Phobia

di ChaosMyth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** εἷς | Uno ***
Capitolo 2: *** δύο | Due ***
Capitolo 3: *** τρεîϚ | Tre ***



Capitolo 1
*** εἷς | Uno ***


─ Φοβία ─ 


{PHOBIA}




 JR x Ren 

 


 

« L’obiettivo principale della politica inglese, durante i primi decenni del lungo regno della regina Vittoria (1837-1901), fu quello di consolidare la supremazia economica, mantenendo… »
 
E sbadigliò.
Per l’ennesima volta durante quell’ora di storia, Kim Jonghyun sbadigliò, senza minimamente preoccuparsi di nascondere quel gesto agli occhi del professore che imperterrito, quasi per inerzia, continuava a parlare con lo stesso identico tono di voce pacato e tranquillo dall’inizio dell’ora; così ad ogni lezione. Ogni giorno. Ogni settimana. Ogni mese.
Inutile dire quanto quel suo modo di spiegare la lezione conciliasse irrimediabilmente il sonno, non solo quello di Kim Jonghyun, ma di quasi tutti i ventisette alunni presenti nell’aula, escluse poche eccezioni che il ragazzo, con la testa sorretta da una mano e il gomito dello stesso braccio appoggiato sul banco, si era messo ad osservare, chiedendosi per quale legge fisica i loro occhi non fossero appesantiti dal sonno come i suoi e quale forza li spingesse a continuare a scrivere freneticamente per non perdere nemmeno una parola che usciva lenta e pesante dalla bocca del professore che vagava come un’anima fluttuante tra i loro banchi.
Senza riuscire a trovare una risposta soddisfacente ─che in verità non si era nemmeno sforzato di trovare, era troppo stanco e svogliato anche per pensare ─Kim Jonghyun voltò lentamente la testa di quasi 180 gradi per poter osservare fuori dalla finestra posta a un banco di distanza da lui: le foglie degli alberi si muovevano tra i rami a causa del leggero vento di quel giorno; sicuramente proiettavano particolari giochi di ombre sull’erba sottostante gli alberi, ma il ragazzo, dal primo piano dell’edificio scolastico in cui era situata la sua aula, non poteva vederli.
Aveva una gran voglia di andarsene da lì per poter tornare a casa e mettersi a dormire, oppure per uscire a fare un giro per la città e godersi il sole di quella giornata di Aprile.
Per questo voltò nuovamente gli occhi all’interno dell’aula per posarli sull’orologio appeso al muro, poco sopra la lavagna; scoprì così, con immensa gioia che un poco lo ravvivò, che le lezioni sarebbero finite meno di un’ora dopo. Poteva resistere, e per riuscirci si convinse che al mondo c’erano cose peggiore da affrontare di una semplice lezione di storia; un pensiero forse un po’ drastico, ma storia era difficile da sopportare, almeno per lui.
E così passarono i restanti, interminabili minuti di quell’ora di lezione, l’ultima della giornata, e quando finalmente si udì il suono della campanella della scuola, suono più dolce del solito quel giorno, Kim Jonghyun si alzò stiracchiandosi dalla sedia che aveva sorretto il suo peso morto fino a quel momento e dopo aver infilato nello zaino quelle poche cose che aveva appoggiato sul banco per seguire le lezioni, si mosse sulle sue gambe appena addormentate per poter uscire dall’aula; fu uscendo in corridoio che si unì a due ragazzi della sua classe, reduci come lui da quella lezione che aveva fatto sentire i suoi effetti anche su uno dei due ragazzi, quello con i capelli più corti, di un biondo quasi cenere, Kang Dongho, al quale sembrava quasi che fossero state risucchiate le energie vitali a giudicare dallo sguardo sostanzialmente spento che rivolgeva al mondo esterno.
L’altro ragazzo invece, Hwang Minhyun, era una di quelle poche eccezioni che per non molto tempo avevano catturato l’interesse di Kim Jonghyun in classe. Per questo motivo sarebbe stato la fonte da cui attingere appunti importanti il giorno prima del futuro test di storia, e Hwang Minhyun lo sapeva, ogni volta era così; ma non ne faceva un dramma, né si lamentava, perché in fin dei conti lui e Kim Jonghyun erano amici. E poi il fatto di essere una sorta di punto di riferimento, non solo per lui ma anche per altri ragazzi e ragazze della classe, non gli dispiaceva poi così tanto; molti stentavano a credere all’ordine e alla bella calligrafia che caratterizzavano tutti i suoi quaderni, curati quasi in modo maniacale. Ed era ancora più difficile da credere che per quanto riguardava tutto il resto, Hwang Minhyun poteva considerarsi l’entropia fatta persona. Insomma, il disordine e la sbadataggine quasi totali, un po’ come il ragazzo accanto a lui, Kang Dongho, i cui unici interessi erano gli sport, la musica, la musica e gli sport: questo era tutto ciò per il quale poteva permettersi di spendere energie. 
Così i tre ragazzi si unirono alla fiumana di studenti che, come loro, non aveva fatto altro che desiderare di uscire da quell’edificio per potersi dedicare ad altro e non pensare più alla scuola, almeno fino al mattino successivo.
Come animali rimessi da poco in libertà varcarono i grandi cancelli aperti della scuola e voltarono l’angolo per addentrarsi nel centro della città, come spesso succedeva una volta finita la giornata scolastica: spendevano quel che rimaneva del pomeriggio vagando per le vie affollate di Seoul, girando per negozi, fermandosi a mangiare qualcosa o a provare videogames, come quasi tutti gli adolescenti della loro età. Aveva quindi prevalso la seconda idea di Kim Jonghyun, quella di godersi il bel tempo in giro per la città, scherzando con i propri amici, che tuttavia non erano al completo perché all’appello ne mancava uno.
«Dov’è Aron hyung?» chiese Kim Jonghyun appoggiandosi comodamente sullo schienale della sedia sulla quale era seduto, in uno dei tanti bar della città; infilò le mani nelle tasche dei jeans mentre accavallava le gambe e alzò lo sguardo verso Hwang Minhyun, a cui aveva posto quella domanda, il quale finì tranquillamente di bere il proprio thè al limone ghiacciato prima di rispondergli con un semplice «Indovina..» mentre con la cannuccia spostava i piccoli cubetti di ghiaccio rimasti sul fondo del bicchiere.
Kim Jonghyun si disse che in effetti la sua era stata una domanda inutile: Aron Kwak era di due anni più grande dei tre ragazzi seduti a quel tavolo e aveva quindi finito il liceo prima di loro, ma non aveva comunque smesso di essere loro amico o di uscire in loro compagnia. Tuttavia era spesso assente poiché era impegnato a uscire con molte ragazze, le quali erano principalmente interessate a lui per il fatto che avesse vissuto per la maggior parte della sua vita in America, a Los Angeles dov’era nato, e questo lo rendeva interessante a prescindere.
E poi, a dirla tutta, era anche un ragazzo molto carino e aveva quel leggero atteggiamento che banalmente si sarebbe potuto definire da “stronzo”, motivo per cui le ragazze avevano ben 3 ragioni per essere particolarmente interessate a lui e non so dire quale di queste tre fosse la prevalente.
Così Kim Jonghyun non fece altre domande a riguardo, ma si limitò a bere qualche altro sorso della propria Coca-Cola prima di intavolare una nuova conversazione che aveva come oggetto l’ultima partita di basket che aveva visto in tv, conversazione alla quale Kang Dongho si unì entusiasta, quasi strozzandosi con la Coca-Cola che anch’egli stava bevendo per la fretta di rispondere.
Passò in questo modo un’ora, poi un’altra, e i tre ragazzi si dissero finalmente che forse era tempo di tornare a casa, e così si alzarono dal tavolo e andarono a pagare ognuno quello che aveva preso da bere, fino a quando non si salutarono fuori da quel bar dandosi appuntamento per il giorno dopo a scuola, poi si divisero e ognuno andò per la sua strada diretto a casa.
Kim Jonghyun non impiegò molto tempo per tornare a casa, e una volta arrivato nella via in cui era situato il palazzo dov’era l’appartamento nel quale viveva con la propria famiglia, notò che esattamente di fronte al grande portone di vetro posto all’ingresso era parcheggiato il camion di una ditta di traslochi e alcuni uomini erano intenti a portare dentro al palazzo grossi scatoloni e oggetti per la casa, trasportandoli su per le scale o utilizzando l’ascensore.
Mentre saliva le scale per raggiungere il terzo piano, il ragazzo si mise a sperare in cuor suo che a trasferirsi lì non fosse una famiglia con bambini piccoli, per il fatto che non poteva semplicemente sopportarli.
Lo scoprì una volta arrivato davanti alla porta d’ingresso di casa sua, sulla sinistra di un largo e lungo corridoio dov’erano situati anche altri appartamenti: la porta era aperta e sulla soglia stava in piedi sua madre, la quale osservava con curiosità e attenzione il viavai degli uomini di quella ditta, che a quanto pare erano diretti due piani più su, al quinto.
«Ciao Jonghyun!» lo accolse la donna, stampandogli un bacio su una guancia. «Come è andata oggi a scuola, tutto bene? Hai visto, finalmente hanno venduto quell’appartamento al quinto piano che era vuoto da mesi! E ho già conosciuto chi ci vivrà, non indovinerai mai da dove vengono.»
«Non che m’interessi…» confessò suo figlio, sbirciando in casa propria, desideroso solamente di trascinarsi in camera sua ed entrare in completa simbiosi col suo letto.
«Oh, a te non interessa mai nulla, vero?» gli rispose sua madre, con un leggero tono di rimprovero. «Comunque vengono dalla Germania, pensa.»
Kim Jonghyun si voltò verso sua madre, con un’espressione di leggera sorpresa, e le porse una domanda che gli era subito sorta spontanea.
«E cosa sono venuti a fare qui?» .
«Perché sono di qui. Lui è di qui, lei no, lei è la classica donna tedesca, alta, bionda e con gli occhi azzurri. Sua figlia è identica a lei, l’ho vista di sfuggita. Ho parlato un po’ col padre per fare conoscenza e mi ha detto di avere anche un figlio più grande, della tua stessa età, ma non l’ho visto» .
Il ragazzo stette per qualche attimo a guardare la madre, poi si limitò ad alzare le spalle e ad entrare in casa, soddisfacendo finalmente il suo desidero di buttarsi di peso sul letto, in camera sua.
Non passò molto tempo che fu pronta la cena e Kim Jonghyun dovette alzarsi dal letto per raggiungere i propri genitori in cucina, dove la tavola era già stata apparecchiata da sua madre, la quale per quasi tutta la cena non fece altro che parlare della novità del loro palazzo, ovvero di quella nuova famiglia venuta dall’altra parte del mondo. Sua madre era una donna particolarmente curiosa e ─il ragazzo si chiedeva spesso come fosse possibile ─conosceva gli affari privati di quasi tutti i loro vicini. Sapeva sempre nel dettaglio tutto ciò che succedeva, i motivi e i retroscena, e Kim Jonghyun già sapeva che il giorno dopo sarebbe andata a bussare a quella porta al quinto piano per conoscere tutta la storia di quella famiglia. Non che lo facesse con chissà quali intenzioni, no, la sua era pura e ingenua curiosità, unita all’intenzione di mostrarsi disponibile e gentile per i nuovi arrivati, che avrebbero certamente potuto chiedere a lei se avessero avuto bisogno di qualcosa.
E con questa convinzione il ragazzo lasciò la tavola dopo aver finito di mangiare, per dirigersi nuovamente in camera sua a passare circa tre ore semi-sdraiato sul letto, con il suo computer portatile appoggiato sulle gambe, a chattare e navigare su Internet, come faceva in pratica tutte le sere, mentre la tv accesa faceva da sottofondo senza che le fosse prestata particolare attenzione, se non quando Kim Jonghyun la spense assieme al computer per andare a farsi una lunga doccia calda e poi, stanco e assonnato, andarsene a letto.
 
 
Il giorno dopo la sveglia suonò come al solito troppo presto e Kim Jonghyun stette immobile a letto per almeno cinque minuti per riuscire a trovare l’energia necessaria ad alzarsi per mettersi a sedere sul materasso e spegnere finalmente quella sveglia che insisteva a fargli alzare il fondoschiena dal letto. Lo fece stiracchiandosi e sbadigliando per la quarta volta, poi si mosse lentamente, assonnato, per arrivare fino alla cucina dove sua madre, indaffarata come ogni mattina e già vestita per andare al lavoro, stava appoggiando sul tavolo tutto quello che serviva per fare colazione al ragazzo e a suo padre, già seduto a tavola e semi-sepolto dietro a un grande giornale. Entrambi lo salutarono quando anche il ragazzo si sedette con loro e il tempo della colazione trascorse veloce tra i soliti discorsi tipici della mattina che consistevano sostanzialmente in «Jonghyun, oggi a scuola hai qualche verifica?», «Oggi torno tardi da lavoro», «Alle cinque esco con un’amica », «Com’è la situazione della borsa oggi?».
Così Kim Jonghyun finì un po’ di fretta di fare colazione, poi ritornò in camera per togliersi il pigiama e infilarsi la sua uniforme scolastica di colore scuro, corse in bagno a lavarsi i denti, il viso e a darsi una pettinata veloce prima di afferrare il proprio zaino e uscire di casa dopo aver salutato i propri genitori.
Era appena arrivato al piano terra quando, accanto all’ingresso, notò un ragazzo che non aveva mai visto prima, per lo meno non nel palazzo nel quale abitava: indossava dei jeans chiari e attillati che mettevano in evidenza quanto il suo corpo fosse snello e sopra portava una giacca di pelle nera, leggermente corta. Ma soprattutto aveva dei capelli biondi, quasi bianchi, lunghi fino alle spalle, e quando si voltò incrociando lo sguardo di Kim Jonghyun, quest’ultimo notò che aveva gli occhi più azzurri che avesse mai visto.
Si bloccò per qualche istante a osservarlo e capì che doveva essere il figlio maggiore di quella famiglia che si era trasferita al quinto piano, perché nonostante quelle caratteristiche che potevano dirsi tipiche di una persona proveniente da un qualche paese del Nord-Europa aveva comunque dei tratti orientali, come la forma degli occhi.
Così, essendo comunque un ragazzo educato e pensando che prima o poi avrebbe dovuto farlo, si avvicinò a lui con un leggero sorriso sulle labbra per presentarsi, quindi gli porse gentilmente la mano per stringere la sua.
«Ciao, devi esserti trasferito qui ieri, vero? Piacere di conoscerti, sono Kim Jonghyun, vivo due piani sotto di te».
L’altro ragazzo sembrò irrigidirsi e guardò nervosamente la mano del moro di fronte a lui, quasi ritraendosi, alzando velocemente lo sguardo verso il viso dell’altro e poi di nuovo sulla sua mano tesa vicino, troppo vicino a lui; aprì la bocca come se volesse parlare, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono, nemmeno un accenno, come se si fosse dissolto nella sua gola.
Kim Jonghyun abbassò lentamente la mano senza sapere cosa fare, perché di certo non si aspettava quella reazione; realizzò che forse, essendo nato e vissuto in Germania, non sapeva il coreano e non poteva capirlo, ma poi si disse anche che era impossibile che non lo sapesse dato che suo padre era coreano. Allora forse era solo un ragazzo molto timido e si era semplicemente imbarazzato, così, come conseguenza naturale di questi suoi pensieri, gli venne da chiedergli scusa se per caso l’avesse messo a disagio arrivando così, all’improvviso, a presentarsi.
Al che di nuovo, sempre con evidente difficoltà, l’altro ragazzo cercò di rispondergli.
«N-no, io.. io veramente…»
«Minki!»
Entrambi i ragazzi sussultarono spaventati e si voltarono verso l’ascensore, le cui porte si erano aperte senza che i due se ne accorgessero; una donna alta, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri come quelli del ragazzo, uscì in fretta dall’ascensore e lo raggiunse, stringendogli un braccio attorno alle spalle prima di voltarsi verso Kim Jonghyun per dirgli, con tono leggermente freddo, «Scusaci, siamo di fretta.» e aprì con una mano il grande portone di vetro dell’ingresso, uscendo in strada, portando con sé il ragazzo; salirono su una macchina nera parcheggiata proprio lì fuori, la donna al posto di guida e il ragazzo accanto a lei, e pochi secondi dopo sparirono alla vista.
E Kim Jonghyun rimase da solo in quell’ingresso, sentendosi leggermente spaesato per quello che era successo, per l’espressione seriamente preoccupata, spaventata che quel ragazzo aveva sul volto e che lui gli aveva provocato, senza nemmeno sapere perché.

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Capitolo 2
*** δύο | Due ***


 Nota dell'autrice:

Innanzitutto mi sembra evidente il fatto che mi sono presa parecchie libertà. So, in base a ciò che ho letto su Internet, che JR ha due sorelle più grandi e Ren un fratello maggiore, ma nella storia ho preferito che JR fosse figlio unico e che Ren avesse una sorella minore.
Poi c'è il fatto che Ren sia per metà tedesco, mea culpa, amo la Germania, quindi quelle belle lenti a contatto azzurre che si mette negli ultimi tempi sono divenute i suoi reali occhi. Per il resto, è il Ren che tutti conosciamo.
Sinceramente non so cosa venga fuori da madre tedesca e padre coreano, sono stata in Germania e posso confermare che sono quasi tutti biondi e con gli occhi azzurri, ma è anche vero che proprio questi caratteri, occhi azzurri e capelli biondi, geneticamente parlando sono alleli recessivi e temo proprio che i geni del padre in questo caso siano dominanti... Ma non sono una scienziata e questa è solo una fan fiction, quindi non badateci!
Altra cosa.
Ho deciso di intitolare i capitoli con i numeri in greco antico, giusto per dare una sorta di continuità al tutto dato che anche il titolo {Phobia} è una parola greca e immagino che tutti voi sappiate che significa "Paura".
Il titolo fa riferimento proprio a Ren e al suo "problema", la cui natura sarà chiarita, se tutto va come mi aspetto, nel prossimo capitolo, il numero 3. Se avete già capito di cosa si tratta.... SH! Detto questo, spero che questa storia vi piaccia (e personalmente spero di finirla!).


Lasciatemi una recensione e ne sarà molto felice e se v'interessa leggete anche l'ultima storia che ho pubblicato, Fiori di Loto, è un'altra JRen, ma one-shot.
Alla prossima 
~






La giornata scolastica era trascorsa come al solito, come tutti i giorni, senza particolari novità, senza nulla di entusiasmante; forse l’unica cosa leggermente particolare successa in quella giornata era il fatto che la lattina di Sprite che Kim Jonghyun aveva selezionato alla macchinetta delle bibite posta nel corridoio del primo piano si era bloccata al suo interno, e prendere a calci la suddetta macchinetta non era servito assolutamente a nulla; questo aveva quindi costretto il ragazzo a chiedere in prestito delle monetine a Hwang Minhyun per selezionare la stessa bibita e prenderne quindi una ciascuno, quella che era precedentemente rimasta bloccata e quella nuova.
Il resto della giornata era invece trascorso esattamente come tutti i giorni precedenti, e Kim Jonghyun si disse, riflettendo mentre tornava a casa da solo, senza fermarsi in altri posti con i suoi amici, che la sua vita era piuttosto noiosa. Non succedeva mai nulla di nuovo, mai nulla di particolare, di stimolante; andava tutto troppo bene in quella normalità.
E gli venne naturale tornare con la mente a quella mattina, a quello strano incontro che aveva avuto con quel ragazzo che gli sembrava alquanto particolare, così come gli veniva da considerare decisamente antipatica la madre, per il modo in cui l’aveva guardato e gli aveva parlato, senza nemmeno presentarsi né semplicemente salutarlo. Quello era un fatto che, seppur non eclatante, spezzava comunque in qualche modo la monotonia della vita di Kim Jonghyun e catturava inevitabilmente il suo interesse, come se fosse l’unico appiglio che il ragazzo aveva per sfuggire a quella noia e vagare lontano anche solo con la mente, immaginandosi la vita di quel ragazzo e della sua famiglia, lì in Germania, un paese nel quale non era mai stato; sapeva solo che erano tutti biondi, tutti seri e tutti amanti della birra, e la madre di quel Minki già ne rispettava due su tre, quindi non erano parametri di classificazione del tutto errati. E si disse, poco prima di accorgersi che con quei pensieri aveva superato casa sua e doveva tornare indietro di una ventina di metri, che ne avrebbe scoperti altri, magari facendo amicizia con quel ragazzo o almeno conoscendolo un po’ di più, visto che sul suo conto sapeva solo due cose, ovvero che si chiamava Minki e veniva dalla Germania, tutto qui.
Ma decise di interrompere quei pensieri e rimandarli a un altro momento, perché Kim Jonghyun aveva solo una gran fame, un gran bisogno di un divano e un ancor più grande bisogno di unire le due cose e mettersi a mangiare sul divano, di fronte alla tv accesa. E così fece, approfittando dell’assenza di sua madre che era fuori con un’amica e che quindi non poteva rimproverarlo se anche avesse riempito di briciole il divano o il tappeto sotto di esso, tappeto sul quale Rika, una piccola gattina nera voluta fortemente dai suoi genitori che se n’erano innamorati in un negozio di animali, si rotolava e miagolava cercando di attirare l’attenzione del ragazzo per farsi accarezzare e coccolare, come piaceva a lei.
Così il ragazzo la accontentò, chinandosi per portare una mano sotto di lei e sollevarla dal tappeto fino ad appoggiarsela sulle gambe per accarezzarla lentamente, senza smettere di guardare la tv, fino a quando non si addormentò su quello stesso divano, sul quale appunto dormì finché non fu svegliato, circa due ore dopo, da sua madre una volta tornata a casa.
 
 
Kim Jonghyun correva, correva più veloce che poteva per arrivare a scuola; la sua sveglia, quella fastidiosissima sveglia che tutte le mattine lo costringeva ad alzarsi, quella mattina aveva deciso di non suonare e quindi di lasciarlo dormire, completamente estraneo allo scorrere del tempo che in un attimo trasformava le O6;3O in O6;45 e via dicendo, finché sua madre, non vedendolo comparire in cucina come ogni mattina, non era andata in camera per trovare conferma ai suoi sospetti. In un secondo il ragazzo balzò giù dal letto cercando di fare tutto quello che doveva nel minor tempo possibile e quasi 15 minuti dopo era fuori dal portone del suo palazzo e si metteva a correre per strada, in direzione della scuola.
Nonostante non fosse uno studente modello ─ si considerava nella media, tutto sommato ─ né provasse un particolare interesse per la scuola, non aveva mai fatto tardi, nemmeno una volta e secondo lui almeno per questo era da lodare. Ora invece rischiava di arrivare con quasi mezz’ora di ritardo e temeva che al professore della prima ora non sarebbe bastata la scusa “Non mi è suonata la sveglia”. Troppo classica, troppo scontata, troppo falsa.
Eppure era esattamente ciò che era successo e ci avesse creduto o no, lui gli avrebbe detto esattamente quello.
Così svoltò a sinistra nel cortile della scuola, ormai già da parecchio tempo deserto, e si fiondò nell’ingresso dell’edificio e poi su per le scale, fino a raggiungere la propria aula al primo piano, senza nemmeno bussare, semplicemente aprì la porta scorrevole e si tuffò dentro, appoggiandosi le mani sulle ginocchia e cercando, tra gli ansimi per la corsa, di dire al professore che era lì, nonostante non gli fosse appunto suonata la sveglia.
Sia il professore che gli altri studenti trasalirono per la sua improvvisa comparsa e, come previsto, la sua scusa non riscosse molto successo, ma nonostante questo il professore alzò le spalle e lo invitò ad andare a sedersi al suo posto, cosa che Kim Jonghyun fece subito, respirando ancora a fatica per la corsa e rivolgendo una leggera smorfia a Kang Dongho, due posti dietro di lui, che cercava di trattenere una risata che l’altro ragazzo gli aveva suscitato, arrivandosene così, tutto ansimante e agitato, mentre Hwang Minhyun si limitava a scuotere la testa con fare pacato per poi tornare a scrivere sul suo quaderno.
Kim Jonghyun sospirò lasciandosi finalmente cadere sulla sua sedia e ci mise un po’ a riprendersi da quella corsa pazzesca, forse la più lunga e urgente della sua vita; si appoggiò con un gomito sul banco mentre sfogliava il libro che aveva appena tirato fuori dallo zaino per arrivare al punto in cui il professore era arrivato con la spiegazione prima che fosse interrotto proprio da lui, e passò come sempre la lezione perso tra i suoi pensieri, perché qualsiasi cosa stessero spiegando era comunque troppo noiosa per lui e non meritava nemmeno il suo interesse, così entrò di nuovo in quello stato quasi di trance che lo distingueva durante le ore di lezione e dal quale si riprendeva ai cambi di ora o all’intervallo. Proprio quando suonò l’intervallo, due ore più tardi, si decise a tornare nel mondo dei mortali e ad alzarsi dalla sua sedia, deciso a raggiungere la macchinetta delle merendine per soddisfare la leggera fame che aveva, e sulla soglia della classe si unì ai suoi due soliti amici, diretti anche loro alla stessa macchinetta.
«Ti sei perso l’arrivo di quello nuovo» lo informò Kang Dongho, mentre si frugava nelle tasche in cerca di una monetina.
«Quello nuovo chi?» gli chiese Kim Jonghyun guardandosi intorno. C’era un ragazzo nuovo? Non l’aveva per niente visto.
A rispondergli però fu Hwang Minhyun, che gli indicò, da dove erano arrivati in corridoio, l’entrata della classe da dov’erano usciti. «Là, è impossibile non vederlo con quei capelli» .
Kim Jonghyun guardò nella direzione indicatagli dall’amico e, non con poca sorpresa, riconobbe immediatamente il ragazzo biondo e magro che aveva incontrato il giorno prima nell’ingresso del suo palazzo. Minki. Quello tedesco. Quello strano.
Stava uscendo dall’aula, si guardava intorno, e dava quasi l’impressione di volersene andare il più velocemente possibile da lì, infatti si voltò a sinistra verso un altro corridoio e fece per andarsene, quando tre ragazze lo bloccarono piazzandosi davanti a lui, seguite da altri due ragazzi. Kim Jonghyun poté sentire che oltre a presentarsi gli stavano domandando, una più veloce dell’altro, se fosse vero che veniva dalla Germania e come fosse vivere lì, se avesse fratelli o sorelle, se sapesse bene il coreano, e mille altre domande.
E successe di nuovo.
Di nuovo quel ragazzo dai capelli biondi e dagli occhi azzurri parve spaventato, anzi, stavolta quasi terrorizzato. Sembrava che fossero proprio quelle persone attorno a lui a provocargli quella paura che lo faceva addirittura tremare mentre si ritraeva di scatto, premendosi contro il muro del corridoio.
E fu un attimo; in un attimo si staccò da quel muro e si buttò tra i ragazzi attorno a lui per correre via, lungo il corridoio. Sia Kim Jonghyun sia i ragazzi che gli stavano parlando rimasero stupiti da quella reazione così anomala, domandandosi, mentre si guardavano spaesati, il motivo per il quale quel ragazzo era praticamente scappato. E Kim Jonghyun non ci pensò due volte a mettersi a correre anch’egli nella direzione in cui era sparito il ragazzo, mentre Hwang Minhyun e Kang Dongho gli chiedevano a voce alta dove stesse andando e perché; ma lui non li ascoltò minimamente e continuò a correre, come se non l’avesse già fatto abbastanza quel giorno, e scese le scale fino ad arrivare al piano terra, dove però non vi era traccia di quel Minki.
Decise di uscire in cortile, dove c’erano già altri studenti che si godevano all’aria aperta l’intervallo, e camminò lungo il muro dell’edificio fino ad arrivare al retro della scuola, dove di solito non andava nessuno; fu lì, invece, che rivide di nuovo quei capelli biondi.
Il ragazzo era appoggiato con la schiena al muro e si premeva una mano sul petto mentre respirava a fatica per la corsa che aveva fatto dal primo piano; Kim Jonghyun si ritrasse a destra, dietro l’angolo, per non farsi vedere: aveva come la sensazione che se Minki l’avesse visto sarebbe di nuovo scappato via e non voleva che succedesse, così si sporse con attenzione quel tanto che bastava per riuscire a vederlo, ma senza essere visto a sua volta.
Minki aveva appoggiato al muro anche la testa e guardava leggermente in alto, con gli occhi di poco socchiusi, come se stesse cercando di riprendersi; eppure Kim Jonghyun ebbe l’impressione che quel suo respiro irregolare non fosse dovuto del tutto alla corsa. Sembrava davvero che stesse male; c’era qualcosa che aveva fatto preoccupare, agitare quel ragazzo e dalla quale ora stava cercando di riprendersi e calmarsi, ma prima che Kim Jonghyun potesse pensare qualcos’altro suonò la campanella che segnava la fine dell’intervallo e la ripresa delle lezioni, campanella che fece leggermente sussultare il ragazzo biondo appoggiato al muro, che fece un gran respiro e poi un altro ancora prima di muoversi per tornare all’interno della scuola. Anche Kim Jonghyun sussultò, non tanto per il suono della campanella ma per il fatto che il biondo stava camminando proprio nella sua direzione, e subito scattò per correre indietro e non farsi vedere da lui, prima che pensasse che addirittura lo stesse spiando.
Rifece la strada al contrario, fino ad arrivare alla sua aula dove la maggior parte degli altri studenti stava di nuovo prendendo posto; dopo poco arrivò anche Minki, che camminò in fretta e senza guardare nessuno, fino al suo banco, in fondo alla classe, parecchio dietro a Kim Jonghyun, che alla fine di quelle altre ore di lezione dovette inventarsi una scusa da rifilare a Hwang Minhyun e a Kang Dongho per spiegare loro come mai si fosse messo a correre così all’improvviso durante l’intervallo.
Una volta raggiunti i suoi amici si guardò intorno per vedere dove fosse Minki, ma non lo vide. Guardò meglio per tutta la classe e anche in corridoio, ma tra tutti gli studenti che si riversavano verso la mensa scolastica proprio non riusciva a scorgerlo. E mentre si domandava dove fosse scomparso così all’improvviso, dovette rispondere ai suoi amici che gli domandavano il motivo del suo comportamento di prima e subito dopo aver spiegato loro, mentre tutti e tre si dirigevano alla mensa, che si era accorto di dover andare d’urgenza ai bagni, trovò il modo di cominciare una conversazione proprio su Minki, il ragazzo nuovo.
«Io so soltanto che si chiama Choi Minki e viene dalla Germania. Stop.» gli disse Kang Dongho mentre si sedeva al loro solito tavolo, vicino a una delle finestre della mensa.
«E che è parecchio timido» aggiunse Hwang Minhyun, sedendosi accanto a lui, mentre Kim Jonghyun prendeva posto di fronte ai due ragazzi.
«Timido? Perché?» chiese loro, guardandosi intorno per vedere se per caso Minki fosse lì, tra gli altri studenti.
«Perché sembrava che parlare e presentarsi fosse la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare in tutta la sua vita.»
«E’ vero..!» annuì il biondo, con la bocca già piena di cibo; dovette sforzarsi a mandare tutto giù per continuare a parlare «Mi ha fatto venire l’ansia quando parlava»
«Ansia? Sei esagerato come al solito.»
«Ma è vero!» esclamò Hwang Minhyun «Tu non c’eri, non l’hai visto, è stato un miracolo quando gli è uscita una parola intera, deve sul serio essere parecchio timido. Immagino sia difficile per lui arrivare qui dall’altra parte del mondo, penso proprio che farò amicizia con lui.»
E quello era il lato filantropico della personalità di Hwang Minhyun, che non si faceva scappare un’occasione per fare amicizia e per essere d’aiuto agli altri. Kim Jonghyun lo apprezzava molto per questo, e non disse altro mentre anch’egli si metteva a mangiare, ormai rassegnato all’idea che quel ragazzo non fosse lì ma fosse chissà dove, e disse a se stesso che avrebbe fatto come l’amico di fronte a lui e, per quanto fosse possibile visto lo strano atteggiamento di quel ragazzo, avrebbe fatto amicizia con Choi Minki.

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Capitolo 3
*** τρεîϚ | Tre ***


Nota dell'autrice:

Finalmente si scopre che cos'ha Ren. So che sembra un disagiato, non mentite. Tra l'altro ho messo molto di me in lui, il mio carattere, le mie fobie e i miei interessi.
BEH.
Spero che vi piaccia questa storia e ringrazio se qualcuno la sta seguendo. Come dico sempre, spero di riuscire a finirla!


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Mi piace leggerle 







Qualche giorno dopo, Kim Jonghyun si lasciò cadere sul letto con le braccia piegate dietro la testa, mentre Aron Kwak inseriva il disco del film che aveva scelto nel lettore dvd posto sotto la televisione in camera dell’altro ragazzo; era da parecchio tempo che non si vedevano e Kim Jonghyun era felice che avesse trovato del tempo per uscire insieme e poi andare a casa sua per vedere un film dato che quel giorno era Sabato e, non avendo scuola, Kim Jonghyun aveva più tempo libero.
Si sollevò per spostarsi più indietro e appoggiare la schiena contro il muro accanto al letto, dove si era appoggiato anche l’altro ragazzo mentre apriva un pacchetto di patatine e ne prendeva due tra le dita per portarsele alla bocca e prese il telecomando per accendere la tv e far partire il film.
Era molto legato ad Aron Kwak, forse anche più che agli altri suoi amici; si erano conosciuti poco più di due anni prima, a scuola, e avevano subito stretto amicizia, soprattutto perché avevano un carattere molto simile e avevano pressappoco gli stessi interessi. Essendo più grande di lui, Kim Jonghyun lo considerava quasi come il fratello maggiore che non aveva, e questo Aron Kwak lo sapeva e ricambiava quell’affetto.
Specialmente tempo prima, quando Kim Jonghyun era più piccolo, questi lo guardava quasi con ammirazione, come un modello, e faceva di tutto per passare del tempo con lui, per essere come lui, come succede spesso quando si è quasi nel pieno dell’adolescenza e ci si affeziona particolarmente a qualcuno di più grande che diventa il nostro punto di riferimento.
Kim Jonghyun aveva anche avuto, come si può dire in gergo, una cotta per Aron Kwak, e questa era stata la prima (e ultima) volta in cui aveva provato tali sentimenti per un altro ragazzo. Si disse che forse era solo confusione dovuta all’adolescenza, dato che non aveva mai provato nulla di simile per altri, o che fosse semplicemente quella “adorazione” che provava nei confronti dell’amico, sta di fatto che il suo primo bacio lo aveva dato a lui, e di questo Aron Kwak era segretamente compiaciuto.
Ma per il resto non c’era stato molto altro, non qualcosa di particolarmente rilevante e su cui ora, a distanza di molto tempo, ridevano, senza soffermarcisi troppo.
E passarono la serata a ridere davanti a quel film e a svuotare tutti i sacchetti di patatine e pop-corn che si erano portati in camera dalla dispensa in cucina, e Kim Jonghyun fu veramente contento e soddisfatto del modo in cui aveva trascorso quella serata assieme ad Aron Kwak, a divertirsi seppur in modo semplice, perché quando erano insieme succedeva sempre così, erano in grado di divertirsi anche senza fare nulla di particolare, bastavano loro.
Così stettero svegli fino a tardi e, vista ormai l’ora, il più grande decise di accettare l’invito di rimanere a dormire lì, come a volte succedeva, soprattutto quando erano ancora compagni di scuola.
La mattina dopo mangiarono qualcosa per colazione e poi Kim Jonghyun accompagnò l’amico fino all’ingresso del palazzo, dove di nuovo, come quella mattina di qualche giorno prima, incontrò Choi Minki, stavolta assieme ad un uomo, chiaramente coreano, e a una ragazzina di circa 14 anni d’età, che come il ragazzo accanto a lei aveva occhi azzurri e capelli biondi, i suoi lunghi quasi fino alla vita. Chiaramente dovevano essere il padre e la sorella minore di Choi Minki, che quando lo vide parve riconoscerlo subito; Kim Jonghyun non sapeva se salutarli o meno, dal momento che l’ultima volta con Choi Minki non era andata molto bene, per usare una litote, ma i suoi pensieri furono interrotti da Aron Kwak che lo stava salutando mentre usciva dal portone del palazzo.
Kim Jonghyun, dopo averlo salutato a sua volta, si voltò di nuovo verso Choi Minki, ma vide che stava già entrando in ascensore con il resto della sua famiglia e che quindi non avrebbe fatto in tempo a salutarlo come aveva appena deciso di fare; tuttavia dopo che il ragazzo fu entrato nell’ascensore si voltò verso le porte automatiche e, poco prima che queste si chiudessero, Kim Jonghyun poté vedere un leggero sorriso che il ragazzo gli stava rivolgendo.
Quel sorriso lo stupì leggermente e riflettendo un attimo si accorse che, seppur leggero e un poco imbarazzato ─ sicuramente un sorriso di cortesia─, era il primo che vedeva sul suo viso, e questo lo fece sorridere a sua volta mentre saliva le scale per tornarsene in casa.
 
Quella stessa sera Kim Jonghyun aveva deciso di uscire con Hwang Minhyun e Kang Dongho, dato che non aveva la minima voglia di starsene in casa nonostante fosse Domenica sera e il giorno dopo avesse scuola, e sarebbe stata una serata piacevole fino alla fine se non si fosse dimenticato il cellulare a casa, senza accorgersene. Era semplicemente andato in un piccolo locale insieme agli altri due ragazzi per passare una serata tutto sommato tranquilla a bere qualcosa, parlare, scherzare, ignaro però del fatto che i suoi genitori, non vedendolo rientrare a una certa ora, avevano iniziato a chiamarlo e a preoccuparsi per il fatto che il ragazzo non rispondeva, fino a quando non scoprirono che il cellulare in questione vibrava tranquillamente sul comodino accanto al letto in camera del ragazzo.
Fu per questo che, una volta tornato a casa, Kim Jonghyun si trovò di fronte a entrambi i suoi genitori, uno più arrabbiato dell’altro, e non servirono a nulla le scuse e le giustificazioni che il ragazzo fornì loro per discolparsi, e tre quarti d’ora dopo essere tornato a casa e aver discusso con loro, se ne andò a dormire scostando con rabbia le coperte dal materasso e sempre a causa della rabbia per quella sfuriata ci mise un po’ a prendere sonno e quindi ad addormentarsi.
La mattina dopo, Lunedì, il clima in quella casa non era molto diverso dalla sera precedente, e la cucina durante la colazione era più silenziosa del solito, così Kim Jonghyun cercò di mangiare e poi prepararsi il più in fretta possibile per uscire di casa e andarsene a scuola, dove avrebbe incontrato altre due persone per le quali nutriva una leggera rabbia, ed erano proprio Hwang Minhyun e Kang Dongho, i quali la sera prima lo avevano convinto a restare con loro ancora un po’ ed era quindi anche colpa loro se aveva fatto tardi e i suoi genitori si erano arrabbiati con lui.
Ovviamente, dopo aver parlato con loro e aver loro raccontato cos’era successo la sera precedente dopo essere tornato a casa, Hwang Minhyun e Kang Dongho si sentirono in colpa, ma nonostante aver chiarito con loro e nonostante le loro scuse, Kim Jonghyun non si sentiva del tutto meglio, più che altro perché aveva ancora addosso la rabbia per la sera prima e questa lo faceva essere di cattivo umore e lo faceva comportare e pensare negativamente.
Fu per questo che una volta suonata la campanella che segnava l’ora di pranzo, il ragazzo decise di non scendere alla mensa come al solito con i suoi amici; essendo così negativo sapeva che non sarebbe stato molto di compagnia, anzi spesso succedeva che addirittura rispondesse male e rovinasse l’umore anche agli altri, così per evitare tutto questo si diresse nella direzione opposta a quella della mensa, salì le scale per arrivare al secondo piano e poi ancora più su fino ad arrivare a una porta chiusa, proprio in cima alle scale. La aprì e si ritrovò sul tetto assolato dell’edificio scolastico, dove soffiava una leggera brezza fresca, e s’incamminò fino a raggiungere il parapetto di cemento, sul quale si appoggiò con le braccia conserte, sospirando mentre guardava dall’alto il cortile deserto della scuola e il resto della città, piena di persone, automobili, caos. Eppure quel rumore gli giungeva come da molto lontano, quasi attutito; anche per questo gli piaceva stare lì quando aveva bisogno di stare da solo, in pace, senza nessuno, ad osservare la vita della città che proseguiva mentre lassù sembrava quasi che il tempo si fermasse.
«Ciao..»
Kim Jonghyun sobbalzò spaventato e si voltò di scatto per capire chi avesse parlato.
Choi Minki se ne stava seduto per terra, con la schiena appoggiata alla cabina elettrica, e lo guardava dal basso verso l’alto, con i capelli leggermente mossi dalla brezza.
Il ragazzo in piedi si sentì imbarazzato, prima di tutto perché non si era accorto della presenza dell’altro dato che da dove era arrivato non poteva vederlo, e in secondo luogo perché, ora che sapeva che lì c’era già qualcuno, si sentiva come se lo avesse disturbato.
«Ah.. scusami, non mi ero accorto che fossi qui, me ne vado..» e fece un paio di passi per tornare alla porta e quindi alle scale, ma l’altro ragazzo lo fece fermare dicendogli che poteva rimanere lì o, se preferiva, poteva andarsene lui. Ma Kim Jonghyun gli rispose che poteva restare, e così si sedette a sua volta per terra, con la schiena appoggiata al parapetto, quasi di fronte all’altro ragazzo.
Si guardarono per un attimo prima di abbassare entrambi lo sguardo, senza sapere cosa dire né cosa fare.
Tutti i giorni, sia all’intervallo sia all’ora di pranzo, Choi Minki spariva e ricompariva solo quando riprendevano le lezioni, e Kim Jonghyun capì che doveva venire proprio lì, sul tetto; non c’aveva mai pensato e a dire il vero stava smettendo di domandarselo.
«Sei Kim Jonghyun, vero?» gli domandò all’improvviso il ragazzo, guardandolo.
«Già..» gli rispose lui «E tu sei Choi Minki, no?»
Il biondo annuì. «Due piani sopra di te..»
Kim Jonghyun fece un leggero sorriso, che l’altro ragazzo ricambiò.
«Vieni qui tutti i giorni? Non ti vedo mai in mensa..» gli domandò, e di nuovo l’altro ragazzo annuì.
«Sto bene qui.. Me ne sto tranquillo e soprattutto da solo..».
L’altro abbassò lo sguardo riflettendo su quelle parole e sullo strano atteggiamento del ragazzo, che oltretutto gli stava per la prima volta parlando, nel vero senso del termine, e gli venne spontanea una domanda per la quale s’imbarazzò di nuovo e si maledì mentalmente subito dopo avergliela posta.
«Hai paura della gente?»
Il biondo lo guardò per un attimo ed esitò a rispondere.
«Non è.. non è che ho paura della gente, io.. io a dire il vero soffro di agorafobia..»
Kim Jonghyun restò a guardarlo per qualche attimo e dalla sua espressione Choi Minki poté intuire che non aveva capito molto di quello che gli aveva detto, così proseguì per chiarirgli le idee.
«In pratica ho “paura” dei grandi spazi con tante persone.. Piazze, strade affollate.. la scuola, le aule..».
«E perché..?»
L’altro aspettò di nuovo prima di rispondergli.
«Perché.. perché se solo penso a ritrovarmi con tante persone attorno mi manca l’aria, mi sento soffocare.. E poi sono persone che non conosco.. Il mio dottore di Berlino dice che come conseguenza dell’agorafobia ho iniziato a soffrire anche di una leggera fobia sociale e ho iniziato ad avere paura anche solo delle persone che non conosco.. Ah, già che ci sono, scusami se l’altra mattina non ti ho nemmeno risposto dopo che tu sei stato così gentile da presentarti..».
Kim Jonghyun si sentì un po’ in imbarazzo. «Non importa..»
Choi Minki sorrise leggermente prima di abbassare di nuovo lo sguardo e l’altro ragazzo rifletté sulle sue parole e ripensò al loro primo incontro, poi a quando il biondo era scappato in cortile dopo essersi ritrovato circondato da persone che non conosceva e allora poté capire come mai avesse reagito in quel modo e poté immedesimarsi in lui, dicendosi che al suo posto avrebbe fatto lo stesso.
E poi pensò anche al fatto che Choi Minki si era addirittura trasferito lì da un altro paese e questo, sempre immedesimandosi in lui, gli fece quasi venire i brividi. Non doveva essere per niente una situazione facile per quel ragazzo.
Però questo gli offrì uno spunto per continuare la conversazione.
«E così.. vieni dalla Germania?» gli chiese.
«Già, vivevo a Berlino..»
«Com’è? Bella?»
L’altro annuì, sorridendogli. «Molto.. Mi trovavo bene lì, per quanto io possa “trovarmi bene” da qualche parte..».
«E come mai ti sei trasferito qui?»
«Beh, mio padre si era trasferito in Germania parecchi anni fa e si era fatto una vita lì dopo aver conosciuto mia madre. Poi per lavoro ha avuto la possibilità di tornare e a mia madre stava bene trasferirsi, così.. eccomi qui..» gli raccontò Choi Minki, con un leggero tono malinconico che fece intuire a Kim Jonghyun quanto in realtà il ragazzo avrebbe preferito rimanere in Germania.
«Non ti piace Seoul?»
«Sì, beh, per quanto io l’abbia vista.. Se esco di casa lo faccio sempre in macchina.. Berlino mi piaceva e mi sentivo più a mio agio lì, anche se non ho mai avuto il coraggio di uscire da solo. Però la trovavo davvero bella e avevo qualche amico..» e così dicendo si portò le ginocchia al petto cingendosele con le braccia e vi appoggiò sopra il mento, sospirando, con lo sguardo rivolto sul muretto di fronte a lui.
Kim Jonghyun poteva benissimo immaginare quanto potesse essere difficile per quel ragazzo relazionarsi con gli altri, lo aveva visto con i suoi stessi occhi.
«Se vuoi possiamo essere amici».
Il biondo alzò lo sguardo verso l’altro ragazzo, leggermente sorpreso.
«Noi..?»
«Sì, perché no? E poi viviamo anche nello stesso palazzo» gli rispose l’altro, alzando le spalle. Ora che era riuscito a parlare con quel ragazzo che si era addirittura aperto con lui raccontandogli dei suoi problemi nonostante si conoscessero appena, voleva essere suo amico anche più di prima.
Choi Minki lo guardò per un attimo prima di rivolgergli un sorriso un po’ timido.
«D’accordo.. ci sto» gli disse.
Kim Jonghyun ricambiò il suo sorriso. «Perfetto..»
E proprio in quel momento suonò la campanella della fine dell’ora di pranzo che invitava gli studenti a tornare nelle loro aule per le lezioni del pomeriggio, e i due ragazzi si alzarono insieme per raggiungere la porta del tetto e scendere le scale fino ad arrivare nella loro aula, dove si unirono agli altri loro compagni di classe e si divisero per andare a sedersi ai rispettivi posti.

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