La mia notte dei miracoli

di Cara_Sconosciuta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Il mio paziente multicolore ***
Capitolo 2: *** 2. Le mie disavventure ***



Capitolo 1
*** 1.Il mio paziente multicolore ***


Piiiiccola introduzione a questa long, la mia prima su scrubs, che spero davvero possa essere di vostro gusto.

Anticipo che ci saranno delle variazioni, rispetto alla serie originale e, in particolar modo, riguardo alla famiglia di Elliot... ma se vi dicessi altro finirei col rovinarvi la sorpresa, no? :)

Vi lascio quindi alla lettura, ricordando che i personaggi di Scrubs non mi appartengono e la storia non è scritta a fini di lucro.

Me lo lasciate qualche commentino?

Cara Sconosciuta

Il mio paziente multicolore


Quando le porte del Sacro Cuore si spalancarono davanti a lui, quel giorno, John Dorian era davvero convinto di andare incontro a una giornata come le altre, una qualsiasi giornata di quarto anno di tirocinio ospedaliero.

Era tutto così rassicurante, lì dentro... l'Inserviente gli avrebbe giocato qualche tiro mancino e lui ci sarebbe cascato, più per gusto che per ingenuità; il dottor Cox gli avrebbe impartito qualche nuova, entusiasmante lezione senza volerlo realmente fare e i pazienti avrebbero continuato ad arrivare, sempre per lo stesso motivo.

E poi c'era Elliot, naturalmente.

Elliot che dal matrimonio di Carla e Turk non gli rivolgeva la parola nemmeno sotto tortura.

Elliot, che si era reso conto di non amare, ma che era tornata ad esercitare su di lui quel fascino che, forse, non derivava da nulla che non fosse l'impossibilità di averlo.

Per quanto fosse duro da accettare, Danni aveva avuto ragione su tutta la linea fin dall'inizio.

Clarice, hai finito?”

Lo sguardo del dottor Cox, davanti a lui, era carico di fintissima aspettativa.

Finito di...”

Lascia perdere, Barbara. Stanza centotredici. Marsch!”

Ciò detto, Cox gli lanciò la solita cartellina grigia, che rovinò in terra, seguita dal giovane dottore che aveva cercato maldestramente di afferrarla.

Alzando gli occhi al cielo, Cox scosse il capo e, un attimo dopo, scomparve dietro all'angolo del corriodio.


Quindi questo l'hai fatto tu?”

Questo e quasi tutti gli altri, tranne quelli sulla schiena ovviamente.”

Mh. Ne hai mai fatto uno a qualcuno contro la sua volontà?”

Ehm... no, no... è un'esperienza che mi manca.”

La conversazione proveniente dall'interno della stanza centotredici suonava parecchio inquietante e J.D. decise che doveva essere interrotta immediatamente.

La vista, se possibile, superò il terrore suscitato dall'udito.

Sul letto di destra, quello più vicino alla porta, sedeva un giovane grosso modo della sua età, con una lunga coda di lisci capelli corvini, due occhi di un verde intenso e la pelle quasi completamente ricoperta di tatuaggi.

Nell'altro letto, invece -e fu questo ad inquietarlo-, avvolto in un candido camice da paziente ed infilato sotto alle coperte immacolate, non c'era quella buon'anima del signor Emerson, ma l'Inserviente.

Che ne hai fatto di Emerson?” Domandò J.D., ignorando il giovane e passando direttamente alla causa di tutti i suoi problemi.

È morto.” Replicò, serafico, l'Inserviente.

Non può essere morto per una gastroscopia.”

Ne sei certo?”

J.D. strinse gli occhi in un'espressione indagatrice, mentre al ragazzo tatuato sfuggiva una risatina.

Decidendo che era giunto il momento di ricominciare ad ignorare J.D., l'inserviente tornò a rivolgersi al suo precedente interlocutore.

È a lui che voglio farlo. Quanto ti devo per tatuargli qualcosa di umiliante?”

ehm... Inserviente!” Esordì J.D., come sempre in imbarazzo quando si trattava di chiamare per nome il suo acerrimo nemico. “Perché sei a letto? Non sei malato.”

Sì che lo sono.” A riprova della propria affermazione, l'uomo starnutì sonoramente. “Ho la leshmaniosi.”

È una malattia canina.”

Quindi? Sei razzista? Discrimini chi si ammala di un morbo animale?”

No, io...”

Senta, John, perché non lascia per un momento che il dottore parli con me? Dopo discuteremo di questo tatuaggio che vuole tanto farmi eseguire...”

John?” Domandò J.D., perplesso.

Certo. John Dorian. È il mio nome.” Affermò l'Inserviente, picchiettando con il dito un badge che portava attaccato al camice.
“Come l'hai... Lasciamo perdere.” Con un sospiro, il medico si rivolse al suo vero paziente. “Perdona il siparietto. Io sono John Dorian, quello vero, a cui lui ha rubato badge e identità. E lei è il signor...”

Reid, Toby Reid,” Rispose il giovane, senza dargli il tempo di controllare la cartella.

Reid, davvero? Si chiama come una mia collega.”

Elliot, sì, lo so. La conosco da un po'.”

Oh. Quindi le avrà parlato di...”

Delle notti di sesso rovente con tale John Dorian? Sì, lo ha fatto diverse volte, e mi sembrava strano, in effetti, che John Dorian fosse lui.” Sentenziò, indicando l'Inserviente.

Ah. Siete parecchio intimi, quindi...”
“Non saprei... lei quanto si riterrebbe intimo con sua sorella?”


Continua...



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Capitolo 2
*** 2. Le mie disavventure ***



Le mie disavventure


“Non... non sapevo che Elliot avesse un fratello.”

Toby soffiò via un ciuffo di capelli che gli era caduto davanti agli occhi.

“Elliot è una brava persona ma ci tiene un po'troppo a salvare le apparenze. Io sono il figlio maledetto, per cui...”

“In che senso, se posso?”
“Beh, in sostanza, i genitori di Elliot mi hanno adottato quando avevo due anni fondamentalmente per fare bella figura con l'alta società. O, almeno, questa è la versione ufficiale. Io sono convinto di essere figlio di una scappatella, ma non è importante. A sedici anni mi hanno regalato un SUV che non sapevo guidare. Due mesi dopo, quando è morto il mio cane, ho venduto quella macchina maledetta per comprarmi una moto e farmi questo.”

Mentre parlava, si sollevò la maglia fino a scoprire la porzione di schiena tra le scapole, dove campeggiava un meraviglioso ritratto di un levriero persiano nero come la notte, circondato da un bosco autunnale. Sotto di esso, la scritta, in una grafia meravigliosamente semplice, Più veloce del tempo.

“Wow...” Si lasciò sfuggire JD. “Sembra vero...”

Toby sorrise, orgoglioso.

“È il mio primo tatuaggio. Lo ha fatto Martha Carson, una delle migliori. Quando ho deciso di andare a bottega da lei per imparare il mestiere di tatuatore, i Reid, già, passami il termine, incazzati neri per la vendita del SUV, mi hanno diseredato. Ho praticamente vissuto per due anni tra lo studio di Martha e la mensa dei poveri, finché a diciotto anni non ho avuto un infarto. Sindrome di Null al ventricolo destro. Sono in lista d'attesa per un trapianto da allora.”

A quel punto, JD aveva iniziato a scorrere velocemente la cartella.

“E sei qui perché, a quanto pare, il tuo cuore nuovo è in dirittura d'arrivo.”
“Speriamo.” Esclamò Toby, sempre sorridente. “Per quanto sia da stronzi pregare per la morte di qualcuno... dovrebbe vedere di sbrigarsi ad andarsene, perché sono piuttosto stufo di frequentare i gruppi per malati terminali. E poi, dottor Dorian, non faccio sesso da quando avevo diciotto anni.”

Quell'ultima frase, pronunciata con un tono piuttosto greve, fece sorridere JD, che appoggiò amichevolmente una mano sulla spalla del giovane, proprio a lato del colletto della t-shirt, dal quale fuoriusciva una piccola zampa rossiccia che si arrampicava su per il collo, giocando con una pallina blu disegnata con tale maestria che nessuno lo avrebbe biasimato se avesse provato ad afferrarla.

“Con Elliot invece sei rimasto in buoni rapporti.”

Toby annuì.

“Sì, certo, soprattutto da quando quelle pie persone dei suoi genitori hanno diseredato anche lei... anche se non sono ancora riuscito a farla entrare nel mio studio. Penso abbia paura che io l'aggredisca con un ago pieno d'inchiostro.”

Pur con tutta l'ironia che il giovane riusciva a fare sulla sua vita presente e passata, non era difficile, pensò JD, leggere in lui una profonda malinconia.

La forza d'animo di quel ragazzo, di così pochi anni più giovane di lui, gli provocava allo stesso tempo un moto di ammirazione e di imbarazzo, perché sapeva che lui non sarebbe mai stato in grado di reagire allo stesso modo a tante disgrazie e situazioni difficili.

“Beh, Toby, vado a terminare il giro visite.” affermò con gli occhi bassi. “Vuoi che ti mandi Elliot?”

“Mi farebbe piacere. A presto, dottor Dorian.”

Non appena JD fu uscito dalla camera, l'Inserviente tornò a sedere sul lettino, uscendo da quella sorta di coma autoimposto nel quale era crollato.

“Quindi, per quel tatuaggio...”



Quando Jill si risvegliò, le sue mani corsero automaticamente a massaggiarsi i capelli, come avevano fatto ogni mattina per tutti i suoi ventisei anni di vita.

I capelli, però, non c'erano.

Con un singhiozzo, la ragazza richiuse gli occhi, desiderando ardentemente di essere ricatturata dal sonno pesante che la chemio le imponeva.

Aveva tirato troppo la corda con il destino, troppi ricoveri inutili per sfuggire alla solitudine piena di gente che era la sua vita, e ora l'ospedale le stava facendo pagare il prezzo.

E un tumore al cervello inoperabile era un prezzo molto più alto di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

La dottoressa Reid, Elliot, come ormai la chiamava, entrò nella stanza con un sorriso troppo smagliante per non essere costruito ad arte.

“Allora, Jill, come stai oggi?”

“Come una a cui sono stati dati dai due ai tre mesi di vita.”
“Jill...”

“No, senti, non mi va di parlarne.”

Silenzio.

Non ricordava di essere mai stata così acida in vita sua, eppure si sentiva in qualche modo giustificata.

Essere in punto di morte sembrava giustificare qualsiasi cosa, in effetti.

“Va bene. Ero solo passata a dirti che se vuoi tra poco c'è l'incontro dei malati terminali... se vuoi partecipare.”
“Ti sembra che io voglia partecipare?”

Con un gesto stizzito, Elliot appoggiò pesantemente la cartella che teneva in mano sul comodino della ragazza.

“Jill, adesso basta. Non te l'ho tirato addosso io il cancro, come non l'ha fatto nessun altro in questo ospedale. La dichiarazione dei tre mesi di vita non è una condanna a morte. A volte ci sbagliamo... più spesso di quanto credi, in realtà. Dovresti andarci a quell'incontro. Lì non importa niente a nessuno se sei arrabbiata o acida, o cattiva, anche, perché tutti sanno come ti senti. Conosco una persona che ci va da anni e...”

“Non è poi così terminale se ci va da anni.”

Elliot sospirò, soffiandosi via la frangetta dagli occhi.

“Jill, il problema non è quanto tempo hai da vivere, ma come lo vuoi spendere.”

Quando Elliot girò sui tacchi, Jill avrebbe tanto voluto richiamarla indietro, dirle che aveva bisogno di lei, di qualcuno, di chiunque, ma non lo fece.

Non lo fece perché era orgogliosa, e perché non sarebbe andata all'incontro dei malati terminali.

Se ci fosse andata, la sua malattia sarebbe diventata reale, molto più reale di quanto la facesse sembrare aver perso tutti i capelli.


Sulla soglia della stanza di Jill, nascosto dietro alla porta, il dottor Cox se ne stava in piedi, un fascio di cartelle strette al petto.

“Ehi Barbie.”

Esclamò, quando la vide uscire.

La giovane si girò di scatto, preparandosi ad una sfuriata.

“Sì, dottor Cox?”

“Bel lavoro.”


Continua...

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