Due settimane all'inferno

di Princess of the Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 08.03.20XX: L'inizio della catastrofe ***
Capitolo 2: *** 09-10.03.20XX: L'imminente catastrofe già miete vittime ***
Capitolo 3: *** 10.03.20XX: L'arrivo delle calamità ***
Capitolo 4: *** 10.03.20XX, parte 2: Drive the Axis to hell!!! ***
Capitolo 5: *** 11.03.20XX: Il buongiorno si vede dal mattino ***



Capitolo 1
*** 08.03.20XX: L'inizio della catastrofe ***


Dan-dan-DAAAAN!!!!

Indovinate chi è tornato a rompere le palle nel fandom? Ebbe si, proprio io, Princess of the Rose quella che è troppo pigra per farsi cambiare il nickname è tornata ^^!!!

*silenzio*

... Non fatevi sentire troppo, mi raccomando ;)

 

Bene, vi chiederete che cosa abbia partorita la mia testolina malata. Ebbene si, un'altra storia sui 2p. Ormai ne sono drogata, e visti alcuni eventi accaduti nella mia università ho deciso di scriverci sopra una ff ispirata proprio a quelli eventi. 

Recentemente mi sono appassionata all'umorismo grottesco, e ho intenzione di applicarlo anche a questa fic (che comunque rimarrà su toni leggeri per la maggior parte del racconto), e questo è quello che ne è uscito.

Prevedo di postare un capitolo una volta ogni due settimane, massimo tre (salvo imprevisti universitari), e non dovrebbe essere difficile visto che ho la storia già in mente.

 

Note particolari:

-gli hetaliani sono tutti umani

- la Second Player Academy è l'equivalente 2p della World Academy (mi sono scervellata per giorni sul nome, ma non ho trovato un nome migliore di "Second Player" XD )

- forse alcuni personaggi risulteranno OOC, e me ne scuso fortemente. Ma cercherò di giustificare tutto quanto mano a mano che la storia va avanti.

- la storia si svolge nell'arco di due settimane: da qui il titolo della fic.

- "Hung Everett III" è il nome del fisico che creò della teoria dei mondi paralleli. Non potevo non rendegli onore.

 

 

Bene, non ho nient'altro da aggiungere, se non che spero che la fic sia di vostro gradimento ^^

 

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Era uno placido venerdì pomeriggio alla World Academy, il celebre istituto internazionale dove le giovani generazioni  del meglio dell’élite politica ed economica mondiale venivano mandate per apprendere ogni tipo di tecnica nell’arte del governo e della diplomazia che li sarebbe in seguito servita nella loro vita. Il sole primaverile stava già iniziando a calare nel cielo limpido, e gli studenti ne approfittavano per godersi un momento di  relax dopo lunghe ore passate tra i libri e le lezioni: c’era chi si rilassava nel giardino, chi sfogava lo stress della settimana nella palestra, o chi si chiudeva in camera sua per recuperare il sonno perduto dopo notti intere passate a fare i compiti non fatti nell’arco della giornata.

Ludwig, tra gli studenti più diligenti dell’istituto, aveva deciso di passare quel pomeriggio in camera sua, lontano dal fratello impiccione e da amici casinari, per godersi un po’ di sana solitudine o poter preparare quel maledetto articolo sulla Pasqua che per vari motivi – gli studenti che non volevano farsi intervistare gratis, Feliciano che lo tormentava, Gilbert che voleva che passasse una “magnifica serata col magnifico lui e con i suoi magnifici-non-come-lui-ma-comunque-magnifici amici” ad ubriacarsi e la marea di compiti che i professori gli avevano dato – non aveva neanche cominciato e che avrebbe dovuto consegnare entro tre giorni. E il fatto che, in quel momento, il tedesco stesse osservando attentamente il foglio bianco su cui avrebbe dovuto scrivere l’articolo, come a sperare che le parole si materializzassero magicamente sullo schermo, non diminuiva minimamente lo stress accumulato negli ultimi tempi.

Ludwig diede una testata alla scrivania. Tra compiti a non finire, le cavolate di suo fratello  e l’ennesima sconfitta a calcio da parte di Feliciano – quello stesso Feliciano che non sapeva allacciarsi le scarpe da solo ma che gli aveva rifilato quattro gol in meno di mezz’ora – un blocco dello scrittore sembrava la ciliegina sulla torta adatta a coronare una settimana d’inferno.

Decidendo che continuare a fissare il foglio sarebbe servito a ben poco, preferì  passare un po’ di tempo su internet, giusto per rilassarsi un po’ e trovarvi, magari, la tanto agognata l’ispirazione.

Cliccò un paio di volte sull’icona del motore di ricerca, e gli comparve la schermata di apertura, con in primo piano i siti più frequentati e seguiti. Ludwig decise prima di dare un’occhiata al sito dell’accademia e vedere se c’era qualche novità prima di dedicarsi completamente all’ora di relax, e cliccò sulla bacheca delle news. Scrollò velocemente le notizie, e la sua attenzione venne quasi subito catturata da una sgargiante scritta rossa, tra le ultime comunicazioni uscite.

 

New: Risultati per la borsa di studio “Hung Everett III” e nomi dei partecipanti allo scambio culturale con la Second Player Academy

 

Ludwig sentì un brivido gelido percorrergli la schiena al ricordo dell’annuncio di quell’evento, e il panico che era serpeggiato come un fulmine tra gli studenti quando si era saputo che il compito sarebbe stato obbligatorio per tutti – scelta del tutto comprensibile, del resto: nessuna persona con un minimo di sanità mentale avrebbe fatto volontariamente un test che, se superato, avrebbe regalato ai vincitori due settimane di vitto e alloggio pagati in una delle migliori e più raccapriccianti accademie dell’universo intero. Ed ora, eccoli online, i risultati dell’unico esame della sua vita in cui il tedesco aveva sbagliato apposta tutte le risposte nella speranza di non dover essere mandato in quell’istituto – come avevano fatto tutti gli studenti, del resto - e lì incontrare il suo peggior incubo.

Con mano leggermente tremante, il cuore a mille e suppliche silenziose verso un Dio in cui a malapena credeva*, cliccò sul link della pagina dei risultati; comparvero i nomi degli studenti, classificati in ordine decrescente a seconda del voto ricevuto.

 

1)Mathew Williams 10/100

2)Toris Lorinaitis 10/100

3)Timo Väinämöinen 9/100

 

Ludwig tirò un sospiro di sollievo. Non era tra i primi tre, quindi non doveva partecipare al progetto di scambio culturale, per fortuna. Proseguì con l’elenco, fino ad arrivare al suo nome

 

106)Feliciano Vargas 4/100

107)Ravis Galante 4/100

108)Ludwig Beilschmidt 3/100

 

Centottesimo; perfino Feliciano aveva avuto un voto maggiore del suo, ma l’importante era non essere tra i primi tre. Decisamente più rilassato, Ludwig tornò alla schermata precedente, e notò un link che indicava i nomi degli studenti della Second Player Academy che sarebbero venuti; ma decise di non controllarla, convinto che chiunque sarebbe venuto non poteva essere peggio di quella persona – forte anche del fatto che i voti di quella persona erano, in media, inversamente proporzionali ai suoi, stabili sulla media del cento sin da quando era entrato nell’accademia.

Toltosi anche questo fardello, il tedesco chiuse la finestra di internet e riprese a lavorare sul suo articolo, soddisfatto nel vedere come adesso riuscisse finalmente a mettere su quel foglio virtuale frasi di senso compiuto, e calcolò che avrebbe potuto finire l’articolo entro domani se non si fosse presentato un nuovo blocco. E assieme alla capacità di scrivere tornarono anche il buon umore e la positività: i compiti, nonostante la mole, erano stati tutti svolti diligentemente, la questione dell’articolo poteva ormai essere archiviata in una nottata, avrebbe comunque potuto rifarsi con Feliciano in un altro momento, e chiunque sarebbe venuto da quell’accademia, non poteva essere peggio di lui o dei suoi due amici.

 

 

Il mattino seguente, tuttavia, i segni del fato già si manifestavano nefasti: il file con scritto un buon tre quarti l’articolo non si era salvato correttamente, e anche se Ludwig era riuscito a recuperarne una buona parte avrebbe comunque dovuto passarci sopra un altro pomeriggio; un gatto nero, uno dei tanti randagi che giravano per il giardino dell’istituto col tacito consenso dei bidelli, gli aveva attraversato la strada quando si stava dirigendo alla lezione di fisica; a pranzo aveva per errore fatto cadere la boccetta del sale; accidentalmente aveva calpestato due coccinelle durante l’ora di attività fisica.

Finite le lezioni mattutine, Ludwig non si sentiva tranquillo. Aveva, per sicurezza, salvato il file con l’articolo sul computer e su due chiavette, una delle quali l’aveva data a Kiku, e nel corso della giornata non era successo nulla di eccessivamente spiacevole; tuttavia, non riusciva a scacciare l’opprimente sensazione che qualcosa di estremamente sgradevole stesse per accadere. Non era un tipo scaramantico, ma tutti quegli eventi avrebbero messo in allarme anche il più scettico degli scettici; a tutto ciò si aggiungeva l’aria mesta in cui era caduta l’accademia dopo l’uscita dei risultati della borsa di studio, con la disperazione più o meno velata in cui erano caduti i due studenti – o erano tre? Non ricordava molto bene -  che avrebbero partecipato allo scambio, e con loro tutti i loro amici – tra cui spiccava Berwlad che, saputo che il suo amato Tino sarebbe stato via per due settimane, aveva letteralmente messo sottosopra la segreteria nel tentativo di cambiare i risultati e mandare Mathias** al suo posto, inutilmente.

Ludwig sospirò mestamente, guadagnandosi due occhiate preoccupate da parte di Feliciano e di Kiku, che lo stavano accompagnando in sala computer per aiutarlo a finire l’articolo e lì farlo stampare.

<< Ve~ Ludi stai bene? >>

<< Benissimo, solo stanchezza. >> mentì in maniera anche piuttosto evidente, ma gli era impossibile pensare ad una bugia convincente quando aveva tutti quei pensieri per la testa.

Feliciano e Kiku si scambiarono un’occhiata preoccupata, decidendo tacitamente di non insistere. Ludwig, d’altro canto, decise che l’unico oggetto della sua attenzione, in quel momento, dovesse essere il maledetto articolo: poi avrebbe pensato a tutto il resto.

Arrivati in sala computer, i tre presero posto nella prima postazione che trovarono libera, e subito si dedicarono alla rielaborazione dei dati riguardanti la Pasqua nelle varie zone del mondo. Presto si ritrovarono completamente soli nella stanza, e per loro fu piuttosto facile immergersi nel lavoro, che riuscirono a completare in tre ore circa, tra sbuffi, Feliciano che confondeva le informazioni, Ludwig sull’orlo di una crisi isterica a causa della sbadataggine del suo amico italiano, e Kiku che si faceva silenziosamente quattro risate.

Il pomeriggio era passato tranquillo, la tipica quiete prima della tempesta: il disastro, infatti, ebbe inizio attorno alle sei e mezzo, allorché tre trafelati giovani uomini fecero il loro rumoroso ingresso nella sala: Gilbert –fratello di Ludwig – Francis e Antonio – entrambi cugini alla lontana di Feliciano*** - si avvicinarono immediatamente al trio davanti al computer, quasi buttandosi ai loro piedi dalla stanchezza per aver percorso mezzo istituto di corsa e per il panico che la notizia a loro pervenuta aveva provocato.

<< West, >> quasi urlò Gilbert, gettandosi addosso al fratello in preda alla disperazione, << oh, West, mein Bruderchen, che disastro, che disastro! Ti ho cercato dappertutto, verdammdt! >>

<< B-Bruder, che- >>

<< Feli, mon amì, ti prego vieni qui, aiuta il tuo fratellone a sedersi. >> mormorò Francis,  per poi appoggiarsi interamente contro il suo preoccupato cugino, abbracciandolo – e passando “accidentalmente” le mani su ogni punto che quella posizione gli consentiva di toccare – mentre anche Antonio usava l’italiano come temporaneo appoggio, continuando a dire stancamente: << Che catastrofe, che tragedia, es una pesadilla, ecco! Un incubo! >>

<< Ma non ti devi preoccupare, West. Ci penserò io a proteggerti da questo disastro! >> disse Gilbert, afferrando le spalle del fratello con forza eccessiva e  mostrandogli un sorriso che in teoria avrebbe dovuto essere rassicurante.

Kiku, Feliciano e Ludwig si scambiarono un’occhiata tra lo sbigottito e il preoccupato, incapaci di dire o fare qualunque cosa di fronte a quella scena teatrale e eccessivamente patetica; Ludwig, alla fine, diede un sono schiaffo  a tutti e tre per farli riprendere: il metodo era stato un po’ violento, ma funzionò egregiamente, e i tre rinsavirono un poco – per quando potessero essere sani delle persone come loro, ma questo è un altro discorso.

<< Q-Que? >>

<< V-ve, Francis, Antonio, c-che è successo? P-perché siete entrati u-urlando così? >>

<< Oh, Feli, >> Antonio si ributtò tra le braccia del cugino, piangendo sulla sua spalla, << Feli, Feli, è successo un macello, una tragedia. >>

<< Ve! >>

<< Tranquillo, Feliciano, sono sicuro che questi tre decerebrati stiano esagerando, come al solito. >> disse Ludwig pacatamente, per poi staccarsi di dosso il fratello e tornare al computer per poter stampare l’articolo.

<< W-West, mi ferisci, >> si indignò Gilbert, scuotendo la sedia del fratello per riavere la sua attenzione, << io vengo in tua difesa, ti offro il mio aiuto incondizionato, e ricevo questo insulto?! >>

<< Bruder, per favore, se non l’hai notato sono piuttosto impegnato. >> disse Ludwig stancamente, mentre osservava, con sua somma gioia, il foglio appena stampato e del tutto illeggibile a causa dell’inchiostro finito.

<< West, fratello ingrato! >>

<< Ludwig, seriamente, ascolta tuo fratello. >> disse Francis, ancora pallido e con la testa poggiata sulla spalla di Feliciano. Il tedesco gli lanciò un’occhiataccia, per poi aprire la stampante e cambiare il contenitore dell’inchiostro.

<< Ma cosa è successo? >> chiese Kiku, mentre faceva aria alle due latini con un fazzoletto. Quest’ultimi si scambiarono un’occhiata perplessa, per poi tornare a guardare il giapponese con stupore e compassione assieme.

<< Oh, ma allora non l’avete saputo! >>

<< Ve, cosa dovremmo sapere Francis? >> chiese Feliciano con preoccupazione, senza nascondere però una certa curiosità. Gilbert spalancò gli occhi, per poi rivolgersi al fratello: << West? >>

<< Che c’è? >> domandò Ludwig, seccato, mentre armeggiava con la stampante.

<< Hai visto il sito dell’accademia oggi? >>

<< L’ho controllato ieri sera, e non ho visto nulla di strano. >>

<< Come no? >> Gilberto lo voltò verso si sé, scuotendolo per le spalle, << Non hai visto l’annuncio  dello scambio? >>

<< Ja, l’ho visto, e allora? >> quella situazione stava davvero iniziando a dargli sui nervi, e il tedesco era molto tentato di dare un pugno a suo fratello e a quei due scalmanati dei suoi amici per porre fine a quella commedia e tornare al suo lavoro; ma la frase che Gilbert disse dopo lo sorprese non poco.

<< E non hai visto chi sono gli studenti che vengono da noi? >>

Ludwig sussultò leggermente, per poi guardare l’altro con uno scetticismo preoccupato: << Nein, avevo da fare. >>

Gilbert lo guardò stupefatto; poi, sudando freddo, si avvicinò al computer e aprì il sito di facoltà. Ludwig, un poco incuriosito, lo vide armeggiare per qualche secondo, poi Gilbert girò lo schermo del pc verso di lui e indicò i primi tre nomi della lista della Second Player Academy, coloro che sarebbero venuti da loro; e per poco non svenne quando lesse i primi due nomi.

<< L-Ludwig? >> Feliciano si avvicinò all’amico, scuotendolo piano, << c-che è successo, ve? Se impallidito di colpo. >>

<< Ludwig-san, >> Kiku si sporse leggermente per vedere lo schermo, << che cosa ha visto di cos- oh! >>

<< Ve? >> Feliciano si voltò verso il giapponese, e vide che anche quest’ultimo era diventato bianco come un lenzuolo e fissava tremante quei due nomi come se fossero la cosa più spaventosa che avesse mai visto. L’italiano, sempre più impaurito, raccolse il suo scarso coraggio a due mani e si decise a controllare il computer e a vedere cosa avesse scatenato tutto quel panico; e si sentì chiaramente sul punto di perdere i sensi quando lesse il secondo nome della lista, e se non fosse stato per Ludwig, che lo mise a sedere su una sedia, sicuramente sarebbe caduto rovinosamente a terra: << N-Non è possibile. >>

Sullo schermo del pc, in eleganti caratteri Times New Roman neri, capeggiavano due nomi, assieme al voto che quei due studenti avevano ricevuto:

 

1)Hidekaz Honda 100/100 con lode

2)Marco Vargas   100/100

 

<< N-Non- no! >>

<< Mon frére, va tutto bene, granf frére è qui con te. >> disse Francis, massaggiando dolcemente le spalle del cuginetto cercando di alleviarne la disperazione.

<< M-Marco verrà qui? >> chiese l’italiano con voce tremante, osservando quegli undici caratteri che componevano il nome del da lui più temuto parente della sua famiglia, quel ragazzo dai capelli rossi e occhi violetti tremendamente simile a lui fin nel più minimo particolare, fintamente dolce quanto tremendamente sadico e crudele.

<< Si purtroppo, >> Antonio si sedette accanto all’italiano, osservando anche lui con crescente timore quel nome che evocava i peggiori ricordi, << Kiku stai bene? Hidekaz è tuo cugino, vero? >>

Il giapponese non rispose, troppo intontito dalla sorpresa e dall’orrore: Hidekaz era sì suo cugino, ma era anche la persona che più lo terrorizzava al mondo, con quei suoi occhi rossi che lo inquisivano severamente ogni volta che si incontravano, e che non si risparmiava mai in critiche sferzanti verso di lui, fin da quando erano piccoli - << I tuoi capelli sembrano una scodella arrugginita. >> << Smettila di comportarti come un vecchietto. >> << Ti fa male la schiena? Ci credo, guarda quanto sei ingrassato! >> e altri simpatici commenti che non facevano altro che abbattere l’autostima del povero giapponese.

<< Neanche Kiku sembra felice di sapere che suo cugino sta venendo qui. >> sospirò Francis, per poi tornare a consolare l’inconsolabile Feliciano.

<< V-Ve, fratellone! Io non voglio che Marco venga qui! Mi basta vederlo una volta ogni due anni! Ve, se fosse per me, non lo vedrei mai più! Ve, ve! >>
<< Lo so, mon frére, lo so. Ti capisco perfettamente. >>

Ludwig, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad osservare quei due nomi, si voltò titubante verso suo fratello, temendo sinceramente la risposta alla domanda che stava per porre: << Bruder? >>

<< Ja? >>

<< Questi sono solo due nomi. >>

<< Lo so. Forse è meglio se ti siedi- >>

<< Ma allora chi è il terzo? >>

Gilbert lanciò un’occhiata ai suoi due amici, come a cercare una sorta di consenso, poi verso il suo fratellino, poi verso il computer. Infine, scrollò di poco la pagina.

Ludwig si avvicinò allo schermo, lesse il terzo nome dello studente che sarebbe venuto, e in meno di un secondo sentì tutte le forze venirgli a mancare; leggendo quelle lettere, gli sembrava quasi di sentire l’odore salmastro del luogo balneare in cui era andato in vacanza l’anno prima, e il rumore di una motosega che si faceva sempre più vicino, di una voce iraconda che gli prometteva le peggiori torture.

Il disastro ebbe inizio; il suo peggior incubo sarebbe venuto a rovinargli la vita anche all’accademia.

 

3)George Joseph Beilschmidt 100/100

 

<< West, senti. So che con nostro cugino non hai un gran rapporto  - neanche io se per questo – ma non è tutto perduto. Forse se riuscissimo a convincere nonno  a- W-West? Che succede, perché sei così pallido? West? Oh, Sheisse, West, non svenire ora, non è successo nulla di male! Sheisse! Francis, Antonio, aiutatemi a portarlo in infermeria, per carità! >>

 

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* la Germania è tra i paesi più atei/agnostici d'Europa. E Ludwig, comunque, non mi sembra una persona molto religiosa

** Mathias è il nome che i fan hanno dato a Danimarca, nonché uno dei nomi suggeriti da Himaruya stesso

***Nel mio headcanon, come nazioni Francia e Spagna sono cugini/mezzi-fratelli di Veneziano e Romano. 

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Capitolo 2
*** 09-10.03.20XX: L'imminente catastrofe già miete vittime ***


Arieccomi qui!

Com'è che avevo detto? Aggiornamento una volta a settimana? Ahahaha: manco ho fatto in tempo a dirlo che già sono sorti problemi .-. 

Che avete da farci? Gli esami chiamano, e Relazioni internazionali e Storia moderna certo non si studiano da sole; per questo ho preferito anticipare di una settimana l'aggiornamento, in modo da potermi concentrare interamente sullo studio. 

Quindi, eccolo qui, il secondo capitolo. 

Spero sia di vostro gradimento ^^

 

Enjoy!

 

 

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Un disastro. Era un vero e proprio disastro. George Joseph Beilschmidt, cugino di secondo grado di Ludwig e Gilbert, nipote del fratello del nonno di quest’ultimi, tremendamente simile a primo nell’aspetto fisico, salvo per gli occhi – violacei – i capelli – di un biondo chiarissimo –  e alcune cicatrici piuttosto evidenti in varie zone del corpo, e famoso in tutta la famiglia Beilschmidt per essere completamente insano di mente, sarebbe venuto nella World Accademy per due settimane grazie ad uno scambio culturale; molto probabilmente avrebbe frequentato le classi di Ludwig, e Ludwig avrebbe dovuto – essendo suo parente – assolvere al compito di portarlo in giro per l’edificio per fargli conoscere le varie strutture, presentarlo ai professori e a tutti i suoi amici per farlo integrare – insomma, sarebbe stato una specie di balia – e assolvere ad ogni richiesta di quel perverso di suo cugino.

Tutto questo era aggravato dalla presenza dei due migliori amici di George, Marco – il classico esempio di bulletto sadico e crudele – e Hidekaz – il ragazzo più stronzo che l’umanità avesse generato, a detta dei più – rispettivamente cugini di Feliciano e di Kiku, e tutti e tre formavano un trio che era letteralmente l’incubo sia del loro istituto che di chiunque avesse la sfortuna di conoscerli – e Ludwig lo sapeva bene, avendo passato molte vacanze con loro quando erano piccoli, assieme alle loro famiglie: ricordi di montagne verdeggianti, spiagge immacolate, e ogni tipo di scherzo che la mente di tre ragazzini potesse partorire erano letteralmente i peggiori della sua vita.

Tre calamità si stavano abbattendo sulla World Academy, per rovinare la sua vita anche nel luogo a lui più caro e che considerava il più sicuro al mondo, e suo nonno cosa faceva?

<< Gilbert, per favore, stai esagerando. >>

Sminuiva la gravità della situazione, ovviamente.

<< Großvater, non puoi dirmi di star esagerando. Non puoi, proprio non puoi! >> ribatté Gilbert, indignato, alzandosi dal letto e iniziando a percorre la stanza avanti e indietro. << Ti rendi conto di chi sta venendo qui? Hai la più vaga idea di quanto sia pericoloso che un pazzo del genere non solo sia a piede libero, ma anche che venga a fare uno scambio culturale in un’accademia!? >>

<< Gilbert, non esagerare. >>

<< E’ mezz’ora che dici di non esagerare! >> l’albino sbatte le mani sul tavolo e si sporse verso la piccola telecamera, fino ad occupare col volto rabbioso tutto lo schermo del computer di Aldrich.

<< Gilbert, levati, non riesco a vedere tuo fratello. >> disse quest’ultimo con calma, anche se ormai era sull’orlo di chiudere Skype e di lasciare i suoi nipoti al loro destino. Si massaggiò le tempie mentre Gilbert tornava al suo posto, mugugnando tutto il suo dissenso per quella situazione. Ludwig, alla destra del fratello, non aveva spiccato parola dall’inizio del collegamento, trovando più interessante fissare ora il tavolino, ora la finestra.

<< Ludwig, >> Aldrich si sporse leggermente, cercando di capire se la sua vista gli stesse giocando un brutto scherzo, << stai tremando? >>

L’interpellato sussultò violentemente, poi affrettarsi a voltarsi verso la telecamera e negare una simile imbarazzante verità; ma suo fratello lo precedette.

<< Certo che trema! >> Gilbert batté una mano sulla schiena del fratellino con fin troppa forza, facendo quasi cadere dal letto, << Großvater, hai presente di chi stiamo parlando? Ti ricordi chi è George Joseph Beilschmidt, vero?! Non so se hai presente il nipote di tuo fratello, perché altrimenti non si spiega la tua calma! >>

<< Gilbert! >> mormorò con voce pericolosamente bassa Aldrich, come avvertimento.

<< Gilbert un corno. Io non lascio avvicinare quel pazzoide al mio bruderchen, chiaro!? >> urlò l’albino, incrociando le bracci davanti al petto per rimarcare la sua posizione. Aldrich sospirò violentemente, poggiando la fronte contro le mani intrecciate.

<< Ancora non capisco il motivo della vostra chiamata, comunque. >>

<< Mi sembra ovvio, no? Fai qualcosa per evitare che George venga qui! Sei uno dei principali finanziatori dell’accademia, verdammdt, la tua parola verrà pure qualcosa! >>

<< Gilbert, non posso interferire con i progetti dell’accademia, lo sai. >>

<< Onkle Siegfried  però non si è risparmiato, mi sembra, perché altrimenti non si spiega come quella capra patentata sia riuscita a prendere cento su cento, e quell’altro idiota novantasei su cento! >>

<< Gilbert, non sottovalutare l’intelligenza di Wilhelm e di George- >>

<< Stiamo parlando di due pazzi che hanno dei voti bassissimi! Per partecipare allo scambio serviva anche una media alta, e nessuno dei due ce l’ha. Chi se non onkle Siegfried poteva far partecipare George allo scambio, eh? >>

Aldrich inspirò profondamente, per poi lanciare un’occhiata verso l’altro nipote, tornato in silenzio.

<< E tu, Ludwig, non dici  nulla? >>

Ludwig sospirò, per poi passare titubante lo sguardo da suo fratello a suo nonno: << Non credo che tu possa fare molto. George verrà domani, non c’è più tempo per poter annullare il viaggio comunque. >>

Gilbert sbuffò sonoramente, per poi sbattere la mano sul tavolo con tale forza da far tremare la videocamera: << Non mi importa! George dentro questo edificio non ci mette pie- >>

<< Gilbert smettila di comportarti come un ragazzino! >> urlò Aldrich, lo guardo azzurro fiammeggiante di frustrazione; l’albino si rimise seduto, ma era evidente che non si era calmato affatto.

<< Ricordatevi, comunque, che è di vostro vetter che stiamo parlando- >>

<< Quello stesso vetter che a tre anni ha cercato di buttare West giù da un ponte, a sei di farlo mordere da serpente velenoso, a otto ha riprovato a buttarlo giù da un ponte, a dieci da una finestra, a dodici l’ha gettato nella gabbia delle tigri allo zoo, a quattordici ha cercato di accoltellarlo, a sedici ha provato ad annegarlo, a diciotto l’ha quasi investo, e l’estate scorsa l’ha inseguito per tutto il litorale di Ostia con una motosega col chiaro intento di farlo a fette! >>

<< …Salvo il fatto che quelli erano per la maggior parte degli incidenti- >>

<< Quelli non erano incidenti! >> disse Ludwig bruscamente, tenendosi la testa fra le mani, << George mi odia, mi odia! Al punto da cercare di volermi ammazzare, e non ho mai capito perché! >>

<< Dicevo, >> riprese il tedesco più anziano una volta che il nipote ritrovò la sua compostezza, << per quanto mi trovi a concordare con voi sul fatto che George abbia un carattere un po’… Difficile, ecco, è comunque tra i vostri parenti più prossimi, e per questo merita almeno che non lo insultiate in questa maniera. >>

<< Anche Monika e Julchen sono nostre cugine, ma preferisco mille volte loro a George e Wilhelm! Sheisse, perfino Hilda e Elke sono meglio di quei due scalmanati, e le avrò viste si e no cinque volte in tutta la mia vita! Potevano venire loro qui? Perché non abbiamo fatto lo scambio con la loro accademia? >>

<< Gilbert! >>

<< Andiamo Großvater! Stiamo parlando di George e di Wilhelm, quel George e Wilhelm che quando  eravamo piccoli ce ne hanno combinate di cotte e di crude! >>

<< Wilhelm non è poi così male. >> provò a dire Ludwig, ma si pentì subito di aver espresso quella preferenza quando suo fratello gli lanciò un’occhiata di fuoco.

<< Ah no? Herr “Io so tutto e voi non siete un cazzo” ti sembra meglio di quell’altro idiot?! >>

<< Gilbert, siediti e chiudi la bocca, >> Aldrich si massaggiò stancamente le tempie, cercando di mantenere la calma, << sentite, ormai è tutto fatto. Come ha detto prima Ludwig, le procedure sono state inoltrate e non c’è modo per poter annullare il viaggio. George rimarrà da voi solo per due settimane, quindi smettetela di fare i bambini e preparatevi ad accoglierlo al meglio. >>

Gilbert inspirò profondamente, poi buttò Ludwig giù dal letto e si mise in ginocchio su di esso, afferrò la telecamera e l’avvicinò al viso, per poi urlare disperato: << Großvater, se ci hai mai voluto bene, anche solo un’oncia d’affetto, ti prego, ti scongiuro, fa che George non venga qui! Bitte! West prima tremava, e detesto ammetterlo, perché uno magnifico come me non dovrebbe avere sentimenti così poco fichi, ma l’idiot fa paura anche a me!Bittebittebittebittebittebittebittebittebittebittebittebittebittebitte!!!!!! >>

<< Gilbert, smettila! >>

<< Hai paura che onkle Siegfried ti dica qualcosa? Ma sono sicuro che capirà! Andi- >>

<< Gilbert! >> la voce di Aldrich era molto vicina ad un ringhio, e solo in quel momento l’albino si ricordò che, per qualche strano motivo, suo nonno detestava che si nominasse onkle Siegfried << Ora basta! George verrà domani, e mi farò raccontare come vi avrà accolto. E vi assicuro che se mi dirà anche solo un qualcosa che non mi piace, saranno guai per entrambi, chiaro!? >>

<< M-Ma Großvater - >>

<< Warten Großvater, >> Ludwig strappò la telecamera dalle mani del fratello, << a che ora viene George dom- >>

<< Auf Wiedersehen! >> sbottò Aldrich per poi chiudere il contatto, senza ammettere alcun tipo di replica.

I due rimasero a guardare lo schermo nero del computer per qualche attimo, in totale silenzio, poi Ludwig si alzò in piedi, diede un pugno sulla testa a Gilbert, e si mise camminare avanti e indietro per la stanza.

<< Danke shön, bruder! Non solo non so a che ora arriverà George, ma ti sei giocato anche il sostegno di nostro Großvater. Complimenti Gilbert, davvero! >>

<< Oh, senti West, è Großvater che non capisce le nostre ragioni! >>

<< Invece le capisce perfettamente! Ma tu, col tuo atteggiamento del cazzo, l’hai fatto arrabbiare! Adesso rischiamo pure il taglio dei viveri per almeno un mese grazie a te! >>

Gilbert sussultò, stupito da quell’atteggiamento veemente: << Caspita West, George ti terrorizza fino a farti diventare così sboccato? >>

Ludwig arrossì violentemente e voltò la testa dall’altra parte: << F-Figurati! Io non ho paura di George, ma capirai pure tu che non posso sentirmi tranquillo quando avrò nella scuola chi ha tentato di uccidermi l’anno scorso! >>

<< Solo l’anno scorso? >>

<< Gli altri… Avvenimenti posso essere stati degli incidenti, bruder. >>

<< Tsk, chiamalo incidente quello di catapultarti nella gabbia delle tigri! Hai uno strano concetto di incidente, West. E poi si vede che non ci credi neanche tu. >>

Ludwig non gli rispose, ma mentalmente non poté non concordare con suo fratello; tuttavia, George sarebbe rimasto nell’accademia solo per due settimane: rispetto ai mesi di vacanze estive passate con lui, sicuramente poteva sopportare quattordici giorni.

 

 

Arrivato il tempo del pranzo, però, aveva decisamente cambiato idea: due settimane erano fin troppe da sopportare, soprattutto con le aggiunte presenze di Marco e di Hidekaz. Chi sarebbe potuto sopravvivere ad una calamità del genere?

<< V-Ve, moriremo vero? >>

<< Feliciano-kun, per favore, non essere così pessimista. >>

Ludwig era seduto al tavolo più isolato della mensa, e stava consumando il suo pranzo in compagnia dei suoi due migliori amici, come faceva da quando era entrato all’accademia; ma la notizia della catastrofe imminente arrivata il giorno prima aveva abbattuto il morale di tutti. E Feliciano, il di solito allegro e spensierato Feliciano, con la improvvisa depressione non stava aiutando a risollevarlo.

<< Lo so che moriremo. Marco mi farà morire di infarto, lo so che lo farà, è da vent’anni che ci prova. Sono certo che questa volta ci riuscirà, ve~. >> si lamentò l’italiano, la testa poggiata mollemente sulla mano mentre giocherellava con alcuni piselli nel suo piatto.

<< Feliciano, ti prego, smettila. >> supplicò il tedesco, sbattendo la testa sul tavolo per la quarta volta quel giorno. Quanto avrebbe voluto cambiare discorso, ma il suo amico non lo stava neanche a sentire, perso com’era in masochistici pensieri.

<< Ve~ e dire che io volevo fare ancora tante cose: prendere la laurea in belle arti, diventare un artista, cucinare tutti i tipi di pasta del mondo, chiedere di uscire a tante ragazze carine… >>

<< Feliciano-kun. basta. >>

<< Guidare una Ferrari o una Maserati, viaggiare in tutte le capitali del mondo con una Lamborghini, chiedere la mano di Monika, avere due bambini da lei, belli come lei, dipingere tanti paesaggi diversi, scrivere canzoni… >>

<< Feliciano, sme- C-Che cosa vuoi fare tu!? >> Ludwig alzò la testa dal tavolo, lanciando un’occhiata incredula all’italiano. Quest’ultimo, rendendosi conto di quanto aveva detto, si irrigidì sul posto e si voltò dall’altra parte per evitare di incrociare lo sguardo indagatore dell’amico.

<< N-Niente, v-ve, i-io n-non ho d-detto nulla, ve- >>

<< Feli? >>

<< D-Davvero! I-Insomma, n-non è che i-io e tua cugina c-ci frequentiamo d-dall’inverno scorso, o che ci s-sentiamo sempre telefono o su Facebook, e ci scriviamo e-mail, o c-cose del genere! >>

<< Feliciano?! >>

<< V-Ve! >>

Per fortuna dell’italiano, l’imbarazzante discorso venne interrotto dall’arrivo dell’“eroe” dell’accademia: il biondissimo Alfred J. Jones saltò sul tavolo dei tre ragazzi – facendogli quasi venire un infarto – e, in “posa da eroe”, fece quello che meglio gli riusciva: ciarlare a vanvera ingozzandosi di hamburger allo stesso tempo.

<< *gnamgnamgnam* Allora, ho sciaputo *gnam* che mio fratello *gnam* andrà all’achademia *gnam* dove shtano ache *gnam* i nostri cushini *gnam* >>

I tre si scambiarono un’occhiata tra il depresso e il perplesso – Alfred aveva un fratello? Ah si, è vero… Com’è si chiamava?

<< *gnam* Ishomma *gnam* non shono *gnam* riusc- ugh! >> finalmente, l’abitudine di parlare mentre mangiava gli si ritorse contro, e l’americano si ritrovò a rantolare sul tavolo nel tentativo di deglutire il boccone infame, sotto lo sguardo esasperato dell’intera mensa.

<< Alfred, you idiot! Ma che stai combinando! >> in suo soccorso, fortunatamente (o forse no?) venne Arthur, che avvolse le braccia poco sotto lo sterno dell’americano e iniziò a premere sul diaframma, in modo da poter liberare il prima possibile le vie respiratorie.

<< Eheh, come al solito, il fare clownesco di Alfred gli si sta rivolgendo contro. Com’è divertente. >>

Feliciano sussultò visibilmente quando riconobbe quella voce quasi bambinesca, pensando che al peggio non c’era davvero limite. Si voltò, tremante, e quando vide alla sua spalle la possente figura di Ivan, lo studente russo terrore dell’accademia, saltò direttamente tra le braccia di Ludwig, iniziando a piangere sulla sua spalla: << V-Ve, veeee! Ludi ho paura!!! Ve, ve! >>

<< F-Feliciano, staccati dai. >> lo pregò il tedesco, senza però trovare la forza di allontanarlo con le sue mani, e ovviamente il suo amico italiano ignorò bellamente quella preghiera.

<< Ugh, ugh, A-Arfur! >>

<< Calmati, su, ora one, two, three! >> Arthur premette con forza il diaframma di Alfred, e questi riuscì, infine, a sputare l’infame morso dell’hamburger, che andò a finire dritto dritto sul dessert di Kiku.

<< *Coff coff* K-Kiku, s-sorry *coff* >>

<< N-Non fa niente, n-non avevo fame, comunque. >> mormorò mestamente il giapponese, allontanando anche il piatto con la cotoletta che stava mangiando non appena sentì risalire tutto quanto aveva prima consumato – un po’ dallo schifo nel vedere quella marroncina massa informe, un po’ per il nervosismo.

<< Aya, Kiku, che cos’hai, sei così pallido, non ti senti bene- aru? >> Yao, vecchio amico della famiglia Honda, poggiò una mano sulla fronte del giapponese, controllando se avesse la febbre, << A dire il vero, nessuno di voi tra ha una bella cera, ragazzi-aru. >>

I tre si scambiarono un’occhiata di indescrivibile amarezza, per poi sospirare pesantemente sotto lo sguardo confuso e preoccupato degli altri quattro ragazzi.

<< Oh came on, guys, mi state mettendo la depressione addosso con quelle facce, >> esclamò Alfred, balzando in piedi con rinnovata energia, << sembra che vi sia morto il gatto! Dai, un po’ di vita! Dove sono finiti i degni avversari del qui presente eroe? Voi siete i cattivi, non potete essere tristi! >>

<< V-Ve~ non so se sentirmi consolato od offeso. >> mormorò Feliciano in modo che solo Ludwig potesse sentirlo.

<< Credo che nei termini di Alfred fosse un modo per consolarci. >> confermò il tedesco prima di  bere un lungo sorso d’acqua.

<< Kiku, che è successo esattamente- aru? >> chiese Yao mentre anche Arthur e Ivan prendevano posto al tavolo.

<< Bè, ecco… >>

<< Feliciano, ti ho portato l’orario per doma- che succede? >>

<< V-Ve~ fratellone. Alfred ci stava consolando… Credo. >>

<< French frog, che hai in mano. >> chiese Arthur osservano il piccolo foglietto che in francese aveva in mano; poteva vedere chiaramente scritti due orari, accanto a due nomi che però non riusciva a leggere chiaramente dalla sua posizione.

<< Fatti gli affari tuoi, Arthur. Tieni Feli, questo è… Come dire, l’orario X. Domani sarete esenti dalle lezione della mattina. >>

Arthur sbatté le palpebre perplessamente quando sentì quello strano nome, e la sua confusione non fece che aumentare quando vide l’italiano tremare violentemente mentre prendeva il piccolo foglio, impallidire quando vide ciò che vi era scritto, e infine scoppiare a piangere pateticamente e a delirare.

<< Ve, ve, veeeee! Ludwig, ho paura! Dov’è Romano? Voglio il mio fratellone! Voglio mio nonno! Veee! >>

<< Oh, mon petit frére, vieni da gran frére Francis, ci penso io a consola- >>

<< Levagli le mani di dosso! >> sbottò Ludwig, avvolgendo un braccio attorno al corpo dell’amico protettivamente, lasciando che questi piangesse sulla sua spalla.

<< Oh, non fare così, Ludwig! Faccio solo il mio dovere di cugino. >> borbottò il francese, per poi sorridere maliziosamente, << Per caso vuoi un po’ di coccole anche tu? >>

La risposta del tedesco fu un piatto mirato alla fronte, e che Francis schivò per un soffio: << Ehi, ti sembra questo il modo di trattare chi ti offre aiuto? >> sfortunatamente, il francese non fu altrettanto abile col bicchiere.

<< Ow, ow,ow, putain allemand, ow. >> mormorò dolorante, per poi prendere posto vicino ad Arthur, e guadagnandosi per questo un’occhiata truce da parte dell’inglese.

<< Che fai qui, frog!? >>

<< Mi siedo, non si vede? E’ l’unico posto libero. >>

<< Hai fatto il tuo dovere di postino, mi sembra. Smamma! >>

<< Eh, che è tutta questa fretta? Non vuoi ammirare la mia algida bellezza gallica? >>

<< Ugh, per favore, mi farai tornare su gli scones! >>

<< Sicuramente non sarà per colpa mia. Era ora che quegli affari ti facessero male, almeno ti renderai conto di quanto facciano schi- >>

<< Non insultare i mie scones! >> esclamò Arthur prima di gettarsi contro “french frog” e iniziare una vera e propria rissa, una scena talmente abituale che ormai nessuno interveniva per fermarli o anche solo li dava attenzione; ma era comunque uno spettacolo interessante per Alfred, che infatti ebbe la pessima idea di scoppiare a ridere mentre stava mangiando l’ennesimo hamburger, col risultato di strozzarsi di nuovo e richiamare l’intervento immediato di Yao sotto lo sguardo sadicamente divertito di Ivan che, probabilmente – anche a giudicare dallo strano guizzo nei suoi ogni viola – gli stava augurando una morte imminente per soffocamento.

Nel frattempo, gli altri tre ragazzi avevano saggiamente deciso di ignorare la scena, pensando di avere già fin troppi problemi personali per badare a quella sciocca rissa.

<< Feliciano, per caso c’è anche l’orario di mio cugino lì? >> chiese Ludwig, sudando freddo mentre osservava l’infausto bigliettino.

<< V-Ve no, qui ci sono solo quelli di Marco e di Hidekaz. Marco verrà attorno alle dieci all’aeroporto, mentre Hidekaz verrà in treno attorno alle undici. >>

<< Come mai in orari così diversi e con mezzi diversi? >>

<< Nonno mi ha detto che è stato Marco a chiedere di andare con mezzi separati e in orari diversi, ve~.  >>

<< Forse per evitare di essere importunato da George-san? >>

<< Ovvio. >> commentò Ludwig, piuttosto acidamente. Del resto, non c’era da esserne sorpresi: la cotta di George  per Marco aveva un che di leggendario, per quanto era intensa e raccapricciante insieme, roba da far impallidire il più accanito degli stalker; leggendaria, del resto, quasi quanto il suo essere un’infatuazione quasi totalmente non ricambiata – quasi perché Ludwig da molto tempo aveva rinunciato a comprendere la psicologia del cugino di Feliciano (non era riuscito nemmeno a capire quella di quest’ultimo, figuriamoci quella dei suoi parenti). Marco, probabilmente, voleva godersi il viaggio in tranquillità, e conoscendo George e la lingua biforcuta di Hidekaz, doveva aver deciso che viaggiare in maniera separata era l’unico modo per accontentare il suo desiderio.

<< Ve~ chissà perché Marco odia così tanto George. Tuo cugino è un ragazzo così gentile, ve. >> disse Feliciano con un sorriso che morì immediatamente quando Ludwig gli lanciò la migliore delle sue occhiatacce, << V-Ve! C-Che c’è? >>

<< George gentile? >> sibilò il tedesco, stringendo la forchetta che aveva in mano con tale forza da piegarla, << Sicuro di star parlando di mio cugino? >>

<< V-Ve, m-ma c-con me è s-sempre s-stato g-gentile. >> si difese l’italiano, facendosi piccolo piccolo sul suo posto.

<< Questo è vero, mi sono sempre chiesto come mai. >> disse Kiku, riflettendo su come il comportamento di George nei confronti di Feliciano fosse radicalmente diverso dal suo abituale: mai gli aveva fatto scherzi pesanti, e addirittura in più occasioni lo aveva difeso o portato via dalla “mischia” – ossia le mega risse in cui erano soliti gettarsi Gilbert e Wilhelm dopo una discussione e che, inspiegabilmente, riuscivano a coinvolgere tutte le persone presenti nella stanza - lo riempiva di gentilezze ed era spesso premurosissimo con lui.

<< Probabilmente sarà perché gli ricorda Marco, e perché può coccolarlo quanto gli pare senza ricevere un schiaffo in faccia. >> bottò Ludwig, rammentando che, una volta, George gli aveva confessato di trovare Feliciano << Estremamente carino! Sembra un cucciolo da dover proteggere, vero Ludwig? Peccato non credo che tu sia bravo a farlo! >> e che, subito dopo, gli aveva affondato la faccia nell’acqua del mare per una buona quindicina di minuti. Un brivido gli percorse la schiena al solo ricordo.

<< Ve, ma a me le coccole piacciono. E non mi dispiace se George ogni tanto è gentile con me- Ve! Ludi, non guardarmi così! >>

Ludwig fece per urlargli contro che no, George non era una persona gentile, e che era gentile con lui solo per soddisfare i suoi desideri repressi, quando sentì il suo cellulare vibrare; lo prese dalla tasca, e impallidì fortemente quando vide che il numero in sovraimpressione – quando si dice “Parli del diavolo...”

<< V-Ve, Ludi? >>

<< …Ist mein vetter. >> mormorò il tedesco con un’aria talmente lugubre che destò l’attenzione di tutti i presenti al tavolo, interrompendo perfino la rissa tra Francis e Arthur.

<< Oh, e che dice? >> chiese ingenuamente Feliciano, sbirciando sullo schermo del telefonino per vedere il contenuto del messaggio.

<< M-Mi ha mandato un file musicale. >> rispose l’altro, estremamente confuso e timoroso di aprile quel piccolo documento, fin troppo abituato agli scherzi idioti di suo cugino.

<< Davvero? Forse è una canzone, ve~! Dai dai, aprilo. >>

Beata ingenuità. Ludwig deglutì faticosamente, per poi cliccare culla piccola icona a forma di nota musicale: il fortissimo rumore di una motosega azionata al massimo gli trapanò le orecchie e fece evaporare qualunque

traccia di colore sul suo volto. Sotto l’icona, notò un piccolo messaggio:

 

Mittente: George

Numero: **********

Testo: Ehilà, cuginetto :) Spero che te la stia spassando lì all’accademia! Hai saputo che domani verrò per lo scambio cultuale, vero? Non vedo l’ora di passare queste due settimane con te, Ludz. Vedrai, ci divertiremo un sacco X)

PS: in nome dei vecchi tempi ti mando anche questo piccolo file musicale. :) Spero sia di tuo gradimento ^^

Ah, Marco e Hidekaz ti salutano calorosamente.

 

 

<< L-Ludi? >> Feliciano scosse il braccio dell’amico, cercando di farlo riprendere dallo stato catatonico in cui era apparentemente caduto.

<< Ehi, Ludwig-san, tutto ok? >> anche Kiku iniziò a preoccuparsi seriamente, soprattutto perché il tedesco sembrava sul punto di avere una crisi isterica, ma che il suo sangue germanico stava disperatamente cercando di sopprimere.

<< S-Sto bene. > mormorò faticosamente il tedesco, abbassando tremante il cellulare e mettendosi le mani tra i capelli, disperato. No: due settimane con suo cugino non sarebbe riuscito a sopportarle.

<< Ehi man, che succede? >> Alfred, percependo – stranamente – la strana aria depressa che circondava il tedesco, iniziò a preoccuparsi un poco. Come poteva la suoneria di una motosega gettare nello sconforto più totale un ragazzo composto e forte come Ludwig?

<< Oh no! >> Arthur impallidì, capendo infine il perché di quel comportamento. << No, no no! Non è… That’s not possible! >>

<< Uh? >>

<< Alfred, mon chere, non hai ancora capito? >> Francia sospirò amaramente, massaggiando delicatamente le spalle di un depresso Feliciano, che a sua volta stava cercando di consolare il suo biondo amico, << Rifletti: secondo te, chi sono gli studenti che verranno qui? >>

Alfred sbatté le palpebre un paio di volte, incapace di cogliere il nesso tra gli studenti che sarebbero dovuti arrivare e la tristezza in cui sembravano immersi Kiku e gli altri. Yao e Ivan, invece, compresero appieno ciò che il francese voleva dire, e che con piccolo << Oh! >> detto in coro lanciarono occhiate compassionevoli ai tre poveri disgraziati.

<< W-What? >>

<< Alfred, you idiot! Gli studenti che verranno qui sono parenti loro! >>

L’americano sbatté le palpebre un paio di volte, si grattò la testa e, finalmente, comprese perché i cognomi dei loro tre futuri e temporanei compagni d’accademia fossero gli stessi di Feliciano e dei suoi amici – un dubbio amletico che lo aveva perseguitato tutto il giorno. Un’espressione di compatimento si dipinse sul suo volto, pensando alla gravità della situazione- lui stesso non era in rapporti eccellenti con suo cugino Timoty, del resto. Si alzò e si avvicinò a Ludwig, per poi poggiare una mano sulla sua spalla e, compassionevolmente, gli disse: << Condoglianze. >>

Mai l’avesse fatto: Feliciano scoppiò a piangere, urlando frasi senza senso sul fatto che di lì a poco sarebbe morto a causa di Marco, Kiku sembrò cadere in depressione, e Ludwig sbatté la testa sul tavolo, forse nel tentativo di cancellare la paura col dolore, o di perdere la memoria; Francis e Yao lanciarono gli lanciarono un’occhiataccia, e Arthur iniziò ad urlargli contro e a rimproverarlo per il suo poco tatto.

Ivan, stranamente, rimase in silenzio, senza ridere malignamente o fare alcun commento: con calma apparente, si alzò, andò a prendere tre bicchieri di plastica, torno al tavolo, posizionò i bicchieri davanti a Feliciano, Ludwig e Kiku, prese da dentro la giacca pesante la sua fedele fiaschetta – tenuta illegalmente – di vodka, li riempì e li avvicinò ai suoi compagni; infine, sorrise: << Credo ne abbiate più bisogno di me. >>

I tre si guardano mestamente, allibiti da un gesto molto generoso per i parametri del russo. La loro situazione era davvero così tragica che perfino un come Ivan li compativa?

In quel momento, i cellulari di Feliciano e Kiku squillarono; i due presero timorosamente i loro apparecchi, scoprendo di aver ricevuto un messaggio, lo aprirono,  ed entrambi sbatterono la testa sul tavolo, mentre Alfred li rubava i telefonini per leggere ad alta voce quanto avevano ricevuto

 

Mittente: Marco

Numero ***********

Testo: Ehilà, cuginetto >:) Come va la vita? Non dimenticarti che domani devi venire all’aeroporto a prendermi. Mica vorrai lasciare il tuo cugino preferito solo soletto vero? Ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che non mi sei venuto a prendere da qualche parte, vero? >;)

Confido nella tua paura per poter ricordare il nostro appuntamento.

Un bacio <3

 

 

Mittente: Hidekaz

Numero: **********

Testo: Kiku, dovrai venirmi a prendere alla stazione alle 11:00 in punto, e sai che non accetto ritardi. Spero che il tuo invecchiamento precoce non abbia intaccato anche la tua memoria. Scrivitelo da qualche parte per sicurezza.

Inoltre, fa un po’ di onigiri, sai che mi piacciono e voglio mangiarne un  po’ appena vengo. Sottolineo il fai, visto che mi accorgerò immediatamente se li hai comprati.

 

Un inquietante silenzio cadde sugli otto ragazzi, interrotto solamente dai lamenti di Feliciano. Tutti i presenti nella mensa, avendo sentito quanto detto da Alfred, avevano intuito cosa stava accadendo, e non si risparmiavano in occhiate di compassione per i tre poverelli.

Infine, fu proprio Alfred, dopo gli infiniti rimproveri di Arthur, a, se possibile, peggiorare la situazione, involontariamente esprimendo quanto tutti stavano pensando in quel momento.

<< …Vi rifaccio le mie condoglianze, guys. Sul serio. >>

Feliciano, Ludwig e Kiku si scambiarono un’occhiata di depressa intesa, per poi afferrare i bicchieri e svuotarli in un unico sorso.

 

 

 

Non si sentiva al sicuro, anche se era ormai certo di averlo distanziato abbondantemente. Aprì la porta metallica con una spallata e continuò a correre sul terreno ora sabbioso della spiaggia. Purtroppo, fece solo pochi metri.

<< Ludwig~ >>

Il suo cuore si fermò bruscamente prima di tornare a battere a tutta velocità quando sentì quella voce e, lentamente, si voltò verso l’entrata appena traversata: si era scordato di chiudere l’unica porta che lui non avrebbe potuto sfondare e che gli avrebbe garantito la salvezza. Si  buttò a tutta velocità su di essa, cercando disperatamente di chiuderla in tempo, mentre il rumore della motosega si faceva sempre più vicino; fece appena in tempo a poggiare la mano e a spingere la porta di pochi centimetri prima che il suo inseguitore la riaprisse del tutto con un semplice calcio.

Ludwig cadde a terra a causa del contraccolpo e, intontito, non riuscì ne ad alzarsi ne ad evitare che il pesante stivale dell’altro si posizionasse sul letto di sabbia, bloccandolo.

<< Fine della caccia, Ludz, >> disse l’uomo, sorridendo in maniera maniacale, << guarda che mi tocca fare per farti stare fermo. >>

<< L-Lasciami, >> esclamò Ludwig, il respiro affannoso a causa della punta dello stivale che premeva sulla sua gola, in modo da poterlo immobilizzare facilmente semplicemente aumentando la pressione per rendere difficoltosa la respirazione.

L’altro rise leggermente, gli occhi violacei scintillanti di sadismo,  per poi alzare la motosega sopra la testa: << E dire che neanche volevo che finisse così. La tua morte doveva essere molto meno dolorosa, che peccato! >>

Ludwig spalancò gli occhi, cercando disperatamente di liberarsi da quella morsa; con suo sommo orrore, però, la sabbia aveva risucchiato parte dei suoi arti, immobilizzandolo del tutto.

<< H-Halt! H-Halt! Fermati- Nein! >>

Di fronte a quelle suppliche, il sorriso di George si fece semplicemente più ampio.

<< Auf Wiedersehen, mein klein vetter! >> mormorò, per poi far calare con forza la motosega su Ludwig. Per quest’ultimo, la discesa di quelle piccole lame seghettate verso il suo volto avvenne in un lento e tortuoso slow motion, mentre le sue urla venivano coperte dal rombo del motore della motosega e la parte metallica affondava nel suo collo-

 

 


<< V-Ve, Ludwig! >>

<< N-nein, h-halt! >>

<< L-Ludwig, svegliati! >>

<< N-Ne- Nein! Na- aaaaaaaaah! >> Ludwig scattò seduto sul letto, dando involontariamente una dolorosa testata al povero Feliciano; i due caddero all’indietro, tenendosi la parte dolente.

<< V-Ve, ve… >>

<< Verdammdt, ma che- Feliciano! Che diavolo ci fai qui!? >> esclamò il tedesco quando riuscì a riprendere un minimo di lucidità, per poi arrossire violentemente quando notò lo stato dell’altro, << P-Perché sei nudo!? >>

<< V-Ve, che male! >> lamentò l’italiano, rimettendosi seduto sul letto, lanciando occhiate sofferenti all’amico, << L-Ludi, ahi! Ma perché mi hai colpito? >>

Ludwig digrignò i denti, per poi lanciare il cuscino sulle “regioni vitali” dell’altro per coprirlo: << Rispondimi, verdammdt! Perché sei qui?! Nudo, tra l’altro! >>

<< V-Ve, m-ma lo sai che a me non piacciono i pigiami, >> disse mestamente Feliciano, per poi avvinarsi al tedesco con un’espressione preoccupata sul volto, << ve, Ludi, hai avuto un sogno erotico per caso? >>

<< W-Was!? >>

<< Urlavi nel sonno, ansimavi, e sei tutti sudato. Che stavi sognando? A me puoi dirlo, ve~. >>

<< N-Nulla, >> disse Ludwig, completamente rosso dal naso fino alle orecchie e sul collo dalla vergogna per essersi fatto vedere in un momento così imbarazzante, << -e non sarebbero affari tuoi in ogni caso! E comunque, vuoi degnarti di rispondermi? Che ci fai qui, in piena notte? >>

Feliciano abbassò lo sguardo, lievemente intimorito da quella voce imperiosa, ma dopo pochi secondi il sorriso, anche se più mesto, tornò sul suo volto: << V-Ve, h-ho avuto un brutto sogno. >>

Ludwig sbuffò pesantemente, intuendo facilmente quale potesse esserne stato il soggetto. Un  po’ per la stanchezza, un po’ per empatia per quella situazione che entrambi avrebbero condiviso di lì al giorno dopo  – e un po’, ma non l’avrebbe mai ammesso, per l’effetto rassicurante derivante dalla presenza dell’altro - fece un po’ di spazio nel letto e, voltandosi dall’altra parte affinché l’altro non notasse il lieve rossore che aveva nuovamente cosparso le sue guance, disse: << Avanti, c-credo che per stasera non farò storie e ti farò rimanere qui- >>

<< Ve, grazie Ludi! >> Feliciano lo interruppe saltandogli praticamente addosso per coinvolgerlo in un abbraccio mozzafiato. Il tedesco, sempre più rosso, si staccò faticosamente da quella stretta sorprendentemente ferrea, per poi sdraiare a forza l’italiano e augurargli un imbarazzato << Guten Nacht! >>.

L’italiano sorrise, preferendo, per una volta, di non proferire parola, e si addormentò stretto al suo amico, ormai certo che quel bruttissimo sogno in cui Marco cercava di fargli mangiare dei disgustosi wurstel non sarebbe tornato.

 

<< Feliciano? >>

<< Uh? >>

<< Ma tu davvero esci con mia cugina? >>

<< … >>

<< … >>

<< … Q-Quasi quasi credo che tornerò in camera mia, ve~ >>

<< Non azzardati ad uscire da questa stanza senza avermi risposto, bastard! >>

<< V-Ve! >>

 

Il mattino seguente, lunedì, Ludwig si alzò mollemente dal letto – non aveva chiuso occhio tutta la notte, perseguitato dal ricordo del rumore di quella maledettissima motosega; al contrario Feliciano, che si era svegliato poco prima di lui, era fresco come una rosa quando era uscito dalla stanza per tornare nella sua - e stancamente si preparò ad affrontare quella che si prospettava la giornata peggiore della sua vita. Nonostante quanto era accaduto ieri, ancora non aveva saputo a che ora suo cugino sarebbe arrivato, il che aggiungeva allo sconforto anche la tensione.

Gilbert, da “magnifico fratello maggiore” qual era, era arrivato in camera sua attorno alle otto e mezzo, con in mano una tazza di caffelatte e dei cornetti, per poi piantarsi davanti al computer e iniziare ad aggiornare il suo blog personale.

<< Allora West, come ti senti? >>

La risposta di Ludwig fu un lungo e sofferto grugnito.

<< Bene, quindi. Sono felice. Vedo che stai prendendo la situazione meglio di quanto pensassi. >>

<< Mh. >>

<< A che ora arriva George? >>

<< Non lo so. >>

<< …Perfetto. >> disse sarcasticamente l’albino, ricominciando a scrivere il nuovo post del suo blog – che, Ludwig notò brevemente, trattava proprio del loro male-amato cugino.

<< Non dovresti parlare di George sul tuo blog. Non oso immaginare cosa ti farebbe se lo leggesse. >>

<< Perché, George sa leggere? >> chiese l’albino, sghignazzando mentre riportava fedelmente quel piccolo scambio di battute troppo magnifico per non essere scritto nel suo splendido sito.

Ludwig sospirò pesantemente, mentre addentava con poco entusiasmo il cornetto al cioccolato, fissando un punto non meglio precisato davanti a sé.

Un anno. Era passato un anno esatto dall’estate in cui suo cugino George lo inseguì per tutti il litorale della città italiana di Ostia armato di motosega con l’intento di farlo a fette perché, secondo lui, aveva cercato di compromettere il suo “lieber” – alias Marco – con un corteggiamento serrato – che, in realtà, il “corteggiamento” non era stato altro che un grossissimo, enorme susseguirsi di malintesi, iniziato con un bacio accidentale e finito in modo assai… equivoco; ma comunque un malinteso, sia chiaro!

Forse, dire che quell’esperienza lo avesse traumatizzato era eccessivo, ma sicuramente non aveva lasciato indifferenti i suoi nervi, visto che ogni volta che i giardinieri della scuola potavano gli alberi del parco che circondava l’accademia quasi aveva un attacco di panico.

Gilbert, notando il cattivo umore di suo fratello, decise di provare a consolarlo: << Senti, West, non ti devi preoccupare poi tanto di George. Sono troppo magnifico per permettergli di farti del male. Quando mai non ti ho protetto, del resto? >>

<< Certo, me lo ricordo perfettamente quanto mi hai protetto appena lo hai visto con la motosega; da sotto il tavolo sei stato di grande aiuto! >>

<< Ero disarmato contro una motosega, West. Una motosega. Hai presente il tizio di “Non aprire quella porta”?  Ecco, a George mancava solo la maschera. >>

<< Non dirlo a me. >> sospirò il biondo, per poi finire il cornetto e bere in un sorso il caffellatte, << Forse ci stiamo preoccupando troppo. Siamo in accademia, George non può certo prendere una motosega senza passare dei guai, no? >>

Gilbert non gli rispose, silenziosamente esprimendo i suoi dubbi – anche se non fosse stata una motosega, quel pazzo del loro cugino poteva usare qualsiasi cosa come arma contundente.

<< Sai come è fatto, >> disse infine, girandosi verso il fratello, << quando parte per la tangente non lo ferma più nessuno. Poco importa se è a mani nude o in mano ha una motosega o una bomba atomica. >>
<< …Ugh! Comunque, dentro l’accademia George sarà controllato a vista, non può certo fare come vuole. >>

<< È George, West, George Joseph Beilschmidt! Non ci è riuscito onkle Siegfried a tenerlo sotto controllo ci riescono i professori? >>

<< Devi farmi da supporto morale o annientare quel che  rimasto della mia positività? >> chiese Ludwig, lanciando un’occhiataccia al suo fratello, per poi alzarsi quando sentì qualcuno bussare alla porta.

<< Stavi aspettando qualcuno? >>

<< Nein, forse è Feliciano, forse si è scordato qualcosa qui. >>

<< … Che dovrebbe essersi dimenticato da te, Feli? >> chiese Gilberto con un sorrisino malizioso, che andò direttamente a spiaccicarsi contro il cuscino che suo fratello gli lanciò in faccia.

<< Che domande fai, idiot!? >> esclamò il biondo, completamente rosso in volto, per poi dirigersi verso la porta, << e comunque sia, tornando al discorso di prima: seguiremo le direttive di Großvater, ok? >>

<< Was!? Non ci pensare nemmeno! Non ho intenzione di stendergli il tappeto rosso o qualche altra cazzata e accoglierlo benevolmente, chiaro? Anzi, se quel pazzoide se ne va mi fa una grazia! >>

<< Bruder, ascolta, non dobbiamo “stendere il tappeto rosso”: lo accoglieremo pacificamente, senza atteggiamenti isterici o altro – anche perché sarebbe del tutto inutile e controproducente andare fuori di testa – una stretta di mano e poi lo mandiamo dai professori. Ok? >>

<< Dovresti guardarti in faccia, non ci credi nemmeno tu a quello che hai detto. Sarai il primo a urlare appena lo vedrai. >>

<< Bruder >> Ludwig digrignò i denti minacciosamente, per poi aprire la porta, << ti sembro uno che si mette ad urlare appena vedere la ge- >>

<< Hallo, vetter! Wie geht es dir? >>

 

 

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 Traduzioni:

 

Tedesco:

Hallo, vetter! Wie geht es dir? = Ciao, cugino! Come stai?

Großvater = Nonno

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 10.03.20XX: L'arrivo delle calamità ***


 Terzo capitolo uscito prima che inizi lo studio intensivo dedicato agli esami: Fatto!

CI ho impiegato un po' più del previsto a causa della mia mania di "allungare il brodo", ma spero che il tutto sia comunque leggibile.

Non ho altro da aggiungere, se non ringraziare chi legge e chi ha aggiunto la storia in una delle liste.

 

Enjoy!

 

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<< Siamo ancora in tempo. >>

<< Lovino. >>

<< Siamo ancora in tempo ti dico: ce ne andiamo e lo molliamo qui, senza che lui ci veda, e ce ne torniamo in accademia. Se siamo fortunati, si arrabbia e prendere il primo volo per tornarsene alla sua accademia o a casa sua! >>

<< Lovino, >> Feliciano guardò mestamente il fratello, << sai che non lo farà mai. >>

<< Ma non mi sembra sia proibito sperare! >>

Romolo sospirò pesantemente, scompigliando dolcemente la chioma del più grande dei suoi nipoti: << Ancora non capisco per quale motivo Marco vi sia così antipatico. Lo sempre trovato un ragazzo educato.  >>

<< Solo con te lo è! >> ribatté Lovino mentre si risistemava i capelli castano scuro, per poi guardare suo nonno con rimprovero, << Non capisco, non potevi evitare che venisse?! >>

<< Ma Lovino, i finanziatori dell’accademia non possono influenzare le scelte didattiche, lo sa meglio di me. >> Romolo fece un mezzo sorriso quando Lovino si girò dall’altra parte, continuando a dirne di tutti i colori nei confronti di suo cugino; dopodiché, si voltò verso Feliciano, che stranamente non aveva toccato quasi nulla del cibo che aveva davanti a sé; non che le colazioni servite agli aeroporti fossero un granché, ma nessuno poteva certo rifiutare un bel cornetto alla nutella con del cappuccino col doppio della schiuma – non che avesse tentato di “comprare” il favore dei suoi nipoti per quella situazione col cibo, sia mai!

<< Feli, ti senti bene? >> chiese preoccupato, poggiando una mano sulla fronte del più giovane. Feliciano sospirò mestante, per poi scoppiare a piangere.

<< V-Veeee! Non voglio che Marco venga qui! >>

<< F-Feli? >>

<< Mi fa sempre gli scherzi, mi insulta e mi odia! Non lo voglio vedere anche all’accademia, >> si lamentò l’italiano, tirando su col naso e afferrando il braccio del più anziano, << ti prego, nonno, portami via! Non voglio vedere Marco! Portami a casa, dì all’accademia che sto male o che altro, ma ti prego non mi far vedere Marco! >>

<< F-Feli, >> Romolo guardò perplessamente il suo nipotino, incapace di capire tutta quella disperazione, << m-ma Feli, tu è Marco giocavate sempre da piccoli, me lo ricordo bene. >>

<< Non giocavamo, nonno: Matteo e Marco ci costringevano a giocare con loro! E con giocare loro intendevano rinchiuderci dentro dei cazzo di sgabuzzini bui e tirarci la cazzo di sabbia negli occhi! >> si intromise Lovino, la voce leggermente più acuta.

<< M-Ma ragazzi, andiamo! Sono anni che mi dite tutte queste cose, ma non ho mai visto Marco e Matteo farle, né zio Remo si è mai lamentato di loro. >> non che si sentisse così spesso con suo fratello, del resto, o che avessero un rapporto abbastanza stretto tale da poter liberamente scambiarsi informazioni sui loro amati nipoti, ma comunque.

<< E certo, perché tu con zio Remo ci parli tanto, no? >>

<< Lovino! >>

<< Ve, non voglio che Marco venga qui! Lo sai che stanotte ho sognato che mi costringeva a mangiare degli orrendi e disgustosissimi wurstel?!  Ve, e sabato ho sognato che mi strappava gli occhi!* >>

<< Feliciano, ma può Marco strapparti gli occhi, sii logico. >> Romolo ormai non sapeva che fare: certo non poteva accontentarli, ma vedere i suoi amati nipotini così disperati gli stava struggendo il cuore - anche se a suoi occhi quelle lamentele sembravano più dei capricci.

In quel momento, una metallica voce di donna annunciò l’atterraggio dell’aereo proveniente da ***, il volo di Marco. Feliciano e Lovino quasi caddero dalla sedia dallo spavento, sotto lo sguardo confuso e divertito di mezzo aeroporto.

<< R-Ragazzi, su, un po’ di contegno! >>  li rimproverò Romolo, per poi alzarsi per andare a pagare la colazione, << Rimettetevi in sesto, aspettate Kiku e avviatevi verso la sala d’arrivo. Io vi raggiungo subito. >>

<< V-Ve, fratellone! >> Feliciano si gettò contro Lovino, piangendo sul suo petto, << Ho paura, ve! >>

<< Chigi! Stammi lontano tu, è tutta colpa tua! >> esclamò l’altro, spintonando il minore e avviandosi con passo pesante verso la sala d’arrivo.

<< Ve! >> Feliciano tirò su debolmente col naso, intristito dalla situazione e dal comportamento del fratello, << Lovino, sei cattivo! >>

<< Feliciano-kun, che è successo? >> esclamò Kiku, tornato in quel momento dal bagno, e aiutando l’amico a rialzarsi.

<< Ve~ Kiku, Lovino mi tratta sempre male! Marco mi tratta quasi meglio. >> si lamentò l’italiano, gettandosi contro l’amico giapponese in cerca di conforto. Kiku ingoiò l’imbarazzo, massaggiando piano le spalle dell’altro nel tentativo di consolarlo, << O-Oi, Feliciano-kun, sono sicuro che Lovino-kun era solo nervoso. E poi dubito che possa essere più cattivo di Marco-san. >>

<< Ho detto quasi. >> sottolineò Feliciano, per poi sospirare pesantemente senza lasciare la presa sull’amico.

<< Ehi, vi muovete voi du- che state facendo!? >> disse Lovino, tornato indietro un volta accortosi che nessuno lo aveva seguito.

<< V-Ve~ stavo dicendo a Kiku quanto tu sia cattivo con me. >> piagnucolò Feliciano, facendo sussultare suo fratello e provocandogli un violento rossore sulle guance, se per l’imbarazzo o la rabbia non avrebbe saputo dirlo.

<< Io non sono cattivo con te! >>

<< Ve~ a volte sei più cattivo di Marco. >> disse il minore, per poi nascondersi dietro l’esile figura di Kiku quando suo fratello gli lanciò la peggiore delle sue occhiatacce.

<< Chigi! Feliciano, smettila di dire minchiate! Non osare paragonarmi a quel bastardo di Marco, chiaro!? >>

<< L-Lovino-kun, per favore, abbassa la voce. >> pregò Kiku con crescente imbarazzo, proporzionale al numero occhi che si stavano fissando su di loro.

<< Col cazzo! Già sono incazzato perché mi tocca vedere quel bastardo di mio cugino,  mo’ ci si mettono pure le cazzate che spara mio fratello! Come faccio ad abbassare la voce!? >>

<< Lovino! >> la voce greve di suo nonno interruppe le sue lamentele, e pochi secondi dopo le dita di Romolo tiravano con forza l’orecchio di suo nipote, sul volto un sorriso sinistramente gentile , << E su, un po’ di educazione! E perché siete ancora qui? Marco probabilmente a quest’ora è già arrivato, non è molto bello che non veda nessuno di noi ad accoglierlo. >>

<< Per me quello stronzo può anche andare affan- Chigiiiii!!!! >>esclamò Lovino quando la presa di suo nonno si fece più ferrea sul suo povero orecchio, ormai rosso come uno di quei pomodoro per cui andava matto.

<< Forza ragazzi, andiamo ad accogliere Marco. E Kiku, tra quanto arriva tuo cugino? >>

<< T-Tra un’ora Romolo-sama. >>

<< Ok, non c’è problema, lo aspetteremo. E’ una vera fortuna che l’aeroporto incorpori anche la stazione dei treni, eh? Almeno non abbiamo dovuto fare avanti indietro per andare a prendere anche Hidekaz, ahah! Forza ora, basta chiacchiere, Marco ci aspetta! >> disse Romolo per poi incamminarsi, trascinando il maggiore dei suoi nipoti per l’orecchio, mentre Kiku e Feliciano lo seguivano mestamente.

Arrivati alla sala d’aspetto, però, del cugino dei due fratelli italiani non c’era alcuna traccia.

<< Ok ragazzi, basta trovare un ragazzo identico a Feliciano, con i capelli un poco più scuri, e il gioco è fatto. >> disse Romolo, mentre si guardava intorno in cerca del nipote. Lovino imprecò sottovoce, temendo che suo nonno lo sentisse, mentre si massaggiava l’orecchio dolorante. Feliciano e Kiku sospirarono all’unisono, unendosi alla ricerca dell’italiano più grande con grande paura del primo e mesta rassegnazione del secondo .

<< Quel bastardo, >> Romano sbuffò sonoramente, << neanche si fa vedere in tempo, lo stronzo. >>

<< Fratellone, per favore. >>

<< Per favore un cazzo, Feliciano! Quel coglione di Marco poteva almeno muovere il culo e venire qui in fretta. Sta certo che ci impiegherà ore prima di arrivare qui. >>

<< Forse non ci vede, >> disse Romolo, grattandosi il mento pensieroso, << Feli, tira fuori il cartellone. >>

<< M-Ma- >>

<< Niente ma, su! >>

Feliciano sospirò, per poi prendere dalla borsa a tracolla un coloratissimo cartoncino, con sopra scritto a caratteri cubitali “Benvenuto Marco!!!” e varie decorazioni.

<< Che schifo. >> commentò Lovino sottovoce, ma Feliciano lo sentì comunque, intristendosi ancora di più.

<< N-Non avevo molta ispirazione ieri sera. >> provò a giustificarsi il più piccolo, ma il maggiore neanche lo stette a sentire, troppo impegnato a imprecare contro il loro cugino.

<< Dai Feli, per essere un cartellone fatto in una sera non è male. >> disse Romolo, scompigliando amorevolmente i capelli del nipote, << speriamo che Marco ci veda. >>

<< Spero di no. >>

<< Lovino! >>

<< Io odio Marco. Non credo che ci sia qualcuno al mondo a cui possa piacere Marco. >> disse Lovino, stringendo i pugni, << un bastardo che mette il fango nel piatto per poi servirmelo tentando di spacciarlo per minestra, o che mette un branco di grilli sotto le coperte, o che ti spiaccica addosso del miele per poi farti inseguire dalle api non può piacere a nessuno. >>

<< V-Ve… >>

<< Feliciano-kun, davvero Marco-kun ha fatto tutte queste cose? >> chiese Kiku, sinceramente colpito per quello che Lovino sembrava aver passato  - e non in senso buono.

<< Ve~ a Marco piace fare degli scherzi. A volte sono un pochino pesanti, però. >>

<< Un pochino!? >> Lovino si girò verso il fratello, furibondo, << Ho rischiato un arresto respiratorio per tutte quelle puntura d’api! Un arresto respiratorio! Quello stronzo mi vuole morto! Morto ti dico. >>

<< Ammetto di non ricordarmi molto di Marco-kun, è parecchio che non lo vedo. Però non fatico a credere a quanto dice Lovino-kun. >>

<< Ma no, Kiku, è solo che- >>

<< Non cercare di trovare qualcosa di buono in quel bastardo!  Tu e il tuo buonismo del cazzo! Marco fa molta più paura a te che a me, tra l’altro! >>

<< V-Ve… >>

<< L-Lovino-kun, non essere così duro con Feliciano-kun, per favore. >> pregò Kiku, empatico con la sofferenza dell’amico.

<< Mh, da qua non credo che riusciremo a trovarlo. Ragazzi, io vado un po’ più avanti, magari sta davanti all’uscita e non ci ha visto. Feli, alza un po’ più quel cartello. >> disse Romolo, per poi avviarsi dove la folla era più fitta, lasciando indietro i tre ragazzi. Una volta sicuri che il loro nonno non potesse sentirli o vederli, Feliciano ripose il cartellone nella borsa, mentre Lovino diede il meglio di sé e del suo personalissimo vocabolario di insulti e imprecazione.

<< Cazzo, maledetto figlio di- >>

<< Lovino! >>

<< Lovino cosa?! Marco si merita i peggiori insulti che l’umanità abbia mai pensato! E’ un idiota, un sadico, un cretino, uno stronzo, un pezzo di merda, un bastardo, un deficiente,  il peggio dell’italiano medio, un coglione, e l’ho già detto che è uno stronzo con la faccia da culo? >>

<< V-Ve. >> Feliciano incassò la testa nelle spalle, completamente rosso in volto dalla vergogna, mentre attorno a loro gente osservava quell’esuberante italiano urlare cose che la maggior parte di loro non capiva – e quelli che capivano si dividevano in chi rideva di gusto e chi scuoteva la testa davanti a tanta inciviltà.

<< E’ un coglione, un figlio di palombaro, che je se possa infila’ n’ombrello dove nun je batte er sole a quel buzzicozzo de merda!** >>

<< Ehm, >> Kiku si grattò a nuca in un gesto di profondo imbarazzo, incapace di tradurre quanto Lovino stesse dicendo con la sua attuale comprensione dell’italiano << Feliciano-kun, forse dovremmo cercare di calmare Lovino-kun almeno pe- F-Feliciano che succede? >>

<< V-Ve. >> mormorò l’italiano, nascosto – per quanto possibile – dietro l’amico, mentre indicava tremante dietro le spalle di suo fratello. Kiku seguì il dito puntato, e sussultò visibilmente, impallidendo di colpo; Lovino non notò affatto lo strano comportamento dei due, preso com’era nel suo elenco di insulti.

<< Vorrei rivorlarlo come ‘n carzino, pijallo pelle recchie e scartarlo come ‘na caramella! >>

<< F_Fratellone? >>

<< Aprillo come ‘na cozza, come ‘n fiasco de vino! >>

<< L-Lovino-kun. >>

<< Lui e quei capellacci rossi che se trova ‘n testa, glieli strappo uno ad uno da quella testina di cazzo e poi gliela apro a suon di botte! >>

<< L-L-L-L-L-ovino! >>

<< Je do’ ‘na cricca sur petto che je faccio ‘a nicchia pe’ ‘a madonnina! Scommetto che se la morte ‘o guarda in faccia se da ‘na gratta del palle! >>

<< L-Lovino-kun, p-per carità. >>

<< Marco è un coglione. Magari ‘o ficcasse sotto ‘na maghina senza targa!!! >>

<< Ciao cugino. >>

Lovino sussultò quando sentì due braccia sottili avvolgergli le spalle, e ogni traccia di colore sul suo voltò evaporò  in un microsecondo quando riconobbe il proprietario di quelle mani affusolate coperte da dei consunti guanti neri; col cuore a mille, e ormai sull’orlo dello svenimento, girò lentamente la testa, e quando i suoi occhi incrociarono quelli violetti di Marco, qualunque funzione vitale del suo corpo venne momentaneamente sospesa, prima che riprendessero al quadruplo della velocità due secondi dopo.

<< Sono felice di vedere che aspettavi il mio arrivo con ansia, >> disse Marco, sorridendo leggermente, senza lasciarlo andare, << perdona il mio ritardo, non trovavo il bagaglio. >>

Lovino non rispose, impietrito com’era dalla paura; quando sentì le labbra gelide del cugino sfiorargli la guancia in segno di saluto, per poco non svenne.

<< M-Marco-kun, >> disse Kiku, provando ad intervenire per poter salvare il fratello dell’amico, << è un p-piacere r-rivederti. T-Ti ricordi di me? >>

Marco alzò lo sguardo verso il giapponese, per poi sorridere calorosamente subito dopo, lasciare la lieve presa su suo cugino e avvicinarsi verso gli altri due: << Certo che mi ricordo di te, Kiku, sono tre anni che non ci vediamo ma certo non potrei dimenticarmi del cugino preferito di Hidekaz. Non fa altro che parlare di te, del resto. >>

<< D-Davvero? >>

<< Mh-hm, sei sempre al centro dei suoi peggiori pensieri, dice che sei l’esempio perfetto di tutto ciò che c’è di male nel Giappone e si chiede perché continui a disonorare la famiglia con la tua presenza. >>

Kiku sussultò, per poi abbassare lo sguardo sconsolatamente; del resto, era abituato agli insulti di Hidekaz, ma facevano sempre male. E dire che tra un’ora lo avrebbe pure rivisto…

<< Oh, ma guarda chi c’è lì, che sta tentando di nascondersi dietro di te nonostante sia ben più alto e grassottello. Ciao Feliciano! >>Marco salutò l’altro cugino anche con le mano, senza smettere di sorridere, mentre quest’ultimo mormorava afflitto: <>

<< Come stai cuginetto? >> chiese Marco, spostando non troppo dolcemente il giapponese e abbracciando Feliciano, il  quale iniziò a piagnucolare pateticamente come un prigioniero condotto alla gogna, << È dalla scorsa estate che non ci vediamo! Non sei contento? Invece di una volta ogni due anni, abbiamo anticipato questa volta, eh? Non sei felice? >>
<< No. >> disse sinceramente Feliciano, completamente a disagio.

<< Ahah, come sei divertente, >>Marco gli diede un bacio sulla guancia, per poi avvicinare la bocca al suo orecchio e sussurrare: << vedi di non darmi problemi, queste per me saranno due settimane di vacanza. Se non vuoi guai, farai bene ad essere accondiscendente, cuginetto caro. >>

<< V-V-V-Ve!! >> Feliciano saltò letteralmente dietro Kiku, tremando come una foglia e chiedendogli disperatamente aiuto. Il giapponese, confuso, tentò comunque di consolare l’amico, alternando lo sguardo tra quest’ultimo, Marco – che sghignazzava allegramente mentre osservava la scena – e Lovino, che era ancora immobile a poca distanza da loro.

Romolo arrivò proprio in quel momento, il volto pensieroso si mutò presto in un sorridente quando notò anche la presenza del nipote di suo fratello, il quale si ritrovò ben presto coinvolto in un abbraccio mozzafiato: << Ahah, ma guarda chi c’è! Ti ho cercato dappertutto, Marco, dove eri finito? >>

<< Perdonami zio, ho avuto problemi con i bagagli. >> si giustificò Marco, ricambiando l’abbraccio con un po’ di tentennamento.

<< Ti hanno perso qualcosa per caso? >>

<< No zio, tranquillo. >>

Mentre zio e nipote chiacchieravano tranquillamente, e Lovino ancora faticava a riprendersi dal shock causato dalla paura, Kiku era finalmente riuscito a calmare Feliciano, e a potersi concedere qualche minuto per osservare attentamente il cugino del suo amico; e la somiglianza tra i due era incredibile: salvo per i capelli – rossicci per Feliciano, rosso scuro per Marco – e gli occhi – ambra del primo e rosso-violetto del secondo, il quale aveva anche la pelle leggermente più scura – sarebbero potuti tranquillamente passare per gemelli.  Non era certo la prima volta che vedeva Marco, ma il tempo passato dall’ultima incontro con lui gli aveva fatto dimenticare quanto la rassomiglianza fisica tra lui e Feliciano fosse scioccante in modo direttamente proporzionale a quanto i due fossero diversi di carattere – e certo non avrebbe mai potuto scordare quanto Marco fosse sadico e malvagio per natura, tutto il contrario dell’animo gentile di Feliciano. Inconsciamente, Kiku ricambiò con un po’ più di forza l’abbraccio del suo amico.

<< Bene, meglio così. Hai avvisato Matteo e Remo dal tuo arrivo? >>

<< Stavo per farlo. >> disse Marco, per poi prendere un tablet nero dallo zainetto e accedere a Skype.

<< Bene. Ragazzi, forza, avvicinatevi! Lovino, perché sai lì fermo, tutto bene? >>

<< A-A-A-A-A-A- >> Lovino sbatté le palpebre un paio di volte, ancora incapace di formulare una parola di senso compiuto, per poi avvicinarsi come un automa a suo nonno sotto lo sguardo preoccupato di suo fratello e di Kiku.

<< V-Ve~ fratellone, stai bene? >>

<< I-Io, >> provò a dire che tutto sommato stava bene, ma il sorrisetto che Marco gli rivolse annullò qualunque sforzo fatto di ripresa delle proprie facoltà.

<< V-Ve~ Lovino? >>

<< Feliciano-kun, forse è meglio lasciarlo stare per un po’. >> suggerì Kiku, per poi controllare l’ora: con un brivido che scese lungo la sua schiena, si accorse che mancavano meno di quarantacinque minuti all’arrivo di suo cugino.

<< Marco, mi senti? >>

<< Ti sento anche se non urli, Matteo. >> disse Marco, alzando leggermente il tablet  cercando di migliorare la presa del segnale.

<< Ah, sai che Skype non funziona bene, >> rispose il fratello di Marco dall’altra parte del mondo, sorridendo leggermente, << vedo che sei arrivato a *** in orario quasi perfetto. Tutto bene. >>

<< Il viaggio è stato un po’ noiosetto, e mi hanno quasi perso la valigia, ma per il resto non è stato male. C’è zio Romolo qui, assieme a Feli e Lovi. Li vuoi salutare? >>

<< E me lo chiedi anche? Passami lo zio, prima. >>

Marco passò il tablet a Romolo, per poi fare cenno agli altri tre di avvicinarsi, i quali acconsentirono con molta titubanza.

<< Ehi Matteo, come stai? >>

<< Ciao zio, è un piacere rivederti. >>

<< Eheh, anche per me, anche per me. Dimmi, coma va lì nell’accademia? >>

<< Ah, niente che, le solite cose, >> rispose Matteo, giocherellando con qualche ciocca dei suoi capelli neri, << tra un po’ iniziano gli esami, siamo tutti un po’ nervosi, ma per il resto sempre la solita routine. >>

<< Anche Feli e Lovi avranno gli esami tra un po’. Dai ragazzi, venite a salutare vostro cugino? >>

Feliciano e Lovino si scambiarono un’occhiata sconsolata, poi il primo prese il tablet, tremando leggermente, mostrando allo schermo un sorriso non molto convinto: << C-Ciao, Matteo. >>

<< Aw, guarda chi c’è? Ciao cuginetto mio adorato, tenero parentino mio. Come sta il cugino prediletto? >>

<< V-Ve~ b-bene. >> Matteo era sempre stato molto cortese con lui, ma conoscendo da quale lato della famiglia Vargas proveniva, tutta quella gentilezza non poteva non mettergli un po’ di ansia.

<< Aw, hai ancora quell’adorabile tic verbale. Che peccato non essere potuto venire, ma sono arrivato sesto in graduatoria, purtroppo. Avrei tanto voluto stare insieme al mio bel cuginetto e passare del tempo di qualità con te. >>

<< Uhm, >> Feliciano arrossì leggermente, non potendosi non sentire un poco lusingato da tutti quei complimenti, << già, che peccato. Infondo mi sarebbe piaciuto stare con te. Magari avresti potuto preparare un po’ di babà, li fai così bene, ve~. >>

Matteo sorrise: << Anche i dolci che fai tu sono molto buoni, Feli. Mi piacerebbe tanto ri-assaggiare i gianduiotti che fai tu, sono deliziosi a dir poco. >>
Lovino, che fino a quel momento era rimasto ad osservare attonito quello stucchevole scambio di battute, si riprese immediatamente quando la sua naturale antipatia nei confronti dell’altro cugino venne a galla, e ben presto strappò di mano il tablet dalle mani del fratello, per poi riservare la peggiore delle sue occhiatacce a Matteo, il quale non perse nemmeno di un millimetro del suo sorriso: << Ehi, bastardo! >>

<< Oh, ci sei anche tu. Mi sembrava strano che ancora non ti avesse sentito insultarmi. >>

<< Tsk, maledetta checca del cavolo! Smettila di adulare Feliciano! >> ringhiò Lovino, stringendo l’apparecchio elettronico con forza, quasi a volerlo rompere. Matteo, dallo schermo, si limitò a ridere leggermente davanti a quella sfuriata: << Oh Lovino, mi sei mancato anche tu! >>

<< Fai silenzio razza di serpente maledetto! >>

Matteo rise più forte, non riuscendo a trovare quella sfuriata adorabile: << Ah, cugino, perché non sei un po’ più come Feli? Lui è così carino e gentile. Almeno potresti fare qualcosa per il tuo colorito linguaggio, non si addice ad una boccuccia bella come la tua. >>

<< Silenzio, lingua biforcuta! >>

<< Lovino! >> Romolo si avvicinò al nipote, per poi sporgersi in modo da poter essere inquadrato nella telecamera del tablet, << perdonalo, Matteo, sarà stanco per il viaggio, dall’accademia all’aeroporto è un bel po’ di strada. E poi sai come è fatto. >>
<< Nonno! >>

<< Non preoccuparti zio,  capisco perfettamente. >>

<< Ma tu non dovresti essere a lezione? >> disse Lovino, lanciando un’occhiata inquisitoria a suo cugino.

<< Sono tra i ragazzi che hanno il compito di accogliere i nuovi arrivi dalla vostra accademia, sono legittimamente esonerato dalle lezioni della mattina, e anche del pomeriggio qualora fosse necessario. >> rispose Matteo, per poi ghignare quando notò un barlume di delusione negli occhi di Lovino, << dispiaciuto che non stia facendo il cattivo? >>

<< Fai silenzio! >> sbottò Lovino, voltandosi dall’altra parte; Romolo sospirò piano, scompigliando i capelli del nipote: << Matteo, è stato un piacere sentirti. Ora ti ripasso, Marco, ok? >>

<< Si, grazie zio. Anche per me è stato un vero piacere parlarti. >>

<< Forza, salutate vostro cugino. >> disse Romolo a bassa voce ai suoi nipoti, senza risparmiarsi un’occhiata di rimprovero. Lovino digrignò qualche imprecazione, mentre Feliciano salutò con la sua solita allegria suo cugino: << Ve~ ciao ciao Matteo! Contattami qualche volta, ok? Magari ci scambiamo qualche ricetta. >>

<< Oh, cuginetto caro, fosse solo quello che vorrei scambiare con te. >> sospirò Matteo, osservando adorante il bel sorriso che Feliciano gli riservava.

<< Chigi! Fai silenzio deficiente di un fratello! >>

<< Ve! Ma che ho fatto? >>

<< Lovino, chiedi scusa a tuo fratello! >> lo rimproverò Romolo, ma l’interpellato si limitò ad imprecare  contro tutto e tutti prima di dirigersi verso i bagni; Romolo sospirò, imbarazzato: << Perdonalo, Matteo. >>

<< So come è fatto. >> rispose questi, sorridendo e rinnovando i suoi saluti prima che il tablet tornasse nelle mani di Marco, << Fratellino, hai controllato se hai tutto nella borsa. >>

<< Si. >>

<< Le tue medicine ci sono? >>

<< Si. >>

<< I soldi? >>

<< Si. >>

<< Il tablet? >>

<< Con che ti sto chiamando, secondo te? >>

<< Allora il cellulare. >>

<< Ce l’ho. >>

Il sorriso di Matteo si fece improvvisamente più malizioso: << E i preservativi? >>

Marco arrossì violentemente: << Vaffanculo, Matte’! >> disse, prima di attaccare senza salutare suo fratello, per poi voltarsi di nuovo sorridente  verso i suoi parenti, << Allora, quando andiamo? >>

<< Ehm, a dire il vero dovremmo aspettare ancora un po’, visto che volevamo cogliere l’occasione e prendere anche Hidekaz, >> rispose Romolo, sorridendo carinamente al nipote prima di poggiare una mano sulla sua spalla e condurlo verso il bar, << mentre aspettiamo, perché non racconti al tuo zietto come va all’accademia, eh? Qualche bella fanciulla ha conquistato il tuo cuore? O un fanciullo? >>
Marco rise leggermente: << Nah, il mio cuore è una roccaforte molto sicura, zio. >>

<< Ahah, anche Troia lo era prima di venire espugnata con l’inganno, Marco caro. Ma sei giovane, hai fin troppo tempo per innamorarti. Come vanno gli esami? >>

Mentre i due continuavano a parlare, Feliciano e Kiku li seguivano da una certa distanza, indecisi se intromettersi nel discorso o rimanere da parte. Alla fine, prevalse quest’ultima idea.

<< Marco-kun e Romolo-sama sembrano andare molto d’accordo. >> commentò Kiku, natando subito come lo sguardo di Feliciano si fece improvvisamente più cupo.

<< Ve, lo so. Marco è una persona che piace a tutti di primo impatto. È quando lo conosci che vedi come è veramente, però nonno sembra volergli bene comunque. >>

<< Feliciano-kun, perdonami se sembrerò un po’ indisponente, ma noto una certa nota di fastidio nella tua voce. >>

L’italiano sospirò piano, guardando verso le enormi vetrate dell’aeroporto: << È solo che… >>

<< Dov’è finito nonno assieme al bastardo? >> Lovino, di ritorno dal bagno – dove aveva dato sfogo di tutti gli insulti che la sua mente era in grado di partorire per scaricare un po’ la tensione – irruppe nella conversazione con barbarica eleganza, guardandosi criticamente attorno, << E potevate almeno aspettarmi! Fortuna che vi ho visto subito. >>

<< Gomenasai, Lovino-kun. Tutto bene? Sembri un po’ pallido. >>

<< S-Sto bene. >> disse Lovino, arrossendo leggermente e mettendo le mani in tasca, per poi notare l’espressione mesta di suo fratello, << Feli, che hai? >>

<< Ve~ niente. >>

Lovino si rabbuiò: << Detesto quando mi menti spudoratamente. Che cos’hai? >>

<< N-Nulla, io e Kiku stavamo semplicemente parlando di Marco, ecco tutto. >>

<< Tsk, il bastardo. Guarda come parla allegramente con nonno. Ah, come lo odio! >>

<< Se non ricordo male, >> disse Kiku, rivolgendosi a Feliciano, << Marco  soffre di un qualche tipo di malattia, vero? >>

<< Si, una forma abbastanza seria di isteria, ve~ L’estate scorsa ne soffriva anco- >>

<< Nonno lo ha sempre giustificato con la storia dell’isteria. “È malato, poverino, sii comprensivo”. Tsk, con questa scusa non si è mai beccato un rimprovero, il maledetto. >>

<< Lovino, dai, non dire così. L’isteria non è una cosa da prendere alla leggera. >>

<< Chi se ne fotte! Ha creato i peggiori ricordi della mia infanzia, e anche della tua. Non dirmi che anche tu non lo odi perché non ci credo! >>
<< V-Ve~ M-Marco mi fa paura, però- >> disse Feliciano, interrompendosi quando suo fratello gli lanciò un’occhiataccia, e subito ritornò a nascondersi dietro Kiku, il quale cercò inutilmente di mitigare un imminente rissa tra fratelli. Fortunatamente, il richiamo di Romolo, che li invitava a sedersi con lui e Marco al bar, arrivò giusto in tempo prima che Lovino saltasse addosso a Feliciano – rischiando di colpire anche l’innocente Kiku nel processo – e i tre, anche se in un’atmosfera molto tesa, si diressero verso il tavolino.

 

 

 

Dopo poco meno di un’ora, la voce metallica che prima aveva annunciato l’arrivo di Marco risuonò nuovamente dai microfoni, stavolta informando che il treno proveniente da *** era giunto al binario nove: Hidekaz era infine sopraggiunto in stazione, e Kiku sentì improvvisamente sulle spalle tutto il peso del nervosismo.

<< Kiku, stai bene? >>
<< Hai Romolo-sama, >> disse il giapponese, ma il suo volto non denotava alcuna traccia della calma che era riuscito ad imprimere nella voce, e questo non passò inosservato ai quattro italiani. Marco ghignò malignamente, sorseggiando un po’ del proprio cappuccino: << Non preoccuparti. Hidekaz era di buon umore quando è partito. >>

<< Perché, tu riesci a leggere la sua faccia? >> chiese Lovino, ricordandosi l’incredibile capacità del cugino di Kiku di mantenere sempre la stessa identica espressione indipendentemente da quale fosse il suo umore.

<< Dopo tanto che lo conosci, è semplice capirlo, >> replicò Marco, << se in treno non ha incontrato rogne, Kiku non ha nulla da temere.  >>

<< Dai, siamo positivi, sono sicuro che Hidekaz ha fatto un bel viaggio, >> disse Romolo, dando una pacca sulla spalla del giapponese, << forza, andiamo a prenderlo. >>

<< V-Veramente, vorrei andare da solo, se non le dispiace, Romolo-sama. >> disse Kiku, alzandosi.

Feliciano gli lanciò un’occhiata preoccupata: << Sicuro? >>

<< Hai, preferirei andare a prendere mio cugino da solo. Voi rimanete qui, farò presto. >> disse il giapponese, per poi prendere una piccola sacca dal suo zainetto, assieme al cellulare e a qualche spicciolo per eventuali emergenze, per poi dirigersi verso la banchina d’arrivo del treno.

Quando giunse, il treno aveva appena aperto le porte; Kiku si guardò attorno con nervosismo crescente, cercando di individuare la massa di capelli neri di suo cugino tra la folla. Alla fine, lo vide scendere dal primo vagone nell’ultimo flusso di persone, vestito completamente di nero e un cipiglio vagamente disgustato sul volto.

Kiku deglutì nervosamente, per poi avvicinarsi a suo cugino: << Hidekaz! >>

L’interpellato si voltò verso la voce che lo aveva chiamato, individuando quasi immediatamente l’esile figura di Kiku nella folla; subito, la sua espressione si fece più severa.

<< I-Itoko o kangei, ogenkidesuka? >> chiese Kiku, messo completamente in soggezione dallo sguardo rosso-arancio del cugino. Quest’ultimo, dopo qualche secondo di silenzio passato ad analizzare attentamente l’altro, sospirò amaramente, evidentemente concludendo quell’esame nel peggiore dei modi.

<< Ehm, i-itoko- >>

<< Fai silenzio, >> disse Hidekaz con tono imperioso, fulminando suo cugino con lo sguardo, << il tuo giapponese fa schifo, offende le mie orecchie. >>

Kiku sussultò visibilmente, abbassando il capo, mortificato ed umiliato: << W-Watashi- >>

<< Non balbettare. Tsk, servile come al solito, senza spina dorsale. >> Hidekaz lanciò un’occhiata al sacchetto verde che Kiku aveva tra le mani, << Sono i miei onigiri? >>

<< Ha-ai, l-li ho fatti ieri s-sera. >> mormorò Kiku - senza accennare al fatto che aveva passato un’intera notte insonne per prepararli perché si era completamente dimenticato di farli il pomeriggio precedente -porgendo la sacca al cugino; quest’ultimo la osservò per qualche istante, per poi prenderla e servirsi immediatamente: << Non male, ma credo che mangerei qualunque cosa in questo momento dopo quella robaccia che mi hanno rifilato in treno. >>

<< Non hai viaggiato bene?>> chiese Kiku, rabbrividendo quando Hidekaz gli riservò un’occhiata di raggelante fastidio.

<< Ti sembro uno che ha fatto un viaggio comodo? Sono capitato in un vagone puzzolente,  pieno di fumatori, seduto- anzi no, schiacciato tra il finestrino e una cicciona, mi hanno servito del cibo immangiabile, e c’era un rumore assordante a causa di una scolaresca. Ah, ma questa Marco me la paga! Quel maledetto sa che odio viaggiare in treno, sono sicuro che ha prenotato il viaggio apposta! >>

<< Marco-kun è già arrivato.  Ci sta aspettando al bar dell’aeroporto assieme a Romolo-sama, Lovino-kun e Feliciano-kun. >> disse Kiku, mentre i due iniziavano ad incamminarsi verso l’area check-out  per prendere le valigie.

<< Ah, ci sono anche Feliciano-chan e Lovino-chan, uh? Potevi dirmelo prima, ci saremmo incamminati subito. Chissà da quanto aspettano! >>

<< M-Ma non sono passati che pochi minuti, sono sicuro che non sono affatto arrabbiati. E poi dobbiamo ancora prendere le tue valigie. >>

<< Non sarei sorpreso se le perdessero, con tutto quello che mi è successo oggi. >>

Kiku rabbrividì leggermente quando vide Hidekaz rabbuiarsi; non poteva vantare la stessa capacità di intuire le emozioni di suo cugino come Marco, ma certo non ci voleva un genio per capire che Hidekaz era profondamente di cattivo umore, il che lo avrebbe reso ancora più incline a battutacce ancora più aspre, intente ad umiliarlo.

Fecero il resto della camminata in silenzio, l’uno troppo impegnato a mangiare, l’altro con ancora un profondo senso di umiliazione addosso, entrambi poco inclini a trovare un argomento su cui discutere; arrivarono al check-out che il nastro-trasportatore aveva appena iniziato a girare, mostrando le prima valigie e, fortunatamente, tra queste c’erano proprio le due di Hidekaz. << Vai a prendermi la valigie. >> disse quest’ultimo prima di correre a prendere un carrello dove posare i bagagli, per trasportarli più facilmente.

Kiku si avvicinò all’uscita del nastro trasportatore, riuscendo a prendere facilmente la valigia più piccola. I problemi arrivarono con quella più grande: il giapponese afferrò la maniglia laterale del bagaglio, ma, essendo questa molto consumata, dopo il primo tiro se la ritrovò in mano, mentre la valigia continuava a viaggiare sul nastro nero; Kiku afferrò immediatamente la maniglia allungabile posta sopra la valigia, trascinandola faticosamente fino al bordo per evitare che continuasse il suo viaggio, ma il bagaglio seguente, assai più grande, andò inevitabilmente  ad intruppare quella di Hidekaz, vanificando gli sforzi di Kiku; questi cercò di riafferrare il manico, ma una dolorosissima fitta alla schiena lo bloccò sul posto prima che potesse raggiungerlo; Kiku si portò una mano nel punto dolente – vecchio “regalo” di un incidente avvenuto durante una partita di calcio -  mentre alcune persone si avvicinavano a lui per prestarli soccorso, chiedendogli se stesse bene e se avesse bisogno di chiamare qualcuno.

<< Y-Ya, n-non si preoccupi signora, >> mormorò il giapponese rivolgendosi ad una tenere vecchietta che gli aveva porto il proprio bastone per potersi reggere, << sto bene, n-non si preoccupi. >>

<< Avanti, caro, non essere timido. Le mie ossa sono vecchie, ma ancora abbastanza forti per potermi reggere senza troppa difficoltà. Su, prendi il bastone, renderà più semplice il sederti. >>

<< N-No, non- >>

<< Che succede qui? >> Hidekaz arrivò proprio in quel momento, sul volto la solita espressione apatica; ma i suoi occhi tradivano un certo fastidio, misto ad un sadico divertimento nel vedere il proprio cugino ridotto in quelle condizioni.

<< N-Nulla, ho fatto un movimento  troppo brusco e una vecchia ferita ha ricominciato a farmi male. >> rispose Kiku, sedendosi faticosamente su una sedia lì vicino.

<< E la mia valigia? >>

<< Ehm… >>

Hidekaz sospirò: << Immaginavo che avrei dovuto fare da solo, che la tua senilità precoce mi avrebbe causato solo problemi. >>

Kiku cercò di mantenere un sorriso di circostanza, mentre la vecchietta si era seduta vicino a lui, iniziando a raccontargli storie a caso sulla sua vita, e Hidekaz si dirigeva verso il nastro trasportatore per prendere la valigia da sé.

Dopo una decina di minuti, il tempo che il dolore alla schiena di Kiku diminuisse abbastanza per permettergli di camminare decentemente, il due si diressero verso il bar, dove trovarono Feliciano e gli altri ancora seduti al tavolo.

<< Eccovi qui, stavo iniziando a preoccuparmi, >> disse Romolo, alzandosi in piedi per poter stringere la mano al cugino di Kiku, << è un piacere rivederti Hidekaz. >>

<< Il piacere è mio, Romolo-sama. >> rispose questi, stringendo piano la mano offertagli per poi fare un profondo inchino, << chiedo perdono per essere arrivato così tardi, ma la vecchiaia precoce di mio cugino ci ha costretti a fermarci al check-out. >>

Kiku sospirò esasperato, intercettando uno sguardo di dolorosa empatia da parte di Feliciano , mentre Marco ghignava leggermente e Lovino lanciava un’occhiataccia verso Hidekaz.

<< Non preoccuparti, >> disse Romolo sorridendo, cogliendo però lo sguardo abbattuto di Kiku, << abbiamo tutta la mattina libera, non c’è alcuna fretta. Posso offrirti qualcosa prima di andare via? >>

<< Ya, arigatou Romolo-sama. Kiku mi ha portato uno spuntino che ho già mangiato. Sarò apposto fino a pranzo. >>

<< Ok, allora credo che possiamo andare all’accademia. Lovino, aiuta Marco a portare le valigie, per favore. >>

Lovino imprecò sottovoce, ma prese comunque il bagaglio più piccolo di suo cugino, dirigendosi assieme al fratello e gli altri verso l’uscita dell’aeroporto.

 

 

 

 

Il primo istinto fu quello di urlare in modo assai poco virile. Il secondo fu quella svenire seduta stante. Il terzo fu quello di sbattere la porta, chiamare la polizia, e ficcarsi sotto le coperte, pregando che quello che stava vivendo fosse solo un incubo.

Tre istinti che erano tutto fuorché nella norma per uno col carattere di Ludwig, ma con il ricordo ancora fresco della rocambolesca fuga da una rombante motosega – il cui rumore ancora lo perseguitava negli incubi - l’estate precedente, il tedesco non si sentì molto sorpreso nello scoprire che quelle erano state le sue prime e più spontanee reazioni quando si trovò davanti all’uscio suo cugino sorridente.

<< Hallo, vetter! Come stai? >>

Ludwig sbatté le palpebre un paio di volte, cercando disperatamente di far vincere la sua parte logica e di reprime quella illogica, di mantenere la calma e di non fare un’inutile scenata.

George, d’altro canto, non perse nemmeno un millimetro del suo sorriso, rimanendo davanti alla porta aspettando che l’altro lo facesse accomodare in camera sua – cosa che sapeva benissimo difficilmente sarebbe accaduta.

Dopo qualche tesissimo secondo, l’irrazionale ebbe la meglio sul razionale: Ludwig cercò di chiudere la porta il più velocemente possibile, ma George, che si aspettava una reazione simile, non esitò a porre un piede tra la stessa e lo stipite, di fatto impedendone la chiusura, per poi spingere con tutta la forza che aveva contro la superficie lignea e tentare di riaprirla.

<< Andiamo, è così che saluti tuo vetter? >> chiese George, ghignando malignamente mentre cercava un punto di appoggio che gli permettesse di imprimere maggiore forza sulla porta, inutilmente.

<< Che diavolo ci fai qui!? >> disse Ludwig, mentre tentava di togliere il piede dell’altro .

<< Non posso venire a salutare mio cugino? >>

<< Nein! >>

<< Che scortese! Andiamo, volevo solo farti una sorpresa. >> 

Oh, per Ludwig era sicuramente stata una sorpresa, anche se non nel senso più positivo del termine.

<< Allora, la apri o no la porta così che ti posso salutare per bene? >>

<< Scordatelo! >>

<< Ludwig, ma con chi stai par- >> Gilbert si sporse leggermente dalla sua postazione, cercando di capire cosa stesse succedendo, e quando intravide la possente figura di George dallo spiraglio dell’uscio, non esitò a dare manforte al fratello, iniziando a premere anche lui sulla porta.

<< Hallo Gilbert. Vedo che anche tu sei felice di vedermi, eh? >> disse George, imprecando mentalmente quando vide svanire il lieve vantaggio che aveva avuto su suo cugino nell’aprire la porta.

<< Fottiti razza di psicopatico! Che ci fai qui!? >>

<< Ero solo venuto a salutare Ludwig. Non pensavo che in questa accademia fosse proibito salutare i propri parenti. >>
<< Per te lo è a prescindere. >> disse Gilbert, notando solo in quel momento che la porta non si chiudeva a causa del piede di suo cugino; corse a prendere una penna abbastanza appuntita, per poi ritornare all’ingresso della camera e picchiettare violentemente la punta della biro sulla scarpa bianca dell’altro.

<< Ehi! Queste scarpe sono nuove, fermo! >>

<< Leva. Questo. Coso. Da. Qui! >>

George diede una spinta leggermente più forte sulla porta, cercando di dare un calcio a Gilbert nel lasso di tempo in cui Ludwig si ritrovò lievemente sbilanciato a causa del contraccolpo; quest’ultimo, tuttavia, ritrovò l’equilibrio in fretta, vanificando l’intento di suo cugino e salvando il naso di Gilbert, il quale ebbe un’idea che sicuramente avrebbe potuto salvarli da quella situazione.

<< Oh, ma quello non è Marco? >>
George sussultò: << Wo!? >> urlò con fin troppo entusiasmo, voltandosi immediatamente sul corridoio e togliendo inevitabilmente il piede da vicino allo stipite, dando a Ludwig la possibilità di chiudere la porta a chiave. Quando si accorse di essere stato fregato, non poté fare a meno di arrossire leggermente, imbarazzato.

 

<< Sheisse, questo si che è un problema! Non credevo arrivasse così presto. >> disse Gilbert, mentre prendeva la sedia e la metteva sotto la maniglia della porta come ulteriore sicurezza, << Ok, manteniamo la calma, deve esserci un modo con cui possiamo sbarazzarci di lui! >>

<< Bruder. >>

<< Ci sono! West, chiama l’accalappiacani! >>

<<Bruder, >> Ludwig si portò una mano alla fronte, finalmente tornato nel pieno della sua parte razionale, << non fare l’idiota. >>

<< West, io sono serissimo! Forse invece dell’accalappiacani dovremmo chiamare la polizia. O un esorcista. >>

<< Bruder, per favore! >> Ludwig si massaggiò le tempie, colpito da un improvviso, lieve mal di testa, << Senti, non facciamo i bambini, la nostra è stata una reazione assolutamente- >>

<< Legittima, West. Visto il soggetto con cui stavamo parlando, è stata una reazione assolutamente legittima! >> dichiarò Gilbert, incrociando le braccia al petto con fare definitivo, per poi guardarsi intorno in cerca di un qualcosa da usare come possibile arma di difesa, << E non ti azzardare a rimproverarmi o a dire di mantenere la calma, visto che tu gli hai chiuso la porta in faccia senza nemmeno salutarlo! >>

Ludwig non poté non arrossire davanti a quella verità, per quel momento di debolezza in cui aveva lasciato che la paura governasse le sue azioni: << Comunque sia, non possiamo certo lasciarlo in corridoio- >>

<< Hai ragione: lo cogliamo di sorpresa, lo leghiamo ad una sedia e lo consegniamo alla polizia! >>

<< …Dicevo, forse potrei provare a farlo accomodare e poi a parlargli con calma. >>

Gilbert gli lanciò un’occhiata dubbiosa, per poi prendere il cellulare e comporre il numero della polizia; << Io suggerisco di chiamare gli sbirri e farlo portare via. Magari chiamiamo proprio quelli di Ostia, visto che sembravano così dispiaciuti di non averlo potuto arrestare l’estate scorsa. Sappi che ho ancora il numero di una delle loro poliziotte! >>

Per quanto una parte di lui fosse molto tentata di seguire quanto diceva suo fratello, Ludwig decise saggiamente di seguire la sua parte razionale: tolse la sedia da sotto la maniglia e aprì la serratura.

<< Non faremo nulla di queste cose, bruder. Adesso cercheremo di accoglierlo… Il più decentemente possibile, lo accompagneremo in presidenza e lo eviteremo fino a stasera.  Tanto siamo in accademia, non è che può andare in giro armano. >>

<< Io tengo il dito sul tasto di chiamata, non si sa mai. >>

<< Bruder, >> Ludwig gli lanciò un’occhiataccia, per poi aprire la porta << non essere sciocco. La prima cosa che faremo sarà chiedergli scusa, e poi lo lasciamo ai professo->>

 

George sollevò lo sguardo dalle sue mani, intente a pulire un piccolo ed affilatissimo coltello svizzero, e dirigerlo verso i suoi cugini, che lo stavano guardando impietriti dallo sbigottimento per averlo trovato con un’arma in mano. Alternò brevemente lo sguardo tra loro e la piccola lama, per poi sorridere un po’ imbarazzato: << Non pensate male, è solo che non mi aprivate e ho pensato di forzare la serratura, ecco tutto.  Non ho assolutamente cattive inte- >>

Ma non finì neanche di parlare che Ludiwg aveva subito richiuso la porta ad doppia mandata, rimesso la sedia sotto la maniglia e altre cose pesanti vicino alla porta che contribuissero ad evitare una sua eventuale apertura, il tutto nel circo di dieci secondi contati. Gilbert osservò la scena con divertimento – anche se non poté non sentirsi un po’ preoccupato dalla reazione dell’altro: << Ma West, sii razionale, >> disse, scimmiottando il fratello, << non è pericoloso, è all’accademia. Non può avere appresso un coltellino svizzero o chissà quale arma che ha abilmente nascosto dentro la valigia. >>

<< Bruder, fai silenzio! >>

<< Magari ha proprio nascosto una motosega, chissà. >>

Ludwig sussultò, per poi rivolgersi al fratello con un’espressione così tetra che l’albino non riuscì a non provare un po’ di paura.

<< Chiama la polizia, bruder, >> disse infine Ludwig, dirigendosi verso la scrivania e iniziando a spostarla verso la porta, << io cerco qualcos’altro per bloccare la porta. >>

E che la logica andasse a farsi benedire: con George, non serviva a nulla.

 

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*A buon lettor che lesse quella fanfiction, son certa che coglierà il macabro riferimento XD

 

**Nelle fanfiction, di solito, Lovino parla in napoletano o in siciliano. Nel mio headcanon, però, se lui deve parlare in dialetto, dovrebbe farlo in romanesco (non per niente, lui è Italia Romano). Non credo che servano traduzioni particolari: essenzialmente, Lovino vorrebbe pestare Marco di botte XD.

 

Traduzioni:

 

Giapponese:

Hai/Ya = Si/No

Gomenasai = Mi dispiace

I-Itoko o kangei, ogenkidesuka? = Benvenuto cugino, come stai?

Itoko = Cugino

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Capitolo 4
*** 10.03.20XX, parte 2: Drive the Axis to hell!!! ***


Per i primi venti minuti, il viaggio in macchina era stato molto silenzioso, salvo qualche parola di circostanza e un paio di battute di Hidekaz sulla vecchiaia precoce di suo cugino; del resto, nessuno dei presenti aveva voglia di discorrere di qualcosa – tranne Romolo, ma tutti i suoi tentativi di iniziare un discorso erano stati stroncati da risposte monotone e lievi cenni del capo.

Solo quando si trovavano già a metà strada Marco si ricordò che ancora non aveva avvertito suo nonno del suo arrivo, e che probabilmente, a quest’ora, Remo aveva già avvertito le agenzie di spionaggio di mezzo mondo per cercare di rintracciarlo. Velocemente, prese dallo zaino il tablet, digitò il numero di suo nonno e impostò la videochiamata, attendendo la risposta, che arrivò dopo appena due squilli, mentre sullo schermo si materializzava il volto preoccupato di Remo.

<< Nonno! >>

<< Santi numi, Marco, >> urlò Remo, dando un pugno sulla scrivania, << sono ore che cerco di chiamarti, e non rispondevi mai! Ho dovuto sapere da Matteo che eri arrivato, ma nonostante ciò ancora non volevi rispondermi!  >>

<< S-Scusa nonno, ho il cellulare scarico. >> si giustificò Marco, pensando al suo telefonino che, in realtà, si era dimenticato di riaccendere e che sicuramente era pieno di chiamate senza risposta e centinaia di messaggi.

Remo grugnì qualcosa di incomprensibile, per poi distendersi contro la sedia e accennare un sorriso al nipote: << Vabbè, l’importante è che stai bene e che non sia successo nulla di grave. Allora, come è stato il viaggio? >>

Marco tirò internamente un sospiro di sollievo, sicuro di essere ormai scampato alla lavata di capo: << E’ andato tutto bene. E’ stato un po’ stancante, ma non posso certo lamentarmi. C’erano anche delle hostess molto carine. >>

<< Parla per te. >> replicò Hidekaz, senza distogliere lo sguardo dal paesaggio cittadino che scorreva velocemente sotto i suoi occhi attraverso il finestrino.

<< Oh, c’è anche Hidekaz lì con te. >>

<< Si, zio Romolo è venuto a prenderci assieme a Feli, Lovino e Kiku. >>

Lo sguardo ametista di Remo si adombrò improvvisamente: << Zio Romolo? >>

Marco sospirò internamente, esasperato: << Si nonno, c’è anche zio qui. >>

<< Ehilà, vecchio mio! Come va la vita in ***, eh? >> la voce squillante di Romolo arrivò fin troppo chiaramente a suo fratello, il quale stritolò il bicchiere di plastica che aveva in mano, ignorando il caffè bollente che gli si riversò sulla pelle.

<< Marco, passami tuo zio. >>

<< Zio sta guidando. >>

<< Non importa, passami quell’esimia testa di ca- >>

<< Ehi, niente volgarità in mia presenza! Remo, ancora dici così tante parolacce? Poi capisco da chi ha preso Lovino! >>

Il nominato grugnì qualche impropero, per poi lanciare un’occhiataccia mista a preoccupazione al tablet che gli venne passato, in modo che potesse reggerlo per permettere ai due fratelli di fronteggiarsi. Salvo per il guidatore, l’aria nella macchina si fece improvvisamente elettrizzante – e non in senso positivo: del resto, Romolo era alla guida, e un guidatore arrabbiato non era mai una buona cosa.

<< Romolo. >> sibilò Remo, scrocchiando le dita, accorgendosi solo in quel momento delle scottature sulla mano destra, ma che non gli impedirono di lanciare occhiate di fuoco a suo fratello.

<< Remo. >> replicò Romolo con una calma e una giovialità tali che l’altro non poté non sentirsi alquanto infastidito.

<< Scommetto che sei arrivato in ritardo a prendere il mio amato nipote. >> lo accusò il gemello, prendendo una sigaretta dalla tasca e iniziando a fumarla nervosamente.

<< E invece, ti sorprenderai, ma sono arrivato addirittura in anticipo. >>

<< C’è anche Kiku lì con voi. Scommetto che è stato lui a svegliare tutti e a farvi partire in tempo, altrimenti, conoscendoti, a quest’ora stareste ancora per strada per andare all’aeroporto. >>

Romolo arrossì leggermente a quella verità: << Non essere così sfiduciato, Re’.  Sono una persona affidabile, io. >>

<< Si, come no. Affidabile quanto una tartaruga che deve vincere una corsa contro una lepre. >>

<< Guarda che nella favola arrivò prima la tartaruga. >> disse Romolo, ghignando leggermente quando notò una vena pulsare sulla fronte di suo fratello.

<< Fai meno lo sbruffone, Romolo! >> sibilò Remo, spezzando involontariamente la sigaretta, << Non tirare in ballo cose che non centrano nulla, sai cosa intendevo! >>

<< Ah, Remo, non capirò mai il motivo per cui ce l’hai così tanto con me. >> si lamentò Romolo, sussultando quando suo fratello sbatté un pugno sulla scrivania che fece tremare tutto quanto c’era sopra.

<< Che tu possa andare all’inferno Romolo Vargas! Tu e tutti i tuoi discendenti! >> urlò Remo, frustrato.

Marco scoppiò a ridere, mentre Lovino e Feliciano chinarono il capo, infelici vittime di una crudeltà involontaria – anche se, a onor del vero, Remo non li aveva mai trattati male, ma neanche bene: molto più spesso li ignorava, incapace di gentilezze nei confronti dei nipoti di suo odiato gemello, ma neanche così ingiusto da sentirsela di maltrattare due poveri innocenti. Il più delle volte, almeno.

<< Ehi ehi, piano con le parole, Re’! Non mi sembra il caso di fare ancora tutte queste storie solo perché pensi che mamma riservasse qualche coccola più a me che a te. >>

<< Romolo! >> Remo iniziò a grattare le unghie sulla scrivania dal nervoso, desiderando ardentemente che al posto della superficie lignea ci fosse la faccia di suo fratello – e  non facendo caso alle risate di suo nipote dall’altra parte della linea, che in qualunque altra situazione gli sarebbero valse perlomeno una decina di scappellotti.

<< Oh, accidenti zio, stiamo entrando in galleria! >> esclamò Lovino quando si accorse che la discussione stava degenerando in qualcosa di estremamente pericoloso visto che uno dei due litiganti era al volante dell’auto, per poi imitare miseramente il rumore delle interferenze.

<< C-Che- Lovino, che stai- >>

<< Accidenti, non si sente nulla. Ci sentiamo zi’! Marco ti saluta! >>

<< Ehi, ferm- >> Lovino non aspettò che suo zio finisse la frase, chiudendo la telefonata di colpo e ridando il tablet a suo cugino, il quale non aveva smesso di sghignazzare per tutto il tempo.

<< Uff, Remo non è cambiato per nulla, eh? >>

<< Eheh, è molto stressato per il lavoro, zio. >>

<< Se, il lavoro. >> Romolo scosse mestamente la testa, per poi tornare a concentrarsi sulla strada. Veneziano lo osservò, preoccupato e dispiaciuto insieme per quel difficile rapporto fraterno che aveva spaccato la sua famiglia, tanti anni fa, e per cui il suo amato nonno ancora, evidentemente, soffriva. Fece per dire qualcosa, cercando di consolarlo, ma la mano di Marco sul suo braccio troncò perfino il suo respiro.

<< V-Ve? >>

<< Senti, cuginetto, >> disse l’italiano a bassa voce, per non farsi sentire dallo zio, << te l’ho già detto che queste, per me, saranno due settimane di vacanza? >>

<< V-Ve… >>

<< Esatto. Ora, parlami un po’ dell’accademia, va. >>

<< V-Ve, va bene. >> disse, cercando di calmarsi, << C-Che vuoi sapere? >>

<< Un po’ di tutto: come sono i professori, l’istituto, le aule, cose così. >>

<< Ve~ bè, i professori sono molto gentili, specie quella di arte - tratti tutto bene e fa molti complimenti, anche se nessuno ha mai capito il suo concetto di arte, ve~ è una persona un po’ strana... Poi, l’accademia è molto grande, enorme anzi, e divisa in cinque grandi edifici, uno per le materie umanistiche, uno per le scientifiche, uno per le artistiche, uno – il più piccolo – con la segreteria, e la biblioteca. I dormitori sono in un sesto edificio tra segreteria e biblioteca. Il tutto è circondato da un grande giardino, ve~ >>

<< Infondo non sembra così diversa dalla nostra, vero Hidekaz? >>

<< Mh. >> mormorò questi, continuando a guardare fuori dal finestrino.

<< Ehi, non parlare troppo, che ti si secca la lingua. >>

<< Mh. >>

<< … Ok, ci rinuncio. >>

<< Forse sarei più loquace se qualcuno non avesse prenotato il MIO viaggio sul treno, sapendo che ODIO viaggiare in treno. >> disse Hidekaz, lanciando un’occhiataccia verso il suo amico, il quale sbuffò prima di ghignare derisoriamente e muovere la mano in un gesto di non curanza.

<< E dai, Hidekaz, volevo risparmiare, e c’era quell’offerta due posti in aereo più viaggio in treno gratis. Hai praticamente viaggiato gratuitamente, non sei felice? >>

<< Non ti risponderò come vorrei perché siamo in presenza di Romolo-sama, e vorrei evitare di deturpare l’innocenza di Feliciano-kun, ma spero che tu abbia compreso che no, non sono felice, e che desidererei ardentemente almeno il rimborso del viaggio, visto che sei un pessimo organizzatore. >>

<< Rimborso? >>

<< Hai. >>

<< Ahah, Hide’, non hai sentito quello che ho detto? Hai viaggiato gratis, anche se volessi rimborsarti non ti dovrei proprio niente. >>

Hidekaz lo osservò per qualche istante, naturalmente inespressivo, prima di tornare a fissare fuori dal finestrino: << Appena saremo arrivati assaggerai la mia vendetta, Marco-kun. Così potrò anche dimostrare a Kiku che cos’è il vero onore di un uomo giapponese, sperando che mi prenda ad esempio e la smetta di comportarsi da geisha. >>

<< Se se. >> disse Marco con nonchalance, ghignando leggermente quando vide Kiku dare una piccola testata contro il poggiatesta del sedile.

<< Ma quanto cazzo manca? >>

<< Lovino, piano con le parole! E poi non dovrebbe mancare molto, dobbiamo prendere la prossima uscita e dovremmo arrivare tra una decina di minuti, salvo il traffico. Comunque sia, Marco non eravate in tre a venire? >>

<< Si, c’è anche George. >>

Romolo sussultò leggermente a quel nome, un movimento che non passò inosservato a i suoi nipoti, i quali deglutirono pesantemente e in completo disagio, memori dei fatti della scorsa estate: << Ah… E dove sarebbe?  Per caso veniva più tardi? Avremmo potuto aspettarlo. >>

<< Nah, lui è il primo ad essere venuto, aveva l’aereo praticamente alle tre del mattino. >> rispose l’interpellato, sentendo distintamente il sospiro di sollievo di Romolo.

<< Ve? Perché mai così presto? >>

Marco ghignò malignamente: << Volevo viaggiare da solo, e quello delle tre era casualmente l’unico posto libero per arrivare oggi. >>

<< Casualmente? >> chiese Lovino, per nulla convinto.

<< Giuro che il mio desiderio di vendetta nei confronti di quel pervertito e le sue incursioni notturne nella mia camera non centrano nulla col fatto dell’orario. >> disse Marco, poggiandosi una mano sul cuore e incrociando le dita della mano libera senza neanche degnarsi di nasconderla. 

<< Ve~ povero George. >>

<< Ma quale povero e povero, se lo merita. >>

<< Lo tratti sempre male, ve~ >> mormorò Feliciano, imbronciandosi al ricordo di tutte le cattiverie che il cugino di Ludwig aveva dovuto subire da parte del suo; saltò praticamente sul posto quando Marco gli lanciò un’occhiata raggelante.

<< Lo tratto come si merita. Quel maledettismo stalker è ora che impari a lasciarmi in pace. E’ da quando avevamo quindici anni che continua con questa storia dell’”ammmore,” tsk. >>

<< Marco-kun, non trattare così i sentimenti di George-kun. Lui ti ama davvero. >>

<< Ma che amore, è solo un rompico… una grande seccatura. >> si corresse Marco quando suo zio lo guardò con rimprovero attraverso lo specchietto, per il grande divertimento di Romano.

<< Ve~ ma perché odiate tutti George. E’ un ragazzo così gentile. >> disse Feliciano, guardandosi intorno in cerca di qualcuno che concordasse con quell’affermazione, trovando invece solo volti o tesi o ironicamente perplessi e un silenzio che perdurò fino a quando non giunsero davanti ai cancelli dell’accademia; trovandosi davanti uno spettacolo straniante: due auto della polizia con la sirena accesa e dei poliziotti davanti all’entrata del comprensorio accademico, intenti a parlare con il nervosissimo preside dell’istituto.

<< Ma che diavolo? >> disse Romolo, spegnendo in fretta l’auto e dirigendosi verso il gruppo di persone, seguito da tutti i passeggeri del veicolo, << Leonardo che succede? >>

Il preside, un uomo sulla cinquantina con una folta chioma brizzolata – anche se ancora conservava qualche ciuffo marrone, residui di una gioventù passata solo dal punto di vista anagrafico e nel fisico – di corporatura robusta e con vivaci occhi castani, si volò verso Romolo con un tremante sorriso, evidentemente felice di aver visto un volto amico: << Oh Romolo, vecchio mio, aiutami! >>

<< Che succede, signori? >> chiese quest’ultimo, indossando la sua aria più professionale quando si rivolse al poliziotto.

<< Ci hanno chiamato da questa accademia asserendo che c’è un soggetto pericoloso dentro i dormitori, e siamo venuti a controllare. >>

<< Ma non è entrato nessuno di estraneo, i bidelli se ne sarebbero accorti, ve lo assicuro. >> disse Leonardo, ma il poliziotto lo ignorò.

<< Abbiamo ricevuto la chiamata da dentro i dormitori maschili. Anche se non fosse un pericolo, desidererei comunque controllare. >>

<< Senta, non mi sembra il caso, ultimamente i ragazzi sono già parecchio nervosi per gli esami imminenti e temo che vedere la polizia possa non farli bene. E comunque, le ripeto, ci saremmo accorti se fosse entrato qualcuno senza permesso. >>

<< Ciò non toglie che è mio dovere controllare >>

<< Mi scusi agente, >> si intromise Romolo, il quale iniziava ad avere un brutto presentimento, << mi potrebbe dire chi ha fatto la chiamata? >>

<< E lei sarebbe? >>

<< Lui è Romolo Vargas, uno dei finanziatori dell’accademia. >> disse Leonardo, prendendo un fazzoletto dai pantaloni e asciugandosi il sudore sulla fronte, nervoso. Il poliziotto alternò lo sguardo tra i due per un poco, per poi sospirare e decidere di rispondere alle domande dell’italiano.

<< Un certo Gilbert Beilschimdt, attorno alle nove di questa mattina. Afferma di essersi barricato nella camera del fratello per sfuggire da un assassino. Ne sa qualcosa? >>

 

 

 

<< Un assassino. >>
<< Großvater, posso spiegare. >>

<< Avete chiamato la polizia perché c’era un “assassino” davanti alla porta? >>

Gilbert deglutì faticosamente, incapace di reggere lo sguardo glaciale di suo nonno, e facendo vagare il suo tutto fuorché verso lo schermo del computer.

<< Großvater- >>

<< Lo ammetto, da Gilbert me lo sarei aspettato. >>

<< Devo sentirmi offeso? >> chiese l’interpellato, ma Aldrich non si degnò di rispondergli, spostando la sua attenzione verso l’altro nipote.

<< Ma tu, Ludwig. >> il tedesco più anziano scosse la testa, afflitto. << Tu, che assecondi tuo fratello? Neanche quando eravate piccoli lo assecondavi in certe scemenze. >>

Ludwig sospirò impercettibilmente, vergognandosi come non mai. Come aveva potuto lasciarsi trasportare da certi illogici sentimenti? << Es tut mir leid, Großvater, è solo che- >>

<< E solo che cosa? >>

<< Uhm... >>

<< Te lo dico io solo che cosa: siete due imbecilli, ecco cosa siete. >>

Ludwig non rispose, incapace di replicare perché effettivamente non poteva non dare ragione a suo nonno: si sentiva un vero idiota. Stesso discorso, però, sembrava non valere per Gilbert, il quale non perse tempo ed iniziò a protestare veementemente: << Großvater, avevo tutte le ragioni per poter chiamare la polizia. Fino a prova contraria, George non ha la fedina penale pulita, avevo tutto il diritto di chiamare la polizia nel caso non mi fossi sentito al sicuro – e tra parentesi, non mi sento sicuro nemmeno adesso. >>

<< Gilbert, fai silenzio. >> lo avvertì Aldrich, quasi ringhiando quell’avvertimento, e fortunatamente l’albino ebbe abbastanza buonsenso da non replicare, continuando però a protestare nella sua testa..

<< Voi due siete nei guai, >> disse il tedesco più anziano, mantenendo comunque una calma apparente, << ma come diavolo vi è venuto in mente di chiamare la polizia!? La polizia! Herr Leonardo è furioso, sono riuscito a non farvi espellere per miracolo, anche se ve lo sareste meritato! Dovrei tagliarvi i viveri a vita e costringervi ad andare a lavorare per mantenervi! Ringraziate quell’anima buona di vostra Großmutter se non l’ho ancora fatto! >>

Ludwig e Gilbert si guardarono brevemente, cercando una soluzione che potesse placare l’ira del nonno e evitare allo stesso tempo di passare dei guai con la loro nonna – solo perché era intervenuta per evitare il taglio dei viveri, non voleva certo dire che Angela non avesse in serbo punizioni peggiori.

<< Großvater, senti- >>

<< Senti un corno! Dov’è vostro cugino?! >>

<< Hallo, onkle Aldrich! >>

Aldrich sussultò visibilmente quando il volto sorridente di George sbucò da dietro i suoi due nipoti, i quali per poco non caddero dal letto dallo spavento.

<< H-Hallo George. >> disse il tedesco più anziano, recuperando velocemente il suo contegno, << t-ti trovo bene. >>

<< Danke onkle, anche tu non sei messo male. >> disse George, sedendosi tra Ludwig e Gilbert senza neanche chiedergli il permesso.

<< Mi scuso a nome dei miei due sciocchi nipoti per l’accoglienza che ti è stata riservata, George. Non so cosa li sia passato per la testa quando hanno chiamato la polizia. >>

<< Nah, tranquillo onkle, me lo aspettavo in un certo senso. Anzi, direi che è stata una reazione fin troppo tranquilla per gli standard di Lud. >> disse, lanciando un’occhiata divertita verso Ludwig; quest’ultimo arrossì leggermente, un po’ per l’imbarazzo e un soprattutto per la rabbia, per poi voltarsi verso il muro, trovando improvvisamente interessante il poster dei Queen che suo fratello vi aveva attaccato qualche giorno fa.

<< J-Ja, >> Aldrich rimase in silenzio per qualche attimo, lo sguardo fisso su Ludwig, << come hai viaggiato? Sei venuto presto rispetto a Marco e Hidekaz. >>

Al nome del suo amato lieber, gli occhi di George si illuminarono di una gioia sinistra che fece venire i brividi ai suoi tre parenti: << Ho viaggiato benissimo, anche se l’orario non era tra i più comodi – sono partito alle tre del mattino. Avrei preferito viaggiare con gli altri, ma Marco ha insistito così tanto per andare separati. >>

<< Mi chiedo perché. >> mormorò Gilbert, disgustato.

<< Marco e Hidekaz sono arrivati? >>

<< Ja, erano con me in presidenza per firmare le carte dell’arrivo. A dire il vero, sono tornato qualche attimo fa. >>

Aldrich cercò di trovare qualche altro argomento di conversazione, più per educazione che per vero interesse – fosse per lui, avrebbe chiuso immediatamente i collegamento e sarebbe tornato al lavoro: vedere il nipote di suo fratello lo metteva profondamente a disagio, come del resto tutto quello che era anche solo minimamente collegabile con Siegfried; alla fine, decise di trovare una scusa e lasciare ai suoi nipoti l’onere di far ambientare George, pensando che fosse una punizione più che appropriata: << Bene, io adesso ho del lavoro da fare- >>

<< Was? Nein! >> Gilbert gli lanciò un’occhiata supplicante, ma Aldrich lo ignorò.

<< Ci sentiamo fra tre giorni, e spero per allora di non dover ricevere altre telefonate dalla polizia. >> avvertì il tedesco più anziano, osservando attentamente i nipoti, per poi salutarli con un veloce: << Auf Wiedersehen. >> prima di chiudere Skype, lasciando Gilbert e Ludwig nella disperazione.

George si stiracchiò brevemente, prima di dare una pacca sulla spalla del cugino biondo – imprimendoci anche un po’ troppa forza: << Allora, Ludz, non mi fai fare un giro per l’accademia? >>

Ludwig gli lanciò un’occhiataccia prima di alzarsi e prendere le chiavi della sua stanza dalla scrivania, per poi puntare la porta e ringhiare: << Dopo di te. >>

<< Ehi, West, aspetta! Non iniziare a fare il serve- >>

<< Silenzio, bruder! >> disse Ludwig, bloccando sul posto l’albino con un semplice sguardo irato, per poi uscire dalla stanza appresso a George, il quale non aveva smesso di ghignare malignamente per un solo istante.

 

 

La Second Player Academy era identica alla World Academy nella struttura – sei edifici circondati da un giardino immenso – ma l’aria che circondava quel comprensorio accademico era decisamente più cupa, almeno agli occhi di Timo, Matthew e Toris, arrivati proprio in quel momento davanti al cancello in ferro battuto dopo una lunga (e costosa) corsa in taxi.

Il primo inspirò ed espirò il più lentamente possibile, cercando di rilassarsi, per poi dare un sorriso incoraggiante ai suoi due compagni di (s)ventura: << B-Bene, eccoci qui, insomma. >>

Toris annuì lentamente, guardandosi attorno con circospezione mentre i vari studenti che passavano vicino a loro li sottoponevano ad una veloce analisi prima di riprendere la loro strada – e, con vago orrore misto a meraviglia, tutti quei volti erano tremendamente simili a quelli dei suoi compagni, in ogni particolare salvo per i colori – occhi e capelli erano diversi, o di una sfumatura spesso più scura: a prima vista sembravano essere quelle le uniche differenze.

Era come essere in un film dell’orrore.

<< Toris! >> l’interpellato sentì una voce squillante chiamarlo alle sue spalle, e poco pochi secondi si ritrovò a terra, stretto nella morsa micidiale di Valerjius Lorinaitis, suo cugino, << ah, come sono felice di vederti! >>

<< V-Valerjius! >>

<< Che bello, ancora ti ricordi di me! >> cinguettò quel ragazzo così tremendamente simile a Toris – differente solo per i capelli di un castano più tendente al biondo e gli occhi di un allegro verde-giallognolo – per poi alzarsi trascinandosi appresso suo cugino, << sono anni che non ci vediamo! Da quando zia si è risposata non ho più avuto la possibilità di parlarti. Come mai non hai accettato la mia amicizia su Facebook? Per caso non l’hai vista? Non ti ha mandato la notifica, eh? Ah, Facebook può essere una tale rottura! Appena avremo una connessione risolveremo questo inconveniente, non preoccuparti! Allora, come stai? >>

<< Ehm, >> Toris si grattò il mento, incapace di replicare a quel fiume di parole incontrollato, sotto lo sguardo pieno di aspettativa di suo cugino, << b-bene... T-Ti trovo in forma, Valerjius. >>

Questi sorrise ampiamente, per poi fare una veloce giravolta come a farsi ammirare – anche se sotto il maglione giallo, leggermente sformato e con le maniche troppo lunghe che coprivano interamente le mani, difficilmente si sarebbe potuto azzeccare la sua costituzione fisica: << Aš žinau! Quando ho saputo che saresti venuto mi sono subito messo a dieta per farmi vedere in forma da te! Non potevo certo sfigurare col mio pusbrolis preferito! >>

<< M-Ma i risultati sono uscito solo qualche giorno fa… >>

<< …E’ una dieta un po’ estrema, lo ammetto, ma almeno ha dato il risultato sperato. >> disse Valerjius, per poi voltarsi e agitare forsennatamente le braccia verso un gruppo di ragazzi seduto vicino alle scale dell’edificio di lettere, << Alvar, è venuto tuo pusbrolis, vieni a salutare! >>

Timo sussultò, per poi spostare lo sguardo nella direzione indicata da Valerjius, incrociando quasi subito gli occhi bluastri di suo cugino: << Ehm, h-hei Alvar! >> disse, agitando lentamente la mano verso il suo parente.

Alvar rimase qualche attimo immobile, per poi fare un breve cenno ai suoi amici e dirigersi verso i nuovi arrivati, squadrandoli uno ad uno.

<< Ehm, >> Timo deglutì pesantemente, per poi tendere la mano al suo parente, il quale, invece, rimase immobile, << come stai, serkku? >>

<< Male, >> replicò questo, inspirando a fondo la sigaretta che stava fumando, << ho finito adesso un’ora di punizione, e quel cretino Ingmar non fa che ossessionarmi – a tal proposito, di a quel deficiente del tuo ragazzo di tenere a bada suo cugino, mi faresti un favore. >>

<< M-Ma Berwald non è il mio ragazzo. >> disse Timo, leggermente a disagio; Alvar alzò un sopracciglio, per nulla convinto da quella affermazione, ma decise di non indagare oltre.

<< Era tutto il giorno che Alvar e io vi stavamo aspettando! >> di intromise Valerjius, per poi prendere una delle valigie di Toris e dirigersi verso l’edificio che conteneva la presidenza, << siamo entrati nel comitato di accoglienza apposta! Dai, gli altri ci stanno aspettando dentro! >>

<< A-Aspetta Valerjius, posso portare da solo la vali- >>

<< Non dire sciocchezze, Toris, devo essere come un padrone di casa, e nessuno padrone di casa fa fare sforzi inutili agli ospiti! Alvar, prendi un bagaglio di tuo cugino, dai, che Matteo e Tomash saranno in presidenza! >> disse il lituano, prendendo anche l’altra valigia di suo cugino, per poi correre verso l’edificio principale – una bassa costruzione rosso-mattone avvolta nell’edera.

Alvar, anche se sbuffando sonoramente, fece come richiesto, per poi guardarsi interrogativamente attorno: << Ma non eravate in tre a venire? >>

<< Eh? Ah si, ecco- >> Toris si girò alla ricerca del terzo compagno, << ehm… Timo, com’è che si chiamava l’altro ragazzo? >>

<< Ehm, Ma- Ma- Marcus? No, non Marcus… Ma-Marcello, Marzius, Mario… >>

<< Matthew. >>

<< Ah si, Matthew! >> esclamò il finlandese, per poi sbattere perplessamente le palpebre, << m-ma chi ha parlato? >>

Matthew, il terzo ragazzo dello scambio, che fino a quel momento era rimasto in disparte dietro i suoi due compagni, sospirò amaramente, accettando di malvoglia di essere stato nuovamente ignorato. Prese sconsolatamente le proprie valigie, per poi passare vicino ai due finlandesi senza che questi si accorgessero minimamente della sua presenza, seguendo la strada percorsa prima da Valerjius; non poté non fare a meno di pensare che quelle due settimane non sarebbero state poi così differenti da quelle che trascorreva nella sua accademia: sana solitudine, qualcuno che saltuariamente si accorgeva di lui e lo salutava distrattamente, ignorato perfino quando si scontravano accidentalmente con lui-

<< Ehi, buddy! >>

Matthew si fermò di colpo, mentre un brivido gelido lo percorse dalla testa ai piedi quando una mano callosa si posò sulla sua spalla, stringendo abbastanza forte in modo da impedirgli di scappare; il canadese si voltò  leggermente, incrociando il viso dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere al mondo – anzi, no: dell’unica persona che mai avrebbe voluto vedere, nemmeno se fosse stata l’unica a rimanere sulla faccia della terra!

<< Ehi Matt, >> lo salutò allegramente Timothy, per poi avvolgere l’intero braccio attorno alle spalle del cugino e strofinare con forza il pugno sopra la sua testa, << è bello rivederti dopo così tanto tempo! >>

<< Ugh, no fermo Timothy, mi fai male! >> protestò debolmente il canadese, cercando di staccarsi da quella morsa micidiale.

<< E perché? Voglio solo salutare come si deve uno tra i miei parenti più prossimi. >> disse l’altro ghignando malignamente, senza smettere di strofinare il pugno tra i capelli di Matthew – il tutto sotto lo sguardo di Alvar, Toris e Timo, che si chiedevano perplessamente il perché Timothy stesse sfregando l’aria.

<< Lasciami! >>

<< E va bene, >> acconsentì infine Timothy, liberando il canadese dalla sua morsa, il quale cadde in ginocchio a causa dell’intontimento,  << è bello rivederti dopo tutto, Matt.  Come sta quello squinternato di Alfred? >>

Quest’ultimo si massaggiò il punto dolente, rimettendosi faticosamente in  piedi e lanciando un’occhiataccia verso suo cugino.

<< Ehi dude, non guardarmi così, mi fai arrossire! >>

<< Non sei cambiato per niente, eh Timothy? >>

<< Tu invece direi che sei cambiato parecchio! Quasi non ti riconoscevo per quando eri diventato invisibile. >>

Matthew sussultò leggermente, stringendo i pugni dalla rabbia, ma cercando comunque si non cadere vittima delle provocazioni dell’altro. Timothy ghignò leggermente, scrocchiando rumorosamente le dita: << Guarda che sguardo da micetto coraggioso che abbiamo qui. >>

<< Lasciami in pace. >> disse il canadese, senza però riuscire a nascondere un certo tremore nella voce – suo cugino era sempre riuscito a incutergli un certo timore fin sa quando erano piccoli, complici numerosi episodi di bullismo subiti in tenera età compiuti dal suddetto figlio di sua zia.

<< Oh oh,  we have a bad ass over here, >> Timothy ghignò malignamente, << eh eh, ho lasciato la mazza in camera mia, ma so cavarmela perfettamente anche senza di lei. Left e Right sono molto ansiosi di conoscerti, my dear cousin. >>

Matthew sussultò, indietreggiando di qualche passo, << W-Wait, i-io non voglio fare a botte. >>

Timothy lo ignorò, e fece per avanzare a far scoppiare la rissa che aspettava fin da quando aveva saputo che sarebbe venuto il suo cugino canadese per lo scambio culturale – che poi, rissa era un parolone: il più delle volte, Matthew le prendeva e basta, per poi andarsene a piagnucolare in un angolino – ma un pugno sulla testa gli impedì di fare alcun che: << Ouch! Ma che- >> non finì neanche la frase che un calcio ben assestato nel deretano lo fece volare tre metri più in là.

Matthew, che aveva chiuso gli occhi ormai  rassegnato a ricevere il primo di numerosi colpi, li aprì per poter vedere chi fosse il suo salvatore; e il suo cuore mancò un battito quando notò un ragazzo quasi identico a lui, salvo per i capelli più lunghi e di un biondo più scuro e gli occhi violacei, quasi neri per quanto erano scuri: << Lorenz! >>

L’interpellato, il figlio che sua zia aveva avuto dal primo matrimonio, si voltò verso d lui, senza sorridergli.

<< Non sai quanto sono felice di vederti! >> esclamò il canadese con gli occhi lucidi, abbracciando suo cugino con forza. Tra tutti i suoi parenti, sicuramente Lorenz era quello che più era felice di vedere – visto che era anche l’unico che riusciva sempre a notare la sua presenza.

<< Che strano, sento qualcosa abbracciarmi eppure non ho nessuno intorno.

Bè, quasi sempre. Matthew sospirò sconsolatamente, allontanandosi dall’altro, il quale fece un mezzo sorriso prima di scompigliare amorevolmente i capelli del primo: << Dai, scherzavo, non fare quella faccia. >>

Il canadese lo osservò stupito per qualche attimo, prima di ridere leggermente, mentre un lieve rossore gli imporporava le guance.

<< Finalmente siete arrivati, ci avete messo un bel po’. >>

<< Si, il taxi si è perso – o ha cercato di allungare la corsa, non ho ben capito. >>

Lorenz gli sorrise incoraggiante, prendendo le valigie che Matthew aveva prima lasciato per potersi difendere meglio dall’attacco di Timothy e trasportandole verso la presidenza: << Fatto buon viaggio? >>

<< Ehm, si. >> il rossore sul volto di Matthew si fece più intenso, mentre  accelerava per poter mantenere il passo con suo cugino, << E’ stato… Comodo. Timo è molto ad organizzare i viaggi- >>

<< Ehi, fermi un attimo! >>        

I due si voltarono verso Timothy, il quale, una volta resosi conto di chi lo aveva atterrato con così tanta facilità, si era alzato il più in fretta possibile, pronto a darle anche a suo fratellastro qualora fosse stato necessario.

<< Che c’è? >> domandò Lorenz, scocciato.

<< Che c’è? Io e Matt stavamo discutendo di cose importanti, e te ti metti in mezzo, come al tuo solito! Perché non impari a farti gli affari tuoi una volta tanto, eh? >>

Lorenz sospirò, per poi riprendere a camminare, facendo cenno a Matthew di seguirlo: << Ignoralo, tanto non ti farà nulla finché ci sono io. Queste giorni cerca di starmi vicino ok? Non vorrei ti facesse qualcosa. >>

<< Ehm, ok. >>

<< Ehi, non azzardarti ad ignorarmi! Come back here! Maledetto di un canadese, vieni qui! Non ignorarmi! >>

Mentre Timothy scalpitava imprecazioni, e suo fratello e Matthew lo ignoravano bellamente, Toris, Timo e Alvar erano rimasti ad osservare la scena – resesi  finalmente conto anche della presenza dei due canadesi - perplessi e vagamente divertiti.

<< Queste scene saranno quotidiane, vi conviene iniziare a farci l’abitudine. >> disse Alvar rivolgendosi a suo cugino, il quale sorrise stancamente, prima di prendere la sua roba: << Non credo che le cose saranno così diverse dalla nostra accademia, eh Toris? >>

Questi fece per rispondere, ma la voce squillante di Valerjius lo interruppe: << Ehi! Che fate lì impalati? Dai che il preside vi aspetta e- Perché ci sono delle valigie volanti? >>

 

 

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Capitolo breve, e neanche così bello... Accidenti >.< !!!

Gli esami portano via molto tempo, e purtroppo per me neanche sono finiti T_T ma si va avanti. Vi saluto adesso perché, salvoq ualche cosina che riuscirò a pubblicare, ci vedremo a settembre col prossimo capitolo. Eh già, vi lascio con l'ansia del giorno dopo XD. E fidatevi: il nostro 1p!Asse ne vedraà di brutte. MOOOOLTO brutte.

 

E adesso, non avendo altro da aggiungere, andrò a vedere per la millesima volta la seconda parte di Buon San Valentino (L'hanno animata!!!! L'hanno animata!!!!!!! *_* :D ), cosa che invito anche voi a fare, specie se siete fan del GerIta e siete in cerca di cose zuccherose *.*

 

Bye Bye

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Capitolo 5
*** 11.03.20XX: Il buongiorno si vede dal mattino ***


Ancora una volta quel maledettissimo sogno: il mare di Ostia e la sua corsa disperata sul lungo mare mentre veniva inseguito da quel pazzoide di suo cugino armato di motosega. A onor del vero, quello era più un ricordo che un sogno, ma la differenza era minima quando il risultato era lo stesso: sudore intenso, cuore a mille, ansia alle stelle e paura che faticava ad andarsene; figurarsi adesso che era costretto a condividere la camera con suo cugino – perché i custodi non avevano preparato in tempo le camere per gli “ospiti”, e Leonardo aveva ben pensato che non poteva esserci alcun male se Ludwig, Feliciano e Kiku condividevano le loro camere con i loro cugini per una o due notti.

Ludwig inspirò ed espirò lentamente, cercando di calmarsi, e pregando che George non fosse ancora sveglio, il che gli avrebbe dato il tempo di lavarsi in  tutta fretta e scendere in mensa per la colazione prima che quello psico-killer si svegliasse. Si rigirò stancamente su un fianco, affondando il viso nel cuscino e decidendo di concedersi ancora un minuto di riposo, prima si affrontare quella che si prospettava essere una delle giornate più faticose della sua vita.

E siccome il buon giorno si vede dal mattino, non fece neanche in tempo a svegliarsi del tutto che il rumore di una motosega azionata al massimo gli trapanò le orecchie, facendogli amaramente pentire di quella piccola autoconcessione, soprattutto perché – un po’ a causa del sonno, un po’ per il sogno ancora fresco nella sua mente – balzò praticamente giù dal letto con un urlo ben poco degno del suo carattere teutonico. L’incontro col pavimento non fu dei più piacevoli, e a peggiorare le cose ci si misero le grasse risate di George, nella sua mano destra il proprio cellulare da cui proveniva il molesto rumore.

<< T-Tu! >> Ludwig si rimise in piedi, rosso in volto di rabbia e vergogna, guardando con ira crescente suo cugino, il quale preferì buttarsi sul letto di emergenza – messo appositamente in attesa della consona sistemazione - e continuare a sbellicarsi dalle risate.

<< Oh Gott, mi dispiace Lutz, non ho resistito! >> disse George, mentre Ludwig si massaggiava le tempie, esasperato da quell’atteggiamento infantile.

<< Peccato che tu non sia per nulla dispiaciuto, vero?! >>

<< Ahahah, hai ragione, non me ne frega proprio nulla!  >> ammise candidamente l’altro tedesco, per poi alzarsi e dirigersi verso la propria valigia per prendere il cambio. Ludwig grugnì qualche insulto, aprì l’armadio e prese tutto il necessario per lavarsi, adocchiando nel mentre suo cugino nel caso questi pianificasse qualcosa di male.

<< Vado a lavarmi per primo. >> disse George, avviandosi verso la porta del bagno, ma si trovò la strada bloccata da Ludwig.

<< Non ci pensare nemmeno, vado prima io. Tu ci metti sempre tanto a lavarti. >>

<< Lutz, levati dai. >> George cercò di superare suo cugino, il quale però di spostava immediatamente per impedirgli qualunque avanzata.

<< Nein, ho lezione alle otto e mezzo, e non intendo arrivare in ritardo a causa della tua lentezza. >> disse Ludwig, per poi fiondarsi dentro il bagno, ma George cercò di sorpassarlo, col risultato che entrambi rimasero incastrati nell’uscio.

<< George, verdammdt! >>

<< Voglio lavarmi prima io, necessito assolutamente di una doccia visto che ieri non me l’hai fatta fare! >>

<< Avevo appena pulito il bagno, se permetti volevo evitare che lo sporcassi di nuovo! >>

<< Non cambierai mai, tu e la tua maledetta ossessione per l’ordine! Spostati idiot! >> nonostante la posizione, George cercò di assestare una gomitata contro il fianco del cugino per farlo arretrare; Ludwig incassò dolorosamente il  colpo, ma non demorse, a dopo vari spintoni riuscì finalmente a districarsi e a spingere via George, entrando immediatamente nel bagno e chiudendo la porta a chiave dietro di sé.

Sospirò pesantemente, per poi mettersi sotto la doccia. Erano solo le sette del mattino, ma se tutta la giornata fosse stata uguale a quel risveglio certamente non sarebbe arrivato vivo all’ora di pranzo.

Ludwig sospirò amaramente, cercando di rilassarsi sotto il getto caldo dell’acqua, mentre cercava di pensare a qualcosa che avrebbe potuto contribuire a rendere perlomeno vivibile quelle due settimane sicuramente piene di scherzi di poco gusto e umiliazioni.

Isolarlo era un’opzione da escludere, visti gli ordini che il preside gli aveva dato prima di rispedirlo in camera dopo la lavata di capo che si era preso per la faccenda della telefonata alla polizia, e certo voleva evitare di rivedere Leonardo arrabbiato o sentire suo nonno sbraitargli improperi addosso; l’ipotesi migliore sarebbe stata quella di ignorarlo, ma sapeva anche lui che non ci sarebbe mai riuscito; rispondere a quelle provocazione, tra  l’altro, era fuori discussione: non si sarebbe mai abbassato a tanto.

Più ci pensava, e più si rassegnava all’idea che sopportarlo e far passar il più velocemente quelle due settimane fosse, purtroppo, l’unica soluzione.

Uscì dalla doccia con l’umore nero, si asciugò in fretta e furia e si mise i boxer, per poi abbassare la maniglia della porta per uscire dal bagno; peccato che la maniglia non si abbassò neanche di un centimetro.

Ludwig rimase interdetto per qualche secondo, per poi afferrare il manico con entrambe le mani cercando di abbassarlo, spingendo allo stesso tempo la porta, inutilmente.

<< George! >> provò a chiamare suo cugino, e quasi gli parve di sentire una piccola risata nell’altra stanza, << George, idiota che non sei altro, apri la porta! Che diavolo hai fatto!? >>

L’altro tedesco non gli rispose, e l’unico rumore che Ludwig sentì fu quello della porta della sua camera che si chiudeva: << George, verdammdt! Non andare via, apri la porta, maledizione! George! >>

 

Ci era voluta una mezz’ora abbondante prima di riuscire ad aprire la porta a forza di spintoni – George aveva messo una sedia sotto la maniglia – e un altro quarto d’ora lo aveva passato a vestirsi, a rendersi perlomeno presentabile, e a mettere i libri delle lezioni della giornata dentro la borsa a tracolla, prima di correre verso la mensa per prendere almeno un paio fette biscottate con cui arrivare allo spuntino di metà mattinata.

Arrivato in mensa, quasi tutti i presenti si voltarono verso di lui con sguardi compassionevoli, prima di tornare a consumare il loro pasto. Ludwig deglutì pesantemente, per poi andare al buffet e prendere due fette biscottate e una confezione monouso di marmellata, e guardarsi attorno alla ricerca di Feliciano e di Kiku, i quali si erano messi nell’angolo più scuro della sala, funerei e con ben poca voglia di consumare la loro colazione; la stessa cosa non poteva dirsi di Marco e di Hidekaz– che avevano già finito il loro pasto – mentre George stava mangiando gli ultimi bocconi di una brioche assieme al caffelatte. Alla sua vista, Ludwig non poté lanciare qualche insulto silenzioso carico di rabbia.

<< Guten morgen. >> sbottò, lasciando a terra la borsa e sedendosi vicino a Kiku, chiedendogli in prestito il coltello per poter spalmare la marmellata.

<< Sei qui, >> disse George prima di sorseggiare un po’ di caffelatte, << credevo ci avresti messo di più sai? >>

Ludwig gli lanciò la peggiore delle sue occhiatacce, mangiando lentamente le fette biscottate.

<< Ve~ Ludwig vuoi un po’ di caffè? Io non lo bevo tutto. >> disse Feliciano, porgendoli un bicchierino in vetro ancora pieno a metà. Il tedesco accettò, e mandò giù tutto d’un sorso la bevanda ancora tiepida nonostante fosse poco zuccherata per i suoi gusti – come faceva Feliciano a bere il caffè senza addolcirlo un po’ era un qualcosa che gli era impossibile capire.

<< Che brava mogliettina che sei Feli. >> disse Marco, ghignando leggermente quando  suo cugino gli lanciò un’occhiata perplessa e vide Ludwig arrossire violentemente.

<< Perché? >>

<< Gli hai tenuto il posto, hai conservato un po’ di caffè e una brioche per lui, ci manca solo il bacio del buongiorno e sareste una bella coppietta. >>

<< Ve~ a dire il vero noi ci abbracciamo, non ci baciamo. >>

<< Feliciano! >> urlò Ludwig, rosso in volto.

<< Ve! C-Che ho fatto?! M-Mi dispiace! >>

<< Che invidia però, >> si lamentò George, voltandosi verso Marco, << potresti darmelo anche tu un abbraccio del buongiorno, o un bacio meglio ancora. >>

<< Scordatelo. >> sibilò Marco, distanziandosi dall’amico quando ne notò lo sguardo adorante.

<< E dai. Anche solo tenersi per mano? >>

<< Noi due neanche stiamo insieme! E chi ti dice che io sia gay, tra l’altro? >>

<< Tu. L’hai confessato tu stesso di essere bisessuale. >> disse Hidekaz con nonchalance, guadagnandosi un calcio negli stinchi da parte di Marco.

<< Non vuol dire nulla! E tu, George, mi stai facendo venire voglia di diventare completamente etero! >>

<< Ma Marco- >>

<< Vi dispiacerebbe non urlare? Non vorrei essere al centro dell’attenzione più di quanto non siamo già. >> disse Ludwig, mentre gli studenti attorno a loro si gettarono su quanto rimaneva della loro colazione per nascondere l’imbarazzo di essere stati beccati a spiare.

<< Ti vedo un po’ teso Ludz. Tutto ok? >> chiese George con un sorriso che per Ludwig risultò irritante oltre ogni limite.

<< Non saprei, >> disse ironicamente quest’ultimo, stringendo con forza il coltello per spalmare la marmellata, << mi hai solamente rinchiuso in bagno, rischiando di farmi fare tardi e saltare la colazione. Direi che non ho proprio alcun motivo per essere arrabbiato. >>

<< V-Ve…  Almeno tu non ti sei svegliato con un ragno in faccia. >> mormorò mestamente Feliciano, rabbrividendo quando sentì su di sé lo sguardo divertito di suo cugino.

<< Non pensar male Ludwig, >> disse Marco quando si accorse dell’occhiataccia che il tedesco gli stava riservando, << io non centro nulla questa volta. >>

<< Si come no. Come quando ci siamo ritrovati un tasso nella stanza l’anno scorso, immagino. >>

<< Sei tu che hai pensato male. Mi spieghi come avrei fatto a catturare un tasso e a metterlo nella vostra stanza? >>

<< Un modo l’avrai trovato. I tassi non si avvicinano all’uomo, figurarsi introdursi dentro gli alberghi. Per non parlare quando hai messo dei pipistrelli dentro la borsa di Feliciano. >>

<< Quella fu un’idea di Hidekaz. >>

<< Non tirarmi in ballo, Marco-kun, io non ero in vacanza con voi l’anno scorso. >>

<< Ma se me lo hai suggerito tu quando ci siamo sentiti su Facebook. >>

<< Io non ti ho suggerito un bel niente. Ti avevo solamente raccontato dello scherzo che feci a Kiku quando avevamo dieci anni, sei tu che poi hai preso spunto. >>

<< Sapevi che l’avrei fatto. >>

<< Ho rischiato di perderci un occhio, ve. >>

<< E non esagerare! Sei solo fifone, >> disse Marco, per poi iniziare a tirare il capello che sbucava dalla tempia sinistra di Feliciano, << lo sei sempre stato e sempre lo sarai. >>

<< V-Ve, l-lasciami –per f-favore! >>

<< Mollalo immediatamente! >> Ludwig guardò Marco malamente quando vide un’espressione di dolore sul volto improvvisamente più rosso dell’amico.

<< Mica gli sto facendo del male. >>

<< Lascialo! >>

<< Perché, che fai se no? >> chiese Marco con una luce molto poco rassicurante negli occhi, e Ludwig, complice il pessimo modo in cui si era svegliato e il nervosismo per quanto era accaduto dopo, fu per fregarsene del suo classico contegno e spaccargli la faccia, senza pensare che avrebbe potuto far scoppiare una mega-rissa con suo cugino se solo avesse sfiorato il suo liebe.

<< S-Si sta facendo tardi, perché non andiamo in classe? >> disse Kiku, intuendo quanto quella conversazione stesse degenerando  e indicando l’ora sul suo cellulare.

Gli altri cinque lo guardarono in silenzio per qualche tesissimo istante, per poi concordare e alzarsi dal tavolo, dirigendosi verso la classe della prima lezione della giornata.

<< Ve, il martedì alla prima ora abbiamo letteratura del novecento sia io che Ludwig e Kiku. Il preside vi ha detto qualcosa sulle lezioni da seguire? >>

<< Teoricamente dovremmo seguire i corsi che seguiamo anche nel nostro istituto. >>

<< E guarda caso abbiamo anche noi letteratura del novecento. >> disse George, dando una pacca sulla spalla di suo cugino, il quale sorrise il più fintamente possibile, mormorando uno sconsolato: << Che fortuna. >>

<< West! Finalmente, ti ho cercato dapper- >> l’urlo di Gilbert si smorzò immediatamente non appena avvistò suo cugino, assieme ai suoi due amici; subito, il suo cipiglio si fece più severo, quasi rabbioso, << oh, ma ci siete anche voi. >>

<< Non essere troppo felice di vedermi, vetter. >> ghignò George, senza preoccuparsi degli irati occhi rossi posatisi su di lui.

<< Come mai siete insieme? >> domandò l’albino, squadrando malamente i tre studenti della Second Player Academy.

<< Ci stavamo dirigendo a lezione, ne abbiamo una in comune. >> gli rispose Marco, senza smettere si sorridere nonostante le occhiate inquisitorie.

<< Oh, che fortuna. E quale sarebbe? >>

<< Letteratura del novecento. >> disse Hidekaz con calma, ricambiando appieno l’ostilità di Gilbert, il quale rimase in silenzio per quale istante, perso a lanciare lampi di puro odio dagli occhi rossi verso i tre. In quel momento si avvicinarono anche Francis e Antonio, impensieriti dall’improvvisa scomparsa del loro amico albino. E quando si accorsero in che compagnia fosse, impallidirono entrambi, mettendosi subito a fianco di Gilberto pronti a qualunque evenienza.

<< Oh, bonjour Marco, >> disse il francese con tono incerto, cercando di sorridere il più naturalmente possibile, << sei… già qui. >>

<< Bonjour, cousine Francis. >> rispose l’interpellato con un lieve sorriso, mentre una sorta di gelo calava sul gruppo. Attorno a loro, gli studenti lanciavano occhiate fugaci, alcuni intimoriti, altri divertiti da quella che si prospettava essere una guerra all’ultimo sangue.

<< Allora, >> disse Antonio, senza percepire minimamente l’ostilità che aleggiava nell’aria, << Marco, come è andato il viaggio? >>

<< Bene, non mi posso proprio lamenta- Che ci fa Lovino dietro di te? >> chiese, notando solo in quel momento la tremante figura del maggiore dei suoi due cugini nascosto dietro lo spagnolo; Lovino sussultò, prima di sbucare da dietro Antonio e lanciare occhiatacce fiammeggianti verso Marco: << Tu, essere di indegna esistenza! >>

<< Buongiorno anche a te Lovi. >>

<< Non è mai un buongiorno se ci sei tu, testa di- >>

<< Lovinito, per favore! >>

<< No no, Antonio, lascialo sfogare. Dopo il colpo apoplettico che gli è preso ieri ne ha bisogno. >>

<< Io non ho avuto alcun infarto! >> esclamò Lovino, avvicinandosi impettito al cugino e puntellando col dito sul suo petto, << E smettila si fare lo sbruffone, scemo! Togliti quel sorrisino da quella faccia di cazzo che ti ritrovi- Ugh! >>

Lovino quasi saltò sul posto quando notò le occhiatacce che gli stava mandando George, e subito si riparò dietro la schiena Antonio al grido di << Bastardo, bastardo, proteggimi, cazzo! >>

<< Si sta facendo tardi, avviamoci. >> disse Hidekaz dopo un breve sospiro, per poi intimare a Kiku di fargli strada. Quest’ultimo ubbidì mestamente, e presto vennero seguiti da tutti gli altri, tranne che da Gilbert, Francis, Antonio e Lovino, impegnati con altri corsi, che li fissavano carichi di preoccupazione.

 

L’aula era piena, come al solito – letteratura del novecento era un corso molto famoso in accademia – ma Feliciano e gli altri non faticarono a trovare un posto, occupando i sei posti centrali della fila di mezzo, appena in tempo prima che il vociare degli studenti si assopisse come segno dell’entrata del professor Cafkano.

<< Dobrý den. >> disse questi, un uomo ancora piuttosto giovane d’aspetto, senza ombra di capelli bianchi nella chioma corvina allisciata dal gel, che non si degnava di nascondere le orecchie leggermente a sventola, profondi occhi scuri che inquietavano un po’ tutti gli studenti ma che non esprimevano a pieno tutta la gentilezza di cui quel giovane professore era capace, e un corpo esile, un po’ rattrappito, tipico di chi passa molto, troppo tempo sui libri, vestito con una camicia leggera e pantaloni troppo larghi sulla gamba, che facevano a cazzotti con la giacca grigio scura tenuta sul braccio sinistro.

Gli studenti si alzarono per il saluto, per poi tornare seduti e confabulare per quei pochi minuti rimasti prima che cominciasse la lezione.

<< Bella aula, molto spaziosa e luminosa. >> commentò Marco, guardandosi attorno e facendo l’occhiolino ad alcune fanciulle che erano rimaste a fissarlo, le quali arrossirono violentemente prima di tornare a guardare Cafkano mentre sistemava gli appunti sulla scrivania.

<< Ve~ è la terza aula più grande dell’istituto escludendo l’aula magna. >>

<< Come mai segui letteratura del novecento, Lutz? Non avevi preso la carriera di ingegneria? >> chiese George, rivolgendosi al cugino.

<< Avevo quattro esami da dare a scelta, e letteratura del novecento mi interessava. >> rispose quest’ultimo sbrigativamente, mentre prendeva il quaderno degli appunti, imitato ben presto da quasi tutti gli studenti.

<< Bene, ehm… Allora… Marco Vargas, Hidekaz Honda e George Beil- no, George Joseph Beilschmidt, >> Cafkano guardò le file di sedie occupate alla ricerca dei tre nominati, << ci sono? >>

<< Eccoci! >> Marco alzò la mano, per poi decidere di alzarsi in piedi quando vide che gli occhi del professore si spostavano dappertutto fuorché su di lui.

<< Oh, bene, molto piacere. Io sono Josef Cafkano, docente del corso di letteratura del novecento. Non so se vi hanno già informato di come si svolge lo scambio… >>

<< Sappiamo già tutto, ieri il direttore dell’accademia ci ha spiegato tutto. >>

<< Ok, quindi sapete che seguirete i corsi assieme agli altri ragazzi, e per eventuali incongruenze potete chiedere aiuto o a me o agli studenti addetti all’accoglienza, si? Perfetto. Bene, allora avete il programma a portata di mano? Quello della vostra accademia intendo. >>

<< Hai. >> Hidekaz prese il foglio da dentro la borsa e si alzò per andarlo a portare al professore – non senza passare “casualmente” sopra il piede di Kiku.

<< Dobře, mh… mh-mh, ok, vedo che avete un programma abbastanza vasto, anche se vedo che vi concentrate più sugli autori contemporanei che di quelli di inizio novecento. Ok, allora… dove siete arrivati? >>

<< Avevamo appena iniziato Checov. >>

<< Interessante. Ok, allora, noi non siamo arrivati ancora agli autori russi, e la lezione di oggi verte su Mann, ma credo che potremmo tranquillamente fare un breve ripasso di quanto fatto fino adesso, giusto per farvi vedere quale è stato il programma fino a questo momento, >> Cafkano fece cenno a Hidekaz di tornare al suo posto, si avvicinò alla cattedra e prese il registro dove erano segnati i nomi di coloro che partecipavano al suo corso, << vediamo, vediamo. >>

<< Ma che fa, chiama qualcuno? >> chiese Marco, perplesso.

<< N-Non credo, ve… Non lo ha mai fatt- >>

<< Allora, chi si offre volontario per spiegare gli argomenti studiati fino ad ora ai nostri ospiti? >> chiese Cafkano con cordialità, che però nulla fece per reprimere il brivido di orrore che serpeggiò nell’intera aula.

<< Y-Yada! Io sono arrivato solamente a Pirandello! >>

<< Almeno tu hai aperto libro, ve. >>

Marco rise leggermente davanti alla disperazione del cugino, e il suo sorriso non fece che aumentare quando vide il volto di Ludwig sbiancare come quello di un cadavere.

Andare a spiegare gli ultimi argomenti, a grosse linee, era come un’interrogazione ai tempi del liceo: da essa dipendeva la media finale che si avrebbe ricevuto all’esame. Solitamente erano i professori con pochi studenti ad adottare questo metodo di insegnamento, ma certo capitava che, a volte, anche quelli con corsi numerosi avessero l’improvviso sghiribizzo  di testare quanto i propri studenti stessero studiando. C’era però una differenza sostanziale tra le due tipologie: se si è in pochi, è più probabile che ci sia un secchione da poter immolare alla giusta causa della difesa della buona reputazione della classe, grazie al metodo “io ti osservo perché studio e so;”  in un aula con più di cento persone, è praticamente impossibile che il docente colga proprio lo sguardo del secchione in questione, e l’unica cosa che gli rimaneva da fare era usare il metodo “’ndo cojo cojo,” terrore di studente.

E Ludwig, che di solito studiava di pari passo con le lezioni in modo che in tempi di esami avesse solo da ripassare, con tutto il macello portato da suo cugino, si era completamente dimenticato di studiare gli ultimi argomenti fatti, vertenti su nientepopodimeno   che d’Annunzio, un autore che già non gli piaceva, e che oltretutto era anche molto pesante per argomenti trattati nelle sue opere e stile di difficile comprensione.

Cercò di mantenere una certa compostezza, ma non poté non iniziare a sudare freddo quando notò che Cafkano si stava concentrando sui primi nomi del registro; ma doveva mantenere la calma, farsi vedere nervoso avrebbe peggiorato la situazione.

<< Mh… >> Cafkano continuava a far scorrere lo sguardo sulle righe scritte, adocchiando anche i voti  presi all’ultimo esonero, e lanciando ogni tanto qualche occhiata agli studenti, notando che parecchi erano presi dal panico. Gli dispiaceva aver creato tutto quello scompiglio – anche se certo non era colpa sua se quei giovani non studiavano; forse avrebbe potuto chiamare tra quelli che sembravano più calmi? Ma si, di solito erano quelli tutto sommato preparati, avrebbe potuto puntare a loro invece che spaventare ancora di più gli altri; e poi avevano pure il coraggio di dire che fosse un professore cattivo. Per esempio, quel ragazzo biondo, seduto rigidamente nella fila centrale, avrebbe potuto fare al caso suo. Come si chiamava?

<< Ve, perché ci mette tanto? Eppure Cafkano non è un sadico! >>

<< È una mia impressione, o sta guardando da questa parte? >>

<< Paura Kiku? >>

<< Y-Ya, è solo ch- >>

<< Ti è così difficile stare al passo con le lezioni come faccio io? Kami, mi chiedo veramente se abbiamo li stessi geni io e te. >>

<< G-Gomenasai! >>

<<  Hide’, rilassati, smettila di trattarlo male. >>

<< Gli affari di famiglia non ti riguardano Marco-kun. >>

<< Adoro quando fai l’altruista! >>

<< Stammi lontano Geor- Ma qui non c’era Feliciano prima!? >>

<< Abbiamo fatto cambio di posto, così possiamo stare insieme. Non è un amore il tuo vetter? >>

<< Feliciano! >>

<< V-Ve. >>

<< Feli, dai, prima che scatti una rissa, rifai a cambio di posto con mio cugino. >>

<< V-Ve no! Marco mi menerà. >>

<< Puoi giurarci! Ti faccio a fette maledetto codardo! >>

<< V-Ve. >>

<< Dai liebe, non litigare con Feli. E’ stato così gent- >>

<< Fai silenzio, crucco del cavolo! >>

<< Abbassate la voce almeno! >>

<< Ah, non rompere Lutz! E’ roba da fidanzati che un verginello come te non può capire. >>

<< George!!! >>

<< Ma quali fidanzati! Smettila di inventarti le cose! >>

<< Prima o poi lo sarai, so che saremo insieme per sempre! Nel profondo lo vuoi anche tu, Marco. Perché non accetti i tuoi sentimenti per me e ti fidanzi con me? >>

<< M-Ma che cazzo ti dice la testa!? Dio mio, George! >>

<< E dai. Non ti deluderò, sarò il fidanzato che hai sempre sognato! >>

<< O santo cielo! >>

<< Ah, sei carino così rosso, liebe. >>

<< Se non la smetti di chiamarmi liebe ti strappo gli occhi! >>

<< Ve, attento George, lo fa davvero! >>

<< Fai silenzio tu! >>

<< Ve! >>

<< Non ti azzardare a torcere un capello a Feliciano! >>

<< Tranquillo che il tuo fidanzatino non te lo tocca nessuno. >>

<< Ancora con questa storia!? E smettetela di urlare, ci guardano tutti! >>

<< Se tu quello che ha alzato la voce Lutz. >>

<< Tu. Non. Devi. Proprio. Parlare. Chiaro? >>

<< Perché che fai se no? >>

<< Tu- >>

<< Beilschmidt? >>

I sei si voltarono all’unisono verso il professore, Ludwig ancora più pallido di prima.

<< Ludwig Beilschmidt, potresti fare un breve riassunto del programma studiato fino a questo momento? >>

Ludwig sbatté le palpebre, guardò Feliciano e Kiku, poi suo cugino, poi il professore, e poi di nuovo suo cugino; ebbe l’istinto impellente e a malapena frenabile di mettere le dita attorno al collo di George, soffocarlo lentamente, e utilizzare il suo cadavere come mazza per abbattere Marco e Hidekaz, e poi metterli tutti e tre, vivi o morti che fossero, dentro un barile e gettarli da una cascata alta decine di metri che dava su un corso d’acqua costellato di pietre aguzze contro cui si sarebbero abbattuti sotto il suo sguardo sadicamente divertito; invece, con tremante calma, mormorò un << Ok, >> e cercò di mettersi il più compostamente possibile sulla sedia, mentre cercava di ignorare George e le sue risatine di derisione, nonché il suo sguardo da “ti hanno fottuto, eh?”, << d-da dove comincio? >>

<< Non so… Beilschmidt… Per caso tu e George siete parenti? >>

<< È-È mio cugino. >>

<< Mh, interessante. George, perché non fai tu una domanda a Ludwig? Magari su una parte del vostro programma che non hai capito. >>

Ludwig sussultò veementemente, per poi lanciare un’occhiata di fuoco a suo cugino, che però sembrava star scivolando anche lui nel panico. Infatti, Feliciano non era l’unico che aspettava l’avvicinarsi delle date degli esami per studiare – anzi, diciamo che un buon 99,9% degli studenti adottava questo metodo di studio – e George a malapena ricordava di cosa trattasse il corso di letteratura del Novecento. E adesso si ritrovava a dover fare una domanda al suo vetter su cose di cui neanche ricordava il nome a momenti, e con l’evidente rischio di fare una brutta figura, che non era esattamente tra gli eventi più raccomandabili da fare il primo giorno in una nuova accademia.

Che cosa poteva chiedergli? Aveva ragione, il suo liebe: avrebbe dovuto studiare al passo con le lezioni: neanche ricordava dove erano arrivati col programma! E la sua testa gli stava giocando il brutto scherzo di non partorire nomi di autori del novecento. Come poteva fare? Il professore lo stava guardando, non poteva chiedere neanche aiuto a Marco o a Hidekaz.

<< Ehm, ok, allora… >> George si guardò brevemente attorno, in cerca di qualche appiglio, e notò che Kiku aveva sul banco il libro del corso aperto. Lesse quello che dalla sua posizione poteva vedere, ma il giapponese , accortosene, coprì le pagine buttandocisi sopra; lesse solamente “dan.” “Dan:” chi poteva essere? Forse uno che si chiamava Daniele? O Daniel? Ma ce ne erano troppi che avevano quel nome, e neanche era sicuro che fosse il nome di un autore, tra l’altro. Forse era il cognome? Dan-dan- Dannati? No. Danesi. No. Da-da-da…  Dana- dane- dani- dano- danu- dannu… D’ Annunzio, forse? Poteva essere, effettivamente. Ma c’era nel loro programma? Che figura se avesse detto d’Annunzio, e poi d’Annunzio non l’avevano fatto!

Nel frattempo, Ludwig si disperava, e pregava con tutte le sue forze che George non facesse scherzi. Suo cugino  non poteva sapere che gli ultimi argomenti non gli aveva studiati, ovviamente, ma aveva la strana e inquietante capacità di riuscire sempre, sempre, a farlo finire nei guai peggiori. E se avesse pensato di chiedergli di d’Annunzio? Oh Gott, non poteva neanche pensare alla sua amata media del trenta venire così ignobilmente scalfita! Tutti tranne d’Annunzio! Tutti tranne d’Annunzio!!!

<< Ehm, ragazzi, tutto ok? >>

<< Uh? Ah… ja! >> George sorrise tremante, indeciso sul da farsi; ma alla fine, decise di provarci lo stesso: al massimo, se ne sarebbe uscito con una battuta, << P-Perché non parliamo di d’Annunzio? >>

<< D’Annunzio? Ah, che caso: abbiamo fatto d’Annunzio proprio la scorsa lezione. E vedo che anche voi lo avete fatto da poco. Ok, e che d’Annunzio sia. Ludwig, puoi cominciare quando vuoi... Ludwig tutto bene? >>

<< … J-Ja, >> perfetta media del trenta, auf wiedershen! << be’… D’annunzio fu un autore italiano… Vissuto all’inizio del ventesimo secolo… R-Rimasto f-famoso per le sue opere… E per la sua vita, scandalosa, che… si può… ritrovare anche dentro le sue… opere… >>

George riuscì a stento a trattenere le risate. E così, “herr vollkommenheit” non aveva fatto i compiti a casa! Ben gli stava: era ora che scendesse quel piedistallo del cavolo e facesse anche lui una figura di merda come tutti i cristiani! Non era certo un mistero che sopportava malamente suo cugino, e vederlo così miseramente ridotto a balbettare lo divertiva parecchio: gott, quanto lo odiava, lui e la sua fissa per la perfezione, maledetto! Non lo sopportava, quanto lo odiava.

Lo odiava. Ludwig continuava a parlare, a cercare di tirare fuori un discorso comprensibile dai ricordi della lezione, ma gli era difficile quando tutti i suoi pensieri erano fissi su quel maledetto di suo cugino. Oh, quanto lo odiava. George era la persona più insopportabile del mondo! Erano vent’anni che aveva la sfortuna di conoscerlo, e da vent’anni gli rovinava la vita, e perfino in accademia era riuscito a fargli fare brutta figura! Ma come diavolo era possibile che sapesse che argomenti non aveva fatto?! Aveva visto i suoi appunti?? Era un indovino? Chissà che stava pensano quel maledetto! Sicuramente a nuovi modi per poterlo umiliare!

<< Liebe? >>

<< Eh? >> Marco emise un sospiro carico di frustrazione; ma come era venuto in mente a Feliciano di accettare di cambiare di posto? Oh, questa gliela pagava, e cara anche!

<< Perché non usciamo insieme stasera? >>

<< George, stai attento a quello che dice tuo cugino! >>

<< E dai, tanto ormai la figura di merda l’ha fatta! Pensiamo a cosa fare finite le lezione. >>

<< Gioco dell’uva ognuno a casa sua, George. >>

<< Io proporrei una serata in qualche locale qui vicino. Che dici? >>

<< No. >>

<< Un film al cinema? >>

<< No. >>

<< Una passeggiata romantica sotto la luna? >>

<< No. E stasera hanno dato pioggia. >>

<< Allora la faremo sotto la pioggia. >>

<< Scordatelo. >>

<< Ma voglio passare del tempo solo con te. >>

<< George finiscila! >>

<< E dai! >>

<< No! >>

<< Oh kami, fatela finita! >>

<< Che centro io? Ha cominciato George! >>

<< Anche qui dovete iniziare a fere i piccioncini? >>

<< Ma quali piccioncini, Hidekaz! >>

Ludwig lanciò ai tre un’occhiataccia quando finì quella tortura che era il ripasso su d’Annunzio, mentre Cafkano lo guardava in maniera indecifrabile; dopo aver preso suoi appunti dalla borsa di cuoio scuro e sistemato il proiettore, disse a Ludwig che gli voleva parlare dopo la fine della lezione, per poi iniziare a spiegare Mann.

 

 

Ludwig Beilschmidt impreparato: una notizia che sarebbe passata negli annali della storia dell’accademia, come minimo. E le occhiate, stupite e divertite, degli studenti presenti alla lezione che gli passavano accanto certo non contribuivano a migliorare l’umore nero del tedesco, mentre si dirigeva verso la prossima lezione attraversando gli alti corridoi assieme a Feliciano e Kiku – con suo cugino e i suoi due amici che si tenevano a distanza per confabulare.

<< Ve, dai Ludwig non fare così. Cafkano ha detto che non ti considererà l’intervento di oggi all’esame. Sono sicuro che diceva sul serio, è una persona tanto buona. >>

<< Feliciano-kun ha ragione, non c’è motivo di preoccuparsi. La tua media è rimasta intoccata. >>

<< Ve, dai Ludi, sorridi per me? >> Feliciano si pose davanti al tedesco, e cercò di tirare su gli angoli delle sue labbra. Ludwig non reagì.

<< E dai, mi fa male vederti così triste, ve. >>

<< Ehi Lutz, che lezione hai ade- Che caz- >> George fece appena in tempo ad abbassarsi prima di dover fare un doloroso incontro ravvicinato  con il tomo di matematica avanzata che suo cugino gli aveva tirato mirando alla fronte. << Sheisse, Lutz, sei impazzito?! >>

Ludwig  non rispose, continuando a lanciare fiamme dagli occhi, dirette contro quell’essere con cui condivideva uno sgradito legame di sangue: << Tu! >>

<< Si, io. >>

<< Verflucht zweifelhafter Intelligenz! >>

<< Ehi! Perché te la prendi con me? Sei tu che non avevi studiato! >>

In pochi istanti, nella mente di Ludwig ripassarono tutti i momentacci che aveva passato a causa di suo cugino, dai ravvicinati incontri con la morte agli scherzi di ogni genere subiti. E dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, adesso osava addirittura avere ragione?! Ah, sia maledetto!

Si avvicinò a lui con tutta l’intenzione di defenestrarlo; le sue mani erano già vicine al collo di George, ma prima che potesse afferrarlo e stritolarlo, suo fratello, Francis e Antonio lo afferrarono e lo trascinarono vero l’aula di ingegneria informatica prima che potesse fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.

<< Was!? Da dove sbucate voi tre?! Mollami bruder! >>

<< Nein! Sei già in ritardo! Muoviti! >>

<< Mollami bruder! >> sibilò il tedesco, ancora più rabbioso quando vide suo cugino ridere allegramente per quella scena, << mollami ho detto! Ich schwöre, ich werde dich töten George! Ich werde dich töten! Lassen Sie mich bruder! Lassen Sie mich! >>

Ma Gilbert, nonostante odiasse suo cugino come se non più di suo fratello, dopo il rimprovero ricevuto ieri da suo nonno comprendeva che fare delle scenate avrebbe solamente peggiorato la loro situazione; per questo, non appena aveva incrociato suo fratello nel corridoio e aveva compreso cosa stesse per accadere, non aveva esitato ad afferrare suo fratello per un braccio – con Francis e Antonio a dargli manforte, per fortuna: quando si arrabbiava, Ludwig era incontrollabile – e a trascinarlo verso l’aula sette per la sua lezione.

Dopo che i quattro girarono l’angolo del corridoio, George incrociò le braccia davanti al petto, sorridendo derisoriamente: <idiot. >>

<< Ma che gli è preso, ve? >> si chiese Feliciano, guardando Kiku interrogativamente. Quest’ultimo sospirò amaramente: << Lascia perdere Feliciano-kun, meglio andare a lezione. >>

<< Oh, giusto. >>

<< Che avreste adesso? >> chiese Marco, poggiando il mento sulla spalla di suo cugino.

<< V-Ve i-io ho s-storia d-dell’arte moderna, K-Kiku u-urbanistica. >>

<< Ma guarda il caso. Anche io ho storia dell’arte moderna. Saremo ancora due ore assieme cuginetto. Contento? >>

<< V-Ve? >>

<< Vengo con voi. >>

<< Tu non vai proprio da nessuna parte George! >> disse Marco, puntando il dito contro il petto del tedesco, << tu hai informatica adesso. Vai appresso a tuo cugino. >>

<< Ma non l’hai visto prima? Voleva ammazzarmi! Non è meglio se vengo con te, liebe? >> chiese il tedesco speranzoso, senza rimanere intimidito dallo sguardo dell’altro.

<< No. Già hai una media schifosa, almeno seguile le lezioni. >>

<< E se inizio a seguirle da domani? >>

<< George! >>

<< Va bene va bene. Ma lo faccio solo per te liebe, >> disse George sconsolatamente, per poi avvicinare il volto a quello di Marco e mormorare a pochi millimetri dalle sue labbra, << per un bacio, potrei anche non romperti più le scatole per il resto della giornata. Che dici? >>

Marco sorrise mellifluo, posò una mano sul petto dell’altro e la fece lentamente scendere fin sul pacco dei pantaloni del tedesco; ma questi non ebbe neanche tempo di dire << Ah. >> che subito la mano strinse con forza tale che George si ritrovò in ginocchio con un dolore lancinante in mezzo alle gambe.

<< Vai a dar frutto a tutti quei soldi che Siegfried investe per la tua istruzione, coglione. >> disse Marco, per poi afferrare Feliciano per un braccio e costringerlo a portarlo a lezione, ignorando i suoi piagnistei e le sue richieste di grazia da una non meglio comprensibile esecuzione; George si rialzò dopo qualche istante, per poi raggiungere suo cugino nell’aula di informatica zoppicando visibilmente, lasciando da soli i due cugini giapponesi.

<< Kiku. >>

<< H-Hai? >> Kiku si mise sull’attenti, osservando l’altro con timore.

<< Dov’è l’aula di fondamenti di fisica? >>

<< Uh? M-Ma non fai anche tu architettura, Hidekaz? >>

<< Al contrario degli scansafatiche come te, io mi sono portato avanti con gli esami. Urbanistica l’ho passata l’altro semestre con il massimo dei voti. >>

<< Ah, wakatta. >> mormorò Kiku, abbattuto, << comunque, se non ricordo male, fondamenti di fisica per architettura viene fatta nell’edificio qui accanto, sulla destra: secondo piano, terza porta a sinistra dell’ascensore. >>

Kiku fece per andarsene, ma Hidekaz lo afferrò per la collottola e lo trascinò fuori dall’edificio.

<< Ah? H-Hidekaz? >>

<< Muoviti Kiku! Devi accompagnarmi. >>

<< Uh? >>

<< Pensi che le informazioni che mi hai dato possano essermi utili? Baka! Forza, accompagnami. >>

<< M-Ma ho lezione! Il professore di urbanistica chiude le porte dopo dieci minuti che inizia la lezione, non potrò più entrare. >>

<< Allora facciamo in fretta, no? >>

<< M-Ma- >> Kiku provò a protestare, ma si irrigidì quando vide lo sguardo rossastro di Hidekaz puntato su di lui; deglutì a fatica, e alla fine si decise ad accontentare suo cugino, conscio che ormai la lezione di urbanistica del giorno l’avrebbe saltata.

 

 

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verflucht zweifelhafter Intelligenz =maledetto essere di dubbia intelligenza

Ich schwöre, ich werde dich töten = Giuro, io ti ammazzo!

lassen Sie mich = lasciami

 

 

 

 

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