Stand by my side.

di Jenn123
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** This is me. ***
Capitolo 2: *** Fatal Attraction. ***
Capitolo 3: *** Extraterrestrial. ***
Capitolo 4: *** I’m hearing what you’re saying but I just can’t make it sounds. ***



Capitolo 1
*** This is me. ***


This is me.

In quel momento, distesa nel mio letto caldo e che sapeva di casa, avevo paura.

Paura di cadere in quel burrone che stavo costeggiando, e non rialzarmi più.

La paura, ogni tanto prendeva il sopravvento sulle altre emozioni. Magari ero felice, elettrizzata, curiosa, o anche arrabbiata. Poi scattava qualcosa, e tutto il resto svaniva. Arrivava il terrore, quello che fa male allo stomaco e ti fa venire voglia di mordere qualcosa. Lo nascondevo sempre, perché non conoscendo la causa di questa paura, di questa voragine, non potevo parlarne con nessuno… E per qualche ragione non ne avevo neanche voglia. Ma niente, niente, riusciva a colmare quel senso di incompletezza che ogni tanto si impadroniva di me, cogliendomi alla sprovvista.

Non riuscivo a capire! Avevo  una famiglia, un appartamento in un rispettabile quartiere di Milano, a scuola andavo piuttosto bene. Avevo amici, che mi stavano vicino se ne avevo bisogno.

Ho avuto un bel po’ di cotte, di cui qualcuna ricambiata… anche se nessuna relazione è mai durata tantissimo.

Forse ogni tanto venivo presa in giro, certo, ma fingendo una corazza d’acciaio, buttavo tutto sul ridere, minimizzavo. Quando qualcuno mi feriva davvero mi arrabbiavo, ma non davo mai a vedere quanto ci stavo male.

Per sentirmi bene dovevo stare in compagnia, quindi spesso mi costringevo a far buon viso a cattivo gioco (che in realtà non è proprio un cattivo gioco, e semplicemente un nascondere…), e così andavo avanti. Di solito comunque, ero felice tra la gente, in mezzo alla voglia di vivere. Amavo ridere, scherzare, scoprire nuovi posti dove passare il tempo.

Se tutto fosse crollato però, se la gente non mi avesse più voluto intorno, mi sarei ritrovata faccia a faccia con la solitudine, e forse era questo di cui avevo paura…

Comunque, odiavo tutto quel riflettere, perché la vita è fatta per agire. Ma odiavo (e non lo ammettevo neppure a me stessa) anche il fatto di essermi costruita una prigione da sola.

Comunque, se non volevo essere uno zombie l’indomani a scuola, dovevo cercare di addormentarmi.

 

Camminavo sicura tra i corridoi, nei miei panni di studentessa al terzo anno di scientifico, assieme alle mie amiche. Con noi c’era anche un ragazzo, Davis, che non smetteva di parlare. Mi stava simpatico, con la sua voglia di vivere e il suo limitato filtro cervello-bocca. Le altre pensavano che gli piacessi, e che a me piacesse un po’ lui, quindi mi ci trascinavano sempre vicino… E da un po’ di giorni era diventata abitudine.

Infatti, in quel momento si erano allontanate per lasciarci soli.

<< Ma quindi… Te ci vai a quel meeting oggi? >> mi chiese.

<< Aspetta. Di cosa stai parlando? >> risposi  sorpresa.

<< Quello che ha organizzato il prof. di scienze… Ha detto che è molto costruttivo, o una cosa del genere. >>

<< Ah quello! Si, penso che andrò… Tu ci vieni? >>

<< Se vuoi ti accompagno. >>

<< Ok, allora ci troviamo alle 4 sotto casa mia? Così ci prendiamo un gelato prima… >>

<< Va bene! >>

“Almeno ho una scusa per farmi un giro”, pensai. Ero abbastanza elettrizzata di “uscire” con Davis… Probabilmente un po’ era vero che mi piaceva. Mi sentivo in colpa per aver insultato Jess e Anna quando cercavano di spingermi da lui… Impazziranno quando dirò loro che ci vediamo questo pomeriggio!

<< Alice! Se non ti sbrighi ad entrare Formaggio ti uccide! >> mi chiamò Jess.

Formaggio era il soprannome del nostro prof. di chimica. Lo chiamavamo così perché aveva sempre un colorito giallastro, puzzava di formaggio e non era neanche un po’ tonico. Probabilmente si era accorto anche lui del suo soprannome, ma non ne aveva fatto un dramma. Forse perché era un po’ rincoglionito.

 

Il pomeriggio era passato tranquillamente… Stavo aspettando Davis sotto casa mia, un po’ in anticipo, quando un gruppo di ragazzine urlanti e isteriche mi passò davanti, chiaramente alla ricerca di dove si trovasse il loro idolo in quel momento pre-concerto. “Ridicole”, pensai all’inizio. Volevo urlare loro che erano delle illuse, che lui non le avrebbe mai notate. Ma soprattutto che lui era una persona come tutte, e si meritava il beneficio di essere normale.  Perché non lo volevano capire?! Loro li santificavano, e questi si montavano la testa… Era una cosa assolutamente insensata.

Poi però mi incuriosii, e con qualche passo vago mi misi a seguirle…

<< Ah! Sta attenta a dove guardi! >> mi rimproverò lo sconosciuto su cui ero andata a sbattere. Alzando lo sguardo mi resi però conto che era Davis.

<< Davis! >>

<< Alice! Non stavi mica seguendo il branco di ragazzine illuse!? >>

<< No! Io… Ti stavo venendo a cercare. >>

<< Ora sono qui! >>

<< Ok! Ma… Sai chi stanno cercando di incontrare? >>

<< Penso di aver sentito qualcosa a proposito… Mi pare si chiami Conor Maqualcosa. >>

<< Mai sentito. >>

<< Si… Neanch’io. Andiamo? >>

<< Certo. >>

Mentre ci avviavamo sentivo che si avvicinava sempre di più... Ad un certo punto mi prese la mano. Mi guardò negli occhi con aria di sfida, e io sorrisi, ricambiando lo sguardo. Mi sentivo tranquilla. A mio agio, come se fosse stato un vecchio amico. In quel momento non avevo paura. Sentivo, sapevo che Davis ci teneva. Mi avrebbe aiutato. Anche se in quel momento non lo sapevo per certo, avevo assolutamente ragione.

In quell’esatto istante mi chiesi come potrà essere il mio futuro… Se tutto cambierà o resterà uguale, se sarò qua o dall’altra parte dell’oceano, come vivrò… Se sarò felice. Poi Devis ricominciò a parlare, spazzando così i miei dubbi esistenziali. Ecco l’effetto che mi faceva lui: mi rendeva leggera, libera da pesi inutili. Era una sensazione bellissima. Sentirsi semplicemente felici.

<< Eccoci. Questa è la mia gelateria preferita in assoluto. Spero ti piaccia. >> spiegò lui.

<< Va benissimo… >> Mentre prendevamo posto, le nostre mani si staccarono, di malavoglia.

Ordinammo una coppa gelato enorme, presi da chissà quale istinto ingordo… In quel momento non riuscivo proprio a preoccuparmi per la dieta!

Parlammo senza sosta finché non prosciugammo il gelato. Guardai l’orologio.

<< Cavolo! Mancano 5 minuti all’inizio del meeting! >>

<< Cazzo. E’ volato il tempo! >>

Di fretta Davis raccolse tutto, lasciò i soldi sul bancone, mi prese la mano e iniziò a correre.  Fortunatamente il posto non era molto lontano… In pochi minuti avevamo raggiunto l’ingresso. Io ero piegata in due, quasi reduce di una maratona, mentre lui era perfettamente normale. Mi sentivo alquanto imbarazzata in quel momento… Ma la mia mano era ancora la sicuro nella sua.

<< Dai entra! >> mi strattonò lui, con un sorriso enorme stampato in viso.

Raggiunta la sala, scoprimmo che erano rimasti solo posti in piedi. Quindi ci sistemammo in un angolo buio della sala, addossati alla parete.

Il presentatore era già entrato, stava elencando i vari protagonisti del progetto.

Non riuscivo proprio a stare attenta. La mia mente divagava, e io non le ponevo freno… Rivedevo immagini dei miei ultimi primi appuntamenti, per poi constatare che nessuno era mai stato così semplice, piacevole, divertente. Si, perché alla fine questo si poteva considerare un appuntamento, giusto? Davis mi piaceva proprio. Poi, come si sarebbe concluso questa uscita? Forse era il caso di mangiare una mentina…?

Con imbarazzo mi misi a rovistare nella mia borsa, in cerca di qualcosa che assomigliasse ad una mentina… senza accorgermene iniziai a borbottare frasi del tipo “ma dove le avrò messe!?” o “devono esserci!”.

Nel frattempo Davis, che probabilmente come me non riusciva ad interessarsi al tema della conferenza, si mise a ridacchiare.

Io alzai lo sguardo, capendo che sembravo una demente.

<< Che c’è? >> chiesi con nonchalance, cercando di coprirmi.

<< Mi chiedevo se… Ti va di svignarcela. >>

<< Cioè… Andarcene prima che nessuno se ne accorga? >> chiesi.

<< Si, definizione da vocabolario. >> Mi rispose con un ghigno.

Io sorrisi. Pensai che l’avesse interpretato subito come un si.

Mi fece cenno di seguirlo. Passammo dietro ad un sacco di gente, addossati al muro. Avevamo iniziato ad imitare James Bond, guardandoci in giro furtivamente con una finta pistola in pugno.

Finalmente arrivammo all’uscita, sperando che nessuno ci avesse notati. A quel punto iniziammo a correre, fino a quando avevamo distanziato l’edificio di una decina di metri.

Dopo esserci trattenuti per troppo tempo, scoppiammo a ridere, piegati in due.

<< Noi ci siamo stati però! >> esclamai io.

<< Si… Siamo assolutamente studenti modello! >> aggiunse, sempre ridendo.

Poi mi guardò negli occhi, il sorriso che lentamente scemava. Mi aveva preso le mani, e ci stavamo avvicinando. Io lo abbracciai, d’istinto. Lui ricambiò per un meraviglioso secondo, forse due. Mi allontanò lentamente, e i nostri  occhi s’incatenarono di nuovo. Eravamo sempre più vicini…

E mi baciò.

Inebriò completamente i miei pensieri, con una dolce nebbia che sapeva di lui… Il suo profumo di pulito mi invase. Le mie braccia si strinsero dietro al suo colle, avvicinandomi ancora di più a lui. Le sue mani stavano sulla mia vita, mentre io allungavo sempre di più le punte.

Poi, dopo una quantità di tempo che nessuno riuscirà mai a misurare, perché potrebbe sembrare secolo come pochi secondi, ci staccammo. Lentamente, rimanendo abbracciati, entrambi sorridendo.

Lui mi strinse di nuovo le mani, ma con più forza.

<< Vuoi stare con me? >> chiese d’istinto, come se le parole si fossero formate da sole, perché era la cosa più naturale del mondo. Sapevo che non era una proposta ragionata.

Mi colse però alla sprovvista. Forse era presto, forse non ci conoscevamo abbastanza, forse non ci piacevamo così tanto.

Poi la mia mente mi suggerì una frase, come un bigliettino che ti viene messo davanti allo sguardo durante una verifica. Faceva parte di un racconto che avevo letto nell’ultimo periodo e diceva… Diceva che si vive una volta sola. Diceva che bisogna cogliere al volo le opportunità, perché di solito non se ne ha una seconda. Diceva che bisogna tentare, rischiare e mettersi in gioco, perché il dolore è momentaneo, il rimorso è per sempre. Diceva semplicemente di vivere, vivere al meglio.

Quindi, senza ragionarci più su, senza fare congetture inutili e noiose, dissi:

<< Si >> e gli sorrisi.

Così mano nella mano, come solo i bambini piccoli e le persone che si vogliono bene sanno fare, ci avviammo verso casa mia.

 

OK non arrabbiatevi!! Lo so che in questo primo capitolo non c’era praticamente niente su Conor… Ma era per introdurre un po’ tutto.  Il titolo è This is me, una canzone che ha cantato Demi Lovato in un film. Spero di riuscire a dare come titolo di ogni capitolo una canzone che lo rappresenti… Comunque, nel prossimo passo ci sarà un incontro davvero speciale… E la storia comincerà a diventare intricata… Mi raccomando, vi aspetto! Se riuscire recensite, condividete… Fatemi sapere come vi sembra! J

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Capitolo 2
*** Fatal Attraction. ***


Fatal Attraction.

 

Io e Davis avevamo deciso che per la nostra relazione sarebbe stata riservata… Quindi, ovviamente, nel giro di due giorni, tutta la scuola lo venne a sapere. Comunque, ieri sono stata tutto il giorno con lui, di conseguenza Jess e Anna pretendono un’uscita tra amiche.

<< Per questo pomeriggio, va bene se ti veniamo a prendere a casa e andiamo in metro al centro commerciale? Un po’ di shopping non fa male… >> mi chiese Jess.

<< Perfetto. Per le 4 può andare? Dobbiamo studiare chimica prima… >>

<< Si si. Magari me lo trovo anch’io un ragazzo… Non sarebbe male… Siete tutte e due occupatissime con i vostri morosi! Andrò a sbattere casualmente contro qualche biondino carino questo pomeriggio… >>

Scoppiammo a ridere entrambe.

<< Magari poi usciamo a sei… Anna e Giacomo, io e Davis, tu e il biondino carino… >>

<< Sarebbe un’idea… >>

Ci avviammo in classe, pronte per un’ora di lotta-contro-la-sonnolenza, alias filosofia.

Semi distesa sul mio banco, mi immersi nei miei pensieri. In quei due giorni non avevo proprio avuto tempo di lasciare la mia mente a briglie sciolte. Era bello poterselo finalmente concedere…

Insieme a Davis non avevo più quegli inquietanti attacchi di paura, pensai. Con lui stavo bene, davvero. Solo che… Solo che niente! Lui mi piace e basta. Non c’è nessun ma.

“E se non mi piacesse abbastanza?” chiese timidamente una lieve vocina nella mia testa? “E se lo vedessi solo come un amico?” insistette.

“Non è così!” rispose Logica.

“Se lo dici tu…” riuscì a dire la vocina, prima che io la estinguessi del tutto.

Sapevo che dovevo fare quello che era meglio per me, quello che mi avrebbe fatto stare bene. Quindi… Si, quindi avrei lasciato che Logica prendesse il comando. Oh mio dio. Avevo dato un nome ad una vocina nella mia testa.

<< “E’ nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo” diceva Aristotele. Questo cosa può voler dire, signorina Anna? >>

Vidi Anna riemergere velocemente da un dormiveglia, alla svelta ricerca di una risosta intelligente.

<< Bè, innanzitutto Aristotele ci dice che la vita è una continua ingiustizia… >>

Ritornai a perdere il filo delle parole e mi rituffai nel mondo dei sogni.

Di una cosa ero certa: non avrei seguito il filosofeggiare di uno scrittore probabilmente pazzo al posto della logica.

O almeno pensavo.

 

Le 4 arrivarono presto, dopo un pranzo solitario come al solito, visto i turni sconvenienti dei miei, e i compiti di chimica. Ero elettrizzata… Avevo davvero voglia di un pomeriggio fra amiche!

Mi ripassai mascara e cipria, mi pettinai i lunghi e liscissimi capelli scuri, chiusi casa e scesi giù ad aspettarle.

<< Ehi! >>

<< Jess, Anna! >> le abbracciai.

<< Come va? Studiato chimica? Io penso di aver capito la metà delle cose che c’erano scritte… Se non meno. Prenderò 2 al compito… Oddio non voglio. Le ho già sentite abbastanza oggi per il 6 in italiano. Non è che potete spiegarmi qualcosina in metro?  >> chiese tristemente Anna, con la sua voce squillante. Lei era così, ti travolgeva con mille parole al secondo.

<< Non ora. Magari al ritorno. Per il momento… Che si dia inizio al pomeriggio-solo-shopping! >> esclamò Jess.

Così ci avviammo verso la stazione.

 

Non penso di aver bisogno di descrivere un pomeriggio di shopping. E’ stato divertente, a parte le cose che ci sarebbe piaciuto comprare, che non ci potremo mai permettere… Si, il solito.

Avevamo deciso di andare a mangiare Mc Donald’s.

<< Oh finalmente! Stavo morendo di fame! >> esclamò Jess.

<< Si, per cambiare… >> aggiunsi io ironicamente.

Jess fece finta di offendersi. Nel farlo però, perse la concentrazione sul proprio panino, che sparpagliò lattuga sulla sua maglietta. Ci mise circa cinque secondi ad accorgersi del danno.

Nel frattempo noi eravamo già a corto di fiato dal ridere.

<< Non c’è niente di divertente! Aiutatemi a pulire! >> finse di rimproverarci Jess.

<< Questo lo dici tu! >> riuscì a dire Anna, malgrado il suo attacco di ridarella.

Dopo esser riuscite a finire il pasto, siamo uscite nell’aria di Milano.

<< Ero stanca dell’odore di fritto! Aria pulita della mia città, questo ci voleva! >> esclamò ironicamente Anna.

<< Certo che c’è un’atmosfera magica qui, a quest’ora. Dà la sensazione che tutto è possibile… >>                                   dissi io poeticamente.

<< Oooh Alice innamorata! >> mi canzonò Jess.

Io ci pensai un secondo. In realtà, quello che stavo provando, quella sensazione incredibile di buoni presentimenti, non aveva nulla a che fare con Davis. Per dir la verità, non l’avevo pensato neanche una volta quella sera… Un po’ mi sentii in colpa.

<< Comunque, Alice, io non riesco proprio ad accompagnarti a casa… Scusa, davvero, ma devo essere a casa prima di mio papà… >> Anna mi riportò alla realtà.

<< Neanch’io, mi dispiace… Già ho appena litigato con i miei… E’ meglio che non tiri troppo la corda… >>

<< Fa niente, tranquille. Me la cavo. >> risposi sorridente. Perché avevo un presentimento così strano? Sentivo che andare a casa da sola era la cosa giusta da fare. Forse stavo diventando paranoica…

<< Ok, bè, grazie per il pomeriggio stupendo… Vi adoro ragazze. >> ci abbracciò Anna.

Restammo nel calore dell’abbraccio per un bel po’. Poi Jess disse che doveva andare, e Anna la seguì. Loro non avevano bisogno della metro, abitando qui vicino. A me invece toccava fare 8 minuti di vagone soffocante… Ad ogni modo, mi avviai verso la direzione opposta a dove erano andate loro.

Mi abbandonai ai miei pensieri… Per essere una serata di novembre, il cielo era davvero mozzafiato. La luna ormai alta era completamente piena, circondata da stelle luminose, che contrastavano magicamente vista l’assenza delle nuvole. Probabilmente sembravo una babbea, a fissare il cielo così. Sentivo i miei occhi scuri brillare, tanto mi emozionava lo spettacolo… Mi sorprendevano sempre quelle piccole meraviglie.

Sentii qualcuno cadermi addosso.

<< Aih! >> esclamai, mentre mi resi conto di essere per terra.

<< Scu-usa! >> rispose l’uomo su cui ero andata a sbattere, con un accento straniero, un po’ angosciato.

<< Non è colpa tua, ero distratta… >>

Lo guardai in viso, dal basso all’alto. Il mio cuore fece un balzo, ma lo calmai subito. Era un ragazzo, sui diciotto. Almeno questo si riusciva a capire. Non riuscivo però a scorgere i tratti del viso. Sembrava in camuffamento: occhiali da sole scurissimi, un berretto tipo baseball piuttosto usurato, la sciarpa che gli avvolgeva quasi anche il naso e vestiti completamente anonimi.

Non mi rispose. Mi porse però una mano, che notai appena mi fui rimessa in piedi.

<< Forse, se ti togliessi gli occhiali da sole riusciresti a vedere meglio dove vai… >> scherzai io, sorridendo.

Lui girò leggermente la testa, come a dire che non comprendeva quello che stavo dicendo.

<< Where are you from? >> insistetti cortesemente, senza sapere il perché.

Lui, forse sorpreso da questo interessamento, o forse da altro rispose:

<< England. >> con quell’accento melodioso.

Abbassò lo sguardo verso di me, si spostò il cappellino, e si tirò giù la sciarpa. Poi si sfilò gli occhiali scuri. E il mio respiro cessò per qualche istante. Avevo il cuore in gola, ero totalmente paralizzata dal suo sguardo che indugiava sui miei occhi. Sembrava che stesse decidendo qualcosa, ma io non me ne accorsi. Non mi accorsi di niente, in realtà. Era come se l’intero mondo avesse cessato di esistere, o almeno, sentivo di non aver più bisogno del resto del mondo. Sentivo solo il cuore battere fortissimo.  

Lui non aveva notato nulla, però.

<< Ehm, I’m Conor. >> mi porse la mano, con naturalezza. Il contatto mi provocò dei brividi così dolorosi e così piacevoli nello stesso istante, che pensai di non volermene più staccare. Rimasi paralizzata per un secondo, un secondo solo, prima di riuscire di nuovo a schiarirmi la mente. Conor? Familiare… Sapevo di averlo già sentito, ma non ricordavo dove.

<< Hi. >> dissi un sorriso accennato. Non sapevo perché, ma in quel momento stavo male. Dopo quegli istanti di uragano, dentro di me ricominciava a farsi spazio quella sensazione di vuoto, di paura, di inquietudine. Non capivo davvero più niente.

Ci fu qualche secondo di silenzio, durante il quale io distoglievo lo sguardo. Avevo il cuore a mille.

<< So… I’m sorry for the crush. I wasn’t looking where I was going. Are you ok? >> ruppe l’imbarazzato silenzio lui. Perché mi stava ancora parlando? Perché io non me n’ero già andata? Perché sentivo di non poterlo fare?

<< It’s… It’s ok. >> riuscii a rispondere.

<< Mhm… I was going for a hot chocolate. Would… Would you like to come with me? >> chiese. Sembrava imbarazzato.

Il mio primo istinto fu di seguirlo subito, immediatamente. Poi tornò Logica. Quella fastidiosa vocina che mi comandava dentro la mente.

“E’ uno sconosciuto, Alice. Non sa chi sei, perché dovrebbe invitarti a bere un frullato? Non ci sono molte risposte… E’ uno squilibrato, lascialo perdere. “

No, non mi sembrava uno squilibrato. Non sembrava neanche uno che si approfittava delle ragazze. Sembrava semplicemente un ragazzo, che voleva invitare la ragazza che aveva investito a bere una cioccolata, per scusarsi. 

<< Ehm… Ok! >> mi sentii rispondere.

“Sei impazzita? Non pensi a Davis?!”

Davis! Cavolo, Davis… Me n’ero completamente scordata. Mi sentii tremendamente in colpa. Come aveva fatto quello sconosciuto, con una stretta di mano, a farmi dimenticare tutto?

Comunque, quando lui s’incamminò, lo seguii senza troppi dubbi. Provavo un’altra stranissima sensazione. Era come se stessi aspettando questo momento da tempo, come se l’avessi previsto, come se già conoscessi quel ragazzo misterioso che mi camminava affianco, tanto da potermi già fidare di lui. Ma io non credevo nel destino, nell’esistenza di un percorso scritto prima della nostra nascita che bisogna per forza seguire. No, assolutamente. Però io, per qualche assurdo e incontrollabile presentimento, mi fidavo di quella persona.

Mi aspettavo che saremmo andati nella gelateria a dieci metri da noi, quella sulla strada. Quando invece vidi che lui svoltava a destra, in un vicolo poco trafficato puntando a un locale piuttosto squallido e poco frequentato, lo guardai perplessa. Scoprii che si era infilato di nuovo gli occhiali da sole e la sciarpa, in quello strano camuffamento. Forse avrei dovuto diffidare del posto in cui mi stava portando. Ma non ce la facevo.

Così entrammo. Lui si guardò bene in giro, e solo dopo che si fu accertato di qualcosa che non riuscivo davvero a capire, tornò a scoprire il viso. Trattenni tuti i miei dubbi in silenzio, mentre lui prendeva posto in un tavolino con delle sedie non proprio belle.

<< Please, sit down. >> mi pregò gentilmente, appena notò che restavo in piedi dubbiosa.

Nel dirlo, mi sfiorò il braccio, coperto da un cardigan. Sentii i brividi estendersi fino alla spalla. Era una sensazione assurda.

Mi sedetti, trovandomi di nuovo a domandarmi il perché ero qui. Cosa l’aveva portato ad invitarmi? Cosa mi aveva portata ad accettare? Era una situazione degna di un telefilm per teen-ager, che non combaciava alla vita reale. Assolutamente no. Cose del genere accadevano solo nella finzione. La realtà era diversa, concreta e prevedibile.

Tuttavia, decisi di chiedergli qualcosa, forse per riempire l’enorme vuoto pieno di incertezze che si celava dentro di me.

Quindi lo guardai negli occhi. E rimasi di nuovo senza fiato, con la bocca semi-spalancata, incapace di ragionare. Cerano miliardi di pensieri, dubbi, risposte, incertezze, incomprensioni che si celavano dentro quegli occhi azzurri. Miliardi e miliardi di cose che mi sono sorpresa voler scoprire, conoscere. Volevo vederli per ore, non guardarli, proprio vederli.

Quando mi accorsi di aver bisogno d’aria, mi ridestai. Improvvisamente mi sembrava così difficile, così superfluo respirare… Ma non potevo fare la figura della scema.

<< Ehm… Are you here in holiday? >> chiesi con il mio inglese imperfetto.

<< Oh, no. It’s for work. >> rispose, quasi divertito. Continuavo a non capire.

<< What job do you do? >> chiesi infine.

<< Ehm… >> sembrava incerto. Cos’era,  una pornostar? Non vedevo altrimenti il motivo di tanta vergogna…

<< I’m a singer. >> rispose, con un sorrisetto che mi sembrava di sfida.

<< A singer? Really? Wow. I’m sorry, I don’t think I know you… >> esclamai.

Poi tutto mi fu chiaro. Come avevo fatto a non collegare?! Conor! Quello di cui mi aveva parlato Davis. Lo stesso che una folla di ragazzine isteriche inseguiva pochi giorni fa…

<< It’s ok. >> sorrise.

Calma, Stai calma, Alice. E’ una persona come un’altra.

Ma perché ci stavamo parlando? Era per caso uno strano scherzo del destino?

<< Why did you invite me here? >> chiesi allora seccamente.

Lui mi guardò, un po’ deluso. Ci pensò qualche secondo.

Mi spiegò che aveva litigato con il suo manager, che era piuttosto stressato, quindi è praticamente fuggito dall’hotel.

Capii perché teneva il viso coperto, ed era spaventato quando mi è finito addosso… Se io mi fossi messa ad urlare sarebbe stato un disastro.

Iniziammo così a parlare. Fu più facile del previsto, visto che ognuno era interessatissimo alla vita dell’altro.

Distrattamente, appoggiai le mani sul tavolo. Mi accorsi che lui cercava di stringerle solo quando sentii i brividi percorrermi tutto il corpo. Guardai prima le mani intrecciate, poi posai lo sguardo sul suo viso.

Non sapevo davvero cosa fare.

<< Listen, I have a boyfriend… >> riuscii a dire contro la mia volontà.

<< Oh, I’m sorry. I didn’t want to create problems for you… >> allentò leggermente la presa.

<< No, it’s ok. >> dissi incerta.

<< it’s just… Awsam. I can finally talk to someone who treat me as Conor. Just me. You’re nice, “Elis”.  >>

Aveva letto la mia catenina. Il mio nome pronunciato all’inglese, con un tono così dolce, così persuadente, da dover essere vietato dalla legge. Oltre a notare quanto incredibile fosse la sua voce, riuscivo a coglierne anche il messaggio. Riuscivo a capire un po’ della sua vita, che a prima occhiata sembra perfetta.

Considerando che l’uomo mente in continuazione, doveva essere piuttosto ovvio che nessuna vita era come la si dava a vedere, no? Invece non era così.

Ovvio che non era così. La gente aveva preso come modello di vita questo ragazzo, che si era ritrovato su un piedistallo senza nemmeno accorgersene. La gente lo chiamava “idolo”, perché era riuscito a realizzare i suoi sogni. Ma la gente tante volte non si accorgeva che magari anche lui era debole, avrebbe voglia di gettare via tutto, rivorrebbe a volte la vita in cui se commetteva un errore non c’era tutto il mondo pronto a criticarlo.

<< Yeah, I mean, I love my fans. But sometimes I forget who I really am, and I pretend to be who they think I am. It’s… complicated. >> tenne lo sguardo basso mentre esprimeva I suoi pensieri.

<< Hey. I can understand. >> non riuscii a resistere alla tentazione di avvicinarmi e mettergli una mano sulla spalla, per rassicurarlo.

Lui si girò, mi guardò negli occhi e sfiorò il viso con una mano. Con l’altra mi cinse la vita. Mi guardò negli occhi e io sussultai. Distolse subito lo sguardo, per posarlo sulla mia bocca. Improvvisamente mi ritrovai avvolta dal suo profumo, pulito, sensuale e ricercato. Ne ero completamente inebriata. Il mio respiro cessò per qualche istante, vittima dell’intensità di quel contatto che ardeva come fuoco. Ma io volevo di più. Lui voleva di più. Non esisteva più nulla, al di fuori di quell’abbraccio.

Vi ho lasciato con il fiato sospeso eh?! Hehe...                                                                                          Come avete visto, ho mantenuto la promessa, si sono incontrati. E qua ha inizio l'enorme caos che si creerà. Si bacieranno oppure lei, fedele a Davis, gli tirerà uno schiaffo? Che intenzioni ha lui? Dovranno dirsi addio quella sera stessa? Cosa diranno Anna e Jess?                                                   Per Alice iniziano già i dubbi... E il prossimo capitolo sarà piuttosto intenso!

Vi chiedo di nuovo se per favooore potete recensire, dire cosa ne pensate... Anche solo un "è bruttissima" mi aiuta! Grazie mille :D 

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Capitolo 3
*** Extraterrestrial. ***


Extraterrestrial.

Lui avvicinò il suo viso al mio, mentre io stavo inerte. Vidi che chiuse gli occhi.

Infine, delicatamente, mi baciò.

Non riuscivo ad allontanarlo da me, non volevo. Mi aggrappai ai suoi capelli morbidi, impotente davanti al desiderio. Non era Davis, non era un qualcosa di logico, quasi controllato. No. Questo era fuoco, che distruggeva qualsiasi tentativo di opporsi. Questo era incontrollabile, potentissimo, assoluto. Questo era insensato, eppure giustissimo. Questo era ciò che aspettavo da sempre, senza saperlo.

Era ciò di cui sarei diventata dipendente. Anzi, lo ero già.

Non mi sentivo più vuota. Per niente. Ero più completa di quanto lo fossi mai stata.

E come spiegare il tuffo al cuore ogni volta che lo guardavo negli occhi? Come spiegare i brividi che mi accapponavano la pelle ad ogni suo contatto? Come spiegare la fiducia che gli ho riposto, dal primissimo sguardo, quando non conoscevo neanche il suo nome? In che modo comprendere la sensazione di fare la cosa giusta in quel momento, sebbene fosse la cosa più sbagliata?

Ecco come. Amore. Amore al primo sguardo. Che ti colpisce come una saetta. Che penetra nel profondo di quel punto preciso del cuore, come un bisturi. Così inopportuno, a volte impossibile. Ma irrimediabile.

Lentamente, molto lentamente, ci staccammo. Provavo già nostalgia del suo contatto.

Tenevamo entrambi lo sguardo basso, carico di consapevolezze. Io avevo tradito Davis, con un quasi sconosciuto, a cui però non sapevo resistere. Lui aveva concretizzato questo tradimento. Però… Non sembrava desse molta importanza a questo. Non seppi ben definire cosa provava in quel momento. Era un ragazzo misterioso, quel Conor.

I nostri sguardi si incatenarono di nuovo. E di nuovo quell’uragano di sensazioni si fece spazio bruscamente dentro di me.

Non arrossivo facilmente, ma avrei potuto giurare di essere una brace in quel momento.

<< “Elis”… >> cercò di iniziare lui.

<< “Elis” niente, cazzo. What did you wanted to do?! >> chiesi io, non capendo da dove provenisse tutta quella rabbia.

<< I’m so sorry… But, really, I can explain! >>

Sembrava davvero dispiaciuto. Oppure era bravo attore.

Ero arrabbiata perché mi aveva illusa. Lui era inglese! E come se non bastasse era anche una pop-star! Eccome se mi aveva illusa.

Però… Però non riuscivo a non fidarmi. La mia rabbia iniziò a scemare.

<< Please, let me explain. My hotel is right here, come in my room. We can talk there. >>

Io sospirai. Cosa dovevo fare?

<< Ok. But at 9.30 I have to be at home. >>

Dopo uno sguardo all’orologio, che segnava le 20.30, rispose:

<< You will. >> con un sorriso enorme.

Allora ci incamminammo verso l’hotel, lui camuffato come all’andata.

Per tutto il tragitto nessuno dei due aprì bocca.

Appena varcammo la soglia del locale, però, la mia si spalancò per lo stupore.

Era magnifico. La hall era enorme e luminosa. I pavimenti in marmo erano perfettamente abbinati con i numerosi tappeti pregiati. Il bar, alla destra, con un elegante bancone e numerosi tavolini modernissimi, contava di una fila di alcolici tra i più costosi al mondo. Le ragazze dietro alla reception erano sorridenti, e sembrava potessero esprimere ogni tuo desiderio. La gente che si aggirava era vestita in modo impeccabile.

“Allora è così che vivono i ricchi…” pensai con malinconia.

Appena mi resi conto che Conor era pochi metri più avanti a me, mi affrettai a raggiungerlo.

Non avevo intenzione di perdermi proprio adesso.

“Non avevo intenzione di perdere lui proprio adesso.” Mi corresse la vocina che a volte, flebile, rispondeva a Logica. In quel momento non potevo darle torto.

Salimmo in ascensore, diretti al quarto piano.

La sua stanza era la numero 49. Appena entrammo, però, mi accorsi che “stanza” non era la parola giusta per descrivere quel luogo. Era più che altro un appartamento, delle dimensioni di una casa.

<< Wow. >> esclamai spezzando il silenzio.

<< Yeah, it’s pretty big… >> scherzò lui sorridendo.

Percorse il soggiorno della camera e aprì la porta della camera. Lo seguii.

Si buttò sul letto e mi fece segno di accomodarmi vicino a lui.

Mi mossi lentamente, frenando con forza la mia voglia di correre a abbracciarlo…

Quindi mi sedetti sul letto, a circa un metro da lui, che mi guardò un po’ deluso. Ma cancellò subito quell’espressione compromettente, e sorrise.

<< Explain. >> ordinai sgarbatamente, incontrando il suo sguardo per un solo attimo, prima di posarlo di nuovo a terra.

<< Mmm… Yes. I told you,  “Elis”. I like you. And I didn’t want to hurt you. >>

Non risposi. Non sapevo cosa dire. Le cose che pensavo erano intrappolate dentro la mia testa.

Non avrei mai potuto dirgli che quello di prima era stato il bacio più bello della mia vita.

Lui si avvicinò a me. Mi posò una mano sulla coscia.

<< I’m sorry. >> disse semplicemente.

Feci l’errore di guardarlo negli occhi. Quegli occhi incredibili che smascheravano le sue messe inscena, le sue bugie. Quegli occhi che rivelavano un conflitto nella loro profondità, dentro la sua mente. Quegli occhi che si stavano avvicinando.

Lo abbracciai.

Era una strana sensazione. Non avevamo bisogno di parole, tutto era perfetto.

In quell’esatto momento sentii che lui aveva ceduto. A cosa? Non lo sapevo. Però ero certa che non c’era più nessuna maschera tra di noi.

Ero me stessa.

<< “Elis”… >> disse lui con fare di domanda, dolcemente.

<< Yes? >>

<< What are you thinking about? >>

<< The sky is beautiful, isn’t it? >>

<< Yes. It’s incredible tonight. >>

Rimanemmo con lo sguardo sulla sua finestra per alcuni minuti. Ormai, il mondo esterno non aveva più molta importanza.

 “Era una coppia così strana, improbabile e tristemente impossibile” avrebbe potuto pensare una persona che ci vedeva dall’esterno. Ed era vero. Ma probabilmente, era questo il motivo per cui eravamo perfetti insieme.

 

<>> ruppi io il piacevole silenzio.

<< I? I just wish that this moment can never end. >>

Ci guardammo negli occhi. Un secondo, un brevissimo istante, che mi colse di sorpresa. Prima che realizzassi quanto era incredibile quello sguardo, prima che mi accorgessi che non stavo più respirando, i nostri visi si toccarono. E la scintilla che già era accesa scoppiò in fiamme.

L’incendio di cui ella era responsabile diventava sempre più irreparabile.

Era fuoco. Rosso. Potente. Pericoloso. Che lascia tracce, perché tutto ciò che incontra viene contaminato per sempre.

L’abbraccio in cui eravamo era sempre più stretto.

Io non pensavo, lui non pensava. Dove saremmo arrivati, disperati amanti vittime di una passione impossibile?

<< Conor! Conor! CONOR! >> si sentiva bussare violentemente alla porta d’ingresso.

<< CONOR. OPEN. THIS. DOOR. NOW! >> insistette la voce autoritaria dell’uomo.

<< Shit. >> esclamò sottovoce Conor. Sospirò, molto infastidito, si staccò dall’abbraccio e si mise in piedi.

Un brivido freddo pervase il mio corpo.

<< Just a minute, “Elis”… >> mi disse.

Corse ad aprire la porta.

<< What do you want!? >> chiese con fare accusatorio.

<< I don’t know… Maybe I want you to prepare the show of tomorrow evening! >> rispose a tono l’interlocutore, di cui non riuscivo a vedere l’aspetto.

<< It’s the same show of last week! I know every single move! So can you just leave me alone for an evening?! >>

<< Why do you want to stay alone all the evening? >> domandò l’uomo.

<< Ehm… >> il ragazzo era stato colto alla sprovvista.

<< Wait a minute… >>

L’uomo varcò la soglia, e riuscii finalmente a vederlo in viso. Era alto, molto muscoloso anche se coperto da una felpa pesante, di carnagione scura e lineamenti duri marcati da un’espressione furiosa.

Incontrò il mio sguardo per un secondo. Se possibile, la sua rabbia aumentò ancora di più.

<< NOT. ANOTHER. ONE. >> esclamò cercando di respirare, e riuscendoci a malapena.

Io non colsi subito il significato di quelle parole.

<< Tell me that she’s not another girl. Tell me. >> quasi urlò l’uomo.

Questa volta le parole mi colpirono come un coltello affilato.

Un’altra ragazza. Un’altra.

La mia testa aveva incominciato a girare. Mi sentivo vuota, completamente.

Persi il filo della conversazione.

Poi, con uno sforzo enorme, cercai di tornare sulla Terra.

Ma certo. Come ho fatto a non pensarci? Io non ero nessuno. Ero solo uno strumento, un gioco, un divertimento. Una delle tante.

Chissà quante prima di me erano state trattate allo stesso modo! Catturate, usate e infine gettate via.

<< … Do what you want. Breakfast at 7 tomorrow. Goodnight. >> concluse l’uomo, rassegnato.

Quindi andò via, chiudendosi la porta alle spalle.

Io aspettai il rumore della serratura.

Strinsi un pugno, concentrai le ultime forze, e mi diressi verso di lui, che era fermo sulla soglia.

Sospirai.

<< Vaffanculo. >> dissi tutto ad un fiato, fissando sui suoi occhi, che non avevo nessuna voglia di interpretare.

Distolsi lo sguardo dalla sua espressione da cucciolo ferito. Non disse nulla.

Gli occhi bruciavano.

Allora aprii la porta di scatto, sfilai fuori, e iniziai a correre. Percorsi tutto il corridoio con la vista offuscata. Fuggivo. Consapevole della consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima.

Stavo per scendere il primo scalino, quando sentii una stretta forte afferrarmi il polso.

<< “Elis”! “Elis” stop! >> urlò disperatamente.

No! Avrei dovuto correre più velocemente.

“Non saresti mai dovuta venire qua!” irruppe Logica nella mia mente.

Malgrado tutto, io mi fermai.

Lui mi costrinse a guardarlo negli occhi. E furono quella paura, quella dolcezza, quell’espressione così maledettamente sincera, che mi costrinsero a cedere. Scoppiai in lacrime.

Lui mi abbracciò.

E quasi stavo peggio, perché sapevo che a quel contatto non potevo resistere, oppormi. Ero così debole e insignificante che mi ripugnavo da sola.

<< Explain. >> riuscii a dire tra un singhiozzo e l’altro, prima di accorgermi della ripetizione.

A lui uscì un debole sorriso. Pensai che fosse strano che un ragazzo con una vita così all’apparenza perfetta, sotto sotto fosse così triste. A questo pensiero lo abbracciai forte anch’io.

<< Yes... That man is my manager. He is very strict. >>

<< I wanted to know about the other girls. >> dissi, accorgendomi che stava deviando.

Ci pensò su qualche secondo.

 << I want the truth. >> replicai.

<< The truth, mh? I’m not sure you want it. >> quasi sussurò.

Io rimasi zitta.

<< The truth is that I made a mistake tonight. >>

Restai senza fiato per un attimo, come se mi avessero puntato una lama dritta in pancia.

Lui continuò comunque. Spiegò che la sua vita non era come la mia. Lui avrebbe sempre dovuto dire addio. Ed era per questo che non si affezionava mai.

Pesai che fosse un modo carino per spiegarmi che si portava a letto le ragazze e le abbandonava la mattina dopo.

Esattamente come nei film, esattamente come le vite delle superstar. Improvvisamente mi pentii della pietà che avevo provato per lui. Era solo una persona famosa come un’altra.

Vale molto meno di noi comuni mortali, quella gente.

<< You have to go now, “Elis”. >> concluse.

Se prima mi stavo allontanando da lui, ora eravamo distanti miglia. Mi ripugnava. Voleva usarmi. Ci ha ripensato. Ed ora mi manda a casa, per non affrontare il peggio.

Alzai lo sguardo fiero, sperando che non trapelasse l’enorme ferita che c’era sotto, e glielo puntai dritto negli occhi. Mi si assottigliarono le labbra.

<< Thank you for the chocolate. Goodbye, Conor. >> mi congedai, stringendo i pugni per la rabbia.

Sentivo però ancora le guance bagnate dalle lacrime. Che incantesimo mi aveva lanciato, quel ragazzo?

 

 Ecco il terzo capitolo! Alice ha passato una serata totalmente fuori dall’ordinario… Cosa comporterà tutto ciò? Si, insomma, ora dovrà tornare a casa e affrontare la realtà. E sarà difficile. Cosa succederà l’indomani a scuola? Come si comporterà con Davis? Racconterà tutto ad Anna e Jess? Vi sto facendo troppe domande snervanti? Immagino di si.

Recensite, recensite! Mi fate un piacere enorme J (anche per dire che è bruttissima, eh!)

Ora vado avanti con la tesina… Appena riesco a togliermela dai piedi, scrivo il seguito <3

P.S. Se le mie frasi inglesi sono proprio orribili, accetto volentieri correzioni xD

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Capitolo 4
*** I’m hearing what you’re saying but I just can’t make it sounds. ***


I’m hearing what you’re saying but I just can’t make it sounds.

Corsi giù per le scale. Non c’era nient’altro al di fuori del fuggire.

Attraversai il grande atrio senza curarmi di tutti quegli sguardi superiori e curiosi.

Correvo, fuggivo e le lacrime mi bruciavano sul viso.

Fuggivo da cosa, poi?

Da un pericolo, un dolore, un’illusione?

Non lo sapevo.

Appena sentii la brezza fredda fuori dall’edificio mi accorsi di aver dimenticato dentro la giacca. Cavolo! Non potevo assolutamente tronare dentro…

Tutto ciò bastò però a riportarmi alla realtà.

Freddo. Tardi. Casa. Dovevo tornare a casa!

Controllai il cellulare, ed erano le 21 e 48.

Imprecai. Le avrei addirittura sentite dai miei. Ma che importava a questo punto?

Ripresi la mia corsa, che almeno questa volta aveva uno scopo. Scesi di fretta gli scalini della metro e strisciai la tessera.

Presi in tempo il vagone giusto e mi buttai su un sedile. Solo allora mi accorsi di quanto ero devastata. Avevo corso per almeno un chilometro, le lacrime che mi prosciugavano. Cosa avevo fatto il pomeriggio per stancarmi così tanto?

Socchiusi gli occhi di scatto, alla fitta di ricordo.

No. No, l’avrei eliminato. Non potevo permettermi di conservare quella serata. Se si crea un problema, la cosa migliore era eliminarne la causa.

La causa era quella. E avrei fatto il possibile per far finta che nulla fosse mai successo.

Presi un respiro profondo.

Asciugandomi le lacrime, seppi che la decisione era presa.

Scesi dal vagone e m’incamminai verso casa. Senza fretta, perché avevo bisogno di trovare una scusa.

Quando varcai la soglia, però, trovai i miei genitori seduti al tavolo della cucina, intenti a leggere qualcosa sul PC. Mio papà era un uomo sulla cinquantina, la barba grigia lasciata crescere qualche millimetro, gli occhi blu severi, ma che ogni tanto sorprendevo a brillare, quando parlava della sua passione, il viaggio. Con la nascita di mia sorella, il lavoro che richiedeva molto tempo, la mia scuola, la casa e la famiglia in generale, ormai non si può più permettere nient’altro che pochi giorni all’anno. Lo so che soffre, so che è un sacrificio davvero grande. Però quando sfoga questa sua rabbia repressa su di noi, sto male anch’io. E questo capita sempre più spesso.

Mia madre era invece una donna piuttosto ordinaria. O almeno, io la vedevo così. Dicevano che le somigliavo molto: capelli e grandi occhi castani, viso dai lineamenti un po’ appuntiti e liscia pelle olivastra, che d’estate s’imbruniva sempre molto.

Caratterialmente, però, non potevo sentirmi più diversa. Lei si accontentava, io volevo sempre più; lei era semplice, io avevo milioni di sfaccettature; lei era stabile, io ero sempre in bilico. Insomma, la vedevo una figura affidabile, molto attenta alle regole, ma niente di più.

<< Ah, ciao. >> mi disse in modo calmo alzando lo sguardo dallo schermo

<< Ciao! >> risposi fingendo entusiasmo.

<< Vi siete fermate a cena vedo. >> osservò lei senza alcuna traccia di severità. Era calma e per nulla arrabbiata. Bene. Potrà lasciarmi in pace.

<< Si. Sono davvero stanca… Vado a dormire! >>

<< Va bene, buonanotte tesoro. >>

Così mi rifugiai in camera mia.

Cavolo, l’avevo scampata grossa! Non avevano neanche notato che non avevo il cappotto che mi avevano appena comprato…

Però lo noteranno.

Ma ora non ci voglio pensare.

Mi misi il pigiama cercando di non fare troppo rumore, anche se sapevo che Katy non dormiva. Fortunatamente non condividevamo la camera, ma eravamo comunque adiacenti.

Mi gettai sul letto, esausta.

Il giorno dopo sarei dovuta andare a scuola… Avrei dovuto affrontare tutti. Anna, Jess. Davis.

Dovevo farmi coraggio e raccontare tutto. Era la cosa giusta, no?

Tornava a farsi spazio quella dolorosa voragine. Sembrava sempre peggio.

Era come se quel ragazzo fosse arrivato da me, si fosse intrufolato nei miei circuiti, avesse fuso ogni singolo componente e poi se ne fosse andato. Lasciandomi con i pezzi che ancora colavano, sola, a cercare invano di ricomporli.

Nonostante tutto riuscii ad addormentarmi.

 

<< Alice! Alice svegliati o farai tardi! >>

Sentii mia mamma riportarmi alla realtà.

<< Si mamma. >> mugugnai debolmente, stropicciandomi un occhio.

A passi lenti mi avviai in cucina e presi posto a tavola.

<< Penso di aver fatto un sogno strano stanotte… >> cercai di ricordare.

C’era un ragazzo, si. Un ragazzo che… Oh no. No, non era affatto un sogno.

<< Cosa hai sognato…? >> domandò mia madre.

<< Oh no niente, non me lo ricordo… >> mi salvai.

All’improvviso persi l’appetito. Così andai subito a vestirmi: avevo bisogno di pensare.

<< Non finisci i cereali? >>

<< N-non ho fame. >>

Quindi era reale.  Mi ero scontrata con una pop star, che mi ha invitato a bere una cioccolata calda e lì mi ha baciato. Poi siamo andati nella sua camera d’albergo (che era più un attico), mi ha baciata di nuovo, ma lì ho scoperto che non ero assolutamente nessuno. “Assurdo”, continuavo a bisbigliare.

“Eppure, è così, accettalo. Vai avanti.” mi dicevo.

Ovvio, era la cosa più logica!

Ma non volevo, non potevo… Stavo male.

Quel ragazzo… Lo odio! E sarei tornata alla vita reale in un baleno, se non avessi dimenticato lì il giubbotto. I miei non se ne potevano permettere un altro.

Mi preparai in fretta, scesi di corsa senza dare il tempo alla mamma di rimproverare il mio abbigliamento e afferrai la bici.

Subito sentii l’aria muovermi i capelli. Sapevo che era aria sporca, aria impura, ma era aria. Che sapeva di libertà.

In sei minuti e mezzo, come al solito, fui davanti al cancello della scuola.

<< Alice! >> mi corse in contro Anna.

<< Ehi! >> risposi imitando l’entusiasmo.

Entrammo in classe per la prima lezione, che passo tranquillamente.

All’intervallo si avvicinò Davis.

<< Ehi. >> e mi baciò sulla guancia.

A mio malgrado, il contatto mi diede quasi fastidio…

<< Ciao. >>

<< Come stai bella? >>

<< Bene, tu? >>

<< Bene ma… davvero, non ti vedo molto convinta. >>

“A quanto pare, mi conosce più del previsto.”

<< Solo… Solo una nottataccia. >>

Mi abbracciò. E io mi lasciai cullare dalle sue braccia, come se potessero guidarmi verso una soluzione.

Poi però mi ricordai che non sapeva nulla di ciò che era successo la sera prima.

<< Che c’è? >> chiede dolcemente lui, al mio staccarmi bruscamente.

Scossi la testa.

<< Questo pomeriggio ti passo a prendere alle 3, ok? Non me ne frega se devi studiare o cosa, tu hai bisogno di un gelato. >> esclamò lui.

“Davis, no. Non vedi che sono un mostro? Vattene. Per favore. “

<< Va bene. >> sorrisi.

E mi avviai a lezione, con gli occhi che bruciavano.

 

Ciao fantasmini! Questo capitolo è stato assolutamente inutile e vuotissimo, scusate! E’ che tra esami, fratelli ecc. non riuscivo a scrivere.

Ora andrò avanti di filato, miei cari lettori inesistenti.

E’ così bello che nessuno mi segua. Sapete, ci si sente proprio motivati!

In ogni caso, se qualcuno capitasse per caso da queste parti, una recensione sarebbe molto gradita :)

So che sto parlando da sola, comunque, ora vado :)

Un bacio!

Jenn<3

 

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