Estupida en amor

di ClaireCarriedo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prólogo ***
Capitolo 2: *** 1 - Aùn es demasiado pronto ***
Capitolo 3: *** 2 - Nunca un instante de paz ***
Capitolo 4: *** 3 - Es un corazón rabioso ***



Capitolo 1
*** Prólogo ***


PRÓLOGO

 

 

«Fidarsi degli uomini è già farsi uccidere un po’.»
Louis Ferdinand Cèline

 

 

 

Maggio.
Il sole splendeva per le vie di Barcelona. Le sfumature vivaci della città erano illuminate all'inverosimile facendo sembrare le strade come vigorose pennellate di colore.

A questo Raquel stava pensando mentre faceva scorrere i propri occhi lungo Plaza Catalunya.
Eldora aveva insistito per fare una passeggiata da quelle parti. Era uso della ragazza trascinare l'amica in quel posto quando le voleva dire qualcosa di importante, ma ancora non si era arrivati al discorso vero e proprio, cosa che stava pian piano facendo innervosire la curiosa Raquel.
«... e poi l'ho fulminata con lo sguardo e si è totalmente zittita.»
Entrambe scoppiarono a ridere immaginando la scena, ma ancora non si parlava seriamente, per questo la bionda prese la parola non riuscendo più ad aspettare oltre.
«Ok, ma adesso dimmi perchè mi hai portata qua! È da mezz'ora che rimandi.»
«Hai ragione, scusami.»
Nonostante questo la ragazza non iniziò affatto a parlare chiaramente, anzi rimase in religioso silenzio per qualche altro minuto, guardando davanti a lei con l'espressione di chi aveva un gran rospo da mandare giù e nessun modo per addolcire il boccone.
«Eldora!»
«Si, si! Perdonami.»
Detto questo smise di camminare e si girò in direzione dell'amica.
«Non trovo un modo giusto per dirtelo, non vorrei che iniziassi a dare in escandescenza, ma non riesco più a tenere questo pensiero per me.»
«Mi stai preoccupando...»
«Ma non devi! O meglio... ecco.» scosse la testa facendo scivolare una mano lungo il viso «Ok, per cominciare: dove hai detto che si trova Hector in questo periodo?»
«A Bochum. Perchè me lo chiedi?»
Raquel si stava seriamente preccupando, forse era successo qualcosa al proprio compagno e lei non sapeva nulla. Perchè Eldora esitava così tanto?
«Sicura?»
«Si! Per favore, parla con chiarezza!»
«Certo, ne hai tutto il diritto. Ecco, Raquel, è da un po' che ci penso ma, non ti è mai venuto alcun tipo di dubbio? Voglio dire...» si avvicinò alla bionda prendendole le mani stringendole forte tra le sue «... lui è così spesso fuori per lavoro mentre ti lascia qui ad aspettarlo. So che ti fidi di lui, ma io no.»
L'amica rise teneramente guardando l'altra. La notizia non l'aveva turbata per niente, ma capiva la preoccupazione di Eldora.
Hector andava spesso all'estero per alcuni meeting di lavoro, certo lei avrebbe preferito vederlo un po' di più, saperlo più presente, ma si fidava di lui.
«È ovvio che non mi piaccia l'idea che lui stia via così tante volte, ma se non mi fido di lui in questa situazione, come posso sperare che faccia la stessa cosa con me?»
«Si, ma lui è fin troppo bello e ben poco presente per raccontarmela giusta. Ti fa troppi regali, come se avesse qualcosa da nascondere e tra l'altro ti chiama così di rado! Lo sai che lo dico per te, non vorrei che ti spezzasse il cuore.»
«È molto dolce da parte tua, lo apprezzo davvero. Ma ancora una volta: mi fido di lui.»
Eldora tornò per qualche frazione di secondo la classica donna sarcastica che Raquel ammirava tanto.
«Per me ti sei bevuta il cervello, condito con tutto l'amore che provi.»
«Grazie, eh.» arricciò di conseguenza il naso, facendo una smorfia divertita ma al contempo infastidita.
Non era un mistero che le proprie amiche non apprezzassero affatto il modo in cui si era sviluppata la relazione tra lei ed Hector. Fin dall'inizio avevano manifestato il loro disappunto facendole notare anche il più piccolo sbaglio da parte dell'uomo.
Raquel le capiva davvero, ma per una volta che si era innamorata seriamente avrebbe preferito venir appoggiata dalle persone alla quale teneva di più.
In ogni caso, lasciò che il discorso sfumasse, nonostante notasse ancora il turbamento dell'amica.
Ricominciarono quindi a passeggiare riprendendo a chiacchierare di cattive conoscenze.

 

 

Quella stessa sera aveva optato per una scialba insalatina. Il suo frigo era quasi vuoto e non aveva proprio pensato a fare la spesa prima di tornare.
La casa era così silenziosa, gli unici rumori che riusciva a sentire erano il ticchettare dell'orologio alla parete ed il proprio masticare.
Nonostante tenesse il cellulare accanto al piatto sapeva che nessuno l'avrebbe chiamata. Questo le fece pensare alle parole pronunciate da Eldora la mattina.
L'amica non aveva tutti i torti, Hector la chiamava molto poco e quando lo faceva le diceva che si era intrattenuto ad una delle tante serate tra colleghi e si scusava per non essersi fatto sentire.
Raquel sapeva di essere, forse, fin troppo accecata dall'amore per lui ma la loro storia era stata una ventata talmente fresca nella sua vita, che non voleva vederla sgretolarsi per niente.
Alla fine Eldora era riuscita a metterle “la pulce nell'orecchio” e quella cena solitaria stava diventando più pesante del solito.

Per questo decise di abbandonare il piatto, ancora mezzo pieno e di affondare con il sedere sul proprio divano. Forse guardare la televisione l'avrebbe aiutata a non pensarci.
Si dovette ricredere nello stesso momento in cui accese la tv.
Il primo canale che vide parlava di tradimenti scoperti in diretta mondiale. Zap. Nel secondo canale trovò una fiction: una donna sulla trentina stava piangendo disperatamente perchè il proprio uomo era scappato con un'altra. Zap. Nel terzo canale due giovani elencavano tutti i problemi che si possono riscontrare in una relazione a distanza. Zap.
La situazione si protrasse per almeno un'altra decina di canali, tanto che alla fine Raquel decise di spegnere il televisore lanciando il telecomando in aria facendo uno sbuffo irritato.
«Decisamente di poco aiuto!»
Il cellulare era rimasto sulla tavola della cucina, l'abitudine l'avrebbe fatta alzare ed andare a recuperarlo per vedere se lui l'avesse cercata anche se sapeva che sul dispay non avrebbe trovato proprio nulla.
«Mi mancava solo Eldora e il suo dubbio...»
Non che lei non ci avesse mai pensato, ma si fidava di lui, dell'amore che provava per lei e l'affetto che le dimostrava.
Raquel e Hector si conobbero due anni prima in museo d'arte contemporanea e design.
Lui era lì per lavoro, doveva concludere un affare per l'utilizzo di alcuni oggetti esposti e diffonderli sul mercato; lei era lì in quanto rappresentate (insieme ad Eldora) della Gìron Graphics.
Uno sguardo, un sorriso timido, lui le si era avvicinanto azzardando un discorso serio riguardo ad un paio di arancie di plastica attaccate ad una tela bianca, le aveva porto un bicchiere di spumante ed avevano continuato a commentare alcuni dei quadri fino a quando lei non si era dovuta allontanare.
Si videro di nuovo all'uscita e finalmente si presentarono. Raquel ricordava quel momemento come infinitamente imbarazzante, perchè i due avevano parlato molto ma fino a quel preciso attimo non sapevano il nome l'uno dell'altro.
Hector l'aveva colpita moltissimo e all'istante: alto, un fisico allenato ma non eccessivamente, i capelli neri con qualche spruzzata di bianco qua e là, la barba curata che gli copriva il viso e quei grandi e profondi occhi scuri.
Da quella sera si videro altre numerose volte fino a fatidico giorno in cui lui – nel tentativo di farla tacere per qualche secondo – l'aveva baciata appassionatamente sotto la pallida luce della luna spagnola.
Con questo bel ricordo (a discapito dei brutti pensieri alimentati dai dubbi dell'amica) se ne andò a dormire cercando di non pensare oltre e tornare, almeno mentalmente, alla tranquillità che l'aveva sempre circondata.


Il giorno seguente svolse ogni suo compito nella completa routine. Persino la chiamata di Hector fu precisa come un orologio svizzero: a mezzogiorno spaccato.
Non gli fece domande riguardanti la sera prima, anche se sotto sotto avrebbe tanto voluto sapere. Era troppo discreta e il terrore di passare per la ragazza ossessiva le bloccava ogni tipo di “scenata”.
Ovviamente dopo quella chiacchierata non ce ne furono altre. Sapeva che lo avrebbe risentito solamente il giorno seguente.
Era appena arrivata sul pianerottolo di casa quando si rese conto di non aver fatto, di nuovo, la spesa. O si concedeva un'altra insulsa insalata, o andava a prendere qualcosa d'asporto.
Optò per la seconda scelta e velocemente scese dal palazzo e raggiunse la propria macchina.

«Mh. Speriamo solo di ritrovare posto.»
Il suo quartiere non era certo molto affollato ma si trovava comunque accanto ad un pub piuttosto frequentato, quindi non si sarebbe stupita se al proprio ritorno non avrebbe trovato posto per l'auto e si sarebbe dovuta arrangiare di un qualche inutile spazio lontano da casa.
La sua destinazione era il ristorante “La Belle Cousine”, a discapito del nome il luogo non era poi così raffinato e tanto meno di cucina francese, ma di sicuro faceva la miglior paella di verdure d'asporto.
Parcheggiò accanto al marciapiede ad una decina di metri dall'entrata, il tempo di chiudere la macchina e si avviò a passo allegro verso la porta d'ingresso.
Aveva scoperto quel ristorante proprio insieme ad Hector, ce l'aveva portata un paio di volte all'inizio della loro relazione quando erano talmente affiatati da far invidia anche agli adolescenti. Era quella fase dove lui faceva di tutto per sembrare molto più giovane ed indipendente dei suoi trentotto anni nella speranza di fare bella figura su Raquel che all'epoca ne aveva soltanto venticinque. La distanza di età tra loro era enorme, ma sin dall'inizio non era mai stata un problema.
Una volta dentro il ristorante si avvicinò alla cassa ed il primo cameriere libero le prestò la dovuta attenzione.
«Mangia qui o porta via?»
«Porto via, posso avere il menù?» come se le fosse servito! Sapeva già perfettamente cosa prendere, però le piaceva sbirciare i nomi di altri piatti, magari avrebbe preso “coraggio” ed avrebbe cambiato idea.
Il cameriere le mostrò un ampio sorriso e le porse immediamente uno dei menù prima di sparire per qualche minuto.
Prese a sfogliare distrattamente le pagine fino a trovare quella dove veniva descritta la famosa paella alle verdure. Constatò con soddisfazione che fosse sempre lì al suo posto. Poco più sotto c'era il nome di una succulenta frittura di terra che la fece entrare in difficoltà su cosa prendere per cena.
Alzò lo sguardo dal menù cercando di riflettere cosa era meglio scegliere, nessuno dei due piatti sarebbe risultato un toccasana per la salute ma... Proprio nel momento in cui stava prendendo la propria decisione vide ciò che le disintegrò il cuore in mille pezzettini.
Hector, proprio lui. Sorridente ed ignaro di tutto teneva tra le braccia una mora tutta curve altrettanto allegra.
Baci casti e baci passionali si susseguivano tra un sorso di vino e l'altro. Ognuno di questi era una stilettata al petto di Raquel che nel frattempo era rimasta impietrita sul posto.
Lo fissava insistentemente come a volersi convincere che quello non era il suo uomo, non era la persona che sarebbe dovuta essere in Germania per affari. Peccato che, quando lui si girò accorgendosi di lei, non ebbe più alcun tipo di dubbio.
«Signora, allora, cosa prende?»
Raquel si girò verso il cameriere, lo guardò per un attimo spaesata e poi chiuse il menù che aveva tra le mani.
«Niente.» disse a voce totalmente calma e controllata.
Uscì a passo pesante dal luogo incurante dell'occhiataccia che il ragazzo le aveva appena lanciato.
Si sentiva la testa pesante, il petto le faceva male come se fosse sull'orlo di piangere e singhiozzare in modo incontrollato.
Aveva fatto si e no una decina di passi sul marciapiede quando la voce di Hector la raggiunse facendole tremare le gambe dalla rabbia.
«Posso spiegarti, Raquel!»
Lei si girò, lo guardò ma non riuscì a parlare.
«So quello che stai pensando, ma ho una spie-...»
«Sta zitto.» la sua voce era ancora calma, nonostante avrebbe tanto voluto urlargli contro.
«Per favore fammi parl-...»
«No. Non c'è niente che tu possa dire che cambierà quello che visto.» allungò una mano ad indicare il ristorante «Bochum deve aver proprio delle gran belle tette! Non sapevo che la Germania fosse così piena di curve.»
Hector taceva. Era giusto così! Era nel torto! Non doveva provare nemmeno a rivolgerle la parola! Se solo avesse ascoltato Eldora prima. Possibile che fosse stata tanto cieca?
«Non ti voglio più vedere.»
«Stai facendo la ragazzina! Ho sbagliato, ma lasciami rimediare.» fece qualche passo avanti, nel tentantivo di raggiungere Raquel, ma lei si allontanò camminando all'indietro.
«Scordatelo. Torna dalla tua Germania!» detto questo, si girò di scatto ed iniziò a camminare più velocemente verso la macchina.
Non sapeva se l'uomo l'avrebbe seguita oppure se avesse ascoltato il suo ordine di tornarsene da dove era venuto, non le importava, era talmente arrabbiata, tanto che nel tentativo di aprire la macchina le chiavi le caddero di mano almeno un paio di volte, ognuna susseguita da un'imprecazione.
Nessuna lacrima, non ancora. Aspettò di essere in casa propria, di aver sbarrato la porta, essercisi appoggiata con le spalle e scivolata sopra fino a finire con il sedere a terra. Tutta la rabbia e la tristezza la colsero in una sola volta facendola singhiozzare rumorosamente con la faccia appoggiata alle ginocchia.

 

Verso le tre del mattino, dopo aver messo a soqquadro tutta casa, scese di nuovo sulla strada mentre in mano teneva una scatola in cui aveva – letteralmente – lanciato tutti i regali che Hector le aveva fatto.
Era passata dalla fase di tristezza a quella di rabbia totale.

Si avvicinò ad un secchione dell'immondizia e premette con il pedale affinchè si spalancasse. Guardò un'ultima volta tutti quei piccoli oggetti che per lei erano stati preziosi tesori.
La collana che le aveva regalato per il primo compleanno passato insieme, i biglietti del loro primo viaggio all'estero e così via...
Le lacrime tornarono a percorrere le sue guancie ma nessun singhiozzo le spezzò il respiro.
«Se ti ha fatto tanto male, perchè non lanci addosso a lui quei regali?»
Quelle parole la scosserò un po' dal proprio momento di autocommiserazione e le fece voltare il viso fino ad incrociare la figura di un'anziana signora.
Da come erano ridotti i suoi vestiti, la matassa di capelli arruffati bianchi e neri che le copriva la testa e il palese scarso igiene personale, dedusse che doveva essere una senza tetto.
«Come scusi?» chiese, allonatando il piede dal secchione e facendolo richiudere mentre con una mano si asciugava il viso.
«Ho visto che piangevi ed ho capito che ti deve essere successo qualcosa con il ragazzo.»
Però! La donna ci vedeva lungo, o forse aveva solo adocchiato quello che Raquel aveva messo nella scatola.
«È così evidente?»
«Non è che se ne vedano molto di ragazze affrante qua intorno. Quelli sono i regali che ti ha fatto, no?»
Sì, la vecchia doveva aver decisamente allungato l'occhio verso il contenuto della scatola. La cosa in un certo senso la turbò, ma ben presto le divenne molto utile.
«Li vuole? Altrimenti li butto.»
«Pure che li butti, chi ti fa credere che non proverò a recuperlarli dal secchione. Da' qua.»
E con questo allungò il tutto verso l'anziana signora, che arraffò il bottino quasi leccandosi i baffi – e ne aveva.
Raquel pensò che fosse la cosa giusta da fare. Alcune cose là dentro avevano valore e buttarle sarebbe stato uno spreco. Almeno così poteva dire di aver la coscienza pulita.
«Fattelo dire da una che ha vissuto pure troppo: quello lì non c'ha capito nulla! Qualsiasi cosa ti abbia fatto.»
Con quell'ultima frase la donna si allontanò e sparì così come era apparsa. La ragazza rimase per qualche attimo ad osservarla mentre se ne andava, riflettendo su quelli che sarebbero stati i suoi giorni di lì in poi.
Non ci sarebbe stata più alcuna chiamata a mezzogiorno, ma almeno la cosa positiva era che non avrebbe dovuto ascoltare altre bugie.
Si strinse tra le braccia e si incamminò di nuovo verso il palazzo, fino a raggiungere casa propria.
Entrò, andò verso il frigo e sbuffò.
«Domani, porca miseria, devo fare assolutamente la spesa!»

 

_____

Angolino dell'autrice:

Salve!!!
Spero che questo prologo vi abbia incuriosito abbastanza dal voler aspettare il primo capitolo (da lì in poi, la storia, sarà narrata completamente dal punto di vista di Raquel, in prima persona).
Non vi scoraggiate! So che al momento c'è veramente poco da ridere, ma la storia si deve evolvere! Questo è un passaggio importante, quello che porterà ad altre vicende sicuramente più allegre.

Sarei felice di avere una vostra prima opinione, qualche critica (seria). Per quanto io possa aver riletto questo pezzo ci sarà sicuramente qualche errore che mi è sfuggito. Magari è stupida come cosa, ma fatemelo notare! Anche mandando semplicemente un messaggio.

Se non mi vengono fatti notare gli errori, come posso correggerli?


Per ogni tipo di contatto diretto con me potete aggiungermi sul profilo facebook: https://www.facebook.com/clairecarriedo.efp?ref=tn_tnmn

Oppure mettere un bel “mi piace” alla mia pagina personale (dove tra l'altro pubblicherò i presta volto di tuuuuuuuutti i personaggi! Persino delle comparse di un capitolo!): https://www.facebook.com/pages/-Soy-ciego-y-nada-s%C3%A9-pero-preveo-que-son-m%C3%A1s-los-caminos-/416108975143232?fref=ts


Detto questo, vi saluto!

Pace e amore
Claire~

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Capitolo 2
*** 1 - Aùn es demasiado pronto ***


AÚN ES DEMASIADO PRONTO

Capitolo 1

 

«Le amicizie vere sono quelle basate sul sentimento; l'amico non giudica, comprende.»

Aldo Fegatelli

 

 

 

È poi così difficile riprendere la vecchia vita dopo due anni di relazione buttati al vento?
Avevo sempre pensato che fosse una bezzecola, una cosa da niente, ma forse lo credevo perchè ci dovevo ancora passare. Certo non erano trascorsi poi così tanti giorni da quella fatidica sera in cui la Germania aveva improvvisamente preso vita avvinghiandosi a quello che era il mio uomo, ma credevo che almeno dopo una settimana ci avrei potuto fare l'abitudine. Forse la colpa era di Hector che nonostante la vicenda continuava a chiamarmi, ovviamente senza ricevere alcuna risposta da parte mia. Oppure avrei dovuto dire tutto ad Eldora? Magari mi sarei tolta quel peso di dosso.
Eppure non ce la facevo, anche se sapevo che lei non mi avrebbe mai giudicata e non sarebbe mai uscita fuori con il classico “Te l'avevo detto!”.
Era più forte di me e sapevo di sbagliare.

Ad ogni modo quella giornata stava risultando più pensante del solito. Appena arrivai in ufficio non feci nemmeno in tempo a sedermi sullo sgabello di fronte al tavolo da lavoro, che immediatamente quell'odiosa di Carmen sbucò alla porta rifilandomi una commissione per la creazione di un'insegna.
«Deve essere pronta per la prossima settimana!» disse, con quella sua vocina sottile e fastidiosa.
«Ma questo non sarebbe compito tuo?»
«Eh, ma io ho un impegno.»
Per un istante rimasi a guardare quella “donnaccia” con fare interdetto.
«Ok.»
Poi risolsi la faccenda con quel misero monosillabo pur di non doverla ascoltare ulteriormente mentre giustificava la sua pigrizia. In quel momento avrei voluto tanto dirle che quella commissione se la poteva infilare in un posto dove il sole non batte mai, ma mi trattenni tirando fuori il cellulare dalla borsa, cancellando le ultime chiamate perse di Hector e prendendo un foglio per iniziare con qualche schizzo.
Se ne andò molto velocemente, forse aveva intuito cosa mi passava per la testa.
Nel momento in cui lei lasciò la stanza la sua presenza venne rimpiazzata da quella di Eldora.
Potevo anche non avere il miglior umore del mondo, ma la sua compagnia mi faceva sempre piacere.
Lavoravamo entrambe alla Gìron Grapichs da almeno tre anni, fu proprio quello il posto in cui ci conoscemmo e dove scoprimmo la nostra comune fissazione per i fumetti. Eldora fu la prima persona in assoluto alla quale parlai delle miei passioni senza essere presa per una bambocciona di ventiquattro anni (era l'età che avevo il giorno in cui la incontrai) che ancora si divertiva con passatempi da adolscente.
«Buongiorno!!»
Beata lei che aveva tutta quell'allegria.
« 'Giorno!» dissi, sforzandomi di mostrare un misero sorriso. Forse la stavo facendo troppo lunga. Avrei dovuto smetterla di piangermi addosso, o meglio, di fare la depressa cronica.
«Non dirmelo: Carmen ti ha lasciato la sua commissione.»
«Jackpot!» dissi, muovendo la mano, con stretta la matita, verso l'alto.
«Potevi tirarglielo.»
«Avrei potuto in effetti, ma non avevo voglia di discutere.» ammiccai, tornando per un po' con il naso e la concentrazione sul foglio che avevo appoggiato sul tavolo, iniziando a tracciare qualche linea guida.
« Se Herrero sapes-... »
In quel momento il mio cellulare prese a squillare di nuovo. Posai lo sguardo sul display e non mi stupii affatto nel notare il nome di Hector, per questo ignorai la chiamata lasciandolo squillare.
Sentii Eldora avvicinarsi e sbirciare.
«Raquel, il telefono. Sei diventata sorda?»
«Lascia stare.» mossi una mano in aria, provando a continuare il mio lavoro.
Non avrei immaginato di vederle prendere il cellulare e rispondere al posto mio. Quando accettò la chiamata, fu come se il mio cuore si tuffasse dentro lo stomaco e sgranai gli occhi fissandola.
«Certo, ora te la passo. È Hector dice che è imp-...»
Come mi porse il telefono in uno scatto lo presi, chiusi la chiamata e lo posai dalla parte opposta a dove stava Eldora.
Di certo non potevo aspettarmi che, data la mossa che avevo appena compiuto, lei non mi avrebbe chiesto nulla.
«Tutto ok?»
«Perfettamente...»
«Non si direbbe. Avete litigato?»
«No.»
In effetti quello tra me ed Hector non era stato un vero e proprio litigio. Per lo più avevo parlato io e gli avevo carinamente detto di sparire.
Ovviamente questo Eldora non poteva saperlo, infatti continuava a guardarmi perplessa mentre io cercavo in ogni modo di ignorarla. Ma non era così facile, tanto che mi trovai a marcare più pesantemente le linee sul foglio da disegno.
«E allora cosa è succeso? Per poco non dividi il cellulare a metà.»
«Assolutamente nulla! Non è successo nulla.»
«Sei certa? Da come hai attaccato si direbbe che te ne abbia fatta una gro-...»
La punta della matita si spezzò sotto la pressione che stavo esercitando sulla mina. Bucai anche il foglio.
Rientrare nel discorso in quel modo mi stava facendo arrabbire incredibilmente. Eldora non lo faceva in cattiva fede, ma io non ero del morale giusto.
«Perchè non mi lasci in pace, invece!?» esordii, alzando appena la voce, lasciando la matita e portandomi le mani alle tempie. Era un gesto di completa disperazione, odiavo ripensarci. Ed odiavo lui!
«Stai calmina, però.»
L'avevo offesa. Avrei dovuto pensare prima di cacciarla in quel modo.
I passi della mia amica divennero veloci e nervosi mentre si avviava verso l'uscita, ma quando fu alla soglia la fermai, passandomi una mano tra i capelli.
«Aspetta...»
«Ti sto lasciando in pace, proprio come desideri.» disse con evidente fastidio.
Ero stata proprio maleducata nei suoi confronti, lei che invece si era preoccupata per me ed aveva solo chiesto una spiegazione.
«Scusa, non ti volevo rispondere in quel modo.»
Si riavvicinò a me, portandosi le mani alla vita. Mi stava guardando con il suo classico modo del: “Fantastico, ora sputa il rospo.”.
Quindi iniziai a dirle tutto quello che era successo. Era la mia migliore amica, l'unica con la quale mi sarei potuta sfogare liberamente.
«L'altra settimana l'ho beccato con un'altra.»
«Mh!? Ma non era in Germania?»
«Lo pensavo anche io, invece l'ho beccato alla “Belle Cousine” con una tipa addosso.»
Per un attimo sentii di nuovo il naso che cominciava pizzicare come se fossi sull'orlo delle lacrime. Ma non potevo piangere ancora e le ricacciai da dove erano arrivate.
«Raqui... mi dispiace tanto.»
«A me dispiace non averti dato retta.»
«Beh, mi avevi detto che ti fidavi di lui, io mi fido di te... era un trenino di fiducia. Peccato che si sia fermato ad Hector.»
«Trenino di fiducia...» ripetei sogghignando.
Questo mi fece ridere, molto meglio di stupide lacrime. Era il bello di parlare con Eldora, in un modo o nell'altro mi faceva tornare il sorriso, senza forzarmi.
Il cellulare iniziò a squillare di nuovo ed entrambe posammo lo sguardo su l'oggetto. Avrei dovuto ingnorare ancora la chiamata oppure rispondere?
Ingenuamente presi il telefono tra le mani ed accettai. Rivelare tutto alla mia amica mi aveva fatto tornare un po' più me stessa e decisi che era il momento di mettere un punto di conclusione definitivo.
«Finiscila di chiamarmi. La tua voce è l'ultima cosa che voglio sentire. Sparisci dalla mia vita. Grazie!» dissi, in tono perentorio.
Non gli feci emettere alcun tipo di suono perchè non mi interessava ascoltarlo.
«Brava, Raquel!» disse Eldora, stringendomi le spalle con le mani.
Le sorrisi con un velo di malinconia, ma era comunque un espressione sincera. Sapere che ci sarebbe stato sempre qualcuno che avrebbe tifato per me mi risollevava il morale in modo incredibile.
«Ora ti lascio, che devo lavorare anche io. Spegni il cellulare. Ci vediamo dopo.»
«Sarà fatto.»
La salutai con un gesto militare e tornai a concentrami sul foglio che avevo involontariamente bucato con la mina della matita.
Lo guardai per un po', poi lo accortocciai e lo buttai nel cesto. Ne presi un'altro e rimasi a fissare anche quest'ultimo.
Davvero pensavo di aver dato una conclusione seria con quella semplice frase? Sembrava tutto così semplice, come se non ci fosse stato mai nulla.
Fu quel pensiero che mi portò a guardare la mia stessa figura nel piccolo specchietto che avevo attaccato al muro. Non avevo niente di diverso, certo la mia espressione non era delle più idilliache, ma non avevo occhiaie, non avevo il viso scavato e tanto meno i capelli sconvolti – o almeno non più del solito.
Quindi quali erano stati i cambiamenti da quella fine? Sentivo tanta rabbia dentro, ma rimaneva lì e non usciva.
Qualsiasi fosse il motivo per cui non riuscivo ad esternare tutta la tristezza che provavo, mi misi a disegnare.
Abbandonai momentaneamente il progetto che avrei dovuto portare a termine e presi a tracciare la sagoma di una donnina che finì per somigliarmi in qualche modo: capelli lunghi e biondi, piccolina di statura e vestita con le prime cose che l'armadio le aveva letteramente lanciato addosso.
Più la caratterizzavo aggiungendo i particolari della maglia, le ombre e anche un'ambientazione, più mi resi conto di quanto mi stavo rilassando, come se il perseverare in quel disegno mi stesse svuotando a mano a mano da quei sentimenti repressi.


Passai parte della mia giornata a creare bozzetti su questo nuovo personaggio venuto fuori dal caso. Le diedi anche un nome “Ramòna (Rami) Javier”.
Quando, all'ora di pranzo, decisi di mettermi a lavorare seriamente alla famigerata commissione, mi trovai serena e soddisfatta tanto che ebbi subito un paio di idee per l'insegna che era stata richiesta.

Il cellulare – spento – rimase accanto ai fogli per tutto il tempo, non lo degnai nemmeno di uno sguardo, come se Hector mi avesse potuta vedere attraverso quell'aggeggio.


Rimisi tutte le mie cose in borsa e presi una cartellina dove poter infilare i bozzetti di “Rami”.
Ormai la giornata di lavoro era finita e, nonostante sapessi che a casa non mi stava aspettando nessuno, desideravo ardentemente tornare e piazzarmi davanti alla tv con un bel barattolo di gelato.

Non feci in tempo a pensare questo che Eldora mi si piazzò davanti con fare molto allegro.
«Stasera andiamo al pub.»
La guardai, apatica, prima di alzare le spalle.
«Buon divertimento, allora. »
«No, no. Forse non hai capito: vieni anche tu.»
Non riuscii a trattenere una risata fragorosa, con tanto di lacrimuccia, mentre superavo la sua figura con la borsa in spalla e la cartellina sottobraccio.
Eldora non era una donna da mezze misure, ed in ogni caso l'amicizia che ci univa le dava in qualche modo il permesso di fare certe cose: prese al volo la mia maglietta ed iniziò a tirarla per farmi tornare indietro, azione che compii subito pur di non strappare la maglia.
«Non hai scelta.» disse, alzando un sopracciglio e gli occhi chiusi.
«Ho il diritto ad una giustificazione?»
«No.»
«Questo significa che ti troverò alla porta di casa mia pronta a trascinarmi via anche fossi in pigiama, il trucco fino al mento e i capelli dritti come un cacatua?» dissi tutto di un fiato.
«Precisamente.»
«Sono fottuta.»
«In modo pauroso.»
Il nostro botta e risposta avvenne in meno di trenta secondi, alla fine dei quali un ghigno mefistofelico percorse le labbra della mia amica.
«Alle 10 ti vengo a prendere.»
Detto questo, mi superò e se ne andò prima di me.
Trovai la cosa molto affascinante, di sicuro aveva fatto così per non darmi la possibilità di controbattere.
Ed io che volevo rimanere nella mia umile dimora ad ingozzarmi di zuccheri artificiali.


Alle 10 spaccate il campanello di casa iniziò a suonare in modo ininterrotto e quando andai ad aprire trovai Eldora, accompagnata da Verdad e Freira, intenta a pigiare il suo maledettissimo ditino contro il pulsante del citofono.
«No, ma io ti ringrazio per avermi distrutto i timpani.» dissi, a mo' di riprovero ma con tono scherzoso mentre le scansavo delicatamente la mano dal bottone.

«Ti prego dimmi che non ha intenzione di uscire in quel modo!»
A quella frase non potei far altro che abbassare lo sguardo sui miei vestiti non riuscendo a capire cosa ci fosse di male in un paio di jeans ed una maglietta.
«Meglio in pigiama?»
Alzai quindi lo sguardo sulla mia amica inziando a fissarla con un sopracciglio alzato.
«... No, no. Così è perfetto.» Eldora si rimangiò tutto, avendo capito dal mio sguardo che non avevo intenzione di tornare in casa e cambiarmi.

 

Il tempo di chiudere la porta e ci ritrovammo tutte e quattro in macchina a cantare – nel nostro tedesco improvvisato – Du Hast dei Rammstein.
Era uno dei pochi gruppi che sentivamo con piacere tutte insieme ed effettivamente Freira, Verdad ed Eldora sarebbero potute passare per darkettone date le loro chiome nere e il look che spesso e volentieri sfoggiavano.
A volte stare in mezzo a loro mi faceva sentire come un canarino tra tre corvi. Avrei potuto far parte di quel terzetto nero se l'ultimo anno del liceo non avessi deciso di farmi completamente bionda, ma amavo troppo la mia chioma per tornare indietro.
Ad ogni modo loro erano la migliore compagnia che avessi mai potuto trovare.
Verdad, chiamata da noi esclusivamente “La Spagnolese” date le origini giapponesi di sua madre, l'avevo incontrata durante un servizio fotografico per la pubblicizzazione di alcuni prodotti dell'azienda per cui lavoravo. Nella stessa sede conobbi anche Freira ed il nostro gruppetto nacque in automatico.
«Oh! Questa canzone è perfetta per te!»
«Il tuo tatto è disarmante, Verdad.»
Fortunamente fu Eldora a riprenderla al posto mio, anche perchè non avrei risposto delle mie azioni. Involontariamente avrei potuto rispondere in modo anche più cattivo, magari offendendo la mia amica proprio come era capitato quella mattina con El.
Il viaggio fino al pub fu relativamente corto e, non appena parcheggiammo, sentii il bisogno di uscire dall'auto e prendere una gran boccata d'aria. Mi resi conto che Ver non aveva tutti i torti, quella canzone calzava abbastanza bene sulla mia situazione. L'unica cosa positiva era che almeno Hector aveva avuto la decenza di non chiedermi di sposarlo.
Entrammo nel locale ed una cameriera si fece subito avanti per chiedere quante fossimo e per accompagnarci ad un tavolo libero.
Una volta sedute ed aperti i menù, iniziammo a discutere sul cosa prendere o meno.
«E se mi prendessi una crêpe alla nutella?» disse Eldora, con fare entusiasta.
«Ce la dividiamo?» Verdad era sempre pronta a cogliere l'occasione per abbuffarsi senza sentirsi troppo in colpa con la dieta.
«Mh... ci sto! Però io mi prendo anche un cocktail.»
«Io mi prendo un Blue Moon!»
Anche Freira aveva scelto cosa prendere, l'unica che ancora non sapeva che pesci pigliare ero io. Fissavo i nomi sul menù non riuscendo a trovare qualcosa che mi attirasse davvero. Era la prima volta che rimanevo l'ultima, di solito questo compito era della Spagnolese che riusciva a decidersi solo dopo l'arrivo del cameriere.
«Raqui, te cosa prendi?»
«Non ne ho la minima idea...» ammisi, scuotendo il capo, mentre i miei occhi erano ancora incollati alle pagine plastificate del menù.
In quel preciso istante il famigerato cameriere (un ragazzo che doveva avere all'incirca trenta anni) si avvicinò al nostro tavolo, pronto a prendere le nostre ordinazioni.
Le altre ragazze gli dissero ciò che avevano scelto, mentre io ero ancora completamente indecisa. Eldora, con il suo fare stranamente intraprendente, decise di “farmi un favore” ordinando anche per me.
«Per lei un Gin Fizz.»
A sentire quel nome mi svegliai di soprassalto dalla tutta la concentrazione che il menù aveva richiesto.
Ero intollerante al limone ed Eldora mi aveva appena preso un cocktail pieno del suddetto agrume.
«No, no, no! Aspetta! Non le dare retta. Prendo un Green Jamaica.»
«Allora Green Jamaica per te.» disse, il cameriere puntanto la penna in mia direzione e facendomi l'occhiolino.
Sorrisi, anche con fare piuttosto imbarazzato, poco prima di spostare lo sguardo sulla mia amica.
«Volevi farmi finire in ospedale?»
«Scusa, me ne ero dimenticata. Comunque, il Green è pieno di Midori, complimenti!»
«Che c'è?» sogghignai, appoggiando la schiena alla sedia «Sono intollerante al limone, mica all'alcool.»
Con quella sottospecie di battuta feci ridere tutte, persino il cameriere che aveva appena finito di scrivere l'ordine su di un fogliettino e si stava allungando per recuperare i menù.
«Sarebbe una tragedia se tu fossi allergica agli alcolici.»
Fu il ragazzo a parlare, mostrando anche un sorriso mellifluo mentre io, come prima, gli mostrai un sorrisetto tirato. La colpa non era di quel pover'uomo, ero io che mi trovavo in momentano conflitto con il genere maschile.
In ogni caso se ne andò e ci lasciò a chiacchierare tra noi. Chiacchiere che si incentrarono principalmente su Hector. Sentir dire certe cose dalle mie amiche non fece altro che farmi domandare da quanto tempo si tenevano dentro tutto. Ma d'altronde quella non era la mia serata, il mio uomore continuava a rimanere a terra e molto probabilmente quello era il motivo vero per cui decisi di non volerle stare a sentire sul serio.
Il cameriere tornò dopo una quindicina di minuti, con tutte le nostre ordinazioni.
«Un Green Jamaica con totale assenza di limone. Non vorrei dover chiamare l'ambulanza.» disse il cameriere, con quel suo fare ammiccante.
Voleva essere una battuta?
Lo doveva essere sicuramente, altrimenti non avrebbe avuto senso. Ad ogni modo, guardai quel ragazzo mostrando l'ennesimo sorrisetto forzato.
Sembrava avermi preso di mira, si vedeva davvero tanto che non andava qualcosa? Tanto da spingere uno sconosciuto a cercare di farmi fare una risata?
La situazione sembrava oltremodo disperata e a breve avrei dovuto trovare una soluzione.
Lui se ne andò e il nostro gruppetto tornò ad unirsi in chiacchiera, almeno fino a quando feci per bere un sorso del cocktail.
Notai lo sguardo divertito ed allo stesso tempo stupito di Freira, che mi sedeva di fronte, mentre fissava il fondo del bicchiere che avevo appena alzato.
«Raqui, ferma un attimo...»
Rimasi in silenzio e completamente immobile quando la mia amica allungò una mano togliendo dal fondo umido del bicchiere un fogliettino che si doveva essere attaccato.
«Cos'è?» chiesi ingenuamente.
«Il numero del cameriere?» disse Freira, mostrando un ghigno sul viso. Non mi piaceva affatto quando faceva così, significava sempre che aveva qualcosa in mente.
Alzai un sopracciglio e le strappai il foglietto dalle mani constatando che oltre al numero c'era anche il nome.
«Manuél.» sussurai.
«Ora si che la serata si fa interessante.» ammise sempre l'amica di fronte a me.
«Se lo dici tu.»
Posai il fogliettino sul tavolo perdendo interesse per la situazione. Era un metodo di approccio originale, almeno per me, ma non volevo. Mi sarei messa in imbarazzo e... non ero pronta per alcun tipo di rapporto con un'altro uomo.
«Andiamo! Non puoi lasciarlo a bocca asciutta!» Verdad fece un sorrisetto, prendendo il foglio dal tavolo.
«Ma non mi interessa.»
Detto questo mi alzai e puntai un dito sulla spalla di Eldora.
«Mi accompagni in bagno?»
«Certo.»
Ci allontanammo dal tavolo e lasciammo Freira e Verdad a girarsi tra le mani quel foglietto.
Povero ragazzo... quella sera sarebbe andato in bianco, ma in fondo non lo conoscevo c'era poco da sentirsi in colpa.
«Se non altro è stato audace. Con tutta la fauna che c'è in giro stasera è meglio di niente!»
Eldora ci scherzava su e faceva bene, riuscì a togliermi un'altra risata dalle labbra, ma comunque non cambiavo idea.
Dopo una decina di minuti tornammo al tavolo e quello che vidi mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Freira con il mio cellulare in mano ed un sorriso talmente largo che avrebbe potuto dividerle la faccia a metà.
C'erano due cose mie che non andavano assolutamente toccate: l'affetto... e il cellulare!
Mi piazzai davanti a lei con lo sguardo allucinato e la rabbia che – se fossi stata in un cartone animato – mi avrebbe potuto far uscire il fumo dal naso.
«Che cosa stai facendo!?»
La mia voce era calma ma ogni parola venne perfettamente scandita dall'altra. In risposta la mia amica alzò il viso e mi rise in faccia.
«Adesso non hai scuse!»
«Cosa hai fatto?» ripetei a denti stretti.
«Manuél vorrebbe sapere se domani sera sei libe-...»
In quel momento agii d'istinto, ci mancò poco che non mi misi a ringhiare. Non mi sarei stupita se lo avessi fatto.
Afferrai il telefono dalle mani della mia amica, cancellai il messaggio che stava per mandare e misi – o meglio lanciai – il cellulare in borsa.
«Se mi volevi far incazzare di brutto, ci sei riuscita.»
«Acida, mamma mia! È l'occasione buona per dimenticare quell'altro idiota! Coglila!»
«No!» dissi in modo perentorio, per poi prendere un lungo sorso del mio cocktail.
Come avevo immaginato prima, mi ero appena messa in imbarazzo anche se fondamentalmente non ero stata io a farlo.
Adesso quel tipo si aspettava una risposta ed io non avevo alcuna intenzione di uscire con lui.
Infilai di nuovo la mano dentro la borsa, estrassi il portafoglio e mi alzai ancora dal tavolo.
«Dove vai?» mi chiese Eldora, evidentemente preoccupata di cosa avrei potuto fare.
«A rimediare.»
Raggiunsi il bancone e mi misi in attesa che il famoso Manuèl notasse la mia presenza. Non ci volle molto.
Quando mi vide tornò ad assumere quel suo fare ammiccante alla quale non risposi con alcun sorrisino.
«Dimmi pure, cara.»
«Puoi darmi un bichiere di Gin?»
Stavo facendo la vaga apposta, non avevo nemmeno finito il mio Green Jamaica che già mi prendevo un altro bicchiere di qualcosa di alcolico. Ero davvero tanto disperata?
Dal canto suo il ragazzo non rispose e si affrettò a preparare quello che avevo chiesto, mentre io tiravo fuori i soldi per pagarlo.
Quando alzai lo sguardo lui fece scivolare il bicchiere pieno sul ripiano di legno del bancone.
«A te.» disse, sempre quel tono mellifluo. Almeno ci sapeva fare con le donne, questo dovevo riconosceglielo.
«Grazie. Quanto è?»
«Niente, offro io. Ti puoi sdebitare venendo a cena con me domani sera. Che ne dici?» A quel punto si appoggiò al banco con un gomito, sorregendosi il viso con una mano.
«Ecco... a proposito di questo. Non ero io prima al cellulare, con i messaggi intendo. Una mia amica ha pensato bene di agire a mia insaputa.»
Vidi la sua espressione cambiare in modo repentino. Non potevo biasimarlo di certo.
«Ti ringrazio per l'interesse, ma non è reciproco. Mi dispiace.» quindi allungai la banconota per pagare il bicchiere di Gin. Mi sarei auto complimentata se non fosse stato per lo sguardo che l'uomo mi riservò.
In ogni caso, prese il contante e lo mise in cassa come se nulla fosse. Dunque io mi allontanai riuscendo ancora a percepire il suo sguardo addosso. Sicuramente mi stava guardando in cagnesco, ma non potevo farci molto.
Non ero ancora pronta.
Quanto tornai al tavolo Verdad mi fissò con fare interrogativo.
«Perchè hai preso ancora da bere?»
«Per affogare i dispiaceri. No... scherzo, in realtà non lo so. Lo vuoi?»
La mia amica alzò le spalle e si prese il bicchiere molto volentieri, mentre io tornavo al mio Green Jamaica.


Nonostante l'accaduto, la serata andò avanti in modo traquillo. Freira mi aveva chiesto scusa ed aveva tentato di farsi perdonare meglio promettendomi un giorno sotto le cure della make-up artist della loro agenzia fotografica. Proposta che rifiutai, ma che apprezzai anche solo per essere stata usata come espediente per avere il mio perdono.
Mi fece sentire potente.

Una volta rientrata in casa, lancia la borsa verso il divano mancando per un pelo il bersaglio. Questo mi portò ad andarla a recuperare e quando finalmente la appoggiai, notai la cartellina con i bozzetti di Rami.
L'afferrai e mi andai a sedere al tavolo inclinato che tenevo nel piccolo studio, accanto alla camera da letto.
Iniziai a guardare tutti i disegni ripercorrendo il piacere e il senso di soddisfazione che mi aveva invaso nel momenti in cui avevo iniziato a disegnare. Questo mi spinse a prendere altri fogli (constatando che a breve avrei dovuto comprare un'altro album) e ad iniziare una nuova vicenda. Non una vicenda a caso, ma proprio quella che aveva colto me in quei giorni. Prima l'uomo che tradisce e poi la brutta figura al pub con il cameriere.
Tornai a rilassarmi come quella mattina, perdendomi tra le righe tracciate, le espressioni e la macchie di mina sul foglio e sulla mano destra.
Non c'era niente al mondo che potesse carlmarmi più di un disegno... avrei potuto continuare tutta la notte.


_____
 

Angolino dell'autrice:

 

E finalmente eccoci qui!
Il primo capitolo di Estupida en amor solo per voi~
Come avete potuto constatare Raquel si trova in un momentaccio ma le sue amiche – a modo loro – stanno cercando di tirarla su di morale.
Ci riusciranno?

Vogliamo essere ottimisti!
Inatanto l'illuminazione divina che ha colto Raqui con l'idea dei disegni le sta dando una grande mano a rilassarsi.
Non deve essere bello passare attraverso un tradimento.

 

Ripeto l'invito a laciarmi una recensione per qualsiasi cosa! Se vi piace, se non vi piace (ovviamente qui voglio dei motivi e critiche serie e costruttive) e anche se ci sono errori che sono sfuggiti alla mia correzione.
Ve ne sarei grata, in ogni caso!

 

Sulla mia pagina pubblicherò le foto dei nuovi personaggi apparsi in questo capitolo, vi lascio il link se volete colmare la vostra curiosità:
https://www.facebook.com/pages/-Soy-ciego-y-nada-s%C3%A9-pero-preveo-que-son-m%C3%A1s-los-caminos-/416108975143232?fref=ts

 

Se poi volete aggiungermi personalmente e magari farmi qualche domanda diretta (o anche solo due chiacchiere), potete trovarmi a questo link:

https://www.facebook.com/clairecarriedo.efp

 

Detto questo, vi aspetto al prossimo aggiornamento~

Pace e amore
Claire~

 

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Capitolo 3
*** 2 - Nunca un instante de paz ***


NUNCA UN INSTANTE DE PAZ

Capitolo 2

 

«L'ironia è il pudore dell'umanità.»

Jules Renard

 

 

Promemoria per la sottoscritta: cambiare sveglia.
Quella di Star Wars a forma di maschera di Dart Vader che suona la sua Marcia Imperiale, non è decisamente consona per un buon risveglio.
Per poco non caracollai giù dalla sedia.
Avevo passato davvero tutta la notte sui bozzetti di Rami fino a che il sonno aveva avuto la meglio facendomi crollare addormentata sui disegni stessi.
Quando alzai di scatto il viso e mi aggrappai al tavolo (di conseguenza alla suoneria decisamente poco calma) mi ritrovai un foglio appiccicato alla guancia e la faccia completamente impiastricciata di carboncino.
Rimasi qualche attimo in completa catalessi fissando il vuoto con sguardo assonnato. Solo dopo qualche minuto decisi di togliermi quel foglio dal volto, per poi buttarlo dato che ci avevo anche sbavato sopra. Fortuna che non era nulla di importante.
Mi stiracchiai portando le braccia in alto fino a sentire ogni singolo osso scricchiolare beatamente. Questo non tolse molto al mal di schiena che inevitabilmente mi prese a causa della nottata non troppo confortevole, quando mi alzai dalla sedia ebbi la sensazione di essere invecchiata all'improvviso.
Trascinando i piedi a terra raggiunsi la mia camera da letto e schiacciando un pulsantino bloccai il suono della sveglia.
Quando alzai lo sguardo da quest'ultima e lo puntai verso lo specchio, mi resi conto delle condizioni in cui ero ridotta. Sul punto in cui mi si era attacco il foglio da disegno ero completamente sporca di mina. La faccia metà grigia, così come le mani, per non parlare dei capelli arruffati. Parlando con sarcasmo: decisamente sexy. Persino i miei occhi assomigliavano più a quelli di una triglia piuttosto che ad un essere umano.
Sempre trascinando il passo, raggiunsi il bagno per potermi dare una ripulita.
Essendo sabato, quindi niente lavoro, me la presi con comodo e feci una lunghissima doccia bollente.
Quando ne uscii mi sentii rinata. Anche se il mal di schiena non se era andato.
Una volta che fui asciutta e rivestita, rimasi ferma nel bel mezzo della mia camera cercando di pensare a quello che avrei potuto fare quel giorno.
Non avevo alcuna voglia di rimettermi a disegnare ma allo stesso tempo non volevo abbandonare quel compito. Dunque, dopo un paio di minuti di riflessione, decisi che sarei andata a farmi una passeggiata nei dintorni di casa mia. In più dovevo comprare un nuovo album di fogli.
Osai pensare che fosse il piano perfetto! Recuperai alcuni dei disegni ed anche la borsa.
Ero pronta per una bella passeggiata ed un po' di aria fresca.

La giornata era calda e limpida, camminare era un piacere e stranamente non stavo pensando a nulla di quello che mi era accaduto negli ultimi giorni.
Mi sembrò tutto talmente normale che mi stupii nell'accorgermi del lieve sorrisino che colorava le mie labbra. E pensare che dovevo tutto a quelle tre sgallettate delle mie amiche ed i disegni su Ramòna.
Era mia ferma intenzione evitare di andare in un bar in strada per la colazione, per questo avevo preso uno yogurt in casa, ma nel momento in cui ne mandai giù un cucchiaino sentii i conati di vomito impadronirsi del mio stomaco.
Andai quindi a controllare la data di scadenza constatando che era andato decisamente a male. Lo buttai nel primo cestino, mentre continuavo a fare smorfie strane per il saporaccio che mi era rimasto in bocca.
Fu del tutto inutile mettersi a cercare un pacchetto di gomme da masticare in borsa, perciò decisi di entrare nel primo bar che mi sarebbe capitato a tiro per comprarne uno.
Dovetti fare un centinaio di metri, tentando di non deglutire per evitare di rigettare anche quel poco di yogurt scaduto che avevo mandato giù, prima di trovare un posto per comprare delle gomme.
«Salve! Prendo solo queste.» dissi, porgendo al cassiere il minuscolo pacchettino.
Era un signore di mezza età, la faccia simpatica ed una foltissima zazzera di capelli bianchi. Mi risollevò il morale.
Uscii di lì di nuovo con un sorrisino cretino sulle labbra. Amavo l'idea di sentirmi serena. Me lo meritavo!

Dopo una ventina di minuti passati a girovagare per il quartiere, il morso della fame si impadronì del mio stomaco.
In fondo non avevo mangiato nulla e la gomma da masticare non era certo di grande aiuto. Dovevo quindi far di nuovo tappa da qualche parte, e quando scorsi un piccolo chiosco con dei tavolini liberi, non ci pensai due volte e mi fermai lì.
Occupai un tavolo all'estremità della piazzetta occupata ed immediatamente tirai fuori il taccuino ed una penna dalla mia borsa. Non mi dava fastidio stare da sola in un posto così tranquillo, aiutava la mia serenità interiore – riflessione molto hippie tra l'altro.
Presi quindi a scribacchiare qualcosa sulle pagine bianche di quel piccolo quadernino. Principalmente riportai alcune vicende che potevano tornarmi utili per continuare la storia di Rami, delineai anche il suo carattere e quello di alcuni personaggi. Ero così produttiva sotto quel punto di vista.
Alzai per qualche secondo lo sguardo da foglio, giusto in tempo per scorgere un uomo che si sedeva al tavolo di fronte al mio. Avrei voluto studiare di più i suoi lineamenti in quanto mi sembravano adatti per un personaggio del fumetto, ma venni distratta dall'arrivo della cameriera.
«Buongiorno! Vuole ordinare.» disse in modo molto cordiale.
«Uhm... si! Vorrei un tè freddo alla pesca ed un cornetto al cioccolato.»
Non potevo di certo venir meno con il mio quotidiano appuntamento con il cacao.
«Perfetto, le porto subito tutto.»
Detto questo, la cameriera si inoltrò di nuovo all'interno del bar e sparì alla mia vista. Potevo approfittare di quel momento per tornare a guardare quell'uomo che si era accomodato non troppo distante da me, ma quest'ultimo aveva aperto il giornale ed era completamente coperto dai fogli.
La solita sfortuna, ero riuscita si e no a scorgere la montatura degli occhiali ed i capelli castani.
Ah, ma non poteva mica leggere per sempre! Prima o poi si sarebbe rivelato ai miei occhi e allora io sarei stata lì ad osservare.
Nel frattempo le cose che avevo ordinato arrivarono, pagai e misi da una parte taccuino e penna. Ero pronta a gustare il mio cornetto quando la biro rotolò giù dal tavolo. Feci una smorfia infastidita arricciando le labbra e mi chinai per raccoglierla.
Forse mi mossi con troppo impeto perchè persi l'equilibrio e per poco non mi sfracellai al suolo con tutta la sedia. Per evitare tutto questo, subito, cercai di ristabilirmi portando il peso all'indietro ma, mentre tiravo su la testa, la sbattei al bordo del tavolo facendo tintinnare tutto quello che c'era appoggiato sopra.
«Porc-...»
Trattenni a stento un'imprecazione da Oscar mentre con la mano mi massaggiavo la parte colpita. Tra l'altro... la penna si trovava ancora a terra.
Mentre mi tiravo su per constatare quanto la mia pessima figura avesse dato spettacolo, sentii una risata leggera provenire da qualche parte poco distante da me.
«Cosa non si fa per salvare una penna, eh?» disse, lo sconosciuto che subito incontrai con lo sguardo.
Riconobbi i capelli e la montatura degli occhiali. Era proprio il tipo che si era seduto vicino al mio tavolo, solo che in quel momento si trovava in piedi con una mano nella tasca dei pantaloni eleganti.
Dovevo aver un'espressione atroce, o quanto meno imbambolata, perchè notai il sorriso allargarsi sul suo viso prima di chinarsi e raccogliere la penna per me.
Avrei dovuto rispondere, quanto meno ridere, fare qualcosa, tutto pur di non presentare di nuovo quell'espressione stupida. Ma niente. Rimasi nel totale silenzio continuando a fissarlo.
«Grazie.» farfugliai, mentre recuperavo la penna dalle sue mani.
Ero troppo in imbarazzo. Il fatto che lui fosse un bell'uomo c'entrava poco, avevo già constatato che non ero in grado di provare attrazione per qualcuno in quel periodo, ma... mi aveva vista durante una serie di figure misere. Mi sarei tanto voluta sotterrare.
«Prego.» disse, ammiccando un'ultima volta prima di andare via.
Ripresi a respirare (ero rimasta in apnea fino a quel momento) e mi misi dritta con la schiena sulla sedia.
Bevvi il mio tè molto velocemente e, quasi in automatico, scrissi la scena che avevo appena vissuto sul taccuino. Sembrava che, qualsiasi cosa mi colpisse, fosse lo spunto giusto per una vicenda di Ramòna.

Non potendo passare tutta la giornata al bar, specie dopo quella scenetta comica, mi alzai per ricominciare la mia passeggiata solitaria.
Se prima però ero serena e tranquilla, ora l'ombra della pessima figura aleggiava intorno a me come un'aura oscura.
Non aveva senso sentire ancora vergogna eppure non riuscivo a fare diversamente.
L'unico momento in cui la tensione con me stessa si allentò fu quando scorsi un negozietto per Arti Grafiche ed entrai.
La campenella attaccata alla porta tintinnò e subito venni accolta da una signora che, nonostante l'età, aveva ancora una folta chioma nero corvino chiusa in una lunghissima coda di cavallo.
«Buongiorno. Posso darle una mano?» chiese.
«Buongiorno. La ringrazio, per ora do un'occhiata in giro.» risposi, con altrettanta cortesia. Amavo le commesse educate, per quanto questa non mi stava guardando con la stessa gioia con la quale io mi guardavo intorno.
Presi a camminare per il negozietto, osservai vernici, smalti per decupage, oggetti per il fai-da-te e tante altre cose simili. Infine raggiunsi l'angolino in cui erano stati sistemati gli album da disegno. Ce ne erano talmente tanti che passai una decina di minuti a riflettere se prenderne uno grande con fogli porosi, oppure uno di grandezza media con fogli lisci.
Optai per il secondo e, dopo aver perlustrato anche la parte piena di matite, mi avvicinai alla cassa.
La gentile signora afferrò le cose che avevo scelto, batté i prezzi e mi diede lo scontrino.
Pagai, mentre lei imbustava l'album e quel paio di matite che avevo scelto. In quel momento sentii la porta tintinnare di nuovo alle mie spalle.
Quindi afferrai la busta dalle mani della donna, notai il suo cambiamento di espressione: da apatico a quasi estasiato mentre osservava qualcosa alle mie spalle, e mi voltai per andare via.
«Raquel...»
Di nuovo, trattenni il fiato...

______

Angolino dell'autrice:

Finalmente eccoci qui al secondo capitolo, leggermente più corto del precedente.
Come vi avevo detto, le vicende di Raquel stanno man mano diventando più leggere. Il tempo di riprendersi dall'orribile tradimento che eccola ricominciare con la propria vita fatta di figuracce e distrazioni.

Vi ho lasciate un po' con il fiato sospeso come la dolce Raquel? Spero di si!!
Scoprirete nel prossimo capitolo come la situazione sta per svolgersi.

Rinnovo l'invito a lasciarmi una recensione, critiche, osservazioni, tutto quello che sentite necessario farmi sapere.
Voglio che quello che scrivo sia quasi perfetto e per farlo ho bisogno dell'aiuto di chi mi segue! Se ci sono errori di battitura (cosa che non escludo) avvertitemi al fine che io possa correggerli. Qualcosa mi sarà sfuggita sicuramente, anche se ho riletto milioni di volte.

Vi lascio alcuni link con la quale potete contattarmi direttamente.

Profilo Fb:
https://www.facebook.com/clairecarriedo.efp

Pagina personale (dove troverete le immagini di tutti i presta volto): https://www.facebook.com/pages/-Soy-ciego-y-nada-s%C3%A9-pero-preveo-que-son-m%C3%A1s-los-caminos-/416108975143232?fref=ts

Recentemente ho anche riaperto il mio profilo Ask, vi lascio il link anche di questo:
http://ask.fm/ClaireCarriedo


Pace e amore
Claire~



 

 


 

 

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Capitolo 4
*** 3 - Es un corazón rabioso ***


ES UN CORAZÓN RABIOSO

Capitolo 3

 

«Nessuna domanda è più difficile di quella la cui risposta è ovvia.»

George Bernard Shaw

 

 

 

Non avevo idea sul da farsi.

Lanciargli addosso quello che avevo appena comprato e scappare via, oppure rimanere e vedere cosa aveva ancora da dirmi?
Mai avrei immaginato di rivedere Hector, tanto meno in un posto del genere.
Usando quella curiosità del tutto lecita ed un pizzico di acidità, trovai la forza per dire almeno qualcosa ed evitare di ostentare quell'espressione piuttosto stupida.
«Guarda, guarda. Sei venuto alla ricerca di una nuova penna? Che succede? Non te ne regalano più? Come se ti servissero, tra l'altro.» dissi con fare decisamente stizzito, guardando Hector da capo a piedi.
Volevo sembrare risoluta ai suoi occhi, mi avrebbe dato infinitamente fastidio se lui avesse intravisto in me un minimo di debolezza. Era una soddisfazione che non gli avrei mai offerto.
Lo vidi alzare un sopracciglio segno che la frecciatina era andata a segno. Ma la sua risposta mi stupì.
«Passavo qua davanti con la macchina e ti ho vista entrare. Ho accostato senza pensarci un secondo e ti ho raggiunta. Voglio parlarti.» disse, serrando successivamente la mascella.
Immaginavo che quella era la ragione che lo aveva spinto ad entrare in un negozio del genere, altrimenti non si sarebbe mai presentato di fronte ai miei occhi, ma credevo anche che avrebbe risposto alla mia provocazione.
Continuavo a trovare tante cose incogruenti con l'uomo che avevo amato e quello che avevo di fronte.
In ogni caso, ero stufa di parole inutili. Non sarebbe bastato giustificarsi ancora. Tra noi era finita e non ci sarebbe stato alcun sequel. Mi convincevo difficilmente delle mie azioni, ma sotto quel punto di vista non avevo dubbi.
Mi aveva tradita ed io non avevo mai perdonato un tradimento in vita mia. Con lui non avrei fatto alcuna eccezione.
«Ti fermo subito. Non ho intenzione di continuare a parlare con te.» dissi, facendo un passo lontano da lui.
Nel frattempo la cassiera era sparita da una porta dietro il bancone, doveva aver capito come stava per andare a finire la vicenda, oppure necessitava solo di una postazione più discreta per origliare.
«Smettila di scappare sempre. Ascoltami, Raquel.»
Era serio, ma la sua voce sembrava crinata da qualcosa che non riuscivo a capire e – sinceramente – non mi interessava nemmeno.
«Non sei in posizione di darmi ordini. Ti ho già detto che non voglio ascoltarti. Cosa potrai dirmi di diverso da quello che hai già provato a dire? Credo che sia arrivato il momento di concludere la questione.»
Mi sentivo fortissima. Avevo mantenuto il punto nonostante il mio cuore stesse battendo talmente forte da farmi quasi male nel petto.
Allo stesso tempo, mi affrettai ad allontanarmi definitavamente da lui e superarlo, avvicinandomi alla porta di vetro.
Credevo che la conversazione si sarebbe conclusa con la mia suggestiva frase, ma mi sbagliavo.
«Hai ragione, non posso dire niente di diverso. Ma non possiamo chiudere la nostra storia in questa maniera. Abbiamo passato tanti anni insieme, rompe-...»
Lo interruppì prima che potesse andare oltre. Avevo già la mano sulla maniglia dell'uscita.
«Avresti dovuto pensarci prima. Ormai è tardi.» dissi con il mento alzato e gli occhi socchiusi.
Un'uscita con i fiocchi. Con quella frase avevo definitivamente messo fine a quella ridicola chiacchierata.
Sentivo il potere nelle viscere, anche se il mio cuore non era dello stesso parere...
Feci per voltarmi e spingere sulla porta per aprila.
In quell'istante distrussi tutta la solennità del momento.
Sbattei la testa alla porta di vetro così forte che persino la commessa, spaventata dal rumore, tornò immediatamente al bancone.
Per qualche secondo, rimasi stordita per colpa della botta mentre la mia fronte pulsava di dolore. Poteva essere un'uscita di scena meravigliosa, quasi tragica, se solo avessi tirato la porta invece di spingerla.
Non era proprio il mio giorno.
Sentii ridacchiare alle mie spalle, poteva essere solo Hector ed in quell'istante la rabbia mi fece dimenticare momentaneamente il dolore.
Mi voltai, notando lo sguardo preoccupato ed allo stesso tempo divertito di lui.
«Tutto ok?» mi chiese, trattenendo a stento le risate.
Arrossii di rabbia e mi trovai a rispondere esattamente come avrebbe fatto una bambina piccola dopo essere stata ferita nell'orgoglio.
«Perfettamente! Non mi sono mica fatta male!» mi placai dallo sbuffare stizzita, solo perchè mi resi conto del modo infantile con la quale avevo parlato.
La commessa, dopo essersi resa conto che la situzione non era cambiata, si era intrufolata di nuovo nella porticina dietro il bancone.
«Addio!» dissi, mantenendo quel tono superiore ed uscendo definitivamente dal negozio.
Lo abbandonai là dentro e cominciai a camminare velocemente verso casa, sia per paura che lui volesse provare a seguirmi nuovamente, sia per l'imbarazzo.
Solo quando mi trovai ad almeno un centinaio di metri di distanza da quel punto iniziai a sentire di nuovo il dolore alla testa.
Portai una mano sulla fronte, sentendo il piccolo bernoccolo che stava iniziando a crescere. In una giornata avevo rischiato il trauma cranico tre volte. Troppe persino per me.
Stavo tornando al mio appartamento con l'animo in subbuglio e con la prospettiva di diventare un fantastico unicorno dopo l'ultima botta.
Poteva andarmi peggio?


Sì, ovviamente!
Ma non avrei potuto rispondere con certezza a quella domanda prima di passare una delle serate più sconcertanti della mia vita.


Ero totalmente decisa a riprendermi dalla faccenda. L'avevo portata fin troppo alle lunghe e piangermi addosso non era il mio stile.
Il momento di ricominciare era finalmente arrivato.
Per questo, dopo aver creato un'altra piccola scena per Rami - ispirandomi completamente alle mie vicende ed aggiungendo un fattore un po' irreale: un cuore delle stesse dimensioni dei miei personaggi mentre veniva brutalmente trascinato via dopo essere stato preso al lazo dalla protagonista - afferrai il telefono e chiamai l'unica persona in grado di capire di cosa avevo bisogno.
«Questa sera sei completamente libera, non è vero?» chiesi con enfasi, parlando al telefono con Eldora.
«Mh. Quanto impeto! Dimmi quello che è successo e ti risponderò.»
«Ho sbattuto la testa.» dissi, constatando quanto effettivamente fosse vero.
«Spiegazione plausibile. Dove vuoi andare?» domandò a quel punto la mia amica.
«Ovunque ci sia gente e tanta musica.»
«Un po' troppo generico. Ho capito, sarà una sorpresa. Ti passo a prendere alle 10, ok?»
«Ottimo.» conclusi la chiamata senza nemmeno dare modo ad El di salutarmi.
Ero fin troppo elettrizzata. Non ne conoscevo bene il motivo ma l'idea di riprendere quella vita che avevo in qualche modo accantonato mi faceva emozionare. Avevo capito che uscire dal tunnel della depressione dipendeva solo da me.
Avrei ottenuto almeno quel traguardo.

All'orario stabilito sentii suonare alla porta e come di consueto andai ad aprire.
Non mi ero ancora vestita, aspettavo di vedere in che modo si fosse conciata Eldora, tanto per avere un idea dello stile della serata.
La mia amica aveva addosso un bel vestitino. Lì per lì stentai a riconoscerla, lei non era il tipo da abitini quindi per me fu una totale sorpresa. Tra l'altro le donava tantissimo.
«Non vorrai portarmi a qualche serata di galà, spero!»
«Con un vestito del genere? Penso proprio di no. Andiamo a quel nuovo disco-pub che hanno aperto sulla rambla.»
«Ne sei assolutamente certa? Certissima?»
«Sì, signora! Ora preparati. Le altre due ci raggiungono direttamente là.» disse, chiudendo la porta ed iniziando a spingermi verso la camera da letto.
Ci misi relativamente poco a prepararmi, contando l'aiuto di Eldora che consistette nel vestirmi a forza pur di non fare tardi.
Una volta pronte, arrivammo alla macchina e partimmo.
 

Il disco-pub si trovava nella rambla vicino all'Hard Rock café. La cosa mi tranquillizzò un pochino. Nonostante vivessi a Barcelona da una vita, non mi fidavo per niente delle persone che giravano da quelle parti. Stare vicino Plaza Catalunya significa avere più controlli intorno e sicuramente più pace.
Trovammo subito Freira e Verdad, ed una volta ricompattato il gruppetto ci inoltrammo nel nuovo locale.
La musica era già altissima e dentro era pieno di gente. Per me questo voleva dire solamente una cosa: si comincia di nuovo.
Subito sentii la necessità di muovermi, come se non l'avessi potuto fare per anni. Per questo afferrai le mie amiche e cercai di portarle immeditamente nella mischia.
Eldora e Freira si tirarono immediatmente indietro usando come scusa la voglia di prendere qualcosa da bere al bar, al che le lasciai fare senza insistere ulteriormente.
Io e Verdad iniziammo a ballare vicine, tanto vicine. C'era veramente un mare di gente e non era facile muoversi liberamente, in ogni caso si dimostrò un ostacolo facilmente aggirabile.
Cercai di scaricami, divertirmi il più possibile. Seguivo la musica con i fianchi, con le mani. Talvolta ballando come se non facessi altro nella vita, ed altre volte invece muovendomi come una perfetta cretina.
Le poche volte che volsi lo sguardo al bar, intravidi le mie altre due amiche intente a ridere delle scene comiche che io e Verdad riuscivamo a creare in quel misero spazio.
Dopo una decina di minuti tra la folla, anche io e Ver sentimmo la necessità di prendere qualcosa da bere, quindi raggiungemmo El e Freira.
«Siete già stanche?» chiese quest'ultima, ridendo ed urlando nel mio orecchio.
«Scherzi? Pit-stop, poi si ricomincia. Questa sera non mi do alcun tipo di freno!» risposi, con espressione sicura.
«Così ci piaci!» esclamarono tutte, quasi all'unisono.
A quel punto alzai una mano facendo le corna, tanto per sottolineare la mia determinazione.
Una cameriera si avvicinò ed ordinai un altro giro di drink per tutte. Ero elettrizzata, si poteva vedere a chilometri di distanza.
Verdad, presa da un moto di tenerezza mi picchiettò la fronte con un dito, facendo inevitabilmente contorcere il mio viso in un'espressione di dolore. Il bernoccolo era sempre in agguato, anche sotto il trucco.
«Eppure non ho fatto forte.» mi disse, stupita.
«Non è colpa tua. Ho avuto un frontale con una porta, nulla di serio.»
«Allora la testa l'hai sbattuta davvero.» disse, ridendo, Eldora. Si ricordava della chiamata di quel pomeriggio.
«Te l'avevo detto.»
In quel preciso istante arrivarono i nuovi drink e, dopo un solenne brindisi, bevemmo tutto molto velocemente.
Ero sicura di avere lo stomaco pieno, eppure l'alcool mi fece subito effetto iniziando a farmi girare appena la testa. Niente di preoccupante, ma inizia immeditamente a chiacchiare senza riuscire a fermarmi.
«Ah! Non ve l'ho detto! Oggi ho rivisto Hector il Terribile!» dissi, ridacchiando più con me stessa che della frase appena pronunciata.
Le altre rimasero in silenzio, lanciandosi sguardi interrogativi tra loro.
«Pensate » continuai « voleva parlarmi, deve pensare che io sia distrutta. Ma sapete che vi dico? Questa sera rimorchio un bel ragazzo e gli faccio vedere chi è tra noi due quello distrutto!»
L'effetto immediato del drink era già passato, ma ormai avevo sciolto ogni tipo di freno.
Iniziai a guardarmi intorno, cercando con lo sguardo un bel ragazzo con la quale avere un approccio.
Tutto questo accadeva sotto gli sguardi sconcertati delle mie amiche. Credevo fossero felici di vedermi di nuovo piena di vita, oppure dovevo sembrargli davvero disperata (non avrebbero avuto tutti i torti).
«Raquel, perchè invece non lasci perdere e ti godi la serata?» chiese Eldora, prendendo finalmente la parola dopo il mio delirio.
«Lo sto facendo! Non sto cercando un nuovo compagno, voglio solo giocare un po'.» le dissi, guardandola e ridacchiando.
«Allora sceglilo bene, mi raccomando!»
Doveva aver capito le mie intenzioni, lo dedussi dal sorrisetto d' intesa che mi rivolse. A quel punto guardai anche le altre, entrambe si dimostrarono comprensive. Quanto le adoravo!
Tornai a guardare tra la folla con lo stesso sguardo di un cane da caccia.
«Questa sera ne cerco uno biondo! Sono stufa di uomini dai capelli scuri.» affermai, continuando a setacciare il luogo.
Finalmente scorsi una chioma bionda tra la gente. Studiai il soggetto ancora un po' prima di constatare che si trattasse di un bel ragazzo.
Soddisfatta, mostrai un sorrisetto sadico e presi un bel respiro.
«Trovato!»
Indicai il ragazzo, senza farmi troppi problemi.
«Vado, l'ammazzo e torno!»
«Aspetta un attimo, non è il caso.» mi disse improvvisamente Freira, avvicinandosi al mio orecchio per farsi sentire meglio senza dover urlare.
«No, no. Non aspetto. Io vado.»
«Guarda che ti conviene lasciar perdere con quello là.» ribadì Verdad.
«Dalle retta.» aggiunse Eldora.
«Lasciate fare. Ormai ho deciso.»
A quel punto partii, nonostante ancora riuscivo a percepire le lamentele delle altre alle mie spalle. Continuavano a dirmi di non andare, ma non capivo e non volevo soffermarmi a pensarci.
Con qualche difficoltà, mi inoltrai di nuovo nella pista da ballo. Per passare tra la gente, senza essere presa a male parole, mi trovai costretta a ballare. Passai in mezzo a coppiette, a ragazzi che tentavano disperatamente di abbordare la ragazzina di turno. Questo fino a che mi trovai a pochi passi di distanza dal ragazzo che avevo “selezionato”.
Di nuovo, presi un bel respiro, puntai il mio sguardo verso il mal capitato e mi feci avanti. Vedendolo da più vicino potei notare quanto effettivamente fosse delicato: capelli corti e biondo cenere, un bellissimo sorriso e la pelle rosea. Il perfetto principe da fiaba.
La scoperta mi spinse ad avvicinarmi oltre.
Ero quasi arrivata a toccargli la spalla quando lo vidi abbracciare il ragazzo accanto a lui per poi accoglierlo con un bacio appassionato sulle labbra.
In quell'istante entrai nuovamente in stand-by, mentre riuscivo a percepire l'imbarazzo che faceva un'altra volta capolino.
Potevo già immaginare le risate divertite delle ragazze vicino al bar.
La mano che avevo alzato per poter sfiorare la spalla del tipo si strinse in un pugno, abbassai la testa e feci un passo indietro con una smorfia sconfitta.
Capii solo in quel momento gli avvertimenti delle altre e mi diedi della stupida per l'impeto con la quale ero partita alla conquista.
Continuava a non essere la mia giornata, ma se non altro in quell'occasione ero riuscita a non farmi male fisicamente.
Decisi quindi di tornare indietro e, passata la vergogna iniziale, ripresi a ballare senza motivo mentre facevo il percorso a ritroso.
Mi trovai di nuovo accanto alle mie amiche , atteggiandomi come se non fosse successo assolutamente nulla.
«Ma guardala!» disse Verdad, nonostante stesse ancora ridendo di gusto.
«Non balliamo? Su, su!»
Continuavo a muovermi a ritmo di musica. Nella mia mente avevo già rimosso la figuraccia, non volevo pensarci troppo, come al solito.
Andammo tutte a bordo pista, inziando a scatenarci. Mostrammo le nostre mosse speciali (o meglio ridicole) divertendoci come non facevamo da tempo.
 

Ero libera. Completamete libera e stavo bene con me stessa. Avrei voluto che quella giornata (con tutte le sue figuracce) non finisse mai.


_____

Angolino dell'autrice:

E dopo non so quanto tempo di attesa, ecco finalmente il terzo capitolo di Estupida en Amor. Ho avuto qualche problemino con il nuovo editor, ma spero che il capitolo sia ugualmente comprensibile.
Allora, sorpresi? Immaginavate già chi fosse la persona che Raquel incontra all'improvviso?

Avrete notato il continuo susseguirsi di gaffe, oserei dire di routine per la nostra protagonista. Finalmente, però, si è ripresa. A chi piace leggere di qualcuno che si strugge continuamente per una relazione ormai finita? Nessuno, credo.

Cosa ne pensate? Fatemi sapere il vostro parere!! Sono tutta occhi\orecchie~

Di nuovo, per ogni tipo di contatto (oltre ad EFP) potete trovarmi a questi link:

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Nella pagina sono presenti i presta volto dei protagonisti e, man mano, anche i volti delle “comparse da capitolo”.

Pace e amore
Claire~

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