Things Can Change In a Second

di alyhaswings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: Eponine lavora al Musain in cerca di Marius ***
Capitolo 2: *** II: Eponine al Musain: incontro con un gruppo che sarebbe potuto diventare storico. ***



Capitolo 1
*** I: Eponine lavora al Musain in cerca di Marius ***


La notte scendeva su tutta Parigi, sebbene fossero solo le quattro: era il 2 gennaio 1831, e nella topaia Gorbeau proveniva uno strano trambusto, nonostante il fatto che delle molte stanze, solo tre fossero occupate. Quattro brigantacci erano riuniti nella stanza occupata dai Thénardier: c’era il giovane Montparnasse, c’era Champmathieu, c’era Deux-Milliards o Demi-Liard, e c’era un grosso ceffo con il berretto abbassato sul volto, che Demi-Liard aveva presentato come un “nuovo collega”. Madame Thénardier fingeva di cucinare, rigirando nella pentola di stagno un osso senza più carne intorno e cercando di fare più rumore possibile, per coprire i discorsi.

Nel corridoio, il trambusto quasi eguagliava quello all’interno: Azelma rincorreva Gavroche, che proprio quel giorno era passato a trovare la sua famiglia, mentre Eponine, seduta sulle scale, li osservava e rideva di quella scena buffa. D’un tratto il piccolo aprì la porta vicino a quella della loro stanza, che noi sappiamo essere quella di Marius: il giovane studioso si era recato nella baracca per trovare un po’ di pace, visto che a casa sua il suo amico Courfeyrac era in “dolce compagnia”, ma evidentemente quel giorno non era destino che studiasse; stava giusto uscendo, calzandosi in testa il consunto cappello, quando si era ritrovato a sbattere contro Gavroche e poi contro Azelma, che nell’impeto della corsa non si era fermata in tempo. Eponine si era accorta in un momento di quello che era successo, e con il battito accelerato si era sistemata il cappotto lacero sulle spalle, coperte solo da una camicia, ed era corsa presso la porta dove il trambusto continuava, preoccupata, anche se non avrebbe saputo dire precisamente per cosa.
Fuori della porta, raccolse il cappello polveroso che era caduto dalle mani del giovane, e sorrise porgendolo al giovane: “Perdona i miei fratellini Marius, era da tanto che Gavroche non veniva a trovarci.” Il giovane sorrise, un po’ imbarazzato, e decise di rispondere amichevolmente: “Non preoccuparti, Eponine, dovevo capirlo che oggi non avrei avuto opportunità di studiare. Ogni tanto, non mi dispiace! Sto andando a trovare i miei amici, vuoi fare una passeggiata con me?” Alla fine, era per quello che aveva optato, il povero Marius assediato dal rumore: si stava recando al Musain, dove sperava di trovare Combeferre ed Enjolras per un’interessante conversazione sulla rivoluzione; nel frattempo, non gli dispiaceva passeggiare con un’amica, sebbene a volte quella ragazza fosse capace di metterlo tremendamente in imbarazzo, anche se quello era in realtà un problema unicamente suo. Eponine sorrise, riconoscente, ed estratto il logoro cappello maschile da una manica della giacca, rispose: “Vengo volentieri, Marius, oggi è meno freddo dei giorni scorsi, e ho delle commissioni da fare per mia madre. Chissà se è rimasta neve sulle strade!” 
Marius tornò a sistemarsi il cappello in testa, spolverandone la cima con le dita che sbucavano dai guanti tagliati, poi porse il braccio alla ragazza: “Non ci resta che uscire per scoprirlo!”

***


Il paesaggio di Parigi sotto la neve non smetteva di togliere il fiato ad Eponine, anche dopo quattro inverni passati in quella città: sottili fiocchi bianchi appannavano la vista della città, rendendo meno definiti e più morbidi gli spigoli vivi di quella città ostile, ridotta per una volta al silenzio. Eponine fece una corsetta in avanti, mentre Marius la osservava sorridente, con le mani ben infilate nelle tasche del cappotto; provava uno stano tipo di affetto per quella ragazza che era così bambina pur essendo così donna, come se fosse una sorella che non aveva mai avuto.
“Marius, non è fantastico? La neve! Rende tutto così bello e pulito. Sembra di stare da qualche altra parte, e non a Parigi. Sembra un mondo incantato! Tra un attimo usciranno dalle nuvole schiere di fate di ghiaccio e decoreranno la nostra vecchia città burbera con pizzi e trine di ghiaccio. Vale la pena di soffrire il freddo per uno spettacolo del genere.” Il giovane sollevò un sopracciglio, e le sue mani corsero alla sciarpa che portava al collo: “Hai freddo Eponine? Ti presto la mia sciarpa se vuoi, non ne ho bisogno. Cioè, non ho poi così tanto freddo…” La ragazza sorrise, quasi commossa da quel gesto che per lei significava così tanto, ed allontanò le mani che le tendevano la sciarpa nera: “Non preoccuparti caro Marius, sono sopravvissuta senza sciarpa a inverni più freddi di questo. Mi stringo di più nel cappotto e vado avanti, non è particolarmente difficile.” Il giovane si sentì vergognoso, mentre tornava ad avvolgersi la sciarpa al collo: quella ragazza così fragile e forte insieme riusciva sempre a metterlo in imbarazzo. “Beh, insomma… Vieni, dai. Sto andando al Café Musain, per incontrarmi con i miei amici. E’ vicino al Pantheon. Devi andare di là?” Eponine annuì, e si pose al fianco dell’amico, ridendo: “Sei sempre così buffo, con quell’aria imbarazzata. Che succede, che pensi adesso?” Marius si guardava intorno, osservando i fiocchi di neve turbinare sulla strada: girò prima in una via, poi in un’altra, senza smettere quell’aria meditabonda che ormai stava preoccupando Eponine; d’un tratto questa si ricordò del suo piano, e ad un bivio della strada si fermò sorridendo e salutò Marius: “Devo andare da questa parte, quindi… Ti saluto qua. Ci vedremo da Gorbeau allora?”
Marius sorrise e si portò una mano al cappello, salutando l’amica come un damerino: lei rise e corse per la via, guardandosi indietro ogni tanto. Quando fu sicura che il giovane avesse proseguito per la sua strada, tornò sui suoi passi e cominciò a seguirlo, tentando di nascondersi il più possibile. Nascondendosi così, seguì l’amato fino al Café Musain, e dopo averlo osservato mentre entrava si infilò dietro di lui e si confuse tra la folla: il bancone era sovraffollato, e la ragazza non fece fatica a nascondersi tra i chiassosi studenti che ci si appoggiavano. Un’occhiata all’uomo che serviva le bevande bastò a riconoscerlo: “Monsieur Guillame! Monsieur Guillame! Venga qua un attimo!” Aveva già visto prima quella faccia baffuta, simile a quella di un tricheco dai grossi baffi biondi, e non si era sbagliata: Monsieur Guillame era uno dei tanti uomini che suo fratello aiutava quando gli serviva del denaro, e alla ragazza balenò improvvisamente un’idea alla mente. “Sei la sorella di quella piccola peste di Gavroche, giusto? Ti manda lui? Lo so che gli devo ancora qualche moneta, ma non si fa vedere da mesi!” 

“Oh, non è quello monsieur! Sto cercando un lavoro, mi servono un po’ di soldi… Sembra un po’ affaticato, non ha un po’ troppo lavoro per farlo tutto da solo?”



Già, il primo capitolo è tutto qua. Cercherò di scrivere di più, ma ho delle difficoltà in ciò perchè di solito scrivo a mano, e copiare a computer è un gran fastidio. Lasciate feedback se vi piace, ma anche se non vi piace! Aly

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Capitolo 2
*** II: Eponine al Musain: incontro con un gruppo che sarebbe potuto diventare storico. ***


Eponine lavorava al Musain, ed era finalmente felice.
Non le dispiaceva sgobbare, perché finalmente guadagnava dei soldi onestamente, e questo la faceva sentire bene: ora riusciva a lavarsi, e sotto uno strato di trascuratezza e di sporcizia si era scoperta carina; al café i clienti 
non erano selvatici come quelli della locanda dove era cresciuta, erano perlopiù giovani studenti squattrinati con tanta voglia di ridere, di urlare le loro opinioni ai quattro venti e di cantare. Monsieur Guillame (o monsieur Moustache, come lo chiamavano tutti) era un buon uomo con un gran cuore, che esigeva che tutto filasse dritto: in caso che la situazione fosse come lui voleva, era generoso e tranquillo. Quando la situazione nel café diventava più agitata, lui prendeva a borbottare tra i baffi: gli studenti lo prendevano un po’ in giro per quel suo borbottio e gli animi si calmavano. Il café era un’oasi di tranquillità per la giovane anima spersa, ed ogni volta che entrava in quel locale fumoso il suo cuore volava: lì incontrava il “suo” Marius quasi ogni giorno, e questo la ricompensava anche se gli incontri duravano solo pochi minuti, poiché il giovane aveva sempre fretta di spostarsi nella stanza sul retro. Lì lui si incontrava con altri giovani, che arrivavano alla spicciolata durante tutto il giorno, fino alla chiusura del Musain. La ragazza non aveva l’autorizzazione ad entrare in quella parte del café, ed era il suo più grande desiderio ottenerla.

 

“Eponine!” “Oui, Moustache?” Il Musain era ancora deserto, la nebbia pesante del mattino raffreddava l’ambiente penetrando da sotto la porta e dalle finestre crepate, e la stufa ancora non stava scaldando abbastanza. Monsieur Guillame era entrato in fretta nel café dove la ragazza aveva già cominciato ad attizzare il fuoco, con un’aria preoccupata e scocciata insieme: “Louison è scivolata sul ghiaccio ed è caduta, ieri sera… Dovrai sostituirla sul retro, non riesce a salire e scendere le scale. Ho solo una raccomandazione da farti: non ascoltare troppo i ragazzi quando sei là. Tendono a fare discorsi che commuoverebbero i sassi, ma ascolta me, quei poveretti faranno una brutta fine. Hanno troppa passione per vivere a lungo, specialmente quell’Enjolras, è tutto un fuoco! La rivoluzione! La patria! Bah!”

 

 

In quel momento, i due sentirono una risata morbida, ed una voce fiera chiedere: “Parlavi di me, Moustache?” L’uomo e la ragazza si girarono, trovandosi faccia a faccia con “quell’Enjolras”: un giovane alto e bello, l’aspetto di un raggio di sole unito ad uno spirito guerriero negli occhi azzurri e duri, nonostante il tenue sorriso. “Ormai mi sono arreso con te, hai la testa più dura di Courfeyrac… E non ho intenzione di tirare dentro questa povera ragazza. La rivoluzione non è cosa per le donne.” Parlando, il giovane si tolse sciarpa e cappello, infilando la prima nel secondo, e si avviò nel lungo corridoio che portava nella stanza sul retro. Si girò per un attimo, ricordando una cosa: “Oggi staremo qua tutto il giorno. Non far passare altri che non siano i soliti… E dì a Louison di non assecondare Grantaire. Niente vino. Niente assenzio. Al massimo della birra. Ho bisogno di lui… Sobrio.” L’oste annuì, e mentre il giovane apriva la porta venne raggiunto da un grido: “Louison non c’è oggi, vi mando la nuova! Non maltrattatemela!”

 

 

 


Quel giorno, sarebbe stata una settimana da quando Eponine era entrata per la prima volta al Musain. Mentre Moustache urlava dietro al giovane, i pensieri della ragazza erano in tumulto: si erano già incontrati, aveva già incrociato quegli occhi azzurri e duri, che si erano una volta ammorbiditi per guardarla con una specie di pietà. Una somma pena, un ardore in fondo allo sguardo che voleva poter raddrizzare quel torto. Quello sguardo l’aveva riempita di domande, tanto che per tutto il resto della giornata aveva rischiatodi far cadere brocche, caraffe, piatti e bicchieri: quell’uomo, quel ragazzo dall’aria nobile e dallo sguardo risoluto, aveva veramente avuto pietà di lei? Com’era possibile che l’avesse vista – che si fosse soffermato su di lei, fino ad aver pietà della sua solitudine? Non riuscendo a capire, pensava a lui come avrebbe fatto ogni sartina, seppur non consciamente: nei suoi pensieri capitava ogni tanto che i capelli di Marius diventassero color dell’oro, e che la bellezza fresca ed austera si sostituisse a quella modesta; ma si trattava di lampi di pensiero, niente più di questo.

***

A mezzogiorno, il gruppo di studenti era al completo tranne che per Marius, che Courfeyrac aveva definito “troppo perso nelle sue miserie per degnarli della sua presenza”. Moustache aveva atteso che anche l’ultimo di loro fosse arrivato - quel giorno era Bahorel, che aveva fatto il giro di tutti i café a caccia di informazioni - per mandare Eponine a prendere gli ordini per il pranzo ed a riempire le brocche che l’uomo aveva lasciato lì prima dell’inizio della riunione. La ragazza percorse il lungo corridoio in una sorta di strana apprensione, come se passare quella porta in fondo fosse una specie di esame; a metà corridoio si fermò, all’altezza di un vecchio specchio ossidato che aveva appeso Courfeyrac, e si diede una sistemata ai capelli, tirandoli indietro, ed alle guance, pizzicandole per farle apparire più rosse. Sotto la miseria, era comunque una ragazzina sedicenne, e le insicurezze e le piccole vanità dell’età le appartenevano ancora, sebbene solo in minima parte.Si sorrise allo specchio, a bocca chiusa, come per darsi un contegno, e dopo aver attraversato l’altra metà del corridoio spinse la porta, pronunciando le parole che si era studiata nella mente per evitare una brutta figura: “Signori… Sono la sostituta di Louison. V-Vengo per il pranzo.”

In quel momento la stanza era relativamente tranquilla: ad un tavolo erano seduti Jehan e Joly, intenti a comporre un qualche brano per il flauto del primo; all’angolo opposto, Bahorel, Bossuet e Courfeyrac cianciavano allegramente riguardo ad una nuova locanda che avrebbero potuto visitare il giorno successivo, dove preparavano certe trote da fare invidia ai Pari di Francia; Feuilly sedeva da solo, in un angolo illuminato da una finestra, e stava dipingendo un ventaglio (ce n’era un’enorme richiesta per Carnevale); Enjolras e Combeferre sedevano al tavolo centrale, discutendo di numeri ed ipotesi, probabilmente riguardo alle munizioni; Grantaire, seduto vicino al fuoco, era quasi sobrio e se ne lamentava a gran voce, chiedendo del cibo per accompagnare tanta sobrietà.
Diceva più o meno così, nella sua voce ad alti e bassi: “Se avessi continuato a dipingere, ora sì che avrei la pancia piena! Magari sarei diventato famoso, a forza di dipingere i bambini e le coppiette al Lussemburgo. E invece no! Sto qui con voi, e mentre pianificate io muoio di fame e persino di sete! Questa poi! Non mi dispiacerebbero neanche le carpes au gras di mamma Hucheloup! Non so cosa darei per dare un bacio sulla verruca sul naso di quella vecchia, perchè vorrebbe dire che potrei avere del cibo! Se solo apparissero Matelote e Gibelotte, quelle due sciocchine, e mi versassero il vino direttamente in bocca, come gli schiav facevano agli imperatori romani! Ma che dico! Mi basterebbe anche solo la cara, vecchia, grassa Louison! Invece no! Sto qui e faccio la fame, la fame rivoluzionaria la chiamerò d'ora in poi! ... E quella chi è?"

Come si sarà potuto immaginare, il monologo di Grantaire - uno di quelli ai quali i suoi amici erano assuefatti, tanto che non lo sentivano più mentre questo sproloquiava - era stato troncato dall'ingresso di Eponine. Il giovane, però, non era rimasto zitto a lungo: appurato il motivo della comparsa della ragazza, era saltato in piedi ridendo, farneticando di nuovo ma con una nota decisamente più allegra, dopo aver preso Eponine per le mani ed averla trascinata in mezzo alla stanza, inciampando nelle sedie: "Potevi dirlo subito, che è il Cielo che ti manda! Entra e prendi l'ordine, risposta alle mie preghiere, angelo dell'arrosto, sostituta a Bacco e Dioniso! Sei la mia salvatrice, poichè la mia pancia era vuota come quella di questa brocca!"
Mentre l'uomo continuava il suo discorso delirante, gli altri si erano riuniti ad osservare la scena, ed Eponine, con le mani bloccate da quelle di Grantaire, cercava di liberarsi della presa, in parte divertita ed in parte scocciata. Enjolras aveva appena appena alzato gli occhi, e con voce calma disse: "Grantaire, lascia stare mademoiselle."
L'uomo voltò il capo verso la voce, allentando la presa, mentre Eponine cercava di spingerlo via, dicendo che se non l'avesse mollata non sarebbe mai riuscita a dargli qualcosa da mangiare o da bere: in un solo momento accadde tutto questo, ed il momento successivo Grantaire era finito con il sedere a terra, senza riuscire a capire come ci fosse arrivato. Enjolras, osservando l'amico, si alzò e si avvicinò ad Eponine, con un sorriso a fior di labbra: "Sono sbalordito, non è da tutti atterrare Grantaire così facilmente. Vi devo chiedere scusa da parte sua, non è abituato ad essere sobrio... Spero non vi abbia fatto male, mademoiselle."
Eponine sorrise ed arrossì ancora di più: una cortesia del genere, da parte di quell'uomo? Era quasi incredibile: non aveva riso della scena, con una parola aveva capovolto la situazione, poi si era assicurato che lei stesse bene, senza galanteria, solo con gentilezza e con un sorriso incerto ed imbarazzato. "Io... Sto bene, monsieur, non è niente. Non mi ha fatto male. Ma fa sempre così?"
Enjolras si portò una mano al viso e rispose massaggiandosi la radice del naso, come se fosse esausto: "Spesso, con Louison. Ma di solito è ubriaco, non so che cos'abbia oggi." Grantaire, nel frattempo, era stato rialzato da Bahorel, e avendo sentito quell'ultima frase, pensò bene di difendersi: "Ti chiedi che ho, Enjolras? Ho fame e sete, ecco che ho! E adesso, ho anche voglia di sapere come si chiama la piccola sostituta qua, se mi permetti di chiederglielo." Senza attendere oltre, Eponine eseguì una piccola riverenza in una direzione imprecisata tra i due e si presentò: "Mi chiamo Eponine, Eponine Thenardier. Lavoro qui da più o meno una settimana, monsieur... Grantaire?" 

"Esattamente me medesimo, mia cara Eponine! Chissà perchè Moustache ti ha tenuta nascosta per un'intera settimana, e ha continuato a mandarci quella grassa musona di Louison. Ma BAH! Che importa? Scommetto che ti stai chiedendo chi è questa gente che non fa altro che parlare: penserai che io parlo tanto, ma in realtà io dò solo aria alla bocca!" Con una risatina soffocata tra i denti, Grantaire cominciò ad indicare ognuno degli amici, presentandoli, mentre loro rispondevano con sorrisi e cenni del capo; nel frattempo, stavano liberando i tavoli per il cibo.
"Beh, l'uomo virtuoso con il viso da statua, l'avrai capito, è Enjolras. L'occhialuto che lo segue a ruota è Combeferre, il filosofo sobrio. Lo chiamo così perchè io invce sono quello ubriaco! Il nostro amico vestito come un damerino è Courfeyrac, e lo stangone vicino a lui Bahorel. Gli altri due sono Prouvaire e Joly: il primo compone poesie, l'altro di solito il suo testamento! E' fermamente convinto di essere un polo magnetico per tutte le malattie della città. Quello là nell'angolo è Feuilly, fa ventagli e oggi ha un sacco di lavoro, per questo non è molto loquace, infine il pelato qua è Laigle di Meaux, detto Bossuet per metafora: è così sfortunato che ci ride su!"
Eponine sorrise, tranquillizzata dopo tutto quell'agitarsi: sembravano persone simpatiche, inclini al riso nonostante tutte le discussioni che a giorni alterni raggiungevano toni che si sentivano fino in strada, in definitiva uomini pacifici messe da parte le discussioni sulle armi. Quell'Enjolras, però, la confondeva sempre di più: nelle azioni era un capo, in tutto e per tutto, e si capiva anche solo da come tutti aspettassero che lui facesse la prima mossa per poi seguirlo o muovere obiezioni; ma anche lui sembrava avere dei momenti d'incertezza nei quali, mentre parlava, all'improvviso si fermava, lo sguardo perso nel vuoto, come immerso in una visione. I suoi occhi brillavano come quelli di un febbricitante in quei momenti.Mentre la ragazza si era apprestata ad apparecchiare la tavola, tutti gli Amis si erano offerti di andare a riempire le brocche, e se dal piccolo giardinetto chiuso dove stazionava la botte provenivano motteggi e risate, all'interno il clima era molto meno giocoso: Combeferre ed Enjolras erano tornati a sedersi, e parlavano di uguaglianza sociale, di diritti fondamentali dell'uomo e di tutte quelle cose che per Eponine erano tanto belle quanto irrealizzabili, mentre Grantaire li ascoltava dal suo angolo.
"Non è necessario conoscere la storia di ognuno di loro, Enjolras! Assistiamo ogni giorno a scene di degrado sociale, degrado morale... Ci sono così pochi modi per sanare questa piaga. Possiamo attraversare la rivoluzione con le armi in pugno, oppure possiamo far cominciare la rivoluzione dal nostro spirito. Persino Moustache ha aperto il suo spirito accettando Eponine: l'ho vista per caso quando è venuta a chiedere lavoro, ora me ne rammento, ed era una persona totalmente diversa da quella che vedi qui. E' salita di un gradino verso la luce, per la pietà di un altro."
La ragazza scosse la testa a quelle parole, ridacchiando, e questo interruppe l'oratoria del filosofo: entrambi i giovani si volsero verso Eponine, come se si ricordassero solo in quel momento che lei era lì, e li stava ascoltando. Enjolras sollevò un sopracciglio, rivolgendosi alla ragazza: "Vuole forse dirci cos'è che la fa sogghignare, mademoiselle?" Lei annuì, e tirandosi indietro una ciocca selvaggia di capelli rispose con un sorriso amaro: "Non mi chiami mademoiselle, monsieur Enjolras. E comunque, monsieur Combeferre, ridevo perchè Moustache mi ha presa a lavorare qua solo perchè deve un favore a mio fratello. E' un uomo d'onore, nulla più." I due giovani si scambiarono un'occhiata, a disagio, ed il bruno le indicò una sedia davanti a loro: "Beh, Eponine... Perchè non ci racconti la tua storia allora? Immagino che ci farà bene conoscere un'altra parte di realtà che finora ci era sfuggita. E chiamaci con i nostri nomi. Io sono Victor. Lui è Antoine. Raccontaci la tua storia, da persona a persona, senza timori. Non ti giudicheremo. Vogliamo solo capire."

 

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