We create our own demons.

di Super Husbands
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Right on time. ***
Capitolo 2: *** Karma Police. ***
Capitolo 3: *** New York. ***
Capitolo 4: *** Hard to Explain. ***
Capitolo 5: *** Invincible. ***
Capitolo 6: *** Last Hope. ***
Capitolo 7: *** Liar. ***
Capitolo 8: *** Where is my mind? ***



Capitolo 1
*** Right on time. ***


 
Buonsalve gentili lettori ♡
Non so cosa esattamente vi abbia spinto a cliccare sul magico titolo della nostra fic, o forse dovrei dire del nostro piccolo progettino mistico.
Siamo due ragazze, che, in piena fase di diniego della realtà, ovvero in una crisi di ‘NOI NON SHIPPIAMO STONY!’... beh, per farla breve, abbiamo appunto deciso di scriverne una. E’ ambientata dopo gli eventi del film di Iron Man 3, che siamo sicure sarete andati tutti già a vedere. Anche noi, nonostante continuiamo ad affermare che i film della Marvel sono orrendi e non meritano di essere visti.
E vi dirò un segreto: siamo andate a vederlo per ben due volte.
Cos’è la coerenza, dopotutto?
Quello che speriamo non manchi in questa fic :’D
Ci auguriamo di non farvi pentire di averci dedicato del tempo. SEGUITECI<3
Con affetto... beh, noi due.
 
P.S. Il titolo di ogni capitolo sarà associato ad una canzone. Perciò, potete trovare qui quella di questo primo capitolo!  

 
– Buongiorno, signore. Sono le otto e quarantatrè di giovedì 7 marzo. Lei è in ritardo di quarantatrè minuti all’appuntamento di oggi. La signorina Potts la sta aspettando di sotto. –
Tony Stark si tirò su a sedere sul letto, con tutta la lentezza possibile, fra le lenzuola di seta liscia, che frusciavano nei loro riflessi argentei come serpenti minacciosi.
– Quanto ho dormito, J? –
– Due ore e trentadue minuti, signore. –
Guardandosi attorno, quella stanza non gli pareva neanche più la propria.
C’erano scarpe, camicie, gonne – beh, quelle non erano esattamente sue... quanto della donna che ora, come mostrava la telecamera principale, stava battendo nervosamente il piede a terra, davanti alla trasparente porta principale, che dava su un soggiorno ancora non sfiorato da segni di attività mattutine.
Tony spostò gli occhi dallo schermo per passarli allo specchio... e se pentì all’istante.
Non era ASSOLUTAMENTE - enfasi sull’avverbio - giornata in cui poteva rendersi presentabile alla stampa mondiale per annunciare l’apertura di una nuova divisione di certe Stark Industries: e chi le conosceva più?!
Almeno, non sarebbe stato accettabile con quelle occhiaie scure fino al mento e la faccia pieghettata da infinite evoluzioni notturne su sè stesso nel tentativo di prendere sonno, o forse di evitarlo.
Per un breve momento, prese in considerazione l’idea di fiondarsi in bagno alla ricerca di quel miracoloso correttore occhi che Pepper aveva tanto caro, poi il suo cervello allenato lo fermò con tre resistenti obiezioni.
La prima: tanto per cominciare, per quel nido scompigliato di capelli che aveva in testa avrebbe davvero potuto fare poco, non importava quante schiume miracolose ci fossero in bagno.
La seconda: la già instabile Virginia Potts avrebbe anche potuto ucciderlo, se avesse anche solo osato sprecare una goccia del suo correttore (un po’ esagerata come descrizione, ma che importava?).
La  terza, più importante e immediata: la suddetta Potts si era decisa in quel momento ad aprire la porta e le telecamere la mostravano in procinto di salire la scalinata con aria alquanto minacciosa.
Per cui, scattava automaticamente il piano E di Emergenza.
E così, al grido di – TONY, GIURO CHE IO... – nessun genio, miliardario, tecnicamente ex-playboy, filantropo fu colto in flagrante a metà del sacro rituale della vestizione.
Difatti, davanti a Pepper Potts, sgomenta nel suo tailleur bianco d’ordinanza, stava proprio Iron Man, al suo meglio, scintillante e... metallico.
– Sono pronto, Pep. Niente guerra. –
Tony rabbrividì involontariamente di fastidio alla parola che aveva appena pronunciato con così tanta leggerezza, accompagnato dal suono meccanico delle braccia alzate in segno di pace.
– Beh? Che c’è? –
– Togliti la maschera. –
Uno scricchiolìo dubbioso fu l’unica manifestazione esterna della confusione di Tony.
– Tony, ho detto: togliti la maschera. Dopo il trucchetto del controllo a distanza non mi fido più. –
Il suo sguardo dannatamente serio e discretamente alterato - non che non avesse le sue buone ragioni, eh! - era ancora più difficile da sopportare senza il comodo scudo metallico.
Pepper alzò un sopracciglio, eloquente, poi dette una rapida occhiata all’orologio e, calcolando un ritardo approssimativo di circa tre ore, decise di tramutare quel cipiglio in un sorrisetto soddisfatto e un po’ tirato.
– Perfetto, anzi, ottimo, signor Stark. –
Suonava tanto come una presa in giro, ma Tony non rischiò neanche col ribattere qualcosa, limitandosi a seguire lei, che, dopo aver traballato un po’ sul primo gradino, aveva acquistato sicurezza mano a mano che si affrettava giù per le scale.
L’armatura rendeva non poco macchinosa anche la semplice faccenda di scendere quei maledetti gradini.
– Bella gonna, Pep! –
Almeno un tentato salvataggio in cross.
 
– Non hai una bella cera, sai? –
Erano passati ormai quasi venti minuti da quando erano partiti.
Happy guidava, invisibile e discreto dietro il separè grigio dell’auto migliore che il garage di casa Stark aveva avuto l’onore di ospitare.
Il silenzio si era impadronito subito dell’abitacolo, in un limbo di incertezza.
Fu quell’affermazione a rompere il ghiaccio: la voce di Pepper aveva faticato un po’, sulle prime, a regolarsi, per poi rompersi miseramente sull’ultima sillaba, inondando Tony di un certo senso di colpa di cui non aveva affatto bisogno in quel momento.
Anche fosse stata genuina preoccupazione, l’avrebbe respinta con tutte le sue forze.
Lui stava bene, lui aveva dei compiti, dei doveri, un’immagine pubblica e anche una privata, e avrebbe mantenuto ogni singola cosa invariata.
Esattamente, anche i compiti e i doveri sarebbero rimasti com’erano, siccome, tra le tante cose, non si poteva certo dire che Anthony Stark fosse uno stacanovista.
Anzi, da quando era capitato un certo piccolo incidente con un tipo russo, tendeva a guardare la suddetta nazione e qualsiasi cosa ad essa legata con un discretto sospetto.
Forse fu appunto perchè si era perso di nuovo nei suoi pensieri che la risposta, camuffata leggermente dal metallo, tardò un po’ ad arrivare.
– Cosa? No, guarda che-sto bene. –
Complimenti. Molto sicuro di te, Tony.
– Dico davvero, Pep. –
Le dita cromate d’oro e rosso, appositamente regolate da Jarvis per la temperatura umana, volarono a sfiorarle una guancia.
– E’ solo che... stanotte non ho dormito molto, tutto qua. –
Tony cercò di scrollare le spalle, cosa che all’esterno dovette risultare in una specie di convulsione apparente, guadagnandosi stavolta un’occhiataccia anche da parte di Happy attraverso il magico specchietto retrovisore.
– Magari ero ansioso per il nuovo reparto petrolifero... – lasciò cadere quella sottospecie di battuta nel vuoto, ben sapendo che tutti erano consapevoli del perfetto contrario.
“Il giorno in cui Tony Stark sarà in ansia per qualcosa, preoccupatevi davvero.”
Quelle parole lo avevano riempito di orgoglio al tempo, così come la considerazione che chi le aveva pronunciate aveva di lui.
Ora invece il pensiero lo appesantiva un po’, quel po’ che, però, non si rifiutò di farsi da parte per lasciare spazio al sollievo nel vedere che aveva finalmente fatto breccia nella preoccupazione di Pepper.
Un sorriso rassegnato fece capolino sul suo volto, mentre si avvicinava all’armatura scuotendo la testa e chiedendo dello spazio dove poter appoggiare la testa e chiudere gli occhi per qualche momento.
– Soprattutto dato che il nuovo reparto è d’estrazione mineraria... – fu il suo ultimo sospiro sornione, che alle orecchie di Tony suonò come un’arrendevole dichiarazione di vittoria, prima di rilassarsi definitivamente contro di lui.
 
– Dai, hai visto? Li ho con-qui-sta-ti! –
– Non ho dubbi! Anzi, a dire il vero ne ho diversi, soprattutto dopo la tua battuta sul parrucchino del nostro più importante investitore! –
Beh, tirando le somme, la conferenza non era andata affatto male... specialmente l’immancabilmente esagerato party a seguire.
L’alcool per Tony non era mai stato un problema: un vantaggio, un piacere, un’arma, un alleato, quello sì, ma non lo aveva mai tradito, più o meno.
Era forse anche grazie ai numerosi bicchieri di pregiato champagne che circolavano che Pepper non lo aveva ancora aggredito, mangiato e spolpato dopo le tante “libertà” che si era preso nel discorso. Per lui i calici di Dom Perignon erano come per lei i frullati disintossicanti mattutini: buoni, salutari e soprattutto irrinunciabili.
Secondo la sua personale e modesta opinione, bere per Pepper era anche terapeutico: con tutto quello stress, di cui Tony non negava affatto di essere la principale causa, a volte aveva bisogno di sciogliersi, eddai.
Al secondo o terzo bicchiere, infatti, sul calar del sole, si era già trasformata nella sua addetta alle pubbliche relazioni, spigliata e con una buona dose di parlantina repressa, sgravandolo dal difficile compito di dover esporre personalmente le proprie idee.
D’altronde, se non ci fosse stata lei ad averle ben chiare in testa, sarebbe stato un problema: Tony Stark cambiava idea ogni secondo, anzi, per meglio dire, la sviluppava incessantemente, stabilizzandosi a intervalli di circa 3 o 4 giorni.
Chi teneva conto delle opinioni e dei progetti che esprimeva freneticamente durante questi effimeri momenti di decisione poteva ritenersi assai fortunato di far parte della cerchia di backup vivente di Tony, così come quest’ultimo doveva ringraziare la propria buona stella -a detta sua, il proprio insindacabile charme- che ci fosse effettivamente qualcuno disposto a stargli dietro.
Come il tizio che gli si era piazzato letteralmente alle spalle per attirare la sua attenzione da circa troppi secondi per essere ignorato ancora.
– RHODEY! – Oh, almeno era una faccia simpatica e conosciuta.
– Tony! –
Una rapida posa sorridente per i flash...
– Come stai? – ...e poi si comincia con le domande base.
– Tony, ascolta, devo dirti una cosa- –
Ma Tony non aveva potuto scoprire cosa Rhodes avesse voluto dirgli così urgentemente, perchè l’improvviso sibilo dell’ennesimo tappo di spumante aveva interrotto fastidiosamente il loro inizio di conversazione per andare a piantarsi dritto in mezzo alla fronte di Rhodes con un suono decisamente poco piacevole.
Cose come quelle erano destino.
Anche la grande ilarità che ne era seguita, secondo Pepper, era destino... che il party fosse finito, almeno per Stark. Tony era riemerso annaspando dagli strascichi dell’ultima risata un secondo prima che la sua dolce metà lo ghermisse con insospettabile fermezza per trascinarlo verso la limousine, spargendo saluti e ringraziamenti a destra e manca.
Ecco come erano brevemente finiti di nuovo in macchina, al riparo dai flash grazie ai vetri oscurati, a riesaminare l’andamento della serata e l’effetto che aveva fatto al pubblico uno dei rari discorsi di Tony da sobrio.
– Non era male comunque! E con questo ho chiuso. Non intendo più dilungarmi in complimenti, il tuo ego ha già subito troppi danni a forza di gonfiarsi! –
– Wow. Questa me la segno. –
L’apparentemente infinito ottimismo di Pepper, condito da uno smagliante sorriso, nonostante fosse probabilmente ancora indotto dall’alcool, meritava un’entrata in casa in grande stile, pensò Tony.
Il viaggio di ritorno era stato piuttosto animato e accendere tutti i fari della villa più la fontana centrale sembrava una degna conclusione.
– Bentornato, signore. E’ sempre un piacere vederla. –
– Buonasera, J! Te la sei cavata bene mentre papà non c’era? –
– Egregiamente, signore. Mi permetto di aggiungere che è sempre un piacere anche vedere il consumo di elettricità della Stark Mansion schizzare del 200% non appena lei si avvicina. –
Ops.
– Aaaah, che importa, Jarvis! Per un giorno si può fare! –
La voce a parlare era stata quella di Pepper, colei che, a fine mese, nonostante non avessero neanche un lontano problema finanziario, si metteva le mani nei capelli disperata. Tony si girò su se stesso sconvolto, dando una pacca riconoscente all’armatura da cui era appena uscito.
Pepper lo aspettava già dentro casa, le scarpe tacco 12 in mano e l’aria spensierata di chi aveva appena detto che no, una bolletta a tredici zeri non era una tragedia così grave.
– Pep, ora sono io a chiedertelo: ti senti bene? –
– Mai stata meglio! Anzi, forse sì... se qualcuno mi raggiungesse a letto fra cinque minuti... –
Un lampo -forse malizioso?- le passò per il viso, eclissandosi in un sorrisetto di pausa.
Tony dovette faticare non poco per non mostrare la sua incredulità.
Se bastavano un paio di bicchieri... di solito, la sera, doveva lavorarsela un bel po’ prima di riuscire a scostare quella corteccia di stress che il lavoro le costruiva intorno. Non che la cosa non lo dilettasse, anzi, era uno dei suoi maggiori divertimenti, e in più costituiva anche un perfetto allenamento per riuscire poi a convincere chiunque di qualsiasi cosa, qualità importante tanto nei venditori porta a porta quanto negli imprenditori.
– Jarvis, compra dell’ottimo champagne e ricordami di far bere Pep, ogni tanto. –
Tony non ebbe risposta, perchè nell’esatto momento in cui Jarvis, se fosse stato umano, avrebbe tirato il fiato per esalare la sua risposta, il telefono squillò, inserendosi prepotentemente nell’altoparlante.
– Pronto? –
– Tony? Sono io, Rhodes. –
– Rhodey? Ehi! Jarvis, passa a cellulare per favore-- ehi! Non sei proprio riuscito a resistere alla tentazione di dirmi il tuo gossip, eh? –
Un sospiro giunse con discrezione soltanto alle orecchie di Tony.
– Ascolta, non sono sicuro, ma ho sentito parlare di te oggi. –
– Ci credo, tutti parlano di me. Anche se non ne sei convinto, sono una persona molto interessante, sai? –
– No, sono serio, Tony. Te lo ripeto, non ne sono sicuro, ma ho sentito dire che vogliono- –
La conversazione fu di nuovo sovrastata dalla voce vagamente metallica di Jarvis.
– Signore, un furgone non autorizzato si è introdotto nella via privata d’accesso. –
Lo sterzare brusco di quattro ruote nel piazzale confermò la notizia appena ricevuta.
– Rhodes, ti dispiacerebbe aspettare un attimo? Credo di avere ospiti non annunciati. –
Tony non si preoccupò neanche di stare a sentire la risposta, sfiorando l’icona del ‘muto’ con un dito. Valutò le diverse possibilità.
L’armatura riposava in un angolo, accesa e pronta ad intervenire, ma per quest’oggi ha lavorato abbastanza.
E poi, non ci avrebbe messo nulla a catapultarsi sul suo corpo in caso di emergenza - impiantarsi quei magneti nel braccio non era stato uno scherzo, ma Tony sperava che desse i suoi frutti. Almeno sarebbe riuscito a sembrare un uomo meno brutale nell’accogliere, magari, il Presidente degli Stati Uniti in visita segreta.
– Anthony Stark? Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division. Siamo qui su ordine diretto di Nick Fury. –
Forse l’agente appena sceso dal tetto del furgone, completamente avvolto in una tuta nera, si aspettava un qualche benvenuto e, a giudicare dall’impressionante quantità di armi alla cintola e alle spalle, aveva preso in considerazione anche un’accoglienza ostile. – Siamo qui per prelevarla e condurla a New York, dove il direttore la aspetta personalmente. Siamo però in dovere di avvertirla che non è richiesta la sua partecipazione ad alcuna missione. –
A quelle ultime parole i lineamenti di Tony, contratti in un primo momento al solo sentir nominare lo S.H.I.E.L.D., si rilassarono notevolmente.
– La sua sola presenza fisica è sufficiente. –
Fury, Fury... non riusciva proprio a fare le cose in maniera normale, o meno pomposa, o almeno più educata dell’introdursi furtivamente in casa altrui ad un’ora indecente della notte. Stava per aprire bocca e ribattere quando l’agente pronunciò le ultime, agghiaccianti parole.
– Signor Stark, la avverto che abbiamo ricevuto l’ordine di procedere con le armi in caso lei si rifiuti di collaborare. –
– Peccato, perchè stavo esattamente per dirle che non ho assolutamente intenzione di spostarmi di duemilacinquecento miglia per un capriccio che Fury non si è neanche degnato di spiegarmi. –
L’agente tolse la sicura... e Tony chiamò l’armatura.
Fece appena in tempo a sentire il rassicurante sibilo del guanto che lo raggiungeva a una velocità che solo recentemente era riuscito a controllare.
Una dose di quello che riconobbe come tranquillante solo quando crollò a terra gli si piantò decisa nel collo ancora vulnerabile.
– Qualcuno salga ad avvertire la signora Potts, svelti! Caricatelo sul furgone... del resto, io gliel’avevo detto. –
Le ultime parole vibrarono tentennando su un’ottava più alta, stabilizzandosi poi nell’esatta estensione vocalica e timbro dell’agente Natasha Romanoff, che si strappò il sintetizzatore vocale dalla gola con una smorfia di disgusto.
Fingersi un uomo per non essere sottovalutata. Che schifo. 

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Capitolo 2
*** Karma Police. ***


Notes~
Abbiamo deciso di aggiornare settimanalmente, per la gioia di tutti!
E be', che dire?
In questo secondo capitolo abbiamo provato a spiegare la situazione, che verrá comunque approfondita meglio negli altri a venire.
Per quanto mi riguarda, spero di aver reso decentemente la cosa e non aver impastrocchiato troppo come mio solito, ma soprattutto spero di non aver stonato con il lavoro precedente della mia collega.
Scrivere una fic a due mani é piú complicato di quanto pensassi, lo ammetto.
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno iniziato a seguirla, e anche chi ha commentato - terrore e paura del giudizio altrui -. No, in realtà ci fa molto piacere sapere cosa ne pensate, soprattutto cosa dovremmo migliorare e via dicendo. Comunque vi ringraziamo tutti per aver letto e ci auguriamo che il prossimo capitolo vi piaccia!

P.S. il titolo viene da questa splendida canzone dei Radiohead, che vi consiglio vivamente di ascoltare durante la lettura.

Cap, half of the Super Husbands.
 

Karma Police – cap. 2
 
 
Lo scrosciare ritmico della pioggia lungo l’enorme vetrata con vista su New York era un lento e inesorabile cronometro per il Capitano, che se ne stava con i gomiti poggiati al lungo tavolino e la testa tra le mani.
Cos’era diventata la sua vita? Erano giorni, addirittura settimane che la stessa domanda lo tormentava e perseguitava come un chiodo fisso, di quelli che ti tolgono il sonno e i bei sogni.
Anche se, si era detto più di una volta, di tempo per sognare ne aveva avuto abbastanza. Ora doveva solamente svegliarsi.
- Capitano, ho un favore da chiederle. – a parlare era stato Fury, che stava entrando in quell’esatto istante dalla ormai conosciuta porta della sala congressi dello S.H.I.E.L.D, con Maria Hill al seguito. La ragazza, in perfetto ordine come al solito, teneva tra le mani una pila di documenti dall’aria indiscutibilmente pesante per quella che sembrava una giovane e fragile donna. Ma, dopo aver visto Natasha, il Capitano aveva imparato che le apparenze non solo potevano ingannare, ma riuscivano addirittura a frantumarti l’autostima.
- Avevo immaginato. Sa, la sala riunioni e la fretta con cui mi avete fatto chiamare non lasciava tanti dubbi. –
- C’è qualcosa che non va, Rogers? –
Doveva aver notato il tono serio e teso. Ma che poteva farci? Nascondersi avrebbe solo peggiorato la situazione.
- C’è qualcosa che va, direttore? Ma vada avanti. Di cosa si tratta? –
- Capitano, lei ha visto i telegiornali. – era un’affermazione convinta, poiché avevano passato discreto tempo insieme e parte di questo tempo era stato dedicato a quello strumento diabolico e geniale che era la televisione.
Aveva assistito a tanto ultimamente, aveva sopportato a denti stretti tutte le ingiustizie alle quali non aveva potuto porre rimedio e aveva sofferto in maniera esponenziale per quello che era diventato il suo paese. Durante la guerra le persone erano sicuramente più unite, più vicine. Non si scannavano l’un l’altra per ragioni futili come un litigio o un debito.
E ora, cosa erano diventati adesso? Erano mostri pronti a saltarsi al collo alla prima occasione, animali crudeli.
Steve annuì lentamente, certo che Fury non si stesse riferendo a quello.
- Il nostro Presidente è quasi stato ucciso. E noi non eravamo lì, non abbiamo mosso un dito. –
- Stark lo ha fatto. –
- Ha centrato il punto, Capitano. Lui è… oh, Dio. – Fury che si arrovellava nelle proprie parole alla ricerca dell’espressione migliore per definire Tony Stark in una qualche maniera che non includesse parolacce non era certo uno spettacolo da tutti i giorni, e Steve non poteva sprecare una battuta.
- Non lo dica ad alta voce, magari vi sta spiando e potrebbe montarsi la testa. – venne fulminato dall’unico occhio rimasto al direttore, ma era alquanto sicuro di aver sentito la signorina Hill ridacchiare in sottofondo.
- Sto solo cercando di dire che quella testa di ferro si farà ammazzare. Perché lo farà. Non si fida di nessuno, nemmeno di sé stesso, e l’ansia lo sta uccidendo senza che nemmeno lui lo sappia. Abbiamo registrato frequenti attacchi di panico. Anthony Stark con degli attacchi di panico! Oh, andiamo, anche a me sembra assurdo. – Fury scosse la testa, e il Capitano non poté fare a meno di chiedersi come avessero fatto a sapere dei suoi attacchi di panico. Allora era proprio vero che lo S.H.I.E.L.D. era ovunque.
- Non possiamo rischiare di perdere una delle menti più disturbate e, mi duole dirlo, geniali del nostro tempo. –
Steve annuì, senza capire davvero. Lui cosa avrebbe dovuto fare?
Lanciò di nuovo uno sguardo oltre alla massiccia figura che torreggiava in piedi di fronte a lui, dall’altro lato del tavolo.
La pioggia adesso scorreva più forte, il vento la trascinava e la faceva cadere in maniera disordinata sulla grigia New York.
- Cosa si aspetta che faccia, direttore? – Non stava impazzendo di gioia, e il tono lo tradiva sicuramente. La prima missione dopo tanto tempo e tutto quello che doveva fare era accertarsi che Tony Stark non avesse degli incubi, un po’ come una balia? Nessuno ne sarebbe stato entusiasta, nemmeno quella santa della sua segretaria o - come amava definirla Burton - fidanzata.
- Mi aspetto che assuma il comando degli Avengers. – con un colpo di reni Steve si mise a sedere in maniera dritta e impeccabile, sicuro di aver frainteso.
- Che… che cosa dovrei fare, mi scusi? – domandò esterrefatto.
- Una squadra come la vostra ha bisogno di un capo. –
Fece correre lo sguardo da lui a Maria, che esibiva il suo sorriso più enigmatico con tutta la tranquillità di cui era capace. Ovvio che gli Avengers ne avessero bisogno, anzi, al biondo sembrò assurdo che ci pensassero solo in quel momento. Era praticamente sicuro che Stark avrebbe potuto essere una specie di capo irresponsabile, ed era altrettanto convinto che a Fury stesse bene. A quanto pare era in errore.
- Ma io… io non so niente. – si bloccò, prendendo di nuovo la testa tra le mani.
- Lei lo sa cosa significa? Addormentarsi una sera nel mezzo della guerra più importante del mondo credendo di esser morto e risvegliarsi settanta anni dopo in un paese che non è più tuo, tra degli estranei, con la consapevolezza che qualsiasi cosa tu conoscessi tempo fa o è stata distrutta o è morta? – inchiodò l’uomo con un’occhiata glaciale.
- Io non ho più niente direttore, io non so più niente. Come posso io guidare una squadra di superumani? –
- Ti ho chiesto di diventare un capo, non una guida turistica, Rogers. – Fury era rimasto impassibile al suo discorso. Inarcò le sopracciglia in aria interrogativa.
- Come hai fatto settanta anni fa a guidare i tuoi per basi sconosciute? Come si sono fidati di te? Gli Avengers al momento hanno bisogno di questo. Hanno bisogno di uno Steve Rogers che li incoraggi, li sostenga e li sproni. Hanno bisogno dell’innocenza che ormai hanno perso. Di sicurezza, di forza, di coraggio… –
Steve si alzò spostando la sedia sul quale era seduto di lato prima di cercare lo sguardo di Fury. Una parte di lui sperava che fosse uno scherzo, l’altra aveva già cominciato a tornare in vita, a sentire il formicolio familiare prima della battaglia, prima del vuoto.
- Hanno bisogno di te. –
Quella dell’uomo che gli stava di fronte non era una supplica né tanto meno una richiesta. Era la verità, e che gli piacesse o no era forse il momento di guardarla in faccia.
La pioggia aveva smesso di cadere, le ultime gocce scivolavano esasperate lungo il vetro, alcune correvano, altre rotolavano giù e si univano, altre ancora scivolavano con una lentezza esagerata verso il fondo. Quelli, si disse Steve, sembravano proprio i suoi pensieri in quell’istante.
Hanno bisogno di te, non puoi tirarti indietro.
- …del resto, se sono qui con voi ci sarà un motivo, non credete? –
 
 
 
- La squadra fa di nuovo punto. E così, l’esito di questa partita è piuttosto chiaro, non credi Larry?
- Credo solo che la sfortuna si sia abbattuta su questi poveri ragazzi come non succedeva dal  ’94. Una tragedia, e non si può nemmeno dire che… -
Tony smise di sentire quel rumore che copriva ogni cosa. Il volume era esageratamente alto, pensò, ma oltre a quello non riusciva ancora né a muoversi né tantomeno ad aprire gli occhi. Tornò in ascolto, stavolta delle due voci che chiacchieravano in sottofondo, ad un tono moderato.
Gli piacque pensare che fosse per non svegliarlo, anche se aveva i suoi sani dubbi.
- Non giocherò mai più con te e quell’affare del demonio. -
- Oh, andiamo! Era la tua prima volta… -
- Non ci sarà una seconda. Mi fa anche male il braccio. – si lagnò la prima voce.
L’altro rise.
- Addirittura? –
Ci fu un momento di silenzio colmato dalle parole svelte del telecronista, decisamente preso dalla partita che stava commentando.
- Secondo te quanto ci metterà la bella addormentata di ferro a riprendere i sensi? –
Tony non udì nessuna risposta, ma in quell’istante riuscì ad aprire lentamente gli occhi, vincendo la battaglia interna. Filtrava troppa luce nella stanza, così li richiuse in fretta, colto da una fitta alla testa.
- Come si dice? Parli del diavolo e… - l’uomo tentò di mettersi seduto, e in un baleno sentì qualcuno sorreggerlo.
- Ehi Tony, ti hanno imbottito così tanto di tranquillanti che io e Steve avevamo paura che ti avessero ucciso, lo sai? – Era riuscito a poggiare la schiena contro il muro, molto più scomodo e freddo rispetto al letto caldo e confortevole.
- Barton? –
- In carne ed ossa. Sai che russi un sacco? Credevo che i miliardari non russassero, mi hai deluso. –
- Spiacente. – batté un paio di volte le palpebre. Si trovava in una stanza grande con delle tende bianche che lasciavano trapelare, a suo dire, una luminosità eccessiva.  L’arredamento era spoglio, oltre al letto ed una scrivania vuota vi erano una televisore così piccolo che non gli consentiva di distinguere le figure e i colori, ed un quadro veramente brutto dall’aria inquietantemente familiare.
Voltando la testa per ispezionare l’altra parte di camera, si ritrovò addosso gli occhi azzurri di Steve, che lo fissavano con un misto di divertimento mal celato e curiosità. Avevano anche un velo di qualcos’altro, una sfumatura che al momento l’uomo di ferro non riusciva a cogliere.
- Buongiorno, Stark. Hai dormito per una cosa come tre giorni. –
A Tony quasi prese un colpo. Davvero aveva dormito così a lungo?
- Scommetto che avrai fame. – decretò Clint con più entusiasmo del necessario.
- Veramente mi piacerebbe che oltre alla mia meritata colazione qualcuno mi spiegasse cosa sta succedendo, perché lo S.H.I.E.L.D. mi ha imbottito di tranquillanti e soprattutto che fine avete fatto fare alla mia bella e, per una volta, accondiscendente fidanzata.  –
Steve alzò gli occhi al cielo. A Tony sembrava impossibile che qualcuno avesse quella tonalità di azzurro. Era ipnotica.
- Ah, Cap, giusto. Le spiegazioni. Secondo copione, mi raccomando. –
- Be’, sai, ultimamente per te e l’America non è stato un periodo facile, o felice. Il Mandarino, la tua casa distrutta, per un certo lasso di tempo ti abbiamo anche creduto morto… è naturale che tu abbia accumulato stress ed è normale che tu sia spaventato, credimi. Anche degli attacchi di panico sono normali. Lo chiamano stress post traumatico. –
- Io non ho attacchi di panico, Capitano. –
- Ah no? Vuoi dire che lo S.H.I.E.L.D. ha radunato parte degli Avengers solo per delle supposizioni stupide? –
- Oh, andiamo! Faccio lo scienziato, ho ricevuto un intervento a cuore – letteralmente – aperto in un covo di terroristi. Ho sventato la minaccia di un genio russo che stava tentando di uccidermi. Ho fatto fuori un’armata di supersoldati OGM, e mi state dicendo che ho degli attacchi di panico causati da stress post traumatico? Vi prego. –
Stavolta fu lui ad alzare gli occhi al cielo.
- Stark, ascoltami bene, un trauma è una cosa seria. Non si può affrontare in mezzo minuto e trovare una soluzione, ma soprattutto tu non… no Stark, non aprire la finestra! – ma l’uomo ignorò l’avvertimento, spalancando la tenda leggera.
Di fronte ai suoi occhi New York, in tutti i suoi grattacieli e i suoi uffici, o almeno gli uffici che Tony aveva sempre scorto dalla Stark Tower.
La sua Torre, sopra alla quale mesi prima si era aperto un enorme varco dal quale erano entrati degli alieni, alieni che avevano tentato di ucciderlo. Un varco che lo aveva quasi ammazzato. Chiuse gli occhi per un istante. Riusciva ancora a sentire l’ossigeno venirgli meno, il vuoto che lo avvolgeva, il buio. Sé stesso che veniva lasciato indietro senza aver nemmeno potuto dare un addio alla donna che amava.  Guardò nel cielo, apparentemente sereno e immacolato. Non c’era assolutamente nulla.
Ma se fossero tornati, prima o poi, cosa avrebbe fatto? Se fossero già entrati da qualche altra parte e loro fossero rimasti lì in quella stanzetta a girarsi i pollici? Cosa avrebbe potuto fare, solo e disarmato? Non sapeva nemmeno dove fosse la sua armatura, chi ce l’avesse. Tentò di chiamare a sé i pezzi con i magneti, ma non succedeva nulla. Qualcuno che non era lui aveva la sua armatura. Volevano impedirgli di combattere, di difendersi.
- Dov’è? Dove avete messo la mia armatura? Ce l’ha Fury? –
- Tony calmati… -
- Ho bisogno di trovarla, devo controllare. –
- Controllare cosa, Tony? –
- Devo andare a vedere, se succede qualcosa, se… -
- Anthony Stark, calmati per favore. – A parlare era stato Steve, finalmente alzatosi dalla sua sedia. Ora stava in piedi di fronte all’altro uomo, costringendolo a non scappare.
- La tua armatura è in buone mani, se ne sta occupando la signorina Hill in persona. –
- Io… io ci metto nottate intere, giorni interi per costruire quelle armature, e voi che fate? Le affidate a Maria Hill, una donna qualunque al servizio di un tipo losco. Loro vogliono la mia armatura, ecco perché mi hanno portato qui. Loro… -
- Stark, calmati. – la presa salda sulla sua spalla non gli lasciò scampo, facendogli rivenire in mente un discorso fatto con il Capitano tempo fa.
Finalmente capiva cosa intendesse Steve con quella domanda.
Senza l’armatura lui era vulnerabile, scoperto, e debole. Senza alcuna difesa o barriera, senza alcun rifugio.
- Sono calmo. – stava mentendo e una parte del suo cervello continuava a dargli l’allarme. Clint chiuse la tenda, anche se ormai il danno era fatto.
Gli mancava l’ossigeno. Aveva bisogno di respirare, di aria, aveva bisogno che Steve si allontanasse da lui, che lo lasciassero in pace, che se ne andassero e che gli dessero la sua armatura. Da un momento all’altro sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa.
- Fury ci vuole qui per darti una mano. Non riteneva che Banner fosse uno dei più adatti per questo e ‘Tasha… be’, ultimamente abbiamo avuto qualche divergenza artistica, per così dire, ma credo che con te si farà presto viva. –
Tony annuì, tornando a sedersi sul bordo del letto, senza sentirlo veramente. Chiuse gli occhi, continuando a prendere profondi respiri. Ci stava riuscendo, si stava calmando.
- E tu, Capitano? Cos’è che ti ha mosso a compassione? Un sentimento di puro amore verso Maria? –
- Sono in debito con tuo padre, se proprio ti interessa. E poi non si rifiutano le richieste di Fury. E’ questo che faccio. –
- L’inserviente? O lo psicanalista, non ho capito bene. – ironizzò lo scienziato, con una parvenza di sorriso in volto.
- Aiutare la gente. – spiegò Steve.
- Certo che voi veterani del ’45 proprio non ne avete di umorismo. –
- No, ti assicuro che è un uomo esilarante, specialmente durante i tornei a Wii Sport.
si intromise Clint. Aveva seriamente paura che i due avrebbero ricominciato a litigare, anche se Tony non sembrava nelle condizioni.
Dopotutto era uno sbruffone, uno di quelli che crede di avere il mondo ai suoi piedi. E l’arciere non poteva nemmeno non condividere, perché sapeva che in fondo era così. Lui era Tony Stark.
Steve Rogers invece era un paladino della giustizia, di quelli che guardano più all’aspetto umanistico di ogni cosa. Uno di quelli che avrebbero dato la loro vita per combattere gli sbruffoni.
- Vorrà dire che prima o poi faremo una partita insieme, non è così Cap? –
Ci fu un momento di silenzio nel quale Steve valutò attentamente la richiesta.
- Solo se ti lascerai aiutare senza mettermi i bastoni tra le ruote. – acconsentì.
- Mh. Volendo potrei fare a meno della partita. – sorrise ai due Vendicatori. Ormai aveva ripreso fiato. In pochi istanti aveva raggiunto la porta, e vi era scomparso dietro.  
 

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Capitolo 3
*** New York. ***


Ciao a tutti, belli e brutti! ♡
Nah, scherzo, siete tutti superbamenti meravigliosi - soprattutto se ci lasciate una recensione ;DD basta anche un commentino piccolo piccolo, ma saremmo tanto felici di sapere cosa ne pensate!
Vi presento un capitolo che è stato definito molto "naturale", forse perché ci ho messo il lasso di tempo che ci mette una quercia a fare ghiande per finirlo (°V°)
Infatti devo chiedere pubblicamente scusa alla mia dolce metà, ma… alla fine ce l'ho fatta!
Mi sono presa la libertà di considerare alcuni eventi come descritti nei fumetti e non come si vedono nei film, che, per quanto possano essere belli (maddove?!), non superano comunque la loro primaria fonte di ispirazione!
In più, nei comics i momenti Steve/Tony non si contano… ;D
Basta, non vi annoio più del dovuto e vi lascio alla vostra lettura- un bacio gigante!
Iron Heart, half of the Superhusbands.
P.S. Qui potete trovare la canzone associata a questo capitolo ♥




Il sole delle dieci di mattina sbatteva violentemente su tutto ciò che trovava, come a rivendicarne il possesso tentando di inglobare oggetti e persone.
Tony Stark si era ben protetto dietro ad un paio di lenti Transition, che nel bel mezzo di Union Square in pieno centro di NY, avevano formato uno scudo intorno ai suoi occhi, impenetrabile anche ai raggi che scivolavano quatti quatti tra i grattacieli, oltre che agli sguardi delle persone che, passando, non riuscivano a fare a meno di buttare l’occhio.
Normalmente il newyorkese tipo si era abituato a badare soltanto a sè stesso, noncurante di qualunque personalità stravagante potesse incontrare, cosa che, d’altronde, nella Grande Mela capitava una volta ogni cinque metri, di media, nell’ordinaria, faticosa giornata di un cittadino metropolitano.
Eppure, Tony lo ammetteva, sarebbe stato quasi un sacrilegio non girarsi ad ammirare lo smagliante sorriso di Steve Rogers, o Capitan Calzamaglia, a seconda delle opinioni.
Sembrava andasse ad energia solare - e non aveva nulla a che vedere con la stella del nostro sistema, quanto più con la personalità del Capitano.
Ogni tanto quel sorriso affondava i denti in un croissant che spargeva fiocchi di sfoglia e zucchero a velo nell’etere, facendo sogghignare Tony, immerso fino al naso nel suo cappuccino doppio espresso con schiuma extra. I resti di un ciambella - qualche scaglia di glassa - giacevano su un piattino, accanto alla sua mano che tamburellava un ritmo cangiante e irriconoscibile sul tavolo.
– Non potresti toglierti quegli occhiali? –
Quello scatto risentito lo fece tirar su subito a sedere, la schiena incollata alla sedia in una delle più primitive posizioni di autodifesa. Tony si era preparato una lunga controargomentazione da esporre per qualsiasi cosa avesse osato criticargli, e non si sarebbe perso per nulla al mondo il momento di esporla in grande stile.
Non se ne capacitava neanche lui, di come lo SHIELD fosse riuscito a tenerlo segregato per tre giorni senza che provasse neanche a protestare, e probabilmente anche Nick Fury, da qualche parte nel mondo, stava tirando un sospiro di sollievo.
Eppure era stata una delle scuse più dolci che gli avessero mai fornito per staccare dal lavoro. Non era mica colpa sua, ce l’avevano trascinato loro lontano dalle preoccupazioni.
Ma che questo lo alleggerisse di un enorme peso, Tony Stark non l’avrebbe mai ammesso.
– Mi tenete segregato in un bunker per 3 giorni, senza caffè e sottolineo senza caffè, mi impedite qualsiasi contatto col mondo, estraniandomi da una casa che un tempo era anche la mia, mi fate uscire soltanto oggi, alle prime luci della mia alba personale, e pretendete che non porti gli occhiali? – ...pausa ad effetto, tanto per dare al senso di colpa per aver anche soltanto osato porre quella domanda il tempo di infiltrarsi.
– Volete forse che mi bruci la retina? – massima serietà e teatralità.
Era cruciale concludere con la massima serietà possibile, altrimenti tutto sarebbe crollato miseramente alla prima occhiataccia. Di solito, infatti, Pepper liquidava ogni suo istinto da avvocato mancato con un'alzata di occhi al cielo e un sospiro esasperato.
Fu per quello che Tony perse un colpo, sgranando gli occhi per una frazione di secondo, quando Steve, con un'aria vagamente impressionata, si affrettò a rassicurarlo: - No, no, certo che no! - Sembrava quasi scandalizzato, in un modo che a Tony fece anche un po' di strana tenerezza.
Lì si rese conto che, in fondo, non lo conosceva affatto.
E dire che teoricamente avrebbero dovuto essere una squadra.
Tony lo osservò guardarsi attorno, pensieroso e un po’ preoccupato, fregandosene del caffè che gli bruciava crudelmente la lingua e ingollando quel che ne rimaneva in un solo sorso.
– Vieni. –
L'occhiata spaesata di Steve non fece altro che far avvalorare la sua tesi.
La sua figura era stata creata per la guerra, nella guerra, con la guerra. E senza questa?
Chissà come doveva sentirsi lui, che non aveva neanche un’epoca in cui avere problemi, per cominciare.
– J.A.R… oh. – Tony si bloccò a metà azione, sul punto di alzarsi dalla sedia.
Già, quei simpaticoni dello SHIELD lo avevano privato anche del suo amico più fidato. Ogni volta che se ne ricordava era un duro colpo.
Magari faceva parte di un qualche piano di Fury per insegnargli qualcosa. Fino a quel momento l'unica abilità che aveva dovuto rispolverare era stata la capacità di fare il caffè alla vecchia maniera, usando la caffettiera. Pazienza, lo SHIELD ne aveva una in meno ora, ma aveva in compenso guadagnato un muro estremamente artistico.
A quanto pareva, però, quel giorno gli sarebbe servito anche il senso dell’orientamento. Poco male, quel posto gli era rimasto tanto impresso, dalla prima volta che ci era andato, da non essere riuscito a dimenticarsi dov'era neanche volendo.
Ci volle qualche minuto in più, ma la mappa che Tony si era creato in mente, sebbene molto più spiegazzata di quelle a cui era abituato, non fallì e ce li portò davanti.
Ea proprio un negozietto che sussurrava "vecchio" a pieni polmoni, rantolando un po’, "vecchio" nel senso buono, di ricordi quasi svaniti e di polvere onnisciente e silenziosa.
Tony spinse la maniglia, girandosi un'ultima volta come una maestra in gita per controllare se Steve ci fosse. Era stato bravo e fedele come un cagnolino e non lo aveva lasciato neanche un secondo. Ma che bravo.
La campanella rivelatrice appesa dietro la porta tintinnò, quando Tony fece finalmente forza, venendo investito da un odore terribilmente familiare.
Sgranò gli occhi, inspirando a pieni polmoni, e si rivide di nuovo, a sei anni compiuti da poco e due denti caduti da ancora meno, che stringeva spasmodicamente la mano di sua madre, inginocchiata accanto a lui con un sorriso dolce.
 

– Tony, ti piace questo disco? –
– ...Gnò! –
– Maria, andiamo! Non abbiamo mica tutto il giorno, lo sai! –
– Sì, Howard, un attimo soltanto... –
Aveva un sorriso così bello, così brillante da sconfiggere qualsiasi buio.

 
 
– Tutta la mia collezione di vinili natalizi proviene da qui. –
Tony sembrava quasi soddisfatto, un bambino orgoglioso del suo album di figurine.
Figurine rotonde, nere e stranamente grandi.
Era tutto quello che c'era in quelle due stanzette da pochi metri quadri; innumerevoli vinili impilati su scaffali, infilati dentro casse, placidamente dormienti negli angoli.
Un grosso giradischi troneggiava in mezzo alla stanza, la puntina appoggiata al bordo di un disco scintillante. La polvere sembrava volteggiare dappertutto senza mai posarsi da nessuna parte.
Steve si ritrovò a sfiorare con la punta delle dita le custodie dei dischi in un batter d’occhio, ancora prima di essersi reso davvero conto di dov’era.
– Ora ti senti appena un po’ più a posto di quanto voglia farti credere Fury? –
La domanda di Tony forse non aveva bisogno di risposta, magari era solo un dolce, indolore modo per fargli capire che non era l’unico con dei problemi, ma Steve non potè fare a meno di annuire istintivamente, stringendosi nella giacca di pelle.
Tony gli sfiorò una spalla delicatamente, mentre gli passava dietro in punta di piedi, sullo scricchiolìo delle assi di legno del pavimento, e scompariva nella saletta accanto.
L’unico suono che riscosse Steve dalla riflessione in cui era piombato fu una voce gracchiante ma viva, come appesantita anch’essa da tutta la polvere di quel luogo.
– Ragazzo, te lo regalo! –
– Oh, non ce n’è assolutamente bisogno. –
– Insisto! Qualche mese fa, poi, ho trovato... – la voce si abbassò, per conferire una segretezza invisibile ad un messaggio che forse orecchie anziane sentivano molto più basso di come era in realtà. – ...due bigliettoni da cinquecento infilati dentro un vecchio vinile di... di “Star Spangled Man with a Plan”, ecco cos’era! Devo sdebitarmi con il Dio benefattore, devo, capisci, giovanotto? –
A definire “giovanotto” uno come Stark, il proprietario del negozio doveva essere davvero un vegliardo.
Preso dalla curiosità, che lo aveva abbandonato per un solo istante quando era entrato là dentro, sentendosi di nuovo padrone del luogo in cui si trovava per la prima volta dopo un po’, Steve mosse qualche passo nella stanzetta sul retro.
– Caspita! E tu da dove sbuchi fuori? –
A giudicare dal ghignetto sul volto di Tony, era immensamente divertito dalla sua convinzione.
– Stavo giusto parlando di quel vinile, ma... sei proprio uguale a Capitan America, tu! –
Da un precario piedistallo fatto di libri, il vecchietto si tirò su, per andare a toccargli una guancia, non senza un discreto sforzo, siccome probabilmente ci sarebbe arrivato male anche salendo sulle spalle di Tony. Steve non ebbe neanche il tempo di rimanere sconvolto, perchè trenta secondi dopo lui era già schizzato nell’altra stanza con un’agilità sorprendente, lasciando i due temibili Vendicatori a guardarsi, cercando di non scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione.
Quando tornò due minuti dopo trotterellando allegramente, stringeva fra le mani vittorioso un disco più largo di lui, che quasi lo superava in altezza: stampata sulla copertina, in mezzo a stelle, strisce e donne ammiccanti, non c’era niente di meno che la figura di Capitan America in persona, alquanto rassicurante.
– Questo, invece, è per te! – il vecchio glielo porse con una sicurezza tale che Steve non potè neanche pensare di rifiutarlo. Si girò a guardare Tony, che gli sorrise incoraggiante, stringendo sottobraccio un altrettanto enorme vinile di chissà che cosa.
– Oggi avete rallegrato la mia giornata! Ve li meritate, figlioli! –
 
Con la benedizione del “magico vecchietto”, come Steve aveva scoperto che Tony era solito chiamarlo, se ne erano andati da quel posto, con grande dispiacere sia del Capitano che del vecchietto stesso, che aveva ritrovato il suo eroe di gioventù e non l’avrebbe lasciato mai e poi mai se non con la promessa di un’altra visita.
Tony aveva dovuto promettere anche a Steve che sarebbero tornati di nuovo, prima di soffiargli via la polvere dal naso ed ammirare quel pezzo d’antiquariato che stringeva sottobraccio.
– Wow. Penso che una cosa così valga un bel po’, ma sono felice che sia nelle mani del suo legittimo proprietario. – accennò addirittura un’occhiolino, prima di sopprimerlo per lo sguardo stranito di Steve.
– Scherzavo! Immagino che la propaganda non sia stata esattamente la tua parte preferita... –
Tony era fatto così. Gli piaceva ricordare i momenti, belli e brutti.
Magari il vinile di canzoni natalizie che stringeva sottobraccio era un piatto di bei ricordi pronto all’uso.
– La tua parte preferita del Natale sono le canzoncine romantiche, invece? –
C’era giusto un pizzico di acidità nella domanda di Steve, tanto da far spuntare un sorrisino compiaciuto sulla faccia di Tony, ma il resto era tutta sana e genuina curiosità, oltre a una buona dose di “cambiamo-argomento-per-favore”.
– Sono l’unica cosa del Natale che non è diventata sempre più eccentrica e materialista col passare degli anni, diciamo che la penso così. –
– Oh, beh, anch’io. Quando l’America era in guerra... oh, Dio, sembro così anziano.
– Non è affatto vero. Io fisicamente sembro molto più vecchio di te, e non credere che la cosa mi faccia piacere. – Tony si schiarì la voce. – Quando l’America era in guerra...? –
– ...Quando eravamo in guerra, passai un ultimo Natale a casa prima di essere scoperto dal dottor Erskine. Strano ma vero, Jingle Bells è il mio punto di connessione col presente. Mi è capitato di risentirla, qualche giorno fa, e mi è tornato in mente tuo padre, sai? La teneva sempre in sottofondo in laboratorio... –
Steve si ridusse a pensieroso, continuando a camminare, fermato prontamente dal braccio di Tony ad un secondo dall’essere travolto da un taxi frettoloso.
– Ci sono ancora più macchine a New York, incredibile, vero? – Tony dovette urlare il suo sarcasmo per sovrastare il rumore del traffico, ora che un paio di passanti veloci li avevano divisi mentre attraversavano la strada.
– Fin da quand’ero piccolo, mio padre ha sempre collezionato vinili, soprattutto quelli di canzoni di Natale. Ogni anno voleva comprarne uno nuovo, di solito andavamo tutti e tre in quel negozio, ma alla fine era sempre mia madre a scegliere. – Tony scrollò le spalle, come a buttar via anche il ricordo.
– Ora... – proseguì, – se, e sottolineo se, per ipotesi, avessi un laboratorio in cui lavorare, metterei anche questo meraviglioso vinile appena ricevuto... assomiglio abbastanza a mio padre per rievocare il ricordo? –
– Sei uguale. – Steve rispose senza nessuna esitazione.
Si rese conto dopo che forse per Tony non era esattamente un complimento, ma lui lo intendeva esattamente così.
– Anche tu sei una specie di Jingle Bells. – si affrettò ad aggiungere.
L’occhiata interdetta che Tony gli lanciò, una delle migliori, con un sopracciglio alle stelle e l’altro corrugato quasi fin sopra l’occhio, gli fece capire di non essere stato particolarmente chiaro.
– La prima voce che ho sentito quando mi sono svegliato era la tua, che blateravi qualcosa a proposito di shock elettrico o quel che era. Il mio primo pensiero è stato “Per fortuna sono vivo e vegeto, pochi minuti e Howard mi avrebbe dato la scossa senza pensarci due volte!”... poi ho scoperto che eri suo figlio e io ero in ritardo di circa settant’anni, ma... intanto la tua presenza mi ha rassicurato un po’, ecco. Speravo nei geni, ma sono stato tradito. – Steve si lasciò andare ad un sorriso sornione. Sempre in guardia.
– Direi proprio di sì. – Tony sembrava addirittura più deciso di lui.
Steve sorrise in silenzio, guardandolo stringere le labbra e accelerare il passo in quell’espressione di ripicca offesa che, glielo doveva concedere, era tutta sua.
Poi si sentì afferrare per la manica e trascinare fino all’angolo della strada. Il muro di mattoni rossi non era particolarmente confortevole, ma almeno lì non rischiavano di essere travolti, nell’ordine, da una donna con una cascata infinita di minuscole treccine, un ragazzo vestito di fucsia sgargiante dalla testa ai piedi e un individuo infilato in un pennuto vestito da pollo che distribuiva assaggi gratis.
Steve non si era ancora abituato alla varietà e soprattutto alla particolarità del popolo newyorkese, ma, dopo aver perso dieci simbolici dollari contro Nick Fury, non aveva osato scommettere di nuovo.
In più molte cose andavano soltanto... aggiornate un po’, ecco.
Come, ad esempio, il cinema che gli stava davanti: c’era anche ai suoi tempi, si era semplicemente evoluto fino a diventare un mostruoso multisala 4D con ogni tipo di esperienza sensoriale, sfumatura di colore e dettaglio di profondità possibile!
– Steve, pronto? Ventunesimo secolo chiama Rogers! –
L’istinto di mettersi in riga e portare una mano alla fronte nel saluto militare fu subito soppresso, magari grazie alla parola ‘ventunesimo’.
– Bravo soldatino! Mi stavo chiedendo se avessi voglia di andare al cinema, dato che lo stai fissando da almeno due minuti con aria assente. Ti devo avvisare però che i bei film, quest’oggi, sono delle vere perle di rarità. – borbottò Tony.
– Allora? Beh, sai cosa ti dico? Chi tace acconsente.
L’espressione di vittorioso trionfo sul volto di Tony non gli lasciò scampo.
Steve ebbe il tempo di interrogarsi per un paio di secondi sul suo potere decisionale prima di essere di nuovo trascinato dall’altra parte della strada.
 
Un discreto film e quattro cheeseburger dopo, Steve aveva scoperto di condividere con Tony più cose di quante credesse e di differirne in altrettante.
Oltre al debole per le canzoni natalizie, avevano in comune anche la passione per i mastodontici panini americani e l’odio viscerale per i film horror splatter, l’uno per semplice ipersensibilità, l’altro per poca fedeltà a quella che era la sua tanto amata scienza.
Ah, già, Steve Rogers non avrebbe mai toccato alcool in quel che rimaneva della sua vita, mentre Tony Stark non riusciva ad andare a dormire sereno, in quel periodo della sua vita men che meno, senza un goccio di qualche “superalcolico stordente”, come definiti dall’unica persona al mondo immune alle sbronze.
– Felice di essere la tua Jingle Bells, comunque. – furono le ultime parole che entrambi udirono, biascicate, prima di crollare su poltrona e divano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Hard to Explain. ***


Notes:

Di nuovo, salve a tutti!
Innanzi tutto parto col ringraziare con tutto il mio cuoricino tutti quelli che hanno letto, recensito e messo nelle fanfiction seguite e preferite la nostra storia, vi amiamo, siete degli zuccherini. ♥ - wtf. -
In secondo luogo, sono felicissima di vedere che il progetto sta funzionando.
Questo capitolo è stato scritto a metà, da me e l'amata collega (♥) e... amo come ha reso il tutto. Non vi faccio spoiler strani, però.
Comunque in itinere abbiamo cambiato praticamente tutta la trama.
Perchè? Non lo so nemmeno io.

Fatto sta che... la smetto e vi lascio alla lettura, giuro.
Grazie ancora! ♥ P.S. La canzone che abbiamo usato questa avolta apparitene agli Strokes, che sono a mio parere un gruppo fantastico. Se volete ascolarla, potete farlo cliccando qui! ♥ Cap, half of the Super Husbands.




Buon mattino carissimi e carissime che ci fanno l'onore di seguirci
Eh giá, mattino, siccome abbiamo preso quest'insana abitudine di aggiornare il giovedì....... alla mezzanotte e qualche minuto del mercoledì notte. YUHU. Quindi teoricamente è giovedì mattina!
Basta, okay, la smetto di cianciare e vi lascio alla lettura del capitolo, stavolta spezzato in due. A me è toccato scrivere la seconda parte - niente spoilers! - cosa che pregustavo giá da tempo e che mi sono divertita immensamente a buttar giù. Spero di non aver esagerato, che la cosa sia credibile e, soprattutto, che vi piaccia!
Enjoy (and recensite BD)
Iron Heart, the (other) half of the Super husbands.




#4. Hard to Explain.



– Che eleganza! – esclamò Steve, tornando sui suoi passi.
Stava percorrendo il corridoio dove si trovava la stanza di Tony, aperta, per dirigersi in cucina. Dopotutto i supersoldati hanno bisogno di una supercolazione.
Scosse la testa per il pensiero idiota che aveva appena formulato, tornando a guardare l’uomo che ormai aveva di fronte. Indossava un completo scuro sopra ad una camicia a righe. L’unico indumento che stonava terribilmente era la cravatta, perché be’, di certo quello non era uno dei migliori nodi che avesse visto nella sua lungamente breve vita.
- Ora che me l’hai detto, credo proprio che dovrò cambiarmi d’abito. La moda di novant’anni fa, di questi tempi, è un po’… vintage. – inarcò un sopracciglio, e Steve fece ciò che in quella settimana passata insieme aveva capito che avrebbe dovuto fare ad ogni sua minima provocazione: lo ignorò beatamente, entrando nella sua stanza.
- Peccato per la cravatta. Ho visto criminali organizzati con un nodo migliore del tuo. –
Gli occhi di Tony furono attraversati da un lampo di… divertimento?
- Sistemala, allora. So che è tutta la vita che aspetti per poter fare il nodo alla cravatta del grande Stark. ...Ah, l’hai rifatto. –
- Rifatto… cosa? – Steve si domandò se non fosse davvero folle. Nel lasso di tempo passato con lui ne aveva notati di atteggiamenti insoliti, e i dubbi si stavano insinuando sempre di più nella sua mente. Magari era una prerogativa delle persone intelligenti, ma non aveva mai notato certe caratteristiche in Howard, che pure era suo padre.
– Hai alzato gli occhi al cielo. Di nuovo. –
– Mi hanno insegnato a farlo per sottolineare l’idiozia di qualcosa e liquidarla nello stesso momento. –
– Decisamente fuori luogo. –
– Decisamente appropriato. – si avvicinò all’altro, sistemandogli l’oggetto della discussione con pochi movimenti fluidi.
Poi gli voltò le spalle, uscendo dalla stanza.
– Non vuoi nemmeno sapere dove sto andando? –
– Sinceramente? No. Ehi Clint, potresti scaldarmi un toast? –
Clint, che se ne stava di fronte ai fornelli con aria pacata, annuì di buon grado, prima di infilare una fetta di pane nel misterioso oggetto di metallo che lo ingoiava freddo e lo risputava fuori caldo. C’erano delle cose – parecchie cose – che per Steve erano ancora un mistero. Ma, da quando Tony aveva fatto esplodere una banale caffettiera che anche lui sapeva usare, non se ne curava più di tanto.
Era scioccato e felice al tempo stesso che le sue conoscenze in fatto di elettrodomestici non superassero quelle di un miliardario dal QI strabiliante.
– Dovrebbe interessarti invece. –
– Stai per rubarmi la moto? –
– No. –
– Allora no, grazie. Non mi interessa. – una volta pronti i toast, Steve si sedette al tavolo.
– Oggi è un anno che io e la signorina Potts ci frequentiamo. – annunciò, con un’aria un po’ troppo teatrale per i gusti del biondo.
Clint girò invece la testa, distogliendo l’attenzione dal bacon per qualche istante.
– Non ci credo. Un anno con la stessa donna! Che razza di pazienza ha? –
– Evidentemente quella che manca a Natasha. –
– Tra me e Nat non c’è nulla che non vada! E’ solo arrabbiata perché le ho tenuto nascoste un paio di storie… cose da niente. Se Pepper se la prendesse per queste piccolezze saresti fritto, amico. – Steve continuò a mangiare, con la testa bassa. Quello non era decisamente il momento di pensare a Peggy, capitolo della sua vita ormai archiviato. O almeno era quello che si ripeteva ogni notte.
Ventunesimo secolo. Nuova vita.
– Avrei bisogno di un aereo. –
– Dovresti chiedere a Fury. – propose Clint sedendosi accanto al Capitano, con un piatto che avrebbe potuto sfamare un esercito intero.

 

– Assolutamente… –
- Lo sapevo che potevo contare su di te. –
– Stark, fammi finire. Assolutamente no. – Steve guardò interrogativo il grande schermo sul quale era riflessa la faccia di Nick Fury, attuale Direttore dello S.H.I.E.L.D.
– Perché no?! – esplose Tony. Quello, Steve lo sapeva, di certo non era un buon segno.
– Passi J.A.R.V.I.S, che non è con me da ben due settimane. Passino le mie costose macchine, rinchiuse non so dove. Passino addirittura le armature, sì, tutte quelle che possiedo. – ci fu un istante di pausa in cui Steve fece scivolare lo sguardo da Fury all’uomo che stava accanto a lui.
– Ma Pepper, oh, non potete certo impedirmi di vederla! –
– Vedi Tony, il lavoro fatto fino ad ora andrebbe perso. Sai com’è lei… -
– E sai come sono io, Nick. Non costringermi a scappare. –
– Tony, non puoi scappare. Non hai niente che te lo consenta, e, perdonami se te lo faccio notare, con te ci sono un supersoldato e un arciere professionista. Inoltre il perimetro è circondato. Steve, per favore… -
– A dire il vero, non vedo perché non dovrebbe andare. – Tony si voltò a guardarlo, senza nascondere lo stupore.
– Non tornerà. Pepper non era felice di questa storia. –
– Ma… –
– Niente ‘ma’, Capitano. – lo schermo si spense bruscamente, e Steve scosse la testa.
Tony battè un pugno sulla scrivania che stava lì di fronte.
– Stark… -  calò il silenzio tra loro.
– Aiutami. Ad uscire da qui, intendo. –
– Non ce lo lasceranno fare, ti controllano. Non riuscirai a passare i confini di New York. Senti… Fury sta sbagliando, ma Pepper capirà. E prima finirà questa storia, prima potrai tornare da lei. Avete ancora una vita da passare insieme… – quelle parole gli pesavano sul cuore, ma erano sincere. Dopotutto, lui non aveva più una vita da spartire con la donna che amava, perché lei non c’era più.
Tony sospirò e Steve capì che era un sospiro di resa.
– Bene. – diede le spalle all’enorme schermo nero, uscendo a grandi passi dalla stanza. Era decisamente meglio arredata delle altre, munita di diversi schermi e tastiere. Le tende tirate in maniera che fosse abbastanza oscurata da trasmettere più nitidamente le immagini le conferivano un aspetto formale e forse un po’ troppo moderno.
– Dove stai andando? – il campanello d’allarme tornò a farsi vivo nella sua testa. Che avesse avuto qualche pericolosa intuizione?
– Conosco un posto dove servono dell’ottimo whisky. – Stavolta il sospiro venne da Steve.
– E va bene, Stark, ti accompagno. Per essere sicuro che tu non faccia scemenze, ovvio. – Le spiegazioni di Steve divertirono Tony. Alla fine, non era così male come credeva, pur essendo un uomo di un metro e novanta al servizio della giustizia, con un costume vagamente troppo patriottico.
E ridicolo.
– Per essere sicuro che io non faccia scemenze, sì. Ovvio. Ah, l’hai fatto ancora. Sicuro che non sia un tic nervoso? –
Steve fece cadere la risposta che stava per dargli. Era ancora palesemente infuriato, ma già il fatto che fosse tornato a provocarlo come prima gli dava speranze.

 

– Bene, ecco... –
Una porta più pesante del dovuto, bella classica, con la sua brava maniglia d’ottone lucidato a specchio e tutto il resto, scivolò al suo posto alle loro spalle.
Erano appena sgusciati dentro quello che sembrava un locale un po’ vecchio stampo.
Allora a Tony piacevano quel genere di cose, sebbene si sforzasse di chiamarlo ‘vintage’, ‘nonno’, ‘pezzo d’antiquariato’ e altri fantasiosi nomignoli che, per cercare di sembrare più discreto, usava quando era certo che Steve fosse alle sue spalle ed altrettanto sicuro di poter fingere di non averlo visto.
– Ora io e te, mio caro, ritrovato amico, escogitiamo un bel piano. –
Un’altra delle famose pause teatrali che tanto tenevano col fiato sospeso il pubblico di Tony riempì lo spazio che servì loro per issarsi sugli sgabelli al bancone.
Un cenno al barista, e il whisky promesso era in arrivo.
Steve non potè fare a meno di soffermarsi a guardare il ghiaccio che scivolava nel bicchiere. L’ultima volta che aveva bevuto qualcosa del genere era stata quando aveva inutilmente tentato di affogare i brutti ricordi, insieme ad un sè stesso che ancora non si piaceva troppo.
– Ehi- all’alcool ci pensiamo dopo. – Tony gli afferrò la mascella con due dita, presa salda ma delicata, e gli fece spostare la testa fin quando non fu sicuro di avere la sua piena e completa attenzione, almeno visiva. – Adesso è il momento della missione... ‘Alcatraz’. –
Steve rischiò di scoppiargli a ridere in faccia.
Doveva assolutamente dire a Fury che il piano di riabilitazione che aveva in mente per Tony Stark era completamente sbagliato, anzi, lo stava rincitrullendo a velocità esponenziale.
La sua sconfinata educazione gli impedì sul momento di esprimersi a parole sul tema, ma un sopracciglio alzato in un’occhiata di estremo... terrore? fu abbastanza per far capire a Tony che forse doveva fare un passo indietro – anche sul posto non sarebbe stato male, tanto per pensare due volte a quello che aveva appena detto.
– Aaaah, ho detto ‘Alcatraz’ perchè è un termine universalmente conosciuto che- –
– Tony. Ti prego. – lo interruppe Steve, una sincera espressione di supplica in volto.
– Risparmiami questi “fantasiosi”... – ehi, cominciava ad usare il sarcasmo anche lui! – ... nomi in codice e dimmi che non stai progettando una tua ipotetica, strampalata e fallimentare fuga a Malibu o dovunque si trovi la tua donna, per favore. –
– Steve, non posso lasciarla sola! –
Il volume della voce che cominciava a salire fu azzerato dal secco tintinnìo dei bicchieri appoggiati davanti a loro con una certa discreta ed elegante violenza dal barista, che gli lanciò un’occhiata eloquente.
Giusto, contegno e appropriatezza sociale.
– Non mi sembra normale- –
Il sussurro di Tony fu interrotto da una suoneria piuttosto inopportuna, che li fece sobbalzare entrambi. Il proprietario del cellulare usò quel salto come molla per catapultarsi direttamente in piedi, facendo scattare il cellulare aperto in risposta, in un gesto probabilmente provato mille volte e consolidato dall’abitudine.
– Pronto? –
Ecco, la prossima mossa era inserire nella combo anche un’occhiata al display per vedere chi stesse chiamando.
Steve, che aveva appena preso un sorso di whisky, non ebbe neanche il tempo di assaporarlo per bene. Gli occhi di Tony si sgranarono, sbigottiti, e in un gesto che poteva significare sia un normale ‘torno subito’ che un ‘sto scappando, non aspettarmi’  si era già dileguato, sgusciando fuori dal locale con una rapidità che Steve maledisse almeno tre volte, se non quattro.

 

– Pepper, ascolta, tesoro- –
Era stato più meno quando aveva svoltato l’angolo che le cose avevano cominciato a scivolare giù dalle montagne russe a velocità folle.
Tony, ricorda che le montagne russe hanno sempre una salita dopo la discesa, e tu hai in mano il carretto. Tocca a te evitare lo schianto.
Respirò a fondo, togliendo il cellulare precariamente dalla sua guancia, quasi come fosse una bomba pronta ad esplodere.
Ops, pardon. Chi c’era dall’altra parte della cornetta era una bomba a tempo, l’aveva riconosciuto dal tono che aveva preso non appena aveva risposto alla chiamata.
I secondi sul suo orologio ticchettavano inesorabili verso una sfuriata, già lo sapeva, eppure la sua vile natura di essere umano gli impediva di non tentare almeno di salvare la situazione in qualche modo.
– Ascoltami, Pep. Sono qui, a New York- –
– Grazie tante, Tony! Questo lo so fin troppo bene! –
Ahi.
– ...a New York, sotto la custodia dello S.H.I.E.L.D., che mi tiene sotto stretta sorveglianza per ordini diretti di Nick Fury, che sarebbe teoricamente il mio unico superiore, senza contare Dio, che, però, a volte c’è, a volte si assenta. –
– ... –
Phew.
– Io ho già provato a parlarci, ma non mi lascia uscire da un maledetto raggio di tre chilometri dall’edificio o forse anche meno, figurati, mi ha già negato il permesso di prendere un aereo, neanche fossi un pericoloso terrorista. –
Il silenzio di Pepper ora cominciava ad inquietarlo, perchè temeva che fosse la fase finale.
– Quindi... che ne dici se provo a metterti in contatto direttamente con lui? Magari tu riesci a convincerlo. A... a mandarmi da te, o a farti venire qua, o qualsiasi cosa. –
A farmi venire là?
La lentezza con cui aveva ripetuto le sue parole, come se le considerasse il più grande affronto mai ricevuto, era un colpo che Tony se la sentì di incassare soltanto, senza azzardare risposta.
– Farmi venire a New York? Cosa credi che sia io, un... un burattino al servizio di Nick Fury, o, ancora meglio, di Tony Stark? Pensi che non abbia già il mio bel daffare a gestire le tue, sì, proprio le tue, siccome fra l’altro io non figuro neanche nel contratto di locazione!, beneamate Stark Industries?! –
– Pepper, ti prego, cerca di capire che- –
– Di capire cosa? Di capire perchè te ne sei andato improvvisamente, lasciandomi quasi senza uno straccio di spiegazioni o- o di prova, dicendomi che lo S.H.I.E.L.D. ti ha praticamente rapito contro la tua volontà?! No, perchè, sai com’è, cerco di capirlo da due settimane a questa parte ormai, ma ho avuto talmente tante telefonate, incontri, proposte e fogli da firmare che credo di essermi dimenticata come si mangia! –
Ahi, di nuovo. Brutto colpo, quello sulla salute personale.
Pepper sapeva, subdolamente, che era una delle cose capaci di far preoccupare Tony irrazionalmente, non importava quanto poco potesse farci o quanto fosse o meno suo compito pensarci.
Respiro profondo. Trova il tuo punto zen, calmo e indisturbato.
– Pep, non ti sto facendo un torto per mia volontà. Non posso andarmene, un uomo solo contro una branca del governo armata fino ai denti; non posso fare nulla, so che questo ti fa arrabbiare, ma so anche che sei una donna intelligente e che puoi capirlo.
Pensi che mi faccia piacere saperti sovraccaricata di lavoro? Credi che mi diverta forse? Pep, tutto quello che ti sto chiedendo è soltanto un po’ di pazienza. –
Tony riprese fiato di scatto, per poter ricominciare prima che lo facesse lei.
Alt! Finisco io adesso. – sospirò, un po’ dolorosamente. – So che ne hai già avuta fin troppa... ma non posso far nulla se non prometterti che sarà tutta ripagata. Ti prego, cerca soltanto di avere fiducia. –
Ripose le sue speranze in quel punto invisibile a fine frase, Tony, ben attento a non mettercele proprio tutte tutte, ma a conservarne almeno un paio da curare, se quelle fossero state spezzate nel turno che aveva appena passato a Pepper.
La vita di New York andò avanti senza di loro per qualche istante che a Tony sembrò interminabile, tempo in attesa di una risposta che ingannò concentrandosi sui passanti.
Quando finalmente gli arrivò un soffio di risposta all’orecchio, ne fu più che felice.
Pazienza. – la voce di Pepper si era incrinata. Probabilmente, da come la conosceva, una lacrima stava per rotolare giù sulla sua guancia, il labbro inferiore che tremava nello sforzo di impedire la sua discesa.
– Beh, sai che ti dico, Tony? Con te, io di pazienza ne ho avuta fin troppa. –
Soltanto il tu-tu-tu del cellulare, banale anche in quello del grande Tony Stark, rimase a far riecheggiare le sue parole.
Quando finalmente si girò, il suo sguardo incontrò gli occhi un po’ affranti un po’ interrogativi di Steve, teso nella preoccupazione di averlo trovato soltanto in quel momento.
– Beh, sai che ti dico, Steve? –
L’occhiata confusa che gli lanciò lui di rimando non bastò a mettergli voglia di spiegare quella citazione amareggiata.
– Credo proprio che il piano ‘Alcatraz’ sia da annullare. –

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Invincible. ***


Di nuovo, salve a tutti!
Siamo finalmente arrivate al 5° capitolo! Ci spiace di non avr aggiornato ieri a mezzanotte, ma non sono riuscita a scrivere il capitolo e ieri sera l'ho preso come giorno di pausa causa birthday. ♥
Che dire, spero che non sia troppo OC e... non lo so, speriamo che vi piaccia. -paranoie a gogo-.
Grazie come sempre a tutti coloro che hanno letto, commentato e inserito la fanfiction nelle seguite e/o preferite! Siete fantastici, davvero. 
Come al solito, saremmo felici se ci faceste sapere cosa ne pensate e... niente, alla prossima! ♥
Cap, half of the Super Husbands.

Capitolo 5 - Invincible.



Steve si trovò di fronte ad una porta che non aveva mai visto, ma doveva necessariamente essere quella.
La Stark Tower aveva tantissime porte, dietro le quale si nascondeva anche il quartier generale degli Avengers, e Steve di certo non le aveva visitate tutte.
Con una mano, afferrò la grande maniglia dorata. Era lucidissima, senza nemmeno un graffio. Si vedeva che quel posto era curato giornalmente da capo a piedi.
La spinse verso il basso e la aprì, per poi richiudersela alle spalle.
A quanto sembrava era stato il primo ad arrivare, perchè non c'era nessun'altra forma di vita nei paraggi.
La stanza nella quale aveva appena fatto capolino era grande, addirittura più grande della stanza della palestra. Aveva il soffitto alto, liscio e bianco. Dava su una vetrata enorme, come quasi tutte le stanze.
A febbraio, il buio calava verso le quattro di pomeriggio, perciò ad ora di cena le strade erano già tutte illuminate scenicamente. Ogni volta che guardava quello spettacolo notturno si meravigliava di quanto fosse cambiata la sua America. 
Spostò lo sguardo dalla finestra alla stanza. Sulla sinistra, quasi nascosto nell'angolo, un pianoforte dall'aria abbandonata e i tasti coperti poggiava sul parquet.
A qualche metro da quello, invece, c'era un tavolo da biliardo. Le palline perfettamente in ordine, come le stecche. Anche questo aveva l'aria di essere un oggetto mai stato usato. Tentò di immaginare Tony giocare a biliardo, e il ruolo gli si addiceva tremendamente bene.
Sorrise, per poi scuotere la testa e proseguire con l'esaminazione. Dal lato opposto della stanza, decidsamente più vivo e accogliente, si trovava un caminetto scoppiettante. Steve non potè fare a meno di chiedersi quando fosse stato acceso, e soprattutto il perchè. Era vero che fuori faceva freddo, ma spesso e volentieri dentro al palazzo aveva girato a maniche corte. Il calore che emanava, però, non gli dispiaceva poi così tanto. Davanti a quello, c'era un tavolino basso di legno, sul quale erano appoggiate diverse bottiglie di vetro, sulle quali erano attaccate delle etichette scintillanti.
Infine, al centro della stanza, un tavolino apparecchiato per tre.
Le pareti erano di un caldo color crema, che si intonava con l'arredamento generale; su queste erano affissi diversi quadri, decisamente più belli di quelli che si trovavano nelle stanze degli ospiti.
Su uno ad esempio si trovavano diverse linee astratte, che al suo occhio però apparivano come una faccia di donna, il tutto colorato di verde, rosso e un fucsia sgargiante. Alla donna in verde mancavano alcuni alementi fondamentali, come gli occhi ad esempio, però gli sembrava che gli stesse sorridendo in maniera affascinante.
Proprio in quell'istante, la porta si spalancò, rivelando la figura di Tony seguita da quello che sembrava un cameriere.
– Togli un posto, a quanto pare gli ospiti provano piacere nel boicottare gli appuntamenti. – si lamentò, sbuffando.
L'uomo che era con lui eseguì gli ordini, per poi uscire dalla stanza.
– Clint non viene? –
– No, me ne vado io. Secondo te? – da quando era avvenuto il fattaccio, la sua sottile ironia si era trasformata in una crudeltà affettatrice. 
– Scusa. – rispose Steve, punto nel vivo.
Tony osservò per qualche secondo l'espressione dell'altro, poi alzò gli occhi al cielo e con un cenno della mano lo invitò a sedersi al tavolo.
– Allora, Paladino della giustizia, che hai fatto stamani di così importante da farti dileguare per tutta la giornata per le vie dell'affollata New York? –
– Che ne sai che mi sono dileguato per tutta la giornata a New York? Mi fai seguire? –
Tony ignorò beatamente le domande che gli aveva appena posto, proseguendo con le sue, di domande.
– Sei andato a salvare qualche scuola in fiamme? –
– Ho dovuto incastrare un tizio. – spiegò, passando sopra al fatto che avesse appena fatto finta che non esistesse.
– Allora immagino che avrai fame. – Tony piegò le labbra in un sorriso, e qualche minuto dopo, come se l'avesse chiamato, tornò il cameriere di prima con due piatti. Steve non sapeva cosa contenessero, non era troppo abituato al cibo dei miliardari.
Con il coltello, tentativo, tagliò la carne e ne prese un boccone.
– Stai meglio? –
– Secondo te? – Steve non disse niente.
– Non risponde al telefono, non ne vuole sapere. –
– Vi chiarirete... –
– Sì, e non intendo avere a che fare con lo S.H.I.E.L.D. per un po', finita questa storia. –
– Be'... da quando sei qui la cosa va decisamente meglio. Hai ripreso a dormire e non hai più paura delle abduzioni aliene o sbaglio? –
– Lo devo ammettere, un periodo di vacanza è stato... – scandagliò il suo vocabolario alla ricerca del termine più adatto. – ...è stato rilassante. Ma rilassante come non accadeva da tempo. Adesso, senza pensare a Pepper e il resto, ho dormito, non ho fatto assolutamente nulla per due settimane... ah, salvo sopportare certi imbecilli in tutina, ovvio. – 
– Grazie tante. – bofonchiò Steve, riprendendo a mangiare.
– Era un pezzo che non giravo per New York e, a dire la verità, non mi era mai capitato di farlo con un novantenne così arzillo. –
– Eppure, non sono io quello con la faccia piena di rughe. – Tony poggiò la forchetta, assumendo il solito tono da bambino troppo cresciuto – in quel caso, veramente troppo.
– Sono rughe d'espressione. –
– Già, infatti. Esprimono l'età avanzata. –
Tony puntò un dito accusatorio verso di lui
– Stai diventanto un po' troppo ironico per i miei gusti. –
– Che ci vuoi fare, passando il tempo con certi imbecilli in armatura... –
– Odio quando usano le mie frasi contro di me, non farlo più. – Steve alzò gli occhi al cielo, nascondendo un sorriso dietro al bordo del bicchiere.
– Certo che è triste bere acqua. – 
– Uno, il mio fegato mi ringrazia immensamente. Due, anche volendo sarebbe del tutto inutile. –
– Che brutta vita. – 
– Disse l'alcolizzato. –
– Non sono alcolizzato! –
– Come se non avessi letto i tuoi documenti. –
Tony sorrise, porgendosi appena verso di lui e portando l'ennesima sorsata del vino che era a tavola alle labbra. 
– E così, Capitan America va in giro a controllare le schede altrui. Non è molto professionale, sai? –
– Non è che l'ho fatto per divertimento, mi serviva... –
– Sì, ti serviva. Come no. –
– Nelle note c'è scritto anche che interpreti le cose – frasi, comandi, azioni, gesti – a modo tuo. Nelle note negative intendo. E superano di gran lunga quelle positive. – finì di mangiare, e il cameriere servì diverse altre portate.
Alla fine della cena, anche Steve, che aveva il metabolismo quattro volte più veloce di quello umano, stava scoppiando.
– Muoio... –
– Basta così poco per uccidere un supersoldato? – chiese il moro, alzandosi dalla sedia e cominciando a passeggiare di fronte alla grande vetrata. In cielo non si vedeva nemmeno una stella per via delle luci della città, che illuminavano tutto. Del resto New York era una città che non dormiva mai.
– Senti, Rogers, ti va di fare un giro? – gli chiese infine, voltandosi a guardarlo. Steve, che si era appena alzato dalla sedia, annuì lentamente.
 


– Sei sicuro che sai guidarla eh? E' tecnologia avanzata. –
– Oh, 'sta zitto! – borbottò Steve, accendendo il motore della moto. Era un gran bel modello, naturalmente procuratogli da Fury in persona; una delle prime cose che aveva visto, dopo il grande shock iniziale, nonchè una delle più familiari. Quando era nell'esercito, ne aveva una sua. Era stato – a suo tempo – il suo primo importante acquisto.
– Allora, devi dirmi dove andare. – fece.
– Sì, Capitano. – Tony salì dietro a lui, finendo di allacciarsi il casco. La moto partì e Steve cominciò a seguire alla lettera le indicazioni del navigatore improvvisato, sbagliando strada giusto un paio di volte. A suo dire, perchè Tony non era capace a dare indicazioni chiare, a sentire Tony invece, perchè Steve non lo interpretava abbastanza.
– Qui va bene? – chiese Steve, dopo una ventina di minuti di guida e slalom per strade buie.
– Può andare, cowboy. – commentò l'altro, che nel frattempo, per non cadere, aveva deciso di aggrapparsi al giacchetto di Steve. Gli sembrava uno di quelli che un texano, cinquant'anni fa, avrebbe messo tranquillamente.
– Il mio giacchetto è bellissimo. – sospirò l'altro, mettendo il cavalletto alla moto e sfilandosi il casco. Poi lanciò un'occhiata dritta di fronte a sè, rendendosi conto forse per la prima volta di dov'erano arrivati.
– Siamo... siamo in spiaggia? –
– Complimenti scienziato. – Steve non fece in tempo a ribattere, perchè l'altro era già schizzato verso il mare.
– Ehi, aspetta... – lo seguì in fretta, infilandosi le chiavi della moto in tasca. Il vento che tirava lì era freddo, e gli passava attraverso i vestiti facendogli venire la pelle d'oca.
Il mare era mosso, le onde schiumose si infrangevano sulla riva e di tanto in tanto qualche schizzo d'acqua li raggiungeva.
– Sai, anni fa... tanti, anni fa, andavo al mare quando avevo una giornata no. – spiegò Tony, tenendo lo sguardo puntato sul mare nero.
– Mi rilassava. Per questo ho costruito la mia casa su una scogliera. – continuò.
– E pure, a pensarci bene, era da tanto che non avevo del tempo materiale da passare in spiaggia. – sospirò.
– Forse dovresti prenderti più tempo. Sai, non è necessario che tu venga rapito dallo S.H.I.E.L.D. per fare una pausa. –
– Equivarrebbe a lasciare il lavoro sulle spalle di Pepper, e... –
– sbaglio o anche lei si prende del tempo? – domandò.
– No, non sbagli. – con un sospiro, lasciò cadere il discorso. 
Non distolse gli occhi dal mare, ma Steve riuscì chiaramente a vedere il velo di malinconia che li appannava.
Gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Vederlo così combattuto gli faceva stringere il cuore, nonostante avesse sempre trovato Stark estremamente irritante e arrogante. 
Però, la sua era un'arroganza diversa da quella degli altri. Capiva che sotto ad ogni cosa che diceva c'era altro, che, anche se a volte risultava fastidioso, era perchè voleva apparire in quella maniera. Perchè voleva nascondere quello che pensava veramente, quello che provava. Sotto a tutto quel menefreghismo, alla figura autoritaria e solitaria che era, c'era dell'altro. Una persona diversa che, per brevi fortunati istanti, Steve era riuscito a scorgere. 
– Tony, ascolta. – cominciò.
– Sei umano. Anche tu hai bisogno di respirare, non puoi... non puoi sempre pretendere di salvare il mondo da solo, senza fare affidamento su nessuno. E' impossibile, te ne rendi conto? E probabilmente, la cosa più assurda, è che alla signorina Potts sembra andare bene. Dovrebbe saperlo meglio di te... e di me. Dopotutto, questa storia mi ha fatto capire diverse cose, ma... – si bloccò. 
– Se ti serve qualcuno su cui contare, qualcuno che non sia tu... – specificò, voltandosi verso di lui. – Puoi contare su di me. Giuro che non ti farò prediche moraliste su cosa è giusto o sbagliato o... o altro. Potrei darti una mano, magari. Anche se, effettivamente, non so come. Volevo solo che lo sapessi. – sospirò, abbassando lo sguardo. La sabbia era sottile e di tanto in tanto, per colpa del vento, qualche granello fluttuava nell'aria. Dopo diversi minuti di silenzio, Tony pronunciò solo due semplici parole.
– Grazie, Steve. – quel ringraziamento così sincero e allo stesso tempo rassegnato lo sorprese. Tony si stava voltando verso di lui proprio mentre l'altro stava alzando lo sguardo, trovandolo inaspettatamente più vicino di quello che aveva programmato. Dunque, con un unico, veloce movimento, poggiò le labbra sulle su quelle del ragazzo, chiudendole in un bacio;
In un primo momento Steve fu immobilizzato dalla sorpresa, e tentò di ribellarsi. Questo però, solo per qualche istante, perchè poi cedette anche lui al calore e la morbidezza delle labbra dell'altro. Tutto quello che riusciva a pensare, oltre ad una serie di strani brividi che gli correvano lungo la schiena, era il fatto che avesse un buon profumo. 
Non riuscì nemmeno a calcolare per quanto le loro labbra rimasero incollate in una danza terribilmente... dolce?
Quando si separarono, Steve continuò a sentire il formicolio lungo tutte le braccia e la schiena.
Sollevò lo sguardo, ancora stupito, sull'altro, aspettando che facesse qualcosa.
Invece, per un primo momento, lui rimase perfettamente immobile. Poi lo fissò, con uno sguardo decisamente più scioccato di quello che aveva il biondo.
– Forse dovremmo tornarcene a casa. – riuscì solo a dire, voltandogli le spalle.

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Capitolo 6
*** Last Hope. ***


Oooopssss... forse dovrei scusarmi per l'immenso ritardo, ma invece credo che vi lascerò alla gioiosa lettura di questo capitolo che ho scritto piuttosto velocemente per i miei standard, peccato che abbia messo il turbo con un giorno di troppo. c:
Il titolo è abbastanza significato ed è tratto da questa splendida canzone qua che dovete assolutamente ascoltare. *u*

Cosa dire. Sembrano tutti un po' pazzi in questo capitolo, ma spero di non aver descritto un manicomio anzichè una storia più o meno verosimile.
E anche se siete stati cattivi e non ci avete recensito il quinto capitolo :c ci auguriamo come sempre che vi piaccia e, perchè no, che questo sesto Cap (tee-hee) vi ispiri a farci sapere cosa ne pensate. ♥
Un bacio, Iron Heart, half of the SuperHusbands

 



Capitolo 6 - Last Hope.

 

– Nonono- NON CI PENSARE NEANCHE! – 

L’intera sala si girò, sentendosi chiamata in causa, verso la figura di Tony, non molto imponente a dire il vero, ma piuttosto autoritaria con quel dito puntato teatralmente a fendere l’aria verso un invisibile colpevole dall’alto della scalinata a chiocciola, punto distintivo fra il quarantaseiesimo e il quarantacinquesimo piano della Stark Tower, adibito a  luogo da party per l’occasione.

C’era molto da festeggiare infatti, soprattutto per Nick Fury, finalmente libero di ciò che poteva ritenere in parte una sua creazione. Tony Stark era stato giudicato pronto per andare, guarito, sistemato, aggiustato, e, nonostante qualche segno di nervosismo occasionale, attribuito perlopiù al repentino cambio di ambiente e compagnia, il suo periodo di reclusione era finito.

Lo SHIELD gli aveva dato il via libera... e, ovviamente, senza un party in piena regola lui non si sarebbe schiodato da quella che un tempo era casa sua.

– Non pensare neanche di sistemare i cocktail lì! C’è un... – una pausa gli fu necessaria per scendere gli scalini ed avvicinarsi all’oggetto da indicare con aria ovvia. – ...tavolo qui, fatto apposta! – 

Il povero sventurato agente, probabilmente piuttosto confuso nel vedersi costretto a fare da servizio catering dopo tutti i sacrifici e gli addestramenti durissimi a cui si era sottoposto per entrare nello SHIELD, si mosse in silenzio con un’espressione di puro terrore dipinta sul volto, appoggiando sul suddetto tavolo il vassoio con delicatissimi, cristallini bicchieri riempiti di una miscela creata personalmente dalle papille gustative di Tony Stark, fra le altre cose anche ex-alcolista.

Ad ordine compiuto, quest’ultimo assunse un’espressione persino fin troppo soddisfatta: magari l’organizzazione che tanto stressava Pepper era un suo talento e piacere nascosto... nah, lo era soltanto per quel che riguardava feste, party e ricevimenti dove c’era tanto da bere e altrettanto da divertirsi.

Quel che Tony aveva infatti tralasciato nei suoi pazzi e furiosi preparativi era che gli agenti di una divisione segreta dello stato non erano esattamente fra i volti che si potevano trovare ad una festa una sera sì e l’altra pure... perciò l’intero programma ‘party’ li aveva lasciati abbastanza perplessi. Le donne erano state le prime ad adeguarsi, e già si vedevano fluttuare vestiti eleganti e strascichi colorati. 

Anche qualche giacca maschile formale faceva capolino: erano agenti dello SHIELD, dannazione, non potevano farsi trovare impreparati di fronte ad una festa improvvisata!

Altrimenti cosa avrebbero fatto di fronte ad un improvviso attacco nucleare?

Tony sbuffò, avvicinandosi con poca grazia alla vetrata che dava su New York e a Nick Fury, che osservava bonario l’andirivieni dei “suoi ragazzi”.

– Li renderà più elastici mentalmente, non preoccuparti. – 

– E chi si preoccupa, Tony. Se non si scandalizzano per un attacco terroristico nucleare... –

– Beh, eppure non mi sembra siano molto svegli. Forse dovresti rendere le selezioni più severe. Prima potrei giurare di aver visto un uomo tentare il suicidio e stavo già cominciando a sentirmi in colpa per averlo messo così in difficoltà... poi mi sono reso conto che stava semplicemente cercando di mettersi il papillon e non di impiccarsi con un nodo giapponese. – un lampo di teatrale pietà attraversò gli occhi di Tony, nascondendo un pizzico di soddisfazione per essere riuscito a strappare un sorriso all’imperturbabile Fury.

– A proposito, come mai non ti sei ancora fatto bello? – 

Senti chi parla. Era pur vero che Tony non era ancora in giacca e cravatta, ma almeno partiva con una ‘materia prima’ migliore di quella del comandante dello SHIELD. 

– Lo sono sempre. – lo informò, fingendo che il commento non lo avesse punto sul vivo.

– E... giusto per sapere, perchè dovrei? C’è qualcosa di speciale? –

Non appena Tony vide che Fury cominciava a dileguarsi fra la folla, ebbe un gran brutto presentimento.

– Pepper è sul prossimo volo in arrivo al JFK! – fu infatti l’ultima cosa che il capo dello SHIELD urlò prima di scomparire dietro l’angolo per chissà quale incombenza.

 

Perfetto.

Ci mancava solo quello, dopo una riappacificazione forzata e quasi doverosa, che era stata, come dire, messa in dubbio, dopo quello che era successo un paio di sere prima sulla spiaggia con Steve. 

A Tony sembrava che la cosa fosse scivolata addosso come acqua, o almeno, lui sperava che apparisse così, nonostante in realtà ci si stesse rompendo la testa.

Il pensiero lo martellava costantemente, e probabilmente sarebbe anche riuscito ad aprire un varco non soltanto metaforico fra i due emisferi del suo cervello, se lui non avesse continuato a seppellirlo con milioni di altre inezie, piccole preoccupazioni e minuscoli piaceri, che, ammassati l’uno sull’altro, gli impedivano di pensare al fattaccio.

Un bacio.

Aveva visto Steve di sfuggita qualche volta, mentre passava per andare non voleva sapere dove, nè come, nè quando, anzi, non voleva proprio sentirlo nominare.

Si erano evitati accuratamente, senza condividere pasti, stanze o aria neanche per un secondo. 

Tony aveva colto al volo l’occasione di una festa d’addio, prima di tutto perchè anche solo nel nome c’era la promessa di non dover pensare più a Steve, poi perchè l’impegno dei preparativi avrebbe messo al lavoro il suo cervello impedendogli di pensare a cose meno importanti, come, ad esempio, il fatto che aveva baciato Capitan America.

E gli era piaciuto!

Si infilò le mani nei capelli, come a strapparseli dallo scalpo.

In più, stava arrivando anche Pepper!

Dio, piuttosto avrebbe preferito morire, ma il suo immenso orgoglio e la sensazione che la sua scomparsa sarebbe stata una perdita troppo grande per il mondo gli impedivano di attuare qualsiasi piano suicida potesse congegnare chiuso nel bagno di quello che era il suo appartamento da una settimana.

Guardò l’orologio che gli ticchettava beffardo sul polso, ricordandogli di un problema che teoricamente non esisteva, siccome nessuno - o almeno sperava! - era a conoscenza di quello che era successo qualche notte prima.

– Tony? –

La voce di Fury tuonò attraverso la porta che si era premurato di chiudere a chiave, assentandosi con la legittima scusa di rendersi ancora più presentabile per la sua bella, cosa che non aveva fatto, neanche un po’.

– Che c’è? –

Si alzò dal bordo della vasca su cui si era seduto, dandosi una rapida occhiata allo specchio e piegando la bocca in una smorfia disperata nel vedere cosa esattamente aveva combinato ai suoi capelli.

Maledetti loro, la loro tendenza a volare sparati in ogni direzione e le sue mani che non sapevano star ferme.

Li aggiustò alla bell’e meglio, ricordandosi anche del meraviglioso fiore nel taschino della giacca, ormai un po’ triste.

– E’ arrivata Pepper! –

– Oh! –

Stavolta il tono sorpreso non gli era uscito troppo bene, eh?

– Arrivo subito! –

Già meglio.

 

– Tony! –

Un urlo nell’inconfondibile timbro di una voce di donna, e che donna.

Pepper Potts, amministratore delegato delle Stark Industries, nonchè nella posizione piuttosto precaria di sua compagna per la vita, si stava letteralmente catapultando giù dalle scale, gli occhi pieni di quei sentimenti contrastanti e incomprensibili tipici del genere femminile che Tony non avrebbe mai capito.

Un secondo gli sembrava di vedere nient’altro che un’immensa rabbia, il momento dopo, invece, scorgeva una timida preoccupazione, e infine un flebile senso di colpa, seguito da una punta di disperazione.

Era avvolta nel suo solito tailleur bianco, che Tony detestava, siccome gli sembrava, in qualche modo infantile, la cosa più pura, immacolata e lontana da se stesso che avesse vicino.

Eppure, in quel momento, nessuno dei due esitò nell’abbracciare l’altro in una stretta densa di significato e piena di profumi riscoperti. 

– Ehi, Pep. –

– Tony... – 

– Ciao. – 

La sala intorno a loro riprese a muoversi lentamente, con qualche discreto colpo di tosse e qualche parlottare a volume più alto del normale. 

Beh, in effetti erano proprio uno spettacolo.

Sembrava quasi un film: una colossale litigata, poi una mite, tranquilla e soprattutto falsa riappacificazione.

O almeno, Tony aveva sentito per certo le corde di violino tese sulla schiena di Pepper mentre l’abbracciava, così come era sicuro che lei avesse notato le sue spalle contratte in un vano tentativo di rilassarle.

Lei era lì, splendente, splendida e, come al solito, tremendamente cortese e affabile con tutti. L’aveva preso, appeso al suo braccio come uno strano koala e aveva cominciato a fare un giro di saluti assolutamente necessario probabilmente per evitare di rimanere sola con lui. Ormai poteva anche vantarsi di conoscerla un po’, e sapeva che stava cercando di rimandare qualcosa.

– Pep, tesoro... –

– Sì? Dimmi tutto! –

Il modo in cui si era girata di scatto, con una voce talmente tagliente e una sorta di panico negli occhi, era stata la scintilla finale.

Tony l’aveva afferrata con una forza piuttosto sorprendente e forse anche maleducata, ma non gliene importava un accidenti. 

– Scusate, gentile folla, ma dobbiamo parlare! –

Nick Fury sospirò in un angolo.

Le sue uscite di scena devono essere sempre teatrali, eh?

 

– Dimmi cosa succede e... –

– E ti dirò chi sei? No, Tony, non ho bisogno che tu mi faccia da psicologo, grazie. –

La voce di lei, che tremava quasi incontrollata mente si sforzava di guardare da un’altra parte, lo fece rimanere a bocca aperta.

Ma cos- la situazione si era trasformata da un felice incontro ad un dramma in appena poco più di mezz’ora?!
Tony si era sempre riconosciuto un tipo elastico e pronto ai cambiamenti, ma non pensava che la cosa fosse così drastica e grave.

– Pepper... – fu l’unica cosa che riuscì ad uscire dalla sua bocca dopo qualche secondo di silenzio pieno di panico.

– Sì? – l’isteria nella sua voce sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro in una distruttiva cascata. 

...E infatti non aspettò molto.

– Tony... Tony- ascolta... – la prima lacrima cadde sul tappeto, accompagnata da un nervoso gesto col pugno.

Non doveva proprio farsi vedere in quel gesto di debolezza, eh? 

Ormai però il danno era fatto, e la sua voce si incrinò sempre di più mentre gli singhiozzava addosso un fiume di parole confuse che Tony, col senno di poi, avrebbe tanto voluto registrare.

– Io ci ho provato, te lo giuro, ci ho provato a farcela da sola, ad aiutarti, a cercare di gestire tutto per conto mio... –

Un sopracciglio alzato sul volto di Tony, ancora indeciso se esprimere preoccupazione o scetticismo, non ebbe il tempo di trovare una posizione prima che Pepper lo interpretasse a suo modo.

– Lo so che non sei stato via tanto e infatti... – un singhiozzo che le fece tremare le ossa. – ...non si tratta di questo... E’ una cosa che va avanti da molto più tempo, tu che... io che mi prendo ogni responsabilità, ogni dovere a cui tu non hai voglia di adempiere e ogni compito di cui non capisci l’importanza... –

Ogni parola era uno spillo conficcato nell’avambraccio di Tony, con la stessa forza delle unghie di Pepper, ancora ancorata a lui.

– Per te la vita non è stata facile, certo, sei Iron Man!, ma chi ha pensato a tutto ciò che non volevi o non riuscivi a fare, volente o nolente? L’ho fatto perchè ti amo, Tony, perchè ero convinta che così riuscissi ad essere una donna che meritava di starti accanto e non solo l’ennesimo sgabuzzino in cui gettare ogni cosa che non vuoi più vedere, lasciandomi a prendermene cura da sola... –

Pepper aveva riguadagnato un po’ del suo caratteristico contegno, che Tony invidiava in una strana maniera, siccome lui ne aveva forse anche più di lei.

La sua collana di perle era bagnata di lacrime, che Tony cercò di asciugare con il pollice, rendendosi presto conto che sarebbe stato come cercare di dare lo straccio con un fazzolettino. 

Avrebbe avuto milioni di controargomentazioni pronte, ma non avrebbero fatto altro che peggiorare le cose. Pepper veva bisogno di comprensione... e Tony quasi si picchiò quando la parte narcisista del suo cervello lo avvertì cordialmente che anche lui stava attraversando un difficile momento psicologico, sicuramente più impossibile di quello di lei, che andava anteposto alle necessità degli altri.

Fottiti.

Non era facile cercare di far pace col proprio cervello mentre la tua donna ti singhiozza sulla spalla, cullandosi avanti e indietro con un dondolìo ritmico sulle punte dei piedi, cercando di rassicurarsi... di nuovo da sola. 

Il turbinio dei suoi pensieri stava per depositarsi e cominciare a sbrogliarsi con calma, quando parole fatali uscirono dalla bocca di Pepper.

– Sei un irresponsabile, Tony Stark, e io... credo di non farcela più a starti dietro. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Liar. ***


Oh...
Bene.
Dovete scusarci immensamente per il ritardo abominevole, è che non abbiamo avuto internet a turni e ci è stato a dir poco impossibile scrivere.
Poi avevamo in mente tutta un'altra cosa, e alla fine ho portato a termine il capitolo da sola.
Mi scuso immensamente, se volete posso anche fare seppuku.
Comuque, guardando chi segue la nostra storia, siete davvero parecchi. Vi amiamo tutti, vedere una cosa del genere ci fa commuovere. çWç ♥
Speriamo che ci possiate perdonare.
E credo che l'ottavo capitolo sarà divertente, dato che conterrà un Tony un po' ubriaco. 
Ddddunque, ci scusiamo ancora duemila volte per la pausa e vi lascio alla lettura del capitolo.
P.S. Il titolo viene da questa canzone. Ultimamente ci siamo entrambe innamorate dei Mumford and Sons. 
 
Cap, half of the Super Husbands.

LIAR. - cap. 7
 
L'enorme sprazzo rosso macchiava tutto il suo petto, rendendo la divisa di un blu così scuro da sembrare nero.
Appena entrato nel quartier generale, lasciò cadere lo scudo a terra, che generò un discreto fracasso.
Gettato quello, sfilò la maschera che ormai era incollata al suo viso.
Certo che i cattivi di oggi se le inventano proprio tutte eh... pensò, mentre si passava una mano tra i capelli impastati di sangue.
Avrebbe proprio dovuto farsi una doccia, senza nemmeno passare da lì per l'asciare la sua ingombrante roba.
Proprio mentre stava per uscire, venne bloccato da una voce decisamente familiare. Avrebbe potuto ignorarlo o rimandare la chiacchierata a dopo, ma ai suoi occhi appariva un gesto decisamente scortese. Perciò si voltò, cercando con lo sguardo il suo interlocutore.
- Ehi Cap... oh, ma quello è sangue! - in poco gli fu di fronte.
- Oh, no, non... non è mio. - spiegò, tranquillizzando Clint che ormai era non troppo distante da lui.
In quell'ultimo periodo aveva avuto modo di scoprire che, tra coloro che facevano parte di quel disorganizzato team chiamato Avengers, lui era uno dei migliori.
Si erano raccontati parecchie cose nelle settimane trascorse, Steve era addirittura venuto a conoscenza dei trascorsi con il circo dell'amico. Con lui si sentiva a suo agio, come poche volte da quando aveva riaperto gli occhi su quel mondo strano e diverso, e lo stesso doveva essere per Clint, viste le confessioni.
- E come... ? - domandò.
- Be', la signorina Hill mi ha comunicato che c'era una specie di criminale di serie f che si aggirava nei dintorni da un po' ormai, e non riuscivano proprio a metterlo nel sacco... -
- Allora non era esattamente di serie f, Cap. E dunque, quel sangue? -
- L'ho trovato nella sua villa, e sono riuscito a catturarlo. Mentre lo consegnavo allo S.H.I.E.L.D. però è riuscito a scappare con un trucchetto, e a prendere un ostaggio. L' ha ferirlo ed è fuggito mentre lo assistevo. - 
- E dunque ancora è latitante? -
- No, dopo essermi assicurato che l'uomo stesse bene l'ho catturato. -
- Non hai la faccia di uno soddisfatto, sai? - Clint si sedette su una sedia di legno lì vicino.
- Sono solo stanco. E tu, invece... ? Tutto okay? -
- Ehi Steve, non c'è bisogno che fai il vago. Ti hanno detto qualcosa? -
- Non era mia intenzione, ma ho sentito qualcuno parlare di te e Natasha e mi chiedevo se... -
- Lei crede che la storia tra me e la donna ragno ci sia ancora qualcosa, ma non è vero. Quando ho deciso che era chiusa con lei, era chiusa. E con Natasha è un'altra storia. Io la... - si bloccò guardando verso il basso.
- Vabbe', quella cosa là. - 
- Dovresti dirglielo. -
- Sei matto? Hai idea di com'è fatta Natasha? Mi scoppierebbe a ridere in faccia. -
- Secondo me smettereste di fare a gara per chi ha più fegato risolvereste un sacco di cose. E, per la cronaca, sai che comunque vincerebbe Natasha. - 
Clint rise, passandosi una mano tra i capelli.
- Forsa hai ragione. Forse... - 
- Dovresti dirle che la ami? -
- Forse. - un lembo delle labbra di Steve si alzò, in un tiepido sorriso. 
- Steve, sputa il rospo. - 
- Eh? Che dovrei dire? - domandò il ragazzo, dirigendosi verso la porta che dava sul corridoio. Quello era decisamente il momento di una fuga in grande stile. Con uno scatto però, Clint si alzò dalla sedia e lo seguì.
- Hai quella faccia per... ommioddio, Steve, non sarai triste perchè la diva è smammata? -
- Eh? Sei impazzito, per caso? - chiese, bloccandosi e voltandosi per guardarlo negli occhi.
- Che reazione esagerata... - Clint alzò le mani, con aria sarcastica.
Adesso Steve non voleva fare il guastafeste, ma erano giorni che non vedeva Tony.
Non era preoccupato per lui, ma vederlo sparire da un giorno all'altro senza troppe cerimonie lo aveva lasciato un po'... un po' vuoto.
Inoltre, forse, desiderava anche una qualche sorta di spiegazione per quel che avevano combinato sulla spiaggia. Solo che più ci pensava, più voleva mandare via il pensiero, lontano, alla larga. Non erano di certo quelle cose che due uomini avrebbero dovuto fare, soprattutto in un posto come quello dove chiunque avrebbe potuto vederli.
- Steve, sei arrossito? - 
- No, devo andare a farmi una doccia. Adesso scusa ma... -
- Steve. -
- ...devo proprio lavarmi perchè sono stanco e non intendo andare a dormire tardi stasera. -
- Steve. -
- Cosa? -
- E dai, parla. -
- No è che, non averlo più intorno ad ostacolarmi la vita è così incredibile! - 
'incredibile al punto che quello sbruffone, egocentrico ed egoista arrivi a mancarti?' Si domandò.
E Clint sembrò leggergli nel pensiero.
- Così incredibile che ne senti un po' la mancanza, dai, ammettilo... - 
- Nah, non è che mi manchi proprio. E' che Stark è uno intelligente, delle rare volte mi è capitato di avere qualche conversazione normale. Mi mancano quelle, più che altro. -
- Oh, certo. -
- Ah, già, poi con la signorina Potts? Erano su tutti i giornali. Mi spiace che abbiano litigato, insomma, lei era stressata per il lavoro e lui non poteva farci niente perciò... insomma, sembravano una bella coppia. -
- Sai che ad ogni frase cambi intercalare? - gli domandò, guardandolo divertito.
- Comunque è un periodo decisamente infelice per il nostro team, in amore, a quanto sembra. Magari dovresti sentirl-ehi, Steve! Dove stai andando? -
Steve aveva preso un passo decisamente più spedito, al diavolo la scortesia.
- La doccia, Clint! La doccia. Se lo senti, salutamelo. E salutami anche Natasha, eh... - 
- Piccolo bastardo... - sbottò l'altro, senza smettee di sorridere. Scosse la testa, per poi voltarsi e tornare al quartiere generale. Poteva sfuggirgli per il momento, ma a cena nessuno l'avrebbe salvato dalle sue subdole grinfie.
Steve nel mentre era riuscito a raggiungere finalmente la sua stanza.
Con una discreta fretta aveva calato tutte le tende, in modo da non dare spettacolo a mezza New York. Da quando era lì si era sempre domandato perchè agli Americani piacesse tanto che tutti si facessero gli affari loro, con le grandi vetrate, le porte a vetri e, qualche volta, intere pareti trasparenti.
I supereroi in particolar modo avevano bisogno di privacy.
Ci ripensò qualche istante.
Be', certamente Iron man non era tra questi.
Con un gesto veloce si infilò nel bagno collegato alla sua stanza, e chiuse la porta a chiave, liberandosi poco dopo degli insumenti macchiati e infilandosi sotto il getto caldo.
Proprio non sapeva cosa pensare. Magari avrebbe dovuto seriamente chiamare Tony e parlargli, o magari avrebbe peggiorato solamente le cose. Magari invece avrebbe dovuto chiamarlo e basta, senza pretendere spiegazioni di sorta.
Mentre l'acqua scorreva sulla sua pelle, la sua testa gli diceva che quella era senz'altro la soluzione più giusta. Forse in quel momento aveva davvero bisogno di qualcuno con cui parlare...
 
 
Si era fatto la doccia appena un'ora prima.
E ora stava sgusciando lungo una parete bianca, diretto verso un ufficio perchè Fury gli aveva detto che avevano assolutamente bisogno di recuperare dei documenti, perciò era indispensabile che facesse quella missione.
Dietro di lui c'era Clint, armato di arco, che mormorava quanto fosse ingiusto che toccasse di nuovo a loro.
- Ti pare che io ho bisogno di salvare la mia relazione da una superdistruzione e questi mi mandano in missione? Dove sono le ferie? -
- Siamo superoi, non abbiamo ferie. E adesso sta zitto, o ci faremo beccare. - 
Da dietro sentirono infatti qualcuno che si schiariva la voce.
- Sarete pure dei supereroi, ma non siete certo tagliati per le missioni segrete. - entrambi si voltarono, trovandosi di fronte Natasha. Ai suoi piedi stava un grosso uomo con il distintivo della sicurezza.
- Natasha! Da quanto sei qui? - 
- Abbastanza da avervi parato le chiappe. Ora, signori, il mio compito è finito. E devo saltare su un aereo per Malibu tra mezz'ora. Vogliate scusarmi. - dandogli le spalle, si avviò da dove erano entrati.
- Ma come ha fatto... ? - si stava già domandando Steve, ma la preoccupazione di Clint era tutt'altra.
- Secondo te mi ha sentito? - 
- Sì, e quanto pare non è stata l'unica. - con un cenno della testa indicò l'uomo a terra. Aveva l'aria di uno che sarebbe rimasto fuorigioco per un pezzo.
- Adesso cuciti la bocca e andiamo. - 
 
Senza troppi intoppi erano giunti all'ufficio. Certo, Clint aveva dovuto sprecare un paio di frecce soporifere contro degli scimmioni e Steve si era ritrovato a colpire in testa un uomo che probabilmente aveva un passato da giocatore di sumo, ma erano entrambi indenni.
- Allora, che diamine stiamo cercando? - domandò Steve, aprendo tutti i cassetti e frugando.
- E' un accordo di segretezza stipulato con la qualcosa Corporation. -
Cap rovistò ancora nei documenti, invano.
- Mi hai detto tutto. - commentò, stringendo i denti. Aveva messo sottosopra la scrivania, nel frattemo Clint stava copiando tutti i dati presenti nel computer generale.
Steve aprì tutti gli armardi e controllò che non avessero un doppio fondo, poi, con cautela, spostò un quadro che si trovava proprio dietro alla scrivania.
- Quasi avrei evitato di guardare. Nascondere cassaforti dietro ai quadri era prevedibile anche ai miei tempi... - commentò, con un certo sorriso compiaciuto. 
- Come la apro? -
- Tirale un pugno. - Steve lo guardò interrogativo.
- Tirale un pugno, ero serio. O un calcio. - scosse le spalle, così Capitan America portò il gomito indietro, e colpì la cassaforte, che rimase ammaccata. La colpì di nuovo, stavolta usando più forza, ma quella non voleva proprio saperne di aprirsi. - 
- Cerca il codice in quella macchina infernale. - Steve indicò il pc che aveva ormai finito di trasferire i dati.
- Come vuole, Capitano. - Clint sorrise, mettendosi alla ricerca del loro dato.
Nel frattemo, quello che doveva essere il proprietario dell'ufficio aprì la porta, entrando con una ragazza decisamente più giovane di lui al seguito.
Nel vedere i due uomini si bloccò, tentando di scappare dall'entrata. Ma in un istante Steve gli era accanto e aveva già richiuso la porta con un piede.
- Clint, occupati della ragazza. A lui ci penso io. - L'uomo gli mollò un pugno in pieno volto, pugno che neanche sentì. 
Tentò anche di chiamare la sicurezza, ma non appena aprì la bocca per verbalizzare lo scudo lo colpì alla testa, lasciandolo inerme e senza sensi a terra.
Clint, intanto, aveva lanciato una freccia alla donna, che non aveva tardato a svenire a terra.
- Come fanno certe donne a vendersi così? Per me rimarrà sempre un mistero. - Clint concordò, tornando alla sua ricerca. Nel frattempo Steve controllò le tasche dell'uomo, e vi trovò una pennetta USB e un mazzo enorme di chiavi.
- Tieni, Clint. - gliela porse, per poi passare alla rassegna delle chiavi. Non sembravano utili a nulla, al momento, perciò passò anche quelle all'uomo.
- Ho trovato il codice della cassaforte. - annunciò. 
- Prova con 3354791. - Steve inserì il codice, e quella si aprì. Dentro vi era parecchio denaro, sicuramente non molto pulito, alcune pietre dall'aria preziosa e infine, un pacco di documenti. Steve li prese tra le mani, e li sfogliò velocemente.
- Bingo. - 
 
 Fury aveva apprezzato molto il fatto che fossero riusciti a recuperare i documenti, anche se avrebbe preferito mandare Natasha, così da non essere visti da mezzo mondo.
- Prima ho chiamato Tony. - buttò lì Clint, tentando di assumere invano un'aria disinteressata. 
Una parte di Steve si era già svegliata dal torpore della poltrona di fronte al caminetto, ed era in attesa di ulteriori dettagli. L'altra parte invece non voleva saperne proprio nulla, e l'unico desiderio che provava era quello di rinchiudersi in camera senza notizie di niente e nessuno.
- Davvero? - il suo tono era volutamente neutrale.
- Sì. -
- Sta bene, no? - 
- Era ubriaco fradicio e mi ha dato del figlio di puttana, in seguito ho scoperto che Natasha era con lui. Ecco che intendeva per 'gita a Malibu'. Ha anche chiesto di te. - ecco, quello era il momento dove la parte che non ne voleva sapere iniziava a farsi sentire maggiormente.
- Ah. - riuscì solo a dire. 
- Anzi, a dire il vero è stata una delle prime cose che mi ha chiesto. Dopo avermi dato dello stronzo, intendo. E aveva anche cominciato a chiedermi se te l'eri presa per non ho capito cosa, Natasha gli ha sfilato il telefono di mano per insultarmi. -
- Avete risolto? - 
- Credo fosse più ubriaca di lui. Stai sviando argomento? -
- No, sono sinceramente interessato a te. - Steve si alzò, dirigendosi verso la grande porta del salotto.
- Me ne vado a dormire, domani ho addestramento alle sei. Buonanotte Clint! - lo salutò.
- Un giorno dovrai parlarmene, non puoi sfuggirmi per sempre! - Ma Steve si era già chiuso la porta alle spalle. Forse era il caso di parlare davvero con Stark, prima che sventolasse ai quattro venti quella cosa di cui nessuno doveva sapere assolutamente niente. Se Fury l'avesse saputo, l'avrebbe forse sbattuto fuori dagli Avengers? Si distese sul letto con il volto rivolto verso la finestra aperta.
Non aveva proprio voglia di pensarci, eppure era l'unico pensiero che si arrovellava nella sua mente e che, ormai l'aveva capito, per quella notte non l'avrebbe lasciato dormire.

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Capitolo 8
*** Where is my mind? ***


Salve gioie 
Questo capitolo diverrà famoso, almeno per me, per la cosiddetta 'scena del telefono' che mi sono trascinata dietro per infiniti giorni :'DD
Però, alla fine, posso dire di avercela fatta!
Non so neanche se sono soddisfatta o no... quel che so è che ci stiamo avvicinando alla conclusione e che il mio Tony non è mai stato più nervoso.
Come al solito, vi consigliamo l'ascolto di una canzone durante la lettura del capitolo.
Questa volta è... *rullo di tamburi* qVesta qui! Where is myyy mind? *canticchia*

Beh...buona lettura!

Iron Heart, half of the SuperHusbands.


Capitolo 5 - Where is my mind?


Una fitta di lancinante mal di testa inchiodò Tony al cuscino, facendogli desiderare di non aver mai spalancato gli occhi di scatto in seguito a un rumore come quello che aveva appena sentito.

Dannato sonno leggero e guardia ipersensibile, si maledisse.

Okay, sapeva di non essere vigile neanche la metà di altri agenti specializzati dello S.H.I.E.L.D. - forse le imbattibili misure di sicurezza della sua dolce villetta lo facevano stare mediamente più rilassato dei comuni cittadini, ma da alcuni recenti avvenimenti che lo avevano… discretamente scosso (non avrebbe mai e poi mai usato la parola ‘traumatizzato’) il suo dormire si era fatto molto meno profondo.

Al che, anche il semplice, banale clang di una padella, forse?, il crash, indiscutibilmente, di un piatto e il ‘Porcaputtana’ di una donna bastavano a destarlo da un sonno che, un tempo, non ne sarebbe stato neanche lontanamente scalfito.

Il pavimento ondeggiò sotto i suoi piedi tentativi quando li appoggiò sulle piastrelle fredde, cercando le ciabatte a tastoni. Inutile dire che rinunciò ben presto alla sua impresa, preferendo concentrarsi su quella, molto più difficile, dell’alzarsi in piedi ed arrivare in cucina senza sbattere rovinosamente testa, gambe o altre parti del corpo ovunque. 

La testa non aveva smesso di fargli un male feroce: Tony stava giusto interrogandosi sul perchè quando vide due bottiglie di scotch riverse a terra in corridoio, come sul luogo di un omicidio.

Qua è stata assassinata la mia sanità mentale, altro che, borbottò una vocina nella sua testa, mentre aggirava I pezzi di vetro con fare circospetto.

Gli innegabili postumi di una sbronza colossale lo stavano assalendo con discreta forza, ma almeno era una sensazione, per certi versi, abbastanza nuova: bravo Tony, fai progressi!, si complimentò con sè stesso. 

In effetti, era un bel po’ che non si ubriacava. Forse Pepper aveva ragione. 

Per non aver avuto neanche il tempo per qualche bicchierino di troppo, il lavoro lo doveva aver assorbito davvero tanto!

Quel pensiero gli passò per il cervello, non ancora completamente lucido, per non parlare di attivo, non senza una punta di amarezza. Si costrinse a non pensarci - piuttosto facile, visto che non riusciva neanche a tenere lo sguardo fisso su un punto - e si addentrò in soggiorno, piuttosto timoroso di ciò che avrebbe potuto trovare, dopo I rumori assurdi che lo avevano buttato giù dal letto.

Come sospettava, neanche Natasha Romanoff si era pienamente ripresa dalle gioie dell’alcool.

La sua guardia, però, era infallibile: bastò che Tony respirasse in soggiorno per farla girare di scatto, pronta a difendersi con qualsiasi cosa le capitasse a tiro, in quel caso… una saliera.

C’era però qualcosa nella sua figura, un nonsoche di felino e selvaggio, che riusciva a farla apparire minacciosa in qualsiasi situazione. 

O forse era la saliera di cristallo preziosamente intagliato ad aggiungere un tocco esotico all’intera composizione.

Tony si chiese ammirato se qualcuno l’avesse mai vista completamente indifesa e rilassata, o magari era proprio una sua prerogativa, quella di risultare vagamente inquietante anche quando non era sua intenzione. 

Dopo qualche momento di imbarazzante silenzio, Tony si riscosse e decise di esordire con uno squillante:  …Sorpresa! 

Nella mano sventolava un tubo di aspirine salvatrici che aveva afferrato di riflesso dal suo comodino, dove qualche mano previdente, probabilmente la sua stessa, le aveva appoggiate la sera prima. 

 Grazie a Dio, Tony. Stavo per uccidermi.  

La voce di Natasha suonava talmente scocciata e… ruvida che Tony ci mise un po’ a reagire. Non che ce ne fu bisogno, poi, perchè la russa percorse I pochi metri che le separavano in tre agili passi sbrigativi e gli strappò le pastiglie di mano, buttandosene due in un bicchiere con uno sbuffo di estrema impazienza.

 Il caffè non mi ha fatto poi molto, avevo proprio bisogno di un’aspirina.  commentò poi con nonchalance dopo aver ingollato in tre sorsi il liquido frizzante.

Tony aveva ancora difficoltà a sbattere le palpebre, per Dio, che problemi aveva quella là?! Come li allenavano in Russia? Beh, di certo non davano importanza alla matematica, siccome l’aspirina non era una ma due e… 

Dio. 

 Abbiamo bevuto forte.  Fu tutto quello che riuscì ad esalare Tony, sedendosi cautamente al tavolo dopo aver deciso molto saggiamente di staccare la spina del pensiero, riattivandolo non prima di essersi curato da solo.

Il sapore del caffè che gli scendeva giù per gola gli diede una certa soddisfazione, così come il lieve retrogusto amaro dell’aspirina. 

In fondo, erano anni che Tony provava il brivido dell’autodiagnosi e delle cure improvvisate; ci azzeccava quasi sempre, ed ogni volta che prendeva qualche medicina per lui c’era la gioia infinita del sentirla entrare in circolo e sperare che fosse quella giusta. 

 Oh. Ora comincio a ricordare. 

 

{Una risata fin troppo isterica si propagò fino al soffitto, insieme al tintinnìo del vetro di un bicchiere che probabilmente avrebbe disturbato i pipistrelli appesi alle travi… ma in casa non c’erano travi… e nemmeno pipistrelli. 

Oh, Dio, come… 

- Hai capito quel figlio di gran troia? -

Annuisci e sorridi nella maniera più entusiastica che ti viene fuori. Sta ancora parlando di Clint, vero?

Natasha ricambiò il suo sguardo completamente folle con un luccichio negli occhi altrettanto andato, prima di finire ciò che rimaneva del suo drink in un unico sorso.

Cazzo, allora non è vero che le russe non si ubriacano mai! 

Con quella consapevolezza Tony sbattè il bicchiere sul basso tavolino da caffè, che ormai stava per soccombere al peso dei bicchieri già usati, dei rivoli di ghiaccio sciolto e delle bottiglie semivuote sopra di esso.

- E tu… - la rossa gli si avvicinò, con tono confidenziale. - Tu… che mi racconti? Dai, chi è l’altra con cui hai tradito Pepper? -

Pepper! Iiih!

Quel nome - cavoli, si chiamava come un condimento! Non era… incredibilmente divertente?! - Gli sembrò così buffo che Tony non potè fare a meno di lanciarsi una risata pericolosamente senza fine, arrivando a spalmarsi sullo schienale del divano annaspando per un po’ d’aria.

- Pepper! Pepper… quella donna… la donna - ci fu bisogno di una pausa necessaria per prendere una scorta di fiato extra per mettere più enfasi possibile nella parola dopo - più FFFFRIGIDA del mondo! Che si cuocesse nel suo brodo, tanto… tanto si insaporisce da sola! - 

Tony si girò verso Natasha con la sua migliore aria da battutona imperdibile, e quando vide nello sguardo di lei qualcosa illuminarsi, segno che c’era arrivata, alzò la mano per un cinque che non fu mai corrisposto da una Nat, dolce Nat, impegnata a riempirsi quello che era qualcosa come il dodicesimo bicchiere.

- E vuoi sapere il bello? -

- Mmm—mm! - 

- Lo prendo per un sì! Alloooooora… - la voce strascicata di Tony si ridusse ad un sussurro segreto. - L’ho tradita con… con Steve! - 

La risata gli esplose naturale, trascinando sia lui che Natasha in un abisso senza fondo. 

- Ebbene sì, mia cara, ci siamo baciati! E ti dirò di più, mi è anche piaciuto! Tiè! - 

L’estrema soddisfazione negli occhi di Tony all’aver rivelato cose delle quali sembrava andare molto fiero, in quel momento, non era paragonabile a nulla.

- Allora perchè non vi… mettete insieme?! - 

Natasha gli stava tenendo un dito puntato contro, facendolo ticchettare contro il reattore attraverso la camicia, con aria inquisitrice. 

Sembrava una maestra d’asilo che voleva risolvere i problemi sentimentali dei suoi allievi. 

Tony… Tony ci pensò parecchio ad una risposta da darle, ma neanche in mezzo alla foschia dell’ubriachezza una ragione valida riusciva a salire.

Forse fu proprio a causa dell’alcool che non fu capace di rispondere, ma in quel momento, il grande Tony Stark si limitò ad un teatrale ed efficiente:

- Boh! - 

… Prima di scoppiare di nuovo a ridere, e probabilmente collassare.}

 

Quella sorta di flashback-filmino mentale non gli era piaciuto neanche un po’, uh-oh.

- Sia maledetta l’aspirina. - borbottò Tony.

E maledetto anche tu, Rogers.

 

Certo che Stark aveva proprio una bella casa.

Natasha passò l’indice sul bordo del ripiano della cucina, perfettamente tirato a lucido, sicuramente da uno dei robot di Tony. 

Chissà che fine avrebbe fatto quell’uomo senza tutto quel lusso e le sue comodità.

Probabilmente, però, con una bella bottiglia d’alcool si sarebbe arrangiato in qualsiasi situazione.

Tony le piaceva. Era una delle poche persone al mondo che sapeva come esserle amico.

Neanche ci si sforzava, erano così e basta. 

Natasha sorrise appena, al ricordo della notte prima. 

Si erano ubriacati niente male, e sicuramente lui serbava il ricordo di qualche scenetta accaduta che invece lei non ricordava, così come lei aveva impressa benissimo in mente la telefonata della sera prima… la quale Tony non mostrava segno di rimembrare, altrimenti Natasha dubitava che sarebbe stato così tranquillo.

Era accaduto nel giro di pochi secondi, Nat aveva chiuso gli occhi per un attimo, siccome il mondo cominciava a girare un po’ troppo, e li aveva riaperti soltanto quando ormai era troppo tardi per fermarlo.

 

{— Pronto? — una voce distorta passò dall’altoparlante del cellulare, diffondendosi in tutta la stanza. 

— Ehi, Steeeve! — 

— Tony? — 

Giusto, il Capitano non ha mai avuto a che fare con Stark ubriaco!

Eheh, già… mi hanno chiamato così! Io non volevo, però, sai, ero piccolo, avevo giusto un giorno, anche se mi hanno raccontato che ero già parecchio intelligente… pensa che volevo costruire un aeroplanino con l’asciugamano della culla d’ospedale! — 

Tony fece una pausa per sghignazzare scompostamente.

Natasha si mise una mano fra i capelli, un senso di pacifica impotenza che la invadeva.

Se Tony era imbecille, non poteva mica farci niente, lei.

— Tony, ti senti bene? — 

E’ ubriaco, cretino!

Avrebbe voluto alzarsi e urlarglielo nella cornetta, insieme ad un Lascialo perdere! ben sentito, ma ormai era troppo curiosa di vedere come sarebbe andata a finire.

— Benissimo! — Le ’s’ biascicate e sibilanti erano già un indizio piuttosto lampante sulla sua condizione. — E dopo averti detto una cosa starò ancora meglio! — 

Natasha si tirò su a sedere, improvvisamente interessata.

— Steve Rogers, io… ti amo! — sentenziò Tony con aria improvvisamente seria, come se si stesse sforzando incredibilmente per trovare la verità seppellita nel letto del fiume d’alcool che gli scorreva in corpo.

— Tony… sei- — nessuno dei due ebbe il modo di sapere cos’era Tony per Steve, perchè il primo aveva troncato di netto la conversazione, chiudendo il telefono di scatto.

E ora stava lì, seduto sul bordo del divano con la testa fra le mani a fissare il vuoto. 

Per un secondo sembrò tornare completamente sobrio, e la voglia di sbattere la testa sul tavolino gli si leggeva negli occhi. Poi questi si offuscarono, lui allungò il braccio verso la bottiglia e si girò verso Natasha.

— Un altro giro, amica mia? — }

 

 

— Per oggi, direi basta con le cure improvvisate! — sentenziò Tony, estraendo con precisione ormai acquisita il minuscolo pezzo di vetro, quel bastardo, che gli si era conficcato nella pianta del piede.

Okay, non era stato esattamente intelligente camminare scalzo nel punto dove Natasha aveva fracassato con estrema grazia uno dei suoi piatti più belli, ma la colpa era tutta, soltanto ed esclusivamente di quello stupido Ferrovecchio di un robot. 

Non sapeva neanche pulire per terra!

Sapeva soltanto guardarlo con quegli occhietti ai cristalli liquidi e registrare le prodezze che il suo padrone faceva ogni volta per rimediare ai suoi disastri o completare i suoi lavori lasciati a metà.

Inutile ferraglia.

Però, c’era da dire, Tony ci si era un po’ affezionato, nonostante non lo ammettesse neanche a sé stesso, rifuggendo in qualsiasi modo dai “sentimentali cliché dei film”.

Ferrovecchio era un po’ quello che era rimasto della sua vecchia vita, ancora prima che cominciasse a produrre armature su armature e si circondasse di utili, freddi robot funzionali a qualcosa.

— Allora, Mr. Stark, il danno inflitto è troppo grave oppure pensa di riuscire a cavarsela per miracolo anche questa volta? —

Natasha gli mandò un fugace sorriso dalle scale su cui si era fermata, sulla strada per scendere giù in laboratorio.

Il vetro trasparente che li separava concesse a Tony il beneficio del dubbio: era veramente una presa in giro così palese come gli era sembrata?!

Beh, d’altronde, per Natasha probabilmente camminare su taglienti schegge di vetro faceva parte dello stretching quotidiano prima dell’allenamento, quindi il suo sarcasmo era in parte giustificato.

— Non penso che questo semplice cerotto spray riesca a fermare la tremenda emorragia. — Tony si produsse nella sua migliore aria drammatica, sfoggiando un sorrisetto nascosto mentre si abbassava per rimettere la bomboletta a posto. 

Aveva imparato a sue spese a tenere sempre dei medicinali di pronto soccorso in laboratorio: dopo un po’, fare continuamente su e giù per le scale per andare in bagno a procacciarsi cerotti, garze, forbicine o disinfettante aveva cominciato a stancarlo.

Inutile dire che l’idea di stare un po’ più attento e, magari, evitare di prendere taglienti lamiere con la punta delle dita o di lavorare con metalli incandescenti in canottiera, senza guanti, non gli aveva neanche sfiorato il cervello.

— Credo proprio che sarà necessaria una visitina all’ospedale più vicino. In fretta, però, potrei morire dissanguato nel mentre. — 

Natasha gli regalò un’espressione decisamente impressionata, che si trasformò in una un po’ più sincera e, per un istante, confusa, quando una voce arrivò tonante da chissàdove a parlare ad entrambi.

— Che ne dice dell’ospedale di New York, Mr. Stark? Abbastanza vicino per i suoi gusti, se fosse in arrivo un jet privato per un trasporto d’emergenza? — 

Tony si guardò intorno con aria vagamente terrorizzata, interrogando Natasha con gli occhi. 

Non capitava tutti i giorni che Nick Fury entrasse in comunione spirituale con te, parlandoti da una specie di interfono che tu, effettivamente, non avevi in casa, ma che, come Natasha realizzò con qualche secondo di ritardo, la tua ospita, una superspia russa, aveva sicuramente in ogni centimetro della tuta nera che fasciava il suo corpo.

— Oh. — Tony fece del suo meglio per riacquistare la sua solita aria sicura di sè. 

— Fury! Non avevo notato quanto tu tenessi alla mia incolumità! Potrei essere tanto gentile da accettare la tua offerta, se solo tu mi spiegassi, primo, perchè hai scelto questo teatrale metodo di apparire, secondo, per quale diavolo di motivo dovrei venire, di nuovo, a New York! — 

La risata distorta di Fury si propagò per il laboratorio.

Tony pensò, con un brivido, che non era tanto distante da quella standard di un supercattivo.

— Per quale motivo se non lavoro? Lavoro vero, intendo, non quei giocattolini che ti diverti a costruire nei tuoi seminterrati mistici. —

Tony stava giusto per replicare con una punta di offesa che i suoi non erano affatto ‘giocattolini’, quando la voce parlò di nuovo.

— E ora, signori, se volete scusarmi, dovrei coordinare almeno altre tre operazioni in questo momento. Il jet è arrivo. Non deludermi, Tony! — 

Un momento di pausa, in cui Natasha lo fissò eloquente, facendogli segno con un dito di lasciar perdere tutto quello che stava facendo.

Aveva l’aria di una che gli avrebbe tranquillamente spezzato il collo pur di farlo salire su quel jet. Magari era tutto programmato fin dall’inizio…

— E comunque non hai ancora risposto alla mia prima domanda, Fury! —

Nah. Neanche l’inutile urlo al cielo di Tony, in mancanza di un interlocutore fisico, servì ad aprire una crepa di pietà nel muro indistruttibile della russa.

E così, neanche mezz’ora dopo, giusto il tempo di buttare un paio di camicie pulite in un borsone, per non sacrificare l’eleganza!, Tony e Natasha si trovavano su un nero jet dello S.H.I.E.L.D.

Natasha sembrava totalmente, tranquillamente a suo agio. Probabilmente, data la sua rapidità nello svolgere le missioni, passava più tempo in viaggio che in azione.

— Champagne, Tony? —

Per qualche motivo, invece, Tony era nervoso.

Avrebbe voluto tanto, tanto essere ubriaco di nuovo, ma qualcosa gli diceva che in quello stato avrebbe, o forse aveva già fatto, più danni del previsto.

Forse aveva a che fare con il fatto che Capitan Stupido Sogno Americano si era stabilito a casa sua, tecnicamente ora il quartier generale dello S.H.I.E.L.D., e quindi incontrarlo di nuovo sarebbe stato… inevitabile.

— Nat, che faccio? — 

Tony la guardò speranzoso, con gli occhi che volevano assomigliare a quelli di un povero cucciolo smarrito, ma che generarono solo un’espressione di vago disgusto sul viso di Natasha. Forse la carta della compassione non era esattamente la sua.

Afferrò il calice che gli stava gentilmente porgendo e mandò giù un sorso senza tanta attenzione.

— Sai a cosa mi riferisco… — 

— Sì, sì, ho capito. — sembrava quasi infastidita, come se… come se la domanda le avesse ricordato che avrebbe dovuto affrontare il suo spinoso problema, una volta arrivati.

— Secondo me, dovete chiudervi in uno sgabuzzino, guardarvi negli occhi e capire cosa c’è veramente dietro alle vostre frecciatine e al vostro odio reciproco. — 

Tony la guardò allarmato.

— Non puoi negare che Capitan America, il caro, buon vecchio Capitano, non abbia esercitato su di te il fascino dell’eroe quand’eri bambino. Per quel che mi riguarda, ritengo obiettivamente che abbia del fascino da vendere anche adesso, dopo anni di crioterapia, anche se non è affatto… il mio tipo. — un sorriso le affiorò alle labbra.

— Perciò… — sentenziò con aria greve. — Se non chiarite entro una settimana, tempo limite sette giorni, mi hai sentito, Anthony Stark, giuro sulla testa di Nick Fury che vi prenderò personalmente per il collo e vi sbatterò dentro ad una stanza assicurandomi che ne usciate uomini nuovi. Intesi? — 

— Sai come minacciare la gente, Nat. —

— Certo che lo so. Cosa credi che faccia di lavoro, la commessa? —

Bene, siamo arrivati. Calma, Tony, andrà tutto bene.

La vocina nella sua testa fu interrotta brutalmente dal vento che fischiava fuori dalla porta.

Tony si raggomitolò su sé stesso come un gatto nel suo trasportino una volta arrivati dal veterinario.

— Nonono, sto benissimo qui, non voglio uscire, Natasha- —

— Perchè non vuoi uscire? — 

Quella voce ben conosciuta gli fece alzare la testa di scatto di riflesso.

Steve.

Aveva aperto il portellone del jet, a cui era appoggiato con nonchalance.

Stava forse cercando di mantenere un’aria distaccata e rilassata?

Beh, perchè in tal caso gli stava riuscendo fin troppo bene.

O forse era il vento. Sì, il vento! 

I lineamenti delle persone vengono sempre confusi dal vento, Tony.

I capelli biondi sparati in tutte le direzioni, la solita tutina aderente così fuori moda… se non fosse stato, come Natasha gli aveva fatto gentilmente notare prima, obiettivamente bello, Tony avrebbe potuto dire di avere di fronte un vero incubo ad occhi aperti.

Vuole fare il tranquillo? Avrà un Tony ancora più calmo e sicuro di sé.

Si schiarì la voce, distendendo cautamente le gambe fuori dal sedile e alzandosi in piedi, ergendosi in tutta la sua enorme statura.

— Ti trovo bene, Rogers. —

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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