enorme pozza di sangue, che ancora continuava ad uscire dalla ferita.
Prima che perdesse completamente i sensi, l’uomo impedì a Sora di cadere a terra afferrandole il collo con la mano.
Con le energie rimaste, la ragazza tentò in ogni modo di liberarsi e l’altro rispose schiacciandola contro il muro, così forte da farla gridare.
Le si dilatarono gli occhi notando qualcosa sulla spalla del nemico, tra le fiamme nere, sembrava un simbolo e, quando lui aprì la mano per colpirla, non ebbe più dubbi.
Le braccia le ricaddero lungo i fianchi e delle lacrime le rigarono le guance mentre stava per essere colpita dall’onda dell’anima di suo padre.


Che capitolo schifoso, non sono riuscita a fare di meglio. Non penso di essere brava nel descrivere i combattimenti, ditemi che ne percate della mia telecronaca, è importate per me dato che scrivo storie quasi tutte di questo genere.
Mi scuso del ritardo, poichè sto lavorando ad altre centinaia di storie, una di queste la scrivo con "Lealia" e "Reliance", le mie due migliori amiche che mi hanno ispirato anche i personaggi di Tamashi. Mi scuso anche essere stata così sadica, mi piace finire il capitolo sul più bello e farvi rimanere in attesa.
Ah e per quelli che mi hanno detto di non fare Black Star kishin, tranquilli, non lo è, ma non vi anticipo nulla.
Il disegno del bacio, mi sembra una schifezza ed ero tentata di buttarlo, ma mi sforzerò di finirlo, mi manca Eis, ci sto mettendo tanto perchè sto usando dei colori ad acqua ed è solo la seconda volta che li uso.
ho finito di annoiarvi
Al prossimo capitolo
Tsutsu

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Capitolo 27
*** Defeat ***



Nota: definire questo capitolo "non per stomaci delicati" mi sembra un pò troppo, ma sono io che non riesco ad essere oggettiva e le mie storie non mi fanno alcun effetto ma volevo solo avvisare che questo capitolo mi sembra più violento degli altri.
Buona lettura e spero di non deludervi ^^


Defeat


Il palmo della mano le coprì la vista e chiuse gli occhi, abbandonandosi all’oscurità e seppur apparentemente sembrava tranquilla, doveva ammettere che aveva paura, più di quanta ne avesse mai provata per l’acqua.
Non appena la mano la sfiorò, un dolore le attraversò le membra, più forte di qualsiasi altra cosa avesse mai sentito sulla sua pelle...
Se lo sentiva, l’anima si stava staccando dal corpo, come le radici di una debole pianta che si sradicava. Perché doveva morire proprio per mano di suo padre?
Non gridava, si era del tutto arresa.
Un colpo sul fondoschiena la fece rinvenire dal suo trance, ma faticò ad alzare la testa e capire la situazione con lucidità.
Che suo padre fosse tornato in sé?
Se ne stava immobile davanti a lei, senza guardarla neanche e, dietro di lui si disegnò una figura alta e nera
Da lontano, Eis osservava sbigottito la scena.
Sostenendosi al muro, Sora si alzò in piedi ma la clavicola le faceva un male straziante anche se se n’era resa conto solo ora. Sosteneva a malapena il collo e strinse i denti soffocando un urlo. Si sentiva da vomitare, la sua forza non era minimamente paragonabile a quella del grande Black Star.
Aveva la vista appannata, ma distinse dei capelli neri e due occhi gialli.
«Spero tu sia contenta di aver ritrovato tuo padre.»
La voce le giungeva distante, come attutita da dell’ovatta, era famigliare, ma non riusciva a capire a chi appartenesse, sembrava avere un vuoto di memoria
«Chi sei?»
Usando la poca forza rimasta, Eis si alzò in piedi e, strusciando contro il muro, si avvicinò un po’ di più ai tre, abbastanza da avvertire l’“oggetto” che avrebbe potuto abbattere la barriera e il pericolo imminente.
Deglutì, Sora era completamente indifesa, non sarebbe mai riuscita a mettersi in salvo e lui non avrebbe fatto in tempo a raggiungerla, alleggerito dal sangue defluito, ma appesantito dalle energie mancanti assieme ad esso.
«Come previsto. In realtà pensavo che le cose sarebbero state più difficili, ma in realtà hai fatto tutto da sola» disse il ragazzo alle spalle di Black Star. «Ottimo lavoro.»
«Ahti?»
Il ragazzo sorrise mentre dall’altra parte, Sora si sentiva battere il cuore veloce come le ali di un colibrì.
«Cosa sta succedendo?»
Parlando, le veniva quasi da piangere, gli occhi le pizzicavano e la voce tremava. Il ragazzo le si stava avvicinando lentamente mentre lei cercava di appiattirsi contro il muro per sfuggirgli in qualche modo.
Le mise una mano sul collo, senza stringere, ma quel contatto le faceva venire i brividi. Inseguito, avvicinò sempre di più le labbra alle sue e allora si sentì tramare anche le gambe, che strinse convulsamente.
Il ragazzo fece entrare con violenza la sua lingua tra le labbra della ragazza, che non riuscì ad opporsi in alcun modo, Si lasciò completamente andare ad un ulteriore umiliazione: il pianto.
Quando lui lasciò la presa su di lei e fece strisciare la sua viscida lingua via dalle sue labbra, lei cadde a terra come schiacciata da un enorme macigno, così si sentiva, calpestata, violata, distrutta... rimase a testa bassa a guardare le sue lacrime infrangersi sul terreno polveroso.
Dopo un primo “perché?”, aveva smesso di farsi domande e lasciava che subisse senza più forze, nel corpo come nell’anima, consumata e disperata.
Ahti le sollevò la testa con le dita e lei non lo guardò neanche mentre poggiava la sua mano sul suo petto e la faceva affondare in profondità, fino alla sua anima, che strinse tra le dita come fossero artigli di demone.
Un sasso gli sfregiò il volto, lasciò la presa sull’anima di Sora e si alzò in piedi, rivolto verso Eis.
«Meglio eliminare subito i seccatori.»
«Cosa vuoi da me?» Domandò Sora tutt’ad un fiato per trattenerlo.
Ahti le rivolse lo sguardo penetrante, poi lo spostò di nuovo sul meister e sorrise.
«Fin da quando sei partita per l’Alaska, ti abbiamo tenuta d’occhio» iniziò a spiegare il ragazzo, guardando di nuovo la ragazza. «Avevamo catturato tuo padre per offrirlo al kishin, per la sua anima potente ma, vedendo quanto desiderassi salvarlo, abbiamo deciso di sfruttarlo per accrescere la tua disperazione...»
Sora strinse i denti, aveva lì davanti il nemico ma non poteva far nulla per fermarlo.
«...un anima così è l’ultimo “ingrediente” che serve a potenziare il nuovo kishin e farlo diventare imbattibile. Ma non era abbastanza la tua disperazione, così mi sono divertito a spazzarti il cuore e a farti quasi uccidere da tuo padre...»
«Bastardo!»
Scattò in avanti per colpirlo con un pugno ma lui le afferrò il polso spezzandole il braccio e, senza lasciarla andare, la colpì in pieno plesso solare.
L’arma cadde  a terra con un urlo straziante, Eis avrebbe voluto strapparsi le orecchie pur di non sentirla soffrire a quel modo.
«Adesso basta parlare.»
Ahti fece qualche passo indietro e prese uno strano cubo dalla tasca, da cui Eis riusciva a percepire racchiusa un anima bramosa di potere. Il kishin.
Il meister continuò ad avanzare stringendo i denti, la maglietta era satura di sangue, che continuava ad uscirgli quasi fosse infinito. Sarebbe finita anche questa volta allo stesso modo, non era in grado di proteggere gli altri. Non lo avrebbe permesso.
Sora, che continuava a piangere e ad emettere versi sommessi, rimase immobile, incapace di qualsiasi altra azione. Non meritava di essere la figlia di Black Star, né una Nakatsukasa...
Un raggio irregolare di luce nera, partì dal cubo e l’avvolse come le spire di un serpente. Non aveva più voce per gridare, le avevano tolto anche quella.
Chiuse gli occhi, non sentiva più dolore, come se avesse perso completamente la sensibilità, era quella la morte?
Prima che si lasciasse completamente andare, sentì una voce, dopodiché, più nulla, era diventato tutto nero.
Il raggio nero s’interruppe e il cubo nero cadde a terra ed Ahti perse la sua freddezza.
«Bastardo!»
Eis strinse a sé il corpo di Sora, sperando di proteggere almeno lei anche se non sentiva né il battito del suo cuore, né il suo respiro e chiuse gli occhi, aspettando che la morte venisse a mietergli l’anima.
«Abbiamo finito qui, Ahti.»
Eis spostò lo sguardo, vedendo accanto al ragazzo una donna dai capelli beige con striature nere e bianche, uguali alle piume delle ali che aveva sulle spalle. La civetta che aveva sempre visto.
«Non sono riuscito a prendere completamente l’anima della ragazza» affermò Ahti, raccogliendo il cubo da terra e continuando a fissare Eis negli occhi.
«Va bene comunque, stiamo rinunciando ad un piccolo frammento di anima che non farebbe alcuna differenza.»
Il meister avvertì un fruscio di ali e sopraggiunsero le altre due streghe, una dalle ali grigie e l’altra dalle ali nere.
«Shinigami è sistemato» dichiarò quella con le ali nere.
«E anche il professore» aggiunse l’altra.
«Tempismo perfetto, gli sforzi della Shibusen di entrare nella barriera, saranno un buco nell’acqua. Andiamo prima che arrivino» concluse la strega civetta.
Svanirono nel nulla, portando con loro anche Black Star. Finalmente Eis si sentì al sicuro ma non erano ancora salvi.
Ora che la barriera era svanita, riuscì a percepire di nuovo le anime ma non riusciva a sentire quella della sua arma.
No... si rifiutava di accettarlo.
Si concentrò.
Finalmente riuscì a sentirla, ma era come la debole fiamma di una candela e non l’avrebbe tenuta in vita a lungo se non per qualche breve minuto.


Finalmente sono tornata!!!
Lettore: Perchè te n'eri andata?
Vedo che vi sono mancata bene bene, per questo durante la mia assenza vi ho lasciato in compagnia del simpaticissimo Excalibur. Qualcuno è stato risparmiato? Rimedio subito
:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1159579&i=1  aggiornerò presto anche questa raccolta con un'altra one-shot su sora e gli altri
Alla prossima
Tsutsu

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Capitolo 28
*** Una speranza per il futuro ***


Una speranza per il futuro


Rimasero tutti in totale silenzio. Nessuno sapeva cosa dire in quella situazione, parole di conforto avrebbero potuto peggiorare la situazione, soprattutto Liz era combattuta, continuava a fissare Kid tormentandosi le labbra.
«Smettetela di commiserarmi» ruppe il silenzio lo Shinigami, con tono freddo e distaccato.
Si allontanò dal gruppo, tenendo le mani in tasca.
Patty guardò preoccupata la sorella, che deglutì e mosse qualche passo in avanti, ma Soul la bloccò mettendole il braccio davanti.
«Lascialo stare per ora, penso che abbia bisogno di restare da solo.»
«M-ma...!» provò a protestare Liz, interrotta dall’arrivo di Eis, che chiamava Maka.
«Cos’è successo?» chiese la meister.
Eis cercò di riprendere un attimo fiato, quella corsa lo aveva stancato, si sentiva ancora debole nonostante le cure a cui era stato sottoposto.
«I bambini stanno per nascere!»
«Che tempismo!» commentò Soul, dato che la situazione non era già abbastanza complicata.
«Ma non può trattenerli?» Chiese Patty.
«Dovresti saperlo Patty? Hai avuto una figlia anche tu...» sospirò la sorella.
«Oooh!»
 
Eis rimase ad aspettare fuori, la schiena contro il muro e continuava a sospirare con nervosismo.
Il battito del suo piede contro il pavimento, riecheggiava nel corridoio.
La luce si accendeva e spegneva in continuazione, gli infastidiva gli occhi ed aveva la sensazione che la testa potesse esplodergli da un momento a l’altro, non sosteneva più quella tensione.
Dopo un po’, smise di muovere il piede e sopirò ancora, portandosi una mano sulla spalla ferita.
Diventò pensieroso. «Dovresti esserci tu al mio posto...»
Si lasciò cadere a terra con il viso tra le mani
Trascorsero svariate ore, la lancetta dell’orologio nel corridoio sembrava muoversi alla velocità di una lumaca, ma lui attese pazientemente, fin quando, un grido entrò con forza nei suoi pensieri.
Deglutì, poi, sorrise a labbra strette.
In seguito, altri gridi riempirono l’appartamento usato temporaneamente dalla Shibusen come infermeria.
La porta davanti a lui si aprì e gli apparve una Maka sorridente, che lo invitò ad entrare.
Insieme a lei, nella stanza, vi erano Liz, Patty e, naturalmente, Tsubaki.
La madre teneva in braccio uno dei due bambini, mentre Liz stava facendo il primo bagno all’altro, il maschio tanto desiderato da Black Star.
«Sorellona, scommetto che sei impaziente che nasca anche il tuo» affermò Patty.
«Eh già, mancano ancora quattro mesi» sospirò Liz.
«Non si direbbe che sei incinta...» giudicò Maka. «Quando lo ero io, Soul mi prendeva sempre in giro dicendomi che ero grassa...»
«Liz, sai se sarà un maschio o una femmina?» Domandò Tsubaki.
«Probabilmente sarà un maschio» rispose Liz. «Kid avrebbe voluto dei gemelli.»
«Quando lo ha saputo, ha avuto un’altra delle sue crisi» disse Patty divertita.
 Eis rimase a guardare. Cosa ci faceva lui là in mezzo?
Però, doveva ammettere che era divertente, immaginò che avevano molte cose da dirsi, erano amiche, ma avevano poche occasioni per stare insieme spensieratamente, almeno, tutti gli avvenimenti tragici degli ultimi giorni, avevano portato anche qualcosa di positivo.
Probabilmente, in futuro sarebbe stato così anche per lui...
«Vuoi tenerlo?» Gli chiese Liz, riportandolo sulla terra.
Lui alzò lo sguardo, leggermente imbarazzato. «Sicure che posso? Non ho mai tenuto in braccio un bambi...»
Prima ancora che finisse di parlare, Liz glielo aveva scaricato, probabilmente la sua era stata una scusa per liberarsi di quel peso. La conosceva bene e si chiedeva come avrebbe fatto a sopportare un figlio.
Abbassò lo sguardo ed incrociò gli occhi blu del bimbo, somigliava molto alla madre, anche per i capelli corvini dai riflessi blu.
Sorrise, gli ricordava un po’ suo fratello. Chissà come sarebbe stato se ci fosse stato anche lui in quegli anni. Chissà...
Provò ad immaginare la scena, lui, Sora e... Hias che rompeva le scatole, era quello il ruolo dei fratelli minori, ma avrebbe preferito che stesse con lui.
Il sorriso che aveva scomparve e gli divennero gli occhi lucidi mentre tutt’attorno era calato il silenzio, interrotto a tratti dai versi dei neonati.
Vedendolo, Maka, andò verso di lui con una busta e riprese in braccio il bambino. «Adesso dovrebbe essere l’orario delle visite, dovresti andare.
Eis annuì con un sorriso a labbra stette. «Grazie.»
Detto questo, corse via senza chiudere la porta.
«Ma che è successo?» Domandò Liz a Maka.
«Ah... è vero, voi non conoscete la sua storia. Credo stesse ricordando la sua famiglia...»
A quelle parole, Liz pensò immediatamente a Kid...
 
L’arma raggiunse lo shinigami da dietro e, senza sapere bene cosa fare, si fece coraggio e tentò.
«Come stai adesso?» Chiese Liz a voce bassa.
Kid rimase immobile e lei attese a lungo una risposta che non arrivò mai. Sospirò.
«Non c’è nulla che nulla che posso fare per cancellare il tuo dolore, ma se esiste qualcosa, anche la più piccola ad insignificante, che può farti stare meglio, vorrei che me lo facessi sapere... e io la farò.»
Era stato difficile per lei fare un discorso del genere ma sembrava che lui non l’avesse neanche ascoltata ma, prima che potesse avvicinarsi, lo vide a terra con le gambe raccolte sotto il corpo che batteva il pugno a terra.
«C-che...»
«Guarda com’è ridotta la Shibusen... quella perfetta simmetria... è tutto distrutto... rovinato... perduto... voglio morireeee!»
Liz accennò appena un sorriso, ma poi, gli occhi le si riempirono le lacrime e si piegò a terra, accanto a Kid e lo abbracciò.
Stava piangendo anche lui e sapeva che non era per la simmetria.
Gli mise una mano tra i capelli, invitandolo ad appoggiare la testa sul suo petto.
«Dipende tutto da te ora, non lasciare che anche mio figlio, pianga la morte di suo padre...»
Lui respirò profondamente per tranquillizzarsi e le mise una mano sul ventre.
«Ti amo Liz...»
 
Maka bussò alla porta ma, dato che non ottenne risposta, entrò comunque, trovando il ragazzo in ginocchio, i gomiti sul letto e dormiva.
Lei gli mise dolcemente la mano sulla spalla. «Su, svegliati!»
Lui riaprì subito gli occhi e la guardò assonnato. «Adesso dovresti andare a casa.»
«Non posso proprio restare?»
«Ne abbiamo già discusso, non si può restare in infermeria dopo le dieci.»
Eis, rassegnato, si alzò. «Buonanotte.»
«Anche a te...»
Mentre lasciava l’appartamento, udì un pianto e tornò indietro, bussando ad una porta.
«Avanti!»
Eis aprì la porta e trovò Tsubaki in piedi, che tentava di calmare i due bambini e non prestò molta attenzione a lui.
«Non sono sicuro di cosa si dovrebbe fare ma... posso esserti d’aiuto?»
 
Tsubaki tirò un sospiro di sollievo e si lasciò cadere seduta sul letto. Era evidente quanto fosse stanca, ma nella situazione in cui si trovavano, non c’era nessuno che potesse aiutarla.
«Ti ringrazio Eis.»
«Ah... non è nulla» disse Eis, leggermente imbarazzato. «Adesso dovrei andare... non voglio disturbarti...»
«Non disturbi. Ho sempre voluto parlare con te, penso che questa sia l’occasione giusta.»
Tsubaki gli fece segno di sedersi e si mise sulla sedia che aveva accanto, dopodiché, nella stanza si creò un lungo silenzio, poi, sul volto della donna, comparve il sorriso di chi ricorda.
«Black Star, per nostra figlia, ha sempre desiderato che avesse un meister molto forte, è anche per questa convinzione, che Sora aveva scelto Kid. Da sempre, ha cercato di non deludere il padre...»
Lei sospirò ancora ed alzò lo sguardo sul ragazzo. «Io penso che abbia trovato un buon meister... e anche un buon amico e volevo ringraziarti per esserle rimasto sempre accanto.»
Eis abbassò lo sguardo.
«Non dovresti sentirti in colpa per quello che è successo, so che hai fatto il possibile.»
Lui rimase in silenzio, non si sarebbe mai liberato dei suoi rimorsi. Tornò a guardare la donna e cercò di cambiare argomento.
«Come si chiamano?»
Tsubaki s’illuminò in volto, come se si aspettasse quella domanda. «La femmina l’ho chiamata Mirai.»
«Cosa significa?»
Lei annuì. «Futuro... penso che, nella situazione in cui ci troviamo, sia il nome che più le sia addice.»
Lui sorrise. «Lo penso anche io.»
«E il maschio... si chiama Hias.»
Eis spalancò gli occhi. Aveva capito bene?
«Sora ha voluto chiamarlo così.»
 
 

So che è un po’ ambiguo scritto in questo modo, ma nel prossimo capitolo sarebbe stato chiaro quello che è successo. In sintesi, Shinigami è morto.
Lettore: hai rovinato la storia in questo modo...
Ho voluto correre il rischio e inoltre, volevo che Kid prendesse il posto di Shinigami e ho voluto correre un altro rischio facendo tornare protagonisti gli "adulti" e spero vi sia piaciuto. ah, penso anche che aggiungerò il combattimento di Shinigami tra i capitoli extra, ma non prometto niente.
questa volta, voglio ringraziare tutti i miei recensori, che adesso sono diventati davvero tanti e anche chi legge senza recensire, non li ringrazio mai perchè non pensavo che leggessero la mia storia in così tanti. più di tutti, ringrazio
Blue-Chan
dato che partirò di nuovo, mi spiace, ma dovreste aspettare molto per il prossimo capitolo che penso sarà uno dei migliori. Andrò in crisi d'astinenza...
alla prossima
Baci
Tsutsu

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Capitolo 29
*** Risveglio ***


Risveglio


Quindici giorni.
Ma gli sembrava fosse passata più di un’eternità e chissà quanto ancora avrebbe dovuto vivere con quell’angosciante attesa, di qualcosa che sarebbe potuto non avvenire mai.
Maka era stata sincera con lui, non aveva voluto illuderlo dicendogli che la sua arma, probabilmente non si sarebbe mai ripresa.
Non aveva senso... se era davvero così, perché il destino l’aveva lasciata in vita?
O semplicemente, ancora una volta la vita si faceva beffa di lui illudendolo sempre ma lasciandolo vivere.
Teneva il viso tra le mani, i gomiti sul letto, da quando aveva parlato con Tsubaki, quella notte, sentiva le viscere contorcersi nel ventre ed il cuore imprigionato da centinaia di spine che andavano sempre più affondo. Avrebbe voluto parlarle, dire tutto quello che si sentiva nell’anima, si sentiva stupido, anche più di Sora, lei non era la sola a non essersi accorta dei sentimenti altrui.
 
Rimasero a lungo in silenzio e riuscivano persino a sentire il respiro sommesso e regolare dei sue neonati.
«Io credo che le piacessi...» Affermò Tsubaki.
«Cosa?»
Tsubaki rise, ma aveva le lacrime agli occhi. «All’inizio, quando è diventata la tua arma, mi raccontava sempre quello che succedeva... poi, dopo un po’ ha smesso, se le chiedevo qualcosa cambiava argomento.»
Eh? Parlava davvero di Sora? Quella era una parte nuova di lei del quale non aveva mai saputo nulla.
«È sentimento diverso da quello che sentiva per Kid, per lui faceva di tutto per mettersi in mostra, invece sembra che con te abbia... trovato una propria personalità, altri modi di essere oltre l’esempio di suo padre.»
Eis rimase tutto il tempo ad ascoltare in silenzio e a riflettere, sentendo l’impulso di voler andarsene all’istante e andare dalla sua arma.
«Dopo la scomparsa di Black Star... penso che abbia preso te come suo “padre”»
 
Alzò il viso e posò lo sguardo si Sora, che pareva beatamente sopita, chissà se, come nelle fiabe, un bacio l’avrebbe risvegliata...
I suoi capelli azzurri, scendevano dal cuscino come una cascata, mossi dalla leggera arietta che entrava dalla finestra. Quando camminava e li vedeva ondeggiare, sembravano delle placide onde accarezzate dai raggi del sole, ripensando a quell’immagine, ebbe la sensazione di avere la visione di un essere celestiale... beh, dopotutto, era quello che ripeteva sempre, lei era una dea.
Sorrise nostalgico, ma, ciò che gli mancava davvero, sopra ogni cosa, erano le sue cavolate ed era anche seria nel farle, lo faceva ridere.
 
«Io butto questa.»
Sora lo guardò titubante, poi osservò con apparente accuratezza le sue carte, poi ne buttò una sopra il letto dove giocavano.
«Io metto una carta coperta e passo il turno.»
Eis la guardò male... scherzava?
«Ehm... anzi, metto anche Angelo con la spada in attacco... ora tocca a te.»
«Sora... sai come si gioca a scopa?»
Sembrò pensarci qualche istante, poi si rivolse a lui con un ampio sorriso «Beh, si! di solito si fa sul letto...»
«Sora!»
«Dai scherzavo, non te la prendere!»
 
Ricordava bene quella sera... era impossibile giocare a carte con Sora, non ci capiva niente ma la cosa più difficile da fare per lei era... contare i punti.
Visualizzò anche il pigiama che indossava, troppo largo per lei, rosa con dei coniglietti bianchi. Era più sobria di notte che di giorno.
Prese un asciugamano e lo bagnò, usandolo per lavarle il viso sperando così, anche di farla reagire, continuava a sperarci anche dopo tutti quei giorni che lo faceva. Le sistemò anche il cuscino e le spostò i capelli da davanti al viso.
Ricordò con un sorriso anche quel giorno in cui aveva cercato di convincerla a spostare i capelli che le coprivano gli occhi, ma lei si era messa sulla difensiva e aveva risposto “il ciuffo non si tocca”, ora si sarebbe imbestialita sapendo che aveva infranto la regola.
Le sfiorò il dorso della mano, anche se era incosciente, non riusciva a non provare imbarazzo.
Di malavoglia, abbandonò la stanza dove, al di fuori, aveva lasciato altri problemi. Kid, che ora aveva preso il posto di Shinigami, aveva formato una squadra di studenti tra i più forti per rintracciare le streghe prima che loro tornassero con il kishin e mettere definitivamente fine alla guerra con la Shibusen.
Tra quegli studenti c’era anche lui, ma che poteva fare senza un’arma, Kid era stato indulgente e gli aveva concesso qualche giorno per sperare che Sora si riprendesse, altrimenti, avrebbe fatto temporaneamente coppia con Lealia e proprio da lei era diretto ora, quello era il decimo e ultimo giorno...
Percorse le strade buie di Death City, fino ad arrivare all’appartamento delle due ragazze. Reliance stava già dormendo più profondamente di un orso in letargo, l’altra era rimasta ad aspettarlo.
Si sedette al divano e Lealia gli portò un te caldo e si mise accanto a lui.
«Sai, mi sembri dimagrito» disse Lealia.
«Ah... davvero?»
Rimasero a lungo in silenzio, poi lei gli mise una mano sulla spalla. «Vedrai che andrà tutto bene, Sora è una ragazza forte...
Eis la guardò, lei era sempre troppo ottimista, decise di cambiare argomento e dire ciò per cui era andato lì realmente.
«Ho deciso di non venire...»
Lealia annuì comprensiva.
«Devo restare qui a proteggere lei e Tsubaki... Se ve ne andate, magari Death City non sarà più di alcun interesse per le streghe, ma devo restare qui.»
Era di nuovo tornato a parlare di Sora, era impossibile per lui non pensarla...
«Ti capisco... Mi dispiace solo di non poter essere la tua arma, anche se solo per un po’...»
Lei sopirò. «Ti devo confessare, che sono invidiosa di lei per molte cose...»
Eis si voltò a guardarla.
«Lei, riesce ad essere sé stessa, molte volte si rende anche ridicola, ma non si preoccupa di quel che pensano gli altri e riesce a non prendersela se riceve un brutto voto... ma soprattutto, perché lei ha te.»
Il ragazzo rimase ad ascoltarla senza avere alcuna reazione.
«Tu lo sapevi ma... Non sono riuscita a battere Sora in nulla... Sai, è davvero bello il sentimento che provi per lei...»
«Io... sono sicuro che troverai qualcuno che ti ami davvero... oltre a Reliance!»
«Ahah! Ha detto che mi ha messo al secondo posto, tra i panda e la cioccolata calda!»
Scoppiarono entrambi a ridere.
«Questa sera non le ho detto che venivi, altrimenti sarebbe rimasta sveglia.»
«Beh, mi sono sempre accorto che mi guardava storto quando stavo vicino a te, ma non ne ero sicuro.»
Lealia rise fino a quando non le uscirono le lacrime. «Beh.... allora ci vediamo... sempre se tornerò.»
«Ce la farai sicu...»
Si bloccò a metà frase, quando lei gli diede un bacio sulla guancia. «Non voglio perderti. Lo dico come amica...»
 
Il vento che entrava dalla finestra faceva ondeggiare le tende bianche, attraversate dalla luce pallida del mattino.
«Cinquecentoquarantuno. Cinquecentoquarantadue. Cinquecentosess... acc... ho perso di nuovo il conto...»
Si tirò su, mettendosi a gambe incrociate, poi sentì un rumore provenire dal suo stomaco. «Che fame... ah, no! Devo resistere, farò un bello scherzo ad Eis!»
 
 
Alle nove, Eis era già in piedi per vedere gli altri partire, ed ora, prima del solito, era andato a far visita a Sora, sperando, per l’ennesima volta di trovarla sveglia.
Più sconsolato del solito, si mise seduto, sbattendo con forza i gomiti sul letto e tenendo le dita fra i capelli e il viso nascosto.
Sul dorso della mano gli si potevano vedere le vene, stringeva forte i denti ed aveva il respiro pesante, poi, sul lenzuolo cadde una lacrima, seguita da altre che non finivano mai.
«Maledizione! Dovrei esserci io al tuo posto! Va a finire sempre così... mia madre... mio fratello e ora tu... sarebbe stato meglio se non fossi mai nato!»
«Non dire così!»
All’improvviso si era ritrovato delle braccia al collo che diventavano sempre più strette. «Non dirlo mai più!»
Eis era rimasto spiazzato, s’immobilizzò con le lacrime ferme negli occhi, e offuscavano tutto, facendogli vedere solo un celeste intenso.
Alzò la mano, toccando dei capelli e avvertì un calore umano. Non riusciva a crederci, se lo stava immaginando?
Strinse le braccia intorno alla ragazza e ne respirò l’odore che, dopo aver trascorso giorni chiusa in una stanza, non era proprio gradevole ma a lui piaceva lo stesso...
Riguardo a Sora, sentendolo parlar,e non era riuscita a fare lo scherzo progettato, ma non pensava che lui soffrisse tanto. Ma quanto tempo aveva dormito? Non lo sapeva di preciso, ma doveva essere tanto, perché aveva sentito troppo la mancanza di un calore così forte.
Eis le mise le mani sulle spalle, allontanandola da sé e vedere se davvero era lei, una volta confermata la sua identità, si gettò di nuovo su di lei, abbracciandola.
Sora abbassò la testa contro la sua spalla, gli occhi iniziavano a pizzicarle, poi strinse le dita sulla sua maglietta e lo allontanò per guardarlo negli occhi. «Scusami...»
Lui stava per controbattere, ma lei lo anticipò, concludendo la frase. «... di non averti ascoltato.»
«Non ha più importanza» rispose il ragazzo, ancora sopraffatto dall’emozione per interessarsi del significato di quelle parole.
«Eis» sussurrò ancora Sora, mentre lui le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchia.
«Cosa c’è?»
«Vuoi essere il mio meister? Definitivo... intendo...»
Si guardarono per qualche istante.
«A una condizione... devi rispondere alla mia domanda.» Eis sembrava estremamente serio, mentre Sora lo guardava speranzosa con occhi languidi.
«Devo sapere... cosa senti per me.»
La ragazza abbassò lo sguardo, rossa in viso. «Io...»
Chiuse gli occhi, poi guardò ancora Eis. «...ti amo.»
Evitò di nuovo il suo sguardo «Però io... tutto quello che hai dovuto passare per colpa...»
Eis non lasciò finire e la baciò. Sora ricambiò subito e posò le mani sul suo viso, perdendo però l’equilibrio e cadde all’indietro sul letto ed Eis la assecondò, finendo sopra di lei.
Dopo un po’ si staccarono e Si scambiarono uno sguardo che valeva più di qualsiasi parola.


Tsutsu, da adesso WhiteKitsune è tornata!!!! Ho deciso di cambiare nome perchè ornai nessuno mi chiamava più così e poi, Kitsune, tra tutti i personaggi che ho creato, è il mio preferito in assoluto, White l'ho preso da pokemon bianco e nero.
parlando della storia, avevo pensato di far fare ad Eis un discorso molto più lungo e il risveglio di Sora più comico ma mi ero bloccata e l'ho lasciata così. comunque, non pensate male, sulla conclusione, Sora ed Eis si sono fermati solo a qualche bacio, nulla di più anche se fose sembra xD
Alla prossima
WhiteKitsune

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Capitolo 30
*** Kazoku ***


Kazoku


La strega dei corvi attraversò velocemente il corridoio di ghiaccio e, arrivata alla porta in fondo ad esso, l’aprì.
-Korax non hai ancora imparato a bussare?- la rimproverò l’uomo che stava seduto su una sedia in cima a una scalinata di ghiaccio.
-Se preferisce me ne torno indietro...
-Cos’hai da dire?
-Il kishin è pronto per il risveglio. Dobbiamo liberarlo?
-Non ancora. Non vorrei che venisse sconfitto subito.
Korax spostò il peso da un piede all’altro. -Sconfitto? E chi mai potrebbe?
L’uomo si alzò e scese i gradini. -Esiste qualcuno capace di farlo. Devo ucciderlo prima che scopra i suoi reali poteri.
-Intendete farlo voi stesso?
-Ho un conto in sospeso con questa persona...
 
Dopo un lungo pianto, Sora stava ancora cullando Hias tra le sue braccia per non farlo svegliare di nuovo, ogni volta svegliava anche Mirai con le sue grida.
Eis, seduto sul letto, osservava la ragazza come ammaliato, non avrebbe mai immaginato che avesse la pazienza di badare a due neonati e s’immaginò come sarebbe stato avere una famiglia con lei.
Dopo un primo imbarazzo, pensò se sarebbe riuscito ad essere un buon padre ma, prima di tutto, si chiedeva come era una vera famiglia.
-Eis.
Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri e guardò Sora, che aveva lasciato il fratellino nella culla accanto alla sorella.
-Che ti prende? Ti ho chiamato più volte!
-Ah... niente.
La porta si aprì e Tsubaki entrò con un vassoio di tè ma Sora glielo tolse dalle mani.
-Non dovresti sforzarti.
-Non preoccuparti, ora sto bene.
Tsubaki guardò i gemellini e sorrise. -Non mi aspettavo che riuscissi a calmarli.
-Quindi non ero il solo a pensarlo...
La ragazza incrociò le braccia. -Avete molta fiducia in me...
Tsubaki rise e Sora la guardò. -Aspetta un attimo, mi è tornata in mente una cosa...
Si mise a frugare in un cassetto e si volse mostrando un album. -Le tue foto quand’eri piccola.
Sora arrossì.
-Sono curioso di vederle- affermò Eis.
Ora la ragazza era completamente rossa in viso. -Non vorrai fargliele vedere?!
Tsubaki andò a sedersi vicino ad Eis e si mise a sfogliare l’album. -Black Star le faceva foto in continuazione.
Sora rimase là ferma, mentre Tsubaki si soffermò su una foto che Eis guardava con altrettanto interesse e si decise ad avvicinarsi.
-Togli subito quella foto!
Tentò di prenderla dalle mani di Tsubaki, ma Eis fu più veloce.
-Com’è ti imbarazzi?
-Eiiiis!
-Qual è il problema? Eri così carina, avevi appena due mesi.
-Non è questo! Perché papà mi ha fatto una foto nuda?! E che vorresti dire, che ora sono brutta?
Eis era troppo alto per riuscire a prendergli la foto e, alla fine, rinunciò e si mise seduta accanto a loro a vedere le altre foto.
Tutte rappresentavano dei momenti felici della loro famiglia: compleanni, natale, capodanno.
Eis non aveva vissuto mai nulla di tutto questo, eppure, per loro sembrava così normale, anche riguardare quelle foto, era una cosa naturale. Sarebbe stato anche per lui così in futuro?
In particolare, fu colpito da una foto in cui Black Star  teneva Sora in braccio. Da quel che sapeva, neanche Black Star aveva avuto una famiglia, eppure ne era stato un buon padre.
Lui non aveva nulla a che fare con suo padre, lui era diverso.
In alcune foto, vi erano anche Maka, Soul e gli altri, molte risalenti a quando frequentavano ancora la Shibusen.
-Quant’era basso papà!- Commentò Sora.
-Parli proprio tu- rise Eis.
In fondo invece, vi erano anche delle foto di Kid, alcune sfocate, scattate di nascosto da Sora quando era piccola. Nonostante tutto quello che era successo, Eis non riusciva a fare a meno di sentirsi geloso.
-Buttale via- disse Sora.
-Perché mai? Sono ricordi della tua infanzia- rispose Tsubaki e si alzò. -Vi ringrazio per aver guardato Hias e Mirai al posto mio, non avrei dovuto trattenervi ancora. Immagino vogliate stare da soli...
Sora abbassò lo sguardo. -Ehm... no... è...
Tsubaki sorrise.
 
Eis, dicendole di volerle parlare, si ritrovarono alla Shibusen o, meglio, quel che ne rimaneva, per quanto fosse a pezzi, rimaneva pur sempre la loro scuola, distrutto o meno, quel luogo era intriso di ricordi.
Sora chiuse gli occhi e sollevò le spalle.
Eis, la guardò, aveva atteso a lungo una sua risposta
-Torniamo in Alaska!
-Sei impazzita?!- Eis rimase a bocca aperta.
-Kid Sta sbagliando tutto! Le streghe sono ancora lì!
Sora che criticava Kid era surreale.
-Come fai a saperlo?
-Me lo sento!
-Vorresti tornare un’altra volta lì a rischiare la vita perché senti che è così?!
Sora chiuse gli occhi. -Io, non voglio essere la ragazza precipitosa che ero prima e forse non sono abbastanza intelligente da dare una spiegazione a ciò che sento, ma è così! Mio padre è laggiù!
Eis sospirò. -Va bene, ma solo quando ti sarai rimessa completamente.
-Io sto benissimo. Andiamo.
Sora iniziò ad incamminarsi ed Eis la seguì.
-Hai appena detto che non volevi essere più avventata come prima...
Arrivati alla scale, si fermarono, vedendo una figura ergersi, avvicinandosi lentamente a loro.
Quando si fece più vicino, Eis s’immobilizzò totalmente, il suo sangue si era raggelato ma suo viso era anche comparsa un’espressione di rabbia
-Eis... che succede?- Gli chiese Sora.
Aveva riconosciuto quell’uomo dal viso coperto da una sciarpa e i vestiti pesanti.
-Che ci fai tu qui?!
La sua voce era irriconoscibile, pareva fosse il ringhio di una bestia tramutato in parole.
Sora guardò l’uomo e poi ancora Eis.
-È questo il modo di accogliere tuo padre?


Da quant'è che non pubblicavo un nuovo capitolo? MI DISPIACE MI DISPIACE MI DISPIACE!!!!!
non ho giustificazioni, sebbene sia impegnata con la scuola e a scrivere altre storie che non pubblico su EFP.
ad ogni modo, è stato difficile scrivere questo capitolo, dato che ho dovuto rileggere tutta la storia. Ve l'ho detto che non rileggo mai e che odio leggere?
strano ma l'ho fatto, rileggendo anche i commenti mi sentivo in colpa a non contonuare la storia, anche se non so in quanti riprenderanno a rileggere.
scusate anche se ho cambiato le virgolette, non mi ricordavo con quali tasti si facevano le altre che usavo prima.
ancora scusate, mi sento veramente in colpa e vi prometto che d'ora in pi farò del mio meglio
ultima cosa, per scrivere questo capitolo ho pensato a clannad e alla famiglia Dango!
Vabbé, mi dileguo
al prossimo capitolo
Kitsune

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Capitolo 31
*** Le lacrime di Eis ***


Le lacrime di Eis


-Credevo fossi morto, dannato bastardo!
Sora alzò lo sguardo su di lui e stentava a riconoscerlo, non aveva mai visto uno sguardo tanto furente nei suoi occhi.
-Eis...
-Chi è? La tua ragazza?- Chiese l’uomo.
Il ragazzo strinse i denti. -Smettila di cambiare argomento e di che ci fai qui!
-Sono venuto fino qui per cercarti- disse l’uomo -E rimediare per ciò che è accaduto...
-Come se fosse vero!
Eis scattò in un impeto d’ira, ma Sora la trattenne per la vita. -Eis! Lascialo parlare!
Eis si liberò, facendola cadere a terra. -Come puoi dire un cosa simile per sapendo cosa ha fatto?
In quel momento, il cuore di Sora si fermò e il fiato le si era bloccato in gola, Eis faceva paura.
-Non c’è alcun bisogno di prendertela con lei.
Il petto del ragazzo vibrò. -Forse non è così male che tu sia qui...
Sora vacillò quella vista, Eis stava davvero... sorridendo?
-...perlomeno, adesso potrò ucciderti io stesso.
Il meister si voltò di nuovo verso il padre.
Sora, ancora a terra, deglutì, i suoi muscoli erano paralizzati.
-Stammi lontana- le intimò Eis.
L’uomo era rimasto impassibile e continuava ad avere la stessa espressione anche mentre Eis gli si avvicinava.
L’uomo si lasciò colpire da un pugno e cadde a terra. Eis si mise a cavalcioni su di lui e continuò a sferrargli dei colpi.
Sora ne sentiva i rumori e i lamenti sommessi e si stringeva nelle spalle. Si alzò in piedi, disubbidendo così all’ordine di Eis, in quel momento non sapeva come avrebbe potuto reagire. Non avrebbe mai voluto vedere quel lato di Eis.
-Adesso basta!- Gridò, osservando il viso dell’uomo imbrattato di sangue.
Eis continuava a colpirlo senza ascoltarla, guidato solo da una furia cieca.
-Così finirai per ucciderlo!
-È quello che voglio!
A quelle parole, Sora sentì le ginocchia cedere. -Non puoi ucciderlo, non si sta neanche difendendo!
-Dovrei mostrare pietà?- Eis si fermò con il pugno sospeso e gli occhi fissi in quelli del padre.
-Quella che lui non ha avuto con mia madre.
Il suo pugno colpì di nuovo.
-Perciò tu adesso ti stai comportando esattamente come lui!
Sora aveva iniziato a scoraggiarsi, quello era anche il suo ultimo tentativo, dato che la voce l’aveva abbandonata dopo quel grido.
Il ragazzo si fermò ancora con lo sguardo perso nel vuoto. -Ma... ma lui ha ucciso mia madre... per cui...
Sferrò ancora un colpo, questa volta contro il terreno. Da sempre aveva detto di non essere come quell’essere ripugnante ed ora aveva finito per comportarsi come lui, proprio davanti agli occhi della ragazza che amava.
Eis si alzò in silenzio, senza neanche rivolgere lo sguardo verso la sua arma e si avviò verso le scale.
-Non farti mai più vedere a Death City.
Il ragazzo continuò a scendere le scale, mentre Sora restò ancora qualche secondo là ad osservare l’uomo per poi seguire Eis in silenzio.
Era scesa la notte mentre si dirigevano verso il loro appartamento. Eis non aveva detto più una parola e la sua arma lo seguiva a distanza.
Sora non capiva se avrebbe dovuto parlargli e cosa dire e  continuò a tormentarsi per tutto il tragitto, non si accorse neanche di aver salito tutte le scale che portavano al loro appartamento.
In camera, Sora si infilò il suo pigiama rosa e restava con lo sguardo fisso verso il pavimento mentre se lo abbottonava e non faceva caso al fatto che lo avesse messo tutto storto.
Levò i lunghi capelli da sotto il pigiama e la luce si spense improvvisamente.
Si voltò mentre Eis, appena entrato, chiudeva la porta ma non riusciva a decifrare la sua espressione al buio.
-Eis!
Quel nome affiorò violento sulle sue labbra, non riusciva più a trattenersi.
-Non guardarmi!
Sora si bloccò di nuovo e, alla pallida luce della luna, riuscì a distinguere una lacrima scivolare lungo la sua guancia.
Il ragazzo si passò una mano sul viso e Sora sentì una stretta al cuore e la sua incertezza si dissipò in nell’oscurità.
I suoi passi risuonarono contro il pavimento e si facevano sempre più veloci. Sora lo abbracciò e sentì le lacrime ricadere sulla sua testa e scendere lungo i suoi capelli, in quel modo, non lo avrebbe visto in volto.
Lo aveva lasciato da solo. Avrebbe dovuto fare così fin dall’inizio, come aveva potuto aver persino paura di lui?
Eis scivolò a terra e Sora fece lo stesso, continuando a stringerlo al suo petto.
-Io sono come lui...
Sora appoggiò il viso sui suoi soffici capelli.
-Non lo sei affatto e... mi dispiace per averti detto una cosa tanto cattiva.
Eis la strinse a sé e bagnò la sua spalla con le proprie lacrime. -Tu mi hai salvato dal diventare come lui.
Con le dita premette così forte sulla sua pelle facendole quasi male ma non se ne rese neanche conto. In lui era nata una forza nuova. Se quell’uomo avesse osato tornare, non gli avrebbe permesso di avvicinarsi a Sora
.



Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare un altro capitolo! l'ho scritto ieri sera solo perchè avevo troppo poco tempo per fare altro e per fare questo capitolo più lungo, avrei voluto ampliare la parte finale.
La buona notizia è che ho già iniziato a scrivere il prossimo capitolo e che stavolta lo pubblicherò prima, spero poi di riuscire ad aggiungerne almeno uno al mese
Mi chiedo quanto ci vorrà ancora per terminare questa storia, ci sono tre streghe, Ahti, il kishin e un altro misterioso nemico da battere e non mi sono dimenticata di Black Star
Io non vedo l'ora di terminare questa fan fic, così potrò cominciare quella con protagonisti Hias e Mirai, la loro storia mi piace molto di più
mi scono dilungata troppo, ma voglio usare qualche altra riga per scusarmi con i miei lettori per il mio ritardo
Alla prissima
WhiteKitsune
 

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