Anna e i suoi adorabili pensieri contorti

di _hisirisheyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ADDIO SHORTS, BENVENUTE FELPE! ***
Capitolo 2: *** AMICIZIE, GELOSIE, PORTE DA AGGIUSTARE (?) ***
Capitolo 3: *** E FU COSI’ CHE NACQUE CIELO, LA NUOVA ME! [parte 1] ***
Capitolo 4: *** E FU COSI’ CHE NACQUE CIELO, LA NUOVA ME! [parte 2] ***



Capitolo 1
*** ADDIO SHORTS, BENVENUTE FELPE! ***




1

ADDIO SHORTS, BENVENUTE FELPE!
 
“Non sono sicura della cosa. Tu?” – le chiesi.
Un’ altra estate stava volando via, come un uccellino che aveva appena imparato a volare e ormai aveva deciso: non avrebbe più toccato terra.
Fatto sta che Dafne era decisa ancor più di un uccellino in volo: voleva andarsene. Punto.
“Sì, sono sicurissima. Questa cosa significa molto per me.” – ecco che ricominciava – “Ma proprio non lo capisci, Anna? È molto importante per me e neanche tu puoi impedirmi di andare un po’ dove voglio, magari mi rifaccio una vita..” – okay, ora questo mi rifaccio una vita stava diventando inquietante. “No, ma lo credi davvero? Vuoi prendere di nascosto dai tuoi un aereo di sola andata per Montmartre e non ritornare per un po’ di tempo (che neanche tu riesci a determinare) ?” – era tutta matta, lei – “E vediamo, come farai coi tuoi?” – le chiesi per la centesima volta.
“Ancora con questa storia!?” – sbottò lei – “Lascio un bigliettino di addio, non potranno mai immaginare dove mi trovi a quel punto.. Piuttosto, mi sembra più importante pensare dove dormirò, come mangerò.. tu hai già fatto la ricerca su interessanti camere di condominio?” – interessanti, le chiamava lei. Parola che in questo caso poteva anche significare lugubri appartamenti non muniti di servizi poiché quelli pubblici stanno apposto. Davvero non sapevo come reagire, pensavo stesse scherzando quando la prima volta che me lo disse, circa un mese fa, era tutta divertita del viaggio.
“No, dico sul serio. O ti trovi un lontano parente francese o cambi destinazione.” – ricominciai, come se mi andasse a genio la cosa – “Tu che dici? Non c’è proprio nessun parente che hai in Francia, possibilmente italiano?” – cominciai a ridere. Cioè, una di quelle risatine stupide di quando il professore fa una battuta squallida. Ridevo all’ idea di come sarebbe andata a finire questa storia del viaggio, di cosa sarebbe successo se.. chissà (?).. con lei fossi partita anch’io.
Avevamo solo sedici anni eppure anche mostrandone diciotto la cosa mi spaventava. Era forse normale, si, ma come minimo avrei dovuto fare qualcosa tipo gettarmi ai piedi di Dafne e dirle che siccome era la mia migliore amica dalle medie mi avrebbe portato via un pezzo di vita o non so cosa.
Di certo uscire via di lì era una cosa allettante. Non è che un piccolo paesino di 5.000 abitanti sia così interessante. Quindi, perché no? “Perché no?” – mi chiese lei di rimando. Mi fece seriamente impressione. – “Perché sì?” – mi parve l’unica ‘risposta’ logica ad una domanda del genere.
“Perché Montmartre è più bella di qua e ci sono posti da visitare che non immagini? Perché i ragazzi francesi sono più seri rispetto a quelli italiani?”
“No, la serietà non dipende dalla lingua che si parla” – abbaiai io.
“Va bene, va bene. Lo sai anche tu che non è quello il motivo!”
“E allora qual è?” – dissi con tono deciso, più di quanto volessi. Lei sospirò, insicura.
 
Era forse questo, l’ argomento di cui due sedicenni normalissime dovevano parlare?
No, pensai di no.
 
“Cambiamo discorso..” – accennai allora - “Sei pronta per dare il benvenuto a questo sole di settembre?” – vidi che Dafne era molto triste e quindi, dentro me, le chiesi se oltre al viaggio impossibile c’era qualche altra cosa che andasse storto: nessuna risposta.
Continuava a guardare fuori dalla finestra, incurante di ciò che dicevo e disinteressata a quella bella giornata estiva che prometteva una spiaggia meravigliosa. Sembrava volesse oltrepassare l’orizzonte, ma farlo coi soli occhi non le bastava.
“Ti voglio bene, Anna” – mi disse. E sembrava più profonda delle altre volte – “Ti assicuro che questo viaggio finirà bene. E se le cose andranno male, allora significa che non è ancora la fine.” – mi sorrise.
“Ehi, lo sai che ti voglio bene anch’ io, vero? E se Montmartre ti sembrerà troppo lontana ci andremo insieme.. e sai che ti dico ancora?” – le sue orecchie diventarono enormi – “Che se Montmartre insieme a me non sarà abbastanza ce ne andremo ancora più lontano!” – il sorriso le arrivò fino alle orecchie.
“Sincera!?” – mi domandò.
“Credimi” – le risposi non aspettando un attimo.
“Ragazze, la cena è pronta!” – vociò un tuono chiamato mamma dal piano di sotto.
“Arriviamo!” - dicemmo all’unisono. A poco di lì, io e Dafne avremmo frequentato il terzo anno di liceo linguistico e questo nuovo inizio si mostrava pieno di sorprese.
 
Mia sorella, che è al primo anno di liceo scientifico, continuava a giocare con tutto ciò che le capitava sottomano, come bicchieri e forchette, e a quel punto addio pace e quiete.
“Okay Mary, adesso basta!” – ruppi il silenzio – “Se io e Dafne sapevamo che avresti animato in questo modo la serata di certo saremmo andate a cena fuori, magari trovando qualcosa di meglio di un’ insalata di ma’!” – la rimproverai. “Ma che dici, Anna?” – fece Dafne – “Tua madre cucina benissimo.. e non ti preoccupare per Mary, non dà troppo fastidio” – ecco, una cosa su cui non andavamo d’accordo io e Dafne era proprio mia sorella.
“Possibile che ogni volta che usciamo lei fa la spia? E perché alla festa di Matteo, che era una festa della mia classe, me la sono ritrovata fra i piedi?” – cominciavo a prendere altri discorsi. Non centravano niente, ma il fatto che Mary godeva a vedermi sbollire mi dava ancora più fastidio.
“Basta! Anna, vai in camera tua e tu, Dafne, appena hai finito puoi ritornare a casa. Comunque grazie per i complimenti” – mia madre che si faceva condizionare dagli occhioni di Mary mi disturbava ancora di più, quindi filai di sopra e fino all’ indomani ne uscii di rado.
“Allora ciao Anna” – disse Dafne chiudendo la porta della mia camera – “E pensa alla stanza dove starò fra qualche mese!” – disse gridando perché potessi sentirla anche al piano di sotto – “Facciamo dove staremo tutte e due!” – la corressi io. Mia sorella se ne venne fuori con un – “Cosa? Tu e lei andate a vivere da sole!?” – aveva una faccia del tipo AdessoTiFaccioVedereIo – “Mamma!!!!” – urlò. Ma entrai subito nella sua camera e uscendo chiusi la porta a chiave prima che Mary potesse riafferrarla. Non potevo permetterle di rovinare tutto.
 
Il sole dell’ indomani piombò sulla mansarda di casa come le urla di Mary alle mie orecchie, che era rimasta (involontariamente) chiusa nella sua camera fino alle dieci di mattina, quando mi alzai dal letto e corsi ad aprirle.
“Non ti permettere più! Vedrai stanotte che bello dormire senza la possibilità di correre in bagno!” – disse sicura. “Tanto ho già nascosto la mia chiave dove non puoi trovarla neanche cercando fino all’ ultimo centimetro cubo!” – risposi decisa.
“È matematicamente impossibile!” – sbottò lei, tutta saputella. Quindi per calmarla (o farla alterare ancora di più, chissà?) le risposi sicura – “Ma se in questa casa la chiave non ci fosse e basta?” – mi guardò incredula. Poi fece un sorrisino odioso – “Come mai l’ hai data a Dafne, ieri? Credevi che non potessi arrivarci?” – ma quanta fantasia aveva, lei? Me lo chiesi senza poter rispondere – “Non l’ho data a lei, sarei stata troppo prevedibile!” – e lei mettendosi sopra il suo letto finì la discussione con un semplice – “Si, certo certo.”
 
La mia canzone preferita ruppe il silenzio mentre sulla scrivania stavo cercando di mettermi in testa tutte le date di storia: era da fare per le vacanze, ma sinceramente non so se pochi giorni prima dell’ apertura delle scuole si possono contare come vere e proprie vacanze.
“Dafne, ciao” – dissi fredda.
“Quale entusiasmo, l’hai fatta la storia? Gli ultimi due paragrafi, intendo.”
“Ecco, appunto.”
“Continuerai a rispondermi con parola-virgola-parola o dici che puoi aiutarmi a studiarli?”
“Boh, dipende.”
“Okay, basta.” – distaccò un attimo il cellulare per poter ridere – “Visto, ho cominciato anch’ io? Comunque. Ti va se passo da te fra mezz’ ora?” – ero con la coda ai capelli, il pigiama, i pantaloni extra-large della tuta e qualcuno voleva venire a casa mia a vedermi – “Okay, solo perché sei tu però.” – rise ancora staccando il telefono – “Guarda che anch’io sono struccata e sembro uno zombie! A dopo!”
Non passarono più di cinque minuti che i piedi di Dafne numero 37 fecero capolino davanti alla mia porta: felpa con stampa, jeans vecchi e chignon. Pensai che forse esistono zombie più belli di me.
 
“Allora, pronta per una bella ripassatina?”
“Direi di no” – dissi sorridendo e portando il libro di storia sulle gambe una volta scivolata nel letto.
“Allora, il 1789 è una data facile da ricordare.. o sbaglio?” – diciamo che alla rivoluzione francese c’ero arrivata anch’io. Ma per non deludere il faccino dolce che aveva abbozzai un – “Sì, può andare..” – e tutte piene di entusiasmo, forse più lei che me, cominciammo a ripetere in francese l’ una all’altra. Qualche volta, studiando sul libro di civiltà, ci scambiavamo un sorriso d’intesa passando sulla parola Montmartre, come fosse un’abitudine, come fosse una specie di sguardo al futuro per sognare un po’.
“..et donc Montmartre est la ville la plus charmante.. Ehi, ma mi ascolti!?” – mi rimproverò Dafne facendomi notare che fosse offesa. Ci restai male di rimando, poi decisi di sganciare la bomba – “Ho trovato una stanza!” – silenzio.
Io con un sorriso grande così e lei immobile. Ad un certo punto, dopo qualche secondo di sguardi reciproci notai che aveva gli occhi lucidi.
“Non ci credo, cioè..” – rispose lei restando impassibile. Manco fosse fatta di gesso.
“Eehm.. Ci sei, ragazza!? Ho affermato una piccola cosa, te l’ho detto ed è proprio così: ho trovato una stanza.” – dissi velocemente meravigliandomi a mia volta rendendomi conto di quanto fosse eccitante questa situazione – “Cioè, intendo un piccolo appartamentino in uno degli alberghi a tre stelle di Parigi, non vogliamo spendere troppo per l’alloggio, no? Quindi viaggeremo per la Francia, vedremo di tutto e mangeremo – si spera – benissimo. I soldi che ci risparmiamo ora sono quelli con cui compreremo vestiti e ritratti, ti va? Cioè, non è una grande idea Dafne?” – okay, forse avevo esagerato e tutte quelle cose non le avremmo fatte.. ma volevo convincerla a mia volta come lei aveva fatto con me.
“Allora!?” – sbottai.
“No, cioè.. ” – passò un po’ – “Wow, okay? È splendido, punto.” – lo disse come parte integrante del discorso, quel punto lì.
“Allora prenoto e andiamo a comprare i biglietti?” – dissi più seria.
“No, non prenotare per ora. Continua a cercare e aspettiamo di comprare i biglietti: sarà bellissimo!” – disse sprizzando felicità. Poi, però, lo sguardo di Dafne cambiò – “Ma come glielo diremo?” – questo non lo sapevo neanche io – “Partiremo negli stessi giorni in cui c’è la gita scolastica proprio in Francia.. ti sembra una buona idea?” – in effetti sembrava l’unica soluzione, quindi accennai un – “Faremo firmare la gita ma non presenteremo il modulo ai prof” – mi stupii di quello che avevo detto – “in questo modo i genitori pensano che siamo in Francia con la scuola (ma solo la prima parte è vera), quando invece i professori sanno che non siamo mai partite. Capisci?” – mi guardò sorpresa portando la testa di lato con gli occhi fissi su di me, poi replicò – “Non ti facevo così mascalzona, Anna!” – con un sorriso stupido alzai le spalle e guardai il portatile: voli low cost, aspettateci!
 
“Sbrigati, sbrigati! Attenta a quella macchina, aspetta ti prego! Okay, adesso fermati.. no, forse dovremmo girare di là.. oppure no, forse ci siamo perse. Un’altra volta.” – queste le parole che riempirono la mattina del giorno dopo, mentre io e Daff ci sbellicavamo dalle risate per aver scoperto di non saper leggere nemmeno una cartina stradale.
“Davvero l’agenzia viaggi è così lontana? Di questo passo, quando saremo arrivate la scuola sarà già partita!” – se c’era una cosa che non amavo di lei, era il modo in cui rendeva peggiori certe situazioni già molto difficili – “Ma è dietro l’angolo, non vedi? Adesso giriamo di qua e..” – sentii un urlo – “Attenta!” – e fu così che boom, finii dritta contro un palo della luce. Sembrava che un’auto mi avesse fatto la doccia correndo sulla strada durante una tempesta, tanto ero furiosa!
“La prossima volta, non piegarti in due dal ridere, magari fammi da air bag quando succede!”
“No davvero, sei stata proprio buffa Anna!” – aspettai che finisse di ridere – “Dovevi vederti! Un signore si è girato a guardare come a dire se fossimo due matte, te l’ assicuro!” – rideva come se niente fosse.
 
“Voli per Parigi? Controllo subito signorine!” – stava digitando velocemente sul palmare, quando a un certo punto il ragazzo dell’agenzia distolse gli occhi per chiedere – “Ma siete maggiorenni, giusto?” – E ora? Avrei dovuto aspettarmi quella domanda, potevamo almeno portarci il fratello maggiore di Daff, lei non ci aveva proprio pensato? – “Sì, tutte e due.” – mentì Dafne – “Lei 18, io 19 anni.” – ma bene, non ci eravamo neanche consultate che già si metteva a dire fossi io la più piccola – “Sicure? Avete le carte d’identità?” - a quel punto non potevo fare a meno di guardarla. Lei aveva mentito, lei avrebbe vuotato il sacco. Era giusto così, no?
“Le abbiamo dimenticate, sono proprio necessarie?” – abbozzò Daff.
“Sì, temo di sì” – il ragazzo cominciava ad insospettirsi e io di conseguenza a preoccuparmi..
“No aspetta, io ce l’ho” – non so come, ma uscii la carta dal portafogli e gliela mostrai.
“Okay, qui c’è qualcuno che sta cercando di prendermi in giro. Chi delle due?” – adesso si stava proprio arrabbiando.
“Ci deve essere un errore!” – era davvero così che Dafne pensava di risolvere la situazione? – “Ecco, io però ho veramente 19 anni.” – certo, falsificando la carta ci sarei riuscita anche io. Sembrava tipo i soldi del monopoli, sul serio il ragazzo ci era cascato? – “Va bene, allora può andare.. avrete i vostri biglietti.” – sì. Ci era cascato in pieno.
Dieci minuti dopo, uscimmo di lì tutte raggianti, ma io un po’ arrabbiata con Daff.
“Ma non è splendido? Andremo a Parigi.. puoi prenotarlo adesso l’appartamento!” – va bene mentire ai genitori, quello non mi pare sia illegale. Ma far girare carte d’identità falsificate cominciava a non piacermi.
“Infatti, ci manca di prenotare la stanza, far firmare i moduli scolastici che finiranno dritti nel cestino e.. fare le valigie entro due mesi, quando partiremo.”
“I professori hanno fatto bene ad avvisarci della gita al secondo anno, in modo che siccome al terzo anno partiamo subito avevamo il tempo di convincere i genitori!” – rise Dafne pensando all’estate passata in ginocchio davanti a suo padre per andare a Parigi, come programmato dalla scuola – “Quindi è per questo che prenoterai l’appartamento lì?” – in questo senso ero stata davvero molto astuta, lo riconoscevo – “Sì, così mamma e papà non sospetteranno niente! L’albergo è lo stesso, il programma ovviamente no!” – e lì scoppiò una risata. Perché la vacanza-studio sarebbe diventata una vacanza-shopping.
Arrivate a casa, i moduli da compilare furono firmati e l’appartamento prenotato. Mancavano soltanto le valigie.
“E se lo scoprissero?” – domandai a Dafne.
“Beh, se lo scoprissero saremmo delle sedicenni in punizione a vita che hanno visto Parigi dalla torre Eiffel” – mi sorrise.
 
L’indomani sarebbe cominciata la scuola e io e Daff continuavamo a ripetere gli Stati Uniti, le declinazioni in latino, dialoghi in spagnolo.
“Piccola pausa?”
“Piccola pausa” – affermai.
 
“Non sopporto il senso di ansia che mi ha rapita circa tre ore fa, tu!?” – erano le tre di notte e si era deciso di dormire insieme, noi. Come si fa a svegliare la propria migliore amica (che cercava di dormire) nel cuore della notte?
“Comincia a contar le pecore, allora!” – dissi bruscamente. L’ avrebbe fatto davvero?
“O magari a ripassare grammatica!” – okay, non avevamo ripassato i verbi irregolari, ma che centrava ora? Avevamo studiato tante altre cose, non potevano interrogarci proprio su quello. O sì?
“Stai calma, andrà tutto bene. Te l’assicuro, amica mia.” – dovevo prima assicurarlo a me stessa, però.
Sbuffò, forse non le piaceva l’aria pesante, pensai. Ma neanche un attimo dopo mi resi conto della crudele realtà: un calcio mi arrivò dritto sullo stinco. “Dafne!” – “Scusa..” – “Il problema è che non trovi una posizione comoda, giusto? Ecco, però non direi che appiccicarsi a me sia la soluzione..” – avevo voglia di dormire, per cui ero molto irritata.
 
Pochi minuti dopo mi accorsi dei lievi singhiozzi di Dafne. Di lì a poco, avrebbe cominciato a piangere.
L’abbracciai da dietro dicendole che se era per l’inizio della scuola poteva stare tranquilla, ma intuii che non era quello il problema.
“Se posso aiutarti, dimmelo. Davvero, non ti preoccupare.. il sonno si recupera, una confidenza con la tua migliore amica nel cuore della notte no.”
“Sai il vero motivo della mia decisione? Riguardo il viaggio, dico.”
“No, in effetti no.” – dissi io, dando voce ai miei pensieri – “Prova a spiegarmi” – continuavo ad abbracciarla senza poterla guardare negli occhi.
Comunque, a causa del buio pesto non avrei potuto ammirarle lo stesso. Quelle sue perle scure, sempre curiose depositarie di sentimenti.
Aveva dei bellissimi occhi. Gliel’avevo mai detto?
“Desidero cambiare me stessa. Desidero cambiare il mondo intorno a me.” – la sua serietà quasi mi faceva impressione, stavo cominciando a crederle. Crederle mentre piangeva, crederle mentre col cuore in mano mi confessava ciò che aveva dentro, come non aveva mai fatto. Come se non l’ avesse mai fatto.
“Si dice che i cambiamenti siano una benedizione. Che portino qualcosa di buono.” – le risposi io.
“Sì, si dice che certe cose belle finiscano, per far poi spazio a quelle migliori.” – sorrisi.
“Per cose belle intendi un rapporto normale coi tuoi, amica?” – credo che sorridesse anche lei, a quel punto.
“Sì, e per cosa migliore intendo scoprire il mondo intorno a me.” – si girò per guardarmi e mostrarmi quelle dolci perle nere, nonostante il buio fosse davvero tanto a quel punto – “Vorrei proprio scappare, io.” – interessante. Un’ amica che ti dice così, ti trasmette voglia di andar via anche tu, ma chi lo sa che non si riferisca al fatto che intenda scappare via da te? Decisi di chiederglielo.
“Vuoi scappare. E scappare da chi? Da cosa? Questa vita in cui ci sono io?” – le accarezzai le onde che i suoi capelli le facevano sulla spalla, mi piacevano tanto i suoi capelli.
“Vorrei tanto scappare” – riprese – “Con te.”
“Anch’io. E lo faremo, giusto?”
“Mi piacerebbe tanto, lo sai questo.” – ammise – “Lo sai, giusto?”
“Non sarei qui se non lo sapessi.”
“Ti voglio bene” – sussurrò con la voce più dolce che mai.
“Anch’io.”
 
Sul sentiero di ciottoli bianchi, mi accorsi di che qualcosa era cambiato dall’ anno precedente: la scuola aveva un’aria diversa. Ma no, non la scuola come edificio, dirigente o professori, la scuola come studenti, come ragazzi che vivono le loro emozioni lì dentro. Pensai che forse dovevo solo abituarmi di nuovo all’aria pesante che regnava in classe, alla malinconia dei corridoi e i ricordi delle scritte indelebili sugli specchi e le mura dei bagni.
“L’ hai già vista?”
“No.. Tu?”
“La vedi!?”
“Dove?”
“Ma guardala, ma che fa?”
Uno sciame di parole continuava costantemente a ronzarmi intorno, una di quelle cose che non sopportavo fin dall’elementari.
“Ehi!” – sbottò Daff contro il mio zaino – “L’hai vista, giusto?” – cominciavo a preoccuparmi.
“Cosa!? Chi, dove, quando?” – mi ero stufata di quei sibili a scapito di qualcosa. O qualcuno.
“A ore 3.00, vedi?” – no, non vedo.
“No, non vedo.” – ammisi di rimando.
“La ragazza appiccicata contro la corteccia di quel pino, hai presente? Capelli strani, vestiti come fosse un arcobaleno, l’atteggiamento che ha avuto prima con quel ragazzo..” – ma che problema aveva? A me sembrava una ragazza normale. Ma le mie orecchie non avevano tralasciato l’ultima osservazione di Dafne.
“Quale ragazzo? Quale reazione?” – lei cominciava a stufarsi di quelle domande, ma avevo bisogno di saperla, qualche cosa.
“Matteo, lo stesso che ha organizzato la festa a cui abbiamo partecipato l’anno scorso, ha detto che era una ragazza strana, ma che le piaceva per questo.” – il ricordo di quella festa non era molto positivo, ma ringraziavo Daff per non essersi soffermata su quello - “Certo, l’ha detto atteggiandosi, i suoi amici ridevano con lui e Matteo stesso aveva una faccia da stupido, ma..” – continua, continua per favore, imprecavo dentro di me – “Ma poteva anche evitare di sbattergli la schiena contro il tronco, stava solo giocando con lei, probabilmente aveva scommesso qualcosa sulla reazione di lei con i suoi compagni.”
“Decisa, la ragazza!” – non sarei riuscita a fare una cosa del genere, mi sarei vergognata da morire o avrei ceduto facendo la carina con lui. Certo, questo almeno non conoscendolo e non essendo andata alla sua festa l’anno prima. Ma non vi ho ancora detto cosa successe, giusto?
Ebbene, dopo essermi preparata per due ore, andai con Daff a casa di Matteo, secondo piano, dove si stava già ballando. Avvicinandomi al tavolo dei cocktail, spunta una bionda tinta che mi sporca (involontariamente) il vestito con la sua bibita e l’ unica reazione di Matteo è stata quella di farlo notare a tutti, che si sono messi a ridere. Una bella esperienza, giusto? Tuttavia, non avevo potuto reagire col gesto di cortesia della ragazza nuova: lei era molto più decisa di me.
Lei sapeva quale ragazzo era da respingere, quale da abbracciare forte, quale da chiamare nel cuore della notte per dire ‘ehi, buonanotte ragazzo’. Quanta invidia nei miei occhi, quanta!
“Sarà decisa per te, ma da emarginare secondo il resto della scuola!” – ribatte lei – “Secondo me quelle che corrono dietro a Matteo tutti i santi giorni si chiederanno come ha fatto a respingerlo per un po’.. patetiche, loro!” – capivo che un po’ di gelosia stava anche nelle parole di Dafne, davvero era interessata anche lei a quello spaccone?
“E tu?” – le chiesi di rimando.
“Io cosa!?”
“Cosa pensi della sua reazione? Avresti fatto la stessa cosa?”
“Boh, cioè..”
“Cosa avresti fatto!?”
“Avrei giocato un po’ anch’io. Magari ci sarebbe scappata una bella scena davanti a tutti, e chissà come avrebbe reagito Alana?”
“Se ne sarebbe cercato un altro, di ragazzo. Tanto difficile?”
“No, beh almeno Matteo l’avrei agganciato io.”
“Agganciato? Pensavo non si agganciassero, le persone.”
“Dai, entriamo.”
Una valanga di zaini mi stava sopraffacendo, come si poteva affrontare il primo giorno di suola con tutto questo entusiasmo? Lasciai andare la mano di Daff, che non si preoccupò di aver perso la mia nel bel mezzo della scolaresca.
 
Arrivata in classe, mi accorsi ch’era come se ci fossi sempre stata, lì dentro. Assurdo come ci si può dimenticare dell’ estate in così poco tempo.
“Ragazze mie!” – esordì la prof – “Ragazzo” – salutò Luke, l’unico maschio nella nostra classe. Simpatico, lui!
“Senza troppa formalità, sedetevi e state un po’ calmi. Oggi come sicuramente avete notato si aggiunge un’altra ragazza al nostro liceo..” – un brusio si levò subito dalle mie compagne, chissà quanto ne avevano già (s)parlato? – “Per favore, ragazze” – ci chiedeva l’insegnante – “Lei si chiama Zoe, ma purtroppo non è nella nostra splendida classe. Spero possiate legare bene con lei, magari nasce una bella amicizia. Ho saputo che è una persona particolare..”
“Basta mirarle la criniera!” – esordì Alana, che sulla testa aveva una chioma rovinata per le troppe tinture platino, bruciata per la troppa piastra e piena di doppie punte che voleva eliminare sprecando inutilmente shampoo.
“A me piace molto!” – ammise Luke, tanta stima per lui, allora!
“Sto con Luke!” – ammisi di rimando. Mi fece un sorriso e, dopo le lezioni, andammo verso il pino della ragazza a trovarla per conoscerla un po’.
“Parla prima tu!” – gli dissi con un atteggiamento un po’ infantile – “Davvero, mi mette in soggezione.”
“Ok, ti presento io. Però non scappare a gambe levate!” – mi diede di gomito lui.
Posammo gli zaini sul prato e ci mettemmo accanto a lei – “Non si arrabbia mica, vero?” – sussurrai a Luke – “Mettiti qua vicino a me e sta’ tranquilla.” – chissà se lui pensava fossi un po’ scema? Come si può aver paura di una persona? Sperai che non se lo fosse chiesto.
“Ti dispiace se ci mettiamo qui?” – cominciò lui.
“Direi di no, non sembrate due brutte persone.” – ci guardò bene negli occhi, pensai che avrebbe reagito guardandoci da capo a piedi, ma non sembrò interessarle.
“Piacere, Luke. Lei è Anna, una mia amica.” – le sorrisi.
“Ciao Luke, ciao Anna. Come butta?” – adesso si era alzata gli occhiali da sole, per cui ammirai il bellissimo trucco che aveva sugli occhi. Sembrava che tutta la confezione di glitter le fosse cascata sulle palpebre, tanto era luminoso il suo ombretto.
“Butta bene, ragazza. Dovrei chiedertelo più spesso, come butta Anna?” – era la prima volta che io e lui facevamo una conversazione così lunga, non si è mai esternato troppo in classe, neanche durante i dibattiti. A volte mi chiedevo se fosse asociale o addirittura sociofobico, ma sembra più simpatico di quanto pensavo.
“Butta bene. E a te?”
“Anche.”
“Piacere, sono un dinosauro di nome Zoe, io.”
“E io che pensavo si fossero estinti, guarda un po’ che scoperta, Anna! Dovremmo stare insieme più spesso, noi!” – aveva già cominciato a fare lo spiritoso?
“Davvero non state insieme insieme!?” – ci chiese Zoe.
“Dipende da cosa intendi tu.” – sgranai gli occhi, cosa aveva creduto, lei?
“Stiamo insieme ora, è ovvio che se adesso prendiamo due strade diverse non stiamo insieme più.” – commentò Luke. Poi la guardò e tutti e due guardarono me: scoppiarono a ridere, perché davvero non c’avevo capito niente.
A quel punto sentimmo una ragazza strillare, uno di quegli strilli acuti come se fosse successo qualcosa di sconvolgente.
“Anna!” – perché Dafne reagiva così?
“Eccomi, devi dirmi qualcosa?” – sembrava avesse visto un fantasma.
“Per favore, vieni!” – portava la testa alta, che atteggiamento stupido – “Sbrigati!” – ma che aveva?
“Arrivo, aspetta. Ciao Zoe, ciao Luke.” – preso lo zaino, andai da lei e mi mise da parte, non so, faceva tanto scuole elementari.
“Che ci fai con quella? Io cerco di farmi in quattro per cominciare bene quest’anno e tu te ne freghi e stai con l’emarginata sociale!” – dove stava il problema? – “E con quello, con coso!”
“Si chiama Luke. E l’emarginata Zoe. Ha detto di essere un dinosauro, non è una cosa carina?” – cercavo di rendere meno drammatica la situazione, ma Dafne mi guardava come se avessi la pelle verde o non so cosa.
“Stai scherzando? UN DINOSAURO!?” – okay, avevo commesso un passo falso.
“Càlmati.” – cominciai a imprecare.
“No che non mi calmo!” – si agitava lei.
“Adesso vieni a casa mia e ne parliamo, d’accordo?”
Sbuffò e andammo verso la macchina di suo fratello, che ci aspettava suonando il clacson ininterrottamente.
Salutai Luke e Zoe con un cenno della mano e corsi dietro Dafne verso la Volvo di Filippo: con il volume alto del suo CD preferito non sentimmo ciò che stava bofonchiando, ma poco importava. Ciò che diceva erano tutte cose che ci aveva ripetuto cinquemila volte, e Dafne lo sapeva bene.
“Abbassa, non si capisce niente di quello che dici!” – disse comunque scocciata – “E in ogni caso io ed Anna abbiamo già di che parlare. Quindi smettila e metti in moto.” – che c’è, Zoe era diventata anche il nostro argomento del giorno? Tuttavia, su di lei non potevamo dire molto, perché la scuola ci aveva già pensato quella mattina.
“Sai che lei sta sulle bocche di tutti, giusto?” – confermò Daff i miei pensieri.
“Esatto. E allora?” – provai a difenderla io.
“Non è positivo ciò che si dice in giro, però. Quindi” – e mi diede una pacca sulla coscia – “Farai bene a starne alla larga. Vuoi andare ancora alla festa annuale di Matteo, giusto?” – provai a replicare, ma aperta la bocca mi disse di stare zitta con un cenno della mano –“Ebbene, se la frequenti ti giochi i nostri inviti a casa sua.” – ma perché quel Matteo la stava ossessionando, quella mattina?
“Senti, capsici meglio di me che non c’è paragone: vuoi perdere una nuova conoscenza a costo di una festa del genere? E dai, non è mica un dramma se non ci andiamo!” – mi guardò con gli occhi sgranati come aveva fatto prima, forse avevo davvero la pelle verde.
A quel punto Filippo cominciò a quotarmi, come se gliel’ avessi chiesto. Patetico. E ridicolo. Ma la cosa che mi lasciò stupita più di ogni altra fu che abbassò il volume di un bel po’, per riprendere la sorella dicendo – “Ti faccio notare che Anna ha ragione.” - lo guardai come per dire ma che diavolo..!?, ma mi trattenne lo sguardo fulminante che mi lanciò - “Possibile che una stupida serata con quello stupido ragazzo insieme a ragazzine stupide valga maggiormente di una persona in più nella tua vita?” - “Sì, per me è così” – gli rispose – “E credevo che anche per Anna lo fosse. Ma evidentemente vi siete coalizzati contro di me.” – sollevò il mento e cominciò a scrutarci: un leggero nervoso cominciò a salirmi lungo la colonna vertebrale – “Insomma, da quand’è che siete d’accordo, voi due? E’ successo qualcosa, forse?” – no, non è successo niente, le dicevano i miei occhi. E Filippo lo confermò ulteriormente dicendo – “Non è successo niente, no. Proprio niente. Volevo solo farti riflettere.” – e in questo caso ‘riflettere’ significa ‘far valere la propria opinione calpestando quella della sorella minore’. Eh sì, ragazzo. Gliel’ hai proprio fatto capire al volo! Spero almeno che Daff non ce l’abbia anche con me.
“Ce l’ho con tutti e due” – disse Dafne dopo aver emesso una specie di ringhio. Faceva quasi paura.
Lui, per tutta risposta, sospirò seccato e mi disse di scendere – “Prima fermata!” – fece sorridendomi. Pensai che forse io e Daff dovremmo litigare più spesso. Così almeno potevo non trovarmi faccia-a-terra con l’asfalto quando Filippo è irritato e ha i crampi alla pancia perché è ora di pranzo, come dice lui. L’anno scorso mi ripeteva sempre di fare in fretta e ora faceva il carino con me? Dafne ha ragione, dissi a me stessa. Deve essere successo qualcosa.
“Non fa ridere!” – gli disse lei velocemente liquidandomi con un cenno del capo. In primo luogo rimasi spiazzata dal suo saluto, ma quando vidi suo fratello alzare gli occhi al cielo scoppiai a ridere come una bambina. E lui rise con me. E lei si irritò ancora di più.
 
Presi la stradina sul retro di casa, che divideva in due parti il giardino. Pensavo alle lezioni di oggi, quando di punto in bianco calciai un sassolino e mi ritrovai faccia a faccia con lui. O meglio, faccia a petto, dal momento che sono una nana. E lui è un lampione.
“Quanto ci voleva per arrivare?” – mi chiese Luke. Quanto ci voleva per avvertirmi?, gli chiesi dentro di me. Come al solito, nessuna risposta.
“Ci voleva quanto ci voleva” – gli dissi piatta.
“Anna ha il fidanzato! Anna ha il fidanzato!” – cominciò a cantilenare Mary dalla finestra. Evidentemente lui si era fatto vedere. Ma perché era venuto? Ci parlavamo appena, noi!
“E’ da tre ore che cerca di scoprirlo facendomi delle domande a trabocchetto. Proprio simpatica, tua sorella!” – disse con un sorriso sincero. Le rivolsi una linguaccia senza pensarci e mi sentii subito imbarazzata ricordandomi che ci fosse Luke davanti.
“Peccato, non mi sembra che sia lo stesso per te.” – continuò lui facendomi arrossire. Ma che mi era saltato in mente?
“Tra sorelle è normale, si fa tutti i giorni!” – dissi in modo impacciato. “Anche quelle grandi lo fanno!” – e da lì cominciai a sputare stupide giustificazioni per ciò che avevo fatto. “Cioè, non è che io mi sento grande. E’ che siccome lo fanno solo i bambini pensavo che.. cioè, Mary è la bambina. Non io! Non io!” – quando mi resi conto che mi stavo addirittura irritando mi tappai la bocca. Stupida impulsività di famiglia. Non sarò mai una ragazza determinata, ammisi a me stessa. Serrai un pugno e fissai le sue braccia. Non riuscivo a guardarlo negli occhi. “Sei proprio strana, Castoldi!” – esordì lui. Tolsi la mano sulle labbra per replicare, ma mi poggiò la sua sul viso in un modo svelto e delicato per non farmi parlare. Era già la seconda volta che qualcuno mi diceva di stare zitta. Possibile che fossi così antipatica? “Shh” – sussurrò portandosi l’indice alla bocca con l’altra mano – “Nessuno dei due vuole ancora giustificazioni, o sbaglio?” – no, non si sbagliava.
“Forza, mostrami il palmo della mano.” – gli rivolsi uno sguardo interrogativo. Partii per avvicinargli la mia mano, quando Mary cominciò a dire fra sé e sé (ma in modo che potessimo sentirla) – “Adesso. Lui. La. Bacia.” – con la stessa mano di prima mi spiccicai le dita lunghe e affusolate di lui dalla faccia e le gridai – “Ma smettila, scema!” – e si nascose dietro le tende. “Ehi” – riprese lui – “Avevamo deciso che saresti stata zitta.” – si portò le mani alla nuca e, lo ammetto, i miei occhi si posarono sui suoi muscoli delle braccia che si distendevano. “Io dico quello che voglio” – dissi fermamente. “Allora, il tuo palmo dov’è?” – non mossi un dito. “E va bene, va bene. Faccio da solo.” – portai istintivamente le mani dietro la schiena, ma non sembrò interessargli. Cominciò a trafficare con la tasca dei mie jeans scuri e lo fulminai con lo sguardo. Che stava combinando!? – “Certo che li portate proprio stretti, voi ragazze.” – no, la verità era che avevo i fianchi enormi. Ma mi guardai bene dal dirglielo. – “Ecco, volevo solo darti questo” – m’indicò il mio mp3. Feci per saltargli addosso quando glielo vidi tra le mani, lui portò le braccia in alto come per fare l’innocente. A quel punto la sua maglia aderì al corpo e il mio sguardo cadde sulle sue forme. Non che lo stomaco di un ragazzo fosse qualcosa d’interessante, solo mi ritrovai a scrutarlo e basta. “Non ho ascoltato né le canzoni né le tue registrazioni, tranquilla.” – allora come faceva a sapere che ci fossero, queste ultime? Si era fregato da solo.
“L’hai dimenticato a scuola all’ uscita, l’ho trovato sul prato prima di andare a casa. A casa tua.” – me lo porse con il filo degli auricolari accuratamente girato intorno al lettore. Strano, pensai. Io lascio sempre il filo attorcigliato su se stesso. Ho finalmente capito che perdere tre ore a sbrogliarlo non serve a niente. Doveva averlo per forza sistemato lui.
“L’hai usato. Tu, proprio tu. Hai ascoltato il mio mp3.” – portò la testa di lato, perché continuava a non capire. “No, cioè.. no.” – si difese. “Invece sì.” – insistetti io. “Invece no” – affermò lui. “Invece sì” – abbaiai io. “Hai le prove?” – chiese lui. Gli indicai i fili bianchi. E gli ricordai quel dettaglio delle mie registrazioni che aveva accennato prima. “Ah” – disse semplicemente. “Oh!” – cominciò a sbattersi la mano sul viso. “Eh.” – dissi io scocciata – “Ecco, adesso dimmi perché.” – ma non mi sentì, perché dopo aver seguito i nostri ah oh eh si piegò in due dal ridere. “Ho chiesto perché! Perché!?” – continuavo a ripetergli scocciata. Ma era tutto inutile.
“Oh oh” – disse stupidamente Mary dalla finestra. Stava guardandoci ancora? In tutta risposta, comunque, Luke si agitò ancora di più indicandola, come se avesse detto una barzelletta. “Adesso basta!” – gli dissi scocciata. Non pensavo fosse così sfacciato – “Dimmi perché le hai sentite e soprattutto quali.” – si tappò la bocca, almeno lo sentivo meno, ora. “No scusa, è che..” – prese a dirmi – “se sapevo che avremmo riso così tanto sarei venuto prima a casa tua!” – e sghignazzò. “Ti faccio notare che stai ridendo solo tu” – il mio sguardo era impassibile. Poi di colpo pensai agli occhi di Filippo, a come li aveva fatti ruotare poco prima. E scoppiai di nuovo a ridere come una bambina. Era imbarazzante. Ma divertente. “Non ne sarei così sicuro” – disse Luke scuotendo il capo e smentendo le mie parole. “A scuola non mi sei mai sembrato un tipo così allegro!” – gli dissi cercando di sembrare severa. Ma siccome ridevo era suonata come una cosa amichevole.
“Sono allegro solo adesso, che siamo insieme.” – sorrise. Mi bloccai e restai zitta. Lo aveva detto davvero?
“L’ho detto davvero?” – mi chiese serio asciugandosi le lacrime – “No scusa, l’ho detto davvero?” – lo guardai impassibile – “Cavolo, ma che fai? Mi streghi?” – cominciai ad annuire e mi buttai sul prato. Non ne potevo più di stare con lo zaino sulle spalle. Lui si mise alla mia altezza (lo ringraziai dentro di me per questo), e mi disse – “Ci vediamo, allora.” – si alzò e sparì all’ angolo della via con il motorino. Da dentro, mia madre chiamò tutti per il pranzo. Intanto mi accorsi che non aveva ancora risposto alla mia domanda. Non avrebbe dovuto sentirle, le mie canzoni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un altro colpo di clacson e raggiunsero la macchina.
Parlavano sempre e solo di feste, non le sopportavo più. Quindi ho preso parte alla discussione, abbassando il volume e dicendo apertamente ciò che penso.
Una volta arrivati, ho fatto roteare gli occhi scocciato e ho guardato l’orologio.
Lei scese dall’auto ridendo dolcemente, come una bimba allegra.
È stato proprio al suono della sua felicità che dentro di me si è mosso qualcosa. Ho sempre creduto che fosse la solita soddisfazione maschile di quando qualcuno ride alle tue battute, anche se sono stupide.
Eppure, riflettendoci adesso, temo che ci sia qualcosa di più…

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Capitolo 2
*** AMICIZIE, GELOSIE, PORTE DA AGGIUSTARE (?) ***


 

 
 
2
AMICIZIE, GELOSIE, PORTE DA AGGIUSTARE (?)

Quel pomeriggio ci avevano dato un bel po’ di cose da ripassare, perché l’indomani mattina avrebbero fatto sicuramente un test d’ingresso. O chissà, magari domani avrebbero interrogato. In ogni caso, nessuna delle due cose mi terrorizzava, dal momento che io e Dafne avevamo ripassato tantissimo negli ultimi giorni. A proposito di Daff, la mia testa se ne andò a gironzolare ripensando ai suoi occhi quella mattina. Perché era così interessata a Matteo? Possibile che in un giorno quel ragazzo avesse ipnotizzato anche lei? Quanto al suo aspetto, non c’era niente da ridire: tutto ciò che le adolescenti desiderano. Tutte tranne me. Ho sempre preteso tantissimo in fatto di ragazzi, e non credo che troverò mai ‘quello giusto’. In ogni caso, se ci fosse mai stato un ragazzo giusto, non volevo certo che frequentasse persone come quello sbruffone, tantomeno le sue feste. Perciò ero decisa: non sarei andata a casa sua quell’ anno. Non ero voluta andare lì neanche gli altri anni, a dir la verità. Ma Dafne faceva sempre di tutto per trascinarmici ed ero terrorizzata all’ idea che ci sarebbe riuscita anche questa volta. Dovrò pensare bene a come svignarmela nel bel mezzo della serata, forse? A scuola avevo sentito dire che ne avevano già organizzata una la settimana dopo, come ‘benvenuto alle matricole’ o roba del genere. A ricreazione con le ragazze non abbiamo parlato di altro.

“Anna, prendi il telefono, è per te!” – gridò mamma dal piano di sotto. Alzai il cordless e risposi – “Pronto?” – passò qualche attimo.
“Anna, ciao” – era Dafne.
“Ah, ciao” – dissi.
“Scusa per stamattina. Mio fratello mi ha fatto il lavaggio del cervello, non avrei dovuto comportarmi così, non avrei dovuto dirti quelle cose..” – sembrava pentita, come le altre volte. Se c’era una cosa che mi piaceva di lei, era che quando riconosceva di aver sbagliato metteva da parte l’orgoglio e s’impegnava per riguadagnare i rapporti con le persone che amava. Ultimamente non era successo niente di particolare tra noi (eccetto i biglietti per andare in Francia), quindi avevo quasi dimenticato questo suo leale atteggiamento.
“Ti perdono, amica. So quanto ci tieni ad andare alle feste, mi diverto anch’ io qualche volta. Solo che Zoe mi sembrava simpatica.. quindi io e Luke..” – pensai se dovessi raccontargli la storia dell’ mp3. Dopotutto, credeva di essere l’unica ad aver sentito le mie registrazioni, se lo venisse a sapere da lui sarebbe brutto. Non una tragedia, ovvio.
“Sì, tu e Luke. Ho visto mio fratello fare una smorfia e arricciare il naso quando ti ha seguito con gli occhi lungo il sentiero del tuo giardino sul retro e notare Luke. Quindi mi ha anche chiesto perché il ragazzo dell’uscita di scuola, come ha detto lui, adesso andava anche a casa tua. Dovevi vederlo, mi ha fatto sorridere vedere quanto fosse tenero in quella situazione: okay che la gelosia è una cosa che non sopporto, ma non pensavo che Filippo potesse provarne tanta nei tuoi confronti!” – geloso nei miei confronti? Filippo!?
“Beh, sai.. è come se fossi sua sorella minore, siamo come due gemelle noi due. E Filippo lo sa..” – provai a dire io – “Non c’è niente di strano, è come un fratellone per me. Quando si tratta di ragazzi, ‘sta attento’ ad entrambe, lo sai bene.” – continuai più sicura. In realtà cercavo di convincere me stessa. A pensarci bene, non erano molti i ragazzi con cui mi vedevo, anzi. Se non fosse per Luke, si potrebbe dire che ho solo conoscenze in altre classi del liceo. Ma niente di più.
“Sì, hai ragione, ma..” – cominciò a mugugnare Dafne – “Insomma, sembrava che ci fosse sotto qualcosa. Adesso che lui non c’è possiamo parlare tranquillamente. Stamattina mi avete detto che non nascondevate niente, ma..” – eravamo già al secondo ‘ma’. Dove voleva arrivare?
“Ma, cosa?” – sentii che sospirava pesantemente – “Cosa, cosa Dafne?” – mi stava facendo innervosire.
“Beh, mi sembra strano, ad esempio, il fatto che stamattina andaste d’amore e d’accordo. Non è che la tua fosse una risata così naturale, cioè.. tu non ridi mai come una.. una..” – cominciò a bofonchiare qualcosa, ma non sentii la parola precisa. Aveva di colpo abbassato la voce, aveva concluso velocemente la frase, quindi decisi che dovessimo parlarne faccia a faccia, si capiva che Daff avesse qualcosa che non andava.
“Com’è che avrei riso, oggi, in macchina?” – azzardai un po’ scocciata.
“Hai riso come..” – pausa – “Come una stupida.” – avevo sentito abbastanza. Abbassai il tasto rosso e mi presentai a casa sua. Dafne aveva davvero qualcosa che non andava.
 

“Ehi, Anna. Vieni, entra. Devi parlare con Dafne? Sai, è appena entrata in bagno per farsi una doccia.” – mi informò la signora Maria. Come al solito, la mamma di Dafne era gentile con me. È sempre stata pronta ad accogliermi, anche quando io e Daff bighellonavamo a casa loro. Mi fece accomodare in cucina, dicendo che ci sarebbe voluto un po’ prima che sua figlia scendesse. “Cosa vuoi che ti offra? Un succo di frutta va bene?” – mi chiese aprendo il frigo.
“No, non si preoccupi. Sto bene così.” – sentimmo un rumore provenire dal fondo del corridoio, sembrava fosse caduto qualcosa. E infatti – “Che stai combinando, tesoro!?” – disse ad alta voce Maria. Non le piaceva gridare, probabilmente non l’avrebbe fatto neanche in mezzo ad un incendio. Si sentì un altro tonfo e subito dopo un altro ancora. “Ippo!” – lo richiamò lei irritata – “Che stai combinando lì dentro!?” – dopo un attimo arrivò la risposta – “Scusa, ma’. Non è successo niente!” – disse lui con voce ovattata. Sembrava che si fosse chiuso la testa in uno scatolone. E vedendo la scena che ne seguì dopo non potei trattenermi dalle risate: di colpo si aprì la porta in fondo al corridoio a causa di una violenta spallata di Filippo. Aveva il viso stravolto dal dolore. “Mamma, che ridi come una ragazzina!? La toppa della porta l’abbiamo messa secoli fa, che schifo ‘sto ripostiglio!” – ma entrando in cucina i suoi occhi diventarono enormi. Non era sua madre a ridere, anzi. La signora aveva un viso impenetrabile – “Chiedi subito scusa! Anna non è venuta per farsi dire che ride come una ragazzina, ti pare?!” – smisi di sghignazzare. “Oh, sei tu, scusa Anna, io.. cioè, non ti avevo vista.” – spiegò lui imbarazzato. “E..?” – lo incitò a continuare sua madre – “Cosa c’è ancora?” – provò ad aiutarlo lei.
“E non ridi come una ragazzina.” – disse lui piatto. Poi un lampo gli oltrepassò gli occhi, come se si fosse ricordato qualcosa. “Senti, non è che ti va di aiutarmi? Devo cambiare la serratura di quella maledetta porta. Mamma è una frana con queste cose!” – sorrise lui.
“Al massimo posso passarti quello che ti serve, non sono proprio d’aiuto, insomma.” – accennai io.
“Non preoccuparti, qualcosa inventeremo.” – lo seguii in corridoio. Dafne cominciò a usare il phon e Filippo si lamentò recitando qualche frase maschilista, come faceva di solito.
“Ecco, guarda, la porta adesso non si chiude” – mi fece notare mentre sistemava una piccola scatola piena di foto che era finita davanti allo sgabuzzino.
“Non è che tu sia stato così gentile con lei” – gli ricordai io – “Non potevamo aprirti da fuori, noi?” – mi guardò cercando una risposta logica alla soluzione ovvia cui ero giunta facilmente. Ma siccome dire che non ci aveva pensato era troppo stupido lo aiutai io – “Che c’è, volevi sentirti in un film poliziesco?”
“No, volevo fare il Superman di turno.” – rispose scocciato – “E adesso mi tocca aggiustare ‘sta porta qui.” – mi fece scivolare un foglio tra le mani – “Ecco, tieni. Leggi come si fa, che io ti seguo.” – misi a fuoco i piccoli caratteri che erano stati stampati – “Oh, okay” – e, seduta a terra con lui, presi a leggere.
“Occorrente: un set maniglia delle dimensioni identiche a quella da sostituire e un cacciavite” – lo guardai.
“Passa il cacciavite” – chiese lui porgendomi la mano. Notai quello più nuovo e glielo misi in mano – “Grazie, continua.” – disse.
“Step uno: misurare la grandezza della maniglia. Potete svitarne una parte per portarla con voi nel fare il nuovo acquisto, evitando brutte sorprese.”
“Nessuna brutta sorpresa, set giusto, vai avanti.”
“Okay, step due: effettuare la sostituzione. Svitata l’altra mezza maniglia, estraete l’albero quadro che unisce le due maniglie sincronizzandole nel movimento” – non ci capivo niente – “Svitate la parte interna della serratura.” – rivolsi uno sguardo alle mani di Filippo, che armeggiavano con le maniglie: forse non aveva capito niente neanche lui. “Tu hai capito?” – mi chiese speranzoso. Scossi la testa – “Mmm.. no.” – sorrise. E mi fece sentire un’imbranata. Poi, con lo sguardo ancora su di me, ebbe un sussulto, e notò che senza accorgersene aveva svitato tutto e basta. “Dovrebbe andare..” – disse lui. “Sembra di sì” – affermai io con una smorfia.
“Vediamo il prossimo passo”
“Allora, step tre: inserire il nuovo meccanismo di serratura. Badate che i fori presenti nel meccanismo coincidano perfettamente con quelli della porta; bloccate il tutto con le viti.”
“Ci proviamo” – sussurrò afferrando la nuova serratura. Lo guardai armeggiare in modo determinato e, dopo qualche attimo, mi fece cenno di continuare.
“Step quattro: montare le due maniglie. Ricordate di prende..”
“Anna” – mi interruppe Dafne guardandoci dall’ alto in basso.
“Mi sta aiutando a sistemare la porta, abbiamo quasi finito. Va’ in cucina, che ti raggiunge fra poco” – lei se ne andò ciabattando lungo il corridoio e mi affrettai a leggere. Una volta sistemate le maniglie, Filippo mi aiutò ad alzarmi dicendo – “Okay, io vado qua dentro e chiudo. Poi tu mi apri e vediamo se funziona.” – attesi che chiudesse il ripostiglio e un attimo dopo cominciò a bussare.
“Dlin dlon!” – fece lui. Sorrisi e restai al gioco.
“Chi è?” – domandai.
 “Il postino!” – disse dopo un attimo di esitazione.
“Arrivo!” – risposi, ma neanche il tempo di aprire la porta che dalla cucina si sentì Daff che ci canzonava – “Ma smettetela, bambini!” – seguì un lamento – “Anna, vieni qui.” – guardai Filippo e mi strinsi nelle spalle. Lui mi strizzò l’occhio per il lavoro ben fatto e mi fiondai in cucina.
“Allora, riguardo la chiamata di prima..” – cominciò lei.
“Non ti preoccupare, non me la sono presa tanto” – mentii – “Dimmi perché avrei dovuto fare apposta quella risata e siamo apposto” - continuai arrivando al sodo.
“Non mi piace tutta questa complicità che hai con quello lì. È come se fossi passata dalla sua parte.” – questa era bella. Adesso non potevo neanche ridere?
“È stata solo una risata buttata lì e basta. Non significava niente.” – mi accoccolai accanto a lei sul divano – “Filippo era d’accordo solo per.. che ne so.. una coincidenza? È normale preferire i rapporti umani alle serate scolastiche quando non sei un tipo festaiolo. E la gelosia di tuo fratello sarà stata solo momentanea, ne sono sicura.” – conclusi svelta.
“Gelosia?” – ci chiese lui appoggiandosi al legno della porta – “Ma che state dicendo?” – ci lanciò uno sguardo interrogativo. Adesso mi credevo davvero stupida. “Niente, infatti. Era solo una stupida frase buttata lì..” – tentai di risolvere io.
“Parla di oggi a mezzogiorno, sei stato patetico a farmi tutte quelle domande su lei e Luke” – aspetta, aspetta.. ‘Patetico’!? Dafne mi aveva parlato di tenerezza quando mi ha descritto la scena, che centra ora che sia stato patetico? E quali domande aveva fatto?
Per tutta risposta, Filippo alzò le spalle e fece scivolare una sedia del tavolo sotto le sue gambe. Si mise davanti a noi e appoggiò le braccia sulla spalliera. Sembrava un gangster dentro un brutto locale, tanto era infastidito dalle parole di sua sorella.
“Di quali domande parli?” – le chiesi fissando Filippo negli occhi.
“Mi ha chiesto chi era. Se stavate insieme, insomma.” – si stava mettendo male.
“Era solo per sapere.. c’è qualche problema, forse? Anna è come una sorellina per me.” – no, ti prego. Tutto, ma non una sorellina. Non so, faceva tanto gelato e palloncino. Pensavo invece di essere l’amica della sorella, per lui. O, se proprio vogliamo entrare nel dettaglio, la lettrice d’istruzioni per aggiustare le serrature. Ma sorellina no.
“Non mi pare” – sussurrò a denti stretti al fratello. Decisi di intervenire.
“Va bene, ragazzi, è tutto a posto. Voleva solo.. informarsi” – conclusi. Nel frattempo rivedevo mentalmente la teoria della sorellina. Era vero, l’aveva detto lui stesso. Non poteva starci niente di diverso dietro quella gelosia, ammesso che potesse chiamarsi così. Ma continuavo a non capire l’irritazione di Daff. Non c’era motivo di preoccuparsi di una cosa del genere: Filippo aveva fatto una smorfia, qualche domanda e basta. Mi dissi che non dovevo dargli peso, a quel comportamento. Era tutto a posto.
“Beh, non è che con me si sia mai informato, come dici tu” – adesso ci stava scocciando tutti e due. Non c’era bisogno di portarla alle lunghe, poteva benissimo dirci quello che pensava di noi e finirla lì.
“Beh, non penso che tu ti faccia ammaliare da un ragazzino come quel Mattia, lì..” – riprese lui – “quindi non c’è da preoccuparsi. O dovrei, forse?” – sorrise malizioso. Era un’espressione di lui che non avevo mai sopportato. Dafne stava per rispondere mettendogli le mani addosso e imprecò – “Matteo! Si chiama Matteo quello lì!” – sentii il cellulare che vibrava: era mia madre. Evidentemente si era accorta della mia assenza.
“E poi, vedi che lo ammetti!?” – sbottò Daff.
“Cosa!?” – guardò interrogativo lui.
“Hai appena detto che ti preoccupi per Anna e invece per me no. Ti sembra normale, questo?” – serrò la mascella e si girò dall’altra parte. Filippo fece per replicare, ma dovevo tornare a casa e troncare la conversazione. Quindi mi alzai e spiegai di nuovo che era tutto a posto, tra me e lui non era successo niente.
“È il fratello odioso di sempre. Che pensa solo a ricordarci quanto siamo infantili.” – ed era vero. All’ uscita di scuola non faceva altro che riprenderci e a sentirci parlare di ragazzi ripeteva che eravamo troppo piccole, che non ci capivamo niente. In particolare diceva che rappresentavamo i due estremi di personalità femminili che ai ragazzi, come diceva lui, non piaceranno mai: Daff era ‘troppo’ in tutto, troppi lustrini e troppo make-up; Anna era ‘troppo poco’, il tipico maschiaccio che non attirerebbe anima viva. Mi ricordo che da quel giorno cominciai a truccarmi di più e scegliere con devozione i vestiti da mettere, i comportamenti da avere, ma non durò molto. Dopo una settimana ero ritornata la ragazza di sempre.
Nonostante dissi soddisfatta quelle parole per mettere tutti a tacere, sentii una fitta al cuore quando notai lo sguardo offeso di Filippo: forse ho esagerato, dissi a me stessa. Salutai i ragazzi e Maria e tornai a casa.

Quell’anno scolastico poteva anche cominciare meglio.
Le ultime dodici ore mi avevano dato tanto cui pensare, ma sia io sia la mia testa sapevamo la domanda che non doveva uscire allo scoperto in quel momento. Come mai, di punto in bianco, Anna Castoldi ha dei ragazzi a cui pensare? Possibile che Luke mi avesse notata solo adesso? Possibile che Filippo mi stesse guardando sotto una luce diversa? Mi sentivo come una teenager nei film americani, solo senza un’amica con cui parlarne. C’eravamo solo io e me stessa, a pensarci. E liberarsi da quel ronzio di domande sarebbe stato difficile.
Calciai un sassolino solitario sul sentiero dietro casa ed entrai portandomi una mano sulla fronte: appena notai che mi scoppiava sempre di più pensai bene di metterci del ghiaccio, ma come al solito Mary l’aveva consumato tutto e non aveva riempito le formine bianche per i cubetti con dell’ altra acqua. Poco male, pensai. Afferrai una bottiglietta di acqua congelata e me la posizionai sulla testa in modo che non cadesse.
Appena avvertii i passi di Mary echeggiare nella stanza, chiusi gli occhi per simulare una dormita. Almeno non avrebbe fatto rumore. Invece mi scrollò per farmi ‘svegliare’.
“Sì?” – aprii un occhio.
“Mamma ti ha chiamato prima, al cellulare”
“Lo so” – la testa andava un po’ meglio, ora.
“Sta passando l’aspirapolvere nella tua stanza, ti aspetta lì per parlare” – oh, bene. Non avevo voglia di parlare con nessuno – “Credo sia per la faccenda di Luke. Ah, e vuole sapere dove sei stata poco fa” – avrei dovuto avvertirla prima di uscire, quantomeno mi sarei risparmiata una splendida discussione madre-figlia.
“Beh, dille che tra un attimo salgo e parliamo, okay?” – mi bastava dire di essere andata da Dafne e si sarebbe risolto tutto.
“No, vuole che tu ci vada ora” – si, certo, certo. Posai la bottiglietta nel freezer, mi fiondai davanti alle scale e salii i gradini a due a due. Speriamo che non abbia toccato nulla, pensai con poca convinzione. Sicuramente aveva dato una sistemata, come avrebbe detto lei.
“Ma eccola, la signorina!” – cominciò con un tono di voce che non prometteva niente di buono – “Ti sembra normale uscire di casa senza avvertire nessuno? Tre ore a sgolarmi per chiamare il tuo nome, e tu che fai!? A casa non ci sei, al cellulare non rispondi! Rientri a casa come se niente fosse, come se passare dal retro possa far sì che non ti veda nessuno.” – scosse energicamente la testa – “Che rientri a quest’ ora, intendo.”
Provai ad impossessarmi del mio territorio, ma mamma scaraventò le lenzuola del mio letto davanti alla porta. Sempre se letto si potesse chiamare, quello. Era un insieme di coperte, lenzuola, cuscini e plaid leggeri. Mi ricordo ancora come ho fatto a convincere i miei a non comprarmi un letto quando ero piccola e dormivo in una culla da campo: li svegliavo meccanicamente tutte le notti, sbucando nella loro camera da letto accusando la sensazione di sentire qualcuno che mi chiamava. “Adesso il mostro è nell’armadio” – mi giustificavo io – “ma ha detto che se mi comprate il letto si nasconde lì sotto e la notte mi spaventa” – ovvio che mamma e papà non ci credessero, ma per passare delle notti in pace decisero di accontentarmi e di, come dicevano loro, ‘lasciarmi fantasticare un poco’.
“Sono stata da Dafne, non c’è bisogno che ti preoccupi in questo modo” – scavalcai la montagna di lenzuola ed entrai nella mia stanza.
“Questa è da vedere: chiamerò Maria quando avrò finito qui con te” – mi fece cenno di avvicinarmi, in modo che non dovesse gridare per sovrastare il rumore dell’aspirapolvere – “Ma piuttosto, com’è fino a ieri non ti incontravi con nessuno e oggi un ragazzo si è presentato davanti alla porta? Se è così che intendi cominciare l’anno, posso sempre considerare l’opzione di farti studiare a casa!” – come se Luke avesse chiesto la mia mano, o roba del genere.
“Siamo compagni di classe, doveva solo darmi una cosa” – affermai io.
“Mary mi ha detto che c’è una festa per gli studenti del primo anno, questo venerdì. Vuoi andarci con lui?” – tutto d’un tratto il suo sguardo divenne dolce. E purtroppo sapevo il perché. Desiderava che fossi come Dafne, una figlia romantica che va al ballo della scuola, una ragazza molto femminile che ci tiene ad essere sempre presentabile e tutte quelle cose lì. A pensarci bene, però, non abbiamo mai parlato di ragazzi io e lei.
Possibile che con l’arrivo di Luke avesse immaginato qualcosa?
“A dire il vero, non ci voglio andare e basta” – risposi sinceramente – “Ma Dafne ci tiene, quindi..”
“Quindi dovrai trovarti un accompagnatore” – sorrise lei.
“Non siamo in America, non è così che funziona, mamma!” – aveva una fantasia sconfinata. Entrai in stanza e collegai il mio laptop all’ alimentatore: l’ avevo usato tutta la sera in attesa del sonno e si era scaricata quasi tutta la batteria.
“Sai ma’? Oggi ho aiutato Filippo a sistemare la toppa di una porta, quindi, non so, se dovesse servire..” – cambiai discorso io.
“Ah, Filippo. Che bravo ragazzo, sono felice che aiuti un po’, almeno non vai a casa loro solo per disturbare” – si girò verso di me sorridendo come se avesse avuto un lampo di genio – “Potresti andarci con lui. Al ballo, intendo. Pensa un po’ che simpatici, tutti e due.” – ehm, no. Non direi.
“Ma non pensi che sia un po’ grande per me?” – pensavo che tre anni di differenza fossero un abisso, secondo lei. Mi sistemai sulla sedia girevole colorata davanti alla scrivania. Certo ch’era un’idea curiosa: io e Filippo ad una festa. Mi fa solo un po’ strana, tutto qui.
“Sai che non è l’età la cosa importante, vero?” – no, pensavo che non lo sapessi tu – “Ho sposato tuo padre per la sua maturità e dolcezza, non certo perché fosse l’unico ragazzo che conoscessi ad avere la mia età! Sai com’è, non è che in mezzo a cinquemila abitanti puoi trovare chissà che..” – papà, allora, significava forse che avesse deciso di accontentarsi? – “Ma tuo padre è sempre stato speciale, per me. Lui era.. era diverso” – aveva gli occhi leggermente lucidi, adesso ho capito da chi ho preso l’atteggiamento di commuoversi anche per le piccole cose – “Leva questi piedi, che pulisco anche qui sotto!” – incrociai le gambe sulla sedia e presi il piccolo cestino in modo che mamma pulisse anche quel pezzo, poi decisi che non doveva farsi false illusioni – “Comunque sia, non andrò alla festa con Filippo. Voglio che sia una serata.. tranquilla. Sempre se ci vado, ovvio” – la aiutai a mettere le lenzuola nel cestone della biancheria sporca e tornai in camera per controllare le mail. Niente di nuovo, a parte lo spam e la posta indesiderata che riguardava offerte e concorsi. Un attimo prima di chiudere, però, arrivò qualcosa di nuovo e andai a controllare: né pubblicità né macchine nuove. Lessi il nome del destinatario, Alana. Perché mai mi aveva scritto, lei?
  
Festa delle matricole a casa mia venerdì alle 20.30; Tema Moulin Rouge.
In allegato, l’invito per entrare: non portate con voi persone che non sono nella lista.
Baci baci, Alana 

  
Scritte tutte rosa shocking, naturalmente. Adesso che sapevo il tema della festa non ci sarei andata di sicuro: possibile che mi avesse invitato davvero? Doveva esserci sotto qualcosa.
Cliccai su ‘Visualizza’ accanto all’allegato aspettandomi di trovare qualche scritta tipo - E’ UNO STUPIDO SCHERZO – invece no. C’era proprio il mio nome, lì sopra: Anna Castoldi. Chiusi la scheda, scaricai l’invito e lessi con noncuranza qualche nome della lista: tutta gente popolare a scuola, anche se qualche nome proprio non me lo spiegavo: secchioni, nerd, emarginate sociali. Decisi di chiamare Dafne per controllare che l’avesse ricevuto anche lei: come da copione, aspettai che smettesse di esultare prima di parlarne.
“Anche io! L’ho ricevuta anch’io l’e-mail! Anche io, Anna! Proprio come previsto!” – sentivo dallo sbalzo di volume che stava saltando sul letto, ma più che sui lamenti di Filippo dietro la porta di lei, decisi di soffermarmi sull’ultima frase: Dafne aveva previsto tutto.
“Cosa?” – chiesi piatta come se fosse un’affermazione. Aveva l’obbligo di spiegarmi ogni cosa al riguardo.
“Che c’è? Non sei felice? Speravo potessimo andarci insieme!” – si sedette sul suo letto, finalmente.
“Come. Quando. Dove. Perché.” – il mio tono non ammetteva obiezioni, e speravo che Daff lo capisse.
“Senti è che..” – pausa – “Niente, ho fatto qualcosina per farci avere gli inviti da Alana.” – ok, no. Quel qualcosina non andava proprio. Aspettai che continuasse – “Stamattina, a scuola.. all’uscita.. quando tu eri con Zoe.. io ero con lui..” – abbassò la voce – “..con Matteo” – fine della frase. Speravo non fosse la fine della spiegazione.
“Continua” – le dissi quasi in tono di rimprovero.
“Ci siamo per caso incrociati in corridoio. E lui mi ha chiamata. E io ho risposto, cioè, ci sono andata: Dafne, ci vieni alla festa con me venerdì?, mi ha chiesto. E.. io ho detto che non ci sarei andata se non avesse fatto invitare anche te. E lui ha detto che avrebbe visto un po’ cosa poteva inventarsi per farti avere l’invito, dato che ci tenevo, io. Ecco qua.” – eh sì, ecco qua. Ed ecco qui: hai fatto male, amica.
“Forse dovremmo parlare più spesso noi” – cominciai io – “Pensavo che avessi capito che Matteo è tipo un pallone gonfiato per me. È orribile, non mi piace affatto lui, non mi piacciono le persone che gli girano intorno, non mi piacciono le feste che fa, ti devo ricordare quella dell’anno scorso, o cosa, Dafne!? Vuoi che ti faccia un piccolo riassunto? Perché, sai com’è, mentre io scrivevo uno stupido riassunto scolastico per te, quest’estate, tu avevi la possibilità di divertirti. E io no.” – sospirò profondamente, ma non avevo intenzione di fermarmi – “E che cos’hai fatto tu, stamattina? Prima di insegnarmi come si vive, in quella stupida scuola, stavi convincendo quello spaccone a fare invitare ME alle LORO feste. Credo che tu non sappia come ci si sente in queste situazioni, Dafne. Non lo sai e basta.” – provò a replicare – “E non è affatto divertente” – conclusi io alzando l’indice in segno di convinzione come se potesse vedermi.
“Io.. pensavo che noi.. mi dispiace.” – fu tutto quello che riuscì a dire. Poi staccò.
Adesso Matteo pensava che gli andassi dietro, che la mia migliore amica andasse alle feste della sua fidanzata e che io l’avessi convinta a farmi invitare – come se m’interessasse! – facendo la figura della stupida che ha bisogno di una vita sociale e ‘popolare’. Non avrebbe dovuto accettare la sua proposta, prima di tutto. Ma siccome la sua vita non la decido io, ha potuto farlo benissimo: che si diverta con quello, non m’importa nemmeno. Fatto sta che io ho la mia, di vita, e da questa storia stupida doveva lasciarmi assolutamente fuori. ‘Anna pensa che le tue seratine fanno schifo’, questo avrebbe potuto dirglielo, si. Ma quando sono io a parlare, in una frase con il nome di quel ragazzo poteva starci solo un insulto. Niente di più. E speravo che Dafne l’avesse capito.
Come accade di solito nelle mie giornate no, andai a letto presto, sperando che la notte spazzasse via tutto ciò che era accaduto. Come primo giorno di scuola aveva fatto abbastanza pena.
 
Quella mattina mi svegliai con il corpo indolenzito, dopo aver passato le ore precedenti a svegliarmi ogni mezz’ora. Allungai la mano, e dopo aver tastato un paio di cose sul comodino presi il cellulare e lo schermo illuminato mi accecò: le otto meno un quarto. Quindici minuti e Filippo sarebbe passato di lì. Scesi le scale a piedi nudi, non avevo idea di dove fossero le infradito, ma pensai che non doveva essere poi così importante considerando l’orario. Mi fiondai in cucina coi capelli spettinati che sembravano la criniera di un leone, nonostante la sera prima avessi usato il balsamo per capelli lisci.
“Mamma, hai già preparato una tazza di latte per me?” – afferrai un biscotto e ritornai in bagno per accendere la piastra.
“Alla buon’ora!” – gridò mamma dal piano di sotto – “Mary è appena uscita, possibile che la sveglia a te non funzioni?” – come se ce l’avessi, una sveglia. Cominciai ad allisciare i capelli ed elencai mentalmente le materie che avrei avuto quella mattina. Oh, no. In prima ora avevamo il prof peggiore del nostro corso, e un ritardo già al secondo giorno non l’avrebbe tollerato!
Dopo dieci minuti, andai in camera per prendere lo zaino e andai a controllare il microonde, sperando che ma’ mi avesse preparato qualcosa: niente di niente.
Stavo per uscire dalla porta sul retro, come al solito, ma anziché una Volvo nera notai un ragazzo sul vialetto che alzò la mano per salutare.
“Luke, che ci fai qui?” – chiesi sbalordita.
“Ciao, Anna. Mi ha chiamato Dafne dicendo che avevi bisogno di qualcuno che ti accompagnasse a scuola, boh.. ha detto che lei non sarebbe passata oggi” – e giustamente ha pensato bene di chiamare lui.
“Però non ho il motore, è ad aggiustare, se così si può dire” – perfetto, stiamo solo perdendo tempo però – “Quindi sono venuto per farti compagnia, che ne so, Dafne diceva fosse importante” – a scuola glielo dico io cosa è importante! – “Qualcosa non va? Ho fatto male? Sembri arrabbiata” – ma certo che no! Quella mi spedisce il ragazzo baby sitter e io dovrei essere arrabbiata? Anna Castoldi arrabbiata? E quando mai, sono sempre raggiante quando un ragazzo crede che sia una che la strada per andare a scuola neanche la sappia!
“È tutto apposto.” – dissi stringendo i pugni per restare calma – “Davvero. Adesso andiamo, che è già tardi. Probabilmente il prof ci farà la paternale a tutti e due!” – e di ch era la colpa? Di Anna Castoldi, ovvio!
Il comportamento di Daff mi stava facendo sbollire. E lui lo notò.
“Senti, se vuoi domani passo col motore, vedo che posso fare” – si, come no.
“No, è sempre stato Filippo a darmi un passaggio, sia all’andata che al ritorno. Domani verrà di sicuro.” – almeno spero.
“Ah, il biondone che vi accompagna tutt’e due.”
“Sì, è suo fratello maggiore.” – e speravo che la conversazione finisse lì. Luke mi stava simpatico, non fraintendete, ma tutta quella situazione non mi piaceva: ero già nervosa per il ritardo, e stare accanto ad uno sconosciuto non mi faceva sentire a mio agio. Come ho già detto, non ho una vita sociale molto significativa. E mi sta bene così.
“Ah, non lo sapevo. È bello da parte sua offrirsi per un servizio del genere. Non dev’essere facile per lui conciliarlo con il lavoro o gli studi, immagino.” – no, non lo è. Ma siccome i capricci di Dafne sono stati molti, è facile capire come si sia subito piegato al suo volere due anni fa.
“Filippo lavora in un locale fuori città, quindi si organizza in modo che gli orari glielo permettano. È un tipo disponibile, lui.” – e anche tu, Luke. Ti sei fatto il doppio della strada stamattina, tutta a piedi. Lo ringraziai dentro di me. Possibile che un ragazzo avesse così tanta pazienza?
“Sei stato invitato alla festa delle matricole, venerdì sera?” – cambiai discorso io. Ero curiosa di sapere se l’unica ad essere stupita della lista degli invitati fossi io.
“In realtà, neanche m’interessa.” – okay, il ragazzo qui presente sta cominciando ad interessarmi. Non aveva passato il pomeriggio davanti al pc, come tutti gli altri ragazzi della scuola? Non aveva aspettato la mail con ansia? Beh, neanche io in effetti.
“È bello pensare che non sei un tipo da festini, tu!” – mi guardò stupito
“Non ci vai neanche tu?” – bella domanda.
“Matteo penserà che prima mi faccio invitare e poi non ci vado, bello no?” – e gli raccontai tutta la storia.
“Quindi è per questo che oggi son qui con te?”
“Sì. Dafne l’ha fatto apposta. Mi spiace.” – gli rivolsi un sorriso triste ed entrammo nel parcheggio della scuola: la campanella era suonata poco prima, quindi c’erano soltanto i fumatori nei dintorni.
“A me non dispiace affatto, invece. Non è così male stare con te. Oh, guarda lì: c’è Zoe che ci saluta.” – che carina, aveva pensato di aspettarlo. Sarebbe bello se diventassero amici, pensai.
“Ciao Anna, ciao Luke.” – ci fece posto accanto a lei.
“Buongiorno, ragazza” – le disse lui.
“Ehi, Zoe. Che c’è, i test d’ingresso scocciano anche te?” – esordii io. Notai che era l’unica a non fumare nel raggio di trenta metri – “Sai com’è, siamo un po’ in ritardo, noi” – continuai.
“Ah, beh, preferisco ascoltare musica. Voi volete entrare adesso? Vi accompagno.” – sì, e alla svelta. Il prof ci farà a fette.
“Tu che materia hai, adesso?” – le chiese Luke sistemandosi i pantaloni: il prato era umido quella mattina.
“E boh. Sono nel corso A, comunque. Quindi temo che non si farà lezione, come al solito. Mi è bastato un giorno per capire che tipo di classe è, quella. È una classe abbastanza.. attiva.. se così si può dire” – e ci credo. È quella di Matteo, dove si formano stupidi gruppetti e ci si comporta in modo infantile.
“Non è una bella cerchia, mi dispiace.” – dissi – “Immagino che si parli solo di venerdì sera, per adesso.”
“Sì, esatto. Non mi hanno invitata, meno male! Non mi piacciono le persone come loro, quindi non dovrò inventarmi che ho già un impegno o cose così.”
“Anna, tu ci vai allora?” – mi chiese Luke – “Perché se non ci vai, possiamo organizzarcela noi una bella serata, vi pare?” – girammo l’angolo  e guardai malinconica la porta in fondo al corridoio: la mia classe.
“Se la mettete così, allora va bene. Reciterò una scusa a Dafne per non andare.” – sempre che lei voglia ancora partecipare con me, ovvio.
“Mi piacerebbe” – sorrise Zoe – “Alla fine delle lezioni ci vediamo all’entrata del parcheggio per decidere luogo e orario, cià!” – ed entrò in classe.
“Ce la faremo, ce la faremo, ce la faremo” – sussurrai a Luke davanti alla nostra porta: lui rispose con un occhiolino e disse –“Lascia fare a me.” – sperai che avesse una buona idea.
“Ma buongiorno!” – ci salutò il prof – “Chi abbiamo qui? Il galletto del corso che si dà da fare con la Castoldi! Per venire a quest’ora ci deve essere qualche morte di mezzo.” – Alana sghignazzava.
“Mi scusi, professore” – si giustificò Luke – “Se non era per noi due, una morte ci scappava davvero” – lo fulminai con lo sguardo: ma che diavolo..!? Mi sorrise compiaciuto – per cosa, poi? – e mi mise una mano sulla spalla – “Io ed Anna, abbiamo aiutato una vecchina a passare la strada, sa com’è, rischiava di essere investita, poverina!” – le risate e i bisbigli si fecero sempre di più. Il prof annuì e ci congedò.
Le ore non passavano mai, come al solito, ma mi ero portata il lettore mp3 e le playlist erano infinite: che meraviglia! Tutto filò liscio, come gli altri anni, se non fosse stato per l’ultima ora, quando la prof ci diede da completare degli assurdi test d’ingresso. Avevo sperato tutto il giorno che non ne avremmo fatti. Povera illusa.
“Sono solo delle domande su ciò che abbiamo fatto l’anno scorso” – aveva precisato – “Ci vogliono cinque minuti” – sì, come dici tu.
Afferrai la matita e sbirciai il questionario: mettere qualche x era impossibile. Altro che programma passato! Erano argomenti di quell’anno scolastico, invece!
“Mah, le cose sono due” – borbottava Dafne – “O è pazza lei. O vuole far diventare pazzi noi” – non ci eravamo rivolte la parola per tutte le lezioni, quindi non mi curai di passarle qualche risposta. Segnai a caso e mi rituffai nella musica.
 
Splat! – il mio bel latte al cioccolato si era spiaccicato su quella specie di pavimento della scuola.
“L’avevo appena comprato al distributore, accidenti!” – mi guardai la mano appiccicosa.
“Ehi, Anna. Non ti avevo riconosciuta, vuoi che te ne compro un altro?” – okay, stiamo calmi, eh! È solo qull’idiota di Matteo che si è accorto della mia esistenza. Sopravvivremo.
“Che c’è, vuoi far vedere che hai abbastanza soldi da spendere?” – fu la prima cosa a cui pensai.
“Bella, ti volevo solo fare un favore” – no, bella no.
“Evidentemente hai già fatto abbastanza, ti pare?” – uscii un fazzoletto e cominciai a pulirmi la maglia monospalla. Meno male che il mio cardigan preferito non si era rovinato, se no l’avrebbe pagata davvero, lui!
“Okay, okay. Tranquilla, volevo solo essere gentile” – alzò un sopracciglio guardandomi nel modo più odioso in cui potesse fare.
“Essere gentile con tutte quelle che ti capitano ormai è un hobby, giusto?” – si era già inventato qualcosa per farmi avere uno stupido invito, come aveva detto lui. Se volevo ancora aiuto da parte sua gliel’ avrei chiesto.
“No, non lo è” – mi guardò serio.
“Si, come dici tu” – mi abbassai a pulire a terra. I fazzolettini non bastavano proprio.
“Ma con le ragazze carine, sì, quello sì” – che cretino che è.
“Che cretino che sei!” – esclamai di rimando.
“Non posso farti neanche un complimento? E poi com’è che ci tieni tanto a venire alla mia festa se poi neanche mi parli?” – mi mise a disagio, nel senso che non sapevo cosa rispondergli. Solo ‘la mia amica è pazza’ poteva essere la spiegazione. ‘È pazza a pensare che io lo volessi, quell’ invito’. Ma restai in silenzio e basta. Intanto arrivò la mano di un ragazzo a porgermi un fazzoletto di carta. Oh, che dolce. E chi è, questo qua? Alzai lo sguardo e lo vidi: Luke. Stava cominciando a farmi simpatia. E le sue dita affusolate erano bellissime.
“La verità è che neanche ci viene alla tua cosa, lì. Non le interessa proprio” – lo ringraziai dentro di me per avermi aiutata. Un’ altra volta.
“Ehi, senti, stanne fuori” – Matteo si avvicinò a me, poggiò la mano al muro dietro di me e si avvicinò ai miei capelli. È stato pressoché disgustoso. Bleah! “È una cosa tra me e lei, va bene?” – sorrise in modo odioso.
“Fatto sta che Anna ed io usciamo insieme, venerdì” – Matteo sgranò gli occhi, ma non si allontanò da me.
“Ah” – fu l’unica cosa che gli uscì di bocca. Spinsi una mano verso il suo petto e lo portai fuori dal mio spazio vitale, nel frattempo Luke allungò la mano verso di me – “Abbiamo finito qui, ragazza. Vuoi che ti accompagno?” – e lasciammo Matteo imbambolato davanti al contenitore della carta. Quasi stordito, direi.
 
Fu divertente, davvero.
 


























La solita sensazione strana di quando ti tuffi nei ricordi.
Li chiudi in una stanza per anni, e poi ti ritrovi a smistarne a palate per trovare quello giusto. Foto. Scatoloni. Foto dentro scatoloni.
Solo che una volta che ti ci fissi rischi di restarci troppo dentro. E non ne esci più.
Ritornai alla realtà ‘grazie’ alle imprecazioni di mia madre.
Che succede, che fai, rispondimi, cos’è stato.
Affondai la testa nella pila di plaid riposta rovinosamente nello scaffale. È tutto apposto, possibile che deve per forza essere successo qualcosa!?
Ma quella, come al solito non capiva. Pare che le mamme siano affette da sordità non appena comunicano coi figli. Bah.
Il solito rumore fastidioso della porta, e poi SBAM!, si apre di colpo, spinta dalla mia carica. Che a sua volta era alimentata dal disprezzo per i luoghi troppo piccoli, troppo chiusi. Finalmente aria, non ne potevo più!
E risate, a quanto pare. Sembra che ma’ abbia un debole per i programmi comici televisivi. O per suo figlio, che è lo stesso.
Che imbarazzo, però, quando sono entrato in cucina! Di tutte le ragazze, proprio lei mi doveva capitare!?
E farla sentire una bambina non è stato bello, perché, sì, anche se vorrei tanto chiamarla ‘piccola’ sarebbe stato meglio non darlo a vedere.
‘Ché mamma, quando si tratta di queste cose, lo capisce subito.
Comunque lo sgabuzzino adesso sta apposto. E anche io. Ma non per la porta, no. Perché ho giocato con lei.
E abbiamo fatto il postino, e la signorina, e poi… mia sorella. Che deve sempre rovinare tutto.
 
Adesso sanno tutte e due che son geloso. Speriamo che l’ho mascherata bene, quella scenata davanti a casa sua. Sennò mi tocca farci i conti, con questo sentimento qua.
Ho sentito in giro che si chiama ‘preoccupazione per qualcuno, interesse’. E mi interessa davvero, ‘sta ragazza qua.


Spazio autrice(esatto, vi scoccio anche io) haha.

Non solo vi faccio perdere tantissimo tempo coi miei capitoli, ma mi ritaglio anche questo spazio e ve ne faccio perdere ancora di più. Sì, purtroppo sì.
Allora, premettiamo che preferisco questo capitolo al primo (che modestia, oh!), soprattutto perchè nello scrivere questo mi sono sentita più sicura di me, per il semplice fatto che ehm.. *tossisce*.. OGNI MINIMA COSA che penserà Anna in questo storia descriverà anche me stessa. E a partire dal primo capitolo, ma soprattutto in questo, si delinea il profilo psicologico della protagonista, la sua mentalità così diversa dagli atri coetanei, che a quanto pare dà fastidio a molti.
E così sono io. Anche se i miei amici sono fantaaastici, ma non è di questo che devo parlare lol c:
Perciò, se tra i lettori ci sta qualcuno che mi conosce di persona, lo prego di non scandalizzarsi haha
In particolare mi è piaciuto il fatto che quando dovevo scrivere la parte per aggiustare la porta, ho fatto come ho letto nei ringraziamenti  di qualche libro: mi sono informata davvero. Ci tengo a farla diventare qualcosa di serio (?) 'sta storia qui, quindi per me ogni vostra recesione è importante, per sapere il punto di vista di chi legge, di chi scopre a piano a piano lo sviluppo della storia.
Mi sono armata di buona volontà, ho cercato tutto quello che si deve fare per le serrature e ho fatto leggere ad Anna le istruzioni c': In poche parole, se dovete aggiustare porte, chidete a me OuO.

P.S.: Vi piacciono le foto prima dei capitoli? Nel prossimo cambierà, ma questa è una sorpresa lollino vi consiglio di andare a leggere l'introduzione per capire di cosa si tratta e provare a immaginare (?).
Ok basta, ho scritto troppo. Mi dileguo. Evaporo. Giuro che sparisco. cc

Prossima pubblicazione: alla fine della prossima settimana. 

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Capitolo 3
*** E FU COSI’ CHE NACQUE CIELO, LA NUOVA ME! [parte 1] ***


 



3
E FU COSI’ CHE NACQUE CIELO, LA NUOVA ME!

 
Incontrammo Zoe al parcheggio: venerdì saremmo andati al Paradise alle nove, un locale fuori città (che poi città non si poteva chiamare, la mia), per cenare insieme tutti e tre. E dimenticarci di quella stupida festa.
Arrivata a casa, decisi di entrare dall’ingresso principale, sembrava che mamma sospettasse di meno quando facevo così. Zaino a terra, cardigan a strisce sull’appendiabiti e cuffie nelle tasche, come da rito scolastico all’ora di pranzo. Corsi di sopra per cambiarmi ed aggiungere la maglia monospalla al bucato sporco della giornata. “Una canottiera leggera andrà bene” – dissi tra me e me.
Sentii il campanello e Mary che andava ad aprire- “È Filippo, il fratello di Dafne!” – le chiesi se c’era anche lei, ma disse che era da solo.
Ascoltai la voce di papà farsi tesa tutta d’un colpo, vedendolo sulla soglia di casa – “Ciao, entra” – si limitò a dire. Mamma, intanto, lo aveva fulminato con lo sguardo e accolse Filippo in modo smielato.
“Salve, signora. C’è Anna, per caso?” – sussultai e andai a mettermi qualcos’altro per scendere.
“Ehi, tu!” – abbozzai un saluto ancora sugli scalini – “Come butta?” – pensai che forse si era rotta un’altra porta a casa loro.
“Scusa per stamattina” – disse svelto, come se ci rimuginasse su da ore.
“Oh, certo, cioè..” – non capivo di cosa stesse parlando.
“Intendo per il solito passaggio a scuola. Daff ha insistito per non passare, oggi mi ha messo il muso tutto il tempo, volevo avvertire, ma..” – lo interruppi subito.
“Non preoccuparti, Dafne ci aveva già pensato. Luke è venuto qui.” – i suoi occhi si erano ridotti a piccole fessure – “Intendo che Dafne l’ha chiamato” – fece una smorfia.
“Ah, ecco. Infatti” – infatti che? – “Quando sono venuto erano già le otto e venti, dato che avevo accompagnato quella lì” – sospirò – “ma tua madre mi ha detto che eri in compagnia di un ragazzo, quindi..” – quindi!? Continua, per favore. Lo implorai ininterrottamente. Ma lasciò cadere il discorso lì, come se immaginassi già la fine. Invece no, non la sapevo.
“Anna, Filippo è venuto qui per te stamattina. Potresti almeno dirgli grazie, no? Dovevo dirtelo io del suo passaggio, ma si è presentato di nuovo, adesso. Non so se mi spiego.” – mamma mi guardò male e si rivolse gentilmente a Filippo, come se avesse le espressioni intercambiabili, senza altre emozioni di mezzo. Mah. “In quanto a te, figliolo” –  ‘figliolo’? - “meriti una ricompensa” – e indicò sua figlia, come se fossi un trofeo o non so cosa.
“Cosa!?” – chiesi confusa.
“Ma no, signora, è stato un piacere, cioè, non è stato un disturbo per me venire qui, davvero” – continuavo a guardare mia madre: cosa le era saltato in mente?
“C’è una festa, venerdì. Tu e Anna potreste divertirvi” – gli sorrise – “Potreste andarci insieme. Vero, tesoro?” – e mi guardò. Io avevo gli occhi a palla - “No, mamma, no” – non avevo il coraggio di guardare Filippo in faccia – “cioè, intendo che non ci vado” – spiegai.
“Dafne, invece, sì” – mi fece notare lui – “Non che debba importarti, visto come stanno messe le cose. Ma pensavo che tutt’e due vi eravate trovate già un accompagnatore o roba del genere.” – scossi la testa.
“No, io non ci voglio andare. E Daff lo sa. Esco coi miei amici, venerdì sera” – mi sedetti sull’ultimo scalino.
“Ah, perché hai anche degli amici?” – domandò stupita Mary – “Che c’è, ormai è così che si chiama, il tuo ragazzo?” – sorrise maligna. Aprii la bocca per replicare, ma mia madre si affrettò a dire – “Anna Castoldi!” – mi puntò il dito contro e cinguettò – “È mai possibile che tu, da ragazza asociale convinta” – e se avesse potuto, avrebbe sottolineato quest’ultima parola – “hai cominciato a frequentare qualcuno?” – schiusi di nuovo le labbra – “No, no!” – disse in tono ammonitore – “Filippo esce con te, venerdì!” – il ragazzo in questione, che aveva trattenuto il fiato durante la piccola discussione, emise un sospiro. Ma non di sollievo. Era più un pensavo-che-andasse-peggio.
“Esco con Zoe e Luke, sono belle persone, mamma!” – lui mi guardò – “E sinceramente non abbiamo bisogno di lui!” – Silenzio di tomba.
Le parole di quella frase mi rimbombavano nella testa e mi venne un senso di nausea alla bocca dello stomaco. Mi pentii subito di aver detto quelle parole velenose. Non era da me. E Filippo fece il gesto di alzarsi di scatto e dire – “Arrivederci” – per poi uscire dalla porta sotto gli occhi sgranati di tutti gli altri. Sembrava più un a-non-rivederci-mai-più-Anna !
 
Mi portai le mani al viso.
 
Udii dalla portafinestra del nostro salotto il rumore della macchina di Filippo che metteva in moto. Ed ebbi il forte impulso di alzarmi e andare ad abbracciarlo: lui era sempre stato buono, in fondo. Ma era dal giorno prima che non facevo che offenderlo indirettamente. Mi fece stare male. Quindi salii in camera mia e me ne stesi per conto mio, con lo stereo messo abbastanza alto perché nessuno potesse sentire le mie grida, che, come al solito, iniziavano dentro di me e non le liberavo mai al mondo esterno.
Perché ci sono, quelle grida. Mai una volta che le liberi alla luce del sole, mai una volta, ragazza.
Ripetevo a mente e in continuazione i versi di una delle mie canzoni, quella che, guarda caso, mi era venuta meglio. E nel mio mp3 suonava davvero bene. C’era un’armonia tra voce, musica e parole che non avevo ancora capito da cosa dipendesse.
Sentii qualche sedia che veniva bruscamente spostata al piano di sotto, poi lo sbattere della porta di Mary e, infine, lo sbuffare di mia madre che saliva al piano di sopra.
Mio padre, dal canto suo, rimase lì sotto a pranzare, immagino.
 
Ordinai al mio corpo di muoversi per prendere il cellulare, nonostante la posizione che avevo preso sul mio pavimento era davvero comoda: cercai di memorizzarne i contorni, così da assumerla anche altre volte.
Non avevo mai scritto un messaggio a Filippo, ma avevo il suo numero perché Dafne alle volte lo chiamava sfruttando i minuti gratis che mi restavano alla fine del mese: mi sarei scusata con lui, prima di tutto; poi gli avrei detto che poteva uscire con me e gli altri e che, boh, mi faceva simpatia in realtà. A causa del mio comportamento temevo che avesse capito il contrario, quindi avrei aggiunto anche questo.
‘Ehi, ciao. Per quanto sia scontato ed ovvio, scusa.
Venerdì sera alle nove andiamo al Paradise, okay? Sei invitato, mi fa piacere che vieni anche tu, sul serio.’  - non sapevo come terminare, quindi abbozzai un ‘Mi fai simpatia, cià! ’ – e buttai il telefono di lato, continuando a crogiolarmi nel calore della canzone che era appena iniziata. 
Due minuti dopo, arrivò un nuovo messaggio: il nome di Filippo illuminava lo schermo scosso dalla vibrazione.
‘Gentile da parte tua, ma temo hai sbagliato destinatario. Posso chiederti chi sei? ’ – che scema. Dovevo immaginare che non avesse il mio numero. E qualcosa mi disse che non avesse neanche voglia delle mie scuse. Quindi stesi al gioco e gli dissi ‘Hai ragione tu, ho sbagliato. Beh, ciao ancora.’ – non sapevo con che nome firmare la mia nuova personalità. Uhm.. Marta? Ma no, troppo romantico. Sofia? Ok, peggio ancora. Laura? No, sembra da trentenne. Lucia? Da cartone animato. Facciamo un soprannome, allora. Pensa, dai: una caratteristica. Potrei scegliere una mia caratteristica. Okay, vediamo un po’. Guardai il desktop del mio laptop: una ragazza carinissima dai capelli color ghiaccio. Ho sempre ammirato quelle che, come lei, si tingono con colori pazzi, come li chiamano i ‘conformisti’. Che strazio, loro. Non li sopporto proprio. Alla fine, che male c’è a tingersi i capelli? Lasciai che da domanda retorica diventasse una questione vera e propria: Anna, che male c’è’? E fu così che una lampadina s’illuminò all’angolo della mia testa. Quella parte matta di cervello, dove sta la vera me che ho sempre desiderato esibire. Quella coi capelli tinti, a cui piace scrivere e fotografare. E cantare. Guardai fuori dalla finestra spalancata davanti al mio letto e la risposta si fece chiara: cielo. È così che mi sarei fatta chiamare da lui.
‘Comunque, piacere, Cielo.’ – ma mi faceva un po’ sorridere. Quindi cancellai e firmai scrivendo – ‘Chiamami Cielo. ’ – e toccai la scritta Send.
Non passò molto tempo, che rispose con un altro sms: ‘Cielo. Sì, mi piace. Potrei abituarmi a questo nome,  se volessi ’ – mi scrisse con uno smile accanto. A quanto pare, riesce ad essere molto simpatico, il ragazzo.
A questo punto partii alla riscossa: lo avrei invitato per venerdì. Dopodomani sera.
‘Senti, non è che ti va di uscire davvero, venerdì sera? ’ – incrociai le dita e strizzai gli occhi. Dì di sì, dì di sì! Passarono momenti interminabili.
Trr, prese a vibrare il cellulare. Visualizzai il messaggio: ‘Dipende. Mi farebbe molto piacere, ma non so se intendi il Paradise che conosco io. Se ti riferisci a quello di Milano, allora abitiamo più vicini di quanto immagini..’ – ah, giusto. Potevo avergli scritto da qualunque parte dell’Italia.
‘Sì, sono delle vicinanze. Un paesino sperduto dei dintorni. Quindi è un sì? ’ – incrociai di nuovo le dita. Aveva funzionato la prima volta, perché non avrebbe dovuto funzionare ancora?
‘Sì ’ – cominciava l’sms. Esultai di gioia – ‘non ho niente da fare, venerdì sera.’ – che rabbia, però! Quando Anna l’aveva invitato, lui sembrava pensare che poteva andargli peggio. Invece l’invito di una sconosciuta lo accettava, senza esitazioni riguardo il modo in cui si erano conosciuti per di più. Valli a capire, i maschi!
‘Ci sono un mio amico ed una mia amica, però. Quindi ci vado con loro, tu fatti trovare lì, saremo puntuali. Sono molto simpatici, loro. Ti piaceranno, vedrai! ’
‘Se sono gentili come te, ne sono sicuro’ – e mi occupai della trasformazione da Anna a Cielo. Sapevo già a chi rivolgermi.
 
L’indomani mattina, infatti, raccontai tutto a Zoe, che era a dir poco entusiasta della cosa.
“Passa da me domani pomeriggio, ecco il mio indirizzo.” – prese una penna e me lo scarabocchiò sul polso destro – “Ci divertiremo, vedrai! Sarà una forza!” – e sorrise arricciando il naso, sembrava una bimba a cui avevo promesso delle caramelle. Era dolcissima. E credevo di aver scelto davvero l’alleata giusta. “Considerando che lo faccio uscire con noi venerdì sera, dovrei essere irriconoscibile, se no che divertimento c’è? Dovrei travestirmi, o non so cosa.” – Luke ci squadrò curioso, mi ero fatta accompagnare da lui anche quella mattina, sperando che Filippo non si sarebbe presentato poco dopo.
“Ma che state confabulando, voi?” – ci sorrise lui.
“Niente, dammi qua.” – e Zoe scrisse l’indirizzo anche a lui.
 
Quando lei entrò in classe, sentii Matteo che la salutava dicendo – “Guardate, ragazzi: è arrivata quella che ha in testa l’arcobaleno!” – sorrise malignamente. Serrai i pugni per contenermi e fissai le piastrelle della scuola per non girarmi dall’altra parte, entrare in quella classe e combinare il finimondo.
Quando cedetti e voltai lo sguardo, però, udii Zoe che rispondeva – “Almeno ci sono io che porto un po’ di allegria e contrasto le tue insignificanti battute, che rendono tutto bianco e nero. In questa classe, quindi, i miei colori servono, fidati.” – si levò qualche fischio contro Matteo e vidi per la prima volta le ragazze di quella classe che, nonostante facessero parte di diversi gruppi, ridevano insieme e guardavano Zoe con ammirazione. Intanto Luke era spuntato come i funghi e le aveva dato un cinque: appena le altre cominciarono a squadrarlo con disappunto, lo trascinai fuori e c’incamminammo verso la nostra III C.
 
“È stata fantastica!” – ha detto orgoglioso, come se avesse suggerito la battuta.
“Ehi, non è che c’è qualcosa che dovrei sapere!?” – gli sorrisi maliziosa io.
“No, no.” – fece lui. E dopo avergli dato di gomito, mi accorsi dell’atmosfera allegra che si era creata: la prima volta che entravo in classe ridendo.
Le lezioni furono leggere quella mattina, soprattutto perché Dafne ricominciò a rivolgermi la parola.
“Senti, lo so, ho sbagliato. Mi dispiace molto, non immaginavo che saremmo arrivate a questo: rivoglio la mia migliore amica, non ce la faccio a stare senza di te, Anna!” – continuava a tenere lo sguardo basso, ma riuscii comunque a capire che aveva gli occhi lucidi – “Ricominciamo?” – in un attimo avevo scordato la storia della festa e sentivo che Daff mi era mancata davvero. Ci abbracciamo strette, come se non ci vedessimo da tanto tempo, come se non volessimo più respirare: di esperienza ne ho poca in questo campo, ma posso assicurarvi che gli abbracci fra amici sono qualcosa di spettacolare!
Luke alzò il pollice in segno di approvazione: è stato gentile da parte sua.
Alana, invece, sbuffava e si chiedeva se alla sua festa, l’indomani sera, ci sarei venuta anch’io. Sta’ tranquilla, non potrei mai: il masochismo non fa parte di me, pensai.
“Da domani mattina, io e Filippo ricominciamo a passare da te, okay?” – mi chiese Dafne, spazzando via i miei pensieri. “Eh? Ah, va bene.” – mi limitai a rispondere.
 
Quel pomeriggio Zoe mi chiamò per avvertirmi che l’indomani pomeriggio Luke sarebbe venuto da me alle cinque, in questo modo avevo un passaggio fino a casa di lei e avremmo potuto cominciare subito con il parto: vedrai come sarai bella, una volta rinata!, mi aveva detto ironicamente lei.
Feci una doccia lampo e svolsi i compiti, che stavano cominciando a farsi più impegnativi.
Avvertii Dafne che non sarei andata alla festa – meno male che avevamo appena fatto pace: mi ha lasciato andare facilmente – e spesi il resto della giornata a immaginare come sarebbe stato diventare Cielo.
Ho passato una notte in bianco a farmi film in testa, lo ammetto. Sono una sognatrice ad occhi aperti, se è questo che volete sapere.
 
Ma quel mantello nero di stelle, come al solito, si tratteneva ben poco: e venerdì mattina ero in ritardo per la seconda volta in quell’anno scolastico. Neanche una settimana, e il prof Ruggeri mi avrebbe fatto una ramanzina sulla serietà dei suoi corsi, che noia! Ci sarebbe voluta un’altra storiella di Luke, per convincerlo a chiudere un occhio anche questa volta.
Ma dalla finestra della mia piccola stanza nella mansarda di casa, però, non sentii arrivare un motore questa volta: la Volvo nera aveva ricominciato a passare di lì per me, come stabilito con Dafne il giorno prima.
“La colazione è pronta, ritardataria!” – oh, bene. L’unica volta in cui mia madre fa la carina con me non posso godere delle sue attenzioni: era brava e buona solo perché c’era Filippo, o cosa!? Cercai di non pensarci. Aprii la porta della cucina, quindi sgusciai in giardino e salii in macchina.
“Sbrigati con quello zaino!” – mi disse allegramente Daff facendomi posto accanto a lei: era bello tornare ai ‘vecchi tempi’.
“Pronti? Si parte!” – okay, forse no. Il fatto che Filippo ricominciasse a parlare così mi faceva sentire una bambina. Ma comunque.
“Ehi, Anna” – lui abbassò il volume della radio – “Dafne mi ha detto che stasera, alla festa, non ci vai davvero!” – guardò sua sorella dallo specchietto – “E pensa un po’!? Me l’ha detto sorridendo!” – lei sbuffò e gli fece una pernacchia con la lingua.
“Beh, la mia amica è felice quando esco coi miei amici. Vero, Dafne?” – le chiesi io.
“Ah, già. I tuoi amici.” – disse Filippo, e con ‘amici’ intendeva ‘fidanzato’. Appuntai in un angolo del cervello che era davvero troppo geloso, come sosteneva Dafne, del resto.
“Perché, tu che fai, invece?” – gli chiesi cercando di rimanere sul vago. Come se non lo sapessi!
“Esco con una ragazza.” – mi guardò curioso per capire la mia reazione – “Bellissima.” – aggiunse subito dopo. Mi osservò ancora: sospettava qualcosa, forse? Non lo sapevo. Io, dal canto mio, rimasi impassibile. E, a dir la verità, cercai di non far vedere che ero arrossita: cosa stava blaterando? Non mi aveva neanche vista, e già diceva che ero bellissima! Cielo, a quanto pare, doveva piacergli molto come nome.
Se scopri chi sono avrai una brutta sorpresa, ragazzo.
“Da quanto ho capito, si sono conosciuti da poco.” – esordì Dafne, che a quanto pare era partita all’attacco per fare indagini sulla nuova ragazza di suo fratello, come pensava lei: non poteva certo immaginare che ce l’avesse davanti! – “Non me l’ha voluta descrivere fisicamente: sembra quasi che non lo sappia neanche lui, il colore degli occhi o dei suoi capelli.. non ti sembra strano, Anna?” – no, sinceramente no. Stavo lottando dentro di me per rimanere seria, accidenti!
“Evidentemente non te lo voglio dire, no?” – provò a punzecchiarla Filippo.
“Oppure è così bella che non ci sono parole per descriverla.” – abbozzai io, a bassa voce. Ma capii che avevano sentito entrambi.
“Sì, esatto. Brava Anna” – e ci lasciò a scuola soddisfatto di aver trovato una ragione plausibile alla sua mancata capacità di descriverla, questa benedetta ragazza.
 
A metà della seconda ora mi arrivò un messaggio di Filippo che diceva:‘Ciao Cielo, ciao. Come stai? Ti scrivo per sistemare un piccolo particolare che abbiamo tralasciato: mi dici come farò a riconoscerti, stasera? Sai com’è, il Paradise è sempre pieno zeppo di gente! ’ – e firmò col suo nome e uno smile accanto.
“Castoldi, cosa sta contemplando in modo così devoto all’interno dell’astuccio?” – Ruggeri mi aveva beccato. O forse no.
“Cercavo la penna più bella per scrivermi la sua spiegazione, è molto interessante!” – sorrisi maliziosa io. In quanto a scuse, non ero mai a corto di fantasia. Il prof mi guardò stupito. E tutti capirono che lo prendevo in giro. Tutti a parte lui, ovvio.
“E vediamo un po’, signorina.” – oh, no. Non quella frase! Chiedeva sempre cose assurde quando cominciava col suo e vediamo un po’, signorina! Col vocione grosso, come solo lui sapeva fare – “Di cosa stavo parlando, allora?” – beh, rispetto alle altre volte mi era andata bene.
Dopo un attimo, però, mi accorsi del dramma: non sapevo la risposta comunque.
“Pagina 6!” – mi sussurrò Dafne – “Pagina 6, forza!” – cominciò a sudare freddo.
“Sta spiegando la pagina 6.” – chiusi il borsellino.
“Bene. E di cosa si tratta?” – la classe continuava a fissarmi. Sbirciai il libro e misi insieme qualche parola del titolo abbinata a quelle in neretto che stavano nei primi paragrafi. “Almeno credo.” – sussurrai alla fine, temendo il peggio.
“Per stavolta l’ha scampata!” – Daff emise un lungo sospiro, manco si fosse salvata lei! – “Ma alla prossima, un’insufficienza nelle mie materie!” – e riprese a parlare.
I primi due secondi provai a seguire il suo confusissimo discorso, per il resto sentii bla bla bla tutto il tempo.  
 
Durante l’intervallo, chiesi a Zoe come dovevo rispondere al messaggio.
“Non devi rivelargli molto, facciamo in modo che ti scopra tutta in una volta, vedendoti stasera.” – aveva l’ombretto diverso dagli altri giorni: un marroncino che contrastava la sua pelle chiara – “Secondo me, puoi dargli qualche indizio. È divertente.” – mi sembrò una buona idea, quindi annuii e dissi – “Va’ avanti.” – pochi secondi dopo rivelò il verdetto – “Sarò come il faro per i marinai: la prima cosa che noti quando alzi lo sguardo!” – e sorrise allusiva, come per dire non è geniale!?
“No, quella sei tu, Zoe!” – fece una smorfia – “Dobbiamo trovare qualcosa che si addica a me.” – ci pensò su e provò con un’altra frase – “Non sono quel tipo di ragazza che mette scarpe alte, e al rumore dei suoi tacchi tutti i maschi si girano.” – sentivo già che stesse parlando di me –“Sono, invece, quella che spera di suscitare interesse ad un ragazzo solo, grazie al lieve suono di un paio di Converse..” – le si illuminarono gli occhi. “.. E mi aspetto che quell’unico sguardo, stasera, sarà il tuo.” – conclusi io.
Zoe cominciò a saltare sul posto battendo le mani, non l’avevo mai vista così attiva. E il pensiero che in parte fosse merito mio mi faceva stare bene.
“Scriviamoglielo, perché è una bomba!” – mi incitò lei.
Dopo averlo digitato, toccai la scritta Send e suonò la campanella.
 
È proprio così, Filippo. Spero che stasera il ragazzo a voltarsi sarai tu.


Spazio autrice.

Se vi state chiedendo perchè questo capitolo è più corto rispetto agli altri, è perchè l'ho diviso in due parti, come mi era stato chiesto. Questo è senz'altro importnte, ma a mio parere la seconda parte sarà ancora più carina (quanta modestia! lol). In ogni caso, ne approfitto per dirvi che mi piacerebbe tanto ricevere le vostre recensioni: ho notato che le visite dei primi due capitoli sono state molte, più di un centinaio. Perciò, okay, molto probabilmente altre storie hanno più visualizzazioni, ma vedere solo 3 pareri in tutto (ne approfitto per ringraziare chi l'ha fatto!) mi fa intuire che forse neanche sta piacendo, 'sta storia qua. Boh, ditemi voi. Adesso vado, cià!
Prossima pubblicazione: metà della prossima settimana.

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Capitolo 4
*** E FU COSI’ CHE NACQUE CIELO, LA NUOVA ME! [parte 2] ***


 



3
E FU COSI’ CHE NACQUE CIELO, LA NUOVA ME!


Quel pomeriggio, Luke si presentò a casa alle cinque in punto, come stabilito. Sentii Mary che mi diceva di scendere, quindi feci un ultimo controllo estetico davanti allo specchio, presi la borsa e mi fiondai in giardino.
Sembrava fosse il mio primo viaggio in moto, perché impiegai tre ore ad allacciarmi il casco.
E va bene, lo ammetto: alla fine mi ha aiutato Luke. Ho acconsentito solo perché non ne potevo più della sua faccia, glielo si leggeva chiaramente che si chiedesse quanto tempo sarebbe passato ancora prima di partire. Ma comunque.
 
Arrivati davanti alla casa bifamiliare del nostro piccolo dinosauro, notai subito una cosa: la finestra che dava sul suo appartamento non era come mi aspettavo. Sembrava gridare, infatti, qualcosa del tipo: qui ci vive una ragazza normale, è una famiglia tranquilla e non c’è nessuna allegra esplosione di colori in vista.
Zoe ci salutò dal balcone agitando la mano e corse a dire – “Mamma, apri, sono i miei amici!” – neanche il tempo di suonare il campanello che la porta si aprì mostrandoci una signora che aveva appena superato i quaranta, ma nonostante questo aveva un aspetto giovanile. Saliti al piano di sopra, ci ha accolti gentilmente in soggiorno. L’ambiente era calmo e rilassato, caratterizzato da mobili e oggetti etnici, come se entrando in quella stanza ti ritrovassi catapultata in un altro continente.
La stanza di Zoe, del resto, era il trionfo di questa particolarità: accanto al suo letto, c’era una statua di legno a dimensioni naturali di una pantera nera. Non che mi avesse fatto qualcosa di male, ma per tutto il pomeriggio avevo la sensazione che mi guardasse aspettando il momento buono per saltarmi addosso.
A parte questo, nessun problema: quella stanza da letto era fantastica. E adoravo profondamente il lampadario con gli scaccia sogni appesi.
Luke si sedette su una mano gigantesca che sembrava nascere direttamente dal pavimento, una di quelle che non ho mai avuto il coraggio di comprare per paura di vederla rompersi sotto il mio peso. Luke, però, non sembrava averci pensato. E la sedia non si era rotta per niente.
 
“Allora, sei pronta?” – disse entusiasta Zoe. Sorrisi e mi sedetti davanti alla scrivania, su uno sgabello decorato a mano e pieno di ghirigori incisi. Osservai il computer davanti a me: l’unica cosa che provenisse dal nostro Paese, ne ero sicura.
“Per prima cosa, dammi il tuo cellulare, che ti scrivo una bozza con l’indirizzo internet dove puoi acquistare colorazioni pazze, come dicono gli anticonformisti” – mi ricordò qualcuno – “Insomma, le persone molto.. bleah!” – e fece una faccia schifata. Mi accorsi che Luke sorrise.
“Ce n’è già una che hai pensato per me?” – ero curiosa di sapere la sua scelta.
“I tuoi capelli sono meravigliosi, quindi ti descriveremo attraverso essi, come mi hai chiesto tu ieri” – mi mostrò la foto di una ragazza dai capelli azzurro cielo – “Perché è così che ti chiami, giusto?” – e mi indicò le frangetta dell’immagine.
“Sì. E lo adoro” – Luke approvò annuendo – “I miei capelli mi stanno gridando voglio quel colore, lo voglio!” – e scoppiammo a ridere.
Armeggiò con gli oggetti della sua mensola e ne estrasse una boccetta piena di azzurro intenso.
“Considerando che ti servirà solo stasera, dobbiamo fare in modo che venga via dopo un’unica lunga doccia.” – in effetti non avevo intenzione di spaventare a morte mia madre, facendomi vedere conciata così – “Di conseguenza, te lo farò leggero, ma non opaco o spento, non sia mai!” – mi chiesi cosa aveva intenzione di fare, allora – “Quindi, senti, un po’, i tuoi capelli non saranno azzurri come questo, bensì tipo il ghiaccio” – ripensai alla ragazza del mio desktop, l’idea mi piaceva – “Sarà un azzurro particolare.. come il biondo e il biondo platino. Noi stiamo parlando appunto di azzurro scuro e..” – cominciò a muovere le mani per rendere l’idea. “..E azzurro platino?” – concluse Luke soddisfatto.
“Sì, Luke, sei un genio dei colori!” – gli disse Zoe. E lui si rilassò sulla mano tutto realizzato.
Per fare la tinta, Zoe mi prestò uno dei suoi asciugamani, diceva che sua madre era abituata a lavarle le federe dei cuscini in quelle condizioni. Mi proibì di guardarmi allo specchio prima che il suo lavoro fosse finito, e anche Luke dovette trovarsi qualcosa da fare per non osservarci.
“Sarà una sorpresa per tutti e due, quindi non sbirciate, che me ne accorgo!” – ci aveva ammonito allegramente Zoe.
Mentre lei mi prendeva le ciocche fra le dita, sentivo che era molto più dolce dei soliti parrucchieri annoiati che ti spezzano il collo in due. I suoi tocchi erano come delle carezze, quindi intuii che era un movimento che le appartenesse, si capiva subito che lo faceva da sempre.
“Sai com’è, nei saloni di bellezza ti obbligano ad usare i loro colori, che non sono per niente belli come questi qua. È per questo che me la sono sbrigata da sola: quando ho trovato la vendita di tinte su internet mi sentivo il mondo fra le dita.” – mi sistemai meglio l’asciugamani sulle spalle – “I parrucchieri ti propongono solo colori ‘normali’, come se avessi i capelli di mia nonna e fossi alla ricerca di un bordeaux o, che ne so, di un nero fortissimo o, boh, di un noioso castano!” – sorrise dolcemente e mi disse che aveva finito.
“Et voilà!” – mi presentò davanti allo specchio. Nel frattempo, a Luke era cascata la mascella.
“Non sono stata brava?” – ci chiese Zoe. Le rivolsi un sorriso fino alle orecchie: ero ben diversa da prima, non immaginavo un cambiamento del genere.
“Sei stata bravissima, grazie amica!” – e l’abbracciai. Ci girammo verso il ragazzo, che si schiarì la voce e disse – “Brava, bello. Bello.” – lo guardammo di traverso – “In effetti, sì, è fantastico!” – e fece i complimenti a Zoe per la sua bravura – “Anna, sei una meraviglia!” – continuò lui sbigottito. Ma rivolse uno sguardo interrogativo alla mia nuova parrucchiera – “Che c’è’?” – disse lui sinceramente confuso. Mi voltai e guardai Zoe che si portava una mano alla fronte.
“Sei matto? Devi stare attento coi nomi, stasera!” – lei mi guardò – “Guardala bene: non è Anna.” – mi rivolse uno sguardo sognante – “È Cielo!” – e ci costringemmo tutti a chiamarmi in quel modo. Se Filippo dovesse scoprire qualcosa, sarebbe un caos totale.
Prima di tutto perché non avrei niente da spiegargli, al riguardo. Volevo essere la vera me. Cielo. Nient’altro.
 
 
 
 
 
 
"In quanto a te, figliolo, meriti una ricompensa" - pensavo fosse la solita torta alla frutta, ma non era quella, no. La ragazza aveva borbottato qualcosa sorpresa, ma mi affrettai subito a rispondere - "Ma no, signora, è stato un piacere, cioè" - ma che sto dicendo!? UN PIACERE? - "non è stato un disturbo per me venire qui, davvero" - ecco, così va meglio.
Al posto della torta mi è stata proposta una festa per accompagnare sua figlia, che meraviglia!
La festa era troppo da liceali per i miei gusti, ma un'uscita con lei mi si presentava tutt'altro che infantile rispetto ai miei standard. Sarebbe stato perfetto per capire ciò che provo davvero nei suoi confronti.
'Sarebbe stato', si.
Peccato che, a quanto pare, 'non hanno bisogno di me per divertirsi'.
 
E' stata una fitta al cuore, accidenti!
Almeno adesso so che mi piace davvero, lei.
 
Mentre la mia band preferita impazzava allo stereo dell'auto sulla strada di casa, però, è successa una cosa che mi ha fatto tenerezza. Tanta.
Il cellulare ha cominciato a vibrare, e ho preso a sbuffare pensando che si trattasse di lavoro. Il numero, però, era sconosciuto alla mia rubrica. Apro l'sms.
'Ehi, ciao. Per quanto sia scontato ed ovvio, scusa.
Venerdì sera alle nove andiamo al Paradise, okay? Sei invitato, mi fa piacere che vieni anche tu, sul serio.' - ma chi è? - 'Mi fai simpatia, cià!' - se fosse stato qualcuno dei miei amici avrebbe firmato. Qualcosa mi dice che è più giovane di me, chissà se è un maschio o una femmina?
Ma chi prendo in giro? Dietro ad una poesia del genere dev’esserci per forza una lei. Sorrido e penso alla ragazza che potrebbe starci sotto. Voleva mandarlo al suo ex, forse? Rispondo cercando di non far trasparire la mia curiosità - 'Gentile da parte tua, ma temo hai sbagliato destinatario. Posso chiederti chi sei?' - passa un poco, ma una risposta chiara arriva.
'Hai ragione tu, ho sbagliato. Beh, ciao ancora.' - poi, più in basso, la presentazione più simpatica che abbia mai letto - 'Chiamami Cielo.' - semplice ma efficace. È dolce, la ragazza. 
'Cielo. Sì, mi piace. Potrei abituarmi a questo nome,  se volessi :)' - la risposta non si fa attendere.
'Senti, non è che ti va di uscire davvero, venerdì sera?' - incredibile. La ragazza che mi piace rifiuta un'uscita con me e per quella stessa sera ricevo una bella proposta da una sconosciuta.
‘Dipende. Mi farebbe molto piacere, ma non so se intendi il Paradise che conosco io. Se ti riferisci a quello di Milano, allora abitiamo più vicini di quanto immagini..’ – ammetto di aver sperato che fosse Milanese.
‘Sì, sono delle vicinanze. Un paesino sperduto dei dintorni. Quindi è un sì?’ – ma davvero ci tiene così tanto ad uscire con me?
Penso che forse, in effetti, ci tengo anch’io. Potrebbe essere anche una bella persona, in fondo. Se andrà male, vuol dire che non ci vedremo più. Ma sì, facciamo che accetto e ci vado davvero!
Sì, non ho niente da fare, venerdì sera.’ – parcheggio e scendo dall’auto. Neanche il tempo di mettere il cellulare in tasca che questo vibra ancora.
‘Ci sono un mio amico ed una mia amica, però. Quindi ci vado con loro, tu fatti trovare lì, saremo puntuali. Sono molto simpatici, loro. Ti piaceranno, vedrai!’ – una ragazza puntuale? Però!
‘Se sono gentili come te, ne sono sicuro.’ – ed entro a casa pensando già a come potrebbe essere Cielo.
Alta? O bassa? Come si chiama in realtà? E di che colore sono i suoi capelli? E i suoi occhi? Potrebbe mai avere un sorriso più bello di quello di Anna?
Ripensai alla sua risata improvvisa il primo giorno di scuola, scendendo dalla mia Volvo. È una melodia che ricordo ancora, tanto era squillante e spensierata.
 
“Ehi, Ippo!” – la mia sorellina. Sempre capricciosa, lei. Ma le voglio un mondo di bene, di questo son sicuro.
“Daffi, cosa c’è’?” – ha un sorriso che va da un orecchio all’altro.
“Da domani ripassiamo a prendere Anna, stamattina abbiamo chiarito tutto.” – mi abbraccia e scivola di nuovo nella sua stanza a studiare.
 
Passo la notte a riflettere sull’uscita con Cielo e mi accorgo che manca ancora una cosa: come la riconoscerò, venerdì?
 
“Ah, già. I tuoi amici.” – Anna è in macchina con noi. E, come al solito, lei e Daffi parlano di cosa faranno nel fine settimana.
“Perché, tu che fai, invece?”- mi chiede la mia sorellina acquisita. Oddio, ‘sorellina acquisita’. E questa da dove mi esce?
Decido di farla incuriosire dicendo la verità con voce sognante – “Esco con una ragazza” – la scruto per bene, per capire al meglio le sue emozioni – “Bellissima” – aggiungo allora.
Rimane impassibile. Poi volta lo sguardo, quasi a celare un sorriso. Che c’è, è felice per me? Sospiro impercettibilmente e mi appoggio allo schienale. Niente da fare. Anna non è gelosa neanche un po’.
“Da quanto ho capito, si sono conosciuti da poco.” – oh oh: mia sorella sta parlando troppo - Non me l’ha voluta descrivere fisicamente: sembra quasi che non lo sappia neanche lui, il colore degli occhi o dei suoi capelli.. non ti sembra strano, Anna?” – quest’ultima, allora, fa una specie di smorfia e si nasconde ancora. Ma che cos’ha!? Valle a capire, le femmine!
“Evidentemente non te lo voglio dire, no?” – provo a sistemare le cose. Meglio che non scavino troppo in fondo alla questione, queste due!
“Oppure è così bella che non ci sono parole per descriverla.”ha sussurrato la migliore amica di mia sorella.
“Sì, esatto. Brava Anna” – e scesero dalla macchina lanciandosi delle occhiate.
 
Vado a lavoro ancora pensieroso riguardo la conversazione e mi chiedo se non sospettino qualcosa di troppo. Finito di fare i conti alla cassa per quella mattina, mi accerto che al bar non ci siano nuovi clienti. Di conseguenza, mi siedo su uno sgabello e prendo il cellulare in mano.
‘Ciao Cielo, ciao. Come stai? Ti scrivo per sistemare un piccolo particolare che abbiamo tralasciato: mi dici come farò a riconoscerti, stasera? Sai com’è, il Paradise è sempre pieno zeppo di gente!’ – vado a capo e metto la mia iniziale, come d’abitudine. Accanto alla F, poi, aggiungo uno smile e abbasso il tasto OK.
Nel frattempo, sento entrare qualcuno e ricomincio a darmi da fare. All’ora di pranzo, salgo in macchina per tornare a casa e trovo un suo messaggio – ‘Non sono quel tipo di ragazza che mette scarpe alte, e al rumore dei suoi tacchi tutti i maschi si girano.’ – comincia ad incuriosirmi, lei –‘Sono, invece, quella che spera di suscitare interesse ad un ragazzo solo, grazie al lieve suono di un paio di Converse..” – okay, adesso m’interessa e basta – ‘.. E mi aspetto che quell’unico sguardo, stasera, sarà il tuo.’ – esco dal parcheggio con quello stesso senso di tenerezza che mi ha avvolto la prima volta.
Ehi, Cielo. Hai l’aria di essere speciale, tu. Di essere diversa. 

 




Spazio autrice.

In questo capitolo c'è soprattutto il punto di vista di Filippo (penso che a questo punto si sia capito, no? lol), ma allo stesso tempo anche la parte di Anna non scherza. Forse vi siete già chiesti come mai ho messo il rating giallo alla storia nonostante poi non vi è nessun avvertimento particolare: il motivo è che, come si può bene capire, tutto ciò che sta combinando Anna (e quindi il viaggio a Parigi, la doppia persona, la conseguente tintura eccentrica), non vorrei influenzassero negativamente i lettori, perchè, non si sa mai(?), magari tra le centinaia di visualizzazioni di questa storia ci sono anche bambine di dieci anni e rischio che comprano biglietti aerei illegalmente o vadano a colorarsi i capelli. Dico davvero.
Magari molti di voi non saranno d'accordo con me per questa scelta, ma mi tormenterebbe l'idea di mettere una lettrice nei guai coi genitori 'perchè l'ha letto qui, e quindi l'ha fatto'.
Ma btw, a parte questo, mi farebbe piacere leggere i vostri pareri. c':
Prossima pubblicazione: non appena ci sono tre recensioni per ogni capitolo.

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