Ho sedici anni.

di Vantilena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


AVVISO: per visualizzare correttamente tutti i capitoli, non scorrete con le frecce ma aprite l'elenco dei capitoli e selezionateli uno ad uno.
Grazie,
l'autrice.



Edward aveva ventuno anni. Tutti lo conoscevano come Eddie, tutti lo chiamavano Eddie. Solo all’anagrafe era conosciuto come Edward.  Aveva i capelli castano chiaro e gli occhi azzurri, ma non era questo che ci importava di Eddie. Quello che contava era che Eddie Dean era un drogato, un drogato che si lasciava convincere dagli altri a fare assurdità. Un giorno fece la più grande della sua vita.

Erano seduti in un locale.  Erano fatti, alcuni di loro anche ubriachi.  Eddie solo fatto, però. Non gli piaceva molto l’alcool. Preferiva l’eroina. Di gran lunga. 
«Ehi, chi di voi è, per caso, vergine? A parte te,  Jake.» chiese scherzando George, il capo della banda. 
«Io non sono vergine!» borbottò il diretto interessato.
«Ok, ok, sta calmo, bello. Chi è che non si è mai fatto una puttana?» chiese ridendo.
Eddie non capiva il senso di quelle domande. Chi non si era mai fatto una puttana, per Dio? Nessuno rispose.
«Ah, allora conoscete tutti Sophie Leander. Chi è che non si è mai fatto quella?»
Eddie si guardò in torno. Chi era sta tipa? Sophie Leander?  Qualcuno mormorò un “io” e Eddie si unì a loro. 
«Anche te, Eddie? Mi deludi.» rise George.
«Chi è?» chiese Eddie.
Avrebbe dovuto farsela.  Era il prediletto di George, solo perché erano simili. Ma se non si fosse fatto sta tizia, probabilmente l’avrebbe scaricato. La sua testa era annebbiata dall’eroina.
«Una puttana.»
«L’avevo capito.»
Qualcuno rise. 
«Questa è vecchia. Inventatene delle nuove. Comunque è una che non è mai uguale e trovarla è un casino. Si tinge i capelli, si mette lenti a contatto.  E non è mai nello stesso posto, Cristo. Di lei si sa solo che si chiama Sophie Leander. È magrissima. Però le tette ce le ha. Ok, forse non molte, perché non si è rifatta, però ce ne ha abbastanza, su. Comunque scoparmi lei è stata la cosa più figa di tutta la mia vita.»  
Eddie rise. 
«Che cos’hai da ridere,te?»
«Niente. Stiamo qui a parlare di assurdità.»
«Te vedi di fartela. Se no finisci male.»
Eddie annuì.
«Scherzo. Fai come vuoi, basta che non scassi.» 
Eddie annuì di nuovo.
George era ubriaco, come al solito, e come al solito non capiva quello che diceva. In tutti i casi pensava di cercare questa Sophie Leander. Era da praticamente tre giorni che non se ne faceva una e rischiava di starci davvero male.  Verso le quattro del mattino li sbatterono fuori dal locale perché disturbavano troppo con il loro fracasso. Al solito. Si salutarono. Eddie salì in BMW e incominciò a girovagare a caso, sperando di imbattersi in una qualche prostituta lungo il bordo della strada.  Ne incrociò una dopo una mezz’oretta. Se fosse Sophie Leander o no non gli importava, doveva solo farsene una.  Sentiva che aveva il bisogno di farsi una scopata e non avrebbe aspettato di trovare una ragazza in particolare con cui farlo. Accostò e abbassò il finestrino.  Si affacciarono un paio di occhi azzurri e di capelli mossi neri. Le labbra piene di rossetto sorrisero maliziosamente. 
«Sophie Leander al suo servizio, signore.» 
Eddie sorrise.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Sophie si rinfilò la maglietta.  Stava per scendere dalla macchina senza dire niente, quando Eddie, ora più sveglio, la chiamò. 
«Che c’è?» sbottò lei.
«Non ci hai goduto, vero?» osservò lui.
«Devo essere sincera? No. Per niente. Ma non per colpa tua. Forse sei stato uno dei più decenti. Ma fa schifo. Mi fa davvero schifo.»
«Ah. E allora perché lo fai?»
«Perché lo faccio? Sono problemi tuoi?»
«No.»
«Bravo. Posso andare a dormire ora? O devo stare qui a parlare con lo sconosciuto che mi ha scopata stanotte?»
Eddie si sentiva leggermente in colpa. Incominciò a fissarla. Lei fece per uscire.
«Un attimo.»  la fermò lui.
Lei sospirò.  «Cosa c’è?»  chiese poi.
«Quanti anni hai?»
Sophie lo fissò a lungo.
«Potrei dirtelo.» borbottò poi.
«Dai.»  la esortò Eddie.
«Non dirlo a nessuno. Ti prego. A nessuno, d’accordo?»
«Va bene.»
«No. Giuralo. Giuralo. Io lo so cosa sei. Probabilmente o sei drogato o alcolizzato o tutti e due, o comunque il tipo di persona che non mantiene mai le promesse. Tu devi giurarmi sulla cosa che conta di più per te che non lo dirai a nessuno. Se no ... Se no sarei rovinata, ok? Rovinata.» sussurrò lei.
«D’accordo. Te lo giuro sulla cosa più importante che ho.» Eddie riflettè su questa sua affermazione, chiedendosi se esistesse qualcosa che contasse davvero per lui. L'eroina, forse.
«Ho quindici anni. Cioè, sedici. Fra tre settimane.»
«Cristo!»
«Non gridare.»
Eddie le scostò un ciocca di capelli dal viso. Lei gli strappò i capelli dalle mani e tornò a coprirsi il volto.
«Fatti vedere.» disse lui.
«No.»
«Perché no?»
«Sono brutta.»
«Dai.»
«Va bene.» sospirò Sophie.
Eddie le scosto i capelli.  «Già. Si vede che sei una bambina. E poi non posso vedere se sei bella o brutta. C’è più trucco che pelle lì sopra.»
Sophie scosse la testa, poi si ributtò i capelli sul viso.
«Mi dispiace, piccola.» cercò di scusarsi lui.
«No che non ti dispiace. Non ti dispiace per niente perché tu ci hai goduto. Te sei come tutti gli altri. Non glie ne frega niente di noi. Pensi davvero che le puttane esistano perché si divertono? È così che la pensi? Fottiti, stronzo.» Sophie scese dalla macchina e si avviò a piedi verso la fermata dell’autobus. Eddie rimase un attimo fermo. Pensando.
"Che linguaggio forte,piccola …"
"Fottiti poi te,stronza!"
"Dio Santo mi sono fatto una sedicenne!"
"Mio Dio Sophie mi dispiace ..."
Eddie scese dalla macchina e corse per prendere da parte Sophie e per chiederle scusa davvero ,che lui non pensava, lui era fatto e non capiva … come scese dalla macchina, vide la sua scarpa col tacco a spillo salire sull’autobus prima che le porte si chiudessero.
«Cazzo.» sbottò.
Vide Sophie fargli  il medio dal finestrino e ricambiò. Stronza.  Eddie si avviò a piedi a casa. La macchina poteva restare da sola. Non la voleva, quella macchina. Voleva andare a piedi perché voleva pensare. Si era fatto una sedicenne. Era giusto che fosse arrabbiata, ma più o meno era il suo lavoro. Dio, era una bambina! Quando pensava a lei, gli ritornava in mente ogni particolare. Ogni linea di quel corpo perfetto. Un corpo da adolescente,sì. Avrebbe potuto accorgersene prima, in effetti.  E il suo profumo! Lo faceva sentire bene, lo faceva sentire a casa. Una sedicenne. Cristo! E George aveva ragione, quelle tette non erano chissà cosa, non più di una terza, ma erano sode … Eddie riprese a pensare a quella notte. No, non era mai stato meglio. Si sentiva come se avesse potuto smettere di farsi per sempre. Come se la sua nuova droga fosse quella ragazzina. Tutto sommato le doveva qualcosa. Ma lei non voleva niente da lui. Lei voleva solo scappare da quelli come lui. Il pensiero provocò una fitta di dolore ad Eddie. Ehi, si disse, sto pensando ad una puttanella. Eddie provò a togliersi Sophie dalla mente. Non ci riuscì.
La tornò a cercare.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


«Sei ancora tu,eh?» chiese Sophie, dopo essersi affacciata al finestrino della BMW. 
«Già. Non sei obbligata a svestirti però.»
«Allora non ha senso.»
«Volevo solo parlarti.» si giustificò lui.
«Non farmi ridere.» Eddie scosse la testa.
«Va beh. In un modo o nell’altro, devo salire.»  sospirò lei.
«Sali di là.»
Sophie salì e si sedette di fianco ad Eddie. Incominciò a giocare con la borsetta.
 «Cosa dovevi dirmi di così importante da diventare matto a cercarmi?»
«Volevo chiederti scusa.»
«Certo.» rise lei.
«No, davvero.»
«Ma per cosa?»
«Hai sedici anni!»
«Credi che gliene freghi qualcosa alla gente di quanti anni ho?»
«Magari alla gente no. Ma a me sì.»
«Certo. Immagino che sei il tipo di persona che ha la coscienza a posto.» Rise. «E in ogni caso anche se ho sedici anni sono tale e quale alle altre puttane. Niente di più, niente di meno. Chiedi scusa a me? Bene, però dovresti chiedere scusa a tutte le altre.»
«Se potessi, lo farei. Ma a questo punto mi sembra possibile chiederlo solo a te. Mi spieghi cosa ti fa credere che gli uomini siano tutti uguali?» Sophie rise di nuovo.
«Cosa me lo fa credere? Se sono ridotta così è perché mio padre mi ha sbattuta in strada. E che per salvarmi abbia dovuto diventare questa cosa schifosa. Mi sono salvata solo perché voi uomini siete tutti pronti a farsi qualcuna.»
«Posso dirti una cosa?» chiese lui, sorridendo.
«Vai.»
«Farlo con te è stato una delle cose migliori della mia vita. Non t’incazzare, però.»  Lei abbozzò un sorriso.
«Allora? Quand’è che mi dirai che lo vuoi fare?» borbottò lei. 
«Se hai fretta di farlo non aspettare me. Non mi faccio le sedicenni.»
«Te ne sei fatta una ieri. Non ti ricordi?»
«Intendo dire quando so che sono sedicenni.»
«E se fosse la tua ragazza?»
«Perché fai ipotesi assurde?» sbottò Eddie.
«Scusa. Mi pareva solo di averti lasciato un qualcosa. Non so. Normalmente vai a cercare delle puttane per chiedere scusa?»
«Normalmente non avevano sedici anni.»
«Questa storia di sedici anni, secondo me, è una scusa a cui credi anche te.»
«Che concetto.»
«Non ho fatto molti anni di scuola, io. Non so esprimermi in maniera così precisa come sicuramente faresti tu.»  Eddie rise.
«No,sinceramente. Perché mi hai cercata?»
«Volevo rivederti, d’accordo?» sbottò lui.
«E come mai?»
«Non lo so! Il tuo profumo, il tuo viso … tu! Hai qualcosa che non è normale.»
Sophie lo fissò.
«Sono i tuoi occhi quelli?» chiese Eddie, dopo averla fissata a lungo in viso.
«Normalmente sarei così. Già. Sono acqua e sapone sta sera.»
«Sei bella.»  Eddie fissava in quegli occhi verde smeraldo. 
«Ma cosa dici!» lei arrossì.
Eddie sorrise.
«E te che sei?» chiese poi lei.
«Io?»
«Già.»
«Un drogato ti basta come definizione?»
«Per adesso sì.»
«E non ti fa schifo?» chiese Eddie. 
«Immaginavo che lo fossi. Non ti faccio più schifo io?»
«Tu non mi fai schifo.»
Sophie lo fissò,ironica.
«Perché mi devi fare schifo,scusa?» Lei rise.
«Non mi fanno schifo le puttane.»  Lei scosse la testa.
«Vuoi fare un giro  a casa mia o vuoi passare la notte fra macchine e bordo della strada?»
 «Non so cosa sarebbe peggio, sai?»
Eddie rise, nervoso. Non capiva esattamente neanche lui cosa stesse facendo. Chissà cosa pensava lei. 
«Non sono molti quelli che invitano una puttana a casa loro e che non hanno intenzione di scoparsela, sai.»
«Fai come cazzo ti pare.»
«Tanto qualcuno mi scoperà prima o poi sta notte.» sospirò lei.
«Io lo prendo come un sì.»
«Prendilo come un sì.»
Sophie chiuse gli occhi. Eddie si voltò a fissarla e poi si ricordò che non aveva intenzione di morire accartocciato nella lamiera della sua BMW. Soprattutto con quella ragazzina sopra. 
«Come hai detto che ti chiami?» chiese ad un certo punto lei. 
«Eddie.»  Lei annuì.
Eddie fermò la macchina nel vialetto.
«Che bella casa che hai.» commentò Sophie, dopo essere scesa.
«Già. Noi ricchi di merda.»  Sophie rise. Entrarono in casa. 
«E adesso?» chiese Sophie. 
«Propongo di andare su Facebook.» ironizzò lui. 
«Concordo. Hai qualcosa da bere?»
«Beviamo vodka.»
«Ma sta zitto.» sbottò lei.
«Cosa vuoi?»
«Acqua.»
«Alcolizzata.» l’accusò lui. Sophie rise. 
Eddie prese un bicchiere d’acqua a Sophie e lei bevve.
«Perfetto.» commentò lei.
«Sono esattamente le tre.»
«Cosa si fa alle tre di notte?»
«Te, bambina, potresti incominciare ad andare a letto.»
«In effetti avrei bisogno di dormire.» borbottò lei. 
«Ti scoccia dormire nel mio stesso letto o ti devo preparare quello su?»
«Cosa vuoi che sia dormire nel tuo stesso letto quando ieri sera abbiamo scopato, scusa?»
«Giusto.»
«Dov’è camera tua?» chiese Sophie.
«Ti accompagno.»
Sophie seguì Eddie. La camera non era niente di che. Una camera normale, insomma.  Sophie si tolse la canottiera e i jeans e si sdraiò. 
«Eccola.» commentò Eddie.
«Cos’hai adesso?» borbottò lei. 
«Niente. Solo che sembra che tu stia morendo di sonno. E merda, se sei... sexy.»
«Lo so. E ... sto morendo di sonno.» puntualizzò lei. 
«Allora a posto.» si svestì e si sdraiò anche lui. 
«Buonanotte, Eddie.» sussurrò lei. 
«Buonanotte, Sophie.»
Eddie spense la luce.
 
Eddie ascolto il respiro di Sophie farsi sempre più regolare,fino a quando la ragazza non si addormentò. A quel punto accese la luce e si soffermò a guardarla.  Le spostò una ciocca di capelli rossi dal viso.  Era bella,non c’era che dire. E Dio, sembrava così innocente! La osservò. La coperta la copriva fino alla vita e dormiva a pancia in giù abbracciata al cuscino. Riusciva a vedere che era magra, però.  Forse troppo magra.  Eddie si divertì a contarle le costole prima di rendersi conto che non era normale che le si vedessero le costole se non si stava stiracchiando.  Quella non mangia, pensò Eddie. No, non mangiava. Non gli aveva chiesto da mangiare. Solo dell’acqua.  Era in giro per New York da chissà quanto e se la cavava alla grande.  Il che voleva dire tanto. Voleva gettarle un’ancora? Forse non era la cosa giusta. Sophie non si fidava molto delle persone.  Bisognava prima conquistare la sua fiducia. Se no sarebbe scappata via.
 
Sophie si svegliò.  Si appoggiò sui gomiti e cercò la luce a tastoni. Ci mise un po’ a trovarla.  Si sedette e si voltò verso Eddie. Dormiva. Si chiedeva cosa ci avesse mai trovato in lei.  Non valeva proprio in niente. Solo nel sesso. Basta. Del resto non poteva sapere in cos’altro andasse bene.  Non aveva mai fatto sport, neanche alle medie. E sapeva di non andare bene a scuola, non si era mai impegnata seriamente nello studio. Non credeva che un giorno le sarebbe servito.  Fissava Eddie e si chiedeva cosa volesse da lei.  Sesso? Forse. In molti erano tornati da lei per quello. Ma lui … lui l’aveva presa e l’aveva fatta dormire di notte. Nel suo universo, la cosa più assurda era dormire di notte. No, la notte non era fatta per dormire. La notte era fatta per prendere su qualche soldino per mangiare qualcosa alla domenica.  Si disse che di sera sarebbe uscita e poi avrebbe detto addio ad Eddie per sempre. Non la convinceva perché non era normale che l’avesse invitata a casa sua … non era normale!  Sophie si guardò in torno cercando qualcosa da fare.  Vide un unico libro appoggiato su un mobile, dimenticato.  Si alzò e lo andò a vedere. Le Notti di Salem, c’era scritto. E sotto, in rosso scintillante, enorme, Stephen King.  Sapeva chi era Stephen King ma non aveva mai letto un accidente.  In realtà non le era mai piaciuto leggere. Prese il libro in mano e tornò a sdraiarsi sul letto.  Quando Eddie si svegliò, restò lì a fissarla leggere con gli occhi rapiti da delle parole. Eddie non apriva quel libro da forse due anni o tre.  Quando Sophie si accorse del suo sguardo arrossì.
«Scusami. Non volevo svegliarti … ho preso da leggere.» si giustificò.
«Non fa nulla, fai come se fossi a casa tua. Sei la benvenuta qui.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Eddie stava preparando qualcosa da mangiare in cucina, mentre Sophie rimaneva ancora in camera, a leggere.
Sophie voleva offrirsi per dare una mano, per ricambiare quell’ospitalità in qualche modo, ma la realtà era che non si sentiva in grado di fare nulla. Era probabilmente per quello che voleva andarsene al più presto. Stare lì, con quel ragazzo che la ospitava apparentemente senza chiedere nulla in cambio le metteva addosso un senso come di oppressione.
Chiuse il libro e rimase seduta sul letto, a pensare.
Chissà perché l’aveva invitata a casa sua. Magari si era tipo preso una cotta.
Sentiva il bisogno di andarsene anche perché temeva che lui aprisse gli occhi e la vedesse per quello che era, un’utile prostituta, e che la sbattesse fuori di casa. Dopotutto lei non poteva in alcun modo aiutarlo, in nessun senso. Poteva farlo divertire a letto, vero, ma quello poteva farlo benissimo anche senza abitare con lui. Prima o poi si sarebbe stufato di averla lì, le sembrava così ovvio.
«Cosa si mangia?» chiese Sophie, entrando in cucina. La domanda l’aveva posta così, giusto per aprire una conversazione. Qualsiasi cosa le sarebbe andata bene. Qualsiasi.
«Mah, spaghetti al pomodoro ti vanno bene?»
Lei lo fissò, perplessa.
«Mai mangiati?» chiese lui ridendo.
«No, ma da dove vengono? Europa, quelle parti là, no?»
«Italia.» rispose lui.
«Dicono si mangi bene là.»
«Già.»
Sophie lasciò cadere la conversazione e si sedette a tavola.
Pochi minuti dopo lui le mise davanti un piatto fumante.
«Spero ti piacciano.» disse, sorridendo.
Sophie sorrise a sua volta, non sapendo come comportarsi.
Lui si sedette di fronte a lei ed iniziò a mangiare.
Sophie non era abituata a porzioni di cibo così grandi e si sforzò per mangiare. Non voleva lasciare lì nemmeno il condimento, ma dopo pranzo davvero scoppiava.
«Cosa facciamo ora?» chiese lei, con aria interrogativa.
«Non ne ho idea. Tu cosa vuoi fare?» chiese Eddie.
Lei lo fissò, titubante. Prima, quando era in strada, si diceva sempre che se avesse avuto una casa avrebbe potuto fare tante cose. Ora invece, quando la casa ce l’aveva, non aveva un più pallida idea sul da farsi.
Non voleva uscire. Sicuramente qualcuno l’avrebbe riconosciuta, e soprattutto con lei ci sarebbe stato Eddie. E che figura avrebbe fatto fare a lui? Il drogato che va in giro con la puttana, molto divertente.
«Potremmo parlare.» azzardò Sophie.
Lui inarcò un sopracciglio.
«Mi spiego meglio: potremmo tipo … raccontarci qualcosa di noi.»
Eddie sorrise. «Sì, potrebbe essere un’idea.»
Sophie sorrise. Non credeva che fosse un grande idea in effetti, visto che aveva in programma di andarsene da quella casa il prima possibile, però poteva comunque andare per ammazzare il  tempo.
E poi voleva conoscerlo.
«Allora, cosa dovrei dirti?» chiese lui, iniziando il discorso.
«Non so, parlami di … come mai sei diventato un drogato?» chiese Sophie.
Lui abbassò lo sguardo.
«Beh, non è che ci sia molto da raccontare.»  disse poi.
«Tanto per dire qualcosa.» commentò Sophie.
«Ho preso da mio padre. Lui si drogava e anche alcuni miei amici si drogavano. L’ho fatto sia per entrare nel giro, diciamo, quando avevo la tua età, e poi perché non credevo fosse così sbagliato visto che anche mio padre lo faceva.»
Sophie annuì. In effetti, non era poi così interessante come aveva creduto.
«Perché mi hai presa in casa?» chiese poi lei.
Non aveva mai pensato che sarebbe riuscita a chiederglielo.
Lui esitò. Eddie stava pensando ad una possibile risposta da darle. Il problema era che nemmeno lui l’aveva capito. Il fatto che avesse solo sedici anni non contava alla fine, doveva esserci qualcosa di più e lo sapevano entrambi.
«Il fatto è che …insomma, non so bene come spiegartelo. In parole povere non volevo lasciarti là fuori. Perché … sei piccola, ma non è questo il punto. È più che … non so come dirtelo, ma penso che tu possa capire più o meno come mi sento.»
Sophie riflettè. Dopo un po’, la ragazza concluse che doveva essersi innamorato delle sue tette o qualcosa del genere.
«Vado a dormire un po’.» annunciò lei.
Eddie annuì, anche se dentro di lui si chiese come si potesse pensare di dormire a quell’ora del pomeriggio dopo aver passato una notte intera ronfando.
«Io devo uscire un attimo oggi. Non ti dispiace, vero? Torno presto per prepararti la cena. Insomma, verso le … nove. È un po’ tardi in effetti.» annunciò Eddie.
«Okay.» accettò Sophie, senza interessarsi.
Dopodiché la ragazza si alzò e tornò a sdraiarsi sul letto.
Eddie alle cinque del pomeriggio uscì di casa. Doveva dire a George che non sarebbe uscito quella sera.
 
Quando rincasò, non vedendo Sophie in camera, la cercò e la trovò in bagno. Si trovò davanti una Sophie in minigonna e canottiera aderente, che si stava mettendo delle lenti a contatto blu scuro. 
« Hai intenzione di andare in strada sta sera?»
Lei annuì.  
«Capisco.» borbottò Eddie.
 «No,tu non capisci.»
«Forse hai ragione.»
 «Cerco di tirar su dei soldi per vivere. Non posso restare per sempre qui da te. In primo luogo, la gente lo verrebbe a sapere, e non so se i tuoi amici sarebbero contenti. Per secondo, io non voglio restare qui.»
«Perché?»
«Perché no. Non ha senso. Punto.»
«Forse le cose insensate sono le più giuste, alla fine.»
«Non sempre è così.»
«Cosa ti ho fatto Sophie?»
«Senti, lo sanno tutti che la ragazza che dorme nel tuo letto o è la tua ragazza, o tua moglie o la tua amante. E io non sono nessuna di quelle tre.»
«Lo sai che non sopravvivrai per sempre in una strada?»
«Prima o poi si deve morire.»
«Già. Dipende solo da come vuoi morire.»
«Beh, magari io morirò da puttana che ha cercato di salvarsi la vita, ma non per overdose come probabilmente capiterà a te. Non come un drogato che si sta uccidendo da solo, che ha smesso di lottare! Ne sai qualcosa, Eddie ?» sbottò lei. 
Eddie ci rimase di sasso. Come al solito una valanga di pensieri: alcuni offensivi, altri di scusa, altri incerti. Non disse niente e lei prese in mano il mascara e incominciò ad applicarlo sulle ciglia.
«Sei una delle ragazze più bastarde che abbia mai conosciuto.»borbottò lui. 
Lei non commentò.
«Dico sul serio.»
Lei chiuse la bottiglietta, la ripose nella sua borsetta e lo fissò.
«Eddie, qui ci sono due alternative. O ci stai provando perché ti piaccio, oppure ci stai provando perché vuoi fare in modo che io venga a letto con te di mia spontanea volontà.  In tutti i casi, ci stai provando. Con una troia.»
Eddie tacque.
«Io voglio chiederti una cosa. Perché ti offendi da sola?»
«Senti, se vuoi scoparmi dimmelo subito così la facciamo finita.»
 -Non voglio scoparti-
Ok, Eddie stava mentendo anche a se stesso. Tornare a letto con lei era la cosa che desiderava di più al mondo. Avrebbe messo da parte anche la droga per lei. Tutto, per quel profumo. Tutto per quel corpo. Tutto per lei.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Gli aveva detto di non cercarla e lui non l’aveva cercata, ma era stato tre settimane senza sentire il suo profumo. Senza vederla. E ormai non ce la faceva più. La crisi d’astinenza da lei era peggio di quella da eroina perché Eddie non la capiva. Non poteva, soprattutto non voleva, essersi preso una cotta per lei.  No, non ci stava perché lui non aveva mai ripensato a delle puttane. E poi aveva … Cristo, sedici anni.  Era una che … che … che a momenti poteva ancor giocare con le bambole, accidenti.  Ed Eddie si chiedeva come una troia avesse mai potuto catturare la sua attenzione, come Cristo avesse fatto. Ma lui sentiva di doverla vedere. Lui la voleva. 
 
Quella sera, Eddie uscì con George e tutta la sua banda di amici. Sarebbero andati in un qualsiasi bar a bere e a farsi fino a rischiare di morire, proprio come piaceva a loro. Eddie entrò nel locale a si sedette sul divano di fianco a George, il quale buttò la roba sul tavolo.
Iniziò un arrotolamento di banconote infinito.
Eddie stava fermo, a fissare i suoi compagni che sniffavano, chiedendosi se fosse il caso di farlo o no. Non ne sentiva il bisogno, anche se era da un bel po’ che non si faceva. Si chiedeva se fosse il caso di sfruttare l’occasione per uscire da quel giro da solo. Ma lui ne voleva uscire alla fine? Non proprio. Gli piaceva farsi. Prima o poi sarebbe morto comunque, no? Perciò meglio morire fatto che chissà per quale cosa. Ma Sophie aveva detto … beh, al diavolo Sophie, se n’era andata. Aveva preferito andare a farsi scopare da sconosciuti piuttosto che stare con lui, perciò lui poteva benissimo preferire di morire per overdose allo stare lì a combattere una futura crisi d’astinenza.
Così si fece anche lui.
Dopo aver finito la roba, George mise via tutto e ordinò da bere.
Eddie, come al solito, bevve un poco e poi lasciò stare. L’alcool non faceva proprio per lui, no.
«Sai George, ho conosciuto quella Sophie che dicevi l’altra volta.» attaccò Eddie.
«Ah, la puttana?» chiese George, ridendo.
Eddie annuì.
«Dì la verità, te la faresti sempre e comunque.»
«Già. Avevi ragione.» lo accontentò Eddie.
«Io ho sempre ragione. Me la sono fatta ieri sera, è stato uno sballo.»
A Eddie venne voglia di tirargli un pugno in faccia. Qualcuno rise.
«Cos’hai? Perché non rispondi?» chiese George.
Eddie tacque. Se fosse uscito qualcosa dalla sua bocca, sarebbero stati insulti e non aveva alcuna intenzione di mettere su una lite con lui. Aveva già visto George picchiare qualcuno, e non desiderava essere lui quel ‘qualcuno’.
«Non sarai geloso, eh.»disse George, scoppiando a ridere. Risero anche gli altri.
«Non sono geloso.» borbottò Eddie.
«Strano che tu non abbia la battuta pronta, Eddie. Ti sei innamorato?»continuò George.
“Perché continua a rompermi i coglioni?” pensò Eddie.
«Magari ti sei innamorato di Sophie?» tutti scoppiarono a ridere.
Eddie non resistette e gli tirò un pugno sul naso.
Quando si rese conto di averlo fatto, era già troppo tardi.
«Ma guardate questo coglione drogato innamorato di una troia.» disse George, visibilmente arrabbiato, prima di iniziare a colpire Eddie allo stomaco.
 
Eddie stava tornando a casa. Non gli era andata poi così male. Gli sanguinava il viso in vari punti, ma niente di che. Parcheggiò l’auto in cortile, scese ed entrò in casa. Dio, come gli sembrava vuota. Aveva una casa grande per viverci da solo e gli sembrava una cosa totalmente inutile. Andò in bagno, si sciacquò il viso e si osservò le ferite. Niente di grave.
Decise che forse era il caso di farsi una bella dormita.
 
Sophie era stanca e non stava più in piedi. Voleva uscire da New York e sdraiarsi sull’erba e dormire. Ormai erano le cinque e non credeva che ci fosse qualcun altro. No, non ci poteva essere nessuno alle cinque. “Che male ai piedi”, pensò. Stava per far un passo verso la fermata dell’autobus, quando vide un macchina che si fermava.
 «Che palle.» sussurrò.
No, non voleva, gli avrebbe detto qualcosa tipo: “Masturbati, io sto andando a casa. Non ho tempo per te”.  Sapeva che non l’avrebbe fatto. Infatti, contrariamente alla sua volontà, le sue gambe si avviarono verso la macchina, che le era maledettamente familiare ma non si ricordava perché. Era una Jaguar nera scintillante. Una Jaguar … Dove aveva già visto una Jaguar? Ne aveva viste troppe di macchine.  Si affacciò al finestrino abbassato, sfoderò un sorriso e attaccò la solita frase.
 «Sophie L … » e si fermò. Lo riconosceva, lo riconosceva e voleva correre via ma le sue gambe la tenevano inchiodata lì, ferma immobile come una statua, il sorriso volato via. L’uomo dentro restò a fissarla, aspettando. Una lacrima scivolò sulla guancia di Sophie.
 «Papà.» sussurrò.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


«E sai cosa? Se mi ha riconosciuta è solo perché ho detto ‘papà’, se no mi avrebbe scopata sul momento e tanti saluti all’amore di famiglia.»
Eddie strinse Sophie più forte. Non disse nulla. Lei continuava a piangere e singhiozzare.
«Va tutto bene.» le disse poi, accarezzandole la schiena.
Lei allontanò un attimo il viso da Eddie, si passò le mani sugli occhi prima che le lacrime tornassero a sgorgare copiose. A Eddie ricordava tanto una bambina.
«Va tutto da schifo invece. E poi io pensavo che … insomma … lui mi salvasse, ecco! Lui mi portasse a casa! Dopotutto cosa c’era di sbagliato nello sperare che lo facesse? Cosa si aspetterebbe qualsiasi ragazza da un padre? Invece mi ha lasciata lì.»
E poi giù a piangere, di nuovo.
Eddie non sapeva cosa dirle. Da un lato era dispiaciuto e voleva consolarla, davvero, ma non sapeva proprio come fare. E poi probabilmente lei voleva solo sfogarsi e delle sue opinioni non sapeva che farsene.
Mezz’oretta dopo, Sophie era più calma e si era seduta sul letto, di fianco ad Eddie.
«Scusa lo sfogo.» disse lei, dopo un po’.
«Non fa niente, tranquilla. Emh … capisco che tu possa essere arrabbiata. Ne hai tutte le ragioni.»
«Più che altro ti ho inzuppato tutta la camicia.» osservò lei.
Lui rise.  Sophie accennò un sorriso.
«Cos’hai fatto in faccia?» chiese poi lei, scrutandolo.
«Eh? Niente.» rispose lui.
«Certamente. Sei pieno di … Ferite. C’è la crosta, ma non sembrano poi molto vecchie. Quando te le sei fatte?»
Eddie sospirò. «Ho picchiato un tipo. L’altra sera.»
Sophie lo fissò. «Che grand’uomo allora!» scherzò.
Lui ridacchiò.
«Come mai?» chiese poi lei.
Eddie riflettè. «Per te, credo.» ammise poi.
Sophie lo fissò con aria interrogativa. Non capiva. «Per me?» chiese.
«Già. Penso che tu lo conosca. Si chiama George, è più alto di me, magro, moro … »
«Ah sì, Georgie. Quello che mi scopa praticamente tutte le sere. Se è brutto farlo con lui, Dio del Cielo. Cosa diceva?»chiese Sophie, interessata.
Eddie ridacchiò. Così George aveva un soprannome, eh? Georgie. Carino.
«L’hai inventato tu Georgie?» chiese Eddie, ridendo.
«Già. Lo prendo per il culo. Cosa diceva?»  chiese nuovamente lei.
«Diceva che farlo con te era uno sballo, o una cosa del genere. E poi beh, diceva che io ero innamorato di te, cose così. Ma ero fatto. Probabilmente non lo avrei picchiato in condizioni normali.» cercò di giustificarsi lui.
«Beh, che farlo con me sia uno sballo per lui, è evidente.  E non è forse vero che ti piaccio, scusa?»
«Beh, forse un po’ sì. Ma non come intendeva lui.» ammise Eddie.
Sophie annuì. « Diceva altro?»
«No, in sostanza era quello. Ha detto anche che sono un drogato innamorato di una puttana, ma questo l’ha detto dopo. Gli avevo già cacciato un pugno.»
«Beh, ha poco da prendere per il culo, il nostro caro Georgie. Mi ha chiesto di uscire varie volte, non a New York ovviamente, ma io gli ho sempre detto di no.»
Eddie scoppiò a ridere. «Cosa?» chiese poi.
«Dopo che l’abbiamo fatto, lui mi chiede sempre cose tipo: “Sophie, non è che … Domani pomeriggio sei libera e … Possiamo andare a fare un giro? Non qui, eh”. E io gli rispondo sempre che non ho tempo. Probabilmente se me lo  chiedessi tu potrei prendere in considerazione l’idea, ma lui proprio no. Come lo odio, mamma mia.»
Eddie continuò a ridere. «E poi dice di me. Ma vaffanculo, George. Domani sera ne vedrà delle belle.»
«Perché?» chiese Sophie.
«Perché potrei andare a prenderlo per il culo.»
«Ma che bambini.»protestò lei, unendosi però alla sua risata.
Finito di ridere, restarono fermi, a fissarsi.
«Perché sei tornata?» chiese lui.
«Perché … Perché ero stufa. E … Mi sono detta che forse tu mi avresti accettata comunque alla fine. E che al limite mi avresti sbattuta fuori di casa, ma mi sembrava un’ipotesi piuttosto remota.»
«Guarda che io non ti avrei mai mandata via.» osservò lui.
«Ora l’ho capito. Ma sai, non è facile. Persino i miei genitori mi hanno mandata via di casa e pensare che uno sconosciuto mi volesse tenere così a gratis, mi sembrava così assurdo. Soprattutto perché ero … sono … una puttana.»
«Per me sei Sophie.»
Lei sorrise.
«Puoi anche restare qui se vuoi, e non tornare più là fuori. Io ti tengo qui con me volentieri. Io … ci tengo a te, in un modo o nell’altro. Perciò se vuoi restare dimmelo. Io aspetto una tua risposta. Però deciditi. Se è sì è sì, se è no è no. Non voglio stare qui ad aspettarti come ho fatto in queste tre settimane. Perché sinceramente, sono state un’agonia.»
«Mi dispiace.»
«Non hai ancora risposto. Vuoi restare o no? »

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


«Sì  che voglio restare.» rispose Sophie, dopo pochi secondi di riflessione.
«Mi fa piacere.» commentò Eddie, sorridendo.
Sophie sorrise a sua volta, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta.
Stava mandando all’aria ogni possibilità di guadagno che aveva, stava mandando all’aria le poche certezze che aveva per un uomo.
«Ti preparo il letto di sopra allora.» annunciò lui, alzandosi.
«Eh? Oh, no, non fa nulla. Posso dormire quaggiù. Non stare a disturbarti.»
Lui annuì. «Ehi, senti una cosa. Per quanto quella tua canottiera fucsia e quella tua gonna corta possano attrarmi,  forse è il caso che io ti trovi altri vestiti. Sai, non vorrei che … » Eddie strizzò l’occhio.
Sophie rise. «Già, probabilmente hai ragione. Non voglio che vada tu per me però. Andiamo insieme. Cioè, intendo dire … non so se sarebbe il caso di andare qui a New York dove tutti sanno chi sono. Magari potremmo andare in una città vicina.»
«No, chi se ne frega. Per me non è un problema andare in giro con te, tanto c’è così tanta gente che nessuno ci farà caso. Se non dispiace a te, per me può andar bene New York.»
«Okay, allora a posto. Credevo che magari non avresti voluto farti riconoscere in giro con una puttana, ma visto che non ti da fastidio anche a me va bene qua.»
«Bene, ora che abbiamo fatto tutti questi ragionamenti intelligenti, possiamo andare!» annunciò Eddie.
Sophie rise e lo seguì fuori dalla stanza.
 
Erano entrati in un negozio qualsiasi e Sophie si era comprata dei vestiti decenti che aveva indossato subito, cambiandosi in un bagno pubblico. Poi avevano comprato altre cose ed avevano pranzato fuori. Ad Eddie sembrava tutta una favola. L’essere in giro per New York con lei, ma anche lei stessa.  La vedeva camminare di fianco a lui, sorridendo, guardandosi in torno come se quello che stava vedendo fosse nuovo e meraviglioso.
Iniziò a nevicare.
«Ehi Eddie guarda, nevica.» osservò lei, guardando il cielo.
«Già.»
Vide un fiocco di neve posarsi sulla punta del naso di lei.
Sophie rise.
Andarono a sedersi su una panchina.
«Sai cosa stavo pensando, Eddie? Mi hai pagato tu tutti i vestiti. E … non che ne abbia comprati così tanti ma è una somma considerevole ed io dovrei … »
«Sono un regalo. Buon compleanno.» la mise a tacere lui.
Sophie lo fissò. Fu in quel momento che la ragazza si sciolse. Non sarebbe più stata fredda con lui. Lui le voleva bene. Sin dall’inizio le sarebbe piaciuto trattarlo bene, ma aveva avuto paura. Ora aveva capito che no, lui non le avrebbe mai fatto del male. Il suo muro di freddezza non esisteva più. Sophie si sentiva come se il suo carattere allegro e spensierato di tanto tempo prima fosse tornato.
«Grazie, grazie mille. I miei genitori non mi hanno mai fatto dei regali. E poi non riesco a crederci, ti sei ricordato. Cioè, in realtà il mio compleanno era ieri, ma ti avevo detto solo che li avrei compiuti “fra tre settimane”, non un giorno preciso per cui fa lo stesso. E in tutti i casi non saresti riuscito a dirmi nulla ieri.»
Lui sorrise. «Sta iniziando a nevicare forte. Torniamo a casa, prima che s’intoppino le strade?»
«Mi sembra una buona idea.» concordò lei.
Tornati a casa, Eddie stava aprendo la porta di casa quando gli arrivò una palla di neve in testa.
Lui rimase un attimo fermo poi si voltò.
Sophie scoppiò a ridere vedendo l’espressione sulla sua faccia.
«Vieni qui, birbantella.» scherzò lui, iniziando a correre.
Sophie iniziò a scappare per il giardino a sua volta.
«Tanto non mi pren … » iniziò lei, girandosi e preparando una pernacchia.
Lui, sorprendentemente veloce, prese una palla di neve e la colpì sulla spalla.
«Dicevi?» chiese lui, ridendo.
Lei  non fece in tempo a raccogliere una palla di neve o a riprendere a correre, che subito lui l’acchiappò e la strinse tra le braccia.
Lei scoppiò a ridere e lo stesso fece anche lui.
«Ma che piccoli sembriamo.» commentò lei.
Lui  continuò a ridere, sempre cingendole la vita con le mani.
«Mi vuoi togliere le mani di dosso?» chiese lei.
«Mai.»
Scoppiarono a ridere entrambi.
«Senti, mi è piaciuto un sacco rotolarmi nella neve con te e cose varie, ma ora penso sia ora di fare la persona seria e cucinare.» disse Eddie, cercando di non ridere.
«Sognatelo pure. Vai in cucina, Eddie. Forza.» disse Sophie, ridendo.
«Che cos’avrai in mente ‘sta volta?» chiese Eddie.
 
Eddie stava cucinando con un grembiule e un copricapo da cuoca. Sophie li aveva trovati nel ripostiglio, dove c’erano  gli oggetti che la sorella di Eddie non si era portata con sé quando si era trasferita ( o almeno, così le aveva spiegato lui). Quel grembiule e quel cappello erano di quando la sorella di Eddie era piccola e giocava a far la cuoca, erano rosa e ornati di pizzo. Il grembiule era corto ad Eddie e questo rendeva la scena ancora più buffa.
«Questa me la pagherai.» borbottò lui, dopo un po’.
Lei intanto continuava a fargli foto col cellulare.
«Ecco, domani sera, quando andrai a prendere per il culo Georgie, mostragli anche queste.» rise lei.
Lui si voltò. Sophie scoppiò inevitabilmente a ridere e scattò nuovamente.
«Che mente crudele che hai.» commentò Eddie, dopo aver realizzato che Sophie lo aveva fotografato anche nel momento in cui si era girato, per cui ora era riconoscibile al 100%.
Lei rise.
«È bello vederti ridere.» commentò lui, scolando la pasta nel lavello.
«È bello tornare a ridere dopo tanto tempo.»
Eddie posò i piatti in tavola.
«Ti sposerei solo per come cucini.» commentò lei, dopo aver mangiato.
Lui rise. «Non farmi venire in mente certe possibilità … »
Sophie rise.
« Eddie, sono stanca. Sono successe tantissime cose oggi. Vado a dormire.» disse lei, alzandosi.
«Ti accompagno.»
«Guarda che ci riesco anche da sola a dormire.»
«Credevo avessi paura del buio.»  scherzò lui.
 
Quella notte Sophie si svegliò.
Le piaceva stare con Eddie e a quel punto era sicura che non sarebbe più tornata in strada per nulla al mondo. Però … aveva paura di deluderlo. Aveva paura che ad un certo punto lui smettesse di essere interessato a lei e la mandasse via di nuovo. Perché Sophie lo sapeva, se la teneva in casa non era perché le faceva pena, era perché lei a lui piaceva. Magari Eddie non se n’era accorto, ma Sophie sì, non era stupida.  
“Come sono lunatica” pensò la ragazza. Quel pomeriggio pensava che Eddie le volesse bene e che quindi non l’avrebbe mai mandata via, mentre ora credeva che avrebbe potuto benissimo cacciarla passata la “cotta”. 
“Non è che alla fine mi sto innamorando anche io?” pensò Sophie.


Nota dell'autrice:
Mi scuso per il ritardo nell'aggiornare ma sono stata davvero molto impegnata in questi giorni... Potrebbe capitare di nuovo, ve lo preannuncio.

Questo è un capitolo di passaggio, diciamo così, quindi non è un gran che, non "spaventatevi" (?), la storia non sta prendendo una piega così banale come sembra e non credo ci saranno altri capitoli incentrati così tanto sulla "dolcezza", diciamo così. Perciò voi che siete romanticoni/e godetevi questo, ahah.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


Quando Eddie si svegliò quel mattino, Sophie dormiva ancora.
La fissò.
Era girata su un fianco, verso di lui. Era rannicchiata fra le coperte e aveva le braccia avvolte attorno al petto.
Eddie vedeva i suoi seni alzarsi e abbassarsi regolarmente e desiderò ardentemente toglierle il reggiseno di dosso. Gli sembrava così in mezzo. Scacciò il pensiero per evitare che il suo corpo rispondesse alla chiamata. Che quella parte in particolare del corpo rispondesse alla chiamata. Non gli sembrava proprio il caso di saltarle addosso con l’intenzione di scoparsela mentre dormiva. Non sarebbe stato esattamente il modo migliore per convincerla che in fondo le voleva bene.
Si alzò dal letto e andò a farsi la doccia.
Finito di lavarsi, Eddie uscì e si avvolse l’asciugamano intorno alla vita. Si diede un colpo di phon ai capelli e poi andò a cambiarsi. Quando si fu vestito, si accorse che Sophie stava ancora dormendo beata.
“Che sonno doveva avere” pensò il ragazzo, quando si accorse che erano le undici.
Quella sera sarebbe dovuto uscire con George e gli altri. Avrebbe preferito passare un’altra serata con Sophie, magari portarla a mangiare qualcosa fuori. Si rendeva conto che non era il caso di dare buca a George, anche perché poteva essere indispettito per non aver trovato una Sophie pronta per essere scopata sul bordo della strada.  E comunque non se la sentiva di saltare l’uscita. Avrebbe avuto bisogno di farsi una dose e lo sapeva. Se non immediatamente quella sera, sarebbe stato il giorno dopo, ma a quel punto George non ci sarebbe stato, in quanto si vedevano un giorno sì ed uno no. Per quanto Eddie tenesse a Sophie, la droga era una parte integrante di lui.
«Ehi, Eddie.» la voce di Sophie. Aveva un tono assonnato.
«Buongiorno, eh. Sono le undici e un quarto.»
Lei si guardò in torno, spaesata, come a chiedersi perché si fosse alzata così tardi.
«Ti avevo detto che ero stanca.»
«Già, ho visto. Vado a preparare la colazione.»
Sophie annuì, sentendosi nuovamente inutile. Era una sensazione che la invadeva tutte le volte che Eddie diceva che avrebbe fatto qualcosa, che fosse preparare da mangiare o fare un letto. Perché erano tutte cose che lei non sapeva fare.
Si alzò da sotto le coperte e si strinse le ginocchia al petto. Osservò le lenzuola candide fra le quali aveva dormito. Se le passò fra le dita, come ad assicurarsi che fossero vere. Guardò il tappetino di fianco al letto, le ciabatte che Eddie aveva preparato per lei lì di fianco. Guardò i suoi vestiti, appoggiati sul fondo del letto, una maglietta ed un paio di jeans assolutamente anonimi. Dei vestiti che lei aveva avuto solo prima.
Le sembrava così strano poter alzarsi alle undici, poter dormire in un letto morbido, l’avere delle ciabatte, poter indossare vestiti comodi e che effettivamente svolgessero la funzione di vestito nel vero senso della parola.
Eddie le portò una tazza di the in camera. Quando Sophie lo vide entrare non riuscì a fare a meno di sorridere. Lo vedeva farsi in quattro per lei come se fosse l’unica cosa importante in quel momento.
Lui si sedette di fianco a lei e le porse la tazza.
«Tu non mangi?» chiese Sophie.
«Non ho molta fame, ma se vuoi potrei bere un the con te giusto per farti compagnia.»
Sophie rise, prese in mano la tazza ed iniziò a sorseggiare la bevanda calda.
Quando ebbe finito di bere, appoggiò la tazza sul comodino.
«Mi stavo chiedendo perché tuo padre ti abbia mandata via di casa e non ti abbia voluta riprendere con sé.»
Eddie cercò di chiederglielo con un minimo di tatto, anche se era la domanda ad esserne assolutamente priva. Lei lo fissò, sgranando gli occhi verde smeraldo, a chiedergli “perché me lo stai chiedendo, Eddie?”
«Se non vuoi dirmelo fa lo stesso.» cercò di rimediare lui, imbarazzato.
«Non è che non te lo voglia dire, è che … oltre al fatto che non ci penso da molto tempo ormai, è una cosa che può sembrare così stupida e … e poi non l’ho mai raccontato a nessuno e mi mette addosso tanta malinconia pensarci, ma credo che a qualcuno dovrò dirlo prima o poi. Giusto per sfogo personale.»
«Se vuoi dirmelo io ti ascolto.»
Sophie annuì, fissò Eddie e poi si fissò le gambe, tornando a raccoglierle con le braccia.
«Vedi, devi sapere che avevo un ragazzo, si chiamava Jim … »
 
Avevo quasi quindici anni. Quasi. Comunque non me ne preoccupavo. Era da molto tempo che non festeggiavo seriamente il mio compleanno. I miei genitori avevano smesso di farmi regali a sei anni, perché dicevano che erano un inutile spreco di soldi. Come se le loro tre automobili a testa non lo fossero.
I miei genitori non mi avevano mai dato baci, o cose così. Erano sempre rimasti distaccati da me, e col tempo ci avevo fatto l’abitudine. Mi ero abituata prima alla loro indifferenza, e poi al fatto che non mi sopportassero. Li sentivo parlare, li sentivo dire che ero inutile, che non studiavo, che non sapevo fare niente in casa, che sarei stata una rovina e che sarebbe stato meglio cacciarmi via. Soffrivo tanto quando lo dicevano, ma credevo che lo dicessero senza pensarlo davvero nei momenti di rabbia, dopo aver litigato fra di loro.
Però almeno c’era Jim a volermi bene. Lui mi dava sempre dei baci, lui mi abbracciava sempre e lui aveva anche picchiato Alex  quando aveva iniziato a toccarmi dove non doveva. Jim si era ritrovato con un occhio nero, ma poi mi aveva presa da parte,  mi aveva abbracciata e mi aveva detto che siccome l’aveva fatto per me era orgoglioso di averlo, quel livido. Più che altro aveva conciato Alex per le feste, e io avevo davvero avuto paura che Jim finesse nei guai sul serio.
I miei genitori non sapevano niente di Jim.
Loro sicuramente non avrebbero approvato. Jim era un bravo ragazzo, aveva due anni più di me, andava bene a scuola, faceva parte della squadra di football e tante altre cose da studente modello. Insomma, era il contrario di me. Ma i miei genitori erano cristiani. Molto cristiani. E credevano che avrei dovuto conoscere un ragazzo a diciotto anni, frequentarlo per anni e poi chiedergli di sposarmi, o una cosa del genere. Ovviamente solo a quel punto avrei potuto baciarlo o farci del sesso. Quando me l’avevano spiegato non li avevo ascoltati.
Stavo aspettando Jim, seduta sul letto. Aveva detto che sarebbe passato. Non era mai venuto a casa mia. Quella volta però i miei erano usciti, erano andati a fare un viaggio di lavoro ad Albany, e non sarebbero tornati fino al giorno successivo, così avevano detto. E avevo invitato Jim.
Sentii suonare il campanello, così mi alzai.
«Chi è?» chiesi, anche se la risposta mi era ovvia.
«Sono io, Jim.»  rispose lui. Io gli diedi il tiro e corsi ad accoglierlo alla porta.
Lui spalancò l’uscio e mi prese fra le braccia, baciandomi, come se non ci vedessimo da anni.
«Andiamo in camera mia?» chiesi.
Lui mi fissò, come a chiedermi se fossi sicura di quello che stavo facendo. Sentivo la sua erezione contro la coscia e non mi sarebbe dispiaciuto affatto.
Io annuii, sorridendo. Lui sorrise a sua volta. Io lo presi per mano e lo trascinai fino in camera mia.
«Non so se è una buona idea … intendo … i tuoi genitori …» iniziò Jim, anche se mi sembrava poco convinto lui stesso di quello che stava dicendo.
Lo attirai sopra di me, baciandolo.
 « Jim, Jim, tu sei troppo un bravo ragazzo. I miei non ci sono. Non si accorgeranno di nulla.» gli sussurrai, fra un bacio e l’altro.
Lui mi sfilò la maglietta, mi slacciò il reggiseno e mi passò le mani sui seni. Sentii i capezzoli indurirsi mentre lui me li baciava. Gli passai le mani fra i capelli, sussurrando il suo nome. Gli tolsi i jeans e i boxer, come a rispondere all’implorazione muta del suo corpo. Lui rotolò sotto le coperte, trascinandomi con lui.
«Sei così bella, Sophie.» mi sussurrò.
Mi tolsi i jeans e le mutandine e subito le sue labbra si spostarono dai miei seni alla mia intimità, lasciando una striscia di saliva sulla mia pancia.
Sentivo di essere bagnata. Sentivo la sua lingua e mi piaceva, mi piaceva un sacco.
Sussurravo il suo nome quando sentii la porta aprirsi. Io e lui alzammo la testa, in contemporanea. Sentii la sua eccitazione svanire e lo stesso fece la mia, per lasciare posto ad autentico terrore. La figura di mio padre era lì, sulla porta, alta e grossa, nera.
«Brutta sgualdrina.» mi accusò. Io tirai la coperta per coprire sia me che Jim.
Jim poi, non sapeva proprio che fare, se tenermi abbracciata o togliermi totalmente le mani di dosso. Così rimase fermo, un braccio sulla mia coscia dov’era prima e l’altro lungo il fianco. Io poi non gli rendevo più facile il compito, cercando di rimanere attaccata a lui. Tremavo come una foglia.
Avevo paura di mio padre. Cosa avrebbe fatto ora?
«Vestitevi e andate fuori. Tutti e due. Non voglio più vedere nessuno di voi in questa casa.» annunciò, con tono calmo ma definitivo.
«Va bene, padre.» acconsentii.
Jim tacque. Per fortuna. Mio padre uscì chiudendo la porta.
Io stavo ancora tremando quando mi alzai sul letto. Io e Jim ci rivestimmo in silenzio.
Avevo paura di uscire dalla mia camera ma sapevo che se non l’avessi fatto di mia spontanea volontà ci avrebbe pensato mio padre a cacciarmi fuori a calci. Feci un cenno a Jim, come a dirgli “vai prima tu”.
Lui andò alla porta, l’aprì e uscimmo di casa con gli occhi bassi, mentre i miei genitori ci fissavano dalla cucina.
«Mi dispiace.» disse lui, dopo circa cinque minuti. Stavamo camminando in una direzione imprecisata.
«A me dispiace.»
Ero combattuta fra il mettermi a piangere o il mettermi a tirare accidenti.
«Ti faranno rientrare in casa fra qualche giorno, vero?» chiese lui.
Era veramente preoccupato, lo vedevo. Lui credeva davvero che mi avessero sbattuta fuori di casa solo per quell’episodio e che quindi mi avrebbero ripresa svanita la rabbia. Anche un lato del mio cervello pensava una cosa del genere, ma l’altro sapeva che quello era stato solo il pretesto per mandarmi via. In un modo o nell’altro, mi avrebbero cacciata comunque di lì a poco.
«Spero di sì.»
«Posso tenerti a dormire da me per una sera, al massimo due, senza destare sospetti con mia madre. Ma  poi … »
«Sì lo so, ti ringrazio. Ma di più non resterei nemmeno io. Sarebbe come un’elemosina.»
«Non possono lasciarti morire in strada. Insomma, dopo andrai a chiedere scusa e ti riprenderanno in casa.»
«Sicuro.» mentii.
Passai una notte a casa di Jim.
Poi un’altra.
Fu l’ultima volta che dormii in un letto vero e proprio.
 
Sophie stava fra le braccia di Eddie e non piangeva. Aveva un sorriso tirato sulle labbra, mentre i suoi occhi tornavano a pensare a Jim e al passato.
«Hai mai scoperto perché i tuoi ritornarono prima del previsto?» chiese Eddie.
«No, e ancora oggi non ne ho idea. Che sfiga.» rispose Sophie, mesta.
«Hai mai rivisto Jim?»
«Certo. Finii quell’anno di scuola. Però nel frattempo facevo già la puttana. Mi bocciarono, ma non me ne preoccupai. Non avrei avuto modo di andare a scuola l’anno successivo. Jim mi trovò un paio di sere, prendendomi su dalla strada. Non l’abbiamo mai fatto però. Poi venne l’estate, andò in vacanza e probabilmente si scordò di me. Me lo aspettavo. E poi cos’avrei mai potuto pretendere?»
«Già. Cioè, io … mi dispiace. Avresti potuto provare a tornare dai tuoi.»
«Ci provai, dopo qualche mese. Non ce la facevo quasi più. Mia madre mi aprì, capì chi ero e mi chiuse la porta in faccia. Non tornai più da loro.»
«Che stronzi, senza offesa.»riuscì ad articolare Eddie.
Era una storia a dir poco disgustosa, quella di Sophie. Improvvisamente Eddie capì perché la ragazza faceva fatica a fidarsi della gente. Quale genitore non avrebbe ripreso in casa il figlio se avesse trovato il coraggio di ripresentarsi alla porta di casa? Quale razza di genitore, per Dio?
Sophie fece spallucce.
«Non m’importa più nulla di loro ormai.»


Nota dell'autrice:
allora allora, piaciuti Sophie e Jim? E' la prima scena lime che scrivo, abbiate pietà.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Eddie si alzò da tavola, nervoso. Non sapeva come dire a Sophie che quella sera sarebbe uscito e non sarebbe stato lì con lei. Più che altro non capiva perché avesse paura di dirglielo. Era normale che un ragazzo uscisse di sera, no?
«Sophie, stasera esco. Con George e tutti gli altri.» annunciò Eddie.
Sophie annuì. «Promettimi che non tornerai strafatto ed ubriaco.»
«Sembri mia madre.» commentò Eddie, sarcastico.
Sophie ridacchiò. Non voleva che Eddie uscisse con George e tutta la sua banda di drogati, ma non aveva alcuna intenzione di provare a manifestare la sua opposizione. Era già tanto che la tenesse in casa nonostante non facesse nulla. Se poi avesse iniziato anche a lamentarsi … no, Sophie credeva che fosse meglio tacere.
«E … non aspettarmi sveglia, stasera. Insomma, in genere non torno prima delle quattro o cinque del mattino» spiegò Eddie. Il ragazzo pensò che forse sarebbe rientrato un po’ prima. Non credeva avrebbe cercato una puttana quella sera.
«Ma esci con George anche se vi siete tirati delle botte l’altra sera?» chiese Sophie, incerta.
«Sì. Tanto se l’è già scordato, e anche io, praticamente. Non siamo come voi donne, che quando avete un problema con qualcuno ve lo tirate dietro per anni.»
Sophie rise di nuovo, chiedendosi cosa avrebbe fatto quando Eddie sarebbe uscito di casa.
 

Quella sera erano in pochi, veramente pochi. Ed erano a casa di George. Eddie capì che era una di quelle sere. Una di quelle sere in cui George diceva alla maggior parte delle persone che non si usciva e poi portava le siringhe e allora i pochi fortunati si facevano seriamente. Una di quelle sere in cui decollavi veramente. Eddie non era mai mancato ad una di quelle serate.
«Eddie, vecchio mio, come va?» lo salutò George, dandogli una pacca sulle spalle.
«Come se non ci vedessimo da anni.» borbottò Eddie.
«Ho della roba veramente buona stasera.» annunciò George.
 
Come al solito, si fecero.
 
Eddie quella sera si sentiva particolarmente bene. Sicuramente era effetto di quella roba buona che aveva portato George.
Dopo un po’, George fece dileguare gli altri e rimase solo con Eddie.
«Sai Eddie, mi sa che ho un lavorino per te.» annunciò George.
La mente annebbiata di Eddie ebbe un sussulto. Un sussulto appena percettibile. L’eroina faceva effetto, ancora.
«Cosa?» chiese Eddie.
«C’è uno spacciatore, giù in Messico … »attaccò George.
Anche Eddie era uno spacciatore. Se non era mai escluso dalle serate di George, era perché la roba, in realtà, l’aveva portata lui, almeno la maggior parte delle volte. In genere doveva svolgere il suo compito non troppo spesso, ogni due o tre mesi, anche perché non era l’unico spacciatore fra le conoscenze di George.
Con il fatto di aver conosciuto Sophie, ad Eddie era passato totalmente di mente il fatto dello spacciatore messicano. Era a conoscenza di questo “piano” già dal mese scorso.
«E quando dovrei partire?» chiese Eddie, quando George ebbe finito di spiegargli la situazione.
I ricordi affluivano alla mente di Eddie, ogni particolare del piano, e sapeva che di lì a poco anche la data sarebbe ricomparsa alla sua mente, ma non voleva aspettare. Doveva saperlo subito.
«Fra esattamente due giorni.»
« Vaffanculo, George. Non posso.» sbottò Eddie.
George lo fissò con occhi di fuoco.
«Perché non puoi, Eddie?» chiese poi.
Eddie non seppe più cosa dire. Qualsiasi scusa gli sembrava così poco credibile. Così assurda.
«Posso in realtà. Assolutamente sì. Mi è scappato detto perché sono piuttosto irritato ultimamente. Poco sesso.» inventò lui, cercando di assumere un tono rilassato. Ci riuscì.
George scoppiò a ridere.  «Anche io sono nervoso ultimamente. Quella brutta zoccola di Sophie non si fa più vedere in giro, chissà dov’è andata.»
Eddie cercò di contenersi. Aveva voglia di cacciargli un altro pugno e di scoppiare a ridere contemporaneamente.
«Non ne ho proprio idea.» commentò Eddie.
George annuì, poi tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una. Passò il pacchetto ad Eddie, che si accese una sigaretta a sua volta.
«Mi dicono» attaccò Eddie. «Che tu sia sempre attaccato a quella brutta zoccola di Sophie.»
“Tanto per usare i tuoi stessi termini, idiota” pensò Eddie.
«E certo. Si scopa che è una meraviglia.»
«A me hanno detto cose diverse.»
«Cosa ti avrebbero detto, sentiamo?» chiese George. Cercava di mantenere un tono scherzoso, ma Eddie riusciva a percepire un filo di nervosismo nella sua voce.
Che divertimento.
«Mi hanno detto che tu l’avresti invitata ad uscire ma che lei abbia risposto di no perché sei un coglione.»
Eddie modificò parzialmente la fine di ciò che aveva riferito Sophie.
George scoppiò a ridere.
«Chi te l’ha detto?» chiese poi.
«Un mio conoscente che è stato a letto con Sophie. A sua detta glie lo avrebbe raccontato lei.»
Ad Eddie sembrava una cosa un po’ improbabile. Sophie non era proprio il tipo che andava a raccontare i fatti suoi ai suoi clienti. E poi perché mai questo conoscente avrebbe dovuto raccontarglielo? Eddie non si pose il problema. Già George era in difficoltà a fare ragionamenti del genere in condizioni normali, ora era anche fatto. Non si sarebbe sicuramente accorto che la scusa di Eddie non stava in piedi.
Difatti, George non replicò e fece un tiro nervoso dalla sigaretta.
Eddie si ritenne soddisfatto e riprese a fumare a sua volta.
«Secondo te, Eddie, ci si può innamorare di una ragazza solo scopandosela? Ipoteticamente parlando.» chiese George.
Eddie sussultò. Prima di tutto, non credeva George sapesse dire “ipoteticamente”. Secondo, non credeva che glielo avrebbe chiesto.
«Non so. Ipoteticamente parlando di Sophie?» chiese Eddie.
«Già. È solo una puttana. Però … »
«Già, però.» sfuggì ad Eddie.
Eddie pensò che lui e George avevano più o meno gli stessi problemi, a parte che quelli di George erano molto più semplici dei suoi. Dopotutto, col cervello che aveva, per lui dovevano essere complessi comunque.
«Ma vaffanculo a lei. Chi cazzo se ne frega.» sbottò George.
Eddie non replicò. George si era innamorato del farlo con Sophie. Probabilmente gli sarebbe passato tutto nel giro di poche settimane. Tanto Sophie non sarebbe più andata a letto con lui, almeno non come aveva fatto fino a quel momento.
 
Eddie rincasò alle quattro del mattino.
Sophie dormiva. Evidentemente aveva ripreso a leggere quel libro di Stephen King, perché ora era appoggiato sul comodino e non sullo scaffale dove l’aveva lasciato Eddie.
Eddie la fissò, ora il suo cervello stava rincominciando a connettere. Come avrebbe potuto dirle che sarebbe sparito in Messico per almeno una settimana? Qualcosa tipo “Ehi, Sophie, devo andare a prendere della roba in Messico. Non ti preoccupare, torno presto”.
Sicuramente Sophie non si meritava una cosa del genere. Lei dipendeva da lui, ne erano consapevoli entrambi. Anche se non avesse avuto paura per lui, avrebbe avuto paura delle conseguenze che si sarebbero ripercosse anche su di lei nel caso lui fosse stato preso.  Eddie era sicuro che non l’avrebbero beccato. Dopotutto gli era andata fatta bene tante volte prima, perché proprio quella sarebbe dovuta andare male?
E mentre lui pensava a quello che avrebbe dovuto fare in Messico, Sophie era lì che dormiva beata, convinta che non sarebbe successo assolutamente nulla.
Eddie si sdraiò nel letto, di fianco a lei.
Gli sembrava così assurdo averla lì e doverla lasciare.
Non aveva alcuna intenzione di recarsi in Messico ma sapeva che in un modo o nell’altro ci sarebbe dovuto andare per forza. In un primo momento sarebbero rimasti senza roba, in un secondo, sarebbe uscito dal giro di George, il che significava essere per sempre senza roba e il dover cavarsela da solo.
Sophie si rigirò, voltandosi verso di lui nel sonno. Eddie le spostò una ciocca di capelli che le era ricaduta davanti al viso. Le sembrava così bella. Però era così piccola. Ora che la osservava seriamente, Eddie vide che il suo viso aveva dei lineamenti troppo dolci anche per una ragazza di sedici anni. Eddie le sfiorò una guancia con la mano. Sedici anni. A sedici anni si andava a scuola, si usciva con gli amici, cose così. Non ci si trovava in una casa di un drogato che ti aveva salvata dalla strada. Non aveva proprio senso.
Nulla di quello che stava succedendo poteva aver senso, né per lei, né per lui.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Sophie si svegliò. La luce del sole filtrava dalle persiane ed illuminava il volto di Eddie, steso lì di fianco a lei.
Si chiese cosa avesse fatto la sera prima. Sicuramente si era fatto.
La ragazza si sedette sul letto e prese il libro. Aveva intenzione di terminarlo al più presto perché le piaceva veramente molto. E poi non sapeva che altro fare.
«Buongiorno.» la salutò Eddie, qualche ora dopo.
Sophie era così immersa nella lettura che in un primo momento nemmeno lo sentì.
«Sophie. Sono io. Eddie.» disse lui, ridendo.
Sophie alzò gli occhi dal libro, spaesata.  «Oh, buongiorno.» disse poi, quando lo vide sveglio.
Eddie non credeva che le avrebbe detto del Messico quel mattino. Sarebbe comunque partito il giorno successivo, quindi in tutti i casi non aveva molto tempo.
Sophie ricacciò il naso nel libro.
Il piano a cui Eddie si sarebbe dovuto attenere era molto semplice.
Lui si sarebbe recato in Messico come un innocente turista, pensava anche di andare anche in una di quelle località balneari famose per la loro vita notturna, anche se ora gli era un po’ passata la voglia. Dopo aver fatto questo, sarebbe andato a prendere la roba dallo spacciatore e l’avrebbe pagato. Poi avrebbe consegnato la roba ad un ulteriore spacciatore, che si sarebbe imbarcato con lui. Eddie invece si sarebbe messo dei sacchetti pieni di farina o una cosa del genere sotto le ascelle, e, nel caso il suo  “amico” fosse stato minimamente a rischio, avrebbe attirato tutta l’attenzione su di sé. A quel punto si sarebbe chiuso in nel bagno dell’aereo e avrebbe riversato la farina nel cesso, così, mentre tutti erano concentrati su di lui, il suo amico si sarebbe dileguato. Nel caso fosse andato tutto bene, entrambi se ne sarebbero tornati a casa con i loro sacchetti. Dopodiché Eddie avrebbe pagato anche lui per il rischio che comunque aveva corso e sarebbe tornato allegro da George con un chilo di cocaina. Non era la sua droga preferita, ma poteva comunque andare.
Di solito era lui stesso che portava la roba. George lo riteneva molto più sicuro. Lui non assomigliava ad un tossico. Non aveva il volto pallido e le occhiaie, non aveva il torace incassato (o almeno, non tanto quanto gli altri)  e soprattutto sapeva essere freddo. Anche nelle situazioni peggiori riusciva sempre a tirare fuori la battuta di spirito. Sapeva contenersi, anche quando era in crisi d’astinenza. Non iniziava a sentirsi perseguitato, non sentiva il bisogno di grattarsi o di spostare il peso da un piede all’altro e non diventata particolarmente irascibile. Ovviamente anche lui aveva i disturbi fisici, ma questo erano un problema di tutti.
Quella volta invece George aveva stabilito che la vera roba andasse portata da quest’altro tizio, perché tutti sapevano che Eddie era controllato dalla polizia e nessuno di loro voleva che venisse preso (anche se avrebbero di gran lunga preferito lui a loro stessi, ma questo è tipico di ogni essere umano).
«Cosa vuoi per colazione?» chiese Eddie, cercando di distrarsi dai suoi pensieri.
Glielo avrebbe detto nel pomeriggio. Non sarebbe riuscito a fare a meno di sentirsi in colpa, ma quella era la sua vita e sicuramente non poteva troncare tutto in un attimo solo perché c’era lei.
Sophie alzò gli occhi dal libro, fece una piega all’angolo della pagina, lo chiuse e lo appoggiò sul comodino.
«Io … Non lo so. Hai qualcosa come un toast?» chiese.
«Certo. E vedi di infilarti una maglietta.» scherzò lui alzandosi.
Sophie rise e iniziò a vestirsi. Chissà che cosa avrebbe voluto fare Eddie quel giorno. Le piaceva stare con lui. L’aveva realizzato la sera prima, quando lui era uscito e lei si era ritrovata in quella casa grande da sola. Non sapeva proprio cosa fare, aveva passato tutto il tempo fra la camera di Eddie e la cucina, incapace di trovare qualcosa da fare. Non voleva girovagare per le stanze, le sembrava così inopportuno farlo quando lui non c’era. Aveva quasi paura. Per lei era comunque un ambiente estraneo, le sembrava di poter star bene lì solo quando c’era Eddie.  Lui le metteva allegria, in qualche modo, e non solo per le sue- frequenti, e a volte inopportune- battute. La sua presenza, il suo sorriso. Gli stava dando degli affetti e delle attenzioni che non ricordava di aver mai ricevuto in passato, nemmeno da Jim. Non riusciva a credere che quel ragazzo che la trattava così bene fosse lo stesso uomo che quella sera l’aveva scopata e che lei, almeno inizialmente, aveva visto come uno uguale a tutti gli altri.
Eddie entrò in quel momento, interrompendo le sue riflessioni. Le porse il toast.
Sophie mormorò un “grazie” ed iniziò a mangiare.
Eddie iniziò a mangiare anche lui il suo toast, seduto sul letto di fianco a Sophie.
Nessuno dei due sapeva cosa dire.
«Vorrei andare a comprare un libro.» annunciò Sophie dopo un po’.
«Certo, ti accompagno volentieri.» si offrì subito Eddie. Le librerie non erano esattamente i suoi posti preferiti, ma era comunque meglio andare lì e farla “divertire” piuttosto che lasciarla in casa ad annoiarsi.
«Grazie. E questa volta non provare a costringermi, pago io.»
Eddie scosse la testa, chiedendosi cosa le facesse pensare che fosse necessario pagasse lei.
 
Eddie la portò nella prima libreria che incontrarono perché lei era veramente frettolosa.
Sophie sapeva che avrebbe finito presto quel libro di King e non voleva assolutamente rimanere senza cose da leggere. Non sapeva se Eddie avesse o no altri libri e non voleva disturbarlo a cercarli per casa. E poi le sarebbe piaciuto scegliere qualcosa da sola, per conto suo.
Sophie entrò, seguita da Eddie, ed iniziò a guardarsi intorno meravigliata.
Per lei ogni scaffale aveva un significato speciale. Le piaceva vedere tutti quei libri, quell’insieme di pagine, le piaceva pensare alla dedizione con cui gli autori avevano buttato giù parole, parole e ancora parole.
Camminava leggendo qualche titolo a casaccio. Dopotutto non poteva sapere quali fossero gli autori “più importanti” e non sapeva quali generi le piacessero e quali no.
Eddie la seguiva poco distante da lei, guardando i suoi occhi estasiati e chiedendosi cosa mai ci trovasse di così entusiasmante in un mucchio di pagine e di parole stampate.
Poi Sophie si diresse verso un ripiano e ne prese fuori un libro. Lo osservò per circa dieci minuti, rigirandoselo fra le mani e dando un’occhiata alle prime pagine, durante i quali Eddie rimase di fronte a lei, fissando il suo viso.
«Voglio questo qui.» disse Sophie alzando gli occhi e sorridendo.
«Cos’è?» chiese Eddie, interessato. Era un libro piuttosto grande.
Sophie gli passò il volume.
L’interpretazione dei sogni, Sigmund Freud.
«È un po’ complicato questo.» osservò lui.
«L’hai letto?» chiese lei, corrugando la fronte.
«No, però so chi è Freud e che cosa scriveva.»
«Lo so anche io.» azzardò lei, cercando di sembrare convincete. Non aveva idea di chi fosse.
Eddie alzò gli occhi al cielo. «Non ho detto che secondo me non dovresti prenderlo. Anzi, te lo compro volentieri. Stavo solo esprimendo un’opinione.»
Lei non replicò. Immaginava già da prima che alla fine Eddie avrebbe pagato. Non provò nemmeno a dissuaderlo dall’idea.
Uscirono dalla libreria e Sophie si sentì realizzata dopo tanto tempo.
Quello stesso pomeriggio Sophie finì il libro di King ed iniziò quello di Freud.
Eddie fece partire la lavastoviglie. Erano già le cinque. Forse lui avrebbe dovuto iniziare a pensare a come dirle che sarebbe partito il mattino dopo, presto.
Entrò in camera. Sophie era seduta sul letto rifatto. Fissava le pagine del libro con espressione mesta.
«Cosa c’è?»chiese Eddie ridendo, immaginando già la risposta.
«Come minimo mi servirebbe un dizionario.» si lamentò lei.
«Ce l’ho di sopra.»
«Scherzavo.»
Eddie rise e le passò un braccio attorno alle spalle, sedendosi di fianco a lei.
«Sei tu che non mi ascolti. Avresti dovuto iniziare da qualcosa di più semplice.» le sussurrò all’orecchio.
Lei non replicò. Avrebbe finito quel libro a tutti i costi, giusto per non darla vinta a lui.
Eddie rimase fermo, leggendo la pagina che Sophie aveva sotto al naso. Anche lui non ci capiva quasi nulla.
Provò a spiegarle più o meno quello che aveva capito lui. Lei all’iniziò fece finta di non ascoltarlo, ma poi non riuscì più a nascondere il suo interesse.
Passarono più o meno un’ora e mezza così, seduti sul letto, lui col braccio attorno alle spalle di lei, a discutere di quel libro apparentemente incomprensibile.
Eddie avrebbe voluto mandare tutto all’aria, solo per stare lì con lei a leggere quel libro in sé noioso, ma perfetto se letto con lei. Non voleva andare in Messico anche perché non voleva separarsi da lei, nemmeno per pochi giorni.
«Sophie.» disse dopo un po’ Eddie, togliendo il braccio da attorno alle sue spalle.
Sophie fissò un attimo il suo braccio, come se si fosse accorta solo in quel momento del fatto che l’aveva tenuta stretta per tanto tempo, poi lo fissò negli occhi.
«Che c’è?» chiese, preoccupandosi. Eddie non l’aveva mai chiamata in quella maniera, le sembrava così serio.
Lui esitò.  Lei lo incalzò con uno sguardo.
«Io domani dovrei andare via.»
Lei lo fissò con aria interrogativa.  Se pensava di poterle dire “domani vado via” senza darle spiegazioni si sbagliava. Aveva più o meno il diritto di saperlo.
«In Messico. Emh … devo prendere della roba.»
«Spacciatore?» chiese lei.
«Già.»
Sophie abbassò gli occhi. Non  se lo immaginava proprio. Forse un angolino della sua mente aveva formulato l’ipotesi che Eddie facesse cose del genere, magari il suo inconscio, ma razionalmente no, non ci aveva mai pensato.
«Buon viaggio allora.» borbottò Sophie, incapace di dire altro.
«Mi era totalmente passato di mente, scusami, me ne sono ricordato solo ieri sera, se mi fosse venuto in mente prima non ci sarei andato! Solo che era troppo tardi per mandare all’aria tutto. Credimi. Io … mi dispiace. Se mi fossi ricordato avrei almeno cercato di dirtelo un po’ prima.»
Lei non replicò.
«Guarda che ci tengo molto a te. Non credere che non m’importi. So che ci stai male e ci sto di merda anche io per questo.» cercò di spiegarsi Eddie.
«Ci mancasse solo che non ti sentissi in colpa! Per quanto starai via?» chiese Sophie, preoccupata.
E se gli fosse successo qualcosa? Se lo avessero preso? Lei non avrebbe potuto continuare a vivere lì, ma quello era il meno. Eddie non poteva, non doveva assolutamente finire in galera. Lui era buono.
«Quattro, cinque giorni.»
Sophie ebbe quasi un sussulto. Cinque giorni. Cinque giorni senza Eddie, in quella casa grande, fredda e buia. Aveva fatto fatica a resistere per una sera, figuriamoci per cinque giorni.
Sophie non voleva che Eddie se ne andasse.
Sophie voleva che Eddie non la lasciasse mai.
 
Dopo cena, Sophie andò a letto quasi subito ed Eddie la seguì, sperando che gli dicesse qualcosa. Gli sarebbe andato bene di tutto, ma non quel suo innaturale silenzio.
«Senti,posso chiedere di smettere.  Dico che non mi faccio più ma che non gli porto più la roba.» cercò di attaccare Eddie.
 «Pensi davvero che io creda che sia così semplice? Lo so anch’io che non se ne può uscire del tutto indenni e tu mi vuoi dare a bere questo?»
Sophie era irritata. Perché si ostinava a prenderla in giro con quelle sue promesse impossibili da mantenere?
«Lo faccio perché ci tengo a te.»
Sophie tacque. 
«Va beh. Buona fortuna per domani. Buonanotte.» sussurrò poi. 
« No ,Sophie … »
Lei lo ignorò. 
 «Buonanotte.»si rassegnò lui. 
 
Il mattino dopo, Sophie fu svegliata da Eddie che faceva la doccia. Non aveva preso sonno per bene e così anche quel minimo rumore la fece alzare a sedere.  La sera prima si era irritata e non poco. La sua irritazione era nata perché sapeva di non poter fare nulla per lui. Avrebbe voluto aiutarlo, accompagnarlo, ma sapeva che era impossibile. Se fosse andata con lui, sarebbe risultata solo d’intralcio.
Sophie aspettò seduta che Eddie uscisse dal bagno.
«Ehi.» lo chiamò sottovoce, quando lo vide varcare la soglia, già completamente vestito ed evidentemente pronto per andare. Sophie notò la valigia posata di fianco al letto.
Lui si voltò verso di lei. «Cosa ci fai sveglia? Sono le quattro del mattino. Ti ho svegliata io?»
«La doccia.»
«Scusami, non volevo.»
Lei scosse la testa. «Non fa niente, Eddie. Volevo solo chiederti scusa se ieri sera mi sono comportata così. Ero un po’ arrabbiata.»
Lui annuì. « Mi sembra giusto. Anche io lo sarei stato.»
«Vieni qui.»
Eddie si sedette di fianco a Sophie.
«Promettimi che tornerai. Perché io … Non ce la farei mai se tu non tornassi. E non intendo solo per la casa.»
Eddie l’abbracciò. Poi le prese il viso fra le mani e la baciò, dolcemente. Sentì le mani di lei accarezzargli i capelli, mentre rispondeva al suo bacio.
«Certo che tornerò. Non ti lascerei mai qui da sola.» le rispose lui.
Lei gli sorrise, poi lo abbracciò, ritrovandosi di nuovo con la testa appoggiata al suo petto.
«Dai, ora vai e torna presto. Mi raccomando.» lo esortò lei, dopo un po’.
«Esatto. Tu mi vuoi far perdere l’aereo, furbetta.» scherzò lui, prima di alzarsi e darle un altro bacio sulle labbra.
«Ciao.» la salutò poi.
«Ciao Eddie.»
Lui le sorrise, prese la valigia e poi uscì.
Il sorriso morì sul volto di Sophie.
Eddie andrà tutto bene, pensò la ragazza, mentre lacrime di preoccupazione iniziavano a scenderle lungo le guance.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


L’ora di pranzo fu per Sophie il peggior incubo della sua vita. Aveva preso un mano un pacco di pasta, ma non sapeva proprio come fare. Sul retro del contenitore c’erano delle istruzioni su come preparare il piatto, ma lei non era sicura di riuscire ad accendere il fornello senza dar fuoco alla casa.
“Prima o poi dovrò imparare a cucinare, no?” si chiese.
Così, seguendo le istruzioni, iniziò a far bollire l’acqua sul fornello. Stava giusto aspettando che l’acqua bollisse quando squillò il telefono. Sophie si alzò,chiedendosi chi potesse cercare Eddie a quell’ora e soprattutto quel giorno. Andò in salotto e sollevò il cordless.
«Pronto ?» chiese.
«Eddie?» chiese una voce femminile.
Per un attimo Sophie si sentì mancare. Che Eddie avesse avuto un’altra ragazza e non gliel’avesse mai detto?
 «Eddie non c’è, è uscito.» rispose Sophie, cercando di assumere un tono normale.
Non voleva assolutamente che la ragazza al di là del telefono percepisse la sua agitazione. Non poteva essere la ragazza di Eddie, magari un’amica, ma non la ragazza. Per il semplice fatto che la sua ragazza avrebbe dovuto vivere con lui e soprattutto sarebbe dovuta essere a conoscenza della sua partenza per il Messico. Tuttavia a Sophie il dubbio rimaneva e le rodeva dentro.
«Oh, è vero che doveva andare in Messico!»
“Cazzo” pensò Sophie. Ecco, ora poteva essere la sua ragazza.
«Chi sei?» chiese poi la ragazza.
Sophie sussultò. “Ecco è la sua ragazza che è gelosa. Vedi, Sophie? Fottuta anche questa volta” pensò.
«Sono un’amica. Mi chiamo Sophie. Tu?» chiese, con tono esitante. La sua incertezza era chiaramente percepibile.
«Sono sua sorella, Susan.»
Sophie si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e rilassò i muscoli. Senza rendersene conto, li aveva tesi, e per di più aveva stretto la mano al cordless così forte che le nocche le erano diventate bianche.
«Eddie mi ha parlato di te.» balbettò Sophie. Si sentiva come sollevata da un macigno enorme. Non sarebbe riuscita a sopportare il fatto che Eddie avesse un’altra ragazza e non gliel’avesse detto.
«Anche con me ha parlato di una certa ragazza qualche settimana fa, poi non ci siamo più sentiti. Sei tu, credo.» disse lei, con tono allegro.
Sophie ridacchiò. «Beh, credo di essere io, ma non ne sono così sicura.»
«State insieme?» chiese Susan incuriosita.
«Più o meno. Dovresti chiederlo a lui.»
«Capisco. Senti, è stato un piacere conoscerti ma devo proprio andare. Ci risentiamo.» la salutò Susan.
«Ciao.»
Sophie aspettò che Susan riattaccasse, poi posò il cordless.
Si lasciò cadere sul divano. Eddie non aveva una ragazza, grazie a Dio.
 
Sophie aveva finito di lavare i piatti e aveva messo tutto in ordine, così era andata a leggere in giardino.
Nonostante fosse inverno, era una giornata di sole e Sophie aveva ogni intenzione di godersela.
Stava leggendo, seduta sulla sedia del giardino con il libro appoggiato sul tavolo.
Il sole pallido illuminava gli alberi spogli e il prato privo di fiori.
Sophie sentì dei passi avvicinarsi, chiuse il libro e alzò la testa.
Si sentì morire, voleva scappare in casa e chiudersi dentro ma non riusciva ad alzarsi.
George.
«Che cazzo ci fai qui?» chiese lui, raggiungendola. Era piuttosto irritato e Sophie comprese che doveva essere mezzo ubriaco. Era pomeriggio, santo cielo. Non poteva già essere bevuto fino al midollo.
Sophie si chiese come avesse fatto a riconoscerla così in fretta.
Lui le si avvicinò ancora di più. Sophie sentiva chiaramente puzza di alcool.
Non disse niente e si limitò a fissarlo, cercando di apparire in qualche modo calma.
«Ti ho chiesto che cosa ci fai qui, brutta puttana di merda!» le urlò in faccia.
«Io mi chiedo cosa ci faccia tu, qui!» sbottò Sophie, esasperata.
George le tirò un ceffone in pieno volto. Sophie sentiva l’impronta lasciata dalla sua mano pulsare.
«Passavo di qui. Così Eddie ti ha presa a vivere con lui. Si vede che vuole scoparti sempre e quando vuole.»
Sophie a quel punto tremava. George era ubriaco, anche se non aveva perso del tutto il lume della ragione.
George prese Sophie per un braccio, tirandola in piedi nonostante lei avesse fatto di tutto per rimanere incollata alla sedia.
«Adesso tu vieni con me, sgualdrina del cazzo.»
George se la trascinò dietro, incurante delle sue proteste, dei suoi strattoni e delle sue grida.
La ragazza urlava, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno. Eddie però non aveva vicini, la sua casa era immersa nel nulla della periferia di New York.
 Sophie aveva lasciato la porta di casa socchiusa e così per lui semplice entrare e chiudersi definitivamente la porta alle spalle.
Sophie si attaccò con la mano alla maniglia della porta, cercando di divincolarsi. George la strattonò con violenza.
«Smettila, se non vuoi che ti spezzi il braccio. Sarebbe un peccato, fai dei pompini così belli.»
Sophie pianse mentre lui la portava in camera da letto. George sollevò la ragazza e la gettò violentemente sul letto.  Sophie fece in tempo a percepire il dolore al braccio sul quale era atterrata prima di rendersi conto che lui lo stava facendo davvero.
«Non puoi farlo!» gli urlò, mentre le lacrime le inondavano le guance.
George non si degnò nemmeno di risponderle e si calò i jeans. Sophie cercò di spostarsi mentre lui faceva questo, ma George se ne accorse e le fu subito sopra. Sophie iniziò a tremare inconsapevolmente.
«Dimmi cosa cazzo di fai a casa di Eddie.»
«Sono la sua ragazza.»pianse lei, convinta che magari ottenere una risposta, una qualsiasi risposta, lo avrebbe fatto calmare appena un po’, almeno per fargli riflettere su quello che stava facendo.
Lui avvicinò il suo viso a quello di Sophie.
«Tu non sei la ragazza di Eddie, tu non sarai mai la ragazza di qualcuno. Tu sei una puttana. Hai capito?»
Sophie sentiva il suo alito puzzolente sul viso. «Ho capito.» sussurrò poi.
Il suo istinto le diceva di ribellarsi, di picchiarlo, di non lasciarsi vincere così. Ma la parte razionale di lei sapeva che era troppo debole per un uomo grande e grosso come lui, che qualsiasi suo movimento sarebbe stato totalmente inutile e avrebbe ottenuto solo l’effetto negativo di farlo innervosire ancora di più.
«Brava la mia troia.» disse lui.
Senza che riuscisse a rendersene conto, Sophie si ritrovò completamente nuda, sotto al peso non indifferente di George, che le baciava senza ritegno i seni. Sentiva la saliva di lui su tutto il petto, sul ventre, sul collo e sul viso, mentre le sue labbra divoravano ogni parte del suo corpo freneticamente.
«Ti prego.» lo implorò.
Come se la sua richiesta l’avesse ispirato, George iniziò la sua monta.
 
Sophie in un certo senso era abituata a questo genere di cose e per questo non fu un’esperienza così traumatica. Le doleva ogni singola parte del suo corpo, in particolare là sotto. George aveva continuato per quello che le era sembrato un tempo infinito, prima di uscire definitivamente da dentro di lei, soddisfatto.
Ora si stava rivestendo e Sophie stava facendo di tutto per non piangere. Dopotutto, le era andata piuttosto bene, non sanguinava nemmeno.
«Aspetta solo che lo venga a sapere Eddie.» sibilò la ragazza, quando vide che George la fissava ancora con desiderio.
Lui scoppiò in una sonora risata. «Eddie. Quel mingherlino. Cosa credi che possa farmi?»
Sophie non rispose. In effetti, non credeva che Eddie fosse in buoni rapporti con le autorità per poter esporre un qualsiasi tipo di denuncia.
«E ringrazia, sgualdrina. Sarei potuto durare molto di più, ma mi facevi una pena immensa lì sotto.» disse George, sghignazzando.
«Vattene fuori.»
«Certo, puttana. Ma stai sicura, ci rivedremo.»
Detto questo, George lasciò la stanza. Sophie sentì la porta chiudersi, andò alla finestra e lo vide lasciare il giardino.
Si massaggiò la base dolorante della schiena e si lasciò andare al pianto, mentre con mani tremanti cercava di rivestirsi. Abbandonò quel tentativo e lasciò gli abiti in terra e capì che forse era il caso di farsi una doccia, o, possibilmente, un bagno.
Sapeva che nel bagno su quel piano c’era solo la doccia, ma era consapevole del fatto che probabilmente al piano di sopra poteva esserci una vasca da bagno.
Così cercò le scale e le salì. Il piano di sopra era molto più buio, ogni finestra era chiusa e Sophie aveva paura che da ogni angolo potesse sbucare un George ubriaco assetato di sesso.
Il cuore le batteva forte mentre cercava la luce a tastoni, iniziava a credere che non l’avrebbe mai trovata, quando la sua mano si posò sull’interruttore. Senza rendersene conto, aveva iniziato inspiegabilmente a sudare. Il dolore là sotto iniziava a farsi ora più forte.
Accese la luce. Le si parò davanti un lungo corridoio, che terminava con un muro nel quale era appeso uno specchio. Sophie vide sé stessa, la fronte imperlata di sudore, le gote rosse ed i capelli scompigliati, il corpo nudo, la pelle arrossata in alcune zone dove George aveva fatto troppa pressione. Si ritrovò a piangere, sentiva il bisogno di chiamare Eddie e di riferirgli tutto. Sapeva che non era il caso, gli avrebbe solo reso più difficile il mantenere la calma in una situazione già piuttosto impegnativa da quel punto di vista.
Aprì tutte le porte, il bagno era nell’ultima stanza. Sì, c’era una vasca. Sophie aprì l’acqua e si sedette all’interno della vasca da bagno. Aspettò che l’acqua arrivasse quasi fino all’orlo e poi si distese come meglio poteva, cercando di ritrovare una specie di equilibrio interiore.
Se in un primo momento lo stupro da parte di George non le era sembrato poi così pesante, ora iniziava a sentirne le conseguenze. I muscoli le dolevano, e la parte del corpo violata le faceva male seriamente.
Quando faceva la prostituta, fino a poco tempo prima, i rapporti erano almeno un po’ più consensuali e soprattutto duravano molto meno.
Decise sul da farsi. Prima di tutto sarebbe uscita, accertandosi che George non fosse nei paraggi, e velocemente avrebbe recuperato il suo libro. Avrebbe chiuso tutte le finestre del pianoterra, e per sicurezza anche quelle del primo piano. La porta sarebbe stata chiusa a chiave. Non sarebbe più uscita di casa.
Non voleva che quel lurido pazzo mettesse le mani su di lei un’altra volta.
E sicuramente non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Eddie guardava disgustato il suo vicino.
Era un uomo di mezz’età, calvo. I pochi capelli rimasti gli pendevano al lato della testa ed erano grigi come la cenere. La pancia gli straripava oltre la cintura. Eddie si chiese se quell’uomo fosse in grado di toccarsi i piedi con le mani. Aveva un doppio mento da far paura, coperto da barba ispida e poco curata. Portava due occhiali minuscoli, soprattutto se confrontati con il faccione enorme sul quale stavano.
All’andata si era trovato di fianco ad una bella biondina, ora invece gli capitava questo qua.
La biondina era molto simpatica e ci aveva provato spudoratamente. Eddie aveva colto l’occasione per una sveltina nel bagno dell’aereo. Sophie non ci sarebbe rimasta male se lo fosse venuta a sapere, no? Oltre al fatto che di questa biondina non sapeva nemmeno il nome, non l’avrebbe più rivista.
Ora invece non c’erano ragazze carine con cui provarci, ma in tutti i casi non avrebbe potuto concedersi nulla. Aveva un paio di sacchetti colmi di zucchero (non di farina come aveva immaginato) sotto le ascelle e non era il caso di farlo notare a qualche bella ragazza.
Scostò lo sguardo da quel grasso omone e si guardò intorno.
Il suo amico con la cocaina era qualche sedile più avanti di lui e fingeva di dormire beato.
Fino a quel momento era andato tutto bene e mancava circa una mezz’oretta all’atterraggio.
Eddie stava iniziando a credere che sarebbe andato tutto bene quando si accorse che una delle hostess lo stava fissando. Lui le sorrise. La ragazza arrossì e si voltò da un’altra parte.
Mah, che avesse riconosciuto il suo viso? Dopotutto la polizia aveva sospetti su di lui, magari aveva fatto girare delle foto accompagnate dal nome o cose così.
In tutti i casi non doveva preoccuparsi di nulla, per quel che ne sapeva trasportare zucchero non era illegale. Se ne sarebbe potuto tranquillamente disfare nel bagno dell’aereo prima di atterrare. Doveva preoccuparsi del suo compare, piuttosto, ma nessuno sembrava aver posato gli occhi su di lui.
Nonostante si fosse occupato di poche faccende simili in passato, il suo compare sembrava essere rilassato quasi quanto Eddie, che di esperienza alle spalle ne aveva molta.
Eddie distolse lo sguardo dalla hostess e lo abbassò sulla sua coscia, per poi tornare a fissare nella direzione di quella ragazza con la coda dell’occhio. Vide che lo stava fissando, di nuovo.
“Che minchia vuoi?” pensò spontaneamente Eddie.
Eddie chiamò la hostess in questione e, sorridendo, le chiese se poteva portargli un bicchiere d’acqua.
A questo punto, la ragazza smise definitivamente di fissarlo. Signorina Smith, si chiamava. Probabilmente l’aveva solo visto come un ragazzo dai bei occhi, si disse Eddie. Lo pensavano tutte, dopotutto. 
Eddie bevve l’acqua a piccoli sorsi.
Poco dopo, si accese la lucina che indicava l’obbligo di allacciare le cinture di sicurezza. Eddie eseguì e, dopo che le hostess furono passate a controllare se tutto era in ordine, l’aereo iniziò la procedura di atterraggio.
 
 
L’aereo stava per toccare terra, quando il vicino di Eddie lo chiamò.
«Che bella camicia che hai.» disse.
Eddie ebbe paura. Tuttavia rispose in maniera rilassata, come al solito.
«Carina, vero? L’ho comprata a Città del Messico.»
Eddie indossava una delle tipiche camicie larghe che aveva il compito di nascondere i sacchetti fissati alle sue ascelle con del nastro adesivo. La camicia era gialla con delle palme verdi.  Piuttosto anonima fra turisti, il problema era che era inverno e forse era un po’ sospetto rientrare a New York con quel tipo di vestito, ma non importava. C’era molta gente stramba al mondo.
L’uomo sembrò convinto, ma uscì in tutta fretta dall’aereo quando fu atterrato. Eddie lo vide dirigersi verso la cabina del pilota.
“Cristo, ora chiameranno gli sbirri” pensò Eddie.
Si alzò e si avvicinò al suo compare, facendogli un cenno con la mano che significava “scendi il prima possibile ad allontanati subito dall’aeroporto”. L’uomo non diede segni di aver capito, aspettò che Eddie si allontanasse, diretto verso il bagno, e uscì immediatamente dall’aereo, mentre le altre persone stavano ancora sistemando i loro cappotti o i bagagli a mano. Il compare di Eddie sparì prima che la polizia, allertata dal vicino di Eddie, arrivasse.
Eddie aprì la porta del bagno, vi s’introdusse e si chiuse immediatamente a chiave. Era consapevole di avere pochissimo tempo prima che arrivassero gli sbirri. L’essere beccato con due sacchetti di zucchero sotto le ascelle non era un reato, ma avrebbero potuto interrogarlo in merito ad essi. Era ovvio che se lo zucchero era lì un motivo doveva esserci, e l’avrebbero scoperto. Eddie era consapevole di essere un tossico e dopo qualche giorno di astinenza qualsiasi persona come lui avrebbe ceduto. Lo sapevano tutti, anche la polizia. Soprattutto la polizia.
Nonostante fosse preoccupato, pensava in modo coerente e razionale. Dopotutto era per quello che George l’aveva scelto.
Fortunatamente la quantità di nastro adesivo presente sul suo corpo non era tanta come quella del suo compare, che trasportava la coca. Eddie sapeva (per esperienza personale) che, quando si portava la roba, si era praticamente fasciati di nastro adesivo e che era quasi impossibile cavarselo tutto di dosso. Invece il suo amato zucchero, oltre che essere in quantità molto esigue (lo stretto necessario per far notare i rigonfiamenti se il suo compare si fosse trovato in difficoltà), non aveva bisogno di tutto quel nastro per rimanere attaccato.
Eddie si tolse velocemente la camicia, si strappò il poco nastro adesivo di dosso lasciando sulla pelle delle strisce rosse d’irritazione, lo appallottolò, lo avvolse nella carta igienica e lo sbatté nel cestino.
Strappò l’involucro dei sacchettini di zucchero e ne riversò il contenuto nel water. Il contenuto di ogni sacchettino era veramente minimo, giusto la quantità per una tazzina di caffè.
Si massaggiò leggermente la pelle irritata. Non gli era mai capitato di doversi togliere il nastro adesivo di dosso e non sapeva proprio cosa fosse giusto fare. Così si rinfilò la camicia e tornò al suo posto a sedere per recuperare il suo bagaglio a mano, che costituiva anche la sua valigia. Scese dall’aereo e vide che i poliziotti erano già lì. Lui li guardò un attimo, incuriosito, come a chiedersi perché fossero lì. Poi fece per dirigersi verso l’uscita. Dopotutto, cosa avrebbe fatto un normale turista di ritorno dal Messico?
Ovviamente, fu subito fermato dagli agenti.
«Lei è  Edward Bukater?» chiesero.
Eddie,  con un’espressione sorpresa e cortese dipinta sul viso, rispose: «Sì, sono io, cosa desidera?»
«Venga con noi.»
 
Eddie era seduto su una sedia che si trovava nel centro della stanza. Di fronte aveva gli uomini che lo avevano fermato appena sceso dall’aeroporto. A questo punto, era sicuro che il suo amico fosse arrivato a destinazione sano e salvo. La sua unica preoccupazione era che, quando si sarebbe accorto che non arrivava, il suo compare lo avrebbe riferito a George e che a quel punto George credesse che lui fosse un traditore o una spia della polizia. Ma era lì dentro da solo un’ora. George sapeva benissimo che in un’ora Eddie non avrebbe cantato.
Eddie era in mutande e gli avevano infilato le mani su per il culo un certo numero di volte, ma i risultati, ovviamente, erano stati negativi. Tuttavia continuavano a girargli intorno, come se aspettassero che Eddie si tradisse da solo. In verità, Eddie aveva una gran voglia di grattarsi, ma sapeva di non doverlo fare. Sarebbe stato un segno della crisi d’astinenza e a quel punto avrebbero avuto una scusa per obbligarlo a fare un’analisi del sangue e allora sarebbe stato fottuto veramente.
«Allora, volete mettermi le vostre dita su per il culo un’altra volta?» chiese Eddie, esasperato.
Stava iniziando ad irritarsi davvero. Loro sapevano benissimo di non poterlo incastrare quella volta.
Gli agenti non risposero e continuarono a squadrarlo.
«Perfetto allora. Per quanto mi faccia piacere restare qui, la mia ragazza mi sta aspettando a casa.» fece Eddie, alzandosi.
«Perché hai queste strisce rosse sulla pelle?» chiese ad un certo punto quello che sembrava essere il capo del gruppetto. Era un uomo alto con una leggera pancia da bevitore di birra.
Eddie sospirò. «La mia pelle si irrita facilmente. In Messico mi sono preso una specie d’infezione che mi ha provocato delle pustole sulla pelle. Facevano molto prurito e mi grattavo spesso. Ora sono sparite per fortuna, ma la pelle deve essere rimasta irritata.»
Eddie si stupiva ogni volta della sua capacità di inventarsi scuse credibili e molto semplici in poco tempo.
Aveva avuto a che fare con la polizia altre volte, anche se mai per via della droga.  In quel momento si stava divertendo considerevolmente nel vedere la loro impossibilità di incastrarlo, anche se tutti sapevano che Eddie faceva parte del giro della roba.
«Sentite, non ho tempo da perdere con voi. Come vi ho già detto, c’è la mia ragazza che mi vuole fare un pompino e preferisco di gran lunga quello alle vostre dita su per il culo. Perciò … »
Eddie andò a prendere la sua camicia con le palme e se la rinfilò.
«Fidati se ti dico che ci rivedremo, Eddie.»  gli sibilò un agente.
«Certo, non vedo l’ora! Se dovesse venirvi in mente altro da dirmi, o se magari volete uscire con me a bere qualcosa, richiamatemi appena sarete più sereni.»
 
Eddie raggiunse velocemente il luogo dell’incontro con il suo compagno d’avventura e si fece dare la roba, lo pagò, inventando una scusa per giustificare il suo ritardo. Non era il caso che George e gli altri venissero a sapere che era andato a far visita alla polizia, avrebbero potuto dubitare di lui e in quel caso sarebbe finito fuori dal giro.
Raggiunse in taxi la casa di George e suonò. George gli diede il tiro ed Eddie salì le scale, velocemente. Voleva tornare a casa da Sophie in fretta.
«Come mai così tardi, Eddie?» chiese George, dopo che lui gli ebbe consegnato la coca.
«Traffico.» snocciolò lui. Le vedute di George erano troppo ristrette perché l’idea che Eddie fosse stato fermato sfiorasse la sua mente.
Difatti, si bevve la scusa.
«Ottimo lavoro. Non dovrai lavorare per un bel po’, credo, ho trovato altri uomini in grado di farlo. Prenditi una vacanza.»
«Va bene. Ora torno a casa.»
«Divertiti.» disse George ridendo.
Eddie uscì di casa.
Che cosa intendeva esattamente dire con quel “divertiti”? Era così fuori luogo.
 
Eddie attraversò il vialetto quasi correndo. Voleva vedere come stava Sophie, voleva prenderla fra le braccia e dirle che ce l’aveva fatta e che avrebbe cercato di non tornare più via in quel modo.
Tuttavia quello che aveva detto George aveva lasciato in lui un’ombra. Era preoccupato.
Arrivò alla porta, infilò la chiave nella toppa e la girò. La serratura scattò e la porta si aprì.
Mentre Eddie saliva le scale, Sophie gli corse in contro e gli saltò addosso, abbracciandolo. Eddie fu investito dall’odore di bagnoschiuma che emanavano i suoi riccioli e da quello di vaniglia del suo corpo.
Sophie gli buttò le braccia al collo e posò le sue labbra morbide su quelle di Eddie. Si baciarono a lungo.
«Finalmente sei tornato.» sussurrò lei.
«Pensavo di salire di sopra. Sai com’è, se mi saltassi addosso di nuovo in quel modo non è detto che io non voli giù per le scale.»
Lei ridacchiò. «Giusto.»
Eddie e Sophie salirono le scale e andarono a sedersi in cucina.
«Allora?» chiese Sophie.
Eddie riferì l’accaduto nei minimi dettagli, escludendo la biondina. Non gli sembrava proprio il caso di raccontarglielo, non l’avrebbe mai scoperto ed era inutile rischiare di turbarla con un particolare così piccolo.
Sophie sorrise. «Per fortuna non avevi tu la roba.»
«Già, per fortuna. E tu? Com’è andata?»
Sophie esitò. Tamburellò con le dita sul tavolo, nervosamente. Non sapeva come dirglielo.
«Allora?» chiese Eddie, con tono incalzante, che tuttavia non nascondeva la preoccupazione.
Prima George che formulava quella frase, come se sapesse già che Sophie era lì a casa sua.
E poi lei, che inspiegabilmente taceva. Qualcosa doveva essere successo per forza.
«Mi ha stuprata. George.» sussurrò lei, abbassando gli occhi.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Eddie posò la mano sul tavolo e fissò Sophie. Non sapeva come comportarsi. Da un lato avrebbe voluto iniziare a tirare madonne a destra e a manca mentre tirava pugni ogni dove. Quel bastardo figlio di puttana non poteva aver fatto questo alla sua Sophie. Dall’altro lato, però, sapeva di doversi controllare. Una reazione irata non era quello di cui Sophie aveva bisogno in quel momento. Però gli era così impossibile rimanere calmo. George. Sophie. Fottuto bastardo.
Eddie si alzò e si avviò verso l’uscio.
«No Eddie ti prego non andare a picchiarlo, ti farebbe solo del male.» cercò di fermarlo Sophie, alzandosi a sua volta.
Eddie vide la preoccupazione sul suo volto e fu per questo che arrestò la sua camminata.
«Cosa dovrei fare allora?» sbottò Eddie, esasperato.
Sicuramente non sarebbe riuscito a non picchiare George quando l’avrebbe rivisto.
«Rifletti, Eddie. Peserai minimo … trenta chili meno di lui, cosa pensi di fargli?»
«Posso picchiarlo benissimo anche se peso trenta chili in meno.»
Sophie roteò gli occhi.
«Perché non vuoi che vada a menarlo, scusami?» chiese Eddie, con aria interrogativa.
«Perché finiresti dalla parte del torto anche tu.»
«Non me ne frega un cazzo. Non può comunque rivolgersi alle autorità. È un drogato, cristo santo. Ne avrebbe più beghe che guadagno. E lo stesso vale per me.»
«Lo so.» sussurrò Sophie.
Eddie tacque. Dopo un po’ si sedette e la prese in braccio a lui, circondandola con le braccia.
«Mi dispiace se prima mi sono arrabbiato così. È che non riesco a sopportare che qualcuno ti faccia del male.» le sussurrò all’orecchio, prima di scoccarle un bacio sulla tempia.
Sophie si sforzò di sorridere. 
«Quand’è stato?» chiese poi Eddie, il tono della voce ritornato serio.
«Il giorno che sei partito.»
«E perché non me l’hai detto subito?» chiese Eddie, senza riuscire a nascondere l’irritazione.
Sophie ebbe un tuffo al cuore.
«Perché non volevo che ti agitassi. Dovevi mantenere la calma.» rispose Sophie, con voce tremante. Quella che a lei era sembrata una decisione scontata, ad Eddie doveva essere parso come il solito errore.
Sophie sentì Eddie scuotere la testa.
«Cosa pensi di fare ora?» le chiese poi.
Sophie si voltò a fissarlo. In realtà non aveva proprio pensato a nulla. Aveva sempre creduto che Eddie avesse una soluzione pronta per qualsiasi problema, mentre invece non era affatto così.
«Devi prendere delle decisioni. È successo a te, non a me.» disse Eddie, con tono ragionevole.
«Non so. Mi servirebbe un po’ di tempo per pensarci.»
Sophie sentì i muscoli di Eddie irrigidirsi. «Mentre tu pensi, posso andare a tirargli un pugno in bocca? Ti prego.»
Sophie sospirò. «Dai, Eddie.»
«Prima o poi dovrò andarci da lui. Giusto per dirgli che non me ne frega più un cazzo di stare nel suo giro.»
Sophie lo fissò, inarcando le sopracciglia.
«Troverò qualcun altro con cui farmi.» spiegò lui.
«Per un attimo ho creduto che volessi tipo … disintossicarti.»
Eddie tacque. «A te piacerebbe se lo facessi?»
Sophie alzò le spalle. «Chiaro, ma dipende da cosa vuoi tu.»
«Va beh, questa è un’altra cosa. Quando avrai deciso qualcosa, fammi sapere.»
Lui si alzò, prendendola in braccio e poi posandola in terra, come si fa con i bambini piccoli. Sophie lo fissò.
«Dove vai?» chiese poi.
«Vado a dire a George che non voglio più far parte del giro, no?»
Sophie annuì, ma non gli credeva. Sapeva che non c’era assolutamente bisogno di dire a George che Eddie non avrebbe fatto più parte del giro, George lo avrebbe dedotto da solo.
Fissò Eddie attraversare la stanza a grandi passi e udì il rumore delle sue scarpe sul il pavimento mentre scendeva le scale velocemente.
Si sedette sul letto. Chi avrebbe potuto aiutarla ora?
 
Eddie guidò velocemente, superando di molto il limite di velocità. Nonostante andasse a ritmo sostenuto, ci mise molto a raggiungere casa di George. Come al solito, le strade di New York erano trafficate.
Si ritrovò a tirare accidenti contro qualsiasi macchina gli passasse davanti o lo costringesse a premere il piede sul pedale del freno. Aveva i nervi alle stelle. Per calmarsi si accese una sigaretta.
Pensò a Sophie: come poteva essere così dannatamente calma e ragionevole? Lui, Eddie, se fosse stato in lei, sarebbe morto dalla voglia di suonargliele. Quella voglia in verità ce l’aveva lo stesso, anche se non era stato lui a subire la violenza. Non direttamente, almeno. Quando Sophie gliel’aveva detto si era sentito come pugnalato. Non sapeva esattamente dove, se al cuore o all’orgoglio o nell’anima, sapeva che si era sentito pugnalato e basta. Aveva sempre pensato che George fosse un po’ fuori, ma non fino a quel punto. Va bene, forse George si era incazzato quando aveva realizzato che Sophie era a casa sua perché stavano insieme, dopotutto anche a lui lei piaceva, per certi versi, ma stuprarla non era esattamente il modo migliore per dimostrarle il suo amore. Eddie spense la sigaretta. Probabilmente George lo aveva fatto solo perché sapeva che lui si sarebbe incazzato.
Eddie parcheggiò l’auto al bordo del marciapiede. Percorse i metri che lo separavano dalla casa malmessa di George a piedi; avrebbe sicuramente fatto prima che in macchina. Il traffico era veramente intenso.
Suonò a casa di George, il quale gli aprì la porta. Eddie si ritrovò di fronte a lui.
Si disse che avrebbe dovuto mantenere la calma, evitare di picchiarlo lì sulla porta dove tutti potevano vedere. Che non era proprio il caso.
George sorrise, beffardo. «Ciao Eddie. Come sta Sophie?»
Nonostante tutti i suoi buoni propositi, Eddie non riuscì a trattenersi. Gli tirò un pugno in bocca, prima che George potesse anche solo realizzare che Eddie lo stava menando. Sentì chiaramente l’impatto delle sue nocche con i denti di George. Sentì il sangue scendere dalla gengiva e sporcargli la mano. Il che fu un piacere immenso. Fece in tempo a percepire tutto ciò che sentì il sapore metallico, questa volta del suo sangue, in bocca.
«Stronzo figlio di puttana, hai fatto del male alla mia ragazza!» disse Eddie, digrignando i denti per poi colpire di nuovo George.
«E tu mi hai fottuto la troia, coglione!»
Andarono avanti così per un bel po’ di tempo. Fu molto peggio della volta precedente. Dopo un po’ la loro rissa si spostò all’interno della casa di George, giusto per non attirare l’attenzione.
Alla fine, Eddie atterrò George, gli tirò altri due pugni e poi gli sputò in faccia.
«Fai schifo.» gli disse poi, alzandosi.
«Vaffanculo, Eddie. Tu e Sophie. Andatevene a fare in culo.»disse George, ancora accasciato sul pavimento.
Non era mai stato pestato per benino e la cosa lo irritava. Soprattutto se a dargliele era stato Eddie, quello senza muscoli, quello tutto pelle e ossa.
«Certo, amico. Baciami il culo e vai al diavolo.» gli augurò Eddie.
 
 Sophie passò la mano fra i capelli di Eddie.
«Guarda cosa ti sei fatto in faccia.» disse poi, con tono dispiaciuto.
Eddie scrollò le spalle. «Questo e altro. Ora l’ho conciato per le feste, credo.»
Ora Eddie si sentiva un po’ meglio, ma non più di tanto. Era soddisfatto per aver dato la paga a George in un certo senso, ma Sophie doveva aver sofferto molto di più.
Sophie gli spettinò i capelli e gli sorrise.
«Che gentiluomo.»
«Già. Tu, piuttosto. Hai combinato altro mentre io ero in Messico?»
«No, oltre leggere le prime trecento pagine di quel libro infernale. Dopo diventa più bello, però.»
«Brava. Andrà a finire che dovrò iscriverti all’Università per fare psichiatria.»
Sophie sorrise. «Ah, ho anche parlato con tua sorella una volta.»
«Susie?»
«Lei.»
Eddie annuì.
«Ho pensato ad una cosa.» disse Sophie, dopo qualche minuto di silenzio.
Eddie la fissò, con uno sguardo incalzante. Dentro di sé si chiedeva cosa mai avesse pensato Sophie. Aveva sempre delle idee balzane, come scegliere Freud come prima lettura, per esempio.
«Beh, non sono sicura che sia una buona idea … »
«Se ti muovessi a dirlo potresti scoprirlo.»sbuffò lui. Non sopportava i giri di parole.
«Magari potremmo tornare dai miei genitori. Potrebbero capire.» azzardò Sophie.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Eddie non sapeva proprio come dire a Sophie che secondo lui quella era un’idea a dir poco di merda.
«Ci ripensiamo domani, ti va?»
Eddie non era più arrabbiato quanto prima, dopo aver picchiato George parte della rabbia era sfumata ed ora sapeva che doveva mantenere la calma e riflettere con Sophie per trovare la soluzione giusta al problema; una soluzione che sarebbe dovuta andar bene a lei, in primo luogo.
Sophie lo fissò, annuì e disse: «Lo so che non è una grande idea, ma non ho altro in mente.»
Eddie si alzò. «Vado a sistemarmi un po’ la faccia. Che ne dici di andare fuori a cena stasera?»
Gli sembrava giusto invitarla fuori, una cosa da fare, un altro modo per farle piacere. Ad Eddie piaceva renderla felice, lo faceva star bene a sua volta.
Il volto di Sophie si illuminò, i suoi occhi scintillarono. Nessuno l’aveva mai invitata fuori a cena prima di allora.
«Certo!» accettò poi.
Eddie sorrise. «Non stare a metterti troppo in ghingheri, però. Ti porto a mangiare una pizza e basta.»
Sophie rise.  « Ti serve una mano per la faccia?» chiese poi.
«Eh? No, faccio da solo. Sono abituato a questo genere di cose. Da ragazzi io e i miei amici ci pestavamo sempre.»  spiegò lui.
Sophie sorrise.  «Allora fai tu.»
Eddie andò in bagno e Sophie fissò i suoi vestiti posati sul fondo del letto. Beh, sicuramente non aveva l’imbarazzo della scelta, visto che erano tutte magliette, felpe e jeans che ai suoi occhi apparivano uguali. Difatti, scelse casualmente dei vestiti dal mucchio e li indossò. Eddie uscì dal bagno qualche minuto dopo: la sua faccia aveva un aspetto migliore, a giudizio di Sophie, ma comunque ogni ferita era chiaramente visibile.
«Sei già pronta? Incredibile. Non me lo aspettavo proprio da una ragazza.» commentò lui, quando vide Sophie pronta per uscire con la borsa in mano.
Lei scrollò le spalle. «Non sto a truccarmi per ore davanti ad uno specchio quando devo uscire con te.»
«Perché?» chiese Eddie, ridacchiando.
«Mi scoccia. E poi mi vedi così tutti i giorni, cosa servirebbe truccarmi? Boh.»
«Hai una filosofia che mi piace. Ora andiamo, su.»
Eddie prese Sophie per mano e uscirono di casa, diretti verso l’auto di Eddie.
«Signorina.» disse Eddie, aprendole la portiera.
Sophie scoppiò a ridere e salì in macchina. Eddie chiuse la portiera e salì velocemente dall’altra parte.
«Metti un po’ di musica?» chiese Sophie.
Eddie accese la radio su una stazione casuale che non trasmetteva musica bensì pubblicità.
«Non hai qualche cd?» chiese la ragazza, irritata.
«Forse, guarda lì sotto. C’è della roba di mia sorella ma fa piuttosto cagare. Cioè, c’è qualche cd che piace anche a me, ma per la maggior parte è merda.» disse Eddie.
Sophie guardò nel punto che Eddie prima aveva indicato. Era uno scomparto dell’auto dedicato ai cd. Non sapendo nulla di musica, ne prese fuori uno casuale e lo inserì ne lettore.
«Ecco, hai preso una di quelle merde psichedeliche.» si lamentò Eddie, dopo aver sentito l’attacco della prima canzone.
«Zitto. Voglio ascoltare.»
Eddie tacque.  «Ti piace?» chiese poi.
«Abbastanza, sì.»
«Merda.» commentò lui, sinceramente stupito.
 Anche se quella musica non gli era mai piaciuta, avrebbe comprato l’intera discografia di quel gruppo dal nome strano se a Sophie piaceva.
Eddie parcheggiò l’auto nel parcheggio di un ristorante dove in passato si recava con il gruppo dei suoi amici, prima che esso si riducesse al gruppo di George almeno.
Sophie spense la radio e tirò fuori il cd, che ripose al suo posto.
«Muoviti, stai anche a mettere a posto?» chiese Eddie, ridendo.
Sophie scese velocemente dall’auto e si avvicinò ad Eddie.
«Ti ho già detto che mi sei mancata un sacco mentre ero via?» chiese Eddie, mentre entravano nel ristorante.
Sophie arrossì. «Anche tu mi sei mancato.»
Ordinarono due pizze.
«Non te l’ho ancora chiesto: io e te stiamo insieme?» chiese Sophie, dopo aver finito di mangiare.
«Beh, sì. Se a te va bene.» rispose Eddie, sfoderando un sorriso.
 
Stavano tornando a casa in macchina. Sophie aveva la pancia piena, e lo stesso si poteva dire di Eddie. La ragazza moriva dalla voglia di rimettere su il cd di prima, le era piaciuto davvero tanto, anche se Eddie l’aveva definito schifoso, ma ora ne stavano ascoltando uno di quelli che Eddie trovava “buoni”: a Sophie piaceva anche questo, nonostante fosse molto diverso dal precedente. Le sembrava rock, il cantante aveva una voce molto particolare, sicuramente l’avrebbe riconosciuto subito se avesse risentito quel gruppo da qualche parte.
Arrivarono a casa e Sophie buttò la borsa sulla poltrona, le dava veramente fastidio tenerla addosso, la tracolla le segava la pelle all’altezza della clavicola.
Eddie si sdraiò sul letto e portò le mani dietro alla testa. Sophie lo raggiunse e lo baciò dolcemente.
«Ti amo.» gli sussurrò poi.
«Anche io ti amo.» disse lui, prendendola fra le braccia, attirandola a sé e baciandola di nuovo.
«Lo fai l’amore con me?» chiese poi Sophie, guardandolo negli occhi.
Eddie aveva aspettato per un bel po’ quel momento, ed ora che finalmente era arrivato, si sentì realizzato. Non vedeva l’ora di ritornare a posare le labbra sulle curve morbide del corpo di lei.
Non le rispose direttamente, ma riprese a baciarla, allungandosi sopra di lei e sollevandole la maglietta fino a sfilargliela. Le slacciò il reggiseno e le baciò il collo.
Sophie sentì la mano di lui chiudersi sul suo seno destro e soffermarsi sul capezzolo. Poco dopo le sue mani furono sostituite dalle sue labbra.
Sophie nel frattempo gli tolse i jeans, i boxer e dopo, interrompendo per qualche secondo i suoi baci, la felpa, sotto la quale non aveva niente.
Eddie le tolse i jeans e le mutandine, facendole scorrere lungo i suoi fianchi magri.
«Eddie?» disse Sophie.
«Sì?»
«Fa che sia bello.»
 
Eddie giaceva stanco e appagato con Sophie tra le braccia, che già dormiva. Si era addormentata con un sorriso beato stampato sul viso. Eddie, in quel momento, si sentiva a dir poco perfetto. Andare a letto con lei era una cosa a dir poco meravigliosa, era anche meglio della siringa, e questo per un ragazzo come lui significava veramente molto.  Le accarezzò una guancia. Gli sembrava così incredibile che lei avesse voluto andare a letto con lui così presto. Fra le altre cose, era stata violentata qualche giorno prima. Eddie non poté fare a meno di chiedersi come potesse essere così calma. Lui, dal canto suo, era ancora piuttosto irritato con George e se lo avesse rivisto probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto tirargli qualche altro pugno, giusto per fargli capire che doveva restare al suo posto e che non avrebbe più dovuto toccare Sophie.
Eddie stampò un bacio sulla punta del naso di Sophie prima di spegnere la luce e addormentarsi.
 
Il mattino successivo, Eddie si svegliò prima di Sophie.
“Tanto per cambiare, dorme” pensò Eddie, sconsolato. Non credeva che Sophie sarebbe mai riuscita ad alzarsi prima di lui.
Andò a preparare delle uova per tutti e due. Gli sembrava così strano avere una ragazza di cui occuparsi e soprattutto gli era estranea la sensazione di tenere di più a lei che a se stesso.  Soprattutto perché nell’ultimo terzo dei suo ventuno anni aveva sempre pensato alle donne come oggetto con cui spassarsela e da dimenticare dopo.
Eddie stava controllando le uova in padella, quando sentì le braccia di Sophie stringerlo all’altezza dell’ombelico.
«Buongiorno.» la salutò.
Sophie gli diede un bacio sulla guancia, alzandosi sulla punta dei piedi per poter superare l’altezza delle spalle di Eddie.
«Mi sono divertita ieri sera.»gli sussurrò poi all’orecchio.
Eddie ridacchiò. «Me n’ero accorto.»
Mentre facevano colazione, sentirono suonare al campanello.
«Chi sarà mai a quest’ora del mattino?» chiese Sophie, con aria interrogativa.
Eddie scrollò le spalle e si alzò per andare ad aprire. Scese le scale, aprì l’uscio e chi si trovò davanti, se non il suo carissimo amico George?
«Andate a dire qualcosa a chiunque e tutti improvvisamente sapranno delle tue attività in Messico, Colombia e simili, Eddie. Mi dispiace, sei fottuto.» minacciò George.


Nota dell'autrice: finalmente ce l'hanno fatta quei due.
P.S: provate ad indovinare qual è il gruppo che a Sophie piace ma a Eddie no, ahah. Potete farcela, ci conto. <3

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


Eddie sbatté la porta in faccia a George, giusto per evitare di tirargli un pugno in faccia. Appoggiò la schiena alla porta, respirando lentamente, cercando di calmarsi. Eddie sentì i passi di Sophie affrettarsi verso le scale.
«Chi era?» chiese, preoccupata, sporgendosi dalla ringhiera.
Eddie non rispose, la mano ferma sul pomello della porta. Voleva uscire a dargliele, dargliele di nuovo.
 «George?» chiese Sophie.
Eddie annuì quasi impercettibilmente.
«Cos’ha detto?» chiese lei, scendendo più velocemente possibile. Era la prima volta che vedeva Eddie perdere  veramente la calma.
Vedendo che Eddie non rispondeva e continuava a stringere il pomolo della porta, le sue nocche diventate bianche, Sophie posò la mano su quella del ragazzo e l’altra gliela passò fra i capelli.
«Ha detto che se diciamo qualcosa di quello che ha fatto a te, lui andrà a dire di tutti i miei viaggetti.»
Sophie posò entrambe le mani sulle spalle di Eddie e spostò la testa all’indietro, osservando il ragazzo.
«Come?» chiese poi.
Eddie sospirò, ma non disse nulla. Quella di Sophie era una domanda retorica che, a suo parere, non aveva bisogno di una risposta.
«Cerca di calmarti un attimo, okay? Quando sarai più tranquillo rifletteremo. C’è sempre una soluzione a tutti i problemi.» disse lei, carezzandogli la guancia.
«Come cazzo fai ad essere così calma, Cristo?» sbottò Eddie.
«A cosa serve agitarsi?»
«No me ne frega un cazzo se non serve a niente! Quel figlio di puttana mi sta rovinando la vita.»
Sophie non si pronunciò. A suo parere, Eddie se l’era rovinata da solo l’esistenza, ma non le sembrava il caso di dirglielo in quel momento. Gli avrebbe comunicato la sua opinione in seguito. Prima o poi Eddie si sarebbe dovuto rendere conto che quello che succedeva era anche colpa sua. Era lui che aveva iniziato a drogarsi, e anche se gli altri l’avevano un po’ spinto a farlo, era stata principalmente una sua scelta. Sophie credeva che Eddie per sentirsi finalmente felice ed in pace con se stesso dovesse capire quello prima di tutto. A quel punto, risolti i problemi con se stesso, avrebbe potuto risolvere gli altri.
La ragazza si limitò a passargli nuovamente una mano fra i capelli, fissandolo con apprensione. Non riuscì ad evitare di guardarlo in quel modo, le sembrava un ragazzino. Sapeva che il sentimento era reciproco.
«Vado a farmi una doccia.» annunciò Eddie dopo un po’.
«Magari ti accompagno, così ti torna il buonumore.» propose lei.
Non riusciva a vederlo irritato già di primo mattino.
Eddie abbozzò un sorriso, prese Sophie per mano e la trascinò con sé in bagno.
 
 
 
Sophie stava seduta sul letto, con il suo libro appoggiato sulla coscia destra ed Eddie con la testa posata nel grembo di lei, il viso rivolto verso il suo ventre piatto.
«Stai leggendo?»mormorò Eddie, ora più tranquillo.
«Sì, perché?» rispose lei, distrattamente.
«Allora sarà più divertente disturbarti.» scherzò lui, sollevandole leggermente la maglietta e dandole un bacio sotto l’ombelico.
Sophie ridacchiò per il solletico dato dalle labbra di Eddie sulla sua pancia.
«Dai, Eddie. Piantala.»
«Non ti piacciono i miei baci?» replicò lui, fingendosi offeso.
Lei scosse la testa e alzò gli occhi al soffitto, poi ritornò al suo libro, ignorando apposta Eddie, che continuava a stuzzicarla facendole il solletico.
«Che palle che fai venire con i tuoi libri del cavolo.» borbottò lui, quando vide che lei non reagiva in alcun modo. Sophie continuò a rispondere, sforzandosi di non ridere.
Eddie sbuffò.
Sophie posò il libro sulle coperte di fianco a lei e si chinò a baciare Eddie.
«Sei contento ora?»
«No, ne voglio ancora e ancora e ancora.»
Sophie rise e gli scompigliò i capelli sulla testa. 
«Mi hai avuta tutta per te ieri sera e stamattina, poco tempo fa per giunta. Aspetta almeno che sia pomeriggio, no?»
Eddie rise e Sophie si unì a lui.
Sophie riprese a leggere il suo libro, mentre Eddie, sempre rimanendo sdraiato, si concentrò sui riccioli rosso scuro di Sophie.
«Cosa pensi di fare ora?» chiese Eddie, dopo circa un mezz’oretta di silenzio.
«Leggere.» rispose lei, senza nemmeno alzare gli occhi dal libro.
«Non intendevo quello.»
Lei fece una piega all’angolo della pagina, sospirò e appoggiò definitivamente il libro sul comodino.
«Non lo so.»
«Come non lo sai? O lo denunci o no, o è una o è l’altra, non c’è molta scelta.»
«O non lo denuncio, lui rimane impunito ma mi tengo il mio ragazzo, o lo denuncio, mi prendo la mia vendetta e lo faccio finire in galera insieme a te. Non mi sembra una scelta così facile come dici tu.»
«Io fossi in te lo manderei in galera.» disse Eddie.
«Certo, ha molto senso. Così probabilmente non potrei più vivere qui e tornerei a fare la puttana in strada. E poi, soprattutto, non vedrei più l’uomo che amo. Ma ti sembra?» sbottò Sophie.
«Va beh, ma quello là … »
«Non m’importa nulla di quello là rispetto a quanto mi importa di te!»
Eddie tacque. Era comprensibile che ci tenesse a lui, l’aveva salvata dalla strada in fondo, ma George l’aveva violentata, e lasciarlo impunito gli sembrava una scelta così ingenua. Dopo George avrebbe creduto di poter fare ciò che voleva e questo non sarebbe dovuto succedere. Se poi Sophie continuava a ragionare così, George effettivamente avrebbe avuto la più ampia libertà d’azione.
«Senti, Sophie … »
«È una scelta mia e io faccio come mi pare.»
«E se tornasse a violentarti? Cosa faresti? Sinceramente, mi sentirei molto più tranquillo se lui fosse dietro le sbarre.»
«Non tornerà. E comunque ci saresti tu a proteggermi, no?»
Eddie, guardando in quegli occhi ricolmi di fiducia non riuscì a dirle che i suoi viaggetti per la droga sarebbero aumentati ora che era solo e che sarebbero diventati sempre più pericolosi. Proprio non ce la faceva a pensare di disintossicarsi. Gli sarebbe piaciuto farlo per lei, ma sapeva che alla fine non ce l’avrebbe fatta. Doveva essere una scelta sua, una scelta che faceva per se stesso, non una scelta che faceva per qualcun altro. Vero che farlo per lei era quasi più importante che farlo per sé, ma Eddie non si sentiva ancora pronto per smettere di drogarsi.
«Potrebbe essere che certe volte io sia fuori casa, non posso stare sempre qui.»
Anche se non riusciva a dirle che voleva continuare a drogarsi, non riusciva nemmeno a pensare di mentirle. Così quello che le aveva detto era la verità, anche se lasciava a pensare che lui uscisse per cose di breve durata come andare a fare la spesa.
«Potrei sempre venire con te.» osservò lei.
«Esatto. Sì. Potresti venire con me.» mentì Eddie.
Eddie non l’avrebbe mai portata con sé in uno dei suoi viaggi per la roba, dopo ci sarebbe finita in mezzo anche lei e non era esattamente quello che lui voleva.
Sophie gli accarezzò un braccio. «Cosa c’è, Eddie?»
Eddie sapeva che lei se ne sarebbe accorta subito che c’era qualcosa che non andava.
«Tu speri che io smetta di farmi, vero?» chiese Eddie.
Sophie corrugò le sopracciglia. «Beh, sì, mi piacerebbe, ma se non vuoi puoi continuare. Anche se alla luce delle ultime cose che sono successe sarebbe utile che tu smettessi, sai com’è.»
«Sì, lo so. È che … Se ti dicessi che i miei giretti potrebbero aumentare, ti arrabbieresti?»
«Non … Non mi arrabbierei. Sarei soltanto preoccupata, credo.»
«Mi dispiace.» sussurrò Eddie.
Si sentiva veramente in colpa, era una ragazza che aveva sofferto molto e ora lui le dava altri motivi per star male solo per quella fottuta droga.
Sophie lo abbracciò, posando il mento sulla sua spalla.
«Mi avevi detto che avresti smesso.» sussurrò poi, lentamente.
Eddie non rispose. Sentiva la delusione chiara e fredda nella voce di lei e gli arrivava ancora più freddamente al cervello e alla coscienza e al cuore, si sentiva quasi morire in quel momento.
Droga. Era la droga che avrebbe finito per tenerlo lontano da lei? Probabilmente sì.
«Mi dispiace.» ripeté Eddie nuovamente, incapace di dire altro.
Perché gli dispiaceva veramente. Gli dispiaceva il fatto di essere troppo debole per esaudire quell’unico desiderio di Sophie, quello che lui smettesse di drogarsi e di spacciare. Un desiderio più che lecito.
Sophie strinse più forte Eddie a sé. Amava quell’uomo, era l’unica cosa che per lei contava davvero, l’unica base solida sui cui posava il suo universo, che fino a due mesi prima era costruito sulle delle incertezze.
Ma se per quell’uomo la droga era più importante di quanto lo era lei, che cosa sarebbe mai potuto succedere?
«Lo so che ti dispiace. Dispiace anche a me.» riuscì a dire la ragazza.
«Quindi non diremo nulla di George .» concluse Eddie.
«E se andassi io a denunciare? Senza di te o i miei genitori o chiunque altro? Insomma, si tratta di uno stupro, Cristo santo. Io non so niente di questa roba, ma credo che mi ascolterebbero lo stesso.»
«Credo che George capirebbe chi è stato a denunciarlo. Insomma, lo conoscevo bene ed anche se era sempre un po’ fatto o bevuto non era il tipo che andava a stuprare ragazze tutti i giorni. Se finirà in gattabuia, non ci finirà da solo. E comunque se vuoi andare da sola vacci. Ne hai tutti i diritti. Non pensare a me.»
«Allora non lo farò. Non so come spiegarti che non è il caso che tu finisca in galera in questo momento. Ti prego. Non puoi lasciarmi sola adesso. Lo sai.»
Eddie sospirò. «Va bene, come vuoi tu.»
Sophie cercò di sorridere, ma non ci riuscì molto bene.
«Questo pomeriggio voglio andare a comprare un cd di quel gruppo che piace a tua sorella.» annunciò Sophie, dopo qualche minuto di silenzio.
«Certo, va bene. Guarda come si chiamano perché non mi ricordo il nome.»
 
Sophie entrò a fianco di Eddie nel negozio di dischi, dove il riscaldamento era acceso, e si tolse subito la giacca. Fuori faceva veramente molto freddo, il cielo era grigio e quindi sembrava imminente un’altra nevicata.
Sophie trovò subito i dischi che cercava. Il problema era che c’erano così tanti album che non sapeva proprio quale prendere. Aveva controllato i titoli di quelli che Susan aveva già, ma erano un numero veramente basso rispetto a quelli che Sophie si trovava di fronte.
«Okay, Eddie, quale prendo?»
«Lo chiedi a me? Sei tu la grande fan.» scherzò lui.
Sophie fissò i dischi.
«Che ne dici di questo?» chiese poi, prendendo un disco e porgendolo ad Eddie.
Lui, che stava guardando dei dischi metal poco distanti, alzò lo sguardo.
Wish You Were Here.
«Può andare. Non ce l’ha Susie, no?»
«No.»
«Allora è perfetto. Ha l’aria un po’ deprimente, ma può andare.» disse Eddie, fissando la copertina e girandosi il disco fra le mani, leggendo i titoli delle tracce.
Sophie sorrise, pagarono il cd e poi uscirono dal negozio.
«Che freddo.» sussurrò Sophie.
Eddie le cinse la vita con un braccio, attirandola a sé. «Meglio?» chiese poi.
«Meglio.» rispose lei.
«Ho voglia di ciambelle.» borbottò Sophie dopo un po’.
Eddie ridacchiò. «Una ragazza come te mangia ciambelle.»
«Sono buone. Hai presente quelle ciambelline con la glassa al cioccolato sopra? Quelle.»
«Andiamo a comprare queste ciambelle.» sospirò Eddie, alzando gli occhi al cielo.
Dopo averle comprate, si sedettero su una panchina a mangiare con calma.
«Santo Cielo Eddie, camminiamo. Non ci riesco a stare seduta, congelo.»
«Tu secondo me ti stai ammalando.» commentò lui, che di freddo non ne aveva.
Iniziarono a camminare lungo il marciapiede.
«Vuoi mangiare fuori stasera?» chiese Eddie.
Sophie non rispose. Era impiegata a scrutare dall’altro lato della strada.
«Ehi.» la chiamò Eddie, sventolandole il palmo della mano davanti al viso, ridendo.
«Ehi, Sophie, sei tu?» chiamò un ragazzo dall’altro lato della strada.
Sophie sorrise. «Jim, ciao!» urlò.
Ad Eddie sparì il sorriso divertito che aveva stampato sul volto fino a poco prima.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Eddie non sapeva perché aveva percepito Jim come un cattiva presenza; tuttavia, anche dopo che sul suo volto fu spuntato nuovamente il suo sorriso raggiante, il ragazzo non riusciva a dimenticare la sensazione come di paura, il brutto presentimento, che aveva sentito poco prima.
Jim attraversò velocemente la strada, rischiando di essere investito da un’auto di passaggio.
Si avvicinò a Sophie e le sorrise.
«Ciao, Sophie. Mi sei mancata.» la salutò lui.
Eddie tacque. Sicuramente non sarebbe stato lui a dare il via alle presentazioni.
«Anche tu. Eddie, lui è Jim. Jim, lui è Eddie.» disse Sophie, allegra.
«Ehi, ma tu non sei quello con cui ho fumato roba buona qualche tempo fa?» chiese Jim, dopo aver osservato a lungo Eddie.
Eddie corrugò la fronte, cercando di ricordare. Aveva fumato “roba buona” con un’infinità di persone di nome Jim o simili. Anzi, della maggior parte della gente con cui aveva fumato non ricordava o nemmeno sapeva il nome. 
«Non ricordo. Ho fumato roba con un sacco di gente.» si giustificò il ragazzo.
«Sono sicuro che fossi tu.»
Sophie osservava la scena con un’espressione perplessa sul viso. Jim non doveva essere molo più grande di lei, e, soprattutto, quando si erano visti l’ultima volta lui non era proprio il tipo che fumava roba.
Jim si accorse del suo sguardo e ridacchiò.
«Ti sorprende che io fumi?»
Sophie scosse la testa, come a svegliarsi da uno stato di torpore.
«Se ti interessa comunque non sono proprio un drogato, fumo roba occasionalmente.»
Sophie annuì, evitando di dire che nella sua visione delle cose era impossibile fumare roba occasionalmente, per cui poteva anche evitare di dire queste balle. Prima o poi si diventa dipendenti, occasionalmente o meno.
In realtà il fatto che Jim fumasse roba la metteva un po’ a disagio: lui era sempre stato, per lei, il modello di bravo ragazzo, mentre ora le si presentava di fronte come quello che aveva fumato roba buona con Eddie.
Sophie si chiese se il fatto che Jim avesse già avuto a che fare con Eddie fosse puramente casuale o se invece fosse un segno. Non sapeva che cosa avrebbe dovuto indicare, ma insomma, poteva essere una coincidenza il fatto che, in una città grande come New York, il suo ex ragazzo fosse andato a fumare con quello che ora era il suo ragazzo?
«Cos’hai comprato?» chiese poi Jim, per spezzare il silenzio.
Il ragazzo era un po’ imbarazzato dalla presenza di Eddie. Non l’aveva chiesto e nemmeno Sophie l’aveva detto esplicitamente, ma era chiaro che fosse il suo ragazzo. Se lo era, probabilmente Sophie gli aveva spiegato cosa ci faceva in strada. Jim arrivò quindi alla conclusione che Eddie sapeva chi era lui per Sophie.
«Un cd.»
«Carino. Di chi?»
«Una vecchia band.» spiegò brevemente la ragazza.
Jim annuì, ringraziando il cielo che Sophie non avesse menzionato il nome del gruppo, che lui sicuramente non avrebbe riconosciuto.
Sophie diede un morso alla ciambella.
Tutti si sentivano come oppressi. In altre situazioni probabilmente non si sarebbero sentiti in quel modo. L’unico problema era il modo in cui Sophie aveva passato gli ultimi due anni.
In questa situazione, Sophie non riusciva a fare a meno di sentirsi in colpa.
Dopotutto era lei il motivo per cui loro erano a disagio, ne era certa. Quando aveva visto Jim si era sentita bene, per lei era un ricordo felice. Non aveva potuto fare a meno di fermarsi e di guardare meglio, le era sembrato quasi impossibile che fosse veramente lui. Per lei Jim era un fatto archiviato, chiuso, quasi appartenente ad un universo estraneo e ormai sparito, cancellato.
Così quando lo aveva conosciuto le era venuta praticamente naturale aspettare che si avvicinasse e salutarlo.
In quel frangente, si era persino dimenticata della presenza di Eddie di fianco a lei e la domanda che lui le aveva posto le era parso come un eco lontano. Quasi non l’aveva sentita, e non ne aveva nemmeno colto appieno il significato.
Così i tre rimasero in silenzio per un bel po’ di tempo. Nessuno sentiva il bisogno di proferire parola, non c’era nulla da dire.
Eddie si sentiva come da bambino, quando i suoi genitori erano entrambi fuori di casa e sua sorella non era grande abbastanza per tenergli dietro. In quelle occasioni chiamavano sempre la baby-sitter. Eddie e Susan passavano pomeriggi interni a fissarsi senza proferire parola sotto gli occhi della donna anziana e corpulenta, per paura di poter dire qualcosa di sbagliato che alla signora non andasse bene.
«Bene. È stato un piacere rivederti Sophie, io ora torno a casa.» annunciò Jim, portandosi le mani in tasca e tirando un sospiro.
«Possiamo accompagnarti.» si offrì Sophie.
Non sapeva esattamente perché lo avesse detto.
Eddie resistette alla tentazione di pestarle un piede. Non aveva intenzione di passare un minuto di più in quel silenzio imbarazzante ed ora Sophie si offriva di accompagnare Jim a casa, giusto per prolungare il silenzio. No grazie, sarà per la prossima volta.
«Mi farebbe piacere.» disse Jim, sforzandosi di sorridere.
Era evidente che più o meno la pensava allo stesso modo di Eddie.
Sophie sorrise a sua volta.
«Andiamo a piedi, tanto non è molto distante. Una ventina di minuti.» disse Jim.
Eddie pensò che avrebbe preferito passare quella “ventina di minuti” in maniera differente, ma non disse nulla. Non voleva turbare Sophie. Per lei sicuramente passare del tempo con Jim era in qualche modo piacevole. Eddie si disse che avrebbe dovuto fare questo piccolo sacrificio.
Si avviarono a piedi verso una direzione che ad Eddie pareva imprecisata, non era mai stato in quella zona di New York prima di allora.
Invece Jim e Sophie erano a proprio agio. Sophie riconobbe i luoghi che aveva frequentato da bambina, per mano a sua madre o a suo padre, e poi da adolescente, con i propri amici. Lei e Jim erano cresciuti nello stesso quartiere, ma si erano incontrati solo al liceo. Riconosceva ogni parco giochi, ogni angolo della strada, ogni edificio.
Continuavano a camminare, in silenzio, con il rumore dei passi sul marciapiede come sottofondo.
«Voglio tornare dai miei genitori.» disse improvvisamente Sophie.


Angolo dell'autrice:
Scusate il ritardo nell'aggiornare, ma ero in periodo di esami quindi per me è stato impossibile anche solo pensare di scrivere qualcosa di decente >.<
Voglio dire grazie a tutti coloro che hanno recensito, a chi recensirà ma anche a chi ha letto e proseguirà nella lettura. Per me è stato molto importante ricevere le vostre opinioni ed i vostri consigli. Grazie mille a tutti! ^^

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


Eddie esitò. Sapeva, come al solito, di dover soppesare le parole per non ferirla.
«Sei sicura, Sophie? Mi sembra un’idea piuttosto bruttina. Cosa pensi di fare con loro?»
Sophie non rispose.
La vista di quei luoghi aveva fatto riaffiorare alla sua mente ricordi di ogni tipo: la sua infanzia, la prima parte della sua adolescenza. Erano tutti ricordi felici, anche se una piccola parte di essi riguardava la sua famiglia. Da piccola non era stata molto seguita, ma questa Sophie l’aveva sempre vista come una buona cosa: proprio per questo motivo se l’era saputa cavare una volta abbandonata in strada. In un certo senso, grazie a questo atteggiamento dei suoi genitori, si era “svegliata” prima.
«Io devo assolutamente andare a casa.» intervenne Jim, interrompendo il flusso di pensieri di Sophie.
Il ragazzo non aveva benché la più minima intenzione di accompagnare la ragazza a casa sua.
Ci teneva molto a lei, era stato felicissimo di incontrarla e forse poteva dirsi un po’ geloso di Eddie: lui stesso l’aveva desiderata, probabilmente Eddie l’aveva  già ottenuta. In caso contrario, se la sarebbe portata a letto di lì a poco.
Ma per quanto bene potesse volere a Sophie, non voleva ricomparire di fronte ai genitori di lei.
Ricordava molto bene l’ultimo avvertimento del padre di Sophie: “Non voglio più vedere nessuno di voi in questa casa”. Magari l’uomo avrebbe avuto misericordia di Sophie (Jim nutriva seri dubbi in proposito, ma Cristo, Sophie era pur sempre la figlia), ma sicuramente non ne avrebbe avuta di lui. Quale cristiano come era quell’uomo ne avrebbe avuto? L’aveva comunque beccato con la testa fra le gambe di Sophie.
Ad essere sinceri, Jim, oltre ad avere un po’ di paura di quell’uomo, provava anche vergogna, in un certo senso, nei suoi confronti. Si sentiva così anche con Sophie: infatti era stato lui una delle cause della rottura fra la ragazza e i suoi genitori.
Jim sapeva che Sophie e i suoi non andavano molto d’accordo, era risaputo da tutti a quel tempo, ma la ragazza era comunque stata allontanata dopo l’episodio nella camera da letto.
Si sentiva, in scala ridotta, come doveva essersi sentito Gavrilo Princip. Dopo il suo attentato a Sarajevo era scoppiata quella che fu chiamata e ricordata come Prima Guerra Mondiale o Grande Guerra: non era stato lui la vera causa, ma solo la goccia che fece traboccare il vaso, se non un semplice pretesto.
«Ti accompagniamo a casa, certo. Poi vedremo io e Sophie cosa fare.» intervenne Eddie, come sempre, a salvare la situazione.
 
«Sei sicura di voler tornare dai tuoi genitori?» chiese Eddie.
«Non lo so. Mettiamo che tu venga catturato dalla polizia. Se avessi risolto la questione coi miei, potrei vivere con loro. Se George dovesse rivelarsi pericoloso, dai miei sarei al sicuro.»
«Ma … ?»
Eddie sapeva che doveva per forza esserci un “ma”. Altrimenti Sophie non avrebbe avuto tutte quelle esitazioni.
«Secondo te loro mi riprenderebbero mai in casa? Oltre a questo, secondo te mi perdonerebbero?»
«Non so abbastanza su di loro per dirtelo.»
Sophie aggrottò le sopracciglia.
«Beh, io credo di no.»
«Dunque è questo il problema.»
«Mi hanno già cacciata una volta, credo siano perfettamente in grado di farlo di nuovo.»
«Quindi hai paura.»
La constatazione risuonò nel silenzio interrotto solo dal rumore di passi dei ragazzi e dal rombo del motore di qualche auto di passaggio.
«Di cosa?»
Sophie si morse il labbro e strizzò gli occhi, riflettendo.
Stava cercando un modo chiaro per esprimersi, cosa che le riusciva difficile.
«Ho paura di un rifiuto. Ho paura che soffrirò per un eventuale e probabile “no”»
Eddie roteò gli occhi.
«Ci sarei io in quel caso, no?»
«Per quanto ti ami, Eddie, un ragazzo non può sostituire i genitori. Non alla mia età e soprattutto non nel mio caso.»
Eddie tacque.
Sophie gli aveva detto che dei suoi genitori non le importava più nulla, ma quelle erano parole uscite dalla bocca di un’adolescente giustamente arrabbiata. Eddie, che in quel momento l’aveva considerata donna e non bambina, l’aveva presa alla lettera.
«Di loro t’importa, vero?» domandò il ragazzo.
«Certo che m’importa. Ma fingo il contrario. Anche con me stessa. È più facile così.»
In quel momento, Eddie la vide come una bambina sperduta.
Il ragazzo si sentiva come se lui e Sophie fossero Hänsel e Gretel.
Dopotutto lui era sperduto quanto lei.
Erano solo due ragazzi, due ragazzi che vagavano per un bosco immenso, sconosciuto e buio.
Eddie si chiese quando avrebbero incontrato la strega che avrebbe tentato di mangiarli. Non poté fare a mano di chiedersi se ci sarebbe riuscita.
 
Eddie aprì la porta di casa e con un dito schiacciò l’interruttore per accendere la luce lungo le scale.
Sophie salì ed Eddie la seguì.
«Vogliamo ascoltare quel cd?» chiese Eddie.
Non ne aveva molta voglia, per la verità. Si ritrovò a sperare che quell’album fosse almeno un po’ meglio di quelli che ascoltava di solito Susie, altrimenti sarebbe andato in camera e avrebbe messo la testa sotto al cuscino per la disperazione, sicuro.
Il cd non si rivelò poi così male, solo aveva un’aria un po’ deprimente. A Sophie piacque.
Eddie aveva l’impressione che avrebbe dovuto ascoltare quel fottuto cd tantissime altre volte, ma pazienza. Se faceva, in qualche modo, “contenta” Sophie andava più che bene.
«Per fortuna che l’ho scelto, è perfetto.» commentò Sophie.
«Se lo dici tu.» rispose Eddie, sarcastico.
Sophie alzò gli occhi al cielo e ripose il cd.
«Preparo la cena.» disse Eddie.
Mentre mangiavano, Sophie canticchiava le canzoni che avevano ascoltato prima.
«Come fai a ricordartele?» chiese Eddie, incredulo.
Lui non ricordava neanche il ritmo delle canzoni, nemmeno vagamente.
«Non vorrei dire una cavolata, ma forse anche i miei le ascoltavano. Mi sembrano familiari.»
«È possibile.» le concesse lui.
Era in verità molto probabile che i genitori della ragazza avessero ascoltato almeno una volta quelle canzoni, che erano di un complesso degli anni Settanta circa (Eddie non ricordava bene).
«Eddie, io non ci riesco.»sussurrò dopo un po’ la ragazza.
«Che c’è?» chiese Eddie, sforzandosi di mantenere un tono dolce e rassicurante.
In realtà, era un po’ spazientito. Sophie aveva più problemi di quanto sembrasse.
«Non ci riesco a stare qui sapendo che da un momento all’altro potrei finire di nuovo in strada soltanto perché quei due … » Sophie s’interruppe e si portò una mano sulla fronte, sforzandosi di non piangere. Non avrebbe potuto passare la sua esistenza piangendo e lamentandosi dei suoi problemi.
Prima o poi avrebbe dovuto fare qualcosa.
Eddie si alzò, le andò vicino e la prese in braccio, sollevandola dalla sedia.
«Cosa vuoi fare?» chiese lei che, immaginando già la risposta, stava già ridendo.
«Ti porto in paradiso, piccola. Ti porto in paradiso.»


Nota dell'autrice:
chiedo perdono per il ritardo nell'aggiornare. Sono stata via durante questa settimana in luogo dove computer, connessioni ad internet e cose simili non esistevano. Però mi sono portata dietro carta e penna e ho scritto comunque. Sono tornata solo oggi, ho copiato tutto ed ho aggiornato.
Spero che il capitolo vi piaccia *^*
Valentina.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


Sophie camminava lungo il viale dove era cresciuta.
Quante volte aveva fatto quella strada? Milioni, miliardi di volte, forse. Sempre con le solite persone: Jim, qualche amica o amico, i suoi genitori.
Era da loro che stava andando.
Questa volta a percorrere con lei il viale c’era Eddie, le teneva la mano e camminava dello stesso passo della ragazza, mentre normalmente sarebbe stato un pelo più veloce.
Era stato Eddie a convincere Sophie ad andare da loro.
Sophie non sapeva come Eddie potesse averla persuasa a compiere un’azione del genere; ma doveva sicuramente aver detto qualcosa come “è meglio per noi due”.
Sophie aveva le idee molto confuse mentre suonava al campanello della sua vecchia casa. Era una villa di medie dimensioni, di mattoni bianchi tendenti ad un rosa pallido, col tetto fatto di tegole rosso spento. A parere di Sophie, la casa rappresentava appieno i suoi genitori: freddezza, rigore, serietà.
Non aveva idea del perché si sentisse così disorientata. Poi ricordò che Eddie le aveva passato la siringa quella mattina, su richiesta della ragazza.  La nebbia che circondava il suo cervello doveva per forza essere data da questo. Non sapeva nemmeno perché gli avesse chiesto di drogarla e soprattutto non sapeva perché lui avesse soddisfatto la sua richiesta.
La porta si aprì, producendo un suono stridulo, quasi malvagio.
Sophie si ritrovò di fronte a suo padre che, appena la riconobbe, le sbatté la porta in faccia.
La ragazza iniziò a picchiare i pugni contro la porta, ma nessuno le apriva. A breve le nocche cominciarono a sanguinarle. Facevano male e al contatto col legno dell'uscio bruciavano. Per il dolore e in parte per il turbamento iniziò a piangere.
Fiumi di lacrime le scorrevano lungo le guance e una manciata di secondi dopo anche lungo il corpo.
Scoprì di essere completamente nuda in un paesaggio innevato e desolato. Casa sua ed Eddie erano spariti, così come New York.
Non fece in tempo a provare freddo che venne violentemente trascinata verso il basso.
Le mancava l’aria, stava soffocando. Capì che si stava inabissando.
Sophie abbassò gli occhi e vide George che la tirava verso il fondo per le caviglie, in un modo molto simile a quando l’aveva trascinata in camera da letto per violentarla. L’unica differenza era che quella volta l'aveva trascinata per le braccia.
George sparì improvvisamente, come avevano fatto l’abitazione dei suoi genitori ed Eddie poco prima.
Era tutto rosso, la ragazza non vedeva e non distingueva assolutamente nulla.
Realizzò, dopo poco, che stava affogando in un mare di sangue e che più agitava braccia e gambe più andava a fondo.
«Eddie!» urlò Sophie, in una disperata ricerca di aiuto.
Sophie percepì il sapore metallico del sangue in bocca, evidentemente l’aveva inghiottito quando aveva urlato il nome dell’uomo che amava.
«Sophie.» la voce di Eddie. Suonava lontana.
Sophie capì che Eddie non l’avrebbe mai raggiunta in tempo, che sarebbe inevitabilmente morta.
«Eddie!» gridò di nuovo.
Sapeva che era inutile, ma la speranza era l’ultima a morire. E poi voleva assicurarsi che lui la sentisse davvero, che la sua voce non fosse solo un’illusione.
«Sophie.»
La voce era molto più vicina questa volta, ma Sophie continuava a sprofondare. Sapeva che le braccia di Eddie non l’avrebbero mai raggiunta. Lui non sarebbe mai riuscita a tirarla fuori dal lago di sangue.
«Sophie.»
 
La ragazza spalancò gli occhi.
 
Sophie rimase a vagare nella profondità degli occhi azzurri di Eddie per un bel po’ prima di capire che si era trattato soltanto di un incubo. Successivamente mise a fuoco il viso del ragazzo. I contorni del viso di lui non erano ben definiti, visto che la stanza era semi buia. Le persiane non erano tirate e l’unica fonte di illuminazione erano i lampioni del viale sottostante.
«Tutto a posto?» chiese Eddie, accarezzandole una guancia.
Sophie aspettò che lui tornasse a sdraiarsi e poi appoggiò la testa sul suo petto nudo. La ragazza circondò la schiena di Eddie con le braccia e si strinse al suo corpo; a sua volta lui l’avvolse fra le sue braccia.
Sophie si sentiva al sicuro, ora.
«Sì. Solo un incubo.» rispose finalmente Sophie.
« L’avevo capito. Gridavi il mio nome.» osservò lui con una punta di sarcasmo.
Sophie non replicò.
«Cosa hai sognato?» s’interessò Eddie dopo qualche minuto.
Sophie gli raccontò il suo sogno alla bell’è meglio, i particolari iniziavano a svanire.
«Tu che hai letto Freud dovresti sapere cosa significa.» scherzò Eddie, passandosi ciocche dei capelli di lei fra le dita lunghe e affusolate.
Sophie scosse la testa con fare vago. Non era proprio dell’umore per mettersi ad interpretare sogni.
«Comunque non ti passerei mai la siringa.» borbottò lui, scostandosi da sotto di lei.
Sophie gli passò le dita sul braccio, accarezzandolo. Poi la ragazza alzò gli occhi e lo guardò in faccia. Nonostante la penombra, notò la sua espressione accigliata. Evidentemente non doveva aver gradito molto quel particolare del sogno, che per Sophie era quasi insignificante.
«E io non te la chiederei neanche per idea. Era solo un sogno, Eddie.»
Lui annuì, tracciò con il dito il profilo del corpo di Sophie, soffermandosi sul seno destro, poi spostò lo sguardo al cielo scuro fuori dalla finestra. Dietro agli alti grattacieli di New York il sole iniziava a sorgere, ma la luce era ancora minima.
«Quando andrò a prendere la roba» iniziò lui, con tono serio, portando di nuovo lo sguardo su Sophie «Voglio che tu sia al sicuro a casa dei tuoi. Dove George non potrà trovarti.»
Come Eddie pronunciò il nome di George, Sophie sentì le sue gambe stringersi, le sue cosce unirsi al pensiero dell’uomo che l’aveva stuprata.
Non si era fatto più risentire, dopo quell’episodio, se non per minacciare Eddie.
«Devo andare a parlare ai miei, quindi.»
La constatazione della ragazza non ricevette alcuna risposta e il discorso rimase sospeso nell’aria.
 
*
George era ubriaco. Anzi, quasi ubriaco. Aveva in mano una bottiglia di cognac e stava cercando in tutti i modi possibili di prendersi una bella sbornia. Ubriacarsi lo faceva sentire meglio, anche se lo rendeva incredibilmente vulnerabile.
Posò il binocolo fra l’intrico di rami del cespuglio dietro cui era appostato e si passò la mano sulla fronte sudata per la calura pomeridiana, ravvivandosi i capelli. Nonostante fosse inverno e avesse oltretutto nevicato da poco, quel giorno era uscito un gran sole. George, che pedinava ininterrottamente Sophie ed Eddie da qualche giorno , aveva ancora indosso abiti pesanti. Anche se aveva abbandonato il suo giaccone qualche isolato addietro, sentendosi generoso: magari un barbone non sarebbe morto congelato grazie al suo gesto. Non si era perso nemmeno un istante dell’incontro con Jim, e sapeva che quel ragazzo gli sarebbe tornato utile in futuro, anche se al momento non sapeva esattamente in che modo. Così aveva mandato un suo amico fidato, Alessio (un tossicodipendente figlio di boss della criminalità organizzata, di origini italiane), a pedinare Jim.
Riprese a scrutare col binocolo la finestra della camera di Eddie.
La sera prima quei due gli avevano fornito una spettacolo simile a quello di un porno, forse solo un po’ più delicato. La coppietta al momento non stava facendo nulla di altrettanto interessante, e questo a George un po’ dispiaceva. Eddie e Sophie conversavano animatamente, ma George, ovviamente, non riusciva a sentire una parola. Era troppo lontano, le finestre chiuse sicuramente non aiutavano.
Aveva dei microfoni per intercettazioni con sé, il resto dell’attrezzatura era accuratamente nascosta in un boschetto distante un centinaio di metri dall’abitazione. Si era procurato il tutto grazie a certe sue conoscenze all’interno della polizia, sezione anticrimine. Il quadro generale della situazione fece sorridere George. Un amico all’anticrimine quando era proprio un criminale era una cosa esilarante.
George avrebbe aspettato che Sophie ed Eddie uscissero e poi avrebbe installato i microfoni.
Così non gli sarebbe sfuggito nulla di quello che sarebbe uscito dalla bocca della sua puttana, fosse un sussurro o un orgasmo.
 
*
Sophie suonò al campanello di casa sua, questa volta per davvero. Nessuno venne ad aprire, ma la luce del citofono s’illuminò ed una voce fredda chiese:
«Chi è?»
A Sophie tremarono le mani. Si sarebbe aspettata di tutto, ma non una domanda al citofono.
Eddie la incoraggiò con lo sguardo. Sophie cercò di dire qualcosa, ma la sua lingua era paralizzata.
La luce al citofono si spense. Evidentemente la donna doveva aver pensato che fosse solo lo scherzo di un gruppo di ragazzini passanti.
­Sophie sospirò e strinse la mano di Eddie. Con l’altra, quella libera, suonò di nuovo.
Il citofono non s’illuminò.
Sophie sentiva che stava per scoppiare a piangere.
«Sono io! Sono Sophie! Mamma, aprimi! Mamma!» strillò Sophie.
Eddie osservò Sophie, quasi intimorito.
Mamma.
Non aveva mai immaginato che Sophie avesse potuto chiamare “mamma” quella donna. Quando ne parlava  l’aveva sempre chiamata madre, con freddezza e distacco. Eddie non sapeva perché, ma quella forma d’affetto,  quel “mamma”, l’aveva sorpreso  e lo aveva fatto sprofondare.
Aveva mai chiamato sua madre mamma a sedici anni? No, aveva smesso di chiamarla così alle medie. Ed ora che lei era da qualche parte a Las Vegas, ubriaca e fatta, Eddie sapeva che era troppo tardi per farlo. Era troppo tardi per fare quello che stava facendo Sophie: correre alla porta e urlare alla mamma di aprire, come un coniglietto spaventato che corre alla sua tana.
Eddie sentì dei passi lungo le scale, Sophie si fece rigida di fianco a lui.
La porta si spalancò.
Sophie, senza che Eddie se ne rendesse conto, si staccò da lui e corse fra le braccia della madre, che la circondò in un abbraccio.
Eddie guardava la scena, incapace di reagire. Le due che si abbracciavano, che piangevano. Sophie che continuava a dire “mamma, mamma” e la donna che mormorava “figlia mia” a ripetizione.
Si sentiva di troppo.
Eddie corse via.


Nota dell'autrice:
Scusate l'ennesimo ritardo ma, come al solito, ero in vacanza e, come al solito, mi sono portata dietro carta e penna.
Sono consapevole che i capitoli precedenti siano stati piuttosto noiosi. Non cercate di convincermi del contrario, lo so. Questo credo mi sia riuscito meglio, e in merito voglio fare dei ringraziamenti.
Prima di tutto voglio ringraziare le persone che leggono questa storia, che l'hanno messa fra le preferite/ricordate/seguite. In particolare fra queste persone ringrazio An Idea can not die, che mi fa sempre i complimenti su Twitter (che io leggo in ritardo, fra le altre cose).
Poi voglio ringraziare tutti quelli che hanno recensito la storia, in particolare Chara, che c'è sempre stata dall'inizio e che con le sue recensioni ha mandato alla luce particolari della mia storia che io non avevo nemmeno notato.
Ringrazio anche Il giardino dei misteri, che con la sua critica e le sue osservazioni mi ha spinta a continuare la storia e a fare di meglio.
Infine, voglio ringraziare con tutto il cuore Lonni. Chi è Lonni? Di lei so ben poco: so che si chiama Federica, che ha sempre recensito la mia storia dall'inizio e che per questo le devo molto. Lonni mi ha spinta a continuare la storia e mi ha dato preziosi consigli, importanti idee. Quindi mi sento di dire che se Sophie ha finalmente trovato il coraggio di tornare a casa sua, è proprio grazie a lei. Lonni. Grazie, Federica, un bacio.
Valentina.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


Eddie camminava in una direzione imprecisata. Tirò un calcio ad una lattina di coca cola abbandonata sul marciapiede, facendola rotolare in strada. Vide una macchina che passava ad alta velocità schiacciare la lattina.
Proseguì.
Non sapeva perché era scappato, non aveva nemmeno tutte le intenzioni di farlo. Però, quando aveva visto Sophie lì, abbracciata a sua madre, era corso via e basta. Si era promesso tante volte che sarebbe stato vicino a Sophie in quel momento, e invece non l’aveva fatto. Ora probabilmente lei stava parlando in cucina con suo padre, con il temuto padre, e lui l’aveva lasciata da sola. Okay, molto probabilmente lei non avrebbe avuto bisogno di lui, si disse, forse non si sarebbe nemmeno accorta della sua assenza, quindi non le aveva fatto proprio un gran torto. Magari le cose sarebbero andate addirittura meglio senza di lui.
Però Eddie non riusciva a capacitarsi d’aver lasciato Sophie da sola, all’improvviso, senza dirle assolutamente nulla.
In quel preciso istante, Eddie realizzò di essere in crisi d’astinenza. Non sapeva esattamente perché non se ne fosse accorto prima, forse semplicemente Sophie l’aveva distratto un poco, ma ora era arrivata.
E soprattutto, lui non aveva roba.
Eddie si sedette sulla panchina più vicina, cercando di ragionare prima che non fosse più stato in grado di farlo.
Al suo giro non poteva più tornarci: lui e George, il “capo”, avevano definitivamente chiuso. Non poteva neanche pensare di andare da quelli del suo giro che considerava più amici, perché sapeva benissimo che l’amicizia fra eroinomani è amicizia solo quando conviene per la roba.
Però, si disse, finché non era in astinenza totale, poteva pensare di cercarsi un altro spacciatore di un altro giro e procurarsi un po’ di roba in quel modo. Avendo passato tutta la sua carriera di drogato procurandosi praticamente da solo la sua roba, per poi darla a George, che la passava a tutto il giro, non era proprio attirato dall’idea di dover comprare l’eroina. Però era sempre meglio che niente.
Magari, poi, avrebbe trovato un modo per entrare in un altro giro. Non credeva che sarebbe stato difficile: in molti avevano bisogno di qualcuno che avesse le palle di andare a procurarsi la roba di persona.
Non gli passò nemmeno per la testa che quella poteva essere un’occasione per disintossicarsi.
*
George forzò la serratura della porta della casa di Eddie. Il vecchio trucco della forcina, a suo avviso, funzionava sempre.
Posizionò i microfoni in ogni stanza, assicurandosi che fossero invisibili.
Dopo aver completato l’opera, tornò nella camera da letto che Eddie ora condivideva con la sua zoccola.
George aprì l’armadio.
Nell’armadio c’erano tre cassetti. George li aprì uno ad uno e finalmente trovò quello che conteneva i vestiti di Sophie, l’ultimo. Le dita di George frugarono nel cassetto, cercando di fare meno scompiglio possibile. Alla fine pescò un reggiseno di Sophie. Era di pizzo nero e gli piaceva abbastanza.
Sophie ne aveva tanti altri, non se ne sarebbe sicuramente accorta.
George s’infilò il reggiseno in tasca e uscì dalla stanza.
*
Sophie aspettava seduta sul divano di casa sua. Nulla era cambiato da quando era stata lì l’ultima volta. La poltrona, la televisione. Tutto era rimasto al suo posto.
Sua madre era andata a preparare un tè. Quando tornò nel salotto, la donna posò le tazzine sul tavolo che stava di fronte al divano e abbracciò di nuovo la figlia.
Fortunatamente il padre in quel momento era fuori per lavoro, così le due donne potevano stare insieme e discutere indisturbate.
Anna porse la tazzina a sua figlia, che la prese in mano ed iniziò a sorseggiare la bevanda calda.
«Io avrei voluto in tutti i modi riprenderti in casa. Non nell’immediato. Dopo circa due settimane ero già in pena per te, mi chiedevo dove fossi e che cosa stessi passando. Tuo padre no, invece. Tuo padre no. »
«Non dare tutta la colpa a mio padre.» borbottò Sophie.
«Io non ho mai potuto dimostrare la mia opposizione a quello che stava facendo. È sempre stato lui a comandare.»
«Cosa farà quando mi vedrà qui?» si preoccupò la ragazza.
La donna alzò gli occhi al cielo, sospirando.
«Spero che capirà che, in tutti i casi, sei nostra figlia. Può capitare a tutti di fare qualcosa che va contro al nostro modo di pensare. E mi pare che … ti abbia punita già abbastanza, no?»
«Mamma, là fuori è stato lo schifo più totale. Sono viva, è vero, ma mi fa schifo il modo in cui sono sopravvissuta e ti giuro, non credo che avrei trovato le forze per andare avanti ancora a lungo.»
«Sophie, tu eri … ?»
«Sì, mamma. Ho anche incontrato mio padre un giorno. Questo per farti capire quanto anche lui sia cristiano in fondo. »
«Tuo padre andava a cercare una prostituta?» s’indispettì Anna.
«Sì, e ha trovato me. Non so se l’ha fatto apposta o no, ma non credo, visto che se n’è andato come se non fossi stata io. Se fosse venuto apposta ci sarebbe stato un motivo, no? Ma sono sicura che mi abbia riconosciuta.»
La donna cercò di mantenere al meglio la calma, ma Sophie riuscì comunque a vedere che era molto irritata. Si chiese se quello che stava facendo fosse giusto: stava portando la discordia fra i suoi genitori, mentre quello che voleva lei era semplicemente tornare ad averli dalla sua parte. Forse, però, se sua madre avesse allontanato suo padre, tutto sarebbe andato veramente al meglio.
«È successo altro?»
«Sì, mamma. Ho conosciuto un ragazzo, un uomo. Lui … lui mi ha salvata. Ora vivo da lui. Però sono tornata da voi perché volevo, in qualche modo, sistemare le cose. È
Logicamente Sophie non voleva e non poteva dire a sua madre che, se aveva bisogno di loro, era soprattutto perché Eddie era uno spacciatore che prima o poi si sarebbe dovuto assentare e lei non avrebbe potuto, per nessun motivo, stare da sola perché c’era un drogato maniaco che minacciava di  stuprarla.
«Quanti anni ha questo signore?»
«È più grande di me. Ha ventuno anni. Però è più responsabile, credo, visto che è più grande. No?»
«È inutile che ti chieda come vi siete conosciuti. Questo mi fa pensare che così responsabile in fondo non sia. Ma non posso dirti nulla, visto che anche tuo padre non si è comportato meglio di questo ragazzo. »
Sophie sorrise.
«Quindi ti va bene se io sto insieme ad un altro?»
«Certo che mi va bene, Sophie. Non voglio rifare lo stesso errore.»
 
*
Eddie era seduto in un angolino del bagno di casa sua, completamente fatto. I sensi di colpa che aveva prima nei confronti di Sophie erano del tutto spariti, inghiottiti dalla nuvola di roba che ora l’avvolgeva e lo faceva sentire pazzescamente annebbiato. Era una sensazione che era molto eccitante: questa era una delle grandi contraddizioni dell’eroina.
 
*
Quando Sophie rientrò in casa, trovò Eddie sdraiato sul letto, intento ad ascoltare musica a volume piuttosto alto.
«Ciao. Dov’eri finito?» chiese la ragazza.
Eddie notò che era stranamente allegra. Nessuna traccia dell’aria un po’ malinconica che si era sempre portata appresso, magari involontariamente, da quando l'aveva conosciuta.
«Ho pensato che non era il caso di interrompere la vostra riunione, così me ne sono andato a fare un giro. Com’è andata?»
«Benissimo! Mia madre mi ha capita, è stata davvero molto gentile … sa anche che stiamo insieme, però ovviamente non le ho detto … quello che fai, ecco. Con mio padre è stato tutto più complicato. All’inizio non voleva saperne nulla, ma poi si è sciolto. Credo che abbia fatto polemica solo per darsi un tono. »
«Beh, bastardo fino alla fine, eh? Senza offesa. »
Sophie andò a sdraiarsi vicino ad Eddie, ridacchiando.
«Sì, ma è fatto così. Non penso che ci sia nulla da fare. »
«Va beh, sono contento comunque che sia andato tutto bene. L’importante è questo, no?»
Sophie accarezzò il braccio ad Eddie.
«Già. »
Sophie stava ancora accarezzando Eddie, quando si accorse del buco. Un forellino minuscolo, d'accordo. Ma per lei era comunque abbastanza evidente.
«Ehi, Eddie. Tu hai bucato.» disse subito la ragazza.
Eddie trasalì. Non sapeva proprio come comportarsi. Lei probabilmente sperava che lui smettesse, mentre ora lo beccava con un buco fresco.
Sophie si alzò di scatto da letto.
«Quindi te ne sei andato per bucare, eh? Non te ne fregava proprio un cazzo di “interrompere la riunione famigliare”! Tu volevi solo spararti una dose!»
«Sophie, non è come pensi … »
Eddie non fece in tempo a finire la frase che Sophie era già uscita di casa.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


Alessio aveva un compito ben preciso da svolgere quel giorno, e aveva tutte le intenzioni di portarlo a termine in fretta. George non era l’unico uomo per cui lavorava, e quindi non poteva permettersi di perdere più di due ore per i suoi fottuti problemi con l’ex ragazzo di una chissà quale zoccola.
Del ragazzo a cui stava andando a fare un bel discorsetto da parte di George, Alessio non sapeva nulla, se non che si chiamava Jim e che lo stava pedinando da qualche giorno.
Il ragazzo aveva vita normale: ogni tanto si faceva qualche canna, ma niente di eccezionale. Aveva piazzato dei microfoni in casa sua, sempre per ordine di George. Non aveva mai capito a cosa potessero servire, visto che Jim abitava da solo e quindi parlava poco, ma ora che George gli aveva spiegato l’altra parte del piano tutto gli pareva chiarissimo.
Alessio apprezzava molto George soprattutto perché lo pagava bene. Doveva però ammettere che, nonostante la sua follia, era stramaledettamente furbo.
Alessio arrivò sotto l’abitazione di Jim. Forzò la serratura, perché suonare sarebbe stata solo una perdita di tempo.  Era una persona sbrigativa, lui. Mentre entrava, tirò fuori la pistola.
Jim non fece nemmeno in tempo a rendersi conto che uno sconosciuto era entrato in casa sua che aveva già una pistola puntata alla tempia.
*
Sophie decise che sarebbe restata in giro per un bel po’, perché non aveva alcuna intenzione di urlare contro Eddie. Quindi sarebbe rimasta fuori casa fino a quando non avrebbe ritrovato la calma. A quel punto, sarebbe ritornata da lui.
Era pomeriggio, il sole stava calando ed iniziava a far freddo. Sophie, essendo uscita di casa di getto, non aveva avuto il tempo di prendere un cappotto. Così cercò una biblioteca e, quando l’ebbe trovata, si rifugiò al suo interno. Prese un libro dagli scaffali ed iniziò a leggere, seduta ad una scrivania.
Giunta la sera, però, non si sentiva ancora pronta a tornare da Eddie. Tutta la faccenda dell’eroina la mandava in subbuglio: prima o poi, Eddie avrebbe dovuto scegliere.
Sophie sentiva che avrebbe scelto l’eroina.
 
Decise quindi che sarebbe tornata da Jim. Jim non era drogato come Eddie, quindi sicuramente non avrebbe trovato buchi sulle sue braccia. Sophie sapeva che ogni tanto fumava, ma, ai suoi occhi, era tutta un’altra cosa.
Non era propriamente arrabbiata con Eddie, semplicemente non si aspettava che lui se ne sarebbe andato in un momento così cruciale solo per farsi un buco.
Jim sembrò sorpreso di vederla, ma l’accolse bene.
«Jim, ti dispiace se passo la notte da te? Posso dormire sul divano.»
Sophie non aveva alcuna voglia di ritornare da Eddie. Preferiva di gran lunga stare da Jim.
*
Eddie si sentiva veramente male e in colpa con Sophie, ma in quel momento non aveva alcuna idea sul da farsi. Lei era scappata fuori, così, all’improvviso, e lui non aveva avuto nemmeno il tempo di spiegarle com’erano andate davvero le cose.
Non aveva avuto il tempo di dirle che all’inizio se n’era andato per motivi che non comprendeva, motivi che, con la roba, non c’entravano niente.
Se Sophie avesse saputo, o almeno avesse avuto una minima idea, di quello che aveva provato lui quando l’aveva vista con sua madre, non si sarebbe arrabbiata affatto.
Non si era mai, nemmeno per un attimo,sentito geloso di lei, o altre cose simili. Semplicemente, dopo tanto tempo, aveva pensato a se stesso, a sua sorella, alla sua famiglia, quella che non esisteva più. La sua famiglia, quella sfaldata dal tempo.
Sua madre e suo padre avevano divorziato quando Eddie aveva circa tre anni. Non aveva provato dolore per quell’evento, e non ne provava ora; semplicemente perché era troppo piccolo per rendersi conto di quello che era successo. Non aveva mai sentito la mancanza di una figura paterna, perché non l’aveva mai avuta. Lui e Susie erano cresciuti con sua madre.
Con sua madre e l’amico.
L’amico di suo madre era, di fatto, il suo nuovo uomo, anche se lei non lo chiamava mai così in loro presenza. Molte volte lui e Susie si erano divertiti ad origliare mentre quei due erano a letto.
Il nuovo tipo di sua madre era un alcolizzato, drogato e giocatore d’azzardo. Poteva essere anche qualcos’alto, ma Eddie non lo sapeva. Anche perché tutte le informazioni le avevano reperite lui e Susie di nascosto, origliando, come sempre, d’altronde.
L’amico era sempre ubriaco, e sempre picchiava Eddie, Susan o la madre.  Sua madre col tempo si era stufata, e gli aveva urlato dritto e in faccia che non ne poteva più e che doveva andarsene. Questo episodio Eddie lo ricordava molto bene: aveva dodici anni circa. Stava seduto sul divano, mezzo abbracciato a Susie, in lacrime. Guardavano la scena che avevano di fronte e la loro più grande tentazione era quella di sparire.
Sua madre urlava contro l’amico con le mani fra i capelli. L’amico, ad udire le parole della donna, si era incazzato non poco e l’aveva picchiata forte. Molto forte. Però aveva risparmiato Eddie e Susie. Poi se n’era andato, e nessuno l’aveva più rivisto.
E poi sua madre si era data all’alcool e alla droga, e aveva praticamente abbandonato lui e Susie. Non li aveva propriamente abbandonati, questo l’aveva fatto solo quando avevano compiuto i diciotto anni. Prima lei, in senso fisico, c’era; ma di fatto era come se non ci fosse. Non parlava coi suoi figli e passava tutta la giornata chiusa a chiave in camera sua.
Eddie era finito sulla cattiva strada. Susie no, lei aveva trovato un uomo che l’amava seriamente e quindi la sua esistenza era stata piuttosto normale.
Eddie sospirò, scacciando la valanga di ricordi che minacciava sempre d’investirlo. Avrebbe aspettato il ritorno di Sophie. Non voleva chiamarla, più che altro perché di solito, in quelle situazioni, tale gesto non avrebbe avuto alcun effetto o, ancor peggio, avrebbe peggiorato le cose.
Restò un po’ fermo, senza far nulla, poi si accese una sigaretta. Giusto per passarsi un po’ il tempo. I minuti passavano. Passò un’ora, ne passò un’altra, e Sophie non tornava.
Ed Eddie continuava a pensare, inevitabilmente, a sua madre.
Eddie decise di chiamare Susie. Era da tanto che non si vedevano, sarebbe potuta sicuramente passare a New York a trovarlo.
*
Sophie dormiva serena sul divano, e Jim non riusciva a trovare il coraggio per fare quello che gli era stato ordinato.
Sophie era sua amica, ora, e null’altro. In senso fisico, lei gli piaceva molto. Non gli sarebbe dispiaciuto scoparsela, ma non in quel modo. E non ora che era fidanzata. E, soprattutto, le voleva bene.
Dove avrebbe trovato le forze per agire?
La risposta era molto semplice. O l’avrebbe fatto, oppure sarebbe stato ucciso lui stesso.
Voleva bene a Sophie, certo, ma sopravvivere gli stava molto a cuore. Quel tipo che gli era venuto a parlare aveva l’aria di far sul serio, in più gli aveva detto che aveva delle conoscenze. Molte conoscenze. E che se avesse provato a denunciare qualsiasi cosa, prima o poi una delle sue conoscenze l’avrebbe trovato, per quanto avesse provato a nascondersi.
Non vedeva altre alternative, se non comportarsi come gli era stato richiesto.
Il piano originale prevedeva che lui svolgesse il tutto con la forza, ma, visto che, inaspettatamente, Sophie aveva chiesto di dormire lì, tutto risultava più semplice.
Jim andò in bagno e prese tutto il materiale che gli era stato fornito. Non gli avevano detto esattamente che cosa fosse tutta quella roba; Jim era certo che la polverina bianca fosse eroina (anche perché gli avevano procurato anche una siringa) e che le varie pasticche fossero tranquillanti di vario genere.
Jim preparò la siringa come gli era stato spiegato. Sperava d’aver fatto tutto bene, altrimenti Sophie ci sarebbe rimasta secca, di sicuro.
Con mani tremanti, prese in mano la siringa e si avvicinò a Sophie. Le prese con cautela un braccio e, sotto la luce della lampadina, cercò una vena. Quando l’ebbe trovata, premette lentamente sullo stantuffo, osservando il sangue che entrava nella siringa e l’eroina che entrava in circolo dentro di lei. La vide agitarsi e spalancare gli occhi, sorpresa, ma a quel punto lui le cacciò in bocca qualche pastiglia e lei si assopì di nuovo, senza però addormentarsi.
Jim fece tutto questo sentendosi praticamente vuoto.
Ora veniva la parte difficile, quella che non avrebbe mai voluto fare.
Spogliò Sophie, che, nelle condizioni in cui si trovava, non oppose un minimo di resistenza. Nonostante la situazione lo schifasse, la vista di quel corpo, di quel corpo che aveva voluto ma mai ottenuto, gli provocò un’erezione.
Cercò di non pensare a perché lo stesse facendo, cercò di pensare che era quel giorno di tanti anni fa, quando loro stavano insieme.
Jim si abbassò i calzoni.


Angolo dell'autrice:
Ciao ^^ Perdonatemi il ritardo imperdonabile nell'aggiornare, ma, fra vacanze (ancora!) e la scarsa ispirazione, sono riuscita a cavare qualcosa di accettabile solo ora.
Bene, questo capitolo è una vera bastardata, ne sono consapevole, spero che non mi odierete per questo. çç

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


George si rigirò varie volte il nastro di registrazioni fra le mani prima di mettersi all’opera. Lo osservava, soddisfatto, cercando di stabilire quanto fosse maledettamente furbo e bastardo per essersi fatto venire in mente un’idea del genere.
Sorrise, poi si alzò, andò al computer, ascoltò tutta la registrazione della scopata fra Jim e Sophie. Poi aprì un’altra cartella, e ascoltò quella fra Sophie ed Eddie.
Era proprio ora di applicarsi per far lasciare definitivamente Sophie ed Eddie. A quel punto lei sarebbe stata sua.
*
Eddie non aveva chiuso occhio tutta la notte. Era stato tutto il tempo in ansia per Sophie, un’ansia che aveva iniziato a consumarlo dentro sin da quando lei se n’era andata di casa così, sbattendo la porta. Un’ansia che si era protratta fino al mattino successivo, impedendogli di prendere sonno, impedendogli di pensare a qualsiasi cosa che non fosse lei. O sua madre.
L’uomo iniziò a pensare che forse era proprio il momento di agire, il momento di fare qualsiasi cosa per ritrovare Sophie.
“Sei proprio paranoico, ragazzo mio.”, si disse.
Pensò anche, però, che lui effettivamente non sapeva dove avesse passato la notte Sophie, anche perché lei non l’aveva chiamato, non l’aveva avvisato in nessuna maniera. Cosa che, in condizioni normali, avrebbe dovuto fare. Anche se era arrabbiata con lui: dopotutto era solo una questione di rispetto.
Eddie stava giusto per uscire di casa. Voleva andare alla casa dei genitori di Sophie: ricordava pressappoco dov’era, e gli pareva plausibile che Sophie avesse passato la notte con loro. Da chi altri sarebbe potuta andare, se no?
Non aveva per la verità tutta questa smania di vedere i genitori di lei, ma che altro poteva fare?
Eddie prese quindi la giacca e scese le scale. Mentre scendeva, sentì il campanello suonare. Pensò che doveva per forza essere Sophie, che finalmente era tornata.
Eddie scese gli ultimi gradini di corsa, perché non vedeva l’ora di abbracciarla e baciarla e chiedere dove mai fosse stata e perché non gli avesse detto nulla.
Quando aprì la porta e ci trovò, sulla soglia, George, ci rimase davvero molto male. 
«Che cazzo vuoi, George?» chiese Eddie, alquanto irritato.
Difatti si era aspettato di rivedere Sophie, non quell’emerito imbecille che ora gli si trovava di fronte. Credeva di averlo allontanato da lui definitivamente dopo averlo pestato, ma George gli aveva dimostrato due volte che non era stato affatto così. Eddie aveva proprio voglia di cacciargli un altro pugno, ma si trattenne.
«Volevo solo dirti che so molto bene quello che ha fatto Sophie la scorsa notte, e che mi sembrava il caso di dirtelo, visto che si è divertita sia alle mie che alle tue spalle. Capisci? Ci ha traditi entrambi.» spiegò George, mettendo nelle mani di Eddie la chiavetta che conteneva la registrazione.
Eddie lo fissò, piuttosto perplesso. Non capiva infatti quello che George volesse intendere.
«Che cazzo è questa roba?» chiese Eddie, indicando la chiavetta.
«Prenditela e guardatela da te.»
 
Quando George se ne fu finalmente andato, era riuscito ad incuriosire seriamente Eddie sul contenuto della chiavetta.
Non credeva proprio che Sophie l’avesse mai tradito, era più propenso a credere che si trattasse semplicemente di uno dei soliti tiri mancini di George. Per esempio avrebbe potuto metterci un virus, o un qualcosa del genere. Per  quello che pensava Eddie, George era in grado di fare anche cose del genere.
Quindi, quando il ragazzo si trovò l’audio di qualcuno che si scopava Sophie, rimase un attimo paralizzato davanti allo schermo del computer, incapace di reagire o di prendere qualsiasi decisione.
Improvvisamente ebbe voglia di andare da George e di chiedergli chi mai fosse il ragazzo che si era sbattuto Sophie nella registrazione, perché aveva voglia di pestarlo a morte.
Spense il computer e, preso dalla rabbia, iniziò a girare intorno alla tavola, iniziando a riflettere su dove potesse essere Sophie in quel momento, perché voleva avere immediatamente una spiegazione plausibile. Non pensò nemmeno per un secondo che potesse essere stato George a mentirgli o a imbrogliarlo. In quel momento sapeva solo che Sophie continuava a farsela con degli altri mentre invece gli era sembrato che tutto fra loro due andasse alla perfezione.
Stava decidendo se chiamare o no i genitori di Sophie, giusto per vedere se lei era rincasata, quando suonò il suo stesso telefono.
Andò a rispondere, cercando di mantenere un tono calmo.
«Pronto?» disse.
Il numero che aveva chiamato non era noto ad Eddie, quindi era essenziale parere tranquilli.
«Eddie, sono Sophie. È successo un casino e … »
«Ah, sì che lo so che è successo un casino! Dove cazzo sei ora?»
Proprio non ce l’aveva fatta a stare calmo. Il solo pensare che lei andasse con degli altri mentre lui si era fidato ciecamente di lei gli dava i nervi in maniera assurda.
«Che c’è, Eddie?» chiese Sophie, perplessa.
«Lo sai benissimo cosa c’è!»
«Eddie, calmati un secondo. Qualsiasi cosa tu sappia, beh, non so quello che sai, ma … »
«Che cagata vuoi venirmi a raccontare ora, eh?»
Eddie era proprio convinto che Sophie avesse già una scusa pronta a tutto quello che era successo.
«Eddie, mi hanno drogata e stuprata, d’accordo?»
Eddie tacque improvvisamente.
«Chi cazzo è stato?»
Aveva deciso di fidarsi di lei, e non di George.
«Senti, vieni a prendermi, d’accordo? Ti do la via dove mi trovo ora. Poi ti spiegherò io con calma.»
«Va bene.»
*
Sophie si strinse nel maglione, cercando di smettere di piangere. Aveva male dappertutto, di nuovo. Aveva dimenticato cosa si provava dopo una notte di sesso non voluto, mentre ora Jim gliel’aveva fatto ricordare.
E aveva il terrore della roba. Aveva paura di voler, un giorno, drogarsi di nuovo. Aveva paura che prima o poi sarebbe andata da Eddie e l’avrebbe implorato di darle una dose. Soprattutto, aveva paura che lui l’ascoltasse.
In più, aveva appena sentito che Eddie era piuttosto incavolato. Incavolato con lei. Mentre lei non aveva esitato a cercarlo per trovare conforto e comprensione. Si chiese cosa mai fosse successo, cosa mai gli avessero detto. Perché se Jim era stato costretto a farle una cosa tanto orribile, doveva per forza esserci un secondo fine. Sophie lo sentiva.
Eddie arrivò poco dopo. Lei salì in macchina.
«Chi cazzo è stato?» chiese subito, di nuovo, Eddie.
Sophie tremò leggermente, continuando a stringersi. Le sembrava che tutto fosse freddo. Che anche Eddie lo fosse.
«Jim.»
«E cosa ci facevi tu con Jim?»
«Avevo deciso che non sarei tornata da te perché ero incazzata. E così non mi è venuto in mente nessun altro posto dove andare. Io ricordo solo che mi sono addormentata sul divano.»
Eddie bestemmiò.
«Ma di andare a casa dei tuoi genitori proprio non ne volevi sapere, eh?» sbottò poi.
Sophie abbassò lo sguardo.
«E cosa avrei detto loro? Che ero andata a dormire da loro perché con te ero incazzata visto che sei un drogato? Dovevo dir loro questo?»
Arrivarono a casa di Eddie, entrarono e si spostarono sul divano.
«George mi ha mandato una registrazione dove ci saresti tu che fai sesso con un altro.»
«Infatti è vero. Mi ha … »
«No, non in quel senso. Sembrava più che altro che tu ci stessi … »
«Beh, ero mezza drogata. Non capivo niente.»
Eddie scosse la testa.
«Una mezza drogata non lo fa in quel modo, capisci cosa intendo?»
«Magari non ero io la ragazza nella registrazione.»
«Sì che eri tu, ne sono sicuro.»
Sophie tacque a lungo, cercando di immagazzinare tutte le informazioni che aveva ricevuto quel giorno. La testa le pulsava da matti, probabilmente era colpa di tutte le droghe che aveva assunto la sera prima.
Jim le aveva detto che un uomo l’aveva costretto a farle tutto quello che aveva fatto.  Ora saltava su Eddie, a dire che George gli aveva portato una registrazione in cui lei faceva sesso con un altro. Le due cose dovevano essere per forza collegate, anche se a Sophie mancava qualcosa per venire a capo di tutto quel macello.
«Eddie, non mi va più di stare in questa casa a parlare. Usciamo, d’accordo?» disse poi Sophie.
«E dove pensi di andare?»
«Non lo so, intanto usciamo.»
I due uscirono e tornarono a sedersi in macchina.
«Che c’è?» chiese Eddie.
«Non lo so. Secondo me … boh, non lo so, ma ho la sensazione che qualcuno o qualcosa ci spii, capisci? Quando sono in casa tua.»
«Sophie, ascoltami molto attentamente. Prima George ti ha stuprata, e io avevo tutte le intenzioni di farlo finire in galera, in qualche modo. Ma tu hai insistito perché io non facessi praticamente nulla, solo perché lui aveva minacciato di mandare dentro anche me. Ora quest’altro ti droga e ti stupra, anche lui. Chissà perché, ma mi sembra abbastanza ovvio che ci sia lo zampino di George anche questa volta. Non posso far finta di niente. Non possiamo far finta di niente.  Più tempo passa, più le cose vanno peggio.»
Eddie s’interruppe un attimo, per accertarsi che Sophie comprendesse la prima parte del discorso che aveva intenzione di farle.
«Quindi io penso che tu dovresti, anzi, devi fare qualcosa. Altrimenti lui penserà che può continuare a far del male a te, a me, a noi, finché vuole, perché tanto noi non reagiamo in alcun modo.»
«Non posso assolutamente permettere che finisca dentro anche tu.»
Eddie sbuffò.
«Santo Cielo, Sophie, ma mi prendi per il culo? Va a finire che una di queste volte ti ammazzano.»
«No che non mi ammazzano.»
«Questo lo credi tu.»
«Eddie, per ora cerchiamo di capire quello che è successo con Jim, va bene? Poi vedremo quello che è giusto fare.»
Eddie sospirò, perché sapeva che Sophie stava solo cercando di prendere tempo. Stava cercando di fare in modo che lui si scordasse, in qualche modo, di dover andare a denunciare George e tutta la sua combriccola.
«D’accordo.»
Dentro di sé, Eddie stava già pensando di andare a consegnarsi da solo, rivelando però tutto su George. Giusto per salvare quella povera bambina.


Note dell'autrice:
Mhh, anche questa volta sono in estremo ritardo, ma penso che ormai ci avrete fatto l'abitudine :c Faccio proprio schifo. Volevo dirvi, comunque, che fra uno -massimo due- capitoli ci sarà l'epilogo e quindi la storia finirà! Grazie a chi ha letto/recensito fino ad ora, grazie mille ^^

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Le cose non erano andate proprio come previsto, ma comunque erano andate. Non erano andate con facilità, erano andate con dolore e pena … ma erano andate, e questo era già molto.
 
Sophie fu svegliata dal pianto di una bambina. Quella bambina era sua figlia, figlia sua e di Eddie.  La ragazza, appena maggiorenne, si alzò dal letto freddo e vuoto e andò alla culla della bambina. La prese e se l’attaccò al seno, cullandola, aspettando che finisse di succhiare il latte per poi rimetterla a dormire. Sperando magari che si addormentasse mentre si nutriva, così lei sarebbe potuta tornare a letto. Sua figlia, però, non voleva proprio saperne di riaddormentarsi. Forse perché riusciva a sentire l’eccitazione della madre. Forse perché aveva intuito che, il giorno successivo, per la prima volta avrebbe visto l’uomo che Sophie chiamava papà.
Meggie, la bambina, aveva poco più di un anno, e non aveva mai visto suo padre. Eddie, infatti, era finito in carcere proprio dopo l’ultimo suo viaggetto per la roba. Fortunatamente, si era beccato solo tre anni, dai quali erano stati scontati sei mesi poiché l’uomo aveva acconsentito a disintossicarsi. La pena era stata minima perché durante quell’operazione Eddie non era il trasportatore (a cui era dovuto il fallimento del piano) ma l’intermediario fra lui e chi avrebbe distribuito la droga fra i ragazzi e gli studenti.
Sophie era rimasta incinta poco prima che Eddie partisse per quell’ultimo, fatale, viaggio. Aveva solo diciassette anni. Era stato quando lei gliel’aveva detto che avrebbero avuto un bambino che lui aveva preso la decisione di smetterla con la droga.
Meggie si riaddormentò, e Sophie tornò a sdraiarsi nel letto. La ragazza non riusciva a prendere sonno, e tutto ciò le parve strano. Era passato un periodo in cui non era riuscita a dormire senza avere incubi; incubi in cui veniva stuprata da George o Jim. Continuava a pensare a Eddie, a quando finalmente sarebbe riuscita ad abbracciarlo e baciarlo senza che ci fossero sbarre fra di loro, o senza essere in una stazione di polizia. A quando, finalmente, lui avrebbe potuto prendere fra le braccia la loro bambina.
Sophie, dopo un po’, però, riuscì ad addormentarsi. Questo perché sapeva che, ormai, era al sicuro: Jim era in galera per quello che le era stato fatto, quanto a George … George era stato ucciso da un mafioso, Sophie non sapeva bene in quali circostanze. Non aveva potuto comunque fare a meno di godere di questo fatto.
 
Il giorno dopo Sophie indossò ciò che di meglio aveva e, soprattutto, sistemò per bene Meggie. Voleva che tutto fosse perfetto. Stava per uscire di casa, con la bambina in braccio, quando lei iniziò a strillare.
«Shh, piccola.» le sussurrò. «Oggi incontreremo papà. Non sei contenta? »
Meggie, sentendo la parola papà, subito tacque, mettendosi in religioso silenzio. Sophie sorrise e si precipitò alla fermata dell’autobus.
Quando arrivò, Eddie era già uscito e aveva anche già sbrigato tutte le pratiche e le faccende. Stava seduto sulle poltrone della sala d’attesa.  Appena lei arrivò, lui alzò lo sguardo e la fissò, scrutando ogni centimetro di lei, soffermandosi poi sul fagottino che teneva nell’incavo del braccio.
Si alzò e corse incontro a Sophie, l’abbracciò, le asciugò le lacrime dalle guance e poi scoppiò a piangere a sua volta. Prese Meggie fra le braccia, la strinse a sé e la baciò sulle guance.
Poi tornò a fissare la sua ragazza, la baciò a lungo, dolcemente.
«Andiamo a casa, Sophie. Non voglio più stare qui. E voglio rivederla. È da troppo che non ci entro. »
 
Meggie dormiva nella culla, beata. Era stato Eddie ad addormentarla, sul viso un’espressione di totale felicità.
«Sophie, sono pulito. Non hai idea di quanto sia bello … non hai idea di quanto io mi senta libero, ora.»
Sophie sorrise, poi andò a sdraiarsi sul letto. Lui la raggiunse.
 «Mi sei mancata tantissimo, lo sai?»
«Dio Santo, Eddie! Anche tu mi sei mancato … mi sei mancato eccome. Ma ora finalmente si è tutto risolto. Tu sei pulito e sei fuori di galera. Jim è dentro, e George è morto. Abbiamo una bambina e una casa … »
Eddie soffocò Sophie con un bacio.
«C’è un’altra cosa che mi era mancata di te. » sussurrò lui.
«Anche a me è mancato un lato in particolare di te, lo sai?» sussurrò lei, con aria sensuale, portando le mani alla sua cintura.
«Come siamo maliziose, oggi. Solo una cosa: cerca di trattenerti … non vorrai mica svegliare la bambina, no? »
Sophie scoppiò a ridere e Eddie rise con lei, poi attirò la sua amata con sé sotto le coperte.


Nota dell'autrice:
Mhh, quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho aggiornato? Mesi? Anni? Secoli? *muore*
Bene, mi rendo conto che questo epilogo non soddisfa di certo le aspettative, soprattutto visto tutto il tempo che avete aspettato. Sicuramente è affrettato, avrei dovuto far passare qualche altro capitolo prima di postarlo, ma purtroppo mi mancano due cose fondamentali: tempo (la scuola uccide) e l'ispirazione.
Perfetto, ora non mi resta che ringraziare tutte le persone che hanno seguito la storia fino alla fine (in particolare il giardino dei misteri), a chi l'ha recensita, a chi l'ha aggiunta fra le seguite/preferite/ricordate (e siete veramente in tanti, fidatevi!). Ringrazio anche chi ha letto e recensito qualche capitolo ... insomma, ringrazio tutti quelli che mi hanno fatta arrivare persino a quattromila visualizzazioni nel primo capitolo! :) Grazie a tutti! :'D
Valentina.

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