Note d'autrice:
Questo è il rifacimento della prima ff mai scritta in vita
mia. Ringrazio StillAnotherBrokenDream per il costante supporto e vi
ricordo che i commenti sono sempre ben accetti :)
Buona
lettura, Roby.
Ps: si
prega di non copiare.
PROLOGO
«Non
me ne importa niente okay? Ti ho detto che... No!» scosse il
capo
mentre caricava con una mano i bagagli in auto.
La
notte precedente aveva appena risolto una faccenda un po'
“scottante”
quando l'avevano chiamata per assegnargliene subito un'altra.
“Solo
tu puoi risolvere questo problema” le
avevano detto e quando aveva sentito di cosa si trattava non era
riuscita a dire di no.
Allison
Morgan aveva un difetto: amava il suo lavoro per quanto schifoso
fosse. Negli anni, dopo la morte dei suoi genitori ed il cambiamento
di suo fratello aveva provato ad uscirne, ma non era mai riuscita a
farlo. Anni ed anni a fare quell'orrendo mestiere faccia a faccia con
gli incubi peggiori di ognuno eppure non riusciva a staccarsene del
tutto. Aiutare la gente era la parte migliore e a lei piaceva pensare
che fosse quel dettaglio a renderle tutto difficile da lasciare alle
spalle.
Poche
volte invece aveva pensato che fosse perchè non aveva altra
scelta;
cose come quelle perseguitano per sempre, che lo si voglia oppure no.
Richiuse
il bagagliaio e rimandò indietro i capelli con un gesto
nervoso. Li
strinse tra le mani e poi li lasciò scivolare di nuovo lungo
le
spalle: onde castane morbide e lucenti, una delle poche cose che
amava di sé. Li aveva presi da sua madre: stesso spessore,
stessa
lunghezza, stessa forma. Solo il colore era diverso, sua madre Alice,
li aveva di un bel rosso caldo, lei no. Da sua madre aveva anche
preso la pelle, rosea e liscia, di velluto. Gli occhi nocciola e le
fossette sulle guance invece li aveva presi dal padre, e lui l'aveva
sempre sottolineato con un moto di orgoglio nella voce.
«La
mia bella bambina...» diceva
«Ha i miei occhi e le mie fossette, non
è adorabile?»
e lei arrossiva ogni volta, imbarazzata ma intenerita da quella
dimostrazione di affetto paterna.
Era
stato un padre perfetto il suo, attento e premuroso nonostante il suo
lavoro lo tenesse lontano da casa per molto tempo. Era un luminare
della medicina, e questo aveva il suo prezzo. Anche sua madre era
stata una madre perfetta, sicura e determinata le aveva insegnato ad
essere la donna che adesso era. Le mancavano ogni giorno e la loro
morte non smetteva di rivivere nella sua mente, ogni notte, appena
chiudeva gli occhi. Per molto tempo aveva pensato che sarebbe stato
meglio lasciare quella casa intrisa di ricordi, ma poi aveva deciso
di rimanere. Lì dentro c'erano anche i ricordi belli e
quelli non
voleva dimenticarli per nulla al mondo.
«Non
capisci Carl!» urlò attraverso il telefono
«Non posso stare in due
posti contemporaneamente. Come diavolo dovrei fare? Non mi interessa,
trova qualcun altro... No, no... non dire così io non...
Perchè
devo essere io a trovare qualcuno? Vacci tu, puoi cavartela... Beh si
hai ragione, non puoi, ma trova qualcun altro. Davvero non posso.
Fammi sapere come va a finire, hai capito? E non urlarmi contro. Si
va bene, ciao.»
Fece
un grosso respiro e si passò le mani sul viso, poi si mise a
sedere
distrattamente sul bagagliaio della sua auto. Aveva sonno,
necessitava decisamente di una bella dormita, ma non ne aveva il
tempo. Scosse il capo facendo uno sbadiglio e si stiracchiò
roteando
il collo per sgranchirlo. Quando scricchiolò si
sentì meglio.
«Avrei tanta voglia di dormire...»
sussurrò raggiungendo il sedile
del guidatore.
Alzò
gli occhi per guardare di nuovo la sua casa prima di partire e fu
allora che lo vide: un uomo sui quarant'anni, di bell'aspetto ma
dall'espressione vuota e malinconica, la osservava in piedi accanto
ad una delle colonne del suo portico. Chi diavolo era?
Allison
richiuse lo sportello e lo raggiunse a passi lenti assicurandosi di
avere con sé le armi necessarie a difendersi se ce ne fosse
stato
bisogno, anche se ne dubitava. Se c'era una cosa che aveva imparato
in tanti anni di duro mestiere era leggere negli occhi della gente, e
gli occhi di quell'uomo sembravano essere dalla parte giusta. Tristi
ed incattiviti dal tempo forse, ma buoni.
«Mi
scusi,» gli disse quando fu a pochi metri da lui
«posso aiutarla
signore?»
Lui
si guardò intorno e fece un altro passo verso di lei.
Guardingo e
attento si schiarì la voce tenendo le mani nelle tasche
della giacca
sdrucita «Sei tu Allison Morgan?»
«Forse.»
rispose prontamente lei «Chi la sta cercando?»
L'uomo
tirò le mani fuori dalla tasca e se ne passò una
sulla nuca quasi
volesse alleviare un qualche fastidio «Mi chiamo John
Winchester e
ho bisogno del tuo aiuto.»
****
«Hey,
guarda lì.» Dean indicò con la testa il
ponte sul quale un
discreto numero di poliziotti se ne stava vicino ad un'auto. Nella
ricerca di loro padre nulla era da sottovalutare, quindi il maggiore
dei Winchester aveva deciso di fermare l'auto e scendere a dare
un'occhiata. Sospirò mordendosi l'interno della guancia
destra e si
voltò verso il fratello. Gli sorrise con quell'espressione
strafottente che Sam odiava e allungò la mano fino al
cruscotto. Lo
aprì e ne tirò fuori una vecchia scatola di
compensato. Sollevò il
coperchio e prese dentro due distintivi. La richiuse e ne diede uno a
suo fratello.
Lui
lo prese e lo guardò con aria stupita «Sceriffi
federali?!» chiese
a metà tra la domanda e l'esclamazione «Sei
impazzito per caso?»
Dean
rise e lo ignorò, scese dall'auto e richiuse lo sportello
piano
piano, senza rischiare di far danno alla sua baby,
la sua
preziosa Impala del '67. Sam lo seguì dopo pochissimi
secondi, e in
silenzio mentre camminava guardandosi intorno si chiese
perchè
cavolo aveva deciso di seguirlo. Suo padre era perfettamente in grado
di badare a se stesso e anche Dean lo sapeva. Iniziava a credere che
l'avesse trascinato con lui solo per il gusto di farlo, solo per
fargli capire che magari quel lavoro gli mancava.
Ma
si sbagliava, Sam Winchester aveva sempre odiato la caccia, se se ne
era andato a Stanford, lontano da tutto, lontano dalla sua famiglia
era perchè voleva una vita normale, sicura. Alzarsi al
mattino,
andare a lezione fino alla laurea e poi lavorare come avvocato,
tornare a casa dalla sua dolce Jessica e sposarla, avere una
famiglia.
Sospirò
guardandosi intorno e man mano che si avvicinavano alla macchina
larghe macchie di sangue si fecero visibili sui finestrini di
quell'abitacolo abbandonato, facendogli intuire che c'era davvero
qualcosa che non andava. Deglutì cercando di tenere sotto
controllo
la sua ansia e mise le mani nelle tasche della sua giacca marrone.
Non
era spaventato, perchè quella era stata la sua vita per
moltissimi
anni; mostri e creature di ogni tipo, e già a nove anni con
una
pistola sotto il cuscino pronto a cacciare gli esseri che sarebbero
sbucati da sotto il letto. Ma non lo faceva da parecchio, ed era
sempre un'esperienza forte ritornare al soprannaturale. Anche se,
doveva dire, si era sempre tenuto informato sui fatti più
bizzarri
che avvenivano in giro per il paese. Questo però a Dean non
l'avrebbe detto. Quando furono vicini ai poliziotti si
stampò sul
viso un'espressione seria e decise di rimanere in silenzio.
«Salve.»
disse loro Dean mostrando velocemente il falso distintivo
«Sceriffi
federali.»
«Sceriffi
federali?» chiese di rimando il poliziotto «Non
siete un po' troppo
giovani?»
«Oh...
lei è molto gentile ufficiale.» gli disse ancora
Dean «Allora, che
succede qui?» chiese girando intorno all'auto.
«Questa
è l'auto di un ragazzo della città,
Troy.» spiegò il poliziotto
«Non sappiamo cosa sia successo. Non ci sono impronte, niente
di
niente. Stiamo ancora cercando di capire cosa si accaduto.»
«E
di Troy ovviamente non c'è nessuna traccia
giusto?» chiese Sam
intromettendosi.
«No!»
esclamò l'altro poliziotto «Troy era il ragazzo di
mia figlia. Lei
sta appendendo manifestini ovunque.»
Dean
annuì guardando l'auto, poi sospirò dando una
pacca sulla spalla a
Sam «Grazie signori.» disse a tutti. Si
allontanò seguito dal
fratello e si schiarì la voce «Non sanno neanche
con cosa hanno a
che fare.»
«Nemmeno
noi.»
«Ma
noi lo scopriremo, loro continueranno a brancolare nel buio.»
Sam
scosse il capo abbozzando un sorriso e poi si fece serio davanti allo
sceriffo e a due veri federali.
«Avete
bisogno di qualcosa, ragazzi?» chiese loro l'uomo.
«No...
no...» farfugliò Sam «Ce ne stavamo
andando signore.»
«Agente
Mulder, agente Scully...» disse Dean ai due federali e sotto
agli
sguardi perplessi dei due si allontanarono scuotendo poco il capo e
risalirono in auto.
«Allora...»
sospirò Sam «Che facciamo ora?»
«Cerchiamo
la fidanzata appendi volantini e vediamo se lei sa
qualcosa...»
rispose Dean. Lo guardò arricciando la bocca e accese la
radio
lasciando che la musica degli AC/DC risuonasse ad alto volume
nell'auto.
****
Allison
sistemò delle zollette di zucchero in una piccola ciotola di
ceramica e la portò in salotto su un vassoio con due tazze
di caffè
e del latte. Lo posizionò sul tavolino e si mise a sedere
sulla
poltrona guardando il suo stanco visitatore. Non era solita far
entrare in casa dei perfetti sconosciuti, ma qualcosa nello sguardo
di quell'uomo sapeva rassicurarla. Era quasi paterno, quasi...
indifeso, nonostante la grossa pistola che nascondeva nella tasca
della giacca.
«Allora,»
iniziò schiarendosi la voce «esattamente che tipo
di aiuto potrei
darle, John?»
L'uomo
tuffò una zolletta di zucchero nel caffè e dopo
una breve mescolata
con un cucchiaino se la portò alle labbra «Credo
che tu lo sappia
Allison.»
«Davvero?
E come esattamente?»
John
Winchester sorrise amaramente e poggiò la tazza sul vassoio,
poi si
schiarì la voce e tirò fuori dalla tasca una
mappa, la spiegò
sull'angolo del tavolino libero e gliela mostrò indicando un
punto
preciso. «Sai che posto è quello?»
Allison
corrugò la fronte e si sporse poco per guardare meglio sulla
mappa:
Jericho, lo sapeva bene, ma in quale modo un punto su una mappa
stropicciata rispondeva alla sua domanda?
«È
Jericho,» rispose zuccherando il suo caffè e
prendendo la tazza in
mano «ma non capisco come questa indicazione possa rispondere
alla
mia domanda.»
«Io
e te facciamo lo stesso mestiere, e i miei figli anche. Loro mi
stanno cercando, ho lasciato delle tracce che partono da Jericho. Una
serie di casi da risolvere che comunicherò loro strada
facendo. Non
sanno dove io sia e faranno di tutto per trovarmi. Vorrei che tu li
cercassi e lavorassi con loro.» spiegò l'uomo.
Allison
sospirò e bevve un altro sorso di caffè, poi si
mise più comoda
sulla poltrona e lo scrutò a fondo prima di rispondere
«Ipotizzando
che io sappia di cosa lei stia parlando, in questo lavoro nessuno si
fida di nessuno, quindi cosa le fa credere che i suoi figli mi
prenderanno in “squadra”?»
John
poggiò la schiena al divano e fece spallucce scuotendo poco
il capo
«Non lo faranno. Dovrai guadagnarti la loro fiducia e
sopratutto non
dovrai mai dire loro che sono stata io a mandarti lì. Io e
te non ci
siamo mai visti.»
«Mi
faccia capire...» replicò lei facendo un gesto
riassuntivo con la
mano «Devo raggiungere i suoi figli a Jericho, conquistarmi
la loro
fiducia, seguire passo passo i casi che lei ha sistemato ad arte
lungo la strada e tenere loro nascosto il fatto che io ed il loro
padre, che stanno cercando, abbiamo fatto una piccola riunione nel
mio salotto bevendo caffè?»
«Esatto.»
«E
come diavolo dovrei fare secondo lei?»
«Non
lo so,» ripose John alzandosi dal divano «ma sono
certo che
troverai un modo.»
«Bene,
allora posso almeno sapere perchè?»
«No,
non puoi.» rispose lui.
«Oh
si certo.» rispose Allison alzandosi a sua volta
«Andiamo da
Allison, strappiamola via alla sua città e alla sua casa
senza dare
risposta alle sue domande; diamole ordini criptici e indicazioni
strampalate senza uno straccio di spiegazione, vediamo se accetta.
Beh sa che le dico, lei è pazzo e non ho nessuna intenzione
di
aiutarla. Perciò se ne vada e si dimentichi di questo
incontro.»
John
chiuse gli occhi per un attimo e poi la prese per le spalle piano
«Sta succedendo qualcosa di molto grosso Allison. Un demone
ha
ucciso mia moglie e non sono certo che abbia smesso di cercare la mia
famiglia. Gli sto dando la caccia da ventidue anni e non posso... io
non posso dire ai miei figli dove sono, non posso riunirmi a loro
perchè passerei troppo tempo a preoccuparmi per loro,
perchè con me
non sarebbero al sicuro.» le disse tutto d'un fiato
«Non posso
costringerti ad aiutarmi, ma spero che lo farai. Avrai le spiegazioni
che vuoi a tempo debito.» prese un pezzo di carta e glielo
mise in
mano «Memorizza questo numero e butta via questo bigliettino.
Aiutami ti prego.»
Allison
Morgan sospirò e si spostò indietro i capelli
castani «Perchè
io?» chiese allargando le braccia.
«Perchè
tu sei quella giusta per farlo. Sei Allison Morgan ed entrambi
conosciamo il peso di questo nome.» si mise le mani in tasca
e fece
un grosso respiro «Chiamami solo se strettamente necessario,
altrimenti aspetta che sia io a farlo. Mi terrò in
contatto.»
«Hey,
non ho ancora detto di si... Hey!»
Ma
John Winchester era già fuori di casa. L'aveva lasciata
lì con un
bigliettino da distruggere ed un mucchio di altri pensieri e
preoccupazioni. Aveva ragione, entrambi conoscevano il peso di quel
nome e lei se lo portava sulle spalle da troppo tempo per non
iniziare a sentirne la pesantezza. Memorizzò le dieci cifre
e poi
appallottolò il bigliettino e sospirò voltandosi
piano. «Cosa ne
pensi?» chiese.
«Non
lo so.» rispose il suo interlocutore
«Però mi sembrava
sinceramente preoccupato. Dovresti andare.»
«Ma
che succede se non riesco a conquistarmi la loro fiducia, se qualcosa
va storto?»
«Andrà
tutto bene.»
«Tu
credi? Come fai a dirlo?»
«Sei
Allison Morgan, il tuo nome ha il suo peso ma lo ha per delle buone
ragioni. Fai attenzione.» rispose lui.
Sparì
così come era venuto, d'improvviso ed Allison rimase ferma
con dieci
cifre nuove stampate nella sua mente ed una nuova sfida.
«Cavolo!»
esclamò «Non so nemmeno come si chiamano questi
due.» scosse il
capo e salutò la sua casa prima di uscire senza sapere
quando e se
sarebbe tornata.
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