Dalla Stella Polare all'Infinito

di LoonyW
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prometti? ***
Capitolo 3: *** There's no place like home ***
Capitolo 4: *** Pareidolia ***
Capitolo 5: *** I shall not walk alone ***
Capitolo 6: *** You found me ***
Capitolo 7: *** Tell her this ***
Capitolo 8: *** Wonderwall ***
Capitolo 9: *** I dreamed a dream ***
Capitolo 10: *** Are you sure? ***
Capitolo 11: *** ...And found ***
Capitolo 12: *** Carry on ***
Capitolo 13: *** Ya'aburnee ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dalla Stella Polare all’Infinito
 

 
 

L’equazione di Dirac  afferma che:
“Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo
e poi vengono separati, non possiamo più descriverli come due sistemi distinti,
ma in qualche modo sottile diventano un unico sistema.
Quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro,
anche se distanti chilometri o anni luce."

 
 
 
 
2 Novembre 1981, Inghilterra.
 
La Stella Polare brilla quieta e distante nel cielo d’Ottobre. Sirius la guarda e pensa a quanto sia incredibile che quell’astro segni sempre il Nord, irremovibile.
“Dovunque ti trovi, sarò la tua Stella Polare, il tuo punto di riferimento. La tua via verso casa.”
Sirius sembra assente, mentre le forze dell’ordine magiche lo fermano e lo portano via senza che opponga resistenza. Un Auror lo strattona bruscamente, guardandolo disgustato. Sirius alza lo sguardo per un attimo e la vede tra la folla, con il cappotto rosso -che lui aveva tanto preso in giro ai tempi di Hogwarts, chiamandola “Babbo Natale”- e i capelli scuri scomposti dal vento.
Sirius la guarda e pensa “Che diamine ci fai qui? Dove sei stata finora? Perché sei tornata proprio adesso?”.
Mary lo guarda, sconvolta e ignara della verità, e Sirius sa che anche lei lo considera un assassino; lei, la sua Stella Polare.
Ma è questione di un attimo: Sirius viene buttato a terra da un uomo infuriato –forse parente di una delle vittime- e quando si volta di nuovo lei non c’è più.
 

***

 
15 Giugno 1979, Francia.
 
«Bonjour, mademoiselle»
«Bonjour»
«C’è posta per lei»
«Merci» rispose Mary, mettendo il naso fuori dalla porta del suo appartamento in periferia per dare un’occhiata alle stradine francesi che aveva imparato a conoscere e amare.
«Au revoir, mademoiselle» sorrise il giovane postino sollevando il cappello in segno di saluto a cui lei rispose con una piccola riverenza, lanciando un ultimo sguardo fuori per poi chiudere la porta alle sue spalle.
La lettera non riportava il nome del mittente, ma Mary riconobbe ugualmente la mano che aveva scritto il destinatario.
Aprì la pergamena piegata ai quattro angoli –tratto caratteristico delle lettere di Sirius- e lesse le poche lettere scritte.
“Ti troverò. Dovessi cercarti dalla Stella Polare all’infinito”.
Sirius.
Una lacrima andò ad infrangersi all’estremità della pergamena, richiamando l’attenzione di Mary sulla data in cui la lettera era stata scritta: 3 Luglio 1978, il giorno in cui aveva lasciato l’Inghilterra e i suoi amici, con poche parole e molte lacrime.
Il foglio che il postino le aveva lasciato insieme alla lettera spiegava il ritardo della consegna a causa del suo cambio di indirizzo.
Mary si prese la testa tra le mani chiedendosi se, a migliaia di chilometri di distanza, Sirius sapesse che lei aveva finalmente letto la sua promessa.

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Capitolo 2
*** Prometti? ***


Prometti?
 

 
 
 
 

 
«Non prendere mai decisioni importanti quando sei arrabbiato,
e non fare promesse quando sei felice»
 

 
 
 
 
Giugno 1978, Scozia.
 
«Un brindisi a Pix e a quanto ci mancherà!» esclamò James commosso e un po’ brillo.
«Ssssht!» lo zittirono subito gli altri ridendo, preoccupati che qualcuno li beccasse.
Era l’ultima sera prima che iniziasse il Gran Ripasso per i M.A.G.O., e i Malandrini si erano riuniti insieme alle ragazze nella Stanza delle Necessità per stare insieme e dare un addio alla vecchia, cara Hogwarts.
«Chi vuoi che ci senta, non sanno nemmeno dell’esistenza di questo posto» sghignazzò James, avvolgendo le spalle di Lily con un braccio.
«E non l’avremmo scoperto neanche noi, se non fosse stato per il vecchio Pete» sorrise Sirius con fare fraterno, dando una pacca sulla spalla dell’amico, che divenne rosso al ricordo.
«Hey, nessuno ci ha mai raccontato come hai fatto a scoprire la Stanza!» intervenne Lily curiosa.
«Già, Pete, racconta la storia!» lo incitò James ridendo.
Peter negò più volte con il capo, ridacchiando e arrossendo allo stesso tempo.
«Dai, Wormtail¹, non fare il timido» lo stuzzicò Sirius facendogli il solletico sulla pancia.
«Daaaai, Pete!» implorarono Lily, Mary e Dorcas, utilizzando l’arma degli “Occhi Dolci”.
«Inutile che ci provate, bellezze, gli occhi da cerbiatto escono bene solo a me» scherzò Sirius pavoneggiandosi fintamente.
«Già, hai una straordinaria capacità nel fare gli occhi da cucciolo ferito quando devi farti perdonare» lo punzecchiò Mary, provocando risatine e fischi di provocazione da parte degli altri.
«La zona-flirt è quella a destra, ragazzi, adesso voglio sentire la storia» li interruppe Dorcas bruscamente, rivolgendosi di nuovo a Peter –che aveva sperato invano di essersela scampata.
«Forza, Peter, togliti il pensiero» lo consolò Remus.
Peter sospirò fintamente esasperato, e mormorò a bassa voce delle parole farfugliate, tra le quali i ragazzi colsero “la Bulstrode²”, “luogo per nascondersi” e “mi inseguiva”.
Facendo due più due, Lily dette un piccolo urlo di sorpresa e divertimento. «La Bulstrode ti inseguiva?!»
I Malandrini risero al ricordo del povero Peter, che correva per salvarsi dalla furiosa passione di Rebecca Bulstrode, cacciatrice di prede indifese e amante degli inseguimenti dei poveri sventurati che osavano rifiutarla.
«Stavo correndo senza sosta pregando che apparisse un posto dove nascondermi, ed è comparsa la Stanza» spiegò Peter con un filo di voce, imbarazzato, ma pur sempre divertito.
«Hai capito il vecchio Peter» sorrise Mary «non puoi lamentarti che nessuna ragazza ti corteggia, allora»
«Quella non è una ragazza!» negò Peter «è una maniaca!»
«Già, devo concordare» disse James, con una smorfia.
Anche Remus annuì, segno che fu interpretato dalle ragazze come la prova della verità. Sentivano sempre il suo parere non per sfiducia verso gli altri tre, ma perché spesso James, Sirius e Peter tendevano a enfatizzare o a esagerare nei racconti e nei giudizi, mentre Remus era sempre il più imparziale e oggettivo.
«Be’, almeno potrai vantarti di essere stato inseguito da una ragazza» lo consolò Lily.
«Un cinghiale, vorrai dire..» disse James a bassa voce.
«James!» lo riprese Lily, con uno schiaffetto sulla spalla.
«Sembrano già marito e moglie» sospirò Remus, con uno sguardo indefinito di dolcezza e malinconia.
«Il matrimonio sarà il 23 Agosto» esclamò James, interrompendo il bisticcio con Lily e lasciando tutti i presenti basiti.
«Hai già deciso la data?» chiese Sirius, strozzandosi con la sua stessa saliva.
«Hai deciso la data senza chiederlo a me?» domandò a sua volta Lily, sorpresa e divertita.
«Certo che avete proprio fretta, eh» mormorò Dorcas sconvolta.
«In amore e in guerra, tutto è concesso» spiegò James con fare filosofico «e noi siamo sia in amore che in guerra»
«Un punto per James» concesse Sirius, interiormente turbato dalla notizia senza però lasciarlo trasparire.
«Quanti progetti…» esclamò Mary sognante.
«Tutti ne hanno uno» rispose Remus.
«Quindi passerei per l’idiota di turno, se vi dicessi che non ne ho ancora nessuno?» ghignò Mary.
«Non volevi fare la giornalista?» chiese Sirius perplesso.
«E sposare Sirius?» aggiunse Dorcas, facendo arrossire i due ragazzi.
«Ignorando la domanda poco discreta di Dorcas, non so ancora cosa succederà, quindi non posso fare progetti..» rispose Mary.
«E cosa dovrebbe succedere?» domandò Peter preoccupato.
«Be’…» mormorò Mary tentennante «sono figlia di babbani..»
«Non dirlo neanche per scherzo» la interruppe Sirius, intuendo dove andasse a parare il suo discorso.
«Probabilmente sarò costretta ad andarmene» concluse Mary.
«Sono figlia di babbani quanto te, ma non vuol dire che me ne andrò» ribatté Lily decisa.
«Ben detto, Lilian!» esclamò James scompigliandole i capelli e facendo ridere gli altri, che trovavano buffo il nome intero della ragazza.
«Sai che non sopporto quando mi chiami così..» sbuffò fintamente esasperata Lily, assumendo un’espressione da bambina.
«Preferisci Lilly?» chiese James.
«E Lilian sia» sospirò la ragazza alzando gli occhi al cielo.
«Almeno non hai un secondo nome imbarazzante» la consolò Mary, decisa a lasciar cadere il triste argomento precedente.
«No, loro non ce l’hanno, Mary Cassiopea MacDonald» la supportò Sirius ironicamente.
Remus diede un forte colpo di tosse, al ché Peter dovette battergli energicamente la mano sulla schiena per assicurarsi che non stesse soffocando.
«Cassiopea?» chiese Remus scettico.
«Come la costellazione» spiegò Mary arrossendo un poco.
«Ma guarda tu che caso» rise Dorcas, alludendo al nome di Sirius che richiamava a sua volta un astro.
«Segni del destino» fece spallucce Mary.
«Sarebbe fantastico se Sirius avesse come secondo nome Joseph» immaginò Lily.
Tutti tranne Dorcas e Mary la guardarono perplessi.
«Mary e Joseph, i genitori di Cristo..» cominciò a spiegare lei «ah, già, non è roba da maghi»
«Religioni» riassunse Dorcas ai ragazzi, che continuavano a non capire.
«Credo di averne sentito parlare..» mormorò Peter.
«Che inutili complicazioni» disse James sbadigliando per il sonno.
Dando credito alla teoria dello sbadiglio contagioso, a ruota anche gli altri si lasciarono andare ad un lento sbadiglio di stanchezza.
«Forse è ora di dormire» si fece avanti Remus, stiracchiandosi.
«Non voglio» piagnucolò James stringendosi ancora di più a Lily, come ad un cuscino.
«Potremmo dormire qui» propose Sirius.
«E farci beccare fuori dalle nostre camere proprio a una settimana dai M.A.G.O.?» chiese sarcastica Dorcas.
«Va bene, va bene» si arrese Sirius, alzandosi e tirando con sé Mary. «Gente,è stato un onore essere qui con voi stasera»
«Sembra che tu stia pronunciando un discorso funebre» rise Lily.
«Lo diventerà, se non andiamo a dormire» scherzò Remus.
«Il lupacchiotto è impaziente, stasera» alzò le mani James.
«È la Luna piena» si giustificò Remus.
«Buonanotte» tagliò corto Peter, desideroso di rincontrare il letto.
«Andate prima voi» decretò Sirius, alludendo al loro “sistema di sicurezza” per non farsi beccare da Gazza, ovvero rientrare nella Sala Comune due alla volta.
Mary e Sirius aspettarono un quarto d’ora per dar tempo agli altri di entrare e una volta assicuratisi che tutto fosse andato bene, si avviarono per i corridoi bui in silenzio, per non essere scoperti. Arrivati nella Sala Comune, poterono finalmente stringersi l’uno all’altro, sotto la sola luce lunare che entrava dalle finestre.
«Qualunque cosa tu voglia fare, promettimi che non te ne andrai» sussurrò Sirius dandole un veloce bacio a fior di labbra.
Mary gli rivolse un sorriso esitante, quasi avesse paura di rispondere. Un campanello d’allarme stava suonando nella sua testa, mettendola in guardia: mai fare promesse a cui non si è certi di poter tenere fede; mai fare promesse quando si è felici, né quando si è in tempi di guerra. Decise di ignorare la voce interna della sua coscienza. «Te lo prometto» rispose stringendosi alle sue spalle «rimarrò qui e diventerò una giornalista».
Sirius sorrise rassicurato, dandole un bacio sulla fronte.
 
***
 
Marzo 1982, Azkaban
 
«Giro giro tondo, casca il mondo..» canticchia Sirius tra sé e sé, ignorando i lamenti e le tenebre che lo circondano.
«Mamma, dovresti smetterla di farti quella parrucca, ti fa sembrare una vecchia zucca»
«Forse se passassi più volte la linea del cambiamento di data, tornerei indietro nel tempo..»
«Tina cade salendo le scale, Tina cade scendendo le scale³..»
I pensieri di Sirius cadono, si contorcono, si intrecciano e risalgono, come un vortice confuso. Non c’è da stupirsi, sono i pensieri di un pazzo.
«Avevi detto che non te ne saresti andata!» urla con tutta la voce che gli rimane, ad un pallido fantasma dei suoi ricordi. Non ricorda più il suo profumo.
«Fatelo stare zitto!» si lamenta uno dei vicini di cella, probabilmente il nuovo arrivato, ancora non abituato agli strazianti lamenti e ai discorsi insensati.
«Leggi questo, così stai zitto» sbraita una voce nell’ombra.
Un giornale vola dal nulla e atterra nella cella di Sirius, infilandosi tra le sbarre con facilità.
Sirius sbatte la testa al muro e si rigira su sé stesso, allungandosi per raccogliere il giornale, un piccolo spiraglio di novità in quelle giornate sempre uguali e vuote. Leggere il giornale con lentezza esasperante, sperando che non finisca mai, che dietro quella pagina ce ne sia sempre un’altra, e poi un’altra ancora, all’infinito. Getta uno sguardo alla minuscola finestra scavata nella pietra e cerca la Stella Polare, nel cielo scuro, ma le nuvole sono nere e coprono qualsiasi speranza. Sospira, ormai quasi rassegnato a ciò che gli rimane: l’inutile consapevolezza di non aver commesso un omicidio e di essere considerato un assassino da tutti, anche da lei.
Chissà dov’è lei?
Il suo pensiero fisso gli gioca un brutto scherzo: vede il suo nome di sfuggita, stampato su una pagina del giornale; ma quando riabbassa lo sguardo a cercarlo, capisce che non è stata suggestione, perché il suo nome è davvero lì, stampato nero su bianco.
Articolo a cura di Mary C. MacDonald.
Sirius rimane qualche minuto a fissare quel nome, perso in tutto ciò che significa per lui: che Mary è viva, che è in Inghilterra, che è diventata una giornalista. Ha mantenuto la sua promessa a metà, eppure non riesce a portarle rancore.
Una nuvola gentile si sposta leggera nel cielo notturno, e la Stella Polare finalmente appare, quieta e immobile dove è sempre stata, segnando il Nord.
 
 
 
 
 
¹Ho deciso di lasciare i soprannomi dei Malandrini in lingua originale
 
²Ho immaginato la Bulstrode della loro epoca un’ipotetica parente della Millicent Bulstrode del periodo di Harry&Co.
 
³Citazione di Lost.
 
 
 
Note: Chiedo immediatamente scusa per averci messo tanto ad aggiornare, per giunta con un capitolo così corto. Abbiate pietà, gli esami si avvicinano XD
Anyway, spero questo primo capitolo vi piaccia, e vi ringrazio tutti per aver letto e recensito!
Voglio fare qualche appunto: dato che la storia si sviluppa su due piani (presente e passato tramite i flashback), oltre a scrivere sempre la data per non farvi perdere il filo (o almeno spero), avrete notato che i tempi verbali della narrazione cambiano: per i flashback sarà sempre al passato, per il presente al presente. Volevo farlo notare io per prima, per evitare che sembrasse un errore di grammatica XD
Grazie di nuovo :D 

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Capitolo 3
*** There's no place like home ***


There’s no place like home.
 

 
 
 

«You’re my North Star, when I’m lost and feeling blue»
(Sei la mia Stella Polare, quando mi sento perso e depresso)
 

 
 
 
 
2 Novembre 1981, Francia
 
Era una giornata come tante, e Mary si sentiva tranquilla. Si era alzata con calma, aveva salutato con lo sguardo le stradine del suo paese e qualche vicino, e infine aveva preparato il the, come ogni mattina. Erano ormai tre anni che viveva in Francia sotto falso nome, come una babbana –mademoiselle Picard- senza alcun contatto con la magia e il mondo che le apparteneva, ormai parte solo del suo passato. Non c’era giorno in cui non sentisse la mancanza dell’Inghilterra, di Hogwarts, dei suoi amici e di Sirius, una costante fissa nei suoi pensieri, come la Stella Polare segna costantemente il Nord.
Mary cercava ogni notte quella dannata stella, aggrappandosi a quel piccolo punto luminoso come all’ultimo residuo della sua vita passata.
E sebbene quel giorno sembrasse uno dei tanti sempre uguali, non lo era affatto; e quando Mary aprì il giornale –che il postino aveva lasciato davanti la loro porta come ogni mattina- si rese conto che la sua vita sarebbe cambiata di nuovo, non in meglio.
L’articolo era nascosto in un angolo della sezione della cronaca nera cittadina, perché quello era pur sempre un giornale babbano –sebbene inglese- che non conosceva nulla di guerre magiche, né aveva mai sentito parlare di Voldemort.
La tazza cadde dalle mani di Mary e si infranse sul pavimento, disseminando la cucina di schegge di coccio e the ancora bollente. Dapprima Mary rimase immobile, poi si accasciò sulla sedia, senza parole.
La sua coinquilina, Colette, corse fuori dalla sua stanza, assonnata e scombussolata. «Marì, cos’è successo?» chiese nel suo inglese dall’accento storpio.
Mary continuò a fissare l’annuncio della morte dei suoi migliori amici, muta.
Colette, una giovane modella col viso e il cuore da bambina, accarezzò i capelli di Mary, preoccupata dalla sua espressione scioccata.
«Marì?» la chiamò di nuovo.
Mary scosse la testa, con sguardo vacuo. «Colette, devo andare».
Così dicendo, si alzò e si diresse nella sua stanza, cominciando a buttare alla rinfusa vestiti ed effetti personali in una vecchia valigia viola.
«Dove vai, Marì? Stai bene?» chiese Colette, seguendola nella stanza.
«Sto bene, ma devo tornare in Inghilterra» la rassicurò Mary, tentando un sorriso forzato. Chiuse la valigia e le porse dei soldi. «Sono per l’affitto dell’ultimo mese. Scusa, ma non posso più rimanere».
Colette aveva le lacrime agli occhi e i capelli castani scompigliati. In quel momento  più che mai, a  Mary sembrò una bambina indifesa.
«Ho fatto qualcosa che non va?» pigolò Colette «sei arrabbiata con me?»
«Oh, no, Colette! Come puoi pensarlo? Ti sono grata per essere stata mia amica in questi anni, sei stata un supporto e una sorella, per me!» mormorò frettolosamente Mary «non è colpa tua. Ti prego non pensarlo! Devo tornare alla mia vera casa. Quando me ne sarò andata, leggi il giornale che ho lasciato sul tavolo, e capirai. Io non posso spiegare, ora».
Concluse il discorso abbracciandola, sperando intimamente che capisse. «Grazie, Colette»
«Buon viaggio, Marì. Mi mancherai».
Mary si avviò verso la porta e la aprì, ma prima di uscire si voltò di nuovo. «Spero che ci rivedremo. Manderò delle lettere qui, se non cambierai casa»
Colette annuì e tirò su con il naso, accennando un sorriso triste «Non lo farò».
«Au revoir, Colette».
«Au revoir».
Mary chiuse la porta alle sue spalle col cuore che martellava, confusa e dispiaciuta per ciò che aveva appena fatto.
Trascinando la valigia con sé, entrò in un vicolo sporco e poco illuminato, guardandosi alle spalle.
Quello che stava per fare non era legale e ne era consapevole, ma non poteva aspettare. Pescò dalle tasche l’oggetto che aveva scelto –una pallina rimbalzante con un grande sorriso disegnato- e toccò, dopo un lunghissimo arco di tempo durato tre anni, la sua bacchetta.
Un fremito le percorse il bracciò quando la sfiorò, come se le sue dita avessero finalmente ritrovato la parte mancante.
Pronunciò a bassa voce l’incantesimo per trasformare un oggetto in Passaporta, e diede un’ultima occhiata furtiva nei paraggi, assicurandosi di essere sola e non vista.
Poi chiuse gli occhi, ben sapendo che da quella decisione non si tornava indietro. Avrebbe dovuto affrontare il caos, una guerra, e avrebbe lottato ancora contro i Mangiamorte e Voldemort.
Sto per tornare a casa, fu il suo ultimo pensiero prima di lasciare il suolo francese per sempre.
 
 

***

 
 
1993, Azkaban
 
Gelo. È da dodici lunghi anni che nonsento il vento freddo sulla pelle, che ti accarezza come a volerti consolare.
Sirius costringe il suo istinto canino a non ululare alla Luna. Non sarebbe raccomandabile, per un neo-evaso, farsi scoprire con così poca furbizia.
Sirius prende un lungo respiro e si tuffa nelle acque tempestose e gelide che circondano Azkaban. Le onde lo sommergono e la temperatura lo congela, ma la volontà di vivere è più forte.
Il cane nero si guarda intorno sperduto, e non sa che direzione prendere per tornare a casa.
Il fruscio del vento gli viene in aiuto, portandogli alla memoria ciò che un ragazza gli aveva detto tempo prima.
“Quando non sai dove andare e ti senti perso, alza gli occhi e cerca la Stella Polare. Ti indicherà la via verso casa, sempre.”
La Stella Polare è rimasta lì, in quei terribili dodici anni di reclusione. Ora lo riporterà a casa.
 
 
 

***

 
2 Novembre 1981, Inghilterra
 
Via Longbourn 103. Erano tre anni che Mary non visitava questo indirizzo, ma il ricordo era impresso vivido nella sua mente: il viale un po’ incolto, le finestre senza tende, le margherite selvatiche sparse qua e là nel giardino. L’unica differenza era nel colore delle pareti, ormai stinte in un giallo sbiadito.
Mary fissava la casa, con un dubbio martellante nel petto.
Non dovrei essere qui. Non devo andare fino in fondo, sono ancora in tempo.
Non sapeva cosa Sirius avrebbe detto vedendola, né cosa avrebbe detto lei a lui. Probabilmente si sarebbe arrabbiato, deluso e affranto, ma forse nel profondo del cuore sarebbe stato anche felice di rivederla.
Se ci penso ancora su, cambierò idea.
Mary prese un lungo respiro per calmarsi e si diresse a passi lenti lungo il vialetto, guardandosi intorno sospettosa. I Mangiamorte avrebbero potuto essere di guardia e aspettare il suo ritorno, pronti a catturarla per ucciderla.
Con mano tremante, Mary bussò alla porta bianca, con la vernice spezzata che lasciava intravedere il legno. Si torturò le mani e i capelli castani in quei lunghissimi minuti di attesa, cercando di preparare un discorso sensato, ma al tempo stesso era certa che avrebbe dimenticato ogni parola giusta nel momento in cui lo avrebbe rivisto.
Attese ancora altri dieci minuti bussando più volte, dapprima piano, poi violentemente, ma nessuno rispose.
“Sono Mary. Ho saputo ciò che è successo e sono tornata. Per favore contattami al più presto” scrisse su un foglietto con mano tremante, e infilò il messaggio sotto la porta.
Si voltò e si smaterializzò, cercando di focalizzare i suoi pensieri su ciò che doveva fare.
Senza rendersene conto si era materializzata da Remus, davanti a un vecchio appartamento in periferia. Non si sentiva pronta per andare a salutare Lily e James per l’ultima volta. Sapeva di non aver ancora realizzato la notizia appresa quella mattina; una parte di lei sperava che quei Lily e James Potter sul giornale non fossero altro che una coppia di giovani con lo stesso nome dei suoi amici di scuola, che per puro caso avevano anche lo stesso aspetto.
Le fotografie suoi giornali sono sempre molto sfocate, continuava a ripetersi.
Mary salì le scale del palazzo logoro e grigio, finché trovò il piano dove abitava il Signor Lupin.
Sull’orlo delle lacrime, suonò il campanello –tipico elemento dei palazzi babbani- e sperò con tutto il cuore che almeno lui fosse in casa.
Non passò molto prima che un uomo, dall’aspetto trascurato e stanco, si affacciasse alla porta mantenendola chiusa con il catenaccio di sicurezza.
«Remus» sussurrò Mary, sentendo un doloroso tuffo al cuore nel rivederlo e nel costatare quanto fosse cambiato.
Remus dapprima la guardò diffidente, poi perplesso, infine stupito. «Non può essere..»
Mary accennò un sorriso lacrimoso «Remus, sono io.. Mary».
Remus richiuse la porta in fretta, e per un attimo Mary sentì una stretta al cuore, accompagnata da senso di colpa, ma si rese conto che il suo vecchio amico stava semplicemente togliendo le catene e i lucchetti, i cui suoni metallici rimbombarono nel silenzio del pianerottolo; spalancò la porta e si sporse sospettoso, senza un accenno di sorriso. Mary stava per abbracciarlo, ma senza preavviso Remus la afferrò per il braccio e le puntò contro la bacchetta, trascinandola nell’atrio del suo appartamento e richiudendo velocemente la porta.
«Remus!» esclamò lei scioccata.
Lui non diede credito alla sua espressione sinceramente ferita, e la sbatté contro il muro per bloccarla, puntandole la bacchetta alla gola.
«Ti manda lui, non è vero?» urlò, stringendola più forte.
Mary tentò di divincolarsi, ma non poteva contrastare la sua forza. «Remus, che diamine ti prende?!»
«Ti ha mandata lui!» gridò Remus con rabbia, scuotendo i capelli ormai lunghi e incolti.
«Lui CHI?» si difese Mary, piangendo «Mi stai facendo male, Remus!»
«SIRIUS! Ti ha mandata a cercarmi!».
Mary sgranò gli occhi, tanto che il suo stupore parve evidente anche a Remus, che allentò la presa sulla sua gola.
«Di che stai parlando?» chiese Mary attonita «sono appena tornata dalla Francia.. io.. ho letto la notizia..». Qui la sua voce si incrinò e scoppiò definitivamente a piangere.
Remus la guardò senza capire, liberandola dalla stretta e abbassando la bacchetta.
Mary singhiozzò più volte e si appoggiò al muro coprendosi il viso. «Lily e James sono…». Non riuscì a finire la frase.
Remus si voltò verso la finestra alla sua destra, e Mary intuì che non voleva che qualcuno lo vedesse piangere.
«Ho sperato fino all’ultimo che non fosse vero, Remus» singhiozzò Mary.
Remus strinse i pugni, e sospirò a lungo. «Lo è, Mary»
Mary poggiò la testa contro il muro e pianse in silenzio.
Non parlarono per qualche minuto, nella penombra dell’appartamento disordinato e sporco, oltre che piuttosto piccolo e stretto.
«Perché hai nominato Sirius?» domandò Mary, con voce nasale a causa del pianto.
Remus si voltò di scatto e la scrutò a lungo negli occhi, senza parlare. «È stato Sirius» disse infine, con una lentezza dolorosa.
Mary lo guardò e per poco non rise, certa che stesse scherzando.
«Sono successe molte cose in questi tre anni, Mary» continuò Remus con sguardo risentito e un tono di implicita accusa che non sfuggì a lei «Sirius era la spia. È stato lui a tradirli, lo so. Lo stiamo cercando»
«Stai delirando» mormorò Mary allibita, facendo un passo indietro.
«Ne avremo le prove. Era Sirius il protettore dell’Incanto Fidelius. Chi altro potrebbe essere stato, se non lui? LUI LI HA UCCISI!»
Mary sussultò e negò con il capo. «Cos’è l’Incanto Fidelius?» chiese confusa «che stai dicendo, Remus?! Sirius era il suo migliore amico!»
«Cosa vuoi saperne, tu?» urlò Remus fuori di sé «tu non ci sei stata in questi anni, sei scappata! Pensi forse di poter tornare da un momento all’altro e sapere meglio di noi quello che è successo?!»
Mary non seppe che rispondere, mentre le lacrime le rigavano le guance. Aveva sognato il momento del suo ritorno tante volte, immaginandosi accolta dagli amici con sorrisi e lacrime di gioia. La realtà, invece, faceva a pugni con le sue aspettative così illuse e infantili.
Davanti alle sue lacrime, Remus sospirò nervosamente e si voltò, tirando al muro un pugno che fece staccare dei pezzi dell’intonaco già scheggiato.
«Remus, io..» tentò Mary, avvilita.
Remus proruppe in una piccola risata senza gioia, eco di pazzia o di un rancoroso dolore.
«Sirius non può essere un assassino, Rem» sussurrò lei, avvicinandosi timorosa di un passo.
«Tu non lo conosci, Mary. Tu non sai cos’è davvero» fu l’amara risposta di Remus.
Mary si sentì più ferita da quest’ultima frase che da tutte le affermazioni precedenti. Lei sapeva di conoscere Sirius meglio di chiunque altro, come sapeva che non poteva essere un assassino.
«Ti porterò le prove, Remus» dichiarò determinata, voltandosi e avviandosi verso la porta.
Remus non rispose né la salutò, aspettando che se ne andasse per prendere a calci l’armadio.
Appena fuori dal palazzo, Mary si accasciò a terra, con un capogiro che le fece pensare di essere prossima allo svenimento.
Calma, Mary, calma.
Una pozzanghera davanti a sé le rimandò il suo riflesso traballante: un volto dai lineamenti docili, la bocca piccola e le guance paffute, accompagnate da due grandi occhi castani, come quelli di una bambina.
Chi sei tu?, pensò guardandosi riflessa nell’acqua torbida. Non riconosceva più sé stessa, non riusciva a distinguere tra vita vera e immaginaria, tra passato e presente. Le sembrò che i suoi anni in Francia non fossero stati altro che un lungo sogno dal quale si era svegliata bruscamente, dovendo scontrarsi subito con la dura realtà. Ed era così, anche se in senso metaforico.
Aggrappandosi di nuovo alla bacchetta, Mary chiuse gli occhi e si lasciò trasportare nelle tenebre, verso la casa dell’ultima persona a cui si sarebbe rivolta, ma che in quel momento era anche l’unica a sapere la verità.
Era ormai sera quando Mary riuscì a smaterializzarsi nel viale giusto. La confusione e lo stato di shock avevano scombussolato i suoi poteri, e di conseguenza si era spostata più volte nei posti sbagliati.
Quando finalmente trovò il quartiere esatto, si rese conto che c’era più confusione del normale. Una piccola folla era radunata in un punto, e la strada dissestata in più zone, come a causa di un forte terremoto. Man mano che si avvicinò, cominciò a sentire urla e pianti disperati, oltre che uno stato di confusione allarmante.
La folla cresceva di secondo in secondo, e Mary dovette sgomitare per avvicinarsi e capire cosa stesse succedendo. Solo quando scorse un corpo steso scompostamente a terra, tra fumo e macerie, capì cos’era successo.
Le parole “strage” e “assassino” si ripetevano di bocca in bocca, affollandosi nella mente di Mary come immagini sovrapposte. Il suo istinto la portò a sporgersi tra le teste dei curiosi per cercare Sirius. Infiltrandosi tra spalle e braccia, Mary riuscì finalmente a sbucare davanti, dove lo spettacolo la fece ammutolire. Dodici corpi erano accasciati sull’asfalto, al centro della strada c’era un enorme vuoto, e detriti ovunque. Un urlo profondamente vivido e straziante la riportò alla realtà, facendole alzare lo sguardo.
Gli uomini della Squadra Speciale Magica apparvero dai lati della strada, circondando la scena del crimine. Nel bel mezzo di quell’orrore, in piedi e con uno sguardo allucinato, c’era Sirius, quasi soffocato dalla sua folle risata.
Mary lo guardò incredula. Gli uomini della Squadra Speciale Magica lo buttarono a terra e lo disarmarono, bloccandolo per poi trascinarlo con loro, mentre Mary assisteva immobile alla scena.
Un uomo si sporse dalla folla e si avventò su Sirius, colpendolo con un calcio allo stomaco e poi alla mascella, buttandolo giù. Gli uomini della Squadra lo allontanarono e rialzarono Sirius da terra, dolorante e insanguinato.
Per un solo attimo, gli sguardi di Sirius e Mary si incontrarono, prima che lui venisse immobilizzato dai maghi con un incantesimo –sempre assicurandosi di non essere visti dai babbani presenti- per trasportarlo con loro, ad Azkaban.
Mary cercò un sostegno accanto a sé, ma non trovò nulla a confortarla. Cadde a terra, e lì rimase piangendo.
Non perché aveva avuto la prova di non conoscere davvero Sirius, ma perché nello sguardo di lui aveva letto la sua innocenza e il dolore per essere punito ingiustamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: salve a tutti! Ho dovuto fare una piccola correzione nel prologo riguardo la data, dato che, informandomi meglio, ho scoperto che in realtà Sirius si è scontrato con Peter ed è stato arrestato il 2 Novembre, quindi due giorni dopo la morte di Lily e James.
Ho immaginato che Mary avesse richiesto di farsi recapitare un giornale inglese e non francese dal postino, e che di conseguenza avesse scoperto della morte dei suoi amici lì, tramite un articolo “insignificante” di cronaca cittadina. Specifico che – se non si fosse capito – Mary non ha dunque ancora appreso della fine di Voldemort.
 

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Capitolo 4
*** Pareidolia ***


Pareidolia

 
 
 

 
«Pareidolia è la tendenza istintiva e automatica a trovare
forme familiari in immagini disordinate,
come le nuvole o le costellazioni»
 

 
 
 
 

12 Agosto 1993, Diagon Alley
 
«Certo che è strano»
«Vedrai che troveranno subito il colpevole»
«Mi chiedo il perché di questo scherzetto»
«È la prova che i Mangiamorte sono ovunque!»
«Persino a Diagon Alley… poveri noi! Non possiamo fidarci di nessuno»
«Anche se non capisco che motivo ci sia dietro. Domani saranno di nuovo lì, nuovi di stampa»
«Solo un disperato con molto tempo da perdere potrebbe farlo»
 
A questo punto della conversazione in atto tra due anziani maghi in fila per un gelato, Mary, in piedi dietro di loro, non riesce a trattenere una risatina.
Il mago più basso dei due, che indossa una lunga veste verde scuro, si volta verso l’indiscreta signorina alle sue spalle.
«Lo trova divertente, mademoiselle?» le chiede in tono stizzito.
L’uso di quell’appellativo francese per un attimo stordisce Mary, che si chiede se per caso non sia tornata indietro nel tempo, in luogo lontano del suo passato. L’attimo dopo, Mary capisce che non è un sogno, e che anzi l’espressione sdegnata del suo interlocutore è tutt’altro che francese o immaginaria.
«Pardon» risponde lei in tema «mi è parso buffo il modo in cui ha classificato l’autore del gesto»
«Dev’essere senza dubbio un perditempo, se va in giro a strappare volantini di ricercati!» sbotta l’altro mago, più alto.
«E adesso come potremo riconoscere il famigerato Sirius Black,» esclama drammatico il mago vestito di verde «se non possiamo vedere la sua orrida faccia stampata sopra la scritta “Ricercato”?»
«Sono sicura che non vi sfuggirà, se doveste vederlo» li rassicura Mary con aria gentile, sforzandosi di non ridere.
«Lei scherza con il fuoco signorina» bofonchia il mago “verde”, facendole  intuire le sue origini babbane, dall’uso dei modi di dire poco comuni nel mondo magico.
«Semplicemente credo nella giustizia» ribatte Mary con un sorriso rassicurante.
Un fruscio le sfiora le gambe e la fa sussultare. Un enorme cane nero le gironzola attorno, scodinzolando la coda e sbavando dappertutto.
Mary avverte in sottofondo il brusio indistinto dei due maghi che continuano a parlarle, ma in quel momento non riesce a pensare a nient’altro che a quel cane troppo, troppo familiare.
È lo stesso pelo, ne sono sicura.
Mary cerca di riprendersi dal batticuore che le sta annebbiando i pensieri, e si china per accarezzare l’animale, contrariando i due anziani che capiscono –finalmente- che la ragazza non li sta ascoltando.
«Wouf!» fa il cane, porgendole la zampa amichevole e affamato.
«Che ci fai qui?» bisbiglia Mary allarmata, guardandosi intorno.
Le forze magiche potrebbero essere ovunque, pronte a catturare il famigerato Sirius Black per infliggergli la pena mortale che gli spetta secondo la legge.
Mary getta al viale uno sguardo perlustrativo, e si allontana con passo tranquillo per non dare nell’occhio, seguita dal grosso cane che scodinzola contento.
Dopo qualche minuto di passeggio, Mary si infila in un vicolo cieco, al riparo da orecchie e occhi indiscreti.
«Muffliato» pronuncia Mary con la bacchetta alla mano, per assicurarsi che nessuno possa sentirli.
Si china sul cane che le salta sulle ginocchia e gioca allegramente, e lo abbraccia incurante dei germi e dello sporco.
«Sirius, che ci fai qui?!» mormora con le lacrime agli occhi.
Il cane si limita a farle le feste, girando in tondo accanto a lei.
Mary si prende la testa tra le mani e sospira profondamente. «Per favore, parlami, dì qualcosa! So che non puoi trasformarti, ma almeno…»
La sua conversazione a vuoto viene interrotta quando un giovane ragazzo irrompe nel vicolo, e si illumina in un sorriso.
«Vince!» esclama il ragazzo, dirigendosi verso il cane «ti ho cercato dovunque!»
Mary lo guarda sconvolto, e il suo sguardo saetta dal ragazzo al cane, che corre incontro al suo padrone e salta sulle sue gambe per leccargli la faccia.
«Grazie per averlo trovato, signorina! Lo sto inseguendo da stamattina» sorride cortese il ragazzo, che sembra da poco uscito da Hogwarts.
«Tutto bene?» chiede il giovane con accento scozzese, di fronte all’impassibile
reazione di Mary, che rimane ferma a osservare il cane.
«È proprio sicuro che sia suo questo cane?» chiede lei con un filo di voce, annullando il Muffliato con un incantesimo non verbale.
Il ragazzo aggrotta le sopracciglia, ma non smette di sorridere, mettendosi in ordine i capelli castani. «Lo è da ben quattro anni, e non mi ha mai lasciato neppure per un momento, a parte stamattina!»
Mary china la testa e piange silenziosamente, nascondendo il volto con le mani per non farsi vedere.
«È tutto a posto?» chiede il ragazzo, preoccupato, avvicinandosi di qualche passo.
«Sì!» risponde Mary con più veemenza di quella che vorrebbe, asciugandosi velocemente gli occhi «È davvero un bel cane» .
Cerca per qualche secondo di smettere di tremare, poi si avvia a passi veloci fuori dal vicolo, inoltrandosi nella folla di Diagon Alley.
Passa davanti a una vetrina da poco ristrutturata, sulla quale è appeso l’enorme manifesto di Sirius Black, il pluriomicida, pluringannato e pluricondannato.
Senza farsi vedere, cerca di staccare la carta, ma scopre che è incollata con qualche incantesimo.
Buffo, Mary, pensa tra sé e sé,adesso non potrai nemmeno più andare in giro a staccare i suoi manifesti. Che ne farai di quelli che hai già strappato?
 
 
***
 
 
6 Dicembre 1976, Hogwarts
 
«Adesso aggiungete le radici di valeriana e mescolate quattro volte in senso orario»
Sirius eseguì gli ordini del professore, gettando le radici diligentemente sminuzzate nel calderone, mentre teneva d’occhio il lavoro di Mocciosus, due file più avanti. Era deciso a fargliela pagare, dopo l’ultimo scherzetto da parte sua che gli aveva causato una scena piuttosto imbarazzante davanti a tutti.
Purtroppo, però, quel giorno Sirius non poteva contare sull’appoggio del suo compagno di bravate, perché quest’ultimo era troppo impegnato a tenere gli occhi incollati sulla Evans –seduta dietro di loro- per supportare l’amico in una delle sue vendette ai danni di Piton -specialmente dopo quanto era accaduto alla fine del quinto anno.
Così, Sirius cercava di tenere un occhio su Mocciosus, per approfittare di un momento di distrazione e fargli esplodere il calderone con qualche ingrediente sbagliato, e nel frattempo tenere l’altro occhio sulla sua stessa pozione, assicurandosi di non fare brutta figura.
Nella fila davanti, esattamente dietro Mocciosus, il calderone di Mary McDonald cominciò a bollire, cambiando repentinamente colore in un verde acido.
«Oh, oh» esclamò Mary, indietreggiando di un passo, mentre la sua compagna di banco, Dorcas, strisciò lentamente di lato per sfuggire all’imminente esplosione.
«Professore!» chiamò Mary allarmata, facendosi scudo con il libro mentre la pozione schiumava fuoriuscendo dal calderone.
«McDonald!» sbraitò il professor Finnigan, un anziano mago espertissimo di pozioni e antidoti, ma scorbutico e amante di sadiche punizioni inflitte agli studenti. Lumacorno in quel periodo si era ammalato, e Silente si era trovato costretto a chiamare un supplente che lo sostituisse per almeno due settimane, con gran dispiacere di tutti i suoi studenti.«Devi cavartela da sola, signorina McDonald» decretò il professore, andando a  controllare invece il buon operato di Piton.
Sirius, impietosito dall’imbranataggine della ragazza, diede un’occhiata alla pozione e si sporse velocemente in avanti per buttare nel calderone una bacca di vischio, che avrebbero dovuto calmarne l’effetto.
Invece, imprevedibilmente, la pozione esplose e ricoprì ogni cosa nell’arco di un metro e mezzo, compreso il professore che si trovava nella fila avanti. Il centro della classe divenne una grande e deforme chiazza verde acido, e una nube grigiastra fece tossire gli studenti.
«BLACK!» urlò il professore dopo qualche istante di assoluto silenzio. «PUNIZIONE!»
Sirius sgranò gli occhi, colto alla sprovvista.
«Credi che non ti abbia visto mentre gettavi qualcosa nel calderone della signorina McDonald?» continuò il professore in tono adirato.
«Stavo… stavo cercando di aiutarla!» si difese Sirius.
«Signore, non è colpa sua» disse Mary «l’ho fatto esplodere io».
«Non prendetemi in giro!» sibilò il professore «Black, nessuno ti ha chiesto di aiutare gli altri studenti per poi fare disastri, e in quanto a te, signorina McDonald, sei in punizione anche tu!»
Mary stava per aprire bocca e ribattere, ma il professore l’anticipò. «Perché non ti applichi, e questi sono i risultati. Voi altri potete andare, ormai la lezione è finita. Voi due rimanete qui e pulite questo disastro.»
Dorcas raccolse i libri e gettò all’amica uno sguardo di solidarietà, andandosene poi con Lily, seguita da James e a ruota dagli altri Malandrini.
«E vi avviso: non è questa la vostra punizione. Poi ne discuteremo» aggiunse il professore prima di andarsene, procurando loro stracci e spugne e assicurandosi che non usassero la magia per pulire.
Quando rimasero soli, Mary si schiarì la voce. «Scusa, Sirius, è colpa mia. Stavi solo cercando di aiutarmi..»
«Già» tagliò corto Sirius, piuttosto irritato dall’essere stato punito, per di più ingiustamente. Prese una spugnetta e cominciò a pulire il suo banco con veemenza, come se volesse prendersela con il legno.
Mary si sentì tremendamente in colpa per l’accaduto, ma al tempo stesso Sirius aveva l’aria di uno che stava per esplodere dalla rabbia, e questo la intimoriva. In più di un anno, Sirius e Mary non avevano mai stretto amicizia, sebbene appartenessero alla stessa Casa e frequentassero le stesse lezioni. Non si odiavano come Lily e James, né litigavano o si punzecchiavano, ma neanche si erano simpatici o provavano attrazione l’uno per l’altra. Non cercavano l’uno la compagnia dell’altro, né la evitavano. Si erano semplicemente indifferenti.
Mary prese in silenzio lo straccio e si chinò per pulire il pavimento, impiastricciato del liquido verde e appiccicoso. «Mi manca Lumacorno» ammise con un sorriso, cercando di stemperare l’atmosfera.
«Di sicuro non ci avrebbe messi in punizione» commentò Sirius atono, scostandosi dalla fronte i capelli scuri troppo lunghi.
Mary pensò che avrebbe dovuto tagliarli per comodità, ma che al tempo stesso gli davano un’aria trasandata e affascinante. «Anzi, ti avrebbe dato un voto in più per aver cercato di aiutarmi» rispose lei, riportando gli occhi al pavimento.
Sirius sbuffò una mezza risata, mentre Mary sospirava per essere riuscita ad allentare la tensione.
«E saresti anche riuscito a completare la vendetta a Mocciosus» aggiunse Mary con un sorriso furbo.
«Si notava così tanto?» chiese Sirius in tono meno altezzoso e più rilassato.
«Per una che era esattamente davanti a te.. un poco» rispose lei «scusa anche per aver mandato all’aria i tuoi progetti..»
«Non fa niente… non mancheranno le occasioni»
«Posso aiutarti, se vuoi» propose Mary, pulendo lo straccio con la bacchetta «devo pur farmi perdonare in qualche modo»
Sirius rise, in un modo così strano che Mary fu certa di non aver mai sentito niente di simile in passato. «Non voglio coinvolgerti, tranquilla» fece spallucce lui.
«Non mi dispiacerebbe vendicarmi» ribatté Mary, alludendo agli avvenimenti legati a Piton e in particolare ai suoi amici, Mulciber e Avery.
Sirius smise di strofinare il banco e la guardò negli occhi, con un’espressione buia, tra la rabbia e il dispiacere.
Mary ebbe paura di quell’espressione, e cercò subito di cambiare discorso. «Comunque sia, Sirius, non meriti questa punizione, perciò lascia che finisca io il lavoro. Almeno non avrò sensi di colpa stanotte»
Sirius scosse la testa e l’espressione di poco prima scomparve. Riprese a pulire energicamente, come se fosse niente. «Non pensarci proprio, me la merito. Se ho fatto esplodere quel calderone per sbaglio significa che ci ho messo dentro l’ingrediente sbagliato»
«Come una bacca di vischio?» chiese Mary innocentemente, ancora china a terra.
«Esatto» rispose Sirius in tono allegro, arrestandosi subito dopo con sospetto «come fai a saperlo?»
Mary si rialzò da terra e gli porse ciò che aveva raccolto da terra «Era finito sotto il banco».
Sirius prese la bacca di vischio e la guardò perplesso.
«Credo che non sia mai arrivata nel calderone» spiegò Mary cercando a malapena di non ridere «la pozione dev’essere esplosa prima che tu riuscissi a buttarcela dentro».
Sirius si rigirò tra le mani la bacca, la ripulì un poco e la ripose in tasca. «Come monito» disse.
«E di cosa?» chiese Mary curiosa.
«Per ricordarmi che aiutare non è mai sbagliato» sorrise Sirius.
Mary si accorse che era la prima volta che vedeva Sirius Black sorridere senza che ci fossero i suoi amici con lui. Non era esattamente un tipo socievole e gentile; spesso risultava altezzoso e arrogante, ma sapeva essere anche disponibile e onesto. Lei sorrise, e non seppe dire altro che «grazie».
Sirius le sorrise di rimando e si rimise a pulire.
«Dato che non hai causato tu l’esplosione, non c’è bisogno che rimani qui a scontare la punizione» insisté Mary «vai, qui ci penso io».
Sirius sbuffò divertito «Scherzi? Dobbiamo discutere della vendetta comunitaria! L’hai già dimenticato?»
Mary rimase per un attimo basita, poi si riprese e sorrise «Affare fatto».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: comincio con lo scusarmi –di nuovo- per il ritardo nell’aggiornamento, ma tra ispirazione mancante e il periodo “Giugno-che-stress”, non sono riuscita a scrivere finché è arrivata qualche idea.
La vera punizione di Sirius e Mary credo meriti un capitolo a sé, quindi ne parlerò più avanti.
Spero che vi piaccia questo capitolo e vi ringrazio per le vostre belle recensioni che mi danno la spinta per continuare :))
Bye bye!

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Capitolo 5
*** I shall not walk alone ***


I shall not walk alone
 
 
 

«When my legs no longer carry
and the warm wind chills my bones
I reach for Mother Mary
and I shall not walk alone»
 
(Quando le gambe non mi reggono più
e il vento caldo gela le mie ossa
io mi rivolgo alla Vergine Maria
e non sono più solo nel mio cammino)
 
[Ben Harper]

 
 
 
7 Settembre 1975 (Quinto anno), Hogwarts
 
Mary McDonald si era appena trasferita in Inghilterra, lasciando la Francia a causa del trasferimento di suo padre. Era, perciò, una new entry a Hogwarts, e ancora non conosceva la vera differenza tra le Case, gli oscuri avvenimenti in corso nella storia del paese, e gli individui da cui ci si doveva tenere alla larga, ovvero i Serpeverde.
Per tutte queste motivazioni, aggiunte a un po’ di ingenuità e di lingua lunga e acuta, Mary non si fece problemi a rispondere adeguatamente a una presa in giro che Mulciber e Avery le avevano rivolto durante la lezione di Incantesimi, umiliandoli.
Nessuna ragazza –figurarsi se Grifondoro!- aveva mai osato contrariarli, rispondergli a tono o tenergli testa in cinque anni.
«MacDonald, silenzio!» intimò la McGranitt, sebbene soddisfatta della risposta pungente di Mary.
Mary tornò a leggere il suo libro, ignorandoli per il resto della lezione. Sapeva che non sarebbe stato semplice adeguarsi ad un ambiente del tutto nuovo con un usanze, modi di fare e strutture totalmente diversi.
Nonostante Mary e la McGranitt diedero poco peso all’accaduto, il resto della classe intuì subito che ci sarebbero state delle conseguenze, perché lo sguardo irritato e vendicativo di Mulciber e Avery lasciava poco spazio all’immaginazione. Perciò, alla fine della lezione, alcune volenterose Grifondoro scortarono Mary –con la scusa di fare amicizia- fino alla Sala Comune, guardandosi intorno per assicurarsi di non essere seguite.
Mary, dal canto suo, non aveva la minima idea che potessero esserci studenti così attaccati ai pregiudizi, alla purezza del sangue e alla Casa di appartenenza, e non si preoccupò affatto di aver “offeso” l’orgoglio Serpeverde dei due ragazzi che per primi l’avevano derisa.
L’errore fatale fu quello di tornare nell’aula di Incantesimi circa un’ora dopo la lezione, avendo dimenticato lì uno dei suoi libri. Come poteva sapere Mary che erano stati proprio Avery e Mulciber a sottrarle di nascosto il libro, per assicurarsi che tornasse nel’aula poco dopo, da sola?
Hogwarts, tutto sommato, non era male agli occhi di Mary: per i suoi gusti  Beauxbatons era troppo fiabesca, signorile, raffinata. Lei preferiva luoghi misteriosi e antichi, che palazzi scintillanti e luminosi.
Per non parlare degli studenti, pensò Mary divertita, imitando mentalmente i gesti e il modo di parlare degli studenti di buona famiglia che aveva conosciuto a Beauxbatons. Apprezzava di più il clima familiare che si respirava a Hogwarts, in particolare nella sua Casa, dalla quale si era subito sentita accolta con calore, sebbene non avesse ancora dato modo a nessuno di avvicinarsi realmente a lei.
Se avessi fatto uno sgarbo a uno studente francese, a quest’ora sarei dalla preside a sorbire ramanzine su quanto il rispetto per il rango sia importante, considerò Mary soddisfatta,qui mi sono permessa di rispondere ad una presa in giro, e nessuno mi ha accusata di aver oltraggiato un’antica famiglia.
Aprì la porta dell’aula con cautela, credendo che vi avrebbe trovato la professoressa McGranitt, ma la stanza era buia e fredda, come se tutto il calore e la luce fossero scomparsi insieme agli alunni.
Entrò sospettosa, e la porta si richiuse alle sue spalle senza fare rumore. Istintivamente, Mary portò una mano alla bacchetta e la usò per fare luce, recuperando velocemente il suo libro e scappando verso la porta, intimorita da quel buio impenetrabile.
Con terrore, si accorse che la porta era chiusa. La strattonò con forza, ma rimase immobile. Provò a bussare, a colpirla, a usare un incantesimo, ma fu tutto inutile.
Va bene, pensò per cercare di calmarsi, sarà uno stupido scherzo.
«Fatemi uscire!» protestò, bussando alla porta. «Non è divertente, anzi, è banale chiudere una ragazza in una stanza buia e fredda!»
Fredda… sarebbe meglio dire gelida.
Mary rabbrividì e si strinse nella sua divisa, desiderando intensamente di uscire da quell’aula, ma una strana sensazione si stava impadronendo di lei, come se non sarebbe mai più uscita di lì, come se tutta la felicità del mondo fosse scivolata via.
Un improvviso capogiro la costrinse ad appoggiarsi alla porta, poggiando la testa contro di essa. Fu uno spiffero gelido a farla sobbalzare, penetrandole nelle ossa insieme a un bisbiglio confuso.
Mary si voltò e si appiattì contro la porta, tremando. «Chi c’è?» chiese con voce incerta.
Il gelo scivolò lento nell’aula, ghiacciando banchi, sedie e oggetti fino ad arrivare a Mary, che si sentì a sua volta gelare il sangue nelle vene. Non aveva mai vissuto niente del genere, ma nello stesso tempo una voce nella sua testa le stava gridando che il pericolo era in arrivo, perché il solo essere capace di produrre un simile effetto poteva essere un Dissennatore. Ed ecco che quest’ultimo apparve, come dal nulla, avanzando lentamente e spegnendo luce e gioia come quando si soffia sulla fiamma di una candela.
Il primo istinto di Mary fu di scappare, bloccata subito dalla porta chiusa e dalla consapevolezza che era praticamente impossibile che un Dissennatore si trovasse ad Hogwarts.
Mary tese la bacchetta, tentando di rimanere razionale e lucida. O era un allucinazione, o uno scherzo.
«Riddiculus!» strepitò decisa.
L’incantesimo colpì il mostro, ma con grande sorpresa di Mary si dissolse contro di esso, senza alcun effetto.
Il Dissennatore emise un verso roco, e si avvicinò emanando una ventata di gelo e disperazione.
«Riddiculus!» urlò ancora Mary, terrorizzata e allo stesso tempo certa che fosse solo un incubo e che presto si sarebbe svegliata.
Sei a Hogwarts, sei a Hogwarts! Non possono esserci Dissennatori qui. Non è reale.
«Riddiculus» ripeté inutilmente, convinta che si trattasse di un Molliccio.
Il Dissennatore scivolò veloce e la strinse contro la porta. La bacchetta cadde a terra, e un senso di confusione invase la testa di Mary, che si sentì lontana da quella stanza e dalla figura di tenebre che lentamente le portava via ciò che aveva dentro. Migliaia di immagini balenarono nella sua mente, facendole rivivere i momenti brutti della sua vita uno ad uno, guardandosi mentre si allontanava leggera da quella stanza, vicina alla fine come non lo era mai stata.
Stava per chiudere gli occhi, quando una luce argentea l’accecò e la svegliò dal torpore, facendola cadere a terra, stordita. Vide delle figure confuse muoversi nella stanza e degli occhi verdi, così vivi e splendenti anche nel buio dell’aula; poi svenne.
 
«Sono stati loro»
«Stai calma, Lily»
«Potevano ucciderla, Dorcas!»
«Non la passeranno liscia» si intromise un’altra voce, più profonda.
«Stanne fuori, Potter» ribatté subito Lily, incrociando le braccia con una smorfia.
«Fa parte della mia Casa, ho il diritto di proteggerla e vendicarla se devo» rispose prontamente James, serio come Lily non l’aveva mai visto. Forse fu proprio l’espressione del ragazzo a convincerla a lasciarlo fare: che Mulciber e Avery avessero quel che si meritavano non era un’ingiustizia.
Dorcas sfogliò velocemente un tomo dall’aria malandata, guardandosi furtivamente intorno.
«Quel libro non è un nostro testo scolastico» fece notare Sirius, assicurandosi che non ci fosse nessuno.
«Esatto, sapientone» rispose Dorcas bruscamente.
«Allora farai meglio a riportarlo presto dove lo hai preso» si infastidì Sirius.
«Ci puoi contare»
Lily sbuffò. Dorcas e Sirius non sarebbero mai riusciti ad andare d’accordo: entrambi troppo scontrosi per potersi parlare senza finire in un battibecco.
«Eccolo» disse Dorcas, sollevando il libro per leggere da vicino «Terroris Speculum, più comunemente noto come Diablessus, il demone che riflette la paura della persona che si trova davanti e la fa diventare reale. Nel caso di Mary era un Dissennatore che avrebbe potuto ucciderla».
«È Magia Oscura» dichiarò incredula Lily.
«Stiamo parlando di Avery e Mulciber» fece notare Sirius «non c’è da stupirsi».
Lily non poté fare a meno di gettare uno sguardo alla porta dell’Infermeria, dove Mary era in convalescenza. Cosa sarebbe successo, si chiedeva, se il sospetto non li avesse spinti a cercare Mary, trovandola nell’aula di Incantesimi? Il Dissennatore l’avrebbe davvero uccisa?
«Lasciate fare a noi» dichiarò James, scostandosi dal muro con aria pensierosa.
«Potter..» tentò Lily, ammonitrice.
«Non ci provare, Evans» la bloccò James «non stavolta».
Lily lo guardò combattuta: da una parte si sentiva in dovere di fermare qualunque idea di vendetta, dall’altra anche lei desiderava che i due Serpeverde venissero puniti. Chinò lo sguardo in segno di resa, seppur con riluttanza.
James le fece un cenno sorridendo sornione «Spero che questo voglia dire che possiamo anche essere amici»
Lily sbuffò esasperata «Stavi quasi per risultarmi simpatico, Potter, ma devi sempre rovinare tutto!». Così dicendo, se ne andò velocemente con passo arrabbiato, seguita da una profonda occhiata eloquente di Dorcas, che voleva dire “sei sempre il solito”.
 
 
***
 
31 Ottobre 1993, Hogwarts
 
Fuggire, nascondersi, scappare, vigilare: queste sono le priorità di Sirisu Black dalla notte della sua fuga. Tremare per il freddo, soffrire la fame, e allo stesso tempo sapere di essere così vicino eppure lontano da ciò che si cerca.
Nulla è più tremendo che affrontare ciò che si ha davanti da solo, senza aiuto o una parola di conforto, senza un ricordo a cui aggrapparsi.
È la notte di Halloween, la stessa notte in cui Lily e James morirono, cambiando le vite di tutti, e Sirius è appena riuscito ad introdursi a Hogwarts.
Non gli rimane poi molto, se non la speranza di vendicarsi: è l’unico modo per riavere indietro la sua vita di prima, riacquistare la fiducia di tutti e l’amore di lei.
I corridoi bui di Hogwarts sembrano meno tetri, dopo le notti trascorse ad Azkaban: sembra quasi che lo guidino, che siano con lui nella sua lunga ricerca. I corridoi di Hogwarts conoscono la verità, come sempre. Sirius Black si prende del tempo per salutare gli arazzi, i quadri e le finestre del settimo piano, che sembrano dirgli “bentornato, ti stavamo aspettando!”.
È un labirinto di ricordi, Hogwarts: belli e brutti, dolorosi e piacevoli, ma tutti segnati dalla consapevolezza di aver perso ciò che è legato a loro.
Mentre si avvicina all’arazzo di Barnaba il Babbeo, Sirius è colpito da un flash: lui che corre senza sosta lungo quel corridoio, tenendo per mano una ragazza dai capelli castani e le guance rosse per la corsa.
Aveva seppellito il ricordo di quel giorno in un angolo della sua memoria, perché sapeva che gli avrebbe fatto male.
Il flash prosegue, mostrandogli i due ragazzi che si rifugiano dietro una porta nera, apparsa dal nulla: Sirius li segue dietro quella porta –apparsa da dove?- e si ritrova nella Stanza delle Necessità. Solo una piccola parte della sua testa si domanda cosa abbia inconsciamente chiesto alla Stanza per farla apparire.
La porta si richiude alle sue spalle, mentre i due ragazzi, che sembrano vivi e veri come persone normali, si appoggiano alla parete e scivolano fino a toccare il pavimento, ridendo con il respiro affannato.
«Qui non ci troverà mai» dice il giovane Sirius, la proiezione del ricordo.
«Cos’è questa Stanza?» chiede Mary, guardandosi intorno incuriosita e sbalordita.
«La Stanza delle Necessità. Appare quando ti serve qualcosa e la chiedi così intensamente da farla apparire»
Mary sorride estasiata e si alza per fare un giro, mentre Sirius la segue con lo sguardo. Nessuno dei due si accorge del braccialetto sganciatosi dal polso di Mary e rimasto a terra.
Solo in quel momento Sirius riemerge dal flashback e cade in ginocchio, vicino al bracciale. Mary lo aveva perso proprio lì, dopo lo scherzo a Piton che avevano progettato durante la loro punizione.
Sirius si china a terra e non riesce a frenare le lacrime, perché Mary aveva cercato quel bracciale dovunque prima di partire, ma a nessuno dei due era mai venuto in mente che potesse averlo perso quel giorno. Tende una mano e accarezza il cuoio intrecciato con fili colorati, e improvvisamente si sente più vicino a Mary, come se un semplice oggetto possa avvicinarli più della Smaterializzazione.
Il ricordo evanescente di Mary appare di nuovo, sbucando dagli scaffali e dalle pile di oggetti nella Stanza. «Siamo una bella squadra, io e te» dice sorridendo.
E Sirius si sente felice, perché sa che Mary è più vicina che mai, anche se non è ancora giunto il momento del loro ricongiungimento.
E non sono più solo nel mio cammino.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: Immagino che scusarsi per il ritardo sia banale, ma ho una buona scusante: gli esami di maturità. Ho dovuto mettere da parte questa storia, perché ho affrontato l’orale il primo giorno e non ho avuto tempo nemmeno per vedere la luce del sole; ma adesso che sono libera potrò dedicarmi interamente alla storia, se potrete perdonarmi per averla trascurata!
Anyway, un piccolo dettaglio che devo specificare: nel precedente capitolo ho scritto che “Sirius e Mary si conoscevano da più di cinque anni”, ma –scusate!- errore mio, e in questo capitolo capite che è impossibile, dato che Mary si trasferisce a Hogwarts solo al quinto anno. Questa è la mia personale idea del famoso scherzo ai danni di Mary, sperando che non sia troppo piena di errori, perché l’ho scritta un po’ velocemente data l’ansia di aggiornare e farvi sapere che la storia è ancora attiva! So che la parte in cui Sirius ha le “visioni” dei due ragazzi è un po’ confusa, quindi sappiate che erano a metà tra un ricordo e un’allucinazione, abbastanza normale date le condizioni del povero fuggitivo.
E infine, grazie a tutti, se ci siete ancora!
P.s. se volete, sentite la canzone che dà il nome al capitolo ;)

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Capitolo 6
*** You found me ***


You found me

 
 

 
Lost and insecure, you found me
(Smarrito e insicuro, tu mi hai trovato)

 
 
 
 
3 Novembre 1993, Hogwarts
 
È sempre inquietante svegliarsi ritrovandosi di fronte due occhioni gialli e inquisitori, ma ormai Sirius ci sta facendo l’abitudine. Il gatto rosso si strofina sul suo braccio, quasi facendo le fusa. Sirius se ne rallegra: è l’unico contatto con un altro essere vivente da molto, molto tempo, ed è piacevole sentirsi accarezzare, anche se da un felino semisconosciuto.
Grattastinchi è un animale intelligente, e Sirius ancora ricorda il giorno in cui due mesi prima si incontrarono per la prima volta.
Sotto sembianze di cane, Sirius era arrivato –con molta fatica- nella Foresta Proibita, spingendosi fino ai margini e stando ben attento a non farsi notare. Si era da poco accasciato dietro un masso, mentre il cielo brontolava promettendo pioggia, quando un tipico verso felino si fece sentire poco distante da lui. Sirius si voltò di malavoglia, stanco e denutrito, trovandosi a pochi centimetri dal muso schiacciato di un gatto dal pelo rosso e vaporoso, pronto ad attaccarlo. Sirius decise di essere pacifico: si alzò per spostarsi più in là, lasciandolo in pace, ma Grattastinchi non gli diede il tempo. Subito gli balzò sul collo e si rotolarono sul terreno per un po’, prima che il gatto capisse di aver avuto la meglio, lasciando il grosso cane nero a guaire per il dolore. Forse fu proprio questa istantanea resa a far intuire a Grattastinchi che quello che aveva davanti a sé non era un cane. Sirius si ritirò, sfiancato, e si acquattò sotto un albero, mentre il gatto si allontanava silenziosamente; cadde in un sonno profondo, e quando si svegliò trovò davanti a sé ciò che aveva sognato per anni durante le notti di prigionia: un’incantevole bistecca che, sebbene fredda, era più di quanto Sirius avesse sperato di trovare. Dopo averla divorata, ci mise un po’ a realizzare, quasi con uno sforzo di fantasia, che l’autore di quel gesto doveva essere proprio quel gatto che nella stessa giornata lo aveva attaccato, e che in quel momento era appollaiato su un ramo, sopra la sua testa, scrutandolo attentamente.
Così è nata l’amicizia –o meglio, la collaborazione- tra Grattastinchi e Sirius, che con molta cautela era riuscito a guadagnarsi la fiducia del gatto e il suo aiuto. Grattastinchi procurava a Sirius cibo e acqua, gli guardava le spalle, lo avvisava dell’arrivo di qualcuno, e a volte lo introduceva segretamente a Hogsmeade, dove scivolava quatto tra gli alberi e i viali, rubando qualcosa per non morire di fame e cercando disperatamente di trovare la persona che stava cercando da settimane.
 
Sirius si volta dall’altro lato e si stiracchia, ancora sotto sembianze di cane, mentre il suo stomaco brontola insoddisfatto. Non ne può più di nascondersi a vuoto, di stare sempre all’erta, e non concludere nessuno dei suoi scopi. Con un balzo in avanti, si ritrasforma in essere umano, mentre Grattastinchi soffia sospettoso, ancora diffidente nei confronti delle sue “seconde sembianze”.
Sirius, tornato umano, si acquatta per terra di fronte agli occhi del gatto e parla lentamente.
«Devi fare un altro favore per me, ma stavolta sarà più difficile»
Sirius pensa intensamente e cerca di focalizzare le sue forze sulla fotografia mentale di Mary. Tenta di ricordarla sorridente, felice, tranquilla come durante il loro ultimo anno di scuola, ma questa immagine è subito rimpiazzata dall’ultima volta che l’ha vista ferita e confusa, la notte del suo arresto.
Sirius sbuffa e Grattastinchi lo guarda attento, quasi intuisse che c’è di mezzo una ragazza.
«Devi trovare una persona per me».
 
 
***
 
 
21 Dicembre 1976 (Sesto anno), Hogwarts
 
Era già passata l’ora di cena, ma Sirius e Mary erano ancora impegnati a riordinare e pulire l’aula di Astronomia, nella loro ultima sera di punizione insieme.
Inizialmente, il sostituto di Pozioni aveva dato loro solo un giorno di castigo, ma dopo aver scoperto lo scherzo che i due ragazzi avevano organizzato ai danni di Severus Piton, la punizione si era allungata a due settimane. C’era da aspettarselo: Piton avrebbe certamente fatto la spia, e del resto uno scherzo come quello non poteva passare impunito.
Tuttavia, al contrario di quanto era convinto il professor Finnigan –che presto avrebbe fatto le valigie con gran piacere degli studenti- Mary e Sirius si divertivano così tanto durante le loro punizioni, che avevano deciso di comune accordo di combinare più guai possibile in modo da poter passare altro tempo insieme. Certo, c’era da pulire, strofinare, grattare, ordinare tutte le aule di Hogwarts, ma i due ragazzi erano talmente impegnati a chiacchierare e scambiarsi opinioni e battute, che nemmeno facevano caso alle ore di lavoro.
«Posso fare un sacrificio» scherzò Mary «e metter da parte la mia buona condotta per ricevere qualche punizione, ogni tanto»
«Solo ogni tanto?» chiese Sirius in tono pungente. «Tanto i professori l’hanno capito che non sei un angioletto»
Mary sbuffò una mezza risata e lanciò a Sirius una pallina di carta «E chi l’ha detto che non lo sono?!»
Sirius le rivolse uno sguardo eloquente «Mi spiace, MacDonald, ma dopo essere finita in punizione con me per ben due settimane, sei decisamente scesa nella Top Ten delle brave studentesse, e ti sei guadagnata il primo posto tra le bad girl».
«Oh, come farò con la mia reputazione?!» esclamò Mary drammaticamente «queste cattive compagnie!»
«Non lo sapevi? Black è un cognome che porta sulla cattiva strada» ribatté Sirius divertito.
«Dovresti dirlo subito, Black, che il tuo nome è pericoloso» rise Mary, senza alzare gli occhi dalla finestra che stava lucidando.
«Neanche “MacDonald” va sottovalutato» ghignò Sirius «sei tu la mente che ha ideato lo scherzo a Piton, santarellina»
Mary sbuffò e gli fece una linguaccia «Solo perché te lo dovevo! Avevo involontariamente sabotato il tuo scherzo, dopotutto»
«Dovrei quasi ringraziarti per averne ideato uno migliore, allora»
«Dovresti?» lo punzecchiò Mary «e le buone maniere, gentleman delle mie babbucce?»
«Madama MacDonald, moderi i termini!» rispose Sirius in tono pomposo, imitando i Lord dell’epoca vittoriana, con tanto di piuma in bilico sulle labbra a mo’ di baffi finti.
Mary scoppiò a ridere «Posso regalarti un cilindro per Natale? Saresti identico»
«Solo se fatto con la stoffa del Lancashire, my darling!» ribatté Sirius nello stesso tono da Lord inglese «con una tazza di thé dello Yorkshire»
«Che Lord viziato» lo sbeffeggiò Mary ridendo.
«Vengo da una famiglia di anticha nobiltà, miss MacDonald..» cominciò a dire Sirius, arrestandosi all’improvviso. Il suo sguardo si era fatto più cupo e ombroso, e il sorriso si spense come una lampadina fulminata. Si voltò e si rimise a ordinare la scrivania sulla quale era appoggiato, senza parlare.
Mary aveva colto l’inconscio accenno alla sua famiglia e alla nobiltà, argomento che –ormai lo sapeva bene- rendeva Sirius suscettibile e scontroso.
Era incredibile quanto Sirius e Mary avessero conosciuto l’uno dell’altro in sole due settimane, dopo più di un anno di assoluto disinteresse reciproco. Poco era bastato ad avvicinarli e a far sì che decidessero di stare vicini il più possibile, sfruttando le punizioni ma anche il tempo libero insieme. Può sembrare stupido, ma a volte le persone che ci sembrano insignificanti sono proprio quelle giuste per noi, ma non possiamo rendercene conto finché qualcosa –un evento apparentemente banale- non ci porta vicini, facendo collidere due piccoli mondi separati che scoprono di poter formare un universo insieme. Così Sirius e Mary si erano a malapena salutati per mesi, mentre dopo pochi giorni di approfondita conoscenza sapevano tutto l’uno dell’altro, dalle grandi alle piccole cose.
Mary percorse silenziosamente lo spazio che li separava nell’aula, quasi temendo di fare rumore e disturbare Sirius. Quando fu alle sue spalle, posò delicatamente una mano sul suo braccio, con molta cautela. Aveva imparato quanto fosse difficile gestire Sirius nei momenti di rabbia, ma sapeva anche come calmarlo.
A quel tocco delicato e ancora privo di parole, Sirius si voltò lentamente verso Mary, che si limitò a sorridergli dolcemente, posando la sua mano su quella del ragazzo.
Sirius chinò lo sguardo, forse per nascondere gli occhi lucidi: non voleva mai ammetterlo, ma il comportamento dei suoi genitori lo feriva più degli insulti di chiunque altro. Tutti abbiamo bisogno di una famiglia, e sebbene Sirius ne avesse trovata una più accogliente a Hogwarts, non riusciva a scendere a patti con l’idea che la sua vera famiglia, quella di sangue, lo odiasse tanto da ripudiarlo.
«Sai..» cominciò Mary «quando ero bambina avevo il terrore di perdermi, perché vivevamo in una zona di campagna piena di boschi, in Francia»
Sirius la guardò perplesso, ma rimase ad ascoltarla.
Mary sorrise e alzò lo sguardo al cielo, cercando qualcosa «Un giorno mia madre mi disse: se mai ti dovessi perdere, alza gli occhi e cerca la Stella Polare; lì sarò io, ferma ad aspettarti».
«La Stella Polare?» chiese Sirius.
«La stella che segna costantemente il Nord. Il punto di riferimento dei viaggiatori, o di chi si sente perso» spiegò Mary, prendendolo delicatamente per mano e facendogli fare due passi avanti. Indicò un punto lontano nel cielo, oltre le finestre e gli alberi del parco di Hogwarts. «La vedi?»
«Quella azzurra, più o meno?»
«Esatto» rispose Mary «Sempre lì, una costante nel cielo»
Sirius guardò attentamente la Stella, chiedendosi il senso del discorso di Mary.
«Voglio solo che tu sappia» disse Mary, avvicinandosi a lui e scostandogli i capelli troppo lunghi dagli occhi «che sei hai bisogno di aiuto io sarò sempre qui, come quella stella è sempre nello stesso punto del cielo. Posso essere la tua Stella Polare, se vuoi».
Sirius sorrise grato e le cinse la vita per abbracciarla, poggiando il mento sui suoi capelli disordinati a causa delle loro corse. Rimasero a lungo fermi, stretti l’uno all’altro con gli occhi chiusi, quasi desiderosi di addormentarsi in quella posizione comoda e rassicurante. Quando invece si sciolsero dall’abbraccio, nessuno dei due seppe chi fu il primo ad avvicinarsi all’altro, perché il lungo bacio che seguì nacque dal pari volere di entrambi, togliendo di mezzo i dilemmi del “Chi ha baciato chi?”. E lo sguardo che dopo si scambiarono non fu di dubbio o di stupore, come se si fossero trovati a baciarsi per caso, ma di complice intimità e, nel profondo, anche di consapevolezza che era solo questione di tempo, perché il rapporto che stava crescendo tra loro era ben al di là di una semplice amicizia, ma poneva le basi per una fiducia robusta che ha buona speranze di trasformarsi in amore.
 
 
 
 
 
 
Note: adesso sapete come è nato il “mito” della Stella Polare tra questi due ragazzuoli, e spero che vi piaccia questa semi-spiegazione :)
Un piccolo dettaglio: ho modificato la data del quarto capitolo, dove Mary e Sirius vengono puniti per aver fatto scoppiare il calderone, anticipandola di due settimane di modo che potessero avere il tempo a disposizione per stare in punizione prima delle vacanze di Natale. (Vabbè, non ce ne frega, ma volevo specificarlo XD)
Vi ringrazio tutti, chi legge e chi recensisce facendomi doppiamente felice!
Un abbraccio a tutti :)

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Capitolo 7
*** Tell her this ***


Tell her this

 
 

“Tell her not to go
I ain’t holding on no more.
Tell her nothing if not this,
All I want to do is kiss her”
 
(Ditele di non andare
Io non resisto più.
Dille nulla se non questo
Tutto ciò che voglio è baciarla)

 
 
 
 
 
4 Settembre 1978, Inghilterra
 
Ogni minimo rumore la faceva sobbalzare, procurandole tremiti e tachicardia. Mary non si sentiva affatto tranquilla, non dopo quella lettera.
 
“Non sei più al sicuro, e lo sai. Ti troveremo, Mary MacDonald, e ti staneremo come un topo di fogna. È questo ciò che sei.”
 
Non c’era bisogno di molta immaginazione per capire chi fosse il mittente: solo i Mangiamorte erano impegnati nella caccia ai Non-Purosangue, e ciò che più la spaventava era la consapevolezza che non si sarebbero arresi. Avery e Mucliber non avevano dimenticato le antipatie reciproche, ormai da tempo sfociate in odio, dei tempi di Hogwarts, né la clamorosa vendetta dei Malandrini. Era solo questione di tempo.
L’orologio della sua camera da letto batté le cinque, e quasi contemporaneamente la voce di sua madre risuonò allegra e ignara per le scale.
«Mary, il the!»
«Eccomi» rispose flebilmente Mary, chiudendo la lettera che aveva appena scritto per Sirius e porgendola al suo gufo, che si era tenuto pronto in attesa dell’incarico. Mary rimase per qualche secondo a osservare la figura scura del gufo che volava oltre la finestra, poi decise di farsi forza e scendere in salotto.
I gradini di legno della scala scricchiolarono nell’ improvviso silenzio della casa.
«Mamma?» chiamò Mary allarmata, arrestandosi sull’ultimo gradino.
«Sono qui in cucina» rispose la voce di sua madre, il cui tono forzatamente normale non sfuggì a Mary, che automaticamente mise mano alla bacchetta.
«Mamma vieni qui in salotto, per favore» pregò lei, tremando.
«Il tuo the si raffredda».
Mary allungò un piede per scendere dalle scale in silenzio, ma il gradino scricchiolò e l’esplosione fu così veloce che Mary non ebbe tempo di difendersi.
«Expelliarmus!» gridò alla ceca, socchiudendo gli occhi a causa del fumo dei calcinacci.
Un gettò di luce rossa si precipitò verso di lei, ma stavolta Mary fu abbastanza veloce da scansarlo, rotolando a terra dalla parte opposta.
«Stupeficium!»
La casa venne illuminata di nuovo da colori diversi, che si scontrarono senza però avere alcun effetto.
Mary si acquattò dietro un mobile, ansante e con i pensieri appannati. Non poteva scappare: sua madre era loro prigioniera, forse anche suo padre.
«Vieni fuori, Mary, è inutile che giochi a nascondino» la canzonò una familiare voce maschile, facilmente riconoscibile come quella di Avery.
Mary prese un profondo respiro e strinse più forte la bacchetta, strisciando sul pavimento per raggiungere di soppiatto la cucina.
«Se proprio ti va di giocare..» disse Avery, cominciando a saltellare su sé stesso al centro della sala, scagliando incantesimi ovunque.
Un lampo si infranse contro la finestra spaccandola in mille pezzi, un altro raggiunse il divano e lo lacerò, un altro ancora percorse il salotto e andò a finire nel retro della casa, finché l’ultimo colpì la credenza dietro la quale Mary si era nascosta, facendola crollare a terra e costringendo la ragazza a correre via per non essere schiacciata.
Avery non perse tempo: la disarmò e con un incantesimo la buttò a terra, senza però ferirla.
«Arrenditi, Mary. Abbiamo la tua famiglia sotto tiro» ghignò Avery, il cui volto dei tempi di Hogwarts era stato abbruttito dalla cattiveria e da qualche anno di età in più.
Altri quattro Mangiamorte spuntarono dalla cucina, trascinando con sé il padre e la madre di Mary, legati stretti da delle corde magiche e feriti alle braccia e sul viso. Mary gemette e chiuse gli occhi. Presto avrebbero catturato anche Amélie, la sua sorellina di soli cinque anni che in quello stesso momento era a scuola, ignara di ciò che stava succedendo a casa.
Mulciber –uno dei quattro Mangiamorte- si fece avanti e la raggiunse, crogiolandosi della sua disperazione. «Come ci si sente ad essere un topo in trappola, sanguesporco¹
«Come ci si sente ad essere un inutile tirapiedi privo di considerazione?» ribatté Mary con astio.
Lo schiaffo la lasciò per un attimo senza fiato. Non tanto per il dolore, ma per la sorpresa di ricevere una punizione corporale a mano e non con la bacchetta.
«Lasciatela stare!» urlò la madre di Mary divincolandosi.
«Bastardo! Non toccare mia figlia!» gridò il signor MacDonald, stringendo i pugni.
«Facciamola fuori e basta» ringhiò Mulciber, guardando la diretta interessata con un disgusto e rabbia.
«Lasciateli andare» disse Mary «la questione è tra noi, ma tenete fuori loro. Sono innocenti».
Avery si lasciò andare ad una folle risata. «Pensi davvero che le tue insulse richieste possano impietosirci?»
«Sono ugualmente colpevoli» rispose Mulciber «per aver messo al mondo una sanguesporco come te»
«Come osi, figlio di…» protestò il padre di Mary, subito zittito da un calcio nello stomaco da parte di uno dei Mangiamorte.
«Basta!» urlò Mary disperata. «Loro non vi daranno alcun fastidio, non hanno mai fatto niente di male!»
«Sei tu il loro errore» ripeté Mulciber incrociando le braccia e gustandosi la scena.
Avery attraversò il salotto e si diresse dal padre di Mary afferrandolo da dietro per i capelli. «Dì ‘ciao ciao’ al tuo paparino, MacDonald».
«NO!» urlarono contemporaneamente Mary e sua madre.
Un forte schianto echeggiò per la sala, seguito dalla caduta di innumerevoli schegge di vetro e pezzi di intonaco.
«Dì ‘ciao ciao’ ai tuoi capelli, Avery» disse una voce conosciuta, lanciando un incantesimo che colpì dritto il Mangiamorte, facendogli scomparire la chioma scura e lasciandolo pelato.
Gli altri tre lasciarono subito la presa sui prigionieri, mentre Mulciber si affrettò a contrattaccare, ma i soccorsi furono più veloci: la stanza venne illuminata di diversi colori, che si sparsero ai quattro punti cardinali provocando fumo e demolizioni.
Mary ne approfittò per strisciare di lato e raccogliere la sua bacchetta, unendosi alla lotta. Scagliò un incantesimo contro Avery, e corse dai suoi genitori per aiutarli a scappare.
«Non finisce qui!» fu la frase che qualcuno le pronunciò in un orecchio, prima di smaterializzarsi e scomparire sottoforma di fumo nero, seguito da altre tre ombre.
Quando la foschia si diradò, Mary poté vedere chiaramente gran parte dell’Ordine della Fenice e i due Mangiamorte che erano riusciti a catturare, che però non erano Avery e Mulciber.
Mary si accasciò sul divano, starnutendo a causa della polvere e cercando di calmare il tremito delle mani. Per sua fortuna, presto arrivò Sirius a stringergliele.
 
 
Non era rimasto altro che macerie, polvere e pezzi di legno sparsi qua e là. Il disastro che Mary aveva davanti una volta formava un salotto, una cucina, delle camere. Non restava che polvere e ricordi.
Facendosi forza, Mary superò quello che era il vialetto d’accesso, e varcò la soglia completamente distrutta dell’ex abitazione. Ogni passo scricchiolava su vetri e cemento, sollevando sbuffi di fumo e pericoli nascosti sotto i resti.
Mary entrò nella cucina, cercando di non sobbalzare al contrasto di quella nuova immagine di desolazione rispetto ai suoi ricordi felici.
Sfilò una foto della sua famiglia appesa sul frigorifero e abbandonò la stanza, salendo con cautela le scale –stranamente rimaste quasi intatte-, senza fermarsi a guardare nient’altro.
La battaglia al piano di sotto aveva danneggiato molte camere, ma Mary non perse tempo a contemplare il disastro, recuperando velocemente la valigia da sotto il suo letto e riempiendola di ciò che rimaneva della sua stanza: pochi vestiti, qualche libro di Hogwarts e alcuni ricordi ancora integri.
Mary chiuse gli occhi e la valigia contemporaneamente, uscendo dalla camera con un addio silenzioso per non tornarvi mai più.
Era passata una settimana dall’attacco dei Mangiamorte, e dopo essersi assicurata che i suoi genitori si fossero ripresi, Mary aveva programmato il suo piano di fuga senza informare nessuno: sarebbe scappata dopo aver trovato una nuova casa per i suoi genitori, partendo per la Francia con un volo aereo –in modo da non essere rintracciata dal Ministero Magico tramite la smaterializzazione- e tagliando i ponti con chiunque appartenesse al passato. Persino con Sirius. Era disposta a questo sacrificio, pur di tenere la sua famiglia al sicuro, protetta da un incantesimo che aveva posto sulla nuova abitazione prima di partire.
Non restava che prendere la metro e arrivare all’aeroporto di Londra.
Sarebbe andato tutto liscio, se non fosse stato per la “sorpresa” che i suoi amici avevano organizzato, andandola a trovare per darle conforto durante il tour tra le macerie.
Appena Mary fu fuori dal cancello tinto di un rosso acceso, si trovò davanti Sirius, Lily, James, Remus e Dorcas che camminavano verso di lei con un sorriso che si spense gradualmente quando notarono la valigia al suo fianco.
«Dove diamine stai andando?!» sbottò Sirius.
Mary rimase qualche secondo in silenzio, desolata. «Mi dispiace, ragazzi»
Lily la guardò sconcertata e pose le mani sui fianchi, come era solita fare quando si preparava a fare una ramanzina.
«Non volevo dirvelo perché sapevo che mi avreste fermata» spiegò Mary velocemente, chinando lo sguardo a terra. «Devo farlo, lo sapete. Non posso rimanere qui. Uccideranno me e la mia famiglia.»
«Sei impazzita?» chiese Sirius in tono sarcastico.
«Mary, hai battuto la testa durante la lotta e questi ne sono gli effetti» sospirò Dorcas.
James e Remus si scambiarono un’occhiata, essendo gli unici ad aver capito da subito che Mary aveva ragione: non c’era altro modo per risolvere la situazione. Se Mary avesse deciso di farsi proteggere dall’Ordine, avrebbe dovuto vivere il resto della sua vita sotto copertura, sorvegliata costantemente, oppressa, e la sua famiglia con lei. Era comprensibile che scegliesse la via più facile per eliminare ogni timore dei Mangiamorte.
Ci fu un minuto di silenzio, durante i quali Mary non riuscì ad alzare lo sguardo sui suoi amici infuriati e delusi.
«Stavi per andartene senza dirci niente» disse piano Lily, amareggiata.
«Avrebbe solo reso le cose più difficili» si giustificò Mary con sguardo contrito.
Sirius continuò a fissarla muto, poi si allontanò di qualche passo, stringendo i pugni.
Mary sospirò, lanciando uno sguardo agli altri e raggiungendolo sul viale.
«Sirius..»
«Non…». La frase di Sirius si interruppe, e la sua voce cadde nel vuoto.
Mary provò ad avvicinarsi per stringergli la mano, ma lui la scansò e le voltò le spalle, guardando a terra.
Passarono alcuni secondi di silenzio, pesante come non lo era mai stato tra loro due, finché Mary decise di parlare.
«Se ti avessi detto che avevo intenzione di partire, avresti fatto di tutto pur di non lasciarmi andare. Non negarlo»
«Non lo nego affatto!» ribatté Sirius in collera «anzi, avrei fatto di tutto pur di aiutarti, è un reato, per caso?! Avremmo potuto sistemare la situazione senza ricorrere a questo!»
Mary chiuse gli occhi per un attimo, realizzando di essere dalla parte del torto. «Non avrebbe mai funzionato..» pigolò.
«Avremmo potuto tentare, Mary! TENTARE!» gridò Sirius «te ne saresti andata senza salutare, senza spiegare?!»
Mary provò a ribattere ma le parole le morirono in gola, affogando tra le lacrime che non riuscì a frenare.
Sirius sospirò irritato e si allontanò di qualche passo, di spalle.
«È solo per poco..» mormorò Mary «starò via per poco, solo il tempo di far calmare le acque e assicurarmi che tutto torni normale. Poi tornerò».
«C’era bisogno di scappare in silenzio?» chiese Sirius con tono duro.
«Hai ragione» rispose Mary con voce piatta «mi dispiace»
Sirius si voltò e tornò dagli altri, rimasti rispettosamente a distanza. «Andiamo» disse, prendendo la valigia di Mary.
I ragazzi si guardarono increduli, e Mary con loro.
«Forza, non vorrai perdere l’aereo» la incitò Sirius scontroso.
Mary lanciò un’occhiata a Lily e si affrettò a seguire Sirius, senza una parola.
Il viaggio fu incredibilmente silenzioso: si smaterializzarono fino alla metropolitana di Londra e proseguirono il resto del tragitto fino all’aeroporto con la metro, senza una parola.
Per James e Sirius l’aeroporto era una completa novità, ma nessuno dei due aveva voglia di curiosare e chiacchierare sulle stranezze babbane. Lasciarono che Mary li guidasse al Terminal del suo volo e attesero che la ragazza facesse tutto ciò che richiedeva il protocollo babbano.
Quando aprirono il gate, Sirius lo guardò con odio, come se la causa di quell’assurda situazione fosse l’aereo che stava per portare via Mary dalla sua vita.
La prima a crollare fu Lily: si gettò al collo di Mary, stringendola in modo quasi soffocante.
«Mary, sei ancora in tempo, non sei costretta a farlo!» la implorò trattenendo le lacrime.
Mary la strinse di rimando, ma non riuscì a rispondere alle parole dell’amica. A turno, ognuno la salutò con un abbraccio o con un bacio sulla guancia, cercando parole di addio che non riuscivano ad essere trovate.
Mary tirò fuori dalla borsa una bustina di cartone verde e distribuì ad ognuno una scatolina colorata. «Sono il mio regalo di arrivederci. Avevo intenzione di spedirle, ma visto che siete qui…» spiegò «apritele dopo. Sono personali».
Una voce metallica risuonò per l’enorme sala d’attesa, chiamando i passeggeri del volo 753 per Parigi.
Mary si morse le labbra e attese l’ultimo saluto da parte degli amici. Lanciò uno sguardo a Sirius, che ancora non aveva salutato, e si chinò a raccogliere la valigia. «Devo andare».
Con grande sforzo, Mary dovette distogliere lo sguardo dai visi dei suoi amici e dalle lacrime di Lily. «Non è un addio» disse Mary, sforzandosi di sorridere «non piangere, Lily. Ci rivedremo».
«Sarà meglio per te» scherzò Lily, asciugandosi le guance.
«Promessa di Grifondoro» sorrise Mary «ciao».
Mary si voltò e fece qualche passo avanti, ma si sentì tirare una ciocca dei capelli lasciati sciolti.
«Hey, MacDonald, hai dimenticato qualcosa» disse una voce alle sue spalle.
Mary si voltò con un mezzo sorriso e alzò il viso, incontrando le labbra di Sirius che non le diedero nemmeno il tempo di parlare.
«Volevi andartene senza nemmeno un bacio?»
«Devo essere proprio sbadata» rispose Mary, stringendolo con la consapevolezza del lungo periodo di separazione che li aspettava. E come poteva immaginare che sarebbe stato lungo più di quindici anni?
«Promettimi che non ti troverai un pittore francesino da quattro soldi che ti farà ritratti nuda o con della frutta morta».
Mary scoppiò a ridere, poggiando la testa sulla sua spalla. «Devo ammettere che l’offerta è allettante..»
Sirius la guardò storto, poi capì che stava scherzando.
«Ho già un cane da accudire» sorrise Mary, stampandogli un bacio all’angolo delle labbra.
«Immagino sia impegnativo»
«Non sai quanto» sospirò lei, in modo malinconico.
La voce metallica chiamò ancora i passeggeri del volo, per l’ultima volta.
Mary chiuse gli occhi e costrinse il suo corpo a staccarsi da Sirius, a lasciarlo andare per la sua strada; si allontanò di qualche passo, ma le loro mani rimasero unite, come se avessero voluto non staccarsi più.
Sirius fece un piccolo inchino e le baciò la mano, sapendo che quella giocosa galanteria l’avrebbe fatta ridere. Mary provò per la prima volta la strana sensazione di pianto e riso nello stesso momento.
Guardò per l’ultima volta il viso giovane e bello di Sirius, ancora intatto e fresco, poi partì lasciando l’Inghilterra.
 
 
***
 
 
8 Novembre 1993, Londra
 
I passi del postino echeggiano sui gradini del portico, e ad essi segue il tonfo sordo del giornale lasciato sul tappeto all’esterno della porta.
Mary si affretta a scendere le scale dell’appartamento che condivide con altri ragazzi in un sobborgo di Londra, infilando la mano nello sportello per raccogliere il giornale.
Si reca febbrilmente in cucina dove saluta distrattamente Miles, uno dei suoi coinquilini, e si siede per leggere minuziosamente le notizie.
Da giorni esaminava giornali su giornali –sia babbani che magici- per cercare ogni minima traccia di Sirius e della sua posizione. Era evaso da poco, ma le notizie su di lui erano sempre contrastanti e non era facile capire chi avesse ragione e chi torto. Ma se c’era qualcosa che proprio Sirius le aveva insegnato, era la determinazione.
«Dovresti smetterla di leggere sempre i giornali, dolcezza» la rimprovera Miles, con i capelli neri totalmente scompigliati e una sigaretta tra le labbra «stai diventando più vecchia».
«Grazie per i preziosi consigli, Miles»
«Esci con noi stasera, non ti farebbe male un po’ di aria fresca e qualche drink» le propone, lasciando cadere un po’ di cenere sulla canottiera bianca e già sporca «E ho qualche amico che è in cerca di una ragazza per…»
«Miles» lo ferma lei, irritata dall’interruzione «grazie per queste magnifiche proposte, davvero, ma devo lavorare»
Miles alza le mani, stendendo le gambe sul tavolo «Come vuoi, dolcezza, volevo solo procurarti un po’ di divertimento»
Mary, suo malgrado, gli sorride. Miles non è un cattivo ragazzo: è pigro e svogliato, ma si preoccupa sempre del benessere degli altri, propinando cure a base di alcool e storie di una notte.
È ormai assorta nella lettura, quando un forte miagolio improvviso la fa sobbalzare. Mary rimane in ascolto per qualche secondo, ma quando ricomincia a leggere, il miagolio diviene più forte e insistente.
«Lo senti?» chiede a Miles.
«Io odio i gatti, Cassiopea» risponde lui con un lungo tiro di sigaretta, prendendosi gioco del suo secondo nome.
«Chiamami ancora così e vedrai che berrai accidentalmente del latte scaduto» lo minaccia Mary con un sorriso, posando il giornale sul tavolo e alzandosi per recarsi all’esterno.
«Le tue minacce dette con quel sorriso angelico fanno ancora più paura!» la rincorre la voce di Miles nell’ingresso, facendola ridere.
Quando Mary apre la porta di casa, quello che si trova davanti è un enorme gatto rosso dal pelo gonfio e crespo, col muso schiacciato.
Dato l’incondizionato amore per tutta la specie felina, Mary si china con meraviglia, assumendo un tono dolce e tenero.
«Ciaaaaao, gattino! E tu da dove sbuchi?»
Il gatto si lascia accarezzare e fa anche le fusa per qualche secondo, poi si sposta, scoprendo una grande quantità di lettere legate con dello spago.
Mary le guarda perplessa: non erano state portate dal postino.
Il gatto le rivolge un ‘miao’, poi corre giù per le scale e scompare dalla sua vista.
Mary afferra le lettere per capire chi è il destinatario, e apprende con incredulità che sono tutte destinate a lei, da mittente anonimo.
Le date coprono il tempo di qualche anno: 1978, 1979, 1980, 1981, poi si interrompono. Solo alla fine c’è una lettera dalla data diversa: Agosto 1993.
Mary la apre trattenendo il respiro, certa di sapere chi è il mittente.
 
“La mia promessa è ancora valida.
Tartufo”
 
 
 
 
 
 
 
 
¹ Sanguesporco (Mudblood) indica i figli di babbani, e nei libri è stato erroneamente tradotto come Mezzosangue (Halfblood) che invece indica figli di un babbano e di un mago.
 
 
 
 
 
 
Note: Yep, ormai è un rituale chiedere scusa in ogni capitolo per il ritardo, perciò spero di essere perdonata dal contenuto del capitolo XD
L’ho riletto un po’ di fretta, perciò se ci sono errori vi prego di farmelo notare per poterli correggere!
Un grazie di cuore a tutti :)

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Capitolo 8
*** Wonderwall ***


Wonderwall
 

 
 

Because, maybe, you’re gonna be
The one who saves me?
(Perchè, forse, sarai tu a salvarmi?)

 
 
 
 
12 Dicembre 1993, Hogsmeade (Tre Manici di Scopa)
 
 
“…Questa notte è nato il bambino di Lily e James. È un maschio. Vorrei che tu potessi vederlo, Mary… ha staccato la faccia al padre, ma gli occhi sono tutti di Lily.
Non riesco a smettere di pensare a quanto ora tutto potrebbe essere diverso, se tu non fossi mai partita. Forse il figlio di James e Lily avrebbe un compagno di giochi. Forse saremmo riusciti anche noi a costruire una famiglia. E non sarebbero passati due anni dall’ultima volta in cui ti ho vista.”
 
A queste parole, scritte dalla storta calligrafia di Sirius, a Mary scappa un piccolo singhiozzo, accompagnato da una lacrima silenziosa, ma subito cerca di darsi un contegno, desiderosa di non attirare l’attenzione. Il locale è piuttosto affollato, ma nessuno sembra notarla o riconoscerla.
Mary si era acquattata in un angolo a rileggere le lettere di Sirius, e nonostante ogni volta divenisse sempre più doloroso, aveva bisogno di aggrapparsi a quelle parole scritte -e perciò indelebili ed eterne- che testimoniavano ciò che prima esisteva come un documento ufficiale.
Il Natale si avvicinava, ma niente dell’atmosfera che la circondava riusciva a farla sentire partecipe della festività; non con la consapevolezza che Sirius era sperduto da qualche parte, e che poteva mettersi in contatto con lei solo in maniera indiretta, senza poterle parlare. Era frustante cercare, cercare, cercare e non trovare mai nulla, se non strade sbarrate dal Ministero o dai Mangiamorte stessi che avevano ricominciato a darle la caccia da quando era tornata in Inghilterra.
Quando finalmente Mary capisce che rileggere le lettere è un atto di puro masochismo, decide di uscire dal locale, ritrovandosi nel bel mezzo della tempesta di neve di Hogsmeade. Il vento la fa barcollare, portandola avanti lungo la strada principale. Si è appena incamminata stringendosi l’enorme sciarpa al collo, quando qualcuno –o qualcosa- le strappa via il cappello di lana che la proteggeva dalla bufera. In un primo momento Mary pensa che sia colpa del vento, poi scorge il suo cappello rosso che si allontana nella direzione opposta, come se fosse animato e guidato da qualcosa.
Se si fosse trattato di un qualsiasi cappello, Mary lo avrebbe lasciato andare, ma quel preciso cappello fatto di lana rossa era stato intrecciato a mano proprio da sua madre, come regalo di Natale. Era perciò una reliquia, un ricordo, qualcosa di prezioso: non poteva semplicemente lasciarlo scappare. Si lancia all’inseguimento, inoltrandosi nella tempesta di neve fino a venire accecata, non riconoscendo più i viali di Hogsmeade.
Quando ad un punto di smarrimento crede di averlo perso di vista, il cappello rosso sbuca da un masso, trotterella lì intorno per qualche secondo –come per dare a Mary il tempo di rintracciarlo e seguirlo- e si inoltra di nuovo tra gli alberi, visibile grazie al colore vivace.
Mary si chiede a malapena come sia possibile che un cappello si comporti in un modo simile, ma è talmente stanca che non si sofferma troppo sulla questione, immaginando che in un mondo magico episodi del genere siano all’ordine del giorno.
L’inseguimento dura qualche minuto nel bosco, finché il cappello devia all’improvviso a destra e scompare dalla sua vista. In quel momento si ode un leggere miagolio strozzato, inghiottito dai fischi della bufera. Mary comincia a tremare, persa in un luogo sconosciuto e disorientata dalla neve, sola e con la minaccia dei Mangiamorte alle calcagna. Una domanda le sfiora la testa in quel momento: come hai fatto a non pensare che potrebbe essere una trappola dei Mangiamorte, stupida idiota?
Istintivamente, Mary mette mano alla bacchetta, e quando sente un fruscio e un tonfo alle sue spalle si volta di scatto con la bacchetta tesa.
«Ferma!»
La voce arrochita dell’uomo la spaventa per un attimo. Mary fa qualche passo indietro, spaventata dalla figura rattrappita e malandata che si staglia davanti ai suoi occhi, senza abbassare la bacchetta.
L’uomo sembra leggermente disorientato dal comportamento di lei, e alza le
mani in segno di pace. «Non..» riesce a dire, con grande sforzo.
I suoi panni sono stracciati e sporchi, ed evidentemente trema per il freddo. C’è come un alone di vecchiaia precoce e trascuratezza sul suo volto, che oscura i lineamenti un tempo affascinanti e giovani. Mary non lo riconosce.
«Chi sei?» domanda lei con una punta di angoscia, certa di essere appena stata catturata dai Mangiamorte.
Sirius sussulta. Quante volte aveva sognato quel momento di ricongiunzione, dove lei gli correva incontro e lo abbracciava, coprendolo di baci per ogni minuto che non avevano passato insieme! Quella domanda lo feriva più dei dodici anni passati ad Azkaban.
«Mary..» biascica stupefatto «sono io… sono Sirius! Non mi riconosci?»
Mary lo guarda stordita, poi sbalordita, poi incredula. «No.. non è vero. Tu non sei Sirius, non è vero!»
L’immagine di quell’uomo malato e sporco è troppo distante dall’ultimo ricordo che Mary aveva di Sirius, per riuscire a riconoscerlo. E la paura che prova, mista all’intontimento causato dal Wiskey Incendiario, la rendono certa che non è affatto Sirius, ma uno scherzo della vista, forse un’allucinazione, o ancora peggio un tranello dei Mangiamorte.
«Non è possibile, tu non sei tu! Io conosco Sirius, e non sei tu!» grida, indietreggiando.
Sirius lascia cadere le braccia lungo i fianchi, stupefatto. «Mary..»
«No, tu non sei reale» lo accusa lei, con sguardo allucinato «non è la prima volta che capita, sai? Ma stavolta riesco a risponderti, ormai sono preparata. Già altre volte ti ho visto, mi parlavi, ogni volta mi dicevi che eri proprio tu, e poi scomparivi! Non prenderti gioco di me, lasciami in pace!»
«Calma, calma..» cerca di rassicurala Sirius, avvicinandosi di un passo per tranquillizzarla.
«Vai via! Allontanati!» lo avverte Mary, voltandosi per scappare alla cieca, incurante di andare a sbattere contro un albero o un sasso, ignorando la voce del “finto” Sirius che la chiama nel bosco.
Solo quando giunge al limitare degli alberi, si ferma a riprendere fiato, appoggiandosi ad un albero e rendendosi conto di non aver recuperato il cappello. Mary emette un verso a metà tra un sospiro e uno sbuffo, e si accascia a terra, appoggiandosi al tronco di un albero per calmare la confusione e il mal di testa.
È un breve attimo di distrazione, ma basta a non accorgersi delle figure incappucciate che si stanno avvicinando, silenziose e vestite di nero.
Quando riapre gli occhi, Mary si ritrova di fronte il viso, rimasto quasi uguale, di Avery, che urla: «Cuccù!», e le punta la bacchetta contro.
Nessuno si accorge dell’incantesimo che illumina per un attimo il viale, attraverso lo strato di neve, né delle figure dei Mangiamorte che scompaiono portando con sé il corpo di una ragazza da tempo scomparsa.
 
***
 
15 Gennaio 1977, Hogwarts (Sesto anno)
 
Severus Piton era un ragazzo intelligente e anche fantasioso, per quanto riguardava le vendette. Purtroppo per i suoi nemici, e in particolare per i Malandrini, si impegnava nell’ideare e cercare punizioni adeguate nella stessa misura in cui si impegnava nello studio scolastico.
Bisogna ammettere, però, che Severus Piton era anche un gentiluomo: nonostante lo scherzo del mese precedente fosse stato organizzato sia da Sirius che da Mary, Piton evitò signorilmente di vendicarsi su Mary, concentrando invece tutti i suoi sforzi sul ragazzo.
Voci di corridoio dicevano che Piton non si fosse vendicato di Mary solo perché amica della Evans, che quindi fosse un gesto teso a cercare di riguadagnare la stima di Lily, e non pura galanteria.
Tanto bastò affinché Mary venisse graziata, mentre Sirius non fu così fortunato.
L’arguzia di Piton stava proprio nel creare vendette su misura: ad esempio, avrebbe circondato un ipocondriaco di muffa e sporcizia, o avrebbe chiuso in una bolla un claustrofobico, mirando sempre alle debolezze e alle paure delle sue vittime.
Sirius Black poteva apparire senza macchia e senza paura ad uno sguardo superficiale, ma non agli occhi attenti e penetranti di Piton.
In questo caso, però, nemmeno Piton riuscì a cogliere nell’atteggiamento freddo e distaccato di Sirius ciò che c’era di vero: paura di aprirsi, di essere rifiutato come lo era stato dalla sua vera famiglia, paura di farsi del male. Neanche Piton, accecato dall’odio e dal disprezzo, riusciva a cogliere ciò che di lodevole e meraviglioso c’era nel comportamento di Sirius insieme ai suoi amici, perché solo in quei casi riusciva a essere sé stesso. Il Serpeverde interpretava le sue azioni solo come voglia di essere lodato e apprezzato, conseguenza della paura del giudizio altrui. 
Un giorno qualsiasi dopo pranzo, i Malandrini stavano bighellonando per i corridoi, progettando chissà cosa e chiacchierando animatamente con gli altri studenti.
Accadde tutto in un attimo: l’incantesimo fu scagliato a distanza, ma con molta precisione. Ci fu un momento di dubbio, poi, lentamente, sulla faccia di Sirius cominciarono a crescere peli neri che si allungarono e si moltiplicarono fino a ricoprirgli tutta la faccia. Quando Sirius se ne accorse iniziò a urlare –in modo poco cavalleresco- e scappò via quando i peli si congiunsero con la barba e i capelli, formando un compatto strato nero che avvolgeva tutta la testa e continuava a scendere verso il basso. Sirius sentì le risate che lo inseguivano per i corridoi, finché riuscì ad uscire dal castello, rifugiandosi nel suo luogo preferito, dove spesso andava per stare da solo: un albero storto e dai rami larghi e alti, che affacciava sul lago ma era coperto alle spalle da altri alberi più grandi. Si arrampicò in alto su di esso, fino ad arrivare quasi in cima. Allora si mise seduto e tirò un pugno al ramo, aspettando ad occhi chiusi che l’effetto dell’incantesimo svanisse.
«Questa gliela faccio pagare» mormorava rabbiosamente sottovoce, già certo di chi fosse il colpevole. Iniziò subito ad ideare una vendetta adeguata, immaginando di farlo vergognare quanto lui si era vergognato per quella figuraccia pubblica.
Piton non aveva torto: Sirius aveva realmente paura del giudizio pubblico, influenzato dall’educazione severa della sua famiglia, nonostante cercasse sempre di atteggiarsi a indifferente.
«Heylà, Tarzan» cinguettò una voce interrompendo i suoi pensieri.
Dopo qualche fruscio, apparve la figura di Mary tra i rami, con qualche foglia impigliata tra i capelli.
«Mmm, o forse dovrei dire “salve, uomo della caverne”!» ridacchiò lei, guardando bene gli effetti della vendetta.
Sirius brontolò e si voltò dall’altra parte «Non guardarmi così, sono tremendo, sembro un orso bruno!» si lagnò.
«Sai, ti donano. Si intonano con i capelli» sdrammatizzò Mary.
Sirius le rifilò un’occhiataccia, ma suo malgrado le sorrise, apprezzando il tentativo della ragazza.
«Dai, non c’è bisogno di nascondersi» lo tranquillizzò lei «i peli superflui sono un problema di tutti i ragazzi, basta una pinzetta e risolvi il problema».
Sirius rise, poggiando la testa contro il ramo «Ti stai divertendo a mie spese, vero?»
«Moltissimo» ghignò lei «scherzi a parte, esiste di certo un contro incantesimo, se proprio non vuoi aspettare che passi da solo. Dorcas lo sta già cercando».
«Davvero?» chiese Sirius sollevato.
Mary annuì e cercò di non ridere nel guardarlo, perché sembrava proprio una montagnola di peli a forma di uovo, cui fossero stati incastonati due occhi, un naso e una bocca.
«Sembri esattamente un tartufo» sospirò Mary con un sorriso.
«Un cosa?»
«Oh Santo Merlino, Sirius, un tartufo! Non lo hai mai assaggiato?» chiese sbalordita.
«Avrei dovuto?»
«Maghi» fece spallucce Mary con una linguaccia. Si sporse in avanti per afferrare qualcosa dall’alto di un ramo, staccandone una grossa castagna.
«Quella è una castagna» fece notare Sirius.
«Esatto, geniaccio» confermò Mary sorridendo.
Tirò fuori la bacchetta e mormorò qualcosa sottovoce, trasfigurando la castagna. «E questo è un tartufo» disse mostrandogli il risultato «un tartufo nero, per la precisione. È molto buono da mangiare, ma così crudo senza nient’altro non te lo consiglio».
Mary lo avvicinò alla faccia di Sirius «Già, siete proprio uguali».
Sirius prese un’altra castagna e la mise a confronto con il viso di Mary «Hai trovato la tua gemella, cara»
Entrambi risero, concordando mentalmente sulla loro idiozia intellettuale.
«Bene, tartufo, le va ora di scendere e fare una passeggiata, o ha intenzione di rimanere qui a piangersi addosso tutto il giorno?» chiese Mary in tono fintamente cerimonioso.
«Solo se per pranzo posso aver delle castagne» rispose Sirius.
«Anche adesso» ribatté Mary, avvicinandosi e stampandogli un bacio sulle labbra. «E magari anche una rasatura, che ne dici, tartufo?»
«Prima le castagne» ghignò lui stringendola a sé.

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Capitolo 9
*** I dreamed a dream ***


I dreamed a dream

 
 
 
 

«And still I dream he'll come to me,
That we will live the years together
But there are dreams that cannot be
And there are storms we cannot weather»
 
(E ancora sogno che lui torni da me,
che vivremo i nostri giorni insieme
Ma ci sono sogni che non si possono realizzare
E ci sono tempeste che non possiamo affrontare)

 
 
 
 
 
25 Febbraio 1979, Inghilterra
 
Sirius posò la piuma sulla scrivania, con sguardo pensieroso e le mani strette sotto il mento. La lettera che aveva appena scritto era il solito resoconto giornaliero che non avrebbe mai preso il volo per raggiungere il destinatario. In quelle lettere Sirius dava sfogo al flusso continuo di parole, opinioni, informazioni e battute che avrebbe voluto condividere con Mary, e che invece erano destinate a rimanere impresse su carta. Sarebbe stato rischioso e irresponsabile cercare di spedire lettere, oltre che impossibile, data la mancanza di un indirizzo cui inviarle. Questi erano stati i patti: niente contatti e nessun recapito, per prevenire attacchi di nostalgia. Nonostante tutto, Sirius non poteva impedirlo: quel tremendo mostro lo attaccava alle spalle, quando meno se lo aspettava, e non lo lasciava andare per ore sebbene cercasse di distrarsi.
Quella mattina l’Ordine della Fenice se l’era vista brutta: i Mangiamorte avevano attaccato Marlene Mckinnon, prendendo in ostaggio la famiglia. L’intervento tempestivo dei membri dell’Ordine e degli Auror era servito a poco: i Mangiamorte avevano sterminato l’intera famiglia, Marlene compresa, innescando una lunga battaglia che si era conclusa con molti feriti. Il giorno dopo ci sarebbe stato il funerale.
Erano distrutti. Marlene era la prima vittima all’interno dell’Ordine, la prima amica del gruppo a morire per mano dei Mangiamorte, la prima assenza con cui fare i conti. Lily, tornata a casa, si era chiusa nella sua camera e non era più uscita, finché nel tardo pomeriggio James si era rassegnato e aveva lasciato che Sirius tornasse a casa sua.
Da solo, l’appartamento gli sembrava troppo grande, troppo vuoto e silenzioso, quasi minaccioso. Aveva preso carta e penna, e aveva scritto a Mary, pronunciando ad alta voce le parole, immaginando di averla accanto e di parlare direttamente con lei. Quando alla fine Sirius si rassegnò all’idea che quel pezzo di carta scarabocchiato non l’avrebbe avvicinato a Mary, si buttò sul letto e cercò di addormentarsi, senza nemmeno mettersi il pigiama.
Fu un sonno irrequieto e agitato, che durò un paio d’ore. Sirius si svegliò nel bel mezzo della notte con il battito accelerato, reduce da un brutto sogno che l’aveva fatto gridare.
Stupido,pensò immediatamente il ragazzo, senza un preciso motivo. Immediatamente cominciò ad elencare le ragioni per insultarsi: aver comprato un letto matrimoniale, certo che ci avrebbero dormito due persone; aver lasciato partire Mary; non aver avuto il coraggio di sposarla come aveva fatto James con Lily…
Andò avanti così per mezz’ora, quando finalmente capì che era inutile piangersi addosso. Allungando la mano sul comodino, Sirius recuperò la bacchetta e rotolò fuori dal letto, chiudendo gli occhi e lasciandosi trascinare dall’impulsività.
Francia. Non sapeva dov’era Mary, ma in quel momento a Sirius sembrava poco improbabile trovare una persona in un paese sconosciuto. Pensò all’unica cosa che conosceva della Francia, la Tour Eiffel, e con quel pensiero si smaterializzò.
Riaprendo gli occhi, si ritrovò nel bel mezzo di una strada, di fronte a un bar gremito di luci e persone. Un colpo di clacson lo fece sobbalzare.
Un uomo si sporse dal finestrino e urlò qualcosa che Sirius non comprese, ma che ebbe l’effetto di spostarlo dal centro della strada.
In pochi si accorsero del fatto che un momento prima non c’era nessuno, e un momento dopo era apparso un ragazzo dal nulla. Sirius si voltò e vide a poca distanza la tanto nota Torre, luminosa e imponente, affascinante in modo singolare.
Sono a Parigi, realizzò incredulo Sirius.
Per un momento si sentì euforico, poi l’entusiasmo svanì. E adesso? Come la trovo?
Non aveva un indirizzo né un soldo. Solo l’impulsività che lo avrebbe sempre portato a infilarsi nei casini, fino alla fine.
Ripreso fiato, Sirius cominciò a fermare ogni passante, ripetendo la stessa domanda all’infinito: “Conosce Mary MacDonald?”, mostrando la foto che portava sempre con sé. Pochi si fermavano, nessuno rispondeva affermativamente. In qualche secondo Sirius capì che forse Parigi e l’intera Francia erano più grandi di quello che pensasse.
Camminò a lungo, spaesato, mormorando sottovoce come un folle finché senza rendersene conto si infilò in un vicolo. Brancolò nel buio, finendo contro un cestino della spazzatura e rovesciandolo a terra.
«Davvero romantico» commentò una voce alle sue spalle.
Tanto bastò a farlo sobbalzare. Portò immediatamente una mano alla bacchetta, perché certe voci non si dimenticano.
«Avery» bisbigliò Sirius, prima di buttarsi istintivamente di lato, riuscendo così ad evitare l’incantesimo scagliato dal Mangiamorte. Contrattaccò immediatamente, ma non centrò il bersaglio.
«Grazie per averci rivelato dove si trova la tua ragazza, idiota» lo canzonò Avery, creando uno scudo per difendersi dagli incantesimi di Sirius. «Dovevi immaginarlo, no? È da mesi che teniamo d’occhio gli spostamenti tuoi e dei tuoi amici per arrivare al luogo in cui si è nascosta la Sanguesporco»
«Maledetto!» biascicò Sirius, puntandogli contro la bacchetta, mosso dal desiderio di usare una Maledizione Senza Perdono.
Avery rise in modo convulso e infantile, dando i brividi a Sirius.
«Attento alle pulci» disse enigmaticamente prima di sparire, lasciando Sirius da solo a farsi domande e sensi di colpa.
Non avrebbe mai saputo che Mary non si trovava a Parigi e che, nonostante sapessero che si fosse trasferita in Francia, i Mangiamorte non sarebbero mai riusciti a trovare Mary nel piccolo paesino sperduto in cui si era stabilita.
 
 
***
 
 
24 Dicembre 1993, Inghilterra
 
Silent night, holy night¹…
La carola di Natale si diffonde nella stanza, fioca e attutita, arrivando da chissà dove.
«..All is calm, all is bright» prosegue Mary, ricordando le parole del canto.
È così che capisce che il Natale si sta avvicinando, realizzando in qualche secondo che si trova lì da quasi due settimane.
Due settimane, pensa Mary esausta. Due settimane di prigionia.
Sleep in heavenly peace, prosegue la carola, dandole un po’ di conforto.
Poggiata a terra, affamata e infreddolita, Mary pensa che vorrebbe davvero riposare in pace, volare via dalla stanza buia e vuota in cui l’hanno rinchiusa. Ci sono giorni in cui viene lasciata in pace, altri in cui i Mangiamorte –sempre Avery e Mulciber, a volte accompagnati da altri uomini incappucciati- cominciano a farle domande sull’Ordine, su Sirius, su Harry Potter, su Silente, e per ogni domanda senza risposta c’è una tortura, quasi sempre una Maledizione Cruciatus.
E adesso è quasi Natale, e io sono rinchiusa qui nelle mani di questi maniaci. Senza bacchetta, né possibilità di fuga.
La prima settimana Mary ha provato a ribellarsi, a reagire, perfino a riprendersi la propria bacchetta, che Mulciber porta sempre appesa al collo con un laccetto, per farla arrabbiare e scatenare la sua reazione; ma ogni volta i Mangiamorte hanno la meglio.
La carola di Natale si spegne, e subito dopo ne segue un’altra, che Mary non riconosce.
Upon this holy night²…
Mary sbuffa, voltandosi su un fianco, finché un verso della carola illumina i suoi pensieri confusi.
Birds’ voices rise in song.
L’immagine di un uccello in volo si staglia nitida e fulminante nella sua mente, facendola sobbalzare. Un uccello, piccolo e leggero, in grado di passare tra le sbarre della finestra in alto e uscire di lì.
Sono anni che Mary cerca di trasformarsi in Animagus, senza ottenere risultati. Ora capisce cosa le ha sempre impedito di riuscire nell’intento: la scarsa determinazione. Ma in questo momento è più decisa che mai a fuggire e mettersi in salvo, perché sa che Sirius è ancora lì fuori, e che presto –quando finalmente si rassegneranno- i Mangiamorte la uccideranno.
Chiude gli occhi, ancora stesa a terra, e si concentra con tutte le sue forze sulla figura di un uccello libero, immaginando di trasfigurarsi e di far crescere penne sulla sua pelle, con le braccia che si allungano fino a diventare ali.
Non sa come né in quanto tempo, ma si ritrova in un corpo diverso, più piccolo e leggero. Prova, per la prima volta, la stranissima sensazione di avere un corpo che non è il proprio. Istintivamente apre le ali, senza sapere ciò che sta facendo. Non riesce a capire in cosa si è trasformata, ma percepisce di essere un uccello, quando finalmente si alza da terra di qualche metro.
Quando sente dei passi, si ritrova a terra, ancora incapace di usare bene quei nuovi strumenti così diversi dalle braccia umane.
La porta si spalanca e la stanza viene inondata di luce. Mulciber socchiude gli occhi, poi si precipita all’interno, incredulo, incapace di capire come sia possibile che la stanza sia vuota.
Alle sue spalle, Mary, appollaiata sullo stipite della porta, si fionda contro di lui, beccandolo su ogni centimetro che le capita a tiro e strappandogli dal collo la corda cui è legata la sua bacchetta. In un impeto d’ira, per vendicarsi del male che le hanno inflitto in quelle settimane, Mary dà un’ultima, forte beccata sul naso di Mulciber –lasciandogli un segno rosso e un livido che sarebbero durati per settimane- poi si infila tra le sbarre della finestra e vola via lontana e libera, stringendo la bacchetta nel becco.
 
Prima di quel momento, Mary non avrebbe mai immaginato quanto un essere vivente potesse sopportare lo sforzo, il dolore e la fatica.
Nonostante la stanchezza e la fame, vola per ore e ore, attraversando città, colline, montagne, fino a sorvolare una vasta distesa di mare che sembra interminabile. Su questo mare brillante ringrazia il cielo di essere viva, e mentre le forze cominciano a mancarle si sente vacillare. Sbandando, riesce a trascinarsi fino alla terra ferma, abbattendosi su un porto e rimanendo inerme per molti minuti. Vorrebbe riprendere la forma umana, ma capisce che sarebbe incauto e da sciocchi: chiunque potrebbe vederla.
Dopo qualche minuto di pace, sente dei passi e una piccola folla comincia a radunarsi attorno a lei, punzecchiandola con un piede e chiedendo ad alta voce se sia morta. Mary tira un sospiro di sollievo nel costatare che le persone di quel posto parlano inglese, ma nota un accento diverso da quello anglosassone.
Qualcuno la afferra per le ali e la solleva, e Mary reagisce bruscamente: becca il braccio dell’ignoto e sbatte le ali per allontanare tutti. Capisce che deve andarsene da quel luogo in cui ha dato così nell’occhio e si rimette in volo, solcando i cieli di quel posto che non riesce a riconoscere.
Sorvola la città per un po’, ritrovandosi fuori da essa molto presto. Subito iniziano campagne, colline verdi e boschi, quasi interamente coperti da un manto di neve candida. È un posto meraviglioso, brillante e incredibilmente freddo. Mary è quasi tentata di rimanerci per sempre, ma continua a volare tra le nuvole scure e minacciose di pioggia e neve finché non scorge una foresta fitta e alta, decidendo di accamparsi.
È ormai notte fonda, e anche se buia la foresta appare ospitale e tranquilla, ovattata dalla neve che ricopre rami e foglie. Mary sceglie un albero cavo e vi deposita la bacchetta, sistemandosi poi dentro di esso per riposarsi.
Esausta, Mary prova a parlare ma le esce dal becco un verso strano e distorto, che subito riconosce come quello della civetta. Incredula, sbatte le ali per la sorpresa.
Tra tutti gli uccelli esistenti mi sono trasformata proprio in un civetta?, pensa sarcastica. Decide di riderci su, immaginando quanto la prenderebbe in giro Sirius se lo sapesse.
Dalla sua postazione, riesce a scorgere un cartello situato metri più in basso, che annuncia l’ingresso nel paese Lullymore. In un lampo, Mary ricorda dove ha già sentito quel nome: è arrivata in Irlanda.
 
 
 
 
¹ La canzone in questione è “Silent night” ovvero la versione inglese di “Bianco Natal”.
 
² La carola è “Carol of the birds”, una canzone quasi sconosciuta che però era adatta per l’occasione XD
 
 
 
 
 
 
Note: Hola! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ringrazio Ginevra 0002 e lietome_ per le loro instancabili recensioni che mi rendono sempre tanto felice! E, per una volta, voglio chiedere un’ opinione anche dalle tante persone che leggono e seguono la storia in silenzio, per sapere cosa ne pensano :)
P.s. se siete curiosi di sapere perché ho scelto proprio la civetta per Mary, vi rimando alla spiegazione che ho trovato su un sito di simbologia animale:
“La Civetta insieme al gufo rappresentano la chiaroveggenza, associati spesso a maghi e indovini, simboleggiando la comprensione, la luce dopo la soluzione di un problema. Essendo animali notturni evocano l’oscurità come sinonimo di tenebre e di morte, ma mentre la Civetta, con il suo sguardo acuto penetra il buio, personificando la luce come uscita dalla tenebre indicando la rivelazione, al gufo spetta un significato negativo, come uccello del malaugurio, annunciatore di morte.”
Grazie a tutti :*
 

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Capitolo 10
*** Are you sure? ***


Are you sure?
 
 
 
Look around you
look down the bar from you
at the faces that you see,
are you sure that this is where you want to be?
 
(Guardati intorno
Guarda lungo il bancone
Guarda le facce che ti circondano,
sei sicuro che questo sia il posto giusto per te?)
 
 
 
 
 
 
Giugno 1994, Irlanda
 
Un violento raggio di sole colpisce la finestra del pub, riflettendo piccoli arcobaleni sul legno irlandese. Subito scompare, rimpiazzato da una grossa nube che copre il cielo e fa scoppiare un improvviso diluvio in pochi secondi.
Guardando malinconicamente alla finestra, Mary sospira. Sono passati circa sei mesi da quando è arrivata in Irlanda, sei mesi da quando ha cambiato vita e identità, senza mai tornare in Inghilterra, e ancora non si è abituata ai repentini cambiamenti del clima irlandese.
«Lucy!» chiama il proprietario del pub il “Malone”.
Mary si volta, nonostante spesso si dimentichi che quello è il suo nuovo nome, e che dovrà per sempre.
«I clienti aspettano, Lucy» la rimprovera il proprietario, senza troppa severità. Mister Crehan, il direttore, è un uomo di mezza età dall’aspetto burbero, ma dal carattere docile e bonaccione. Aveva assunto Mary –ovvero Lucy- più per gentilezza, che per le effettive capacità della ragazza di fare la cameriera. Nonostante Mary non fosse un impiegata modello, mister Crehan la rimproverava con dolcezza, e faceva il possibile per aiutarla. Il modo in cui la ragazza era giunta al pub per chiedere un lavoro, sei mesi prima, infreddolita e affamata, doveva avergli fatto credere che era reduce da una brutta avventura, e così si era permesso di ospitarla per le prime settimane nel suo appartamento, assicurandosi che la moglie la nutrisse a dovere con le tipiche ricette irlandesi.
Così, ora Mary ha una nuova vita. Comincia ad approfondire le nuove conoscenze, a familiarizzare con l’accento, le usanze e la cucina del posto, e pensa che sebbene ci sia troppa pioggia per i suoi gusti, il luogo e i paesaggi le piacciono. Ogni mattina fa una passeggiata nel bosco vicino l’appartamento che ha affittato, tenendo sempre a portata di mano un impermeabile. ha chiuso la bacchetta in un cassetto nascosto nell’armadio e non l’ha più usata, come aveva fatto anni prima in Francia.
Sebbene sembri una vita apparentemente tranquilla, Mary vive nel terrore. Ogni giorno si guarda intorno con aria circospetta, osserva ogni minimo movimento, terrorizzata di veder spuntare i Mangiamorte ad ogni angolo. La troveranno di nuovo, ne è certa. L’avevano fatto una volta, e lo avrebbero fatto ancora.
Per questo, dopo molte riflessioni, Mary ha deciso che scapperà il più lontano possibile, dall’altra parte del mondo, o alla fine di esso. In America. La grande, dispersiva, generosa America. Sarebbe stata accolta, e lì finalmente nessun Mangiamorte l’avrebbe più trovata. Ha già cominciato a mettere i soldi da parte da un mese, e conta che in altri due mesi riuscirà a pagare il costoso volo transoceanico che la porterà in una nuova patria, al sicuro.
C’è solo un piccolo freno a questo geniale piano: significa dire addio a Sirius per sempre. Solo una piccola parte di Mary tiene in considerazione il problema, mentre l’altra si è auto convinta che troverà un modo per incontrarlo e scappare insieme.
«Tavolo sette, Lucy» sussurra Mark, passandogli accanto mentre fa zig zag tra i tavoli per portare tre birre ai clienti. Mary sobbalza e si rimette a lavoro, trascinandosi al tavolo richiesto e cercando di stamparsi in faccia un sorriso cortese, come richiesto dalla sua posizione.
Alla fine della giornata, quando chiudono il pub all’una di notte, Mary si lega i capelli e inizia a rimettere in ordine tavoli e sedie, quando Mark gli si avvicina con una spugnetta in mano.
«Dovresti prenderti una pausa, hai un’aria esausta» dice con un mezzo sorriso.
«È un modo per dirmi che vuoi fare le pulizie al posto mio?» scherza Mary sorridendo, mentre raccoglie i bicchieri vuoti sul vassoio.
«Sì» risponde inaspettatamente Mark, passandosi una mano tra i capelli ramati «ma solo se accetti di venire a bere qualcosa».
Per un attimo Mary lo guarda sorridendo, certa che stia scherzando. Ma dal suo sguardo serio, capisce che la sua è una vera proposta.
«Adesso?!» sbotta Mary in tono sarcastico.
«Perché no? Siamo abituati a fare le ore piccole per il locale» fa spallucce Mark, con un sorriso sbarazzino e convincente.
Mary abbassa lo sguardo, imbarazzata. Subito pensa a Sirius, e a quello che direbbe se sapesse che è uscita con un altro ragazzo.
«Mark, sei davvero gentile…» risponde a bassa voce «ma non posso, sono davvero stanca, e poi… non posso»
«Possiamo rimandare, se vuoi..» tenta Mark.
«Non è solo quello, è che davvero… non posso» insiste Mary, passandosi una mano sulla fronte, con aria sfinita.
«Ho capito. C’è un ragazzo, vero?» intuisce Mark, con un’espressione comprensiva che Mary non gli ha mai visto prima.
Il silenzio della ragazza conferma l’ipotesi di Mark, che la rassicura subito. «Allora sarà un’uscita da amici. Forza, Lucy, devi pur distrarti, ogni tanto»
A Mary scappa un sorriso per quell’affermazione, come se si fosse chiusa in un convento e avesse bisogno di distrazione. Ma dopo qualche momento di riflessione, Mary capisce cosa intende Mark, e improvvisamente sa che quel ragazzo ha già capito molte cose su di lei, forse più di quanto lei non voglia ammettere.
«È normale sentirsi soli. Sei arrivata da poco» continua Mark, con aria convincente. «Hai bisogno di un amico»
Mary lo guarda con aria poco convinta, e lui ripete: «Solo un amico, prometto».
Si guardano per qualche secondo, poi lei annuisce. «Finiamo velocemente e andiamo».
Mark annuisce di rimando e sorride soddisfatto «Offro io, per stavolta»
«Che gentiluomo» scherza Mary, portando via il vassoio e sorridendogli grata, finalmente felice di aver trovato qualcuno che la faccia sentire meno sola.
Mentre finisce di mettere in ordine i tavoli, Mary trova un giornale mezzo bagnato di birra sotto un tavolo, e lo raccoglie schifata, stupendosi di quanto sappiano essere incivili le persone nei pub quando escono solo per bere e fare baldoria.
Si accorge appena in tempo che una figura nel giornale si è mossa, prima che Mark possa notare qualcosa di sospetto. Col cuore che sobbalza, Mary si volta e apre il giornale di nascosto, accertandosi che è proprio la Gazzetta del Profeta, con articoli sul mondo magico e personaggi magici.
In prima pagina, un po’ zuppa di birra, un’enorme foto di Sirius attrae l’attenzione sull’articolo sottostante.
IL PLURIOMICIDA SIRIUS BLACK È EVASO E IN FUGA.
Dopo l’improvvisa sensazione di mancamento, Mary si siede e legge velocemente l’articolo, che informa i maghi che Sirius era stato arrestato e sottoposto al bacio dei Dissennatori, riuscendo a scappare prima di essere processato.
Ancora una volta a migliaia di chilometri di distanza, Mary si chiede se ricordi la sua promessa e se stia venendo e cercarla.
 
***
 
 10 Luglio 1981, Inghilterra
 
Il fumo della sigaretta si alzò leggero, disperdendosi nella stanza buia. In silenzio, Sirius prese una boccata ed espirò subito, in modo automatico.
Il vizio del fumo era una novità, un bisogno che sentiva da quando Mary se n’era andata, e che usava per sfogare  la rabbia e la frustrazione. Sapeva quanto quegli aggeggi babbani gli facessero male –c’era scritto a caratteri cubitali sul pacchetto- ma non riusciva a farne a meno, perché gli davano l’illusione di riempire un vuoto incolmabile.
A volte il ricordo del suo viso gli sfuggiva, sfumandosi nella nebbia, finché Sirius non lo rinfrescava guardando la foto che conservava con estrema cura. Sempre più spesso, non riusciva a ricordare la sua voce, il suo profumo o la sua risata.
C’erano momenti bui in cui Sirius, preso dallo sconforto, si chiedeva se Mary fosse mai esistita o se fosse stata solo una sua invenzione. C’erano giorni in cui il ricordo di Mary era come un fantasma.
Come quella sera, seduto nella sua stanza buia, osservando la schiena nuda di una ragazza che conosceva a mala pena, oppresso dai sensi di colpa e dalla nostalgia, Sirius non poteva fare a meno di chiedersi se Mary non fosse stato altro che un lungo sogno dal quale si era svegliato bruscamente.
La sconosciuta si mosse lentamente e si volse sull’altro fianco, con il viso addormentato rivolto verso Sirius. Lui la guardò e si sorprese di non riconoscere tratti familiari, si meravigliò di come fosse stato capace di scegliere una ragazza qualunque pur di sentirsi meno solo per un po’. Inevitabilmente, paragonò quella ragazza senza nome a Mary, e si sentì oppresso dal pensiero di ciò che lei avrebbe detto se avesse saputo che l’aveva tradita. Sì, rifletté Sirius, quello era un tradimento a tutti gli effetti. Nonostante non avesse contatti con Mary da quasi tre anni, aveva pur sempre tradito il suo ricordo, la sua fiducia. Si sentì un verme, un inetto, uno dei tanti ragazzi che non sapevano tenere a freno i loro impulsi.
Sirius ciccò la sigaretta nel posacenere e si raggomitolò su sé stesso. Come in un sogno, i suoi pensieri volarono alla prima notte che lui e Mary avevano passato insieme, al contrasto tra quelle due esperienze, a come fosse innegabilmente schiacciante la differenza tra Mary e una qualunque ragazza rimorchiata a caso dalla strada. 

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Capitolo 11
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Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi,
 anche se non sempre come noi ce l'aspettiamo.
[Luna Lovegood]
 
 
 
9 Luglio 1978, Inghilterra
 
In un angolo del Quartier Generale giaceva la carcassa di quella che era stata la sua gloriosa moto, di cui tanto era fiero. Guardarla così, accartocciata e distrutta, gli procurava una fitta al cuore che si alleviava solo al pensiero che la magia l’avrebbe riparata.
«Quella si aggiusterà prima che tu possa dire “Mangiamorte”, ragazzo» esclamò burbero Malocchio, calandosi su una sedia vicino la sua, mentre lui aspettava pazientemente che l’infermiera finisse di medicargli le ferite.
Sirius già temeva la reazione di Mary, una volta tornato a casa. Sua madre a confronto sarebbe sembrata un agnellino.
Fortunatamente le ferite non erano gravi, e Sirius –a piedi, per perdere più  tempo- tornò a casa la sera stessa dell’ “incidente”, con le ossa un po’ indolenzite e una tremenda ansia che lo divorava dentro.
Appena arrivato davanti la porta del suo appartamento, fu preso prima dai sensi di colpa, poi dalla paura e da un irrefrenabile impulso di scappare via per non affrontare Mary.
Invece, facendosi coraggio e ricordando a sé stesso che era un uomo, non un coniglio, infilò le chiavi –maledetti aggeggi babbani- nella toppa ed entrò nel corridoio d’ingresso, già illuminato dalla luce del salotto dove sicuramente Mary lo stava aspettando.
Sul divano, Mary era seduta con la testa tra le mani, e quando sollevò il capo Sirius notò che aveva gli occhi rossi.
«Hey..» azzardò lui in salutò, posando le chiavi sul mobile.
Mary chinò per un attimo la testa e sospirò leggermente, poi si alzò e fece un passo verso Sirius.
«Mary, mi dispiace..» cominciò Sirius, terrorizzato dal suo silenzio, e subito zittito dall’espressione della ragazza.
«Hai idea di quanto tu mi abbia fatto preoccupare?!» esclamò Mary con voce strozzata «mi avevano detto che i Mangiamorte ti avevano teso una trappola, tu eri uscito senza dire niente, non sapevo dove fossi e cosa ti fosse successo, hanno detto che eri gravemente ferito!»
«Hanno esagerato come sempre, Mary..» cercò di difendersi Sirius, ben sapendo che era comunque lui ad essere dalla parte del torto.
«E tu esci nel bel mezzo della notte senza dire nulla, vai a farti un giro in moto e ti metti anche a fare combattimenti da solo contro cinque Mangiamorte?!» sbottò Mary arrabbiata. «Potevano ucciderti, ti sei salvato solo per pura fortuna!»
«Non fare la drammatica..» si lamentò lui, indispettito per quella valanga di accuse, sebbene vere.
«Non fare la drammatica?! Ho aspettato qui per cinque ore in attesa che qualcuno mi dicesse che eri vivo o che per lo meno eri ancora intero, hai idea di cosa vuol dire aspettare che qualcuno ti dica se la persona che ami è ancora viva?!» si indignò Mary alzando la voce, con uno sguardo prossimo al pianto.
Sirius non riuscì a ribattere, perché di tutto quello che lei aveva appena detto, ciò che più lo colpì fu che per la prima volta Mary aveva ammesso di amarlo.
«Non fare quella faccia ebete» ringhiò Mary sempre più arrabbiata, incrociando le braccia.
«Hai appena detto di amarmi, scusa ma devo godermi questo momento» rise Sirius, divertito dalla reazione della ragazza.
Mary sbuffò incredula «Di tutto questo, la cosa che ti fa ridere è che ho detto che ti amo? Era ovvio, porca pluffa, volevi la dichiarazione scritta?!»
Sirius scoppiò a ridere e si avvicinò per baciarla così velocemente che non le diede modo di scappare.
«Ti amo anche io, per la cronaca» ridacchiò Sirius lasciando le sue labbra.
Mary sospirò addolcita e poggiò la fronte sulla sua spalla «C’era bisogno di farsi quasi uccidere per dirlo?»
«Certo, dovevo dirtelo in un momento carico di patos ed eros» rispose Sirius divertito.
«Stai farneticando..» rispose Mary baciandogli il collo.
«Allora farnetichiamo insieme, dai» sussurrò Sirius, prendendola in braccio e portandola al piano di sopra.
 
 
***
 
 
23 Ottobre 1994, Francia
 
Per la prima volta nella sua vita, Sirius capisce il senso di quel modo di dire babbano “correre come se non ci fosse un domani”. Per lui non ci sarà un domani, se smette di correre proprio adesso. Corre, sbattendo e inciampando ovunque le stradine francesi gli tendono trappole, corre e non riesce a pensare a nulla se non a mettersi in salvo, corre e sente il corpo cedere implorando riposo, corre sapendo che è la sua unica via per sopravvivere.
La polizia magica gli è alle costole. Non ha idea di come abbiano fatto gli Auror a rintracciarlo in quello sperduto paesino francese dove lui è venuto per cercare Mary, e questo gli fa rendere conto di quanto sia poco al sicuro, ovunque vada.
Ha passato circa un mese in Olanda, poi nel Belgio, poi girando per tutta la Francia, programmando di scendere sempre più al sud, verso la Spagna, e di spostarsi di stato in stato ogni mese, per non essere trovato o avvistato da nessuno. Ma proprio quella mattina, mentre si svegliava con calma nel parco in cui si era addormentato, un incantesimo lo aveva sfiorato, e qualcuno aveva urlato “è lì, lo abbiamo trovato!”. Tanto è bastato per farlo scattare come una molla.
E mentre ora corre a perdifiato, si rende conto che gli Auror sono in vantaggio: qualcuno di loro conosce molto bene quelle stradine francesi, perché riesce a trovare scorciatoie che lo avvicinano sempre di più alla loro preda.
Quando ad un incrocio di vicoli Sirius non sa dove andare ed esita per un attimo, qualcuno alle sue spalle ne approfitta: si butta su di lui e lo fa rotolare lungo la strada, atterrandolo.
«Preso!» urla il catturatore.
Prima che riesca ad alzarsi per scappare di nuovo, senza bacchetta o difese, Sirius alza gli occhi al cielo limpido e si ritrova immerso nel buio della smaterializzazione.
 
Un cinguettio dolce lo sveglia lentamente, tanto che ci mette un po’ a realizzare dove si trova e a ricordare ciò che è successo prima di perdere i sensi.
Si alza di scatto e gli gira forte la testa; accasciandosi di nuovo a terra riesce a mettere a fuoco una macchia verde, che prende la forma di tanti alberi, e il rumore soffice di un ruscello che scorre in lontananza.
Intontito, si chiede se si è appena svegliato da un lungo sogno.
«Dove sono?» mormora confuso, cercando di alzarsi e ricadendo inevitabilmente a terra, privo di forze.
Mi stavano inseguendo, ricorda all’improvviso. Mi avevano preso! Sono morto?!
Sta quasi per ricadere nel torpore, quando una secchiata di acqua gelida gli si rovescia sulla testa, facendolo strillare per la sorpresa e svegliandolo in un colpo solo.
«Così va meglio, non ti pare?» domanda una cinguettante voce alle sue spalle.
Sirius si alza fradicio e gocciolante, e guarda ad occhi sbarrati la giovane donna sconosciuta alle sue spalle, che lo osserva con un largo sorriso e gli occhi vivaci.
«Che diamine..?!» comincia Sirius sbigottito, ma la ragazza lo ammutolisce alzando l’indice.
«Era l’unico modo per svegliarti, dolcezza, ti avevo sedato pesante..» spiega la ragazza, sulla ventina, con corti capelli rosso chiaro e gli occhi castani.
«E tu chi diamine..»
«Sono Emma Windforth, nuova Auror del Ministero Magico Inglese» si presenta la ragazza, salutandolo con la mano.
Sirius sbarra gli occhi e capisce in quell’istante che è appena stato catturato. Il suo primo impulso è di scappare e sfuggire all’arresto, ma quando ci prova le sue gambe cedono e cade di nuovo a terra incapace di muoversi.
«Ah, già, dovevo avvisarti» ricorda Emma «ti ho fatto un incantesimo in modo che non potessi muoverti. Altrimenti saresti scappato, mi pare ovvio..»
«Dove sono?» abbaia Sirius, cominciando a tremare al pensiero del bacio del Dissennatore.
«In un bellissimo parco, non vedi?» risponde allegra Emma, indicando il verde attorno a sé. «Non vuoi indovinare in che stato ti trovi?»
«Ti piace scherzare con i condannati, ragazzina?» sbotta Sirius guardandola male.
«Ragazzina?! Questo corpo mi fa così giovane?» domanda enigmatica Emma, sorridendo sbarazzina.
«Hai al massimo vent’anni..»
«In realtà trentadue, più o meno» risponde Emma, guardandolo negli occhi e sorridendo divertita «ma adesso sono solo ventuno»
Sirius la guarda perplesso «Che diamine vuoi dire?!»
«Non ricordavo tutti questi “diamine” nei tuoi discorsi» ridacchia Emma, sedendosi di fronte a lui sul prato.
Sirius china la testa di lato, cercando di dare un senso alle parole di quella ragazza mai vista prima. «Io ti conosco?»
Emma china lo sguardo per un attimo, e quando lo rialza i suoi occhi sono umidi.
«Chi sei?! Non ti ho mai vista prima di oggi!» esclama Sirius.
«Non è esattamente così» riesce a rispondere Emma, mentre i suoi capelli sfumano in un tonalità più calda e scura.
Sirius se ne accorge a malapena, ma pensa che sia colpa della luce del sole o che al massimo lei sia un Animagus.
«Mi sei mancato così tanto..» sussurra Emma, allungando timorosamente una mano verso il viso di Sirius e accarezzandolo lentamente.
Sirius sente la pelle d’oca sulla braccia, ma al tempo stesso è spaventato da ciò che sta succedendo. Perché, si chiede, il suo corpo riconosce le dita di quella sconosciuta?
Emma sorride incerta, e i suoi capelli perdono tutto il colore rosso, allungandosi fino alle spalle e scurendosi fino a diventare castani. Qualcosa nel suo viso sottile e scarno cambia, trasformandosi in lineamenti più dolci e paffuti, in occhi più grandi e in labbra che Sirius conosce bene.
«Ciao..» sussurra Mary, ormai ritornata sé stessa, davanti ad un incredulo Sirius.
«Cosa.. che..» boccheggia Sirius, prima di trovare le forze di ragionare. Senza pensarci si ritrova a stringere Mary tra le braccia, consapevole di averla con sé dopo tanti, tanti anni in cui solo il suo ricordo gli ha fatto compagnia.
Sul suo petto, Sirius sente i singhiozzi di Mary e riesce a percepire il suo sorriso di gioia, così come è vagamente consapevole dell’espressione ebete sul suo stesso viso, quella che Mary gli aveva fatto notare la volta in cui lei finalmente aveva dichiarato di amarlo. È la stessa espressione di incredulità e felicità che lo fa sorridere in quel momento, mentre si abbracciano su un prato deserto, chissà in quale paese sconosciuto.
E sebbene ancora non riesce a credere che sia proprio Mary quella che sta stringendo a sé, le domande subito non lo fanno tacere.
«Come hai fatto a trovarmi? Perché ti sei trasformata? E come hai fatto?» chiede Sirius senza sosta tra un bacio e l’altro, senza darle il tempo di rispondere o di parlare.
«A dopo le spiegazioni» dice Mary, accarezzando i lineamenti che aveva sognato per tutti quegli anni, sebbene rovinati dal tempo e dalle ingiustizie.
Si stringono ancora un po’ senza parlare, entrambi increduli di essere insieme, finalmente.
«Non riesco a credere di averti ritrovata..» mormora Sirius cullandola a sé.
«Non è stata proprio una passeggiata» ride Mary, socchiudendo gli occhi al sole che sta tramontando.
Sirius la libera delicatamente dall’abbraccio ma le rimane a un ciglio di distanza, timoroso di vederla sparire davanti ai suoi occhi «Adesso te la senti di raccontare?»
Mary annuisce e gli si accuccia sulla spalla, parlando a bassa voce.
«Quando ti ho incontrato nel bosco a Hogsmeade, l’anno scorso, sono scappata perché pensavo fosse un allucinazione. Sono corsa via e fuori dal bosco sono stata catturata dai Mangiamorte, che mi hanno portata da qualche parte e rinchiusa in una cella per interrogarmi.»
«Cosa ti hanno fatto?!» sbotta Sirius, subito quietato da Mary.
«Sono riuscita a liberarmi trasformandomi in Animagus, non chiedermi come, e sono scappata fino ad arrivare in Irlanda.»
Sirius sgrana gli occhi e per un attimo si sente colpevole. Spesso aveva pensato che in tutti quegli anni Mary fosse sempre stata al sicuro, al caldo e ben nutrita, ma solo adesso si rende conto che anche lei ne ha passate tante, esattamente come lui.
«Sono rimasta lì per qualche mese, finché non ho saputo della tua fuga» continua Mary «allora mi sono procurata gli ingredienti per la Pozione Polisucco e sono tornata in Inghilterra, dove ho assunto le sembianze di Emma Windforth, giovane Auror, e mi sono introdotta nella squadra che ti cercava, assicurando loro di essere infallibile nelle ricerche. Insieme siamo riusciti a trovarti, e quando ti abbiamo inseguito ho fatto in modo che credessero che io li stessi aiutando a catturarti, mentre in realtà li ostacolavo, finché ti ho raggiunto e ci ho smaterializzati qui, dove loro non potranno trovarci».
«Qui dove?» chiede Sirius, sopraffatto dal racconto di Mary che ha dell’inverosimile.
«In Spagna. Siamo in un parco di Barcellona» sospira Mary, con un’espressione di pace interiore.
Sirius rimane in silenzio per qualche minuto, non sapendo cosa dire o fare. Avrebbe così tante cose da raccontarle che non sa da dove iniziare, perché al momento la sua preoccupazione principale è: cosa faremo adesso?
«Adesso scappiamo» sorride Mary, probabilmente avendo in mente la stessa domanda.
«Dove?» chiede lui pensieroso.
«Dove saremmo andati in Luna di Miele» risponde Mary, come se fosse ovvio.
Si guardano sorridendo e insieme pensano alla stessa meta, smaterializzandosi verso lidi ancora più tranquilli e lontani.
 
 
 
 
 
 
Note:
Per una volta tanto, mi permetto di aggiornare in anticipo :D
Spero finalmente di aver fatto felice qualcuno con la tanto attesa ricongiunzione! Dato che il finale è vicino, godetevi i momenti felici *risata malvagia*.
Baci.

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Capitolo 12
*** Carry on ***


Carry on
 
 
 
 
 
On our darkest day
When we’re miles away
Sun will come
We will find our way home
 
[Nel nostro giorno più buio
Quando siamo a miglia di distanza
Arriverà il sole
Troveremo la strada di casa]
 
 
 
 
 
14 Novembre 1994, Grecia
 
Un risveglio così dolce Sirius non lo assaporava da tempo. Aveva dimenticato quanto fosse bello svegliarsi con la rilassatezza e il senso di tranquillità che si prova quando non si è soli. Sapere che c'era Mary con lui, per sorvegliarsi e proteggersi reciprocamente, lo faceva dormire più tranquillo e alzare dal letto con un senso di fiducia che aveva dimenticato in quei lungi anni bui. Si stiracchia un po' e apre a finestra, affacciandosi per contemplare il mare azzurro che si staglia nitido e chiaro davanti ai suoi occhi, contornato dalle case bianche tipiche della Grecia. Ogni volta rimane stupito come un bambino nel trovarsi di fronte quella distesa di acqua così perfetta e incontaminata, dove ogni tanto fanno capolino le barche dei pescatori e i gabbiani in lontananza. E' un posto tranquillo, il paesino in cui lui e Mary si sono stabiliti da poco, a qualche centinaio di chilometri da Atene. Gli abitanti sono curiosi, ma con discrezione, e in più sono molto disponibili e accoglienti. Nessuno fa mai domande sull'aspetto rovinato di Sirius, né hanno insistito per sapere il motivo del loro trasferimento. E sebbene la lingua del posto non sia proprio facile, Mary e Sirius si trovano bene, anche se in sottofondo al loro quieto vivere c'è sempre una nota di allerta e di sospetto.
«Monsieur, la colazione est servi»
La voce di Mary lo raggiunge dalla cucina, palesemente falsata in una parodia del cliché di un cameriere francese di classe.
Sirius, ancora intontito e in pigiama, ciabatta fino alla tavola e lascia che Mary gli versi il caffè nella tazza, ancora incredulo di essere lì a fare colazione con lei e non in cerca disperata di cibo.
«Così mi abituerai male» ridacchia Sirius, nel vedere Mary affaccendata come una donnina di casa con tanto di grembiule.
«Ma tu devi abituarti male, dopo quello che hai passato» sorride Mary, portandogli pane tostato e uova. «Non ho trovato il bacon, spiacente»
«Ah, ignobile affronto» ironizza Sirius.
«Devi rimettere peso e carne, il bacon ti fa bene!» trilla Mary, aprendo un croissant impacchettato.
«Con la dieta ingrassante a cui mi hai sottoposto, il tuo desiderio si realizzerà in pochi giorni»
«Se poi ci si mette anche la signora Varvaris e i suoi inviti a pranzo e cena...» aggiunge Mary.
«..E a colazione e a merenda e allo spuntino delle undici...»
Entrambi ridono, pensando con affetto a quanto la signora Varvaris, anziana vedova e loro vicina di casa, si sia affezionata a loro tanto da volerli sempre in casa con ogni scusa. È bello andare a trovarla: la signora Varvaris è come una nonna universale, piena di racconti sulle guerre babbane e aneddoti sulla sua giovinezza, sul marito ormai morto e sui suoi figli.
«Voi due» diceva sempre «mi ricordate così tanto mio figlio Kostos e la sua fidanzata, così tanto!»
Adesso i due ragazzi si sono trasferiti in America per lavoro e tornano a casa di rado, così "Nonna Kikilia", come lei vuole essere chiamata da tutti, passa gran parte del suo tempo da sola.
Mentre Mary e Sirius parlano della vecchietta e di una storia che aveva loro raccontato, entra dalla finestra lasciata aperta una civetta di un bianco candido, stringendo nel becco una lettera sgualcita.
«E' da parte di Harry!» sobbalza Sirius, mentre Mary si affretta a prendere qualcosa per far riposare l'animale, visibilmente stanco morto.
Mary attende rispettosamente in silenzio che Sirius legga la lettera, seduto sul letto, e quando finisce gli si siede vicino prendendolo per mano. Lei sa quanto questa situazione faccia soffrire Sirius, ma ogni volta che lo vede così distrutto, dopo aver letto una lettera da parte del suo figlioccio, Mary si sente inutile.
«Vorrei poterlo aiutare» sospira Sirius, stringendo il pugno in cui tiene la lettera «e strapparlo a quello che sta per succedere, al Torneo TreMaghi e a ciò che c'è sotto»
«Harry se la caverà...» tenta di rassicurarlo Mary «è un ragazzo in gamba»
«Ma qui c'è qualcosa che è più grande di lui, Mary! Voldemort sta tornando, lo sentiamo tutti!»
A quel nome, Mary sobbalza. Non ha ancora imparato a tenere a freno la paura che le suscita sentire il nome di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
Sirius china la testa «Vorrei tanto che tu potessi conoscerlo...»
«Lo farò» assicura Mary «dobbiamo solo lasciare che si calmino le acque e poi torneremo»
Sirius è scettico, ma non vuole distruggere le sue speranze.
«Arriverà il giorno in cui potremo tornare in Inghilterra, e tu potrai camminare per la strada senza preoccuparti di nulla, perché tutti sapranno della tua innocenza e ti chiederanno scusa»
«Sei davvero una sognatrice» mormorò Sirius guardandola con affetto, ma senza riuscire a credere alle sue parole.
«You may say I'm dreamer, but I'm not the only one» canticchia Mary, facendolo sorridere.
«Mary» sussurra Sirius, con sguardo serio.
«Lo so, sono stonata come una campana» ridacchia Mary.
Sirius sbuffa divertito, ma tace subito.
Mary si prepara alla proposta che sta per farle, e sa già che non si tratta di una bazzecola. Il suo sguardo glielo dice.
«Voglio tornare in Inghilterra adesso. Harry ha bisogno di me»
Mary sbatte le palpebre, colta di sorpresa. «Ma, Sirius…»
«Lo so, non saremo più liberi. Ne sono pienamente consapevole. Ma non posso lasciare Harry in un momento come questo. Il Torneo TreMaghi, Mary.. io devo stargli vicino»
Mary guarda il pavimento, cercando di trovare le parole giuste per fargli cambiare idea, ma sa già che sarà inutile. In fondo, Mary sa che Sirius ha ragione: anche lei, al suo posto, non lascerebbe una persona cara in una situazione così delicata. Ma, d’altra parte, l’idea di tornare a vivere come una rifugiata, nascondendosi, sempre all’erta e con la costante paura dei Mangiamorte la abbatte.
Quando lo guarda negli occhi, però, non riesce ad opporsi alla sua richiesta. La vita ha già negato molto a Sirius; Mary sa che non può aggiungersi anche lei.
«Torniamo» risponde, con voce tremante.
 
 
***
 
 
29 Agosto 1978, Inghilterra
 
Il tintinnio del coltello sul bicchiere zittì la sala. Sirius si schiarì la voce, si aggiustò la cravatta e si alzò in piedi, tenendo in mano il calice.
«Ho pensato per parecchio tempo a quello che avrei dovuto dire oggi» iniziò, cercando di mantenere la voce salda «potrei cominciare con il primo incontro di Lily e James, o parlare per ore di quanto l’attuale signora Potter –e così dicendo si rivolse a Lily, radiosa nel suo vestito da sposa, seduta al centro della tavola al fianco di James- abbia odiato il suo attuale coniuge per un lunghissimo elenco di motivi, o potrei descrivere la faccia inebetita di James che osservava Lily mentre svolgeva i compiti o preparava una pozione»
Gli invitati ridacchiarono, e Mary lanciò un’occhiata a James, la cui faccia si era lievemente colorita di rosso. Lily sorrise e stampò un bacio sulla guancia del marito.
«Ma queste sono cose che ormai sanno anche i sassi» continuò Sirius. «Voglio invece raccontarvi un aneddoto in particolare, per farvi capire in quale misura James Potter, già dai primi anni di Hogwarts, avesse completamente perso la testa per la signora che adesso è seduta al suo fianco.
Eravamo alla fine del quarto anno, e cominciavamo a prepararci per gli esami finali. Dovunque potevi vedere studenti che lanciavano incantesimi contro il muro o contro sé stessi per esercitarsi, e inevitabilmente finivamo per colpire persone innocenti. In quei giorni l’Infermeria era talmente occupata che avevano dovuto ampliarla e aggiungere altri letti. In questo clima di caos, James decise di approfittarne»
Dal centro del tavolo si udì un rantolo, soppresso dalla risata di Lily che aveva già capito di quale episodio si trattava.
«Dovete sapere che a quel tempo Lily non degnava di uno sguardo il povero James, che si impegnava più per farsi notare da Lily che per studiare per gli esami.» proseguì Sirius, sorridendo malandrino «Un giorno, James schizzò fuori dal nostro dormitorio blaterando che aveva avuto un’idea geniale. Poco dopo decidemmo di seguirlo per vedere se era ancora vivo, e lo trovammo sul corridoio del sesto piano, che camminava tranquillo verso la Sala Comune, con un polipo al posto della testa. Avete capito bene, signore e signori. Un polipo. Per quale motivo? Per farsi notare da Lily, ovviamente
James sprofondò sotto il tavolo mentre Lily rideva con le lacrime agli occhi insieme agli invitati.
«E non è finita. Immaginatevi dei tentacoli viola irrequieti che si muovono da quella che un tempo era la testa di James» disse Sirius.
«Non che ci sia tanta differenza con i suoi capelli attuali» fece notare un invitato, subito applaudito per la spassionata sincerità.
«Concordo con lei, signora» sghignazzò Sirius. «Il punto è che James entrò nella Sala Comune con quella cosa al posto della testa. Due ragazzine svennero. Un ragazzo più grande gli puntò contro la bacchetta, e quasi tutti gli altri scapparono. In tutto questo, seduta a un tavolo e completamente immersa nel suo lavoro, Lily Evans studiava e –nonostante avesse un polipo attaccato al collo- gettò uno sguardo veloce a James e si rimise a studiare impassibile.»
Un applauso da parte degli invitati fece arrossire Lily, che si giustificò dicendo: «Non mi sembrava tanto grave»
«James era così deluso dalla sua mancata attenzione» riprese Sirius «che decise di sfoderare l’ultima carta. Si avvicinò a Lily e si sedette al tavolo con queste parole: “Ho pensato che potrei essere una buona cavia su cui esercitarsi con incantesimi e pozioni. Mi troveresti un antidoto, Evans?”»
La risata sguaiata di Marlene preoccupò molti degli invitati, che poi si misero a ridere ancora più forte per la sua risata contagiosa.
«E almeno per quella volta, James ottenne l’attenzione di Lily, che gli trovò in fretta un antidoto e lo rispedì indietro con una testa normale».
Gli invitati scoppiarono in un applauso, alcuni con lacrime di commozione che non riuscivano a trattenere.
«Non è tutto» intervenne Mary poco dopo, alzandosi in piedi mentre Sirius si rimetteva a sedere. «Questa è solo una campana della storia. Tutti sanno che James ha fatto follie per avere l’attenzione di Lily e per conquistarla, ma quanti di voi sanno quello che ha fatto Lily per gelosia
Lily chinò la testa sul tavolo sorridendo e sbuffando contemporaneamente. «Mi sembrava strano averla passata liscia..» ridacchiò, preparandosi al suo turno.
Gli invitati mormorano eccitati e curiosi di conoscere i retroscena che nessuno aveva mai rivelato, mentre James si risollevava e si preparava all’ascolto con soddisfazione.
«Ebbene, gentili ascoltatori, dovete sapere che nel nostro anno c’era una ragazza che molti degli studenti più recenti ricorderanno: Jenny Blane.» cominciò Mary, sorridendo divertita.
Alcuni ragazzi vociarono concitati. «Miss Hogwarts?» chiese uno dei ragazzi dalla parte opposta del tavolo.
«Proprio lei» rispose Mary «Jenny era famosa già ai suoi primi anni ad Hogwarts per la sua bellezza, tanto da essersi aggiudicata il soprannome di “Miss Hogwarts” e notorietà in tutte le Case e oltre. A metà del settimo anno, quando ormai i due piccioncini avevano deciso di condividere il nido, Jenny decise che doveva avere James»
Si sentì un “oooh” di sorpresa percorrere tutto il tavolo, e le signore più pettegole aspettavano a bocca spalancata di ascoltare il resto.
«Jenny non era nota solo per essere bella, ma anche per essere la tipica “sfascia famiglie”. Chiunque la conosce concorderà con questa pura verità» spiegò Mary.
«Era una..» iniziò a dire un ragazzo tra i più giovani, subito zittito dalla gomitata della madre seduta al suo fianco.
«Già, avete capito» rise Mary. «E quando decise che doveva infiltrarsi tra James e Lily, tutti temettero il peggio».
Lily nascose la faccia nel tovagliolo e James le mise un braccio intorno alle spalle, senza nascondere un grosso sorriso.
«Peccato che la Blane aveva fatto male i conti. Non aveva considerato né che James era totalmente cieco per Lily, né la pericolosità di quest’ultima quando si trattava di James».
«Ditemi che c’è stata una rissa» esclamò un ragazzo dai capelli scuri, uno dei cugini di James, seduto poco distante dal centro.
Mary sorrise «Mi spiace deluderti, nessuna rissa. Per fortuna di Jenny, ovviamente. Lily l’avrebbe ridotta ad uno straccio»
«Sa diventare una banshee quando vuole» fece presente James, baciando la moglie.
«Quando Jenny cominciò a “infastidire” James, standogli sempre attorno, civettando e cercando in ogni modo di attirare la sua attenzione, l’unica cosa che le riuscì di attirare fu l’ira di Lily» proseguì Mary.
«A mia discolpa, posso dire che stava esagerando» si difese Lily ridendo «un giorno aveva lasciato cadere una piuma a terra davanti a James solo per potersi abbassare e mostrargli il sedere!» esclamò indignata.
Qualcuno dal fondo del tavolo chiese di avere il numero della Blane.
«Mai mettersi contro una studentessa brillante, nonché pozionista provetta» sospirò Mary «pochi giorni dopo, la faccia di Jenny si riempì di brufoli, come un campo di margherite rosso acceso. Era terribile. Le sue urla ancora echeggiano tra le mura di Hogwarts. Era diventata, in pratica, un brufolo vagante»
«Auw» mormorò Marlene «se ci penso, ancora mi viene la nausea»
«Che donna!» esclamò Dorcas con orgoglio, mandando un bacio a Lily.
«Naturalmente nessuno sospettò di Lily» fece presente Mary «chi mai avrebbe potuto dire che sotto quella faccia d’angelo, c’era un animo geloso e vendicativo?»
Lily fu accolta da un applauso e contemporaneamente da sguardi allibiti.
«La faccia di Jenny rimase deturpata per molte settimane, fino alla fine di Hogwarts. Per quei mesi, Miss Hogwarts non osò più avvicinarsi ad un ragazzo» concluse Mary.
«Tutto questo» riprese Sirius, alzandosi insieme a Mary «lo abbiamo raccontato per farvi capire come e quanto questi due ragazzi siano legati l’uno all’altro, in tutte le forme che un amore può avere»
«Lily, James» si rivolse a loro Mary «non abbiamo bisogno di augurarvi un felice matrimonio, perché sappiamo già che lo sarà. Più che altro, come fanno i babbani, vi auguro figli maschi!»
I due sposi risero e alzarono il calice insieme agli amici, seguiti a ruota dai parenti e dai membri dell’Ordine presenti.
«Ve la faremo pagare quando sarà il vostro turno» disse James sorridente, rivolgendosi a Mary e Sirius.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Ya'aburnee ***


Ya’aburnee
 
 
 
“Ya’aburnee” è una parola araba il cui significato è:
speranza che la persona che ami
possa vivere più a lungo di te,
così da risparmiarti il dolore di vivere senza di lei.
 
 
 
 
18 Giugno 1996, Inghilterra
 
Il senso di nausea l’aveva accompagnata per tutta la mattina. Non riusciva a spiegarselo. Sarà l’agitazione e il nervosismo per la missione, si era detta più volte Mary per tranquillizzarsi. Ma nonostante questo, non poteva ignorare la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Il presentimento di qualcosa di brutto, che avvertiva come un ronzio in sottofondo.
Mentre camminava a passo svelto, fu costretta a fermarsi, in preda ai conati. Il giorno dopo, avrebbe capito che nel suo profondo sapeva cosa stava succedendo a qualche chilometro di distanza. La parte più profonda di sé, quella legata a filo doppio con Sirius, lo sentiva.
Perché, come affermava l’equazione di Dirac, se due sistemi interagiscono tra di loro e poi sono separati, continueranno a influenzarsi a vicenda anche a chilometri di distanza.
Mentre Mary era appoggiata ad un muretto per riposare e riprendere fiato, il suo cellulare squillò.
«Pronto, Em?»
«Mary» esclamò la voce di Emmeline Vance, membro dell’Ordine della Fenice.
«Cos’è successo?» chiese immediatamente Mary, allarmata. Le comunicazioni tramite telefono erano solo per i casi di emergenza o pericolo.
«Mary, c’è una battaglia all’Ufficio Misteri, devi correre lì ad aiutare» gridò la voce di Emmeline, inframmezzata dall’interferenza. «Mangiamorte… Harry Potter… Sirius..» riuscì a cogliere Mary, il cui telefono ronzava.
«Arrivo subito» rispose Mary, con il cuore in gola. Sirius e Mangiamorte nella stessa battaglia non prometteva bene come notizia.
È passato più di un anno e mezzo da quando Mary e Sirius hanno preso la folle decisione di tornare in Inghilterra e lasciare la tranquillità della Grecia. I primi tempi sono stati duri: Sirius si nascondeva a Hogsmeade sottoforma di Animagus per poter essere più vicino a Harry, mentre Mary, con la protezione di Silente, è riuscita a trovare casa nello stesso paesino, mantenendosi con un lavoro in anonimato.
Ma dopo il ritorno di Voldemort, le cose sono cambiate. Pur rientrando nell’Ordine, Sirius è stato costretto alla reclusione in casa e al “riposo forzato”, che lo ha reso frustrato e nervoso. Mary, di ritorno dalle missioni dell’Ordine, ha anche avuto l’occasione di conoscere Harry –naturalmente senza presentarsi come fidanzata di Sirius, ma come semplice membro dell’Ordine. Sirius aveva insistito per dire la verità a Harry, ma Mary lo aveva convinto a desistere. Quando sarà il momento giusto, gli diceva, lo saprà.
Mentre correva tra i corridoi del Ministero Magico, Mary rimpianse di non aver dato ascolto a Sirius. Avrebbe potuto non esserci mai più un “momento giusto”.
Si rese conto di essere arrivata a destinazione quando i lampi degli incantesimi e le urla cominciarono a diventare forti. E capì di essere arrivata troppo tardi quando incrociò lo sguardo vuoto di Sirius, il cui corpo cadde lievemente a terra, oltrepassando il velo di un arco.
In quel momento, i suoi occhi registrarono la mano tesa di Bellatrix Lestrange e le sue orecchie sentirono come in lontananza un urlo a malapena soffocato. Ma Mary non volle crederci comunque. La parte più piccola di lei, quella che aveva già capito, sollevò la bacchetta senza nemmeno pensare.
Successe tutto troppo in fretta, perché Mary potesse capire ogni passaggio dell’azione. Avrebbe ricordato solo i capelli di Silente che si muovevano veloci mentre si voltava verso di lei, l’espressione sorpresa di Bellatrix quando venne colpita dal Cruciatus che lei stessa aveva lanciato, e l’incantesimo in risposta che la colpì prima che potesse accorgersene.
Riuscì a vedere la chioma scomposta di Bellatrix che si allontanava, dopo aver lottato con Kingsley, inseguita da Harry.
Vendicalo, Harry, pensò Mary prima di svenire, vendicalo da parte di entrambi.
 
Nei giorni che seguirono, quello che più non la fece dormire fu il senso di colpa. La consapevolezza che non era lì quando lui più aveva bisogno di essere protetto, né di averlo difeso. Mary sapeva di essere stata inutile. Sirius era morto davanti ai suoi occhi e lei non aveva fatto niente per evitarlo.
Ma ciò che la preoccupava di più, dopo aver speso quasi vent’anni in cerca di una soluzione per poter stare con Sirius, era: cosa farò, adesso?
Dopo giorni di vuoto, la sua domanda trovò una risposta. La più bella che avrebbe potuto ricevere.
 
 
***
 
 
13 Maggio 2000, Godric’s Hollow
 
Fa particolarmente freddo quella mattina. Il vento si insinua anche sotto i cappotti e le sciarpe, facendola rabbrividire, e il Sole sembra essersene andato in vacanza, nascosto dietro il grigiore compatto delle nuvole.
Il cancello del cimitero di Godric’s Hollow cigola lamentoso, aprendosi e chiudendosi sotto la forza del vento.
Mary cammina senza fretta; è il suo giorno libero, non dovrà correre per andare a posare un fiore nuovo sulla tomba di Sirius, oggi. È stata lei a chiedere, alla fine della guerra, che anche Sirius potesse avere un lapide, una pietra su cui piangere o salutare, nonostante non ci fosse un corpo da seppellire. Il funerale è stato il riscatto di Sirius: in molti, anche sconosciuti, si sono presentati per scusarsi, dichiarando di essere dispiaciuti per non aver creduto alla sua innocenza e averlo condannato con sbagliati giudizi. Harry ha tenuto il discorso e Mary ha aggiunto una piccola conclusione, un “addio personale”, come lei lo aveva definito. A quel tempo la piccola Stella si reggeva a malapena sulle gambe.
Adesso la bambina stringe la mano della madre e sgambetta avvolta nel cappotto giallo e nella sciarpa che la ripara dal vento. Ha compiuto da poco tre anni.
Mary la guida con stretta forte lungo le file delle tombe grigie, tenendola d’occhio per assicurarsi che non inciampi. Ancora una volta, Mary si sorprende di notare quanto la bambina assomigli al padre, sebbene sia ancora molto piccola. Ha ereditato i capelli neri da lui, ma gli occhi castani della madre. I lineamenti del viso, però, sono tutti di Sirius.
Mary ricorda di aver avuto la nausea per tutta la giornata, quando Sirius morì nell’Ufficio Misteri. Solo quando scoprì di essere incinta, ricollegò quei sintomi alla scoperta fatta poco dopo.
«Eccoci qua» sussurra Mary, fermandosi davanti alla lapide nera e ancora lucida, che reca scritto il nome e i dati anagrafici di Sirius.
«Ciao, papà» trilla la piccola Stella, salutando con la manina.
Mary non riesce ad evitare la commozione, ogni volta che sua figlia –la loro figlia- saluta il padre con allegria, nonostante non l’abbia mai conosciuto.
«Mamma, papà mi sente quando lo saluto?» chiede Stella con la voce che ancora inciampa nelle sillabe più difficili.
«Certo che sì» le risponde Mary, chinandosi alla sua altezza e stampandole un bacio sulla fronte «Per questo veniamo qui ogni giorno. Per salutarlo e dirgli che ci manca»
«Mamma, papà ti sente anche quando parli con lui mentre dormi?» chiede ancora la bambina, con la curiosità dei suoi tre anni.
Mary sorride triste, e annuisce «Lui ci sente sempre. Puoi parlargli quando vuoi, e sai che è lì ad ascoltarti»
Stella sorride e si accovaccia davanti la lapide, giocando con i fili d’erba. Spesso la piccola le chiede il motivo del suo nome, e Mary le racconta la storia come se fosse una fiaba.
Tu ti chiamo Stella Polaris MacDonald, le diceva Mary, come la stella che nel cielo indica sempre il Nord. Il punto di riferimento dei viaggiatori e di chi è perso.
«Tu ti senti persa, mamma?» aveva chiesto una volta.
«Non più» aveva risposto Mary «perché ho te».
Come Sirius era stato la sua Stella Polare, ora la bambina era il centro della sua esistenza, il suo vero punto di riferimento. Non rimpiangeva la vita difficile e disastrosa che aveva avuto, se poi l’aveva portata a lei, il cui viso le ricordava Sirius ogni giorno, aiutandola ad andare avanti. Senza lei non ce l’avrebbe fatta, lo sapeva: Mary doveva a sua figlia la forza di vivere che aveva ritrovato. In nessun altro modo avrebbe potuto andare avanti e convivere con la morte di Sirius. Il suo amore per entrambi era diverso, e spesso si chiedeva come sarebbe stato essere una famiglia intera e non mutilata, ma sapeva che rimuginare sui “se” era inutile quanto una bottiglia bucata. Ringraziava la vita e chi la governava per averla lasciata vivere e, soprattutto, per averle dato un dono che ogni giorno la faceva sentire viva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ebbene sì, questa è la fine. Immagino che a molti come finale non piacerà, ma penso che sia la conclusione più adatta. Sirius è morto, e l’unica cosa che avrebbe potuto sollevare l’animo distrutto di Mary era un ultimo legame con lui, la Stella Polare di cui la bambina porta il nome. (A proposito, la scelta del nome ha poco a che fare con il fatto che anche io mi chiamo Stella, e so che NON esiste affatto come nome “Stella, Polaris”, ma capirete che sono esigenze di trama :P)
Infine, voglio ringraziare tutti voi che avete letto, recensito e apprezzato anche in silenzio!

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