Fatal Attraction.
Io e Davis avevamo deciso
che per la nostra relazione
sarebbe stata riservata… Quindi, ovviamente, nel giro di due
giorni, tutta la
scuola lo venne a sapere. Comunque, ieri sono stata tutto il giorno con
lui, di
conseguenza Jess e Anna pretendono un’uscita tra amiche.
<< Per questo
pomeriggio, va bene se ti veniamo a
prendere a casa e andiamo in metro al centro commerciale? Un
po’ di shopping
non fa male… >> mi chiese Jess.
<< Perfetto.
Per le 4 può andare? Dobbiamo studiare
chimica prima… >>
<< Si si.
Magari me lo trovo anch’io un ragazzo… Non
sarebbe male… Siete tutte e due occupatissime con i vostri
morosi! Andrò a
sbattere casualmente contro qualche biondino carino questo
pomeriggio… >>
Scoppiammo a ridere
entrambe.
<< Magari poi
usciamo a sei… Anna e Giacomo, io e
Davis, tu e il biondino carino… >>
<< Sarebbe
un’idea… >>
Ci avviammo in classe,
pronte per un’ora di
lotta-contro-la-sonnolenza, alias filosofia.
Semi distesa sul mio banco,
mi immersi nei miei pensieri.
In quei due giorni non avevo proprio avuto tempo di lasciare la mia
mente a
briglie sciolte. Era bello poterselo finalmente concedere…
Insieme a Davis non avevo
più quegli inquietanti attacchi
di paura, pensai. Con lui stavo bene, davvero. Solo che…
Solo che niente! Lui
mi piace e basta. Non c’è nessun ma.
“E se non mi
piacesse abbastanza?” chiese timidamente una
lieve vocina nella mia testa? “E se lo vedessi solo come un
amico?” insistette.
“Non è
così!” rispose Logica.
“Se lo dici
tu…” riuscì a dire la vocina, prima che
io la
estinguessi del tutto.
Sapevo che dovevo fare
quello che era meglio per me, quello
che mi avrebbe fatto stare bene. Quindi… Si, quindi avrei
lasciato che Logica
prendesse il comando. Oh mio dio. Avevo dato un nome ad una vocina
nella mia
testa.
<<
“E’ nella natura del desiderio di non poter essere
soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per
soddisfarlo” diceva
Aristotele. Questo cosa può voler dire, signorina Anna?
>>
Vidi Anna riemergere
velocemente da un dormiveglia, alla
svelta ricerca di una risosta intelligente.
<<
Bè, innanzitutto Aristotele ci dice che la vita è
una continua ingiustizia… >>
Ritornai a perdere il filo
delle parole e mi rituffai nel
mondo dei sogni.
Di una cosa ero certa: non
avrei seguito il filosofeggiare
di uno scrittore probabilmente pazzo al posto della logica.
O almeno pensavo.
Le 4 arrivarono presto,
dopo un pranzo solitario come al
solito, visto i turni sconvenienti dei miei, e i compiti di chimica.
Ero
elettrizzata… Avevo davvero voglia di un pomeriggio fra
amiche!
Mi ripassai mascara e
cipria, mi pettinai i lunghi e
liscissimi capelli scuri, chiusi casa e scesi giù ad
aspettarle.
<< Ehi!
>>
<< Jess,
Anna! >> le abbracciai.
<< Come va?
Studiato chimica? Io penso di aver capito
la metà delle cose che c’erano scritte…
Se non meno. Prenderò 2 al compito…
Oddio non voglio. Le ho già sentite abbastanza oggi per il 6
in italiano. Non è
che potete spiegarmi qualcosina in metro? >>
chiese tristemente Anna, con la sua
voce squillante. Lei era così, ti travolgeva con mille
parole al secondo.
<< Non ora.
Magari al ritorno. Per il momento… Che si
dia inizio al pomeriggio-solo-shopping! >>
esclamò Jess.
Così ci avviammo
verso la stazione.
Non penso di aver bisogno
di descrivere un pomeriggio di
shopping. E’ stato divertente, a parte le cose che ci sarebbe
piaciuto
comprare, che non ci potremo mai permettere… Si, il solito.
Avevamo deciso di andare a
mangiare Mc Donald’s.
<< Oh
finalmente! Stavo morendo di fame! >>
esclamò Jess.
<< Si, per
cambiare… >> aggiunsi io
ironicamente.
Jess fece finta di
offendersi. Nel farlo però, perse la
concentrazione sul proprio panino, che sparpagliò lattuga
sulla sua maglietta.
Ci mise circa cinque secondi ad accorgersi del danno.
Nel frattempo noi eravamo
già a corto di fiato dal ridere.
<< Non
c’è niente di divertente! Aiutatemi a pulire!
>> finse di rimproverarci Jess.
<< Questo lo
dici tu! >> riuscì a dire Anna,
malgrado il suo attacco di ridarella.
Dopo esser riuscite a
finire il pasto, siamo uscite
nell’aria di Milano.
<< Ero stanca
dell’odore di fritto! Aria pulita della
mia città, questo ci voleva! >>
esclamò ironicamente Anna.
<< Certo che
c’è un’atmosfera magica qui, a
quest’ora. Dà la sensazione che tutto è
possibile… >>
dissi io
poeticamente.
<< Oooh Alice
innamorata! >> mi canzonò Jess.
Io ci pensai un secondo. In
realtà, quello che stavo
provando, quella sensazione incredibile di buoni presentimenti, non
aveva nulla
a che fare con Davis. Per dir la verità, non
l’avevo pensato neanche una volta
quella sera… Un po’ mi sentii in colpa.
<< Comunque,
Alice, io non riesco proprio ad
accompagnarti a casa… Scusa, davvero, ma devo essere a casa
prima di mio papà…
>> Anna mi riportò alla realtà.
<<
Neanch’io, mi dispiace… Già ho appena
litigato con
i miei… E’ meglio che non tiri troppo la
corda… >>
<< Fa niente,
tranquille. Me la cavo. >>
risposi sorridente. Perché avevo un presentimento
così strano? Sentivo che
andare a casa da sola era la cosa giusta da fare. Forse stavo
diventando
paranoica…
<< Ok,
bè, grazie per il pomeriggio stupendo… Vi
adoro ragazze. >> ci abbracciò Anna.
Restammo nel calore
dell’abbraccio per un bel po’. Poi Jess
disse che doveva andare, e Anna la seguì. Loro non avevano
bisogno della metro,
abitando qui vicino. A me invece toccava fare 8 minuti di vagone
soffocante… Ad
ogni modo, mi avviai verso la direzione opposta a dove erano andate
loro.
Mi abbandonai ai miei
pensieri… Per essere una serata di
novembre, il cielo era davvero mozzafiato. La luna ormai alta era
completamente
piena, circondata da stelle luminose, che contrastavano magicamente
vista
l’assenza delle nuvole. Probabilmente sembravo una babbea, a
fissare il cielo
così. Sentivo i miei occhi scuri brillare, tanto mi
emozionava lo spettacolo…
Mi sorprendevano sempre quelle piccole meraviglie.
Sentii qualcuno cadermi
addosso.
<< Aih!
>> esclamai, mentre mi resi conto di
essere per terra.
<< Scu-usa!
>> rispose l’uomo su cui ero andata
a sbattere, con un accento straniero, un po’ angosciato.
<< Non
è colpa tua, ero distratta… >>
Lo guardai in viso, dal
basso all’alto. Il mio cuore fece
un balzo, ma lo calmai subito. Era un ragazzo, sui diciotto. Almeno
questo si
riusciva a capire. Non riuscivo però a scorgere i tratti del
viso. Sembrava in camuffamento:
occhiali da sole scurissimi, un berretto tipo baseball piuttosto
usurato, la
sciarpa che gli avvolgeva quasi anche il naso e vestiti completamente
anonimi.
Non mi rispose. Mi porse
però una mano, che notai appena mi
fui rimessa in piedi.
<< Forse, se
ti togliessi gli occhiali da sole
riusciresti a vedere meglio dove vai… >>
scherzai io, sorridendo.
Lui girò
leggermente la testa, come a dire che non
comprendeva quello che stavo dicendo.
<< Where are
you from? >> insistetti cortesemente,
senza sapere il perché.
Lui, forse sorpreso da
questo interessamento, o forse da
altro rispose:
<< England.
>> con quell’accento melodioso.
Abbassò lo
sguardo verso di me, si spostò il cappellino, e
si tirò giù la sciarpa. Poi si sfilò
gli occhiali scuri. E il mio respiro cessò
per qualche istante. Avevo il cuore in gola, ero totalmente paralizzata
dal suo
sguardo che indugiava sui miei occhi. Sembrava che stesse decidendo
qualcosa,
ma io non me ne accorsi. Non mi accorsi di niente, in
realtà. Era come se
l’intero mondo avesse cessato di esistere, o almeno, sentivo
di non aver più
bisogno del resto del mondo. Sentivo solo il cuore battere fortissimo.
Lui non aveva notato nulla,
però.
<< Ehm,
I’m Conor. >> mi porse la mano, con
naturalezza. Il contatto mi provocò dei brividi
così dolorosi e così piacevoli
nello stesso istante, che pensai di non volermene più
staccare. Rimasi
paralizzata per un secondo, un secondo solo, prima di riuscire di nuovo
a
schiarirmi la mente. Conor? Familiare… Sapevo di averlo
già sentito, ma non
ricordavo dove.
<< Hi.
>> dissi un sorriso accennato. Non
sapevo perché, ma in quel momento stavo male. Dopo quegli
istanti di uragano,
dentro di me ricominciava a farsi spazio quella sensazione di vuoto, di
paura,
di inquietudine. Non capivo davvero più niente.
Ci fu qualche secondo di
silenzio, durante il quale io
distoglievo lo sguardo. Avevo il cuore a mille.
<<
So… I’m sorry for the crush. I wasn’t looking where I was going. Are
you ok? >> ruppe l’imbarazzato silenzio lui.
Perché mi stava ancora
parlando? Perché io non me n’ero già
andata? Perché sentivo di non poterlo fare?
<<
It’s… It’s ok. >> riuscii
a rispondere.
<<
Mhm… I was going for a hot chocolate. Would…
Would you like to come with me? >>
chiese. Sembrava imbarazzato.
Il mio primo istinto fu di
seguirlo subito, immediatamente.
Poi tornò Logica. Quella fastidiosa vocina che mi comandava
dentro la mente.
“E’ uno
sconosciuto, Alice. Non sa chi sei, perché dovrebbe
invitarti a bere un frullato? Non ci sono molte risposte…
E’ uno squilibrato,
lascialo perdere. “
No, non mi sembrava uno
squilibrato. Non sembrava neanche
uno che si approfittava delle ragazze. Sembrava semplicemente un
ragazzo, che
voleva invitare la ragazza che aveva investito a bere una cioccolata,
per
scusarsi.
<<
Ehm… Ok! >> mi sentii rispondere.
“Sei impazzita?
Non pensi a Davis?!”
Davis! Cavolo,
Davis… Me n’ero completamente scordata. Mi
sentii tremendamente in colpa. Come aveva fatto quello sconosciuto, con
una
stretta di mano, a farmi dimenticare tutto?
Comunque, quando lui
s’incamminò, lo seguii senza troppi
dubbi. Provavo un’altra stranissima sensazione. Era come se
stessi aspettando
questo momento da tempo, come se l’avessi previsto, come se
già conoscessi quel
ragazzo misterioso che mi camminava affianco, tanto da potermi
già fidare di
lui. Ma io non credevo nel destino, nell’esistenza di un
percorso scritto prima
della nostra nascita che bisogna per forza seguire. No, assolutamente.
Però io,
per qualche assurdo e incontrollabile presentimento, mi fidavo di
quella
persona.
Mi aspettavo che saremmo
andati nella gelateria a dieci
metri da noi, quella sulla strada. Quando invece vidi che lui svoltava
a
destra, in un vicolo poco trafficato puntando a un locale piuttosto
squallido e
poco frequentato, lo guardai perplessa. Scoprii che si era infilato di
nuovo
gli occhiali da sole e la sciarpa, in quello strano camuffamento. Forse
avrei
dovuto diffidare del posto in cui mi stava portando. Ma non ce la
facevo.
Così entrammo.
Lui si guardò bene in giro, e solo dopo che
si fu accertato di qualcosa che non riuscivo davvero a capire,
tornò a scoprire
il viso. Trattenni tuti i miei dubbi in silenzio, mentre lui prendeva
posto in
un tavolino con delle sedie non proprio belle.
<< Please,
sit down. >> mi pregò gentilmente,
appena notò che restavo in piedi dubbiosa.
Nel dirlo, mi
sfiorò il braccio, coperto da un cardigan.
Sentii i brividi estendersi fino alla spalla. Era una sensazione
assurda.
Mi sedetti, trovandomi di
nuovo a domandarmi il perché ero
qui. Cosa l’aveva portato ad invitarmi? Cosa mi aveva portata
ad accettare? Era
una situazione degna di un telefilm per teen-ager, che non combaciava
alla vita
reale. Assolutamente no. Cose del genere accadevano solo nella
finzione. La
realtà era diversa, concreta e prevedibile.
Tuttavia, decisi di
chiedergli qualcosa, forse per riempire
l’enorme vuoto pieno di incertezze che si celava dentro di
me.
Quindi lo guardai negli
occhi. E rimasi di nuovo senza
fiato, con la bocca semi-spalancata, incapace di ragionare. Cerano
miliardi di
pensieri, dubbi, risposte, incertezze, incomprensioni che si celavano
dentro
quegli occhi azzurri. Miliardi e miliardi di cose che mi sono sorpresa
voler
scoprire, conoscere. Volevo vederli per ore, non guardarli, proprio
vederli.
Quando mi accorsi di aver
bisogno d’aria, mi ridestai.
Improvvisamente mi sembrava così difficile, così
superfluo respirare… Ma non
potevo fare la figura della scema.
<<
Ehm… Are you here in holiday? >> chiesi con
il mio inglese imperfetto.
<<
Oh, no. It’s for work. >>
rispose, quasi divertito. Continuavo a
non capire.
<<
What job do you do? >> chiesi infine.
<<
Ehm… >> sembrava incerto. Cos’era, una pornostar? Non vedevo
altrimenti il
motivo di tanta vergogna…
<<
I’m a singer. >> rispose, con un sorrisetto
che mi sembrava di sfida.
<< A
singer? Really? Wow. I’m sorry, I don’t think I
know you… >>
esclamai.
Poi tutto mi fu chiaro.
Come avevo fatto a non collegare?!
Conor! Quello di cui mi aveva parlato Davis. Lo stesso che una folla di
ragazzine
isteriche inseguiva pochi giorni fa…
<<
It’s ok. >> sorrise.
Calma, Stai calma, Alice.
E’ una persona come un’altra.
Ma perché ci
stavamo parlando? Era per caso uno strano
scherzo del destino?
<<
Why did you invite me here? >> chiesi
allora seccamente.
Lui mi guardò,
un po’ deluso. Ci pensò qualche secondo.
Mi spiegò che
aveva litigato con il suo manager, che era
piuttosto stressato, quindi è praticamente fuggito
dall’hotel.
Capii perché
teneva il viso coperto, ed era spaventato
quando mi è finito addosso… Se io mi fossi messa
ad urlare sarebbe stato un
disastro.
Iniziammo così a
parlare. Fu più facile del previsto, visto
che ognuno era interessatissimo alla vita dell’altro.
Distrattamente, appoggiai
le mani sul tavolo. Mi accorsi
che lui cercava di stringerle solo quando sentii i brividi percorrermi
tutto il
corpo. Guardai prima le mani intrecciate, poi posai lo sguardo sul suo
viso.
Non sapevo davvero cosa
fare.
<<
Listen, I have a boyfriend… >>
riuscii a dire contro la mia
volontà.
<<
Oh, I’m sorry. I didn’t want to create problems for
you… >>
allentò leggermente la presa.
<< No,
it’s ok. >>
dissi incerta.
<<
it’s just… Awsam. I can finally talk to someone
who treat me as Conor. Just
me. You’re nice, “Elis”.
>>
Aveva letto la mia
catenina. Il mio nome pronunciato
all’inglese, con un tono così dolce,
così persuadente, da dover essere vietato
dalla legge. Oltre a notare quanto incredibile fosse la sua voce,
riuscivo a
coglierne anche il messaggio. Riuscivo a capire un po’ della
sua vita, che a
prima occhiata sembra perfetta.
Considerando
che l’uomo mente in continuazione, doveva essere piuttosto
ovvio che nessuna
vita era come la si dava a vedere, no? Invece non era così.
Ovvio
che
non era così. La gente aveva preso come modello di vita
questo ragazzo, che si
era ritrovato su un piedistallo senza nemmeno accorgersene. La gente lo
chiamava
“idolo”, perché era riuscito a
realizzare i suoi sogni. Ma la gente tante volte
non si accorgeva che magari anche lui era debole, avrebbe voglia di
gettare via
tutto, rivorrebbe a volte la vita in cui se commetteva un errore non
c’era
tutto il mondo pronto a criticarlo.
<< Yeah, I mean,
I love my
fans. But sometimes I forget who I really am, and I pretend to be who
they
think I am. It’s… complicated.
>> tenne lo sguardo basso mentre
esprimeva I suoi pensieri.
<<
Hey. I can understand. >> non riuscii a resistere alla
tentazione di
avvicinarmi e mettergli una mano sulla spalla, per rassicurarlo.
Lui
si girò,
mi guardò negli occhi e sfiorò il viso con una
mano. Con l’altra mi cinse la
vita. Mi guardò negli occhi e io sussultai. Distolse subito
lo sguardo, per
posarlo sulla mia bocca. Improvvisamente mi ritrovai avvolta dal suo
profumo,
pulito, sensuale e ricercato. Ne ero completamente inebriata. Il mio
respiro
cessò per qualche istante, vittima
dell’intensità di quel contatto che ardeva
come fuoco. Ma io volevo di più. Lui voleva di
più. Non esisteva più nulla, al
di fuori di quell’abbraccio.
Vi ho lasciato con il fiato
sospeso eh?! Hehe...
Come avete visto,
ho mantenuto la promessa, si sono incontrati. E qua ha inizio l'enorme
caos che si creerà. Si bacieranno oppure lei, fedele a
Davis, gli tirerà uno schiaffo? Che intenzioni ha lui?
Dovranno dirsi addio quella sera stessa? Cosa diranno Anna e Jess?
Per Alice iniziano già i dubbi... E il prossimo
capitolo sarà piuttosto intenso!
Vi chiedo di nuovo se
per favooore potete recensire, dire cosa ne pensate... Anche solo un
"è bruttissima" mi aiuta! Grazie mille :D
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