Magari un'altra volta

di shadow_sea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultima mattina silenziosa ***
Capitolo 2: *** Luna di sangue ***
Capitolo 3: *** Brevi sussurri ***
Capitolo 4: *** Usi... ***
Capitolo 5: *** ... e costumi ***
Capitolo 6: *** Turian e umani ***
Capitolo 7: *** Atlante ***
Capitolo 8: *** Memoriale ***
Capitolo 9: *** Doveri ***
Capitolo 10: *** Ansie e timori ***
Capitolo 11: *** Trinity ***
Capitolo 12: *** Vendetta ***
Capitolo 13: *** Qui è la Normandy ***
Capitolo 14: *** Recuperi ***



Capitolo 1
*** L'ultima mattina silenziosa ***


L’ULTIMA MATTINA SILENZIOSA



I tre compagni scesero dalla navetta da sbarco e si avvicinarono alla sonda conficcata nell’arido terreno roccioso di colore giallastro. Kaidan aspettò il cenno di assenso di Shepard, poi spense il segnale automatico di soccorso, mentre il comandante e Thane si guardavano attorno alla ricerca di un movimento qualsiasi che potesse indicare la presenza di superstiti.
I rottami sparpagliati al suolo sembravano abbastanza recenti e la loro fattura suggeriva che si potesse trattare dello schianto di un A-61 Mantis, un veicolo che veniva utilizzato spesso dalle bande mercenarie. In terra erano sparsi anche alcuni frammenti provenienti da un’armatura e delle macchie di liquido blu che conducevano verso un ammasso di rocce poco distanti.
- Sangue turian - decretò Thane, dopo averlo osservato da vicino.
Si raggrupparono in formazione difensiva, con Shepard al centro, mentre Kaidan e Thane le si strinsero ai fianchi: impugnarono le armi e scrutarono attentamente fra i massi grigi che si ergevano fino ad un’altezza di una decina di metri dal suolo.
- Abbiamo intercettato il segnale di soccorso, serve aiuto? Qui è il comandante Shepard, Marina dell’Alleanza - gridò Shepard nell’aria immobile del pianeta. Non giunse alcuna risposta e non si avvertì il minimo rumore.

Con un semplice gesto della mano destra, il comandante ordinò ai compagni di avvicinarsi lentamente alle rocce, in formazione sparpagliata.
Pochi istanti dopo Kaidan segnalò via radio la presenza di un’apertura che faceva pensare all’entrata di una caverna, invitando i suoi compagni a raggiungerlo.
- Do un’occhiata - avvisò, poi cominciò ad inoltrarsi dentro il grosso buco prestando estrema attenzione al suolo su cui appoggiava gli stivali.
L’interno della caverna era buio e umido. Gocce di un liquido verdastro e denso cadevano ogni tanto dalla volta della cavità e si rompevano al suolo aprendosi in piccole pozze viscose e luminescenti. La luce delle torce illuminava delle liane che si infiltravano nelle crepe fra le rocce: da questi lunghi filamenti fibrosi si dipartivano, a distanza irregolare, grossi baccelli nerastri.
Si sentiva un ronzio insistente e penetrante che variava continuamente di tono, quasi fosse una sorta di canto sconosciuto.

- Kaidan, aspettaci - ordinò il comandante, reso inquieto dall’ambiente tanto alieno, mentre Thane sussurrava nella radio del casco - Questo posto non mi piace, c’è qualcosa di strano e minaccioso.
- Ma dove sei finito? - domandò Shepard in tono ansioso e poi chiamò di nuovo - Kaidan?
Non arrivò nessuna risposta dal tenente Alenko, mentre Thane la avvertì improvvisamente - Comandante, alla tua sinistra!
Alla luce della torcia del drell, Shepard notò sul terreno una sacca rigonfia molto più grande delle precedenti. Riluceva debolmente di un bagliore verde fosforescente e si contraeva e dilatava in una lenta sequenza di movimenti morbidi e regolari, come se respirasse.
Improvvisamente il baccello iniziò a creparsi e dalla fenditura centrale apparvero due mani guantate che divisero con forza i lembi dell’apertura. Apparve il casco di Kaidan, seguito da tutto il resto della sua armatura, grondante umori e brandelli verdastri di tessuto alieno.
- Stai bene? - fu la domanda immediata di Shepard, che tese la mano verso la figura appena uscita dalla sacca per aiutarlo a trarsi fuori.

- Comandante, stai indietro! - la avvertì Thane tirandola a sé con la mano destra mentre con la sinistra puntava la pistola contro Kaidan.
L’aria si riempì delle grida rabbiose emesse da quella figura. Shepard intravide una faccia contorta al di là del casco con una bocca irta di denti aguzzi che restò spalancata in un urlo che sembrò durare all’infinito e creò echi dissonanti, rimbalzando sulle pareti di roccia.
- Non sparargli! - ordinò prontamente il comandante a Thane, che rimase incerto sul da farsi e si limitò a frapporre il proprio corpo fra lei e la creatura aliena. In quello stesso istante un’ombra scura, che si materializzò improvvisamente dietro il baccello aperto, usò il calcio di un fucile di precisione per spezzare le gambe di Kaidan all’altezza delle ginocchia, con uno schiocco secco che rimbombò in modo sinistro all’interno della caverna.
Un turian con una ferita che gli sfregiava tutto il lato destro del viso e un’armatura blu danneggiata all’altezza del collo era spuntato dal nulla e aveva colpito le gambe di quell’essere, facendolo crollare al suolo immobile, poi gli aveva inferto un poderoso calcio contro il casco.

Senza più la visiera a proteggere il viso dell’alieno, il comandante si rese conto che il volto che stava fissando rassomigliava molto a quello del tenente, ma quegli occhi spalancati non avevano alcun barlume di intelligenza, rispecchiavano solo un odio incontrollabile e privo di ragione.
Quell’essere restò sdraiato al suolo, contorcendosi nel suo stesso vomito che continuava ad allargarsi sul pavimento roccioso in una pozza maleodorante alimentata da conati di un liquido nerastro.
- Non gli ho sparato - fu la frase laconica che pronunciò il turian con tono impertinente, poi Garrus si rimise lentamente a tracolla il lungo fucile di precisione e la guardò con un sorriso che aveva tutta l’aria di una sfida divertita.



The Last Of The Mohicans



Si svegliò al rumore di colpi energici battuti contro la porta. Si accorse di stare tremando per quello strano sogno e per un attimo, nel buio della stanza da letto, credette di trovarsi a bordo della Normandy e immaginò che un membro del suo equipaggio l’avesse svegliata nel cuore della notte per una qualche emergenza.
Cercò inutilmente la tazza di caffè che teneva sempre sul comodino per poter essere subito sveglia in caso di necessità. Poi si spazientì e mormorò un’imprecazione, non trovando neppure l’uniforme che era solita lasciare sulle coperte ai piedi del letto.
Solo a questo punto, mentre una voce nota la chiamava, ricordò di essere in un appartamento sulla Terra, agli arresti domiciliari, in attesa della conclusione di quello stupido processo interminabile.
- Cosa c’è, James? - rispose a voce alta, mentre accendeva la luce sul comodino e cercava un vestito nell’armadio.
- Mi scuso per l’orario: è un’emergenza. Il Comitato di Difesa dell’Alleanza desidera parlarle urgentemente. Ho l’ordine di condurla lì il prima possibile.
- Arrivo subito - rispose, scartando immediatamente il vestito civile che aveva preso in mano e optando invece per l’uniforme dell’Alleanza.

“Chissà cosa vorranno questa volta: altre stupide domande, uno dei soliti richiami perché non ho applicato il regolamento alla lettera, un’altra delle critiche che denotano quanto non si rendano conto della gravità della situazione. Ero stanca di queste cose già ai tempi di Saren, con i Consiglieri della Cittadella, ma allora potevo almeno chiudere la comunicazione…” recriminò finendo di chiudere i fermagli dell’uniforme mentre rimuginava su quello strano sogno che le aveva riportato alla mente tanti ricordi.
Le era facile riconoscervi l’incontro con Kaidan su Horizon e la conclusione dello scontro contro Harkin, in compagnia di Garrus.
Non capiva perché la sua mente avesse ripescato il drell, ma forse il motivo risiedeva nel fatto che era stato lui il terzo membro della sua squadra nella base dei Collettori. E poi, in effetti, ogni tanto pensava a Thane, chiedendosi come stesse... da mesi ormai non aveva più notizie né di lui, né di qualsiasi altro membro del suo vecchio equipaggio.
Non aveva alcuna fretta di prepararsi, nonostante l’urgenza che aveva avvertito nella voce del tenente Vega. Dette un’occhiata fuori della finestra, attraverso quelle grate di metallo che tanto l’avevano urtata al suo arrivo. Stava albeggiando e una tenue luce rosata illuminava le nuvole basse sull’orizzonte, verso est.

Quando aveva messo piede per la prima volta in quella prigione era notte. Aveva dato un’occhiata distratta al mobilio cercando una finestra. L’aveva spalancata e si era ritrovata a fissare una griglia metallica. Al di là di quelle sbarre il cielo. Ma quel cielo era troppo diverso da quello che era solita ammirare alle spalle di Joker. Le poche stelle visibili erano fioche e velate, tremavano stentatamente in quell’aria satura di miasmi cittadini e di smog, sconfitte dalle volgari luci delle insegne pubblicitarie.
Aveva appoggiato la fronte contro le sbarre di metallo, annientata.
Si era messa a girare lungo il perimetro di quella grande gabbia in cui l’avevano rinchiusa come fosse una criminale, un’efferata assassina. Ma lei non si era mai sentita colpevole e faceva fatica a sottostare a quella inutile inerzia forzata quando ci sarebbero state tante cose più utili da fare.
Aveva preso mentalmente nota della pianta di quel piccolo appartamento: un lungo corridoio con la porta d’ingresso piantonata da due soldati che stazionavano sul pianerottolo 24 ore su 24 e una piccola finestra con troppe sbarre; un’inutile cucina che lei avrebbe usato il minimo indispensabile e infine una stanza con un letto troppo ampio per la sua solitudine, un bagno e una grande portafinestra, sbarrata anch’essa, che affacciava su un minuscolo balcone rettangolare.

Era da quella portafinestra che stava fissando ora la luce dell’alba, assolutamente indifferente a ciò che quel nuovo inutile giorno avrebbe portato con sé. Si sentiva stanca e demotivata. Aveva perso la voglia di combattere dopo tutti quei mesi.
All’inizio era stato diverso: si era opposta strenuamente a tutto quello che le appariva ingiusto e immotivato.

La sera successiva al primo interrogatorio che era stata costretta a subire era rientrata a casa, aveva spalancato la portafinestra e aveva divelto la griglia metallica con uno schianto biotico che era rimbombato nell’aria circostante sopraffacendo i rumori del traffico, delle pubblicità, delle conversazioni dei passanti.
Aveva avuto appena il tempo di uscire sul terrazzo prima che i soldati di guardia alla porta di ingresso si precipitassero al suo fianco.
Uno dei due, un ragazzino di appena vent’anni, teneva la mano sulla pistola e aveva uno sguardo talmente terrorizzato che lei aveva provato la tentazione di urlargli contro il grido di guerra di Grunt, tanto per vedere come avrebbe reagito. Il suo compagno era invece un anziano sergente dall’aria tranquilla. Era stato lui a chiederle con ferma gentilezza di rientrare nell’appartamento, dopo averle indicato la telecamera posta sul terrazzo.

Quella telecamera l’aveva mandata fuori di testa. Il pensiero che venisse controllata nel suo stesso appartamento le era apparso insopportabile. Appena i due soldati erano tornati sul pianerottolo lei aveva preso la prima sedia che le era capitata a tiro nella stanza da letto, l’aveva fatta a pezzi con calma, senza fare troppo rumore, poi era andata in cucina a prendere l’accendino e aveva dato fuoco a quei pezzi di legno e di stoffa.
Non era accaduto nulla fino a quando il fumo aveva fatto scattare il sistema di allarme e lei si era trovata sotto una pioggia di acqua proveniente dal soffitto, mentre i due militari facevano di nuovo la comparsa all’interno dell’appartamento.
Il ragazzino aveva spalancato la porta della stanza da letto con un calcio, tenendo la pistola spianata, e lei era stata colta da un accesso di risate che aveva sconvolto del tutto quel povero soldatino.
Il sergente si era invece diretto verso il letto, aveva tirato via la coperta e l’aveva buttata sul piccolo falò. Era rimasto a fissare perplesso quel disastro e poi l’aveva guardata rassicurandola - Le telecamere sono solo esterne, per la sua sicurezza, non si deve preoccupare per la privacy. Magari poteva chiedermelo, anche se capisco che avrebbe potuto non credere alle mie parole...

Questo avvenimento risaliva a molti mesi prima, quando era ancora la donna combattiva che era sempre stata. Ora si stava spegnendo come una pila che sta esaurendo la carica interna.
“Lamentarsi non porta a nulla, spero solo che questo dannato processo si concluda rapidamente. Sono stanca di stare agli arresti domiciliari in questo stupido appartamento” si disse infilandosi gli stivali e andando ad aprire la porta della camera da letto.
Si trovò davanti un James confuso, dalla cui espressione era fin troppo facile capire che neppure lui conosceva il motivo di quella convocazione inattesa.
Si avviarono verso la macchina di servizio mentre il tenente le chiedeva - Hai idea di quanto durerà ancora questo processo?
- No, ma ho l’impressione che sia iniziato dieci anni fa - fu la replica sconsolata di Shepard.

Il viaggio proseguì in silenzio e, mentre il veicolo avanzava nel traffico della città di Vancouver, Shepard ripensò per l’ennesima volta ad Amanda Kenson, alla distruzione del portale Alpha e a tutte le morti batarian che aveva causato. Non si era mai pentita del suo gesto perché non aveva mai avuto una possibilità di scelta, ma questo non riusciva a farlo entrare nelle teste cocciute delle autorità dell’Alleanza.
“Stupidi burocrati con i paraocchi” si sfogò inutilmente per la centesima volta da quando le avevano requisito la Normandy e l’avevano confinata agli arresti domiciliari.
Aveva perso la speranza di farli ragionare: si sarebbe limitata ad aspettare che i Razziatori arrivassero in uno dei sistemi abitati della galassia.

Inizialmente aveva esposto le sue ragioni con tutta la sicurezza e la fermezza che l’avevano sempre contraddistinta, poi aveva provato a ricorrere alla pazienza rassegnata di un maestro che deve insegnare una lezione difficile ad alunni non particolarmente svegli, ma il risultato ottenuto era stato sempre lo stesso: i Razziatori non erano una minaccia, forse neppure esistevano al di fuori della sua testa.
Avrebbe ricordato per sempre le frasi ottuse del consigliere turian sulla Cittadella - Questa teoria dei Razziatori dimostra quanto fragile sia il suo stato mentale. Lei è stata manipolata… Da Cerberus e, prima ancora, da Saren… I Razziatori sono soltanto un mito… Un mito che lei insiste a perpetuare.
Quelle frasi erano state pronunciate tanto tempo prima, eppure continuavano a rimanere attuali: la sola differenza consisteva nel fatto che non era più il Consigliere turian a pronunciarle, ma un gruppo di umani che credevano di conoscere la realtà anche se trascorrevano la loro stupida vita stando seduti dietro uno stupido tavolo, a discutere stupidamente di cose che non avevano mai visto né sentito.
Le decisioni che prendevano una volta concluse quelle discussioni si basavano soprattutto sui loro desideri. Non volevano vedere la realtà e si illudevano che negare qualcosa equivalesse ad annullarne il pericolo associato.

“Sono una visionaria o una pazza, sono mentalmente instabile. Ripetono tutti queste stesse parole, al punto che non saprei più distinguere i volti di tutte queste persone. Ricordo solo la loro espressione, uguale per tutti: ottusa e ostinata. Non mi credono perché hanno paura di credermi e sperano che il loro ostinato rifiuto sia sufficiente a tenere lontani i Razziatori” si ripeté ancora una volta accorgendosi rabbiosamente che i pensieri stavano prendendo la solita piega malinconica, inevitabile ogni volta che era costretta a meditare sul presente.
“Non so neppure dove sia il mio equipaggio. Mi mancano tutti, ma sopra tutti mi manca Garrus: l’unico che sarebbe riuscito a farmi ritrovare la forza e la serenità anche in giornate come queste. Devi solo aspettare, comandante, alla fine saranno costretti a capire mi avrebbe sussurrato facendo scorrere le lunghe dita nei miei capelli…”.

Le avevano tolto ogni possibilità di comunicare con il mondo esterno. Nessuno, neppure i suoi superiori, aveva la possibilità di scambiare due parole con lei. Non poteva ricevere nemmeno notizie dal mondo esterno, se non quelle trasmesse dagli usuali mezzi di informazione. Le sue giornate erano piene di nulla.
Fin dal primo giorno la regola principale, mai violata, era stata questa: isolamento assoluto da tutti gli amici e i conoscenti.
Si appoggiò allo schienale con un sospiro, mentre il tenente continuava a guidare il veicolo senza provare a distrarla dai suoi pensieri.

Ricordò la prima notte passata in quell’appartamento che le era del tutto estraneo: il letto era troppo morbido e il cuscino troppo spesso. Dopo quello sguardo al di là della finestra sbarrata si era resa conto immediatamente che non sarebbe riuscita ad addormentarsi.
Aveva disdegnato la televisione, la radio e lo stereo e, per far passare il tempo in attesa che il sonno la vincesse, si era messa invece a sistemare le poche cose che si era portata dalla Normandy. Innanzitutto aveva studiato dove mettere la fotografia di Garrus, in modo da vederla chiaramente dal letto. Poi aveva messo nel bagno tutto il necessario per la toletta e aveva cominciato a sistemare i vestiti nell’armadio.
Sul fondo della borsa, avvoltolato in mezzo alle sue uniformi, aveva trovato un modellino della SR2, un po’ più piccolo di quello che aveva nella vetrina della nave, e un datapad.
Mentre con la mano destra sistemava il modellino sul comodino a fianco del letto, aveva letto il breve messaggio sul datapad che teneva nella sinistra.

Ti ho dovuto lasciar andar via a combattere da sola questa battaglia e, come al solito, non ho avuto il mio ultimo bacio e neppure l’ultimo abbraccio: Trinity, sei un vero disastro nei saluti...
Non guardare con rimpianto il modellino che ti ho messo in borsa. E’ il simbolo di una promessa, perché torneremo a bordo della tua nave e tutto tornerà come ai vecchi tempi.
Nei momenti difficili che affronterai da sola, ricorda che basterà mettere un piede davanti all’altro, con costanza, per arrivare a quel giorno.
Ti volevo lasciare anche il fazzoletto, ma poi ho cambiato idea... non voglio pensare che tu debba usarlo. Non quando non posso esserti vicino.
A presto,
Garrus

“Già” ridacchiò “il fazzoletto”. La prima volta in cui lui le aveva offerto orgogliosamente quel piccolo pezzo di stoffa lei aveva il viso completamente zuppo, solo che si era trattato di lacrime di allegria.
- Il fazzoletto va bene anche per lacrime come queste? - le aveva chiesto in tono incerto, anche se si vedeva quanto fosse soddisfatto nel poterglielo porgere, a riprova del fatto che si era ricordato la frase che lei aveva pronunciato per gioco, alla fine di una crisi di pianto Hai un fazzoletto? a cui lui aveva replicato Forse... se sapessi cos’è...

Lei lo aveva preso, si era asciugata gli occhi e poi se lo era infilato in una delle tasche dell’uniforme, ringraziandolo. Ricordava benissimo l’espressione delusa di Garrus che, dopo un momento di esitazione, le aveva chiesto - Non potresti ridarmelo?
Shepard si era stupita, ma lo aveva ritirato fuori dalla tasca, lanciandogli un’occhiata interrogativa.
- Uhm... è che i turian non li usano e non è mica facile trovarne qui a bordo. Avevo provato a fartene uno con un mio lenzuolo ma... beh, mi sono accorto che era molto più complicato del previsto - aveva cercato di spiegarle - si sfilacciava tutto lungo i bordi... io non so mica cucire.
- Oh beh, neppure io... - aveva risposto Shepard ridendo e guardando meglio il fazzoletto che teneva ancora fra le mani.
Le iniziali J. M. le avevano fatto capire da dove provenisse e lei aveva ripreso a ridere ancora più forte mentre gli chiedeva ulteriori dettagli - Dimmi come sei riuscito a fartelo dare.
- Intanto gli ho dovuto chiedere cosa fosse un fazzoletto e già questo è stato complicato, perché io ricordavo la parola fozzoletto... - aveva cominciato a spiegare Garrus con aria imbarazzata - Puoi immaginare quanto mi abbia preso per il culo il tuo caro pilota che se appena trova un appiglio che gli consenta di fare lo spiritoso ne approfitta in modo indegno...
- Poi, quando me lo ha mostrato, mi è sembrato un semplice quadrato di tessuto e sono andato a tagliuzzare uno dei miei lenzuoli nuovi con l’esito che puoi immaginarti.
- Alla fine sono dovuto tornare umilmente da Joker, a chiedergli se me lo prestava.
- E lui? - aveva chiesto Shepard che se la stava spassando un mondo nell’ascoltare questo bizzarro racconto.
- Mi ha chiesto se fossi raffreddato...
- E cosa gli hai risposto? - gli chiese incuriosita, sicura di non averlo mai visto con il raffreddore.
- Ti diverti, eh? - le aveva domandato il turian a quel punto, lanciandole un’occhiata di traverso. Poi però le aveva spiegato - non sapevo cosa volesse dire essere raffreddato, comunque ho risposto di sì.
- Con tutta la fatica che hai fatto, immagino sia giusto che lo tenga tu - aveva concluso Shepard restituendoglielo con un sorriso divertito - così potrai darmelo quando ne avrò bisogno.

Adesso le mancavano perfino le occasioni in cui Garrus era stato costretto ad allungarle quel fazzoletto. Le sue giornate si trascinavano tutte nello stesso modo. Appena alzata faceva una doccia e poi la colazione. Quando non la portavano davanti a qualche burocrate che le poneva domande senza capire le risposte, si metteva a leggere un libro, ascoltando la musica. Poi faceva un po’ di esercizi ginnici per tenersi in forma e spesso esercitava anche i suoi poteri biotici, spostando oggetti in giro per la stanza, a volte senza farli cadere, a volte scagliandoli violentemente contro una parete, a seconda dell’umore.
Aveva anche affinato una nuova tecnica di combattimento che sembrava promettente in mischia, ma doveva verificarne il funzionamento in un vero scontro, indossando i migliori potenziamenti biotici. Aveva scoperto quella nuova combinazione ‘carica - esplosione biotica’ una sera in cui era tornata particolarmente stressata da un lungo e inutile colloquio con un pseudo scienziato che credeva di sapere tutto sui Collettori.
Appena varcata la soglia si era catapultata verso la fine del lungo corridoio e aveva esploso tutta la sua rabbia, mandando a sbattere sul soffitto una pianta innocente. Grazie alla collera che la animava era riuscita a ricaricare gli scudi in pochi secondi e aveva provato un’altra combo, questa volta verso la porta di ingresso, così che i danni erano stati inflitti al solo appendiabiti. A quel punto aveva dovuto interrompere la performance perché i due soldati di turno erano entrati nell’appartamento, preoccupati per il rumore.
Con un po’ di allenamento e i giusti potenziamenti biotici quella tattica di combattimento poteva risultare un’arma micidiale, almeno contro nemici di stazza moderata.

Dopo il primo mese di reclusione in quel dannato appartamento aveva anche chiesto di poter andare a un poligono di tiro: in genere la portavano in una saletta isolata in una struttura che si trovava a pochi chilometri dall’appartamento al ritorno dalle udienze, tanto che in quelle occasioni si sentiva come una bambina a cui venisse concessa un po’ di libertà come premio per aver fatto bene i compiti.
Nell’ultimo mese le avevano portato un congegno in cui erano memorizzati molti olofilm e aveva passato interi pomeriggi a guardare pellicole che spesso la annoiavano. E nell’ultima settimana le avevano portato dei giochi di pazienza, vari modellini da costruire e diversi giochi (fra cui gli scacchi).
Shepard era certa che buona parte di quel materiale le fosse stato inviato da un qualche membro del suo equipaggio, probabilmente da Liara e da Kelly, ma avrebbe preferito poter usufruire di una telefonata piuttosto che ricevere quei regali. Invece il suo isolamento non veniva allentato e ormai era veramente satura di tutta quella storia.
Niente la attirava veramente e alla fine aveva deciso che i momenti migliori della sua giornata erano proprio quelli che pensava avrebbe detestato di più: combattere contro i burocrati era pur sempre una specie di battaglia ed era l’unica occasione in cui si sentiva viva e vigile.

Smise di crogiolarsi nell’autocommiserazione e di pensare al passato. Si guardò intorno per qualche secondo alzando il busto dallo schienale, ma poi tornò a rilassarsi perché erano ancora lontani dalla destinazione usuale. Riprese a pensare, ma questa volta rivolgendo l’attenzione al futuro.
“Quanto tempo mancherà ancora? Non molto: i Razziatori non possono essere ancora tanto lontani. E non so neppure immaginare l’entità della minaccia che dovremo fronteggiare a breve” si ripeté per la centesima volta, senza prestare molta attenzione al mondo che la circondava.
Registrò distrattamente le informazioni che gli occhi le trasmettevano: era una bella giornata, limpida e tersa, il sole splendeva in un cielo quasi privo di nuvole, tranne quelle lontane all’orizzonte, e il traffico intenso scorreva ordinatamente sull’arteria principale che stavano percorrendo, come durante un qualsiasi altro giorno lavorativo.

Si riscosse improvvisamente quando si accorse che la strada che stavano percorrendo era diversa da quella solita.
- Ma dove stiamo andando?
- Al Quartier Generale del Comitato di Difesa dell’Alleanza – fu la risposta di James.
- Oh, non avevo capito.
- Credo di non avertelo detto, mi spiace.
- Non fa nulla - rispose Shepard, appoggiandosi nuovamente allo schienale del sedile del passeggero, sicura che questa novità non avesse molta importanza.

Però si riscosse nuovamente ed emise un grido pochi minuti dopo questa breve conversazione: nel raggio visivo dei suoi occhi era apparsa la sagoma inconfondibile della sua nave.
- Aspetti tenente! Quella è la Normandy! - gridò aprendo il finestrino e tirando fuori la testa.
Il soldato le gettò un’occhiata che esprimeva nello stesso tempo un improvviso sbalordimento e molta compassione.
- Por l'amor de dios! Chiudi il finestrino e sta silenciosa. Cercherò di avvicinarmi alla nave, ma non farti notare o finiremo entrambi in un mare di guai.
- Sì, per favore... Portami lì - rispose ansiosamente Shepard rimettendosi seduta composta e chiudendo rapidamente il vetro dal suo lato.

Rimase immobile a fissare la sua nave, così vicina e totalmente irraggiungibile, mentre delle lacrime impotenti e rabbiose le scendevano lungo il viso.
- Joker - sussurrò con gioia, vedendo un umano in uniforme zoppicare faticosamente lungo la banchina.
- E’ il mio pilota, quello - disse orgogliosamente al tenente che aveva fermato il veicolo, indicando con l’indice la figura sulla banchina di attracco - E' il miglior dannato pilota di tutta la galassia.
- Mi spiace, comandante. Ora dobbiamo andare - le rispose il soldato.
Shepard annuì in silenzio e rimase con gli occhi fissi sulla Normandy fino a quando scomparve dal suo campo visivo, dopo che il veicolo ebbe terminato una lunga curva.
“Me l’hanno tolta, ma è attraccata qui, a Vancouver. E Joker e IDA la cureranno come farei io stessa” si disse, provando un po’ di gioia dopo tanti mesi di tristezza continua.

L’avviso inatteso - Comandante, siamo arrivati - interruppe i suoi pensieri. Era tempo di scendere dal veicolo ed entrare nell’imponente edificio, sede del Comitato di Difesa dell’Alleanza. Guardò al di là dell’ampia vetrata all’ingresso e improvvisamente si sentì un po’ più serena e fiduciosa.
Il tenente la accompagnò all’ascensore e poi la fece accomodare in un ufficio anonimo, lasciandola sola e chiudendo la porta alle sue spalle, dopo averle chiesto gentilmente se desiderasse qualcosa per colazione.
Lei andò alla finestra per controllare se lo spazioporto fosse visibile da lì, ma vedeva solo strade, auto varie e grandi edifici. Rimase in piedi a guardare un bambino con una felpa che correva proprio sotto il palazzo in cui si trovava. Aveva un modellino di nave spaziale stretta nella mano destra e correva tenendola in alto, per farla volare nel cielo.

Pochi secondi dopo il tenente torno ad affacciarsi alla porta della stanza.
- Comandante - la salutò rispettosamente, portandosi la mano alla fronte, e lei rispose con rassegnazione - Non dovresti chiamarmi così, James.
- Non dovrei neanche rivolgerti il saluto - precisò lui, aggiungendo subito dopo - Dobbiamo andare, il Comitato di Difesa vuole vederti.
- Sembra importante - commentò Shepard, gettando sul tavolo il datapad che aveva tenuto fra le mani fino a quel momento e a cui aveva rivolto solo delle occhiate distratte.
- Che succede? - chiese seguendo prontamente il soldato che si era avviato nel corridoio a passo veloce.
- Non saprei - rispose James Vega, senza fermarsi - Mi hanno solo detto che hanno bisogno di te. Subito.
Pochi passi più avanti Shepard rallentò improvvisamente, piacevolmente sorpresa nel vedere un viso amico: l’ammiraglio Anderson si stava dirigendo verso di lei a passi rapidi.

Shepard non sapeva ancora che i Razziatori avevano già cominciato ad attaccare alcuni insediamenti terrestri poco distanti e che il Comitato l’aveva convocata frettolosamente proprio per questo motivo, né poteva immaginare che da lì a pochi minuti le forze aliene avrebbero attaccato la Terra stessa, svelando finalmente a tutte le persone incredule l’enorme potenza distruttiva delle armi di cui disponevano e la gelida indifferenza con cui massacravano ogni forma di vita che si trovavano davanti.

Fra pochi istanti lei e Anderson avrebbero combattuto fianco a fianco per la loro stessa sopravvivenza, poi la Normandy sarebbe miracolosamente apparsa nel cielo per raccoglierla e portarla lontano dalla Terra, ad organizzare e coordinare l’ultima possibile resistenza di tutte le razze intelligenti della galassia contro le forze schiaccianti dei Razziatori.



*****
Note
Un grazie di cuore a Uptrand che mi ha segnalato un vistoso errore in questo capitolo. Ho corretto la stesura originaria alla luce delle sue osservazioni.

Welcome back, Commander Trinity Shepard.

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Capitolo 2
*** Luna di sangue ***


LUNA DI SANGUE


The darkest day




La visione della superficie di Palaven e della sua luna bombardate dal fuoco incessante dei Razziatori aveva inevitabilmente riportato alla mente di Shepard l’analogo attacco sulla Terra. Anche qui la devastazione era spaventosa e la capacità di fuoco del nemico incuteva sgomento.
I turian erano la forza militare più formidabile dell’intera galassia in quanto a disciplina, coraggio, coordinamento e assetto, eppure la loro resistenza appariva disperata.
Via via che la navetta da sbarco si avvicinava all’avamposto su Menae, il monitor nella stiva mostrava sempre più in dettaglio le ferite di quella luna, i mezzi distrutti, le barricate divelte, i corpi massacrati abbandonati sul campo di battaglia.
“Le città su Palaven offriranno uno spettacolo anche peggiore di questo… ma forse non peggiore di quello a Vancouver” si disse Shepard, che non riusciva a dimenticare le immagini dell’attacco alla Terra e, soprattutto, quelle del bambino massacrato sotto i suoi occhi dal raggio di un Razziatore, proprio quando sembrava che avesse trovato la salvezza a bordo di un mezzo da sbarco dell’Alleanza. “Garrus starà combattendo su Palaven e starà guardando questo spettacolo catastrofico con la stessa rabbia impotente, la stessa disperazione e dolore che ho provato anche io pochi giorni fa, nel fissare attonita l’annientamento del mio pianeta natale”.

Gli sguardi di Liara e di James, seduti avanti a lei, sulla panca all’interno della navetta, riflettevano le sue stesse emozioni: quale che fosse la razza, il turbamento che si provava di fronte a spettacoli di quel genere non poteva differire di molto.
La asari sapeva che Thessia era ancora al sicuro, ma di fronte a quello spettacolo non poteva evitare di chiedersi quando toccherà anche alla mia gente?
- Oh no... No... quello è Palaven - mormorò Liara con aria sconvolta, fissando la superficie del pianeta che veniva trasmessa sul video all’interno della stiva.
- Abbiamo un amico laggiù - aggiunse Shepard sentendo un nodo alla gola, attenta a non cedere alla tentazione di pensare veramente a Garrus e ai suoi sentimenti.
- Dannazione, li stanno sterminando! - esclamò James con rabbia.
- Il più forte esercito della galassia quasi annientato dai Razziatori - commentò Shepard, senza riuscire a credere alle scene che continuavano a scorrere inesorabili su quel dannato schermo.
Quando Liara le chiese se quello scempio fosse analogo a quello che avevano vissuto sulla Terra, lei rispose solamente con un secco - Già - perché quel monitor parlava da solo e l’impulso di lasciarsi afferrare dalla disperazione era davvero troppo forte. Doveva restare concentrata e aiutare i suoi compagni a fare altrettanto.
Fu quasi un bene che i mutanti stessero attaccando la zona di atterraggio: Shepard ritrovò la solita lucidità, mentre ordinava a James di aprire il portellone e imbracciava il fucile d’assalto per ripulire l’area.

Una volta sbarcati non ci fu più tempo per pensare, per ricordare o rattristarsi: l’avamposto era sotto il fuoco dei Razziatori e occorse collaborare attivamente con i turian per aiutarli a respingere gli aggressori: c’erano troppi incarichi da portare a termine, tutti necessari e urgenti, e per sperare di sopravvivere si doveva prestare estrema attenzione.
La squadra agì in sintonia con le forze schierate sul campo per cercare di alleggerire la pressione esercitata dalle forze preponderanti dei Razziatori. Cercarono di sgombrare il terreno che circondava l’avamposto dalla presenza dei mutanti che continuavano a sbarcare incessantemente al suolo, avventandosi con furia cieca su qualunque essere vivente avvistassero, rimisero in funzione apparecchiature colpite dal fuoco avversario e consolidarono barricate e strutture difensive.
Gli sforzi congiunti diedero ottimi risultati, con Liara che sollevava i nemici nascosti dietro i ripari e James che svolgeva il compito che lei avrebbe usualmente affidato a Garrus. Ogni volta che lei avvistava un gruppo di mutanti, si scagliava loro addosso caricandoli ed appena avveniva il contatto fisico, devastava l’area con un’esplosione biotica che li scagliava lontano. Molti venivano uccisi sul colpo, mentre James, con l’aiuto di Liara, si occupava di uccidere i superstiti o di stordirli, per dar tempo a Shepard di effettuare una nuova carica.
Diedero tutto l’aiuto possibile, sotto un fuoco nemico insistente, seguendo le direttive del generale Corinthus che stava cercando di coordinare la resistenza dei turian su Menae.
Da lui Shepard apprese che il Primarca di Palaven, la persona per cui era sbarcata sul suolo di quella luna, era morto pochi minuti prima, durante un tentativo di decollo.

La Gerarchia turian era notoriamente molto rigida ed il successore del Primarca era sicuramente già stabilito, ma durante quella carneficina era difficile essere certi di chi fosse ancora in vita, in mezzo a quella sfilza di attacchi che si susseguivano senza sosta.
“Ho bisogno di un Primarca, non importa chi sia” era il pensiero ostinato di Shepard che, senza quella figura di riferimento, non avrebbe mai potuto neppure iniziare un’impresa che si presentava già disperata di suo. Mentre si stava appellando ancora una volta angosciosamente al generale Corinthus, tentando di spiegargli quanto fosse importante la ricerca del nuovo Primarca di Palaven, Shepard vide inaspettatamente comparire Garrus al proprio fianco.
Il turian aveva avvistato da lontano il gruppo di tre alieni vicino al generale, un maschio e una femmina umani dell’Alleanza e una asari, e si era prontamente diretto verso di loro, dopo aver fissato per qualche secondo l’armatura della donna, con l’animo parzialmente sollevato: “Sapevo che prima o poi saresti arrivata, ma saperlo e vederti davvero sono due cose ben diverse”.
Se c’era qualcuno che avrebbe potuto, e saputo, far qualcosa in quella situazione, molto più grave di quanto si fosse aspettato, perfino in base alle sue fosche previsioni, quel qualcuno era il suo comandante.

Senza ancora sapere a cosa potesse servire la figura del Primarca, e senza poterselo neppure immaginare, Garrus si limitò a far sua l’urgente necessità di Shepard e si attivò per aiutarla, grato che comunque lei fosse arrivata lì, per dare una mano al suo popolo, nonostante l’attacco alla Terra.
Si rendeva conto che le scene disastrose a cui assisteva quotidianamente, da quando i Razziatori avevano attaccato il sistema turian, dovevano differire ben poco da quelle terrestri. Anzi, forse il pianeta di Shepard era addirittura in condizioni peggiori, perché l’attacco dei Razziatori li aveva colti del tutto impreparati (grazie alla cecità dell’Alleanza) ed era cominciato già da qualche giorno.
E l’attacco alla Terra e a Palaven non era che l’inizio di un’invasione che a breve avrebbe sconvolto ogni sistema della galassia. Tutte le razze avrebbero condiviso quelle stesse esperienze e nessuna di loro, da sola, era in grado di fermare i Razziatori. Potevano soltanto sperare di rallentarli, potevano spostare i civili in zone ancora sicure e continuare a combatterli e a morire sul campo. In pochi decenni tutte le civiltà evolute della galassia si sarebbero estinte e la mietitura avrebbe avuto fine.
Il volto del comandante era teso e inquieto e la postura del suo corpo indicava l’urgenza di trovare una soluzione a quel problema immediato che non gli consentiva di procedere con il resto dell’operazione.
Garrus sapeva benissimo che Shepard lo aveva riconosciuto immediatamente, eppure lei non lo aveva stretto fra le braccia e neppure l’ombra di un sorriso le era sfuggito da sotto il casco. Lo aveva salutato invece con una stretta di mano che comunicava l’entusiasmo genuino di ritrovare il suo vecchio amico di tante battaglie, quel turian che portava sempre con sé, in ogni dannata missione, perché si fidava ciecamente di lui e della sua abilità nel combattere. Fu con parole che indicavano quello stato d’animo che Shepard presentò Garrus a James Vega.
Per quanto potesse sembrare strano, il saluto più caloroso lo ricevette da Liara, che gli dimostrò come l’affetto sincero che nutriva per lui non si fosse affievolito nel tempo, prima di essere costretta a tornare sulla Normandy per un problema che si era verificato a bordo nel frattempo.

Lo scambio di sguardi fra Garrus e Shepard fu invece fuggevole, ma bastò ad entrambi per vedere riflesso negli occhi dell’altro lo stesso senso di sofferenza e turbamento: non c’era spazio per nulla di più e nulla di diverso sotto quel bombardamento continuo e quei continui attacchi.
Non c’era tempo per parlare di nulla che non fosse inerente lo scontro in atto e non c’era neppure un blando desiderio di cercarsi con lo sguardo sotto i caschi dell’armatura, per capire se qualcosa fosse cambiato dopo quei lunghi mesi di lontananza. Erano in mezzo a gruppi di soldati mai incontrati prima, sotto il bombardamento nemico, alla ricerca di una soluzione ad un problema che per Shepard poteva segnare fin da ora le sorti dell’intera guerra.
Non c’era spazio per manifestazioni di affetto durante una battaglia contro i Razziatori: la loro antica sintonia continuava a esistere identica, anche se nessuno dei due avrebbe perso un millesimo di secondo a riflettere su quella immutata comunione di sentimenti.

Erano entrambi isolati in un proprio universo intimo ed esclusivo, come lo si è sempre di fronte alla morte, ma tuttavia quel dolore sordo, identico e simmetrico, non li faceva sentire realmente soli.
La comunione non stava nella banale possibilità di descrivere con nitidezza fotografica le emozioni dell’altro, perché erano le medesime, ma nel riconoscere nel suo sguardo un’identica desolazione dell’anima e nell’accettarla come inevitabile e corrisposta, senza doversene rattristare.
Ad entrambi bastava la certezza di avere al proprio fianco la persona in cui riponevano la fiducia più cieca e questa verità li rendeva molto più forti della somma delle loro singole capacità.

Strada facendo Shepard chiarì a Garrus le sue esigenze: doveva raggiungere il generale Victus, destinato a diventare il nuovo Primarca di Palaven, e convincerlo ad unirsi alla lotta contro i Razziatori. Solo l’unione di tutte le razze avrebbe potuto dare qualche effimera speranza di salvare la galassia e senza la potente flotta turian la vittoria sarebbe risultata impossibile.
Garrus annuì in silenzio, pensando a quello che avrebbe significato la partenza del Primarca per il destino di quella luna e, forse, perfino di Palaven. Ma il suo comandante si era addossato il peso di quella guerra, probabilmente dietro ordine dell’esercito dell’Alleanza e, una volta stabilito quale strategia fosse necessario adottare, non si sarebbe potuto fermare di fronte a nulla pur di seguirla.

Nel tratto di strada che fecero insieme incontrarono diversi gruppi di nemici e Garrus ebbe la sorpresa di combattere al fianco di una Shepard che rassomigliava solo vagamente a quella di cui aveva memoria sul campo di battaglia.
La prima volta in cui la vide usare la carica biotica su un gruppo di una decina di mutanti ebbe appena il tempo di pensare ad un’imprecazione, poi il comandante si esibì in un’esplosione che mandò all’aria l’intero gruppo, causando la morte immediata dei nemici più vicini e spedendo a diversi metri di distanza il resto.
Istintivamente fece fuoco su quelli alla destra del comandante, vista la posizione che occupava sul campo, mentre James si occupava di quelli alla sinistra. Nel giro di pochi secondi tutto il gruppo era stato eliminato e Shepard stava già caricando il gruppo successivo. Questa volta Garrus non si fece cogliere alla sprovvista, con il fucile carico e puntato prima ancora che lei esplodesse la nova sul terreno.
- Ben fatto, Cicatrici - fu il commento che gli arrivò nel casco da parte di quel soldato conosciuto da pochi minuti, quando si fu ristabilita un parvenza di quiete perché non erano rimasti nemici visibili, subito seguito dalla risata argentina del comandante.
- Per gli Spiriti! Shepard... almeno potevi avvertire! - commentò lui, ancora piuttosto scosso per quell’esibizione inattesa.
- Volevo verificare che fossi ancora forma - rispose lei continuando a camminare come se niente fosse e continuando a ridere.
- Probabilmente ho perso cinque anni di vita con questo scherzo... - mugugnò lui, ancora piuttosto turbato.

Tutto il resto del tragitto venne percorso nello stesso modo, con Shepard che caricava, esplodeva la nova, si assicurava di aver carichi gli scudi e partiva a razzo contro il gruppo successivo.
- Quando hai finito di fare la krogan della situazione - le disse Garrus a un certo punto, con il fiatone per le corse che li aveva costretti a fare - mi spieghi quando e come hai imparato questa tecnica.
- Mi annoiavo da morire lì nel mio appartamento-prigione a Vancouver ed ero sempre arrabbiata. Ho trovato questo modo per sfogarmi - gli rispose lei ridacchiando, mentre il turian ricordava a se stesso quante volte si era ripetuto che fare irritare il suo comandante era un pericolo che sarebbe stato meglio non azzardarsi mai a correre.
- Almeno tu non hai dovuta vederla combattere in quel modo contro le truppe di Cerberus - commentò James poco dopo - la nova non si è rivelata un’arma da utilizzare contro gli ingegneri, fra droni e torrette che sparavano all’impazzata.
- Oh, smettila James, siamo ancora vivi, no? - replicò Shepard un po’ seccata, ricordando perfettamente l’episodio in cui solo la prontezza di quel soldato e di Liara le aveva evitato una morte idiota.
- Ok, ok, Lola, non arrabbiarti. Volevo solo dire che con te non si rischia mai di annoiarsi - rispose James, mentre Garrus si chiedeva cosa diavolo significasse il termine Lola.
- Su Eden Prime non ci siamo annoiati davvero - replicò Shepard con una risata che strinse leggermente il cuore di Garrus, mentre si rendeva improvvisamente conto di quanto gli fosse mancata quella risata nel bel mezzo di un combattimento.
- Solo tu potevi riuscire a ingaggiare un prothean - replicò James, mentre lui e Garrus fulminavano all’unisono gli ultimi due mutanti sopravvissuti ad un’esplosione biotica.
- Un prothean? Un prothean vivo? - chiese Garrus, mentre ricaricava automaticamente il fucile e con la coda dell’occhio osservava James che ricaricava il suo, sorridendo al pensiero che quel soldato aveva lo stile perfetto per fare coppia con il comandante.
- Beh, da morto mi sarebbe servito davvero a poco - rise lei, mentre James spiegava - era un po’ surgelato, Cicatrici.

Lo scambio di battute aveva messo Shepard di buon umore, ma quando il raggio di un Razziatore fece schiantare in volo un piccolo caccia intercettore pochi metri davanti a loro, senza che il pilota sopravvivesse, lei tornò del suo umore iniziale, riprovando la medesima rabbia impotente di Vancouver.
Il ricordo del colloquio avuto con Anderson sulla Terra, mentre era affacciata al portellone della Normandy, le fece improvvisamente capire che Garrus avrebbe provato il suo stesso senso di smarrimento se gli avesse chiesto di salire a bordo.
Lo guardò a lungo, incerta se fargli quella proposta e costringerlo ad una scelta che sarebbe stata dolorosa in ogni caso, poi decise di rimandare e si mise ad ascoltare attentamente le frasi che i suoi due compagni si scambiavano nei caschi già da diversi minuti.
Nelle parole del turian riconobbe la sua stessa collera amara e decise che non avrebbe potuto fargli quella richiesta, proprio perché sapeva che lui si sarebbe sentito in dovere di seguirla, esattamente come lei si era sentita costretta ad obbedire alle direttive di Anderson, nonostante l’angoscia di dover abbandonare la Terra sottraendosi allo scontro diretto contro il nemico.

“Quella decisione è stata necessaria, ma dolorosa e tormentata” si ripeté ancora una volta, appena dopo aver annientato un manipolo di mutanti con un’altra potente esplosione biotica, “anche se la speranza di poterti rivedere l’ha resa un po’ meno penosa” concluse con un lieve sorriso, notando la velocità con cui Garrus aveva già ricaricato la propria arma e stava dando un’occhiata in giro per cercare di prevedere il gruppo contro il quale lei si sarebbe lanciata nuovamente.
“Dovrò riunire le forze di tutta la galassia e per farlo avrei un bisogno disperato di amici fidati al mio fianco, ma non ti chiederò nulla. Spero solo che tu capisca che non sconfiggeremo mai i Razziatori restando a combattere sui nostri pianeti natali”.

In ogni caso, il primo turian che doveva necessariamente convincere a salire a bordo della Normandy era il generale Victus.
Dopo uno scontro sanguinoso nel mezzo del campo in cui si trovava il futuro Primarca, nel corso del quale lei dovette limitarsi a usare quasi solo le armi da fuoco, a causa della presenza di alcuni dannati Bruti, riuscì a finalmente ad incontrare il generale.
Non fu facile persuaderlo ad accettare la nomina a Primarca e fu molto più difficile spingerlo ad abbandonare Palaven. Alla fine, comunque, Victus si arrese all’evidenza che solo una solida alleanza delle forze militari dell’intera galassia avrebbe potuto contrastare quell’invasione.
Come aveva notato Garrus pochi minuti prima, era molto probabile che la sua partenza avrebbe causato la sconfitta dei turian su Menae, ma lei fece notare che senza il suo appoggio, e senza la flotta turian, la guerra contro i Razziatori era già persa in partenza, prima ancora di cominciare a elaborare le basilari strategie di difesa e di attacco di una comune alleanza contro il nemico.

Mentre Victus si allontanava per salutare i suoi uomini, che sarebbero rimasti a combattere sulla luna di Palaven, James andò ad aiutare un gruppo di soldati a sistemare una barricata e Shepard e Garrus restarono soli a guardarsi attorno con un senso di impotenza.
Nello strano silenzio successivo, del tutto irreale a paragone del rumore assordante dei tanti scontri combattuti fino a pochi momenti prima, il turian si avvicinò a Shepard.
- Hai notizie della tua famiglia, Garrus? - gli chiese il comandante.
Lui scosse la testa in segno di diniego. Poi si guardò in giro con aria assorta, perso nei ricordi.

- L’ultima volta che sono stato su Menae avevo circa undici anni - cominciò a raccontare il turian, guardando verso l’orizzonte arrossato dai combattimenti.
- La nostra scuola aveva organizzato una gita per una lezione di geologia. Avevano portato tutte le classi attorno a una solfatara e ci avevano disposto attentamente a semicerchio, raccomandandoci di non muoverci per via delle pozzanghere che ribollivano sul terreno.
- Dopo pochi minuti dall’inizio, la voce di mia sorella aveva interrotto la spiegazione con una frase assolutamente fuori luogo, qualcosa tipo mi scusi professoressa… quel bambino ha preso il mio pupazzo. Io avevo guardato verso il gruppo alla mia sinistra, dove si trovava la classe dei bambini più piccoli, coetanei di Sol, e l’avevo vista indicare un ragazzo nel gruppo che mi stava di fronte, quella dell’ultima classe, dei dodicenni.
- Sol era stata rimproverata aspramente Non interrompere, Vakarian poi la sua professoressa si era rivolta al geologo Mi scuso per l’interruzione, continui, la prego.
- Il visino triste di Sol aveva incrociato per un attimo il mio, prima di chinarsi a guardare in terra, mentre il ragazzo dall’altra parte aveva preso a roteare quel pupazzetto sul suo capo, mimando il gesto di tirarlo nelle pozze fumanti che avevamo di fronte.
- Professore, quel pupazzo è davvero di mia sorella avevo trovato il coraggio di dire, interrompendo la lezione nuovamente.
- Ricordo come il mondo si fermò in quell’istante, mentre tutti mi fissavano con incredulità attonita: una seconda interruzione, da parte di un allievo al penultimo anno di corso, doveva rappresentare un evento ai limiti della fantascienza. Qualche compagno di scuola cominciò a ridacchiare, gli insegnanti di tutte le classi mi lanciarono uno sguardo come volessero incenerirmi, mentre il mio professore sibilò Abbiamo capito, Vakarian. Ora stai zitto.
- Mia sorella mi fece più volte il gesto di tacere, con aria preoccupata. Io però guardai quel ragazzo di fronte a me, che mi fissava sorridendo con espressione di trionfo, e scattai.
- Non so se fui molto attento o solo molto fortunato, ma arrivai illeso in mezzo al suo gruppo, lo scaraventai a terra, gli diedi un pugno e gli levai il giocattolo.
- Non ricordo bene cosa accadde in seguito: due mani mi acchiapparono e mi tennero fermo, mentre tante voci concitate strillavano tutte intorno a me. Fui riportato dentro la nave che ci aveva condotto lì e rinchiuso in una piccola stanzetta. Mentre mi portavano via, però, riuscii a lanciare il pupazzo a mia sorella, che lo prese al volo, con un’espressione tanto felice che mi ripagò in anticipo per le conseguenze che avrei subito.
- Cosa successe poi? - chiese Shepard, sorridendo al pensiero che, fin da bambino, il turian al suo fianco era stato lo stesso Garrus che lei avrebbe incontrato tanti anni dopo sulla Cittadella.
- La scuola informò mio padre, che venne a prendermi e mi portò a casa. Non parlò mai durante il tragitto in auto e io rimasi in silenzio, conscio che ogni mia parola avrebbe solo aggravato la situazione.
- Una volta arrivati a casa, mio padre mi spiegò con calma che le regole c’erano per un buon motivo e che il loro rispetto permetteva la convivenza civile fra gli individui. La disciplina era qualcosa da onorare e di cui andare fieri: non poteva essere messa in discussione, per nessun motivo. Neppure per un motivo buono come il tuo aggiunse con un tono che non ammetteva repliche.
- Tu cosa rispondesti?
- Nulla, immagino… Non ricordo. So solo che, nonostante tutte le sue parole, non dubitai mai di aver fatto la cosa giusta. Credo di non aver mai imparato a essere un buon turian - concluse con un sorriso spento.

A questo punto tacque, con il volto rivolto leggermente alla sua sinistra. Shepard seguì il suo sguardo e si trovò a fissare l’enorme sagoma di un Razziatore che stava mietendo vittime a svariati chilometri di distanza.
- Solana ora è lì, su Palaven - aggiunse poi lui, indicando il suo pianeta natale, alle spalle del Razziatore - Non ho più sue notizie. Le comunicazioni si sono interrotte giorni fa.
Poi scosse il capo.
- Credi di poter vincere, Shepard? - le chiese con un tono calmo e piatto, che lei sapeva usato apposta, per nascondere il suo stesso identico sconforto e dolore.
- Puoi scommetterci - rispose con una sicurezza che sapeva di non provare. Stava mentendo, anche a se stessa, ma non poteva e non voleva ammetterlo, non voleva dargli l’impressione di sentirsi sconfitta prima ancora di iniziare.

Il turian la fissò in silenzio per qualche istante, poi ruotò lentamente il viso per studiare con occhio critico la distruzione che li circondava e infine replicò serenamente - Sono sicuro che nessun’altro può farcela.
E Shepard intuì, con certezza assoluta, che lui credeva davvero in quell’affermazione che sembrava inverosimile, alla luce dei fatti.
“E questo mi aiuta a crederci io stessa” si rese conto con un divertimento carico di disperazione.
- Per quel che vale, sono con te - concluse infine il turian, senza alcuna enfasi, perché sapeva perfettamente che non c’era altra scelta possibile in una situazione come quella.
- Come ai vecchi tempi, Garrus?
- Come ai vecchi tempi, comandante - assentì lui stancamente.

Più tardi, mentre erano tutti a bordo della navetta da sbarco che li avrebbe portati sulla Normandy, Garrus fissò il monitor vicino al comandante che stava parlando con il Primarca: da quell’altezza le figure dei soldati turian che correvano qua e là appostandosi dietro ripari di fortuna e barricate, per cercare di rallentare le forze nemiche che continuavano a riversarsi contro le postazioni difensive in ondate senza fine, non apparivano più temibili dei soldatini mossi dalle mani di un bambino durante i suoi infantili giochi di guerra.
“Non so come si possa pensare di fermare un’invasione simile, ma so che se c’è una sola persona in tutta la galassia che può provarci con successo, quella sei tu. In questo momento, sotto questo cielo solcato da missili e dai raggi purpurei di questi dannati Razziatori, tutto il resto non ha importanza”.
Incrociò per un breve istante lo sguardo di Shepard che però non si soffermò su di lui, passando oltre, per fissare lo sguardo sul monitor che aveva al suo fianco, e seppe con certezza assoluta che lei provava i medesimi suoi sentimenti.
“Più tardi, sulla Normandy, quando mi sarò allontanato da questa luna, quando questo dolore sarà leggermente diminuito e io potrò pensare a tutto quello che posso fare per aiutarti a vincere questa guerra disperata, è possibile che io vorrò sapere altro” rifletté con un cinismo che gli appariva inevitabile “ma ora, comandante, conta solo essere al tuo fianco”.



*****
Welcome back, Garrus Vakarian.

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Capitolo 3
*** Brevi sussurri ***


BREVI SUSSURRI


Amélie


Shepard si trovava nella sala tattica sulla Normandy e stava parlando con Adrien Victus quando la sua mente aveva formulato un pensiero che le aveva procurato una crisi di risate inarrestabili. Fu costretta a salutare rapidamente il Primarca e a defilarsi nella sua cabina, per evitarsi una figuraccia del tutto ingiustificabile.
Appena varcata la soglia del suo alloggio si sedette per terra e cominciò a ridere senza riuscire a fermarsi, un po’ per la follia della strana considerazione che le era passata per la mente, un po’ per l’assurdità del momento, ma anche perché in quella risata liberatoria scaricava finalmente parte della tensione che aveva accumulato negli ultimi giorni.
Mentre stavano parlando di argomenti seri e complessi, quali l’organizzazione e il coordinamento delle forze alleate, si era ritrovata a fissare il volto di Victus chiedendosi incautamente se avrebbe mai potuto considerare attraente quell’individuo. La risposta istantanea che il suo cervello aveva partorito “Ma che idea... decisamente no!” era stata talmente irrefutabile da lasciarla sbalordita e da causarle quell’attacco di risate che non avrebbe potuto giustificare in alcun modo al Primarca.

Era stata una pessima idea quella di passare nella batteria primaria prima di recarsi in sala tattica. “Quell’altro turian, il mio turian, mi ha fatto agitare” ammise, mentre si rialzava ridacchiando, con un vago sorriso stampato ancora sulle labbra.
Garrus le aveva chiesto se il loro ‘protocollo di rincontro’ dovesse limitarsi ad un’amichevole stretta di mano, poi aveva espresso l’intenzione di procurarsi nuove cicatrici per essere più attraente ai suoi occhi e infine aveva accennato esplicitamente, ed ironicamente, alle sue abilità romantiche. Il tutto con quella solita insicurezza tenerissima che le faceva venire voglia di stringerlo forte fra le braccia per rassicurarlo che andava tutto bene anche se poi, in realtà, era lui che passava buona parte del suo tempo a rassicurare lei.

Ovviamente, quando era entrata nella batteria primaria, lo aveva trovato con la testa infilata dentro un macchinario, per calibrare un sistema offensivo della Normandy mentre parlava con il Primarca, e si era sentita rassicurata da quel suo comportamento tanto familiare.
Poi, con quelle sue frasi un po’ incerte e impacciate, lui era riuscito a farla ridere e a farsi dare un piccolo bacio delicato che l’aveva sicuramente turbato visto che aveva pronunciato una delle sue famose frasi fatte di parole interrotte e smozzicate - I video dicevano che sarebbe potuta andare così. Lo speravo proprio... ehm, voglio dire... non sapevo se...
Non lo aveva abbandonato nell’imbarazzo e gli aveva stretto una mano fra le sue, confessandogli quanto gli fosse mancato, rendendosi conto di come fosse vera quella frase che non aveva mai voluto formulare esplicitamente neppure a se stessa.

Mentre si trovava agli arresti domiciliari aveva rifiutato di pensare a lui, perché non voleva stare peggio di come si sentisse, e dopo l’attacco dei Razziatori tutte le sue energie erano state convogliate nella messa a punto di una strategia militare valida per contrastare l’evidente superiorità del nemico e nella risoluzione dei problemi immediati che le si presentavano in ogni momento delle sue lunghe giornate.
Adesso però, al sicuro nel ventre della sua nave, lontana dagli scontri a fuoco sulla Terra e su Palaven, era riuscita a rilassarsi e a lasciar emergere i sentimenti taciuti.
E anche lui doveva essersi ripreso dalle visioni della sua patria devastata, come era stato chiaro dalla sua battuta - Ci vorrà ben più dei Razziatori per ostacolare questa relazione interspecie - che era stata detta per divertirla, ma che non era uno scherzo banale.

Si erano lasciati con la promessa reciproca di recuperare il tempo che le circostanze avverse avevano rubato loro e poi lei era andata verso la sala tattica per parlare di nuovo con il Primarca Victus, dal quale aveva ricevuto per l’ennesima volta l’assicurazione che l’imponente flotta di Palaven avrebbe collaborato con l’Alleanza dopo che i krogan avessero accettato di aiutare i turian nella difesa del loro pianeta natale.
Quella richiesta non era una novità, ma rendeva ancora più complesso il suo progetto di costituire un fronte comune contro i Razziatori, con la partecipazione di tutte le principali razze della galassia.
Avrebbe dovuto iniziare dai krogan, per ottenere il conseguente appoggio dei turian, ma queste due razze erano legate indissolubilmente ai salarian, che avevano contribuito al genocidio dei krogan con i loro studi sulla genofagia.

Mettere d’accordo turian, krogan e salarian appariva al momento un compito superiore alle forze di chiunque, ma questa guerra richiedeva necessariamente lo sforzo congiunto di ogni civiltà galattica o la sconfitta sarebbe stata inevitabile.
Stava meditando su questo argomento delicato quando si era ritrovata a ricordare, del tutto intempestivamente, il bacio di Garrus e il lieve sapore di miele tiepido e amaro della sua bocca. Come riflesso spontaneo aveva fissato gli occhi sulla bocca del Primarca Victus, che stava ancora parlando delle necessità del suo popolo.
A quel punto il suo cervello era andato in tilt e le aveva proposto quella domanda inopportuna e la successiva risposta, ancora più inopportuna: no, i turian non potevano proprio definirsi seducenti per una umana e la sua attrazione per Garrus non era estensibile al resto della sua razza.

Ed ecco spiegato il motivo per cui si era dovuta sedere sul pavimento del suo alloggio, in preda a quella sconclusionata crisi di risate.
Si rialzò con l’intenzione di stendersi per un quarto d’ora, in attesa che arrivassero le otto di sera e le venisse desiderio di mangiare ma, mentre si incamminava verso il letto, incrociò con lo sguardo la fotografia di Garrus che ora stava sul comodino del suo alloggio, ma che era rimasta sempre al suo fianco nell’appartamento sulla Terra: uno dei pochissimi oggetti che avesse portato con sé, a tenerle compagnia durante quel processo che le era sembrato durare all’infinito e che solo l’arrivo dei Razziatori aveva concluso in modo brusco e fulmineo.
Prese la foto fra le mani sedendosi sul bordo del letto e si ritrovò a sorridere stupidamente, come una qualsiasi donna innamorata, al pensiero che lui ora era lì, in un qualche luogo su quella stessa nave (probabilmente ancora nella batteria primaria), e non ad anni luce di distanza. Ora avrebbe potuto sostituire il volto statico di quella foto con le espressioni mutevoli del suo viso, ed anche il tocco delle sue dita e la calda umidità della sua bocca potevano trasformarsi da ricordi leggermente sbiaditi dal tempo in una percezione effettiva e palpabile.

Ripensò alla mano che gli aveva stretto poco prima, senza riuscire ad avvertire il calore della sua pelle, per via della solita armatura che lui usava indossare, e a quel bacio troppo breve.
Si rese conto che sarebbe stato estremamente cortese invitare il Primarca a cena, ma pensò che l’unico argomento che stava a cuore a quel turian se lo era sentito ripetere fino alla noia, da quando lo aveva faticosamente convinto a lasciare la superficie di Menae, e che non aveva alcuna voglia di farsi andare di traverso i bocconi pensando ancora ai krogan, ai salarian e ai turian.
Sorrise un’ultima volta alla foto, la appoggiò nuovamente sul comodino e si alzò dal letto. Poi aprì il canale con la batteria primaria e chiese - Ceni con me stasera?
- Uhm... - rispose Garrus, prendendosi un po’ di tempo per riacquistare il senso del presente, perso com’era nella calibrazione del Thanix, poi aggiunse - direi di sì... mi hanno appena assicurato che non c’è niente di interessante stasera in televisione...

Il desiderio di stringere Garrus fra le braccia e di passare un’intera notte con lui era diventato urgente e necessario, dopo la visita nella batteria primaria, ad appena poche ore di distanza dalla battaglia sostenuta su Menae.
Aveva combattuto contro queste fantasie, relegandole in un angolo inaccessibile della mente mentre doveva occuparsi di questioni belliche, ma adesso era giunta sera finalmente: poteva abbassare la guardia, arrendersi alla dolcezza dei ricordi legati a Garrus e, almeno per quella notte, riuscire a procurarsene di nuovi.
La paura che qualcosa fosse cambiato, durante i mesi di forzata lontananza, la impensieriva leggermente, nonostante il breve e tranquillizzante colloquio nella batteria primaria.
Scese in sala mensa, racimolò del cibo adatto a lei e alla fisiologia del turian, una bottiglia di vino di Palaven e uno batarian e tornò rapidamente nella cabina, senza trattenersi a chiacchierare con l’equipaggio che aveva cominciato ad affluire in sala mensa.
Si rese conto che a nessuno era sfuggito il significato del sequestro di cibi e bevande che solo un quarian o un turian avrebbe potuto ingerire, ma non se ne curò minimamente. Alla specialista Traynor, che le lanciò uno sguardo complice di intesa, rispose con un semplice sorriso.

Quando rientrò nella cabina trovò Garrus, che era già arrivato e la stava aspettando in piedi nel centro della stanza. Le sorrise, vedendola impicciata dalle vettovaglie e le tolse rapidamente di mano i piatti e le bottiglie, appoggiando tutto sul tavolo, poi le sciolse i capelli che lei aveva raccolto sulla nuca nel solito nodo fermato con una bacchetta.
La guardò sorridendo, con il volto leggermente obliquo, mantenendosi a poca distanza.
- Sono più lunghi - osservò con una voce più rauca di quanto lei ricordasse, poi le si avvicinò e prese a passare le dita in mezzo ai capelli con la sua solita attenzione delicata.

La prese fra le braccia e la fece volteggiare per la stanza fino a quando Shepard si ritrovò improvvisamente distesa sul letto, con il corpo di Garrus che le immobilizzava i movimenti mentre il turian rideva divertito, guardandola dall’alto.
D’un tratto però lui divenne serio e cominciò a spogliarla con gesti rapidi e lei prese a spogliare lui, affannosamente, con le mani che le tremavano per l’emozione. Non sorrisero neppure, come avrebbero fatto normalmente, alla vista dei lanci di indumenti che volavano dal letto in terra in un susseguirsi di colori, di forme e di pesi differenti. Neppure il tonfo sordo degli stivali sul pavimento di metallo riuscì ad allentare la tensione del desiderio reciproco.
Si fermarono solo quando nessun ostacolo si frapponeva ormai fra i loro corpi così diversi. Garrus la strinse contro di sé con un’espressione quasi sofferente: fece scorrere le mani impazienti su tutta la sua pelle morbida, stringendole la carne fra le dita, con un’intensità quasi violenta.
Poi, dopo quelle iniziali carezze febbrili, rimase immobile e in silenzio, limitandosi a racchiuderla in una stretta salda con ogni parte del suo corpo e a intrufolare il volto nel mezzo dei suoi capelli, lungo il suo collo, leccando con dolcezza la pelle morbida fino a farla inarcare per invitarlo a prenderla.
Ma Garrus respirò pesantemente continuando a limitarsi a serrarla, ad avvilupparla con le braccia e le gambe e a farle sentire il peso del suo corpo.

L’impatto con la realtà, molto più vivida dei ricordi, lo aveva costretto a fermarsi: l’odore della pelle e dei capelli, la morbidezza della carne, il verde immutato degli occhi.
Tutti quei profumi e colori resuscitati improvvisamente gli avevano causato un’emozione così intensa che, se si fosse lasciato travolgere, si sarebbe arreso immediatamente. Lei ne avrebbe riso con dolcezza: non era questo che lo preoccupava, anche perché gli sarebbero bastati pochi minuti per ricominciare con più serenità.
Ma voleva prolungare di proposito quella sofferenza fisica e mentale, quello strazio esaltante e assoluto che lo liberava da quello per Palaven in fiamme, per i morti, per i familiari dispersi e acuiva invece a dismisura la gioia di poterla stringere fra le braccia, ritrovando quella lei che aveva inconsapevolmente e inutilmente cercato in altre donne sul suo pianeta natale, scontrandosi con profumi diversi, con carni ricoperte da placche e con un verde simile di occhi che però non erano umani.
Per questo doveva serrarla e forzarla a restare quieta e a non sfiorarlo, per non lasciarsi sopraffare. Via via che riuscì a costruire una piccola fortezza intorno al suo desiderio, preparandosi a rafforzarla per riuscire a contenere le pulsioni naturali del suo corpo, allentò la stretta, ma non di molto.
Voleva prendere tempo e assaporare a lungo quel tormento; solo dopo avrebbe permesso che il desiderio lo consumasse ed evaporasse dolcemente, lasciandolo esausto e libero.

“Non capisco…” si ritrovò a pensare Shepard restando immobile sotto il turian, stupita e turbata da quel comportamento nuovo ed insolito, che non riusciva a comprendere.
Garrus non la baciava e aveva anche smesso di accarezzarla, non la toccava sul seno o fra le gambe. Si limitava a imprigionarla contro di sé, ma la sua gola emetteva quel sordo brontolio familiare di cui lei conosceva il significato.
Shepard sentiva distintamente nell’orecchio appoggiato contro il petto di Garrus il battito del suo cuore, rapido e precipitoso, che indicava il suo evidente turbamento e desiderio. Il sesso del turian non poteva esprimere più chiaramente la voglia che lui provava, ma era tutto il suo corpo a urlargliela: la tensione dei suoi muscoli era talmente intensa da farli vibrare in quello sforzo protratto, come corde troppo tese di uno strumento musicale delicato.
Alla domanda inespressa “Cosa vuoi?” che si era posta fino a quel momento, Shepard fece seguire la gioia semplice di sentirlo di nuovo contro di lei, con tutto il suo corpo che tremava, il suo respiro affannato fra i capelli, il desiderio avido che stava negando anche a se stesso, per qualche motivo ancora oscuro.
- Mi sei mancato - gli sussurrò, provando a girare il viso verso di lui.
Al suo primo tentativo di muoversi, lui aveva allentato la presa lasciandola girare, poi aveva ricominciato a serrarla fra le mani, fra le gambe, sotto il suo corpo, premendole la testa contro il proprio petto.

Shepard si era spostata nel tentativo di baciarlo: più forte di ogni altro desiderio, in quel momento, provava quello di assaggiare ancora una volta il sapore della sua bocca. Invece si trovava imprigionata e provò un istintivo moto di ribellione. Esercitò la forza dei muscoli delle sue braccia per allargare quelle del turian, per riuscire a liberarsi ed avvicinare i loro volti. Lui cedette di poco, allentò solo leggermente la stretta, senza lasciarla muovere liberamente.
Shepard guardò con attenzione quel viso a pochi centimetri dal suo, nel tentativo di capire: Garrus non stava sorridendo, la fissava con uno sguardo che era dolce e deciso nello stesso tempo e continuava caparbiamente a non pronunciare una singola parola, tranne alcuni isolati respiri affannosi.

Esercitò più forza, guadagnando ancora un po’ di spazio e si insinuò nel ristretto incavo fra le braccia del turian, spingendosi un po’ più verso l’alto.
Sapeva benissimo che il fisico di Garrus era molto più potente del suo, quindi capì che lui stava misurando la sua forza e stava usando quel tanto di energia che le consentisse di contrastare la stretta con cui la immobilizzava.
- Cosa vuoi? - le chiese lui con un sussurro rauco, avvicinando il viso a quello di Shepard, ma continuando a tenerla serrata fra le braccia.
- Baciarti - rispose lei con un bisbiglio, finalmente sicura che fosse solo un gioco, una strana partita che ancora non avevano mai giocato.
- E allora dimostramelo - le rispose in un alito di fiato, aumentando leggermente la presa e allontanandosi di nuovo.

Adesso era lei che stava utilizzando tutti i muscoli del suo corpo per vincere la resistenza del turian. Lo fece con lentezza e attenzione, senza ricorrere ai poteri biotici, perché non si facessero del male, ma con movimenti decisi e meticolosi.
Garrus continuò ad ostacolarla costantemente, ma non le fece mai perdere il vantaggio che via via si guadagnava. Per tutta la durata di quella strana lotta le impedì però categoricamente di sfiorargli il collo: le due sole volte in cui lei provò a farlo venne ripagata con un - No - secco, seguito da un allontanamento deciso, in entrambi casi leggermente doloroso.

Alla fine, quando fu chiaro che Shepard aveva conquistato la sua piccola prima vittoria, Garrus si lasciò baciare a lungo e ricambiò con tutta la passione che era in grado di restituirle, fino a farle mancare il respiro.
Quel bacio lungo, conquistato a fatica, aveva finito solo per aumentare il desiderio di Shepard che si allontanò leggermente dal turian per costringerlo a girarsi di schiena sul materasso.
Lui le afferrò le mani e gliele bloccò, chiedendole con un soffio di voce - Cosa vuoi adesso?
E alla sua riposta - Voglio te - replicò - Allora dimostramelo - con un tono basso e così pieno di pena che le suonò indecifrabile.

Se riuscire ad arrivare alla sua bocca aveva richiesto un tempo che le era parso infinito, riuscire a sottomettere quel corpo agile e muscoloso richiese molta più pazienza, forza e abilità. Nel mezzo di quella strana lotta si arrese perfino, rimanendo immobile e spaesata, fissandolo con uno sguardo interdetto.
Di fronte a quella specie di resa, Garrus l’aveva baciata nuovamente a lungo e poi aveva avvicinato la sua bocca all’orecchio di Shepard, sussurrandole - Non so spiegarti quello che provo, ma il mio corpo sa farlo. Vorrei lasciassi parlare il tuo.
Infine si era allontanato leggermente da lei, per leggerle negli occhi l’effetto della sua frase.

Lei lo fissò solo un istante, poi agì con prontezza: da quell’istante in poi ogni muscolo del suo corpo lavorò allo stremo, per dimostrargli quanto gli fosse mancato, quanto avesse bisogno di lui, quanto fosse felice di averlo ritrovato.
Garrus continuò ad opporre una resistenza che però adesso era leggermente meno salda, perché la visione dello sguardo deciso di lei, così simile a quello che assumeva automaticamente in battaglia, lo fece sorridere e allentò parzialmente la tensione che provava.
Con un rapido colpo dei fianchi Shepard si era messa a cavalcioni sul corpo del turian e ora lo stringeva forte fra le gambe, ansimando per lo sforzo.
Era sudata e i capelli le si incollavano sulle guance e le finivano negli occhi, ma lei non ci fece neppure caso, mentre l’irruente determinazione con cui contrastava ogni tentativo di Garrus di ostacolare i suoi movimenti fece sorridere ancora di più il turian che pensò “Ora che hai capito il senso di questo gioco, dovrei farti male per riuscire a fermarti. E non potrei mai farlo”.

Il turian diminuì ancora leggermente la sua resistenza, godendosi l’immagine di Shepard che cercava di immobilizzare il suo corpo e di sopraffarlo con costanza e risolutezza, fino a quando riuscì a prenderlo dentro di sé. In quell’istante lui le prese il viso fra le mani, ottenendo la sua piena attenzione, poi le sussurrò - Non lasciarmi fuori, Trinity. Guardami.
E lei fissò i suoi occhi in quelli di lui, cercando di assecondare quella richiesta nuova. All’inizio le sembrò difficile resistere alla tentazione di chiudere le palpebre, poi provò semplicemente a rilassarsi, senza pensare a nulla, limitandosi a perdersi in quello sguardo del colore del cielo. Ricominciò a muoversi, mentre lui la teneva stretta fra le braccia, adeguandosi al suo ritmo.
Solo quando inavvertitamente tornò a chiudere gli occhi lui si fermò e le appoggiò delicatamente le dita contro il viso. Lei capì e lo guardò di nuovo senza chiuderli più, fino a quando si dovette piegare contro il suo petto con singhiozzi che le spezzavano il respiro e le scuotevano le spalle.
- Forse è troppo - confessò Shepard, riemergendo da quello sguardo azzurro cielo, scossa dai singhiozzi, rimanendo distesa su di lui, immaginando le lacrime scorrere fra le placche pettorali, mentre lui le stringeva le braccia intorno al corpo, come a proteggerlo in quel meritato riposo.

- Ti amo, Trinity - le confessò Garrus con un bisbiglio roco, sicuro che quella sua dichiarazione sarebbe rimasta a galleggiare isolata nella stanza, senza ricevere una risposta reale. Avvertì solo una specie di sussulto improvviso in quel corpo abbandonato che stringeva fra le braccia e ricevette un lungo bacio appassionato e salato che lo fece sorridere, ma nessuna risposta verbale.
Continuò ad accarezzarle gentilmente la schiena, seguendo le linee delle vertebre, fino a quando si rese conto che i tremiti del corpo di Shepard erano ormai i preludi di una prossima risata che si insinuò prepotentemente negli ultimi strascichi del pianto.

Allora la fece scivolare gentilmente al suo fianco, la abbracciò e la accarezzò lentamente, aspettando che il suo respiro tornasse normale. Poi le passò le dita fra i capelli e le asciugò gli occhi, aspettando con tranquillità che lei avesse nuovamente voglia di ricambiare le sue carezze. E quando finalmente accadde, persero insieme la nozione di tempo e di spazio, perdendosi nell’azzurro e nel verde di occhi tanto intensi da assorbire ogni altro colore.

Molto più tardi, quando si svegliò, Shepard si trovò ancora addossata a Garrus che stava dormendo sul fianco, con il viso contro la sua schiena e le braccia che le cingevano la vita. Provò a liberarsi con gentilezza, accorgendosi con divertimento che ogni gesto le causava un lieve risentimento dei muscoli in tutto il corpo.
Si alzò dal letto per prendere la bottiglia di vino batarian che era rimasta intatta sul tavolo. Se ne versò un mezzo bicchiere che sorseggiò lentamente, mentre studiava con attenzione il volto del turian ancora addormentato alla fioca luce proveniente dall’acquario.
Non l’aveva mai visto dormire prima d’ora perché tutte le volte in cui avevano passato la notte insieme lo aveva sempre trovato già desto al suo risveglio. Le venne spontaneo provare un insolito sentimento di tenerezza, che suonava buffo a lei per prima, e che avrebbe fatto divertire lui.
Eppure, nel sonno il viso di Garrus aveva davvero un’aria indifesa che riusciva a commuoverla e a ispirarle un sentimento di protezione.

improvvisamente lui si mosse e forse si svegliò, realizzando che Shepard non si trovava al suo fianco. Aprì gli occhi e la vide accoccolata lì vicino.
- Che ore sono? - le domandò con voce impastata dal sonno.
- Le tre di notte. Hai fame? - rispose Shepard.
- Sì, e berrei anche volentieri un bicchiere di vino.
Così lei si sporse dal letto, per prendergli il suo piatto, poi versò un bicchiere dall’altra bottiglia e glielo porse.
Aspettò che lui si sedesse sul letto e cominciasse a mangiare e a bere, poi gli chiese incuriosita - Voi turian fate spesso l’amore in questo modo?
- Spiriti! - esclamò lui sorpreso - Non credo proprio, Shep. Non so nemmeno quanto tempo mi ci vorrà per riprendermi - le confessò poi, ridendo mentre provava a stirare i muscoli indolenziti.
- E perché tu non mi faccia un’altra domanda scema... non ho mai fatto nulla del genere prima d’ora e non avevo questa intenzione neppure quando sono entrato qui - continuò ad ammettere, mentre finiva di vuotare il bicchiere, posava il piatto sul comodino e si allungava nuovamente sul letto, confessando con una risata lenta e soddisfatta - Sono completamente e deliziosamente esausto.
- Lo rifaremo… promettimelo - gli rispose lei con uno sguardo malizioso.
- Di certo, ma non domani... Prima distruggi tutti quei dannati Razziatori e io ti prometto che sarà la mia ricompensa speciale per te - concluse Garrus con voce confusa, mentre stava già addormentandosi di nuovo.

Alla parola Razziatori lei provò l’impulso irresistibile di alzarsi, per andare a controllare ancora una volta la mappa galattica, nell’inutile tentativo di trovarci una risposta alle tante domande che la opprimevano.
Poi fissò la figura addormentata sul suo letto e si disse “Al diavolo, stanotte mi godo la prima vacanza da quando mi hanno requisito la Normandy” e si intrufolò nuovamente fra le braccia di Garrus, facendo aderire ogni piccola parte del suo corpo a quello del turian, cercando quella corazza di placche arrotondate che lui solo avrebbe potuto regalarle.
Le sembrò che lui la stringesse un attimo, ma il suo movimento, se c’era stato davvero, era stato appena percettibile.
Shepard appoggiò delicatamente le labbra contro la mano di Garrus e si concentrò sull’odore strano e familiare della sua pelle, chiudendo gli occhi in cerca del sonno.
Poi, proprio mentre stava per addormentarsi, sentì la sua stessa voce che mormorava un lievissimo - Ti amo, Garrus Vakarian.
Rimase sconvolta da quella frase estranea, mai pronunciata fino a quel momento: le sembrò che quelle quattro parole rimanessero immobili nell’aria e perdurassero pesantemente nell’oscurità della stanza, come un fantasma etereo ma inquietante.
- Guarda che ti ho sentito - le sussurrò, dopo qualche secondo, la voce metallica del turian e lei avvertì chiaramente contro le spalle un lieve sussultare, del tutto simile al lieve sussultare degli umani, quando ridono senza rumore nel cuore della notte.



*****
Uhm, non ho resistito... ho dovuto infilarci questo episodio un po’ troppo dolce e forse un po’ “hard”. Spero non vi abbia urtato.

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Capitolo 4
*** Usi... ***


Premessa
Mi sono inventata di sana pianta alcuni usi e costumi della razza turian. Nel gioco originale non ci sono elementi che avvalorino la mia tesi, ma neppure che la neghino. Mi è venuto spontaneo immaginarli come li troverete descritti in questo capitolo e nel successivo (che si chiamerà, appunto “... E COSTUMI”). Spero che vi possiate divertire.


USI...


Conquest of Paradise


- Sai benissimo quanto sia felice per averti ritrovato - pronunciò inaspettatamente la voce di Garrus all’interno della cabina del comandante.
- E sai anche quanto io ti voglia bene - continuò a dire il turian, mentre Shepard fissava con espressione stupita l’altoparlante, lasciando cadere sulle coperte il datapad che stava consultando mentre sedeva sul bordo del suo letto.
- Ma devi tenere le tue zampacce lontano dalla mia vita - concluse lui con una sorta di ringhio irato, appena represso.
- Eh? - mormorò Shepard, completamente sbalordita.

Seguì un lungo silenzio che lei impiegò nel tentativo di capire cosa diavolo potesse motivare quelle parole tanto inattese e pronunciate con un tono che non sembrava neppure appartenere al turian. Ripassò rapidamente gli avvenimenti della settimana appena trascorsa e decise che quella frase finale non aveva alcuna spiegazione. Anche i programmi futuri non potevano motivare quell’inatteso rimprovero: in quel momento la Normandy si stava dirigendo verso la Cittadella, allo scopo di permetterle di trovare nuovi alleati in grado di contribuire allo scontro finale.
Non fece in tempo a chiedergli una spiegazione prima che Garrus riprendesse a parlare.
- Non ne ho idea, non so neppure la data di oggi… Un anno, credo - fu la frase successiva che chiarì inequivocabilmente come il turian non stesse parlando con lei. Seguirono pochi secondi di silenzio, poi la voce di Garrus risuonò nuovamente nel suo alloggio.
- No che non gliel’ho chiesto. Per tutti gli Spiriti! Sei completamente impazzita, Sol?
Dieci secondi di pausa. Shepard si alzò dal letto, prese un bicchiere e ci versò un po’ di vino.
- Ti sfugge una cosa, sorella. Lei è un’umana. U-ma-na… capisci? - sillabò con rabbia - Non è una turian.
Quindici secondi. Shepard bevve tutto il vino in un unico sorso nervoso. Si risedette sul letto stringendo il bicchiere vuoto fra le mani.
- Non ci avevo neppure mai pensato... ma comunque… risponderebbe no.
A questo punto ci fu un lungo silenzio e Shepard ne approfittò per sussurrare nel terminale privato - IDA, come si è aperta la comunicazione con la batteria primaria?
- Garrus ha dato un pugno al muro, poco fa. Immagino sia stato allora... probabilmente l’ultima chiamata l’aveva fatta al tuo alloggio. Chiudo il canale?
- No! Oh no, no, no… proprio no - rispose con un risolino inquieto - Grazie IDA.

- E’ inammissibile. No! Stai zitta… Vuoi starmi a sentire? Maledizione! - continuò Garrus con un tono così alterato che Shepard si chiese se fosse davvero una buona idea continuare a spiare quella conversazione privata fra fratelli di cui probabilmente era proprio lei l’argomento in questione.
Poi decise che siccome era proprio lei l’argomento in questione non sarebbe mai riuscita a chiudere quella maledetta comunicazione senza dover passare ore, forse interi giorni, a macerarsi nei dubbi. Decise di rimanere in ascolto e si versò un altro bicchiere di vino.
- Non può funzionare fra due razze così diverse - spiegò Garrus alla sorella con un tono che dimostrava quanto fosse seccato e sfinito per quella discussione - Lei per prima penserebbe che sono impazzito.
Dieci secondi. Shepard finì il vino, lavò il bicchiere sotto il getto del rubinetto del lavandino nel bagno e si costrinse a lasciarlo sulla mensola sotto lo specchio, per evitare la tentazione di finire la bottiglia.

- Non capisco di cosa mi stai accusando... - fu il commento successivo di Garrus, questa volta pronunciato in tono incerto.
Venticinque secondi. Shepard prese a spogliarsi lentamente, accorgendosi che stava trattenendo il respiro solo quando il suo corpo le comunicò un impellente bisogno di ossigeno.
- Scusa, ma da dove hai pescato tutte queste informazioni sugli usi umani?
Altri venti secondi infiniti. Un’altra piccola apnea del comandante.
- Non puoi accusarmi di averla ingannata! Come facevo a saperlo? - esclamò Garrus in tono incerto.
- Se mi fosse venuto in mente mi sarei informato, Sol - precisò il turian con palese irritazione, calcando le parole come se le stesse incidendo su una parete con un coltello affilato.
“Ma informato su cosa?” si chiese Shepard, senza accorgersi che era passata a rosicchiarsi l’unghia del medio della mano sinistra, dopo aver accuratamente rifilato con i denti tutta l’unghia dell’indice.
- Se quello che dici è vero, dovrò riflettere... Non credo di voler fronteggiare una Shep arrabbiata... - osservò il turian, concludendo la frase con una breve risata nervosa.
Altri trenta secondi che alla Shep in questione sembrarono un paio di ore. Si fissò le mani. C’erano volute due settimane per avere delle unghie decenti e in pochi secondi aveva distrutto il frutto di tutto quel lavoro...
- Nell’ultimo anno?... Uhm… forse quattro. Non si trovano molte femmine della nostra razza in giro e io passo quasi tutta la mia vita a bordo di una nave in cui sono l’unico turian…
Dieci secondi che Shepard utilizzò per trovare un senso alternativo a quella frase che sembrava suggerirle un sospetto decisamente sgradevole.
- E’ inutile ripetere il concetto, Sol! - esclamò Garrus con veemenza, ma anche con stanchezza - Non sono stupido, tutt’al più puoi accusarmi di ignoranza... - concluse, mentre Shepard se lo immaginò prendersi la testa fra le mani, come faceva quando era esausto e stressato.

Venti secondi di pausa, che lei impiegò per spegnere la luce e tornare sul letto, avvoltolandosi nell’abbraccio accogliente delle lenzuola. Erano di fattura turian, ma erano calde e morbide, nonostante fossero estremamente resistenti.
- Ecco, sì… ora magari pretenderai addirittura che io ti ringrazi per avermi avvertito - pronunciò la voce di Garrus in tono ironico - Cosa devo risponderti? Immagino che per gli umani possa essere diverso... - concluse in tono esasperato.
Cinque secondi. Minuscole briciole di tempo che però sembrarono pesarle addosso come macigni, togliendole il respiro.
- Va bene, prometto: mi informerò dei dannati costumi degli stramaledetti um... - e qui la frase si interruppe bruscamente, per proseguire in tono completamente diverso - Sol? Cosa succede?
Tre secondi. Shepard si mise a sedere sul letto, inquieta.
- Sol? Mi senti?... Sol? - chiese più volte Garrus, con ansia.
Poi l’imprecazione - Dannazione! - esplose nella cabina del comandante, seguita a breve dal rumore di un colpo secco e violento.
Shepard pensò che Garrus avesse tirato un altro pugno sulla parete, preoccupato per l’improvvisa interruzione della trasmissione.
- Chiudi il canale, IDA - sussurrò, tornando a sdraiarsi e ad avvolgersi nelle lenzuola, imponendosi di non pensare a nulla di quanto aveva appena sentito.
Si era fatto tardi e il suo programma per l’indomani mattina, una volta effettuato l’attracco sulla Cittadella, prevedeva impegni notevoli, anche se per prima cosa sarebbe passata in ospedale. Successivamente avrebbe dovuto incontrare persone che potevano essere determinanti per aumentare considerevolmente l’entità delle forze alleate poste sotto il comando dell’ammiraglio Hackett. Non poteva farsi distrarre da questioni personali, nemmeno se riguardavano il turian.

- IDA, dove sono tutti? - chiese Garrus nella tarda mattina del giorno successivo, dopo aver completato i controlli delle apparecchiature nella batteria primaria. Uscendo dalla porta non aveva incontrato alcun membro dell’equipaggio in sala mensa e dopo essere salito al ponte 2 aveva scoperto che la sala tattica e perfino la postazione di Joker erano deserte.
- La quasi totalità dell’equipaggio è sbarcato sulla Cittadella da un paio di ore - rispose la voce della IA dagli altoparlanti.
Garrus trovò un po’ inquietante quell’inatteso silenzio, appena disturbato dal ronzio lieve delle poche apparecchiature tuttora in funzione. Anche le luci all’interno della nave erano quasi tutte spente, segno che la Normandy aveva i motori spenti ed era attraccata da parecchio tempo. “Non mi sono neppure accorto che avessimo attraccato, accidenti ai discorsi di Sol” si disse, ripromettendosi però di mantenere la promessa, fatta alla sorella, di indagare sui costumi degli umani.
- Ho avuto quasi paura che neanche tu fossi a bordo - scherzò poi, mentre cercava di pensare quale persona dell’equipaggio fosse in grado di rispondere ai suoi interrogativi.
- In realtà la mia persona fisica si trova al mercato del Presidium - rispose la IA che effettivamente stava utilizzando il corpo della dottoressa Eva per studiare il via vai di gente che si accalcava intorno ai terminali dei diversi negozi o i gruppetti di persone che indugiavano sulle panchine sparse un po’ ovunque in quel settore, godendosi la splendida giornata di sole artificiale in compagnia di Joker.
- Dov’è Shepard? - chiese Garrus, sicuro che anche il comandante non si fosse trattenuto a bordo, ma avesse approfittato della sosta sulla Cittadella per sbrigare qualche faccenda importante.
- Non conosco la sua posizione attuale, ma quando abbiamo attraccato ha preso un trasporto per l’Huerta Memorial Hospital.
- Qualcuno è ancora qui a bordo?
- La dottoressa Liara T’soni è nel suo laboratorio, il dottor Mordin Solus sta riposando negli alloggi dell’equipaggio.
- Grazie IDA - concluse Garrus avviandosi verso la stanza occupata dalla asari.

- Ciao Liara, ti disturbo? - chiese il turian bussando leggermente all’uscio chiuso. La porta si spalancò immediatamente e Glifo si spostò da una parte invitandolo ad entrare.
- Hai idea del motivo per cui Shepard è andata all’ospedale sulla Cittadella? - chiese Garrus a Liara, che sollevò il viso dal monitor e lo guardò con espressione distratta, con i pensieri rivolti all’ultima notizia riguardante uno dei suoi agenti, probabilmente ucciso nel corso di un attacco dei Razziatori su un pianeta lontano.
- So che Thane è ormai costretto a passare lì molte ore ogni giorno, dato che il progredire della sindrome di Kepral ha aggravato le sue condizioni di salute. Probabilmente Shepard sarà passata a salutarlo. E di certo sarà andata a visitare il maggiore Kaidan, che è finalmente uscito dal coma clinico a cui lo avevano sottoposto i medici come misura di sicurezza. Pochi giorni fa le aveva inviato un messaggio pregandola di andare a trovarlo.
- Kaidan ferito? E quando?
- Durante la prima missione di Shepard dopo il processo, quella su Marte. Pensavo lo sapessi...
- Veramente non so nulla: né della missione su Marte, né di Kaidan. Non sapevo neppure della sua promozione a maggiore - rispose il turian un po’ stupito.
- Credo che Shepard e il maggiore si siano incontrati sulla Terra prima dell’attacco dei Razziatori. Il comandante era con lui e James quando ci siamo ritrovate. Nello scontro finale contro l’androide di Cerberus, Kaidan si è fatto quasi uccidere per salvarci la vita. Lo abbiamo dovuto portare d’urgenza sulla Cittadella: ero quasi certa che sarebbe morto.

Garrus restò lungamente in silenzio dopo lo stringato riassunto della asari, cercando di elaborare le tante informazioni appena ricevute, mentre fingeva di dare un’occhiata ai vari strumenti che occupavano buona parte delle pareti della stanza dell’Ombra.
Ricordava perfettamente la breve storia d’amore che c’era stata fra Kaidan e Shepard, quando erano a bordo della Normandy SR1, così come ricordava il loro successivo incontro su Horizon, ma quello che era successo dopo non gli era stato ancora mai raccontato. Gli sembrò strano e inquietante che Shepard non gliene avesse mai fatto parola.
Provò a immaginarsi quei due umani sulla Terra, sotto il fuoco dei Razziatori, accomunati dalla sofferenza e dalla disperazione, ed ebbe un brivido lungo la schiena nell’immaginarsi il maggiore che cercava di confortare il comandante, o viceversa... Forse Kaidan le aveva chiesto perdono e forse lei glielo aveva accordato.
Poi fantasticò sul maggiore Alenko nell’atto di proteggere con il proprio corpo quello di Shepard, prima di cadere gravemente ferito al suolo, come un vero eroe. Conosceva il comandante e poteva immaginare quanta pena avesse provato in quel momento. Non riusciva ad accettare la morte di uno sconosciuto, figurarsi quella di un membro del suo equipaggio, che era stato anche il suo ragazzo... Sentì che i brividi lungo la schiena si moltiplicavano, ma non si rese conto del movimento ripetuto dei suoi cheliceri, che producevano un suono lieve, ritmico e raschiante.

Liara lo fissò interdetta, incerta se chiedere cosa gli fosse successo o aspettare che lui parlasse di sua spontanea volontà. Dopo qualche secondo lui le chiese - Sai se Kaidan ha finalmente realizzato di essersi comportato da vero stupido su Horizon?
- Con quelle frasi lui ha perso Shepard, questo è sicuro. E lo sai anche tu, non credo ti serva una conferma. Non so però se si sia pentito… Di certo mi è sembrato diverso, su Marte. Era più sicuro di sé, più determinato - replicò la asari.
- Kaidan forse è pazzo, ma non è stupido, anche se su Horizon può essersi comportato come tale - puntualizzò Garrus, avviandosi verso la porta della stanza di Liara, scuotendo la testa con espressione assorta e continuando a contrarre ritmicamente le mandibole.

Prima che facesse in tempo a varcare l’uscio, la lieve pressione di una mano sulla spalla spinse il turian a voltarsi, trovandosi a fissare i grandi occhi della asari.
- Non essere tu lo stupido, ora, Garrus. Kaidan può anche aver perso Shepard su Horizon, grazie alle sue accuse idiote, ma sarebbe successo comunque, prima o poi - cercò di rassicurarlo Liara che, dopo una breve pausa, riprese in tono animato - Non so se lui la ami ancora oppure no. Non ne ho idea. Come si può non amare Shepard? Lei ti travolge e ti affascina...
- Hai mai pensato che è una specie di Ardat-Yakshi umana? - gli chiese Liara con un sorriso divertito - La seguiresti ovunque, affidando la tua vita nelle sue mani senza quasi pensarci.
La asari restò un attimo in silenzio, poi continuò a parlare, questa volta con un velo di tristezza e di rammarico - Ma né Kaidan né io siamo quello di cui Shepard ha bisogno. E lei lo sa benissimo, Garrus.
- Preferisco aspettarmi sempre il peggio - rispose il turian - si corre solo il rischio di rimanere piacevolmente sorpresi.
Si fermò un attimo a pensare e poi le chiese - Vorrei fare un giro sul Presidium, tanto per passare qualche ora. Ti va di tenermi compagnia? Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria o diventerai una Matrona prima del tempo…. E poi - aggiunse con espressione assorta - avrei qualche domanda sui costumi umani...

Più tardi, mentre Garrus e Liara si trovavano di fronte al terminale di uno dei tanti negozi del mercato sul Presidium, Shepard li raggiunse, salutandoli con un’allegria inaspettata e con un’espressione insolita di felicità.
Il suo arrivo troncò un confronto animato, nel corso del quale Garrus aveva appreso come in genere gli umani non avessero relazioni intime multiple, al contrario di quello che invece era prassi comune per la sua civiltà. Liara era rimasta stupita e delusa che lui non avesse avvertito il comandante di quelle differenze così marcate fra la civiltà umana e quella turian, e lo aveva letteralmente ricoperto di aspri rimproveri, tanto da risplendere di quella inquietante luce azzurra biotica da capo a piedi.
Solo l’aria di genuina sorpresa di Garrus nel rendersi conto della sua ignoranza era riuscita a tranquillizzarla abbastanza da smettere di brillare come un’insegna pubblicitaria, attirando su di loro lo sguardo stupito dei passanti occasionali, ma nel momento in cui Shepard si era avvicinata, la asari stava ancora sgridando aspramente il turian che continuava a difendersi con sempre minore energia, anche se non riusciva a capire perché dovesse essere lui quello in torto: lui non si era occupato di studiare i costumi umani, era vero... ma nemmeno Shepard doveva aver studiato quelli turian...

- Cosa state comprando? - chiese il comandante con voce squillante, senza far caso al fatto che al suo arrivo inaspettato i due suoi amici si fossero bruscamente interrotti e avessero assunto un’espressione quasi colpevole.
- Garrus ti ha appena fatto recapitare in cabina un distributore automatico di mangime per i pesci - rispose Liara abbracciando il comandante, felice di vederlo tanto soddisfatto e rilassato per la prima volta dopo tanti giorni.
- A dire il vero è più un regalo per me che per te - puntualizzò Garrus con un sorriso - avevo dovuto mettere un timer nella batteria primaria per evitare che i tuoi stupidi pesci morissero di fame.
Poi aggiunse - Ti va di raccontare la tua giornata sulla Cittadella di fronte a una succulenta bistecca nel ristorante panoramico qui vicino? E’ quasi ora di cena.
- Affare fatto! - esclamò Shepard con entusiasmo, cingendo Garrus con il braccio sinistro e Liara con il destro e avviandosi con un passo leggero, che sembrava quasi di danza.
Lui le lanciò qualche occhiata perplessa chiedendosi se il colloquio con Kaidan potesse spiegare quella inusuale allegria che lo stava mettendo a disagio.

- Ricordi Aria? - chiese d’un tratto Shepard a Garrus verso metà della cena.
- Archangel difficilmente scorderà quella asari... - rispose il turian con un sorriso divertito. Shepard sorrise a sua volta, rivivendo in pochi secondi gli avvenimenti su Omega, e le venne istintivo allungare la propria mano destra per stringere con forza la sinistra del turian, in uno di quei rari gesti di affetto a cui difficilmente si abbandonava quando non erano soli.
Liara non si lasciò sfuggire l’occasione per lanciare a Garrus un’occhiata significativa, che gli comunicava chiaramente lo vedi quanto sei stupido?
- Aria ha messo al servizio dell’Alleanza tutte e tre le bande mercenarie di Omega. Tutti i vecchi nemici di Archangel combatteranno al nostro fianco, insomma - annunciò Shepard con soddisfazione - A dire il vero sto ancora combinando con i Sole Blu, perché per concludere l’affare devo uccidere un generale turian o procurarmi qualche prezioso manufatto… Credo che la seconda soluzione sia preferibile, anche perché i turian ultimamente mi stanno insolitamente simpatici… - ridacchiò Shepard, dopo essersi gustata il lieve sobbalzo di Garrus all’annuncio del possibile assassinio di un suo generale.
Liara guardò nuovamente verso di lui, scuotendo la testa con aria di sufficienza e di leggero compatimento.

- E cosa mi racconti di Kaidan? - chiese verso la fine della cena la asari, per aiutare il turian a mettere una pietra sopra a tutti i suoi dubbi residui.
- Oh, già… credo di non averti mai raccontato nulla di lui, Garrus, e neppure l’Ombra può conoscere le ultime novità - affermò Shepard con una breve risata, versandosi mezzo bicchiere di vino.
Lo bevve d’un fiato e si appoggiò allo schienale della sedia, cominciando a raccontare.
- Ho incontrato Kaidan nella sede del Comitato di Difesa dell’Alleanza sulla Terra, pochi istanti prima dell’attacco dei Razziatori. Per ordine dell’ammiraglio Hackett ci siamo diretti su Marte con la Normandy e, fin dall’inizio della missione, ci siamo resi conto che l’attacco alla struttura era opera di Cerberus.
- Kaidan mi ha fatto un lungo interrogatorio circa i miei rapporti con l’Uomo Misterioso ed è stato veramente insistente e sgradevole, non molto diverso da quella volta su Horizon. Alla fine è intervenuto perfino James per dimostrargli quanto infondati potessero essere i suoi sospetti, facendogli presente che ero rimasta rinchiusa in un dannato appartamento, senza poter avere alcun tipo di contatto con l’esterno… figurarsi con Cerberus…

A questo punto Shepard fece una pausa e Garrus ne approfittò per versare a tutti un altro bicchiere di vino, mentre Liara chiese ad un cameriere di passaggio quali dessert avessero quella sera.
- Alla fine della missione, dopo che James aveva speronato con la navetta da sbarco il veicolo guidato dalla dottoressa Eva, Kaidan si è fatto quasi ammazzare per evitare che io e Liara venissimo uccise da quella bastarda. Lo abbiamo trasportato il più velocemente possibile sulla Cittadella e da allora è rimasto in coma. Ha ripreso conoscenza pochi giorni fa e mi ha scritto chiedendomi di andarlo a trovare - aggiunse con tono rilassato, mentre Garrus non si stava perdendo neppure una parola, anche se fingeva di essere terribilmente interessato al contenuto del suo bicchiere.
- Si è scusato per le sue accuse infondate su Horizon e su Marte, mi ha chiesto un parere sulla sua nomina a Spettro e poi ha voluto che chiarissimo i nostri rapporti personali. Questo è tutto - concluse prendendo in mano il bicchiere che le aveva riempito pochi minuti prima Garrus.

- E cosa gli hai risposto? - chiese a questo punto Liara, perché provava un affetto sincero per quel turian un po’ impacciato che le sedeva accanto in silenzio, senza osare far domande che lo riguardavano troppo da vicino. Conoscendolo, era ovvio che si stesse prefigurando la peggiore situazione possibile, in linea con il suo abituale approccio al mondo esterno.
- Gli ho risposto che se pure comprendevo il motivo per cui mi aveva rivolto quelle accuse, speravo di non dover più sentire niente del genere in futuro. Gli ho anche consigliato di accettare la nomina a Spettro: è un buon soldato e se lo merita.
Dopo quest’ultima frase Shepard restò in silenzio, bevve il vino e poi guardò il volto del turian che in quel momento stava fissando un punto imprecisato dell’orizzonte con un’aria fintamente distratta che la fece sorridere.
- Sapeva di noi, Garrus, e voleva capire quanto seria fosse la nostra storia.
A questo punto smise di parlare e si appoggiò contro lo schienale della sedia, aspettando pazientemente che lui si decidesse a guardarla, comprendendo i timori del turian.

Quando Garrus si rese conto che il comandante era in attesa, smise di fissare l’orizzonte e finalmente lo guardò negli occhi. Shepard sorrise leggermente e si decise a smettere di tenerlo sulle spine.
- Credo prevedesse la mia risposta. In ogni caso dovevo essere sincera e non lasciargli false speranze. Sono felice che abbia accettato di far comunque parte del nostro equipaggio. Non ci raggiungerà immediatamente perché ha delle faccende personali in sospeso, ma potremo contare su di lui nello scontro finale contro i Razziatori.
Alla fine di questa frase Shepard si alzò e si diresse verso la cassa del ristorante dicendo in tono che non ammetteva repliche - stasera offro io perché voglio festeggiare una giornata che mi ha portato solo buone notizie.
Garrus guardò la snella figura della comandante che si avviava con quel passo leggero che le era abituale quando non era appesantita dall’armatura e sorrise soddisfatto. Poi sbirciò Liara, accorgendosi che lei lo stava fissando. L’asari aveva aspettato che Shepard si allontanasse per concludere il discorso che stava facendo con il turian davanti al negozio, prima che l’arrivo del comandante la costringesse ad interrompersi.
- Io posso anche essere convinta della tua buona fede, Garrus, ma adesso sai come stanno le cose. Vedi di non fare lo stupido: gli usi turian e quelli umani sono diversi. Spiegale almeno le differenze, perché non ce la vedo ad accettare tranquillamente che tu vada appresso a qualunque sottana... Non farla soffrire. Non è questo il momento per crearle problemi, lo sai benissimo anche tu - fu l’ultima ramanzina della asari, che il turian accettò a capo chino.

Più tardi, nell’abbraccio accogliente e rilassante della sua batteria primaria, Garrus ripassò nella mente il contenuto dei colloqui avuti con Solana e con Liara. Poi ripensò alla paura che aveva provato nell’immaginarsi che i rapporti fra Shepard e Kaidan potessero riprendere da dove si erano interrotti e, avvolgendosi nel tepore della piccola coperta, decise che il giorno successivo avrebbe parlato con il comandante, compiendo l’azione più sconsiderata di tutta la sua vita.
Si rassicurò al pensiero che quella decisione, in grado di cambiare la sua vita, era semplicemente inevitabile e che quindi sarebbe stato del tutto inutile provare a valutarla nei pro e nei contro e si provò ad addormentare, con l’animo turbato, ma fermamente deciso a effettuare quel passo.



*****
Nota
Ho leggermente modificato i dialoghi fra Liara e Garrus per renderli più verosimili, alla luce delle osservazioni di Johnee, che ringrazio di tutto cuore per l'attenzione che mi ha prestato e per la sua sincerità.

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Capitolo 5
*** ... e costumi ***


… E COSTUMI


Profondo Blu


La Normandy era attraccata all’hangar D24 già da un paio di giorni e vi sarebbe restata per un altro po’ di tempo: era necessario effettuare varie riparazioni di routine e provvedere ai rifornimenti ma, soprattutto, Shepard aveva bisogno di tempo per incontrare alcune persone che avrebbero potuto fornire supporto durante l’attacco finale contro i Razziatori.
Prima di sbarcare, il comandante era passato nella batteria primaria, per salutare Garrus. Per tutta la notte, passata in un dormiveglia agitato, lui aveva fantasticato di riuscire a parlarle quel giorno stesso, provando a immaginare quali parole usare. Così, appena la vide, le chiese come intendesse trascorrere quella terza giornata di forzato riposo.
- Devo incontrare diverse persone e so già che alcuni colloqui risulteranno sgradevoli, come per esempio quello con il Consigliere Dalatrass, che di sicuro vuole parlarmi a proposito della cura della genofagia… - rispose Shepard con aria rassegnata.
- E ovviamente preferiresti affrontare mutanti, banshee e bruti o addirittura qualche razziatore, magari di piccola taglia… - la prese in giro Garrus, aggiungendo - Peccato. Avrei voluto proporti un piccolo diversivo, ma aspetterò domani, se sarai più libera.
- Lo spero proprio - si augurò Shepard con espressione afflitta - Tu cosa farai?
- Andrò a dare un’occhiata nella zona dei rifugiati - rispose con un lieve sorriso, mentre il comandante usciva dalla porta con un’aria adatta ad un funerale.

Poi tornò serio. Durante la notte, che aveva passato praticamente in bianco, si era convinto dell’opportunità di una decisione che però ancora lo turbava: avrebbe chiesto a Trinity di essere la sua compagna.
Dopo il discorso con Sol e le discussioni con Liara, sembrava l’unica strada percorribile, ma per un turian quella decisione equivaleva ad un cambiamento drastico e lui aveva ancora qualche vaga incertezza residua. Forse era addirittura meglio che Shepard fosse impegnata, così avrebbe avuto un’altra giornata per riflettere.
Dalle informazioni ottenute dalla asari era conscio che non ci fosse nulla che assomigliasse a quel passo nella cultura umana e ora non riusciva a liberarsi da una sottile sensazione di disagio e da una buona dose di preoccupazione.
Solana lo aveva spinto in tal senso, ma dubitava fortemente che suo padre potesse approvare. Shepard rappresentava tutto quello che Rennok(1) detestava: era un’umana ed uno Spettro. Difficile immaginare una combinazione più inopportuna di quella. E di sicuro suo padre conosceva benissimo usi e costumi degli umani. E altrettanto sicuramente non poteva accettarli. A dire il vero, anche a lui sembravano inammissibili.
“Ma Shepard è Shepard, non è un’umana qualsiasi” si ripeté ancora una volta, cercando di trovare la fermezza necessaria per affrontare il prossimo colloquio con il padre.

- Aspetta qualche tempo. Non dirglielo. Siamo in guerra… - gli aveva suggerito la sorella con una risposta telegrafica quando, pochi minuti prima, le aveva mandato un messaggio privato, esternandole i suoi dubbi circa le probabili reazioni di Rennok, ma Garrus aveva stabilito che, guerra o non guerra, dovesse assumersi tutte le conseguenze di quella sua decisione.
Dette un’occhiata al quadrante dell’orologio, stabilì che era un orario accettabile su Palaven e chiese a IDA di attivare una comunicazione audio con il centro di raccolta dei rifugiati in cui prestava servizio il padre e dove sua sorella si era rintanata fin dall’inizio dei combattimenti sul pianeta.
Per qualche istante provò la vergognosa speranza che le comunicazioni fossero interrotte, come capitava quasi sempre, ma questa volta l’addetto alle trasmissioni lo mise rapidamente in contatto.

- Ciao papà - lo salutò con quel tono un po’ distaccato che rivelava la scarsa familiarità dei loro rapporti.
- Ciao figliolo - rispose suo padre con un tono simile.
- Come va lì?
- Come al solito, purtroppo. Cerchiamo di mandare in zone più protette tutti i civili che affluiscono qui al centro, ma le navi non bastano mai. Tua sorella rifiuta di andarsene: non vuole lasciarmi solo. Al momento siamo abbastanza al sicuro, ma non so quanto durerà. Il fronte dei combattimenti è vicino e ogni giorno perdiamo terreno - rispose Rennok con tono rassegnato. Poi aggiunse - Mi hai chiamato solo per questo? - sicuro che ci fosse qualche novità di rilevo: gli era difficile immaginare suo figlio che si metteva in contatto con lui solo per avere informazioni che si sarebbe potuto procurare in altro modo.
- Uhm... ecco, io dovrei comunicarti una mia decisione...
- Ti ascolto.
- Ho trovato la mia compagna. Mi sembrava giusto fartelo sapere, anche se dubito che sarai contento.
- La conosco? - chiese Rennok, senza nessuna particolare inflessione, come se il figlio stesse parlando della temperatura che faceva nella stanza. In realtà si era accasciato su una sedia, prendendosi la testa fra le mani, con l’impulso di mettersi a urlare.
- Non di persona... di nome sì.
Seguì un lungo silenzio che Garrus impiegò cercando disperatamente di pensare a quali parole potessero essere adeguate per una comunicazione di quel genere, mentre Rennok cercava di prepararsi ad affrontare ciò che sapeva inevitabile.
Quando suo figlio era venuto a parlargli dei Razziatori e gli aveva raccontato tutta quella storia incredibile, quello che lo aveva più colpito era il sentimento che Garrus nutriva per l’umana sotto il cui comando aveva combattuto per tanto tempo. Lo aveva compreso dai suoi racconti, dal tono che aveva usato, dalla sua gestualità, senza che lui glielo rivelasse a parole.

Suo figlio era identico a Halia, e quel giorno lui aveva rivisto la moglie nei gesti e nelle frasi di Garrus. Anche lei spezzettava le parole in maniera confusa, anche lei si muoveva a scatti quando affrontava un argomento che la emozionava profondamente, mentre il suo collo delicato diventava di quel blu acceso che lo aveva sempre fatto sorridere tanto.
E le somiglianze fra madre e figlio non finivano certo lì. Rennok rivedeva sua moglie ogni volta in cui Garrus si comportava in maniera tanto poco consona a un individuo della sua razza. Halia era stata la turian meno turian che lui avesse incontrato nella sua vita ed era stato questo, forse, il motivo per cui ne era rimasto letteralmente affascinato e l’aveva amata così totalmente e intensamente, fino alla sua morte.
Così si ritrovava ad amare quello strano figlio con la stessa intensità, ma senza essere capace di farglielo capire, senza essere mai riuscito a dimostrargli l’affetto che provava. E ora lui stava rischiando di farsi del male e Rennok comprendeva perfettamente che non sarebbe riuscito a fermarlo in alcun modo.
“Spiriti, Garrus!” gli avrebbe voluto gridare “non puoi mettere la tua vita nelle mani di un’umana! Loro sono troppo diversi! Ti farà male... Forse lo farà senza accorgersene, ma lo farà, ne sono certo... e io non voglio che tu soffra...”.

- Papà, ci sei? - chiese Garrus con voce incerta, sperando vigliaccamente che la comunicazione audio si fosse interrotta.
- Sì - rispose Rennok sapendo che la voce gli si sarebbe spezzata se avesse osato pronunciare una risposta appena più lunga. Prese fiato, cercò di imporsi calma e autocontrollo, mentre aspettava l’inevitabile precisazione del figlio.
- E’ il comandante Shepard, papà - confessò Garrus, optando infine per una dichiarazione stringata, preparandosi alla reazione paterna.
- Stai facendo un errore, figliolo - fu la risposta immediata, seguita da qualche secondo di silenzio. Poi Rennok aggiunse stancamente - Ma so che sarebbe inutile tentare di fermarti: mi diresti che è la tua vita e non la mia - concluse freddamente.
- E’ così, papà - rispose Garrus, stupito di non dover fronteggiare una discussione che si sarebbe rivelata tanto dura quanto inutile.
- Le hai già parlato? - chiese ancora il padre, nella speranza che fosse quella donna, a lui nota solo di fama, a porre fine a quella storia assurda. Forse lei avrebbe rifiutato, rendendosi conto delle differenze troppo evidenti e ineliminabili fra le loro razze.
- Non ancora.
- Va bene Garrus, mi aspetto che mi terrai aggiornato. Ora devo uscire, sono in ritardo, e qui c’è molto da fare, come puoi immaginare... - concluse troncando la comunicazione, rimproverandosi perché, ancora una volta, non aveva saputo trovare il modo per aiutare quel suo figliolo fuori di testa.

Solana, che aveva spiato la conversazione, immaginando che Garrus avrebbe chiamato, si avvicinò al padre e provò a tranquillizzarlo - Lui la ama davvero, papà - lo rassicurò, accoccolandosi sulle sue gambe. Rennok la abbracciò, sapendo che sua figlia non avrebbe mai fatto un errore simile a quello del fratello, ma che adorava Garrus al punto da seguirlo stupidamente in qualunque follia. Non lo avrebbe aiutato.
- Lo so benissimo, Sol. E’ proprio questo il problema, non credi?
Poi aggiunse - Nemmeno tu la conosci, non sappiamo se lei ricambia allo stesso modo. No, anzi, io so che non può ricambiare allo stesso modo. E’ un’umana, Sol, e gli umani sono troppo volubili e insicuri. Sono il caos e il disordine: non hanno alcuna disciplina. Sono inaffidabili - concluse appoggiandosi allo schienale della poltrona: odiava sentirsi così impotente.

Dopo la chiusura del collegamento, Garrus si prese qualche secondo per ripensare alla conversazione avuta con il padre. Prima di chiamarlo non sapeva bene cosa si dovesse aspettare e ora era solo perplesso dalla reazione di Rennok. Non riusciva a capire se fosse andata meglio o peggio del previsto, ma forse non era importante.
Aveva fatto la comunicazione di rito, così come avrebbe fatto un buon figlio turian. Ora poteva andare avanti e parlare con Trinity alla prima occasione. Decise di sbarcare dalla Normandy e di avviarsi verso la zona dei rifugiati per fare qualcosa di produttivo in quella inutile giornata di riposo che non sapeva proprio come utilizzare.

Arrivato presso il settore della Cittadella in cui si radunavano i fuggiaschi che continuano ad affluire sempre più numerosi dalle varie regioni della galassia, Garrus si diresse nell’area di quelli provenienti da Palaven, per occuparsi dell’assistenza ai nuovi arrivati.
Stava ripensando alla sua decisione di fare la proposta più fuori di testa di tutta la sua vita al comandante, quando l’esclamazione improvvisa - Garrus, sei proprio tu? - lo fece girare all'istante, in cerca della persona che lo aveva chiamato fra la folla.
Individuò abbastanza rapidamente una ragazza turian e le andò incontro con un sorriso, poi la abbracciò e le chiese quando fosse giunta sulla Cittadella.
- Sono sbarcata proprio stamattina. Ho notato la Normandy attraccata poco lontano dalla nave su cui ho viaggiato e speravo di poterti incontrare prima che ripartissi. Sono passati degli anni dall’ultima volta che ci siamo visti e tu devi aver passato dei brutti momenti da allora, a giudicare dalle cicatrici che ti si vedono in faccia. E suppongo che ne avrai molte anche sotto l’armatura che indossi - gli rispose lei con uno sguardo malizioso.
- Sono stati anni pieni. Di certo non ho avuto il tempo di annoiarmi. Come stanno i tuoi? Hai viaggiato con loro? - le chiese Garrus, lieto di ritrovare una vecchia e cara amica a tanta distanza dal suo pianeta natale.
- Solo con mia madre, ma appena atterrata mi ha lasciato qui per mettersi a cercare una sua cugina, che dovrebbe essere arrivata sulla Cittadella già da parecchie settimane. Mio fratello è caduto su Menae e mio padre è disperso - rispose la turian con un’espressione che era diventata improvvisamente triste.
- Mi spiace, Lietka, non sapevo di tuo fratello e nemmeno di tuo padre. Ho lasciato Menae parecchio tempo fa, ormai. Già allora la situazione era disperata e di certo non ci saranno stati miglioramenti.
- Mi accompagni a fare un giro? Ho bisogno di distrarmi un po’ e mi farebbe comodo se mi dessi una mano ad orientarmi in tutta questa calca. Ma è sempre così affollato questo settore?
- Ultimamente sì e, più il tempo passa, più diventa difficile trovare spazi adeguati per accogliere tutti i rifugiati. La situazione non potrà che peggiorare, purtroppo. Dai, andiamo, ti porto in un settore diverso. Vedrai che ci sono ancora molte zone della Cittadella in cui è piacevole fare shopping e fermarsi a bere qualcosa o a riposare su una panchina ascoltando le chiacchiere della gente - le rispose, prendendola per mano e guidandola fuori dalla folla.

Essendo in compagnia di Garrus, a Lietka venne permesso di spostarsi a piacimento nella stazione spaziale e i due turian passarono le otto ore successive esplorando i vari settori, in modo che in seguito lei potesse orientarsi senza eccessive difficoltà. Pranzarono anche insieme, comprando degli spuntini che mangiarono seduti su una panchina, lungo una delle rive del laghetto del Presidium.
Durante quelle ore parlarono a lungo di tanti argomenti diversi, ma cercarono di accennare il meno possibile agli scontri a fuoco, concentrandosi invece su aneddoti di amici in comune e sui ricordi dei due anni passati nella stessa città per ultimare gli studi. In quel periodo erano usciti per lungo tempo insieme, ma senza che la loro relazione diventasse stabile, ossia senza dover rinunciare alla compagnia di altri partner, in linea con gli usi abituali dei turian.

Dopo quel pranzo Garrus utilizzò le sue conoscenze per rimediare un piccolo appartamento in affitto, e Lietka lo invitò ad inaugurare quella sua nuova sistemazione in una delle zone periferiche della Cittadella.
Quando arrivarono nel piccolo salottino lei gli si avvicinò sorridendo e, come se fosse il gesto più naturale del mondo, appoggiò le mani ai lati del collo di Garrus, accarezzandogli con le dita la pelle. Lui però si ritrasse istintivamente.
- Oh! - osservò Lietka in tono sorpreso, facendo un rapido passo indietro - non sapevo ti fossi sposato. Ti chiedo scusa.
- Non sono sposato - precisò Garrus sentendo che il collo gli diventava di quel blu acceso che lui temeva tanto.
- Però sei vincolato... immagino - osservò lei, guardandolo con incertezza, terribilmente spiacente di aver commesso quell’indelicatezza così grave fra la loro gente.
- Quasi… E’… complicato, Lietka.
- La conosco?
- Uhm, no… Sì… Non lo so... Probabilmente la conosci di nome - rispose Garrus, che avrebbe voluto poter scappare rapidamente da quella stanza.
- Dai, dimmi chi è - gli chiese lei, tutta eccitata all’idea che uno dei suoi più cari amici si fosse deciso al grande passo.
- Uhm… il mio comandante.
- Ma chi?... Shepard??? - fu la domanda che Lietka pronunciò mentre i suoi occhi azzurri si spalancavano in uno stupore genuino.
- Uh, uh - rispose Garrus, sentendo che il sangue gli affluiva nuovamente al collo.
- E’… umana. Non puoi… Cioè… siete impazziti? - gli chiese Lietka, rimanendo a bocca aperta.
- Beh, a dire il vero… lei ancora non lo sa. Volevo dirglielo... oggi. Poi, invece... Aveva degli impegni e allora… - biascicò lui confusamente, guardando il pavimento.

- Tu sei pazzo, Garrus. Sei completamente folle - gli ripeté la turian - in effetti lo sei sempre stato - ammise infine, ridendo divertita.
- Però… - riprese a dire con un’espressione maliziosa - in realtà non sei ancora ufficialmente impegnato… no? - tornando ad avvicinarsi a lui con un’espressione che non lasciava dubbi.
- Uhm, no… però non mi pare il caso - le rispose, facendo un paio di incerti passi all’indietro.
- Sarebbe come la festa umana di addio al celibato, non credi? - gli sussurrò lei, continuando ad avvicinarsi con uno sguardo provocante.
- Non so di che diavolo di festa parli... - rispose Garrus fissandola perplesso.
Dopo l’esauriente spiegazione di Lietka lui sbottò - Spiriti! Ma possibile che tutti conoscano le dannate usanze umane e proprio io non ne sappia nulla?
Lietka lo prese in giro per un po’ e poi lo convinse (senza troppe difficoltà, a dire il vero) a seguirla nella stanza da letto attigua.

Avevano sempre avuto un’ottima intesa fra di loro, soprattutto sul piano sessuale, e Garrus restò un po’ stupito nel sentirsi leggermente impacciato, quasi a disagio, come se avesse perso l’abitudine a fare sesso con una femmina della sua stessa razza.
Per molto del tempo che trascorsero a giocare fra le lenzuola, Garrus continuò a tornare con la mente a Trinity e all’immagine del suo corpo, così differente da quello turian, e si arrese alla constatazione che avrebbe preferito fare l’amore con lei. L’aspetto più inatteso era che questa preferenza era dettata non solo da motivazioni sentimentali, che poteva accettare e comprendere come ovvie e banali, ma da oscure considerazioni puramente fisiche, da misteriose reazioni istintive e incontrollabili del suo stesso corpo.
Fu in quell’occasione che Garrus si rese pienamente conto di quanto Trinity significasse per lui, della saggezza del consiglio di Solana e di come la decisione che aveva preso la sera prima fosse assolutamente sensata e necessaria.

Lietka non commentò le eventuali differenze nelle prestazioni del suo antico amante, ammesso che quelle differenze ci fossero state effettivamente e non fossero semplicemente una sensazione di Garrus, e lo invitò a cena, per sdebitarsi almeno in minima parte per tutto il disturbo che lui si era preso.
- Dai, così mi fai conoscere un posto in cui non finirò avvelenata - insistette ridendo, dopo l’iniziale rifiuto del turian, che si sentiva ancora un po’ scombussolato. In realtà lui avrebbe voluto correre a rifugiarsi nella sua batteria primaria, ma alla fine si lasciò convincere.
- Veramente non sono molto pratico di ristoranti - le confessò - In genere, quando mi viene fame, torno a bordo della Normandy - proseguì - ma conosco abbastanza bene il ristorante che sta nel mercato del Presidium. So che hanno cibo adatto a noi. Ti piacerà, da lì si gode una vista insolitamente piacevole.

In effetti l’antipasto risultò delizioso e Lietka si dimostrò davvero entusiasta del panorama, come dichiarò anche a Tali(2), che sembrava essere passata per caso vicino al loro tavolo e che si era fermata a salutare Garrus.
In realtà, non appena aveva inquadrato nel suo raggio visivo la coppia turian, la quarian si era avvicinata rapidamente, ringraziando la maschera che le consentiva di celare completamente la sua espressione di stupore e disapprovazione nel notare il clima di intimità esistente fra i due.
Lietka e Garrus la invitarono a prendere qualcosa in loro compagnia, insistendo, e Tali alla fine accettò, anche se all’inizio era stata poco propensa a fermarsi.
Alla fine del pranzo Lietka ringraziò Tali per la compagnia, poi si avvicinò a Garrus e strofinò a lungo la guancia sinistra contro la destra di lui, prima di ringraziarlo per essere stato gentile e disponibile come sempre. Lo rassicurò che se la sarebbe cavata benissimo, gli augurò la miglior fortuna possibile con una strana espressione di complicità che la quarian non riuscì ad interpretare, e si allontanò tranquillamente, scomparendo ben presto nel mezzo della folla.

Tali restò immobile a fissare Garrus per un tempo così lungo che alla fine il turian le chiese in tono perplesso - Cosa c’è? Posso fare qualcosa per te?
- Garrus, ti sei mica chiesto cosa avrebbe pensato Shepard se fosse passata di qui? - gli domandò con un misto fra curiosità e biasimo, sapendo perfettamente che quel saluto fra turian equivaleva ad un appassionato bacio umano.
- Uhm, ecco… Liara ieri mi ha spiegato un po’ di cose: credo di aver capito che ci sono un po’ di differenze fra gli usi umani e quelli turian... - Comunque... - continuò in modo un po’ impacciato - anche io non sono stato proprio felice nel sapere che Shepard era andata a trovare Kaidan, in ospedale. Ma non siamo ufficialmente vincolati e siamo entrambi liberi di fare tutto quello che desideriamo.
- Garrus, Shepard ha solo parlato con Kaidan, di certo non l’ha baciato sulla bocca.
- Dici di no, eh? Anche Liara sembrava di questa tua stessa opinione...
- Ma certo che no! - rispose Tali a voce troppo alta, alzandosi addirittura in piedi, a rimarcare l’assurdità di quell’accusa, mentre tutti gli altri ospiti del ristorante si giravano a guardarli.
- Ok, non arrabbiarti e siediti, perché ci fissano tutti - la pregò Garrus, che aggiunse a voce bassa - Non sarebbe importato neppure se Shepard fosse andata a letto con Kaidan, però ammetto di aver avuto una paura fottuta che decidesse di tornare definitivamente con lui… di avere un rapporto esclusivo con lui, insomma.
- Capisco - rispose Tali con gentilezza, anche se in realtà capiva molto poco e non si sentiva affatto rassicurata dalla piega di quei discorsi - comunque sono assolutamente sicura che non l’abbia nemmeno baciato.

A quel punto tacque qualche secondo guardando Garrus con espressione incerta. Inclinò la testa fissando il turian talmente a lungo che lui si sentì nuovamente in preda ad un vistoso disagio. Poi la quarian gli puntò un dito contro, accusandolo con sicurezza - Tu, invece, quella te la sei portata a letto!
- Tali... non credo sia il caso di farlo sapere a mezza Cittadella. Sono cose un po’ riservate, sai? - le rispose sotto voce, preda di un vistoso imbarazzo, sotto lo sguardo che tutte le persone sedute ai tavoli vicini gli stavano puntando addosso.
Tossicchiò per cercare di ritrovare un minimo di contegno e poi confessò candidamente - In realtà è stata Lietka a insistere, io non ero tanto convinto.
Poi aggiunse - Non sarebbe successo nulla se Shepard non avesse avuto impegni. Volevo chiederle di essere la mia compagna, di fare coppia fissa, come dicono gli umani, ma invece lei è andata al Presidio e io ho incontrato quella mia vecchia amica fra i rifugiati… - concluse con tono di assoluta sincerità, in cerca di comprensione: da un paio di giorni si sentiva sperso in un mondo che lo confondeva.

- Non so se ho capito - osservò Tali fissando il turian con uno sguardo sorpreso che lui ovviamente non poté rilevare - intendi dire che nella vostra cultura una coppia fissa non va in giro a sbaciucchiare altre persone?
- Ma certo che no, che idea! - fu l’esclamazione scandalizzata di Garrus, che richiamò nuovamente su di loro gli sguardi degli altri commensali.
- Uhm… mi sa che le differenze con gli usi umani non sono del tutto esaurite, allora… - rispose Tali cominciando a provare un irresistibile impulso di mettersi a ridere.
- Liara mi ha raccontato che le coppie umane si possono separare, perfino dopo il matrimonio! Credo che la parola fosse... uhm... divorzio? Da noi non esiste, è semplicemente inammissibile - commentò Garrus con un tono talmente sdegnato che scatenò una lunga risata nervosa in Tali.
- Una volta che si sceglie un partner è per sempre, a prescindere da matrimonio o meno. E’ proprio una cosa che non si fa e basta. Non so come spiegartelo. Mi fa orrore anche il solo pensarlo... - aggiunse lui, incerto di riuscire a chiarire quel concetto per lui tanto ovvio ad una razza aliena.
Tali smise finalmente di ridere, cercando di orientarsi in quel panorama confuso. L’amore per l’ordine e la disciplina, l’innato senso civico e sociale dei turian, l’importanza che attribuivano al servizio pubblico, volto al soddisfacimento dei bisogni della collettività, e non del singolo individuo, portavano necessariamente a quella conclusione: la famiglia doveva logicamente essere un punto di riferimento stabile nella loro società civile.

Cercò di immaginarsi le reazioni di Shepard di fronte agli ultimi avvenimenti e alla fine decise che forse la situazione si poteva risolvere abbastanza semplicemente.
- Capisco… o almeno credo… - osservò ad alta voce - Però, per il bene di tutti, dovresti deciderti a parlare con il comandante il prima possibile.
Lui annuì con forza: era esattamente quella la sua intenzione.
Poi Tali proseguì - Ehm... sarebbe meglio che tu non dicessi nulla a Shepard riguardo a Lietka o a qualsiasi altra donna tu possa avere avuto nell’ultimo anno, da quando state insieme. Fidati… non è proprio il caso.
- Non glielo avrei comunque detto, se non me lo avesse chiesto. Non avrei avuto motivo di farlo - commentò Garrus che continuava a sentirsi a suo agio come un pesce arenato su una spiaggia.
“… E speriamo che nessuno apra bocca” si augurò Tali, sicura di aver intravisto altri membri dell’equipaggio della Normandy gironzolare intorno al ristorante panoramico “Non riesco a immaginare il comandante che ascolta questo resoconto sui costumi turian con un sorriso di comprensione sulle labbra”.
Ci fu una breve pausa che i due amici sfruttarono per cercare di comporre i tasselli di quel puzzle folle. Alla fine si guardarono e scossero entrambi la testa con perplessità, per poi scoppiare a ridere.

- Uhm, Tali, visto che siamo in argomento, posso chiederti un’altra cosa? - domandò Garrus, vedendo che la quarian aveva fatto il gesto di alzarsi dal tavolo.
- Keelah… Garrus! Ok, va bene… Dimmi - rispose lei tornando a sedersi, preoccupata all’idea che il turian restasse in argomento: si sentiva un po’ inquieta su cos’altro sarebbe potuto saltare fuori.
- Come lo chiedo a Shepard? - domandò Garrus con espressione smarrita - Se fosse una turian le domanderei di condividere la sua vita con me, di dedicarmi la sua vita, ma non so come si usi fra gli umani.
- Va bene anche per un’umana, ma… ehm, non metterti a chiarire che questo implica che le diventerai improvvisamente fedele… - aggiunse, senza accorgersi di quanto stesse continuando ad insistere su quell’aspetto della faccenda. Istintivamente immaginava che Shepard sarebbe diventata una vera furia se avesse saputo di Lietka, anche se non avrebbe saputo spiegare su cosa si basasse quella sua impressione.
- Va bene, Tali. Mi sei stata di grande aiuto. Ti ringrazio - le confessò il turian con un sorriso. Poi si alzò e si diresse a passo sereno alla cassa del ristorante, per pagare il conto della cena, prima di avviarsi verso l’ascensore, sicuramente diretto alla Normandy.

Tali restò ancora seduta e si fece portare un altro bicchiere di vino, giustificandosi con la riflessione “A questo punto ne ho proprio bisogno”. Mentre lo sorseggiava, decise che non avrebbe fatto parola di questo bizzarro colloquio con il comandante: non ce n’era alcun bisogno e avrebbe portato solo a momenti di imbarazzo e dolore inutile.
Con un po’ di fortuna tutto sarebbe andato rapidamente a posto. In fondo essere una buona amica non significava dover essere sincera a tutti i costi…



*****
Note
(1) Il nome del padre di Garrus, Rennok, è inventato di sana pianta, così come quello di sua madre, Halia.
(2) Nota per Chiara e per tutti i lettori attenti: Tali non è ancora a bordo della Normandy in questo momento. Lo so, ma adoro quella giovane quarian e questa parte era adatta a lei.

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Capitolo 6
*** Turian e umani ***


TURIAN E UMANI


Clubbed To Death


- Pronto al decollo, comandante - comunicò Joker a Shepard, quando il comandante si fece vedere sul ponte, con la Normandy ancora attraccata all’hangar D24.
- Imposta la rotta per Sur’kesh - ordinò lei, prima di seguire IDA in una zona appartata della nave, lontano dalle orecchie del pilota e del resto dell’equipaggio, perché la IA aveva espresso il desiderio impellente di parlarle in privato.
- Dimmi.
- Dall’altro ieri Jeff è di cattivo umore, ma non vuole spiegarmene il motivo. A ogni mia domanda risponde con una battuta.
- Raccontami cosa avete fatto due giorni fa - rispose Shepard sorridendo divertita. Essere la confidente di una IA era un’esperienza singolare e in genere anche molto intrigante. E poi, dopo la spinta che aveva cercato di imprimere al rapporto fra IDA e Joker, si sentiva anche responsabile per tutti gli eventuali pasticci in cui quei due si sarebbero cacciati.
- La mattina siamo andati in giro per il Presidium. Nel pomeriggio siamo andati a vedere un film, come mi avevi consigliato tu. E’ stato... interessante.
- Fino a quel momento Joker si è comportato come al solito?
- Sì. Ha riso spesso durante la proiezione.
- E poi? Cosa avete fatto? - continuò a chiedere il comandante, sicuro che fino a quel punto non ci fosse nulla di allarmante.
- Abbiamo passeggiato un altro po’. Poi ho chiesto a Jeff se volesse cenare al ristorante panoramico, dato che eravamo proprio lì. Lui ha accettato senza molto entusiasmo: gli secca sempre un po’ mangiare in mia presenza. Però, arrivato a pochi passi dai tavoli, ha improvvisamente cambiato idea ed è voluto tornare sulla nave. Da quel momento ha quasi smesso di parlarmi.
Shepard fu certa che fosse lì la soluzione dell’enigma e si appoggiò alla parete del corridoio, supponendo che proprio in quella zona della Cittadella il suo pilota potesse aver visto o sentito qualcosa che lo aveva disturbato.

- Non ti ha detto proprio nulla che possa darci un indizio? - chiese, un po' incerta, perché senza la minima traccia le sembrava impossibile risalire al nocciolo del problema.
- Mentre stavamo salendo a bordo della Normandy mi ha chiesto Tu andresti a ballare con qualcun’altro? Ho replicato con un no deciso, ma non ho capito il senso di quella strana domanda. Lui ha scosso la testa, come se non fosse tanto convinto della mia risposta, ma non ha detto nulla.
- Non credo si riferisse al ballo in sé - rifletté ad alta voce Shepard - forse qualcosa l’ha fatto sentire... geloso...
- Definisci geloso - chiese IDA.
- Quando hai un rapporto speciale con un’altra persona, si può provare paura di essere traditi… paura che un altro ci sottragga la persona che amiamo.
- Intendi dire che l’amore fra umani è un sentimento esclusivo, che non ammette ci sia una terza persona in mezzo?
- Esattamente - rispose con un sorriso. IDA aveva capito la questione. Bisognava però ancora capire cosa avesse scatenato un sentimento di gelosia nel pilota.
- E vale solo per gli umani? - chiese IDA, interrompendo il filo dei pensieri del comandante.
- Non so quali razze della galassia provino la gelosia, ma gli umani certamente sì.

IDA si prese i suoi soliti nanosecondi per elaborare le informazioni ricevute e poi osservò - I turian no.
- Cosa te lo fa dire? - chiese Shepard ridendo, stupita dalla sicurezza con cui IDA faceva quella strana affermazione.
- Garrus stava baciando una turian al ristorante panoramico, insomma le stava dando quello strano bacio che usano loro, il cheek to cheek lo definiresti tu - rispose IDA, mentre Shepard sbiancava e si appoggiava alla parete che aveva proprio dietro le spalle.
- Tu e Garrus avete un rapporto speciale, quindi la turian è la terza persona - continuò con la sua solita precisa razionalità.
Poi si fermò un attimo e aggiunse - Ma è la terza persona solo per te che sei umana e quindi gelosa? Se i turian non fossero gelosi non esisterebbe la figura della terza persona per loro, vero? Non so trarre conclusioni per via di alcune evidenti incoerenze. Credo di essere confusa…
- Tu sei confusa, ma io no. Anzi, comincio ad avere le idee fin troppo chiare… - la rassicurò Shepard che senza neppure guardarsi le mani sapeva benissimo di essere ricoperta da capo a piedi da una vivace aura color blu.

Si prese un attimo per tirare le somme, sollevando la mano per interrompere una nuova domanda della IA che evidentemente non aveva capito bene quanto fosse complicato per un umano gestire un attacco di gelosia...
- Joker non ce l’ha con te - spiegò a IDA - si sta solo chiedendo se debba raccontarmi o meno questa storia - chiarì poi, mentre nel frattempo provava a immaginare quale genere di morte potesse risultare più dolorosa per un turian.
- Storia che suppongo tu non conoscessi finora... - precisò IDA, che stava fissando con attenzione l’aura blu del comandante, mentre Shepard si stava cercando di tranquillizzare, ripetendosi più volte “Non saltare a conclusioni affrettate, magari era solo un’amica, una parente o addirittura la sorella”.
- Pensavo che te l’avesse già raccontata Tali - concluse la IA, cercando di interpretare le strane letture fuori scala dei suoi strumenti di misurazione delle condizioni psicofisiche del comandante.
- Tali? Cosa c’entra Tali ora? - chiese Shepard con tono perplesso, perché se fino ad un istante prima si sentiva confusa adesso lo era anche di più.
- Tali stava cenando con i due turian - chiarì IDA.

Se Joker si arrovellava, incerto se parlarle o meno, mentre Tali aveva scelto appositamente di tacere era molto probabile che quel dannato cheek to cheek fosse decisamente preoccupante.
Le ritornò in mente la frase trasmessa dal comunicatore posto nella batteria primaria poche sere prima Nell’ultimo anno?... Uhm… forse quattro. Non si trovano molte femmine della nostra razza in giro e io passo quasi tutta la mia vita a bordo di una nave in cui sono l’unico turian… e fu certa che Garrus fosse arrivato a quota cinque.
- IDA, finiremo più tardi questo colloquio. Nel frattempo ti suggerisco di fare una ricerca sulla gelosia nelle varie razze della galassia... - ordinò Shepard che adesso aveva decisamente fretta.

Non appena entrò in sala macchine il comandante chiamò - Tali? - con una voce di un’ottava più alta del solito.
- Ciao, Shepard, come stai? - rispose la quarian, senza alzare il viso dal terminale.
- Ho bisogno di parlarti.
- Puoi aspettare qualche minuto? Sto finendo di…
- No. Ora!
Afferrando il senso di quelle parole, e soprattutto il tono con cui erano state pronunciate, Tali si girò di scatto, certa che qualcuno avesse raccontato a Shepard la scenetta al ristorante.
- Ok, ok, ho capito... Però non arrabbiarti. Contro ogni apparenza direi che puoi stare tranquilla... o almeno credo... - le rispose invitandola nell’angolo più appartato.

- Prima che inizi a farmi domande, mi diresti se Garrus ti ha... ehm fatto... ehm... una sorta di... proposta di fidanzamento? - aggiunse la quarian con tono teso.
- Sì, ma cosa c’entra? - chiese Shepard sbalordita. Le sembrava curioso e inquietante che il suo equipaggio fosse in possesso di tutte quelle informazioni che riguardavano la sua vita privata e quella di Garrus.
- E puoi dirmi anche quando è successo?
- Ieri - rispose seccamente.
- Allora è tutto a posto, o almeno credo
- Tali, se ripeti ancora o almeno credo, mi farò prendere da un attacco isterico - le rispose con una rabbia che era piuttosto palese. Tanto che Tali indietreggiò incespicando.
- E’ che io so solo quello che mi ha detto Garrus, quando gli ho chiesto spiegazioni - replicò la quarian cercando di usare un tono tranquillo e rigirandosi le mani nelle mani, con quel suo gesto tipico che denotava una condizione di stress - Sono certa che mi abbia detto la verità, però... magari potresti parlargli tu stessa? I turian non sono come gli umani o i quarian, Shepard… - aggiunse con tono insicuro - Hanno una visione un po’ diversa dei rapporti fra i due sessi...
- Questo lo avevo capito da sola - ringhiò lei - Ora vado nella batteria primaria… - aggiunse Shepard con una voce che Tali trovò leggermente troppo simile al ruggito di un varren nell’arena di combattimento.
- Ascolta, comandante... Ehm, ti consiglierei di aspettare qualche ora, oppure di prendere ulteriori informazioni prima di incontrare nuovamente il tuo ragazzo. Che ne diresti di ricorrere a IDA o magari all’Ombra…? - le suggerì timidamente, sperando che lei fosse disposta ad essere ragionevole anche quando era decisamente alterata.

Il comandante non rispose, ma si girò e prese nuovamente l’ascensore. La mezzora successiva la trascorse nella cabina di Liara, dopo aver avvertito Samantha Traynor e IDA che per il momento era impegnata e che nessuno poteva disturbarla.
Entrò senza neppure bussare e si diresse al terminale, che trovò già acceso. Liara era in un angolo della stanza e non la salutò neppure, tenendosi a debita distanza.
Quando fu sicura di aver compreso gli usi dei turian, si rilassò finalmente contro la spalliera della sedia e confessò a Liara - Sono entrata in questa stanza più furiosa di una Banshee.
- Ho notato - rispose la asari con un sorriso nervoso.
- Avevo torto.
- Bene - le rispose Liara in tono sollevato - Posso dirlo a Tali? Mi aveva preannunciato la tua visita ed era parecchio preoccupata…
- Ci passo io, credo di doverglielo - rispose Shepard - Sei stata davvero un’Ombra preziosa oggi e forse hai perfino salvato la vita ad un turian… - aggiunse ridendo, mentre si avviava nuovamente verso la sala macchine.
Trascorse il quarto d’ora successivo in compagnia di Tali facendosi raccontare, fra le risate, altri dettagli di quella famosa cena.


Everything I do


Era ormai sera inoltrata quando Shepard entrò nella batteria primaria della Normandy e trovò Garrus impegnato in una delle sue calibrature. Dopo le tante emozioni della giornata, sapeva che sarebbe stato inutile mettersi a letto: avrebbe finito solo per girarsi e rigirarsi fra le coperte. Per questo era venuta a vedere se anche lui fosse ancora alzato.
Aveva bisogno di parlare dei recenti avvenimenti: una volta capite le usanze dei turian aveva anche compreso come la proposta che Garrus le aveva fatto il giorno prima sul Presidio era di una serietà e di un impegno che non avevano uguali nella cultura umana e, forse, in quella di nessuna altra razza della galassia.

Adesso la frase Pensavo che ti servisse del tempo per riflettere su di noi e la domanda successiva Sei pronta a dedicarti a un unico turian? acquistavano un peso che le sembrava perfino troppo grave e allarmante.
Era spaventata dall’impegno di cui si era caricata senza rendersene conto. Nemmeno una proposta di matrimonio poneva un vincolo tanto gravoso fra gli umani.
- Garrus? - lo chiamò, non riuscendo ad aspettare che lui si decidesse a smettere di occuparsi del macchinario che sembrava interessarlo tanto.
- Si? - rispose lui senza alzare la testa.
- La domanda che mi hai fatto ieri al Presidio... è un po’... impegnativa per voi turian...
- Sì, decisamente - le rispose lui ridendo, meravigliato che si fosse presa la briga di studiare gli usi della sua gente.
- Ecco... io non lo sapevo...
- Ero certo che non lo sapessi - concordò lui - E’ un problema? - le chiese avvicinandosi incuriosito.
- E’ che... magari potevi avvertirmi... Una promessa così seria... Io... non so... E’ un momento difficile - rispose lei senza accorgersi che stava spezzettando frasi alla rinfusa, esattamente come faceva lui quando era teso.
- Non ti ho mai chiesto di essere una turian, Shep - fu la risposta immediata di Garrus, mentre continuava ad avvicinarsi. Tese una mano a farle una carezza lieve sul viso, sorridendole divertito.
- Mi accontento di una risposta da umana, almeno per ora - aggiunse, guardandola seriamente - Con questa guerra in mezzo, con questi Razziatori pronti a ucciderci, non possiamo perdere tempo con divergenze razziali, Shep, per quanto importanti possano essere.

“Non posso complicarti la vita” aveva concluso realisticamente, durante la notte precedente alla loro gita sul Presidio della Cittadella, senza doverlo ammettere ad altri se non a se stesso. Non era una proposta che un turian avrebbe mai fatto alla propria donna, ma non era certo quello il momento adatto per darle ulteriori motivi di ansia.
Se avessero avuto un futuro degno di quel nome, sarebbe stato diverso. Ma il loro futuro era effimero, poteva durare poche ore e terminare l’indomani mattina. In quel breve periodo di tempo lui voleva sentirsi suo, e che lei lo sapesse, senza chiederle nulla in cambio. Se ci fosse stato un domani, se avessero mai vinto quella guerra impossibile, le avrebbe chiesto un impegno più serio.
Una volta chiarite le sue intenzioni, Garrus tornò tranquillamente verso il macchinario a cui stava lavorando quando lei era entrata e Shepard rimase in silenzio, rendendosi conto di quanto riuscisse a tranquillizzarla sempre quello strano turian.

Restò nella batteria primaria: non aveva impegni fino all’atterraggio su Sur’kesh e voleva evitare di dover discutere ancora con Victus e con Wrex riguardo alla bomba trovata su Tuchanka o, peggio ancora, con il maledetto Consigliere salarian riguardo alla cura della genofagia. Diede a IDA l’ordine di non voler essere disturbata e si mise a gironzolare silenziosamente per la stanza stando attenta a non intralciare Garrus.
Non sapeva neppure se lui si fosse reso conto che lei era rimasta nella batteria primaria, assorto com’era in una serie di operazioni, con la testa incuneata dentro l’apertura dello stesso macchinario di prima.
Il computer di Garrus era acceso e lo schermo mostrava la pagina dei messaggi personali. Non avrebbe voluto sbirciare fra le sue cose, ma il suo sguardo fu attirato da una cartella che portava il suo nome: non Shepard, ma Trinity.
“Si riferirà a me?” si chiese un po’ confusa, “Non mi chiama così, di solito” aggiunse, ricordando la prima volta in cui quella voce roca e metallica aveva pronunciato il suo nome di battesimo: era stato uno dei momenti più difficili che avessero affrontato, ma alla fine ne erano usciti senza farsi troppo male, anche se l’immagine del suo sangue che gocciolava dalla schiena di Garrus avrebbe continuato a turbarli per il resto dei loro giorni.

Alzò la testa dal computer e guardò incerta verso il turian: non voleva aprire quella cartella senza chiedere il permesso. Fissò quelle sette lettere pensando che un giorno gli avrebbe raccontato come quel nome le fosse stato assegnato, quando era già un’adolescente, da una persona speciale, che aveva segnato il suo futuro.
Amava quel nome di battesimo proprio per quel ricordo lontano, ma nemmeno lei pensava a se stessa in modo diverso da Shepard. D’altronde anche il cognome le era stato assegnato da quella stessa persona.
Al richiamo - Garrus? - che aveva pronunciato con voce quasi impercettibile seguì solo il silenzio. Ripeté il nome del turian con un po’ più di energia e questa volta ricevette un mormorio confuso in risposta.
- C’è una cartella con il mio nome nella tua posta - osservò con voce un po’ insicura.
- Ah sì... vero - rispose lui.
Passarono diversi secondi di assoluto silenzio fino alla domanda successiva - E’ pura omonimia o si riferisce a me? - che lei pronunciò con un po’ di irritazione, dato che Garrus pareva deciso a non emettere più alcuna parola e a non alzare la testa.
Lui azionò il comunicatore posto sulla parete e chiese - IDA mi dai la variazione della gittata del Thanix?
- Rispetto a ieri rilevo un miglioramento del +0,33%. Rispetto a una settimana fa la variazione è superiore al punto percentuale.
- Ottimo... grazie IDA - concluse il turian con in faccia un’espressione di completa soddisfazione.

Shepard ripeté pazientemente la domanda - Quella cartella si chiama così per me?
- Non è un nome da turian e non conosco altre umane con quel nome - bofonchiò lui in risposta, mettendosi ad esaminare il macchinario alla destra di quello che fino a quel momento aveva calamitato tutto il suo interesse, dopo averle lanciato un sorriso divertito.
“Va beh” si disse Shepard a questo punto “sarà meglio che gli faccia la domanda diretta prima che mi venga voglia di scagliargli qualcosa contro” e quindi chiese - Posso aprire la cartella?
- No - fu la risposta che le arrivò nitidamente, prima ancora che lei completasse la domanda.
Un secondo dopo se lo ritrovò al fianco, mentre la acchiappava per la vita ridendo e impedendole di uscire dalla stanza.
- Prima mi dai un bacio e poi potrai curiosare tutto il tempo che ti pare nel mio computer.
“Non sarà solo un bacio” capì lei, non appena incontrò il suo sguardo. Di certo quel turian fuori di testa aveva voglia di festeggiare il successo della calibratura del Thanix...
- IDA, questa stanza è chiusa, io sono impegnata e tu stacchi tutti i tuoi collegamenti con la batteria primaria - fu il comando successivo pronunciato da Shepard.

- Dovrei decidermi a indossare l’armatura solo in missione - osservò Garrus, mentre il comandante stava cercando di dargli una mano a liberarsi dall’involucro di metallo.
- Non è un’operazione che riesce bene quando si ha fretta - concordò Shepard, ridacchiando, dopo aver fatto piombare sul pavimento la parte posteriore dell’armatura del turian con un fragore assordante.
Anche i minuti successivi, contrassegnati dai loro tentativi un po’ maldestri per trovare una posizione comoda, issandosi sui macchinari senza danneggiarli, furono all’insegna più delle risate che del desiderio classico, ma non per questo risultarono meno piacevoli.

La frase conclusiva di Garrus - E ora vorrei sapere come farò a lavorare su tutte queste sofisticate apparecchiature visto l’uso che ne abbiamo fatto… - che pronunciò mentre indossava nuovamente l’armatura, fu la classica ciliegina sulla torta che fece piegare Shepard in due per le risate.
Si accasciò a terra e cominciò a lacrimare ripensando a tutte le volte in cui lui le aveva risposto di essere troppo impegnato a fare qualche calibratura per poter perdere del tempo a chiacchierare.
Garrus la guardò un po’ perplesso, non capendo esattamente il motivo dell’ilarità del comandante, ma comunque felice di vederla ridere così di gusto, poi le passò l’ormai famoso fazzoletto di Joker.
Appena riuscì a sollevarsi da terra Shepard si avviò verso il computer di Garrus, ancora ridacchiando. Prima di aprire la famosa cartella provò a domandargli cosa contenesse.
- Guarda tu stessa - fu l’unica risposta che ottenne.

La cartella era divisa in due sezioni: una di immagini e una di documenti. Guardò prima le immagini: erano tutte sue istantanee catturate da fotografi professionisti in occasione di eventi ufficiali oppure da qualche membro dell’equipaggio durante una pausa nella navigazione o sulla Cittadella. Le immagini si riferivano a un lungo arco temporale, ma notò come fossero state tutte caricate nel periodo in cui era agli arresti domiciliari.
Anche i file dei documenti erano relativi allo stesso periodo. Li ordinò cronologicamente e aprì quello più vecchio.

Comandante,
per la prima volta riesco a capire la gravità del guaio in cui ti sei andata a cacciare. Mi hanno addirittura vietato di contattarti, ma sto cercando di farmi aiutare da Liara per farti giungere questo messaggio.
So che ti accusano della distruzione di quel portale, ma adesso stanno davvero esagerando. Avrebbero dovuto darti una medaglia al merito, altro che metterti sotto chiave…
Da fonti diverse mi è giunta voce che il Comitato di Difesa non vuole assolutamente credere al pericolo dei Razziatori. Continuano imperterriti a commettere sempre lo stesso errore e mettono tutto a tacere, esattamente come hanno sempre fatto i Consiglieri della Cittadella con la faccenda di Saren.
Tu però non ti abbattere: presto ne verrai fuori e ti dovranno chiedere anche scusa.
Garrus


Saltò qualche file e ne aprì a caso un altro.

Trinity,
è chiaro che le mie lettere non ti arrivano o avresti trovato un modo per rispondere. Le terrò nel mio computer. Te le scrivo lo stesso, perché mi pare che mentre digito sulla tastiera io possa quasi sentirti al mio fianco. Non sono mai stato romantico, lo sai benissimo, ma forse la tua assenza riesce a compiere perfino questo strano miracolo. Credo che tu per prima ne rideresti.
Stasera sono stanco e arrabbiato: non riesco ad abituarmi a non averti vicina. Ogni volta che mi accade un imprevisto sento l’impulso di venirti a cercare e mi serve molta freddezza e molta pazienza per rassegnarmi al fatto che non mi sia più possibile.
Tutto scorre più o meno nel solito modo e la routine mi sta distruggendo mentalmente. Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Devo decidere in fretta o finirò per diventare un turian che non ti piacerebbe rivedere. Mi manchi orribilmente,
Garrus


Commossa, e con gli occhi umidi, Shepard saltò direttamente all’ultimo file della lista, mentre si accorse che Garrus le si era messo di fianco.
- E’ divertente rileggere le mie parole dopo tutto questo tempo, ora che quella disgraziata storia si è conclusa. Non ricordavo di essere stato tanto male, ma non faccio fatica a credere alle mie parole - fu la sua confessione sincera.

Shep,
sono andato a trovare mio padre. Lo scetticismo che il racconto delle nostre avventure suscita necessariamente in chiunque provi ad ascoltarle non ha impedito che accadesse l’incredibile: mio padre mi ha prestato attenzione e mi ha creduto. Ha parlato con il Primarca e sono a capo di una task force anti Razziatori.
Ti racconterò tutto in dettaglio non appena riuscirò a rivederti: sono certo che accadrà presto. Sta per succedere qualcosa, ne sono sicuro, lo sento nell’aria. Quando i Razziatori arriveranno, e arriveranno presto, so che tutta la galassia cercherà il tuo aiuto. Non sai quanto si parli di te anche qui sul mio pianeta natale. In molti ti considerano l’unica speranza nello scontro che ci attende.
Ogni tanto mi domando se, dopo tutto questo tempo, mi considererai semplicemente un vecchio amico e compagno fidato o se proverai ancora qualcosa di più profondo, ma mi basta sapere che mi cercherai in ogni caso. Quando arriverai, mi farò trovare pronto, come ai vecchi tempi,
Garrus


- Vorrei fare una copia della cartella, se non hai nulla in contrario - gli chiese dopo avergli appoggiato la testa contro il petto.
- Fai la tua copia e poi lasciami tornare ai miei calcoli. Sono certo che anche tu hai varie cose a cui pensare: ieri in sala tattica era evidente che ci sono parecchi individui che hanno bisogno del tuo aiuto - aggiunse con aria divertita, facendo sicuramente riferimento ai numerosi insulti che si scambiavano giornalmente Wrex e Victus, dopo il ritrovamento della dannata bomba, ogni qual volta si trovavano a distanza ravvicinata.



*****
Note
La musica è appositamente legata a Matrix (nel secondo brano tramite le immagini). E se vi siete mai chiesti da dove venisse il nome di battesimo della mia Shepard... ora lo sapete

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Capitolo 7
*** Atlante ***


ATLANTE


Mozart - Piano Concerto No. 21 - Andante(1)



Durante il breve viaggio di ritorno sulla Kodiak verso la Normandy, Shepard era rimasta in silenzio. Garrus la vide smontare e rimontare macchinalmente la pistola che aveva fra le mani con lentezza, come se ogni volta fosse alle prese con un meccanismo del tutto sconosciuto.
Si chinò a stringere la chiusura di uno stivale, che non aveva alcun bisogno di essere stretto, cercando di seguire lo sguardo del comandante. Non guardava la pistola, ma non era quello il motivo per cui l’operazione di montaggio e smontaggio era eseguita con tanta calma attenta: lei poteva farlo rapidamente al buio. Shepard era in un mondo a parte e fissava gli occhi in terra senza vedere nulla, con il volto privo di qualsiasi espressione.
Il lieve rumore dell’attrito del fondo della Kodiak contro il pavimento dell’hangar della Normandy riscosse il comandante che chiese a Garrus e a James di consegnarle tutte le clip che erano rimaste loro dalla missione. Poi scese dalla navetta, si avviò verso il poligono di tiro poco lontano e ci entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

Il turian appoggiò la nuca contro la parete della navetta da sbarco, limitandosi a guardare l’interno dell’hangar dal portellone aperto, mentre James lo fissava, incerto se dire una frase qualsiasi o tacere. Cortez passò lì davanti per vedere come mai i suoi due compagni non si decidessero a scendere.
- Tutto bene? - chiese con tono preoccupato, anche lui scosso dall’esito della missione appena completata su Tuchanka.
- Si, per quanto possibile... - gli rispose James, risolvendosi a uscire dalla navetta.
- Dai, fatti una doccia. Ti aspetto, così ceniamo insieme - lo invitò Esteban, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Garrus uscì dalla navetta, ma si avviò verso il poligono di tiro, anche se immaginava già la scena che gli si sarebbe presentata agli occhi, dalla piccola vetrata posta sul fianco della costruzione. E infatti Shepard era in piedi, dietro a tante clip ordinate in una formazione rettangolare millimetrica, e stava sparando lentamente e regolarmente con la sua pistola contro la sagoma appesa contro il muro.
Appena pochi minuti prima, Mordin aveva sacrificato la sua vita per curare la genofagia, dando il suo prezioso contributo alla cessazione delle storiche ostilità fra krogan e turian ed al conseguente rafforzamento del fronte anti-Razziatori.
Garrus si rendeva conto che, nonostante i tanti anni passati a combattere, il comandante non riusciva ancora ad abituarsi a veder morire i suoi uomini: era un’umana, non una turian.
Il sacrificio di Mordin contribuiva in modo rilevante al peso che lei portava sopra di sé e che ora cercava di alleggerire come poteva, isolandosi dal resto del mondo e anche da lui stesso.

Quando tornava dai colloqui al videoterminale con Anderson o con Hackett aveva spesso un’espressione esausta e abbattuta e più di una volta gli aveva chiesto - Perché proprio io? - con un tono di voce disfatto, che non cercava una risposta. La risposta la sapeva, gliela avevano ripetuta quei due ammiragli, anche troppo spesso.
- Non sono un titano come Atlante, sono una donna stanca - gli aveva sussurrato poche sere prima, addormentandosi fra le sue braccia, e lui aveva passato una mezzora della mattina successiva ad informarsi, per dare un senso a quelle strane parole.

Garrus sapeva solo di sentirsi impotente: quando la vedeva perdere l’orientamento in mezzo alla forza brutale delle sue sensazioni sapeva di dover semplicemente limitarsi ad aspettare, sperando che lei non si lasciasse travolgere dalle onde di quelle emozioni fino ad annegarci dentro, senza più alcun barlume di lucidità e razionalità.
La prima volta in cui aveva visto Shepard appartarsi in quell’isola remota e privata le avevano requisito la Normandy. In quell’occasione lui aveva colto perfettamente la violenza di quel dolore che non poteva essere alleviato da nessuna forma di condivisione e le aveva lasciato tempo, perché la pena sfumasse. Ora, invece, non era certo di riuscire a immedesimarsi pienamente nelle emozioni del comandante e questo lo rendeva inquieto. Forse c’era qualcos’altro, oltre alla morte di un membro dell’equipaggio, ma non riusciva a figurarsi cosa potesse essere.

Seguitò a fissare la sagoma di Shepard per qualche minuto, continuando a chiedersi il motivo di quel turbamento, prima di aggrapparsi alla speranza che i loro rapporti fossero diventati così saldi e intimi da consentirgli di starle vicino anche in quei momenti, violando il suo santuario sacro.
Shepard non si girò al rumore dell’apertura della piccola porta e lui rimase in silenzio per un paio di minuti, lasciandole il tempo di svuotare il caricatore contro il cuore e il cervello della sagoma e di ricaricare lentamente l’arma. Solo in quel momento provò ad appoggiarle una mano sulla spalla.
- Non farmi questo, Garrus - fu il comando che suonò come preghiera.

Era tornato nella batteria primaria e aveva atteso. Non era riuscito a decidersi ad andare in sala mensa per la cena. Non voleva leggere il dolore negli occhi dei suoi compagni e non voleva che gli venissero rivolte domande sulla missione appena completata.
Dopo un tempo che gli parve lunghissimo chiese nuovamente a IDA dove fosse il comandante e, avendo ricevuto la risposta che si trovava ancora nel poligono di tiro, decise di stendersi sopra il materasso per provare a dormire.
Si destò più tardi, senza sapere che ora fosse, sentendo sollevare la coperta leggera che lo copriva. Nell’oscurità avvertì contro la pelle il freddo metallo di un’armatura. Facendo scorrere rapidamente le mani su quella presenza capì che Shepard gli si era stretta contro, vestita ancora come durante il viaggio sulla navetta da sbarco.
A tentoni le sganciò i vari pezzi dell’armatura, gettandoli lontano dal materasso, ascoltando il suono leggero dei fermagli che andava slacciando e quello sordo del metallo che rotolava sul pavimento della stanza, mentre lei rimaneva del tutto inerte. Lo colpirono le esalazioni, troppo intense al suo odorato sensibile, del sudore stantio, del sangue rappreso, delle munizioni esplose: odore di fatica, di battaglia, di dolore.

Sotto l’armatura tastò l’uniforme leggera del comandante, umida, appiccicosa, sgradevole al tatto e all’odorato. Gliela sfilò e la gettò il più lontano possibile, senza curarsi di dove fosse atterrata. Poi si sdraiò nuovamente al fianco di quella donna immobile e muta, stringendo fra le braccia la pelle umida di lei, ancora carica di quegli odori troppo forti e spiacevoli, e provando a passarle le dita fra i capelli, solo per ritrovarsele incastrate fra nodi umidicci di una matassa arruffata e ingarbugliata.
Avvertì l’impulso di scansarsi con una sorta di vago malessere addosso ma, contro quel movimento istintivo di ripulsa, lei si agitò all’improvviso e gli si strinse addosso con tutta la forza dei muscoli che lui percepì improvvisamente tesi allo spasimo sotto quella pelle madida e fredda.
Trinity gli aderì come una seconda pelle, avvinghiandosi, facendo forza con le braccia intorno alle spalle del turian, pur sapendo che quella mossa non le era consentita, per i tagli che si sarebbe procurata. Nello stesso tempo gli imprigionò le gambe fra le sue e cercò la sua bocca imponendogli un bacio che lui non avrebbe mai cercato di darle. Tutto questo nel silenzio più assoluto, a parte un respiro affannoso e incerto.

In quel momento il corpo di Garrus rispose a quello di Shepard con un slancio che lo sconvolse. Gli unici gesti volontari che fece consistettero nel girarsi con la schiena contro il materasso, rendendole irraggiungibili le placche dure e taglienti del carapace, e nel serrarle le mani fra le dita, in modo che non potesse tagliarsi.
Per il resto, perse completamente il dominio delle sue azioni, come in una sorta di delirio, affondando e riemergendo nelle rapide di un fiume impetuoso, senza riuscirsi a fermare, senza riuscire a riprendere fiato. Si aggrappò al corpo di Shepard, lo strinse, ci si strofinò, indifferente alle abrasioni che avrebbe potuto causarle, lo leccò per suggerne quegli umori troppo intensi e poi si arrese.
Nessuna diga avrebbe fermato quell’impulso urgente e necessario e nessun ostacolo lo avrebbe rallentato. Fu una specie di grido doloroso quello che gli uscì dalla bocca, mentre si rendeva confusamente conto di un altro grido diverso che gli faceva eco.

Rimasero a lungo silenziosi e immobili, impauriti di chiedere e di chiedersi cosa fosse stato, incapaci di trovare un nome a gesti primordiali ed elementari, ingenui e spontaneamente innocenti.
La tenne stretta, senza provare più alcun senso di repulsione, mentre lei scartava rapidamente le parole grazie e scusa, che le erano venute spontanee alle labbra.
- Sono un disastro - gli confessò invece, sottovoce, dopo un tempo che a entrambi parse eterno.
- No, Trinity, sei solo un essere vivente. Non sei una macchina - le rispose Garrus, trattenendola, nell’accorgersi che lei stava provando a sgusciar via.
- Resta qui - aggiunse, cercando di infilare in quelle due parole tutto l’affetto e la comprensione che provava per lei, pur senza capire cosa avesse scatenato quella reazione angosciata.
- Raggiungimi tu, credo che sarà meglio dormire in lenzuola meno appestate - rispose lei con voce tremula, premonitrice di una risata lieve, in cui cercava di nascondere la propria debolezza e vulnerabilità.

Nel periodo di tempo che fu necessario a Garrus per radunare tutti i pezzi dell’armatura di Shepard, sistemare il materasso, mettere a lavare le lenzuola, che presentavano preoccupanti macchie di sangue umano, e farsi una rapida doccia, lei era riuscita a finire di lavarsi e si era anche asciugata i capelli.
Si era rivestita rapidamente con una felpa dopo aver sbirciato la sua immagine allo specchio, sapendo che Garrus non avrebbe gradito quello spettacolo, poi si era sdraiata sopra le coperte sperando che lui la raggiungesse presto.
La prima cosa che il turian fece, appena dopo aver varcato la soglia della cabina, fu quella di sedersi al suo fianco, prendendola fra le braccia, mentre le provava ad aprire la chiusura della parte superiore della felpa, con un tocco gentile, ma determinato. Voleva verificare quali e quanti danni fossero riusciti a combinare su quel corpo troppo soffice, come lo definiva Grunt.
Shepard gli strinse le mani, con una presa salda, mentre gli confessava - Se solo mi fosse stato possibile avrei cancellato con le tue placche ogni più piccola ferita della battaglia di oggi.

- Spiriti, Shep! Cosa devo fare con te? - le chiese, smettendo di indagare, con un sospiro rassegnato.
- Resta qui stanotte - gli rispose con un sorriso nervoso, mentre appoggiava l’orecchio al petto del turian, ascoltando il lento battito di quel cuore.
- Raccontami cos’è successo oggi - le chiese Garrus, dopo qualche secondo in cui l’unico rumore fu quello del criceto che correva nella gabbietta e del sistema di ossigenazione dell’acquario.
- Io avrei potuto sbagliare. Doveva andare lui.
- E’ quello che ti ha detto Mordin?
Lei annuì.
- E sai che è vero.
Lei annuì di nuovo.
- Solo che, come sempre, avresti preferito morire tu, piuttosto che veder morire un tuo uomo sotto gli occhi.
Stesso gesto del capo di Shepard.

- Ma c’è anche dell’altro, vero? - le chiese, sentendo che il suo corpo restava irrequieto e rigido.
- Avrei potuto fingere di curare la genofagia senza curarla davvero. Il Velo era stato compromesso - gli confidò in un bisbiglio, come se fosse lei a dover ammettere un crimine.
- La Dalatrass mi aveva offerto questa scappatoia in cambio della flotta salarian e dei suoi migliori scienziati per la costruzione del crucibolo - aggiunse, sempre in un sussurro.
- Spiriti, Shep! Chi era a conoscenza di questa proposta?
- Ho taciuto con tutti. Soprattutto non volevo che ne venissero a conoscenza Wrex e Bakara. Non perché io abbia mai pensato veramente di poter accettare, ma per non aggravare il clima di sospetto fra salarian e krogan. Mi sono confidata solo con Mordin, proprio ai piedi del Velo. E lui ha deciso di curare la genofagia, a scapito della sua vita.
- Ha scelto di rimediare a una sua antica decisione che ora gli appariva sbagliata - razionalizzò il turian, ancora piuttosto turbato per la proposta indecente del Consigliere.
- Ho perso la flotta salarian, Garrus - singhiozzò Shepard, con un tono disperato - Non so se sarebbe stata determinante, ma l’ho persa. Non ce l’ho fatta a condannare un intero popolo...

“Ti stai chiedendo quale sia il prezzo che saresti disposta a pagare per salvare la galassia” realizzò Garrus.
- Non sei una macchina e non sei neppure l’Uomo Misterioso, comandante. Ci sono prezzi che non si possono pagare o si perderebbe la propria identità e il rispetto di se stessi.
- Non lo so, Garrus. A volte mi sembra di non sapere più distinguere cosa sia giusto da cosa sia sbagliato.
- Le famose decisioni giuste… quelle che non sono mai facili… - la incoraggiò lui, comprendendo il peso che quella decisione si portava appresso e che lei non sarebbe facilmente riuscita a scrollarsi di dosso.
- Shep, anche Mordin era un salarian. Con la benedizione della Dalatrass o senza, molti altri salarian si uniranno a noi nella battaglia finale - la rassicurò, mormorando fra i suoi capelli sciolti.
- Non lo so, Garrus…
- Io ne sono certo, comandante: non ci sono altre speranze. Per nessuno. Anche le Asari si uniranno a noi - aggiunse ancora, in tono convinto.
- Perché? Perché dovrebbero farlo?
- Sei sicura di volerlo sapere? - le chiese Garrus a sua volta, in tono incerto - Lo sai da sola il motivo e non ti piace che ti venga ripetuto…

“Sono un simbolo, sono la speranza di interi popoli… E Garrus ha ragione: non voglio sentirmelo dire ancora un’altra volta. Soprattutto non voglio che me lo dica lui…” rifletté Shepard in silenzio, mentre sentiva che la tensione la stava abbandonando.
- Ma tu, adesso, non sei qui con me per quel motivo… vero?
- Che pensiero scemo, Trinity! - esclamò Garrus, assolutamente sorpreso.
- E non mi ami solo per quel dannato motivo, vero? - chiese ancora, col tono petulante di una bambina noiosa.
- Spiriti! Non parlerai sul serio, spero… Io posso ammirare il comandante Shepard anche per quel motivo, ma amo Trinity.
- E perché ami Trinity? - chiese Shepard, cominciando a ridacchiare piano.
- Perché fa domande sceme - rispose Garrus abbracciandola più forte e tirandosela contro, in modo che lei potesse addormentarsi con le sue placche contro la pelle della schiena, in una effimera sensazione di protezione.

Accorgendosi che Shepard stava scivolando nel sonno, tornò con la mente a quel dannato motivo che era bene non ricordarle. “Mordin sapeva perfettamente che lui si poteva sacrificare per la genofagia, ma tu no. E non perché tu avresti potuto sbagliare, ma perché senza di te questa dannata guerra contro i Razziatori sarebbe già persa. Spero che nemmeno lui te l’abbia detto in chiaro, perché lo sai da sola e fai fatica a sostenere tutto il peso di questa sconfinata volta celeste”.
Era stata IDA a raccontargli quella leggenda di un’antica civiltà terrestre. Se la ripassò nella mente, mentre aspettava che lei si addormentasse. L’ansia del comandante stava aumentando di giorno in giorno e lui si sentiva impotente. Shepard mangiava troppo poco, spesso saltando del tutto i pasti. Non compariva più a mensa, come faceva un tempo, preferendo rintanarsi nel suo alloggio.
Quando lui compariva nella sua cabina senza essere stato invitato, lei si limitava ad accertarsi che lui stesse bene poi, appena rassicurata, tornava a studiare i tanti rapporti che le venivano inviati o la mappa galattica, disdegnando il vassoio che lui aveva appoggiato timidamente al suo fianco.
Le rare occasioni in cui lei lo cercava erano diventate estremamente preziose per Garrus, che si rendeva conto del peso delle responsabilità che si aggiungeva ogni giorno su quelle spalle delicate e che lei non poteva condividere con nessuno, neppure con lui.

Come di Shepard, anche di Atlante non si conosceva la vera origine, né chi fossero i genitori. La leggenda diceva che quel gigante era stato condannato a sostenere con la nuca e la sola forza delle braccia tutta la volta celeste. Solo per un breve periodo era riuscito a liberarsi da quel peso, quando un eroe di nome Eracle(2) aveva per breve tempo preso il suo posto. Un altro eroe(3) aveva infine determinato la fine di quel supplizio, ma anche la fine del povero Atlante, che era stato tramutato in una statua di pietra.
La leggenda in sé era senza dubbio bella, ma non era affatto confortante, specie nella conclusione.

°°°°°

I bisbigli che si inseguono fra i rami spogli degli alberi sono le schegge taglienti di frasi mai dimenticate: le voci di Jenkins e di Ashley sussurrano il suo nome riaprendo ferite amare che non potranno mai guarire completamente.
Un fantasma le si materializza di fianco all’improvviso confessandole - Dovevo essere io. Un altro avrebbe potuto sbagliare - poi si allontana da lei dissolvendosi in brandelli polverosi che ondeggiano lievemente nell’aria prima di svanire al contatto del suolo.
Le sagome che compaiono e scompaiono fra la nebbia e i tronchi smorti sono fantasmi indistinti, confusi fra le foglie che volteggiano nell’aria come brandelli di carta incenerita. Non hanno parvenza di persone reali: il suo subconscio sa che simboleggiano le tante inevitabili altre vittime future che questa lunga guerra falcerà prima di concludersi.
Inaspettatamente si trova davanti quel bambino che è l’unica immagine nitida e distinta del suo sogno, quell’immagine sfuggente che ha lungamente inseguito al rallentatore, come se corresse in un’aria collosa e densa che trattiene il suo passo e rende greve il suo respiro.
Si ferma davanti a lui e tende la mano, ma prima di poterlo stringere fra le braccia per portarlo via, in salvo, al sicuro da quell’orrore vago ma angosciante, le fiamme avvolgono la sua figura e lei si sveglia all’improvviso, come sempre, con un singhiozzo che le muore sulle labbra.


Shepard alzò di scatto la testa dal cuscino portando una mano sugli occhi umidi, nell’inutile tentativo di cancellare le visioni di quell’incubo ricorrente. Cercò con lo sguardo il pigro andirivieni dei pesci dell’acquario, per riprendere contatto con il mondo reale. Poi si alzò dal letto, sapendo che sarebbe stato inutile tentare di riprendere sonno.
“Sono troppo logorata per potermi permettere questo sogno in questi giorni” fu il pensiero sconsolato che le passò per la mente mentre apriva il getto della doccia “devo lavare via tutti i ricordi dolorosi e pensare invece al prossimo incontro con il Consigliere salarian sulla Cittadella”.

Ogni battaglia che abbiamo combattuto poteva essere l’ultima, ogni proiettile che abbiamo schivato poteva esserci fatale era la frase che le ripeteva spesso Garrus per incoraggiarla, ma le immagini crudeli e strazianti della Terra e di Palaven sotto le disastrose bordate del fuoco dei Razziatori si ripresentavano di continuo davanti ai suoi occhi, per testimoniare quanto effimera fosse la vita di tutti loro, appesa ad un filo di fortuna che sembrava sempre sul punto di spezzarsi.
Tutto il suo equipaggio rischiava di morire ogni giorno per una decisione che poteva rivelarsi sbagliata, per un ostacolo che lei non aveva saputo prevedere o semplicemente perché stavano osando troppo, contro nemici troppo potenti. E tutta quella dannata guerra poteva terminare con una sconfitta perché lei si ostinava a rimanere fedele a quei concetti di onore e dignità che forse erano davvero inutili e dannosi, come sosteneva Javik.

Era ancora sotto l’acqua tiepida della doccia, a ripetersi che avrebbe fatto meglio a smettere di compatirsi, quando sentì bussare alla porta della stanza. Si drappeggiò un asciugamano intorno al corpo e si avvicinò lentamente alla porta temendo qualche comunicazione messaggera di nuovi disastri.
Invece si trovò di fronte Garrus che teneva in mano un vassoio con una tazza di caffè, pane tostato, burro e marmellata di arance. Lui entrò, guardò l’espressione del viso di Shepard, chiuse la porta alle sue spalle e poggiò rapidamente il vassoio vicino al suo terminale privato.
- Cos’è successo nel poco tempo che mi è stato necessario a procurarti la colazione? - le chiese con quella premura che le riservava quando intuiva che lei era sul punto di arrendersi e crollare.
- Nulla, in realtà non è successo nulla - gli rispose sentendosi un po’ stupida. La risposta immediata di Garrus, che la abbracciò forte sussurrandole - E’ proprio quello che temevo di sentirti dire - le confermò ancora una volta quanto bene lui la conoscesse.

Si rintanò fra le sue braccia ripensando a quanti momenti intensi avessero condiviso: la loro storia era nata senza un vero principio ed era progredita con lo scorrere del tempo, scivolando dalla semplice stima all’amicizia incrollabile e poi alla fiducia assoluta. Infine, senza rendersene conto, lui non l’aveva vista più come un’umana e lei non lo aveva visto come un turian. Erano semplicemente Shepard e Vakarian, e non avrebbero potuto fare a meno l’uno dell’altra.
La proposta maliziosa che molto tempo prima Shepard aveva fatto a Garrus circa la possibilità di testare allungo e flessibilità era stata solo la conclusione inevitabile di un processo che si era avviato tempo prima e di cui nessuno dei due avrebbe saputo individuare l’inizio esatto.
Poi c’era stata la gita di poche settimane prima, sulla cima del Presidium, e la domanda di Garrus - Sei pronta a dedicarti… a un unico turian?
Shepard non riuscì a trattenere un sorriso a quel ricordo, sia per il divertimento provato a sparare come due adolescenti irresponsabili a delle bottiglie, con la sola motivazione di fare qualcosa di stupido prima di affrontare la parte finale di questa lunga guerra contro i Razziatori, sia per la gioia di quella richiesta che sanciva la solidità del loro rapporto... e poneva la parola fine alla corsa di Garrus appresso ad ogni femmina turian disponibile.

- Credo che dovresti occuparti dei capelli… ti donano di più quando sono asciutti - le sussurrò lui nell’orecchio riportandola al presente.
La guidò verso il bagno, si sedette e se la pose in grembo, dimostrando di ricordare l’uso dell’asciugacapelli. Lei si rannicchiò sulle sue gambe e lo lasciò fare un poco, ma non restò ferma a lungo e alla fine lui si arrese: la prese in braccio e la portò verso la camera da letto - Va bene, mi hai convinto: i tuoi capelli sono fantastici anche quando sono bagnati.

- Bevi il tuo caffè e, per favore, mangia. Io vado nella batteria primaria: stanotte mi sono svegliato con l’impressione che si possa apportare un leggero miglioramento nella velocità di puntamento del Thanix - le disse improvvisamente, mentre si trovavano ancora nudi e ansimanti sul letto, come se fino ad un momento prima avessero discusso di calibrature.
Shepard pensò divertita “in un modo o in un altro riesci sempre a farmi star bene e a farmi ridere”, mentre lui stava finendo rapidamente di indossare l’armatura e dalla sua espressione assorta era evidente che stesse pensando a un qualche algoritmo di calcolo.

Il comandante bevve il caffè ormai tiepido e mangiò meccanicamente una fetta di pane con burro e marmellata, mentre si continuava a chiedere cosa diavolo potesse volere da lei quel viscido Consigliere salarian, che durante il collegamento al videoterminale l’aveva accusata di aver riscritto la storia.
Si preparò mentalmente alla cerimonia che avrebbe dovuto presenziare dopo pranzo, per ricordare il sacrificio di Mordin Solus, e si avviò verso il ponte per parlare con Joker e sapere quanto tempo mancasse all’arrivo sulla Cittadella.


*****
Note
(1) Non so capire il motivo, ma questa musica mi dilania ogni volta il cuore. Non credo di essere mai riuscita ad ascoltarla senza che gli occhi mi si riempissero di lacrime. E’ questo il motivo per cui l’ho associata a questo capitolo.
(2) Eracle (o Ercole) chiese ad Atlante di aiutarlo a raccogliere i pomi d’oro nel giardino delle Esperidi ed in cambio accettò di sorreggere al suo posto la volta celeste. Il gigante accettò, sperando che sarebbe riuscito a liberarsi per sempre della tortura inflittagli. Al suo ritorno, però, Eracle escogitò uno stratagemma per convincere Atlante a sorreggere di nuovo la volta celeste e, raggiunto lo scopo, fuggì via.
(3) Perseo chiese ospitalità ad Atlante al ritorno di un lungo viaggio durante il quale aveva tagliato la testa di Medusa. Ottenendo un rifiuto, Perseo mostrò la testa di Medusa al Titano, che venne immediatamente trasformato in pietra.

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Capitolo 8
*** Memoriale ***


MEMORIALE


Adagio for Strings



Appena Shepard rientrò sulla Normandy, al ritorno dalla visita all’ospedale della Cittadella, ordinò a Joker di impostare la rotta verso Rannoch, poi chiese a IDA di far risuonare su tutti i ponti della nave la sirena elettronica che segnalava la perdita di un membro dell’equipaggio.
Era quello il primo atto compiuto da uno dei superstiti della squadra da sbarco, quando il gruppo non tornava al completo. In pochi istanti tutto l’equipaggio, allertato da quel lugubre segnale acustico, avrebbe saputo quale compagno aveva perso la vita, perché su una nave spaziale le notizie viaggiavano almeno alla velocità della luce.
Quella volta l’equipaggio si scambiò sguardi perplessi e ansiosi. Nessuno capì immediatamente il senso di quel segnale, con la nave ancora attraccata all’hangar D24.
IDA venne subissata dalla domanda - Chi ha fatto suonare la sirena? - formulata in contemporanea da ogni postazione della Normandy.
La risposta che era stato il comandante in persona a dare quell’ordine, fece intuire quale nome avrebbe fatto la comparsa sulla lastra antistante l’ascensore sul ponte 3.

Shepard aveva adottato un rito particolare, molto diverso da quello in vigore sulle navi dell’Alleanza o di qualunque altra organizzazione, militare o civile che fosse: il ricordo del compagno caduto non avveniva mai davanti al memoriale, ma prima, durante un pranzo o una cena, di solito diverse ore dopo la perdita, o perfino il giorno successivo, per dare il tempo a chi aveva combattuto, e aveva visto il compagno morire, di superare i momenti più dolorosi.
In quel modo si affrontava meglio il dolore. In genere il pasto si apriva con il racconto della missione, soffermandosi sull’azione che aveva decretato la morte di quel membro dell’equipaggio che nessuno avrebbe più avuto modo di incontrare a bordo. I discorsi iniziavano sempre in tono triste e dimesso, ma poi diventavano più lievi, via via che qualcuno trovava la forza di passare al racconto di qualche episodio particolare, di un aneddoto, di una barzelletta, di una notizia curiosa.
Una volta terminato il pasto, la persona a cui era stata affidata la targa si avviava verso il memoriale, seguita da chiunque volesse partecipare all’ultimo atto di quella cerimonia.
La lamina sottile veniva apposta sulla colonna di sinistra o di destra, nel primo posto libero, e poi si restava in silenzio lì davanti. Qualcuno tornava subito alla propria postazione, qualcuno si tratteneva lì a lungo. Nessuno diceva mai una parola, non ce ne era bisogno.

Nel caso di Mordin, era stato il comandante stesso a tenere al suo fianco la targa durante la cena e ad aggiungerla poi alla lunga serie di nomi presenti sulla lastra commemorativa.
Anche in quel caso sarebbe stata Shepard ad apporre la sottile lamina di metallo con sopra inciso Thane Krios a quella lista che stava diventando troppo lunga, pensò Garrus che, una volta immaginata l’identità della nuova vittima, aveva emesso solo un lungo respiro doloroso.
Non aveva mai parlato con quel drell, ma ricordava quante volte avessero combattuto insieme, accomunati dall’onore di essere reputati i migliori compagni di squadra per lo stile di combattimento del loro comandante.
L’ultima battaglia a cui avevano partecipato entrambi era stata una delle più gloriose mai combattute, coronata da una vittoria insperata, al di là del portale di Omega 4, e dalla sopravvivenza di ogni membro dell’equipaggio. Era stato un risultato che aveva fatto gridare al miracolo, ma i miracoli, si sa, non si ripetono.
La guerra contro i Razziatori era completamente diversa da quella combattuta contro i Collettori. Era una guerra devastante. I morti erano innumerevoli ovunque, sulla Terra, Palaven, Tuchanka, su tantissime colonie sparse ovunque nella galassia e perfino fra l’equipaggio della Normandy.

Thane non era morto per un attacco diretto dei Razziatori, ma per Cerberus. L’assalto alla Cittadella aveva portato vittime inaspettate in una delle poche oasi ancora apparentemente torpide e rilassate, in una regione dello spazio reputata sicura fino a quel momento. Ma proprio quell’attacco poteva aver dato un contributo decisivo alle forze alleate. Adesso sulla Cittadella era arrivata la brutalità della guerra e la paura, quella paura che avrebbe smosso la gente apatica che ancora si rifiutava di comprendere il pericolo che la galassia doveva fronteggiare.
Era un pensiero cinico, si rese conto Garrus, mentre si sedeva su una sedia nella batteria primaria, appoggiando la fronte contro i palmi delle mani aperte, ma quella dannata guerra poteva essere combattuta solo da veri soldati, capaci di reagire con freddezza, di dimenticare la pietà e di usare il dolore per tramutarlo nel proprio punto di forza.

Era esattamente quello che faceva Shepard, fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrata.
Nelle sempre più rare notti in cui gli chiedeva di restare a dormire con lei, Garrus si svegliava spesso per i gemiti che lei emetteva in sogno e più di una volta aveva avvertito delle lacrime scorrere sul braccio su cui lei appoggiava la guancia. Quando la stringeva fra le braccia, ogni volta in cui lei si girava e lo cercava, avvertiva il profilo sempre più evidente delle costole.
Garrus era certo che quella sera lei non avrebbe mangiato quasi nulla, come accadeva sempre più frequentemente. Ma quella sera si sarebbe almeno seduta con l’equipaggio, per ricordare Thane.
Poi sarebbe rimasta a lungo davanti al memoriale, a fissare quei nomi e a ricordare volti e parole. E da quel dolore che si rinnovava invariato, perché lei era incapace di imparare ad accettare il tributo necessario da versare ad ogni scontro di quella guerra impari, avrebbe tratto l’energia per continuare a combattere con vigore immutato.

Da quella fonte di dolore lei attingeva energia, coraggio, risolutezza.
Se Garrus avesse avuto nozioni di alchimia e di leggende terrestri avrebbe definito il memoriale la pietra filosofale che lei utilizzava per tramutare il vile metallo, il dolore arido, improduttivo e nocivo, in oro. Era quell’oro trasfigurato a donarle l’energia di trascinare con sé interi popoli.
Solo lui conosceva le lacrime segrete del comandante e il suo dolore e solo lui sapeva quanto la ferissero. Sapeva di non poterla aiutarla a diminuire la pena, ma di poterla invece aiutare a sfruttarla.
Il suo visore gli rammentava in ogni momento quanto bene lui stesso conoscesse quella sublimazione del dolore: la lista dei membri della sua squadra su Omega e la lista dei membri dell’equipaggio delle due navi spaziali guidate dal comandante. Liste diverse solo nei suoni dei nomi.

Quella sera, dopo la cena in cui avevano ricordato il drell, senza che nessuno riuscisse a trovare un solo aneddoto dolce o divertente, capace di levigare il dolore spigoloso di quella nuova perdita, il comandante restò davanti al memoriale, trattenendosi a lungo, dopo che ogni altro compagno era tornato alla propria postazione.
Garrus si era fermato al suo fianco, sperando di riuscire a convincerla ad andare a dormire. Sapeva che molte delle notti in cui non lo cercava, Shepard le trascorreva in bianco, a porsi troppe domande di cui non poteva conoscere la risposta. Gli occhi cerchiati del giorno successivo testimoniavano il suo strazio notturno.
- Ti accompagno nel tuo alloggio? - le chiese, appoggiandole una mano sulla spalla.
- Non ancora - rispose lei, mentre rifletteva su quell’ultima commemorazione, tanto diversa dalle altre.

Durante i mesi che aveva passato a bordo, Thane aveva parlato solo con lei, raccontandole pian piano, con il crescere della fiducia, buona parte della sua vita e la pena per errori che non avrebbe mai potuto dimenticare. Tutti i particolari di ogni sua azione erano rimasti intatti nella memoria come nell’istante stesso in cui ogni singola azione era stata compiuta. Era una maledizione e un dono a cui nessun drell poteva sottrarsi.
Da quei ricordi Thane aveva tratto la forza che lo aveva animato fino a quell’ultimo gesto generoso, come Garrus l’aveva tratta dal suo visore, quando lottava su Omega, e Shepard dal memoriale che aveva davanti.
Ma durante l’ultima cena il comandante non aveva potuto partecipare ad altri la storia di Thane. Sarebbe stato un gesto sconveniente: quel drell si era confidato solo con lei e Shepard voleva serbare i suoi segreti, come gemme pregiate e misteriose. Eppure quel dolore non condivisibile le pesava addosso, si sommava a tante altre sofferenze incise sulla lastra e le attanagliava lo stomaco in una morsa.

Corse improvvisamente dentro i servizi femminili davanti allo sguardo stupito di Garrus, che si ritrovò da solo, nel corridoio, ad ascoltare rumori inquietanti che non sapeva come interpretare. Dopo pochi secondi venne raggiunto dalla Chakwas, che teneva in mano una siringa.
Il turian la fissò con uno sguardo interrogativo fino a quando la dottoressa spiegò che Shepard era in preda a una crisi di vomito.
- Ma non ha mangiato nulla a cena... - osservò lui perplesso.
- Succhi gastrici. Sintomo di stress acuto. Per questo sono qui - fece in tempo a chiarire lei, con una diagnosi scarna, prima che Shepard uscisse dai bagni.
- Che fai? Mi fai spiare da IDA? - sibilò il comandante guardando con rancore la dottoressa. Poi aggiunse - Non provarci neppure - dopo aver lanciato un’occhiata eloquente alla siringa.
- Sono un ufficiale medico, comandante, e prendo i provvedimenti che reputo opportuni per la salute dell’equipaggio - rispose in tono secco la dottoressa, mentre Garrus assisteva stupito a quella discussione.
- Sei sotto osservazione da giorni e ci resterai - concluse la Chakwas con fermezza.

- Che roba è? - chiese Shepard, arrendendosi di fronte alle norme del regolamento militare, ma continuando a fissare la siringa con aria sospettosa.
- Antiemetico... - rispose la dottoressa, iniettandoglielo.
- ... allungato con sedativo - aggiunse, mentre sosteneva il corpo di Shepard che le si stava afflosciando fra le braccia.
- Portala in cabina, Garrus - ordinò poi la Chakwas, con un insolito tono deciso di comando.
Il turian prese in braccio quel corpo inerte, lo portò nell’alloggio e lo sistemò sul letto, nella posizione che lei assumeva quando si rannicchiava fra le sue braccia, ma non si stese al suo fianco, preferendo uscire immediatamente.

- Sono preoccupato dalle condizioni di Shepard - dichiarò poco dopo, entrando nell’infermeria.
- Non mollerà, Garrus, lo sai anche tu - lo rassicurò la Chakwas - La tensione nervosa che la anima la spingerà a continuare a lottare là dove qualsiasi altra persona si arrenderebbe.
- Questo lo so, ma non riesco a liberarmi dall’idea che possa crollare fisicamente.
- No. Non credo - lo rassicurò la Chakwas, sicura che ammettere quanto lei stessa fosse preoccupata avrebbe solo peggiorato la situazione.
- Forse, a guerra finita, potrebbe subire le conseguenze di tutto questo lungo periodo di stress - aggiunse con tono professionale, augurandosi di aver ragione - Ma fino a quando gli scontri continueranno, potremo contare su di lei.
- C’è qualche buon consiglio che puoi darmi, dottoressa?
- No - rispose lei, dopo un attimo di riflessione - Potrei dirti che anche tu presenti chiari sintomi di affaticamento - dichiarò dopo aver consultato le letture del suo factotum - ma visto il periodo che stiamo attraversando una reazione diversa sarebbe solo inquietante - concluse la Chakwas.

Garrus uscì dall’infermeria poco convinto, sapendo che non sarebbe riuscito ad addormentarsi. Avrebbe voluto passare qualche ora al bar, ma l’idea di poter incontrare Kaidan, da poco tornato a bordo, non lo attirava affatto. Prima o poi sarebbe necessariamente capitato, ma quella la sera non si sentiva pronto ad affrontare un colloquio probabilmente imbarazzante.
Alla fine si diresse verso la sala tattica, curioso di vedere a quanto ammontasse attualmente la forza su cui Hackett poteva contare.
Rimase piacevolmente stupito dai numeri. Dall’ultima volta che aveva consultato quel terminale, all’epoca della morte di Mordin, si erano unite tutte le forze superstiti dei batarian, diversi scienziati ex Cerberus, i Rachni, un buon quantitativo di nuove forze krogan oltre a contingenti asari e salarian. Figuravano amici che non vedeva da tempo, quali Grunt, Kasumi, Jacob Taylor e Samara, ma anche strane figure che mai si sarebbe aspettato di trovare.
Si chiese come diamine il comandante fosse riuscito a procurarsi tutti quegli alleati, stupito dalla presenza di Balak, uno dei suoi nemici più acerrimi, e si sentì rassicurato che le sue previsioni un po’ azzardate su Asari e Salarian si fossero alla fine avverate.

- Tu pensi che abbiamo davvero qualche possibilità? - fu la domanda che lo sorprese mentre stava spegnendo il terminale.
- Un mio pensiero potrebbe rassicurarti? - chiese a sua volta, lanciando uno sguardo in tralice a Kaidan.
- Tu li hai visti all’opera, su Palaven.
- So solo che se lei non riuscirà, nessun’altro avrebbe potuto. Mi basta. A te serve altro?
- Non lo so. Non ho le tue certezze.
- Leggiti la lista dei nostri alleati. Rimarrai sorpreso - tagliò corto Garrus, avviandosi verso l’uscita per dirigersi verso la batteria primaria.
- Aspetta - lo fermò la voce del maggiore - Non riesco a dormire. Ti va di bere qualcosa?

- Non hai mai avuto dubbi sul comandante? - gli chiese Kaidan porgendogli una bottiglia, mentre si sedeva su una morbida poltrona in pelle davanti al turian, nel salone della Normandy.
- Quando aveva indosso la divisa di Cerberus? - chiese a sua volta Garrus, fissandolo incerto - No - replicò poi, in risposta al breve cenno di assenso di Kaidan.
- Già, immaginavo... - commentò lui con aria pensosa, accavallando le gambe - Ho sbagliato su Horizon e ho continuato a sbagliare su Marte. Quando ho smesso di sbagliare era troppo tardi - ammise con tono afflitto.
- Cosa vuoi da me, Kaidan? - domandò il turian, tenendogli addosso il suo sguardo celeste, assolutamente privo di simpatia e comprensione.
- Sono preoccupato - confessò l’umano, decidendo di essere sincero, mentre beveva un lungo sorso dalla bottiglia di birra che teneva in mano.
- Per Shepard?
- Sì. A occhio ha perso almeno cinque chili di peso dall’ultima volta che l’ho vista. Quegli occhi verdi sono diventati troppo grandi e troppo scavati...
- Cosa vuoi? - ripeté Garrus, seccato di dover constatare quanto Kaidan amasse ancora il comandante.
- Che la aiuti, porca miseria! Cosa fa un maledetto turian con la sua donna? E tu? - lo accusò con rabbia - Tu cosa fai?
- ‘fanculo Kaidan - gli urlò Garrus di rimando, alzandosi e uscendo dalla porta, dopo aver lanciato la bottiglia ancora mezza piena contro il muro, usando un gesto e un’espressione che non gli appartenevano.

Quando entrambi si ritrovarono la mattina dopo davanti alla navetta di sbarco, si fissarono con una tale espressione di reciproca sorpresa che mise in chiaro come nessuno di loro avesse parlato con il comandante della discussione avuta nel salone.
Eppure, con un tempismo sorprendente, Shepard aveva deciso di farsi accompagnare proprio da Kaidan e da Garrus, in linea con il suo abituale comportamento, ogni volta che sospettava che fra i membri del suo equipaggio esistesse un qualche attrito che avrebbe finito con il danneggiare il buon andamento della missione.

°°°°°

Nel periodo che Shepard trascorse nel consenso Geth, i due uomini rimasero silenziosi di fronte alla capsula, senza aver voglia di scambiarsi neppure un’occhiata, ma nella missione successiva, volta a salvare l’ammiraglio Koris, furono costretti a interagire fra di loro.
Formavano una buona squadra, dovettero rendersi conto controvoglia, e la necessaria attenzione alle mosse del compagno, e soprattutto alle cariche improvvise di Shepard, finì per smussare l’attrito esistente fra quei due uomini così diversi per carattere, ma così simili per il sentimento che li legava al proprio comandante. Si rilassarono perfino, notando come Shepard sembrasse la stessa di sempre.
L’avevano vista arrabbiarsi contro Legion alla conclusione della prima missione, quando si era resa conto che il Geth non l’aveva informata del progetto di persuadere alcuni degli eretici a unirsi a loro. Era stata una mossa davvero azzardata, che avrebbe potuto annullare tutti gli sforzi del comandante per ottenere l’appoggio congiunto dei geth e dei quarian.
Avevano condiviso la sua comprensibile rabbia, che le aveva alterato i lineamenti in un’espressione che entrambi conoscevano bene, sollevati nel riconoscere il loro comandante di sempre, rassicurati nel sentirsi certi che quella donna, apparentemente così provata nel fisico, era ancora in grado di guidarli con determinazione.
E di nuovo si stupirono di fronte alla durezza con cui il comandante trattò l’ammiraglio Koris, appellandosi al dovere di un militare, per scuoterlo dall’angoscia in cui il quarian era piombato, di fronte alle tanti morti civili a cui aveva dovuto assistere, per gli errori commessi da altri ammiragli della Flotta Migrante.

Le bastavano poche frasi, pronunciate in tono duro oppure con tutta la comprensione di cui un essere vivente poteva essere capace, per farsi seguire da chiunque. Donava generosamente il suo aiuto, pronta al sacrificio di se stessa e della sua squadra, ma in cambio si aspettava che la gente capisse cosa la animava e che fosse pronta a seguirla. Perché le missioni che le venivano affidate miravano alla sopravvivenza della vita nella galassia e ogni cosa era sacrificabile per un obiettivo come quello.

Tornarono a bordo con l’animo sollevato, lieti che per quel giorno la sirena sarebbe rimasta muta.
Durante la cena fu Joker a trovare la battuta che fece sentire tutti orgogliosi di far parte dell’equipaggio posto sotto il comando di Shepard.
- Così i Geth e i Quarian hanno smesso di massacrarsi fra di loro? Adesso mancherebbe solo porre fine all’eterno dissidio fra krogan, turian e salarian... - dichiarò il pilota, incrociando le braccia dietro la nuca e appoggiandosi contro lo schienale della sedia.
- Ah, no... dimenticavo... quello lo hai già fatto. E’ storia vecchia ormai... - rettificò con la sua solita risata beffarda, mentre il resto dell’equipaggio sorrideva.
- L’accordo fra Quarian e Geth non è ancora raggiunto, ma la distruzione della base dei Razziatori potrebbe compiere questo miracolo - rettificò Shepard fissando gli occhi su Tali, che rimase in silenzio, abbassando lo sguardo sul piatto che aveva di fronte.
- Vai a dormire, Tali’Zorah vas Normandy - si raccomandò poi il comandante, alzandosi per primo dal tavolo - domani sarà uno scontro duro e ti voglio al mio fianco - dichiarò posandole una mano sulla spalla.
- Grazie, Shepard - rispose lei, grata.

- Volevo solo augurarti la buonanotte e chiederti se potevo fare qualcosa per te - dichiarò Garrus una mezzora dopo la fine della cena, quando la porta della cabina sul ponte uno si aperse, lasciando vedere la figura di Shepard.
- Sì, grazie - rispose lei, prendendo dal ripiano il fucile di precisione e porgendoglielo.
- C’è altro? - gli chiese, vedendo che il turian era rimasto sull’uscio, con il fucile stretto nella mano destra.
- E’ che... beh, sono contento. E’ stata una bella giornata...
- Sì - concordò lei, fissandolo - Speriamo che domani sia anche migliore...
Garrus sorrise nervosamente e passò il fucile nella mano sinistra, per farle una carezza con le dita della destra mentre notava - Finalmente stasera hai anche mangiato qualcosa, per cena.
- E’ solo un altro aspetto della missione che mi è stata affidata - osservò lei, scansandosi istintivamente, mentre ripensava con irritazione al colloquio aspro che aveva avuto con la Chakwas la mattina di quello stesso giorno, appena sveglia.
- Non ho capito.
- Non ne voglio parlare, Garrus. Vorrei restare sola, se non ti spiace.
- Te lo restituisco domani? - chiese il turian guardando il fucile che aveva ancora nella mano sinistra, leggermente turbato dal comportamento ritroso di Shepard e da quella frase strana, che non comprendeva.
- Quando vuoi, ma prima della mia partenza: domani non verrai con me - gli annunciò lei in tono piatto.
- Porti Kaidan?
- Dannazione, Garrus! Non farmi casino - lo rimproverò Shepard guardandolo male, trasferendo sul turian l’irritazione che provava per la dottoressa - Verrà IDA - chiarì seccamente, prima di allontanarsi dalla porta che le si chiuse dietro le spalle.

“Tali e IDA” meditò il turian, mentre aspettava che le porte dell’ascensore si aprissero “Trattandosi di affrontare squadre di Geth è questa la scelta più logica” realizzò facilmente. Eppure non riusciva a liberarsi da un senso di inquietudine vaga per l’inusuale comportamento di Shepard e per la strana frase che aveva pronunciato.

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Capitolo 9
*** Doveri ***


Premessa
Mi sono resa conto che sto continuando ad aggiungere capitoli a questa storia. Inizialmente erano dieci, ora ne conto quattordici. Forse sto prendendo tempo per procrastinare la fine, per prepararmi psicologicamente ad affrontare gli ultimi tre capitoli, già pronti da mesi, dedicati allo scontro finale contro i Razziatori.
Spero di non starvi annoiando.
A parte Andromedahawke, che colgo l’occasione di ringraziare con vero affetto, Johnee (che immagino attualmente in una delle sue pause e che saluto, augurandole il buon vecchio “in bocca al lupo”), e Lisey91 (che ringrazio per le recensioni che riesce a scrivere, preziose, proprio per il tempo così scarso che ha) non ho il piacere di ricevere molti commenti, ma so di avere alcuni lettori che mi seguono.
A loro, doverosamente e con enorme piacere, aggiungo kikkisan, che mi sta leggendo con un po' di ritardo rispetto a quando ho pubblicato, ma che è diventata uno dei miei recensori più affezionati e di fiducia.
Mi piacerebbe molto trovare qualche osservazione, impressione, critica o suggerimento. Se troverete il tempo di farlo ve ne sarò davvero grata.
E ora, vi auguro semplicemente una buona lettura di questo nono capitolo.


DOVERI


Amazing Piano Song



Sarebbe potuta essere una delle poche parentesi felici in quella guerra tanto disperata, invece la morte di un altro amico aveva tramutato in tragedia anche quell’ultima missione.
Rannoch era stato riconquistato e i Quarian erano finalmente tornati in possesso del loro pianeta natale. La ritrovata collaborazione con i Geth, non ancora amici, ma di certo almeno validi alleati, avrebbe anche permesso una rapida ricostruzione. In pochi decenni quel popolo errante avrebbe potuto liberarsi dalle tute e ricominciare a vivere come prima della Guerra degli Albori, contro le IA da loro stessi create.

Il piccolo ammasso di parti metalliche e di circuiti che Garrus stava ricomponendo, ripulendolo dalla terra e dai pezzi di roccia del suolo arido di Rannoch, per riportarlo a bordo della Normandy, non lo turbava più di tanto, ma di certo feriva il comandante, poco distante da lì, seduto sul terreno a parlare con Tali.
Il turian aveva chiesto ad un Geth che passava in quel momento nelle vicinanze se rivolessero indietro il corpo di Legion e quella unità aveva estratto alcune parti dall’ammasso inerte, commentando che il resto era privo di valore.
Garrus era leggermente rabbrividito, pur rendendosi conto che era una reazione logica e razionale. Forse, però, era un po’ troppo razionale... almeno per un essere vivente che aveva conosciuto un Geth particolare, quello con un inspiegabile pezzo di armatura N7, quello che aveva ascoltato pronunciare la domanda questa unità ha un’anima?

Lanciò nuovamente un’occhiata alle due donne che si erano alzate in piedi e guardavano verso l’orizzonte. Vide Tali sganciarsi la maschera che le copriva il volto e immaginò la sua gioia nel respirare per la prima volta l’aria del pianeta natale.
Ci sono momenti che si aspettano e si sognano per tutta una vita intera. Nulla di ciò che avverrà dopo riuscirà a eguagliare le sensazione provata in quell’attimo di perfezione.
Era felice di aver potuto assistere a quel miracolo insperato e nello stesso tempo era preoccupato per la reazione che avrebbe avuto Shepard, più tardi, quando fossero tornati a bordo. Si chiese se la felicità della quarian sarebbe stata sufficiente a controbilanciare il dolore nell’apporre una nuova targa sul memoriale della nave.
In pochi giorni troppi amici si erano aggiunti a quel triste elenco e Shepard faceva sempre più fatica a restare padrona di se stessa e delle sue emozioni. Era stato Mordin ad inaugurare quella triste sequenza, subito dopo Thane e ora Legion.

Mentre Garrus si alzava a sua volta, notò che le due donne si stavano avvicinando verso di lui.
- Non lo portiamo a bordo - gli comunicò il comandante, fissando lungamente la sua vecchia armatura N7 che copriva parte del petto, della spalla e del braccio destro di Legion.
- E’ qui che è nato e qui vorrebbe riposare - aggiunse lentamente la voce di Tali, dietro la solita maschera, priva della usuale patina argentina.
Chiamò un altro quarian e gli dette le opportune disposizioni, prima di raggiungere Shepard e Garrus davanti al portellone aperto della navetta da sbarco.

Appena rientrati sulla Normandy, la sirena elettronica che annunciava la perdita di un membro dell’equipaggio risuonò tristemente dagli altoparlanti su tutti i ponti e pochi minuti dopo Shepard andò nella sala macchine per consegnare a Tali la targa con il nome di Legion.
Passò sul ponte per dare ordine a Joker di dirigersi sulla Cittadella, ma per il resto della giornata il comandante non comparve più sui ponti della nave, restando rintanata nella sua cabina anche durante l’ora di pranzo, senza che nessuno trovasse il coraggio di andarla disturbare.

- Quando avete finito di mangiare, mi porteresti qualche avanzo? - fu la domanda che risuonò nella batteria primaria nel tardo pomeriggio.
- Certamente - rispose Garrus, stupito dalla strana richiesta, che fra l’altro rendeva evidente come il comandante non avrebbe presenziato alla cena commemorativa per il geth caduto.
- Cosa preferiresti? - aggiunse in tono incerto.
- Non ha alcuna importanza.

Era stata una cena strana, con i commensali che si erano scambiati sguardi incerti, domandandosi cosa fosse accaduto realmente su Rannoch, perché non riuscivano a spiegarsi l’assenza del comandante. Era la prima volta che Shepard mancava alla celebrazione dell’addio ad un membro dell’equipaggio e quel cambiamento era apparso a tutti piuttosto inquietante.
Il silenzio era stato rotto da Tali che aveva preso a raccontare le fasi salienti di quell’ultima missione e il sacrificio di Legion, poi l’atmosfera si era andata un po’ rasserenando quando si era passati a ricordare alcuni aneddoti che avevano alleggerito il clima cupo.

- Come sei riuscita a farla mangiare? - chiese Garrus alla dottoressa che era tornata in sala mensa per dargli una mano a preparare un vassoio di cibo da portare nell’alloggio del comandante, dopo la sosta davanti al memoriale.
- Facendo leva sui doveri di un condottiero - fu la risposta lapidaria - Se si lasciasse morire di fame perderemmo la guerra prima di cominciare a combattere sul serio.
- L’hai accusata di questo? - chiese il turian, senza riuscire a credere che la Chakwas si fosse espressa in quei termini.
- Credo di essere stata più… incisiva.
- Spiriti!... Cosa le hai detto?
- Che se non se la sente più di guidare questa guerra disperata dovrebbe ammetterlo apertamente, visto che tutti contano esclusivamente sul comandante Shepard. Ricorrere a simili sotterfugi per svincolarsi dai doveri che le sono stati assegnati è indegno di lei.
- Ma dottoressa!
- Ho imparato dalla migliore, Garrus - osservò lei in tono stanco - Tu non le avresti mai detto niente del genere. Nessuno, su questa dannata nave, avrebbe avuto il coraggio di muoverle un’accusa di questa portata - aggiunse con determinazione, posando sul vassoio che il turian teneva fra le mani anche una bottiglia del vino preferito dal comandante.
- Tu sì, invece...
- Ti insegno un antico detto umano, Garrus: il medico pietoso fa la piaga verminosa. E accompagnato da questa piccola briciola di buon senso, vedi di portarle il tutto prima che si raffreddi... - concluse la Chakwas ritirandosi con calma nell’infermeria.

Nel silenzio dell’ascensore il turian provò a immedesimarsi nello stato d’animo del comandante, dopo essere stato accusato di un simile crimine. Le era stato detto a chiare lettere esattamente quello che lei temeva di ascoltare, con l’aggravante di un’accusa impensabile di vigliaccheria.
Forse era un sistema efficace, ma definirlo devastante, per una persona come Shepard, era un banale eufemismo.
“No, io non avrei potuto dirti una cosa simile. I turian non sanno mentire... E se anche ci fossi riuscito, tu non mi avresti creduto” si rese conto, sentendosi irritato contro la dottoressa e nello stesso tempo grato che avesse preso in mano la situazione.

Non le augurò - Spero ti piaccia quello che ho portato - entrando nella cabina e posando il vassoio sul tavolo. Sapeva che avrebbe mangiato un pezzo di carta con lo stesso gusto.
Versò un po’ di vino e le porse il bicchiere, aspettando pazientemente che si decidesse a smettere di consultare la mappa galattica, piena di sistemi cerchiati in rosso, per evidenziare l’avanzata dei Razziatori.
- Grazie - fu l’unica parola, pronunciata in tono distaccato e distratto, che Shepard gli rivolse togliendogli il bicchiere dalle mani, mentre Garrus resisteva alla tentazione di approfittare di quel brevissimo contatto fra le loro dita.
Aspettò in silenzio fino a quando il comandante prese uno dei piatti dal vassoio e cominciò a mangiare meccanicamente, mentre scorreva con evidente ansia e nervosismo il contenuto di un paio di datapad che aveva appoggiato a fianco a lei sul letto. Si sedette anche lui sul bordo, a poca distanza, fissandole la nuca, tanto più esile e delicata rispetto a quella di una femmina della sua razza.
Con un movimento fluido e lentissimo cominciò ad accarezzarle le spalle, in un massaggio gentile, che seguiva le fibre muscolari della schiena, certo che lei non avrebbe frainteso le sue intenzioni, con i capelli che aveva appositamente lasciato legati in quel solito nodo. Eppure Shepard si irrigidì lo stesso, per un attimo, prima di tornare a dedicarsi alle letture e al cibo.
Garrus ripensò alle domande irritanti che Kaidan aveva pronunciato nel salone poche ore prima, ma non riusciva assolutamente a immaginare come potesse riuscire a infrangere quel muro che il comandante si era costruito attorno senza provocare danni peggiori.

Quando Shepard chiese - Basterà? - qualche minuto più tardi, accorgendosi che il piatto era finalmente vuoto, il turian lasciò cadere le mani dalle sue spalle accorgendosi che stava per rispondere male. Se poteva ancora accettare di essere del tutto ignorato, trovava inammissibile che il comandante gli facesse addirittura indossare le vesti del carceriere che vigila su un detenuto.
- Spiriti, comandante! Non sono qui per controllare quanto mangi! - protestò immediatamente.
- Mi dispiace... Lo so - replicò Shepard alzandosi stancamente dal letto e tornando verso la mappa galattica.
Garrus prese il piatto e lo posò sul vassoio che aveva preso in mano, prima di uscire dalla cabina con l’animo pesante.

°°°°°

La Normandy era tornata ancora una volta sulla Cittadella e Shepard aveva avuto un lungo colloquio con il Consigliere asari, al termine del quale aveva fatto ritorno sulla nave, con l’ansia di ripartire nel più breve tempo possibile.
La possibilità che su Thessia fosse custodito un manufatto probabilmente determinante nella costruzione dell’arma contro i Razziatori l'aveva riempita di speranza, nonostante la rabbia provata nel verificare, ancora una volta, quanto la sua lotta venisse continuamente ostacolata dalla mancanza di fiducia da parte di quelli che sarebbero dovuti essere i suoi alleati.

Fu necessario parecchio tempo per arrivare nei pressi del pianeta natale delle asari, ma per tutto quel lungo viaggio Shepard si limitò a fare la spola fra il suo alloggio, la sala tattica e la stanza del primo ufficiale.
Non entrò mai nella batteria primaria e Garrus non passò in cabina, sicuro che la sua presenza non potesse aiutarla affatto in quel momento e che l’umore tetro dal quale lui stesso non riusciva a liberarsi non rendesse consigliabile alcun colloquio su argomenti estranei alle prossime missioni.
Alla fine era stato il comandante a cercarlo, la sera prima dell’arrivo sul pianeta.
Gli aveva teso il fucile di precisione chiedendo - Gli dai una sistemata, Garrus? Il prossimo scontro sarà duro, ho bisogno che tutto funzioni alla perfezione.
Al cenno di assenso del turian aveva aggiunto sbrigativamente - Prepara anche il tuo equipaggiamento: tu e Liara scenderete su Thessia con me.

La mattina dopo, appena sveglio, il comandante si diresse sul ponte, per sapere quanto tempo mancasse all’atterraggio su Thessia, poi verso la stanza di Liara, come faceva sempre, da quando aveva saputo che i Razziatori avevano attaccato anche quel pianeta.
Non aveva parole di conforto da offrirle, perché non ne esistevano: sapeva perfettamente cosa stesse provando la sua amica. Le immagini di Palaven sotto assedio dovevano esserle tornate alla mente, più vivide che mai.
Si limitava a gironzolare per la stanza, a volte leggendo qualche missiva indirizzata all’Ombra, altre volte ascoltando i monologhi di Liara o le comunicazioni senza accento di Glifo.
Ogni tanto cercava di incitarla a sperare che quella missione potesse contribuire in modo determinante alla guerra, ma per la maggior parte del tempo restava semplicemente in silenzio, con uno sguardo triste che ben si accordava allo sguardo della asari.

Quando entrò nella stanza del primo ufficiale, poco prima dello sbarco su Thessia, trovò Liara indaffarata intorno al suo equipaggiamento.
- Sei pronta?
- E’ la settima volta in mezzora che la dottoressa T’soni effettua i medesimi controlli - osservò Glifo con quel solito tono privo di inflessioni.
Il comandante si avvicinò e la strinse forte fra le braccia - Ti prometto che farò tutto il possibile per aiutare il tuo pianeta. Dobbiamo prendere il catalizzatore e prepararci alla battaglia conclusiva.
- Lo so, Shepard. Sono pronta - rispose la asari asciugandosi le lacrime.

°°°°°


Alone Wolf (violin)


E invece la battaglia si risolse in una piena sconfitta. Avevano perso tutto, quasi la stessa vita di Shepard.
La speranza di poter completare l’arma contro i Razziatori si era infranta miseramente: Kai Leng aveva ridotto drasticamente le loro speranze nella vittoria e solo il gesto rapido della mano di Liara aveva impedito che il comandante si sfracellasse nel baratro che si era aperto sotto i loro piedi decretando la fine dello scontro.
Già nel viaggio sulla navetta di sbarco e poi dopo, una volta tornati a bordo, Shepard aveva provato a consolare ripetutamente la sua amica, cercando di trovare parole piene di una speranza che non provava veramente più. Poi era andata davanti al memoriale a fissare la lastra con tutti quei nomi incisi.
“Devo combattere” aveva continuato a ripetersi, sfiorando con le dita quella parete imperturbabile, mentre nella mente scorrevano sorrisi lontani e frasi antiche. Alla fine ingoiò le lacrime cercando di usare ancora una volta quei caratteri impressi sul memoriale per continuare a combattere lo sconforto che la amareggiava “Non posso arrendermi: tante morti devono trovare un senso e una giustificazione”.

Radunò l’equipaggio in sala tattica e chiese se qualcuno avesse un suggerimento, un’ispirazione qualsiasi per cercare di rintracciare la base dell’Uomo Misterioso verso la quale si era certamente diretto Kai Leng.
Le parole di IDA e della specialista Traynor le offrirono una tenue speranza e lei comunicò a tutti i presenti l’intenzione di seguire quella traccia vaga, dato che comunque non avevano niente di meglio.
Guardò i suoi compagni con una sicurezza che sapeva effimera, ma che doveva apparire ferma e sicura: aveva un equipaggio da motivare e rassicurare.
Tutto era ancora possibile, la battaglia appena persa non avrebbe segnato le sorti dello scontro finale. I Razziatori potevano ancora essere sconfitti.
Questo, per grandi linee, fu il discorso che fece ai suoi uomini e alle sue donne, con quel tono che sapeva ispirare fiducia e speranza anche quando la situazione appariva compromessa al di là di ogni ragionevole illusione.
Solo quando finì di parlare si rese conto che Garrus non era presente. Non lo aveva più visto dalla fine della missione su Thessia.

Avrebbe desiderato dare l’ordine immediato di inseguire Kai Leng, ma gli scambi di idee al videoterminale con Hackett e Anderson le avevano fatto modificare i progetti. Nonostante la rabbia che provava e il desiderio di vendetta nei confronti di quel dannato ex ufficiale N7, anche lui addestratosi nella Marina dell’Alleanza, Shepard dovette riconoscere la sensatezza dei consigli dei due ammiragli, che le avevano quasi imposto una nuova lunga sosta presso la Cittadella.
La Normandy aveva bisogno di essere riparata, in modo da tornare ad essere pienamente funzionante, e i rifornimenti cominciavano a scarseggiare: medicinali e munizioni erano agli sgoccioli ed era suo dovere equipaggiarsi al meglio prima di affrontare uno scontro nella base dell’Uomo Misterioso. Anche all’equipaggio avrebbe giovato una vacanza, dopo quel periodo così denso di combattimenti costellati da tanti lutti.
Decise di concedere e di concedersi una breve licenza, in modo che tutti potessero riposarsi e salutare amici e familiari, prima di prepararsi ad una battaglia che sarebbe stata sicuramente ardua.
Anche la costruzione del crucibolo volgeva ormai al termine e lo scontro finale contro i Razziatori non sarebbe stato rinviato ancora a lungo. Quella sosta all’hangar D24 sarebbe stata probabilmente l’ultima prima della battaglia finale contro i Razziatori.
Una volta comunicate questa decisione all’equipaggio mediante il trasmettitore collegato a tutti i ponti, si diresse verso la batteria primaria.

Varcata la porta si rese conto che la stanza era vuota. Cercò invano per tutta l’area, rivolgendo perfino lo sguardo sul soffitto, memore di quella volta in cui, quando era entrata senza trovarlo e l’aveva chiamato, si era sentita rispondere dall’alto - Com... a... nte? - da una voce ovattata, come se il turian fosse stato parzialmente imbavagliato.
- Ma dove sei? - aveva chiesto perplessa, prima di sbarrare gli occhi nel vederlo aggrappato con le gambe ad una trave del soffitto, a mo’ di pipistrello, mentre armeggiava con le dita intorno ad una delle lampade attaccate al soffitto.
- Cosa cavolo... - era stata la frase che aveva cominciato a pronunciare, mentre seguiva con gli occhi sempre sbarrati la mimica del turian che le aveva fatto il gesto di volerle lanciare qualcosa. Aveva acchiappato al volo la lunga lampadina che lui aveva smontato dal soffitto, mentre Garrus si sfilava una lampadina analoga, avvoltolata in uno straccio, dalla bocca, e la sistemava al posto di quella vecchia spiegando - Era fulminata da giorni. Non lo sopportavo più, stavo diventando matto.
- Lo vedo - aveva commentato sorridendo, mentre il turian si lasciava finalmente cadere al suolo con grazia. Poi le aveva tolto dalle mani la lampadina fulminata e l’aveva gettava nel secchio dei rifiuti, prima di passare ad aprire un mobile infilandoci dentro tutto il capo.
- E ora?
- C’è una vibrazione qui, mi ci sveglio di notte...
- Garrus?
- Sì?
- Hai sentito cosa ti ho detto poco fa dal comunicatore?
- Uhm... no. Non credo - aveva ammesso lui tirandosi fuori dal mobile e prestandole finalmente attenzione...

Sorrise al ricordo di quell’episodio sciocco, forse risalente a poche settimane prima. Ora sembravano trascorsi degli anni. Erano tutti stremati e logorati, erano stati letteralmente consunti dall’ansia e dal dolore. Avevano avuto ragione i suoi superiori a ordinarle di riposarsi. Anderson le aveva perfino fornito l’accesso al proprio appartamento, che aveva fama di essere uno dei più belli sulla stazione spaziale, in quanto a spazi disponibili e a localizzazione.
- IDA, dov’è Garrus?
- Non lo so esattamente - fu la risposta della IA - si è infilato nella botola sul pavimento alla tua destra. L’ho perso dopo qualche decina di metri. Ci sono intercapedini sui quali non ho accessi.
- Vuoi dire che non sei in grado di localizzarlo? - chiese aggrottando la fronte, stupita che ci fossero luoghi liberi dalla sua supervisione.
- Non con precisione, ma conosco il settore.
- E va bene, guidami allora - rispose alzando il coperchio della botola e cominciando a scendere la stretta scaletta a pioli di metallo.

Era la prima volta che strisciava lungo i condotti di quella nave. Quando era stata primo ufficiale, sotto il comando di Anderson, a bordo della SR1, le era capitato di finire in cunicoli analoghi, dove regnava un’oscurità interrotta solo a distanze regolari da piccole luci fioche, il rumore non veniva attutito da nessuno smorzatore di suoni e lo spazio per girarsi era veramente ridotto al minimo. Da quando era sulla SR2, invece, non si era mai presentata quella necessità. Gli ingegneri di Cerberus in quel caso non si erano discostati dai canoni di progettazione della prima nave, rifletté con un sorriso quasi nostalgico, ritrovandosi immersa in un buio colmo di rumori assordanti e con serie difficoltà di movimento.
Ad una curva stretta si trovò fra i piedi la parte superiore dell’armatura che Garrus doveva essersi sganciato: il passaggio diventava ancora più stretto e sicuramente non aveva consentito al turian di procedere oltre, senza spogliarsi almeno parzialmente.
Quando IDA la avvisò che da quel punto in poi non avrebbe più saputo guidarla, lei rimase ferma a osservare le varie possibilità, prima di chiedere alla IA cosa si trovasse nelle sue vicinanze.

Si diresse nell’alloggiamento del Thanix. Non aveva avuto dubbi che il turian si trovasse lì.
Quando arrivò in quella stanza, piena di congegni sconosciuti, necessari per far fuoriuscire il cannone primario della Normandy dal suo alloggio, si rese conto che non era prudente attardarsi lì senza avvisare. In caso di scontro contro un nemico si poteva finire risucchiati nello spazio, o schiacciati contro qualche macchinario in funzione, se ci fosse stato bisogno di ricorrere ai colpi del cannone primario.
Eppure Garrus era proprio lì, rannicchiato contro una paratia, con uno straccio unto e lercio in una mano e un accidente di strano aggeggio nell’altra. Dormiva, abbrancato a un tubo di metallo, come se fosse stato colto dalla stanchezza nel mezzo di una qualche operazione di manutenzione.
Avvisò IDA, strillando forte nel factotum, cercando di sovrastare il rumore di fondo, fatto di schiocchi e di scricchiolii amplificati. L’intera struttura gemeva, come se stesse tentando una ribellione contro forze esterne soverchianti, combattendo contro il vuoto dell’universo, contro frammenti minuscoli di meteoriti che scalfivano la paratia esterna della nave. Pochi centimetri di metallo li separavano dal nulla, un rumore assordante li separava dal resto del mondo.

Lo scosse gentilmente senza risultato e poi più energicamente, fino a quando fu certa di aver colto il luccichio di un'iride azzurra. Durò un istante, poi la luce del factotum mostrò un Garrus che tornava a rannicchiarsi sul pavimento, avvoltolandosi su se stesso come quegli animali terrestri dotati di armatura, come una sorta di pangolino.
Shepard rimase a fissare quell’insieme di placche e scaglie che brillavano alla luce della torcia del suo factotum: gambe ripiegate, appoggiate contro l’addome, braccia anch’esse piegate, con gomiti contro le ginocchia, che raccoglievano al loro interno la testa. Le dita delle mani appoggiate sopra le creste sul capo. Una specie di barriera di placche, creste ossee e punte che brillavano di freddi riflessi metallici.
Scuoterlo era stato inutile, ma urlare non sarebbe servito perché nessuna voce umana poteva vincere il frastuono di sottofondo.
Usò il factotum per effettuare le letture delle sue condizioni fisiche e corse verso l’infermeria.

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Capitolo 10
*** Ansie e timori ***


ANSIE E TIMORI


I’m sorry - 1



- IDA, mi servono informazioni su Garrus nell’ultima settimana - chiese la Chakwas, dopo aver scorso i dati che Shepard aveva estratto dal suo factotum.
- Puoi essere più specifica, dottoressa?
- Dammi informazioni sui suoi periodi di sonno.
- Non è una richiesta a cui posso rispondere. Rilevo costantemente le funzioni neurovegetative di ciascun membro dell’equipaggio, registrandole su apposite memorie, ma non so distinguere fra sonno e veglia - spiegò la IA - L’attività cerebrale nel sonno può superare di molte volte quella dei periodi coscienti e dalle mie registrazioni non posso sapere se, o quando, Garrus abbia perso consapevolezza del mondo che lo circondava.
- E dalle immagini delle telecamere nella batteria primaria?
- Non registro immagini, dottoressa.
- Ma non ricordi neppure? - intervenne il comandante.
- Non registrando, non posso ricordare.

- Cosa puoi dirmi allora, dottoressa? - chiese il comandante.
- E’ possibile che Garrus abbia dormito poco o nulla, ultimamente. Buona parte dei parametri vitali sono fuori degli standard. Alcune letture sono... beh, preoccupanti... Parlerei di una sorta di break down - ammise la Chakwas.
- Soluzioni? - chiese sbrigativamente Shepard.
- Non posso somministrargli nulla senza un’indagine più accurata. Dovrei parlargli... Te ne rendi conto, immagino... - rispose la dottoressa, stringendosi nelle spalle, mentre notava come il comandante si fosse girato per uscire dall’infermeria prima ancora che lei finisse di parlare.

Shepard tornò nella batteria primaria, prese la coperta appoggiata sopra il materasso e un paio di datapad. Sul primo, che lasciò in bella vista sopra il computer di Garrus, inserì le frasi Ho bisogno di parlarti. Vieni da me quando ti svegli, mentre il secondo se lo portò appresso, dopo averci appuntato le stesse identiche parole.
Tornò nell’alloggiamento del Thanix e coprì il corpo raggomitolato di Garrus con la coperta poi, durante il percorso a ritroso, lasciò il secondo datapad contro la corazza abbandonata. Infine passò a mensa, recuperò un paio di bottiglie di vino per entrambi e si rintanò nel suo alloggio. Ora avrebbe solo aspettato pazientemente.

- Cosa succede, comandante? - fu la domanda che la destò di soprassalto a notte fonda. Comprese di trovarsi sdraiata sul letto, di traverso, sopra la coperta, ancora con l’uniforme addosso e attorniata dai soliti datapad pieni di appunti e di notizie provenienti dai vari settori della galassia.
“Svegliati. E’ qui, come gli hai ordinato. Vedi di capire come cazzo sta”.
- Come stai, Garrus? - chiese, accendendo la prima luce a portata di mano, realizzando che in ogni caso non sarebbe riuscita a conoscere le condizioni di salute del turian solo studiandone il volto.
- Bene.
- Cosa facevi giù, nell’alloggiamento del Thanix?
- Controllavo un rumore che non mi spiegavo, una sorta di attrito fastidioso.
- Da quanto tempo non dormi?
- Mi sono appena svegliato...
“Dovrei ridere per questa battuta idiota? Non ho voglia di giochini scemi, razza di deficiente”.
- Si, va bene... non intendevo questo. Hai capito la domanda.
- Sto bene, comandante.
“No che non stai bene, cazzo!” imprecò nella mente, irritata con Garrus e con se stessa. Si alzò in piedi, fissando il turian negli occhi.
- Non è ammesso dormire nell’alloggiamento del Thanix. Credo che i motivi siano ovvi - furono le frasi che le vennero spontaneamente alle labbra e che suonarono come un rimprovero aspro.
- Non capiterà più, comandante - rispose con calma Garrus, prima di aggiungere - C’è altro?
“Certo che c’è altro! Mi hai fatto spaventare...” fu la confessione che non riuscì a pronunciare.
- Volevo aggiornarti: stiamo portando la nave sulla Cittadella, per effettuare un check up completo - dichiarò invece - Segna solo tutto quello che non funziona o non ti convince, ma non metterti ad aggiustare cose. Non ce n’è bisogno.
- Va bene, comandante - rispose il turian, cominciando a girarsi per uscire dalla cabina.

“Dove pensi di andare? Non ti ho autorizzato a lasciare la mia cabina... E’ da quando sei entrato che stai cercando di andartene... Maledizione!... Ma poi, io... Io... Ma io, cosa cazzo sto facendo?”.
- Sono io ad aver bisogno di te, non la dannatissima Normandy.
“Oh, finalmente! Ti ci voleva così tanto ad ammetterlo?” si chiese, vedendo che Garrus si bloccava di colpo, girando il capo verso di lei con un’espressione confusa, incerto di aver compreso esattamente il significato di quella frase inattesa.
- Mi fai compagnia?
- Se è questo che vuoi... - rispose il turian, poco convinto, avvicinandosi.

- Cosa non funziona, secondo te? - chiese Shepard dopo che entrambi si furono seduti sul divano ed ebbero bevuto dei lunghi sorsi dalle bottiglie che adesso stringevano in mano.
- In cosa? Nella guerra contro i Razziatori? - domandò a sua volta il turian.
- No. In noi: in me, in te...
- Ti hanno caricato di un peso che sarebbe insopportabile per chiunque altro e io sono assolutamente incapace di aiutarti - fu la diagnosi secca e sicura.
- Siamo arrivati fino a qui solo perché sei sempre stato al mio fianco. Mi sarei arresa tanto tempo fa, se fossi stata sola, o se ci fosse stato chiunque altro al tuo posto - gli confessò quietamente, guardandolo negli occhi.
- E allora cosa non funziona, secondo te? - le rigirò la domanda Garrus, ancora poco persuaso.
- Nulla. Non c’è assolutamente nulla che non funzioni, salvo che ho abusato della tua capacità di comprensione... “comportandomi come una stronza...”.
- Non credo di aver capito.
- Ho sempre dato per scontato che tu restassi al mio fianco. Anche quando ho avuto bisogno di restare sola, come un animale selvatico che deve leccarsi le proprie ferite al sicuro della sua tana, ho immaginato che ti avrei ritrovato, non appena fossi stata abbastanza in forze per tornare all’aperto - cercò di spiegare.
Fece una pausa e lo guardò - Sei ancora lì, all’entrata della mia tana?
- Non saprei dove altro andare.

- Siamo costretti a prenderci qualche giorno di pausa, da ora fino a quando la Normandy tornerà ad essere pienamente operativa. Vorrei che riuscissimo a tirarne fuori una vacanza. Potrebbe essere l’ultima che ci viene concessa - rilevò Shepard dopo aver finito la bottiglia e averla posata sul tavolino di fronte al divano, per poi prendere uno dei datapad appoggiati sul letto.
- Una vacanza, Shep?
- Sì, assolutamente!
- Ok. Passami un po’ quel datapad. Cosa racconta di bello?
- La posizione delle flotte batarian.
- Uhm... interessante... - osservò - E quello? - chiese ancora, alzandosi dal divano e indicandone uno appoggiato sul letto, lontano dal mucchio dei restanti rapporti, a portata di mano del comandante.
- Sono gli spostamenti delle pattuglie guidate da Anderson nell’ultima settimana e la dislocazione dei rifugi di fortuna creati attorno alle maggiori città sulla Terra - rispose lei prendendolo fra le dita, come un piccolo gioiello prezioso.
- Bene, dai qui. Uhm... questo potrebbe essere un rapporto sui Commando Asari - scandì, alzandone uno a caso dal mucchio - Questo è uno sulla flotta Turian... uno sulla fanteria Krogan, poi Sole Blu, Elcor... Ma ci sono anche gli Elcor? - chiese stupito - Ma dai! Pure i Volus... Incredibile! E qui, uhm... altri mercenari, credo. E poi, beh sì, ovvio... i Salarian. E dove sono i Quarian e Geth?... Uhm, saranno questi? E qui? Ohhh, ma questo datapad è una meraviglia! Qui abbiamo addirittura la probabile localizzazione della base dell’Uomo Misterioso. Non è vero, Shep? Deve essere il pezzo raro della collezione...
- Sì... Forse... Non so se sia quello il datapad giusto... Non credo, però... Aveva la cornice rossa, mi pare...
- Vuoi andare ancora in vacanza?
- Devo aspettare, Garrus, non posso fare altro...

- In effetti... sembra l’unica soluzione ragionevole - concordò il turian, finendo di raccogliere gli ultimi tre datapad rimasti sul letto.
- Ma le cose vanno fatte bene o non si cominciano neppure - osservò prima di entrare nel bagno del comandante.
- NOOOOOO - fece appena in tempo a urlare Shepard, mentre alle sue orecchie giungeva il frastuono inconfondibile del trituratore di rifiuti che stava masticando voracemente la ventina di datapad datigli in pasto dalle generose mani del turian. Il suono delle lame rotanti dentate che sbriciolavano plastica, circuiti e pezzi di metallo lacerò le orecchie e il cuore del comandante.

- Sono disarmato. Se esco a mani alzate pensi di potermi permettere di lasciare la tua cabina illeso? - fu la richiesta che le giunse dopo che la macchina distruttrice ebbe emesso l’ultimo piccolo tonfo, quasi fosse il rutto soddisfatto di un umano che ha mangiato e bevuto troppo.
“E sta pure ridendo il deficiente!” notò con rabbia, mentre entrava nel bagno animata da una furia cieca che non sapeva se avesse mai provato prima.
Garrus era accoccolato sul pavimento, in preda a un’evidente crisi di risate, che non gli consentiva neppure di restare in piedi. Lo fissò allibita, non riuscendo a credere a quella manifestazione di follia assoluta.
- Shepard, ovviamente ho tutte le copie dei documenti appena distrutti - fu la tempestiva comunicazione della IA, mentre Garrus, nel vederla entrare in bagno con quella furia devastatrice che le rifulgeva intorno, non riusciva ad emettere altri suoni se non una ininterrotta serie di singhiozzi sempre più sonori.

- Lo sai che hai rischiato che mi arrabbiassi sul serio? - gli chiese Shepard ridacchiando, poco prima di addormentarsi.
- L’ho capito quando ti ho vista entrare in bagno. Non credevo avessi scordato IDA...
- Sei completamente folle.
- Non riuscivo a smettere di ridere, anche se per qualche secondo ho temuto che avresti potuto uccidermi seduta stante.
- Non ho ucciso Kaidan quando mi ha puntato una pistola contro sulla Cittadella, dubito che potrei uccidere mai te... - fu l’ultima frase che Shepard sussurrò prima di addormentarsi, grata di ritrovarsi ancora una volta fra le braccia del turian.

°°°°°

I’m sorry - 2



- Vai via? - fu la domanda che fermò i movimenti lenti che Garrus stava eseguendo da un paio di minuti nell’oscurità azzurrina della cabina, con lentezza accorta, per districarsi dalla presa del comandante senza disturbarla.
- Non volevo svegliarti.
La richiesta - Puoi restare un altro po’? - lo lasciò interdetto, ma tornò a sdraiarsi. Dopo una manciata di minuti che Shepard passò a girarsi e rigirarsi nervosamente, Garrus la sentì sbuffare e a alla fine esclamare con rabbia - Va bene, vai pure. Tanto non riesco ad addormentarmi.
- Non mi spiacerebbe ritrovarti sveglia - commentò lui, con sussurro nell’orecchio.
- Ah... ma... torni? - fu la domanda inattesa che lei pronunciò con una voce stranamente tesa.
- Certo.
- Davvero?
- Ho solo fame. Sto morendo di fame, a dire il vero... - ridacchiò lui, prima di rendersi conto che Shepard stava piangendo.

- Per gli Spiriti! - commentò scuotendola, dopo averle preso i polsi fra le mani - Ma sei scema? Dove pensavi che andassi?
- Via... - fu la risposta che lei formulò in un bisbiglio quasi inavvertibile, con la faccia nascosta dentro la federa del lenzuolo, sentendosi una perfetta idiota.
- Chiediamo a IDA se mi porta da mangiare qui a letto? - le propose ridendo, prima di aggiungere - Magari le possiamo comprare anche una divisa da cameriera...
- Portami una birra quando torni, scemo di un turian - rispose Shepard, mentre scendeva dal letto per andare a lavarsi la faccia in bagno.

“Ultimamente ti sei comportata male con Garrus. Lo riconosci, eh, brutta stronza?” si accusò fissandosi allo specchio sopra il lavandino.
“E adesso lo stai facendo preoccupare” si accusò ancora.
“Ma se non potessi lasciarmi andare neppure con lui, sarei crollata tanto tempo fa” ammise, nascondendo le lacrime nel tepore del braccio piegato che poggiava sul lavandino, mentre la mente spezzettava frasi dolorose “Sto andando a pezzi. Sono in mezzo a questo dannato labirinto in cui continuo a perdere amici e compagni, senza avere idea se esista una via d’uscita. Non so neppure se mi interessi più trovarla. So solo che devo andare avanti. Mettere un piede avanti all’altro e continuare. Continuare fino a che... fino a che ce la farò”.

Garrus rimase a mangiare appollaiato su una sedia davanti alla cucina della Normandy. Avrebbe potuto portare tutto nella cabina di Shepard, ma voleva prendersi un po’ di tempo per riflettere tranquillamente. Era rimasto colpito che lei avesse immaginato una sua fuga silenziosa nel mezzo della notte. Non era mai successo nulla del genere: Shepard e Vakarian, la coppia indissolubile, dai tempi della SR1. Dopo la gita sulla cima del Presidio, poi, era impossibile. Aveva fatto una promessa, una promessa da turian, e lei doveva saperlo.

“Se ne andrà lei, non io...” gli sembrò l’unica spiegazione possibile.
Se la missione lo avesse richiesto, lo avrebbe abbandonato.
Lo avrebbe fatto lei, come lo avrebbe fatto anche lui, al suo posto. Non sempre esistevano scelte.
Aveva compiuto un gesto simile proprio pochi giorni fa e ne stava ancora pagando le conseguenze. Aveva consigliato il Primarca di dirigere tutte le truppe verso il fronte comune anti-Razziatore, abbandonando Palaven, perché non c’era altra soluzione possibile. Il sollievo che suo padre e Solana fossero riusciti a lasciare il pianeta natale appena in tempo, non riusciva a compensare in alcun modo il dolore per aver consigliato di abbandonare il resto della popolazione al proprio destino.
Ma Garrus era un turian: sapeva affrontare decisioni disperate e pagarne il peso. E Shepard era un soldato.
Avrebbero portato avanti una missione loro assegnata ad ogni costo, magari morendo nel profondo dell’anima, ma avrebbero compiuto ogni passo che fosse risultato indispensabile per il successo.
Ma perché Shepard potesse ritenere che la terrificante possibilità di abbandonarlo si dovesse presentare, rimaneva un interrogativo al quale non sapeva rispondere. Nemmeno lei probabilmente lo sapeva. Forse immaginava che stavolta sarebbe morta sul serio...
Scosse la testa, prese una bottiglia di birra per il comandante, e risalì sul ponte uno.

°°°°°

Shepard si risvegliò d’improvviso quando era ancora l’alba: un urlo poderoso era risuonato inaspettatamente nella stanza. Accese la luce e vide Garrus seduto sul letto, con una mano serrata attorno al lenzuolo aggrovigliato. Un’espressione di terrore gli alterava la faccia e lui sembrò far fatica a realizzare dove si trovasse.
- Va tutto bene - cercò di rassicurarlo, prendendogli la mano e provando a dischiuderla con gentilezza.
Il turian emise un lungo sospiro rumoroso e si appoggiò contro la spalliera del letto, tremando.
- Hai sognato?
- Sì. Mia madre - rispose Garrus - La battaglia su Thessia deve avermi sconvolto più di quanto pensassi. Tu appesa nel vuoto... io ferito e lontanissimo.
- Racconta il sogno. Non ho più voglia di dormire. E’ quasi giorno.
- Ero tornato bambino. Mia madre e io stavamo camminando su un sentiero di montagna. Dopo una curva, il terreno smottava sotto i nostri piedi: io riuscivo a tenermi in equilibrio, ma lei scivolava. Le avevo afferrato una mano, ma non riuscivo a trattenerla. Ho urlato... e lei mi ha guardato con dolcezza. Con l’altra mano si è sganciata la catenina che portava al collo e me l’ha passata Voglio che la tenga tu. Poi si è lasciata cadere.
Qui Garrus tacque, mentre ripensava alla parte dell’incubo che l’aveva davvero sconvolto: il viso della madre diventava quello di Shepard: era il suo comandante a lasciarsi cadere nel vuoto, non Halia. Quella parte non l’avrebbe raccontata a Trinity o, almeno, non gliela avrebbe raccontata prima di capire esattamente cosa potesse significare.
- So che tua madre è morta quando eri un ragazzo, ma non so altro di lei - osservò Shepard, sperando che lui avesse voglia di raccontarle un piccolo pezzo della sua vita.

- Era malata - rispose Garrus dopo un attimo di riflessione - Alcuni turian soffrono di una malattia genetica legata all’elevata presenza di metallo nell’organismo. E’ una malattia che attacca il sistema nervoso centrale e ne causa il progressivo deterioramento, fino alla morte. Non esiste alcuna cura.
Garrus non aggiunse alcun dettaglio, mentre Shepard cercava di stringerlo in qualche modo fra le braccia. Non era mai riuscita a trovare il sistema per effettuare quella manovra. Lui poteva tenerla stretta senza pericolo, perché le placche sul petto e sullo stomaco erano piatte e arrotondate, ma lei non riusciva a fare altrettanto. Il carapace sulla schiena era pieno di spuntoni e i bordi erano taglienti.
L’unica volta in cui aveva provato a stringerselo addosso, in un abbraccio che dichiarava conforto, Shepard si era trovata coperta di leggere abrasioni, con un bel foro sullo stinco e con un grosso taglio sul braccio e lui le si era rivoltato contro con vera rabbia. Dopo averla rudemente disinfettata con una quantità di medigel bastante a curare tutto l’equipaggio della Normandy, era andato a farsi una doccia pronunciando tutte le imprecazioni che conosceva.
Anche in quel momento, nonostante fosse ancora sconvolto dal sogno, Garrus le intimò di piantarla e se la mise in grembo, prima di cominciare a raccontare.

- Era la sera di un giorno qualsiasi quando la voce di mia madre mi chiamò dalla sua stanza della nostra casa su Palaven. Ricordo che quando entrai fui felice di vederla seduta sul letto, con un’espressione tranquilla e serena che negli ultimi tempi non aveva più avuto.
- Credo che nel mese precedente avesse sofferto molto, nonostante le medicine. Forse soffriva perché era abbastanza lucida e si rendeva conto delle sue condizioni... non so bene; ero giovane... avevo appena 13 anni. Molte cose le ho capite quando sono diventato più grande, altre le ho apprese in seguito, da mio padre.
Shepard si accoccolò ancora di più fra le braccia del turian continuando ad ascoltarlo in silenzio.
- Mia madre mi chiese di sedermi sul letto accanto a lei e sganciò il fermaglio della sua catenina. Sono certo di non averla mai vista senza quel piccolo ciondolo appeso al collo che mio padre le aveva regalato tanti anni prima.
- Mi aprì la mano e me lo pose sul palmo. Voglio che lo tenga tu mi disse, richiudendomi le dita. Poi aggiunse che desiderava vedere mia sorella e mi chiese di chiamargliela.



- Se fossi stato poco più grande forse mi sarei preoccupato, ma allora non capii il senso di quel regalo - aggiunse Garrus prendendo dalla piccola tasca dell’uniforme, all’altezza del petto, un ciondolo formato da un cerchio, con tanti poligoni regolari inscritti al suo interno. Si partiva dalla forma più semplice, il triangolo equilatero, per passare al quadrato, al pentagono, all’esagono e così via, fino ad arrivare a un poligono formato da una quantità innumerevole di lati, che quasi si fondeva con la circonferenza che lo racchiudeva.
Era realizzato in un uno strano metallo che Shepard non sapeva riconoscere e che, a seconda della luce che lo raggiungeva, emetteva piccoli baluginii di luce azzurrina.
- E’ stupendo.
- E’ quanto di più caro io abbia mai avuto in tutta la mia vita.
- Fu l’ultima volta in cui vedesti tua madre viva?
- Si. Oggi so che nel corso di quella notte mio padre la aiutò a morire.

Poi Garrus tacque, turbato non dal sogno in sé, ma da quello che significava l’aver sognato, mentre lei rifletteva sulla forza dell’amore di un marito turian, disposto a pagare quel tributo alla sua coscienza, in nome di un sollievo misericordioso. Quello era un gesto che la razza umana faceva ancora estrema fatica ad accettare come diritto e dovere di un individuo che soffre una pena straziante, senza possibilità di salvezza e senza più speranze.

Garrus restò in silenzio, cercando di liberarsi dalla preoccupazione per quello che il sogno poteva rivelare: era un soldato e un turian, non si struggeva inutilmente sul rischio che si corre in uno scontro. Era certo che l’episodio di Thessia non fosse la causa di quell’incubo, ma non se ne sentiva affatto rassicurato.
Lo raggelava il dubbio che il suo subconscio avesse capito meglio della sua ragione come Shepard si trovasse sul punto di rottura e che sarebbe bastato poco a mandarla in frantumi.
Non poteva permettere che Atlante venisse schiacciato dalla volta celeste, ma non riusciva a trovare nulla di più valido che restare fedelmente al suo fianco, come aveva sempre fatto.
Restò in silenzio a coccolarla e a farsi coccolare fino a quando fu ora di cominciare un nuovo giorno.



Nota
Un grazie di cuore a Chiara, che ha creato per me l’immagine del ciondolo di Halia

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Capitolo 11
*** Trinity ***


Nome: Trinity Shepard.
Grado: Comandante nella Marina dell’Alleanza, Specialista Tattica e Ricognizione.
Profilo: Terrestre. Cresciuta sulla terra, ma non ha mai conosciuto i suoi genitori. Ha dovuto vivere di espedienti negli anfratti più squallidi e oscuri delle colossali megalopoli del mondo natale degli Umani, lottando ogni giorno per sopravvivere. Desiderando una vita migliore, si arruolò nell'Alleanza appena diventata maggiorenne.



TRINITY


C’era una volta in America



- Hai mai vissuto in una casa simile, Shep? - chiese Garrus dal divano del salone a piano terra dell’appartamento di Anderson sulla Cittadella, cercando inutilmente qualcosa di decente nei programmi televisivi della serata.
- Non ho mai avuto una casa prima d’ora - rispose lei porgendogli una bottiglia e tenendone un’altra per sé, prima di sedersi sul divano accanto al turian, appoggiandogli la testa contro la spalla.
- Credevo fossi nata sulla Terra...
- I miei primi ricordi riguardano la Terra, non so se ci sono davvero nata.
- Alloggiavi in una caserma?
- E’ una storia lunga, Garrus...
- Ma non c’è niente in televisione, potresti raccontarmela.
- Ti annoieresti.
- Preferisci concedermi un altro ballo al Silver Coast?
- Te la sei cercata, Vakarian! ora ti sorbirai la storia della mia adolescenza.
- Cercherò di restare sveglio, comandante...

- I miei ricordi cominciano nello spazio buio di una cantina umida in cui compaiono i volti confusi di alcuni ragazzi addossati ai muri, su materassi improvvisati - cominciò a raccontare rannicchiandosi sulle ginocchia di Garrus - Una coppia di adulti si occupava di noi: ci fornivano del cibo e a volte qualche articolo di vestiario. In cambio, noi dovevamo portare a casa soldi e oggetti di valore. Se quello che avevamo racimolato durante il giorno non li accontentava ci picchiavano.
- Al mattino venivamo svegliati dal marito, un uomo grosso e pieno di peli neri sulla faccia, e cacciati fuori; potevamo tornare solo a notte fonda. Ricordo un ragazzo che per un paio di mesi tossì tutte le notti, ma neppure a lui fu mai consentito restare nella cantina durante le ore diurne. E per un periodo ci fu una ragazza piccola e magra che piangeva sempre. Lei veniva picchiata spesso e da un giorno all’altro sparì e non tornò mai più.
- Bell’ambiente per crescere - commentò Garrus abbastanza stupito che una civiltà avanzata come quella terrestre consentisse l’esistenza di simili piaghe sociali. Su Palaven non sarebbe mai potuto accadere nulla di simile: il senso civico era insito nella natura dei turian.

- Eravamo sempre affamati e arrabbiati. A volte l’odio profondo che provavamo verso tutto e tutti ci spingeva a litigare fra di noi. Ci pestavamo a sangue per motivi futili e ci rubavamo le poche cose che riuscivamo a procurarci... molto spesso perfino il cibo - continuò a raccontare lei, con quel tono pacato e sereno che usava spesso per descrivere avvenimenti o sensazioni troppo forti.
- Io non vivevo troppo male lì dentro. Ero brava a rubacchiare e quindi mi picchiavano di rado. Nessuno degli altri ragazzi mi dava più fastidio, da quando avevo rotto i denti a quello che si credeva il nostro capo. Lo avevo preso per i capelli e gli avevo sbattuto la testa contro lo spigolo di una parete perché voleva prendersi un paio di stivali militari che avevo rubato da un negozio.
Garrus ridacchiò immaginandosi la scena, nonostante la pena che provava per quel racconto.

- Un giorno arrivò fra di noi una ragazza strana: aveva qualche anno più di me, forse era dodicenne. Era vestita come un manichino dei centri commerciali e parlava come negli olofilm. Venne subito battezzata Princesa, principessa, e quel nomignolo le restò appiccicato per sempre; non ricordo il suo vero nome.
- La prima sera che passò con noi rimase seduta in un angolo, mangiando quello che era riuscita a prendere dal mucchio di viveri che ci venne gettato in terra. Quando il ragazzo con i denti rotti provò a strapparle dalle mani una mela, lo atterrò con un movimento fluido e rapido. Poi gli premette uno stivale sul collo e sibilò Non provarci mai più o ti stacco la testa - continuò a raccontare Shepard con un tono in cui traspariva rispetto.

- Non so come passò la sua prima giornata fuori ma, quando tornò nella cantina quella sera, non aveva nulla con sé. L’uomo barbuto si arrabbiò e le strillò addosso insulti vari, ma per tutto quel tempo lei lo guardò come se stesse fissando un idiota. In una pausa fra tutte quelle imprecazioni, infilò un paio di frasi Io non rubo. Te l’avevo già detto che pronunciò in tono deciso.
- Il giorno successivo mi andò particolarmente bene: avevo trovato un portafoglio pieno di soldi che qualcuno aveva dimenticato su un tavolo di un ristorante. Quando Princesa tornò nella cantina mi avvicinai a lei e le porsi un mazzetto di banconote. Lei mi guardò con disprezzo, senza prenderle, e si rintanò nel suo solito angolo.
Shepard guardò Garrus e gli sorrise, sicuro che lui avesse capito quanto lei avesse ammirato la fermezza e l’orgoglio dimostrato da quella ragazza.

- Ricordo altre notti passate in quella stanza, con lei in un angolo e io in quello diametralmente opposto. Eravamo le sole che stavano sempre per conto proprio. Non parlavamo con gli altri e nemmeno fra di noi e nessuno ci dava mai noia.
- Era passata una settimana dall’arrivo di Princesa, quando l’uomo barbuto venne giù e se la portò di sopra. Da quel giorno le fu permesso di restare in cantina durante il giorno, ma l’uomo la veniva a prendere ogni notte e spesso lei tornava a giorno fatto, dopo che noi eravamo stati cacciati fuori.
- Pochi giorni dopo lei non tornò più nella cantina, ma sono certa che rimase nell’edificio perché qualche volta mi capitò di intravederla, mentre ci facevano uscire la mattina o quando tornavo a notte fonda. Era ancora vestita bene, ma in modo diverso. Solo qualche anno dopo divenni abbastanza grande da capire cosa significassero quei vestiti corti e attillati.
- Che a te non piacciono affatto - commentò Garrus ricordando la mattina in cui l’aveva incontrata nell’ascensore della Normandy, tutta agghindata in un vestito che, appunto, era corto e attillato.
- Ho scelto una strada diversa da quella di Princesa - gli sussurrò lei nell’orecchio, divertita.
- Per fortuna… - commentò lui ridendo, prima di alzarsi e andare a prendere un paio di bottiglie dal mobile bar poco più avanti.
Fecero un brindisi e poi Shepard continuò a raccontare.

- Non so quanta importanza ebbe quella strana figura per me, ma so che pensai spesso a lei, ammirandone la forza, il coraggio e la determinazione.
- All’età di circa quindici anni me ne andai da quello schifo di posto. Durante le mie scorrerie nei vicoli della città avevo trovato un piccolo scantinato al quale si poteva accedere da una minuscola grata di un condotto fognario. Nessuno sembrava scendere mai lì sotto dal piano superiore. Aspettai un paio di settimane, per essere sicura, e poi una sera non tornai nella cantina: avevo trovato un tetto che poteva essere solo mio - finì Shepard in tono conclusivo.

- Cosa successe dopo? - la incitò Garrus, visto che lei non sembrava avere nessuna intenzione di continuare il suo racconto.
- Molte altre cose... Quando ero nella cantina non avevo ancora neppure un nome. Fu un sergente della sicurezza a battezzarmi con il nome di sua nipote e con il cognome di un astronauta - rispose lei - ma credo che per oggi sia abbastanza. E’ ora di andare a letto.
- Non puoi confessarmi una cosa del genere e poi pretendere che vada a dormire! - protestò Garrus.
- Possiamo andare a letto, intanto... non dobbiamo dormire subito - propose Shepard in tono malizioso, inginocchiandosi davanti al turian e cominciando a baciarlo sulla bocca.
- Ma neppure per idea... - protestò lui di nuovo, scostandola con decisione - Avremo una serata assolutamente casta fino a quando non mi avrai raccontato tutto. E guarda che sono un turian, non credere di riuscire a sedurmi contro la mia volontà.
- Posso sempre provarci... - sussurrò lei in risposta, facendo scorrere le dita sul collo di Garrus e baciandogli la pelle morbida della gola fino a quando il corpo del turian indicò un chiaro stato di eccitazione.
- Perdi solo tempo: il mio corpo può gridare quanto vuole, ma io non gli darò retta - affermò il turian con voce tranquilla - ci allenano a superare prove molto peggiori fin dalla nascita.
Poi, di fronte all’espressione delusa di Shepard, Garrus aggiunse sottovoce - in realtà quelle prove non sono mai state molto peggiori di questa.
Se la tirò in braccio e le fece appoggiare la testa su una sua spalla. Poi le ordinò - Continua.

- I primi tempi che vissi nello scantinato non portarono grossi cambiamenti nel mio modo di vivere, ma apprezzavo la libertà che mi ero conquistata: uscivo e rientravo quando volevo e potevo accumulare anche piccole scorte in previsione dei periodi difficili senza temere che qualcuno mi rubasse qualcosa.
- Dopo il primo mese mi feci coraggio e provai a vedere dove sbucasse il piccolo cunicolo che saliva verso l’alto. Avevo trovato un rifugio alternativo in una strada poco lontana e quindi potevo correre il rischio di essere scoperta. Tutt’al più avrei cambiato tana.
A questo punto Shepard si alzò e andò a prendere i rifornimenti nel mobile bar.
Un brindisi, un bacio quasi casto e si decise a continuare il racconto.

- Impiegai qualche giorno per riuscire ad aprire la botola che chiudeva il passaggio: prima mi dovetti procurare degli attrezzi da scasso in un negozio. Quando infine riuscii a forzare la serratura, mi ritrovai un locale buio. Dopo qualche secondo i miei occhi si abituarono all’oscurità e capii di essere in un grande ripostiglio. Gli scaffali erano pieni di prodotti per effettuare le pulizie e in terra c’erano due grandi macchinari che spesso avevo visto utilizzare per lucidare i pavimenti dei negozi.
- La porta del locale aveva una piccola vetrata e così sbirciai fuori: si trattava di un grande negozio di armi che avevo visto più volte nel corso delle esplorazioni intorno al mio rifugio. Pensai che mi sarebbe davvero piaciuto dare un’occhiata in giro, ma ero certa che ci fossero varie telecamere in funzione, così tornai da dove ero venuta, attenta a nascondere ogni traccia dell’effrazione.
- Il pensiero di quel negozio vicinissimo, ma inaccessibile, occupò la mia mente per oltre una settimana: alla fine decisi di entrarci durante il giorno, per studiare se ci fosse un modo per eludere la sorveglianza delle telecamere. Riuscii a procurarmi dei vestiti passabili, adatti a un ragazzo di buona famiglia, e mi rasai la testa pensando che un maschio avrebbe dato meno nell’occhio.
Mentre parlava dello scempio dei suoi capelli Shepard non distolse gli occhi dalla faccia di Garrus, sicura che ne sarebbe stata ben ricompensata. E infatti il turian emise una sorta di involontario gemito e le infilò una mano nella chioma rosso mogano, facendoci scorrere lungamente le dita, in un gesto di rassicurazione che non era riuscito a trattenersi dal compiere.

- La mattina dopo entrai nel negozio come un normale cliente e studiai la disposizione delle telecamere. Ce ne erano parecchie in giro, ma l’area davanti al ripostiglio ne era priva perché non c’era bisogno di sorvegliare quella zona: lì c’erano le casse automatiche per effettuare i pagamenti.
- Capii che sarei riuscita ad arrivare al banco delle pistole strisciando dietro diversi banconi, ma non ai reparti con armi più potenti. Di certo, però, non avrei avuto alcuna difficoltà a procurarmi tutte le munizioni che potevo desiderare.
- Quanto tempo hai resistito alla tentazione di rubare una pistola? - le chiese Garrus provando a immaginarsi il bagliore di gioia degli occhi della sua Shepard all’idea di procurarsi un'arma. Il comandante rise a lungo.
- Entrai quella sera stessa: scelsi una pistola che mi sembrò perfetta per le mie mani da ragazza e tutte le munizioni che riuscii a infilarmi nei vestiti. Poi tornai nel rifugio, tolsi tutte le mie cose e per precauzione mi spostai nell’altro, che distava poche centinaia di metri.
- Avere addosso quell’arma mi fece sentire molto più sicura e così cominciai ad ampliare pian piano i miei giri di ricognizione, anche perché volevo trovare una zona in cui potessi esercitarmi con la pistola, visto che non potevo certo entrare in un poligono di tiro con un’arma rubata e senza alcun tipo di documento di identità.
- Ecco, giusto… l’identità… Non avevi ancora un nome? - chiese Garrus interessato.
- Né nome, né cognome - confermò lei - ora ci arrivo…
- Non avere fretta. Mi piace questa storia - chiarì lui, temendo che Shepard tagliasse corto.
- Ok, Vakarian. E’ divertente raccontare: non l’ho mai fatto - gli confessò lei, contenta che lui fosse davvero interessato a quella lunghissima narrazione di eventi così lontani.

- Fu in quel periodo che mi capitò di scoprire un posto speciale e di incontrare la persona che mi cambiò la vita - gli disse sapendo che quell’esordio avrebbe avvinto il turian. Lo fissò per un po’ in silenzio fino a quando lui la incitò - Smettila, vai avanti - con un tono in parte divertito e in parte impaziente.
- Birra e bacio - rispose lei ridendo, costringendolo ad alzarsi per andare al mobile bar e a continuare a baciarla fino a quando si ritenne sazia e soddisfatta.

- Prima di trovare il posto giusto per esercitarmi nel tiro al bersaglio, finii per puro caso nello spazioporto della città. Quegli scafi lucidi che dormivano quietamente sulla banchina mi affascinarono immediatamente. Passai molte ore a fissare il traffico delle navi spaziali in partenza ed in arrivo, ascoltando il ruggito dei loro motori, ammirando la grazia con cui quei giganti danzavano appoggiandosi lievemente al suolo o distaccandosene per fuggire verso chissà quali cieli sconosciuti e per me inimmaginabili.
- Smisi perfino di cercare il mio poligono di tiro riservato e tornai quasi ogni giorno allo spazioporto. Non avevo pensato che la mia presenza pressoché quotidiana avrebbe attirato l’attenzione di qualcuno, o forse ci avevo pensato, ma avevo deciso di correre quel rischio - spiegò a Garrus che assentì con un sorriso partecipe, immaginandosi benissimo l’innamoramento istantaneo del suo comandante verso le navi spaziali.

- Un giorno mi si avvicinò un agente di sorveglianza, un sergente, senza che io me ne accorgessi. Feci un vero salto quando lui mi rivolse la parola e lo fissai con uno sguardo spaventato, pensando che mi avesse individuato come piccola ladruncola e si apprestasse ad arrestarmi. Lui dovette ripetere la frase che mi aveva appena rivolto, perché io mi ero talmente spaventata da non averla sentita.
- Ti vedo spesso qui intorno osservò con gentilezza. Io annuii con espressione ancora un po’ tesa, ma cominciando a tranquillizzarmi: se avesse voluto arrestarmi non si sarebbe perso in chiacchiere inutili. Aspetti lo sbarco di un parente o hai un genitore che presta servizio su una di queste navi? mi chiese subito dopo. Io feci cenno di no e lui mi fissò incuriosito. Sono belle commentai semplicemente.
- E sicuramente ti sembravano davvero splendide, anche se magari erano semplici navi mercantili… - osservò Garrus mentre fissava lo sguardo sognante di Shepard, perso nel ricordo di quegli scafi.
- Beh, non erano di certo come la Normandy - rise lei in risposta.

- E’ stato quel sergente a cambiare la tua vita? - chiese Garrus incuriosito.
Shepard annuì e riprese a raccontare - Alla mia confessione semplicissima, lui mi lanciò uno sguardo interdetto, sorpreso dal timbro della mia voce. Pensavo fossi un ragazzo commentò, osservando la mia figura con occhi diversi.
- Ero alta, per la mia età, magra e un po’ sproporzionata. Mi sentivo sgraziata e impacciata, con le gambe troppo lunghe e il seno quasi assente. In più vestivo da maschio e avevo i capelli quasi rasati.
Garrus provò a figurarsela come lei si era descritta, poi scosse la testa rinunciandoci.

- Non ricordo se ricevette una chiamata o cos’altro accadde quel giorno, ma so che si allontanò. Io rimasi ancora a lungo dietro la vetrata, a guardare quelle navi.
- Lo incontrai nuovamente dopo un paio di giorni e questa volta fui io a salutarlo. Lui passò molto tempo a raccontarmi la storia di alcuni di quegli scafi, dicendomi da dove venivano e dove stavano dirigendosi e mi cercò di descrivere alcuni di quei luoghi dai nomi così affascinanti. Queste conversazioni divennero un’abitudine per entrambi, ogni volta che ci trovavamo insieme in quello spazioporto.
- Ricordo che sorrideva spesso mentre mi faceva quelle narrazioni. Probabilmente era colpito dal mio stupore e dall’interesse assoluto che gli dimostravo. Immagino di avergli fatto più domande di quelle alle quali avrebbe potuto rispondere in una vita intera, ma non si spazientì mai e mi fornì tutte le risposte che conosceva.

- Ti innamorasti di lui? - chiese Garrus incuriosito.
Shepard lo guardò sorpresa e cominciò a ridere.
- Non sono geloso. Non del tuo passato, Shep - chiarì lui - Sai quali sono le abitudini della mia gente.
- Oh sì, non credo che dimenticherò mai la tua Lietka - gli rispose lei guardandolo male, per gioco. Poi aggiunse - Era vecchissimo quell’uomo. O almeno a me era parso tale. Probabilmente aveva solo una settantina di anni.
- Non so quante volte ci incontrammo prima che lui mi comunicasse che si sarebbe preso una breve vacanza e che sarebbe andato con moglie, figli e nipoti sul pianeta di un altro sistema solare, lontanissimo dalla Terra. Quando vide la mia espressione delusa mi suggerì di andare al cinema a vedere una pellicola e mi assicurò che me ne sarei innamorata. E fin dalle prime scene capii quanto avesse avuto ragione.
- Che olofilm era? - chiese Garrus.
- Non ricordo il titolo, così come non ricordo più bene la trama, ma il protagonista era il capitano di una nave spaziale che doveva esplorare un sistema solare sconosciuto e le immagini di quello scafo argenteo che solcava i cieli della galassia disseminati di stelle e nebulose colorate mi impressionò profondamente. Credo che spesi quasi tutti i soldi che avevo messo da parte (dopo aver conosciuto quell’agente avevo difficoltà a continuare a vivere rubacchiando in giro) per passare intere ore nei cinema.

- Quel sergente tornò? - si informò Garrus, completamente avvinto da quella storia.
- Oh sì! - rispose lei con entusiasmo, mentre gli occhi le brillavano al ricordo della gioia che aveva provato nel rivederlo nello spazioporto.
- Mi salutò con affetto e mi disse che durante quella lunga vacanza aveva pensato spesso a me.
- Risi di gioia e gli confessai che mi era mancato molto, lui e le sue storie, e che il film che mi aveva suggerito mi aveva regalato le emozioni più intense che io riuscissi a ricordare.
- Bene mi rispose Ci speravo. Volevo suggerirti di entrare nella Marina dell’Alleanza.
- Io lo guardai stupita e poi scossi violentemente la testa, mentre sentivo che le lacrime mi accecavano. Dovette passare un bel po’ di tempo prima che riuscissi a calmarmi a sufficienza per spiegargli i motivi per cui quella strada mi era preclusa.

- Perché, Shep? - chiese Garrus in tono perplesso.
- Non ero nessuno, non conoscevo il mio nome, non sapevo neppure se ne avessi mai avuto uno. Quell’uomo rimase a guardarmi stupito e credo che per la prima volta da quando ci eravamo incontrati si comportò da agente di sicurezza quale effettivamente era e mi fece lunghe e accurate domande a cui risposi onestamente, vergognandomi a morte.
- Una volta che ebbe finito di interrogarmi io rimasi a fissarmi i piedi, sicura che lui mi avrebbe portato in cella o che si sarebbe tenuto alla larga da me in futuro. Invece lui mi allungò il suo fazzoletto - confessò Shepard ridendo mentre fissava Garrus che rise a sua volta commentando - Meno male che incontri sempre uomini con un fazzoletto in tasca…

Quando smisero di ridere Shepard continuò il suo racconto - Mi portò nel suo ufficio, mi indicò una fotografia e mi chiese se mi piacesse. E’ una ragazza molto bella, Signore gli risposi onestamente. Mi riferì che era sua nipote, mi disse come si chiamava e aggiunse che Trinity sarebbe stato il mio nome di battesimo. Poi mi mostrò un poster attaccato al muro: era un volto stilizzato, che non mi appariva familiare. Seppi dal sergente che raffigurava Alan Bartlett Shepard, il primo astronauta statunitense a volare nello spazio, e che Shepard sarebbe stato il mio cognome.
- Mi accompagnò poi da un collega a cui chiese di registrare le mie impronte digitali e fece inserire le mie nuove generalità. Infine mi salutò, ordinandomi di non perdere più il mio tempo sulle banchine dello spazioporto prima di aver superato le selezioni dell’Accademia.

- Magnifico! - esclamò Garrus - Ma davvero non hai mai raccontato a nessuno una storia come questa? - chiese in tono stupito.
Lei scosse la testa in segno di diniego.
- E come andarono le selezioni? Ovviamente fosti presa subito…
- No. Fui rifiutata - rispose Shepard ridendo, tanto che lui credette che lo stesse prendendo in giro.
- No - ripeté lei - davvero fui bocciata.
- E perché? Cosa accadde? - chiese Garrus sinceramente stupito. Il comandante dette un’occhiata all’orologio e poi affermò in tono che non ammetteva repliche - Ora basta. Si va a letto. Il resto della storia lo avrai insieme alla colazione domattina.
- Uhmmm - rimuginò lui pensosamente - Ti ho fatto parlare per tutta la serata: credo di essere in debito con te - ammise accarezzandole i capelli mentre la stringeva fra le braccia.
- Puoi ricambiare al piano di sopra... - rispose Shepard ridendo, appoggiando il viso nell’incavo fra spalla e collo del turian, mentre lui si alzava in piedi senza fatica, continuando a tenerla stretta fra le braccia.

La mattina dopo la svegliò con un leggero bacio sulla fronte e con il profumo del caffè appena fatto. Aspettò che lei lo bevesse e poi le mostrò un vassoio.
Quando gli lanciò un’occhiata di rimprovero, Garrus ridacchiò senza scomporsi e glielo appoggiò sulle ginocchia: pane tostato, burro e marmellata di arance amare, la sua colazione preferita.
- O mangio oppure racconto il resto della storia - lo sfidò lei, sperando, per una volta, di avere in mano le carte vincenti.
Garrus la guardò spalancando gli occhi, rifiutandosi di accettare quell’aut aut sleale, ma di fronte all’espressione ferma del comandante esplose in un paio di imprecazioni turian, mise il vassoio sul tavolo e si sdraiò accanto a lei, appoggiandole la testa in grembo.

- Appena uscita dall’ufficio del sergente mi informai sulle date degli esami di ammissione. Non andai più allo spazioporto, ma trovai un posto sperduto poco fuori della città: presi l’abitudine di esercitarmi con la pistola, ringraziando la fiducia che il sergente aveva riposto in me, quando non mi aveva costretto a consegnargliela o a restituirla al legittimo proprietario.
- Il giorno dell’esame mi mischiai nel gruppo di ragazzi in coda davanti alle porte.
- Ricordo che ci consegnarono una fascia con un numero da stringere intorno al braccio, poi ci divisero in gruppi da venti e ci portarono in una specie di stadio. Lì ci fecero correre e ci fecero seguire un percorso attrezzato.
- Non ci fornirono i risultati che avevamo ottenuto, ma io mi sentivo molto soddisfatta perché in ogni competizione ero risultata prima, nonostante il mio gruppo fosse composto da molti ragazzi.
- Non stento a crederti - osservò Garrus sapendo che quella donna poteva battere facilmente molti maschi di molte razze in numerose discipline.

- Poi ci portarono in un poligono di tiro e ci spiegarono rapidamente il funzionamento di una pistola. Non riuscii a vedere il punteggio che avevo ottenuto per la lontananza della sagoma, ma notai come uno dei militari avesse chiamato dei colleghi e si fosse messo a parlare con loro indicando il mio bersaglio. Lo presi come un segno positivo.
- Infine fummo condotti in un’altra stanza con dei piccoli banchi. Ci dettero dei fogli di carta e una penna e ci dissero che avevamo mezzora di tempo.
- Fissai i compagni più vicini, cercando di capire in cosa potesse consistere quella prova, ma uno dei militari che passava fra i banchi mi rimproverò dicendo che sarebbe stato stupido provare a copiare, perché i test servivano solo per capire la personalità dei candidati - rivelò Shepard con un tono in cui Garrus riconobbe l’eco della vergogna che lei doveva aver provato nel sentirsi accusare di copiare da qualcun’altro.
- Ma davvero volevi copiare? - le chiese in tono perplesso.
- No, volevo comprendere cosa dovessi fare con quello stramaledetto pezzo di carta. Dopo qualche secondo pensai di aver capito abbastanza: la prova consisteva nel barrare delle caselle. Le dannate caselle erano in gruppi di cinque e, tornando a sbirciare il vicino che avevo sulla destra, capii che ne andava barrata solo una a scelta. Presi la penna e cominciai.

- Dopo mezzora i militari ritirarono i fogli che avevamo davanti e cominciarono a correggerli, passandoli via via a un capitano che stava seduto dietro a una scrivania. Lui prendeva un foglio alla volta, chiamava un nome e poi prendeva dei fogli da un altro mucchio di carte, che immaginai riportassero i risultati che ciascuno di noi aveva ottenuto nelle prove precedenti. Seguiva un colloquio di lunghezza molto variabile e poi il candidato usciva dalla stanza, dopo aver ritirato i risultati ottenuti nelle diverse prove e un altro foglio che immaginai contesse l’esito complessivo dell’esame.
- Quando rimasi solo io, la persona dietro la scrivania disse Suppongo che questo test sia tuo. Avvicinati. Io mi diressi verso la scrivania e rimasi lì in piedi in silenzio. Perché non hai scritto il tuo nome sul foglio? mi chiese quel capitano. Mi sono scordata, Signore gli risposi. Il capitano si limitò a prendere i fogli con i risultati delle prove atletiche e di tiro a segno e commentò Credo di non aver mai visto risultati di questo genere prima d’ora, ma immediatamente dopo aggiunse Ma neppure di quest’altro genere, agitandomi davanti agli occhi il foglio con le caselle che avevo barrato.
- Io restai in silenzio perché non sapevo bene cosa potessi rispondere e lui mi chiese se fossi andata lì perché qualcuno della mia famiglia mi aveva costretto. Gli risposi che non avevo alcuna famiglia e che il mio desiderio più grande era quello di diventare un’allieva di quell’Accademia.
- Spiegami allora perché alla domanda relativa alle motivazioni che ti hanno portato qui stamattina hai barrato a risposta Mi piacciono le divise.

- Spiriti, Shepard! Ma davvero avevi risposto così? - le chiese Garrus guardandola con stupore e soffocando nelle sue stesse risate.
Lei rise e continuò imperterrita a raccontare - Sentii la faccia che mi andava letteralmente a fuoco e lui mi dette un’occhiata pensierosa, prima di chiedermi E cosa pensi delle razze aliene? Gli risposi che alla domanda in generale non sapevo rispondere: gli alieni erano come noi, c’erano le brave persone, ma anche i coglioni. Aggiunsi frettolosamente un Signore che speravo distogliesse la sua attenzione dal mio linguaggio poco appropriato alla situazione, ma lui si limitò a sorridere divertito, dichiarando Hai barrato la casella: gli alieni sono stupide razze inferiori.

- Forse avrei fatto meglio a lasciare quel foglio in bianco commentai fissando con attenzione la punta dei miei stivali, mentre avrei voluto sprofondare di parecchi chilometri sotto il livello del terreno. Suppongo che tu non sappia leggere, anche se si fa fatica a credere che oggigiorno ci sia ancora qualcuno in queste condizioni commentò il capitano. Sissignore, cioè… No, Signore... risposi a bassa voce.
- Non puoi entrare in Accademia senza saper leggere e scrivere fu il suo responso, allungandomi tutti i fogli. Capisco, Signore risposi avvilita, avviandomi verso l’uscita.
- Spiriti! Non sapevi leggere? - chiese Garrus rendendosi finalmente conto che lei aveva barrato caselle a casaccio.
- E già… non mi era mai servito prima di quel momento - ammise lei ridendo.

- E cosa facesti a quel punto? - le chiese Garrus continuando a ridacchiare all’idea che il famoso comandante Shepard fosse diventato adulto prima di saper leggere e scrivere.
- Tornai allo spazioporto con la coda fra le gambe…
- Cioè? Quale coda? - chiese lui guardandola con aria perplessa.
- E’ solo un modo di dire… si riferisce ai cani…
- Cani… - ripeté lui prendendo mentalmente nota della parola.

- Insomma… mi sentivo umiliata - chiarì Shepard usando finalmente una parola a lui comprensibile.
- Tornai allo spazioporto e quando vidi venirmi incontro quel sergente che aveva riposto tanta fiducia in me, mi sentii perfino peggio e arrossi violentemente, mentre gli porgevo tutti i fogli che tanto non ero in grado di decifrare. Ricordo che lui ebbe un sorriso entusiasta di fronte ai primi risultati, poi guardò con espressione confusa il foglio con le crocette. Per fortuna non mi chiese spiegazioni, ma si limitò a leggere la relazione conclusiva su cui, mi comunicò, era stampata a chiare lettere la parola analfabeta.
- Fu quasi comica la scena seguente - ammise Shepard mettendosi nuovamente a ridere - Finì che fui io a doverlo consolare mentre lui si riempiva di male parole e si accusava di essere stato un idiota completo.
- Qualche minuto più tardi mi portò nuovamente nel suo ufficio e aprì un cassetto della sua scrivania dal quale estrasse un factotum. Ci caricò vari programmi dal suo computer e poi me lo diede, insieme a un datapad, aggiungendo che era tempo che imparassi a leggere e a scrivere.
- Io lo ringraziai con le lacrime agli occhi e mi voltai per uscire, colma di vergogna, ma anche di una nuova speranza. La frase Non deludermi, Trinity, se vali anche solo la metà di quanto io credo, diventerai un ottimo soldato mi raggiunse mentre stavo aprendo la porta dell’ufficio della Sicurezza. Mi voltai verso di lui e gli risposi convinta Non la deluderò, Signore. Glielo prometto.
- E tu mantieni sempre le tue promesse - commentò Garrus, stringendola fra le braccia.

- Fu l’ultima volta che lo incontrai - aggiunse il comandante, appoggiando la guancia contro il petto del turian - Passai tutto il mio tempo a studiare e non andai più allo spazioporto. Appena entrata nell’Accademia lo cercai, ma seppi che era andato in pensione la settimana prima. Provai a chiedere il suo indirizzo, ma mi risposero che era partito su una nave spaziale con sua moglie, senza dire dove fossero diretti.
- E’ davvero una bella storia, Shep - commentò Garrus, dandole un lungo bacio.
- Smettila, turian - disse lei ridendo e saltando giù dal letto - Devo finire i preparativi per la festa di questa sera.
- Giusto! Quanti siamo?
- Verranno tutti! - rispose il comandante al di là della porta aperta del bagno, con un tono carico di gioia, al pensiero che avrebbe finalmente riabbracciato tanti cari amici che non vedeva ormai da lungo tempo.
- Preparati, pigrone - lo incitò, mentre faceva scorrere l’acqua della doccia - Ho bisogno di consigli per prendere qualcosa di speciale anche per te e per Tali.

- Sei dannatamente magnifico e sexy... lo sai, Garrus Vakarian? - fu il commento che bloccò i movimenti del turian che stava finendo di allacciarsi gli ultimi fermagli dell’uniforme.
- La smetterai mai di cercare di farmi arrossire?
- Con te è quasi troppo facile... - rispose lei ridacchiando, con uno sguardo che però rivelava come il complimento appena pronunciato fosse stato sincero.
“Dannazione, Shep. Quando finirà questa maledetta guerra, la prima cosa che farò sarà quella di chiederti di sposarmi” fu il pensiero che attraversò ancora una volta la mente di Garrus mentre stringeva il suo comandante fra le braccia, chiedendosi se fosse una buona idea lasciare quella stanza, con il letto ancora disfatto pronto ad accoglierli.



Nota
Avevo bisogno di raccontare un pezzetto di vita della mia Trinity prima della conclusione di questa storia.
Mi piacerebbe sapere che impressione vi ha fatto leggere qualcosa di assolutamente inventato. E' la prima volta che faccio un tentativo del genere e sono abbastanza insicura.

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Capitolo 12
*** Vendetta ***


VENDETTA


Farewell


Shepard era finalmente arrivata al pannello di controllo. I comandi che azionò fecero dischiudere le braccia della Cittadella quel tanto da consentire il posizionamento del crucibolo.
Fissò distrattamente, senza alcuna emozione, i numerosi frammenti delle navi spaziali distrutte che galleggiavano quietamente nel vuoto avanti a lei e le esplosioni rossastre dei colpi sparati nella battaglia ancora in corso: le giungevano ovattate, come immagini di un miraggio lontano.
Aveva un’ottima visuale di tutto il panorama che si offriva al suo sguardo, con la testa libera dal casco il cui comunicatore aveva smesso di funzionare, limitandosi ad emettere un urlo continuo e lacerante che le aveva straziato i timpani fino a quando l’aveva sganciato e fatto cadere in terra, subito dopo essere stata colpita di striscio dal Razziatore, poco prima di raggiungere il raggio che l’aveva trasportata sulla Cittadella.
Lungo l’estenuante cammino che l’aveva portata da Anderson, aveva gettato in terra anche tutti gli altri pezzi della sua armatura, ormai troppo lesionata per offrire protezione e troppo pesante per consentirle di muovere liberamente le membra stremate.

Quando era arrivata dall’ammiraglio il suo corpo sfinito era protetto solo dall’uniforme, che era solita indossare sotto l’armatura, e dagli stivali. Quell’indumento, intriso dal sangue che si stava iniziando a coagulare, le si appiccicava sgradevolmente alla pelle e le riempiva le narici di un odore persistente, dolciastro e metallico.
Il comunicatore nel casco era partito, ma quello inserito nel colletto dell’uniforme, che la teneva in contatto con l’Alleanza, era miracolosamente rimasto intatto e le aveva permesso di raggiungere l’ammiraglio, attraversando antri sconosciuti della stazione spaziale, cosparsi di cadaveri umani e popolati da quelle inquietanti figure insettoidi dei custodi.
Non aveva altro indosso, oltre alla maledetta pistola che aveva trovato sull’asfalto della strada di Londra a pochi metri dal raggio. Le era servita per uccidere gli ultimi nemici sul suo cammino, ma avrebbe desiderato non averla mai raccolta da terra.
La fissò con repulsione, fino a quando un gemito dell’ammiraglio Anderson la raggiunse e lei si girò a guardarlo. Meccanicamente infilò l’arma nella cintura dell’uniforme, mentre si dirigeva verso il compagno a terra.
Lo vide appoggiarsi stancamente contro la larga pedana circolare nel centro della piattaforma su cui si trovavano e gli si sedette pesantemente al fianco.

- Ce l’abbiamo fatta - commentò il comandante senza riuscire veramente a credere che quella guerra tanto disperata e quasi perduta potesse concludersi vittoriosamente con quel gesto così banale: con la semplice pressione di un pulsante.
Si sentiva stanca, malinconica e ormai assolutamente disinteressata a seguire gli ultimi avvenimenti dello scontro ancora in atto. Se avesse avuto la forza si sarebbe messa a piangere.
- Sì, è così - commentò a sua volta Anderson, con voce stanca e affaticata - E’ un bel panorama...
- Sono i posti migliori - replicò lei con lo stesso tono di voce, senza riuscire a capire perché fosse tanto affranta da una vittoria insperata.
Il commento di Anderson - Dio mio... mi pare di non sedermi... da anni - le fece comprendere quanto simili alle sue fossero le emozioni dell’ammiraglio e si sentì rincuorata.
Forse era normale uno stress come il loro alla conclusione di una guerra, iniziata tanti anni prima, che aveva dominato gran parte della loro esistenza. Provò a sorridere, senza riuscirci, per cercare di sollevargli il morale.
- Credo si meriti un po’ di riposo - gli sussurrò incoraggiante - Cerchi di resistere. Presto sarà tutto finito.
- Sei stata brava, figliola. Bravissima. Sono orgoglioso di te.
- Grazie - rispose senza soddisfazione e senza orgoglio, sentendosi solo esausta, prima di capire che quella frase era stata l’ultima che l’ammiraglio avrebbe mai pronunciato.

Se avesse avuto la forza, se le fosse rimasto un briciolo di energia, avrebbe urlato contro quell’inammissibile ingiustizia finale. Lei aveva ucciso Anderson, lei era stata l’artefice materiale di quella morte così crudele e inaccettabile. E non le restava neppure la speranza di poterlo vendicare, perché non era stata lei a premere il grilletto dell’arma che aveva freddato l’Uomo Misterioso.
Si era ucciso da solo, rubandole una vendetta che le apparteneva di diritto perché lui l’aveva costretta a uccidere Anderson, lui l’aveva controllata.
Forse Miranda aveva mentito o forse neppure lei era a conoscenza di tutte le subdole manovre del leader di Cerberus, ma l’Uomo Misterioso poteva averle inserito un qualche chip di controllo quando aveva avuto fra le mani il suo corpo, e poco prima l’aveva usata… per uccidere l’ammiraglio, uno dei suoi più cari e vecchi amici.
Non si può sopravvivere al ricordo delle proprie mani che agiscono sotto una volontà altrui, infliggendo la morte al proprio compagno di battaglia, pensò con rabbia inutile, sentendosi sopraffatta e stuprata.

Shepard avvertiva passivamente il tremito del suo corpo, l’incapacità di muoversi, la difficoltà di formulare un pensiero che fosse razionale e non il frutto amaro delle schegge di sofferenza che le si conficcavano nella mente, sommergendola in una disperazione incontrastabile.
Fissò ancora una volta la mano che aveva usato per tamponare istintivamente la ferita al fianco e provò sollievo nel vederla completamente coperta di sangue denso e viscoso. Pensò con odio a tutti gli impianti che le avevano inserito dentro il corpo per fare di lei un super soldato e pregò che non fossero sufficienti a tenerla dolorosamente ancorata a quell’esistenza che non aveva più alcun significato.

Fu la voce dell’ammiraglio Hackett a riscuoterla - Shepard. Comandante!
Lei rispose automaticamente - Io... Cosa vuole che faccia?
- Niente... Il crucibolo non si è attivato. Dovresti fare qualcosa da lì.
Shepard agì come il soldato che era, trascinandosi sul pavimento coperta dal suo stesso sangue, senza potersi alzare, ma cercando comunque di raggiungere ancora una volta il pannello di controllo perché quello era il suo dovere. Le era stato chiesto aiuto, ancora una volta, e lei aveva risposto alla richiesta, istintivamente, senza però comprendere cos’altro ci si aspettasse da lei.
- Non vedo... Non capisco come... - mormorò prima di svenire, allungando una mano verso la consolle, troppo in alto perché riuscisse a sfiorarla con le dita.

La piattaforma sotto il corpo esanime del comandante prese a sollevarsi in un silenzio ovattato, portandola verso l’alto, mentre le braccia della Cittadella si aprivano completamente, come ad accogliere religiosamente quell’ultimo sacrificio alla disciplina e alla tenacia con cui Shepard aveva combattuto fino allo stremo delle sue forze.
Quando rinvenne, si guardò attorno, senza capire dove si trovasse, mentre lo spettro del bambino che aveva turbato i suoi sogni, del bambino che si era visto morire davanti a Vancouver, si avvicinava a lei incitandola a svegliarsi.

Lo fissò, odiando quel nemico che come ultimo affronto le si proponeva nelle sembianze di una vittima innocente. Resistette a stento all’impulso di perforare quel corpo immateriale con i proiettili della pistola che aveva ancora con sé.
Quell’essere le stava parlando e, prima di morire, lei voleva capire i perché di quell’odio assoluto e inspiegabile.
Ascoltò le spiegazioni offerte spontaneamente e le risposte alle sue tante domande, ma non riuscì davvero a comprendere. Quello spettro era al di là dell’intelletto di un essere organico, era la personificazione della razionalità eterna e infinita. Era la fredda manifestazione tangibile di un potere astratto e insensibile.

Fu tentata di decidere di non scegliere fra le alternative che il bambino fantasma le aveva sciorinato davanti, come un robot che elenca la lista dei beni di un negozio. Ma non effettuare alcuna scelta avrebbe causato solo il proseguimento di una guerra che era già persa.
Quando il bambino le affidò il peso di tutta la galassia, lei piegò le spalle ancora una volta, per accettarlo, perché non c’era altra scelta possibile.

Blu, verde, rosso. La vita della galassia si giocava nei colori. Il blu degli occhi di Garrus, il verde dei suoi, il rosso dei capelli che il turian amava tanto, pensò cercando di procrastinare il momento inevitabile della fine.
Controllo, fusione, distruzione: queste erano le possibili soluzioni.
La sua esistenza e le esistenze dei compagni che avevano combattuto le sue stesse battaglie e che giacevano già morti o ancora respiravano dovevano trovare una giustificazione in quella scelta finale indifferibile.

E il comandante ricordò.
Ricordò l’attimo in cui la lama del suo factotum aveva squarciato il petto di Kai Leng, decretandone la morte: quell’attimo che era stato di autentica catarsi. Mentre la lama lacerava la carne, dilaniava i muscoli e spezzava i tendini per poi frantumare le costole trafiggendo infine il cuore, lei aveva provato una delle gioie più grandi e pure della sua vita.
- Questo è per Thane, maledetto bastardo - aveva urlato Shepard con un’esultanza selvaggia che Garrus e James avevano trovato divina. Non era una donna quella che stavano fissando; era l’incarnazione della Nemesi per Vega, dello Spirito della Vendetta per Garrus.
Erano rimasti a fissare l’espressione spietata di quella donna che sapeva odiare con una intensità che li metteva a disagio.
- Per gli Spiriti, Shep... - aveva esclamato il turian guardandola con rispetto misto a stupore - non ti resterebbe che estrarne il cuore e addentarlo mentre ancora pulsa.
- E metterti a ballare una danza di guerra intorno al suo corpo esanime lanciando grida di trionfo - gli aveva fatto eco James lanciandole uno sguardo piuttosto inquieto.
- Era un vero bastardo - aveva commentato lei con disprezzo - e aveva ucciso un mio amico - aveva aggiunto, sicura che quelle due frasi fossero sufficienti.

- Cavolo, Cicatrici - aveva sussurrato James al turian mentre stavano ritornando sulla Normandy - io avrei paura a dividere il mio letto con una donna come il comandante.
- Non ti consiglio di provarci, Vega - gli aveva risposto il turian con uno sguardo gelido che l’aveva fatta sorridere, anche se sapeva che era stata pronunciata per gioco.
- In effetti... è probabile che neppure tu sia una persona con cui sia consigliabile dividere il letto - aveva risposto James scoppiando a ridere, mentre pensava che il vecchio detto Dio li fa e poi li accoppia calzava a pennello a quei due.

Quella stessa sera, quando Garrus era passato da lei per augurarle la buonanotte, l’aveva trovata chinata sul terminale.
- Tutto bene? - le aveva chiesto.
- Stavo finendo di scrivere una lettera - gli aveva risposto lei, con un sorriso triste.
- Mi dispiace di averti interrotto, volevo solo augurarti una buona notte.
- Vieni, leggila e dimmi cosa ne pensi.

Kolyat,
poche ore fa ho ucciso l’assassino di tuo padre.
Non so se Thane abbia potuto vedermi affondare la lama nel petto di Kai Leng ma, se anche fosse, so che non si sentirebbe felice o riconoscente per questo mio atto di vendetta e di giustizia.
Non ti conosco abbastanza per immaginare cosa proverai tu, nell’apprendere questa notizia. Vorrei però che sapessi che ho ucciso quell’uomo per legittima difesa e per proteggere l’umanità dai Razziatori. Non saprò mai se sarei stata capace di ucciderlo a sangue freddo, nonostante lo meritasse, solo per vendicare tuo padre: lui non avrebbe voluto che io diventassi un’assassina. Ma è a tuo padre che ho pensato affondando la lama.
La conclusione della nostra missione si avvicina e spesso mi trovo a pensare che forse avrò modo di incontrare presto Thane. Non credo nell’aldilà ma, se esistesse, sarebbe un luogo, e un tempo, comune a tutte le razze della galassia.
Vorrei mi inviassi il testo della preghiera che abbiamo recitato insieme in ospedale. Fra le tante che ho avuto modo di ascoltare in questi lunghi anni è senza dubbio quella che mi conforta di più.
Comandante Trinity Shepard


- Tu non morirai e io neppure - aveva dichiarato Garrus con sicurezza una volta finito di leggere.
Poi le aveva preso il mento fra le mani e l’aveva costretta a guardarlo negli occhi - Promettimelo.
- Sarà complicato, ma ci proveremo - aveva replicato lei, sorridendo con espressione triste.
- Ci sono tanti altri amici da vendicare, oltre Thane - l’aveva incoraggiata Garrus - Non possiamo arrenderci.
- Ma io non morirò prima di aver ucciso l’ultimo Razziatore! - aveva esclamato Shepard con veemenza, sconvolta al pensiero che lui la credesse capace di arrendersi al nemico - E sai che io mantengo sempre le mie promesse.
Il turian aveva sorriso con espressione triste - James mi ha insegnato la frase all’apparenza sciocca e banale che chiude molte delle favole terrestri: E vissero felici e contenti. Sarà anche sciocca e banale, ma suona meglio di E morirono felici e contenti, non pensi?
- Sei un turian incontentabile!
- Uhm, no... mi contento con poco - le aveva risposto sciogliendole i capelli e soffiandole il fiato sul collo per farle il solletico.

Tornò al presente. Non doveva indugiare troppo sul passato e non poteva pensare al turian. Non in quel momento, non alla fine di quella dannata guerra. Doveva restare lucida per fare la sua scelta. Fissò i tre sentieri che aveva di fronte a sé: tre strade possibili, una sola opzione.



An End, Once And For All


Provò ad immaginarsi nelle vesti di custode attento e gentile delle razze viventi della galassia, con tutti i Razziatori pronti ad ubbidire ciecamente ad ogni suo ordine.
La paladina della galassia, la dispensatrice di giustizia, del suo personale concetto di giustizia.
Avrebbe potuto decidere il destino di intere razze, di tutte le IA, di tutte le forme organiche e artificiali esistenti e di tutte quelle che sarebbero nate nei millenni futuri.
Lei, una femmina umana, innalzata a madre di tutti gli dei. Eterna, infinita, onnipotente.
Avrebbe vegliato sui suoi amici e compagni, avrebbe visto invecchiare Garrus e perfino Liara, Grunt, Wrex e Bakara.

Poi si figurò tutti gli esseri, le razze organiche, ma anche IDA e i geth, vivere in sintonia, ognuno conscio di essere parte di un tutt’uno inseparabile e indistinguibile.
Si vide abbracciata a un Garrus divenuto immortale come lei e come ogni altra entità, vivente o artificiale.
Avrebbe potuto riscrivere il DNA di ogni essere, avrebbe potuto dare vita organica alle entità artificiali e avrebbe inserito circuiti e processi automatizzati negli esseri viventi.
Avrebbe potuto creare l’armonia perfetta, l’equilibrio eterno e una pace che non sarebbe potuta essere distrutta.

Infine considerò il sacrificio di tutte le IA: rivide Legion accasciarsi sul suolo arido di Rannoch, rinunciando alla vita, in nome di una insperata pace fra geth e creatori, e trovando, da solo, la risposta a quella domanda impellente Quest’unità ha un’anima?
Poi il suo pensiero andò ancora una volta a IDA, ricordandola mentre la prendeva da parte sulla Normandy per porle uno dei suoi tanti irrisolti problemi esistenziali.
Vite nate da circuiti. Anime germogliate dal metallo. Non avevano chiesto di nascere e non avrebbero chiesto di morire.

Si guardò per l’ultima volta intorno, sapendo che ad ogni istante che si prendeva per riflettere e decidere, nuove vittime si aggiungevano a quelle già cadute. Doveva concludere quella dannata guerra.
“La mia nave è lassù, da qualche parte” immaginò facilmente, senza poterla scorgere, “e io sono orgogliosa di tutti voi” confidò loro, mentre rivedeva la Normandy ancora all’attracco e lei stessa, con le braccia appoggiate alla ringhiera dell’hangar D24, che la fissava, mentre l’equipaggio le si radunava attorno.
Allora... Torniamo in azione? le aveva chiesto Garrus. Almeno abbiamo festeggiato come si deve. Forse per l’ultima volta... aveva replicato con sguardo sognante, fissando quello scafo lucido e snello.
La mia donna non parla così. Troverai il modo di vincere. E alla fine di tutto... festeggeremo insieme aveva risposto il turian, regalandole una speranza.
“Sì, Garrus. Vinceremo, ma i festeggiamenti dovrai farli da solo... Ricordati che i momenti di gioia forse non sono stati molti, ma sono stati intensi. Come hai detto tu? Ah ecco... sì... Su quella nave ho passato i migliori istanti della mia vita. E’ stato davvero bello” pensò con una malinconia che le masticava l’anima.
Impagabile ti ho risposto, mentre ti avviavi anche tu, poco prima che mi decidessi finalmente a staccare le mani da quella ringhiera e a seguirvi”.
- Addio, amici. Questa volta la mia strada mi porta lontano da voi e da quella splendida nave - sussurrò piano.
- Mi dispiace - concluse, con un breve sorriso stanco, finalmente certa che non ci fosse una vera scelta: la scelta era stata fatta tanto tempo prima e a lei spettava solo compiere l’ultimo atto necessario.

Poi si avviò.

Sbandava, senza riuscire a camminare lungo una linea dritta, strascicando affannosamente gli stivali insanguinati sul lungo percorso che portava alla fine di quella maledetta guerra durata troppo a lungo.

Sfilò la pistola dalla cintura e puntò con la mano tremante la colonna che vedeva di fronte, sbattendo ripetutamente le palpebre per ripulire la visuale dagli aloni di sangue.
Il primo colpo incerto ed ancora esitante lo dedicò a David Anderson, il secondo a Legion e poi, a ritroso, a Thane Krios, Mordin Solus, fino ad Ashley Williams e Richard Jenkins.
Adesso la determinazione era tornata a pulsarle violentemente nelle vene, assieme al sangue rimasto, e i colpi successivi vennero esplosi con precisione millimetrica, mentre i suoi passi si fecero decisi e il suo viso si illuminò di un sorriso sicuro.
Rialzò lo sguardo con espressione determinata e riprese a sparare, ricominciando a scandire i nomi ad alta voce, a partire dal primo affisso in alto a sinistra sul memoriale della Normandy, e andò avanti a sillabarli uno per uno con esultanza selvaggia, mentre ricaricava l’arma e continuava a sparare con una gioia calda che partiva dal centro del corpo e si irradiava prepotentemente per tutte le membra stanche.

Si immaginò quella lastra arricchita dal nome dell’ammiraglio David Anderson e dal suo, apposti al centro, là dove figuravano sempre i nomi dei condottieri di una nave spaziale, caduti nell’assolvimento del proprio dovere.
Infine, come ultimo tributo, lasciò che una singola lacrima tiepida lavasse via il ricordo dell’ultimo comando dolce e struggente del suo turian - Perdona l’insubordinazione, ma il tuo ragazzo vuole darti un ordine... Non morire.

- Magari un’altra volta, Garrus - bisbigliò, sorridendo tristemente nell’attimo in cui la fine divenne riconoscibile.

Ricordò, in una serie di immagini che durarono pochi secondi eterni, i suoi occhi color cielo, la smorfia ironica, la risata lieve, la sua eterna aria scanzonata, l’espressione concentrata con cui eseguiva le calibrature, rintanato nella batteria primaria.
Lo rivide in battaglia, con il fucile di precisione stretto fra le mani e l’occhio appoggiato contro il mirino, e fra le lenzuola candide del letto nella sua cabina, mentre le cercava la bocca o le infilava il naso fra i capelli, annusando il profumo della sua pelle. Sentì la durezza confortante delle sue placche addominali che la proteggevano quando si raggomitolava fra le sue braccia, con la nuca appoggiata contro il suo petto, in cerca di un sonno che non sarebbe stato disturbato da incubi.
Ricordò il profumo metallico della pelle, il sapore lievemente amaro della sua bocca calda, la scabrosità della schiena, la dolcezza premurosa con cui faceva scorrere le dita fra i suoi capelli, l’attenzione che dedicava per leggerle gli occhi e il cuore.

- Al mio posto, tu faresti lo stesso - gridò con quasi con rabbia, appagata da quella vendetta troppo a lungo agognata. Spalancò le braccia per ricevere in pieno petto la forza dell’esplosione, abbandonandosi alla soddisfazione di aver finalmente portato a termine quella maledetta missione iniziata su Eden Prime troppi anni prima, e alla riconoscenza sconfinata di non dover sopravvivere alle tanti morti che il suo ultimo gesto stava causando.
La detonazione rossastra la avvolse in un abbraccio possente, liberando il suo corpo dal contatto con il terreno e la sua mente da quella insopportabile sofferenza che aveva ormai annullato l’impulso atavico di continuare a respirare.

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Capitolo 13
*** Qui è la Normandy ***


QUI È LA NORMANDY


I Was Lost Without You


La Chakwas era stata la prima a cercare di confortare Garrus, non appena se lo era visto recapitare in infermeria, caricato sopra le ampie spalle di James, come se si trattasse della consegna di un pacco di scorte medicinali.
Il tenente aveva deposto il turian su una branda, aveva aperto l’armadietto del pronto soccorso prendendo medigel e bende per se stesso ed era uscito senza dire una sola parola, nonostante si fosse accorto dello sguardo interrogativo della dottoressa.
Lei aveva esaminato le condizioni del ferito con il suo factotum e aveva cominciato a prestargli le prime cure, mentre Liara e Tali, che si erano precipitate dentro l’infermeria alle spalle di James, la informavano che Shepard era ancora là fuori, nel disperato tentativo di raggiungere il raggio che l’avrebbe trasportata sulla Cittadella.

- Non avrei dovuto lasciarla andare sola - aveva dichiarato Garrus, senza rivolgersi a nessun’altro se non a se stesso.
- Non saresti potuto andare con lei - gli aveva risposto brevemente la Chakwas - neppure ora sei in condizioni di camminare - aveva dichiarato finendo di visitarlo, cercando di fargli capire che non era colpa sua se adesso Shepard si trovava ad affrontare da sola quella battaglia.
Le ferite erano gravi, anche se facilmente curabili con le attrezzature mediche di cui disponeva la Normandy, ma il turian non sarebbe riuscito neppure a scendere dal lettino senza aiuto.
Lui non le aveva risposto e non l’aveva nemmeno guardata.

Poi erano state Liara e Tali, rimaste entrambe in infermeria per tenergli compagnia, a tentare di alleviare il dolore di Garrus.
- Non avevi scelta, ti aveva dato un ordine - provò a consolarlo Liara fissando il turian con gli occhi lucidi mentre la sua mano azzurra gli serrava il braccio.
- Sapeva che non eri in condizione di seguirla. Non avresti potuto aiutarla - aggiunse Tali, che si era seduta sulla sedia accanto al suo letto, dalla parte opposta rispetto a Liara, e aveva posato le sue dita su quelle del turian.
Quelle due mani estranee sopra la sua carne vibravano ed erano scosse da tremiti dei quali le due donne non erano probabilmente coscienti. Garrus continuò a fissare ostinatamente il soffitto dell’infermeria della Normandy cercando di ritrarsi da quelle persone che affollavano il suo spazio vitale e di respingere le ondate di sofferenza che i membri dell’equipaggio continuavano a riversargli addosso.

Ricordò l’ultimo colloquio con il comandante. Lo aveva aiutato a issarsi sul portellone della Normandy e si era allontanata pronunciando l’ordine - Devi andartene da qui.
- Starai scherzando - le aveva risposto, orripilato al solo pensiero di lasciarla combattere da sola.
- Non contraddirmi, Garrus - gli aveva risposto con quella voce ferma che usava per dare ordini.
- Dobbiamo restare uniti - aveva protestato, solo per sentirsi rispondere - Non sei in condizioni di combattere. Il tuo posto è in infermeria.
- Non puoi farcela da sola...
- E’ un ordine, Garrus.
E lui aveva obbedito a un ordine. Quella volta era stato un buon turian. Un buon turian che obbedisce a un cattivo ordine... Non se lo poteva perdonare.

Anche Kaidan gli aveva tenuto compagnia fino a pochi minuti prima, poi era tornato sul ponte, incapace di stare fermo lì nell’infermeria, ad aspettare notizie che non arrivavano. Tali e Liara invece sembrava che non avessero altro posto dove stare, pensò il turian con un rancore che sapeva essere irrazionale.
Se avesse avuto la forza avrebbe respinto quelle mani, urlando di volere essere lasciato solo.
Gli bastava il suo, di dolore, non poteva sopportare anche il loro: era sul punto di spezzarsi, di lasciarsi sopraffare, ma quelle aliene sembravano non capire.

Il tempo scorreva lento sulla Normandy, senza che nessuno sapesse cosa stesse accadendo sulla Cittadella. Gli eserciti riuniti sotto la guida dell’Alleanza stavano lentamente, ma inesorabilmente, perdendo terreno, mentre i Razziatori non sembravano subire perdite rilevanti.
L’avanzata del nemico continuava, senza tregua, ed erano ormai molti i soldati morti che giacevano abbandonati sul terreno perduto durante l’inevitabile ritirata.
Anche la formazione delle navi spaziali mostrava evidenti sconfitte, mentre troppo pochi erano i Razziatori uccisi o almeno seriamente danneggiati.
Il piano di Shepard, l’unico piano in cui poteva sperare l’intera galassia, sembrava non aver funzionato: le braccia della Cittadella alla fine si erano aperte, il crucibolo era stato posizionato, ma non era accaduto nulla.
Non sapevano neppure se sulla Cittadella ci fosse qualcuno ancora vivo. Non sapevano se fosse vivo il loro comandante. Nessuna trasmissione, nessun segnale. Nulla.

- Nessuna novità - fu la risposta di Kaidan alla domanda silenziosa che lesse negli occhi del turian che aveva smesso di fissare il soffitto non appena si era accorto che il maggiore Alenko era tornato nell’infermeria. Da quando era tornato a bordo della Normandy, era lui l’unica persona che Garrus avesse desiderio di vedere. Kaidan non provava a confortarlo con frasi inutili e non lo guardava con occhi commossi e partecipi: si limitava a venirlo a trovare ogni pochi minuti per fornirgli aggiornamenti con un linguaggio scarno ed essenziale, privo di qualsiasi accento.
Ed era questo l’unico desiderio del turian.

Alla visita successiva, Garrus trovò la forza di pregarlo - Aiutami ad arrivare sul ponte - ignorando le violente proteste della dottoressa Chakwas, di Liara e Tali.
Kaidan lo aiutò a tirarsi su dal letto e poi passò il braccio sinistro intorno alle spalle del turian in modo da sostenergli tutta la parte destra del corpo. Notò che senza armatura indosso era straordinariamente leggero, con un fisico tanto magro e asciutto da non lasciare intuire la forza reale che possedeva.
Quando Liara si avvicinò dall’altro lato di Garrus, nel tentativo di dare anche lei una mano, Kaidan lo sentì irrigidirsi di scatto, mentre la sillaba - NO - che lui pronunciò fu una specie di grido rauco e rabbioso che sembrò restare appiccicato ai muri dell’infermeria.
Non riusciva neppure a tenere dritta la testa, si accorse il maggiore Alenko, mentre il braccio sinistro del turian continuava ad annaspare nell’aria alla ricerca di un qualunque appoggio. Glielo acchiappò con il destro e finalmente Garrus riuscì a fare il primo dei tanti passi lenti e faticosi che lo portarono fino sul ponte.

Una volta arrivato alle spalle di Joker, Garrus rifiutò di sedersi sulla poltrona alla sua destra, anche se IDA si era immediatamente alzata non appena lo aveva visto arrivare. Restò in piedi appoggiandosi allo schienale del pilota, con gli artigli che graffiavano la pelle, cercando di capire cosa stesse accadendo intorno alla Normandy, sbirciando dalle grandi vetrate: la lotta era chiaramente impari, la battaglia era disperata.
- Non resisteremo ancora a lungo - commentò Kaidan scuotendo la testa - Per favore, Joker, riprova.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?
L’altoparlante sul ponte si limitò a restituire un ronzio indistinto e Garrus infilò le unghie ancora più a fondo nella pelle dello schienale, mentre cercava di trattenere l’urlo di rabbia che gli vibrava nella gola.
“Non dovevo ubbidire al tuo ordine. Non dovevo lasciarti andare sola” continuava a ripetersi il turian.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?

I vari membri dell’equipaggio si alternavano sul ponte, ma non restavano mai a lungo. Dopo pochi minuti tornavano indietro, irrequieti, sentendosi inutili e provando troppa rabbia, dolore, disperazione per poter restare lì, senza far nulla.
Solo Joker, Kaidan e IDA non si allontanarono mai e il maggiore si occupò perfino di tenere lontano dal turian tutti coloro che volevano partecipargli in qualche modo la propria solidarietà. In un paio di occasioni arrivò perfino a ordinare - Lascialo in pace, ha bisogno di star solo - a qualcuno dei compagni. In genere quelli rimanevano interdetti qualche secondo prima di annuire, comprendendo a quale tipo di solitudine si riferisse il maggiore.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?

Per ordine di Kaidan la Normandy restava in disparte, in occultamento, senza partecipare attivamente alla battaglia, pronta a partire a tutta velocità se Shepard li avesse contattati, se avesse avuto bisogno di aiuto.
Garrus si rendeva conto che le sorti della guerra non sarebbero cambiate se la loro nave avesse preso parte attiva allo scontro che si stava svolgendo attorno a loro, ma quella decisione avrebbe potuto mettere il maggiore in un mare di guai con le autorità dell’Alleanza.
Era stato un comando coraggioso e dimostrava una lealtà verso Shepard che lo aveva commosso nel profondo.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?

- Vado in sala tattica - comunicò Kaidan dopo circa mezzora, senza che fosse ancora giunto un segnale qualsiasi che potesse testimoniare che Shepard fosse ancora viva.
Garrus allungò una mano sulla spalla del maggiore che si fermò sorpreso, fissandogli addosso i suoi occhi castani.
- Non sei così fetente come credevo - ammise il turian con un debole sorriso.
- Non fare il sentimentale con me, Garrus. Ti ho odiato anche io - rispose Kaidan sorridendo a sua volta con espressione triste, prima di avviarsi lungo il corridoio.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?

Alla fine il turian aveva dovuto sedersi sulla poltrona alla destra del pilota, perché le gambe non lo sorreggevano più, ma continuava ostinatamente a rifiutarsi di prendere qualsiasi medicina, facendo imbestialire la dottoressa: aveva paura di potersi addormentare.
Aveva respinto perfino il medigel, perché il male fisico che provava lo teneva sveglio e gli faceva avvertire meno un altro tipo di dolore, molto più profondo e lacerante. Aveva accettato solo la coperta che Kaidan gli aveva lanciato durante uno dei suoi continui e inutili via vai fra ponte e sala tattica.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?

- Sei un idiota, Garrus - sbottò a un certo punto Joker, rompendo inaspettatamente il silenzio sul ponte - Smettila! - aggiunse, come se avesse ascoltato la frase che il turian continuava a ripetersi da quando Shepard lo aveva lasciato solo sul portellone aperto della Normandy.
Garrus lo fissò, ma non rispose.
- L’avresti fatta uccidere, se fossi andato. Non avrebbe potuto combattere come sa fare lei, con te ferito al fianco: l’avresti rallentata e distratta - lo accusò con asprezza.
- E’ vero, forse… ma non mi aiuta - rispose il turian con voce debole - Preferirei non parlare.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?

Dopo qualche altro minuto, quando il ponte tornò ad essere nuovamente deserto dopo una visita da parte di Liara e di Tali, fu Garrus a rompere il silenzio.
- Ho ubbidito perché sapesse di dover sopravvivere ad ogni costo, perché sapesse che io sarei stato qui a bordo della sua nave, ad aspettarla. Ora sembra un’idea stupida, ma prima, quando lei era vicina a me e mi guardava, dopo avermi costretto a risalire sulla Normandy, non lo era.
- Non credo che le parole possano aiutarti o starei parlando da quando sei arrivato qui.
- Lieto che tu non l’abbia fatto - replicò Garrus seccamente.
- Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi?
E Garrus si alzò a stento dalla poltrona e strappò dalle mani il comunicatore di Joker urlandogli - Smettila, maledizione! Se potesse… chiamerebbe lei.
Quell’ultima frase iniziò con un urlo rabbioso, ma terminò in un sussurro. Poi Garrus si risedette pesantemente sulla poltrona di IDA.

Passarono altri cinque eterni minuti di silenzio assoluto, poi Joker attivò il comunicatore collegato con gli altoparlanti di tutta la Normandy.
- Tutti ai posti di combattimento! Kaidan e Liara sul ponte. Subito! - urlò inaspettatamente facendo fare un sussulto al turian che non si era accorto di nessun cambiamento e che sentì rinascere una speranza disperata.
Joker puntò l’indice in direzione di un punto sulla Cittadella e disse semplicemente - Lì!
Liara e Kaidan si precipitarono sul ponte in tempo per vedere una densa colonna di luce rossastra che prendeva forma in una zona sopraelevata della Cittadella. La colonna si stava rapidamente deformando, assumendo l’aspetto di una enorme bolla vibrante, solcata da scariche elettriche, che faceva ritenere prossima un’esplosione di potenza inaudita.
Nello stesso momento arrivò la comunicazione dell’ammiraglio Hackett rivolta a tutte le forze alleate - A tutte le flotte! Il crucibolo è attivo. Sganciarsi e dirigersi al punto di ritrovo.
E subito dopo - Ripeto: sganciarsi e allontanarsi da qui.



Stand Strong, Stand Together


Joker mosse freneticamente le mani sui comandi per preparare la nave alla partenza, senza però decidersi ad obbedire, fino a quando Liara, con uno sguardo colmo di tristezza, lo esortò - Jeff, dobbiamo andare...
- Maledizione! - fu la sola parola pronunciata dal pilota che, dopo qualche altro breve secondo di indugio, fece partire la Normandy a tutta velocità.
A quell’improvvisa accelerazione, Garrus si accasciò sul sedile con un urlo, serrò le palpebre e non avvertì più nulla di quello che accadeva intorno a lui. In pochi secondi rivide tante Shepard che scorrevano davanti ai suoi occhi chiusi, come brevi spot pubblicitari: il sorriso appena accennato, la risata argentina, l’aria maliziosa, le lacrime di rabbia e di impotenza, gli occhi cerchiati dalla stanchezza.
La rivide in battaglia e fra le lenzuola, con un bicchiere in mano, la sentì raggomitolarsi fra le sue braccia con la nuca contro il suo petto. Ricordò il profumo della chioma color mogano, il sapore della bocca, la consistenza della sua pelle, la morbidezza serica dei capelli che faceva scorrere fra le sue dita.
“Non così, Shepard, non senza di me. Non dovevo lasciarti andare sola…”.

La dottoressa Chakwas era arrivata sul ponte in silenzio, con un medicinale fra le mani. Lo iniettò nel collo di Garrus, senza che lui nemmeno se ne accorgesse. Ad un suo cenno, Kaidan caricò quel corpo inerte sulle spalle di James che lo portò nuovamente nell’infermeria, poi lo aiutò a deporlo su un letto.
La fuga della Normandy avvenne nel silenzio attonito di tutto l’equipaggio, con ogni persona immobile al proprio posto di combattimento, incapace perfino di scambiare uno sguardo con il vicino, angosciato al pensiero che vi avrebbe letto il suo stesso struggente senso di perdita.

L’esplosione di luce rossastra che infine raggiunse la nave sembrò annientarla. Ogni apparecchiatura e ogni luce si spense improvvisamente. Non partì alcun sistema di emergenza. La Normandy era morta: il buio assoluto invase ogni ponte, qualsiasi rumore cessò.
L’equipaggio restò in silenzio per qualche secondo, in attesa che IDA facesse ripartire i sistemi necessari alla navigazione e alla sopravvivenza e desse spiegazioni sull’accaduto.
Invece non accadde nulla di tutto questo.
La specialista Traynor e Joker cercarono a tentoni di far ripartire almeno i sistemi indispensabili.
- IDA? - chiamò più volte la voce allarmata di Joker, mentre rimetteva in funzione i motori e risistemava la nave in assetto di volo.
La Traynor fece ripartire il sistema vitale e le luci di emergenza, poi si mise in comunicazione con il ponte. - Cos’è successo, Joker?
- Si è bloccato tutto. E’ andata ko tutta l’intera dannata nave. Non ho mai visto nulla del genere. Ho riattivato i comandi della navigazione, sono in modalità manuale. Sto tentando un atterraggio di fortuna, siamo in rotta di collisione con un dannato pianeta.
- IDA è lì?
- Non vedo nulla, Sam. Era qui al suo solito posto poco prima dell’esplos... Merda! IDA sembra morta. Mandami Tali, appena riesco ad atterrare.

L’intero equipaggio approfittò della sosta forzata della nave sul pianeta contro cui la nave aveva corso il rischio di schiantarsi per fare ripartire i diversi sistemi operativi della Normandy. Ognuno si occupava di qualche apparecchiatura o si offriva di dare una mano ad un collega in difficoltà. Aver qualcosa da fare li aiutava a superare lo shock per la morte del loro comandante.
Solo Garrus rimase tranquillo nell’incoscienza indotta dai farmaci. La dottoressa passò più volte attorno al suo lettino, cercando di rimettere in funzione le diverse apparecchiature dell’infermeria.

Tali non poté che confermare la diagnosi di Joker, aggravandola con la precisazione che era tutta la IA ad aver smesso di funzionare, non solo il corpo di Eva. La Normandy era andata ko perché IDA aveva smesso di vivere. Lei era la Normandy e l’arresto di ogni funzione di IDA aveva significato l’arresto di tutti i sistemi della nave.
- No. Non posso ripararla, Joker. Non è un computer. Non posso farla ripartire. E’ morta... come Shepard - rispose tristemente al pilota al suo fianco, ricevendo uno sguardo di pura disperazione a quella diagnosi definitiva e irrevocabile.

Non ebbe il coraggio di spingersi più in là, ma fu molto più esplicita con il personale tecnico che radunò nella batteria primaria per creare una piccola squadra in grado di effettuare le prime riparazioni più urgenti.
- Per far funzionare i sistemi della Normandy dovremo estirpare tutto quello che resta di IDA - spiegò - Tutto quello che veniva controllato dalla IA non può tornare a funzionare, fino a quando non la estromettiamo completamente.
- Tuttavia vi ordino di conservare ogni singola traccia della nostra vecchia amica. Scaricate qualunque cosa dentro i factotum, tenetela dentro le memorie dei computer di bordo. Non voglio che cancelliate nulla, anche se vi sembra qualcosa di assolutamente inutile.
- Non abbiamo la necessità di fare questo lavoro in fretta, abbiamo bisogno di farlo bene, con tutta l’attenzione possibile. Smettete di lavorare prima di sentirvi stanchi.
Le ore successive vennero impiegate da tutti i membri dell’equipaggio per risistemare quanto poteva essere risistemato. Chi non possedeva alcuna nozione tecnica, si limitava a passare gli attrezzi necessari o teneva puntata una torcia, per illuminare il lavoro dei compagni.

- A tutto l’equipaggio. Parla il maggiore Alenko - fu l’annuncio che risuonò improvvisamente per tutti i ponti a poche ore di distanza dalla grande esplosione rossa.
- Ho ricevuto un messaggio da parte di una nave dell’Alleanza, che mi ha comunicato le seguenti notizie: a seguito dell’esplosione avvenuta sulla Cittadella, il portale del sistema Sol è stato distrutto. Sembrerebbe che anche tutti i Razziatori presenti nel sistema siano stati distrutti, così come tutte le IA, Geth compresi.
- Al momento non sappiamo se la distruzione del portale, dei Razziatori e delle IA si sia estesa a tutta la galassia, perché i sistemi di comunicazione con gli altri sistemi sono saltati, ma è un’ipotesi abbastanza ragionevole. Questo vorrebbe dire che la guerra è finita e che abbiamo vinto.
- So che questa considerazione non potrà alleviare il dolore per la perdita dei nostri compagni, primo fra tutti il comandante Shepard, ma sapere che il suo sacrificio ha reso possibile qualcosa che nessun’altro ciclo galattico era mai riuscito a compiere deve riempirci di orgoglio e di riconoscenza.

Quando Garrus riprese conoscenza ebbe qualche secondo di smarrimento, nel trovarsi disteso su un letto in infermeria. Ricordò che era stato ferito poco prima di raggiungere il raggio e ricordò le parole di Shepard, che gli ordinava di tornare a bordo e poi tornava a combattere da sola, senza averlo al proprio fianco.
Solo dopo ricordò il resto.
- IDA, dove siamo? Quanto tempo è passato dall’esplosione?
- IDA non esiste più, Garrus. E’ morta - gli rispose sottovoce la dottoressa.
- La invidio - fu l’unico commento di Garrus, che uscì dall’infermeria zoppicando vistosamente e appoggiandosi con forza alle pareti, con l’intenzione di andare a nascondersi nella batteria primaria. La dottoressa lo guardò uscire con uno sguardo colmo di pena, ma non si azzardò a protestare o a provare a fermarlo.

In quella stanza a lui tanto familiare era radunato un piccolo gruppo di persone che stava ascoltando alcune istruzioni di Tali.
- Cosa fate qui dentro? - chiese con voce irritata e stanca.
- Sto coordinando il lavoro del personale tecnico e avevo scelto questa stanza per le nostre riunioni. Dobbiamo rimettere in funzione tutti i sistemi della Normandy, IDA non esiste più. Abbiamo fatto un atterraggio di fortuna e c’è molto lavoro da fare per rimettere la nave in condizioni di viaggiare.
- Qui metto a posto io.
- Certamente - disse la quarian uscendo rapidamente e portandosi appresso tutti i suoi collaboratori.

Appena rimasto solo Garrus cominciò a passare in rassegna le apparecchiature. Lo fece con metodo, partendo dal primo blocco che si trovava entrando sul lato sinistro e andando avanti sistematicamente, effettuando l’intero giro della stanza. Quando finalmente finì, lanciò uno sguardo soddisfatto e premette il tasto del trasmettitore - IDA, Shepard è nella sua cabina?
Ci furono almeno cinque secondi di silenzio, poi la voce di Samantha rispose con palese imbarazzo - Garrus, qui è la specialista Traynor, hai bisogno di qualcosa?
- Nulla, grazie - rispose il turian.

Si girò verso la porta, uscì nel corridoio e si trascinò verso l’infermeria. Aprì la porta e chiese - Dottoressa, dammi qualcosa che mi faccia dormire.
La Chakwas prese un flacone e porse al turian un paio di pillole. Lui le aperse la mano che teneva il flacone, lo prese, e la lasciò con le pillole nell’altra mano. Poi zoppicò faticosamente verso il ponte e si sedette sulla poltrona a fianco a quella di Joker.
Il pilota rimase in silenzio a guardare il vetro avanti a sé, con il viso rigato dalle lacrime. Garrus cercò nella tasca e gli porse il suo fazzoletto.
- Te lo avevo chiesto per Shepard. Ora non mi serve più - gli confessò il turian con una voce che gli si spezzò improvvisamente.
- Merda - rispose il pilota, strappandoglielo dalle mani e asciugandosi il viso con rabbia.

- Joker, la nave è in condizione di viaggiare. Tutti i sistemi primari sono stati ristabiliti. Per alcuni dei sistemi secondari ci serviranno parti di ricambio. Fra un'ora decolleremo per tornare verso la Cittadella - avvisò la voce di Kaidan nelle cuffie del pilota.
- Sai perché dobbiamo aspettare? - chiese Joker a Liara che stava entrando in quel momento sul ponte - I sistemi propulsivi della Normandy sono perfettamente funzionanti ormai.
La asari si fermò alle spalle di Garrus, ancora seduto sulla poltrona di IDA e rispose in tono neutro, sperando di non esacerbare il dolore di quel turian disfatto - Prima di ripartire dobbiamo fare una cosa... tutti insieme.
Porse a Garrus una lunga targa di metallo - Crediamo spetti a te apporla sul memoriale - aggiunse a voce bassa, attenta a porgergliela rovesciata, in modo che il nome non fosse visibile.
Lui la strinse forte fra le dita, fino a quando il sangue smise di circolare nelle sue mani. Non la girò e non disse una sola parola; si alzò lentamente e si avviò zoppicando lungo il corridoio, rifiutando il sostegno di chiunque.

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Capitolo 14
*** Recuperi ***


Premessa
Che ora è per aggiornare? Le 3 di notte...
Sonni agitati e pensieri che non mi fanno più riaddormentare
Accendo il computer e mi decido: chiudo almeno questa storia. Sarà un pensiero in meno.


RECUPERI


Mordin


Shepard
Un silenzio lugubre e velato dalla polvere ancora sospesa nell’aria opprimeva la mente del comandante, mentre un dolore sordo fasciava il suo corpo impedendogli quasi di respirare. Non c’era un solo frammento di Shepard che non stesse gridando per la sofferenza e la certezza lucida di essere ancora in vita le procurava solo spasmi di angoscia e tormento.
“E’ finita” continuava a ripetersi “Nessuno poteva crederci veramente, eppure è finita... ma il prezzo pagato è stato troppo alto”.

Si abbandonò alla sofferenza fisica per non pensare ad un dolore più profondo, alle morti che lei stessa aveva causato con la sua ultima azione, giocando un ruolo che aveva accettato per disperazione, perché una scelta andava fatta. Quelle morti le pesavano addosso molto più delle macerie che la bloccavano e rendevano stentato ogni suo respiro.
Non avrebbe potuto effettuare una scelta diversa dopo tutto quello che aveva vissuto: non avrebbe potuto permettere che i Razziatori rimanessero in vita, nemmeno se fosse stato davvero possibile controllarli o fondersi con loro per generare una nuova razza, ibrida fra organici e sintetici. I troppi nomi sul memoriale della sua nave imponevano la distruzione definitiva del nemico.
Ma lei, ora, non poteva continuare. Non voleva sopravvivere ad Anderson, non voleva sopravvivere alle morti dei tanti compagni caduti e neppure alle IA che aveva dovuto condannare. Desiderava ansiosamente l’oblio, il quieto dissolversi nel sereno abbraccio del nulla che la aspettava.

Aveva lottato per lunghissimi anni, anni così intensi da rappresentare la vera essenza di tutta la sua intera vita. Quella prima missione su Eden Prime aveva segnato il corso della sua esistenza: poi Ilos, la battaglia contro Saren e la Sovereign sulla Cittadella, il portale di Omega 4 e infine quest’ultima battaglia, quella definitiva.
La guerra contro i Razziatori era finita e la galassia aveva conquistato una vittoria in cui neppure lei aveva mai creduto veramente. Adesso sarebbe venuto il tempo di ricostruire e di ricominciare, ma non per lei: troppa stanchezza, troppo dolore, troppe vittime. Aspettava solo, con pazienza serena, che quei dannati impianti troppo avanzati che Cerberus le aveva innestato senza che lei avesse una possibilità di scelta smettessero di funzionare.
“Il comandante Shepard ora può riposare” si ripeté con un leggero sorriso, assaporando, nel sangue che le riempiva la bocca, il senso di soddisfazione per aver completato il compito assegnatole.


Garrus
“Quando la Normandy ha lasciato l’orbita della Cittadella è stato il primo momento della mia vita in cui tutta la cultura e la disciplina della mia razza non mi sono servite a nulla: avrei dovuto essere lì, a morire con te, ovunque tu fossi. Non riesco a immaginare cosa dovrei fare del resto della mia vita. Ti avevo detto che la galassia sarebbe stata terribilmente vuota e noiosa senza te, ma è molto peggio. Mi sento come se nulla esistesse, a parte questo dolore. Sto qui, con la targa che riporta il tuo nome fra le dita, e non riesco ad apporla su questo dannato pannello commemorativo della Normandy” erano i pensieri che si agitavano nella mente del turian che rimaneva immobile, a capo chino, di fronte alla parete.

“Siamo tutti qui, radunati intorno al triste elenco di morti incise su questa lastra a cui Kaidan ha appena aggiunto il nome dell’ammiraglio Anderson, e tutti aspettano che io concluda questa triste cerimonia necessaria. Ma non posso farlo, non riesco a credere che tu sia morta perché non saprei come andare avanti e perché, maledizione, eri già morta una volta e sei tornata” continuava a rimuginare, sempre a testa bassa, senza aver voglia di condividere il dolore che gli straziava l’animo.

- Non posso farlo - ammise alla fine, mestamente, nel silenzio commosso che lo circondava, senza riuscire a guardare nessuno. Non si sottrasse all’abbraccio spontaneo e partecipe di Liara, ma poi la respinse con forza quando le sue parole - Mi spiace, Garrus, non potevamo salvarla in nessun modo, dovevamo lasciare l’orbita immediatamente - gli procurarono un attacco di rabbia sproporzionato e irrazionale.
- Parli tu? Proprio tu? Sei tu quella che meglio di chiunque altro dovrebbe sapere che non possiamo essere certi che sia morta davvero - le sibilò con rabbia trattenuta, mentre si infilava rapidamente nell’ascensore della Normandy posto proprio di fronte al pannello commemorativo.
Nessuno tentò di fermarlo. L’equipaggio restò ancora lì, muto per qualche istante, poi pian piano tutti cominciarono a tornare silenziosamente e lentamente alle proprie postazioni.

Senza neppure aver coscienza di dove volesse veramente andare, Garrus si ritrovò di fronte alla cabina del comandante.
Varcò faticosamente la soglia e appoggiò delicatamente la piastra commemorativa a fianco della sua foto, mentre ripensava alla notte che aveva passato insieme a Trinity, poche ore prima della battaglia finale. Allora non aveva immaginato potesse essere davvero l’ultima.
Quando Shepard si era destata d’improvviso, per l’incubo ricorrente che sempre più spesso le avvelenava il riposo, lui era già sveglio. Alla domanda se anche lui sognasse, aveva risposto che si aspettava sempre il peggio e che sognarselo la notte sarebbe servito solo a rovinargli il sonno. Ma allora non aveva immaginato che il peggio potesse consistere addirittura nella morte del suo comandante, non nella morte solo di lei, almeno.
- E’ possibile essere pronti a una battaglia del genere? Tutto quanto... è appeso a un filo, Garrus - gli aveva confessato con tono incerto, il tono che avrebbe usato solo con lui, perché agli altri non consentiva mai di leggere la sua insicurezza.
L’aveva rassicurata fino a quando lei gli aveva confidato - Non so cosa farei senza di te.

“Ora sono io che non so cosa fare senza di te” ammise, chiedendosi se le lacrime degli umani riuscissero a diluire il dolore. Spesso lo aveva immaginato, quando l’aveva tenuta stretta fra le braccia, in attesa che la crisi di pianto si placasse, trasformandosi in una risata lieve. I turian non sapevano piangere.
Prese una manciata di pillole dalla tasca e le ingoiò con un bicchiere della bottiglia di vino che Shepard teneva lì per lui, sul ripiano, accanto al suo vino preferito.
Si sdraiò sul letto aspettando che quel medicinale facesse effetto: per dormire sarebbero bastate un paio di pillole, ma l’urgente bisogno di non pensare più a niente era troppo disperato.
“C’è ancora un po’ del tuo profumo qui sul cuscino” fu l’ultima riflessione consapevole che gli attraversò la mente.


Un altro grazie di cuore a Chiara, che ha creato per me anche questa immagine



Epilogo


Sulla Cittadella
Con la cessazione delle ostilità, i notiziari avevano cambiato volto: da scarni bollettini di guerra erano diventati testimoni commossi di tutte le manifestazioni di gioia e di sollievo che stavano travolgendo i pianeti dell’intera galassia, mentre venivano evitati i servizi sugli inevitabili lutti di chi aveva subito perdite fra amici e familiari.
Molte delle scene di esultanza che scorrevano sugli schermi sarebbero apparse false ed ipocrite fino a pochi giorni prima, ma adesso nessuno si stupiva degli abbracci appassionati fra individui appartenenti a razze diverse, storicamente divise da disaccordi e polemiche.
I Razziatori sono riusciti a unificare la galassia era il commento universale di tutti i servizi, ma molte erano le persone convinte che, senza Shepard, nessuna razza si sarebbe mai alleata con le altre.

Non si ha alcuna informazione sulla sorte del comandante Shepard fu la notizia che venne trasmessa ogni poche manciate di minuti nel sistema Sol appena dopo la distruzione dei Razziatori, poi all’inizio di ogni nuovo servizio nelle ore successive.
Nessuna autorità militare o politica forniva aggiornamenti in proposito e già iniziavano a spargersi le voci più disparate e le dicerie più incredibili. Molti però ritenevano che potesse essere ancora sulla Cittadella, perché proprio da lì era partito l’impulso che aveva investito i Razziatori, distruggendoli all’istante.
La stazione spaziale era stata devastata e poche persone erano sfuggite alla morte. Solo chi era riuscito a trovare un rifugio quando i Razziatori avevano iniziato a spostare la stazione spaziale nel sistema Sol era ancora in vita e ora stava cominciando ad uscire dai nascondigli, con circospezione e incredulità.

Erano stati diramati appelli per organizzare i primi soccorsi e radunare i generi di prima necessità che sarebbero stati necessari ai sopravvissuti.
Il comandante Bailey aveva rimandato indietro buona parte delle sue truppe che avevano combattuto a Londra ed a loro si erano prontamente uniti altri gruppi di soldati di tutte le razze e numerosi gruppi di volontari, fra cui personale medico, tecnico e manovalanza più o meno specializzata.
Molti di coloro che avevano risposto all’appello avevano parenti e amici sulla Cittadella ed erano seriamente preoccupati per le immagini che venivano trasmesse dagli schermi televisivi.
In breve tempo si erano formate numerose squadre che pattugliavano le strade della stazione spaziale in cerca di superstiti fra gli abbondanti cumuli di macerie, ed a loro si erano prontamente uniti quasi tutti i civili, tranne medici e infermieri che stavano riorganizzando i vari reparti dell’Huerta Memorial Hospital.

Dopo ore di ricerche un umano che si era unito ad una pattuglia di tre agenti SSC scorse per caso, alla luce del raggio di una torcia, il luccichio della targhetta N7 del comandante Shepard su un cumulo di macerie. A quella rapida visione scattò ululando parole incomprensibili e si mise a scavare freneticamente a mani nude.
Solo gli strilli energici del sergente Wilson - Razza di idiota, non toccare nulla! Se non è già morto, così lo ammazzi tu! - lo fecero desistere dal lanciare a destra e a manca calcinacci e pezzi di travi, facendo crollare le pile di detriti che sostenevano il corpo del comandante.
Alla domanda - Ma chi è quel pazzo? - che l’agente Jones rivolse al sergente, rispose la collega Dunham che spiegò - E’ un piantagrane. Anzi, uno dei peggiori piantagrane che ti possa mai capitare di incontrare. E’ un mio lontano cugino: credo si chiami Verner… uhm, sì, Conrad Verner.

- Dai, andiamo a vedere se quell’idiota ha trovato davvero qualcosa - tagliò corto il sergente, guardando con aria di sufficienza quella figura che stava continuando a saltellare scompostamente, come impazzita, e a lanciare urla dissennate di richiamo.
Ai tre agenti bastò una rapida occhiata per capire chi giacesse sotto quel cumulo di macerie e in pochi istanti usarono i comunicatori per chiamare rinforzi.
Una biotica asari racchiuse con estrema attenzione il corpo del comandante in un campo di forza, non appena ricevette un cenno di assenso da parte di un medico salarian. Quest’ultimo aveva rapidamente valutato la gravità delle lesioni del comandante e aveva somministrato tutto il medigel che era riuscito a recuperare sul posto pensando “se anche non dovesse farcela ad arrivare in ospedale, almeno non soffrirà”.
Caricarono quindi il corpo privo di sensi su un veicolo e si diressero a tutta velocità verso l’Huerta Memorial Hospital.


Shepard
Una fitta di dolore inatteso le fece sfuggire un gemito. Le macerie che racchiudevano il suo corpo avevano subito un cedimento improvviso, da qualche parte sul lato sinistro. I calcinacci e le travi su cui poggiava il suo bacino smisero di sostenerlo e una fitta lancinante si propagò per tutta la schiena, facendola rantolare per la sofferenza.
Si risvegliò bruscamente dal torpore e da quella piacevole sensazione di serenità e pace in cui il continuo ripetersi la preghiera di Thane la aveva cullata dolcemente. Cercò di riprendere la cantilena rassicurante a partire da quelle frasi che aveva letto dal libro di preghiere nella sua stanza d’ospedale: Indicami la via verso il luogo in cui i viaggiatori non si stancano, gli amanti non si lasciano e gli affamati non patiscono... e di riconquistare la serenità del buio, del silenzio, dell’assenza di ogni sensazione.
Quella pace tanto sognata venne invece nuovamente spazzata via dal rumore dissonante di voci concitate, da improvvisi cedimenti nei detriti che circondavano il suo corpo martoriato e da guizzi di luci che ferivano i suoi occhi. Non era stato un cedimento accidentale, dovuto ad un comprensibile assestamento, realizzò con orrore. Qualcuno doveva aver individuato il suo corpo e stava cercando di tirarla fuori dal suo rifugio.

- Smettetela immediatamente - urlò con rabbia velenosa - Lasciatemi qui, andatevene! - aggiunse, senza riuscire a capire se le sue parole fossero rimaste un sogno bloccato nella gola o se nessuno potesse sentirla in mezzo a quel rumore che non si rendeva conto essere semplicemente l’eco dell’esplosione che ancora le fischiava nei timpani.
- Per favore. No... vi prego - continuò poi in tono di supplica, incerta se si stesse rivolgendo a quegli indesiderati salvatori o a un dio che potesse donarle la pace agognata.
- Lasciatemi andare - sussurrò ancora, con le labbra ormai inaridite, quando le sembrò di scorgere un paio di occhi a poca distanza dai suoi, mentre sentiva che qualcosa di morbido le veniva passato sul volto, per liberarle le narici e la bocca dalla terra. Le sue lacrime di ribellione e di rabbia si confusero nella sostanza liquida che le deterse la pelle, disinfettandogliela.
- Non fatemi questo - fu l’ultimo pensiero che riuscì a formulare, mentre con l’ultimo brandello di coscienza odiò le mani impietose che sollevarono il suo corpo che venne immediatamente trafitto da fitte e crampi che le strapparono gemiti e imprecazioni. Poi riconobbe l’azione lenitiva del medigel che qualcuno le stava iniettando in tutto il corpo e scivolò finalmente nell’incoscienza tanto agognata.


Garrus
- Cosa c’è? Smettila. Lasciami stare - riuscì a biascicare il turian in modo confuso, mentre si rendeva conto che nulla era al suo posto: né la stanza che ondeggiava senza interruzione, né alcuna parte del suo corpo, sbattuta qua e là senza sosta da una quarian sbraitante.
- Ti ho detto di piantarla, non capisco cosa stai strillando - protestò con rabbia - Smetti di urlare!
- Bosh’tet di un turian cocciuto e svitato, l’hanno trovata davvero. Non so come potessi saperlo, ma è ancora viva. E’ all’ospedale, in condizioni gravissime, ma è viva. Joker sta spingendo al massimo i motori; fra poco saremo lì - furono le parole, tutte accavallate e spezzate dai singhiozzi, a cui Garrus non riuscì a credere.
- Ne sei sicura?
- Datti una sistemata, se ci riesci - rispose Tali, uscendo di corsa dalla cabina del comandante.

Nell’arco di pochi secondi Garrus piombò sul ponte, del tutto indifferente al dolore che ogni più piccolo movimento arrecava alle sue gambe ferite, alle spalle di un Joker che non riusciva a star zitto un secondo, in mezzo a tutto il resto dell’equipaggio che brindava, rideva e si agitava in preda a una frenesia inarrestabile.
“C’è un’ilarità ai limiti della pura follia” pensò, senza riuscire ancora a credere a quella notizia.
Poi Joker chiese perentoriamente il silenzio assoluto e per la quinta volta in appena mezzora si collegò con l’Huerta Memorial: nessuna novità, il loro comandante restava passivo, non rispondeva alle terapie, non reagiva in alcun modo.
- Jeff, non possiamo accelerare?
- Andiamo, Joker, non sai più pilotare una nave?
- La Normandy può fare meglio di così, dannazione!
- Quanto manca ancora?
Furono queste le uniche frasi che Garrus riuscì a decifrare nell’insieme di esclamazioni che si accavallarono disordinatamente sul ponte affollato, mentre l’equipaggio riprendeva a vociare e a ridere, con immutata ilarità inquieta e nervosa. Solo la rassicurazione del pilota - Fra dieci minuti ci siamo - smorzò finalmente la confusione che regnava sovrana.

“Trinity, non puoi farmi questo” fu il pensiero che lacerò la mente di Garrus con uno spasmo doloroso che lo colpì con la stessa intensità della pugnalata che Shepard aveva inferto a Kai Leng e lo fece piegare in due, mentre rivedeva le immagini finali di quel suo sogno: il volto di sua madre trasformarsi in quello di Shepard e la propria mano tesa, impotente nel trattenere il comandante che si lasciava cadere nel vuoto.
Conficcò gli artigli nella spalliera della poltrona di Joker promettendole un “Non te lo lascerò fare…” che aveva l’intensità di una minaccia, mentre si chinava sul pilota ordinando - Prenota un trasporto per l’ospedale. Immediatamente.
Bastò quel comando del turian a riportare gradualmente il silenzio sul ponte, mentre Jeff voltava la faccia verso Garrus, con espressione sorpresa.
Nell’immobilità generale, l’affermazione successiva - Comincio ad avviarmi, il comandante sta lottando per morire - colpì tutti come uno schiaffo violento in pieno volto.
Kaidan fissò il turian con sgomento, incapace di capire cosa stesse accadendo, assolutamente certo, però, che quella frase avesse un suo senso. Scambiò uno sguardo rapido con James ed entrambi affiancarono Garrus, aiutandolo a incamminarsi verso l’hangar navette.
Nello stesso tempo Joker si alzò dal sedile del pilota invitando Cortez a sostituirlo, mentre Tali e Liara gli si ponevano spontaneamente ai lati.


Huerta Memorial Hospital
Il medico turian che li intercettò all’inizio del reparto chiese loro se fossero lì per il comandante e, ricevuta risposta affermativa, li condusse in una stanza con un monitor su cui lunghe righe verdi scorrevano quiete, quasi completamente orizzontali. Solo una si innalzava e si abbassava con piccoli impulsi regolari in armonia con i bip che scandivano il tempo di un orologio lento.
- Sta lottando contro noi medici, contro le cure - fu la diagnosi secca, mentre il dottore si stringeva nelle spalle con aria impotente.
- Mi faccia entrare - lo interruppe bruscamente Garrus, che non poteva stare semplicemente lì, ad ascoltare delle chiacchiere inutili.

Mentre si avvicinava al letto pensò che non l’aveva mai vista in quel modo, sdraiata sulla schiena, con le braccia un po’ allargate e le gambe allungate. Lei dormiva rannicchiata su un fianco, come lui, in quella posizione che imponeva agli estranei il proprio diritto all’intimità e all’isolamento.
Fissò il ricciolo rosso mogano che spiccava sulla tovaglietta candida che rivestiva un carrello a fianco del letto, fra flaconi di medicinali, garze e strumenti medici. Una piccola ciocca di capelli, probabilmente tagliata con le forbici per consentire la medicazione delle ferite, era tutto quello che restava della chioma fluente del comandante.
Era la testa rasata della Trinity giovane, quella senza ancora un nome, che affondava nel cuscino. La cute biancastra era bruciata in più punti e coperta da una serie di ferite che trasudavano siero e sangue.
Sentì che il suo cuore pompava dolore nelle arterie, ottenebrandogli la mente. Si lasciò cadere sulla sedia, cercando di non farsi spaventare dal pallore del volto che gli apparve minuscolo e indifeso, dalla quantità di lesioni che lo segnavano, dalle ombre nere sotto gli occhi chiusi, privi di sopracciglia e perfino di ciglia.
Le prese una mano abbandonata sul letto, miracolosamente illesa, e ne chiuse e aprì le dita più volte, accarezzandogliele, prima di appoggiare il naso contro il palmo, alla ricerca del suo profumo umano.
- Trinity - sussurrò su quella pelle troppo fredda, che odorava di disinfettante e null’altro.

- Comandante, non ti lascio andare - le disse poi con tono deciso, accomodandosi meglio sulla sedia, senza lasciarle andare la mano - mi hai fatto una promessa e sono qui, accanto a questo stupido letto, per ricordartela.
Strinse con più forza la mano inerte di Shepard e fissò la sagoma impercettibile, come il corpo di una bambina, senza avere il coraggio di alzare neppure un lembo del lenzuolo, angosciato al pensiero dello spettacolo che gli si sarebbe presentato. Cercò di individuare il tenue segno di un respiro, ma solo gli apparecchi che le avevano attaccato al corpo confermavano che fosse ancora viva.
- Abbiamo deciso che solo io sarei entrato nella tua stanza per non creare troppo scompiglio nell’ospedale, ma sono tutti qui fuori, comandante: siamo tutti con te, come sempre - continuò, senza sapere bene cosa dovesse dirle - Mi senti? Fammi capire che sei ancora qui... Maledizione, comandante! Non puoi farmi questo... Vuoi che continui a vivere in questa dannata galassia senza te?

“Parlale, continua a parlarle” si ripeteva ostinatamente il turian fra sé e sé “devi solo trovarla e mostrarle la strada per tornare indietro”.
Guardò il medico turian che si era avvicinato silenziosamente per eseguire un qualche nuovo esame con il suo factotum e, al cenno di diniego che gli rivolse prima di andarsene, Garrus ricominciò a parlare.
- Se avevi in animo di morire, comandante, dovevi lasciarmi venire con te. Ho eseguito il tuo ultimo ordine, accettando di tornare a bordo della Normandy quando mi hanno colpito, per restare vivo, perché tu sapessi che avresti potuto riabbracciarmi a battaglia conclusa - sostenne in tono quasi irritato.
Fece una pausa e scosse la testa aggiungendo - Non avrei dovuto lasciarti andare sola, non avrei dovuto ubbidire, lo so: è stato un mio errore.

Shepard non si mosse, ma la mano che lui stringeva disperatamente nelle sue dita tremò impercettibilmente e fece sperare al turian che almeno qualche parola la stesse raggiungendo.
Continuò a parlarle con voce tranquilla - Ricordo benissimo la confessione che mi hai fatto nella batteria primaria Si può sopportare soltanto un certo numero di battaglie… un certo numero di morti…, ma tu e io supereremo tutto, come abbiamo sempre fatto. Lascia che questo musone di un Turian, privo di abilità romantiche, provi a consolarti anche questa volta. Torna qui, maledizione, ho bisogno di te - continuò ad incitarla.
- Ricordi? Solo poche ore fa mi hai detto Siamo una squadra, Garrus. Non c’è Shepard senza Vakarian, per cui cerca di fare attenzione. Poi mi hai salutato con un bacio dicendo Non sarai mai solo.
Si fermò un istante, come avrebbe fatto se lei fosse cosciente, per ottenere la sua completa attenzione, e poi scandì - Tu rispetti sempre le tue promesse... a qualunque costo.

La mano di Shepard restò inerte, a parte il lieve tremito, e gli occhi continuarono a rimanere ostinatamente serrati, ma negli angoli delle palpebre chiuse presero a formarsi lacrime miste a sangue. Quando due piccoli rivoli rosati cominciarono a scendere rigandole il viso Garrus tirò finalmente un sospiro di sollievo. Ora che l’aveva trovata poteva cominciare ad avvolgerla prima di tirarla verso di sé.
- Non ho con me il fazzoletto, Trinity - le confessò, mentre prendeva un lembo del lenzuolo per tamponarle delicatamente il viso, incerto se le lacrime potessero bruciare sulle ferite.
Il medico di prima, entrato rapidamente nella stanza a causa dell’improvvisa variazione nelle letture degli strumenti nella stanza a fianco, fissò quella scena per qualche secondo e poi tornò rapidamente sui suoi passi, senza neppure avvicinarsi.


Reflections


- Sono stanca. Fammi andar via - furono le prime parole che lei pronunciò in un soffio quasi inavvertibile.
- Magari un’altra volta - le rispose Garrus con sicurezza, affondando il viso nella mano di lei mentre si chiedeva se il suo amore fosse troppo misero per lasciarla andar via e se lui fosse schiavo solo del suo stesso egoismo.
E lei si ritrovò a piangere, senza riuscirsi più a fermare. Lacrime e lacrime che continuavano a scorrere, mentre Garrus la fissava, indeciso fra tentare di farla smettere o lasciarla libera di sfogarsi.
Alla fine arrivarono singhiozzi e poche parole spezzate - Ho ucciso... Anderson... IDA... i Geth.
- Ci sarà tempo per parlare. Mi racconterai tutto quello che hai visto e tutto quello che hai fatto, ma non adesso, Shep - provò a scuoterla con voce ferma, che non ammetteva repliche.
- So che hai agito come era necessario - aggiunse in tono incoraggiante - Le scelte giuste non sono facili, quante volte te lo avrò ripetuto? Sei una testona ostinata - concluse, sentendo che stava per esaurire tutte le preghiere possibili. Si chiese se potesse provare a farla ridere in quelle condizioni e decise che valeva la pena tentare.

Si alzò dalla sedia e fissò a lungo, in silenzio, quel volto stanco e quegli occhi tristi e infossati. Le sfiorò il mento, l’unica parte del viso ad essere rimasta illesa, con le dita, e poi proseguì, questa volta sforzandosi di usare un tono lieve - Ti servirà un gran bell’incentivo per continuare a combattere, vero comandante?
- Forse non ti basterà uno dei miei baci indimenticabili - aggiunse. Poi, dopo una breve pausa ad effetto, continuò - In previsione di questo ho qui quella famosa collezione di poesie Hanar e sono pronto a declamarti quei versi ha la leggerezza di un fiore… ricordi? Di certo non vorrai morire con un suono come quello nelle orecchie...
- E se questo non bastasse a terrorizzare il tuo animo impavido, mio comandante, aggiungo che appena fuori dell’uscio di questa stanza, probabilmente con un orecchio incollato contro la porta, c’è l’umano che ha trovato il tuo corpo sulla Cittadella - fece una breve risata che suonò falsa alle proprie orecchie, ma che sperò potesse ingannarla, e concluse - Quell’umano si chiama Conrad Verner. Se non apri gli occhi e mi guardi, lo faccio entrare qui al mio posto.
- Credo che mi farò bastare quel bacio indimenticabile - rispose Shepard con voce fioca, ma accompagnando le parole con un debole sorriso.

“Spiriti! Ce l’ho fatta...” si rassicurò Garrus appoggiandosi allo schienale della sedia e chiudendo gli occhi. Ora doveva solo stringerla forte a sé e spostarla con decisione dalla zona pericolosa. Fece un lungo respiro e sorrise al dottore che era entrato, aveva fatto un esame con il factotum e se ne era andato con aria evidentemente soddisfatta.
- Prima del bacio, Shep, c’è un ultimo discorso che devo farti - dichiarò stringendole forte le dita - Hai pianto Jenkins, Ashley, Legion, Mordin e Thane. Hai pianto tanti altri amici e tanti soldati. Hai pianto la morte di migliaia di innocenti. Ma ogni volta sei andata avanti: hai imbracciato nuovamente le armi e sei tornata a combattere.
A questo punto Garrus fece una pausa per riordinare i pensieri, poi proseguì scandendo le parole - Saren, la Sovereign, Kai Leng, l’Uomo Misterioso, i Collettori e tutti i dannati Razziatori. Sono morti tutti. Per quello non riesci ad alzarti da quello stupido letto, comandante.
Fissò i suoi occhi in quelli di Shepard che lo ricambiava con espressione confusa.
- Se ci fosse un solo Razziatore ancora vivo torneresti al comando dei resti della tua nave e partiresti entro stasera. E la Normandy c’è ancora, Shep, e c’è tutto l’equipaggio che ti aspetta per affrontare un’altra delle tue sfide impossibili.

Un’altra pausa prima che Garrus lasciasse parlare il suo amore, o il suo egoismo, pensando che forse era impossibile scindere l’uno dall’altro.
- Ci devi qualcosa per la fiducia cieca che ti abbiamo sempre dimostrato. Ci hai portato su Ilos su una nave spaziale rubata, ci hai fatto affrontare una missione suicida nel portale di Omega 4 e poi quest’ultima battaglia disperata. Non puoi tirarti indietro ora - asserì con sicurezza. Parlava dell’equipaggio, ma sapeva benissimo che si stava riferendo soprattutto a se stesso.
- Noi abbiamo sempre creduto in te: ti abbiamo seguita ovunque e sempre, anche quando sembrava una follia assoluta. Non puoi lasciarci soli adesso, non ce lo meritiamo - le disse mettendo una tale foga in queste ultime frasi finali che lei si sarebbe messa a ridere, se avesse avuto la forza di farlo.
- Magari un’altra volta? - sussurrò Shepard con voce fievole, allungando le dita verso il viso di Garrus, che gliele strinse, rispondendo con una breve risata un po’ stanca - Anche mai, Trinity.
Lei fece un tenue tentativo di ricambiare il bacio quando la bocca del turian sfiorò le sue labbra e poi gli bisbigliò - Aiutami - posandogli una mano sulla spalla e aggrappandoglisi, nel tentativo di girarsi.
Garrus la aiutò con cautela a mettersi sul fianco, poi le piegò lentamente le ginocchia fino a portarle le gambe nella posizione che lei era solita assumere quando gli si rannicchiava contro il petto.
Shepard emise un gemito di soddisfazione, stringendo la mano del turian nella sua, finalmente tiepida, poi appoggiò la fronte contro quel palmo morbido, ci strofinò un po’ il naso contro, per liberarsi le narici dall’odore di troppe medicine, e alla fine chiuse gli occhi.

Garrus aspettò fino a quando sentì che le dita di Shepard si allentavano nel sonno, poi si alzò a fatica dalla sedia. Si avviò zoppicando verso l’uscita, senza dimenticarsi di raccogliere la piccola ciocca di capelli color mogano dalla tovaglietta candida a fianco del letto. Infine si chiuse la porta alle spalle con estrema attenzione, appoggiandovi contro la schiena con un sospiro di felicità incredula, prima di dirigersi verso il resto dell’equipaggio ancora in attesa nell’altra stanza.
- ‘fanculo, Garrus - lo apostrofò Kaidan, appena lo vide entrare, in ricordo dello scontro duro che avevano avuto nel salone della Normandy appena pochi giorni prima.
- Io non ce l’avrei fatta - confessò poi, porgendogli la mano.
- Non lo so. Non so più nulla. Mi sento svuotato... - rispose il turian, ancora scosso per quel suo successo insperato. Strinse la mano che gli era stata tesa con quel gesto rituale che si usava fra amici e compagni d’armi, accorgendosi con un sorriso tirato che Joker gli stava infilando nell’altra mano il famoso fazzoletto.
- Riprenditelo - gli disse il pilota, mentre James gli allungava una lieve pacca contro la spalla - Ben fatto, Cicatrici.
Sorrise ai tre compagni, poi si diresse verso Tali e Liara che stavano sedute vicine su una panca, con le teste appoggiate alla parete e le braccia intrecciate. La asari aveva la faccia completamente bagnata da lacrime che non si prendeva neppure la briga di asciugare e dalla maschera della quarian arrivavano piccoli singhiozzi ovattati.
Prese una mano a entrambe e le tirò energicamente, per farle alzare, poi strinse con forza quei due corpi fra le braccia, appoggiando la testa sulla spalla della asari, in una muta richiesta di perdono e di comprensione.



*****
Nota conclusiva
Di tutti i miei capitoli è questo, in assoluto, il primo che ho scritto. Da qui sono tornata indietro (tutto ciò che avete letto) e sono andata avanti. Sì, sono andata avanti.
Non ce l’ho fatta a dire addio a Trinity, aggrappandomi a quel misero ansimo che la Bioware ha regalato a tutti coloro che non riescono ad accettare la morte del proprio comandante. E non ho potuto abbandonare Garrus. Quei due continueranno a farmi ridere e piangere per molto tempo ancora.
Ho continuato a scrivere immaginandomi un futuro. Ho avuto tante incertezze e qualche ripensamento: ho corretto questo futuro più volte, ogni volta che sistemavo il passato. Ma alla fine, forse, ne è uscita davvero una storia: una delle tante, possibili storie...
Se siete curiosi, mi ritroverete fra qualche tempo, con l’ultima parte della serie Shepard e Vakarian.
Se invece volete un finale diverso, decisamente più doloroso, potete leggere la mia one shot "What if".

Ringraziamenti
Nel frattempo saluto con affetto tutti coloro che mi hanno seguito fino a qui.
Un grazie di cuore a chi ha inserito questa storia fra le preferite, le seguite o le ricordate.
Un ringraziamento va a chi ha trovato il coraggio di scrivermi una recensione anche se non è solito commentare perché non se ne sente all’altezza o perché ha poco tempo. In realtà ogni recensione, anche la più corta o la più bizzarra, e perfino una critica, è sempre apprezzata con entusiasmo da chi scrive. Siate sempre certi di questa piccola verità.
Un abbraccio a Nymeria90 e a NadShepCr85 che mi hanno sostenuta fedelmente nelle parti finali, le più sofferte, di questo mio lungo viaggio e che hanno avuto parole di incoraggiamento e di partecipazione.
Un abbraccio del tutto speciale, colmo di affetto e stima, lo dedico ad andromedahawke, Jonhee e kikkisan, che mi hanno sempre letto con estrema attenzione e hanno fedelmente e pazientemente recensito tutti i capitoli di questa storia e perfino della mia storia precedente, fornendomi preziosi spunti di riflessione e un inestimabile appoggio morale. Devo ad Ann e a Len anche il coraggio per aver cominciato a pubblicare. Grazie a tutti voi.

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