Biotherium Vampire

di Malvagiuo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Roy e l'Altro ***
Capitolo 2: *** Moon Valley ***
Capitolo 3: *** Ash ***
Capitolo 4: *** La prova ***
Capitolo 5: *** Il siero H ***
Capitolo 6: *** Un nuovo lavoro ***
Capitolo 7: *** Analisi ***
Capitolo 8: *** Rapporto ***
Capitolo 9: *** Sunday Heaven ***
Capitolo 10: *** Cambio di prospettive ***



Capitolo 1
*** Roy e l'Altro ***


SPAZIO AUTORE
Anche se solo di recente, ho riclassificato questa storia con rating rosso. Devo avvertire i lettori che, per diversi capitoli, non ci saranno scene di particolare violenza né trattazione di tematiche forti. Più avanti, la storia prenderà una svolta che motiverà la mia decisione di assegnare tale rating. Fino a quel momento, spero che possiate divertirvi ugualmente.
 
Serrai le palpebre, mentre l’ago penetrava nella carne. Inspirai profondamente.
Un gesto ripetuto decine di volte, eppure facevo ancora fatica a credere che lo stessi facendo per davvero. Un giorno, forse, avrei capito cosa mi avesse spinto ad accettare quell’incarico.
Aprii gli occhi nello stesso istante in cui il pollice premette il pistone della siringa. Ancora una volta, il biotherium inondò le mie vene e si insinuò in ogni meandro del mio corpo. Avevo sempre trovato affascinante come qualcosa di così piccolo potesse influire in maniera così prepotente su un organismo di decine di miliardi di volte più grande. Una molecola, un agglomerato di particelle di dimensioni submicroscopiche, che nella giusta concentrazione era in grado di modificare così radicalmente un individuo.
L’iniezione endovenosa aveva un effetto immediato. Il biotherium si fece sentire subito. I muscoli si contrassero, la vista divenne momentaneamente sfocata, olfatto e udito persi per diversi minuti. Impossibilità di mantenere l’equilibrio. Se mi avessero versato dell’olio bollente in bocca o sulla pelle, non avrei sentito nulla. La perdita di ogni sensibilità indicava che la sostanza stava predisponendo il mutamento.
Ancora pochi istanti di umanità. Poi, sarei stato di nuovo uno di loro.
 
Roy Savage si sollevò bruscamente dal letto.
I suoi occhi saettarono in direzione del braccio sinistro. Una siringa dal pistone abbassato era conficcata nella vena, una cinghia di cuoio stringeva il braccio in corrispondenza dell’attaccatura dell’omero. Afferrò la siringa e la estrasse come se fosse stata un pugnale piantato nell’addome, gettandola poi dall’altra parte della stanza. Slacciò la cinghia e un rivolo di sangue prese quasi subito a scorrere dal foro dove era stata praticata l’iniezione. Senza badarci, Roy si precipitò verso la sedia in mezzo alla stanza e afferrò il giubbotto di pelle, infilandoselo.
Guardò l’ora. Le nove e dieci.
Perché aveva aspettato così tanto, prima di farsi l’iniezione? Sempre più spesso, Roy si ritrovava a pensare che l’Altro stesse rincoglionendo a ritmi allarmanti. Sapeva che quello era il suo vero io, ma era sempre più convinto che non per questo fosse quello migliore. Roy non commetteva errori. L’Altro, beh... ultimamente ne stava facendo un po’ troppi.
Roy Savage era il frutto di una interazione chimica. La sua psiche, le sue emozioni, il suo comportamento, tutto quanto di lui nasceva da quindici milligrammi di biotherium per endovena. Aveva solo bisogno di un corpo che ospitasse quei quindici milligrammi di polverina magica.
Dopotutto, un errore lo aveva commesso: aveva sprecato un altro minuto speculando. Senza stare a pensare un istante di più, Roy spalancò la porta e la sbatté alle sue spalle, scendendo le scale fino al garage sotterraneo.
 
Il rombo del motore della Supernova Z-3000 era una cosa che lo metteva sempre di buon umore. Gli faceva persino dimenticare le mancanze dell’Altro. Quella notte aveva del lavoro da fare, una piccola missione che celava una grande opportunità.
Accelerò fino ai centoventi nel tratto di autostrada che collegava il Distretto 121 con Moon Valley.
Moon Valley... un nome quasi poetico. Roy si chiese se i costruttori, all’epoca in cui chiamarono la zona in quel modo, si aspettassero cosa sarebbe diventata cinquant’anni dopo. Avrebbero dimostrato una lungimiranza fuori dall’umano, se ci fossero riusciti. Progettata per essere una lussuosa zona residenziale in riva al fiume, Moon Valley non era mai diventata niente del genere. Ma ciò non significava che la zona non avesse riscosso un certo successo, nei cinquant’anni in cui si era trasformata nel covo della minoranza vampirica di Nuova Beryon. 

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Capitolo 2
*** Moon Valley ***


Nubi grigie a strati ricoprivano la volta notturna, smorzando il bagliore argenteo del plenilunio. La luna piena era il momento migliore per una visita a Moon Valley, se eri un vampiro.
C’era una cosa che Roy Savage adorava dei vampiri e, quindi, della sua vita: la teatralità. Atteggiarsi a vampiri era la cosa più divertente ed eccitante che ci fosse in quell’emisfero del pianeta.
Ovviamente, una comunità vampirica – come quella di Moon Valley – non aveva niente a che fare con i vampiri delle leggende della madrepatria terrestre. Nel corso dei secoli, ‘vampiri’ era il nome che la gente aveva dato ai reduci del disastro di Galvanon 12. Se all’inizio per loro poteva essere fonte di disagio essere etichettati come mostri, col passare degli anni si erano resi conto che la cosa spalancava le porte a diverse, interessanti prospettive. Il controllo di interi quartieri metropolitani, per dirne una. All’emarginazione si faceva il callo ben presto.
Nonostante Moon Valley fosse di fatto un ghetto, nessuno all’interno della comunità si sentiva emarginato. Al contrario. Far parte della comunità vampirica veniva considerato, da chi ne faceva parte, un privilegio di cui andar fieri. Essere un vampiro significava far parte di un’élite di poche migliaia di persone in una città di cinque milioni di abitanti.
Il Nilo Rosso scorreva placido e torbido lungo la riva est. Sulle sponde crescevano come incrostazioni decine e decine di edifici dalle sagome spezzate. Sembrava una città in macerie, quando in realtà non era altro che lo stile architettonico a cui i vampiri più si erano affezionati. Nuovo gotico, lo chiamavano. Roy lo adorava. Ma bisognava per forza essere un vampiro per apprezzarlo. Nessuno dei normali avrebbe considerato bella quella parte di Nuova Beryon.
Densi fiotti di fumo bianco si sollevavano a sprazzi lungo i marciapiedi delle strade del quartiere. Un alone verdastro circondava la sommità degli edifici, coprendo parte della notte. I bagliori delle insegne luminescenti dei night club e dei pub si riflettevano sulla carrozzeria della Supernova di Roy. Il traffico era intenso, ma non c’era pericolo di restare imbottigliati. Non c’erano semafori o altri dispositivi di controllo del traffico a Moon Valley, unico distretto della metropoli a godere di questa particolarità. Inutile dire che non esistevano pubblici ufficiali, dopo il calare delle tenebre. Una volta scomparso il sole, Moon Valley cessava di esser parte di Nuova Beryon e si trasformava in una città dentro la città.
Roy abbassò il finestrino, espose il braccio sinistro e lo appoggiò sull’intera fiancata. Quel piccolo gesto permetteva di identificare chiaramente il suo status. Nessun normale avrebbe mai osato esibire così platealmente un arto nel quartiere dei vampiri. Moon Valley, infatti, non era frequentata solo da vampiri. In verità, c’erano un sacco di motivi che potevano spingere i normali a fare un salto nel ghetto, dopo una certa ora.
Roy ne vide alcuni procedendo a passo d’uomo lungo la Stoker Avenue.
L’insegna luminosa del Lovely Blood investiva di luce rossa l’intera strada per un raggio di un miglio. Impossibile da non notare. E Roy era pronto a scommettere che oltre metà delle persone in coda davanti all’entrata non fossero vampiri. Ciò che motivava un’attesa così lunga era nitidamente esposto nelle vetrine ai due lati dell’ingresso. Bellissimi corpi sinuosi impegnati in una danza lasciva con un pugnale insanguinato. Se quelle femmine seminude fossero umane o vampire, Roy non poteva intuirlo da quella distanza. Ma che appartenessero all’una o all’altra specie, Roy era sicuro che i clienti sarebbero rimasti soddisfatti.
Uscito dalla Stoker Avenue e imboccata a sinistra Carmilla Street, Roy vide un altro valido motivo che attirava i normali nei cupi angoli della valle dei vampiri. Senza preoccuparsi troppo di esser visto, un uomo – un normale, senza dubbio – acquistava una siringa da un corriere in giubbotto di pelle. Anche se dalla macchina non poteva distinguere i dettagli, Roy sapeva che il contenuto di quella siringa era un rosso, costoso e lucroso surrogato della sostanza che lui stesso si era iniettato pochi minuti prima.

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Capitolo 3
*** Ash ***


Roy parcheggiò in un vicolo asfaltato racchiuso tra due edifici a pochi metri dalle banchine sul fiume. Scattata la serratura automatica, avanzò nell’ampio spazio aperto a cui conduceva la strada principale. Era un luogo buio e malsano, una pellicola di umidità ricopriva ogni superficie. A pochi passi di distanza, il rumore dell’acqua che scorreva e l’occasionale tuffo di qualche ratto rompeva il silenzio tombale che regnava ovunque. In lontananza, giungeva il fracasso attutito della vita notturna di Moon Valley. La luce diafana dei lampioni che illuminava l’area davanti alle banchine creava un’atmosfera che rispondeva in pieno ai gusti di un vampiro. La nebbia che si alzava dal fiume contribuiva a dare un aspetto tenebroso all’ambiente.
Teatralità, ricordò Roy.
Quello era il luogo dell’appuntamento. Conoscendo le persone con cui stava per trattare, Roy sapeva di essere già sotto osservazione. Ma non avrebbe saputo dire se chi lo stesse osservando in quel momento da qualche parte nella nebbia – perché lo stavano osservando, di questo era certo – fosse solo una sentinella o qualcuno di più importante.
Per ingannare l’attesa, accese una sigaretta. In concomitanza con il primo sbuffo di fumo, un rumore di passi nella notte rivelò la presenza di qualcun altro nella zona abbandonata del porto.
Guidato dalla brace della sigaretta di Roy, un normale fece la sua apparizione dalla coltre di nebbia e smog che aleggiava dappertutto.
I normali erano facili da riconoscere. Avevano un odore diverso. Inoltre, le loro pupille si adattavano continuamente a seconda dell’intensità della luce. Questo era vestito bene, con una giacca di stoffa nera pregiata da milleduecento bareon, pantaloni altrettanto raffinati e altrettanto costosi, camicia bianca con livrea dorata all’ultima moda neoberyoniana. Di certo, non un nativo di Moon Valley. Sarebbe stato scambiato per un agente di borsa, a vederlo alla luce del sole. I capelli biondi curati e pettinati all’indietro, gli occhi azzurri e il colorito sano rivelavano chiaramente la sua discendenza dalla terza generazione di coloni di Bareon. In parole povere, un piccolo ricco del centro di Nuova Beryon.
«Roy, immagino».
«Dipende» rispose Roy.
Il normale sorrise.
«Hai ragione. Sono Ash» disse, protendendo una morbida mano dalle dita sottili verso Roy.
«In tal caso, sì. Sono Roy». I due si strinsero la mano.
«Siamo molto compiaciuti di come hai gestito la situazione con Frazer. Un lavoretto impeccabile».
«E per soli trecento bareon» ribatté Roy. «Perché non mi metti alla prova con un lavoro da duemila verdoni?»
Ash sorrise conciliante. Roy poteva leggere nella sua mente. Metaforicamente, s’intende. Ash vedeva in lui l’ennesimo vampiro in cerca di una promettente carriera di malavitoso laggiù, nei bassifondi di Nuova Beryon. L’ennesimo frustrato e avido minatore che voleva scalare i gradini della gerarchia criminale dei clan vampirici, un disperato bramoso di conquistarsi il suo angolo di città da controllare.
Un novello Eric DeBethoral, magari.
Roy sbuffò una nuvoletta di fumo in faccia ad Ash, che rimase impassibile. Il sorriso non abbandonò mai le sue labbra per tutto il tempo che durò il faccia a faccia con quel nuovo, ennesimo perdente.
«Per duemila verdoni al secondo incarico, mi aspetto la perfezione».
«Quand’è che posso chiamarti ‘capo’?».
Ash ruppe finalmente il monolitico sorriso per abbandonarsi a una breve risata.
«Sei simpatico, Roy. Mi piaci» disse Ash. «Spero proprio che tu sopravviva».

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Capitolo 4
*** La prova ***


La vettura di Ash era una Bioadrium del 2126. Doveva trattarsi di una riproduzione, dato che – se Roy ancora sapeva valutare le persone – uno come Ash non poteva avere il denaro e le conoscenze necessarie a mettere le mani su un modello originale.
Riproduzione o meno, era chiaro che Ash, nonostante fosse un normale, doveva essere qualcuno di importante all’interno del clan per cui lavorava. Magari addirittura un pezzo da novanta. Svelare la sua identità avrebbe dato una notevole spinta verso l’alto alla carriera dell’Altro.
Monitorare le attività dei vampiri non era affatto semplice. Oltre alla teatralità, tenevano estremamente a cuore un’altra cosa: la segretezza. Pur conoscendo ogni dettaglio degli affiliati di rango più basso, non era per niente facile scoprire informazioni sulle identità dei membri più in alto nella scala gerarchica. Tutto quello che si conosceva dei boss, poi, era un nome fittizio. Nessuno poteva risalire ai natali di un vampiro, una delle tante perdite conseguenti al disastro di Galvanon 12.
I sedili in pelle dell’automobile scricchiolarono deliziosamente quando i due passeggeri si sedettero. Ash mise in moto e il poderoso bolide, dopo un paio di manovre, fece echeggiare il rombo del suo motore nelle claustrofobiche vie di Moon Valley.
«Allora, capo. Dove andiamo?» domandò Roy.
«Quanta fretta, Roy. Prima c’è ancora una formalità. Un rito di passaggio, se vuoi».
Roy rimase in silenzio. Capì dove l’altro voleva andare a parare.
Erano in viaggio da cinque minuti quando la Bioadrium svoltò a sinistra, immettendosi in una stradina laterale. La via sfociò in una zona industriale, dove le basse sagome di capannoni chiusi o dimessi riempivano lo sfondo circostante. Tutt’intorno era deserto. Quando Ash spense il motore e questi si fu raffreddato, il silenzio più completo calò su di loro.
Ash aprì la portiera e scese, seguito senza esitazione da Roy. Il distinto negoziatore del clan lo condusse a uno dei magazzini che si ergevano come sepolcri nei dintorni, uguale nello squallore e nella fatiscenza a tutti gli altri.
Il cancello principale era sprangato. Ash non si stava dirigendo lì, ma aveva preso il sentiero che, attraverso pile di immondizia maleodorante e colonie di ratti e parassiti di ogni sorta, conduceva alla parete laterale esterna della costruzione. All’estremità del passaggio si trovava una rete metallica che impediva di proseguire fino all’altro capo del corridoio. Lungo il muro, era situata una porta metallica di dimensioni comuni, chiusa con una serratura a lucchetto. Ash estrasse una chiave e aprì la serratura, invitando Roy ad entrare una volta che la soglia fu spalancata, oltre la quale si intravedeva solo il più buio più nero.
Senza farsi pregare, Roy penetrò nell’edificio. Un’eventuale telecamera con visione notturna avrebbe individuato, negli occhi di Roy, il particolare bagliore costante tipico delle creature adattate alla vita notturna. Il buio non era di alcun ostacolo per Roy, che vedeva ogni cosa all’interno del capannone.
Non c’era molto da notare, al suo interno: era un comune locale adibito in passato allo stoccaggio delle merci e a saltuarie operazioni industriali. Ora che era abbandonato, non conteneva altro che attrezzi metallici sparpagliati ovunque, polvere, cadaveri di animali, vetri infranti, un tanfo pestilenziale e la totale assenza di aria pulita. Un buco perfetto per sistemare qualcuno senza farlo sapere al vicinato.
Da buon normale, Ash aveva bisogno di luce per vedere dove stesse mettendo i piedi. La sua mano indugiò un po’ alla ricerca dell’interruttore, che infine trovò. Un solo lampadario si accese, dei quindici appesi al soffitto. Era quello situato all’estremità sud del capannone, dove Ash e Roy si diressero una volta chiusa la porta da cui erano entrati. La visione di Roy si adattò istantaneamente al nuovo cambio di luminosità.
«Meglio tener accesa una sola luce. Se illuminassimo a giorno tutto il magazzino, qualcuno potrebbe notarlo» spiegò Ash.
Roy rimase in silenzio. All’angolo di quella parte dell’edificio, di fronte a una colossale incrostazione di muffa verdastra, stava una poltrona pieghevole in plastica. Un modello che una volta, forse, usavano i dentisti. Di certo non dentisti che avevano operato negli ultimi cento anni.
«Siediti pure».
Roy obbedì, subito dopo essersi tolto il giubbotto di pelle. Si tirò su la manica della camicia e si preparò a ricevere quello che Ash stava per dargli. Da una tasca interna della giacca, il normale estrasse una siringa contenente venti millilitri di un liquido rosso.
«Spero sia di buona qualità» sibilò Roy.
«Ottima, non preoccuparti» sorrise Ash.
Afferrata la siringa, Roy si iniettò nella vena – la stessa nella quale erano ormai penetrate dozzine di dosi di biotherium – il sangue opportunamente trattato di un altro, sconosciuto essere umano. La prova che Ash richiedeva a Roy affinché questi dimostrasse di essere un vampiro.
Un’iniezione che l’avrebbe ucciso se fosse stato un normale, ma che l’avrebbe nutrito ed eccitato se fosse stato chi diceva di essere.

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Capitolo 5
*** Il siero H ***


Dieci minuti dopo essere entrati, Ash e Roy uscivano dal capannone e si dirigevano verso la Bioadrium. Il normale ne uscì come ne era entrato, mentre Roy era in preda a quello che veniva chiamato stato d’eccitazione da emodose.
Anche se la loro fonte di nutrimento principale era il sangue umano, i vampiri non lo assumevano più per via orale, mordendo e succhiando il collo dei normali. All’inizio, in effetti, succedeva proprio questo. Molti osservatori, ai tempi in cui si manifestò per la prima volta l’esistenza della sindrome vampirica, la scambiarono per episodi di cannibalismo. Solo in seguito si comprese che in realtà le vittime non erano state divorate, ma solo private di una parte consistente del loro sangue. Da allora, si cominciò a parlare di vampiri.
L’assunzione di sangue per via orale non era sufficiente per un comune vampiro adulto di settanta chili. Per sopravvivere, occorrevano cinque litri di sangue al giorno. Ciò avrebbe significato dover risucchiare ogni goccia di sangue dal corpo di un normale. Non essendo possibile, questo fatto aveva come conseguenza il dover mietere più di una vittima nel corso di una notte. Uccidere troppe persone significava attirare l’attenzione massiccia delle autorità, e innescare la caccia al vampiro.
Inoltre, c’era un aspetto ancora più importante da tenere in considerazione.
Il sangue per via orale non veniva assorbito completamente. Molte delle sue sostanze nutritive venivano distrutte dai processi gastrici. Solo una piccola parte di nutrimento sopravviveva alla digestione, costringendo quindi il vampiro a uccidere non meno di sei persone alla volta. Con migliaia di vampiri in circolazione… si faceva presto a capire quanto grave potesse essere il rischio sul piano sociale.
Per fortuna, le cose erano cambiate con la riscoperta del siero H.
Se la formulazione del siero H fosse andata perduta anch’essa nel disastro di Galvanon 12, probabilmente i vampiri non avrebbero avuto altra scelta per sopravvivere che aggredire i normali e succhiarne il sangue, così facendo scatenando l’epurazione della comunità vampirica di Nuova Beryon. Senza siero H, i vampiri sarebbero già stati sterminati.
Il siero H non era nient’altro che sangue per preparazione iniettabile, opportunamente modificato per non dare complicazioni trombo-emboliche e concentrato per assicurare il nutrimento nel vampiro che lo assumesse. La vendita era consentita solo in appositi centri medici e solo su presentazione di certificato che attestasse l’affezione dell’individuo da sindrome vampirica.
Il siero H, per quanto meraviglioso, non era esente da lati oscuri.
Tanto per dirne uno, l’insorgenza della cosiddetta ‘euforia del cacciatore’, che l’assunzione di sangue per via orale non provocava. Non era ancora chiaro il meccanismo che provocasse questa curiosa alterazione psicologica. Una sensazione di piacere talmente potente che ben presto persino i normali avevano cominciato a interessarsi al siero H.
Non appena era apparsa la domanda, aveva cominciato a sorgere l’offerta: un siero H opportunamente modificato per i normali. Stesso sballo del siero H originale, nessuna complicanza fatale. Non a breve termine, almeno. In pochi anni, il siero H modificato era diventato la droga più chic di Nuova Beryon. Raro, costoso e mortalmente assuefacente. Nei posti giusti, ci si poteva procurare una dose pagando tra i duecento e i trecento bareon.
Il nuovo siero H era diventato il flagello della società neoberyoniana. L’eroina e la cocaina erano diventate storia, tutti volevano solo siero H. Con una richiesta tanto elevata e una clientela disposta a pagare grosse cifre per essere soddisfatta, i clan della droga non avevano impiegato molto a nascere e a prosperare. Tutti i clan erano comandati da vampiri, poiché era stato proprio un vampiro a ritrovare la formula del siero H. Non appena aveva capito che quella sostanza poteva essere molto più di un farmaco per la sopravvivenza, si era ingegnato per renderla fruibile anche ai normali. E il suo parto più meraviglioso era stato il nuovo siero H.
In tutta Nuova Beryon, non esisteva un vampiro più potente del suo inventore: il leggendario Eric DeBethoral.

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Capitolo 6
*** Un nuovo lavoro ***


La Bioadrium raggiunse il centro di Moon Valley. Luci sgargianti e schiamazzi notturni riempivano l’aria, mentre le macchine avanzano sui due lati della corsia. Nessuna insegna e nessuna musica provenienti dai locali attirarono in modo particolare l’attenzione di Roy. Il suo disinteresse era in gran parte dovuto all’euforia dell’iniezione.
L’eccitazione aveva accresciuto i suoi sensi. I resti di animali in putrefazione nelle fogne sotto il manto stradale, il tanfo dell’acqua torbida che fluiva in rigagnoli dai marciapiedi affollati, il profumo degli esseri umani, vampiri e normali, della loro pelle, dei loro abiti, dei loro genitali… tutto contribuiva a formare l’alone malsano dell’intera città.
Il veicolo su cui viaggiavano svoltò in una stradina laterale tra due locali. Sul retro degli edifici, un ampio parcheggio sorvegliato accoglieva diverse autovetture di lusso. Il sorvegliante all’ingresso riconobbe Ash e li lasciò passare. Scese dalla Boadrium ancora accesa assieme a Roy e affidò il bolide a un addetto al parcheggio. Non ebbe bisogno di ricevere il biglietto per poterla poi ritirare: era evidente che nessun altro avrebbe potuto ritirare un simile gioiello. Si rafforzava la teoria sull’importanza di Ash all’interno del clan.
Entrati dalla porta sul retro, Ash e Roy furono investiti dal chiasso che regnava nel locale. Un misto di musica rimbombante ad alto volume e urla deliranti degli avventori. Il verde era il colore dominante, generato da un riflettore sul soffitto che mandava lampi e fasci luminosi sagomati su tutta la pista da ballo. Una miriade di corpi dai contorni indefinibili nella semioscurità si agitavano in una sorta di danza orgiastica, uomini e donne, normali e vampiri, una buona parte dei quali sicuramente in preda all’estasi dovuta a una cospicua emodose nelle vene.
Roy non era insensibile a quell’eccitazione. Dopotutto, egli stesso aveva l’emodose in corpo. Fu quasi tentato di mollare Ash e unirsi al resto della clientela del club. Aveva già adocchiato un paio di femmine che soddisfacevano i suoi gusti. Entrambe parevano accompagnate. Ciò incrementò ulteriormente la frenesia di Roy, poiché il fatto che le donne avessero già dei corteggiatori aumentava le probabilità di una rissa. E dopo aver pestato gli uomini, si sarebbe preso le donne, che lo volessero o no. Nessuno glielo avrebbe impedito, perché nessuno a Moon Valley si metteva sulla strada di un vampiro su di giri. Sangue, botte e stupro: un programma allettante. La bestialità più pura, l’abisso più abietto riportati a galla con pochi millilitri di dose. Le meraviglie della chimica.
Ma Roy non fece nulla di tutto questo, pur desiderandolo.
La sua parte razionale era ancora dominante, e sapeva di avere del lavoro da fare.
Attraversarono il locale per intero e raggiunsero una scalinata che portava al seminterrato. Laggiù, l’ambiente era completamente diverso. La stanza in cui entrarono era asettica, bianca, silenziosa. E deserta. Lo spazio era ampio a sufficienza da contenere i dieci frigoriferi da laboratorio disposti lungo le pareti.
Ash si pose di fronte a uno di essi e lo aprì. Dentro il frigorifero, e presumibilmente dentro ognuno degli altri, i ripiani erano occupati da siringhe imbustate contenenti un liquido rosso. Siero H.
«Siamo in uno dei depositi più piccoli» disse Ash. «Quello che c’è qui dentro lo vendiamo in una settimana, per lo più ai clienti di sopra».
Ash prese dal frigo cinque siringhe. Le pose dentro un thermos e lo consegnò a Roy.
«Cinque emodosi. Valgono almeno milletrecento bareon» spiegò Ash. «Vediamo quanto tempo impieghi a venderle e, soprattutto, quanto riesci a ricavare».
Roy strinse la superficie gelida e lucida del thermos. Fissò Ash negli occhi.
«Quant’è la mia parte?»
«È la tua prima volta. E sei in prova. Non aspettarti molto» disse Ash, senza smettere di sorridere. «Facciamo così: se le fai andare in meno di due giorni e riesci a tirarci su duemila bareon, ottocento sono tuoi».
Roy esibì un ghigno.
«Mi piace trattare con te, capo».
Ash sorrise di rimando.
«Se sei bravo come sembri e se impari presto qual è il tuo posto, presto avrai soldi sufficienti da fare il bagno nel siero H».
 
Due ore più tardi, Roy era a casa. Aveva con sé tutte e cinque le siringhe, dentro al thermos. Le tolse dal contenitore isolante e le mise in frigo. Solo quattro sarebbero andate al dipartimento di polizia del Distretto Centrale, l’indomani mattina.
Dopo mezz’ora, la quinta gli stava già penetrando nella vena.

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Capitolo 7
*** Analisi ***


Il sole penetrò attraverso le tapparelle, abbagliandomi.
Mi sembrava di avere carne macinata al posto del cervello. Non riuscivo a formulare un solo pensiero di senso compiuto. Sapevo che, non appena mi fossi alzato a sedere sul bordo del letto, sarei stato investito da un conato talmente forte da obbligarmi a correre in bagno per rigettare. I tipici sintomi da post-overemodose.
Ancora una volta, Savage aveva fatto quello che gli pareva.
Si era attenuto alle norme prestabilite, certo, ma per quanto riguardava la gestione del suo evidente stato di dipendenza manifestava ancora una deplorevole mancanza di autocontrollo.
Mi avrebbe condotto alla rovina. Già allora lo sapevo.
Savage non ero io. I suoi ricordi in parte mi appartenevano, ma quando diventavo lui perdevo ogni controllo sul mio corpo. Eppure, non c’erano dubbi sul fatto che quella personalità – così diversa dalla mia, così contrastante con i miei principi – esistesse davvero, e si annidasse da qualche parte nel mio subconscio, latente, in attesa che il biotherium spezzasse le catene che la tenevano intrappolata.
Ricordavo gli eventi della sera prima. Ricordavo Ash e ricordavo le dosi.
Mi alzai e mi precipitai a vomitare.
 
«Ha problemi a gestire Savage?» chiese Sigurdsson.
«No. È tutto sotto controllo» mentii.
Il dottor Harold Sigurdsson era il responsabile del dipartimento di scienze applicate del corpo di polizia del Distretto 121. Sotto la sua supervisione venivano sintetizzate le dosi di biotherium e venivano monitorati gli agenti sotto copertura che ne facevano uso. Non era facile distinguere i segni di squilibrio a cui può andare incontro un soggetto sotto somministrazione di biotherium. Si tratta di segnali sottili, facilmente celabili, che solo un esperto è in grado di ravvisare. A volte, nemmeno un esperto ci riesce.
Dopo un rapido test di allineamento oculare e una serie di domande attitudinali, fui lasciato andare. Il capitano Sanders mi aspettava per il rapporto.
«Agente Hikell?» mi richiamò Sigurdsson.
Mi voltai.
«Volevo solo avvertirla di rafforzare il suo controllo sull’alter ego per quanto riguarda l’assunzione di emodosi. I suoi valori ematici non sono allarmanti, ma questo mese abbiamo rilevato per due volte picchi sopra la norma di lidocaina».
Annuii e me ne andai.
Lidocaina... e pensare che Ash aveva assicurato a Roy che l’emodose era di ottima qualità. La lidocaina era usato come diluente, un tipico mascherante di cui ci si serviva per nascondere la scarsa qualità del siero H iniettato. Il dolore conseguente all’iniezione di impurità del siero veniva celato da quel potente anestetico, che serviva anche ad incrementare la sensazione di euforia.
Entrai nella sala rapporto e mi sedetti sull’unica sedia presente in mezzo alla stanza. ‘La sala allegra’, era chiamata nel gergo degli infiltrati. Un bunker di cinque metri per cinque, alto sei metri, tre pareti di cemento armato e una di vetro antisfondamento. Una lastra perennemente opaca, che non permetteva di vedere gli inquisitori dall’altra parte, era il solo interlocutore dei vertici con cui io o qualunque altro infiltrato avessimo mai parlato.
«Agente Henry Hikell, nome in codice Falena, agente sotto copertura Roy Savage, a rapporto».
«Ti ascolto, agente Hikell».

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Capitolo 8
*** Rapporto ***


«L’agente Savage ha stabilito un contatto con il clan DeBethoral. Un intermediario dell’organizzazione, presentatosi come Ash, ha procurato all’agente alter ego quattro emodosi da rivendere, fornendo precise specifiche sul tempo da impiegare e il guadagno da ricavare. È un piccolo inizio, ma pur sempre un inizio. Se Savage riesce a colpire Ash con le sue capacità di emotrafficante, potrebbe risalire i gradini dell’organizzazione fino a scoprire alcuni nomi dei vertici».
Un breve silenzio.
«Ottimo lavoro, Hikell. Ha portato con sé le dosi?»
«Le ho consegnate al dottor Sigurdsson per l’analisi e l’archiviazione».
«Bene. Può prelevare il denaro che le occorre dal solito conto cifrato. Ha altre informazioni da riportare?»
Esitai.
Nelle ultime ore, mi erano riaffiorate dalla memoria le pulsioni sessuali provate da Savage durante il tempo trascorso nel night club.
«Nessuna informazione. Mi è concesso fare una domanda?»
Un altro silenzio, della durata di pochi secondi.
«Sì, agente Hikell».
«Cosa prevede il protocollo in caso di perdita di controllo dell’alter ego?»
«La procedura è chiara. In caso di alienazione psichica da scissione emisferica biotherium-dipendente, il soggetto viene sollevato dall’incarico e sottoposto a mappatura cerebrale. In caso di esito positivo, si procede con la riabilitazione. In caso di esito negativo, è previsto un unico esito».
Sapevo bene a quale esito alludeva.
In passato, si erano già verificati casi di alienazione mentale biotherium-dipendente.
 La scissione degli emisferi cerebrali comportava una forma di schizofrenia dove la personalità dell’alter ego diventava prevalente. In parole povere, l’Altro assumeva il controllo del corpo. Avveniva una vera e propria sostituzione della psiche, dove l’Altro rimuoveva come un parassita vorace ogni difesa della psiche originaria e prendeva il controllo del cervello.
Era il peggior esito possibile a un’esposizione prolungata di biotherium. La gravità del fenomeno consisteva nel fatto che, oltre a venir cancellata la psiche dell’agente, la nuova psiche arriva a dominare a tal punto il cervello ospite da agire come se la falsa identità fosse sempre esistita. In sintesi, se l’Altro era convinto di essere un vampiro, assumeva definitivamente l’identità del vampiro. Diventando un vampiro, e per essere precisi un vampiro criminale, poteva arrivare a diventare una talpa all’interno della polizia al servizio di un clan. Per questo i vertici del dipartimento, in maniera paragonabili a quelli dei clan vampirici, si proteggevano con l’anonimato: c’era sempre il rischio che un agente infiltrato si trasformasse in un vampiro infiltrato. Il biotherium era un’arma a doppio taglio. Nel caso in cui il taglio ferisse la mano che l’aveva creato, quella mano non esitava un istante a sbarazzarsi dell’arma.
Diversi agenti sotto copertura erano stati soppressi per la psicosi indotta. Ben tre solo nell’ultimo anno.
Accettare l’esposizione al vampirismo non significava solo addentrarsi nel mondo dei vampiri, ma anche combattere ogni giorno per conservare la propria umanità. Una lotta che terminava solo con la cessazione della somministrazione di quella sostanza micidiale. A volte, non bastava neppure quello.
Mi alzai dalla sedia e abbandonai la sala allegra.
Quella notte avrei rivisto Ashl, con quattro emodosi in meno e parecchie migliaia di bareon in più.
Non avevo dubbi sul fatto che l’avrei impressionato. I miei dubbi erano tutti impegnati nell’esito della mia guerra quotidiana con un nemico che mi spaventava ben più di qualunque vampiro o di qualunque cartello della droga infestasse Nuova Beryon.
Un nemico che non potevo né arrestare né denunciare.

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Capitolo 9
*** Sunday Heaven ***


Quando Roy varcò la soglia del Sunday Heaven, ad accoglierlo, oltre al ritmo martellante della musica e alla caotica promiscuità dei sessi sulla pista da ballo già notati la sera precedente, ci fu una coppia di buttafuori dall’aspetto imponente e che non diedero segno di riconoscerlo.
Il colorito mortalmente pallido e la rete di vene bluastre che copriva l’intera superficie della cute non lasciava adito a dubbi.
Vampiri.
Entrambi gli energumeni superavano Roy in altezza di almeno una spanna. Tentando di aggirare la fila di clienti per entrare direttamente nel locale, Roy aveva sperato di essere riconosciuto e di entrare senza problemi. Aveva contato sul fatto che l’atteggiamento sicuro di sé gli avrebbe consentito l’accesso – come se fosse stato un abitué –, dal momento che solo due categorie di persone potevano permettersi di sfoggiare tanta sicurezza da quelle parti: i vampiri e gli spacciatori.
La tattica si rivelò fallimentare.
«Dove credi di andare, amico?»
Una mano poderosa si frappose tra l’entrata del locale e i dieci centimetri di aria che separavano il naso di Roy dal palmo gigantesco.
«Non ho tempo di fare la fila. Lasciami passare» rispose Roy, con una sottile nota di irritazione nella voce.
L’energumeno esibì un ghigno strafottente.
«Lasciassimo entrare tutti quelli che dicono così, non rimarrebbe una sola dose in tutta Moon Valley ». Alla battuta, il collega ridacchiò. «Dai, amico, in fila come tutti gli altri».
La pazienza non era una delle doti di Roy. Poco ma sicuro.
«Ascoltami bene, amico» sibilò. «Io tra cinque minuti entrerò in questo locale, e ci sono due modi in cui il suddetto evento avrà luogo. Caso numero uno: voi mi lasciate passare e io entro. Caso numero due: io entro e voi finite a vomitare sangue davanti a questo mucchio di figli di puttana».
Roy non si curò molto di abbassare la voce mentre apostrofava con quell’epiteto poco gentile la clientela in attesa di entrare. Più di un volto si girò basito nella sua direzione. Ciò che avrebbero fatto i normali era quanto di meno importante ci fosse al mondo, in quel momento. La sola cosa che contasse erano i due buttafuori che gli si paravano di fronte, e la loro reazione imminente.
Una reazione che non si fece attendere.
Esattamente due secondi dopo la pronuncia dell’ultima sillaba di ‘figli di puttana’, un poderoso gancio fluttuava nell’aria diretto alla mascella pericolosamente esposta di Roy. Con un rapido calcolo mentale, Roy valutò che a quella distanza e a quella velocità il colpo avrebbe fratturato l’osso con una gravità tale da costringerlo a una riabilitazione di sette mesi. In caso di parata, il braccio avrebbe riportato anch’esso danni di una certa entità. La soluzione più ovvia fu pertanto quella di abbassarsi e schivare il colpo.
Così fece, e una volta abbassatosi si presentò l’occasione perfetta per sferrare un montante col destro in mezzo alle gambe del buttafuori. Colta l’occasione, Roy sentì i genitali dell’avversario spiaccicarsi attraverso la stoffa dei pantaloni contro le sue nocche.
Il pugno era stato sufficientemente forte da annichilire qualunque resistenza da parte del primo buttafuori. Rimaneva il secondo. Mentre il primo crollava all’indietro trafitto dal dolore, Roy si sentì afferrare le spalle da due tenaglie che serrarono i suoi muscoli in una morsa. Sentì le ossa scricchiolare ma, prima che potesse liberarsi dalla presa, una gigantesca testa pallida e ricoperta di vene azzurrine precipitò contro la sua fronte. Il dolore fu accecante, la vista fu assente per diversi secondi. Il sangue colò copioso sul naso, fino alla bocca. Forse fu proprio il sapore del proprio sangue a risvegliare il lato peggiore dell’istinto selvaggio di Roy.
La scarica di adrenalina non tardò a sopprimere il dolore e a raddoppiare le sue forze. Pur accecato, Roy afferrò gli avambracci dell’avversario e premette la punta dei pollici contro quei polsi muscolosi con tutta la violenza di cui disponeva. Le sue dita perforarono la carne del buttafuori, da cui sgorgarono immediatamente due fiotti di sangue che allagarono il marciapiede.
Il buttafuori non riuscì a mantenere a lungo la presa con simili ferite, e Roy ne approfittò per divincolarsi e puntare alla sua gola. Il morso fu profondo al punto che Roy riuscì a distinguere i vasi sanguigni del collo man mano che li sfiorava con i denti. Sarebbe bastato uno strappo al punto giusto e il tizio sarebbe morto dissanguato nel giro di due minuti. Ancora pochi secondi e la situazione sarebbe degenerata ancora di più.
«Roy! Per la miseria!»
Riconobbe subito la voce. Nello stesso istante, Roy mollò la presa.
Ash lo fissò perplesso.
«Santo Cielo, bastava che chiedessi di me!»
Una macchia di sangue si allargava dalla bocca di Roy fino alla camicia. Si passò una mano sulla bocca, in un futile tentativo di pulirsi.
«Non ci avevo pensato».
Ash alzò gli occhi al cielo.
«Entra. Spero che tu sappia lavorare meglio di come conduci le pubbliche relazioni».
«Mi sono trattenuto» ribatté Roy. «Alla fine non hanno vomitato sangue».

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Capitolo 10
*** Cambio di prospettive ***


Sistematasi nel privé nel retro del locale, Roy estrasse tre mazzette di banconote rossastre e le gettò sul tavolino davanti al quale si era seduto Ash.
«Tremila bareon».
Ash sgranò gli occhi per un istante. Roy non faticava a indovinare le ragioni del suo stupore. Era una cifra esorbitante per una notte di lavoro. Intuiva che ben pochi nel suo giro avrebbero fatto di meglio.
«Impressionante» disse Ash. «Sei il negoziatore più abile che vedo da molto tempo».
Afferrò una delle mazzette e la lanciò a Roy.
«Per questo ti meriti un compenso particolarmente abbondante. Sei stato davvero bravo.»
Intascati i mille bareon, Roy rimase imperturbabile a fissare Ash che estraeva una valigetta da sotto la poltrona e la apriva, infilandoci dentro le banconote.
«Ti porto anche dell’altro, stasera».
Ash alzò gli occhi.
«Sono tutt’orecchi».
Roy, che non si era ancora seduto, si mise comodo sulla poltroncina dirimpetto al tavolino dove sedeva Ash. Dal locale giungeva attutito il fragore della musica, rimbombando lungo le pareti.
«Ho bisogno di molte emodosi» esordì.
Ash sorrise.
«Vuoi scalare in fretta, vedo. Non ci vedo nulla di male, ma devi essere cauto. Riconosco la tua bravura, ma non bisogna premere troppo l’acceleratore...»
«Non sto parlando di dosi da spaccio. Sto parlando di dosi per me».
Ash inarcò un sopracciglio.
«Per te?» Ash rimase un momento in silenzio, incerto su dove volesse andare a parare quel discorso. «Perché dovrei dartele?»
Roy esibì un sorriso raggelante. Perfino Ash si sentì a disagio per un istante.
«Per mantenere il mio attuale stato di Alter Ego».
Ash rimase paralizzato. Comprese immediatamente l’entità di quello che stava dicendo l’individuo di fronte a lui. Comprese per la prima volta chi era l’essere con cui stava parlando. La sua mano, lenta ma decisa, fece un movimento istintivo in direzione della pistola infilata nella tasca interna della giacca.
«Non è necessario, Ash. E poi, non servirebbe a niente. Se ti volessi morto, non potresti fare nulla per salvarti».
A malincuore, Ash riconobbe che era la verità. Si maledisse per la stupidità del suo gesto, e per aver mostrato a Roy quel segno di debolezza.
«Se ho capito bene, vuoi che ti procuri le emodosi per mantenerti Roy Savage».
«Esatto» Roy continuò a sorridere. «Non voglio più essere l’Altro. Questa vita mi si addice decisamente di più».
«Sei uno sbirro infiltrato, dunque».
«No» sussurrò Roy, sporgendosi sul tavolino in direzione di Ash. «Ero uno sbirro infiltrato».
Ash inspirò a fondo.
«Capisco. Non posso prendere questa decisione da solo. Devo chiedere ai vertici. Nel frattempo...»
Ash si diresse verso il bancone del bar privato nella stanza e si accovacciò dietro di esso. Scomparve alla vista per qualche secondo. Quando riapparve, aveva in mano tre siringhe.
«Queste ti basteranno finché non avrò una risposta. Parliamoci chiaro» disse Ash, assumendo un’espressione severa per la prima volta da quando Roy lo conosceva. «Trasformare te nell’Alter Ego dominante comporterà la tua totale devozione al clan. Questo significa che dovrai passarci ogni informazione in tuo possesso. Non solo. Dovrai essere un contro-infiltrato, con rischi maggiori e minore sicurezza. Sei consapevole di questo?»
Roy lo fissò.
«Mi credi stupido?»
Ash tornò a sorridere.
«No. Ecco perché inoltrerò la tua richiesta a DeBethoral».

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