P a s t L e g a c y II : Post War

di Kaho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The End ***
Capitolo 2: *** Need the Heores or the Patriot? ***
Capitolo 3: *** Take It Easy! ***
Capitolo 4: *** Reconquista ***
Capitolo 5: *** All Seems Right ***



Capitolo 1
*** The End ***


01. The End



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Harry Potter

“Ricompensa”



“Qualcuno ha l’illusione che la guerra possa finire con la morte del cattivo? Si ferma solo il sangue, ma l’odore di marcio e fumo rimane per molto tempo. E chi meglio di me può comprenderlo? Io, il Prescelto: chiamato a fare l’Eroe contro volontà. Siamo in ginocchio; è evidente. Ma ci possiamo rialzare col tempo e una mano particolare. A me basta quella di Ginny Weasley. E alla fine potrò dire anch’io…”

Ma non posso fare niente adesso. Tutto quello che vorrei fare è tornare, riprendere quello che ho quasi perso in guerra.

Ma sono ancora seduto qui, a contemplare il terreno dell’ultima battaglia. Vorrei dimenticare tutto, ma so che non si può fare così di colpo… quel ricordo mi rimarrà addosso ancora per molto tempo…

[Io stringevo la spada di Salazar Serpeverde, dentro sentivo Nagini che si agitava, sapeva anche lei che avrei sancito la fine del suo adorato Padrone. Ginny era proprio accanto a me, mi sosteneva, lei stringeva la bacchetta e poi…

La spada era affondata nella poca carne che era rimasta addosso a Lord Voldemort con un suono come di carta che si straccia. Avevo spinto più forte che potevo finché la spada si era incastrata tra qualche osso e aveva arrestato la sua affondata.

Voldemort aveva sputato sangue, mi era finito proprio in faccia: era disgustoso, ma ero comunque riuscito a provare un’infinita soddisfazione.

Ginny aveva mosso la bacchetta. Lei è davvero molto forte, persino le sue fatture lo dimostrano. Era riuscita a creare una crepa sulla spada di Salazar Serpeverde.

A quel punto la cicatrice aveva cominciato ad impazzire. Non avrei mai immaginato che potesse esistere un dolore fisico così intenso.

Avevo sentito l’ultimo sibilo di Nagini: lei si era contorta dentro la spada ed era morta. L’ultimo Horcrux era distrutto. E ormai il corpo di Lord Voldemort stava marcendo: era distrutto.

Dopotutto il colpo di grazia era stato semplice, se non fosse stato per la mia testa che rischiava seriamente di aprirsi in due.

Allora Ginny mi aveva aiutato a sedermi; mi sembrava ancora di stringere la spada di Salazar, ma quella era ormai conficcata nel corpo di Voldemort.

Era una cosa così bizzarra, ma non mi rendevo proprio conto di quello che avevo fatto, era stato tutto fulmineo ed istantaneo: avevo davvero ucciso l’irriducibile Signore Oscuro?

Non avevo molto tempo per le profonde riflessioni quando quella dannata cicatrice era praticamente una fossa di inarrestabile ed allucinante dolore.

Ma Ginny mi accarezzava il dorso della mano e allora cominciavo a sentirmi meglio.

Poi il dolore era quasi scomparso e avevo riaperto gli occhi, piano, tremendamente piano, e forse Ginny aveva approfittato della mia lentezza per distogliere lo sguardo. Lei aveva voltato il viso, si era alzata, mi aveva salutato e se n’era andata.]

Avevo detto che per risollevarmi mi bastava la mano di Ginny Weasley? Ebbene non mi si concede neanche quella. La mano di Ginny stringe quella di un altro ragazzo: ad osservarlo bene sembra la mia esatta copia senza occhiali e con un sorrisetto educato e sinistro.

Dovrei esserne orgoglioso? Quel tipo mi somiglia. Forse Ginny ha trovato un sostituto. Che il sostituto sia meglio dell’originale?

Ma non lo trovo giusto: abbiamo combattuto insieme, il colpo di grazia l’abbiamo inferto insieme, io ho combattuto per lei… E ora Ginny sta con un altro; non mi vuole più? Ha smesso di aspettarmi?

So che forse dovrei capire la sua decisione perché sono stato proprio io a dirle di non aspettarmi. Pensandoci ora, quando non c’è più il pericolo della guerra, mi sembra una cosa così infinitamente stupida. Ho rifiutato di stare con lei e le ho detto di non aspettarmi. Non ho parole per descrivermi… sono proprio così idiota?

E ora devo pagare per la mia idiozia. Ma non lo trovo comunque giusto.

E’ vero, io ho fatto una scelta: ho scelto il Bene Superiore e non sono stato accanto ai miei cari… ma, per Merlino!, dovevo sconfiggere il Male!

So che suona molto egoistico, ma: chi ha sofferto più di me in questa guerra? Io sono il Prescelto orfano che non ha mai trascorso un anno della sua vita in pace e che ha dovuto imparare ad uccidere perché gli era stata lasciata sulle spalle una missione incredibilmente pesante.

E qualcuno potrebbe pensare o augurarsi che l’infelice esistenza di questo sventurato ragazzo si concluda con un lieto fine? Io sono il primo che se lo augurava, ma evidentemente devo fare ancora qualcosa per conquistarmi il mio ‘lieto fine’. Eppure dopo questa guerra, dopo aver sconfitto da solo Lord Voldemort mi pare che io non abbia nient’altro da fare, che abbia già dimostrato tutto, quanto valgo e che questo basti per garantirmi un’eterna gratitudine.

Ma qui nessuno mi ringrazia! Né Ginny che se n’è andata con la mia brutta copia, né questi Auror che stanno trascinando via i Mangiamorte e che a mala pena mi vedono, né Ron ed Hermione… chissà poi dove sono finiti quei due?

Credevo di essere modesto ma adesso voglio che qualcuno mi ringrazi. Soprattutto voglio che lo faccia Ginny. Per Merlino, voglio solo la felicità!

Cos’altro devo fare? La guerra non è ancora finita?

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Ronald Weasley

“Stima”



Perfetto. Ero convinto di non poter tener testa alla fama di Harry? Con questo abbiamo chiarito il dubbio: ho appena ucciso un Dissennatore.

So che se Hermione fosse cosciente, mi direbbe che sono uno zotico ignorante: “Che imbecille, Ron! I Dissennatori sono in sostanza simili ai fantasmi quindi sono già morti, non puoi pretendere di ucciderli!”

Ebbene, io, Ronald Weasley, in un modo o nell’altro, ho ucciso un Dissennatore. Magari non l’ho proprio ucciso, ma di sicuro l’ho fatto sparire. Non sparito nel senso che è tornato a nascondersi nel suo banco di nebbia, ma che si è proprio dissolto.

Ero lì, svenuto nel bel mezzo di quel labirinto con un braccio praticamente squarciato – di questo ringrazio molto Bellatrix Lestrange… arg! Se la ritrovo giuro che gliela faccio pagare, davvero! A meno che sia già morta… bah, ho questa sensazione – e all’improvviso sento qualcuno che mi alita addosso.

E’ già insopportabile l’alito di un essere umano che si lava i denti tutti i giorni, ma vi immaginate l’alito di una creatura in putrefazione da secoli e che è stimata per il suo bacio mortale? Hermione dice che è persino insopportabile da vedere, figuriamoci sentirsi quelle labbra o, più propriamente, quella ventosa che ti soffia contro!

E oltre che puzzolente era anche gelido. Un freddo tremendo! Già la mia faccia era insensibile per lo svenimento, se poi ci aggiungiamo un freddo polare…

In pratica mi stavo ibernando sotto l’alito del peggior Dissennatore e sapevo di non potermi muovere e che il destino della mia anima sarebbe stato davvero oscuro: venir risucchiata dalla bocca di quella cosa orribile che mi fluttuava sopra.

Ma poi era sopraggiunto lui! Quel grand’uomo che io, in verità, ho apprezzato ben poco.

Il comandante dell’Ordine, Albatros, con un magistrale Patronus era riuscito ad allontanare il Dissennatore.

Io desideravo solo ringraziarlo. Ma non ho potuto nemmeno alzarmi: quel dannato Dissennatore era ripiombato dal cielo fiancheggiato da un’orda di mantelli neri… già, altri Dissennatori, ma non veloci quanto lui.

Ci sono letteralmente piovuti addosso. E ho scoperto che Albatros è proprio un grande combattente: il suo Patronus di forma indefinita era davvero sorprendente: potente e abbagliante.

Tutta quella luce mi aveva dato la forza per riprendermi. Già, persino il mio braccio squarciato sembrava essersi risanato. Fissavo Albatros a bocca aperta e continuavo a saziarmi gli occhi di quella stupenda luce argentata.

Poi c’era stato un botto ed Albatros era strisciato a terra. Non avevo perso un attimo: col braccio buono avevo estratto la bacchetta e l’avevo puntata contro il Dissennatore che gli stava volando addosso.

Era stato uno schiocco, un attimo. Il mio fedele cagnolino balzava fuori dalla bacchetta, ma mi era sembrato più grintoso e agguerrito del solito: e, infatti, eccolo! che azzannava il Dissennatore e lo faceva dissolvere.

Sono il primo in tutta la storia magica che riesce a fare una cosa del genere!

Voglio dire: accidenti! Se avevo qualche problemino di autostima – d’accordo, era davvero un problema enorme – adesso tutto scorre via come acqua limpida, non vi pare?

Ho ucciso un Dissennatore! Come mi chiameranno? Ronald lo sterminatore, Ronald lo spacca-Dissennatori?

D’accordo, qui c’è da fare concorrenza con Cornelius Caramell lo spacca-Goblin, ma… per Merlino! Ho fatto proprio una cosa fuori dal mondo. Non vedo l’ora che Hermione si svegli: immagino la sua faccia…

Ehm, ehm, so che lei è davvero una buona e brava ragazza e non ha mia avuto il coraggio di dirmi in faccia che, in effetti, oltre che avere la sfera emotiva di un cucchiaino, non sono neanche particolarmente sveglio in certe cose, ad esempio nell’ambito sentimentale-romantico.

Ma ora c’è un netto ribaltamento della situazione: mi innalzerà su un piedistallo d’oro!

Anche Albatros dovrebbe essere parecchio soddisfatto, in fondo sono un suo sottoposto. Meglio avvisare entrambi.

Ora mi chino sul caro Albatros per esprimergli tutta la mia gratitudine. Certo che visto così da vicino il suo volto sembra tanto vecchio e stanco, quasi pietrificato… beh, in effetti è davvero gelido. Oh Merlino! Non mi dire che è morto!

Controllo e ricontrollo e all’ultimo esame mi rendo conto che i miei disperati richiami non fanno altro che disperdersi nell’aria: Albatros, il comandante dell’Ordine, è morto.

“Hermione, Hermione! Albatros, il comandante, è andato, è morto!”

Sono talmente agitato che non faccio più caso al mio pomposo orgoglio da sterminatore di Dissennatori e forse non faccio neanche attenzione all’incolumità di Hermione.

So solo che sono sconvolto: Albatros è morto per me. Ho bisogno che qualcuno di sensato – e chi meglio di Hermione? – mi dica che non è colpa mia.

Allora la prendo per il colletto della camicia e con l’altra mano le circondo la vita per tentare di sollevarla. Lei geme, è ancora svenuta. Anzi, forse sta peggio di prima, le ho fatto fare un movimento troppo improvviso.

Allora la riappoggio a terra e ritiro la mano. Forse Hermione ha ragione: per me pensare è davvero uno sforzo perché ci metto davvero tanto a realizzare che il sangue che ho sulle mani è il suo, è quello di Hermione. Sono stato troppo brutale, troppo impulsivo: le ho fatto male, io!

Vorrei gridare aiuto: “Ehi! Qualcuno venga qui! Una ragazza – la mia ragazza – sta per dissanguarsi!” Ma sono nel mezzo di un intricatissimo labirinto.

Perfetto, ripeto. Albatros è morto per me e ho fatto sanguinare Hermione.

Forse sono davvero uno sterminatore.

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Draco Malfoy

“Riluttanza”



Ogni tanto lo scrosciare delle onde si affievoliva, e lui riusciva a sentire il resto del mondo, il mondo reale, non quel limbo dalla sabbia finissima e bianca. Ma poi ritornava l’alta marea e le immagini scomparivano.

Sapeva di essere sdraiato anche se non sentiva niente, il suo corpo era come svanito, eppure avvertiva della sabbia calda sotto di lui e vedeva delle stelle in cielo e le ammirava con gli occhi, ma non erano più i suoi occhi grigi da mortale.

In fondo non era così spiacevole trovarsi lì, sdraiato su una spiaggia lontanissima e tranquillissima. Solo il suono delle onde ed una visuale costante: il cielo stellato, come mai l’aveva osservato, una miriade infinita di luci allineate in una striscia, ma erano così vicine e così concrete che forse non brillavano nel cielo ma nei suoi occhi o direttamente incastonate nella sua anima.

Non era notte e non era giorno. All’inizio, vedendo quel trionfo di stelle, aveva pensato alla notte, ma il cielo – o forse non era neanche il cielo – era di un blu troppo intenso e puro, un colore irreale per qualcosa di reale.

Alla fine l’aveva capito: era tutto irreale. Quella spiaggia e le stelle. Anche la sensazione della sabbia tra le dita. Era morto.

Lo aveva capito durante i periodi di bassa marea, quando le onde si ritiravano dalla spiaggia e le luci del cielo si spegnevano e il suo corpo tornava a pulsare di dolore. Solo quando il dolore era al massimo aveva quelle allucinazioni: il volto di sua madre in lacrime che lo chiamava.

Il mio figlio, il mio unico figlio…

E allora avrebbe solo voluto tornare da lei per consolarla ma appena protendeva il braccio – o qualsiasi cosa avesse al posto di quello – il dolore diventava troppo intenso e reale e quelle dannate onde, così pacifiche e rilassanti, tentavano di affogarlo. Anche la sabbia tiepida finiva per ustionarlo e lo costringevano a stare fermo e immobile.

Poi il volto di sua madre spariva e ritornavano le stelle e la pace. Si stava quasi abituando. Ormai non aveva più voglia di attaccarsi a quel doloroso mondo reale.

Ma all’improvviso qualcun altro lo aveva chiamato, squarciando con prepotenza il cielo stellato, irrompendo nella sua spiaggia tranquilla con una luce accecante.

Strinse i denti – o almeno lo avrebbe fatto se avesse avuto un corpo. Quella voce, l’aveva riconosciuta.

L’Assassina. Lei lo aveva ucciso. Lei era stata il suo ultimo ricordo: Il suo viso, la sua bacchetta, un lampo verde e il cielo stellato.

La odiava e sicuramente non avrebbe risposto alla sua voce. Ma era strano perché le stelle stavano cadendo e le onde si agitavano irrequiete. Qualcosa stava facendo crollare tutto.

‘Avada Kenavra!”

La voce era troppo vicina, non era un’allucinazione come il richiamo di sua madre. Era più vicina delle stelle.

‘Avada Kenavra!”

Il blu mistico di quel cielo stellato si stava squarciando, cadeva a pezzi, lasciando che un intensissimo bagliore bianco si dispiegasse dietro di lui.

Distolse lo sguardo – o deviò quelli che erano i suoi occhi. In qualche modo sapeva che se avesse continuato a fissare la luce sarebbe tornato nel mondo reale col dolore reale. Avrebbe anche potuto, ma di certo non sarebbe tornato per volere dell’Assassina.

‘Avada Kenavra! Avada…”

Sogghignò con le sue labbra immaginarie. La voce dell’Assassina si stava arrendendo. Anche il cielo si stava per richiudere e finalmente avrebbe potuto dormire in eterno.

Ma poi all’improvviso le onde si arrestarono, paralizzate da qualcosa e fu assoluto silenzio. Una goccia pesante cadde, una pioggia di gocce delinearono delle onde ad anello leggere: qualcosa stava emergendo.

Avrebbe tremato, se avesse avuto ancora un corpo. Ma non c’era più pericolo, non poteva sentire nulla nel limbo. Fissò quella cosa emersa con una curiosità sadica, troppo reale.

Erano occhi rossi e in lacrime. Delle labbra bianche che si schiusero con una smorfia di dolore.

“Non mi lasciare, per favore.”

La voce era di fianco a lui, alle sue spalle, nella sua testa. Desiderò solo abbandonare la pacifica spiaggia. E allora fissò la luce che stava per esaurirsi lungo la fenditura risanata del cielo.

Fu come se lo avessero afferrato brutalmente al collo, trascinandolo fuori da un liquido tiepido ed accogliente. In quel mondo reale c’era solo dolore.

“Draco!”

Delle lacrime calde gli macchiavano il viso ma non erano le sue. L’Assassina stava piangendo. Stava piangendo per lui.

“Sei vivo, Draco! Ti ho portato indietro! Datti una mossa… Dimmi qualcosa!”

Si rese conto di avere di nuovo le labbra e allora non esitò un solo istante. “Maledetta assassina.”

Con tutto l’odio che aveva nel cuore che batteva ancora.

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Remus Lupin

“Sbagliato”



È terribile questa situazione di stallo tra lupo e uomo.

Forse ancor più terribile di essere un Licantropo. Se fossi un Licantropo non-pensante, non sarei consapevole di Nimphadora accanto a me, spaventata e in lacrime, che mi accarezza il capo. Se fossi uomo, non mi troverei a guaire tra le sue mani, ma l’aiuterei.

Essere una metà non mi piace.

La mente umana ragiona e velocemente constata i danni di Nimphadora e registra i miei arti insensibili e sanguinanti. L’istinto da lupo mi rende particolarmente sensibile al tocco di Nimphadora, al suono delle sue parole, quasi incomprensibili tanto sono sussurrate (o sono io abituato ai latrati?), all’odore della ferita sul suo braccio e alla sua paura.

Mi sento così sbagliato. Tutto è sbagliato, in questa situazione.

Nimphadora dovrebbe essere a casa al sicuro, e io qui agonizzante sotto le zanne di Greyback. Invece lei è qui, mi consola, mi dà forza, è lei l’eroe.

Qui non va come nelle favole. È sbagliato che Cappuccetto Rosso tenga tra le braccia un lupo, vero?

C’è solo una cosa giusta: l’odore del sangue di Greyback che giace poco più in là, il ventre squartato e gli occhi gialli rivoltati all’indietro.

Ecco, questo mi fa stare meglio. Mi rafforza, diminuisce la mia tristezza, e questo peso all’altezza del petto.

“Remus… sto bene… stanno tutti bene… la battaglia si sta spegnendo e i Licantropi sono qui, dietro di me, che ti ubbidiscono…”

Nimphadora è una donna fortissima. E l’amo per questo. Ma anche se la sua voce non trema e non varia, lo sento nell’aria l’odore delle sue lacrime. È sottile, delicato, strano. Nuovo. Non ricordo di aver mai percepito odore di lacrime in tutta la mia vita.

Sì, ho pianto, ma mai sotto sembianze di Licantropo. I Lupi Mannari non piangono, sono belve. Non registrano il dolore altrui, solo la sensazione delle zanne affondate in un corpo caldo. Greyback godeva per la sua strana mente perversa. Io, invece, ora che riesco a ragionare, non posso evitare di trovare tutto questo rivoltante.

Se fossi solo Licantropo non sentirei questa malinconia che mi fa guaire come un cane.

Se fossi un uomo non sentirei le lacrime di Nimphadora, e sarei già svenuto tra le sue morbide braccia.

C’è qualcosa di sbagliato, nell’essere un essere a metà.

Ma forse c’è semplicemente qualcosa di sbagliato in me.

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Ginny Weasley

“Pazienza”



Vedo Harry che esce dal labirinto, che esce dalla battaglia, dalla promessa di fare l’Eroe… finalmente.

Ho giurato che lo avrei aspettato pazientemente. Ma poi lui aveva detto quelle cose: “Farai meglio a non aspettarmi, Ginny” ed era sparito.

Avrei dovuto fare affidamento su una persona del genere? Che scompare con una promessa tanto fragile ed ingiusta? Quante volte lo avevo aspettato? Quante volte mi ero fatta da parte perché lui si concentrasse solo sul Bene?

So che alla fine per lui ero scontata: io ero Ginny Weasley, il suo amore inesauribile, che lo aveva aspettato dai dodici anni trafitta da un irriducibile colpo di fulmine, che lo aveva aspettato nell’ombra quando lui si baciava con Cho Chang, che aveva deciso di consolarsi con altri ragazzi, ma che alla fine era bastato richiamare con un fugace bacio dopo una vittoriosa partita di Quidditch. Come un cagnolino ubbidiente: un bacio ed ero di nuovo completamente sua.

E’ pericoloso. Non è molto salutare affidarsi completamente ad una persona, si sviluppa un’inguaribile dipendenza. Ma è anche incredibilmente fantastico appartenere completamente ad una persona, ma devi fidarti, devi essere certa che rimanga al tuo fianco. Lui continuava a scomparire e a tornare. E io continuavo ad abbandonarmi completamente a lui. E lui spariva di nuovo.

E’ colpa mia; sono troppo blanda con lui ed essere blanda non fa parte del mio carattere. Io sono forte, lo ero. Ma quell’ultimo addio mi ha fatto odiare quel ‘completamente’; non volevo più stringere un legame così forte se poi era destinato a disfarsi.

Ho smesso di aspettare.

Forse ho smesso definitivamente quella notte.

#Ricordo: Quegli occhi verdi…#

Non poteva concedersi di fermare le sue gambe e la sua mente, di riposare, perché era soprattutto nei sogni che riviveva quel momento; persino di giorno, in mezzo ad un gruppo sorridente di amici, riusciva a ricordare, bastava solo che si lasciasse scivolare solo un poco nella calma.

Doveva tenere mente e corpo costantemente impegnati. Così quei tre mesi fu l’allieva più agguerrita e motivata del campo d’addestramento di Malocchio Moody.

“Signorina Weasley, oltre che le fatture potenti, sembra che sia riuscita a sviluppare un’incredibile forza di volontà.”

Le ripeteva Moody in tono quasi ammirato e Ginny si rese conto di riversare seriamente tutto il suo essere in quegli allenamenti perché non era affatto facile estorcere dei complimenti a Malocchio.

E quando non c’era l’addestramento a tenerla impegnata, c’era la sua famiglia.

“Quanto sei diventata chiacchierina, Ginny” le sorrideva suo padre “Mi fa piacere, vuol dire che stai reagendo molto bene al…”

Poi Molly gli aveva lanciato uno sguardo assassino ed Arthur aveva lasciato che quella conclusione sfumasse nell’aria e rimbombasse nella testa di Ginny.

Abbandono.

Il legame con sua madre si era fatto ancora più stretto; le raccontava di tutto: gli allenamenti con Moody, i progressi, quanto si deprimeva ad osservare il cielo nebbioso, quanto desiderava che la guerra finisse… ma evitava accuratamente quell’argomento.

“Ginny cara, sono contenta” le mormorava sua madre durante una delle loro interminabili chiacchierate “Questa guerra sta diventando davvero orribile: morti, persecuzioni, disastri e Dissennatori che pattugliano il cielo. Ma una madre è felice quando vede i propri figli sereni. Tu sorridi sempre, Ginny, e parli molto… ma non parli mai di lui.”

“Non c’è niente da dire” aveva tagliato corto Ginny con una voce più affilata di quanto desiderasse.

Sua madre aveva spalancato gli occhi. Non aveva più accennato a lui.

Fred e George erano rimasti i soliti dispettosi e battaglieri gemelli di casa Weasley. Quando il Ministero aveva attuato un approccio più drastico per la questione dei Mangiamorte, i gemelli avevano cominciato a dosare gli insulti nei riguardi del loro fratello perduto.

“Percy è un idiota. Ma un bravo idiota. Pare che al Ministero abbiano finalmente deciso di fare qualcosa. Vero, Fred?”

“Confermo, George. Ma è anche vero che il Ministero vuole ostacolare l’Ordine.”

“Già, ridicolo! Perché hanno paura che gli sfugga di mano il controllo.”

“Bah! Non ce l’hanno mai avuto.”

“Assolutamente d’accordo, Fred. Senza contare che il capitano degli Eclitti è un vero…”

“Lo dico io! Quel Marshall è proprio…” era intervenuto Ron sobbalzando dalla sedia e turbando persino George.

Un istante dopo si era ritrovato una stampa di cinque dita rosse sulla guancia sinistra.

“Mamma!” si era lamentato.

“Oh, ti prego, Ron” aveva ribattuto la signora Weasley “Non farmi sentire in colpa. Te lo meritavi, non si dicono certe parole.”

Ron aveva assunto un broncio indignato. “Ho capito, ma non mi hai mai preso a schiaffi da piccolo, ti pare il caso di cominciare adesso che sono un uomo?”

A quel punto Fred e George non erano stati in grado di trattenere una sonora risata. Ron era stato bersagliato da pacche sulle spalle e commenti stuzzicanti riguardo alla sua presunta maturità sessuale.

“Chiudete la bocca!” aveva urlato Ron ai due gemelli “Qualcuno della famiglia venga in mio aiuto… Ginny?”

L’aveva guardata in tono speranzoso. Lei aveva ricambiato, ma aveva smesso di sorridere.

Ogni volta che Ron tornava a casa, sfuggiva sempre il suo sguardo. Tendeva a non parlare molto col più giovane dei suoi fratelli: era abituata a vederlo accanto a lui.

Quel ‘lui’ che incombeva su tutta la sua famiglia… Non sapeva come gestire quella presenza.

Era stato merito di suo fratello Bill, ora che ci rifletteva: tutto grazie a lui. Gli aveva dato un prezioso consiglio quella sera quando lui e Fleur erano intervenuti ad uno dei classici cenoni di finesettimana di casa Weasley.

“Sai, Ginny” le aveva sussurrato Bill all’orecchio mentre le grida inebriate di Fred e George e quelle di rimprovero della signora Weasley distoglievano da loro l’attenzione dei presenti “Fleur pensa che tu abbia qualcosa che non va.”

Ginny lo aveva guardato molto male. “Ti prego, fratellone, non dirmi che è Fleur a pensare al posto tuo.”

“No, no” si era difeso lui agitando le mani davanti al viso “Le ho solo chiesto un consulto. Ti ho visto sorridere, Ginny, ma ho l’impressione che ci sia qualcosa di forzato ed eccessivo nel tuo buonumore. Anche Fleur la pensa esattamente come me.”

Ginny era rimasta in silenzio, sbuffando leggermente.

“E’ per via di Harry?” aveva mormorato Bill in un tono quasi colpevole “Stai cercando di far finta che vada tutto bene?”

“Infatti” aveva replicato Ginny “C’è qualcosa di sbagliato?”

Bill le aveva rivolto uno sguardo solenne. “Siamo nel mezzo di una guerra. Anche l’allegra compagnia che c’è a questo tavolo si spegnerà appena visto il mondo che c’è là fuori, persino Fred e George si rattristano guardando il cielo grigio infestato dai Dissennatori. La mia consolazione è Fleur e so che senza la sua compagnia non riuscirei a distrarmi e a distogliere gli occhi dalla guerra. Anche a te serve un diversivo, Ginny. Credo che ripensare a Harry ora ti possa fare solo male.”

“Quindi sto facendo bene?” aveva bisbigliato Ginny.

“Non esattamente, sorellina, perché stai continuando a tenerti tutto dentro. Hai seppellito il ricordo di Harry ma scommetto che sei sempre lì lì per tirarlo fuori dal dimenticatoio.”

Il viso di Ginny si era chinato. “Azzeccato in pieno. Cosa mi consigli?”

“Vai fuori e divertiti.”

Ginny l’aveva guardato stranita.

Bill le aveva mandato di rimando un sorriso trionfante. “Domani sera io e Fleur andremo ad una specie di ricevimento: ci saranno solo Babbani.”

“Solo Babbani?” aveva ripetuto Ginny.

“Esatto, e qualche mago occasionale. Ma pensaci bene, ogni volta che c’è un mago nei dintorni non si fa altro che parlare di Guerra Oscura. Con vicino solo dei Babbani al massimo si parlerà di qualche attentato terroristico. Sarà l’astuzia del Primo Ministro, ma pare che i Babbani siano molto disinformati su questa guerra.”

“E sarà un bene?” gli aveva chiesto Ginny in tono speranzoso.

“Certo, sorellina, così potremo almeno dimenticare per un attimo la guerra e magari riuscirai ad affrontare la partenza di Harry.”

Sentire quel nome le aveva dato una strana sensazione: da molto aveva tacitamente proibito ai suoi famigliari di pronunciare quel nome. Ma in quell’istante, quando lo risentì, capì di aver bisogno di un momento di pace per ricordare ed accantonare il viso e gli occhi verdi di Harry.

E la sera del ricevimento incontrò la sua nuova diversione, i suoi nuovi occhi verdi.

Era entrata nella sala trascinata letteralmente da Fleur.

“Aspetta qui, Ginny” le aveva biascicato mentre si scioglieva dal loro braccetto “Vado a cercare Bill.”

E Ginny si era ritrovata inghiottita da quella sala piena di luci sui lampadari di cristallo e seta luccicante in movimento. Era senza dubbio un ricevimento di nobili Babbani.

La musica aveva attaccato una marcia lenta e molte delle coppie si erano strette, pronte a volteggiare per la pista da ballo. Anche Fleur e suo fratello avevano danzato nel centro del salone, attirando un naturale interesse data la sfoggiante bellezza di Fleur e le cicatrici appariscenti sul viso di Bill.

Aveva visto suo fratello che le lanciava un’occhiata ammiccante. ‘Vai a divertirti.’

Allora il suo sguardo era vagato su tutti gli invitati, analizzandoli uno per uno ma senza darvi alcuna importanza. Finché i suoi occhi erano stati costretti a soffermarsi su una persona:

Un ragazzo della sua età, probabilmente, che aveva un portamento maturo e responsabile. C’era qualcosa di delicato nel suo sorriso cortese, ma anche un velo di autorità, di possesso e di comando. Aveva dei bellissimi capelli corvini, corti e ordinati e un viso distrattamente affascinante.

Ma erano stati i suoi occhi verdi a frenarle lo sguardo.

Erano magnetici ed incredibilmente consistenti.

Poi il ricordo di quel ragazzo dagli ipnotici occhi verdi era diventato più concreto…

Parlò con una voce vellutata e cortese, ma che stranamente sembrava imperiosa. “Signorina, lei continua a fissarmi.”

Ginny giunse le mani davanti al grembo, piegando leggermente il capo. “Domando scusa.”

Fissò il ragazzo: lui sorrideva compiaciuto. Si era resa conto solo dopo che la sua era stata la replica di una serva. Ma a quel ragazzo sembrava che facesse incredibilmente piacere ricevere adulazioni tanto servili.

Lei si sentì umiliata ma al contempo affascinata.

Il giovane smise di sorridere e la fissò serio. “Tu non sei una ragazza come le altre. Come ti chiami?”

“Ginny Weasley.” Le era sfuggito dalle labbra.

Le labbra di lui si erano piegate in uno strano e sinistro sorriso. “Bene, Ginny, io sono Han Joshuel.”

Han protese la mano. Lei la osservò: incredibilmente simile a quella di Harry ma più curata. In un attimo la sua mano si trovò stretta in quella di lui.

“Piacere, Ginny Weasley.”

“Piacere” aveva replicato lei con un filo di voce.

Aveva abbassato lo sguardo, ma lui gliel’aveva fatto risollevare: solo due dita delicate sotto il mento della ragazza.

Ginny sapeva che si stava prendendo troppa confidenza, la stava toccando, era troppo vicino… eppure c’era qualcosa negli occhi verdi di Han…

Vide quegli occhi chiudersi e anche lei chiuse i suoi quando avvertì il delicato tocco delle labbra del ragazzo contro le sue. Si abbandonò completamente.

Lui si allontanò dopo poco con un sorriso sornione. “Davvero molto bella, Ginny Weasley… Weasley... perdonami, cara Ginny, ma credo di non conoscere la tua famiglia; non siete di queste parti, vero?”

“In realtà sì, siamo una famiglia abbastanza nota” ribatté Ginny con un singhiozzo, sperando di non essere risultata troppo impudente “E’ solo che non credo che la tua famiglia e la mia abbiano le stesse conoscenze.”

Han sospirò. “Capisco. Apparteniamo forse a due mondi diversi?”

“In realtà sì” ripeté Ginny con la medesima espressione di prima.

Han sorrise ancora, affatto sorpreso. “Lo sospettavo.”

Lui allungò di nuovo una mano, aspettando che lei la prendesse: era un suggello di fidanzamento.

Ginny esitò solo per un attimo.

Cosa stava facendo? Aveva persino rischiato di rivelare a quel Babbano l’esistenza del mondo dei Maghi. E proprio in quella settimana il Ministero aveva emanato una legge provvisoria che proibiva di smascherare la propria identità di Mago ad un Babbano se non in situazioni strettamente necessarie.

Eppure lei avrebbe atteso a malapena due giorni per rivelargli: “Han, sono una strega.” E lui le avrebbe risposto con un sorriso: “Lo sospettavo, cara Ginny.”

Quegli occhi verdi…

Protese la mano.

Nessuno avrebbe mai potuto dirle che si era fidanzata con uno sconosciuto per sfuggire da Harry perché quel ragazzo somigliava ad Harry, almeno solo fisicamente.

Appena lui le strinse la mano e piantò quegli occhi verdi e penetranti nei suoi, Ginny seppe che doveva smettere di aspettare.

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Hermione Granger

“Intimità”



Riaprì delicatamente gli occhi. Le palpebre erano incredibilmente pesanti e in corpo aveva una sensazione simile all’ebbrezza ma molto più pacificante.

Cominciò piano ad abituarsi ai suoni e alle luci di quel luogo tutto bianco. Capì che si trattava di un corridoio lungo ed affollato: gente sgattaiolava da tutte le parti, c’era uno scalpiccio continuo, qualcuno si lamentava, qualcuno gemeva, un bambino piangeva… Poi identificò quel corridoio: il San Mungo.

Aveva avuto una visuale simile quando Fleur si era dovuta ricoverare per una presunta gravidanza, poi gioiosamente confermata.

Sospirò ricordando quell’istante e si rese conto di quanto fosse lontano soprattutto perché era un ricordo di guerra: e lei, in quell’istante, non era più in guerra.

Una gioia commovente le arrivò agli occhi e la fece lacrimare piano: la battaglia era conclusa. Sapeva che era tutto finito anche se nessuno lo aveva confermato. L’atmosfera che tirava nell’ospedale di irritata sbrigatività, la stessa voce a tratti scocciata e premurosa delle infermiere, furono la sua conferma: stavano curando dei feriti perché tornassero ad una vita pacifica, non stavano rattoppando dei soldati perché tornassero in guerra.

Ma i feriti erano molti. Tanti che erano stati costretti a sistemarla su una barella lungo un corridoio. All’improvviso desiderò confermare quei suoni con i propri occhi, e fece scorrere lo sguardo nelle vicinanze.

Fu il primo che vide e l’incontro con i suoi occhi marroni la riempirono di incredibile felicità e rimprovero: era talmente impregnata nella gioia del post-guerra che aveva scordato di pensare a suoi cari, a lui in particolare, che l’aveva aiutata, l’aveva sostenuta, era diventato la sua inguaribile dipendenza.

“Ron” biascicò tra le labbra socchiuse.

Ron scattò verso di lei, urtando la barella e facendola tentennare con Hermione sopra: il viso gli si riempì di vergogna e disagio.

“Scusa” borbottò.

Il viso imbronciato di Ron la fece quasi commuovere. Un sorriso le si formò sulle labbra. “E di cosa? Stai bene, sto bene… e la guerra è finita, vero?”

“Sì” replicò Ron riprendendo un po’ di buonumore “Harry è stato fantastico: ha ucciso Voldemort.”

Hermione bloccò la respirazione per un istante. Le bastava il silenzio per contemplare quella piacevole verità: ‘Voldemort è morto’.

Ma notò che quel silenzio era collettivo. Molti occhi indignati erano puntati su Ron. Un’infermiera stiracchiò le bende che aveva in mano e gli rivolse un’occhiata stizzita.

“Impara a trattenere la lingua, ragazzo. Non si dovrebbero dire certe cose in un ospedale con tanti feriti.”

Ron ammutolì con uno strano rantolo e tornò a fissare imbarazzato Hermione.

Hermione ebbe uno scatto indignato. “Ron, cosa fai? Ti fai mettere i piedi in testa?”

“Ha ragione” ribatté Ron in tono sommesso “Non avrei dovuto dire una cosa del genere, non adesso soprattutto.”

“Come?” fece Hermione stupefatta “Hai fatto benissimo, la guerra è finita. Qualcuno deve avere il coraggio di rompere l’incantesimo della paura: se davvero Voldemort è morto allora non c’è nessun motivo per temere il suo nome.”

Fissò decisa l’infermiera accanto alla lettiga, quella che aveva attaccato Ron. Lei le rimandò un grugno indispettito e sembrò sul punto di sputare per terra.

Ron si frappose per interrompere lo scambio di occhiate micidiali tra le due. “Calma, calma, Hermione. Non è il caso che ti fai nemica una delle poche infermiere efficienti del San Mungo; la maggior parte del personale medico è fuori a soccorrere i feriti per strada.”

Hermione lo guardò con le sopracciglia corrugate. “Non ti riconosco proprio, Ron. Non è da te tutto questo raziocinio. E’ successo qualcosa?”

Ron sfuggì immediatamente gli occhi nocciola di Hermione, desiderando intensamente non far cadere lo sguardo sulla benda insanguinata che la ragazza portava alla testa. ‘E’ colpa mia’, avrebbe pensato.

Hermione gli aveva forse chiesto cos’era successo? Tante cose.

“Moody è morto” mugugnò con rincrescimento.

Hermione sbarrò gli occhi, socchiudendo le labbra ma non vi uscì un suono.

“E’ stato un Mangiamorte” continuò Ron con lo sguardo basso “Così credono… credono che solo un Mangiamorte sarebbe stato capace di tanto.”

“Allora è morto in un modo orribile” singhiozzò Hermione, tornando a stendersi sulla lettiga e a fissare il corridoio bianco.

“No” ribatté Ron riacquistando la sua risoluzione “In fondo è morto da eroe. Ha combattuto contro un Mangiamorte e non c’è l’ha fatta, ma in fondo è stata una morte…”

“Oh, smettila, Ron” sbottò Hermione irritata “Una morte precoce e violenta non può essere eroica, è sempre terribile ed ignobile.”

Si girò su un fianco in un gesto molto infantile ma che sentiva di dover fare. Forse era stata ingiusta con Ron, ma la morte di Moody, del loro comandante, di tante altre persone innocenti, non potevano essere delle morti eroiche, assolutamente no, erano tutte delle tragedie.

Lei rimase immobile ma lui non fece altrettanto. Lo sentì agitarsi alle sue spalle, sospingere leggermente la lettiga e poi udì un lieve scrosciare d’acqua e il battito regole di una goccia che cadeva in una catinella. Spiò con la coda dell’occhio.

Ron aveva immerso le mani in una ciotola. Continuava a strofinare, eppure dal lieve ondeggiare trasparente dell’acqua sembrava che le sue mani fossero pulite. Hermione ebbe una sinistra sensazione nell’osservargli l’espressione assorta del viso: troppo concentrata, quasi ipnotizzata.

Poi Ron alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Da entrambi ci fu imbarazzo e le mani di Ron cominciarono a strofinarsi con più foga nella catinella d’acqua.

Hermione dischiuse le labbra. “Scusami per prima, Ron, è che… dovremo solo piangere quando muore qualcuno, non possiamo pretendere di trovare delle scuse per sfuggire al dolore.”

Le mani di Ron si fermarono e lui le rivolse un sorriso stiracchiato. “Hai ragione, è solo che sono morte troppe persone. Se mi concentro sulla tristezza della loro morte ho l’impressione di non reggere.”

Hermione sobbalzò piano. Era proprio Ron? Il ragazzo simpatico ma semplice che credeva avere la sfera emotiva di un cucchiaino?

“Ron, cos’è successo?” gli richiese delicatamente Hermione.

“Te l’ho detto” replicò Ron “Troppe morti e credo… credo di averti fatto male, Hermione.”

Solo in quell’istante Hermione si rese conto della fitta alla testa. “Ma… i Dissennatori, Bellatrix…?”

Ron chinò il capo e una mano si immerse nel catino. “Sì, sono stati loro, ma io… Albatros è morto per salvarmi… e io non ti ho trattato bene.”

Hermione non era certa di comprendere le parole di Ron.

‘Mi hai trattato male? E’ metaforico, Ron, o è quello che ti senti di aver fatto?’

Avrebbe voluto gridarglielo in faccia ma l’espressione misera del ragazzo la bloccò.

Si fissarono reciprocamente ed Hermione seppe che quella dispettosa scintilla che la sospingeva tra le braccia di Ron si era accesa.

Si protese verso di lui con le labbra dischiuse, desiderando un bacio.

Ron si fece avanti ma una mano sostava ancora nell’acqua.

Hermione desiderò socchiudere gli occhi, ma non ci riuscì: il volto di Ron era contratto dall’ansia e lui la stava per baciare.

Si bloccò stranita e anche Ron fu fermo sul posto, quasi pietrificato. Distese le labbra pronte per il bacio e fissò il volto arrossato del ragazzo. Era un rossore da tensione, aveva imparato a riconoscerlo: era lo stesso che aveva prima di una cruciale partita di Quidditch… e lui la stava per baciare.

Ron tornò al suo posto con uno scatto fulmineo e tutto piombò nel silenzio. Hermione poggiò la testa sul cuscino, mordendosi il labbro inferiore con un groppo di rancore nella gola.

Il silenzio era snervante. Allora Ron prese a risciacquarsi le mani nel catino e sembrò che quell’attività lo rilassasse.

Hermione chiuse gli occhi, più infastidita dallo scrosciare dell’acqua che dal silenzio. Continuò così finché Ron si alzò, congedandosi con un mugugno impacciato.

Allora lei poté liberare le lacrime.

Avevano perso qualcosa durante quell’ultima battaglia: l’intimità.

Erano tornati come prima di quel giorno.

#Ricordo: il Primo Bacio#

Il governo despota di Scrimgeour a Hogwarts era tutto fuorché permissivo, eppure Hermione, Ron, Ginny e Neville si impegnavano sempre ad infrangere ed aggirare le regole, solo per quei brevi istanti insieme, per sentire la piacevolezza della reciproca compagnia. E fu allora che divenne evidente, per Hermione, quanto piacevole era la vicinanza di Ron.

“Non ce la faccio più” sospirò Neville “E’ peggio che con la Umbridge. Siamo sempre osservati, non ce un attimo di tregua.”

“Marshall è un despota” inveì Ginny “Così come Scrimgeour, entrambi talmente convinti di essere l’eccellenza della razza dei maghi. Ma sono certa che se si dovessero trovare davanti i Mangiamorte non saprebbero neanche da che parte prendere la bacchetta.”

“Forse Scrimgeour” convenne Hermione “Sembra che sia un grande comandante, ma non ha molto sangue freddo e a quanto ho sentito dire non sa reagire bene alle imboscate: è più uno stratega che un combattente. Ma forse Marshall potrebbe…”

“Bah” la interruppe Ron con un verso indignato “Quello stronzo è un inutile.”

“Ron!” lo seccò Hermione.

Ron sostenne il suo sguardo. “Non criticare, Hermione. Come puoi elogiarlo dopo che ti ha tirato un pugno nello stomaco?”

“Non lo sto elogiando” si difese lei “Sto solo dicendo che come combattente potrebbe cavarsela contro i Mangiamorte, e per noi questo è un bene. Ciò non toglie che sia uno stronzo.”

Calò un silenzio stupefatto. Rare volte Hermione si esprimeva a parolacce ritenendo che le volgarità fossero troppo grossolane e fastidiose.

Hermione diede un leggero colpetto di tosse e si rivolse a Ron, addolcendo lo sguardo. “Comunque grazie per avermi difeso contro Marshall.”

Ron si agitò incomodo sotto lo sguardo di gratitudine di Hermione. Fece volteggiare gli occhi per la stanza, soffermandosi infine sul viso cangiante di Hermione. “Non è stato niente” ammise con un sospiro.

La ragazza sorrise. “Non dire così, ti sei persino rotto un braccio per difendermi.”

Ron sorrise a sua volta.

Ginny lanciò delle occhiate furtive ai due e afferrò Neville per un braccio che sobbalzò per la sorpresa.

“Io e Neville andiamo” annunciò la rossa trascinandosi dietro l’amico “I nostri gruppi ci aspettano.”

E di due scomparvero lungo il corridoio lasciando Ron ed Hermione da soli.

C’era della tensione nell’aria, ma non eccessivamente spiacevole, sopportabile: imbarazzo.

Ron si schiarì la voce. Avrebbe potuto cavarsi da quell’impiccio raccontando ad Hermione che anche il suo gruppo aveva bisogno di lui – cosa non molto irreale data la totale inefficienza dei suoi compagni – ma sentiva che doveva restare e tollerare l’imbarazzo, almeno per quella volta.

Così invitò Hermione a sedersi su una panchina messa sotto una finestra del corridoio.

Fuori c’era solo nebbia e nessun raggio di sole penetrava la finestra; il corridoio era lugubre. Ma entrambi avevano trovato la propria isola di felicità.

“Ho controllato” mormorò Hermione, facendo saettare gli occhi in tutte le direzioni tranne che sul viso di Ron “Nessuna guardia dovrebbe passare da queste parti per i prossimi dieci minuti.”

“Bene” replicò Ron con un borbottio ed una voce stranamente roca ed impacciata.

I due cominciarono a lanciarsi occhiate ad intervalli, distogliendo con un guizzo lo sguardo, finché incrociarono gli occhi tremanti del compagno che tentava di sfuggire. Quelli nocciola di Hermione acquistarono un po’ di luce, ma non smisero di tremare. Ron socchiuse i suoi, riducendoli a due fessure lacrimanti, puntati in quelli dell’amica.

Senza desiderarlo esplicitamente entrambi i loro corpi erano scivolati sulla panchina, avvicinandosi. La distanza tra i loro visi si stava serrando e lo sguardo di entrambi acquistava tenacia e perdeva timidezza ed incertezza.

Le loro labbra si sfiorarono appena e allora l’insicurezza fu abbandonata. Hermione dischiuse le labbra, avvertendo l’ansia lontana e sfumata. Anche le labbra di Ron smisero di tremare guadagnando fermezza, convinte di potersi premere con foga contro quelle della ragazza.

All’improvviso, una terribile reminescenza della professoressa Umbridge piombò su di loro.

Ehm, ehm.”

Si staccarono di colpo, lanciandosi reciprocamente alle estremità della panchina.

Lavanda Brown incombeva su di loro con uno sguardo atroce e le labbra contratte dalla rabbia, imperiosa e contrariata quanto l’Inquisitore Supremo di Hogwarts.

Fulminò Hermione in particolar modo, e anche Ron non fu risparmiato da un’occhiata di pura indignazione. Ron era visibilmente imbarazzato, ma Hermione levava il mento fiera.

Lavanda girò sui tacchi con una specie di piroetta mal riuscita ed abbandonò i due, sperando di lasciarsi alle spalle uno sgradevole imbarazzo.

Ma, invece, non c’era imbarazzo tra i due, solo una complice occhiata furfantesca.

“Beh, Hermione” soffiò Ron divertito “Dovevi calcolare anche intromissioni del genere.”

“Non puoi contare sempre su di me, Ron” ribatté Hermione con altrettanta gaiezza “Devi imparare da solo a gestire le tue ex.”

Contrariamente a quello che entrambi si erano aspettati, quel bacio fallito non creò imbarazzo, solo una curiosa complicità che sarebbe poi andata crescendo.

In pratica non avevano concluso molto su quella panchina, solo uno sbrigativo bacio malriuscito ed interrotto. Ma l’importante era stato fatto: avevano abbattuto la barriera dell’intimità.

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Samantha Drake

“Ingrato”



Era seduta in un angolo a vegliare su di lui da più di due ore. La malandata sveglia babbana di quella camera di motel segnava le 3.44.

Ad un certo punto desiderò solo di afferrare le sue spalle e scuoterlo fino a farlo gemere e svegliare bruscamente. Lo spiacevole ricordo delle sue prime parole dopo il ritorno non se n’era andato.

‘Maledetta Assassina’

Non c’era dolore o rimpianto nel cuore di Samantha, solo un’infinita voglia di strozzarlo a mani nude. Aveva messo a repentaglio la sua missione, il suo segreto per lui. E aveva anche restituito a lui la vita.

Dall’esterno sarebbe anche potuta sembrare una storia a lieto fine: quel dannato ragazzo avrebbe solo dovuto svegliarsi dalla morte con un sospiro beato, stretto tra le sue braccia, ringraziandola con calde lacrime per avergli restituito la vita; ed infine un sussurro che grondava di devozione: ‘ti amo, salvatrice’.

Per i gusti di Samantha sarebbe stato troppo mieloso e cliché come riappacificazione post guerra. Poi avrebbe dovuto esserci un inversione col ruolo dell’uomo salvatore e della donna che si ridesta grazie ad un bacio d’amore; ma, d’altronde, qualsiasi finale melenso sarebbe stato meglio di quello:

‘Maledetta Assassina.’

L’aveva sospirato a fior di labbra ed era svenuto di nuovo come un ciocco. Non le aveva nemmeno lasciato il tempo per urlargli o, meglio, sputargli in faccia. Una donna rischia tutto per il suo uomo e viene chiamata Assassina?

Poteva esserci un fondo di verità nelle parole di Draco. Come termine strettamente tecnico ‘assassina’ si poteva addire a Samantha dato che era una Mangiamorte e, sempre con perizia minuziosa, lo aveva ucciso. Ma lo aveva ucciso per salvargli la vita. Senza contare che aveva solo inscenato la sua morte. Inoltre, sempre grazie a lei, Draco si era perso il climax della battaglia.

‘Meglio per lui’, rifletté Samantha con una storta di naso ‘Con la resistenza d’animo che ha sarebbe crollato a terra dopo il primo scambio di fatture.’

In sostanza: Draco Malfoy era un ingrato.

E nonostante la sua ingratitudine, Samantha l’aveva trascinato svenuto fino a quella pidocchiosa camera babbana perché potesse riposare e riacquistare le forze.

In sostanza: Samantha Drake era molto generosa.

‘Sono troppo buona.’

Continuava a pensare Samantha con un sogghigno mentre osservava Draco che si rigirava nel letto in un sonno tormentato.

‘Pensandoci bene, però, credo di volere che lui riapra gli occhi solo per sbattergli in faccia quanto lui sia stato codardo ed io sia stata eroica.’

Il corpo di Draco terminò di agitarsi e si bloccò in una posa talmente rigida da sembrare cadaverica.

Samantha si accostò al letto, poggiando il capo reclinato contro il petto del ragazzo. Il battito era tornato regolare, il respiro anche: si stava per svegliare.

Samantha levò il capo, scrutando dall’alto in basso le palpebre del ragazzo che si contraevano e tentavano di aprirsi a fatica.

‘Sono pronta. Questa volta non ti butterò le braccia al collo.’

Draco aprì gli occhi corrugando le sopracciglia e socchiudendo le labbra. Mise malamente a fuoco la camera che lo circondava; riuscì a capire solo due cose: era un pidocchioso alloggio babbano e non era solo.

Non tardò a riconoscere l’identità dell’altro soggetto: l’Assassina.

Tentò persino di sibilarlo tra le labbra, ma dalla gola gli giunse solo un terribile conato. Affondò la testa contro il cuscino: il suo intero corpo tremava e sudava; sentiva il cervello che gli pulsava contro il cranio e le viscere che gli si attorcigliavano nell’addome.

“Perfetto” sogghignò Samantha “Stai così male che non hai la forza di emettere neanche un suono.”

Si avvicinò al letto, rivolgendo a Draco un sorrisetto furbo. “E senza la sua lingua biforcuta Draco Malfoy non vale niente.”

Draco ridusse gli occhi a due fessure, ma tenne le labbra premute.

“Perfetto” si compiacque Samantha, cominciando a passeggiare per la stanza “Non vali niente. Direi che questo descrive in pieno la tua situazione odierna, Draco: tutti ti credono morto e un morto non vale niente. Persino i tuoi genitori ti credono morto.”

Samantha lanciò un’occhiata al volto di Draco e lo vide contrarsi dalla rabbia.

“Mi dispiace, ma era necessario” proseguì lei “Ora che sei un cadavere nessuno ti cercherà più per vendicarsi. In questo bellicoso clima post guerra ci sono molti Babbani e Mezzosangue che gradirebbero molto stringere il bel collo del presunto assassino di Albus Silente, nonché figlio di due Mangiamorte, nonché rampollo di due opulente e nobili famiglie Purosangue. Quindi ritieniti fortunato per essere morto.”

Si interruppe per fissare Draco dritto negli occhi ostili e plumbei.

“E sai di chi è il merito della tua fortuna? Solo mia. Io ho inscenato la tua morte e…”

Samantha dovette frenare il suo impeto vendicativo. Draco si stava contorcendo, premendo le mani contro l’addome e annaspando faticosamente in cerca d’aria.

Con uno sbuffo scocciato, Samantha afferrò un bicchiere, mescolando al suo interno qualche flacone di liquido puzzolente e allungandone il contenuto a Draco, poggiando il bordo del bicchiere contro le sue labbra.

“Bevi, Draco, ti farà bene.”

Draco fissò il liquido stagnante per un attimo: lei era l’Assassina; chi gli assicurava che dentro quel bicchiere non ci fosse del veleno? Ma la successiva ondata di terribili nausee gli fece passare la voglia di dubitare.

Aprì la bocca e ingoiò tutto, domandandosi a metà strada come avrebbero fatto le sue viscere a reggere quel liquido disgustoso. Ma dopo un attimo tutto si calmò e lui poté tornare a sdraiarsi anche se il tremendo mal di testa non accennava a diminuire.

Samantha riordinò il set di flaconi con aria pensosa. “Cosa stavo dicendo? Ah sì, tu sei libero perché sei morto, ma non è altrettanto semplice per i tuoi genitori.”

Draco riuscì a scordare per un istante il martellio del suo cervello e si concentrò sulle parole di Samantha.

“I tuoi genitori saranno processati come criminali di guerra.”

Samantha cercò lo sguardo di Draco, tentando di addolcire il suo ma incontrò solo due occhi grigi e sorpresi.

La ragazza sospirò, massaggiandosi le tempie con due dita. “Perdonami, Draco, mi sono scordata di farti il resoconto di quanto è successo mentre tu fingevi bellamente di essere cadavere: Voldemort è morto, è stato il tuo amico Potter ad ucciderlo.”

Draco sobbalzò sul letto accompagnato da una vigorosa ondata di nausee. Avrebbe voluto dire tante cose se i malanni del suo corpo non glielo avessero impedito: perché hai abbandonato il vecchio ‘Oscuro Signore’ in favore del più impudente ‘Vold…’? Come ha potuto un incapace – ma forse non troppo – come Potter battere l’Oscuro Signore? Secondo quale contorto ragionamento Potter sarebbe mio amico? Perché mi hai ucciso?... Ma quella più pressante di tutte era:

Potrò rivedere i miei genitori vivi?

All’improvviso la mano delicata di Samantha si poggiò sulla spalla di Draco, massaggiandola piano “Non c’è di che preoccuparsi. Ci penserò io” la sua voce si era fatta più dolce “Sia tua madre che tuo padre verranno assolti. L’A.R.A.s ha molta influenza su certe cose.”

Lei gli rivolse un gran sorriso incoraggiante che lo fece ammutolire.

“Non preoccuparti, Draco, ti spiegherò tutto più tardi, quando tornerò con i tuoi genitori.”

Draco abbassò lo sguardo, serrando le labbra e trattenendo un singhiozzo: cominciava a sentirsi meglio, ma solo per quanto riguardava lo stomaco… perché per il resto…

Lei gli si avvicinò scoccandogli un bacio sulla guancia con un sorriso tenero. Lui si divincolò dal suo abbraccio scuotendo la testa come un bambino restio e cocciuto.

Samantha assunse un’espressione collerica e senza pensarci due volte assestò un colpo con mano sagittale al collo del ragazzo. Draco soffocò un gemito di dolore, massaggiandosi la base del collo e fissando Samantha con occhi socchiusi e lacrimanti per il colpo.

Lei sghignazzò ampiamente, staccandosi dal letto. Chiuse la porta con un botto, sperando vivamente di aver fatto sobbalzare Draco, sogghignando all’immagine del ragazzo che si contorceva per la nausea.

E’ uno schifoso ingrato’ pensò a denti stretti mentre usciva nel cuore della notte in quell’angolo sperduto della periferia di Londra.

Draco era uno schifoso ingrato eppure Samantha stava facendo di tutto per lui.

Si preparò alla Smaterializzazione, figurando l’edificio diroccato che avrebbe dovuto ospitare il nuovo Ministero della Magia.

‘E’ uno schifoso ingrato, un codardo, un piagnucolo, un debole, un voltafaccia, un ruffiano, un megalomane, un cocco sia di mamma che di papà… forse non è neanche capace di amare, ma io lo amo.’

*^*



[La Fine della Guerra]

Nel caso di Ninphadora Tonks

“Salvezza”



Remus le si era accucciato ai piedi, reggendosi debolmente sulle zampe da Licantropo.

Tonks era crollata in ginocchio per terra, e aveva aperto le braccia con un pallido sorriso. Un invito dolce: forse cominciava già ad entrare in quella fase ‘materna’ dove le donne diventano o più isteriche o più smielate. Le sarebbe piaciuto un bel pianto isterico, ma Tonks si era accorta di non avere più forze per far scorrere una lacrima.

Avvertì l’ispido pelo di Remus contro le ginocchia sbucciate e il suo respiro che le scaldava le gambe.

Guaiva come un cane, strusciando piano il capo contro le sue ginocchia; Tonks sorrise debolmente, e la sua mano toccò senza paura il corpo ancora ‘bestiale’ di Remus.

Tra la peluria color terra, vi erano incrostazioni di sangue e sporco.

Tonks controllò meticolosamente la pelliccia, stropicciandosi gli occhi appannati per la nebbia dei Dissennatori (è colpa loro questa tristezza che la schiacciava?) e per la stanchezza.

Aveva alcune abrasioni superficiali, ma qualche taglio era netto e andava in profondità nella carne viva e pulsante di Remus. Tonks strinse i denti e si morse un labbro, trattenendo le lacrime di rabbia e spavento.

Alzando gli occhi, scorse Greyback esalare gli ultimi respiri, il ventre animalescamente squarciato, e intorno a lei vedeva solo Licantropi, che guardavano Remus con i loro grandi canini.

Si era sempre chiesta come fossero spaventosi gli occhi di queste creature che erano descritte solo dai libri di mostri e dalle favole. Ora li vedeva: lucidi, tondeggianti e di vari colori – neri, cobalto e persino due incredibili occhi verde foglia.

Non le sembravano affatto malvagi, mentre aspettavano un ordine dal loro nuovo capo, il Lupo dagli occhi ambrati. Tonks sorrise, fiera di esserne la compagna, e trattenne una piccola risata dolceamara tra le labbra.

“I lupi hanno solo una compagna per la vita” le aveva confessato Remus una notte, accarezzandola nel buio della stanza.

Era strano ricordare quel bel momento proprio in quell’istante. Ma fu proprio il bel ricordo a farla sorridere, e riuscì a dimenticarsi, per un istante, del paesaggio desolante davanti a sé, le nuvole cupe e minacciose, la nebbia non ancora dissipata e la terra brulla su cui giacevano accatastati corpi di uomini e bestie, uguali nella distruzione.

Un nuovo guaito interruppe il filo dei suoi pensieri, e Tonks sibilò, continuando a coccolare Remus tra le braccia.

Anche se era in forma lupina, sentì un piacevole calore al petto, che la riscaldava e l’assopiva un po’ – anche se era da ben dieci minuti che tentava di non cedere al freddo pungente.

Doveva occuparsi di Remus. Di lui, del bambino e di se stessa.

“Remus… sto bene… stanno tutti bene…” lo rassicurò con voce tremula “La battaglia si sta spegnendo e i Licantropi sono qui, dietro di me, che ti ubbidiscono…”

Posò un bacio sul suo orecchio mangiucchiato. “Sono solo un po’ stanca sai…? Avrei bisogno di dormire… però non posso… qualcuno deve salvarci e non vedo nessuno qui intorno… sono tutti…” deglutì, e d’un tratto si rese conto della realtà. Si trovavano in un campo deserto, isolato, in compagni di Lupi Mannari poco affidabili e in fin di vita. Attorno, solo morte e desolazione.

Era come se fino a quel momento avesse vissuto una realtà ovattata, forse a causa della spossatezza e della testa che continuava a girarle, leggera come se fosse fumo.

Sentì il panico dilagare nella mente, che cominciava a fantasticare febbrilmente su atroci e assurde fini invece di pensare a come togliersi d’impiccio. Picchiettò il corpo di Remus nervosamente.

“Ci sono solo morti! Remus, io devo avvisare qualcuno… dobbiamo salvarci!… devo…”

Una fitta al ventre la fece gemere e d’istinto si piegò in avanti, cadendo con il respiro mozzato contro il corpo di Remus. Lo sentì ululare, spaventato, e avvertì il suo sguardo crucciato e angustiato accertarsi che stesse bene.

Tonks cercò di respirare normalmente, ma una nuova fitta al ventre le fece allargare gli occhi e gridare forte. Con la coda degli occhi vide i suoi capelli verdi-grigi. Un colore malsano, come si ritrovava solo quando era indisposta o stava male.

Avvertì la gola pungerle acidamente e vomitò a terra, tossendo per non soffocare.

Respira Tonks, respira! Devi salvarli tu Remus e il bambino… perciò R E S P I R A!

Prese un respiro profondo, come se avesse trattenuto il fiato sott’acqua, e gridò più forte che poteva.

“AIUTO! AIUTO!”

Non registrò nessun segno di ausilio, ma solo gli occhi diventare fastidiosamente pesanti e il sapore nauseabondo del vomito infondo alla gola.

Una nuova fitta la costrinse a stringersi il ventre con un braccio, allargando gli occhi con orrore.

Non voleva morire. Non voleva morire. Dovevano salvarsi, lei Remus e il bambino.

Le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance e lei a singhiozzare, e intanto cercare di respirare come le avevano insegnato al corso di pre-parto al San Mungo, in modo da incanalare più ossigeno possibile nei polmoni.

Uno, due, tre… niente panico Tonks… uno, due, tre…

Maledizione, non poteva finire così! Dovevano essere una famiglia felice, e Remus doveva essere un buon padre, e lei una brava madre, insegnare a loro figlio ad andare sui manici di scopa, a mettersi le scarpe e, perché no?, avrebbero potuto prendere un cane!

Il naso umido di Remus le toccò una guancia. Tonks annaspava per l’aria, ma trovò la forza di rivolgergli un debole sorriso.

“R-Remus… dobbiamo… salvarci…”

Lo vide annuire col muso, e alzarlo al cielo. Un ululato si perse nella notte, e a lui si unirono gli altri lupi.

Tonks pensò distrattamente che era un ottimo modo per attirare i soldati.

Gli Auror potevano salvarli tutti… (ma avrebbero salvato i Lupi Mannari?)

Fa i suoi pensieri si interruppero e non lo seppe mai. Il buio si era impossessato della sua mente, e gli occhi si erano chiusi.

“Svenuta per il dolore”, avrebbe spiegato un volontario ad un’infermiera del San Mungo. “L’abbiamo ripescata vicino ad un branco di Lupi Mannari. Una paura, signorina Daisy, eppure non mi hanno fatto niente quando mi sono avvicinato per prenderla, anzi si sono allontanati. Strano vero? Povera stella, chissà che paura… per fortuna adesso se ne occupano gli Auror di quelle bestie.”

*^*

[La Fine della Guerra]

Lacrime

Il labirinto era alle sue spalle. La battaglia era alle sue spalle. E davanti non aveva nessuno: Ginny era sparita.

Non c’era nessuno, solo una folla spropositata di soldati reduci dalla battaglia. Stavano gridando qualcosa con un ritmo esultante:

“Harry Potter! Harry Potter!”

Harry avanzò tra quelle persone senza guardare nessuno, senza trovare nessuno.

“Harry!”

Era un grido debole e preoccupato tra la folla esultante ma era una voce conosciuta.

Harry allungò il collo, allontanando bruscamente le braccia esultanti che tentavano di stringerlo. Oltre la calca più compatta c’era Hagrid, che sbucava dalla mischia col suo corpo massiccio.

Harry incrociò il suo sguardo e lo vide sorridere con quel suo tipico modo bonario e solare. Arrancò tra la folla che lo trascinava all’indietro, cercando disperatamente di raggiungere quell’unico viso conosciuto.

Hagrid lo vide digrignare i denti per lo sforzo e allora aprì un varco tra la folla con le sue enormi e forti braccia. I soldati esultanti si lamentarono, ringhiando verso Hagrid ed Harry sentì di odiarli: odiava tutte quelle persone che gli impedivano di raggiungere Hagrid.

Alla fine si sentì risucchiare verso l’uscita di quell’ammasso e si ritrovò nell’abbraccio di Hagrid che cominciò a singhiozzare.

“Harry! Non ho parole…”

Harry aveva sperato che non ne avesse. Non voleva delle parole che gli ricordassero della guerra, che insistessero perché lui diventasse il Prescelto, l’Eroe di quella guerra.

Avvertì qualcuno stringergli le spalle e per un attimo si dileguò dall’abbraccio di Hagrid con la ferma intenzione di colpire quell’impertinente, ma si bloccò quando riconobbe il viso di Neville.

“Harry” gli sussurrò lui con un singulto.

Si abbracciarono come due fratelli.

Lo schiamazzo della folla si interruppe. C’era solo una gran calca per assistere alla manifestazione sentimentale del Prescelto.

Sentì Neville che gli batteva due colpi sulla spalla, poi accadde senza un preciso significato: due grosse lacrime gli scesero sulle guancie arrossate. Un istante dopo la folla venne zittita dal pianto dirotto del Prescelto.

Neville si agitò con un’espressione desolata, tentando di consolarlo. Ma il resto dei presenti restò semplicemente basito. La notte era quieta e tra quel silenzio si imponeva il pianto di Harry Potter.

Passarono molti minuti senza che l’atmosfera cambiasse finché un uomo ardito osò azzardare:

“Sono lacrime di gioia!”

Era una voce tremendamente sicura ed isterica ma la folla scoppiò comunque in grida di trionfo. La gaiezza si diffuse a macchia d’olio e soffocò il pianto del Prescelto.

“Ha ragione!” gridò un altro più convinto “Non c’è motivo per essere tristi, ora!”

La felicità si gonfiò e le lacrime di Harry vennero accantonate.

La folla prese a marciare, spingendo Neville, Hagrid e Harry: si era formato un corteo in onore dell’Eroe di guerra.

*^*

[La Fine della Guerra]

Rose nere

L’infermiera musona cominciava a spazientirsi: era il terzo giro a vuoto per Ron in quell’ala dell’ospedale. L’atteggiamento bellicoso della donna si era oltremodo aggravato dopo la sfuriata di Hermione.

‘Hermione…’ Pensò Ron mentre imboccava un altro corridoio con aria smarrita.

Stava girando a vuoto: percorreva i corridoi uno ad uno, tranne quello bianco e lungo dove c’era la barella di Hermione; ormai i reparti e la logistica del terzo piano del San Mungo non avevano più segreti per lui.

Era tutto snervante e teso: malati che si lamentavano ovunque. Ma anche un vagabondare senza meta tra i moribondi era più allettante dello scomodo silenzio e dell’immobilità che si era creata con Hermione.

‘Dovrei sentirmi uno schifoso verme. Lei sta male e io sono qui a fare niente. Ma non posso restare al suo fianco se non riesco ad abbracciarla.’

Ron si tormentò i capelli rossi, ritornando al punto di partenza, dove lo attendeva l’infermiera spazientita.

“Fai qualcosa di costruttivo, almeno” gli biascicò lei “Sii cavaliere e porta dei fiori alla tua ragazza.”

Ron restò per un attimo inebetito. Lo sguardo dell’infermiera lo trapassò da parte a parte, pronunciando ‘la tua ragazza’. Forse voleva saggiare la sua reazione. L’espressione di Ron era rimasta immobile, scomposta leggermente solo dalla sorpresa. Forse avrebbe accolto il suggerimento dell’infermiera.

‘Dei fiori…’

Al piano inferiore c’era chi vendeva dei fiori in un botteghino piazzato accanto al reparto dei malati terminali: un’infinità di rose nere.

“Vuoi qualche, ragazzo?” gli chiese la venditrice con un sorriso raggiante, protendendo un rosa nera.

Ron indietreggiò con un’espressione esageratamente schifata. “No, grazie.”

La venditrice parve enormemente delusa mentre ricacciava il gambo di rosa nera in uno sfavillante bouquet. “Peccato” sospirò lei, lanciando un’occhiata speranzosa nei dintorni “Ma pare che qui ci sia urgente bisogno di rose nere.”

Ron si allontanò con un groppo alla gola. Ormai era diventato normale parlare di morte col sorriso sulle labbra.

‘Ora che la guerra è finita nessuno ha più paura della morte. Tutti ci ridono sopra, ci guadagnano…’

Tornò al piano superiore. Domandò alla reception. Nessuno aveva fiori da vendergli. C’erano solo quegli orribili rose nere.

Si sedette su una seggiola nei pressi del reparto ‘Malattie infettive’. Osservò la gente che passava. Si consolò in una specie di fraterna malinconia: non c’era nessuno che sorridesse sinceramente, riusciva a vedere solo dei sorrisetti stiracchiati.

Poi incontrò un sorriso genuino: era quello di una bambina con un occhio fasciato. Lei lo osservava con l’unico occhio visibile, tondo e marrone.

“Signore, stai cercando dei bei fiori?”

Ron tentò di fare un sorriso incoraggiante. “Infatti, tu mi puoi aiutare?”

Lei rispose con un sorriso cordiale. “Io non posso. Poteva il mio papà, ma adesso è morto.”

Il sorriso di Ron scomparve immediatamente ma quello genuino della bambina restò sulle sue labbra mentre mormorava candidamente della morte dei suoi genitori.

“I Mangiamorte hanno portato via papà e la mamma è caduta a terra così… le faceva male il cuore.”

Ron biascicò un ‘mi dispiace’, ma la maggior parte delle sillabe fu inghiottita da uno strano singhiozzo. Era terribilmente a disagio mentre la bambina scuoteva la testa col solito sorriso.

“Niente. Mi dispiace a me per i tuoi fiori, signore. Prima di morire la mamma mi ha detto che ci vorrà tanto tempo prima della stagione dei fiori belli.”

La bambina sorrise di nuovo e la mente di Ron fece rizzare il suo corpo all’improvviso, invocandogli di allontanarsi il più possibile da quella diabolica bambina.

Le sue gambe si misero a correre, lasciandosi alle spalle il sorriso della bambina e il chiosco di rose nere. Arrestò la sua fuga nel ‘Reparto maternità’, forse l’unico luogo in cui sperava di trovare dei volti sereni e delle famiglie integre.

Ma anche lì le lacrime si sprecavano.

Un guaritore completamente vestito di verde si fece avanti, affrontando un gruppo di persone spaurite. Negò con il capo e i famigliari di un bimbo nato prematuro e morto si sciolsero nella disperazione.

Ron strisciò contro il muro, il più lontano possibile da quelle urla strazianti, ma non riuscì comunque ad estrometterle dai suoi pensieri. Tutta quella sofferenza le ricordava Hermione, Hermione ferita su quella barella per colpa sua.

Hermione che non poteva consolare, abbracciare e baciare; quasi non poteva toccarla, non poteva farlo di nuovo dopo quello che era successo nel labirinto.

‘Non posso toccarla… come se fosse morta.’

Un singhiozzo sfuggì anche a lui ma si disperse nel coro di pianti della famiglia spezzata.

Marciò per quel tratto di corridoio e trovò una porta spalancata. Una guaritrice contemplava l’interno della stanza con occhio critico, mugugnando tra i denti: “Mi sembra troppo pallida, signora. La sua debolezza è da imputare alla gravidanza oltre che allo stress subito in guerra. Secondo la sua cartella ginecologica il padre del bambino sarebbe un Lupo Mannaro.”

Le labbra della guaritrice si arricciarono.

Alla smorfia della donna il cuore di Ron si gonfiò di disgusto ma anche di una piacevole delizia: il figlio di un Lupo Mannaro? Il loro Lupo Mannaro? Remus?

Si fiondò nella stanza, premurandosi prima di colpire la spalla della guaritrice più forte che poteva.

Nel letto dell’ospedale giaceva Tonks con i capelli bianchi. Alla vista di Ron ebbe un singulto.

“Ron?! Ron! Grazie a Merlino, Ron!”

La sua voce sembrava spezzata dal pianto e Ron non osò avanzare oltre.

“Devi aiutarmi, Ron. Ti prego, trova Remus, trova Remus e portalo da me!”

“E’ escluso!”

Ron si voltò con rancore verso la guaritrice.

“E’ escluso” ribadì lei con voce arcigna “che un Lupo Mannaro varchi i confini del San Mungo: escluso! Soprattutto in una nottata del genere.”

La guaritrice lanciò un’occhiata sprezzante alla finestra. Ron seguì il suo sguardo: oltre il vetro, celata dalla nebbia, c’era una tonda luna piena.

“Escluso” mugugnò sordidamente la guaritrice all’indirizzo di Tonks.

Tonks sembrò sciogliersi contro le lenzuola del letto, i capelli riuscirono persino a diventare più pallidi del bianco: il suo viso era il trionfo della disperazione. “Ron… trova Remus.”

Il capo di Ron si piegò in avanti poi indietro in modo ritmico: aveva accennato, aveva detto di sì.

Il viso di Tonks si illuminò e i suoi capelli bianchi si tinsero di un grigio topo non troppo cupo.

“E lei è anche una Metamorfamagus” borbottò la guaritrice con una punta di disprezzo.

Ron inforcò la guaritrice col suo sguardo più risoluto e collerico. “Lei non provi a dire altro di offensivo a Tonks. Si potrà avvicinare solo per curarla, chiaro?”

La guaritrice storse la bocca. “E tu chi credi di essere?”

“Sono il Disseroctono, Ronald Weasley” gli venne fuori di getto, sotto un’ondata di ira e di orgoglio.

Quell’affermazione poteva avere significato solo per Ron eppure la guaritrice ammutolì all’istante, quasi soggiogata da un’intimidazione.

Ron la oltrepassò e la vide fare quasi una reverenza.

“Non preoccuparti, Tonks” mormorò sulla soglia della stanza; accanto al letto di Tonks c’era un vaso di rose nere “Troverò Remus e ti porterò dei bei fiori.”

*^*

[La Fine della Guerra]

La Proposta che Non si può Rifiutare

“Mi vuoi sposare?”

Venne fuori tra una tazza di the e qualche biscotto alle mandorle. Ginny si bloccò ma non era sorpresa, solo frastornata.

Conosceva bene Han e sapeva che era un tipo da matrimonio precoce. Anche se di carattere non impulsivo, voleva una cosa da Ginny e sapeva che l’avrebbe avuta solo dopo un’ufficiale proposta di fidanzamento.

“Allora?”

Le richiese, prendendo un minuscolo boccone da una meringa schiumosa e bianca. Ginny fremette quando ebbe l’impressione che intendesse fare la stessa cosa con lei.

“Non ti sembra un po’ troppo presto?” gli chiese timidamente.

Han fece schioccare la lingua, rilassandosi contro la poltrona e rivolgendole un’occhiata sorniona. “Mi sembra troppo tardi. La guerra è finita, attendevo solo quello.”

“Bene” ribatté Ginny atona “Allora va bene.”

“Ottimo.” Commentò Han come in risposta ad un’ovvia replica.

Ginny sentì un vuoto allargarsi dallo stomaco: guardò fuori dalla finestra e vide il cielo grigio e uggioso. Desiderò confondersi in quella nebbia melanconica.

Dunque quella era la tanto attesa proposta di matrimonio. Non se l’era sognata così; assolutamente no, eppure non aveva potuto rifiutare quell’invito – quell’ordine.

Ripose il biscotto morsicato sul vassoio dei dolci. Han le rivolse un’occhiata contrariata.

“Non sta bene, cara Ginny, riporre nel vassoio del cibo già consumato.”

Ginny lo riprese e lo inghiottì.

“Bene” fece Han con un sospiro “Domani mia madre verrà da noi, ti aiuterà a scegliere il vestito e il resto.”

Ginny gli rivolse un lieve accenno col capo, poi fu costretta a poggiarlo sul guanciale del divano: le girava la testa. Han parlava di loro come ‘noi’; accettando la proposta di matrimonio aveva sancito la loro eterna unione, eterna. In quel contesto il ‘per sempre’ era davvero tragico.

Inoltre le parve che Han avesse già pianificato tutto, ancora prima di ricevere la sua risposta. Lui era l’uomo delle infallibili certezze che non accettava un no come risposta. E se Ginny avesse provato a dire ‘no’?

Lei avrebbe anche osato, ma era un azzardo troppo avventato: da sola con lui in quell’antica casa isolata; non sapeva cosa era capace di fare quel ragazzo in replica ad un ‘no’.

Non aveva paura. Era solo quel dolce sorriso tremendamente falso di Han che la bloccava. O forse erano i suoi occhi verde tremendamente simili a quelli di Harry.

“Vieni, Ginny, andiamo in camera mia.”

Le porse la mano con quel sorriso e già conosceva la risposta.

Ginny si sentì trascinata, mossa alle spalle da qualche filo invisibile. Prese la mano di Han e si lasciò condurre come un ceco attraverso quella casa buia. Furono di fronte alla camera di Han e lui la spinse dentro senza neanche toccarla, solo con lo sguardo.

*

Non faceva che opprimerla: il sordido respiro di Han in quella meschina camera da letto.

Alla fine si era alzata e Han l’aveva trattenuta per un polso, reclamando un bacio che Ginny gli aveva concesso nell’oscurità. Anche nel buio e nel sonno Han esigeva pieno possesso.

Ginny rabbrividì a quel pensiero perché lo collegò a quello che avevano appena fatto.

Si alzò dal letto, coprendosi con le lenzuola macchiate. Han le sussurrò un sonnolento: “Torna presto.”

E Ginny seppe che doveva ubbidire. Si chiuse in bagno, anche quello zeppo di maiolica, marmo bianco, drappeggi bianchi e ricamati: tutto candido e pulito. Non come il lenzuolo che stringeva attorno al corpo, non come il suo corpo, non come lei.

Cercò nel buio una saponetta guidata dal dolce odore di lavanda. Si tolse il lenzuolo. Degli spifferi gelidi la investirono, facendola sussultare e allora si avvolse con una vestaglia di seta, anche quella bianca ed immacolata.

Cominciò a strofinare il lenzuolo con la saponetta, spruzzando l’acqua gelida del lavandino lustro. La schiuma si gonfiò sulle sue mani, profumata e piacevole. Aumentò il getto d’acqua fredda e avvertì una confortevole insensibilità che si stava spargendo dalle dita. Continuò a passare la saponetta e chiuse gli occhi, concentrata solo sullo scrosciare dell’acqua, finalmente dimentica di quella notte.

Finché sentì uno strusciare di lenzuola e seppe che Han si stava alzando. Chiuse immediatamente il rubinetto, ricacciando la saponetta nel suo contenitore, schizzando delle gocce contro lo specchio nel buio, sentendosi una donna meschina. Cattiva e vile, come un’assassina che tentava di lavar via il sangue del suo delitto nel mezzo della notte.

La porta del bagno si aprì e Ginny desiderò solo che l’insensibilità che aveva alle dita le giungesse fino al cuore.

“Allora, Ginny?” bisbigliò Han dallo spicchio aperto della porta “Cosa fai?”

“Stavo lavando” rispose lei in tono sommesso.

Han aprì la porta piano, ma con una lentezza ferrea e contrariata. “Non va bene, Ginny, c’è la servitù per questo genere di cose. Diventerai mia moglie e non voglio più vederti insaponare della biancheria come una lavandaia.”

“Mi dispiace” cinguettò Ginny.

Da piccola sua mamma le aveva insegnato la migliore tecnica a mani nude e con la bacchetta per fare il bucato. Lei era una vera esperta con sei figli maschi e irrequieti da gestire in una casa di campagna con fango e polvere. Delle mattine madre e figlia si divertivano a pulire, passando il sapone, mentre sparlavano dei maschi della famiglia. Ma per Han tutto quello era indegno e servile.

Ma nonostante tutto, Ginny non riuscì a provare rabbia o rancore verso Han, solo una bizzarra gratitudine.

“Non fa niente” le rispose Han dopo un po’. “Torniamo a letto. Manca poco all’alba ma mi piacerebbe trascorrere questi brevi istanti tra luce e ombra con te vicino.”

Ginny accennò piano e lo seguì fiduciosa, abbandonando il lenzuolo sul lavandino. Peccato, era quasi riuscita a smacchiarlo.

Han si stese sul letto, trascinandosi le lenzuola candide fino al petto, lasciando scoperto la parte di materasso riservata a Ginny.

Lei sussultò e lui le rivolse un sorriso sornione. “Prima togliti la vestaglia, è di mia madre, non vorrei che si sgualcisse.”

L’argomentazione era valida e Ginny non si sentì di ribattere. Sciolse il nodo e lasciò scivolare la seta sulle spalle fino a terra, in un mucchio ondeggiante e lucido.

Fece un passettino verso il bordo del letto, ma Han le fece cenno di fermarsi. Lei si immobilizzò. Lui la scrutò con occhi rapaci, ma la sua compostezza restò quella di un gentiluomo impassibile.

“Bella” fiatò infine, distogliendo lo sguardo critico dal corpo nudo della ragazza in penombra. Si voltò dall’altra parte e il suo respiro si fece subito regolare e pacato.

Quando fu certa che si fosse addormentato, lei si stese al suo fianco e i suoi sospiri le invasero di nuovo la testa. Era stesa sul materasso senza coperte, il corpo completamente esposto al gelo notturno che opprimeva le enormi finestre di quella camera. Le mani erano ancora insensibili, ma stavano recuperando calore.

A Ginny sfuggì una lacrima senza significato: cominciava ad avere molto freddo. Allora era una lacrima di lieve speranza: doveva solo attendere che il suo corpo diventasse insensibile perché pulito e candido non lo sarebbe mai più diventato.

*^*

[La Fine della Guerra]

Gratta e Netta

Una promessa che non poteva essere rifiutata: doveva trovare Remus.

Dietro di lui c’erano i singhiozzi disperati di Tonks, i suoi occhi imploranti e deboli, i suoi capelli pallidi dallo sfinimento; davanti a lui, nella Londra semi distrutta dalla guerra, c’era un Lupo Mannaro da trovare.

Uscì dal San Mungo appena sorto il sole. Non aveva avuto il coraggio di presentarsi da Hermione senza un bel mazzo di fiori sgargianti. Prima avrebbe adempito alla sua promessa, poi avrebbe trovato dei bei fiori sia per Hermione che per Tonks.

Ma sembrava che anche fuori dal San Mungo gli unici fiori che si addicessero a quel paesaggio fossero le rose nere.

Tonks gli aveva indicato la zona del combattimento: accanto al Tamigi, ghiacciato dal fiato dei Dissennatori, vicino alla Torre dell’Orologio che aveva riflettuto le ombre di mostri folli e sanguinari.

Quella pungente descrizione onirica, le strade invase da soldati, feriti e disperati lo condussero inevitabilmente nei ricordi più tragici di quella guerra: il sangue di Hermione sulle sue dita. Ma sapeva di essere stato fortunato: lui aveva perso qualcosa con Hermione, ma c’era chi aveva perso un’amata intera, una persona cara, un amico, tutta la famiglia.

Eppure la perdita c’era stata e non riusciva a tollerarla: voleva recuperare quello che aveva perso.

Si ritrovò nel luogo descritto da Tonks: lo osservò dall’altro del parapetto di un ponte. La riva era costellata di Auror ed Eclitti; delle lunghe strisce di sangue si incrociavano lungo la banchina. Guardò verso il basso: il fiume ghiacciato si stava sciogliendo e anche il cielo che vi era riflesso cominciava a perdere quella sua perenne sfumatura grigia e malinconica.

Il Tamigi stava per riprendere a scorrere libero dal fiato dei Dissennatori, ma lungo il suo corso, per quella prima giornata di dopoguerra, sarebbero traghettati solo cadaveri e sangue.

Storse il naso quando un odore pungente gli arrivò alle narici. Un ammasso di sacchi di plastica fradici di sangue ingombrava la riva destra attorniato da un olezzo di morte.

Il cuore di Ron saltò nel suo petto mentre le lacrime e le suppliche di Tonks si risvegliavano nei suoi ricordi. Scese le scale, quasi saltando sui gradini e afferrò un Auror indaffarato che aveva le maniche della divida completamente intinte di sangue.

L’Auror gli lanciò un’occhiata sprezzante. “Cosa vuoi ragazzo? Non dovresti essere qui. La temporanea legge marziale del Ministero stabilisce che nessun civile può uscire dalle strutture di sicurezza senza il via libera.”

Ron spalancò gli occhi. “Una legge marziale?”

L’Auror in questione storse la bocca con una smorfia spazientita. Un Eclitto dal viso comprensivo affiancò il primo, rivolgendosi a Ron.

“Ragazzo, forse è il caso che ti allontani, non è un bello spettacolo.”

“Ho visto di peggio” rispose secco Ron.

L’Eclitto fece un sorriso stiracchiato. “Lo so, credo che dopo questa guerra anche gli occhi di bambini innocenti conoscano il peggio, ma ti prego comunque di allontanarti e di lasciare a noi il lavoro sporco.”

Ron lanciò un’occhiata nei dintorni e il suo sguardo si soffermò sui sacchetti insanguinati. “State facendo pulizia?”

“Infatti: Gratta e Netta” rispose l’Auror seccato.

L’Eclitto paziente annunciò con compiacimento: “Ora il Ministero si sta risollevando e il suo primo comando è riordinare Londra. Quando avremo ripulito le strade di tutte le vittime di questo massacro, la gente potrà uscire all’aria aperta. Un altro squadrone si sta occupando di soccorrere i feriti e di portarli al San Mungo. Ma se stai bene puoi trovare rifugio in una delle strutture di assistenza del Ministero, basta chiedere a qualcuno che ti accompagni.”

“Non ce n’è bisogno. Piuttosto” continuò Ron con un groppo in gola, fissando allarmato il sangue che scorreva dai sacchetti “Cosa c’è lì dentro?”

L’Eclitto seguì lo sguardo inquieto di Ron ed ebbe un sospiro. “Oh, non ti devi preoccupare, non trattiamo così male i corpi di uomini, anche per i Mangiamorte ci sarà una degna sepoltura.”

Al suo fianco l’Auror fece un movimento improvviso, digrignando i denti. “Non dire sciocchezze, dopo il casino che hanno fatto si meritano tutto tranne che la dignità.”

L’Eclitto abbassò il capo, sconfortato. “So che la vendetta è il primo istinto che si risveglia contro i criminali di guerra, però… non ti pare di ricadere nello stesso sbaglio?”

“Prego?” ringhiò l’Auror.

“Prima i Mangiamorte disprezzavano i Babbani e i Mezzosangue” spiegò l’Eclitto paziente “E ora vogliamo essere noi ad odiare i Mangiamorte?”

“Caro mio, non odiamo solo quelli” proclamò l’Auror con un ghigno “Anche i Purosangue, i nobili tronfi e, per Merlino, anche i Serpeverde. Chi viene smistato in quella Casa marcia è sicuro che finisca per diventare un Mago Oscuro; secondo me bisognerebbe trovare un elenco di tutti gli studenti di Serpeverde e sbatterli immediatamente ad Azkaban: prevenire è meglio che curare.”

L’Auror si allontanò con un atteggiamento soddisfatto e Ron ebbe un nuovo tuffo al cuore.

‘Magari l’Eclitto ha ragione: stiamo per sbagliare anche noi. Le idee di quell’Auror sono identiche a quelle dei Mangiamorte. I soggetti si sono solo invertiti. Ma almeno c’è qualcuno che lo capisce.’

Ron lanciò un’occhiata speranzosa all’Eclitto che gli sorrise di rimando. “Purtroppo, ragazzo, non è l’unico a pensarla così: anche il Ministero sta per adottare questa pericolosa posizione.”

Ron concordò con decisione, ma bastò che il suo sguardo vagasse sui sacchetti ammucchiati lungo la riva perché la sua grinta si spegnesse. “Mi scusi, ma se non sono i cadaveri dei Mangiamorte, cosa c’è dentro quei sacchetti?”

“Lupi Mannari” rispose l’Eclitto con un tono completamente sprezzante “Stupide bestie oscure, con loro sì che si dovrebbero adottare le liste di prescrizione e mandarli tutti a morte.”

Ron fu in grado solo di restare in silenzio. L’Eclitto si girò verso di lui con un sorriso. “Beh, ti saluto ragazzo, devo andare a pulire questo macello.”

Raggiunse il gruppo dei suoi colleghi e ordinò loro di distruggere le carcasse di ‘quelle stupide bestie oscure’.

Forse, dopotutto, quell’Eclitto non aveva capito niente.

Quella guerra sanguinosa non aveva insegnato niente.

*^*

[La Fine della Guerra]

Il Corteo

La folla si accalcava in tutte le direzioni, spingendo e sgomitando per ammirare il grande Eroe di guerra: un’immensità di persone acclamanti in tripudio. Nel mezzo di quella calca c’era Harry Potter, il Prescelto.

Neville e Hagrid lo spalleggiavano tra quell’orda urlante. In realtà era più pressato tra i due: la gente irrompeva da tutte le parti, solo per guardarlo, sperando di toccarlo.

Il corteo proseguiva e nessuno conosceva la meta: tutti seguivano il gregge.

Da un lato un uomo forzuto teneva sollevate le barelle su cui erano stesi i corpi di Malocchio Moody e Albatros, due valorosissimi soldati, che forse avevano più merito di quelle lodi.

Harry spostò lo sguardo su tutte le bare e le lettighe da morto che affluivano senza tregua da ogni strada e socchiuse gli occhi.

‘Dovrebbero ringraziare loro, la gente che è morta combattendo, non me. Io ho ucciso Voldemort… ma… mi sembra che sia stato inutile.’

All’improvviso scoppiò un boato di ringhi e latrati. Molta gente prese a sputare per terra.

Harry si voltò e sentì il dondolio delle catene: prigionieri di guerra, i Mangiamorte.

Ci fu un subitaneo scatto di violenza: molte persone tentarono di andare addosso ai Mangiamorte muniti di ogni sorta di oggetto da macello, bacchetta, o arma babbana che fosse.

Harry preferì distogliere lo sguardo, lo fece vagare finché si fermò su un bambino, portato in tripudio ed acclamato quasi quanto lui. Ai suoi lati c’erano i colonnelli Marshall e Gray. Entrambi troneggiavano sul corteo con assenso ed esortazione.

“Chi è quel bambino?” domandò Harry a Neville, tentando di sovrastare il frastuono della folla.

“Si chiama Jeremy Smith” rispose Neville, mentre tentava di respingere delle mani invadenti “I suoi genitori sono morti durante la guerra. Lui ha solo sei anni ed è riuscito a sconfiggere un Mangiamorte senza la bacchetta: è il simbolo della resistenza, dei giovani Eroi.”

Gli occhi di Harry si incupirono quando Neville terminò la frase con grande euforia ed approvazione.

Tornò a fissare Jeremy Smith: il suo viso era triste nonostante tutte le ovazioni che riceveva. Era strano e innaturale vedere una tristezza del genere sul volto di un bambino.

Una moltitudine di bare passò nella direzione opposta alla loro ed Harry abbassò il capo.

‘Quanti morti però. Mi chiedo se ne sia valsa la pena, se tutti questi sacrifici siano serviti a qualcosa.’

Sentì un ringhio, la voce di una persona, tremendamente impregnata di odio: “Schifosi Mangiamorte! Non siete altro che delle bestie, diavoli! Andrete a marcire ad Azkaban: questa è la fine che faranno tutti i Mangiamorte, i Purosangue, i Serpeverde; luridi Purosangue!’

Ed ebbe la sua risposta.

*^*

[La Fine della Guerra]

Salvate i Criminali di Guerra!

Albert Gray aveva ormai raggiunto il massimo grado di onorificenza per i servizi prestati in guerra. Ottenuta la carica di colonnello si apprestava ad una scalata di prestigio che gli avrebbe anche permesso di raggiungere l’ambita e, allo stesso tempo, traballante carica di Primo Ministro.

La riorganizzazione e l’assetto generale delle truppe e del Ministero erano stati affidati in primo luogo al neo-colonnello di brigata John Marshall, anch’egli un promettente candidato che però mai avrebbe accettato un incarico sedentario.

Albert e Marshall erano quindi stati costretti a condividere un estenuante pomeriggio di fuoco nel tentativo di dare una vaga parvenza d’ordine alla burocrazia e all’esercito di maghi. Ormai non si contavano più i plotoni e le associazioni paramilitari: Eclitti, Auror, Ordine della Fenice e un nutrito gruppo innominato a sostegno di Harry Potter.

Ma vennero convocati per ricevere un ospite importante: un diretto sottoposto dell’A.R.A.s, l’associazione che, a quanto pareva, aveva intralciato i progetti di Lord Voldemort.

“L’associazione di cui fa parte, signorina Drake… l’A.R.A.s se non sbaglio?... si sta circondando di tante spiacevoli dicerie. Siete mercenari?”

Albert era stato costretto a ricevere l’ospite importante sulle scale che portavano dal secondo al terzo piano del Ministero; il resto del piano era completamente raso al suolo.

“I veri mercenari sono quelli della I.M.M.U.N.D.O. Noi ci limitiamo al puro ed innocuo spionaggio.”

L’ospite importante aveva riscosso un certo interesse in John Marshall che si era atteso un uomo attempato e dall’aria accademicamente diplomatica: invece c’era una bella ragazza con un tatuaggio a forma di teschio con serpente accuratamente esposto sull’avambraccio sinistro.

‘Nessuna vergogna di essere una Mangiamorte’ rifletté Marshall con una smorfia sprezzante.

“Tanto innocuo non si direbbe” ribatté Albert in tono severo.

Samantha mantenne il volto rilassato e la voce asettica. “Noi non abbiamo interferito in alcun modo allo sviluppo della Seconda Guerra Magica. Ci siamo limitati ad infiltrare qualche spia tra le schiere dei Mangiamorte sotto commissione.”

Marshall, terminata la sua attenta valutazione dell’ospite, decise di optare per l’atteggiamento ostile. “Spionaggio… tsk, un lavoro decisamente sporco.”

“Il doppiogioco è un lavoro sporco. Dietro i nostri obiettivi non vi è nulla di personale, solo affari. L’A.R.A.s infiltra degli uomini per raccogliere informazioni e poi vende queste informazioni al miglior offerente; è una specie di asta” spiegò tranquillamente Samantha.

Albert mugugnò appena, imponendosi poi un atteggiamento più cortese. “Suppongo che il prezzo di partenza non sia tanto basso.”

“A quanto ne so certe informazioni sono state vendute ad una tale somma che basterebbe a mandare in rovina un’intera nazione.”

“Avete raggirato i Mangiamorte in fin dei conti, ma non siete molto onesti.”

Samantha fece un sospiro paziente, levando il suo sguardo bicolore verso Albert. “Non sia ingenuo, colonnello. Entrambi sapete bene quanto me che associazioni totalmente oneste non possono sopravvivere in guerra.”

“Il Ministero…”

“Non è il caso di prenderci in giro” lo interruppe Samantha che, nonostante le parole, continuava a modulare la voce su un tono cortese “Il Ministero ha agito da vero egoista in questa guerra.”

Albert tossicchiò leggermente. “Allora, era venuta qui per propormi un accordo, vero?”

“Non è propriamente un accordo, è una notifica” lo corresse Samantha mentre recuperava un plico di fogli dall’aria ufficiale.

Albert sgranò gli occhi con un inizio di inquietudine. “Notifica? E di cosa?”

“Dell’espatriazione della famiglia Malfoy.”

“Prego?”

“Ritengo che in un clima post-guerra tendente alla vendetta i Malfoy non si troverebbero molto a loro agio in un Paese dove il loro nome è sinonimo di Mangiamorte.”

Albert piegò le labbra quasi tentando di morsicarsele per contenere una vivace protesta: non doveva dimenticarsi che quell’ospite era importante, ma più di tutto non poteva dimenticare il suo senso dell’onore e i ricordi dei massacri perpetrati dai Mangiamorte.

“E con ragione! La famiglia Malfoy ha fornito sostegno e appoggio a Voldemort prima della sua presunta scomparsa e dopo. Non solo Malfoy Senior ma anche il figlio è ormai certamente incriminato per cooperazione nell’assassinio di Albus Silente.”

“In realtà è tutto uno spiacevole malinteso” mormorò Samantha con aria semplice.

“Direi che è il caso di frenare la lingua” intervenne Marshall con la sua solita fredda schiettezza “Qui non ci sono affatto dei malintesi: i Malfoy stanno dalla parte oscura e sono tuttora sostenitori del privilegio esclusivo dato ai maghi Purosangue.”

A Samantha sfuggì un vago accenno di non curanza che contribuì ad accendere l’indignazione di Albert. “Beh, sono un’antica famiglia, è naturale un po’ di orgoglio.”

Albert ebbe un violento scatto di rabbia. “E’ proprio questo orgoglio che ha avviato una delle più insensate guerre del nostro tempo, che ha fatto massacrare Babbani, Mezzosangue, creature di ogni genere…”

“Quello che il mio collega sta cercando di dirle, signorina Drake” si intromise nuovamente Marshall “è di abbassare la cresta: i Malfoy non se ne andranno da questo Paese, mai, almeno non prima di aver subito un processo equo e di aver ricevuto la punizione che meritano.”

“Il processo non potrebbe mai essere equo. Già lei è prevenuto nei loro confronti, ritiene che siano colpevoli” disse Samantha.

Le sue parole non fecero altro che marcare l’ostilità di Albert. “Ma perché è così. Già una volta sono scampati grazie alla loro influenza monetaria e aristocratica ma lo stesso errore non si ripeterà due volte! Verranno condannati ed imprigionati ad Azkaban.”

Samantha scosse la testa, battendo le dita contro la ‘notifica’. “Non lo ritengo corretto. Nel mio lavoro di spia ho potuto accertare le vere intenzioni dei Malfoy. Pare che dalla ripresa di potere di Lord Voldemort abbiano sviluppato una sorta di distacco dalle Arti Oscure, almeno quelle affini a Lord Voldemort. Sembra che si siano resi conto della gravità e dell’insensatezza, ma soprattutto della pericolosità, degli ideali del loro Signore Oscuro. Ma ovviamente non potevano dichiarare apertamente il tradimento perché, come tutti ben immaginiamo, la pena sarebbe stata la morte, così hanno dovuto attendere l’ultimo momento per schierarsi dalla parte giusta.”

Marshall emise un borbottio ironico accompagnato da un sogghigno. “Già, quando fa più comodo, si ritirano le carte dalla tavola: tipico dei codardi.”

Samantha lo fissò con un accenno di irritazione che Marshall ricambiò in pieno; poi riprese il suo ruolo da diplomatica. “Sia come sia, alla fine della guerra erano schierati dalla parte opposta. Lord Voldemort ha ordinato l’esecuzione di Draco Malfoy per insubordinazione e la stessa Narcissa Malfoy si è rivoltata apertamente contro Lord Voldemort.”

“Credo che stiamo trascurando qualcosa” intervenne Marshall con un ampio sorriso eclatante “Forse questi atti eroici da volta faccia dell’ultimo minuto potrebbero fornire un attenuante, o più propriamente una scusa, ma che mi dice di Lucius Malfoy? L’incarnazione fatta a uomo del Mangiamorte ambizioso?”

Samantha socchiuse gli occhi, come per raccogliere le idee, o perlomeno trovare una scappatoia per rendere il suo discorso credibile. “Di lui posso dirvi che dopo Azkaban non è stato più in grado di ragionare adeguatamente.”

Marshall sbuffò, ancora appoggiato contro la ringhiera della scala. “Bella scusa.”

“Io non scherzerei troppo dato che la sua temporanea infermità mentale è stata causata dai brutali maltrattamenti del Ministero della Magia. Suppongo fossero anche illegali e taciturne queste torture, vero? Colonnello, lei può confermarmelo dato che era di stanzia ad Azkaban prima della sua distruzione” insinuò Samantha con una punta di acidità.

Un fulmineo imbarazzo colse Albert. “Non è materia di discussione, ora!” si riprese con l’indignazione “Non pretenderà che ci mettiamo a discutere sui maltrattamenti subiti da quella famiglia di Mangiamorte quando loro stessi sono stati fautori di torture inumane verso Babbani e Mezzosangue?”

“Mi rendo conto di risultare impertinente, ma sto cercando solo di agire in modo corretto: non meritano una punizione” dichiarò Samantha con risolutezza.

“Vorrebbe che li dessimo una medaglia al valore?” ironizzò Albert, in verità con ben poca ironia nella voce.

“Non pretendo questo, ma solo un minimo di comprensione. Solo la possibilità di allontanarsi dall’Inghilterra… se le suona più vendicativo può anche annunciare pubblicamente che sono stati esiliati dall’Inghilterra per un periodo da stabilirsi.”

“Impensabile” concluse Albert con rigidità irremovibile.

Marshall si staccò dalla ringhiera, consapevole del fatto che il collega non avrebbe più proferito parola.

‘Vediamo se la carne è così debole come dicono’. Pensò con un sogghigno, avvicinandosi alla ex-Mangiamorte.

“Ma cos’è tutto questo interesse per la famiglia Malfoy?” domandò con una particolare flemma maliziosa.

“Come ho detto vorrei solo fare…” cominciò Samantha in tono stanco.

“…la cosa più corretta” terminò Marshall con una vocetta falsamente ingenua “Ma non ci saranno dietro interessi personali?”

“Di che tipo?” domandò Samantha con altrettanta ingenuità.

“Ah, suvvia” imperversò Marshall con un sogghigno dei suoi “Che mi dice di Draco Malfoy? Se non sbaglio dovrebbe avere all’incirca la sua età, vero, signorina Drake?”

Samantha rimase imperturbabile. “E con questo?”

Marshall nascose a stento un sorriso di trionfo “La sua mancanza di indignazione mi fa capire che ho centrato il bersaglio. Sarebbe molto poco appropriato o corretto assolvere dei veri criminali da tutte le loro colpe solo per una cotta. Che ne dice, signorina Drake, forse ne dovrei parlare con l’A.R.A.s in persona?”

Il volto di Samantha restò assolutamente impassibile.

“Se sta insinuando che io abbia interessi sentimentali verso Draco Malfoy, la devo proprio contraddire. Draco Malfoy è morto e io non avrei nessun interesse ad affezionarmi ad un corpo freddo in decomposizione.”

Marshall cercò conferma dallo sguardo di Albert. Il colonnello Gray fece un rapido movimento. Due guaritori avevano confermato il decesso del ragazzo.

“Come ho detto prima vorrei solo fare la cosa giusta” concluse Samantha con un ghigno eloquente all’indirizzo di Marshall “Allora buon pomeriggio. Ci risentiremo tra breve.”

“Buon pomeriggio” disse Albert solo in risposta alla sua educazione.

*^*

[La Fine della Guerra]

Bacio Acerbo

Doveva tornare da Ninphadora e dire ai suoi occhi imploranti e pieni di fiducia che aveva fallito: Remus non era con lui. Forse era il suo quel sangue che scorreva dai sacchetti putrefatti sulle rive del Tamigi: non aveva avuto il coraggio di andare a verificare.

Era rimasto solo il dubbio. E Ron si pentì di non aver osato spiare dentro quei sacchi: forse avrebbe incontrato la carcassa scomposta di Remus, forse avrebbe solo incontrato una massa sanguinolenta irriconoscibile… ma forse così i capelli di Ninphadora si sarebbero tinti per sempre di nero e forse lo shock le avrebbe fatto perdere il bambino, l’ultimo dono del suo amato e perduto Remus.

Ron scosse la testa, passandosi una mano sul viso. Non gli era mai capitato di pensare ad una conciliazione in termini così macabri, non aveva mai desiderato di immaginare come fosse la carcassa di Remus… eppure la guerra l’aveva reso necessario.

Era di nuovo al San Mungo, attorniato dai soliti ed inesauribili gemiti agonizzanti: la bancarella delle rose nere si era quasi svuotata con enorme compiacimento della proprietaria: molte persone erano morte.

Ron attraversò il secondo piano sperando vivamente di non imbattersi nella bambina diabolica con l’occhio fasciato. Finalmente arrivo nel Padiglione della Maternità e ingoiò saliva.

Lui era sempre stato un tipo ansioso ma nulla gli aveva mai dato una simile apprensione, come se l’esofago e le viscere gli si attorcigliassero attorno alla gola. Toccò un paio di colpi alla porta di Ninphadora e attese ma non gli arrivò nessuna risposta. Allora sospinse la porta con calma: forse Tonks stava dormendo sfinita dall’attesa del suo arrivo, forse non osava rivolgere la parola al messaggero che le avrebbe annunciato la morte di Remus.

Ma per fortuna la realtà era molto più piacevole dell’immaginazione di Ron.

Remus era tornato e stringeva Ninphadora. Lei gli affondava il viso sulla spalla, le mani artigliate disperatamente alla sua schiena, i capelli di un argento sgargiante che scorrevano liberamente sul volto nascosto.

L’abbraccio si interruppe e cominciarono le carezze dolci. Le mani di Remus erano incredibilmente delicate quando sfioravano le guance arrossate di Tonks. Lei singhiozzava piano, sciogliendosi in quei soavi contatti, socchiudendo le palpebre imperlate di lacrime. Si scambiarono un tenero bacio, molto innocente e che fece sorridere entrambi contro le labbra bagnate del compagno.

La mano di Remus sfiorò il ventre rigonfio di Tonks giocherellando con le dita. Ninphadora fece uno dei suoi sorrisi impacciati e da bambina e Remus si piegò in avanti per concederle un bacio meno innocente, passionale che la fece sentire incredibilmente desiderabile e stupenda anche se era confinata in quel letto d’ospedale, anche se il viso le si era contratto dall’angoscia, anche se aveva temuto il peggio per Remus, anche se soffriva ancora per quella guerra.

Le labbra si staccarono e Tonks si passò inconsciamente la lingua sul labbro inferiore. Remus sfoderò il suo miglior sorriso da malandrino e bisbigliò qualcosa all’orecchio di Ninphadora. I suoi sussurri la fecero fremere e sorridere maliziosamente. Quando Remus catturò i suoi occhi accesi, i capelli di Tonks si infiammarono di rosso vermiglio. Remus la fece sdraiare piano sul letto, stendendosi al suo fianco e allora cominciarono a toccarsi come due amanti.

Ron chiuse la porta stando ben attento a non fare cigolare niente.

Tonks e Remus si amavano. E anche Ron desiderò amare Hermione così, con coccole e carezze più profonde di baci e mani avventuriere.

Si trovò all’istante al terzo piano, accanto alla barella di Hermione, tanto repentinamente che sospettò di avere utilizzato la Smaterializzazione.

Hermione lo fissava con un braccio bendato. E gli occhi di Ron furono catturati dalle bende leggermente macchiate di sangue, sfuggendo lo sguardo di Hermione.

Gli diede incredibilmente fastidio. Chiuse gli occhi, ma delle chiazze di buio gli restarono incollate sulle palpebre chiuse esattamente dove aveva fissato le macchie di sangue. Li riaprì e protese il collo verso Hermione.

Si scambiarono un bacio. Ma era strano. Era impacciato e inopportuno. Era prematuro. Era acerbo.

Ron si staccò, socchiudendo gli occhi e se ne andò: c’era affetto, loro lo sapevano ma non riusciva a capirlo, ad ammetterlo, a manifestarlo. La guerra aveva fatto tornare il tempo ad un lontano passato: il sesto anno; due sedicenni tentavano di scoprire le emozioni dell’altro ma, soprattutto, i propri sentimenti.

Hermione si girò su un fianco e cominciò a piangere. Sapeva che per una relazione acerba come la loro era indispensabile il contatto fisico e la passione per alimentare il genuino sentimento che la guerra aveva quasi soppresso: l’amore.

*^*

[La Fine della Guerra]

Il Lago e la Cravatta

Aprì gli occhi nel sonno, tuffandosi nel suo stesso incubo. Era nell’acqua, galleggiava sulla superficie di un tiepido lago. Avvertiva lo stesso scrosciare d’onde del suo precedente sogno: la morte.

L’acqua limpida si increspò e qualcuno gli salì a cavalcioni sulle gambe, affondandogli il corpo nel lago. Il suo mento si alzò, annaspando verso il cielo. Sapeva che se avesse bevuto anche solo un’oncia di quell’acqua limpida, non avrebbe resistito alla tentazione di berne di più e sarebbe affogato, inebriato da quel sapore: la morte.

Ma due mani gli stavano stringendo il collo, premendogli la testa verso il basso. La vide riflessa nelle increspature del lago: l’Assassina. I suoi occhi bicolore erano accesi di rosso e agognavano la sua morte.

“Bevi, Draco, ti farà bene.”

Draco storse la testa, sfuggendo il suo sguardo maniacale. Ma incontrò ben peggio: due occhi rossi. Gli occhi del Signore Oscuro, gli occhi della morte.

Si risvegliò con un gemito d’orrore, aprendo gli occhi bruscamente. All’inizio vide solo nero, ma poi l’immagine gli fu più chiara: era ancora in quell’alloggio babbano e anche questa volta non era solo.

Samantha era tornata e si era sdraiata al suo fianco, sopra le coperte, con un braccio lungo il suo petto.

Draco le fissò il viso rilassato: era la stessa persona che l’aveva ucciso e che aveva tentato di affogarlo nel suo incubo terribilmente reale.

All’improvviso Il braccio di Samantha si mosse verso l’alto, ma il suo respiro era ancora regolare e pacato nel sonno. Draco si agitò. Lei era l’Assassina. Le bastava poco per allungare quelle mani artigliate e stringergli il collo, soffocandolo, come aveva fatto nel suo sogno.

Il cuore cominciò a martellargli nel petto. Fece vagare lo sguardo per la stanza. Le tende erano tirate e ondeggiavano leggermente. Fuori non c’era la luce del sole: era già tramontato per la seconda volta dal suo ritorno.

Ma era tutto buio ed era nell’oscurità che vedeva quegli occhi rossi: erano dappertutto.

Il suo respiro si fece più ansante e, forse, proprio per questo, Samantha si risvegliò.

Lei mugugnò appena, stiracchiandosi piano e Draco prese a sudare e restò perfettamente immobile mentre il braccio della ragazza si ritirava dal suo petto.

Samantha aprì i suoi occhi bicolore, puntandoli subito su Draco e lui sobbalzò: gli stessi occhi dell’Assassina.

“Stai bene?” mugugnò Samantha piuttosto assonnata.

Draco annaspò.

‘No, non sto bene. Vorrei solo che tu sparissi, Maledetta Assassina.’

Samantha osservò allarmata il volto di Draco: era pallido come quello di un annegato ed era inzuppato d’acqua.

Come se avesse immerso la testa in un lago.

Si avvicinò per verificare le condizioni del ragazzo, protendendo una mano. Il fiato di Draco si tagliò. La testa cominciò a martellargli in modo atroce, molto più insopportabile di un Cruciatus.

Abbandonò il ricordo dell’incubo e si portò entrambe le mani alla testa per stringerla e tentare di diminuire quell’inverosimile pressione.

Gli occhi cominciarono a lacrimare.

Samantha gli passò una mano tra i capelli biondi, sussurrandogli piano: “Non ti preoccupare, tra poco passa. Sono i normali strascichi dell’Avada Kenavra.”

Ma Draco non l’ascoltava: il dolore era tutto il suo mondo. Non riusciva a concepire altro. I suoi occhi vagavano per la stanza, lacrimanti e arrossati finché qualcosa li costrinse a spalancarsi.

Oltre il braccio di Samantha vedeva qualcosa, qualcosa che sembrava completamente irreale.

I suoi gemiti cessarono e Samantha fissò incuriosita l’oggetto che era stato in grado di placare i dolori del ragazzo: era la sua vecchia cravatta di scuola.

Samantha allungò una mano e l’afferrò, passandoci due dita per lisciare le seta verde e argento. Era uno dei simboli della Casa di Serpeverde, quella sinistra accoppiata di colori.

Sull’estremità del tessuto c’era ricamato il nome del proprietario:

D. Malfoy

Gli occhi di Draco fissarono quella cravatta con avidità.

Samantha disse: “Te l’ho trovata in mano appena sei rinvenuto. Credo che te la sia portata dietro prima dell’inizio della battaglia.”

Draco scosse piano la testa. Non aveva fatto nulla del genere: era convinto che tutte le cose di scuola, che tutto il suo frangente di vita in quella scuola fosse scomparso con il crollo di Hogwarts e, invece, eccolo!, quel bel ricordo era ancora lì accanto lui.

Samantha gliela porse. Lui afferrò quella cravatta consumata.

Fu una reazione totalmente irreale ed inaspettata, come se due braccia accoglienti lo avessero stretto in un’assoluta protezione: il dolore scomparve.

Chiuse gli occhi mentre Samantha gli sussurrava: “Non preoccuparti, i tuoi genitori sono liberi: l’A.R.A.s l’ha sempre vinta.”

Strinse la cravatta contro il petto e non sognò più il lago.

*^*

[La Fine della Guerra]

La Fine

Avanzava accanto a lui. Era perennemente al suo fianco.

Il sole era sorto da molto e stava quasi per raggiungere il suo massimo splendore: la nebbia era dissolta, ma il grigio e la malinconia rimanevano.

La sirena aveva smesso di suonare: la gente poteva camminare per le strade pulite e immacolate. Il sangue della guerra era sparito, le ombre di terrore erano svanite dalle strade ma restavano vive e pulsanti nel cuore delle persone.

Lui bussò piano alla porta e anche quel lieve tocco riuscì a farla sobbalzare di vergogna. Han varcò la soglia di Grimmauld Place numero 12 e Ginny lo seguì fedele e arrossata.

Sua madre e suo padre li attendevano entrambi. Un messaggio aveva preannunciato quel momento.

Ginny entrò in salotto scortata da Han e i suoi occhi si impregnarono di quell’istante perché sapeva sarebbe stato il più decisivo della sua vita.

Han sorrise gentilmente. Sua madre tremò piano contro il divano su cui era accasciata. Suo padre sorseggiò un bicchiere di Whiskey Incendiario – cosa che non aveva mai fatto – gettato contro il caminetto del salotto, assolutamente incurante della presenza del ragazzo.

Ginny riuscì solo a provare vergogna.

E Han disse: “Intendo sposare vostra figlia, signori Weasley. Lei ha già dato il consenso, mi occorre solo il vostro permesso.”

I suoi magnetici occhi verdi brillarono di superiorità mentre sibilava cordialmente quell’ordine.

Ginny chinò il capo: era finita.

Così come la guerra si era esaurita con la morte di Voldemort, così era terminata la sua attesa di Harry.

Così come il dopoguerra non era altro che lo strascico del furore della guerra, così il suo drastico rifiuto di aspettare Harry non era altro che il culmine della sua attesa.

Era l’inizio di qualcosa di incerto. Ma soprattutto…

… Era la fine.

*=*=*=*=*=*=*=*

Eccoci che torniamo e non è passato neanche troppo tempo!!! Forse un pochino, ma la proporzione tra la lunghezza del capitolo (più di 50 pagine!!!) e la durata di realizzazione è perdonabile… Vero? -_^ Vi avvertiamo: questa parte è a maggioranza romanticona (*_*) e c’è la possibilità che compaiano delle fluff da diabete ma a noi piacciono così ^_^ Dopo gli orrori della guerra finalmente i nostri tesori mettono su famiglia (dopo aver dimenticato i fantasmi della guerra, del passato, le tresche, i tradimenti, le ingiurie, le isterie, il parentado insopportabile ecc…).

Come vi sembra? Una degna continuazione di HP7? Meglio, peggio… sbizzarritevi con ogni genere di commento, noi non ci offendiamo (Kaho no ma Samy sì) ^_^

Grande Premeditazione: volete sapere quanti capitoli mancano alla fine di questa fic? Ebbene sì, abbiamo già progettato tutto (Grande Canovaccio! ndAutriciMode:Esaltate). Siamo a 1/15 capitoli.

Appunti: forse il titolo ‘The End’ è un po’ tragico per il capitolo d’inizio? Beh, volevamo trasmettere una certa inquietudine, dopotutto è il Dopoguerra: quindi preparatevi all’ANGST! Siamo assai sadiche: Ginny non si è ripigliata, è ancora tra i tentacoli di Han, Draco ha il panico notturno, Ron ha un terribile blocco (povera Hermione ndAutriciMode:Sincere) e Harry ha urgente bisogno di farmaci antidepressivi. Ma non temete perché ci sarà un Happy Ending! L’avevamo promesso anche nella fic precedente ma alla fine tutto si è esaurito con un Harry sconvolto e melanico (^_^); ma questa volta giuriamo di adempiere al nostro dovere di fatine portatrici di gioia!!!

*Piccola nota da pignole ^_^: La Rosa Nera può sembrare banale come fiore della morte (infatti a Samy fa ricordare i tempi andati di Lady Oscar) ma era l’unica scelta possibile. Avevamo pensato di usare il crisantemo che qui in Italia si porta tradizionalmente ai funerali, ma pare che in Inghilterra i crisantemi si regalino per augurare un felice parto: questi inglesi, così distanti da noi italiani. -_- Così perdonateci per la banalità della Rosa Nera -_^, è stata un’esigenza di copione e di contesto britannico.

Next: “Need the Heroes or the Patriot?” (Dove ci sarà un nuovo personaggio che è… ^__^ ndSamyKaho)

Dunque alla prossima. Non vi faremo attendere troppo, promesso!!! ^_- Seriamente: vi promettiamo un capitolo lungo e relativamente presto; con la seconda parte le parole si digitano che è un piacere ^_^

[P.S. = Kaho risponderà alle ultime recensioni via e-mail per motivi che poi chiarirà (-_- ndSamy)]

Samy & Kaho

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Capitolo 2
*** Need the Heores or the Patriot? ***


 

02. Need the Heroes or the Patriot?

 

 

[Di nuovo la Cicatrice]

 

 

Aveva una fumante tazza di the bollente in mano. Al momento il suo cervello non riusciva a registrare altro. La sua mano si stava lentamente scaldando contro la porcellana incrinata della tazzina, ustionandogli leggermente la pelle, ma non riusciva a percepire nulla di scottante, se non quella ribollente rabbia, seguito di una scioccante rivelazione:

 

Ginny si vuole sposare con quel Babbano.”

 

Ma la furia era mitigata da una tremenda impotenza: Ginny voleva sposare un altro.

 

Harry sbatté le palpebre, continuando a fissare il volto disperato del signor Weasley senza darvi parecchio peso. Al suo interno, c’era qualcosa che grattava e si dimenava dalla rabbia.

 

‘Così ha smesso di aspettarmi… Dopo tutto quello che ho fatto non ho ottenuto nulla… Ho ucciso Voldemort e ho perso Ginny…’

 

La tazzina da the finì sbattuta violentemente contro il tavolino del salotto di casa Black. Arthur sobbalzò, colto alla sprovvista. Harry rilassò le spalle con uno sbuffo degno di un drago rabbioso.

 

Arthur lo osservò seriamente preoccupato, ma, in un attimo, una fervente speranza lo invase. “Harry, anch’io non riesco a credere ad una cosa del genere! Tutta la famiglia non riesce a capire cosa sia preso a Ginny. Forse è stato lo shock della guerra, non so… Ma tu devi aiutarla, Harry!”

 

La testa di Harry ebbe uno scatto improvviso mentre un ricordo torbido riemergeva dalla sua mente.

 

Era l’alba dell’ascesa di Lord Voldemort e il tramonto del Ministero. Rufus Scrimgeour aveva tentato la sua ultima implorazione, soffocando persino il suo orgoglio di combattente. Il capo era chino, e la criniera di capelli gli ricadeva scomposta sul viso come quella di un leone stanco e moribondo.

 

“Aiuta il Ministero, Harry. Tutti ti credono il Prescelto, sei la speranza del trionfo del Bene. Colui-che-non-deve-essere-nominato è potente, è molto potente… Ma tu devi aiutarci, Harry!”

 

Senza sapere perché, Harry si ritrovò accasciato contro il divano con la bocca spalancata: stava ridendo di gusto.

 

Arthur lo guardò terrificato. “Harry…?”

 

Harry risollevò il capo con un tremendo senso di imbarazzo e smarrimento: perché ora rideva della sua sfortuna? Prima della guerra, durante la guerra e dopo la guerra… continuava a perdere qualcuno. E ormai gli sembrò che l’abbandono fosse diventato come una seconda pelle, qualcosa di implicito nel suo essere, col quale aveva imparato a convivere… e ora ci scherzava sopra.

 

Si guardò allo specchio appeso dietro Arthur. Rimase catturato dal suo stesso volto: il suo sorriso era grottesco. “Mi dispiace, signor Weasley, non posso fare niente.”

 

Arthur scosse violentemente la testa. “Prova almeno.”

 

“Non adesso” lo seccò Harry con una voce stanca.

 

L’espressione del signor Weasley era diventata quasi iraconda. “Harry” sillabò con rabbia e disperazione “Non deludermi.”

 

Harry chiuse gli occhi, attendendo un violento senso di colpa, ma non arrivò nulla quando pronunciò: “ L’ho già delusa.”

 

Arthur strinse i pugni, arrivando quasi a sbraitare. “Ma come?! Lasci andare Ginny così? Lei è confusa e non sa quello che sta facendo. Basterebbe solo che tu le dica qualcosa…”

 

Harry aprì le labbra, sospirando delle parole che non gli sembravano sue. “Non voglio inseguire le persone che scappano da me. Se Ginny mi vuole, tornerà lei: io non mi farò rifiutare…”

 

Ingoiò un ‘di nuovo’ con una bizzarra sensazione di estraneità.

 

“Harry, sono arrivato a considerarti come un figlio” borbottò il signor Weasley con una voce quasi struggente “E ho continuato anche quando te ne sei andato lasciando Ginny, capito? Sei tu che hai lasciato Ginny per primo. Non potete fare così: quando uno dei due scappa, l’altro si arrende e va a cercare qualcun altro. No, non va per niente bene. Io voglio che riporti Ginny indietro; glielo devi dopo che l’hai abbandonata. E poi, per Merlino!, le vuoi bene, vero?”

 

Harry ebbe un’esitazione mostruosa.

 

‘Le voglio bene?’

 

Una parte di lui fremeva sotto una grande impazienza: ‘Ma certo che le voglio bene, non ho mai smesso di amarla!’ Ma c’era anche un sordido singhiozzo, quasi una parte di lui che risuonava dalla cicatrice che aveva in fronte: ‘Odierò per sempre le persone che mi abbandonano.’

 

“Certo che le voglio bene” si affrettò a rispondere Harry.

 

Arthur lasciò andare un sospiro di sollievo e non ebbe l’opportunità di vedere il viso di Harry che lentamente si sbiancava.

 

‘Non immaginavo che potessi provare una cosa del genere… non immaginavo di poter odiare Ginny. E’ come se qualcosa di cupo mi stesse entrando nella testa.’

 

Si tastò la cicatrice. Gli sembrò di sentire qualcosa che si agitava: era come quella sottile linea di pensiero che aveva collegato la sua mente a quella di Voldemort e che nei suoi sogni diventava talmente intensa da possederlo completamente.

 

Ma Voldemort era morto: cosa poteva essere?

 

“Allora posso contare su di te, Harry?” gli arrivò la voce del signor Weasley come un’implorazione.

 

“No” soffiò con pacatezza e se ne andò.

 

Era strano, ma non provava nulla. Sapeva che avrebbe dovuto sentire del rimorso, ma non c’era nulla, niente paragonabile alla pietà umana quando il volto stanco di Arthur si scompose dalla disperazione e sembrò quasi abbandonarsi al pianto.

 

Una parte di lui, sempre dalle parti della cicatrice, osò persino fremere dalla soddisfazione. Harry ebbe di nuovo una tremenda paura delle sue stesse emozioni: si sentiva pieno di rancore e non provava pietà o affetto per quella che era stata la sua vera famiglia: i Weasley. Arthur Weasley era stato come un padre e il suo volto in sofferenza non gli causava nessuno scatto di compassione. Ginny se n’era andata e aveva provato solo rabbia, rabbia contro la ragazza che lo aveva abbandonato.

 

Era tutto infinitamente strano: si sentiva un fascio di rancore, rabbia e tristezza. Forse dalla morte di Voldemort, o forse dall’annuncio del signor Weasley: ‘Ginny si vuole sposare con quel Babbano’ la sua cicatrice si era svegliata con delle nuove emozioni: era una cicatrice profonda, che forse gli arrivava fin nell’animo.

 

*^*

[Dopo la morte, si torna in famiglia - I]

 

 

“Ecco la notifica. Troverete tutto in ordine.”

 

Albert stette a fissare il foglio per un buon minuto, muto dall’indignazione. Sollevò il viso esasperato e lo incrociò con quello raggiante della sua opponente.

 

“E’ vergognoso, signorina Drake.”

 

“Purtroppo è la cruda realtà” replicò Samantha con una punta di ironia “Perciò, se non le dispiace…”

 

Albert si alzò di scatto dalla scrivania e fece cenno ad una delle guardie alla porta, un Auror robusto e dal viso rubicondo.

 

“Accompagna la signorina Drake alle prigioni sotterranee. Ha il permesso di prelevare i coniugi Malfoy.”

 

L’Auror sobbalzò, anche il suo viso contratto dall’indignazione. “Signor Ministro…?”

 

“Ne sono consapevole” disse Albert, aspro “Ma così vuole qualcuno più in alto di noi.”

 

L’Auror gli rivolse un cenno comprensivo e si voltò verso Samantha con una faccia collerica. “Mi segua, prego.”

 

Samantha lo seguì affatto impressionata. “E così Albert Gray è il nuovo Ministro? Forse è il caso che stiate attenti, qualcuno potrebbe attentare alla sua persona… diciamo… un sostituto.”

 

“Non mi pare il caso di fare minacce” ringhiò l’Auror in tono acido.

 

Samantha fece una smorfia. “Beh, volevo solo dare un consiglio.”

 

“Non credo che il consiglio di un’amica di Mangiamorte serva a molto, grazie.”

 

“Non sono un’amica di Mangiamorte” replicò Samantha in tono duro “Sono una Mangiamorte.”

 

Le spalle dell’Auror tremarono. “Allora le consiglio di stare zitta. Ho il dovere di ubbidire ai comandi del Ministro, ma non le posso garantire che riuscirò a controllarmi se dovesse dire qualcosa di sconveniente.”

 

Samantha restò in silenzio finché giunsero nei sotterranei del nuovo Ministero, un luogo stantio e oscuro, che ricordava per molti versi il covo di Lord Voldemort.

 

“I Malfoy sono laggiù, cella numero 14” annunciò la guardia in tono sprezzante.

 

Samantha lo seguì dando una rapida scorsa nelle altre celle e riconoscendo molti dei Mangiamorte elite dell’esercito dell’Oscuro Signore.

 

L’Auror si fermò, rivolgendo il viso duro oltre le sbarre, verso due figure oscure nella cella. “Lucius e Narcissa Malfoy” attaccò lui con voce potente e vibrante “Siete liberi.”

 

Ci furono dei movimenti nella cella. Il primo ad apparire alla vista di Samantha fu Lucius Malfoy. Il suo sguardo di ghiaccio si spostò sulla ragazza e divenne tagliente, posseduto da un inconfondibile brillo omicida.

 

Narcissa si unì a fianco del marito e il volto impassibile di Samantha cedette. L’odio di Narcissa andava al di là della furia omicida: il rancore di una madre che ha perduto il figlio.

 

L’Auror estrasse la bacchetta e mormorò un incantesimo. Una robusta corda magica strinse i polsi dei coniugi Malfoy ma la scintilla negli occhi di Lucius non si spense.

 

La guardia aprì la cella con un grugno e Samantha si voltò. Poteva temere un attacco alle spalle, ma non importava. Non voleva guardare quei due in faccia.

 

Cominciò a camminare mentre l’Auror dietro di lei spingeva i Malfoy fuori dai sotterranei. Giunsero all’uscita del Ministero sotto gli sguardi esterrefatti di molte persone.

 

“Ecco” sentì mugugnare l’Auror “Altri due Mangiamorte a piede libero. Ma siete senza bacchetta e potete giurare che se dovessi incontrarvi per strada, vi schianterei all’istante.”

 

I Malfoy rimasero in silenzio: la loro smodata collera aveva occhi solo per Samantha, l’assassina di loro figlio.

 

L’Auror rientrò nell’edificio e vi fu un istantaneo silenzio.

 

Samantha mosse le labbra, tentando di modulare un tono deciso. “Non tentate di fare nulla. Ho intenzione di liberarvi.”

 

Una fiamma si accese negli occhi di Lucius mentre le sue dita si serravano come artigli.

 

“Prego tutti e due di non fare nulla dopo che vi avrò liberati” proseguì Samantha “Vostro figlio è vivo, ve lo giuro. Seguitemi e ne avrete la conferma. Se questo che vi dico dovesse risultare una bugia, allora sarete liberi di uccidermi. Ma per ora, seguitemi.”

 

Forse fu la cieca speranza dei due che li spinse a seguirla in silenzio o forse la prospettiva di ucciderla.

 

*

 

Nessuno poteva scampare alla vendetta dell’Oscuro Signore. A due reclute traditrici sarebbe spettata solo la tortura e poi la morte.

 

Sapeva che la morte sarebbe arrivata, qualsiasi cosa avrebbe tentato di fare. Allora si limitava a chiudere gli occhi, appassendo piano contro le pareti della cella di tortura, avvertendo i colpi secchi e le scariche di dolore che gli scorrevano per il corpo come sangue nero.

 

Le grida morivano nella gola, soffocate dalla paura di altro dolore. Alla fine le raffiche di colpi erano cessate, il suo torturatore si leccava le labbra, compiaciuto delle cicatrici e delle ossa rotte.

 

Allora aveva avuto un’infinità di tempo per sentire il dolore, immerso in una calma che avrebbe portato altre torture.

 

Poi c’era stato un grido, un ringhio e una cascata di insulti. Lei non aveva paura di sputare in faccia al suo torturatore; e così lei guadagnò altro dolore e altre grida. C’era qualcosa di screziato e tremendo in quelle urla, sebbene non fossero disperate e strazianti.

 

Era la voce di lei distorta dalle urla che gli faceva salire le lacrime agli occhi. Erano fastidiose, molto più del dolore, gli penetravano nella testa. E allora aveva voluto farle smettere.

 

Non aveva potuto con Silente, non aveva potuto con nessuno. Ma c’era la rabbia e riusciva a sbloccargli qualcosa di selvaggio e scalpitante, qualcosa di feroce che non credeva di avere.

 

Le urla di lei e le risate del torturatore lo stavano cullando in una collera frizzante e quasi isterica. Gli occhi erano talmente socchiusi che tutto il mondo si sfumava di nero. La bacchetta era diventata come una falce, la sua mano un tutt’uno con essa, una terribile arma: le labbra e le sue parole avevano formulato il resto, quello che la collera gli suggeriva.

 

Le sfumature del mondo erano diventate verdi mentre gli occhi del torturatore si spegnavano di nero e le grida di lei cessavano.

 

Era riuscito ad uccidere, solo per lei.

 

Ma il verde che lo aveva accompagnato nel lago non era forse diverso da quello?

 

“Draco?”

 

Socchiuse gli occhi e uscì dal sogno oscuro e gelido. Vide il viso di lei e le sussurrò piano:

 

“Cos’era quell’incantesimo?”

 

Lei capì subito. “Avada Kenavra. E’ una variazione del vero Anatema della Morte, causa una morte apparente. Di solito non viene scagliato con l’intento di uccidere… non con intenti malvagi.”

 

Lei gli rivolse uno sguardo dolce.

 

“Allora non sei un’assassina” bisbigliò lui.

 

Lo sguardo di lei sviò un poco dal suo e vi ritornò con un sorriso. “Non volevo ucciderti.”

 

Lui chiuse gli occhi mentre si sentiva accarezzare una guancia. “Ti credo.”

 

La sentì sorridere anche se teneva gli occhi chiusi.

 

“Allora non sei l’assassina di nostro figlio.”

 

Una voce calda e materna. Quella che aveva sognato nel lago.

 

“Madre?”

 

La cercò con occhi stanchi e appannati per la stanza scura, dietro il viso di lei. Poi si sentì abbracciare. Provò disperazione e tanta ansia, come la persona che lo stava stringendo tra i singhiozzi.

 

“Madre…” ripeté con un soffio.

 

Poi sentì una mano forte poggiata sulla spalla e sobbalzò. Era la mano fiera e superba di suo padre.

 

Immaginò suo padre che gli sorrideva orgoglioso e bisbigliò: “Padre.”

 

‘Finalmente sono tornato in vita.

 

*^*

[Il Bianco del Manicomio]

 

 

Era una donna malata. Donna e malata per merito di Han, l’uomo che stava per sposare.

 

Ogni gesto, ogni parola, le ricordavano che era in trappola, catturata in un sogno onirico, magnetico e bianco.

 

Era davanti allo specchio e indossava l’abito bianco delle sue future nozze. Si lasciava manipolare da quella minuta vecchietta gracchiante ed educata, la signora Joshuel, la futura suocera.

 

“Cara, questo vestito è divino! Sottolinea la chiarezza della tua pelle e… mh… dovremo fare qualcosa per domare questa chioma ribelle, cara Ginny.”

 

La signora Joshuel le passò delle sottili dita tra i capelli rossi leggermente scarmigliati e tirò. Ginny sentì una fitta alla testa e un pensiero tagliente che la attraversava:

 

‘Già le mani di suo figlio… i suoi occhi… hanno domato ciò che c’era di ribelle in me.’

 

La signora Joshuel continuò a cinguettare garbatamente, non arrivando mai ad esaurire i languidi complimenti.

 

“Sarai una perfetta gentildonna ed un orgoglio di nuora, ne sono certa, cara Ginny.”

 

Ginny era assolutamente smarrita. Non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata la nuora di qualcuno perché i genitori di Harry erano entrambi morti. Lei non avrebbe mai avuto alcun suocero, nulla… E invece, ora, se ne ritrovava due, due suoceri e loro figlio, il grande orgoglio di casa Joshuel: Han, il suo fidanzato.  

 

“Cara Ginny…” cominciò la signora Joshuel accarezzandole i capelli pettinati e Ginny trattenne un singulto: lo stesso vezzeggiativo che usava Han… sarebbe stata per tutta la vita la ‘cara Ginny’.

 

‘E tra qualche giorno sarò la Signora Joshuel.’

 

Il senso di smarrimento arrivò al suo culmine. Ginny fece scorrere gli occhi sull’abito bianco.

 

‘Un colore che non mi si addice. Non dovrei indossare questo colore candido, serve solo a ricordarmi che non sarò più pura.’

 

Ma tutto in quella casa le rievocava la notte precedente, quella in cui si era lasciata stringere dalle braccia di Han, completamente abbandonata ai desideri del ragazzo. Il maniero dei Joshuel era ricoperto di pizzo e nastri di seta candidi, le pareti erano lucide di vernice bianca.

 

Ginny fissò la parete oltre lo specchio e il vaso chiaro di camelie: completamente bianco.

 

‘Sembra un manicomio.’

 

Era malata e si sentiva impazzire. Non voleva eppure lo stava facendo. Qualcosa sospingeva il suo corpo stanco, sussurrando parole languide al suo orecchio, manipolandola come un’insulsa bambola di pezza.

 

Ecco cos’era: una bambola vestita di bianco.

 

Ginny abbassò gli occhi desolati: ‘Ma io non volevo diventare una persona così misera e insulsa.’

 

Aveva sempre desiderato altro, un’altra persona, e lo smarrimento di quel frangente, mentre la signora Joshuel le acconciava la chioma ribelle, glielo fece ricordare.

 

[Qualche giorno prima del Ballo del Ceppo]

 

Aveva tredici anni e amava discutere di questioni sentimentali con una già saggissima Hermione di età quattordici.

 

“Così, pensi di accettare, Hermione?” le chiese Ginny con un sorriso da amica confidente.

 

Hermione sbuffò piano. “Non saprei. Il ragazzo non è male, però…”

 

“Certo che non è male” intervenne Ginny con un ovvio accenno di capo “Stai parlando del più abile Cercatore del mondo: Victor Krum.”

 

“Lo so!” si discolpò Hermione con una voce troppo impetuosa “Ma è appunto per questo. Nessuno mi ha mai chiesto di uscire: il primo è lui. Capisci, Ginny? Sono passata da ‘niente’ ad ‘un grande campione di Quidditch’; io vorrei accettare, ma ho l’impressione di farlo solo perché lui è una celebrità… forse sono rimasta abbagliata dal suo talento e, sicuramente, lui mi lusinga, però…”

 

“Sarebbe sbagliato?” mormorò Ginny con una voce di colpo seria “Sarebbe così sbagliato desiderare di uscire con una persona solo perché si è rimasti abbagliati dalla sua fama?”

 

“Alludi a Harry?”

 

Ginny perse di colpo la voglia di parlare. Quella sua frizzante loquacità se ne andava sempre quando Harry era nei paraggi: lui la conosceva solo come la timida sorella del suo migliore amico, troppo insignificante e scontata da considerare.

 

“Può darsi” ribatté Ginny con aria mortificata “Ma anche se fosse, sono certa che non mi inviterebbe mai al Ballo del Ceppo… chiederà a Cho Chang…”

 

Quel nome le era uscito con un’acidità degna della più infida delle Serpeverde.

 

“Io non credo” le sorrise Hermione, incoraggiante “Pare che Cho Chang sia già stata invitata da Cedric Diggory.”

 

Fu come se lo stomaco di Ginny facesse le capriole. “Davvero? In effetti quei due sono in confidenza dall’inizio dell’anno, ma mi era sembrato che la Chang puntasse le sue mire altrove…”

 

Avrebbe voluto aggiungere: perché non smette un attimo di fare la svenevole con Harry. Ma si morse il labbro inferiore. Cho Chang aveva un carattere mite e cordiale, era una brava Cercatrice e una fedele amica a parere della sua confidente Marietta… eppure Ginny era arrivata persino a non tollerare la sua voce flautata e il mulinare dei suoi capelli corvini, perfetti e lisci. Solo perché Harry si lasciava andare alle sue incostanti moine, a quei suoi sorrisi occasionali… E lui continuava ad ignorare il sorriso genuino e perenne di Ginny.

 

“In realtà Cedric è molto affezionato a Cho” disse Hermione in tono ovvio “E anche lei ricambia.”

 

Ginny desiderò trattenere quella domanda, ma le sorse spontanea dalle profondità del suo stomaco. “Harry lo sa?”

 

“Non se ne rende conto. Sembra che tutti i ragazzi non si accorgano di quello che per noi è assolutamente ovvio” sbuffò lei con aria scoraggiata.

 

Hermione” cominciò Ginny con voce insinuante “E per quanto riguarda mio fratello?”

 

Hermione scattò sul posto e parlò con una voce troppo nervosa: “Che cosa c’entra Ron?”

 

“Lui sa che Krum ti ha fatto la proposta?” domandò Ginny in tono stuzzicante.

 

“Lo saprà” confessò Hermione con voce decisa “Perché ho intenzione di accettare.”

 

“Vuoi andare con Krum al Ballo del Ceppo?”

 

“Certo.”

 

La voce di Hermione cadde nel silenzio e in un muto imbarazzo.

 

Ginny sospirò piano. “Non c’è sincerità neanche con le amiche?”

 

“Sono sincera” affermò Hermione in tono risoluto.

 

“Forse i ragazzi non sono gli unici che ignorano ciò che è ovvio” disse Ginny.

 

“Non c’è niente di ovvio!” sbottò Hermione, riprendendo poi la calma “Ginny, qualsiasi cosa ci sia, sicuramente non è ovvio.”

 

“Lo so” soffiò Ginny da un angolo della bocca “E’ tutto complicato. Invece dovrebbe essere semplice.”

 

In quell’istante si figurò il volto sorridente di Harry che si avvicinava al suo. Tutto avveniva al rallentatore e sembrava troppo reale. Quello sarebbe stato il suo primo bacio. Così l’aveva sempre immaginato. Ma stava aspettando troppo.

 

“Tu hai già un cavaliere, Ginny?” riprese Hermione in tono timido.

 

“Nessuno me l’ha chiesto” confessò lei “Anzi, forse una persona c’è… però…”

 

“Chi è?” chiese Hermione, incuriosita.

 

“Neville Paciock.”

 

“Oh” mugugnò Hermione con un accenno di delusione “Beh… Neville è di sicuro una brava persona.”

 

“Ma io mi sento scomoda con lui” ammise Ginny, costringendosi a trattenere un’altra pungente domanda: sono così scadente da non meritare altro?

 

“In fondo Neville non è un brutto partito… c’è di peggio” tentò di consolarla Hermione “Pensa a Tiger e Goyle.”

 

Ginny fremette all’idea. “Meglio andare sola… Ma in questo caso, preferisco la compagnia anche se non è perfetta.”

 

“Ascolta, Ginny” disse Hermione delicatamente “Non vuoi aspettare Harry? Dato che Cho è già impegnata…”

 

“Non voglio aspettare Harry” sbottò Ginny “Non pretendo tanto. So che se anche lo aspettassi, lui non arriverebbe… forse non sarei nemmeno la sua ultima scelta, forse non mi considererebbe neanche.”

 

“Capisco” approvò Hermione “Per questo andrai con Neville?”

 

Ginny accennò con il capo, lo sguardo basso. “Harry andrà con un’altra, non farà fatica a trovare un’accompagnatrice: ora lui è sia il Bambino che Sopravvisse che uno dei Campioni TreMaghi.”

 

‘Sempre più distante’ trattenne tra le labbra.

 

“E tu andrai con Krum, Hermione, per lo stesso motivo?” le chiese con voce distante.

 

Le parole di Hermione si mozzarono dal principio. “Beh… non… non vedo il nesso…”

 

Ginny le rivolse uno sguardo carico di significato e lei ammutolì. “Tu sei fortunata, Hermione: Ron non ti farà aspettare molto.” 

*

 

‘Ho smesso di aspettare’ si ricordò Ginny, tornata alla realtà. Si osservò allo specchio: era pronta.

 

“Come sei bella, cara Ginny” le arrivò l’ennesimo complimento languido della signora Joshuel.

 

Era una bambola nel suo vestito di nozze, bianco come una camicia di forza.

 

‘Come per Neville’ rifletté stancamente ‘Non ho voluto aspettare Harry e mi sono accontentata. Ora non sono più pulita e mi sto gettando via.’

 

*^*

[Originale]

 

 

Luke Davisson osservò la sua collega che svaniva nell’Interpolvere con un sorriso soddisfatto e tre biondi al seguito.

 

“Bene” sbuffò tra sé “Ora mi spetta una bella ricompensa dall’A.R.A.s.

 

A.R.A.s?” Una voce curiosa gli cantilenò alle spalle.

 

Si voltò per incontrare gli occhi sporgenti di una ragazza bionda.

 

“Non è per caso l’associazione para-criminale che commercia informazioni segrete?”

 

Davisson si sentì fremere interiormente, ma il suo viso da Sorcers allenato all’impenetrabilità rimase impassibile. “Direi che queste sono mere speculazioni scandalistiche.”

 

Negli occhi della ragazza si accese un guizzo. “Io so che sono notizie attendibili. Mio padre ci ha scritto un articolo.”

 

“Interessante” fece Davisson con voce controllata “E su quale giornale l’avrebbe pubblicato?”

 

“Il Cavillo.”

 

Un ghigno si piegò dentro Davisson, ma le sue labbra rimasero immobili. “Ciò significa che tuo padre era il direttore del Cavillo. Mi dispiace molto, ho sentito che è stato catturato dai Mangiamorte.”

 

“Lo so” replicò la ragazza in tono deciso “Ma mi ha lasciato un grande testimone.”

 

“Vuoi continuare le sue speculazioni?” mugugnò Davisson “E’ ammirevole in qualità di figlia, ma ben poco saggio per una ragazza così giovane.”

 

“L’età non è importante se si ha lo spirito di indagine” disse lei con aria sognante “Così diceva mio padre.”

 

Davisson la fissò con un’inaspettata curiosità. I suoi occhi sporgenti avevano qualcosa di singolare e accattivante. Quando lei si perdeva nelle sue sognanti ipotesi cospirative, sembrava quasi pazza, cosa che all’uomo piaceva immensamente. Ma era comunque troppo pericolosa: credeva di sapere troppo.

 

“Ti saluto” le disse lui.

 

“Ciao” si sentì dire dalla ragazza con voce astratta.

 

Fece due passi e si sentì pedinato.

 

Si voltò con aria scocciata. “Senti un po’, ragazzina, perché continui a starmi appiccicata?”

 

“Sto facendo solo delle indagini” attaccò lei, abbassando la voce in tono cospiratorio. “A me piacciono le cose sospette.”

 

Gli occhi di Davisson ritornarono sulla collana di tappi di sughero con un guizzo vispo. “E a me piacciono le cose strambe.”

 

*^*

 [Impact]

 

 

L’interpolvere li aveva trasportati nel Paese natale di Samantha: l’America. Era di fronte a casa Drake e Draco dovette interrogarsi sullo stupore che aveva colto Samantha alla vista di Malfoy Manor.

 

La dimora dei Drake era di dimensioni non poco indifferenti. Più che un maniero, era una villetta circondata da un giardino curato discretamente, a sua volta delimitato da un maestoso cancello.

 

L’inferriata principale era affiancata da due pilastri di ferro che culminavano con statue di aquile in profilo, fiere e rampanti. Il cancello si aprì a comando di Samantha e Draco la sentì sospirare. La famiglia Malfoy percorse il vialetto del giardino ed entrò in casa Drake.

 

Samantha lasciò il fianco di Draco e si avventurò lungo un tratto di atrio con passo svelto e sicuro. “Vi dispiace pazientare qualche istante?” chiese garbatamente alla famiglia “Devo solo annunciare il vostro arrivo.”

 

Draco le fece un cenno d’assenso e lei si avviò oltre l’atrio con un sorriso scalpitante.

 

La famiglia Malfoy si guardò in torno con aria critica. Era evidente già dall’atrio che il tipo di dimora che li avrebbe ospitati era di inconfondibile stile… sconosciuto, ma certamente non tradizionale, posato, gotico, classico o qualunque altro stile che includesse mobili di legno, specchi lucidi, vetrate intarsiate, drappeggi, stoffe, quadri alle pareti. Quell’ambiente sembrava asettico quanto le stanze di isolamento del San Mungo, quasi fatto di plastica e troppo lisco e spoglio, ma contemporaneamente vitale e… babbano.

 

Lucius storse il naso: l’architettura di quella casa non era degna di un mago Purosangue. Draco sembrava disorientato in quell’ambiente, mentre ripensava alle parole di Samantha: ‘Anche la mia è una famiglia di orgogliosi maghi Purosangue.’

 

Uhoo!”

 

Draco lievitò sul posto con i nervi a fior di pelle. Un boato sinistro gli era arrivato alle spalle. Si voltò lentamente e scoprì che quel bizzarro suono tonante proveniva da un essere umano: poteva avere all’incirca la sua età, era alto quasi quanto lui ma la sua corporatura era sicuramente più robusta e formata, e reggeva un vassoio zeppo di tartine con ben poca grazia.

 

Draco socchiuse gli occhi all’indirizzo dello sconosciuto. ‘Deve essere il cameriere.’

 

Lucius e Narcissa squadrano l’individuo con malcelato disdegno. Dal canto suo, il cameriere si limitò a rimandare ai due uno sguardo analitico non molto arguto.

 

“Tre soprabiti neri e biondi” parlò infine quello con una velocità e un accento nasale che avevano dell’irreale “Siete di queste parti? No, non ditelo: ovviamente no. Beh, se siete ospiti ditemi i vostri nomi. Io sono Johnny.”

 

Draco sbatté un paio di volte le palpebre. Nel giro di cinque secondi il cameriere era riuscito a terminare il suo discorso con un’ampia boccata d’aria alla fine.

 

Lanciò un’occhiata d’intesa ai genitori che confermarono il suo atteggiamento diffidente. Fissò il cameriere e replicò: “Io sono Draco Malfoy.”

 

La spalla sinistra del cameriere sembrò cadere di lato. Mentre la sua postura diventava obliqua, osservò i Malfoy, e in particolare Draco, con un ampio sorrisetto vispo.

 

Yup, ma che nome di spicco per un pusher!”

 

Draco agitò la testa con una smorfia, squadrando in cagnesco l’insulso viso del cameriere. Narcissa trattenne un sospiro, sdegnata da tanta scortesia e sgarbatezza; Lucius non trattenne un ringhio di fronte a tanta mancanza di rispetto.

 

Il cameriere spostò il peso sulla gamba destra, destreggiandosi con il vassoio e sollevando leggermente il mento con le sopracciglia corrugate. “Permaloso come una donna” borbottò piano, ma non abbastanza per evitare che Draco lo sentisse.

 

“Come, prego?” non riuscì ad evitare di sfoderare la sua più strascicata voce melliflua.

 

Il cameriere lo fissò per un istante e la sua espressione smarrita mutò in una di gioiosa comprensione: “Ma tu sei inglese! E’ chiaro: voce languida, parlata lentissima, attitudine femminile… tutto sembra coincidere!”

 

Draco restò ammutolito dallo sdegno, cosa che gli capitava molto di rado data la prontezza della sua lingua biforcuta. Lucius spalleggiò il figlio esibendo un’espressione collerica.

 

“Non ho idea di quali siano le tradizioni di questo Paese, ma ti consiglio di assumere un atteggiamento più garbato: facciamo parte di una nobile famiglia Purosangue e siamo ospiti in questa casa.”

 

Il cameriere sembrò molto più interessato all’ultima indicazione. “Ospiti? Ma va’? Ospiti a casa Drake: siete investiti di un grande onore! Sure!”

 

Il volto di Lucius si contrasse dalla rabbia. “Continui a non mostrarci rispetto!”

 

Il cameriere lo fissò incuriosito, tuttavia affatto intimorito dallo sguardo glaciale di Malfoy senior che solitamente riusciva a sopraffare anche gli spiriti più arroganti.

 

“Suscettibile” mugugnò il cameriere con un sorriso raggiante che fece scalpitare Lucius dalla rabbia “Ma non importa. Ora che siete in America, la terra delle opportunità e della libertà, potete tranquillamente abbandonare la vostra posa austera e godervi la vita in assoluta spontaneità.”

 

Il viso del cameriere si era illuminato durante quel suo sentito discorso e Draco non riuscì a trattenere uno strano singhiozzo: quell’essere impertinente gli ricordava qualcuno. La sua pelle leggermente abbronzata e i suoi sorrisi sfavillanti ed energici avevano qualcosa di famigliare. In effetti, a parte la totale mancanza di lineamenti raffinati, il volto del cameriere si poteva considerare decisamente attraente.

 

Quello era il tipo di uomo che avrebbe indotto metà popolazione femminile a sposarlo senza alcun indugio con un rigagnolo di bava alla bocca e l’altra metà a suicidarsi per l’infinita serie di assurdità che gli usciva dalla bocca.

 

“Benvenuti nella vera ed autentica Patria! Là dove dimorano i veri uomini!”

 

Il timpano di Draco vibrò più dell’usuale sotto la potente esclamazione di quello sconosciuto cameriere.

 

Yeah! Vi insegneremo come giungere al fine ultimo di ogni uomo: to be an Amer!”

 

Draco fece una smorfia contrariata. Togliendo le esclamazioni incomprensibili e le risate a squarciagola che intervallavano le esclamazioni incomprensibili, l’inglese di quel soggetto era davvero molto strambo: trascurando il fatto che il timbro della voce era quello di una rauca aquila rapace, il cameriere tendeva a finire le frasi o troncando le parole di netto o alzando a picco la voce in una specie di fugace singhiozzo ululato.

 

‘American Slang’ si chiamava… ma Draco non poteva ancora saperlo.

 

Il cameriere fece roteare il vassoio imbandito con una torsione del braccio per riacchiapparlo con maestria ad occhi chiusi, numero da circo che sarebbe valso un applauso a qualsiasi bestia da cabaret.

 

Yosh, ospiti inglesi! Siamo così patriotticamente felici di accogliere degli immigrati nel nostro sublime Paese!”

 

Draco sogghignò a bocca piena. ‘Appena arriva Samantha gli imporrò di licenziarti, stupido cameriere saltellante. Per quanto bravo tu possa essere – e lo dubito con tutto il mio animo – non potrai mai competere con le mie suppliche: Samantha è in mio potere!’

 

Le sue aspettative si tramutarono in una piacevolissima realtà quando Samantha ritornò nell’atrio con passo deciso ed un gioioso sorriso che, Draco notò con sconcerto, era rivolto al cameriere.

 

Il cameriere piroettò fino a pararsi di fronte a Samantha. “Yoh!” la salutò con un’alzata di mano decisamente troppo confidenziale.

 

Draco si leccò i baffi, assaporando il gusto sempre dolcissimo della vendetta. ‘Ridi, ridi, ridi, idiota… Non hai rispetto nemmeno per la padrona di casa, mi basterà un secondo per convincere Samantha a licenziarti… tra un po’ ti ritroverai ad implorare l’elemosina in mezzo ad una pidocchiosa strada babbana.’

 

Draco si rivolse con compiacimento a Samantha. “Licenzialo subito, Samantha” affermò con un tono sufficientemente imperioso per far inarcare un sopracciglio alla ragazza.

 

Il cameriere smise di roteare mentre i suoi occhi assumevano la circonferenza del vassoio che teneva in mano. “Fire me?”

 

“Licenziarlo, dici?” ripeté Samantha con aria scettica.

 

Draco annuì in modo fatale. “Dovresti insegnare ai tuoi domestici un minimo di rispetto per gli ospiti!”

 

Samantha si voltò finché il suo viso fu parallelo a quello del cameriere: i loro volti erano uno al fianco dell’altro. Draco sobbalzò quasi strozzato dal suo stesso gemito. Fu posto di fronte ad una sconcertante evidenza: il cameriere somigliava molto a Samantha, troppo per essere solo il cameriere.

 

Lei fissò i tre biondi con alle spalle il saltellante non-cameriere che faceva cenni di saluto. “E’ mio fratello Johnny” dichiarò e una generale freddezza piombò sulla famiglia Malfoy.

 

*^*

[Di nuovo la Cicatrice II]

Harry Potter P.O.V.

 

 

La cicatrice fa un male d’inferno.

 

Curioso distrattamente nella stanza in cui mi trovo. Dopo l’accesa discussione col signor Weasley sono venuto qui, in uno dei centri accoglienza del San Mungo, per riposarmi. E’ curioso, ma nessuno mi ha riconosciuto: nessuno ha riconosciuto il Prescelto. Dovrei essere felice perché a me non piace essere riconosciuto.

 

Eppure sono più cupo di prima. Stavo male in quel ridicolo Corteo che aveva organizzato il Ministero perché non c’era Ginny, ma le acclamazioni di quegli altri estranei erano state incredibilmente confortanti. Non mi ero mai compiaciuto dei complimenti degli altri, mi imbarazzavano e basta… Ma ora, invece, li volevo a tutti i costi.

 

Ho capito che tutti gli sforzi che ho fatto in guerra hanno cancellato la mia modestia e ho capito anche un’altra cosa.

 

Adesso sono sinceramente arrabbiato con Ginny. Anche dopo la supplica del signor Weasley ho capito di non poterla aiutare perché non volevo. Era incredibile quello che Ginny aveva fatto: un sostituto…

 

Non importava che lo avesse fatto perché si sentiva sola o perché io le avevo dato il permesso: non doveva farlo e basta.

 

Non poteva scaricare il Prescelto perché si sentiva sola. Era normale, capitava a quasi tutte le coppie. Poi eravamo in tempo di guerra ed era normale che si sentisse smarrita, ma non le dava il diritto di mollarmi così.

 

Adesso quasi non mi riconosco più, non credevo di poter provare una simile arroganza: non poteva mollarmi perché sono il Prescelto. A sentirlo dal fuori sembra così egoistico, strafottente, così decisamente non-da-Harry-Potter, eppure lo credo con tutto il cuore.

 

Se una persona si sforza, combatte, tenta di salvare il mondo, sconfigge il cattivo, non dovrebbe automaticamente ricevere una ricompensa? E quale ricompensa è megliore dell’abbraccio della propria amata?

 

C’è decisamente qualcosa che non va nella mia storia, qualcosa di dannato. Regulus aveva ragione: sono maledetto.

 

Ginny ha sempre tentato di consolarmi mentre mi accarezzava i capelli. Chissà se lo fa anche col Babbano? Spero con tutto il cuore che si ricordi di me quando lo farà con quell’altro. Di sicuro non riuscirà a fare niente senza pensare a me. Sono sicuro che sarà invasa dai sensi di colpa. Meglio così.

 

Non credevo davvero di provare tanta amarezza. Mi è nata di colpo, alla fine della guerra.

 

Qualcuno bussa alla porta. Credevo fosse una qualche infermiera e invece è il mio migliore amico Ronald Weasley. Ma da come mi guarda non si direbbe mio amico.

 

“Cosa hai fatto, Harry?”

 

La sua voce è decisamente ostile. Io non voglio sbilanciarmi, allora gli rispondo con voce pacata. “Ho solo parlato con tuo padre.”

 

“Parlato?”

 

Sì, Ron è decisamente infuriato. Forse è il caso che passi sulla difensiva.

 

“Infatti, Ron. Ho semplicemente parlato con tuo padre. Lui mi ha chiesto di fare una cosa e io ho rifiutato.”

 

“Fare una cosa?” scandisce Ron “Ma sei andato fuori di testa, Harry? Ti ha chiesto di riportare indietro mia sorella non di fare una cosa.”

 

Ora l’irritazione di Ron comincia ad irritare persino me. “Non è colpa mia, Ron, se se n’è andato col Babbano e quindi non sarò io a portarla indietro.”

 

“Ma certo che è colpa tua!”

 

Non credo di aver mai visto il volto di Ron così rosso. Comincio seriamente a preoccuparmi. Ho litigato qualche volta con Ron ma ho sempre sofferto durante e dopo il litigio perché è brutto litigare con gli amici. Ma adesso, vendendolo così arrabbiato, mi scappa un sogghigno sulle labbra.

 

“Vi consiglio di smetterla di scaricare tutto su di me! E’ stata Ginny a volersene andare e se non torna, la mia vita non cambierà.”

 

Non mi importa davvero. Oh Merlino, la cicatrice fa davvero male.

 

Ron ora mi sembra decisamente schifato. “Harry, stai male.”

 

Lo so che sto male, questa dannata cicatrice mi sta spaccando la testa in due. E’ da un po’ che ho paura di ammetterlo, ma…

 

“Ron, credo di essere posseduto.”

 

Devo essere stato molto convincente perché il volto arrossato di Ron sbianca all’istante.

 

“Si tratta di Voldemort, Harry? Ma non lo avevi ucciso?”

 

Sento che la sua voce è terribilmente indecisa e titubante.

 

“Non lo so, Ron” anche la mia voce è indecisa “Io l’ho ucciso ma è come se una parte di lui vivesse qui, dentro di me.”

 

Senza neanche volerlo mi sono portato le dita alla cicatrice.

 

Ron mi fissa esterrefatto. “E’ per questo che ti comporti così? Per colpa della cicatrice?”

 

“Io lo spero” mi sento decisamente disperato “Perché se non è la cicatrice, allora sono io: sono davvero diventato come Voldemort.”

 

“No!” questa volta la voce di Ron è davvero combattiva “Assolutamente no. E’ colpa della cicatrice, tu non potrai mai diventare come Voldemort, lo diceva anche Silente.”

 

Silente: lui aveva sempre ragione. “E’ vero, ma non cambia niente. La cicatrice mi resterà per sempre.”

 

“Almeno prova, Harry. Prova a combattere la cicatrice come facevi a Hogwarts.”

 

Una strana idea si fa spazio nella mia testa, superando il dolore della cicatrice. “E se ci voglio riuscire, dovrò riportare indietro Ginny.”

 

“Sì” ora la voce di Ron è illuminata quanta il suo viso “Bravo, Harry, ora torniamo da mio padre a dare la notizia.”

 

Ho detto che volevo salvare Ginny, ma c’è una parte di me che non lo vuole proprio. La cicatrice mi dice che solo gli stupidi che amano la sofferenza corrono dietro a chi li ha abbandonati.

 

*^*

[Questione di Emblemi]

 

 

“Qualcuno mi trovi un mediatore mago-babbano, non ce ne vengo fuori con questi preventivi in sterline!”

 

Il nuovo Ministro della Magia scalpitava dalla maestosa scrivania del suo ufficio.

 

“Ministro” gli giunse una voce sogghignante da un angolo della stanza “Non sono certo i Babbani che mancano in questo momento.”

 

Albert Gray squadrò il soldato con irritazione. “Colonnello Marshall, non è decisamente il caso di ironizzare sulla rivolta là fuori.”

 

Albert lanciò un’occhiata esasperata oltre la finestra: un’orda impensabile di Babbani e Mezzosangue si stava raccogliendo alle fondamenta del Ministero della Magia dalla mattina presto, quando era stato ritirato l’ordine tassativo di lasciare sgombere le strade: la pulizia era finita.

 

“Deve fare qualcosa, Ministro” riprese Marshall in tono serio ma sempre sogghignante “Per la fine della giornata il Primo Ministro Babbano intende richiamare i concittadini londinesi. Si potrebbe creare un increscioso intoppo di sicurezza magica se al ritorno dei Babbani a Londra molti della nostra razza si dovessero trovare ancora per strada a sbandierare la bacchetta come fanno ora.”

 

Con un grugno contemplò la folla scalpitante: tutti gridavano giustizia, desideravano le teste dei Mangiamorte.

 

“Stiamo perdendo il controllo” sospirò Marshall “Questa gente è quasi psicopatica, ma d’altronde è comprensibile, la guerra è appena finita. Temono ancora che le grinfie di qualche Mangiamorte spunti dall’oscurità per trascinarli verso la morte o il lato oscuro… panico collettivo… E ora pretendono che versiamo tutto il sangue di quei mostri.”

 

“E non solo il sangue dei Mangiamorte” precisò Albert con aria nervosa “Persino i Dissennatori che – Merlino lo sa dall’alba dei tempi – non si possono uccidere. Pretendono l’impossibile: un processo e una condanna a morte collettiva dei Mangiamorte, l’esecuzione che di solito si operava col Bacio dei Dissennatori… e ora gli stessi carcerieri sono nostri nemici. Ormai le prigioni del Ministero sono zeppe di Mangiamorte, Azkaban è inutilizzabile e quella gente là fuori pretende sicurezza” abbassò la voce su un tono più grave e fatale “Finiremo per perdere il controllo.”

 

“L’abbiamo già perso o non lo abbiamo mai avuto, bah?” si chiese Marshall con aria indifferente.

 

Albert lo fulminò con lo sguardo e un ringhio sommesso. “Colonnello Marshall, la prego, cerco solo un poco di solidarietà e sostegno.”

 

“E’ lei che ha voluto accettare l’incarico di Ministro in una situazione del genere” ribatté Marshall “Io l’avevo avvertita di quello che rischiava.”

 

“Lo so, lo so” cantilenò Albert, scocciato “Ma qualcuno doveva pur ricevere questa patata bollente: una Londra distrutta, centinaia di prigionieri di guerra, Dissennatori ancora liberi per i cieli d’Inghilterra e un’orda di sopravvissuti che gridano vendetta.”

 

“Perfetto” si complimentò Marshall “Non avrei saputo descrivere meglio la situazione attuale: un vero casino. Forse fare la guerra era persino più semplice.”

 

“Ovvio” borbottò Albert “E’ più facile distruggere che ricostruire.”

 

“Peccato che eravamo noi quelli che rischiavano la distruzione” puntualizzò Marshall con una smorfia.

 

Albert si stravaccò sulla poltrona con un ampio sospiro. “E mi domando se non sia ancora così. Insomma… muore Colui-che-non-deve-essere-nominato e noi vinciamo automaticamente? Ma come è possibile?”

 

“Bah” fece Marshall “E’ tutta una questione di emblemi: Voldemort era il simbolo della vittoria oscura e morto lui se n’è andata la vittoria, anche se in realtà le forze dei Mangiamorte combinate con quelle delle altre bestie avrebbero potuto distruggerci facilmente… ma si sono arresi perché tagliata la testa del serpente non sapevano più da che parte sbattere. Noi, certo, non avevamo questo problema perché morto un Ministro se ne fa un altro, ma morto Voldemort – Merlino voglia che sia così – non si genera un altro Signore Oscuro.”

 

Marshall si interruppe con aria meditabonda mentre Albert lo fissava con aria di rimprovero.

 

“Forse non è il caso che lei pronunci quel nome.”

 

“Cosa?” sghignazzò Marshall “Voldemort?”

 

Albert socchiuse gli occhi con uno scatto. “La prego.”

 

“Ma la prego lei” replicò Marshall con un’ampia risata “Che senso ha bandire quel nome adesso? Quando Voldemort non è altro che un cumulo di ossa e pappa d’intestini?”

 

Albert gli lanciò un’occhiata carica di significato. “Come diceva lei prima, è una questione di emblemi.”

 

Marshall si ritirò in un silenzio riflessivo che non gli era affatto scomodo.

 

‘Una questione di emblemi… forse basta poco per calmare quella massa di isterici.’

 

“Ministro” disse, rivolgendosi impetuosamente ad Albert “Ho la soluzione.”

 

Albert si illuminò poco, non desiderando ingannarsi con la speranza. “A quale dei miei infiniti problemi?”

 

“A quello più scottante, a mio parere” disse Marshall, reclinando il capo verso la finestra “Quei pazzoidi bellicosi che pretendono giustizia avranno il loro contentino.”

 

Albert si mise in posizione d’ascolto. “La prego, continui.”

 

“Va bene” sogghignò Marshall con enorme soddisfazione “Ora le darò una dimostrazione pratica.”

 

Si accostò alla finestra, spingendo le ante finché si spalancarono del tutto, cozzando contro il muro del Ministero. Le urla di protesta della folla sotto raggiunse entrambi con una potenza degna di un branco di lupi idrofobi.

 

“Portateci le teste dei Mangiamorte!”

 

“Già! A morte tutti!”

 

Marshall li squadrò dall’alto in basso con un misto di stizza e repulsione. Si gonfiò i polmoni d’aria e gridò più forte che poté: “E se invece vi portassi la testa di Voldemort, cosa ne direste? Preferite la testa di Voldemort o quelle di qualche Mangiamorte?”

 

La folla si spense drasticamente. Marshall osservò alcuni visi che lo fissavano dal basso sbiancare paurosamente.

 

“D’accordo, allora” urlò Marshall alla folla “Non siete ancora pronti per ammirare un cimelio di guerra così sostanzioso. Non temete, un giorno avrete la vostra truce vendetta: le teste dei Mangiamorte! Ma che mi dite ora, se invece di qualche pezzetti umani, vi dessi un Eroe?”

 

La folla sembrò sul punto di riaccendersi alla nomina dei Mangiamorte, ma poi si perse, smarrita nella proposta di Marshall.

 

“Attendo la vostra risposta, oh folla inferocita!” gridò il colonnello, non premurandosi di celare il suo tono canzonatorio “Il Ministero farebbe qualsiasi cosa per placare la vostra ira, persino portarvi la testa di Harry Potter… ovviamente staccata dal torace!”

 

La folla non tardò un solo attimo per accendersi di ira.

 

“Come osi, tu del Ministero!”

 

“Stai zitto, quel ragazzo è un vero Eroe!”

 

“Non ho bisogno di sentire altro” ghignò Marshall tra sé.

 

Richiuse la finestra con un sogghigno. “Come previsto: la folla inferocita è innamorata di Harry Potter.”

 

“Questa è la vostra idea, colonnello Marshall?” mugugnò Albert con aria pensosa “Potrebbe funzionare: un Eroe!”

 

“Più di uno” precisò Marshall “Si ricorda, Ministro, di quel bambino del Corteo?”

 

Il viso di Albert sembrò accendersi di colpo. “Jeremy Smith? Sì, certo, è un bambino straordinario: il simbolo della resistenza giovanile.”

 

“Esatto” affermò Marshall con risoluzione “Portiamolo qui al Ministero, offriamogli protezione e tutto quello che gli dovesse servire per crescere: il Ministero diventerà la casa di un Eroe. E’ questo quello che ci serve: che quella folla inferocita si riunisca sotto il vessillo del Ministero e recuperi un minimo di civiltà. E chi viene ascoltato meglio di un Eroe? Basterà che Potter e Jeremy Smith aprano la bocca e quella massa di pazzoidi là fuori prenderà per oro colato ogni loro singola parola.”

 

“Sono d’accordo, è una mossa davvero astuta” disse Albert con ammirazione “Ma credo ci sia un intoppo: per quanto riguarda Jeremy Smith, non vedo perché dovrebbe rifiutare, ma che mi dice di Harry Potter? Tre anni fa ero di stanza al reparto privato di Rufus Scrimegour e venni a sapere che il Ministro aveva tentato di convincere Harry Potter ad affiancarsi al Ministero e il risultato fu un umiliante rifiuto.”

 

“Prevedibile” soffiò Marshall con un ghigno “Scrimgeour era un valoroso combattente e un apprezzabile stratega ma mancava decisamente di tatto e spirito di trattativa.”

 

Albert sembrò smorzare una risata con un colpo di tosse. “Non dovrebbe essere lei a criticare, colonnello Marshall.”

 

“Forse è vero” ammise Marshall con un’espressione rilassata “Quindi combineremo le nostre doti oratorie, Ministro.”

 

Albert lo squadrò con uno sguardo severo. “Vuole giocare al poliziotto buono e cattivo?”

 

“Chi dice che non potrebbe funzionare” ghignò Marshall “E se non dovesse funzionare abbiamo Jeremy Smith come ruota di scorta.”

 

Albert sembrò molto infastidito dalle parole aspre di Marshall. “La prego, colonnello, non si esprima in questi termini. Jeremy è un piccolo eroe.”

 

“Infatti, meglio per noi” replicò Marshall “Anche se dovessimo perdere il cavallo di battaglia, Harry Potter, abbiamo sempre quel piccolo pedone, Jeremy Smith, che in quanto ad immagine non ha nulla da invidiare all’altro: un ragazzino di otto anni che ha sconfitto due Mangiamorte… si tratta soltanto di accrescere la sua fama e, chissà, potrebbe anche darsi che diventi più popolare del Prescelto.”

 

“Già” sospirò Albert con un’aria tormentata “Come ha detto lei, è una questione di emblemi.”

 

*^*

[Autostima]

 

 

Neville salutò il benevolo mezzogigante alla fine del Corteo.

 

“Ciao, Hagrid! Ci vediamo a…” si bloccò, mordendosi la lingua.

 

Non c’era più nessuna Hogwarts; era scomparsa da molto sotto cenere e detriti, eppure non se ne rendeva conto: era come un braccio fantasma le cui dita prudevano ancora.

 

Il viso rubicondo e arrossato di Hagrid esitò appena, probabilmente colto dallo stesso pensiero, ma poi si rilassò in un sorriso bonario. “Sì, Neville, ci si vede in giro.”

 

Neville gli rivolse un ultimo cenno col capo e si voltò verso gli ultimi resti del corteo: Harry se n’era andato da tempo, soffocato da quell’orda di persone che desideravano abbracciarlo. Neville aveva continuato a marciare, aveva persino acconsentito a posare per alcune fotografie… Forse un giorno quelle immagini sarebbero state documenti storici e Neville desiderava entrare nel grande libro della Storia della Magia.

 

Dopo tutto quello che era successo, sentiva di meritare una cosa: rispetto. Rispetto nonostante fosse impacciato e non troppo abile con la bacchetta, nonostante fosse maldestro con le parole e con le ragazze. La sua indole timida lo avevano costretto ad accettare le vessazioni da bambino, opponendosi rarissime volte e con delle lamentele sempre troppo sottili, ma ora voleva la rivincita e sentiva che in quel mondo da ricostruire poteva ottenerla.

 

Marciò verso casa con un’energia effervescente. Sapeva che non avrebbe dovuto averla quando il resto del mondo usciva malridotto da una terribile guerra, ma forse così avrebbe potuto aiutare. Voleva essere padrone della situazione per una volta, poter aiutare invece che essere aiutato.

 

Entrò in casa sua.

 

‘Casa di mia nonna’ pensò con una punta di amarezza.

 

Sentì una voce di donna che rideva e si bloccò all’istante: era la voce di una giovane donna. Si avventurò con passo malfermo verso il soggiorno di casa Paciock e si trovò faccia a faccia con una visione paradisiaca: una donna che doveva da poco aver superato i vent’anni, incredibilmente avvenente, dai capelli scuri e gli occhi d’inchiostro vispi e luminosi, il volto fine, levigato e deciso.

 

La donna si voltò e incrociò lo sguardo di Neville. Il suo sorriso si attenuò un poco e Neville fu certo di trovarsi nel mezzo di una crisi di panico: sapeva di avere la bocca spalancata e un’espressione non particolarmente sicura o attraente, anzi, era certo di sentire gli occhi spalancati in una sua tipica posa inebetita.

 

Ma la donna non sembrò farci caso e riprese a sorridere.

 

“Neville” si sentì chiamare da sua nonna con voce scocciata “Chiudi la bocca. Questa è la signorina Katrina Sheffild, è stata così gentile da aiutarmi a risistemare il salotto.”

 

Neville lanciò un’occhiata alla casa: in effetti era abbastanza sotto sopra e la parete del soggiorno era stata quasi completamente sfondata a causa delle scalpitante di un gigante durante l’ultima battaglia.

 

“Oh” replicò Neville dopo un lungo momento di contemplazione. “Grazie infinite.”

 

Si morse la lingua: era certo che la sua voce fosse uscita traballante ed insicura.

 

Lei sorrise in modo dolce e paradisiaco, o almeno così pensò Neville. “E’ stato un piacere.”

 

Neville sentì la nonna sospirare dalla sua poltrona preferita. “Lo perdoni, mio nipote è un po’ impacciato.”

 

Neville si sentì fumare le orecchie. “Nonna” la rimproverò con voce impaziente “Per favore.”

 

La signora Paciock scosse la testa, insospettita e oltraggiata dall’insolito comportamento del nipote.

 

Neville si rivolse alla donna, sperando in cuor suo di non essere risultato troppo sgarbato e impudente: l’ultima cosa che voleva era fare una figura meschina davanti a lei, eppure aveva l’impressione di mettere sempre il piede in fallo ogni volta che voleva apparire più deciso di quanto fosse.

 

La signorina gli sorrise ancora. “E’ certamente molto deciso e poco impacciato a mio parere, signora Paciock. Naturalmente non volevo mancarle di rispetto.”

 

“Oh, no figurati” ribatté la nonna con uno sguardo di rispetto verso la giovane donna “Puoi dire quello che ti pare su mio nipote. Neville!” la sua voce divenne più dura “Fai fare un giro della casa alla nostra ospite: dovrà pur abituarsi alla sua nuova dimora.”

 

“Nuova dimora?” scandì Neville con il sangue alle orecchie.

 

“Infatti” gli confermò la nonna “Ho bisogno che qualcuno mi aiuti a risistemare tutto e che sia capace di sbrigare qualche faccenda domestica ora che il mio vecchio elfo è morto… Senza offesa cara, tu sei molto meglio di un insulso elfo domestico.”

 

Katrina Sheffild le rivolse un lieve accenno. “Non si preoccupi, signora.”

 

Lei si voltò nuovamente verso Neville che si sentì paurosamente avvampare sotto il suo blando sorriso. Gli fece cenni meccanici con le braccia per invitare la giovane donna a seguirlo, troppo intimorito per aprire bocca.

 

Neville si schiarì la gola mentre Katrina arrivava al suo fianco, colto da uno strano senso di imbarazzo, disagio e determinazione.

 

Anche se non la conosceva affatto, ottenere il suo sincero sorriso cristallino era importante quanto riconquistare la propria autostima.

 

*^*

[Il Dovere dell’Eroe - I]

 

 

Harry entrò nel nuovo ufficio del Ministro: a differenza del resto dell’edificio era tirato a lucido, completamente restaurato ed impeccabile, un ufficio perfetto collocato nel mezzo mentre il resto del Ministero stava cadendo a pezzi.

 

Albert Gray, il Ministro, gli fece un cenno. Harry si accomodò sulla poltrona davanti alla sua ampia scrivania, lanciando un’occhiata all’uomo stravaccato sul divano a fianco dello scrittoio: John Marshall, il vice del Ministro.

 

“Mi avete fatto chiamare, Ministro” Harry ebbe una strana sensazione amara sulla punta della lingua.

 

Albert allacciò le dita sotto il mento, fissandolo con aria compita e seria. “Sì, ed è una questione di fondamentale importanza. Non voglio tergiversare, perciò te lo dico sinceramente e senza troppi giri di parole: ci servi, Harry Potter. Devi aiutarci a risollevare il morale della gente: è un tuo dovere.”

 

‘Di nuovo…’ Harry ebbe un dejà-vu.

 

“E’ un dovere per te schierarti al fianco del Ministero e dare un sostegno morale a tutti.”

 

‘Un dovere? Prima e dopo la guerra…’

 

“Il dovere di chi?” mormorò Harry con una voce grave.

 

Albert sembrava pronto a quell’obiezione perché la sua voce e la sua posa non si smontarono. “E’ dovere del Ministero, ma, come puoi vedere coi tuoi occhi, il Ministero sta rinascendo, non ha abbastanza forza ora.”

 

Harry sbirciò oltre la finestra alle spalle di Albert, come per tacito suggerimento del Ministro: Londra era a pezzi e il Ministero era zeppo di crepe.

 

“Capisco” disse Harry, tuttavia con una voce severa.

 

“Me ne compiaccio” ammise Albert “So dei tuoi trascorsi con Scrimgeour, so che hai rifiutato di appoggiare il Ministero all’alba della Seconda Guerra Magica, ma ora, dimmi sinceramente, cosa pensi di fare?”

 

Harry percepì la voce calma di Albert slittare su una cadenza più nervosa. Il Ministro lo fissava impaziente, le dita intrecciate sotto il mento erano strette come in segno di preghiera.

 

Harry sospirò: “Cos’è cambiato?”

 

L’espressione di Albert sembrò sciogliersi dalla disperazione. Harry rimase impassibile.

 

“Non mi sembri tanto sveglio per essere il Prescelto, Harry Potter” si insinuò Marshall con voce aspra, sdraiato sulla sua poltrona.

 

Harry lo fissò severamente. “Infatti non lo sono.”

 

“Non sei il Prescelto? Ma tu guarda: hai ucciso Voldemort grazie ad un colpo di fortuna, allora. Ho osservato il tuo modo di combattere e, lasciatelo dire, se non fosse stato per un miracoloso evento progettato dal destino non saprei spiegarmi la tua vittoria su Voldemort” mugugnò Marshall in tono ironico.

 

Harry rimase impassibile. “Non ha risposto alla mia domanda.”

 

“Ah, benedetto ragazzo” sbuffò Marshall con impazienza “Prima il Ministero stava in piedi e il tuo contentino a Scrimgeour sarebbe servito solo per smascherare l’orrore che, in effetti, stava devastando il Paese… Ora, invece, il Ministero è ridotto ad una bicocca e il tuo prezioso appoggio servirebbe per risvegliare nei tuoi bravi concittadini, soprattutto i più giovani, la voglia di riassestare questo Paese vittima del dopoguerra. Chiaro? Ora è completamente diverso da prima. Ora, cosa pensi di fare adesso?”

 

“Vorrei solo tornare dalla mia famiglia” mormorò Harry ma dovette mordersi un labbro: era vero ma non sapeva come fare.

 

A Marshall sfuggì un sogghigno. “Tu non hai più una famiglia, Harry Potter.”

 

Harry socchiuse gli occhi, ingoiando il risentimento e concentrandosi solo sulla sua determinazione. “Infatti, e ora vorrei costruirne una.”

 

Sia Marshall che Albert rimasero in silenzio.

 

Il colonnello Gray ebbe un improvviso scatto dalla scrivania, ma si calmò quasi subito, sfiorando Harry con uno sguardo tenero. “So che senti di aver fatto già abbastanza e non vorresti fare altro che tornare dalle persone a cui vuoi bene, credimi, lo so, perché è quello che vorrei fare anch’io: ma ho delle responsabilità. E’ ingiusto ma, tu, il Prescelto, hai la più grande delle responsabilità.”

 

‘E’ ingiusto…’

 

“La prego, non insista” disse Harry con un tono paziente “La mia guerra è finita.”

 

“Già” sbottò Marshall in tono nervoso “Voldemort è morto, tu lo hai ucciso: questo era lo scopo del Prescelto, vero? Ma la morte di Voldemort non ha fermato la guerra… ti pare? Basta che guardi fuori dalla finestra: una massa di Babbani e Maghi che chiedono vendetta. Tu sei un eroe, Harry Potter – e lo disse con una voce sprezzante – devi fare il tuo dovere: calma questo branco di bellicosi vendicativi e salvali dal dopoguerra.”

 

Harry rimase immobile mentre Marshall lo scrutava e la sua voce si faceva più tagliente e fatale:

 

“Perché è questo che rischiamo, Harry Potter: che la guerra si riaccenda.”

 

Albert si mosse dalla scrivania e si avvicinò, poggiando delle mani incredibilmente sudate e pesanti sulle spalle di Harry. “Ascolta, ragazzo” gli mormorò con una voce quasi spezzata “Lo devi fare: devi dire che va tutto bene, tutto assolutamente bene. Devi dire che il Bene ha trionfato.”

 

A Harry scappò un sussulto mentre tentava di schivare lo sguardo pietoso di Albert. “E non è così?”

 

Albert emise un rantolo, quasi una risatina soffocata. “Questo è il dopoguerra: qui il Bene non potrà mai trionfare del tutto.”

 

Harry levò lo sguardo su Albert. “Allora io non posso fare niente.”

 

Sembrò che tutta l’aria nei polmoni di Albert fosse scomparsa in un colpo solo. Affondò le dita nelle spalle di Harry e parlò come soffocato dalle sue stesse parole, con un ritmo disperato e quasi isterico.

 

“Tu sei Harry Potter, il Prescelto. Devi diventare il simbolo dell’orgoglio del Bene, di coloro che hanno lottato contro Voldemort; devi riuscire a sollevare lo spirito di un popolo fiacco e stanco; devi smuovere la volontà di risollevarsi di questa nazione; devi far sperare alla gente là fuori che vale ancora qualcosa, che non sono dei miserabili sopravvissuti per miracolo alla guerra. Devi far credere che questa vittoria è stata schiacciante e gloriosa. Devi far credere alla gente che sotto il vessillo del Ministero potrà trovare la rinascita.”

 

Harry trasse un profondo respiro, fissando Albert dritto negli occhi, in quegli occhi che lo imploravano di accettare, che gli dicevano ‘farai la cosa giusta’. Ma la determinazione con cui aveva varcato la soglia di quel Ministero in rovina non lo aveva abbandonato per un solo istante. “Sono solo bugie e finte promesse.”

 

Le mani di Albert si fiaccarono ed Harry riuscì a ritrarsi dalla sua presa ma non dal suo sguardo: uno sguardo rotto dal dolore e dalla delusione.

 

Poi ci fu un cigolio ed Harry si voltò verso la soglia dell’ufficio: il giovane ragazzino triste del Corteo, Jeremy Smith, lo fissava con un sorrisetto impacciato.

 

“Non preoccuparti, Harry Potter, ci penserò io a fare l’Eroe per entrambi.”

 

Harry indietreggiò subito, oltrepassando il ragazzino e uscì dal Ministero con un terribile fiatone. Appena arrivò all’aria aperta si voltò verso il Ministero: era completamente diroccato, quasi distrutto, in ginocchio e lui aveva rifiutato di offrirgli una mano per rialzarsi.

 

‘Possibile che mi senta in colpa? Non ho già fatto abbastanza? Credo sia arrivato il momento di pensare a recuperare quello che ho perso in guerra.’

 

Involontariamente socchiuse la mano e desiderò stringerla a quella di Ginny.

 

*^*

 [Eagle Vs. Peacock]

 

 

Draco si lasciò cadere su una sedia dalla forma decisamente bizzarra, rivestita di un colore che poteva danneggiare la retina degli occhi se fissato troppo a lungo.

 

Finalmente riuscì a liberare il singhiozzo funesto che aveva tragicamente trattenuto per tutta la giornata: “Detesto questo posto.”

 

Diede una rapida scorsa ai ricordi di quella drammatica giornata.

 

Primo appunto: era in opponibile che ogni membro della famiglia Drake portava stampato in fronte ‘Proud to be American’.

 

Secondo appunto: la componente maschile della famiglia Drake, quindi padre e figlio, era convinta che tutti gli inglesi, particolarmente quelli nobili e biondi, avessero delle doppie tendenze sessuali, tesi sostenuta con ardore da Johnny Drake che lo aveva reso incredibilmente insopportabile agli occhi di Draco.

 

Terzo appunto: i concetti di rispetto ed educazioni erano completamente avulsi alla mente di Johnny e padre.

 

Quarto appunto: la famiglia Malfoy non aveva ancora avuto il ‘piacere’ di conoscere la madre di Samantha, fuori casa per lavoro.

 

Quinto appunto: il padre di Samantha era il capitano della squadra di Quodpot* più agguerrita d’America, le Eagles.

 

Sesto appunto: il sogno americano di Johnny era succedere il padre nel ruolo di capitano delle Eagles, mantenendo intatta la tradizione di famiglia di commettere falli personali, mascherandoli sotto le mentite spoglie di errori tecnici.

 

Settimo appunto: la famiglia Drake era in effetti Purosangue e forse una delle prime ad essersi insediata nella contea di New York durante la colonizzazione inglese. Tuttavia le loro discutibili antiche origini non avevano lasciato altro che un retaggio patriottico e affatto nobile.

 

Ottavo appunto: la casa di Samantha aveva qualcosa di sinistramente babbano.

 

Nono appunto: la famiglia Drake aveva un cameriere di nome Pablo che tutti chiamavano Fidel per motivi oscuri a Draco.

 

Decimo appunto: per quanto riguardava i valori morali e il comportamento quotidiano, la famiglia Drake era l’esatta antitesi della famiglia Malfoy.

 

Draco si massaggiò la fronte: desiderava infinitamente stendersi da qualche parte e chiudere gli occhi, ma aveva il timore che se avesse toccato una qualsiasi cosa all’interno di quella casa, avrebbe ricevuto in cambio una batteriologica malattia.

 

Sbuffò ancora, più pesantemente e una risata tonante gli arrivò alle spalle. Il sangue gli salì velocemente al cervello, mentre le guancie si infiammava dalla rabbia. Si voltò con astio e incrociò l’ampio sorriso di Johnny Drake.

 

“Ohilà, amico Dra’” lo salutò quello.

 

“Buon pomeriggio, Jonathan” gli rispose pacatamente Draco.

 

Johnny storse la bocca, ma il suo sorriso non cedette. “Oh, ti vedo molto  depresso… non sarà per caso quel periodo del mese?”

 

Draco sobbalzò sulla sedia con un’espressione tra l’arrabbiata e l’imbarazzata. “Quale periodo del mese?”

 

“Ma sì che hai capito” replicò Johnny con un sorriso sornione “Per questo sei irritato, depresso e suscettibile.”

 

“Tu sei fuori di testa!” sbottò Draco con le guance color porpora “Io sono un uomo!”

 

Il sorriso di Johnny mutò all’istante in un sogghigno scettico. “Ma chi può affermarlo con certezza? Ad esempio, io non sono certo di cosa nascondiate voi inglesi là sotto.”

 

Draco si inabissò nella sedia con la faccia contratta dallo stupore e da una furia incandescente. “Sei assolutamente ottuso!”

 

Johnny ritornò alla modalità sorridente. “Suvvia, amico Dra’, stavo solo scherzando. Volevo farti sorridere.”

 

“Ti sembra che io stia sorridendo?” gli urlò Draco esibendo una smorfia rabbiosa.

 

“Non so come sorridete voi inglesi” ribatté Johnny in modo pigro, riprendendo subito il suo sorriso smagliante “Ma io sto sorridendo ed è questo l’importante!”

 

“Sai che cos’è la cortesia verso gli ospiti?” inveì Draco non riuscendo più a controllare il tono della voce.

 

“No” rispose semplicemente l’altro “Se ha qualcosa a che fare col galateo caschi male, amico Dra’.”

 

“Già” sibilò Draco con la sua voce più ostile “Avrei dovuto immaginarlo. E’ tipico degli stupidi inetti offendere gli ospiti di casa senza remore.”

 

“Remore?” ripeté Johnny con aria pensosa “E’ un pesce che nuota veloce?”

 

Draco impallidì più dell’usuale. “E’ un sinonimo di rimorso: r-i-m-o-r-s-o! O per caso ti devo spiegare anche il significato di questa parola? O aspetta, magari non conosci neanche il termine ‘sinonimo’, o mi sbaglio?”

 

Johnny lo fissò con un breve attimo di silenzio e poi gli sorrise ampiamente. “Caspita, amico Dra’, sembri proprio una donna isterica.”

 

Draco sentì una terribile pressione alle tempie e digrignò i denti. “Allontanati subito.”

 

“Oh, ma dai, non te la devi prendere” replicò Johnny sventolando una mano “Volevo fare solo un po’ di conversazione. Allora d’accordo, cambiamo argomento… mh… Perché parli in quel modo strano?”

 

“Come? E’ questa la tua tattica per farmi placare: intavolare un’altra critica?” replicò Draco con una voce incredibilmente melliflua “E poi sei tu quello che parla strano.”

 

Nop” borbottò Johnny “Sei tu quello che parla lento e così… non lo so… tipo da donnaccia che vuole rimorchiare.”

 

Il rossore di Draco raggiunse una tonalità spropositata. “Mi hai appena dato della prostituta?”

 

Johnny rise ampiamente. “Amico Dra’, ti sei autoinflitto l’insulto, io non posso fare altro che confermare!”

 

“Chiudi quella bocca” sibilò Draco “Sei tu quello che parla veloce e con quell’insopportabile accento nasale. E non riesci a finire una frase senza gesticolare come una scimmia.”

 

“Sono punti di vista, amico Dra’” spiegò Johnny con aria saggia “Forse tu credi che la mia sia una parlantina strana perché sei abituato al dialetto britannico.”

 

“Dialetto… cosa?” inveì Draco “E’ la tua orripilante lingua mezza masticata il vero dialetto!”

 

Johnny gli rivolse un’occhiata seria e fatale. “Amico Dra’, non bestemmiare.”

 

“Sei tu quello che non capisce niente!” infierì Draco “Secondo te la vera lingua inglese affonda le sue radici in Inghilterra o in America?”

 

Johnny lo fissò con un ampio sorriso trionfatore. “In America.”

 

“Sbagliato!” strillò Draco con disperazione “Perché l’inglese dovrebbe venire dall’America e non dall’Inghilterra? Senza contare che l’America è nata ben dopo l’Inghilterra.”

 

“Che vuoi che ti dica, amico Dra’” borbottò Johnny con aria paziente “Ci sono tanti paradossi al mondo. Ad esempio, i nostri pellerossa sono comunemente noti come ‘indiani’ eppure non vengono dall’India… hai capito?”

 

Draco mugugnò, assomigliando più che mai ad una teiera al punto di massima ebollizione. “Ho capito che sei completamente ottuso, stupido e ignorante.”

 

“Ok” ribatté Johnny, non sembrando affatto offeso “Cambiamo argomento per la seconda volta: sei un nobile? Un gentleman?”

 

Draco si calmò, squadrando Johnny con sguardo insofferente e altezzoso. “Infatti.”

 

“Fantastico!” si congratulò Johnny “Anch’io sono un nobile.”

 

Draco fu talmente scioccato che non riuscì ad esternare la sua opinione: assolutamente no!

 

“La mia famiglia ha un blasone” dichiarò Johnny con orgoglio.

 

“E credi che basti un blasone per legittimare una famiglia nobile?” gli chiese Draco con voce acida.

 

“Certo!” affermò Johnny con decisione “Che altro?”

 

Draco fissò un punto in lontananza, con sguardo assorto. “Non potresti mai comprendere.”

 

Johnny lo osservò di rimando, affatto impressionato. “Ad ogni modo il blasone della mia famiglia è un’aquila.”

 

Draco sbuffò con un sogghigno. “Come la squadra di tuo padre.”

 

Yeah!” esclamò Johnny con un orgoglio allucinante “Qual è il tuo blasone, amico Dra’?”

 

“Vedi, Jonathan” cominciò Draco con la sopportazione che si riserva agli esseri inferiori “Il simbolo della famiglia Malfoy ingloba tutte le qualità che hanno caratterizzato la nostra casata di generazione in generazione: la purezza del sangue, l’eleganza, l’orgoglio, l’amor proprio, anche una sorta di vanità…”

 

Johnny scalpitò dalla curiosità. “Cos’è, cos’è?”

 

Draco socchiuse gli occhi, mormorando fatalmente. “Un pavone bianco.”

 

Johnny riuscì a trattenersi solo per dieci secondi perché il suo autocontrollo non resse oltre: scoppiò in una risata eclatante che fulminò i timpani di Draco.

 

“Pavone! Proprio l’animale giusto! E bianco poi! Il pavone…! Il pavone, simbolo degli animali gay!”

 

Draco digrignò i denti, sibilando parole velenose.

 

“Stupido yankee.”

 

*^*

[Il momento era qui, ma l’abbiamo perso]

 

 

Hermione osservava da un bel pezzo Ron, intensamente.

 

Tentava di costringerlo a guardarla, senza risultati. Ron rimaneva seduto rigido e composto sulla sedia davanti al suo letto, appoggiando il mento sul palmo della mano, concentrato nel gioco.

 

“Tocca a te.”

 

Trattenne un sospiro fra le labbra e annuì, tentando invano di pensare ad una strategia. Mosse a caso (più o meno) una pedina in avanti e aspettò di incrociare il suo sguardo.

 

Nulla. Hermione si morse un labbro, tentando di non inveire contro Ron. Avrebbe reso le cose più difficili, si disse, ma la situazione era precaria. E odiava quando lui la ignorava pur essendo a pochi centimetri di distanza.

 

‘Ron… cosa ci è successo?’

 

“Forse finalmente oggi mi dimettono.” Buttò lì casualmente, studiando la sua reazione.

 

Ron alzò le spalle. “Bene.” E mosse un’altra pedina, mangiandole la regina.

 

A quella mossa Hermione sussultò: non si era accorta di essere così vicina alla distruzione. Ah, naturalmente parlava della partita. Il fatto che tra lei e Ron le cose non funzionassero non centrava nulla. Questo non la stava corrodendo. Affatto.

 

…ma chi voleva prendere in giro? Era troppo intelligente per autoingannarsi. Qualcosa si era rotto. E lei desiderava ardentemente solo riaggiustarlo.

 

Sospirò nuovamente e appoggiò le mani sul tavolino improvvisato con una sedia.

 

Ron alzò gli occhi e la fissò, stupito e un po’ titubante. Hermione inarcò un sopracciglio, con stizza.

 

“Perché eviti il mio sguardo?”

 

Ron fissò la scacchiera, fingendosi concentrato.

 

“Sono impegnato nel gioco.”

 

Hermione sentì il sangue che le annebbiava il cervello, e una crescente voglia di dare un pugno a Ronald Weasley. Ma si limitò (fortunatamente per lui) ad urlare.

 

“Non è vero! Smettila di mentirmi! Dove diavolo è finito il mio fidanzato? Dov’è Ronald Weasley?!”

 

Le dita di Hermione si artigliarono intorno al colletto della camicia consunta di Ron, e la ragazza cominciò a  strattonarlo forte.

 

“Esci fuori Ron! Smettila di essere così… così… sbagliato! Apatico! Tu non sei così, noi non siamo così!”

 

I suoi occhi non la guardavano. La respingevano. Era così… umiliante.

 

Hermione si morse un labbro e si stese sul letto, dando la schiena a Ron e pregando Merlino che lui non si accorgesse che stava piangendo.

 

Hermione…” la voce di Ron era un sussurro, incerto e impotente, come quello di un cucciolo. Hermione avrebbe voluto ritrovare la forza per aggredirlo e dirgli che non era più un bambino e non era impotente, solo un dannato stupido. Ma era esausta di quella sottile tortura che andava avanti da almeno tre giorni – rimpiangeva a confronto la loro relazione in guerra, tesa ma appassionata.

 

Stupido Ron.

 

Cosa le aveva detto una volta Viktor? “Non ti merita, Harmioni.” Non aveva tutti i torti, a volte.

 

Hermione io…”

 

‘Dimmi qualcosa. Qualsiasi cosa.

 

“Io…”

 

Un improvviso bussare alla porta interruppe la voce di Ron. La voce del dottor Williams risuonò severa per la stanza.

 

“Sono venuto per controllarla, signorina Granger.”

 

Hermione deglutì, strizzando gli occhi e premendosi contro le palpebre le dita, calmando le silenziose lacrime che le scorrevano lungo le guance.

 

Si mise a sedere, annuendo, evitando accuratamente il viso di Ronald.

 

“Provi a muovere le dita delle mani.”

 

Hermione obbedì all’ordine impartitegli dal Guaritore e mosse senza difficoltà le dita, mentre questi le tastava la gamba, alla ricerca di anomalie.

 

“Pieghi il ginocchio.”

 

Ancora una volta, seppur con un po’ più di fatica, Hermione compì il movimento. Il Guaritore segnò qualcosa su una cartelletta.

 

“E ora chiuda gli occhi.”

 

Hermione serrò le palpebre e avvertì un tiepido calore avvolgerla. Avendo già fatto test del genere, e grazie ad un ricerca svolta nelle ore libere del sesto anno per orientarsi un po’, sapeva che quello era un incantesimo di ruotine che controllava lo stato di ossa, pressione e febbre. Un incantesimo base che veniva insegnato ai Medimagi come primo rudimento.

 

“Può riaprirli.”

 

Hermione fece come ordinato e fu accolta da un sorriso mite del Guaritore.

 

“Lei sta bene, signorina Granger. Il suo corpo si è stabilizzato in fretta, merito della sua giovane età, suppongo. Può uscire dall’ospedale, la voglio rivedere però tra una settimana; quindi si vada a prendere un appuntamento dalla segretaria… siamo intesi?”

 

Hermione annuì solenne. “Lo farò, la ringrazio signor Williams.”

 

Il volto severo si lasciò andare ad un largo sorriso sotto i baffi sale e pepe. “Di nulla. Ora perdonatemi ma ho molti altri pazienti a cui badare, sapete la guerra…”

 

Entrambi i giovani annuirono e salutarono il Guaritore che si defilò in fretta e furia.

 

Seguirono attimi di silenzio teso e imbarazzato.


“Allora… finalmente torniamo a casa.”

 

Hermione sospirò, ancora sconsolata nonostante la notizia avesse mitigato un po’ la tristezza. “Sì… a casa. Chissà come stanno i signori Weasley.”

 

“Già.”

 

All’improvviso, due braccia la avvilupparono, cogliendola di sorpresa.

 

“Sono… felice che tu stia bene, Hermione. Tanto.”

 

Le spalle di Ron erano rigide, il suo abbraccio goffo  e impacciato, quasi vergognoso. Nonostante la sincerità avvertita in quelle parole, le venne da piangere ancora per la delusione, ma si trattenne.

 

Annuì sulla sua spalla, mentre lui le dava una pacca imbarazzata sulla schiena, le orecchie lievemente rosse. Le uscì un singhiozzo, a metà tra risata e singulto.

 

“Voglio uscire… ma prima che ne dici di andare a trovare Remus e Tonks?”

 

Ron si staccò (con sollievo malcelato) da lei. “Va bene. So dove sta Tonks, sono certo che Remus sarà con lei.”

 

“Allora andiamo, così poi preparo le mie cose e scappiamo da questo ospedale.”

 

‘Odio l’odore di medicinali e quest’atmosfera tesa.

 

Hermione scese dal letto, si mise addosso una leggera vestaglia bianca stringendosela in vita, e indossò le ciabatte; poi si affiancò a Ron che le fece da guida per i corridoi trafficati e frenetici del San Mungo, carico di feriti post-battaglia oltre dei soliti casi.

 

Si sentiva così impacciata con Ron, realizzò mentre camminavano a debita distanza.

 

Era una sensazione che non le era nuova. Hermione ebbe un dejà-vu di lei l’anno prima, quando Lavanda e Ron erano ufficialmente una coppia.

 

Quel che si era istaurato tra loro, ai tempi, era un imbarazzo che li colpiva appena stavano vicini. Hermione ricordava nettamente – forse perché molto simile, ma più profondo – i muscoli tendersi innaturalmente e le parole tremolanti quando parlava con lui.

 

Non riuscivano nemmeno a guardarsi negli occhi.

 

Quando lei li alzava, vedeva quelli di Ron a terra, subito li riabbassava amareggiata: Ron sapeva benissimo il sentimento che Hermione nutriva per lui dal modo in cui quel suo atteggiamento era quello di un bambino colpevole che chiede silenziosamente scusa. L’umiliazione era troppo cocente da macerare e la ferita troppo fresca per ignorarla.

 

Molto spesso si era ritrovata a invidiare Lavanda, che faceva percorrere le lunghe dita smaltate tra i ciuffi rossi e ribelli di Ron, ridendo. Avrebbe voluto esserci lei al suo posto.

 

E, quando finalmente era riuscita nello scopo, ecco che un nuovo imbarazzo li colpiva.

 

Era simile e dissimile, perché gli occhi abbassati di Ron erano ancora colpevoli e imploranti; ma Hermione non aveva una rivale da battere, e questo aveva infiacchito le sue energie e la sua determinazione. Le sembrava così stupido pensare di riuscire a conquistare di nuovo Ron quanto lui era per sua scelta distante.

 

“Ecco, siamo arrivati. È l’ultima in fondo.”

 

Hermione fissò la fine del corridoio, percorso da guaritrici da chignon disfati e da occhiaie profonde.

 

“Dici che dobbiamo bussare?” chiese incerta sul da farsi. Ron alzò le spalle.

 

Nah, la porta è aperta. Entriamo e–

 

Le parole morirono tra le labbra di Ron, che si limitò a deglutire, teso.

 

Hermione, nella medesima situazione, strabuzzò gli occhi e si irrigidì.

 

Tonks e Remus erano nella stanza. Remus, chino su Tonks, le dava la schiena nascondendo la ragazza con la sua statura. Ma inequivocabilmente era chino su di lei e la stava baciando. Anzi, da quel che si poteva immaginare da quell’angolo, stava muovendo le mani sul petto (o la schiena) della moglie, sussurrandole qualcosa che non compresero che fece ridere rocamente Tonks stesa sul letto sotto di lui.

 

Hermione si dondolò, rossa in viso e tremante: ecco chi invidiava ora.

 

Alzò appena lo sguardo su Ron, che a occhi bassi guardava con interesse il pavimento marmoreo. Ancora gli occhi le si inumidirono.

 

‘Dove è finita la nostra complicità, Ron?’

 

Silenziosamente si voltò e prese a camminare in direzione della sua stanza. Ron le fu accanto in pochi secondi, gesticolando agitato e teso.

 

“Dove vai Hermione? Non dovevamo–

 

“Non mi pareva il caso di disturbarli in un momento intimo.”

 

‘Almeno loro ne hanno.’ Avrebbe voluto aggiungere, pungente, ma si limitò a mordesi il labbro e a continuare a camminare impettita.

 

Ron sospirò.

 

*^*

[Luna di Miele]

 

 

Tonsk rise, accarezzando la guancia ispida di Remus con un dito.

 

“Sai tesoro, presto mi dimetteranno…” gli annunciò, e di risposta le labbra di Remus si posarono sulle sua producendo un suono a schiocco.

 

“Finalmente, così mi godrò il bambino e te. Che interessante quadretto: un Licantropo padre che pulisce il sederino del suo piccolo lupetto.”

 

Tonks rise buttando la testa ricoperta da una chioma color cicca all’indietro.

 

“Oddio Remus, è terrificante detto così!” lo apostrofò con un pizzicotto.

 

Lui assunse un’aria pensosa, massaggiandole la schiena con le mani.

 

“In effetti… non mi delizia molto.” Ridacchiò, baciandole il collo.

 

“Sai che penso io?”

 

“Cosa Nimpha?”

 

“Voglio fare una luna di miele. Con la guerra, l’Ordine e tutto il resto non ci abbiamo nemmeno pensato. Però è sacrilego rinunciare alla Luna di Miele, l’utopia di vita perfetta di ogni coppia di novelli sposini! Un’ingiustizia.” Si lamentò teatralmente.

 

Remus sorrise contro la pelle della ragazza. “Aha, e il bambino dove lo metti in questa tua proposta?”

 

“Uhm…” Tonks si mise l’indice sul labbro, pensando. O meglio, fingendo di pensare. In verità aveva pianificato tutto quello da quando Remus era stato ritrovato vivo (si era sentita così vuota nell’incertezza che lui fosse morto).

 

“E se aspettassimo che il bimbo abbia qualche mese? Poi potremo lasciarlo a mia madre e partire per un piccolo viaggio, corto e poco dispendioso.”

 

Remus pareva perplesso. “Ma non dovresti svolgere i tuoi ruoli materni come ad esempio allattare?”

 

Tonks strinse le labbra. “I medici dicono che non posso allattarlo. Finirebbe per mordermi.” Sentì Remus irrigidirsi e aggiunse colorita: “Quegli schifosi razzisti di merda!”

 

Tonks, ti prego…”

 

“Non ricominciamo Remus: non tollero come la gente ci guarda, mi dà fastidio ma non mi interessa. Amo mio figlio e amo te: e se anche dovremo stare attenti tutta la vita, anche se dovessimo combattere ogni battaglia, io ti prometto che mi impegnerò per vincere: perché vi amo.”

 

Gli occhi di Remus erano luminosi. L’indice del Licantropo accarezzò delicatamente la sua guancia.

 

‘Solo mio padre è stato così dolce con me. E c’è chi non lo considera un uomo.

 

“Ti amo, lo sai Nimpha?”

 

Lei sorrise, birichina. “Adesso basta, stai cominciando a diventare smielato.”

 

Remus alzò le sopracciglia. “Ma tutte le donne non vorrebbero così i loro mariti?”

 

Nimphadora alzò le spalle, alzandosi e catturando le sua labbra.

 

“Voglio un marito selvaggio, io. Altrimenti è una noia mortale.”

 

Remus rise e accettò la bocca irruente che si era incollata alla propria.

 

*^*

[Invito]

 

 

William Weasley tossicchiò nell’ennesimo tentativo di attirare l’attenzione della sgarbata ospite, cugina di sua moglie, che infestava il loro piccolo Cottage da più di tre ore.

 

“Tra quanto, quindi, diventerò zia?”

 

Fleur la fissò con espressione di rimprovero. Julie, Julie, ce n’est pas le cas de déranger mon mari avec toutes ces bavarderies.” [Julie, Julie, non mi sembra il caso di disturbare mio marito con tutte queste ciance.]

 

Tache-toi, ma cousine. Je veux seulement faire part de la famille. [Stai zitta, cugina mia. Io desidero solamente fare parte della famiglia.]

 

Tu n’as jamais voulu faire part de la famille. Tu disais toujours que les Delacours n’étaient que des pales blonds insignifiants. [Tu non hai mai voluto fare parte della famiglia. Dicevi sempre che i Delacours non erano altro che dei biondi pallidi e insignificanti.]

 

Julie abbandonò le braccia lungo i fianchi con uno sbuffo. D’accord. Je ne veux pas faire part de la famille. Mais je me sent seule : John n’est jamais chez lui.[D’accordo, non voglio fare parte della famiglia. Ma mi sento sola: John non è mai a casa.]

 

Fleur canticchiò con aria compiaciuta. Oh, Oh ! Etais-tu, par hasard, qui me disais d’avoir trouvé l’incarnation de l’homme parfait ? [Oh, oh! Non eri tu, per caso, che dicevi di aver trovato l’incarnazione dell’uomo perfetto?]

 

Je ne regrette aucun de mes mots. Ribatté Julie con decisione.  Mais – pour Merlin – John est toujours au bureau. Nous n’avons non plus le temps de nous coucher ensemble ! [Non rinnego nessuna delle mie parole. Ma – per Merlino – John è sempre al lavoro. Non abbiamo neanche il tempo di fare una sveltina!]

 

Que tu es rude !” si lamentò Fleur “Tu n’as jamais appris à te porter comme une véritable mademoiselle.[Come sei rude! Non hai mai imparato a comportarti come una vera signora.]

 

Julie sembrò sul punto di sputare per terra. Je n’y tiens pas absolument. [Non ci tengo per niente.]

  

Julie incrociò le braccia al petto con una smorfia di stizza e Fleur fece altrettanto, mulinando la sua fluente chioma argentata nell’altra direzione. Bill restò interdetto tra le due con un’espressione confusa e una mano che grattava tra gli spigliati capelli rossi.

 

Lo svolazzare di un gufo interruppe la muta ostilità delle due cugine Delacour e Bill tirò un sospiro di sollievo che si spense in un mugugno sorpreso quando riconobbe il maldestro sacco di piume di famiglia Weasley.

 

“Strano” bofonchiò, aprendo la finestra a cui picchiettava il gufo “Erlod è il gufo che spettava a Ginny, chissà cosa mi vorrà dire la mia cara sorellina?”

 

Sfilò la lettera dal becco del gufo che, fatti due passi, capitombolò giù dal davanzale con un sogghigno di Julie.

 

“Complimenti, proprio un bel gufo di famiglia.”

 

Zitta!” inveì Fleur con un’espressione collerica “Non apartiene a Bill. ”

 

Bill aprì la lettera con un misto di angoscia e curiosità; il frontespizio recava la scritta: ‘A William Weasley, da Han Joshuel e Ginevra Weasley.’

 

Staccò il timbro di cera che teneva chiusa la busta e spiegò la lettera con le mani che gli sudavano.

 

William Weasley,

Sei invitato al matrimonio di Han Joshuel e Ginvera Weasley

 

Bill accartocciò istantaneamente la lettera, dilatando le narici e stringendo i denti. Fleur gli carezzò le spalle con una mano delicata, suscitando i conati di disgusto di Julie.

 

“Qualcosa non va, mon cheri?” chiese lei tutta uno zucchero “Brute notizie?”

 

“Atroci” replicò Bill, contraendo i lineamenti della faccia sfregiata “Mia sorella si sposa…”

 

Fleur rimase per un attimo interdetta con la bocca semichiusa, indecisa se congratularsi o meno col marito, il fratello della sposa, come l’avevano addestrata le regole del bon ton.

 

“Si sposa con l’uomo sbagliato” terminò lui con tono duro “E’ colpa nostra Fleur.”

 

Fleur sobbalzò piano, colpita dallo sguardo severo del marito e dalla risatina di Julie alle spalle.

 

“Noi l’abbiamo spinta ad andare a quel ballo e… ecco fatto! Le abbiamo trovato il sostituto di Harry!” disse lui in tono ironico e nervoso.

 

Fleur non osò contraddire il marito anche se in realtà aveva più di un valido argomento per sentirsi completamente estranea a quello che era successo: era tutta colpa di Ginny a parere della francese.

 

“Dobbiamo risolvere la cosa” affermò infine.

 

Gli occhi di Fleur si ridussero a due fessure. “Come? Non è tropo da impiscioni?”

 

“Beh, io sono impiccione e cocciuto di natura” replicò Bill con tenacia “E non accetterò mai che mia sorella si sposi con quell’individuo, dovessi arrivare a schiantare entrambi!”

 

Le guance di Fleur si tinsero di rosso. “Come sei audasce!”

 

Alle loro spalle Julie sbuffò con impazienza. “Merlino li fa, e loro si accoppiano: che bel duetto di spocchiosi.”

 

Dopo essere stata fulminata dagli sguardi di entrambi i coniugi, venne invitata ad abbandonare Shell Cottage da una scocciatissima Fleur.

 

“Vado, vado” mugugnò Julie “E cerca di partorire un bel bambino, ma cousine Fleur. Scommetto tutto l’oro che possiedo che sarà una femmina.”

 

*^*

[Dopo la morte, si torna in famiglia - II]

 

 

Draco socchiuse gli occhi, rigirandosi nelle lenzuola fresche di quel letto sconosciuto. Era nella camera di Samantha e lei dormiva rilassata al suo fianco. Avrebbe dovuto sentirsi comodo e confortato, ma quell’ambiente non faceva altro che ricordargli la sua drammatica posizione:

 

Niente sarà più come prima.

 

La famiglia Malfoy era ufficialmente decaduta: in Inghilterra nessuno avrebbe più avuto rispetto per quel nome. Non erano altro che dei criminali di guerra codardi che aveva schivato la morte per un corrotto intrallazzo burocratico. La gente avrebbe sputato per terra alla nomina di ‘Malfoy’.

 

Draco si strinse nelle lenzuola, con le tempie che gli pulsavano: si sentiva totalmente impotente. Non solo non aveva alzato un dito durante l’ultima fatale battaglia, ma aveva lasciato che i suoi genitori venissero catturati e, cosa peggiore, si era fatto salvare da Samantha.

 

L’inclinazione della famiglia Malfoy era sempre stata quella dell’orgoglio e dell’amor proprio e Draco, in quell’istante, sdraiato sul letto di Samantha mentre lei gli carezzava i capelli, riusciva a provare solo irritazione per la sua miseria.

 

‘Niente, non sono capace di fare niente.’

 

Era una cantilena che non riusciva ad esaurirsi nella sua testa. E la mano delicata di Samantha che scorreva tra i suoi capelli non riusciva a fare altro che aumentare la sua frustrazione.

 

La scostò bruscamente con un colpo secco e sentì Samantha borbottare al suo fianco.

 

“E adesso cosa ti prende? Fai i capricci come un bambino?”

 

Draco le ringhiò contro, sentendosi crescere nel petto una grave irritazione. “Stai zitta, per favore.”

 

Si sentì scuotere da mani violente. “Sei uno schifoso ingrato” bisbigliò Samantha “Ti ho salvato la vita, ho scagionato i tuoi genitori, vi ho portati a casa mia e…”

 

“E tuo fratello ci ha umiliati” terminò Draco con un sibilo.

 

“Suscettibile” soffiò Samantha da un angolo della bocca “Stava solo scherzando, lui è fatto così. E poi cos’è questa storia dell’umiliazione? E’ semplicemente stato spontaneo e…”

 

“No” la interruppe Draco “Non è una cosa da poco: i Malfoy meritano assoluto rispetto. Così mi ha insegnato mio padre e così ci è stato tramandato dai fondatori della nostra famiglia. Per noi il rispetto e l’orgoglio sono vitali: non possiamo vivere senza.”

 

Samantha non si preoccupò di nascondere un sogghigno. “Ma guarda, e io che credevo che mentalità del genere si fossero estinte col Medioevo… Ma che vi importa? Capisco che possa dare fastidio, ma arrivare a dire che l’orgoglio è vitale mi sembra decisamene eccessivo e… patetico.”

 

Draco le ringhiò contro. “Sono patetici quei vermi umili che non sanno fare altro che servire e ricevere comandi, che non difendono l’orgoglio e la reputazione, che non sono capaci di tenere alto il nome di famiglia.”

 

“Non sono capaci di tenere alto il nome di famiglia?” ripeté Samantha con un ghigno “Non è esattamente quello che hai fatto tu durante l’ultima battaglia… o, mi correggo… durante tutta la Seconda Guerra Oscura? Non ti sei limitato a lamentarti perché eri un misero e povero Mangiamorte, perché tuo padre non ti rivolgeva altro che sguardi di sdegno, perché tutto il resto del Covo Oscuro si divertiva a punzecchiarti e a umiliarti?”

 

Draco abbassò il capo e un’ombra oscura gli passò sul viso. “Stai zitta” scandì con le labbra che grondavano veleno “Tu non puoi parlarmi in questo modo, chiaro?”

 

“No” replicò Samantha con altrettanto odio nelle parole “Tu non devi osare rivolgerti a me in questo modo. Tu sei ospite a casa mia, tu mi sei debitore perché ti ho salvato la vita e perché ho liberato i tuoi genitori… tu mi devi tutto: è solo merito mio se ora hai la possibilità di rifarti una vita.”

 

“Ma di quale vita stai parlando?” mugugnò Draco con un sogghigno “Con te, con la tua famiglia, in questo Paese?”

 

Il ghigno di Samantha non cedette. “Certo che sì, perché quale altra scelta hai? Sei stato esiliato dal tuo paese, ti credono persino morto e se dovessi tornare indietro tutto ciò che di maestoso c’era della tua famiglia sarebbe sparito. Hai solo me e questo Paese.

 

Draco si sentì tremare e forse Samantha se ne accorse perché la sua voce si addolcì. “Senti, Draco, ti voglio dare un consiglio: prova ad adattarti, fai uno sforzo e vedrai che forse sarai capace di riprenderti qui… con me.”

 

L’espressione rancorosa di Draco si spense. “Io proverò a fare uno sforzo ma…” la sua voce cadde in un sussurro “… non mi adatterò mai a questo posto.”

 

“Tu provaci” disse lei in tono energico “E vedrai che riuscirai a chiamare questo posto ‘casa’.”

 

Draco ridacchiò nervosamente e Samantha gli afferrò una mano, cullandola. “Un'altra cosa” gli disse con un sorriso e un sopracciglio inarcato “Secondo me sei un vero stupido oltre che un ingrato: tenti di far arrabbiare colei da cui dipende la tua vita?”

 

“Sta’ zitta” ripeté Draco con un tono più indulgente e un mezzo sorriso.

 

“No, davvero” ribatté Samantha in tono ironico “Tu non puoi vivere senza di me, sono come l’aria per i tuoi polmoni.”

 

“Presuntuosa” sibilò Draco tra le labbra piegate in un sogghigno.

 

“Piuttosto” continuò lei con un sorriso malizioso “Sei un ingrato, è vero, ma perché non dovresti trovare la forza per ringraziarmi?”

 

“E cosa doveri fare?” le chiese lui con una falsa espressione disinteressata.

 

Le labbra di Samantha si piegarono in modo giocoso. “L’unica cosa buona che hai fatto durante la Seconda Guerra Oscura.”

 

Draco alzò appena le sopracciglia, tra il divertito e l’offeso. Nonostante fosse un semplice gioco malizioso, lo irritava che Samantha si prendesse questa confidenza con lui, trattandolo come se fosse un bambino, e insieme a lei anche suo fratello.

 

Lui era un Malfoy. E soprattutto non era più un bambino.

 

“L’unica cosa buona?” emise uno strano suono altezzoso. “Non è l’unica cosa che so fare.”

 

Samantha alzò lievemente un sopracciglio, sogghignando. “Allora sorprendimi, Draco.” Lo invitò, incrociando le braccia al petto in attesa di una sua mossa.

 

Draco si avvicinò alla ragazza e intrecciò le dita dietro la sua schiena, premendosela contro. Nonostante ostentasse sicurezza, non aveva la più pallida idea di come risultare originale agli occhi di Samantha. Infondo, era stata lei a fare la prima mossa, lei che lo aveva sedotto. L’esperienza, immaginava Draco, aveva conferito a lei più intraprendenza di quanta già non ne avesse.

 

Lei lo osservava incuriosita e con un sorrisetto birichino. “E ora, Draco?”

 

Avvertì il suo respiro contro la pelle, ma le mani di Samantha non si misero come sempre a vagare sul suo corpo. Era strano, abbracciarla così, senza che lei si muovesse. Lo metteva quasi a disagio.

 

‘non sono certo di cosa nascondiate voi inglesi là sotto’

‘…tipo da donnaccia che vuole rimorchiare.’

 

L’eco delle calunnie di Johnny Drake gli fecero ribollire il sangue per la rabbia.

 

Con un movimento repentino, afferrò il capo coperto dalla folta chioma castana di Samantha con una mano e con l’altra le prese fermamente la schiena, piegandola verso il basso.

 

Samantha squittì sorpresa e liberò le braccia per circondare i fianchi di Draco per mantenersi in equilibrio; non fece in tempo a realizzare, che si ritrovò le labbra sottili del biondo contro le sue, che premevano delicatamente ma con fermezza, muovendosi  appena per invitarla ad aprire le sue.

 

Samantha dischiuse la bocca, lasciando che la calda lingua di Draco vi entrasse, accarezzandole il palato con pigrizia. Le venne da sorridere, pensando a come l’avesse presa di sprovvista con quel casqué improvvisato e quel bacio caldo e ancora incredibilmente dolce.

 

A lei piaceva così, Draco. Sapeva che non era un tipo impulsivo e aggressivo, ma pacato e calcolatore: ed era proprio questa caratteristica che lo rendeva interessante anche in quel frangente, perché era diverso da molti ragazzi, originale e accattivante nella sua voce melliflua e nella sua altezzosa megalomania.

 

Per quanto amasse l’America, il tocco gentile di Draco mentre le accarezzava la pelle sollevando un po’ la maglietta o le sua braccia che la sostenevano come se fosse preziosa, era qualcosa di squisitamente da gentleman inglese: lo adorava da impazzire.

 

Quando lui si staccò dalle sue labbra, Samantha gli si avventò contro, spingendolo sul letto matrimoniale e mettendosi a cavalcioni su di lui.

 

Draco la fissava, spaesato e sorpreso. “Cosa stai facendo?”

 

Samantha sogghignò. “Ripago la bella sorpresa.” Rispose ammiccando, cominciando a slacciare i pantaloni su misura del biondo.

 

“Ah… oh.

 

Draco non riuscì a reprimere un sorrisetto sentendo le mani di Samantha che armeggiavano con il bottone dei pantaloni. “Lascia che ti aiuti.”

 

Samantha sentì i polpastrelli tiepidi di Draco sotto il maglione tentare di sfilarglielo. Lasciò perdere la cerniera e alzò le braccia e lui le tolse l’indumento.

 

Draco osservò il petto di Samantha, il ventre piatto e il seno coperto da un reggiseno elegante, e emise un piccolo gemito, avvicinando il viso al costato e posandovi un piccolo bacio a farfalla.

 

Samantha si morse un labbro, tentando di non sorridere per non dargli soddisfazione, riuscendo a togliergli i pantaloni.

 

“Draco…?”

 

“Uhm?” rispose distrattamente lui, impegnato a baciare millimetro per millimetro la sua pelle.

 

Samantha ridacchiò. “Tenta di non gridare troppo, o Johnny penserà che ti ho violentato.”

 

Draco si accigliò, indispettito dalla nomina dello yankee che era destinato – lo sapeva – a rendergli la vita un inferno. “Non dovrebbe preoccuparlo il contrario?”

 

Samantha inarcò appena la schiena, allontanandosi da Draco per poterlo fissare negli occhi.

 

Nah… in realtà è più preoccupato che io diventi una lesbica, dato che sto con te.”

 

Draco allargò gli occhi. “C-cosa…? Come osa quel…” le labbra di Samantha lo zittirono, premendo impetuose contro le sue.

 

Per il momento, decise di non occuparsi di Johnny Drake, preferendo avvertire le morbide forme della sorella contro il petto.

 

Samantha ricadde indietro con un ultimo gemito, appoggiandosi un braccio sulla fronte sudata. Draco al suo fianco ansimava e tentava di riprendere fiato.

 

Ridacchiò. “Credo che Johnny avrà da commentare domani…”

 

Sentì lo sbuffo alla sua destra. “Quello… sgrezzato… di tuo fratello! Se domani… mi dice ancora qualcosa sulla mia… presunta… omosessualità… io…”

 

Samantha gli schioccò un bacio a stampo sulle labbra, appoggiando il gomito sul materasso provato e osservandolo allegra. “Tu cosa? Mi baci di fronte a lui?” lo sfidò con gli occhi che le brillavano, prendendolo in giro.

 

Le labbra di Draco si arricciarono. “Non mi abbasserò a tanto.”

 

Samantha gli accarezzò una guancia, sorridendo. “Lo so. Tu sei troppo inglese, e poco americano.”

 

Lui le scostò la mano, girandosi su un fianco. “Smettetela con questi vostri spiriti patriottici. Mi danno sui nervi.”

 

“Come vuoi Draco. Buonanotte.”

 

Grugnì in risposta, sentendo lo sguardo omicida di Samantha sulla schiena. Di contrasto, lui sorrise, felice di non averle dato la soddisfazione di  essere sempre al centro della sua attenzione. Doveva ricordarglielo più spesso.

 

Aspettò qualche minuto, poi si rigirò sul fianco opposto.

 

Il suo sguardo vagò per tutta la stanza e si fermò sul viso rilassato di Samantha che gli sorrideva.

 

‘Anche lei farà parte della famiglia?’

 

*^*

[Il Dovere dell’Eroe - II]

 

 

“Harry, pensaci almeno.”

 

La voce del signor Weasley era stanca ma non rassegnata.

 

Ginny ti vuole bene, ma… non riesce a ricordarselo.”

 

Harry lo fissò mentre si mordeva il labbro e la disperazione si faceva strada sul suo volto.

 

“Harry, ti prego. E’ un tuo dovere farglielo ricordare.”

 

Harry socchiuse gli occhi.

 

‘Dovere? Ancora un dovere. Devo sforzarmi ancora per essere felice. Devo sforzarmi ancora per essere un Eroe.

 

Socchiuse la mano e desiderò stringerla a quella di Ginny.

 

‘Non importa. Per Ginny posso diventare un Eroe.

 

Harry chinò il capo con un leggero sorriso confidente e il signor Weasley si sciolse dalla consolazione.

 

*^*

 [Filastrocca Infantile]

 

 

Era una notte assolutamente nera.

 

‘Nero e bianco’.

 

Ginny scrutò i drappeggi candidi nell’oscurità mentre una mano si smarriva tra i capelli corvini di Han. Lui sonnecchiava placidamente come di consueto, sdraiato su un fianco, il lato opposto a quello di Ginny, respirando piano e con il viso rilassato.

 

In quei frangenti assomigliava a Harry e allora Ginny sentiva sorgere un’irresistibile voglia di abbracciarlo. Fece scorrere una mano lungo il suo petto e lo circondò con un delicato abbraccio. Il suo piccolo naso si smarrì nei capelli neri di lui, odorando piano.

 

Quel breve tatto riuscì a fargli socchiudere gli occhi. Ginny si rizzò lentamente mentre quegli occhi verdi la scrutavano e le sue dita rimanevano intrecciate nei capelli corvini del ragazzo. Allora nella sua memoria si riaccese una filastrocca infantile:

 

Occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia

Capelli neri e lucidi come di corvo in volo

Vorrei che fosse mio – quale divina gioia! –

L’eroe che ha sgominato del Mago Oscuro il dolo.

 

Si distese al fianco di Han, premuta contro il suo corpo finché il respiro ritornò regolare. Allora si staccò da lui e scrutò la stanza buia dove riusciva a brillare solo la seta del suo futuro abito nuziale.

 

Le promesse di matrimonio erano ordinatamente impilate sullo scrittoio accanto al letto: un lungo giuramento di amore eterno e sincero tra Ginevra Weasley e Han Joshuel.

 

‘Era una filastrocca infantile.’

*^*

[Il nuovo Ministro della Magia]

 

 

Albert mugugnò, chinandosi sul voluminoso plico di fogli. Fuori cominciò a piovere. Sentì l’acqua scorrere nelle vecchie condutture dell’edificio, avvertì odore di muffa nell’aria.

 

“Signor Ministro” lo chiamò la vocetta innocente di Jeremy Smith.

 

Albert sollevò lo sguardo e lo vide rannicchiato contro lo stipite della porta.

 

Il piccolo Jeremy mosse appena le labbra, gli occhi erano persi nell’oscurità dietro di lui. “Mi dispiace.”

 

Le dita di Albert tremarono mentre fuori dalla finestra un fulmine si scaricava a terra. Il lampo illuminò la stanza e lo scrosciare dell’acqua invase tutto l’edificio. Qualcosa gorgogliò nell’oscurità dietro Jeremy e gli strisciò accanto.

 

Albert rimase immobile, paralizzato da qualcosa che surclassava il terrore. Quella strana cosa liquida gli arrivò alle gambe e si sentì tutto torpido e molle. Poi le sensazioni si persero in una luce bianca e il suo corpo cadde a terra, sciolto e liquido come acqua di sorgente.

 

Jeremy osservò la scena. Il suo viso si illuminò quando la misteriosa creatura prese le sembianze di un uomo, di Albert Gray, il nuovo Ministro della Magia.

 

“Salve, signor Jolly” bisbigliò il bambino.

 

Lui gli sorrise con il volto di Albert. “Salve a te, piccolo Jeremy.”

 

Mosse i suoi primi passi verso la finestra: fuori l’acqua scorreva dal cielo. Ai suoi piedi il vecchio Albert riposava in una pozza d’acqua.

 

Le labbra del nuovo Albert si mossero ancora. “Questa città è quasi distrutta e noi abbiamo il compito di ricostruirla.”

 

Il piccolo Jeremy si alzò da terra e accompagnò Albert al grande specchio dell’ufficio.

 

“Ora sono il nuovo Ministro della Magia: la sostituzione è completa. Ora sarà semplice far risorgere dalle ceneri di Hogwarts una fenice nera ed eterna.”

 

Jeremy annuì con un sorriso innocente.

 

*=*=*=*=*=*=*=*

 

Finale sospetto: l’oscurità sta ritornando! (Risatina isterica dalle autrici) Abbiamo ritardato in po’, ma: è proprio bello lungo questo capitolo!!!

 

Cosa ne pensate di questo capitolo? Vi piace Harry in modalità posseduto (hi, hi, hi…)? Sappiamo che Ginny è un po’ scoppiata in questo tragico incipit, ma presto si riprenderà… o forse no… le autrici devono ancora decidere (risata satanica -.-). Prima cosa: siamo rimaste fulminate da tanti commenti e siamo già a 11 preferiti!!!… le autrici sono in brodo di giuggiole! Quindi: grazie fan-readers!

 

ninny: Ciao! Non sei l’unica a disperarti, anche noi stesse ci stupiamo del nostro odio per questo piccolo intoppo chiamato Han… sono proprio stupidi a volte Harry e Ginny, vero? XD Grazie della Rec! Bye!

HarryEly: Sì, siamo tornate per vostra sfortuna! *risata diabolica* Siamo felici della tua reazione davanti al nuovo capitolo, anche se le più gasate siamo noi! XD Attenta ai problemi di vista che sono causati dallo stare attaccata allo schermo: non vorremo mai che tu perdessi la vista a causa nostra! XD A parte gli scherzi, grazie del sostegno! *_* Bacio!

Saty: Tu, divina recensitrice, luce dei nostri occhi, o adoratissima Saty! *__* Diciamo che siamo noi quelle emozionate dopo aver letto, carburato tutte le cose belle che ci hai detto: mamma, fanno bene all’autostima le tue recensioni! *_* Se ci fossero solo quelle basterebbero per noi! (anche se ad averne di nuove non fa mai male XD) E ci spiace non poter rispondere punto per punto alla tua rec… a parte che si risponde la cosa… che dire? Ogni collegamento, interpretazione è giusta, quegli spunti personali e le tue emozioni ci regalano sempre un sorriso… davvero, sei la nostra musa Saty, un mito! XD Ti ha ancora intristito questo chap? Eddai… siamo solo un po’ bastardelle… XD Pensa che c’è un po’ si Remus/Tonks anche in questo in mezzo a tutto l’ “ambaradan” di faccende tra Harry/Ginny/Han e Ron/Hermione… almeno questo addolcisce un po’ no? ^.^; Un abbraccio forte forte! *_* Ti adoriamo! :3

Derfel Cadarn: Ciao, grazie della rec! XD Speriamo che anche il secondo ti sia piaciuto come il primo e confidiamo nella tua opinione! *_* A presto! Bye!

Nana92: Dai, mettiamoci su e organizziamoci per la morte accidentale di Han-il-Viscido, Kaho ci sta! È la prima ad avere l’arma in mano! XD Samy si occupa del piano, lei delle uccisioni su commissione! XDDD Adoriamo la tua reazione! *_* Aw, che ne dici di questo capitolo? Bello? Brutto? Dicci mi raccomando! *_* Un bacio!

rosy823: Anche noi ci opponiamo! (e allora che lo abbiamo creato a fare Han? XD Ma per farlo soffrire, ovvio! XD) Però sembra proprio che lo sposi… riuscirà Harry a salvare Ginny? Lo scoprirete alla prossima puntata! XDDD Grazie della recensione, sempre molto  gradita! ^^ Bye!

EDVIGE86: Carissima che bello ritrovarti! Starai ancora sudando perché la situazione Ron/Herm non si è ancora sbloccata… *risata sadica* XD Anche Ginny e Harry sono messi male… colpa di quell’antipatico snob di Hans… Ma almeno ci sono Remus e Tonks, vero? X3 Ci siamo messe a ridere leggendo i tuoi incitamenti ad Harry… ci uniamo anche noi… XDDD Un bacio!

maryrobin: Sembrerebbe proprio di sì… ma con noi tutto è possibile! XD Speriamo che ti sia piaciuto questo capitolo! ^^ Grazie della rec! :3

 

Libido al Massimo: Kaho è stata una maestra, Samy si inchina di fronte alla sua somma bravura. Samy ha letto l’accoppiamento (volgarmente detto) Samy/Dra con la bava alla bocca e un sorrisino da ebete sognante che non voleva proprio sparire. Da Samy: Kaho docet! Ego te laudo!

 

Ecco che Draco ha fatto la piacevole conoscenza della famiglia di Samantha e soprattutto di suo fratello ^_^ Kaho e Samy scalpitano all’idea di descrivere uno yankee che tiranneggia il nostro povero Draco, o amico Dra *_*

Tra parentesi: abbiamo commesso uno spoiler! ^ò^ Uno spoiler non proprio enorme, ma sempre spoiler è stato… attenzione!!!, perché di seguito riveleremo un indizio cruciale (ovviamente è tutta ironia ^_^) di Harry Potter and the Deathly Hallows: il simbolo della famiglia Malfoy è un pavone bianco [white peacock]!!! Samy vi dà il permesso di ridere, di sogghignare o di rimanere indifferenti: lei ha riso parecchio! La Rowling c’ha proprio azzeccato nella scelta di questo animale e Samy è anche un po’ consolata: a partire dal quarto libro temeva che il glorioso stemma dei Malfoy fosse un furetto bianco! Il colore c’è e il pavone è azzeccato all’ennesima potenza! Grazie mamma Row.

 

Curiosità: il Quodpot esiste veramente… o meglio, nel mondo della Rownling esiste veramente. E’ una versione americanizzata del Quidditch con le seguenti differenze: 11 giocatori a testa e una palla in più chiamata ‘quod’ che esplode dopo un certo periodo di tempo; scopo del gioco è insaccare la ‘quod’ dentro un calderone-canestro, il ‘pot’, che contiene una pozione in grado di arrestare l’esplosione. Brava mamma Row, hai proprio tanta fantasia ^_-

 

Siamo a: 2/15 capitoli.

 

Next: “Take It Easy!” (Ci sbrigheremo, anche se questa canzone evoca nella mente di Samy divani e cantucci di riposo ^_^ ndSamyKaho)

 

Dunque alla prossima. Buon Natale!!! Magari ci sentiremo l’anno prossimo. Chi può dirlo… Tra feste su feste c’è sempre il tempo per scrivere la nostra affezionatissima fic per i nostri affezionatissimi (si spera ^_^) lettori! Già che ci siamo vi auguriamo Buon Capodanno! A presto!!!

 

[N.B.: Pregate perché Kaho sopravviva alla festa di capodanno]

 

Samy & Kaho

 

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Capitolo 3
*** Take It Easy! ***


 

 

03. Take It Easy!

 

 

“Davvero, Harry?! E Marshall che faccia ha fatto?”

 

Harry sorrise interiormente all’espressione paradisiaca che presentava Ron.

 

“Ron, non ci interessa questo” lo rimproverò Hermione, tuttavia Harry notò qualcosa di insolitamente timido nella sua voce “Harry” si rivolse a lui più estroversa “Sono convinta che sia stata la scelta giusta.”

 

“Beh, questo è ovvio” commentò Ron, anche lui misteriosamente intimidito dal volto di Hermione “Se viene dal Ministero, la proposta va sempre rifiutata.”

 

“Non saprei” mormorò Harry “Questa volta sembrava che avessero davvero bisogno del mio aiuto. E io ho rifiutato.”

 

Hermione, ignorando il braccio bendato, scattò verso Harry con un’espressione risoluta e orgogliosa. “Hai fatto benissimo, Harry. Questo nuovo Ministero, così come quello di Scrimgeour, non vuol far altro che sfruttare la tua fama per guadagnarsi una bella e falsa immagine. Sono solo degli uomini sprezzanti e cinici.”

 

Harry sospirò piano. “Ma sono loro che dovranno guidarci ora che la guerra è finita.”

 

Hermione abbassò il capo; un’ombra opprimente le passò sul viso. “Lo so, ma non abbiamo altro.”

 

“Marshall?” sillabò Ron, sbattendo pesantemente le palpebre “Quel tipo ricopre ancora una carica importante dopo il casino che ha fatto a Hogwarts?”

 

“E’ il vice del Ministro in persona” replicò Hermione, sprezzante “Nemmeno alla fine di una guerra ti degni di leggere il bollettino della Gazzetta, vero Ron?”

 

“La Gazzetta del Profeta è manipolata dal Ministero” sentenziò Ron, altrettanto aspro “Al massimo mi leggo il Cavillo.”

 

Harry si sentì improvvisamente scomodo. Conosceva quella sensazione e i volti ostili di Hermione e Ron confermarono la sua opinione: terzo incomodo.

 

“Smettetela, almeno voi” sbuffò contro i due amici.

 

La smorfia di Ron si storse ampiamente. “Ma sentitelo! Proprio tu che hai combinato quel disastro con mia sorella non dovresti parlare. Ora si sposerà quel Babbano odioso.”

 

“Ron!” esclamò Hermione, esasperata “La tua delicatezza è sempre quella di un Troll in calore?”

 

Ron agitò la testa, pronto a riversare su Hermione una replica bella piccate, ma il suo sguardo si soffermò sulla benda che le avvolgeva il braccio.

 

“Probabilmente” si limitò a sospirare, scocciato.

 

Hermione sembrava sul punto di sfoderare la bacchetta, ma decise di optare per una soluzione pacifica e si lasciò Ron alle spalle che ribolliva di una frustrazione fredda.

 

Harry rimase stizzito al fianco di Ron, ancora troppo indispettito per tentare di consolarlo.

 

Ron si grattò il capo, con un pesante sospiro. “E così, la guerra sarebbe finita?”

 

Harry storse la bocca. “Già.”

 

*^*

[La Seconda Umiliazione: Il Rituale del The]

 

 

Draco si svegliò di soprassalto, sobbalzando al primo e potente sbuffo di una cornamusa. Agitò gli occhi per la stanza, sentendosi smarrito, mentre la litania malamente intonata dalla cornamusa riempiva la stanza di possenti suoni scoordinati.

 

Il lamento acuto e strimpellante della cornamusa cessò. Draco si trovò a fissare nei più perplessi dei modi il fratello di Samantha. Johnny Drake era parato al fianco del letto, proprio sul lato di Draco, e reggeva tra le forti mani una sacca di tessuto rustico con decorazioni a quadretti rossi e verdi indubbiamente scozzesi.

 

Johnny riemerse dalla cornamusa con una profonda e appagante boccata d’aria. Tossendo un paio di volte, si rivolse all’assonnato Draco con voce afona e strozzata. “Fuck off, ora capisco perché gli Scozzesi hanno quell’accento da raucedine.”

 

Draco boccheggiò con evidente inquietudine, faticando anch’egli a trovare la voce adatta. “Cosa? Che stai facendo?”

 

Johnny sembrò notare solo in quell’istante la presenza di un Draco sveglio e cosciente. Gli rivolse un sorriso tanto incoraggiante e radioso che riuscì a squarciare il buio della stanza; il giovane Malfoy fu scosso da brividi indescrivibili.

 

“Vieni con me, Dra’. E’ importante, molto importante. C’mon!

 

“Samantha…?” Draco cercò nel buio lo sguardo di Samantha. Lei era rivolta su un fianco, dalla parte opposta rispetto alla sua. Sonnecchiando, mugugnò senza troppo impegno e interesse:

 

“Vai, credo che abbia una buona ragione se ti ha svegliato in piena notte.”

 

“Esatto!” eruppe Johnny con approvazione, la voce magicamente ritornata energica e potente “Ci restano pochi minuti, credimi, Dra’, lo faccio per te.”

 

Se pur incattivito dal fastidioso nomignolo che il fratello di Samantha gli aveva affibbiato, Draco scese dal letto con uno sbuffo. Contemplando Johnny con la calma scocciata di un genitore intollerante, si domandò se tutta quell’euforia sarebbe volta a suo vantaggio.

 

Tuttavia l’origine del massiccio strumento a fiato che l’americano portava a penzoloni dal collo robusto lo mise in allarme: gli era parso evidente il profondo sentimento patriottico radicato nella famiglia Drake, che sembrava prevedere un rifiuto sistematico delle regole nobiliari della madrepatria. Una cornamusa, notoriamente di origine scozzese, era quindi un campanello d’allarme, che poteva simboleggiare una grottesca caricatura dello sprezzo del giovane Drake verso gli inglesi; forse c’era una qualche sordida umiliazione in serbo per lui.

 

Per questo Draco esitò, nonostante il pressante sollecito di Johnny che lo stava invitando senza troppa finezza a scendere in cucina con lui.

 

Johnny, tutto scalpitante dall’impazienza, roteava la cornamusa per esprimere la sua premura. “C’mon, c’mon!”

 

Alla fine Draco si arrese alle sue insistenze, pensando che, in fin dei conti, quello sarebbe stato il metodo migliore per far cessare tutto quel baccano. Lanciò un’occhiata a Samantha, sperando di cogliere in lei un segno di avvertimento che lo avrebbero invitato a restare con lei piuttosto che seguire l’invasato fratello.

 

“Non c’è nessun problema se vado con tuo fratello?”

 

Samantha si agitò appena sotto le lenzuola, mormorando delle fugaci sillabe sbadiglianti: “No… no…”

 

Di malincuore, Draco si lasciò trascinare da Johnny lungo le scale. Il giovane Drake fissava con insistenza l’orologio a polso, mormorando delle parole di cui Draco riuscì solo a cogliere: ‘fuso orario’, ‘rituale’, ‘the’.

 

Draco ebbe un discreto singulto. Un ‘rituale’ era proprio ciò che aveva sperato di aver abbandonato nella tradizionale e mistica Gran Bretagna con la fuga nella modernissima e tecnologica America… almeno così l’aveva definita il padre di Samantha nelle sue interminabili lodi patriottiche.

 

Quando, nel buio della casa, l’ennesimo ostacolo gli urtò contro le caviglie, Draco fece frenare temporaneamente l’impeto di Johnny. Estrasse la bacchetta che aveva coscientemente infilato nella tasca del pigiama nel caso in cui i propositi del giovane Drake si fossero rivelati dannosi. Eseguì un rapido incantesimo ‘Lumos’ squarciando brevemente il buio della casa.

 

Nessuna delle parole mormorate fu tanto inquietante quanto quello che vide steso sul lucido pavimento della cucina, fino a quel pomeriggio completamente sgombro: un tappeto, anch’esso di evidente fattura scozzese.

 

Varie ed allarmanti ipotesi corsero per la mente di Draco, che si scoprì essere particolarmente fantasiosa e macabra in situazioni di incertezza pericolosa come quella.

 

Johnny non tardò a svelare lo scopo della presenza di quel tappeto ed anche il mistero che aveva attorniato l’esistenza di Draco dal momento del risveglio con la cornamusa:

 

“Ho preparato il rituale del the!”

 

Draco riuscì solo ad accennare col capo, vagamente conscio del punto d’approdo del discorso di Johnny.

 

Il giovane Drake, con un gran sorriso in risposta all’accenno di Draco, tirò fuori da un nascondiglio imprecisato un enorme pacco perfettamente cubico. Squarciò abilmente la carta che lo ricopriva e Draco poté coglierne il contenuto alla soffusa luce della propria bacchetta: un ammasso di scatole che sfumavano dal verde al grigio e, talvolta al giallo, indicando una variazione di gusto… già, la variazione di gusto di un particolare the. Su ognuna delle scatole era regalmente incorniciata la scritta “Earl Grey”, sottostante ad una medaglietta che recava il ritratto antico di un nobile gentiluomo inglese con parrucca, naso arricciato e mento all’insù.

 

“Non sapevo quale gusto ti piacesse” dichiarò gaiamente Johnny Drake “E così ho fatto una scorta per tutti i gusti. Guarda: the al limone, the verde, the alla malta, the alle fave, the rosso, il più classico e ben accetto the Whittington…”

 

Draco smise di ascoltare la sfilza di nomi quando si rese conto dell’effettiva situazione in cui si trovava: il fratello di Samantha era un pazzo e avrebbe dovuto condividere la casa con un pazzo che stereotipava ignobilmente gli inglesi.

 

“E ci sono anche i contorni, l’indispensabile per insaporire il the!” esclamò euforico Johnny. Agitò la mano con vigore per indicare la tavola vicina, elargendo un’ampia dose di biscottini, latte, miele, fette di limone, zucchero e quanto di immaginabile si potesse accompagnare ad una tazza di the.

 

“So come siete voi inglesi, che amate alla follia il the e la vostra famiglia reale.”

 

La situazione era ben più grottesca di quanto Draco aveva preveduto.

 

“Ma non c’è problema per me. Se a Samantha piaci, potrò sopprimere il mio profondo sentimento di libertà democratica e, anzi, aiutarti nei tuoi rituali britannici.”

 

Johnny rivolse un’occhiata complice prima a Draco e poi al tappeto.

 

In effetti, Draco aveva trascurato la presenza del tappeto; cosa poteva averci a che fare con il ‘rituale del the’?

 

“Calcolando il fuso orario sono quasi le cinque in Inghilterra.”

 

Draco sobbalzò quando vide l’americano estrarre dalla tasca del pigiama una bussola. Johnny contemplò con interesse e concentrazione il piccolo oggetto di orientamento che teneva sulla mano aperta: l’ago della bussola roteò segnando infine, stabile e precisa, il nord.

 

Johnny puntò un dito, saldo e deciso, verso l’oriente.

 

“Là si trova Buckingam Palace, residenza dei reali: a Est, in Inghilterra.”

 

L’udito di Draco raccolse le informazioni senza però riuscire a svilupparle o, perlomeno, a trovare un legame logico che facesse rientrare la bussola, il the e il tappeto in un unico contesto coerente che, a parere di Johnny, doveva essere il ‘rituale del the’.

 

C’mon, scegli il gusto di the che preferisci e sistemati sul tappeto, ho studiato a fondo per comprendere a pieno il rituale del the: al rintocco delle cinque pomeridiane del Big Ben ogni nobiluomo inglese è tenuto ad inginocchiarsi su un tappeto di fattura celtica e, pregando in direzione di Buckingam Palace, sorseggiare il suo the favorito. Ho creduto che la tua fosse una famiglia nobile e facoltosa così mi sono preparato a dovere; ho persino calcolato il fuso orario tra qui e l’Inghilterra per essere certo di svegliarti all’ora esatta.”

 

Draco pensò che Johnny si aspettasse un aperto ringraziamento da parte sua, sospetto che aumentò quando il sorriso smagliante del giovane Drake si spense un poco senza aver ricevuto alcun complimento.

 

“Ho sbagliato qualcosa?”

 

Draco trattenne a stento un urlo. “Direi di sì” si limitò a sibilare.

 

Johnny parve molto deluso: “Cosa?”

 

“Tu” rispose Draco con una semplicità estrema “Credo ci sia qualcosa di profondamente sbagliato dentro di te.”

 

Draco fece dietrofront senza curarsi minimamente della reazione di Johnny.

 

“Sei tu l’esperto di rituale del the, Dra’” gli giunse la voce di Johnny alle spalle che non mostrava alcun risentimento o turbamento, solo un leggero consenso, probabilmente rivolto alle sue alte conoscenze di ‘rituali del the’ in qualità di purosangue inglese.

 

Draco si sentì fremere come non mai, umiliato in un modo tanto buffo e derisorio da lasciarlo a corto di parole.

 

‘Meglio vagabondare per strada che condividere la casa con un simile pazzo.’

 

*^*

[Zaccaria… Carl Joshuel]

 

“Il fantasma di Han è la larva dei miei tormenti, un’apparizione spettrale nel mio ventre: mio figlio.”

[Ginny Weasley]

 

 

 “Zaccaria è un nome dignitoso: Zaccaria Joshuel. Che ne dici, Ginny cara?”

 

Lo squittio acuto della madre di Han era il suo autentico tormento. Era quel puro suono fastidioso che le risvegliava dalle viscere un odio innato che non credeva di possedere. Era il verso premonitore di un fantasma, figlio del futuro marito che non amava.

 

“Sono certa che sarai una madre stupenda, Ginny cara.”

 

L’abito bianco, la sua camicia di forza, riposava su un piedistallo di lucido legno in attesa del fatidico giorno del matrimonio, il giorno dell’internamento. Ma alla signora Joshuel non bastava segregare Ginny in quella sola e frustrante prospettiva, desiderava strappare più umiliazione dalla mente avvilita della giovane donna.

 

“Sono certa che mi donerai un felice avvenire come nonna, Ginny cara.”

 

Ginny trattenne un singhiozzo e sentì uno strillo esasperato che si consumava nella sua fantasia. Stava proprio impazzendo, timidamente e nella segretezza dei suoi pensieri, ma si sentiva corrodere da un odio folle.

 

 “Ovviamente sarà un maschietto, è sempre stato così nella famiglia Joshuel.”

 

Era pazza perché continuava ad ascoltare la voce screziata della futura suocera con un sorriso tenero ed accondiscendente. Qualunque residuo della sua forza di volontà si era estinto quella mattina, quando Han si era risvegliato da un profondo sonno rilassato mentre Ginny aveva trascorso la notte tormentandosi al suo fianco, strizzando gli occhi per sfumare i contorni del suo viso, per renderli più simili al volto di un altro uomo.

 

“Ginny” le aveva sussurrato con un imperiosità schiacciante “Appena ci sposeremo gradirei di ricevere una sorta di collaborazione da parte tua.”

 

Lei aveva sentito un acido vomitevole che le arrivava alla gola, ma le sue labbra sembravano dimentiche del disgusto, catturate solo da un perpetuo sorriso accondiscendente.

 

Han aveva stretto i suoi occhi verdi, così simili a quelli di un altro uomo, più sottili, più acuti e più invadenti. “Vorrei un erede al più presto.”

 

Le sue viscere si erano contorte, il suo ventre si era ribellato, il suo intero corpo strillava all’idea di essere invaso dal fantasma di Han, suo figlio, loro figlio.

 

Ma qualcosa di valoroso si era inevitabilmente rotto quando lei aveva fissato il fondo smeraldino degli occhi di lui.

 

“D’accordo, Han.”

 

Un bambino rappresentava il legame perpetuo alla sua pazzia. Sarebbe stato incredibilmente disgustoso perché era il figlio di Han e Ginny non sarebbe mai riuscita ad evitare un insano affetto materno. Stava per nascere il folle amore per il fantasma di Han, un maschietto con i suoi stessi occhi verdi e profondi, coi suoi capelli corvini, che non avrebbe avuto niente di Ginny ma che l’avrebbe posseduta fin dalla nascita perché così esigeva la natura, perché lei sarebbe stata la madre affettuosa e pazza d’amore, un amore senza felicità.

 

“Ma, devo ammetterlo, cara Ginny, anche Carl Joshuel non mi dispiace. Così sarà quasi simile al mio prezioso Han.”

 

Il disgusto crebbe fino a vette impareggiabili, ma il sorriso non cedette, non sarebbe mai caduto nella falsità ipocrita del suo personale manicomio, casa Joshuel.

 

“E’ davvero stupendo tutto ciò, cara Ginny. La prospettiva di diventare madre.”

 

La gola di Ginny si serrò mentre implorava la sua mano di non accarezzare il ventre. No, non era ancora incinta. Un tempo aveva desiderato i teneri colpi di una creaturina che si agitava nel suo ventre. Ma non voleva un mostro, il fantasma di Joshuel. L’avrebbe disgustata anche se alla fine l’avrebbe amato, come le aveva confessato sua madre.

 

[*]

 

Ron era riuscito a rotolare per due rampe di scale, invocando la grazia di Merlino perché la Tana aveva un singolo piano.

 

“Ron” sbuffò Molly, strattonandolo per un braccio perché si alzasse. Alle sue spalle Ginny, esaurita la preoccupazione, tentava solo di trattenere una risata.

 

“Non c’è niente di comico” si difese Ron con convinzione “Le scale per il soppalco sono incredibilmente ripide: sfido chiunque a salire di corsa.”

 

Due lampi dai capelli rossi gli erano sfrecciati alle spalle.

 

“Sfida accettate e vinta Ron!”proclamò il coro dei gemelli Weasley.

 

Ron fissò in cagnesco Fred che saltellava con agilità sull’ultimo gradino della rampa “Continua così e cadrai come un sacco di patate.”

 

George aveva liberato una risata tonante, improvvisando una danza tribale a braccetto col gemello sul tratto più ripido della scalinata. “No, fratellino, l’onore di rotolare come un sacco di patate è riservato solo alla tua persona.”

 

Ron sbuffò come una potente teiera. “Voi, brutti…!”

 

“Ron” gridò la signora Weasley, prevenendo un pesante insulto “Guai a te o ti dovrò lavare la bocca!”

 

“Vai così, mamma!” si complimentò Fred con un cenno di vittoria all’indirizzo di Molly “E già che ci sei dai una ripassatina al cervello!”

 

“Vero, Fred” concordò George con la solita solidarietà fraterna “Forse così si risveglierà il suo senso dell’equilibrio.”

 

Dai due gemelli era partita una serie di ululati.

 

Il viso di Ron raggiunse incredibili tonalità purpuree. “Finitela!”

 

“No, finitela tutti quanti!” gridò Molly con il vigore di un comandante “Fred, George, smettetela di saltellare o cadrete veramente. E tu Ron, smettila di… di cadere” lo rimproverò Molly con una parvenza di rimorso alla fine.

 

I gemelli ulularono dal ridere mentre scendevano le scale. “Grande mamma!”

 

Il capo di Ron cadde in avanti, schiacciato dall’umiliazione.

 

“Ron” cominciò Molly “Dai, non fare l’offeso…”

 

Ma Ron era già corso su per le scale, rischiando di inciampare un decina di volte, ignorando sempre le ginocchiate che riceveva ad ogni spigolo.

 

Molly rimase in silenzio, liberando infine un sospiro.

 

“Vieni, Ginny, ti insegno quell’incantesimo per essere più precisa nei rammendi.”

 

“Mamma… e Ron?” le chiese con leggera apprensione.

 

“Oh, lascialo perdere… si ostina sempre a fare un broncio inutile.”

 

Ginny rimase in silenzio. Anche se qualcosa la sospingeva in difesa del fratello, si limitò ad esigere un chiarimento.

 

“Mamma… Ron, per caso… lui ti delude?” chiese Ginny, avvertendo un pesante imbarazzo alla fine. Delle volte, osservando con distaccata lontananza le cadute e i fallimenti di suo fratello si era chiesta quanto valesse l’affetto e la stima dei genitori verso il loro ultimo maschietto.

 

“Oh, no!” si difese subito Molly con una convinzione schiacciante “Lui non mi delude, è mio figlio! Solo, delle volte, mi sorprende, ecco tutto. Né io né tuo padre eravamo così impacciati, ma… suppongo faccia parte della crescita, poi diventerà un ragazzo forte e sicuro come i suoi fratelli.”

 

Ginny si compiacque del sorriso fiducioso di sua madre. “E’ che lo rimproveri molto…”

 

Molly si era soffermata nell’osservare il sorriso della figlia che dava cenni di volersi piegare in una smorfia triste. “Sei proprio una brava sorella minore, Ginny. Ma non devi preoccuparti troppo per tuo fratello, i colpi li sa incassare bene.”

 

Ginny sorrise con un po’ d’impaccio. Dopo aver visto l’espressione cupa di Ron che arrancava sulle scale per sfuggire al volto severo della madre, non le era parso che suo fratello possedesse una grande capacità di sopportazione. Ma sua madre sembrava così fiduciosa che non osò ribattere.

 

“D’accordo, mamma.”

 

“Sai, Ginny” accennò Molly dopo aver osservato a lungo la figlia “Credo che tu abbia un forte istinto materno.”

 

La fantasia di Ginny aveva cominciato a vorticare all’impazzata, confusa dalla sorpresa: lei una madre? Lei una buona madre? Ora riusciva solo ad immaginarsi come figlia e come sorella minore, come la piccola di famiglia Weasley che tutti accudivano e veneravano. Lei era la bambina che riceveva affetto e attenzioni in passivo e non credeva di avere una grande inclinazione per donare affetto in attivo. E poi ad un bambino…

 

Per un po’ si cullò nell’idea di stringere tra le braccia una sua versione più piccola e tenera, ma la abbandonò quasi subito con un senso di estraneità. In fondo aveva solo undici anni appena compiuti.

 

“Non so, mamma” si limitò a rispondere.

 

“Io credo di sì, invece” replicò Molly con sicurezza “Sei una bambina responsabile, energica e che sa quando è il caso di smettere di giocare pensante, e poi ti affezioni a tutti con molta facilità. Immagino che quando si tratterà di una famiglia tua ti verrà naturale il ruolo della brava mogliettina amorevole.”

 

Ginny si sentì avvampare un po’, soprattutto perché il volto del marito nelle sue fantasie aveva già preso consistenza: Harry Potter, il miglior amico di Ron. Immaginava che ormai fosse palese il suo affetto per lui dato che non aveva fatto altro che parlare del Bambino che Sopravvisse per tutta l’estate trascorsa, sottoponendo Ron ad infiniti interrogatori nei riguardi del nuovo e famoso migliore amico.

 

In quell’istante, l’idea di una famiglia con lui divenne talmente gradevole ed invitante che la sua immaginazione prese a fare le capriole, aggiungendo fronzoli alle sue fantasie e, per la prima volta nella vita, sperimentò la piacevole sensazione di farfalle che le svolazzavano incontrollabili nello stomaco.

 

Suo padre eruppe all’improvviso vicino alla rampa di scale con un viso allarmato.

 

“Molly, sai che non è mia abitudine origliare, ma credo di aver colto la fine di un discorso sospetto. Non starai incoraggiando la nostra piccola Ginny a cercarsi un fidanzatino, vero?”

 

“Oh dai, Arthur” sbuffò Molly “Possibile che tutte quelle retate ti abbiano reso così sospettoso?”

 

“Non criticare il mio lavoro” disse suo padre con un’intenzione più di notifica che di rimprovero “E’ importante ispezionare case sospette, soprattutto in questo frangente, dopo quello che Ron ci ha raccontato. Giusto domani aspetto il via libera per l’ispezione a Malfoy Manor.”

 

Un sorriso di trionfo fece illuminare il volto di Arthur.

 

“Arthur” si lagnò Molly “E’ solo che sei sempre così impegnato.”

 

L’espressione di suo padre si blandì. “E’ vero, ho molto lavoro extra da svolgere, ma ne vado fiero, sento di aiutare la giusta causa.”

 

“Arthur” sospirò sua madre con un tenero sguardo d’intesa al marito. “Sempre così altruista.”

 

Suo padre ricambiò quello sguardo complice.“Ma tengo molto anche alla mia famiglia.”

 

I due si avvicinarono per scambiarsi un breve abbraccio. Ginny rimase a fissarli con un accenno di gioia.

 

Desiderava anche lei quello che avevano i suoi genitori. Una casa piccola ed accogliente come la Tana, un consorte da amare, dei figli da accudire. Sì, voleva una famiglia, un marito e anche dei figli, o almeno lo sperava. E, ripensando al capitombolo di Ron, si disse che non le sarebbe importato nulla dei difetti del figlio, le sarebbe bastato solo un bambino che le ricordasse il marito che amava.

 

[*]

 

E dunque non avrebbe dovuto amare la creatura che sua suocera si ostinava a voler chiamare ‘Carl Joshuel’. Eppure, anche se il suo ventre era ancora completamente vuoto, già il suono del nome del piccolo innato, benché le ricordasse un futuro marito che certamente non amava, era riuscito a svegliare il suo istinto materno latente.

 

Sua madre aveva ragione. Lei sarebbe stata una madre affettuosa, avrebbe amato a qualunque costo suo figlio, anche se avrebbe avuto i possessivi occhi verdi di Han.

 

*^*

[La Dittatura a casa Tonks]

 

“La nomina di un dittatore ha luogo solo in circostanze particolarmente delicate o pericolose [la gravidanza di una donna Tonks], in cui è necessario che una sola persona prenda le decisioni con autorità assoluta [le donne Tonks], detronizzando pienamente il potere del padre di famiglia [il maschio alfa Tonks].”

[Ted Tonks]

 

 

Remus entrò a fatica in casa Tonks, caricandosi sulle spalle bagagli di vestiti, un braccio che trascinava la sua valigia sconquassate di miseri averi e l’altro che stringeva con cautela la vita e parte del ventre rigonfio della sua adorata mogliettina.

 

Ted Tonks squadrò il genero con un forte cenno di ammirazione, la forchetta carica di porridge ficcata nella bocca mentre lui sembrava deciso a non staccarsi dalla colazione.

 

“Papà” lo salutò Ninfadora con un sorriso raggiante e gli occhi scintillanti sotto la luminosa frangetta dorata.

 

“Signor Tonks” mugugnò Remus a fatica, tentando di richiudere la porta di casa con un piede vagante.

 

Ted rispose ad entrambi con un riverito inchino del capo, soprattutto rivolto alle gesta intraprendenti del genero.

 

“Caro!”

 

Sentì la blanda voce di rimprovero della moglie Andromeda, ma anche quel leggero tono di ammenda riusciva a farlo scattare sull’attenti.

 

“Dimmi tutto cara.”

 

“Caro” sospirò Andromeda uscendo dalla cucina e strofinandosi le mani in un elegante grembiule di pizzo “Non potresti aiutare Remus?”

 

Ted si rivolse al genero che tentava di accompagnare una raggiante Ninfadora sul divano del salotto e contemporaneamente poggiare valige e bagagli in un qualche luogo della stanza dove non risultassero invadenti.

 

“Mi pare che se la stia cavando bene” si compiacque Ted “E poi voglio osservare i progressi di mio genero, giusto per vedere se è in grado di prendersi cura della mia Dora…”

 

“Lo sai che è così” lo rimproverò ancora Andromeda “Remus è un ottimo marito: gentile, cortese, disponibile…”

 

Ted colse l’allusione di sua moglie assottigliando gli occhi. “Capisco, Dromeda. Gli darò una mano.”

 

“Non occorre, signor Tonks” disse Remus, sistemando i bagagli in un angolo mentre baciava la guancia della mogliettina “Ho terminato tutto il lavoro pesante.”

 

I capelli di Ninfadora virarono dal dorato al rosso incandescente. “Pesante?”

 

La testa di Remus schizzò di lato, ignorando deliberatamente lo sguardo truce della moglie. “Le valige, i bagagli…”

 

“Bene” sorrise NInfadora, accomodandosi meglio sul divano “Puoi andare.”

 

Remus si ritirò con un vago retrogusto di frustrazione: aveva la scomoda sensazione di essere diventato il cameriere personale di Ninfadora dopo il congedo col primario del San Mugno che gli aveva raccomandato di ‘prendersi molta cura della moglie’.

 

Si avvicinò ai suoceri col consueto sorriso cortese. “Buona mattina, signori Tonks.”

 

“Buona mattina a te, Remus” gli rispose Andromeda tutta uno zucchero.

 

Ted scambiò delle occhiate sospette prima al volto stanco di Remus, poi al placido sorriso sornione della figlia stesa sul divano, al viso cortese e luminoso della moglie, infine si fissò allo specchio e riconobbe il volto di un uomo spossato.

 

“Vieni con me, Remus” afferrò il braccio del genero che si lasciò trascinare verso la cucina con una sorta di sorpresa e sollievo.

 

“Terribile questa situazione, non è vero?” gli confessò Ted, una volta al riparo dagli occhi e dalle orecchie della moglie e della figlia “Nascosto dietro a quei sorrisi si nasconde il ghigno imperioso di un generale supremo.”

 

Remus si sentì leggermente imbarazzato anche se una parte di lui lo sospingeva a concordare pienamente col suocero. “Beh, immagino che sia la condizione di Ninfadora che la rende così…”

 

Lasciò sorvolare la frase, indeciso su cosa aggiungere. Ted accennò vigorosamente con il capo. “Sì, è proprio così: un sorriso ambiguo.”

 

“Insomma, signor Tonks” proseguì Remus, avvertendo il forte impulso di grattarsi il capo “Non intendo criticare il carattere di sua figlia, no davvero…”

 

Una mano dalla stretta paterna si posò sulla spalla di Remus, mozzando di netto le sue parole. “Non c’è problema, Remus, so cosa provi. E poi ti ho detto di chiamarmi ‘Ted’”

 

Remus scosse appena il capo, leggermente impicciato. “Beh, ecco… Ted, Ninfadora, in fondo, non è cambiata molto.”

 

In realtà non era così. Negli ultimi tempi, Ninfadora cominciava a farsi trasportare un po’ troppo dall’emozione e, oltre agli slanci di piacevole affettuosità coniugale, delle volte soffriva di scatti improvvisi che Remus si era deciso ad identificare come attacchi isterici ormonali.

 

“Prima o poi cambierà” profetizzò Ted con convinzione “Anche sua madre ha fatto così prima di lei. Era tutta uno zucchero, così dolce e sensibile… ma poi è rimasta incinta… sì, lo so, è stata colpa mia e forse al tempo non avevo l’atteggiamento giusto per fare il padre, ma, il succo del discorso è questo: loro cambiano lentamente durante i nove fatidici mesi. E ora credo che Andromeda soffra di gravidanza solidale perché ha preso a comportarsi esattamente come prima della nascita di Dora. Sta attento, Remus, possono diventare violente.”

 

Remus vagò con lo sguardo sul volto concentrato del suocero, ingoiando a vuoto quando vi intravide un forte cenno di serietà. “Ted, la ringrazio, lo terrò a mente.”

 

“Bene” si compiacque Ted, rimanendo serio “Ma ti avverto ancora: il mio è stato solo un consiglio in funzione preventiva perché non si può fare nulla perché quello accada, chiaro?”

 

“Terrò a mente anche questo” accennò Remus, cominciando a sentirsi preso dall’ansia del suocero “Quindi non si può fare niente?”

 

“Solo starle vicino e sopportarla” sbuffò Ted “E’ un lavoro duro ma noi siamo uomini e possiamo farcela con la nostra imperiosa autorità. Anche se delle volte ho la netta sensazione che siano le donne a governare questo secolo.”

 

Remus si sentì invadere da un grande senso di fratellanza. “Puoi dirlo forte, Ted.”

 

*

 

“Cosa si staranno dicendo, mamma?”

 

“Non lo so, cara… probabilmente i soliti commenti maliziosi da uomini.”

 

Andromeda si accomodò accanto alla figlia e le fissò il ventre.

 

“Come va, cara?” le chiese con apprensione.

 

“Piuttosto bene e Remus è un ottimo compagno.”

 

“Già, me ne ricordo anch’io, cara” disse Andromeda, strofinandosi il mento “Tuo padre è diventato di colpo apprensivo quando sono rimasta incinta: faceva tutto quello che gli chiedevo di fare.”

 

“Fantastico” commentò Ninfadora, tenendo tra le labbra un altro appunto: ‘tanto papà fa quello che vuoi anche adesso’.

 

“Anche Remus si sta impegnando molto.”

 

Andromeda sorrise alla figlia. “Fantastico. Pare proprio che i nostri siano dei consorti impareggiabili.”

 

Dallo stipite della cucina spuntarono le teste di Remus e di Ted.

 

“Eccovi, stavamo giusto parlando di voi” proclamò raggiante Ninfadora.

 

Remus le fissò il viso sorridente e i capelli di un dorato splendente e provò subito l’impulso di stringerla tra le braccia.

 

Ted bisbigliò alle sue spalle. “Vai pure ma ricorda di non abbassare mai la guardia.”

 

Remus si avvicinò con passi molto corti, saggiando ad ogni avanzata l’entità del sorriso della moglie: pareva così sincero e genuino modellato su quelle labbra dolci che lo invitavano al bacio… eppure il consiglio del suocero pulsava ancora nei suoi ricordi: ‘attenzione al sorriso ambiguo’.

 

Si piegò verso Ninfadora e le diede un delicato bacio sulle labbra. Trascinò la bocca fino a scoccarne uno sulla guancia morbida e si ritrasse dal viso dell’amata con un sorriso genuino, attendendo di perdersi negli occhi dolci e nel viso luminoso di Ninfadora.

 

“Tutto qui?” gli domandò lei con un’espressione corrucciata dalla delusione.

 

La lingua di Remus si impastò mentre lanciava occhiate di conferma a Ted. Il suocero gli rivolse un grave accenno con la testa, carico di fatalità.

 

Remus tornò a fissare la moglie con un sorriso quasi supplichevole. “Beh, Ninfadora… i tuoi genitori.”

 

Ninfadora scosse la chioma rosso acceso. “Niente da fare, Remus. Ricordi cosa ti ho detto riguardo al selvaggio che voglio io?”

 

Remus se ne ricordava piacevolmente, cullandosi ancora nello sguardo amorevole di quella Ninfadora lontana, lontana.

 

“Sì, ma… non so se è il caso di approfondire questo discorso qui.”

 

Con qui intendeva di fronte ai tuoi genitori. Forse Ninfadora non colse l’allusione o forse era semplicemente in preda a quel momento di violenza sadica che aveva previsto Ted.

 

“Remus” lo sentenziò lei “Parliamo, per favore.”

 

Remus sentì i capelli che si arricciavano in fondo alla nuca. Dunque il signor Tonks aveva ragione: il sorriso ambiguo nascondeva un comando imperiale.

 

“Vuoi che ti parli, d’accordo Ninfa: ti amo e sei bellissima” si salvò lui con un sorriso tenero.

 

Sia Andromeda che Ninfadora mugugnarono commosse, Ted fischiettò, ammirato dalla scaltrezza del genero.

 

“Anch’io ti amo, Remus ed è fantastico” gli bisbigliò Ninfadora con il viso nascosto nell’incavo del suo collo “Ma dobbiamo ancora discutere del tuo aspetto selvaggio.”

 

Remus si staccò con un singulto. “D’accordo, Ninfa. Perdonami se ho ignorato la tua proposta.”

 

Il sorriso soddisfatto di NInfadora si rinvigorì. “Non fa niente, Remus. Immagino che tu sia nervoso per la mia condizione, ma non ti devi agitare troppo.”

 

“Giusto, caro” concordò Andromeda con un altro sorriso “Anche a me è parso che ci sia qualcosa di agitato in te.”

 

Ted tossicchiò vigorosamente alle sue spalle. Remus le rivolse un sorriso stiracchiato. “Il fatto è che sono davvero impaziente: non vedo l’ora che il bambino nasca.”

 

*^*

[Il Proemio dell’Odissea]

 

 

Il sonno di Draco fu travagliato da immagini di tazze da the fluttuanti, da tappeti e rintocchi di campanile che segnavano le cinque mentre una voce in lontananza gli gridava: “C’mon, amico Dra’, c’mon.”

 

Si svegliò di soprassalto, scoprendosi impregnato di sudore.

 

Samantha, già completamente sveglia al suo fianco, lo fissava con un sorrisino incuriosito.

 

“Pare che tu abbia avuto un altro incubo, anche se dal modo in cui gemevi poteva anche essere un sogno a luci rosse.”

 

“Finiscila” abbaiò Draco, contrastando il sorrisetto malizioso di Samantha “E’ tutta colpa di tuo fratello. Sai quello che mi ha fatto la notte scorsa, vero?”

 

L’espressione di Samantha inorridì di colpo. “L’altra notte… avete fatto qualcosa che, poi, ti ha fatto gemere nel sonno… che ti ha fatto mio fratello?”

 

“Mi voleva far stendere su quel dannato tappeto!” inveì Draco, troppo concentrato nella sua rabbia privata per accorgersi dell’orrore che cresceva sul volto di Samantha.

 

“Oh, Draco, se mi dici che anche mio fratello è gay, avrò un violento attacco di cuore.”

 

Draco non esitò ad esplodere. “Cosa?! Cosa diamine hai capito! Ieri, quando tuo fratello ci ha svegliato con la cornamusa, ha inscenato un ridicolo rituale e ha preteso che mi inginocchiassi su un tappeto rivolto ad est e sorseggiassi il mio the preferito.”

 

Samantha riprese un sorriso irrisorio. “Oh, ma certo.”

 

“Che significa ‘oh, ma certo’, e poi cosa volevi dire prima con ‘se mi dici che anche mio fratello è gay’? Anche? C’è un altro gay nella casa?”

 

Senza alcun preavviso, Samantha si protese verso Draco e in un attimo le loro labbra si trovarono saldamente incollate. La ragazza non attese molto per approfondire il contatto, dischiudendo le labbra sue e del compagno. Forse, per la rabbia e l’agitazione, Draco rispose con altrettanto impeto e ardore.

 

Samantha si staccò per prima, lasciando entrambi a corto di fiato. Si sfiorò brevemente le labbra arrossate per il bacio e osservò Draco di sottecchi con un cipiglio languido.

 

“No, non c’è” affermò sbrigativamente.

 

Draco stava ancora sul letto, sbigottito dall’impulsivo comportamento della ragazza. La sua spigliatezza era inattesa ma divenne ancora più gradevole quando Samantha prese a spogliarsi senza problemi di fronte ai suoi occhi.

 

Samantha lo osservò con la coda dell’occhio per saggiare la sua reazione e restò piacevolmente sorpresa nello scorgere un sogghigno accondiscendente.

 

“Ti accompagno in cucina” propose la ragazza mentre frugava nell’armadio alla ricerca dell’abito della giornata, ormai quasi completamente scoperta “Vorrai toglierti quel pigiama per metterti qualcosa di più comodo. Perché non ti spogli anche tu?”

 

Draco non proferì parola, ancora immobile nella contemplazione dei movimenti della ragazza.

 

Samantha terminò di vestirsi e prese posto distrattamente all’unica sedia della stanza, quella di fronte allo specchio. Mise una mano sotto il mento, rivolgendo tutta la sua attenzione a Draco, in una muta e immobile sosta, come in attesa di uno spettacolo soddisfacente.

 

Draco si alzò di scatto dal letto, prima cercando con cura i vestiti per la giornata e poi premurandosi di sbottonare la camicia più velocemente che poteva e con le spalle rivolte a Samantha. Quando fu la volta dei pantaloni se li sfilò con un rapido gesto, cercando poi, quasi disperatamente, il paio di cambio. Draco colse una leggera risatina.

 

Relax, Draco. Niente che io abbia già visto e toccato.”

 

Non fu l’implicazione dell’affermazione di Samantha a destabilizzarlo, quanto più il modo con cui aveva pronunciato ‘Relax’, esattamente identico a quello del fratello: accento duro e vigoroso. Da quando poi, Samantha, usava simili termini?

 

Draco si vestì in un lampo sotto la curiosa sensazione di un paio di occhi famelici che gli puntavano le spalle.

 

“Scendiamo?” accennò distrattamente a Samantha, già per metà proteso fuori dalla camera.

 

Samantha lo seguì con aria paziente e meditabonda. “Credo di non avertelo detto, ma sarò fuori per tutta la mattinata, perciò ci penserà mio fratello a tenerti compagnia. Bene, ci vediamo dopo, Dra’” lo salutò lei con un sorriso raggiante.

 

Per un attimo, Draco rimase inebetito a metà scale, poi cominciò a scenderle con pazienza.

 

La cucina era imbandita dei più ricchi e gustosi cibi da colazione: ciambelle, fette di torta, panini imburrati, marmellate assortire, cesti di frutta, succhi di frutta, persino uova, omelette e salsicce fumanti; ma quello che destò l’interesse di Draco fu la presenza di numerose bottiglie di birra ammassate sul tavolo.

 

Ormai Draco aveva realizzato che in quel contesto americano un inglese di nobile stirpe non poteva avere pace. I commenti patriottici di Johnny erano persino più stressanti dei tormenti a cui lui stesso aveva sottoposto Potter e company durante gli anni di scuola.

 

Era certamente una punizione divina: ora era Draco Malfoy a dover subire.

 

“Yo! Mattina, amico Dra’!”

 

Ricacciò un urlo e un prevedibile scatto omicida nelle profondità della sua anima.

 

“Buona mattina, Jonathan” si costrinse a rispondere Draco. Aveva promesso a Samantha di tentare un approccio amichevole con suo fratello benché quest’ultimo fosse un essere a dir poco insopportabile.

 

“Ha!” replicò Johnny con un vorticare di braccia, accaparrandosi il posto a capotavola. “Allora, sei felice ora che hai conosciuto la famiglia Drake?”

 

Draco si sedette compostamente il più lontano possibile da Johnny. “Certamente.”

 

Johnny sghignazzò con quella sua particolare flemma tonante. “Raccontala giusta, amico Dra’, non sembri molto felice. Ma perché mascheri sempre le tue emozioni?”

 

Draco sbuffò, afferrando una fetta di pane tostato. “Sei decisamente grossolano nell’analisi caratteriale, Jonathan. Io non maschero ma dissimulo le emozioni.”

 

“Che c’è di diverso?” sbottò Johnny dopo una fulminea meditazione.

 

“Lascia perdere, Jonathan” replicò Draco sventolando una mano con un’evidente aria di superiorità.

 

Johnny tamburellò le dita sul tavolo, ma la sua espressione sembrava tutto fuorché offesa. “Perché mi chiami Jonathan?”

 

Draco aprì delicatamente il barattolo della marmellata alle fragole, spalmandone un poco sul pane tostato. “E’ il tuo nome di battesimo, suppongo.”

 

“Yah!” esclamò Johnny con una specie di singulto “Ma mi sembra una cosa ostile.”

 

Draco si prese del tempo per dare un morso e gustare il suo pane tostato. “Non è ostile, è semplicemente cortese. E’ da zotici rivolgersi a              qualcuno che non si conosce con nomignoli o diminutivi.”

 

Johnny acchiappò il barattolo della marmellata alle fragole, assumendo un’aria pensosa. “Allora io sono uno zotico, amico Dra’?”

 

Draco fece un sospiro, pulendosi la bocca e sogghignando sotto il tovagliolo. “Sono conclusioni tue. Mi sembri abbastanza sveglio per arrivarci da solo” concluse con un marcato tono ironico.

 

Yeppa!” replicò Johnny con un ampio sorriso “Ma tu non sei uno sconosciuto… fuck off, sei il tipo di mia sorella.”

 

Draco tossicchiò leggermente, infastidito da tanta volgarità. “Sì, potrei anche essere il tipo di tua sorella, ma questo non implica che tu mi conosca. Perché, infatti, non è così.”

 

“Sei inglese!” esclamò Johnny allargando le braccia e sottintendendo un ‘e questo dice tutto.’

 

“Molto acuto” disse Draco “Sì, sono inglese e tu sei americano. Immagino che con questa premessa le basi per porre una convivenza pacifica siano saltate.”

 

Johnny gli rivolse un ampio sorriso, mentre infilava due dita nel barattolo della marmellata. “Mi piace come parli… sofisticatoooo… anche se hai uno strano accento e sei lento.”

 

“Direi piuttosto che sei tu quello veloce e dallo strano accento nasale” replicò Draco, osservando con disgusto Johnny che leccava la marmellata dalle dita e le rificcava nel barattolo. “Ma! Ti pare il modo!”

 

Johnny ricacciò le dita sbavate nel barattolo con un’espressione divertita. “Sembri una governante infuriata, amico Dra’.”

 

Draco gli lanciò un’occhiata in tralice, abbandonando il suo pane tostato. “E’ una reazione più che giustificata. I tuoi genitori non ti hanno insegnato che certe cose non si devono proprio fare a tavola? Mmmh, non so neanche perché lo chiedo! E’ evidente che tu non sai niente di educazione, Jonathan.”

 

“Bah” mugugnò Johnny assaporando le sue dita marmellate. “Faccio così tutte le mattine.”

 

Draco deglutì sonoramente con un’espressione schifata. “Ho mangiato marmellata con la tua bava sopra?”

 

Johnny richiuse il barattolo con un sorriso incoraggiante. “Ma dai, amico Dra’, siamo in famiglia.”

 

Draco arretrò di scatto con la sedia. “E’ il medesimo discorso di prima” disse con un sussurro cupo “Io non voglio far parte di questa famiglia.”

 

Si alzò velocemente, deciso a non incrociare lo sguardo di Johnny. “E poi smettila di chiamarmi ‘amico Dra’: non sono tuo amico.”

*

 

Draco sonnecchiava placidamente nella stanza che spartiva con Samantha. All’improvviso la porta si spalancò con un sonore tonfo, costringendolo ad un brusco risveglio.

 

Samantha si avvicinò a Draco con un’espressione un tantino infastidita.

 

“Passata una buona mattinata in compagnia di mio fratello?” gli chiese e la sua voce era acida.

 

Draco socchiuse gli occhi con un mugugno. “Abbastanza.”

 

La testa di Samantha scattò da un lato con uno sbuffo. “Quindi non devo interpretare il fatto che sei rimasto chiuso in questa camera come un eremita. Anche i tuoi genitori non hanno messo piede fuori dalla loro stanza. Immagino che sia davvero soddisfacente la solitudine, me lo confermi, Draco?”

 

Draco rimase in silenzio ma le sue labbra si piegarono in un ghigno.

 

Samantha gli arrivò alle spalle e gli assestò un colpo alla base del collo.

 

Draco portò entrambe le mani al punto colpito e lo massaggiò con un gemito di dolore. “Sei manesca quanto tuo fratello.”

 

Anche Samantha aveva un bel ghigno stampato in faccia. Dopo aver borbottato un ‘sei più noioso e delicato di un vaso di cristallo’ gli rivolse un’occhiata imperiosa. “Mio fratello vuole portarti a fare un giro per la città. Ringrazialo almeno. E’ una proposta fin troppo gentile dopo quello che gli hai detto questa mattina.”

 

Draco storse il naso, trattenendo una pungente replica. ‘Non c’è niente di gentile in quello che fa tuo fratello. E’ solo troppo stupido per capire le mie provocazioni; è logico che non se la prenda.’

 

“D’accordo.”

 

“Bene” replicò Samantha con un sogghigno sospetto. “Ti attende un pomeriggio davvero interessante.”

 

*^*

[La Strategia]

 

“Se non sei dedito al dolore e alla sofferenza, allora non sforzarti di rincorrere chi ti ha abbandonato. Coloro che rifiutano il tuo amore meritano solo odio.”

[Cicatrice]

 

 

“Accomodati, Harry caro” lo accolse la signora Weasley con calore.

 

Harry si fece avanti nella nuova dimora della famiglia Weasley che gli ricordava piacevolmente una versione ristrutturata della Tana. L’ambiente era dominato da legno casareccio e da quel senso di rustico accogliente che lo faceva sentire inevitabilmente a ‘casa’.

 

Qualcosa si mosse dentro il suo petto, un brivido irrequieto, a disagio in quel tiepido ambiente. Incrociò molti visi famigliari e soddisfatti e di nuovo sentì una fitta alla cicatrice: una voce si agitava nella sua testa, completamente soffocata dal calore di quei sorrisi ospitali. Riuscì quasi a sentire un bisbiglio rauco che gli sussurrava penetrandogli nell’orecchio, dritto nella mente: ‘non fidarti, stai sognando un’illusione.’

 

Schiacciò quel brivido di freddo con la piacevole emozione che gli procurava la compagnia. Essere circondato dagli amici era molto più importante di quel sinistro sibilo autorevole che gli sorgeva dalla cicatrice.

 

“Buon pomeriggio a tutti” disse con una gioia spontanea.

 

“Ciao, Harry!”

 

Si sentì arrivare un saluto a coro, delle volte ripetuto per enfatizzare il piacere di vederlo. La testa cominciò a vorticargli dall’emozione. Era impressionante la soddisfazione che riusciva a sentire in quell’istante; era quasi superiore al senso di compimento che aveva accompagnato la sua prima vittoria al Torneo di Quidditch di Hogwarts. Eppure era il sibilo freddo che lo faceva sentire così speciale in quel momento: sentirsi accettato tanto affettuosamente era una fortuna che graziava pochissimi uomini … Almeno questa era la sensazione che pulsava dalla cicatrice.

 

Harry si sedette accanto a Ron che lo salutò di nuovo e prese a confabulare con suo fratello maggiore Percy.

 

Percy… Harry fece breve mente locale e rammentò il giorno della riappacificazione del Weasley perduto. Dopo la battaglia di Hogwarts, con l’umiliazione e la distruzione quasi totale del Ministero, Percy aveva mandato un timido e disperato gufo ai suoi genitori, invocando soprattutto l’appoggio della madre. Molly non aveva indugiato, così avevano detto i suoi commossi occhi da madre. Lo aveva accolto in casa con un abbraccio zeppo di lacrime e anche Percy non aveva esitato a ricambiare con la stessa intensità.

Arthur aveva voluto attendere delle scuse da suo figlio per il tradimento della famiglia a favore del Ministero, o almeno così si era ripromesso. Il dolore che ancora fumava dalle ceneri di Hogwarts lo aveva spinto tra le braccia di suo figlio senza parole, senza pretendere delle scuse. Poi era stato il turno dei fratelli, persino di Fred e George che, sebbene si fossero limitati a dei cenni d’intesa a distanza, non erano riusciti a nascondere un senso di sollievo alla vista della famiglia riappacificata. Poi era arrivato l’abbraccio accogliente di Ginny e Percy si era sentito finalmente libero dal rimorso e dall’imbarazzo.

 

Ginny… Il sibilo si ripresentò più strafottente di prima. ‘Avvicinarsi troppo agli estranei fa male. Ecco la prova.’ Harry si asciugò il sudore dal labbro inferiore e strinse le mani sotto il tavolo, sperando che nessuno gli leggesse nello sguardo terrorizzato. Era Voldemort, ora ne era certo. Il brivido gelido che invocava una totale solitudine, il disprezzo per il prossimo… sì, non poteva essere altri che lui. Era morto, eppure la sua presenza riusciva ancora ad imporsi tra i suoi pensieri. Poteva impadronirsi della sua mente e della sua vita, costringendolo lontano dai suoi amici e da Ginny. No, non glielo avrebbe mai permesso; ecco perché si trovava lì, determinato a riconquistarla.

 

“Pronti per il piano di riconquista?” attaccò George, costringendo i convenuti al silenzio “Fred esporrà i punti della strategia in sunto. Al termine dell’esposizione si accetteranno suggerimenti e integrazioni. Prego, Fred.”

 

Fred lanciò un cenno amicante al gemello. “Grazie, George. Allora, comincerò con l’esporvi l’odierna piaga che affligge la famiglia Weasley: Ginny, amata ultimogenita, sta per sposare il più viscido dei Babbani di questo mondo.”

 

Ci furono dei borbottii indignati, riportati al silenzio dall’intervento di George.”Ordine, prego. Poi ci sarà tutto il tempo del mondo per imprecare contro quel viscidume d’uomo.”

 

Fred approvò in pieno e riprese la sua esposizione. “Ora, immagino che tutti convengano con me quando affermo: ‘Ginny, per Merlino, arresta questa idiozia prima che sia troppo tardi’, giusto?” fece scorrere lo sguardo, riscontrando grande consenso, soffermandosi poi su Harry che gli diede il permesso di riprendere “E quindi seguo, dicendo: ‘Per Merlino, Ginny, ma che ti prende? Ho capito che è un Babbano, ma sei certa che non ti tenga sotto Imperius?’. Ebbene, questa è un’ipotesi molto concreta, ma in parte. Non è propriamente un incanto Imperius, ma gli effetti sono in sostanza gli stessi: Ginny è vittima della sindrome del cuore spezzato, conseguente all’abbandono – Fred tentò di non enfatizzare troppo la parola, tenendo gli occhi ben lontani da quelli di Harry – e dalla crisi del dopo guerra. Quindi, signori miei, credo sempre di parlare a nome di tutti nel dire: salviamo la ragazza da se stessa!”

 

Partì una serie di congratulazioni, motti di sostegno e brevi scrosci di applausi. Harry rimase immobile al suo posto, consolato oltremodo dal sostegno dei suoi amici e ancora immensamente terrorizzato dal sibilo che gli suggeriva di interrompere quella ridicola farsa.

 

George strizzò l’occhio al gemello. “Perfetto, Fred. E ora passiamo ai punti della strategia.”

 

“Senza’altro, George” convenne Fred con fare diplomatico “Punto numero uno: faremo presente a Ginny che il suo futuro marito è un viscidume d’uomo. Punto numero due: Ginny prenderà coscienza dell’enorme schifo che fa quell’uomo. Punto numero tre: Ginny, di conseguenza, con l’appassionato sostegno della famiglia, lascerà quel viscidume d’uomo. Punto numero quattro: Ginny, rincuorata, ma forse anche un tantino sconsolata dalle nozze disfatte, cercherà la compagnia di qualcuno. A questo punto si necessitano la collaborazione e i nervi saldi di tutta la famiglia: non dovremo sostenere Ginny. Ci penserà Harry a fare questo. Il che mi porta al punto numero cinque: Ginny, non ricevendo sostegno dalla famiglia, si getterà tra le braccia di Harry, inaugurando un perfetto lieto fine.”

 

Harry si ritrovò centro dell’attenzione dei presenti. La cicatrice pulsava ancora, immensamente indignata e schifata dalla sensazione di sguardi apprensivi sulla sua pelle.

 

“Avete la mia approvazione.”

 

Il bisbiglio di Harry produsse una reazione di esultanza a catena. Anche Hermione che gioiva entusiasta con un ampio sorriso, stringendo le mani della signora Weasley gli diede da pensare.

 

‘E’ davvero così importante? Sono io quello che sbaglia? Dovrei desiderare davvero di riconquistare Ginny?’

 

La cicatrice si contrasse nella sua testa.

 

‘No.’

 

*^*

[L’inizio dell’Odissea]

 

 

Draco era steso sul divano del salotto di casa Drake; Samantha era ancora fuori. Il pomeriggio era inoltrato e il sole batteva sulle finestre e forse l’allegria del mondo esterno riusciva a rendere più malinconica la situazione.

 

Era completamente a disagio in quella casa: si sentiva sempre con l’acqua alla gola e la prospettiva di passarci tutto il resto della vita era davvero tragica.

 

Si rigirò su un fianco e chiuse gli occhi, tentando di conciliare il sonno. Era detestabile e scoraggiante dormire in un pomeriggio di pieno sole ma non aveva idea di che altro fare; se fosse rimasto sveglio non avrebbe fatto altro che pensare alla guerra. Ogni istante che trascorreva da solo ricordava la Guerra e in quella casa era sempre in solitudine.

 

All’improvviso la testa di Johnny spuntò dallo stipite della porta con tutta la brillantezza di un sole estivo.

 

“Amico Dra’” attaccò quello con entusiasmo “Ti va di venire a fare un giro con me?”

 

“D’accordo” sussultò Draco tra un singulto e l’altro.

 

Se possibile il sorriso smagliante di Johnny si amplificò ancora di più “Hell Yeah! Non te ne pentirai.”

 

Draco lo fissò con un’estrema incertezza dipinta sul viso, ricordando le sinistre parole di Samantha:

 

“Ti attende un pomeriggio davvero interessante.”

 

*

 

“Cos’era quello?” domandò Draco con voce scioccata.

 

“Si chiama subway” spiegò Johnny con pazienza distaccata “Ma credo che per voi inglesi sia l’undergrouuund.”

 

“Ma!” sbottò Draco contrariato “Era un attrezzo babbano?”

 

Johnny agitò distrattamente la testa. “Yup. E chi può dirlo?”

 

“Ma mi vuoi rispondere seriamente?” ringhiò Draco con voce collerica “E smettila di fare quei grugniti.”

 

Johnny socchiuse gli occhi per niente infastidito. “Oh, sei ancora in quel periodo speciale del mese, amico Dra’?”

 

Draco digrignò i denti con la faccia bordeaux. “Smettila di chiamarmi così e stai zitto!”

 

Un ghigno malefico comparve sul volto di Johnny Drake. “Lo prendo come uno ‘yeah’.”

 

Draco sbuffò con tutta la gloria di un drago e squadrò Johnny di traverso. “E ora? Cosa pensi di farmi vedere?”

 

“Alcune attrattive della città” replicò Johnny con un sorriso storto e sospetto “Non ne rimarrai deluso.”

 

Camminò a passo svelto mentre Johnny intonava fischiettando l’inno americano. Oltrepassarono un gruppetto di ragazze chiacchierine che ulularono soddisfatte al passaggio di Johnny e bisbigliarono incuriosite alla marcia eretta di Draco.

 

Alla fine Johnny si fermò di fronte ad un negozio dall’aria ambigua e conturbante.

 

Il giovane Drake si rivolse a Draco con un sorriso smagliante. “Potresti farmi un favore?”

 

Draco sobbalzò interiormente. ‘Che faccia tosta!’

 

Ma la sua facciata esteriore resse il gioco. “Dimmi pure, Jonathan.”

 

“Dovresti comprarmi un paio di cosette in questo negozio.”

 

Draco lanciò una distratta occhiata all’insegna del magazzino: era piuttosto sgargiante, rosa e si accendeva ad intermittenza.

 

“E che negozio sarebbe?” chiese con diffidenza.

 

“Beh” cominciò Johnny con una nonchalance piuttosto enfatica “Un negozio di articoli sportivi.”

 

“Bene” concluse Draco con una storta di naso “Lo faccio solo perché sono l’ospite a casa tua.”

 

“Bravo” si complimentò Johnny “Fai proprio bene a sfoderare la tua educazione inglese, yup, yup…”

 

“Senti” borbottò Draco “Facciamola finita subito e dimmi cosa devo comprare.”

 

“Eh, vediamo… direi che potresti comprare una confezione di… preservativi” gli occhi di Johnny guizzarono sul volto di Draco che rimase impassibile alle sue parole; un sogghigno si dipinse sulle sue labbra “Non ti crea problemi comprare una confezione da dodici di preservativi, vero?”

 

“Figurati” soffiò Draco “Sono capace di trattare con i venditori molto meglio di te, ne sono sicuro. Piuttosto… cosa sono i preservativi?” chiese con un distratto imbarazzo.

 

“Beh, servono per… proteggersi” attaccò Johnny, trattenendo vivamente una risata “Proteggersi da colpi bassi.”

 

“Oh” fece Draco con aria superiore “Alcuni dei miei compagni di Quidditch li usavano per non ricevere brutti colpi durante le partite.”

 

“E tu non ne avevi bisogno, amico Dra’?” domandò Johnny, lasciandosi scappare una risatina.

 

“Certo che sì” ribatté Draco con ovvietà “Ma non li indossavo perché erano scomodi” un sogghigno gli piegò le labbra “Troppo stretti e piccoli per uno come me.”

 

Johnny lo fissò con un enorme punto interrogativo stampato sul viso. “Veramente?” gli chiese con assoluta incredulità.

 

Draco strinse i denti. “Dammi i soldi e te li compro.”

 

Johnny gli sganciò qualche dollaro. Draco li fissò con attenzione, stringendo la carta verde tra le dita: non erano i soliti Galeoni luccicanti d’oro; cominciava a sentire il peso della distanza e della differenza.

 

Entrò nel negozio, ancora parzialmente assorto nei suoi pensieri. Forse questo incentivò il piano diabolico di Johnny e non gli permise di riconoscere l’effettiva identità di quel magazzino.

 

Draco si affrettò alla cassa, non notando i bizzarri oggetti esposti in vetrina.

 

Diede qualche colpo di tosse. “Mi scusi.”

 

Una commessa dalla dubbia integrità morale apparve al suo cospetto. “Sì?”

 

Draco squadrò i suoi numerosi piercing con occhio fortemente critico, poi disse svelto: “Vorrei dei preservativi.”

 

Gli occhi della commessa si accesero. “Che buffa parlata, scommetto che sei straniero.”

 

Draco avvertì la rabbia che gli montava dentro. “Mi scusi, ho fatto una richiesta e vorrei essere servito: ho fretta.”

 

Per qualche oscuro motivo, gli occhi della commessa brillarono ancora di più. “Oh, ma che biondino impaziente! La tua ragazza è di sicuro fortunata.”

 

“Ma che c’entra la mia ragazza?” domandò Draco con irritazione.

 

La commessa ricomparve alla cassa con un pacchetto confezionato. “Non li usa con lei questi?”

 

Draco sospirò con pazienza. “Come potrei usarli con lei?”

 

Lanciò un’occhiata alle sue spalle e vide Johnny che gli sorrideva con una piega decisamente sospetta. Draco decise di ignorarlo e si rivolse alla commessa.

 

“Sono per lui” le disse indicando Johnny.

 

Il viso della commessa si illuminò di comprensione. “Oh! Devi essere inglese.”

 

Draco strinse i denti e pensò tra sé e sé: ‘Cosa c’entra ora? Bah, questi americani sono decisamente stupidi.’

 

“Prego, ne ho urgente bisogno” comandò alla commessa.

 

Lei gli sorrise con malizia. “Urgente, eh? Allora perché non fai entrare il tuo amico?”

 

“Perché dovrebbe?” le chiese Draco con aria critica.

 

“Magari potreste trovare qualche bel giochino che vi piace” propose lei con uno sguardo ambiguo.

 

“Non capisco” mugugnò Draco “Non andiamo molto d’accordo. Quindi non credo che riuscirei a trovare qualcosa di interessante da fare con lui in un negozio di…”

 

Il suo fiato si troncò di netto. Si era deciso a dare un’occhiata per il negozio e lo spettacolo che si offriva ai suoi occhi non era dei migliori.

 

“Cos-cosa?” balbettò quasi istericamente “Cos’è questa roba?”

 

“Suvvia” cinguettò la commessa “Non fare l’ingenuo con me.”

 

“Lei stia zitta e mi dia i miei preservativi!” urlò Draco, strappandole dalle mani la confezione.

 

Il buon senso e il sogghigno di Johnny oltre la vetrina gli imposero di dare una sbirciatina al contenuto della confezione. Ma fu costretto a bloccarsi quando trovò le istruzioni illustrate.

 

“Cos’è questo schifo?” strillò, voltandosi con occhi di fiamma all’indirizzo di Johnny.

 

“Jonathan” sibilò “Giuro che ti ammazzerò!”

 

“Non ho potuto fare a meno di assistere alla scena” gli disse una voce d’uomo che, però, Draco giudicò un tantino effeminata.

 

Un omone che indossava delle calze a rete gli si avvicinò con le labbra rosse piegate in un sorriso accondiscendete. “Tu e il tuo ragazzo avete appena litigato e… beh… se ti senti solo, puoi venire a casa mia, ti posso fare compagnia…”

 

L’omone allungò una mano callosa e inanellata verso Draco e lui si sentì lentamente ribollire.

 

“Se avvicini quella zampa, giuro che te la taglio!” strepitò con tutto il fiato che aveva in gola.

 

L’omone ritirò la mano con gli occhi lucidi di lacrime. “Come vuoi tu, sono abituato ad essere respinta dai bei biondi.”

 

Draco fece qualche passo all’indietro con estrema cautela, tentando di non aizzare l’omone che singhiozzava sommessamente contro un fazzoletto rosa shocking.

 

“Ehi tu, biondo!” gli gridò la commessa dalla cassa “Hai dimenticato lo scontrino e il resto.”

 

“Non mi interessano, grazie” replicò Draco con voce roca.

 

La commessa lo fissò con aria dubbiosa. “Non hai nemmeno controllato la taglia. Io ti ho confezionato una dozzina di medium, ma ora comincio a credere che tu sia un tipo da small.”

 

La furia gli risalì alla gola come schiuma bollente. “Va benissimo così e comunque io sono un tipo da extra-large!”

 

Il volto dell’omone si illuminò. “Davvero?”

 

Draco avvertì la nausea soverchiare pienamente la rabbia quando l’omone prese a saltellare nella sua direzione.

 

Chiuse gli occhi e si catapultò verso l’uscita. Richiuse la porta del magazzino degli orrori alle spalle, il fiato corto e il viso sudato.

 

Johnny gli sfilò la confezione di preservativi dalle mani.

 

“Ti ringrazio, amico Dra’. Comunque anch’io avrei preferito una taglia extra-large.”

 

Le mani di Draco volarono come artigli al collo di Johnny. “Stai zitto! Hai una vaga idea di quello che ho passato lì dentro?”

 

Johnny non batté un ciglio, nemmeno quando le dita di Draco strinsero più a fondo. “Non te la puoi prendere con me, amico Dra’. Se dici ad una drag queen che sei un tipo da extra-large, te le devi aspettare certe reazioni.”

 

Draco brontolò sommessamente con la rabbia che gli schiumava dentro.

 

“Seriamente, amico Dra’” ribadì Johnny con le dita di Draco ancora intorno al collo “Non potevi aspettarti altro che le sue mani addosso.”

 

“Ed è quello che ti devi aspettare anche tu!” sbraitò Draco “Dopo quello che mi hai fatto, cosa ti fa credere che non ti voglia mettere le mani addosso per ucciderti?”

 

Johnny sogghignò minacciosamente. “Perché io sono più grosso di te, amico Dra’.”

 

Draco sbarrò gli occhi, facendo scorrere lo sguardo sugli avambracci torniti di Johnny. In effetti il paragone tra i due era improponibile: Drake era certamente più muscoloso e forte di Malfoy.

 

Draco liberò il collo di Johnny. La frustrazione e la rabbia lo investivano a ondate, lasciandogli la gola incredibilmente amara.

 

“Ora andiamo a mangiare” propose Johnny con il solito sorriso raggiante.

 

“Voglio tornare a casa” mugugnò Draco con il volto cupo.

 

“Va bene, allora…” la voce si Johnny si bloccò per riprendere più malandrina “Possiamo affittare una macchina e guidare fino a casa. Che ne dici, amico Dra’?”

 

“Fa lo stesso” replicò Draco con aria cupa.

 

“Bene!” esclamò Johnny “Prossima tappa: concessionaria e poi casa!”

 

‘Casa’.

 

‘Credo che non sia così. Credo che non tornerò più in dietro: sono in esilio.’

 

*^*

[Mancano solo i fuochi d’artificio!]

 

 

Fred e George si scambiarono un’occhiata complice nascondendo malamente un ghignetto.

 

La signora Weasley passò loro accanto e, come una brava madre abituata a riconoscere ogni espressione sui volti dei suoi bambini, li dardeggiò con la ‘Occhiata-Sputafuoco’, denominata così da George in ricordo dell’accidentale bruciatura dei maglioni natalizi.

 

“Cosa state macchinando voi due?” chiese loro la signora Weasley, battendo il piede a terra e incrociando le braccia al petto.

 

I gemelli le sorrisero, affabili. “Nulla, mamma.” Esclamarono in coro, con aria angelica.

 

La madre alzò le sopracciglia. “Oh, certo.” Asserì con sarcasmo. “E pensate di darmela a bere? Dopo anni di birbonate?”

 

Fred si alzò dalla sedia e le mise un braccio intorno alle spalle robuste. “Mà, ti devi rilassare, capito? Io e George sappiamo che questa è un’occasione importante, è per il matrimonio di Ginny!” esclamò, subito seguito a ruota da George, che annuiva veemente davanti all’espressione scettica di Molly.

 

“Esatto! Nulla potrebbe rovinarlo, anche se noi rivoltassimo tutta la tavola!”

 

Molly Weasley sospirò, mormorando affranta un “Già” mogio, con tanto di lacrime agli occhi.  “…però per una volta non mi spiacerebbe, uno dei vostri piani per rovinare tutto…”

 

I gemelli si scambiarono un’occhiata, ancora. Senza parole riuscivano a capirsi, e di quell’empatia si erano sempre vantanti, qualche volta provocando gelosie tra fratelli, come ad esempio Percy, invidioso del loro rapporto privilegiato, o anche Ron, seppur il secondo senza cattiveria.

 

“Su su! Mà, adesso non metterti a piangere. Ginny sarà qui da un momento all’altro! Cos’è quel muso? Sai che lei soffrirà se ti vede così?”

 

“E poi sai la soddisfazione di quel mollusco di Joshuel e della befana di sua madre di vederti abbattuta a causa loro?”

 

Come sperato dai gemelli, Molly tirò sul col naso con il leggendario luccichio determinato negli occhi color nocciola. Alzò il mento, orgogliosa, e camminò verso la porta.

 

“Vado ad accoglierli! Non sia mai che abbiano da ridire sulle maniere dei Weasley.”

 

“E la mamma è a posto…” sogghignò George, mettendo una mano sulla spalla del gemello, soddisfatto.

 

“Già,” concordò l’altro, ridendo. “Ma lo spettacolo inizierà solo quando saranno tutti qui per fingere di mangiare lietamente in compagnia…”

 

“È tutto perfetto! Manca solo Ginny! C’è pure quello spompato di Krum, che ormai ha occhi solo per Hermione!”

 

“Uhuh, quindi la retata di gelosia si allarga? Sia Ron che Ginny ci devono un gran favore, George!”

 

Il rosso fece l’occhiolino. “Già già, ci faremo risarcire! È una situazione perfetta, un piano perfetto! Mancano solo i fuochi di artificio!”

 

Fred alzò le sopracciglia. “Stanno per scoppiare, gemello.”

 

Ginny, Han e la futura (possibilmente no) suocera stavano facendo il loro ingresso a Shell Cottage, scortati da una scocciatissima Molly e dal padrone di casa, Bill, intenzionato a mandare a rotoli l’intero matrimonio che egli stesso aveva contribuito ad avviare.

 

*

 

Ginny stava placida al fianco di Han, osservando con attenzione il bicchiere di vino riempito per metà.

 

Non aveva osato alzare gli occhi, o voltarsi, da quando aveva visto chi aveva invitato Bill a quel pranzo di famiglia, che doveva essere un augurio per celebrare il suo matrimonio. Non era così stupida da non capire che quello era un complotto bello e buono. Altrimenti perché invitare Harry Potter, il leggendario eroe nonché primo amore? La credevano forse così rimbecillita?

 

Se da una parte sentiva indignazione – come futura signora Joshuel – dall’altra questa specie di piano sabotatore le donava un certo sollievo. Era come la sua ancora di salvezza, anche se era indecisa se aggrapparvisi o meno.

 

L’unica cosa che avvertiva, più che la confusione, era il senso di colpa, viscido e crudele, che le attorcigliava lo stomaco e le faceva perdere la fame anche davanti ai leggendari crostacei di sua madre.

 

Aveva perso molto peso, in realtà, da quando si era fidanzata con Joshuel. Aveva perso anche se stessa, ma a questo preferiva non pensare.

 

In effetti, non pensava quasi mai con Joshuel. Si limitava a stringersi come voleva lui, parlare come voleva lui, intrecciare la mano con la sua, come in quel momento.

 

Era diventata così vuota? Perché non sentiva il calore della sua famiglia attorno a sé? Perché solo il senso di colpa? Ma soprattutto: perché desiderava che per una volta Harry fosse un [il suo] eroe?

 

“Ginny, tesoro” la voce carezzevole di Han la raggiunse, interrompendo le sue riflessioni. “Dovresti mangiare di più.”

 

“Sì, certo.”

 

Il suo corpo si muoveva automaticamente. La bocca si apriva e ne uscivano le parole di Han, mentre con la mano destra, in un gesto ponderato ed educato, infilzava nella forchetta d’acciaio (argomento di borbottii da parte della signora Joshuel che prediligeva la fine argenteria) una patata arrostita.

 

Si sentì addosso parecchie paia di occhi, ma non se ne curò e ne morse un pezzo.

 

Han le sorrise. “Bravissima, tesoro.”

 

Lei inclinò appena la testa per ringraziarlo, reprimendo un rigurgito spontaneo.

 

Molly, alla sua destra, la guardò preoccupata e ansiosa, prendendole le guance pallide tra le mani callose e costringendola a guardarla. “Ginny stai bene?” Lei annuì, tentando di non guardare infondo al tavolo dove si sedeva Harry. Anche se la tentazione era forte, doveva resistere, altrimenti… sarebbe crollata.

 

“Sicura?” ripeté la signora Weasley, in tono dolce. Lei annuì di nuovo, forzando un sorriso.

 

“Sono agitata, mamma, tranquilla.” La rassicurò, dandole un paio di pacche sulla schiena.

 

Il labbro di Molly prese a tremare involontariamente, e la donna l’abbracciò di slancio, premendosela contro il petto prosperoso, trattenendo i singhiozzi e mormorando sconnessamente: “Oh, Ginny…! La mia bambina!”

 

Il viso di Ginny era rivolto, senza che potesse impedirlo, verso la fine del tavolo. Gli occhi, da soli, avevano individuato le sole due chiome scure in mezzo a tutte quelle zazzere color carota, ed ecco, aveva visto lo scintillio degli occhiali di Harry, il suo mento piccolo, le guance pallide, uguali a quelle di Han. E, dietro tutto questo, i suoi occhi verdi. Completamente diversi da quelli del promesso sposo.

 

Vividi. Determinati. Imploranti?

 

“Oh, tesoro, tua madre piange di felicità?”

 

Come destatasi da un trance, Ginny si staccò dall’abbraccio della madre, squittendo appena, e si riaccomodò accanto a Han, stringendogli una mano con forza.

 

Han è il tuo sposo.

 

“S-sì.” Balbettò, avvicinandosi di più, bisognosa di ridiventare la sua bambolina [stava rischiando ancora di rompersi].

 

Le labbra di Han le sfiorarono la fronte, scendendo poi sulle labbra, avide, con l’intendo di strapparle un bacio irruento, causando la risatina divertita della signora Joshuel.

 

L’avrebbe fatto, se solo uno dei gemelli non si fosse alzato portando in alto il calice.

 

“Tutti in piedi per il brindisi!” gridò quello, e tutti, sposi compresi, si alzarono dalle proprie sedie, brandendo verso l’alto gli affusolati calici di vetro.

 

“Agli sposi! La vita possa riservargli grandi sorprese!”

 

Fred strizzò l’occhio a Ginny ebbe la conferma dei suoi sospetti: nulla di quella serata era casuale. Ma sorrise, unendosi al coro di “Agli sposi!”, e si portò alle labbra il vino, assaggiandolo con titubanza. Aveva ancora un po’ di nausea e non voleva che l’alcol l’accentuasse.

 

Vide Hermione con la coda dell’occhio avvicinarsi a lei, bicchiere in mano e sguardo serio. Prevedibile.

 

“Ginny! Come stai?” le domandò con calore, appoggiando sul tavolo il calice e abbracciandola di slancio. Il sussurro della ragazza le arrivò chiaro e serio all’orecchio: “Ti posso parlare da sola?”

 

Ginny annuì e si volse verso Han, sorridendo. “Amore, ti spiace se chiacchiero un po’ con Hermione? È tanto che non la vedo…”

 

Lo sguardo intenso e ammonitore di quegli occhi verdi la fece rabbrividire, e temette per qualche attimo che le impedisse di andare, ma, invece, Han salutò garbatamente Hermione e le fece cenno di andare. “Ma resta vicina, tesoro: sai che non sopporto averti lontana.” Si raccomandò, baciandole leggermente la mano anelata.

 

Ancora una volta, comparve solo il suo cenno di assenso, poi si lasciò trascinare da Hermione in un angolo della sala, dove si era tenuto il cocktail e che in quel momento era vuoto.

 

Dal fare circospetto e dal cipiglio serio, Ginny intuì subito il nocciolo della questione, e provò uno strano prurito, irritazione forse, per tutta quella poca fiducia nelle sue scelte. Credevano fosse una bambina? Poteva essere una bambola, ma questa era stata una (sua?) scelta.

 

…giusto, Ginevra?

 

“Ginny, dimmi la verità: tu stai bene?”

 

La Weasley sbatté le palpebre, presa in contropiede da Hermione. L’astuta, intelligente, sensibile Hermione Granger. Anche se era la sua migliore amica, Ginny non si era aspettata un attacco così diretto e in qualche modo la spiazzò.

 

Aprì la bocca per rispondere, ma la gola si era seccata, bloccandole la capacità di parlare.

 

Perché non riusciva a rassicurare Hermione?

 

Le bruciavano gli occhi, terribilmente. Il senso di nausea si era accentuato.

 

Maledizione.

 

“Sto bene.” Asserì con fermezza, voltando il capo verso uno spicchio di limone rimasto sul tavolo. Lo prese in mano, rigirandolo tra le dita sottili.

 

Oh, guarda, che bel colore giallo. Com’è interessante.

 

“Non capisco perché tutti me lo domandino.” Sbottò infine, schiacciando tra le dita il frutto.

 

“Forse perché non sembri più tu?” Rispose sarcasticamente Hermione, prendendola per le spalle, tentando di incrociare il suo sguardo. “Per Merlino Ginny, sei così pallida! E… beh… così mansueta. Non sei più in te, cosa ti è successo? È per Harry, per lui che ti sei ridotta così?”

 

Il tono preoccupato la scocciò e la nomina del nome di lui la fece irrigidire. Ginny scostò una mano di Hermione, staccandosela dalla spalla, senza alzare lo sguardo.

 

“Harry non c’entra… mi sono solo innamorata, Hermione.”

 

“Non è vero!” La voce di Hermione era appena incrinata, riempita di rabbia mista a tristezza. “Se fosse così i tuoi occhi brillerebbero e non sarebbero così opachi! Ginny, ti prego, dimmi che non vuoi diventare la moglie di quell’uomo! Questo… Joshuel… mi mette i brividi, sai? Ha uno sguardo subdolo…”

 

Istintivamente, la mano di Ginny si serrò contro il polso di Hermione. Questa si lasciò scappare un piccolo gridolino, spaventata e dolorante, alzando gli occhi castani, incontrò quelli freddi di Ginny.

 

“Ginny… ma… tu…”

 

“Non parlare così di Han. Oppure… ”

 

Non riuscì a concludere la frase. Hermione stava piangendo, cercando di singhiozzare silenziosamente. Ginny le lasciò l’arto, portandosi le mani alla bocca, spalancando gli occhi, terrorizzata dalle sue stesse azioni.

 

Che mi succede?

 

“Ginny, tu sei stregata!” gemette Hermione, scuotendole le spalle. “Come ha fatto quel Babbano a ridurti così? Non è un Mago, vero Gin? Non è un Imperius, vero?”

 

La rossa non riusciva  a muoversi, come congelata sul posto: provava un gran desiderio di piangere e abbracciare l’amica, dare la colpa ad Han di tutto quel pasticcio e insultarlo; ma sapeva che non era affatto vero. La colpa era per prima cosa sua. Per cui si limitò a fissare Hermione con occhi vuoti, sperando che l’amica comprendesse quel muto grido di aiuto, che non riusciva a giungere dalle sue labbra.

 

“Signorina, cosa sta facendo alla mia fidanzata?”

 

Le due ragazze ebbero la stessa reazione: brivido.

 

Hermione prese un bel respiro e si asciugò gli occhi con la manica della giacca di velluto blu, per affrontare colui che aveva ridotto in quello stato Ginny. Le lanciò un sorrisetto triste ma rassicurante, stringendo appena le dita nel maglioncino color giada dell’amica, poi si voltò, impettita, pronta ad uno scontro.

 

“Cosa succede qui?”

 

Ginny sobbalzò appena, voltando il capo verso il fratello e Harry che li stavano raggiungendo. D’un tratto si sentiva come schiacciata tra due metà, e la confusione che le annebbiava il cervello.

 

Harry. Han. Harry. Han. Harry. Han.

 

Han sorrise cortesemente, mettendosi alla sua destra e stringendola per una spalla, quasi artigliandola.

 

“La vostra amica ha turbato il mio tesoro.”

 

Hermione strinse le dita a pugno, digrignando appena i denti, furiosa. “Come diavolo l’hai ridotta, mostro? Perché è così pallida? L’hai stregata?!”

 

Han ridacchiò, divertito, muovendo appena la mano, come se avesse una bacchetta. “Io? Mago? Ah, non so farli gli ‘abracadabra’ come voi strambi. Non ne ho bisogno.” Si chinò appena su Ginny, sfiorandole con le labbra la fronte, fissando con intensità e sfida Harry, il quale aveva lo sguardo più freddo che Ron ricordasse.

 

“Ci sono altri modi per legare le donne a sé…” suggerì velenoso, sorridendo appena.

 

D’istinto Harry mosse un passo in avanti, ma Ron lo fermò con un braccio, lanciandogli un vago sguardo d’avvertimento, indicando con il capo Hermione, che intanto era partita alla carica.

 

“Legare qualcuno a sé? Forse è un sinonimo di ‘possedere’?”

 

Han emise una risata gutturale, maliziosa, accarezzando il collo teso di Ginny con una mano.

 

“Oh, . Possederla tutte le notti è senza dubbio una delle cose che più adoro. Ma quale amante non vede l’ora di coricarsi a letto e ricevere piene attenzioni dalla propria donna?”

 

Il pugno di Harry fu veloce e fece girare il collo ad Han, che ricadde a terra, attirando gli sguardi di tutti i Weasley e della signora Joshuel, che gridò isterica.

 

“Brutto figlio di buona donna, che hai fatto a Ginny?!” sputò Harry, prendendolo per il colletto della camicia e portandoselo a pochi centimetri dal volto. Han rideva, con gli occhi animati da una scintilla di gelosia e avidità.

 

“L’ho resa felice, come tu non hai saputo fare.”

 

“BUGIARDO!”

 

Stavolta Han fermò il pugno e contrattaccò con un calcio, buttando Harry a terra, approfittando della pausa per pulirsi con il dorso della mano il rivolo di sangue dal mento, disgustato.

 

Un sogghigno si dipinse su quelle labbra, diabolico e malato.

 

“Ci vuole di più per mettermi al tappeto, Potter.”

 

Harry si rialzò e tentò ancora di colpirlo, dando inizio ad una vera e proprio scazzottata.

 

Ginny li guardava, attonita, boccheggiando confusa. Lottavano, ma per due motivi diversi: gelosia e possesso. Ma, forse, quella di Harry non era solo gelosia… forse era un modo per dimostrarle che poteva lottare non solo per il mondo, ma anche e soprattutto per lei.

 

Una mano di Ginny andò al petto, stringendo le dita sulla maglia, osservando con apprensione i due uomini lottare: una specie di principessa che osservava un duello tra cavalieri, senza capacità di scelta: bianco o nero [senza sapere quale dei due fosse l’altro].

 

Attorno a lei si erano già radunati tutti i Weasley.

 

“Te l’avevo detto che c’erano i fuochi stasera!” esclamò Fred, scambiandosi il cinque con il gemello e divertendosi a ululare tifando per Harry, senza, ovviamente, risparmiare a Joshuel tutti gli epiteti più orripilanti che venivano loro in mente.

 

Lì vicino Arthur Weasley osservava la scena e Ginny, cercando di trattenere un sorriso, accanto alla moglie che balbettava: “Ma Harry si può far male! Caro, fermiamoli!”

 

Arthur la strinse, lasciandosi un po’ andare, senza perdere d’occhio la figlia, che pareva scossa.

 

“Meglio che si sfoghino così, anche se avrei suggerito a Harry qualcosa di meno… violento.

 

Che brutalità!” si stava lamentando Fleur, affondando il naso nella camicia di un sogghignante Bill. “Quel orreur! Bill, mon amour, potresti intervonire?” In risposta il marito buttò indietro la testa, muovendo i lunghi crini rossi, ridendo gutturalmente. Fleur sbuffò, ma si avvinghiò a lui, annusando il profumo buono di colonia che gli aveva regalato, pensando che forse la rissa non era poi tanto male.

 

“Sì! Forza Harry, spaccagli il naso a quel barbone aristocratico!”

 

“Tesoro…”

 

Una scombussolata e agitata Tonks agitò in aria il pugno, gridando un altro: “Bravo ragazzo! Quello sì che è un gancio destro!”, ricordando a Remus un po’ il buon vecchio Malocchio. Lei si girò per guardarlo, con gli occhi scuri che brillavano di eccitazione.

 

“Non è fantastico Remus?! Dobbiamo andare a vedere una volta il wrestling! Mi pare di aver letto qualcosa al riguardo sulla Gazzetta del Profeta per il prossimo mese!”

 

Ovviamente non era salutare per una donna incinta, ma durante quegli intensi mesi di gravidanza Remus aveva appreso a non scontentare la mogliettina. Per cui le sorrise e annuì docile, pensando ai poveri lottatori di wrestling e alla malaugurata visione di una Tonks incinta che li batteva tutti. La preoccupazione per la propria incolumità era risorta con graffi e botte ricevuti durante nottate irrequiete.

 

Anche Remus Lupin conosceva l’autoconservazione e l’egoismo.

 

“Ah!” Hermione, per un soffio evitò di finire nella zuffa: il braccio di Ron e quello di Krum scattarono simultaneamente, allontanandola dalla rissa. Hermione arrossì, avvertendo il disagio di essere tra due fuochi. Un piccolo sospiro le uscì dalle labbra quando incrociò gli sguardi omicidi che saettavano tra i due ragazzi.

 

“Hermioni.” La chiamò dolcemente Krum, massaggiandole il polso, “Tu sta bene, ya?”

 

Hermione sforzò un sorriso. “Sì, certo Vick– ”

 

“Puoi anche lasciarla andare, Krum. Stai toccando la mia ragazza.”

 

“Non mi pare che Hermioni è felice con tu.”

 

“Vuoi fare a botte?!”

 

Hermione sospirò, trattenendo un sorriso. Forse avrebbe dovuto puntare sulla gelosia sin dall’inizio: era stata quella, d’altronde, a rendere così evidente agli occhi del mondo la loro reciproca infatuazione.

 

“Arthur, ti prego, falli smettere! Altrimenti ci penso io!” piagnucolò Molly, osservando con orrore i lividi che già comparivano sul volto di Harry.

 

“Mio figlio non si tocca!” La signora Joshuel, rossa in volto per la rabbia, afferrò Harry e lo spintonò a terra.

 

La flebile sopportazione di Molly Weasley non resse oltre, frantumandosi come lo schiocco di un incantesimo. Afferrò la bacchetta e mugugnò una fattura che respinse i Joshuel sulla soglia di Shell Cottage. La signora Joshuel, oltraggiata e schifata da tanta scortesia, girò nobilmente i tacchi e si avviò impettita verso la vettura parcheggiata sul bordo del lago.

 

Han rimase sulla soglia, ancora dignitoso nel suo aspetto malandato e lanciò un’occhiata d’avvertenza a Ginny. Lei declinò quell’imperioso invito con il mutismo. Delle volte il silenzio può esprimere consenso ma dal tremolio delle mani intrecciate di Ginny, Han capì che si trattava di indecisione. Non gli serviva altro.

 

Con l’atteggiamento di uno che ha perso ben poco, si accomiatò con una parodia di gentilezza dalla famiglia Weasley, sdegnando volutamente Harry, ancora accasciato a terra con un labbro spaccato.

 

“Scordatevi mia figlia” borbottò Molly con una gravità che fece sogghignare i gemelli.

 

Quando la porta di Shell Cottage fu chiusa alle spalle di Han Joshuel, l’intera famiglia si sciolse nel sollievo.

 

Scena perfetta. Pensarono i Weasley (meno Ron, impegnato a tenere Hermione fuori dalla portata delle braccia di Krum), pronti a stappare un’altra bottiglia di spumante.

 

“Ginny…”

 

La ragazza rimase sgomenta, osservando terrorizzata la mano di Harry tesa verso la sua. Una piccola ruga si formò tra le sopracciglia della ragazza, inarcate in un’espressione dura. C’era ancora la larva di un fantasma che le bisbigliava dal ventre.

 

“Vuoi essere il mio cavaliere, Harry? Mi dispiace, ma io non credo che… Non dopo quello che abbiamo fatto, tutti e due. Non subito.”

 

L’atmosfera rimase sospesa nell’incertezza. Il volto indurito e confuso di Ginny tentava di contrastare lo sguardo afflitto di Harry.

 

“Lo so.” Espirò lui, inforcando gli occhiali che aveva tolto per il combattimento.

 

“Non cambio così velocemente di partito.” La voce di Ginny si ammorbidì appena. “Dovrai riconquistarmi.”

 

Scappò per le scale, rifugiandosi ai piani superiori. Harry osò sorridere.

 

‘Forse ho la possibilità di rifarmi.’

 

Ma un sibilo più conscio e saggio lo fulminò dalla cicatrice.

 

Non illuderti.

 

*^*

 [Nuovo Mondo]

 

“Stai calmo e rilassati: devi dimenticare tutti i casini che hai combinato. Questo è il Nuovo Mondo! Adeguati e ripudia le seghe mentali.”

[Johnny Drake]

 

 

“Non ti saprei dire qual è stata la parte migliore. Comunque, amico Dra’ ha delle profonde capacità tecniche al volante… peccato che il volante era dalla parte sbagliata! Pazzesco che gli inglesi guidino sulla sinistra! Quel poliziotto si è divertito un casino a propinargli una multa da duecento dollari.”

 

Johnny si dondolava allegramente su una sedia del salotto, intento in un appassionato resoconto della serata. Samantha lo ascoltava con accondiscendenza e un aperto divertimento. Draco era confinato su un divano sullo sfondo, esaminando con occhio critico e velenoso il volto esuberante di Johnny.

 

Forse in quella casa la ragione e la razionalità erano dei concetti estranei allo stile di vita quotidiano; o forse era solo Johnny Drake, impegnato nella sua crociata patriottica, a voler enfatizzare lo smarrimento di Draco nel Nuovo Mondo.

Anche con la presenza di Samantha e di entrambi i genitori, sapeva di non potersi sentire a casa; sarebbe rimasto perennemente l’ospite straniero.

 

Finalmente Johnny si decise ad uscire dalla stanza con un ampio sospiro soddisfatto. Samantha prese posto accanto a Draco e attese con un mezzo sorriso le velenose critiche del ragazzo.

 

Draco si limitò a socchiudere gli occhi, ingoiando risentimento e disprezzo. “Immagino che lui si diverta ad umiliarmi.”

 

“Non è così” replicò Samantha con serietà “E poi non esagerare, ora sei a casa. Rilassati e mettiti a tuo agio.”

 

Draco storse la bocca, tentando malamente di contenere il disdegno della voce. “Non puoi osare pretendere che io mi senta a mio agio in un posto del genere con delle persone del genere.”

 

Anche se visibilmente offesa  e irritata, Samantha rimase immobile. Draco si sentì colpito dal suo sguardo bicolore e oltraggiato, ma l’altezzosità glaciale da Malfoy gli permise di contenere il rimorso e manifestare un’impietosa ostilità.

 

“Senti, parliamoci chiaro: i Malfoy e i Drake sono incompatibili. Forse questa snervante convivenza può reggere per una settimana, ma io non vedo vita sopportabile aldilà di quella. Siamo solo al secondo giorno e già ci detestiamo a vicenda.”

 

“Non è così” ribatté Samantha.

 

“Ma davvero? Tuo fratello non mi pare l’incarnazione dell’ospitalità. Non ha fatto altro che farci sentire a disagio.”

 

“Non è così.”

 

“Mi ha torturato per tutto il pomeriggio.”

 

“Non è così, ti ripeto.”

 

“E allora? Cosa credi che stesse cercando di fare?”

 

“Diversivo” gli mugugnò una voce all’orecchio.

 

Johnny era riuscito a sgattaiolare silenziosamente alle sue spalle.

 

Draco trattenne un sobbalzo di sorpresa e fece scrocchiare i denti per la rabbia. “Cosa?”

 

“Una piccola distrazione pomeridiana per diradare quella nuvola di depressione che hai sulla zazzera bionda” attaccò Johnny con spensieratezza.

 

Draco gli rivolse uno sguardo impietoso e glaciale: voleva solo annichilire quell’insopportabile brio dalla vitalità della sua voce.

 

Divertissement” proseguì Johnny con il consueto sorriso che, però, aveva una sfumatura erudita “Distrazioni quotidiane. Quando il tuo cervello è afflitto dal tormento la cosa migliore è staccare la spina: sballarti.”

 

“E’ un comportamento da incivili” borbottò Draco.

 

“Ma davvero?” biascicò Johnny con un sorriso vispo “Allora dimmi, amico Dra’, questo pomeriggio hai rivolto anche solo un pensiero alle tue rogne in Inghilterra?”

 

Draco si sentì colpito da un umiliante fendente. Serrò le labbra, convinto che il mutismo avrebbe risanato l’avvilimento.

 

“Sento i tuoi lamenti, amico Dra’. Non ho idea di quello che hai combinato in Inghilterra, ma devi pensarla così: questo è il nuovo mondo, dimentica i casini della madrepatria e comincia una vita nuova!”

 

Draco accolse con approvazione il suo miglior ghigno beffeggiatorio. “Una vita nuova. Una vita misera come la vostra.”

 

L’irritazione scosse Samantha ma Johnny non parve affatto scalfito da alcuna sensazione molesta. “Beh, sarà anche misera, ma almeno io non mi lagno come una femminuccia.”

 

“E’ perché sei stupido” bofonchiò Draco

 

“Credo sia più stupido tu, amico Dra’.”

 

Draco captò il viso di Johnny; la linea delle sue labbra aveva abbandonato il sorriso per distendersi in un’espressione meno impertinente e più caritatevole. La pietà era l’ultimo stadio di umiliazione per l’orgoglio dei Malfoy.

 

“Non ti devi permettere.”

 

“E’ soltanto un’opinione” ammise Johnny con una disarmante onestà “Non fai altro che lamentarti degli infami che ti hanno esiliato dall’Inghilterra e del crollo del prestigio del tuo nome. Ma scusa, se davvero reputi quelle persone degli infami, cosa te ne importa se non stimano la tua famiglia? Non dovresti fregartene se davvero sono delle nullità? Così non fai altro che dare importanza alla loro opinione e contorcerti il fegato dalla rabbia.”

 

Draco fu di nuovo ingabbiato nel silenzio non avendo di che replicare.

 

Johnny piantò i palmi delle mani sul tavolino e si alzò stiracchiandosi. “Però hai la facoltà di non ascoltarmi” E di nuovo la linea delle sue labbra si piegò in un sorriso, cosciente e vivace. “In fondo sono io il vero stupido.”

 

Johnny uscì nuovamente di scena con uno sbadiglio e Draco si ritrovò a mugugnare contro il buonsenso del suo riserbo: “Tuo fratello non è così stupido.”

 

“Lo so” concordò Samantha “fa solo finta di esserlo”

 

“Allora lo è davvero” disse Draco aspramente “Perché dovrebbe fingersi stupido se ha un minimo di cervello da apprezzare?”

 

“Perché crede che le persone comuni cerchino più volentieri la compagnia degli stupidi.”

 

“Ridicolo.”

 

“Affatto” replicò Samantha “Ogni cittadella ha sempre avuto il suo ‘stupido del villaggio’, tutti i villaggi ne desiderano uno. Hai mai sentito richiedere altrettanto sentitamente una persona dotta? No, la compagnia degli stupidi è più apprezzata perché, come ha detto mio fratello, un individuo sballato ti permette di non pensare a nulla di tormentoso.”

 

Draco affondò mollemente contro il divano, dimentico della buona educazione e del contegno.

 

‘Dimenticare i tormenti. Mi servirebbe.’

 

*=*=*=*=*=*=*=*

 

Ma Buon Anno, raga’!

Che soddisfazione, ragazzi! Vedere il sangue di Han Joshuel che finalmente scorre sulle mani dei nostri eroi… e Kaho prova una sorta di sadica soddisfazione nel torturare il mio (ndSamy) povero Draco… hi hi hi…

 

Piuttosto: oh, ma che bello! Harry Potter 7 in italiano! Anche se noi l’avevamo già letto in inglese ^^ Per Kaho va tutto bene, per Samy va tutto bene tranne la calvizie precoce di Draco (-_- … la Rowling lo deve proprio odiare… poi c’è il nome di suo figlio… -_-)

 

rosy823: Eh sì, ti abbiamo lasciato in sospeso e non abbiamo aggiornato presto. Purtroppo i tempi sono questi, sono capitoli lunghini e Kaho ha i suoi tempi da bradipo! XD Comunque speriamo di non averti perso! *_*Grazie! :3

EDVIGE86: Cara fedelissima eccoti qui! *_* Vuoi un altro incontro Ron/Marshall? Voglia di fuochi di artificio anche tu, eh? XD Come vedi la situazione tra le coppie si è un po’ ammorbidita, per fortuna! XD Ci stanno facendo penare… e fanno penare anche voi, ma si sa, abbiamo uno spirito sadico da saziare! ù.ù Lol, Harry e le Terme Mentali è fantastico! XD Sì, è un po’ sfigatello, ma è perché noi lo trattiamo veramente male… nel settimo, il caro Potter fa la sua figura! *_* Grazie del tuo continuo sostegno, sei una grande! *_* Un bacio!

Saty: Visto? Abbiamo pensato a te! *_* Grazie delle email di auguri, noi ti adoriamo, sei sempre così attenta e gentile! ^//^ Thanks! *abbraccio* Eheh! Sono dei grandi i nostri personaggi, vero? X3 E non conosci ancora i migliori! *_* Ad amico Dra’ aspettano molte sorprese sul suolo statunitense… e la sua pazienza sarà messa a dura prova dalla schiettezza americana! XD Proud to be American! *ghgh* Per Ginny, Harry, Ron ed Hermione le cose si stanno smuovendo… lentamente, ma si smuovono! ^-^ Ci complimentiamo con te, perché noti i dettagli e soprattutto ci fai ridere! XDDD Madò, se tu pensi che siano i nostri cortometraggi a essere spassosi in realtà lo sono i tuoi di commenti (semi-deliranti XDDD) e tremendamente simpaticosi, sìsì! Grazie mille, oh fedele! *_* Piaciuto questo? X3

HarryEly: Eh sì, almeno ci sono Remus/Tonks e Samantha/Draco a rallegrarci mentre attendiamo i tempi epici delle altre due coppie! XD E per lo spirito demoniaco… per quello, bisogna aspettare ancora un po’! ^^ Grazie della rec! ^_- Bye!

Nana92: Sì, Johnny, il mitico Johnny! *_* Devi vedere anche gli altri miti, però, che sono altrettanto americani e grandiosi! XD Felici che tu voglia strangolare Han… dai, apriamo un fan club e uniamoci tutte contro di lui! XD yeee! Grazie della recensione, cara! ^_-

sarina87: benvenuta! ^-^ Hai fatto tutta la maratona delle storia? Ò.ò mazza, complimenti, non è facile dato che sono mal lopponi incredibili! XD Comunque, ci fa piacere che ti siano piaciute! *_* Può non sembrare, ma anche a noi piacciono H/G e Hr/R… solo che, ehm, li torturiamo! XD Grazie del commento!

Derfel Cadarn: Anche tu invaghito della Drake Family? XD Sì, sono proprio simpatici! E hai ragione: harry è un cretino. Ma almeno stavolta ha usato i pugni per la TUA Ginny! XD Grazie della rec! ^-^

Elia950: Grazie! ^-^ William è il papà di Samatha… un tipo molto USA! XD Speriamo di vederti anche stavolta! ^-^

 

Per l’anno nuovo siamo state colte da uno scatto di isterica-pazzoide-carica-di-comicità. Così abbiamo scritto degli sketch idioti sui nostri personaggi ^^ Abbiate pietà coi commenti [Attenzione: il seguente pezzo demenziale contiene spoilers, seriamente ^^].

 

Autrici (Samy con gli occhi pieni di terrore): stai bene Draco?

Draco (con le manette ai polsi, un braccio ingessato e un intossicazione alimentare): cosa ne dite? Secondo voi potrebbe andare peggio?

Johnny (comparendo da chissà dove): ciao amico Dra’!

Draco cade a terra con un sonoro *sdang*.

Autrici: Johnny, fai qualcosa!

Johnny: Relax. Take it easy! Prima o poi si risveglierà da solo. Aspettiamo.

*Le autrici e Johnny riescono a guardare tutte e tre le versioni integrali del Signore degli Anelli prima che Draco dia segnali di vita*

Draco (in semi- incoscienza): dove sono?

Autrici: nella nostra fanfiction!

Draco: perché mi fate questo?

Autrici (Kaho più sadica di Samy): perché mamma Rowling non ti ha fatto soffrire abbastanza nel settimo ufficiale!

DracoCanon (materializzatosi dalle pagine di Deathly Hallows): cosa? Io ho sofferto come un cane dentro quel libro! Già nel primo capitolo si preannunciava tutta la mia sofferenza!

Autrici: già, ma mamma Rowling non ha descritto nei dettagli la tua sofferenza, solo vaghi indizi… così, affinché Draco Malfoy paghi le molestie con cui ha vessato il Magico Trio per anni, facciamo soffrire il tuo corrispondente nella nostra fanfiction ^_^

Johnny (strillando come un’aquila): e a questo scopo sono stato inventato io!

DracodellaFanfiction: per essere il mio tormento?

Autrici: per diventare il tuo miglior amico.

DracodellaFanfiction sviene di nuovo.

Autrici: a proposito, Draco©J.K.Rowling, con chi cavolo ti sei sposato?

Draco©J.K.Rowling: prego?

Autrici: nell’Epilogo, chi cavolo era quella ‘wife’?

Draco©J.K.Rowling: mia moglie dite? Oh beh, roba da niente: Astoria Greengrass, sorella minore di Daphne, mia coetanea Serpeverde (notizia assolutamente canon ndAutrici*_*).

Autrici (Samy un ‘tantino’ sconvolta): Astoria… Nome adatto ai Malfoy (nel senso che è strambo)… come hai potuto chiamare tuo figlio Scorpius (come uno di Mortal Kombat *_*)? Ti si è ammattito il cervello? Già Draco era pesante… ma Scorpius? Vuoi che lo tiranneggino a scuola?

Draco©J.K.Rowling (uscendo un po’ fuori dai parametri con una risata satanica): era una vendetta! Così c’è qualcuno con un nome più ridicolo del mio!

Autrici: ehm, c’erano già Ninfadora, Marvolo (o Orvoloson), Agrippa, Bathilda, Elfrida, Aberfoth… blah blah…

Draco©J.K.Rowling (affranto): oh, no! Ho appioppato a mio figlio un nome infame per niente?

Autrici: già. Ma ora, smamma; noi preferiamo il nostro buon Draco che darà a suo figlio un nome più decente.

Draco©J.K.Rowling torna in Deathly Hallows per fare la parte della stazione ‘diciannove anni dopo’ con una calvizie pronunciata (Samy guaisce dall’indignazione).

Il Nostro Draco rinviene.

Draco: che cosa è stato?

Autrici: che nome daresti a tuo figlio?

Draco: perché? Tanto io non ho figli.

Autrici (con occhi da gatto): non è detto…

Draco sviene di nuovo trascinandosi dietro il sipario.

 

Harry: Stupide Autrici! Perchè dovete farmi sempre così stupido!?

Autrici: Perchè lo sei, forse?

Harry: ma non è vero!

Autrici: E invece sì. Presente il primo bacio?

Samy: è solo la Rowling che ti fa ganzo perché sei il suo beniamino. In realtà è più intelligente Draco in versione furetto! XD

Kaho: Oddio, adesso non esageriamo!

Ginny: Non paragoniamo Harry a quel platinato, per favore.

Autrici: Sììì! *___* Schierate contro la Draco/Ginny! (va beh, poi ognuno ha i suoi gusti…)

Kaho: Ricordo, comunque, che i furetti sono stupidi e si buttano giù dai grattacieli. ù_ù

Samy: sono solo miopi e  incapaci di fare una stima delle profondità in verticale, ma non è un grave difetto. Pensa a Harry e ai suoi occhiali da presbite!

Kaho: Infatti io non volevo difendere Harry, sono insultare Draco. Si sa che i miei beniamini sono altri! *___*

Samy: piuttosto... non cadiamo sempre nella citazione di "Draco", ormai sta diventando il signore delle nostre fanfiction - con mia enorme approvazione - parliamo di un nemico comune: Han Joshuel.

Harry: A morte! A morte!

Fangirls H/G: A morte! A morte!

Kaho: Sì, è odioso, ma ha charme. ù_ù

Samy: lo charme aristocratico che evapora nella scazzottata contro i Weasley! XD

Kaho: Già, un vero peccato. I Gemelli! *__* Che belli che sono in questo capitolo! Li adoro! *_*

Samy: anch'io! Sei stata grande, Kaho! Mi è venuta voglia di macchinare una bella cospirazione leggendo il pezzo della cena complottata dai gemelli *__*. Ma al contrario di come molti di voi lettori possano immaginare, ci sarà un Joshuel la vendetta nel prossimo capitolo! Nooo!

Kaho: Tanto, con tutto questo fanclub di morte, avrà vita breve, Samy! XD

Samy: ma prima di morire realizzerà un altro casino nella vita già perennemente sfigata di Harry Potter.

Kaho: Beh, direi di censurarci prima di dare troppi spoiler! ò__ò Alla prossima!

 

 

Siamo a: 3/15 capitoli (1/5 uhooo!)

 

Next: “Reconquista” (tipo quella spagnola ^^ go on, Harry! … ce la farà a riconquistare Ginny nonostante la sua epica sfiga? Lo scoprirete nel prossimo episodio -_^)

 

[N.B. Scusate per la demenzialità di questo pezzo ^__^ Ma era obbligatorio per l’anno nuovo!! Yuhh, ci sono ancora gli strascichi della festa di Capodanno: go on, Kaho_chan! Ma soprattutto: seguite il consiglio di Johnny Drake, Relax, Take It Easy!]

 

Samy & Kaho

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Reconquista ***


 

4. Reconquista

 

 

[Charmed by an Hunter

Equilibri Precari]

 

 

Harry, Ron e Krum, radunati nel salotto di Shell Cottage e in attesa della teoria di cui Hermione aveva sparlato per tutta la mattinata, la fissavano mentre si morsicava il labbro, impaziente di dare spiegazioni con un pesante volume tra le dita, le labbra strette e la fronte corrugata per la concentrazione.

 

Tuttavia la visione di Ron era un poco differente da quella di tutti gli altri. Lui osservava anche i riccioli scuri caderle sulle spalle e le piccole gocce di sudore imperlarle la fronte pallida e lucida. Il lieve ticchettio che faceva con la penna e il callo sull’indice dove solitamente impugnava la penna d’oca.

 

D’un tratto, gli mancò la sensazione di quelle dita che si tuffavano nella sua zazzera rossa, e deglutì, trattenendo la voglia di intrufolare il naso in quei riccioli scarmigliati.

 

Lanciò un’occhiata piena di rimprovero a Viktor Krum, loro ospite per due settimane, un grande onore per la famiglia. Per lui un po’ meno.

 

Hermioni, tu essere molto brava.”

 

Hermione sorrise dolcemente a Krum, portandosi una ciocca riccia dietro l’orecchio.

 

“Ti ringrazio, ma è solo una stupida ricerca. Devo trovare il paragrafo giusto.” Si sminuì, grattandosi una mano, imbarazzata.

 

Ron avvertì le orecchie bruciargli e chiuse le mani a pugno, cercando vanamente di controllare la gelosia, infida, che come sempre lo rendeva cieco e intrattabile.

 

Harry, invece, faceva scorrere gli occhi sulle piccole scritte, sistemandosi gli occhiali di tanto in tanto.

 

Hermione, quindi tu dici che Joshuel è un cacciatore di streghe? Come lo hai capito?”

 

“Innanzitutto, dallo sguardo di Ginny” spiegò Hermione, sfogliando le pagine. “Secondo questo libro, la tradizione vuole che i Babbani del Medioevo, che credevano fermamente nella Magia Bianca ma avevano paura di quella Nera, dessero compito a diverse influenti famiglie di sbarazzarsi degli stregoni. Molte di queste mandavano al rogo donne e uomini che non erano stregoni, ma altre famiglie erano dotate del dono.”

 

“Il Tono?”

 

“Dono, scemo” corresse Ron il brutto accento di Krum, che serrò la mascella, facendolo sorridere. Hermione, però, non pareva divertita.

 

“È quella che i Maghi Puri chiamano ‘sensitività’, cioè quella soglia tra magia e normalità. Si tramanda solo di padre in figlio, solo nella discendenza maschile e ci sono diversi tipi di sensitività: per alcuni è un leggero scorcio di futuro o passato, per altri una magia calamitante e la capacità di avvertire enti magici intorno a sé: questi due sono tipici dei Cacciatori di Streghe” continuò lei in tono serio, indicando qualche immagine. “Si vocifera che siano rimaste al mondo circa dieci di queste famiglie e che professino ancora il ruolo di Cacciatori di Streghe in segreto. Anzi, pare che negli ultimi secoli il loro potere si sia addirittura accresciuto, coltivato sotto i precetti dei Cacciatori del Medioevo, persino mescolando il proprio sangue a quello di Streghe vere.”

 

“Ma è normale? Insomma, è strano che una Strega si sposi con un Cacciatore di Streghe” domandò perplesso Harry, ed Hermione gli sorrise debolmente.

 

“È come se fossero incantate, Harry. Sono attratte dalla forza magica del Cacciatore, dal suo influsso magnetico, allenato nei primi secoli della loro, ehm, ‘attività’ nell’arte di attirare le proprie vittime per poi ucciderle. Questo è il caso di Ginny, o almeno credo… devo solo trovare… ero convinta che fosse a metà libro…”

 

Hermione sobbalzò e indicò trionfante una raffigurazione. “Eccolo! L’albero delle Famiglie di Cacciatori di Streghe! Fammi controllare… sìsì: c’è proprio Joshuel!” esclamò entusiasta.

 

“Ce l’hai fatta, Hermioni!” si congratulò Viktor, sorridendole.

 

Ron sbuffò. “Logico che ce l’avrebbe fatta…”

 

La sua affermazione non piacque né a Hermione né a Krum. Ron deglutì, ancora con la sgradevole sensazione che il suo ‘territorio’ fosse minacciato.

 

“Qui dice che è una delle famiglie più antiche… di origine spagnola e- mh, sembra proprio che il potere sensitivo sia quello di far confessare e manipolare le menti delle Streghe, potere strettamente maschile, attraverso gli occhi…”

 

Harry, immobile, leggeva avidamente il piccolo paragrafo dedicato alla famiglia Joshuel, i pugni stretti lungo il corpo.

 

Hermioni, tu speciale! Solo tu potevi trofare cuesto.

 

Hermione arrossì di piacere. “Viktor, smettila sul serio. Mi imbarazzi!”

 

“Infatti: smettila!” esclamò Ron, mangiando con enfasi una nocciolina presa da un portacenere. Un po’ troppa enfasi, in effetti.

 

Hermione roteò gli occhi.

 

“Ron smettila di fare così! Harry, aiutami tu a…”

 

Harry non ascoltò la supplica di Hermione, perché, semplicemente, si era estraniato da Shell Cottage.  L’immagine di Ginny assente e servizievole gli martellava in testa, ed Harry avvertiva un leggero disagio, simile ad imbarazzo o senso di colpa.

 

Si sentiva stordito e arrabbiato, e non sapeva bene se con se stesso, il mondo o semplicemente con Han, per aver cambiato Ginny e averla allontanata da lui.

Lei era ancora lontana, a metà tra lui e Han, indecisa. E questo perché Han l’aveva stregata, inconsciamente forse, ma l’aveva legata a sé senza considerare la sua opinione. La rabbia prevalse sull’amarezza e sul sibilo sinistro della cicatrice, che pulsava sotto la pelle, donandogli notti insonni.

 

Senza ascoltare la voce di Hermione che lo richiamava, Harry si precipitò al camino di casa Weasley e buttò la Polvere Volante a terra, gridando “MINISTERO!”, convinto che l’accesso a lui, l’Eroe, non sarebbe stato mai negato.

 

Voleva assolutamente avere giustizia. E il Ministero non gliel’avrebbe negata di certo… anche se lui l’aveva negata a loro.

 

*^*

 

Are you ready? Pronto per fronteggiare l’avversario, amico Dra’?”

 

Johnny colse Draco in una sonnolenta contemplazione del soffitto. Affondato comodamente in una soffice poltrona, il giovane Malfoy si stiracchiò, squadrando Johnny con palese aria di sufficienza.

 

“Di cosa stai parlando, Jonathan?”

 

Johnny si acquattò vicino alla poltrona, assumendo un’aria guardinga.

 

“Louis è venuto qui per portarti via Samantha.”

 

Draco sbuffò evidentemente scocciato, lasciandosi scivolare più a fondo nei risvolti di cotone della poltrona.

 

“Non ho idea di chi sia questo Louis, per quanto ne so potrebbe essere un parto della tua mente deviata. E poi, non mi pare che Samantha sia il tipo che si lascia portare via.”

 

“In effetti non lo è, amico Dra’. Ma io conosco mia sorella e ti dico che potrebbe decidere di lasciarsi portare via per vedere come reagisci tu. C’mon, e conosci il tuo nemico.”

 

Johnny lo artigliò ad un braccio con la rudezza che tanto bene si confaceva al suo spirito e Draco fu costretto a seguirlo, scrocchiando i denti con esasperazione.

 

“E dunque conosciamolo questo dannato nemico!”

 

Trascinato da un impaziente Johnny nell’atrio di casa Drake, il giovane Malfoy si trovò alquanto spiazzato nell’intravedere una figura d’ospite più minacciosa di quanto credesse. Samantha stava conversando abbastanza spigliatamente con uno sconosciuto dalla pelle ambrata, ricci capelli castani chiari e il tipico sorriso lascivo di chi ama evidenziare il proprio ascendente seduttore.

 

Draco lievitò leggermente, ancora concentrato nella critica distruttiva dell’ospite, quando Johnny sbucò alle sue spalle, bisbigliandogli all’orecchio.

 

“Il nemico sembra pericoloso, ma non lo è.”

 

Draco soppresse un ringhio acuto per evitare che l’ospite si accorgesse della loro presenza, ma il tono indispettito fu comunque marcato.

 

“Io sono appena uscito da una guerra e non ne comincio un’altra solo perché Samantha ha voglia di vedermi geloso. Perché mi dici tutte queste cose, comunque? Non sarebbe più comodo per te vedere tua sorella con un altro uomo?”

 

“Non esattamente” lo contraddisse Johnny “Ma ti posso assicurare che tutto il mio animo verte contro Louis.”

 

Johnny deviò lo sguardo verso l’ospite, assottigliando gli occhi in un’espressione drammaticamente ostile.

 

“Quello è un tipo ambiguo. A quanto ne so, pare che la sua lingua madre sia lo spagnolo perché è per metà messicano e già qui siamo decisamente fuori rotta, vincerebbe il premio Nobel dei meticci – alle spalle del giovane Drake il cameriere Pablo, che transitava per l’atrio con uno scopettone sulle spalle, ebbe uno scatto indistinto – Poi che razza di nome è Louis? Ha un olezzo francese, decisamente sudista, e pare che lui odi anche la Louisiana. Non ti sembra un accenno di masochismo?”

 

Draco storse la bocca anche se dalle critiche di Johnny aveva tratto un diabolico senso di conforto. Il giovane Drake insistette nel puntare l’ospite con uno sguardo da rapace incollerito, sempre ben attento a non farsi scoprire.

 

“Osservalo bene, amico Dra’. Sembra palestrato, ma ha i riflessi di un bradipo addormentato. Una volta gli ho tirato addosso una Quod, per caso, e lui non è riuscito ad evitarla – scosse la testa, palesando la sua bieca indignazione – Ha dei riflessi penosi.”

 

Il ricordo della tormentosa giornata prima scattò nella memoria di Draco e lo fece sibilare con il veleno sulla lingua.

 

“Hai intenzione di tirare una Pluffa esplosiva anche addosso a me? E’ forse parte di quella batteria di torture che usi per testare i fidanzati di tua sorella?”

 

Johnny ritornò quieto alle spalle di Draco, una mano sul cuore e un’espressione sognante sul viso.

 

“Mi spiace, amico Dra’, io sono pacifista: assolutamente contro le torture. Comunque non c’è stato niente di premeditato quando ho tirato la Quod addosso a Louis.”

 

“Il verbo ‘tirare addosso’ implica l’intenzionalità del gesto” puntualizzò Draco con acidità.

 

“Arguto! Ma perché non usi tutta questa arguzia dialettale per riconquistare mia sorella?”

 

“Tua sorella è già mia e quindi non devo riconquistarla” borbottò Draco.

 

La linea delle labbra di Johnny si accartocciò appena in un curioso ghigno provocatorio.

 

“Ti avverto, amico Dra’: Louis è anche un maniaco.”

 

Draco alzò le spalle con sdegno.

 

“E tu non lo sei?”

 

“Almeno io lo ammetto. Quelli peggiori sono i ‘visi d’angelo, spirito da belzebù’. E Louis è così: falso. Tu sei meglio, amico Dra’, perché fai tanto lo scorbutico, il superiormente distaccato, il grand’uomo d’Inghilterra e anche l’irriducibile amante gentleman, ma secondo me sei un tipo che non conclude con le donne.”

 

Un lungo brivido scosse l’impassibilità di Draco e la sua voce austera e distaccata cominciò a traballare di rancore.

 

“Ti sbagli, perché io tua sorella me la sono già… Siamo piuttosto intimi.”

 

Contrariamente alle aspettative di Draco, Johnny assunse un’aria sbarazzina. “Questo lo so, che siete piuttosto intimi. La prova è la scorsa nottata.”

 

Draco sobbalzò ancora, trattenendo a stento l’impulso di saltargli alla gola. “Come puoi tu…? Non te l’avrà detto Samantha?”

 

“No, mia sorella è piuttosto discreta su queste cose. E’ solo che io ho un’efficiente rete d’informazioni.”

 

“Che genere di rete?”

 

“Dettagli insignificanti – una mano sventolante carica di nonchalance concluse il discorso – Piuttosto, concentriamoci sul nemico.”

 

Maledicendo mentalmente Johnny, Draco tornò alla segreta contemplazione dell’ospite. Sembrava molto deliziato dalla presenza di Samantha tanto che non la smetteva di ridere e sogghignare. Si interruppe solo per un istante e Draco ebbe la sgradevole sensazione di essere stato colto in fragrante dalla sua postazione di spionaggio. Ma il guizzo ostile di Louis era rivolto a Johnny.

 

“Oh, ma guarda, c’è il tuo simpaticissimo fratello.”

 

Louis aveva una voce piuttosto suadente e non si faceva fatica a riconoscervi uno spiccato senso ironico.

 

Johnny storse le labbra in un sorriso di forzata convenienza.

 

“Louis – liquidò il benvenuto con una stanca mano svolazzante – Ti voglio presentare amico Dra’. Lui è l’attuale amante di mia sorella.”

 

Draco si sentì spintonare in avanti da una poderosa pacca di Johnny, rischiando di incespicare e considerando vivamente l’ipotesi di ucciderlo. Ma le sue priorità omicide si riassestarono quando Louis lo squadrò con una smorfia insoddisfatta e dubbiosa.

 

“Quindi tu mi hai rimpiazzato con questo, Samy?”

 

Un altro fulmine di rabbia percosse Draco e la voce tonante di Johnny alle sue spalle servì solo per infiammare la sua collera.

 

“Ti ha chiamato ‘questo’, amico Dra’. Rispondigli per le rime, imponi la tua magistrale presenza: il barone della Scozia cisalpina.”

 

Oltre il ribollente impulso di strangolare Johnny e incenerire Louis, Draco trovò la stabilità della propria voce guidato dall’irreprensibile e glaciale contengo dei Malfoy.

 

“Grazie, Jonathan, ma ce la faccio da solo.”

 

Mosse un passo da vero dignitario verso Louis, contrastando la sua smorfia con un’altezzosità da nobiluomo.

 

“Io sono Draco Malfoy.”

 

Per palesare la sua ostilità secondo etichetta, rifiutò all’ospite la stretta di mano e anche Louis si limitò ad affondare le mani nelle tasche e a strascicare la voce più sgarbatamente che poteva.

 

“Louis Torquemada. Sei inglese?”

 

“Esatto.”

 

Louis ghignò ancora, cercando il viso di Samantha alle sue spalle.

 

“L’hai conosciuto in guerra, Samy, non è così? Ora mi spiego molte cose. La guerra incentiva la pietà e la pietà spinge ad accostarsi ad esseri che non si sarebbero degnati neanche di uno sguardo in condizioni normali.”

 

Samantha sorrise ad entrambi e Draco si rese conto che la ragazza sembrava solo genuinamente divertita dall’intera situazione.

 

“Può darsi che ci sia un po’ di verità in quello che dici, almeno all’inizio. Ma, come puoi vedere, ormai ho scelto lui” disse Samantha.

 

Draco socchiuse gli occhi verso Louis con un sogghigno mellifluo ma Torquemada assunse solo un’espressione più posata.

 

“Sii seria, Samy. Non preferirai davvero questo fuscello palliduccio a me?”

 

Draco assottigliò lo sguardo e ridacchiò appena.

 

“Normalmente non degnerei neanche di un’occhiata un tipo come te, ma forse la tua ridicola illusione comincia a farmi pietà e la pietà non è adatta ad un Malfoy.”

 

Draco vide le narici di Louis che tremavano di rabbia.

 

“Fuori di qui” scandì Draco infine, autoritario.

 

Louis storse la bocca. “Non puoi dare ordini, non è casa tua.”

 

Johnny irruppe nella discussione, piazzandosi tra Draco e Louis con la posa infallibile e gloriosa di una statua epica.

 

“Ma è casa mia. Fuori di qui!”

 

Louis fissò Samantha per chiedere conferma. Lei scosse il capo.

 

“Puoi restare, Louis. Accomodati in salotto.”

 

Torquemada ghignò soddisfatto verso Draco e Johnny, seguendo Samantha.

 

Johnny si chinò verso Draco, bisbigliando. “A mia sorella piace essere la disputa di una contesta. Pronto a difendere la tua donna, amico Dra’?”

 

“Non c’è motivo che mi sforzi. Samantha è praticamente già conquistata” borbottò Draco.

 

Johnny prese a fischiettare con nonchalance alle sue spalle. “Self-confident.”

 

*^*

[Chiedere Giustizia

The Hero Will Drown]

 

 

Harry arrivò nell’ufficio del Ministro in una nuvola di polvere; tossì per via della cenere, che aveva ingoiato e della foga con cui aveva agito. Si pulì le lenti degli occhiali nel mantello impolverato, rizzandosi per avere una parvenza di contegno.

 

“Ministro, le devo parl…” le parole gli morirono in gola.

 

Davanti a lui, il comandante Marshall aveva smesso di compilare una scheda per osservarlo, palesemente divertito dalla sua entrata in scena.

 

“Signor Potter, il nostro eroe.

 

Harry s’irritò al tono apertamente canzonatorio e beffardo con cui lo salutò Marshall.

 

“Cosa posso fare per lei, signor Potter?”

 

‘Tagliarti quella lingua biforcuta!’

 

“Ho bisogno di parlare con il Ministro Gray” affermò Harry con decisione e astio, stringendo il mantello a pugno, convulsamente.

 

Gli pareva che la rabbia si stesse consolidando, travolgendolo come la marea fa con la spiaggia, in maniera così violenta da stordirlo. E la cicatrice pulsava, procurandogli una forte emicrania e la corruzione che quella gli dava con incontinenza.

 

“Lo sto sostituendo io, non c’è al momento” gli rispose serafico Marshall, scarabocchiando qualcosa su d’un foglio, con aria distratta. “È andato a fare due passi vicino alla tomba di Albus Silente.”

 

Harry sussultò vistosamente, e Marshall si concesse un ghignetto sadico. “Vogliamo erigere un monumento in onore degli eroi che sono morti o che hanno combattuto in questa guerra… e ci chiedevamo, per la seconda volta, se tu volessi essere un eroe, Potter.”

 

Harry strinse i denti, sia per la proposta sia per il dolore che si era fatto più acuto.

 

‘Così da stare in mezzo a tutti questi ingrati umani? Mai.’

 

“Me l’avete già chiesto e sapete la mia risposta” ribadì animoso, lottando con lo sguardo divertito e ironico di John Marshall. “Ho problemi ben più urgenti da risolvere.”

 

“Oh” rise Marshall con più sadismo che allegria “Immagino che problemi affliggano quel tuo cervelletto di adolescente in piena crisi ormonale: donne.”

 

Sputò con aria saputa ed Harry non poté impedirsi di spalancare gli occhi dietro le lenti,  colpevole, suscitando nuovamente il riso del Generale.

 

“E, sentiamo, cosa c’entra questo tuo problema con noi?”

 

Harry tentò di ignorare l’odio che provava nei confronti di quel viscido personaggio, spregevole quanto antipatico. “Giustizia.”

 

“Non sei l’unico a chiederla.” Marshall appoggiò la penna d’oca nel calamaio, si distese sulla poltrona e con un gesto lo invitò a spiegarsi.

 

Harry prese un respiro profondo.

 

“Si tratta di un uomo, Han Joshuel. Voglio che il Ministero se ne occupi, che faccia qualcosa… ha incantato una Strega, Ginny Weasley… e l’ha costretta a fare delle cose…”

 

Marshall emise un ‘uhm’ pensante, e inarcò lievemente le sopracciglia, promettendo ben poca disponibilità. “Insomma, vuoi vendetta, ragazzino?”

 

Vendetta.

 

La parola gli risultava crudele e meschina, ma incredibilmente affine al suo caso; Harry si portò la mano alla cicatrice, cominciando a sfregarsela con forza, inorridito dal sentimento caldo che gli aveva sciolto il petto con tepore.

 

“Voglio solo ciò che si merita” corresse, tentando di placare il dolore martellante.

 

‘Chi rovina una parvenza di famiglia, merita la morte.’

 

Marshall sorrise pigramente, incrociando le mani sotto il mento. “Rappresaglia, dunque? Vuole questo il Prescelto?”

 

Harry non rispose, limitandosi a ricambiare lo sguardo, incolore.

 

“Di questi tempi ci sono molte persone che chiedono giustizia al Ministero. Ma preferiamo occuparci della ricostruzione: dopo verrà la giustizia” commentò pacato Marshall, riprendendo la penna tra le dita, imbevendola di inchiostro nero.

 

“Allora bisognerà aspettare un bel po’” fece notare piccato Harry, non veramente interessato alla questione, se non perché di ostacolo al suo obiettivo.

 

Marshall gli lanciò un’occhiata ambigua, pensierosa. “Ma alla fine sarà vera giustizia: è questo l’importante, non credi?” Firmò una carta e intinse il marchio del Ministero nell’inchiostro. “Piuttosto, chiarisci il tuo caso. Credo che se non facessi un’eccezione per sua Maestà il Prescelto, verrei mal visto da tutti. Cos’ha fatto questo tipo alla tua ragazza? Cose sconce? Forse con un Imperius?”

 

Marshall era il vero re dell’Ironia con la maiuscola, graffiante e umiliante. Tuttavia Harry riuscì a controllarsi, abituato ad anni di calunnie alle spalle e alle critiche sardoniche di Malfoy; per un attimo – solo qualche secondo – si trovò a ringraziarlo per aver messo più volte alla prova la sua pazienza.

 

“Si chiama Han Joshuel ed ha incantato una Strega grazie alla caratteristica genetica della sua famiglia di Cacciatori di Streghe” spiegò seccato Harry, drizzando le spalle. “Oltre ad averla manipolata, confusa, e usata” il solo pensiero, gli dava ancora la nausea “l’ha allontanata dalla sua famiglia.”

 

“Cacciatore di Streghe… proprio un bel soprannome. E tu?” indagò curioso il Generale, alzando appena gli occhi.

 

Harry si sistemò gli occhiali sul naso, mentre il dolore alla cicatrice scemava leggermente.

 

“Gli ho tirato un pugno… ed è scoppiata una piccola rissa.”

 

Marshall scoppiò in una fragorosa risata, bloccando la mano che stringeva il timbro in aria. “Oh, ma che brutto individuo, questo Joshuel!” lo ridicolizzò, mentre batteva sul tavolo il timbro, lasciando un segno antrace sulla carta, e probabilmente anche un bel buco. “Il povero signor Potter chiede giustizia perché non sa tenersi attaccato alla gonna della sua donna! Oh, non ti preoccupare, Prescelto: ti aiuteremo noi con il maghetto che t’ha rubato la bella…” sogghignò, lasciando un’altra firma.

 

“È un Babbano” precisò Harry scontento, digrignando i denti e ripetendosi di non reagire alle provocazioni.

 

“Ah.” Commentò neutro Marshall, assumendo un’aria più grave, quasi dispiaciuta. “Allora non possiamo far nulla per voi, eroe mancato.”

 

Harry strabuzzò gli occhi, e posò le mani sulla scrivania, con un forte tonfo.

 

“Come?” scandì indignato, osservando con astio Marshall, che, rilassato, lo liquidò con un cenno di mano.

 

“Suvvia Potter, ti facevo più sveglio. Hai idea di come sia visto un Mago che attacca un Babbano di questi tempi? Alla pari di un Mago che condivide gli stessi ideali di un Mangiamorte, ergo come un traditore dei buoni principi dei Maghi.”

 

“Questo è assurdo!”

 

“Ma non è la verità, Potter?” Lo sguardo freddo e ammonitore di Marshall congelò Harry. “La gente ha paura e non riesce a vedere le sfumature. In questo dopoguerra esistono solo i bianchi e i neri: appena un uomo commette o sostiene un’idea che sa vagamente di razzismo magico, è condannato al disprezzo, persino se si tratta del Ministro o del Prescelto.”

 

Harry deglutì, tentando debolmente di controbattere quello che, lui lo sapeva, era la verità, pura e semplice, buttatagli in faccia dallo schietto Marshall. “Ma… io come faccio a…?”

 

“Riprenditi la tua donna da solo, Potter” fu la laconica risposta di Marshall “Io ho altro da fare che rimediare alle tue pecche da Romeo.”

 

“Quindi” riprese Harry, perplesso, accarezzandosi la fronte. “Mi sta consigliando di fare giustizia da solo? Anche se dovessi fare molto male a Joshuel? Non è una politica corretta.”

 

“E cosa lo è, oggi?” Il sorriso pigro di Marshall era vagamente tirato. “Come ho appena detto, il Ministero non può fare giustizia. Quindi la giustizia se la crea ognuno per conto suo. “

 

“Ma… questo creerebbe l’anarchia!”

 

La sola idea di incantesimi che volavano e la confusione così simile alla guerra, atterrirono Harry, stanco e ancora ferito da una Guerra prima fredda e poi sul campo, che lo aveva cambiato e con lui il mondo che conosceva. Non c’era più ordine. E la visione di una nazione con regole giuste e diritti per tutti dov’era? Solo una favoletta per bambini?

 

“La eviteremo creando unità speciali e nuovi dipartimenti” soggiunse Marshall con leggerezza.

 

“Non basteranno se non intervenite subito.”

 

Le dita di Marshall si contrassero contro la penna: evidentemente il generale era infastidito.

 

“Ora la priorità è ricostituire il Ministero. Da qui partiranno poi tutte le varie strutture e ricostituiremo anche tribunali per la giustizia, sancita da norme che discuteremo.”

 

“Ma voi…”

 

“Potter, mi sono stancato di te” lo interruppe brusco e sibilante Marshall. “Se non te ne vai, ti butto a calci in culo fuori di qui… Riprenditi la tua donna e smettila di infastidire. Possibile che tu non sia capace di fare nulla da solo?”

 

La cicatrice si contrasse ed Harry sussultò piano, felice che Marshall non l’avesse notato.

 

“Non possiamo fare nulla, mettitelo in quella tua zucca vuota” sbottò Marshall irritato, facendogli cenno di uscire. “Buona giornata.”

 

Harry strinse le labbra, e afferrò un po’ di Polvere Volante.

 

Buona giornata?” commentò con amarezza, chiudendo gli occhi. Magari lo fosse stata.

 

La cicatrice si strinse ancora e una voce fredda gli sibilò all’orecchio.

 

‘E’ tutta colpa tua, non sei capace di fare niente. Sei troppo debole per proteggere le persone a cui tieni.’

 

Shell Cottage.”

 

*^*

 

Ron dondolava spaparanzato su uno dei nobili dondoli della famiglia Black. Ormai Grimmauld Place era divenuta la nuova dimora della famiglia Weasley. Hermione sfogliava febbrilmente un manuale di giurisprudenza magica, accovacciata sul divano del salotto.

 

“Ho pensato ad una cosa” accennò Ron, rivolgendosi ad Hermione.

 

Lei smise di sfogliare le pagine ingiallite ma non staccò gli occhi dal vecchio manuale.

 

“E se mi unissi al Ministero?” continuò Ron.

 

Hermione manifestò un leggero tono di sorpresa. “Proprio tu?”

 

“Non ai piani alti del Ministero…” puntualizzò Ron, quasi tentando di discolparsi “Forse come mio padre.”

 

“Manufatti babbani?” chiese Hermione.

 

“Neanche quello, direi qualcosa di più combattivo.”

 

Auror?”

 

“No.”

 

“Non mi dirai Eclitti?”

 

Una smorfia contrita piegò le labbra di Ron. “Oh, per Merlino, Marshall proprio no.”

 

Hermione ritornò a sfogliare il manuale, scorrendo il dito lungo un vecchio editto del Wizengamot.

 

“Beh, Ron, hai appena esaurito le scelte possibili.”

 

“L’Ordine della Fenice” dichiarò lui con decisione.

 

Hermione scosse la testa facendo traballare i riccioli castani. “L’Ordine non fa parte del Ministero e ormai è quasi tutto sfaldato; i membri si sono dispersi un po’ dappertutto.”

 

Ron chinò appena il capo con aria ombrosa ma sicura. “Lo so che molti membri dell’Ordine sono morti come Moody e Albatros o sono impegnati in altro come Shacklebolt… Ma in fondo Moody ci ha addestrato, no? E se provassi a restaurare l’Ordine e lo facessi diventare un gruppo regolare come gli Auror?”

 

Hermione diede una scorsa ad un ennesimo articolo inconcludente e liberò un sospiro. “Non hai paura che l’Ordine possa rimanere troppo influenzato dal Ministero?”

 

“Ma no, Hermione” sbuffò Ron con una sorta di nervosismo trattenuto “Il Ministero è debole, non ha molta autorità, hai visto com’è ridotto? E poi non può avere potere assoluto.”

 

L’espressione di Hermione non si sbilanciò né sull’accondiscendente, né sulla contrariata. “Ma come pensi di guadagnarti il permesso e l’autorità di fondare una tua personale squadra all’interno del Ministero?”

 

“Innanzitutto, chiederò al capo degli Auror di sottopormi al test per verificare le mie doti di combattente, poi si vedrà.”

 

Ron fissò Hermione trionfante, forzando un sorriso e tentando di invogliarla alla comunella, ma l’espressione di lei rimase posata, assorta in una delibera particolarmente complessa del Wizengamot.

 

“Dai, Hermione, non fare la guastafeste!” grugnì Ron.

 

Hermione chiuse di colpo il manuale, ormai dimentica di tutto ciò che vi aveva letto. “Qui si tratta di buon senso, Ron.”

 

“Non credi che possa superare il test?” le chiese Ron con voce risentita.

 

“Credo che gli Auror non abbiano tempo ora per sottoporti ad un test” puntualizzò lei con irritazione.

 

Ron fece un sorrisino piuttosto sbieco. “Tentar non nuoce.”

 

“Non andare avanti a luoghi comuni, Ron, non è prudente” consigliò Hermione con un atteggiamento consapevolmente seccato.

 

“Oh, Hermione!” sbottò Ron, forse troppo bruscamente “Sei sempre stata critica, ma ora esageri.”

 

“Questa guerra mi ha fatto uno strano effetto, sai Ron?” disse lei in tono acido.

 

“Me ne sono reso conto, grazie” replicò lui.

 

Anche Hermione si sentì solleticare le labbra da un broncio, ma decise di fare appello al suo ragionevole controllo. “Ascolta, Ron, prima mi fidavo di un sacco di cose a occhi chiusi, quasi speravo con abbandono. Ma ora sento di aver bisogno di certezze assolute, mi capisci, vero?”

 

Ron sentì che il broncio si allentava mentre un amaro senso di dispiacere gli saliva in gola. “Certo.”

 

“Bene” singhiozzò lei.

 

Hermione?” mugugnò Ron con un fastidioso groppo in gola “Tornerai a fidarti, mi auguro.”

 

“Credo di sì… Tra un po’” aggiunse lei, mordendosi il labbro.

 

“Spero non troppo” confessò Ron con una smorfia mesta. “E spero con la persona giusta.”

 

Lo sguardo di Ron si perse oltre la porta del soggiorno, dove Victor Krum stava intonando una filastrocca da tifoseria di supporter bulgari.

 

Hermione ridacchiò, artigliando il manuale che teneva stretto in grembo. Ron la salutò appena, impacciato dall’atmosfera tesa d’imbarazzo e si allontanò a grandi passi ritmati com’era suo solito fare in situazione scomode.

 

“Buona fortuna, Ron” bisbigliò lei quando fu sicura che Ron non la potesse sentire.

 

*^*

 

Albert Gray entrò nel suo Ufficio scortato da due Maghi massici, entrambi vestivano una divisa neutrale.

 

Accomodato su una delle poltrone davanti alla scrivania, John Marshall lo attendeva con un sogghigno di benvenuto.

 

“Ultimamente sorride molto spesso, Ministro Gray.”

 

Albert accentuò il suo sorriso, accomodandosi alla scrivania e congedando le guardie del corpo. “E’ tempo di sorrisi questo.”

 

Marshall storse il naso. “Direi di no, con un quarto di Londra babbana e meticcia affamata di vendetta.”

 

Albert intinse il personale calamaio nell’inchiostro e siglò un documento dall’aria ufficiale. “Addirittura un quarto?”

 

“Prima della guerra, il censimento riportava un decimo” disse Marshall in tono melenso.

 

Il Ministro abbandonò la pila di documenti e rivolse tutta la sua attenzione a Marshall. “Uno a dieci, com’è sempre stato il rapporto tra Maghi e Babbani.”

 

“Esatto, ma durante la guerra molte informazioni sono trapelate e l’Ufficio della Magia Accidentale e lo squadrone degli Obliviatori non sono stati in grado di tenere il passo con gli attacchi dei Mangiamorte” spiegò Marshall con una sorta di disgusto nella voce “A quanto pare molti Babbani con parenti Maghi o meticci hanno avuto modo di apprendere la vera natura dell’attentato terroristico a Londra.”

 

Albert accennò, liberando un sospiro quasi melanconico. “Il Primo Ministro Babbano non ha gestito la situazione come meglio si addiceva. L’evacuazione di Londra è stata molto confusionaria per i Babbani.”

 

“E, infatti, il Primo Ministro è stato destituito… un crollo di Governo, o qualcosa di simile alla babbana.”

 

“Lo so, pare che oggi si decida per il nuovo Primo Ministro.”

 

“Intende organizzare un colloquio?” chiese Marshall con un vago interesse.

 

“Sì, il prima possibile. Voglio stabilire le priorità per il dopoguerra.”

 

“Ossia?”

 

“Rapporti più chiari e lineari tra Maghi e Babbani, più cooperazione nella ricostruzione di Londra” asserì il Ministro, accarezzando distrattamente il plico di documenti.

 

Marshall si ricompose sulla poltrona e parve voler celare un sogghigno. “Senza offesa, ma lei sogna, Ministro Gray.”

 

Albert rimase integerrimo nella compostezza del suo sorriso. “Non necessariamente, colonnello Marshall.”

 

“Prima di tutto, dove crede di trovare i fondi per la ricostruzione dei settori magici di Londra e del Ministero?” domandò Marshall senza preoccuparsi di celare l’ironia.

 

“Per nostra fortuna molti dei Mangiamorte erano degli opulenti Maghi Purosangue.”

 

Lo sguardo di Marshall si accese e la linea delle sue labbra si ricompose in un ghigno di trionfo. “Astuto, così potremmo confiscare tutti i loro beni. Ma come la mettiamo coi Goblin della Gringott? Solo i Goblin hanno l’autorità di accedere ai sotterranei imbastiti d’oro e non lasceranno che il Ministero interferisca coi loro affari. Ricordi gli spinosi rapporti tra i Goblin e il precedente Ministro Cornelius Caramell, detto lo Spaccagoblin.”

 

“Dovremo sanare questo conflitto.”

 

“Si tenta di sanarlo da decenni” precisò Marshall con una smorfia.

 

Il Ministro si accasciò contro lo schienale, fissando brevemente il soffitto con aria fatale. “Io ce la farò.”

 

Marshall storse la bocca, cogliendo il guizzo un poco invasato di Albert. “Convito lei, Ministro.”

 

Albert tornò a fissare Marshall coll’ormai abituale sorriso di convenienza. “Pare che l’autorità del Ministro della Magia non riscuota molta simpatia, non è così, colonnello?”

 

Marshall si scosse sulla poltrona, ricomponendo la sua espressione scocciata in una più cordiale. “Ministro, lei non deve fare caso alle mie maniere. Tendo sempre ad essere sgarbato con chicchessia. Le faccio le mie scuse.”

 

“Scuse accettate, ma tuttavia il problema resta. Come può un uomo privo di carisma e autorità dirigere un Paese che è uscito da una tremenda guerra?”

 

“Non è messo così male, Ministro” asserì Marshall con una voce che intendeva solamente dispensare condiscendenza “Si ricordi dell’Emblema della Gloria, il piccolo eroe: Jeremy Smith.”

 

“Il piccolo Jeremy terrà buona l’opinione pubblica ancora per poco. Io necessito di autorità ora.”

 

Marshall non poté evitare un sogghigno. “Incredibile… ancora senza offesa, Ministro… ma mi risulta difficile credere che l’incorruttibile e onesto Albert Gray brami potere.”

 

“Lo faccio per il bene del Paese” affermò Albert con un’occhiata seria.

 

“Certo” annuì Marshall e ancora fu palese la sua falsa docilità.

 

Albert lo scosse con uno sguardo risoluto, carico di audacia. “Rafforziamo il potere esecutivo del Ministero, del Ministro.”

 

“Vuole instaurare una specie di dittatura?”

 

“Esatto” confermò Albert “Ma voglio che non venga percepita come tale dalla popolazione.”

 

“Beh, la trovo una soluzione sensata. In tempi difficili, è logico che una figura autoritaria prenda potere assoluto per risolvere le cose.”

 

“Vedo che ha compreso la situazione, colonnello, ne sono soddisfatto. Sa, è da molto che meditavo su una sua promozione.”

 

La voce di Marshall si fece di colpo più remissiva e disciplinata. “Davvero?”

 

“Che ne dice di assumere piena autorità di generale sullo squadrone degli Eclitti?”

 

Marshall si riaccomodò sulla poltrona, una lieve delusione gli piegava le labbra. “Beh, Ministro… in una certa misura lo ero già durante la guerra.”

 

Albert sorrise con una sfumatura di sufficienza. “E se facessi degli Eclitti non solo uno squadrone alle dipendenze dello stendardo del defunto Scrimgeour, ma una brigata regolare del Ministero con potere dignitario ed esecutivo più forte di quello degli Auror?”

 

“Si potrebbe fare.”

 

“E naturalmente lei sarebbe riconosciuto come capo e fondatore della brigata. Entrerebbe nei libri di Storia della Magia.”

 

Le labbra di Marshall si piegarono ancora in un sogghigno. “Sì, decisamente si può fare.”

 

“Bene” assicurò Albert “A proposito, Generale Marshall, mi è giunta notizia che Harry Potter ha intrattenuto un colloquio con lei questo pomeriggio.”

 

“Infatti, ma non ci siamo detti nulla di rilevante. Lui voleva giustizia per la sua ragazza, credo.”

 

“Giustizia?” scandì il Ministro con una sorta di estraneità.

 

“Gli ho spiegato come stavano le cose, che non poteva pretendere che il Ministero si incaricasse di simili affarucoli quando c’erano problemi ben peggiori da risolvere. Poi voleva denunciare un Babbano.”

 

“Molto pericoloso, anche se lui è il Prescelto, Harry Potter.”

 

“Già” concordò Marshall con un ghigno strascicato “Ora si ha l’impressione che ogni Mago che fa uno sgarro ad un Babbano abbia tendenze al lato oscuro. Tsk, poi voleva giustizia, come se non fosse palese la completa inettitudine del Wizengamot.”

 

“Il Wizengamot, l’incarnazione della giustizia magica” meditò Albert “Qual è la sua situazione attuale?”

 

“Beh, diciamo che il passato Ministro Scrimgeour aveva un tantino ostracizzato il Wizengamot, soprattutto per quanto riguardava le relazioni con Hogwarts.”

 

“Che altro?”

 

“Il Wizengamot, che rappresenta il tribunale dei Maghi, in guerra aveva ben poco da fare. Non c’era decisamente tempo per processare i criminali, si tendeva ad eseguire la punizione sul posto” ammise Marshall senza alcun imbarazzo.

 

Il Ministro annuì piano. “Giustizia capitale, comprendo. E ora?”

 

“Ora il Wizengamot è poco più che un’istituzione consultiva, il compito di giudicare è rimesso soprattutto al Ministero vero e proprio.”

 

“Quindi io” affermò Albert con un sorriso disinvolto.

 

“Credo di sì, Ministro” confermò Marshall.

 

“Tuttavia sarebbe utile e giusto un tribunale per processare imparzialmente tutti i criminali di guerra.”

 

Sarebbe utile, sì” ripeté Marshall con leggerezza.

 

“Ma toglierebbe potere al Ministero vero e proprio.”

 

“Cioè lei” puntualizzò Marshall con un sogghigno.

 

Albert intrecciò le dita sotto il mento, socchiudendo gli occhi luminosi. “Bisognerebbe evitare che il potere si disperda in una situazione instabile come questa.”

 

“Già, c’è il rischio che il potere si frammenti.”

 

“Generale Marshall” reclamò il Ministro con voce magistrale “Dia l’ordine di sciogliere temporaneamente l’istituzione del Wizengamot e mi raccomando, sia discreto.”

 

Marshall mugugnò un poco. “Credo che questa cosa sia tutta burocrazia, sarà adatta al Generale degli Eclitti?”

 

“Generale, questo è un ordine” sillabò il Ministro in tono ineccepibile.

 

Marshall si alzò di scatto dalla poltrona, assumendo una posa soldatesca. “Agli ordini, Ministro.”

 

Albert gli rivolse un altro sorriso e lo invitò ad uscire dall’Ufficio. Marshall si ritirò con scatti rigidi  e attese di essere fuori portata d’udito per borbottare irritato.

 

“Furbo il vecchietto, adesso che gli Eclitti sono una brigata regolare, benché io ricopra la carica di Generale, sono pur sempre alle dipendenze del Ministero. Così il Ministro ha un esercito privato ed eliminando l’influenza del Wizengamot avrà anche pieno potere decisionale; è completamente svincolato dalla legge.”

 

Sbuffò con irritazione e con la coda dell’occhio colse un dettaglio inconsueto di quel piano.

 

“E questo?”

 

Si accostò al locale anonimo con aria circospetta. Era un reparto piuttosto oscurato con molti uomini chini su una lunga tavolata, schiene ricurve e sguardo infossato. Diede una scorsa alla tavolata zeppa di documenti e piantine di quello che riconobbe essere il progetto completo del vecchio Ministero.

 

“Cosa sarebbe questo?” sbottò, infine, facendo sobbalzare molti dei convenuti.

 

Un uomo si alzò stancamente dalla tavolata e Marshall notò cerchi scuri che marcavano le orbite degli occhi, segno di lunghe nottate insonni.

 

“Il Ministro Gray ci ha ordinato di provvedere ad un piano di riorganizzazione del Ministero” disse l’uomo con voce impastata dalla spossatezza.

 

Marshall si chinò sui documenti, esaminando sommariamente il contenuto di ciascuno. “Secondo questo progetto, tutti gli Uffici sono vincolati alla decisione del Ministro.”

 

“Infatti” confermò l’uomo, tornando chino sui documenti.

 

Marshall indietreggiò dalla tavolata, lanciando un’occhiata all’Ufficio del Ministro Albert Gray.

 

‘Il potere del Ministero, l’unica istituzione magica del paese, verte nelle sue mani, ha l’autorità di fare tutto ciò che gli salta per la testa.’

 

*^*

 

Il cameriere Pablo ondeggiò in salotto con un’ammirevole padronanza di movimento mentre faceva roteare un vassoio carico di tazzine.

 

Johnny storse la bocca, sollevando un cappuccino dal vassoio e scorgendo il broncio del cameriere.

 

“Discreto servizio, Fidel” commentò con un astio che non sembrava far parte del suo carattere.

 

Samantha seguì lo stesso comportamento aspro del fratello mentre afferrava una scodella di cioccolata calda e quindi Draco si limitò a zuccherare la sua tazzina di the senza prestare particolare attenzione al cameriere.

 

Louis fu l’unico che, sollevata la tazzina di caffè, ringraziò con educazione il cameriere. La smorfia di Pablo lasciò posto ad un sorriso accondiscendente mentre si allontanava con un leggero inchino rivolto a Louis, sdegnando apertamente i Drake e Draco.

 

“Ah” bisbigliò Johnny con la tazza a fior di labbra “Che pecora nera quel Louis, un gran maleducato.”

 

Draco raccolse la tazzina di the con una compostezza aristocratica. “Veramente è l’unico che tratta educatamente il tuo cameriere.”

 

“I camerieri si possono bistrattare, invece l’ospite è tenuto a seguire il modello di comportamento dei padroni di casa; se noi maltrattiamo Fidel, anche Louis lo deve fare” borbottò Johnny, adocchiando il cameriere Pablo che sgattaiolava in cucina con un grugnito “E poi Fidel si guadagna il maltrattamento ogni volta che ci sputa nei piatti, nei bicchieri e nelle tazze che ci porta.”

 

Draco allontanò la tazzina dalle labbra con una smorfia.

 

“Sono certo che anche voi Drake vi sarete guadagnati lo sputo di Pablo, o Fidel, come lo chiamate voi.”

 

Una tazzina sbatté con un intenzionale colpo di ceramica, interrompendo il bisbiglio tra Johnny e Draco.

 

Louis Torquemada sorrise ad entrambi, accomodato con confidenza sul divano opposto, al fianco di Samantha. “Bene, le cose mi sembrano chiare.”

 

Johnny lanciò un’occhiata d’avvertimento a Draco e un mezzo sorriso.

 

“Durante la guerra questo ragazzino inglese ha perso la casa e ha avuto dei tragici problemi in famiglia” proseguì Louis, rivolgendo un’espressione misera a Draco “E tutto ciò ti ha intenerito il cuore, Samy, vero? E dalla tenerezza è scaturita la pietà e la voglia di consolare questo povero cane bastonato; so quanto ti piace uscire coi cani bastonati, Samy.”

 

Louis emise un sospiro, quasi un singhiozzo teatralmente posato, mentre Draco faceva scrocchiava i denti e dava via libera senza reticenza alla sua lingua di serpente.

 

“Da questo si deduce che anche tu sei un cane bastonato oltre che un patetico illuso” sibilò a occhi socchiusi contro Torquemada.

 

Louis fece uno strano scatto ma proseguì come se non fosse stato interrotto. “E questo ragazzino ha sviluppato una sorta di dipendenza dal vostro legame e tu non hai il cuore di troncare con lui, vero Samantha? So quanto sia blando il tuo cuore.”

 

“Veramente il mio cuore non è affatto blando” lo corresse Samantha con leggerezza “E comunque il desiderio di consolarlo si è ben presto contaminato con un altro tipo di desiderio.”

 

Louis contrasse il viso con una smorfia. “Hai dei gusti molto particolari, in questo caso.”

 

“Sì, sono particolare, lo ammetto” confessò Samantha, rigirando distrattamente la scodella di cioccolata fumante “E forse è proprio vero che sono affascinata dai cani bastonati, ma solo come primo acchito.”

 

Louis riprese la sua espressione dubbiosa e Samantha assottigliò gli occhi, bisbigliando. “Lo sai che mi piacciono quelli un poco bastardi perché odio gli ipocriti.”

 

Torquemada storse la bocca, fissando Draco. “Questo biondino non mi sembra un bastardo. Ha tutta l’aria del bravo ragazzo.”

 

Draco esibì il suo sogghigno mellifluo. “Secondo la qualifica della mia scuola ero uno dei più bastardi.”

 

“Questo per la qualifica inglese” contestò Louis con un mezzo ringhio “Perché poi, Samy, ti sei andata a cercare uno straniero?”

 

“Il fascino del forestiero…” sospirò Samantha, nascondendo un sorrisetto mentre sorseggiava un po’ di cioccolata.

 

“Infatti” accennò Johnny con una smorfia a Louis “Ci sono dei forestieri che non te le fanno girare come in un tornado forza cinque.”

 

“E tu?” ringhiò Torquemada contro Johnny “Non eri un fervente patriota? E poi sei un fratello ridicolo. Dovresti essere l’ultimo ad esultare perché tua sorella è tornata reduce dalla guerra e si è portata a casa un biondino che se la spassa come un mantenuto.”

 

Draco si rizzò, intento a sfilare la bacchetta, ma un cuscino volante precedette il suo attacco, sbattendo in pieno contro il volto di Louis.

 

Johnny sospirò al suo fianco. “Visto, amico Dra’? Te l’avevo detto che ha dei pessimi riflessi.”

 

Louis si scostò il cuscino dalla faccia, tossicchiando e inalberando subito un ringhio verso Johnny. “Tipico per te, Drake. Non sei capace di risolvere i problemi a parole e ti sfoghi scagliando oggetti come un animale. Dopotutto sei rimasto stupido e selvatico come una bestiaccia.”

 

“Un animale?” rifletté Johnny con un’espressione serena “Sì, sono un’aquila! Futuro capitano delle Eagles americane.”

 

“Finiamola con te” lo liquidò Louis, rivolgendosi a Samantha “Piuttosto, Samy, sono venuto qui per fare ammenda: sono tremendamente dispiaciuto di averti lasciato prima della partenza.”

 

Draco guardò Johnny e lui annuì al suo fianco.

 

“E’ così, amico Dra’” disse Johnny con l’intenzione di farsi sentire da Louis “Il qui presente bastardo Torquemada ha lasciato mia sorella un giorno prima della sua partenza verso l’Inghilterra, anche se tecnicamente Samantha l’avrebbe liquidato tempo prima per via delle sue proposte indecenti.”

 

Draco trasalì. Cosa poteva essere così scandaloso da costringere una persona come Johnny ad usare il termine ‘indecente’?

 

“Non erano proposte indecenti, erano perfettamente legittime” replicò Louis “Era la mia ragazza già da qualche mese e comunque molti non sarebbero andati tanto sul sottile. Che ne dici, Samy? Pensa al tuo conoscente Alex Cooper e alla tua amica Katie. Loro sì che sono una perfetta coppia di ninfomani.”

 

Samantha poggiò la scodella e abbandonò la sua espressione di nonchalance. “Prima cosa, non parlare a vanvera di cose che non conosci. Secondo punto, Draco è riuscito a resistere per molto più tempo senza mai sfiorarmi e pensa che condividevamo lo stesso appartamento; solo un sottile muro ci separava la notte.”

 

Louis fece spallucce con un’evidente irritazione. “Perché l’inglesino è un represso. E poi credevo che tu preferissi l’impeto americano.”

 

“Sai, Louis, credevo che avessi capito che ho ereditato la megalomania da mio padre” spiegò Samantha con un sogghigno “Quando vedo che un ragazzo è restio e riservato, sono portata a fare la prima mossa; se, invece, il ragazzo è il tipo di maniaco che non riesce a far passare un quarto d’ora senza sfiorare l’ipotesi di mettermi le mani addosso, allora l’intero suo fascino diventa banale e scontato, tutta l’attrazione magnetica si dirada.”

 

Louis sogghignò tra il divertito e l’indispettito. “Stai cercando di dirmi che preferisci il biondino smilzo a me?”

 

“E’ da quando sei arrivato che sta cercando di dirtelo. Parola mia, Louis, sei un po’ lento; e poi mi accusi di essere il ritardato della situazione” intervenne Johnny con uno sbuffo d’ovvietà.

 

Louis adocchiò il sorrisetto approvante di Samantha.

 

“E allora perché mi hai fatto accomodare?” chiese in tono brusco “So che sei il tipo di ragazza che non si fa problemi a sbattere la porta in faccia alle persone.”

 

“Soprattutto se queste persone sono eccessivamente bastarde” puntualizzò Samantha con un leggero tono d’allegria “Ma tu, in fondo non mi conosci così bene, è questo che non mi piace di te. Sei erudito ma anche incredibilmente ottuso.”

 

Louis sbuffò ancora, squadrando Draco con un ghigno storto. “Vorresti farmi credere che questo biondino è più sveglio di me? Sinceramente non regge al mio confronto e neanche al tuo; tu sei migliore, Samy, lui non è alla tua altezza.”

 

Samantha fece mulinare i capelli con aria superba. “Non sono in molti ad esserlo.”

 

Draco borbottò qualcosa e Johnny ridacchiò, acclamando l’orgoglio dei Drake.

 

“E non lo sei nemmeno tu, Louis” concluse Samantha con ovvietà.

 

“Bene” sbottò Louis, issandosi dalla poltrona con un ringhio “Se ci tieni a fare la puttana con l’inglese, per me sta bene.”

 

Draco lo seguì con lo sguardo affilato finché lo vide paralizzarsi al cospetto di un’ombra nascosta nell’atrio del salotto.

 

Le gote abbronzate di Louis calarono di un tono, sbiancando di colpo.

 

B-buongiorno, signor Drake” biascicò Louis con un misto di cortesia e terrore.

 

Draco allungò il collo mentre le risatine di Johnny riempivano il salotto con un eco di sadica contentezza. Il padre di Samantha era davvero imponente. Anche se più basso di Johnny e Draco di almeno dieci centimetri e non eccessivamente massiccio, la piega autoritaria del suo viso bastava a conferirgli quel tocco di violenza gorgogliante che assoggettava lo sguardo di chiunque. Il tono autoritario lo rendeva molto simile a Lucius, anche se, mentre il signor Malfoy dominava con un controllo glaciale, William Drake invadeva lo spazio con una prepotenza fiammeggiante.

 

“Non salutare cortesemente, Torquemada” disse William Drake e, come Draco si aspettava, la sua era una voce violenta e aggressiva “Ho ascoltato abbastanza per farti desiderare una morte repentina ogni volta che incrocerai il mio sguardo.”

 

Draco si trovò a sorridere, immaginando i brividi che scuotevano Torquemada.

 

“Seguimi” continuò il signor Drake senza staccare gli occhi da Louis “Johnny, vieni anche tu?”

 

Johnny balzò dalla poltrona non prima di aver lanciato un sorriso di vittoria a Draco.

 

“Se ti vorrai vendicare, amico Dra’, dovrai accontentarti dei resti.”

 

Draco sghignazzò mentre Louis veniva scortato a forza dai due Drake nel probabile antro di tortura.

 

“Da quella parte c’è la palestra” osservò Samantha, sedendosi a fianco di Draco “Povero Louis, lo useranno come bersaglio per gli allenamenti di Quodpot.”

 

“Fortuna che quella Pluffa è esplosiva” ghignò Draco, stiracchiandosi sulla poltrona e lasciando che la fantasia lo conducesse alle grida di Louis.

 

Samantha gli cinse la vita, poggiando la testa sul suo petto. “L’avevo detto che sei un bastardo” gli bisbigliò in tono amorevole.

 

Draco sbuffò. “Posso fare di peggio.”

 

“Bene, ne sono felice” attaccò Samantha con un sorriso equivoco “Perché domani incontrerai chi è ben peggio di te.”

 

Draco intese protestare, ma le labbra di Samantha trovarono una piacevole alternativa per la sua lingua.

 

*^*

 

“Il capo degli Auror mi ha dato appuntamento a quest’ora, mi saprebbe dire dov’è?” chiese Ron alla prima guardia ministeriale che incrociò.

 

La guardia fece dondolare la testa in modo distratto. “Il capo degli Auror? Credo si tratti di Othello Fairfax… nah, è impossibile che ti abbia dato appuntamento, è da due giorni che è chiuso in una stanza al secondo piano per progettare l’assetto del nuovo Ministero.”

 

“No, quello che dice lei è impossibile! Mi ha dato appuntamento, ne sono sicuro” sbottò Ron in tono offeso “Ho persino la lettera.”

 

Ron allungò una pergamena sigillata a forma di busta che recava lo stemma del Ministero.

 

La guardia afferrò la lettera, stropicciandola un poco e valutandola con una smorfia critica. “Questa non viene dal capo degli Auror.”

 

Ron sgranò gli occhi, un’inquietante ipotesi gli guizzò nella testa. “Come? E da chi altri? Qui c’è scritto ‘Generale dell’Esercito del Ministero’… deve essere il capo degli Auror.”

 

“Forse un tempo era così” borbottò la guardia con trasporto “Ma adesso sono gli Eclitti l’esercito ufficiale del Ministero.”

 

Eclitti?” singultò Ron “Cioè… Scrimgeour?”

 

La guardia annuì. “Sì, gli Eclitti in effetti sono un gruppo del defunto Ministro Rufus Scrimgeour, ma ora il nuovo Ministro li ha un tantino strumentalizzati: sui documenti ufficiali leggerai che il fondatore degli Eclitti, nonché loro Generale, è John J. Marshall.”

 

Lo sguardo di Ron cadde in una spirale di orrore. “Allora, è stato lui a mandarmi la lettera?” mormorò quasi con voce strozzata.

 

La guardia accennò con un cipiglio pensieroso. “A quanto pare. Però è strano, perché di solito il Generale Marshall non si prende la briga di reclutare novellini. Devi essere fortunato” fece un gran sorriso che collimò in una smorfia “Oppure molto sfortunato, perché il Generale Marshall presta tanta attenzione solo ai suoi pupilli o a quelli che sinceramente ama tormentare.”

 

Ron rimase immoto sul posto, colto da una temporanea paralisi che aveva poco a che fare con la paura e molto a che vedere con il risentimento verso un destino ignobile.

 

“Comunque, il Generale Marshall è di là e credo ti attenda per il test” lo informò la guardia, additando un portone dall’aria solenne.

 

Le gambe di Ron si mossero di conseguenza.

 

“Buona fortuna!” gli urlò la guardia e Ron fu quasi certo di cogliere nella sua voce una nota di sincera ironia.

 

Sospinse le ante del massiccio portone ed entrò in quella che aveva tutta l’aria di essere un’arena d’addestramento. Ron ingoiò saliva – niente prometteva un futuro roseo ed in salita.

La porta si richiuse alle sue spalle e da un angolo arrivò l’eco di uno scrocchio d’ossa. Ron si scrollò un brivido dalle spalle quando riconobbe il viso sogghignate di Marshall che lo contemplava mentre faceva scrocchiare le dita.

 

“Cominciamo, Weasley?”

 

*=*=*=*=*=*=*=*

 

 

Good, good… Il futuro non è molto roseo per Ron, ma vedrete come vanno le cose con Marshall nel prossimo capitolo (hi hi hi…) che speriamo arriverà presto. Già, lo speriamo anche noi ^_^ Non sappiamo mai a che velocità scrivere il racconto, noi promettiamo di andare veloci ma, chissà come mai (scuola -_-), c’è sempre qualche inconveniente di mezzo.

 

E’ bene sottolineare che in questo capitolo Ginny è del tutto assente (*_*), ma si sta impegnando per il quinto capitolo e per dimenticare Han (povera ragazza…). Vi promettiamo una Harry/Ginny come si deve nel prossimo, o meglio… Harry ve lo promette se si da una mossa ^_^

 

All’inizio pensavamo di dedicare tutto il capitolo alle mirabolanti imprese di riconquista di Harry, poi però ci siamo dette: ‘no, già la Rowling abbonda con le mirabolanti imprese di Harry Potter, cerchiamo di addolcire la pillola e diamo aria agli altri personaggi.’ In realtà volevamo scrivere un pezzo Ginny/Harry come si deve e quindi lo posteremo nel prossimo capitolo come già detto (ci teniamo alle nostre ships ^_^) e ci saranno anche Remus e Tonks (sweet love *_*).  

 

Comunque le autrici hanno ritrovato il senso del titolo ‘Reconquista’ verso la fine: c’è il Ministro Albert Gray (che non è più in sé letteralmente *_*) che fa la sua ascesa al potere in linea verticale e si riconquista il Ministero e il suo sadismo tiene testa a quello di Marshall (che però si riscuoterà negli allenamenti con Ron ^_^); c’è Draco che pseudo-riconquista Samantha dall’infido Louis Torquemada (come quello del Libro di Diamante ^_^) con il sempre voluto appoggio di Johnny (our love *.*) e padre (finalmente entra in scena William Drake).

 

Che dire ancora? … Ci sarà un senso in tutto quello che scriviamo?! Diciamo di sì. Diciamo che la seconda parte è propedeutica (usiamo terminoni didattici per far vedere che il lessico specifico lo conosciamo ndSamy -_- ndKaho) alla terza parte.

 

RISPOSTE ALLE RECENSIONI!

 

Ninny: Per fortuna ci hai ritrovato! *_* Grazie! Speriamo tu abbia gradito questo capitolo! ^_-

Elia950: Sì! Il nostro spirito sadico esultava nella scazzottata! E poi Molly è un mito! ^_- Grazie ciao! ^^

HarryEly: Grazie! Anche noi ci divertiamo.. soprattutto a torturare Draco..! ah, tra parentesi, Kaho voleva sapere se hai aggiornato la tua storia sui fondatori… falle sapere! ^_- Grazie!

EDVIGE86: Una Ron/Marshall? XD Scazzottata speriamo!! XP vediamo che la lotta risveglia lo spirito sadico di tutti! Bene bene! la famiglia Weasley è tutta unita intorno a Ginny… speriamo Harry ce la faccia nella sua reconquista! *_* Ciao e grazie!

Saty: Hai beccato il concetto: questa seconda parte è per risistemar tutto e prepararvi  alla terza, credici, sarà distruttiva. Ci sono alcune personalità che fanno venire i brividi anche a noi! i brividi di cosa non si dice! X°D Draco è proprio lento su certe questioni, ma d’altronde è ancora uno ‘sgarzoncello’ che non conosce il duro mondo normale, sempre protetto da una bolla di sapone dalla mamma e dal papà… Johnny serve a renderlo più acuto su certe *ehm* questioni ! XD Tonks è anche il nostro mito! *-* Se glielo chiedi con gentilezza siamo certe che ti uccide Krum! (se non lo fa Ron prima! XD) Contente che anche le parti demenziali piacciano! *-* Grazie mille per tutto!! un bacione!!

Rosy823: Harry si muove, si muove! *_*” Anche se ha sempre i suoi problemucci… scemo… >.>” Grazie a presto! *-*

Cressida86: Speriamo che tu non sia morta nell’attesa! ^^; E non mandarci Avada Kedavra: non ce lo meritiamo!! Vero? XD Grazie mille! ^.^ Bye!

Derfel Cadarn: Johnny è un mito. Intelligente, simpatico, bello (sì, è anche bello nelle nostre fantasie! *ç*): e poi torturare Draco dà soddisfazioni! XD Grazie! *-* Al prossimo capitolo!

Arya: Grazie! ^-^ A presto si spera! XD

 

Siamo a: 4/15 capitoli.

 

Next: Lust (Titolo allusivo *.* ndSamyKaho)

 

Samy & Kaho

 

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Capitolo 5
*** All Seems Right ***


 

 

05. All seems Right

 

 

 

Le nuvole erano illuminate, candide mentre la neve fioccava, fitta e morbida, dal cielo bianco: fiocchi di neve che si dileguavano a spirale da una cupola argentea di nevischio che zampillava al passaggio delle macchine.

La lieve spolverata di bianchezza apriva l’inverno ed annunciava il periodo natalizio, lasciando che la neve sciolta trascinasse nelle fogne il sangue della battaglia - la guerra che si detergeva - perché venisse cancellata nel sottosuolo.

 

Uno spruzzo di nevischio si rapprese sulla finestra sbarrata del Ministero della Magia.

 

“L’acqua si condensa, poi sale e si raffredda… e scende” bisbigliò un ragazzino,  intonando una nenia, i palmi piantati contro la vetrata di quella stessa finestra.

 

“E’ un ciclo” gli rispose una voce più matura, sbiadita dalla calma “Per questo l’acqua è immortale.”

 

“Lei è immortale, signor Jolly” replicò il piccolo Smith, imbronciando appena il suo viso apatico.

 

Un gorgoglio d’acqua si agitò alle spalle del bambino. “Sì, Jeremy. Proprio come l’acqua, ho incanalato la mia esistenza in un circolo. Il tempo non può trasformarmi in nulla.”

 

Jeremy carezzò il vetro e fissò un fiocco che scendeva, meraviglioso nella sua falda di perfetti intrecci scintillanti. “Di che tipo d’acqua è fatto lei, signor Jolly?”

 

“E’ un’acqua molto particolare” mormorò l’altro con una limpida posatezza nella voce “Il brodo primordiale.”

 

Jeremy si dondolò sulle punte, sporgendosi per vedere la strada dove la neve scrocchiava al passaggio delle persone. “Da cui ha origine la vita dell’uomo?”

 

“La vita in se medesima, Jeremy.”

 

Jeremy fissò il cielo candido. “E la magia? L’acqua ha creato anche quella?”

 

Il tono tranquillo cedette ad un sospiro. “No, la magia no, Jeremy. Il potere magico è qualcosa che l’uomo non dovrebbe possedere: non è stata la natura a donare la magia all’uomo.”

 

Jeremy torse il collo di scatto. “E chi allora, signor Jolly?” cinguettò con una vocetta curiosa.  

 

“Un demone” mugugnò l’altro “Il più cattivo degli uomini.”

 

Gli occhi di Jeremy traballarono di preoccupazione. “Ed è morto?”

 

“No. Anche la sua esistenza è legata ad un circolo, ad un ciclo di maledizioni perché lo puniscano del suo male.”

 

Jeremy sbatté le palpebre. “E’ immortale anche lui, allora.”

 

“Ed è malvagio” gorgogliò l’altro, la calma e la pacatezza sfumate in un basso sibilo “Ad ogni ciclo si reincarna nell’essere più abietto della terra ed è lui a renderlo tale: il male perpetuo.”

 

“Vorrei che sparisse” piagnucolò Jeremy “Ma lo so che il male non si può cancellare del tutto, anche se sono un bambino.”

 

“I bambini hanno ragione, invece” replicò la voce atona “Il male si può estirpare, ma solo se cancelliamo lui, lui che ha diffuso la magia: se cancelleremo la magia.”

 

Jeremy lasciò che un boato di sorpresa gli uscisse dalle labbra, ma queste subito si ripiegarono in un sorriso. “Se cancelliamo tutti i Maghi e le Streghe, signor Jolly?”

 

“Sì, Jeremy. Ma non affrontiamo simili discorsi proprio qui, dove il centro del male ha dimora in questo Paese.”

 

Due tocchi delicati e rispettosi alla porta.

 

“Signor Ministro, posso disturbarla? Sono Willard Smooth, luogotenente Auror.”

 

Jeremy si staccò dalla finestra, agguantando l’orlo della veste dell’altro che gli sorrise e modulò la voce esattamente come avrebbe fatto Albert Gray. “Entri pure, luogotenente Smooth.”

 

Willard Smooth entrò tutto trafelato dallo spicchio di porta socchiusa, lisciandosi i capelli, le guance imporporate dalla vergogna di una tenuta non molto adeguata.

 

“Perdoni l’intromissione repentina, Ministro Gray, ma ci sono questioni urgenti che richiedono la sua attenzione” tossicchiò quello, raddrizzandosi il colletto della divisa.

 

“Parli pure e si accomodi, luogotenente Smooth” lo invitò Albert, facendo indietreggiare una seggiola per l’ospite.

 

L’Auror si precipitò a sedere, ringraziando nervosamente il Ministro e rivolgendo sorrisini contriti all’appena notato Jeremy.

 

“La ringrazio molto, Ministro Gray. In realtà mi dispiace venire qui nel suo ufficio per riferirle lamentele dell’Ufficio Auror.”

 

Albert gli sorrise in modo enigmatico. “L’Ufficio Auror si lamenta?”

 

Smooth scosse d’istinto la testa e si bloccò di scatto con un’espressione sofferente. “Mi dispiace davvero, Ministro Gray, non vorrei che gli Auror le apparissero degli ingrati: assolutamente no! In più lei stesso, Ministro, ha fatto parte dello squadrone di stanzia ad Azkaban prima dell’inizio ufficiale della guerra.”

 

L’Auror si interruppe per strofinarsi il dorso della mano sulla fronte sudata e giallognola. “Davvero sono rincresciuto, ma è necessario protestare.”

 

“Ora la smetta con tutte queste scuse e mi parli della lamentela” replicò Albert in tono severo ma comprensivo.

 

Smooth sobbalzò sulla seggiola. “Certo, Ministro Gray. Allora… Il Colonnello di Brigata Maggiore, Stanley O’Connen si lamenta del… dispotismo del neo Generale John Marshall.”

 

“Dispotismo” ripeté Albert con un sospiro, accomodandosi alla scrivania mentre Jeremy saltellava per l’ufficio “Dunque la mia decisione di promuovere John Marshall si è dimostrata errata.”

 

“Oh no, signore” si affrettò a replicare Smooth “Non intendiamo criticare le sue scelte, ci mancherebbe… E’ solo che gli Auror si sentono un tantino… schiacciati dagli Eclitti.”

 

“Perché John Marshall è un generale?”

 

Smooth scosse la testa, i capelli saldamente appiccicati alla fronte. “Non credo abbia a che fare con il rango, persino gli Eclitti cadetti si permettono ingerenze all’Ufficio degli Auror… no, è più un discorso di gruppi.”

 

Albert intrecciò le dita sotto il mento proteso. “Gli Eclitti hanno guadagnato molto terreno durante quest’ultima guerra, costituendo lo squadrone principale dell’esercito dell’allora Ministro e avendo operato le missioni di salvataggio prima del crollo di Hogwarts.”

 

“Infatti” mugugnò Smooth “Ed io sono qui come portavoce degli Auror per chiedere… una secessione.”

 

L’Auror guardò con esasperata impazienza Albert mentre questi si spianava con calma contro la poltrona.

 

“Una parola così drastica” bisbigliò il Ministro ad occhi chiusi.

 

“E sia” tornò a fissare il volto pingue di Smooth “Se le circostanze lo richiedono, che l’Ufficio Auror si svincoli dal Quartier Generale degli Eclitti e costituisca un’associazione individuale all’interno del Ministero.”

 

“Oh, la ringrazio, Ministro Gray!” gioì Smooth mentre tutti i muscoli del suo corpo rilasciavano la tensione.

 

“Ora si può ritirare, luogotenente Smooth” lo congedò Albert con autorità.

 

“Certo” esultò l’Auror, riscuotendo la sua scapigliata allegria con un inchino solenne ad Albert “Buona giornata, Ministro Gray.”

 

Si voltò verso il bambino, la schiena sempre china. “Jeremy Smith.”

 

Jeremy lo salutò agitando la manina mentre Smooth richiudeva la porta dell’Ufficio con troppa energica esultanza.

 

Quando l’eco del colpo si prosciugò, Jeremy fissò radioso l’altro. “Anche questo ci tornerà utile?” chiese con un sorriso candido.

 

Il viso di Albert Gray cedette alla gioia per tornare indolente. “Che le forze dei Maghi si frazionino e tra loro nasca discordia.”

 

Si trascinò alla finestra, scortato da Jeremy. Aveva smesso di nevicare, uno spesso manto di bianco ricopriva tutto, ingabbiando la città come una catacomba.

 

“Così che i Maghi non avranno dei guardiani uniti e forti all’epilogo della loro storia.”

 

*^*

 

Ginny scodellò un’altra quantità di verdure fumanti, raccogliendo un piccolo mucchio di cavoli bolliti accanto al pentolone della zuppa.

 

“Ti stai dando da fare.”

 

Hermione si avvicinò e scrutò nella pentola che gorgogliava.

 

“Non me ne intendo molto” fece lei, storcendo la bocca allo scoppiettio di un grumo di sangue “Sembra una massa informe di carne, quasi come se fosse stata masticata da un Inferus.”

 

Ginny sogghignò e rimescolò la brodaglia con un mestolo incantato.

 

Huggies, pasticcio di cuore e fegato insaccato nello stomaco della pecora. Piace molto a Fred, ma non a George. Quand’ero piccola riuscivo a distinguerli solo perché non aveva gli stessi gusti in fatto di cibo.”

 

“Preferisco i gusti di George” puntualizzò Hermione, rimettendo il coperchio al pentolone “Non combino guai se copro questa poltiglia, vero? ”

 

“Basta non lasciarla coperta troppo a lungo” disse Ginny, ritornando alla tratta delle verdure “Dopo un po’ il coperchio rischia di saltare.”

 

“La pressione del vapore, certo” rifletté Hermione ad alta voce con quella parte di mente che la portava a ragionare in modo automatico “Sei molto abile in cucina.”

 

Ginny affettò con perizia una lunga serie di ortaggi. “Ti ringrazio, è l’abitudine e forse un vizio casalingo che mi ha tramandato la mamma. Ma a giudicare dai tuoi successi in Pozioni, scommetto che anche tu sei molto brava, Hermione. Che ne dici? Ti va di darmi una mano?”

 

Afferrò un grembiule e lo lanciò a Hermione.

 

“D’accordo, non c’è problema” le sorrise l’amica, stringendosi il nastro del grembiule alla vita “Ma non ti garantisco niente.”

 

Ginny osservò il viso sorridente di Hermione e nella piega delle sue labbra trovò qualcosa di forzato. “Tutti sono molto più gentili da quando è finita la storia con Han.”

 

“Beh, è naturale” disse Hermione.

 

Ginny scosse piano la testa. “Non mi sembra. Ho quasi ripudiato la mia famiglia, ho scaricato Harry e tutto per inseguire un Cacciatore di Streghe… e ora nessuno si lamenta.”

 

“Tu non sapevi che era un Cacciatore di Streghe” ribatté Hermione “Non hai nessuna colpa.”

 

“E così nessuno mi rimprovera” sospirò Ginny con una velata delusione “Sono sempre la piccola Weasley a cui si perdona tutto.”

 

“Bene” affermò Hermione, fissandola negli occhi “Allora non sei cambiata.”

 

Le labbra di Ginny si serrarono con un tremito. “Lo sai che io e Han abbiamo fatto…”

 

“Non conta” la interruppe bruscamente Hermione “Non conta quando non si ha fatto una scelta personale e volontaria.”

 

“Non è che mi abbia costretto puntandomi una bacchetta alla testa” puntualizzò Ginny con un sorrisetto amaro.

 

“Ti ha ipnotizzato con i suoi occhi, Ginny” replicò tenacemente Hermione “E’ questo ciò che fanno i Cacciatori di Streghe: ingannare le streghe. Perciò quello che avete fatto non conta.”

 

Hermione” mugugnò Ginny con rimprovero.

 

Hermione tornò a fissare la pentola che ribolliva, mordendosi un labbro. “D’accordo: conta e probabilmente non lo dimenticherai facilmente, ma… c’è Harry e vedrai che col tempo tutto le ferite si sanano. Lo so, sembra scontato da dire: ma è così.”

 

“Il dolore va via col tempo” sospirò Ginny, socchiudendo gli occhi.

 

“Hai sofferto molto?” azzardò l’amica con discrezione.

 

“No” mentì Ginny “Comunque la cosa che mi fa soffrire di più è ripensarci. Di sicuro conserverò gli attimi trascorsi con Han tra i peggiori ricordi della mia vita.”

 

Hermione tese le spalle: forse Ginny voleva solo dimenticare tutto e lei insisteva nel farle ricordare Han per imporle una sua personale terapia di guarigione.

 

“Bene, allora…” bofonchiò lei, prima di tornare alla selezione delle verdure.

 

Ginny la imitò e si mise a tagliuzzare lunghe foglie di cavoli della Cornovaglia.

 

Quando il coltello smise di scandire colpi metallici sulla tavola di legno, le venne spontanea una domanda. “Questo… cucinare, intendo… può aiutarmi a guarire?”

 

Hermione la fissò stranita. “Certo. Fai tutto quello che facevi prima di incontrare Han. Ma non parlare di ‘guarigione’, non eri così critica.”

 

“Davvero?” fece Ginny “Eppure mi sentivo davvero malata quando ero con Han.”

 

“E’ un ragazzo spregevole” gracchiò Hermione senza pietà “Dimenticalo e basta, pensa a Harry. Han è uno schifoso insetto.”

 

Ginny ridacchiò sotto i baffi. “Sei davvero strana, Hermione. Un tempo non avresti dato consigli così spietati su questioni sentimentali. E’ per caso l’influenza di Ron?”

 

“A proposito di stranezza” attaccò Hermione, tentando evidentemente di sviare il discorso “Anche Luna verrà alla festa di Natale a Shell Cottage e, indovina, porterà un ragazzo.”

 

Il volto di Ginny si rischiarò. “Davvero? Mi chiedo che tipo di persona porterà. Non sono mai riuscita a decifrare i giusti di Luna in fatto di ragazzi.”

 

“Sarà proprio una bella sorpresa” concordò Hermione “E ci sarà anche un’altra sorpresa, meno bella.”

 

Ginny storse la bocca, colta da un dubbio fastidioso. “La presenza di un individuo che non gradiamo?”

 

“Marshall” confermò Hermione, scuotendo la testa con rancore “E ci sarà anche la cugina di Fleur, la ripudiata Julie Delacour.”

 

“Perfetto” disse Ginny sarcastica “Credo proprio che quei due saranno l’anima che distruggerà la festa.”

 

“Basta ignorarli” propose Hermione poco convinta.

 

“Ma non è tanto facile mettere all’angolo Marshall. Ha un’innata capacità di irritare le persone anche se tiene la bocca chiusa.”

 

“Lo so, Ginny. E di sicuro Ron non riuscirà ad evitare di lanciargli occhiate assassine per tutta la nottata.”

 

“E’ comprensibile” disse Ginny “Dopo quello che ti ha fatto Marshall è logico che Ron lo disprezzi dal più profondo.”

 

Inconsciamente, Hermione portò una mano allo stomaco. “Già, mi ero quasi dimenticata di quel pugno… Anche Marshall fa concorrenza con Han per bastardaggine.”

 

Si morse il labbro inferiore. Forse non avrebbe dovuto reintrodurre ‘Han’ nel discorso. Ma il sorriso di Ginny non si era scomposto.

 

“E’ vero, ma il bastardo Marshall è anche peggio. Ci tocca subire la sua presenza persino a Natale.”

 

“Pensa al povero Ron” soggiunse Hermione “Lui se lo deve subire anche in ufficio.”

 

“Dove?” chiese Ginny, sorpresa.

 

“In ufficio” ripeté Hermione “Ron sta facendo gavetta sotto Marshall per entrare a far parte dell’esercito del Ministero… o meglio, ha intenzione di diventare Auror e poi fondare una sua personale associazione, una sorta di revival dell’Ordine.”

 

“Non lo sapevo” disse Ginny  con risentimento “Forse Ron avrà creduto che non riuscissi a sopportare altre cattive notizie. Ultimamente non parliamo molto, anzi, non parliamo per niente.”

 

“Sono anch’io nella tua stessa situazione” le fece eco Hermione in tono mesto “Parlo molto di più con Victor che è straniero, sgrammaticato e ama discutere solamente di Quidditch e della sua fama in Bulgaria. Ma parlo più con lui che con Ron.”

 

“Beh, si prospetta uno splendido Natale” azzardò Ginny con evidente ironia.

 

“Splendido” concordò Hermione.

 

*^*

 

‘Sto per morire.’

 

Questa consapevolezza martellava impazzita nella mente di Draco Malfoy, come una preghiera beffarda, accompagnata da una spiacevole sensazione di nausea.

 

Sul fondo della gola sentiva il sapore del vomito, acre e pungente, pizzicargli il palato.

 

Strinse le mani irrigidite sulle ginocchia, spiegazzando i pantaloni neri su misura.

 

“Morirò…” si lamentò con enfasi, piegando di lato il collo in una smorfia di dolore. “Ma almeno sarà una morte veloce. O contro un muro o d’infarto, sarà comunque veloce.”

 

La magra consolazione fu fonte di ilarità per il suo carnefice, tale Johnny Drake.

 

“Quante storie amico Dra’, per un po’ di guida sportiva tutti questi piagnistei!” latrò gioioso, mentre la macchina sportiva seguiva docile i suoi movimenti, inclinandosi appena su due ruote mentre faceva la curva prima del rettilineo finale che portava davanti alla villa.

 

“Guida sportiva?! Guida incosciente, direi!” lo riprese Draco, fulminandolo con gli occhi di ghiaccio assottigliati.

 

Perché aveva accettato di accompagnare Johnny Drake ‘a fare la spesa’?

 

Prima lo aveva portato in un labirinto pieno di scale che si muovevano – come ad Hogwarts, ma queste andavano solo avanti e indietro –, di botteghe che potevano essere microscopiche oppure giganti, piene di cibo avvolto in uno strano materiale elastico o in bottiglie che non erano di vetro. Un ristorante a zero stelle di molto successo in cui c’erano nugoli di Babbani che lottavano per prendere dei piatti tutt’altro che invitanti.

 

Quando aveva commentato l’efficienza di quei ‘ristoranti zero stelle’, Johnny aveva sguainato una risata impressionante: “Ma quelli sono supermarket!” ossia negozi dove comprare roba surgelata o oggetti di largo consumo, come i videogiochi (scadenti, tra l’altro, si era premurato di aggiungere, come se Draco sapesse cosa fosse un videorobo).

 

Il pensare agli strani sacchettini blu di cui si era rifornito Johnny aumentò la nausea di Draco, che si ritrovò a premere una mano sopra la bocca, pregando silenziosamente perché la tortura finisse presto.

Johnny staccò le mani dal volante per guardarsi l’orologio; Draco, per istinto di sopravvivenza, si buttò a pesce sul volante, raddrizzandolo e tirando un sospiro di sollievo, benché la velocità degli alberi che scorrevano fuori dal finestrino fosse ancora molto elevata.

 

Johnny inarcò un sopracciglio.

 

“Ehi amico, qui non voglio un lavoretto né di bocca né di mano.”

 

“Eh?”

 

Johnny lo buttò di malumore al suo posto riprendendo possesso del volante.

 

“Sei un inglese, dovresti capire certe battute.” Borbottò irritato, osservando con ansia la villa farsi più vicina.  Abbassò le palpebre e premette sull’acceleratore.

 

Draco tremò, stringendo le dita sulla maniglia della porta. “Jonathan, perché acceleri?! Siamo arrivati, per Merlino!”

 

“Siamo in ritardo!” rispose quello con ovvietà, manovrando con destrezza la macchina in corsa, che si avvicinava pericolosamente al muro posteriore della villa.

 

‘Merlino, salvami da un pazzo suicida!’

 

Draco strinse gli occhi e aspettò l’impatto, che non avvenne: tuttavia una brusca frenata lo sballottò in avanti, leggermente inclinato a sinistra, facendogli picchiare la fronte contro il vetro dell’auto.

 

“Maledetto Yankee!”

 

Johnny gli slacciò la cintura e gli scoccò un sorrisetto tirato. “Ti devo slacciare la cintura come un bambino… C’mon amico Dra’, che siamo già in ritardo!”

 

“In ritardo per cosa esattamente?” Draco riuscì ad aprire il portone e uscì dalla macchina, sentendosi  improvvisamente libero. “E poi è stata una tua idea andare in quello squallidissimo ristorante a zero stelle!”

 

“Eh? Ma quale ristorante! Sei fissato!”

 

“E cos’è se non un ristorante? Era pieno di cibo.”

 

Johnny rise, correndo verso la porta della cucina, chiavi in mano già pronte per essere infilate nella serratura e sguardo rallegrato da un’ultima controllata all’orologio.

 

“È un supermarket, te l’ho detto, non un ristorante!”

 

“Io – ”

 

Johnny scosse la testa, come se si arrendesse.

 

“Oh, lascia perdere, va. Andiamo, qui mi perdo la partita del secolo!”

 

“Che partita?” domandò Draco, seguendolo con passo sostenuto sino alla porta ed entrando nell’atrio della casa.

 

Johnny buttò tranquillamente indietro il suo giubbetto sportivo, che andò a finire sulla testa di Draco, con sua enorme irritazione.

 

“Saranno già arrivati!”

 

“CHI?” sospirò stufo, cercando di estorcere informazioni.

 

“Vai in cucina Dra’, devo andare a controllare una cosa…”

 

Draco inspirò aria nei polmoni, cercando di calmare i nervi messi duramente alla prova dalle giornate (ormai usuali) passate con Johnny Drake.

 

“E va bene, vado, tutto pur di non stare insieme a te!”

 

Johnny gli scoccò finalmente un sorriso rilassato. “Lo so che mi ami, darling, ma non posso contraccambiare. Sei pur sempre un membro della famiglia, sarebbe incesto!”

 

“Che razza di beota.”

 

A passo militare, Malfoy lasciò Johnny affaccendato a controllare l’interno dei sacchi bianchi della spesa ed entrò nella cucina; naturalmente questo non perché glielo avesse ordinato Johnny, ma perché aveva semplicemente sete.

 

Un Malfoy non si sarebbe abbassato ad ascoltare un Drake, specialmente quel Drake.

 

Schivò con un movimento leggero, vagamente sinuoso, un vaso di fiori – portato lì probabilmente da Pablo per ordine della signora Drake, che si stava prodigando con l’aiuto di sua madre per il Ballo Annuale di Primavera di cui i Drake andavano particolarmente orgogliosi – e varcò l’uscio della cucina.

 

La luce splendente entrava dalle ampie vetrate che davano sul ricco e curato giardino, illuminando il tavolo di noce e il ripiano in marmo dei fornelli, lustrati da cima a fondo, come se non fossero stati mai utilizzati.

 

Draco si guardò intorno, poi inarcò un sopracciglio, indispettito.

 

Dov’è Pablo?’ si chiese, stranito. ‘E io a chi chiedo un sorso d’acqua?

 

Rabbrividì, temendo di doversene occupare di persona, ed ebbe quasi un senso di vertigine vedendo mille inesplorati cassetti tutti attorno a lui.

 

Doveva trovare Pablo! Non avrebbe dato l’occasione a Johnny di burlarsi di lui (ancora).

 

“Pablo?”

 

La sua voce, chiara e dal forte accento inglese ricercato, echeggiò per la cucina deserta, inascoltato. O così credeva lui.

 

“Ehi biondino, guarda che Fidel non c’è!”

 

Draco abbassò lo sguardo, aprendo le labbra per mormorare un “Uh?” distratto; si irrigidì incontrando un paio di occhi celesti fissarlo con ironia da dietro due fila di ciglia color miele, come se stessero attendendo una sua reazione.

 

“Tu… tu chi sei?” domandò sospettoso verso la ragazza che stava accovacciata sul pavimento della cucina, dietro il tavolo, intenta fino a poco prima a contare una serie di lattine di birra confezionate in pacchetti di cartone color bottiglia.

 

La donna sogghignò leggermente e si levò in piedi, battendo le mani sulle ginocchia lasciate scoperte da un paio di pantaloncini sportivi. Appoggiò una mano sul fianco pieno, inclinando appena la testa per osservarlo meglio. Draco non si fece problemi e crucciò le labbra, seccato da quel comportamento da animale da circo. Perché tutti gli americani dovevano essere così sfacciati?

 

Alzò le sopracciglia. “Allora? Potrei sapere il vostro nome?” domandò educatamente, ma con voce sprezzante, tono che solitamente usava per presentarsi ai cadetti Serpeverde appena smistati.

 

La ragazza gli sorrise ancora più largamente, e le guance tonde si stirarono, mettendo in evidenza una spruzzatina leggera di lentiggini.

 

“Questo dovrei dirlo io, cazzo! Mai sentito uno yankee con un accento così dannatamente da frocio!”

 

Draco spalancò gli occhi e indietreggiò impercettibilmente, una specie di presa di distanza involontaria. Il nasino all’insù di Malfoy si arricciò, con disgusto.

 

Anche le donne erano delle rozze. Finalmente riusciva a capire il perché il motto preferito dagli inglesi fosse: ‘Viva la regina!’

 

La ragazza rise davanti al suo leggero disagio e gli si avvicinò, allungando la mano con un sorriso che doveva essere accomodante o simpatico, ma che a Draco parve una presa in giro bella e buona.

 

“Piacere, sono Kat. E tu, amico?” domandò in tono spensierato, attendendo che le stringesse la mano.

 

Draco tentennò poi prese la mano di lei, e la strinse con vigore.

 

“Draco Malfoy” sibilò assottigliando gli occhi, con un’ostilità che la ragazza non parve notare e che liquidò stringendo con ben più forza la mano di Draco con uno strano scricchiolio.

 

La ragazza – mentre Draco si mordeva la lingua, trattenendo un’imprecazione – lo fissò pensierosa e gli lasciò la mano, facendo ricadere il braccio abbronzato lungo il busto.

 

“Tu devi essere il tipo di Sam, mi ha accennato qualcosa…” mormorò, voltandogli le spalle e andando a prendere una lattina di birra.

 

“Devi stringere la mano con più forza, mica come una merda, altrimenti nessuno ti prenderà mai sul serio qui.” Gli suggerì candidamente, aprendo la lattina di birra e bevendone una lunga sorsata.

 

Draco la fulminò con gli occhi di ghiaccio.

 

La ragazza staccò le labbra dall’alluminio colorato, con un ‘aah’ davvero poco fine, e allungò la lattina verso di lui.

 

“Vuoi un sorso, amico Dra’?”

 

‘Perché?’ si chiese disperato alzando gli occhi al cielo, supplicante.

 

Non aveva mai avuto grandi amici neppure da bambino; era sempre stato attorniato da bambini e ragazzi che nutrivano rispetto o quanto meno timore per lui e per ciò che rappresentava: una delle Casate più nobili d’Inghilterra, che possedeva ricchezze, prestigio e potere.

Anche se ipocrita e doppio-giochista, preferiva il tono reverenziale che usavano quei molluschi se paragonato alla spontaneità esageratamente aperta degli Americani, di cui pareva essere sempre amico.

 

“No, grazie” declinò l’offerta, osservando con malcelato disprezzo Kat trangugiare il resto della bibita in un’unica, grande sorsata, staccandosi poi dal bordo della lattina con soddisfazione.

 

La ragazza si pulì la bocca con il braccio e lasciò la lattina sul tavolo, incurante.

 

“Sei arrivato giusto in tempo per darmi una mano con tutta questa birra, Dra’!”

 

Trillò allegra, porgendogli un paio di scatole di cartone impilate una sull’altra, piegandosi appena per mantenere l’equilibrio della struttura. Scosse la zazzera riccia di un biondo scuro, spalancando i grandi occhi azzurri.

 

“Allora, ti muovi ad aiutarmi?”

 

“No” replicò lui ma Kat nemmeno lo ascoltò e gli lasciò tra le braccia il peso della birra, sfrecciando verso la porta con passo veloce e determinato.

 

“LEEEX! Muoviti che ho bisogno di te!”

 

“Immagino già per cosa!” tuonò una risata maliziosa per i corridoi di casa Drake, che fece letteralmente spazientire Katherine, rossa come un pomodoro.

 

“STRONZO! Alza il culo prima che venga io a prenderti!” rispose a tono e tornò verso Draco, sorridendogli amabilmente come una dolce e innocente bambina.

 

“Come ti trovi qui?” gli domandò interessata, prendendo tra le braccia una confezione da sei di birra e impilandola sopra la seconda. Facendo leva su se stessa, Kat alzò tutto il peso da terra, sospirando. “ALEX!” gridò senza il minimo indizio di finezza.

 

“Starei meglio senza questo peso addosso” commentò Draco sarcastico, muovendosi leggermente per controbilanciare il peso. Kat annuì, sospirando.

 

“Scusami, è che Alex è un tale pigrone, non un gentiluomo come te pronto ad aiutare una madamigella in dif…”

 

“Io aiuto solo coloro che sono effettivamente donne, microbo.”

 

Un ragazzo alto almeno quindici centimetri più di Draco fece il suo ingresso in cucina, sfrecciando verso Kat che, nonostante la bassezza, riusciva a tenergli testa con una voce indemoniata.

 

“Quante cazzo di volte ti devo chiamare? Diecimila?! La prossima volta ti faccio portare tutto sto’ schifo con la lingua, altro che con i tuoi bicipiti troppo gonfiati, chiaro il concetto?!”

 

Il ragazzo sbuffò e, tenendo le scatole su un braccio solo, si passò una mano nei corti capelli neri, sorridendo ammiccante.

 

“Ah, come mi ecciti quando fai la dura…”

 

“Imbecille!” sibilò di risposta Kat, scostando lo sguardo su Draco.

 

“Ah, giusto! Lex, questo è Draco, quello che si fa Samantha. Dra’, questo è un coglione di nome Alex.” Presentò seccata e sbrigativa.

 

“Ehilà amico!” rise dalla sua altezza imponente Alex Cooper “Johnny ci ha detto delle grane che avevi con Barry Trotter, quell’inglese con la cicatrice. E’ stato spietato e ti ha spezzato il cuore?”

 

Draco sbatté gli occhi, interdetto. “Cosa, scusa?”

 

Massì! E’ per quel tipo che hai lasciato l’Inghilterra, vero? Io non ne so un cazzo di relazioni homo, ma…” prima della conclusione, Alex ricevette un ceffone affatto delicato dalla spietata mano destra di Kat.

 

“Non farci caso, è un lussurioso del cazzo, amico Dra’.” Lo tranquillizzò Kat, abbassandosi per prendere l’ultima confezioni di birre rimaste. “Mi porteresti tutto lì in salotto? Grazie amico…” gli sorrise dal basso, incurante che da quella posizione lasciasse intravedere una striscia di culottes colorate.

 

“Ti aiuto io, Kat!” si gongolò trionfalmente Alex, appoggiando le birre a terra e stringendosi alla schiena di Katherine, che arrossì furiosamente.

 

“Coglione, che stai facendo?!”

 

“Mancano almeno dieci minuti prima dell’inizio della partita… facciamoli fruttare, no?” le sussurrò languido ad un orecchio, alzando lo sguardo su Draco.

 

“Ehi Dra’… vuoi unirti a noi? Non so se a Kat va di farlo in tre… bah, neanche io mi fido… ménage à trois, mi sa troppo di puzza sotto il naso alla francese.”

 

Le narici di Kat si allargarono per l’ira. “Smettila di dire stronzate!”

 

Draco indietreggiò con una smorfia spontanea di disgusto.

 

Alex scosse le larghe spalle da nuotatore, sorridendogli quasi con gentilezza.

 

“Però se penso al threesome la cosa diventa più confortante…” Poi si rivolse a Draco, forse scegliendo di ignorare la sua espressione nauseabonda: “Dì a Johnny Bravo che arriviamo subito, una cosina da dieci minuti se Kat non fa tanto l’isterica.”

 

Kat sbuffò sonoramente, arricciando le labbra come una bambina.

 

“Sempre in tiro, quel tuo cazzo maledetto!”

 

Alex rise. “Impaziente! Dì pure a Johnny che ci impiegherò anche meno… e chiudi la porta, Dra’.”

 

Draco ebbe solo la lucidità di trascinarsi il più possibile lontano da quello scempio, sbattendo la porta alle sue spalle solo per levarsi dalle orecchie il prurito di quelle voci ripugnanti e stomachevoli. Abbandonò la schiena contro il primo muro che trovò e riuscì a sibilare con un sapore di bile che gli pungolava la gola:

 

“Che schifo.”

 

*^*

 

Una bussata particolare toccò la porta di Shell Cottage.

 

J’arrive!”

 

Con un turbinio di seta luminescente Fleur vorticò nell’atrio del suo invidiabile Cottage di campagna, aprendo la porta di casa ai nuovi arrivati nel perfetto stile di un’accogliente padrona di casa.

 

Luna e il suo accompagnatore fecero il loro ingresso senza badare troppo ai begli occhi sbarrati della giovane signora Weasley.

 

“Luna, vero?” la chiamò Fleur “E’ un vestito davero bello.”

 

“Grazie” le sorrise Luna, giocherellando con i tappi di bottiglia che componevano il suo curioso collier.

 

“Bella anche la colana” soggiunse Fleur tirando all’insù la perfetta curva del suo naso.

 

“Grazie” ripeté Luna.

 

“Accomodatevi dove volete” disse Fleur “Bill è occupoto maintenant, ma ci sono altri ospiti di là in sojiorno.”

 

“Grazie” ribadì Luna con la stessa candidezza della prima volta.

 

Fleur li accomiatò entrambi con impeccabile eleganza e una grinza sulle labbra.

 

“Adoro la tua compagnia, Luna” ammise l’accompagnatore “E’ impossibile passare inosservati.”

 

Luna accennò solo con il capo, cercando con gli occhi leggermente sporgenti tracce dei suoi amici.

 

“Ecco lì Ron Weasley, lo vedi, Luke? E’ il ragazzo coi capelli rossi steso sul divano” dichiarò Luna, scorgendo il più giovane Weasley spaparanzato sulla braciola di un sofà, intento a trucidare con lo sguardo un annoiato Viktor Krum che ciondolava per la stanza.

 

“Vieni” disse Luna, stringendo la mano di Luke per condurlo da Ron. Davisson sorrise in modo furfante e si lasciò trascinare dalla ragazza.

 

“Ron” chiamò Luna.

 

Ron scattò sull’attenti, interrompendo di botto l’assassina contemplazione di Krum.

 

“Luna?” fece lui tra il sorpreso e lo sconcertato “Anche tu invitata alla festa?”

 

“Io e Luke” precisò Luna con il consueto tono trasognato.

 

La sorpresa di Ron si tradusse all’istante in confusione quando notò che al fianco di Luna c’era un uomo dall’equivoco sguardo indaco. Per riflesso condizionato stese la mano destra.

 

“Piacere, Ronald Weasley” si presentò, imponendosi con una baritonale voce da adulto.

 

L’accompagnatore di Luna fece altrettanto con un ghigno astuto. “Piacere, Lucas Davisson.”

 

Mentre si stringevano le destre, Ron avvertì un tocco di disagio. Luke non era di certo massiccio come Krum né alto come lui, ma aveva uno sguardo inquietante e soprattutto il colore dei suoi occhi – viola – non era affatto rassicurante. Ron gorgogliò piano: un uomo dallo sguardo avverso… questo gli ricordava Han Joshuel.

 

Allentò la presa e staccò subito la mano da quella di Luke forse troppo bruscamente. Luna lo fissava con aria curiosa, ma non era insolito per lei.

 

Davisson ritirò la mano lungo il fianco e cominciò con una voce casuale: “Allora, Ronald Weasley, come procede il tuo progetto di rifondazione dell’Ordine della Fenice?”

 

Ron restò letteralmente a bocca spalancata, troppo stupito per scegliere razionalmente qualche parola. Come poteva quello sconosciuto sapere del suo progetto? Ne aveva parlato solo con Hermione e con nessun altro, neanche con Harry. E sapeva che Hermione non era una pettegola e che, di sicuro, non sarebbe mai andata a confidarsi con Luna Lovegood che pensava essere stramba quanto lunatica.

 

Luna si accorse dello sconcerto di Ron e azzardò con voce cristallina: “Non preoccuparti, Ron, è normale. Luke sa un sacco di cose che non dovrebbe sapere.”

 

Davisson fissò con gratitudine Luna per poi tornare a Ron che si limitò ad accennare con il capo ben poco rassicurato dall’affermazione della Lovegood.

 

Fleur sgattaiolò alle loro spalle diretta verso la cucina. Arrivata, piantò le mani sui fianchi e scrutò le donne presenti con una sorta di cipiglio critico.

 

“Tutto è pronto, mademoiselle?”

 

“Prima di tutto, io sono una madame” la corresse la voce ostile di Molly Weasley “E secondo, sarebbe tutto pronto se ci dessi una mano, Fleur. Potresti almeno portare i piatti in tavola, che ne dici?”

 

“La cameriera?” mugugnò Fleur, masticandosi il labbro inferiore “Bien! Questo e altro pour mon Bill.”

 

Tralasciando il disgusto generale, Fleur si caricò tre portate sulle braccia e mulinò in soggiorno con la leggiadria di una ninfa.

 

“Ah, oui” aggiunse, ritornando con i vassoi vuoti “Sono arivati ospiti, molto étranges…”

 

Ginny intuì il significato dell’ultima parola e fece un istantaneo collegamento. “Sono arrivati Luna Lovegood e il suo accompagnatore?”

 

Oui” rispose Fleur dopo una breve riflessione.

 

Ginny abbandonò i fornelli e così fece Hermione, lasciando una contrariata signora Weasley da sola, costretta a conversare con l’affabile nuora.

 

“Luna!” la salutò Ginny ma venne bloccata dalla figura sospetta accanto all’amica.

 

“Quello sarebbe il suo accompagnatore?” domandò Hermione stupefatta, cercando di non farsi sentire dai due “Sembra più un uomo che un ragazzo.”

 

“Infatti” concordò Ginny con decisione, avvicinandosi alla coppia “Salve” disse all’uomo tentando di esternare quanta più cordialità le riuscisse, non trascurando comunque il suo sguardo indagatore.

 

“Salve” replicò Luke, riuscendo ad emulare alla perfezione il tono affabile di Ginny, tanto perfettamente che la situazione sembrò sarcastica.

 

“Sono Ginny Weasley, un’amica di Luna.”

 

“Sono Luke Davisson, un amico di Luna” ribatté l’accompagnatore.

 

Ginny trattenne una pungente replica e cercò con lo sguardo l’amica. Luna la fissava come al solito, come se le circostanze e la maleducazione del suo accompagnatore non la disturbassero.

 

Hermione si fece spazio accanto a lei, determinata a testare l’effettivo carattere dell’uomo e a soddisfare una sua curiosità personale. “Salve, sono Hermione Granger, diciotto anni.”

 

Luke inclinò la testa e le lanciò uno sguardo che avrebbe potuto essere un elogio alla sua furbizia. “Salve, sono Luke Davisson, ventisette anni.”

 

“Oh, non lo sapevo” soggiunse Luna con assoluta calma, rivolta a Luke.

 

Davisson le sorrise in modo enigmatico. “So che ti piace il mistero, quindi ho preferito tacere sulla mia effettiva età, tanto sapevo che non ti saresti affatto sconcertata per dieci miseri anni di distanza, vero Luna?”

 

Luna fece spallucce. “Perché avrei dovuto sconcertarmi?”

 

“Beh, così fanno le persone normali e delle volte le persone normali possono essere davvero strane, ovviamente ‘strane’ in modo monotono… non come te, Luna” le bisbigliò Luke e i presenti furono concordi nel decidere che avesse usato una voce decisamente languida e  impertinente.

 

Ma Luna restava tranquilla e briosa, disinibita come sempre.

 

“Luna, posso parlarti?” chiese Ginny con uno sguardo eloquente all’amica.

 

Luna accennò col capo e rimase immobile a fissare Ginny. “Certo.”

 

Ginny scosse piano la testa ma Luna non colse il messaggio.

 

Luke socchiuse gli occhi con un sogghigno cordiale a Ginny. “Sai Luna, credo che il linguaggio del suo corpo ti stia chiedendo di appartarti con lei per parlare da sole, non intralciate dalla mia sconveniente presenza.”

 

Luna guardò Ginny con quiete. “Scusa, non avevo capito, Ginny” poi si rivolse a Davisson e c’era qualcosa di raggiante nel suo sguardo “Grazie, Luke.”

 

“E’ un piacere decifrare i comportamenti degli esseri umani” affermò Luke, sorridendo a Luna.

 

Hermione sobbalzò piano. Se quello che diceva Luna le sembrava sconveniente e imbarazzante, le parole di Luke Davisson erano decisamente vergognose e maniacali.

 

“A dopo” borbottò Ginny all’indirizzo di Luke “Non volevo essere sgarbata con lei, signor Davisson. Sono felice della sua presenza a questa festa di Natale. Sono certa che soprattutto Luna Lovegood ne sia felice.”

 

“A dopo” replicò Luke con la stessa accuratezza di uno specchio vocale “Non volevo essere sgarbato con lei, signorina Weasley. Sono felice dell’assenza di Han Joshuel a questa festa di Natale. Sono certo che soprattutto Harry Potter ne sia felice.”

 

Hermione gorgogliò una protesta e vide Ginny che digrignava i denti. Quest’uomo era al livello di John Marshall.

 

Luna si lasciò condurre sino ad un angolo sgombro del salotto. “Chi è Han Joshuel, Ginny?” le chiese con innocenza.

 

“Non importa ora” replicò Ginny con fermezza “Chi è quell’uomo, Luna?”

 

“Dice di chiamarsi Luke Davisson.”

 

“Dice di chiamarsi?” ripeté Ginny con trepidazione.

 

“Forse la sua vera identità è un’altra” puntualizzò Luna.

 

“Vera identità?” mugugnò Ginny con ostinazione “Ma cosa fa di preciso? Cos’è di preciso?”

 

“So che è un mago con dei particolari occhi viola… credo che abbiano dei poteri magici” la voce di Luna si fece cospiratoria “qualcosa che contrasta i poteri dei Legilimens; mio padre ne parlava in un articolo del Cavillo.”

 

Ginny scelse di ignorare quell’affermazione, abituata com’era agli excursus mistici di Luna. “Nient’altro?”

 

“E’ un uomo misterioso” aggiunse Luna con un sorriso soddisfatto.

 

“Questo è sicuro” concordò Ginny, lanciandogli un’occhiata in tralice “Ma come fa a conoscere i dettagli della mia vita privata?”

 

“Non ti devi offendere, Ginny” la rassicurò l’amica “Luke fa così con tutti: sa tutto di tutti. Credo sia una spia.”

 

Ginny sgranò gli occhi. “Una spia? Ma di chi? Del Ministero?”

 

Luna scosse la testa con disinvoltura. “Non credo, non è neanche inglese… di questo sono sicura: è uno straniero.”

 

“Uno straniero che fa la spia?” si interrogò Ginny, marcando molto la sua inquietudine “E dove l’avresti incontrato?”

 

“Nei pressi del Parlamento babbano, un giorno dopo la morte di Voldemort” dichiarò Luna con totale serenità.

 

“E non ti ha insospettito?”

 

Luna accennò, molto convita. “Mi ha insospettito molto, ecco perché l’ho seguito e gli ho parlato.”

 

“Cosa ti ha detto?”

 

“Che non mi può dire nulla.”

 

“Questo e basta?”

 

“Mi ha detto anche altre cose, ma non credo siano importanti. Continua a ripetermi che gli piaccio perché sono strana.”

 

“Ti ha offesa?” le domandò Ginny corrugando la fronte.

 

“Oh, no, lui mi lusinga sempre. E’ molto gentile con me.”

 

“E sgarbato con gli estranei” aggiunse Ginny.

 

“Per questo mi lusinga” ribatté Luna con un sorriso.

 

“Ascolta, Luna, sai che sono tua amica e se mi impiccio è solo perché mi sembra necessario farlo. Quell’uomo è troppo grande e mi da l’aria del… maniaco.”

 

“Lui non è un maniaco, è solo un uomo misterioso e per l’età non c’è problema: mia madre aveva dieci anni meno di mio padre.”

 

“Sei certa che non sia pericoloso?” le chiese Ginny, tentando di calcare il più possibile il suo dissenso.

 

Luna scosse la testa. “Al contrario, stare in sua presenza è molto sicuro… credo che oltre la spia faccia anche la guardia del corpo ed è sempre molto rispettoso, non mi ha mai toccata.”

 

Ginny sembrò disorientata. “Beh, Luna…”

 

“E’ solo misterioso” disse Luna e nella sua voce c’era una speranza di comprensione che scosse l’amica.

 

Ginny accennò e si impose di assumere un’espressione rassicurante. “Torniamo alla festa, allora.”

 

*^*

 

Dall’inizio della partita di football le lattine erano andate progressivamente diminuendo, e altrettanto velocemente erano state sostituite da un numero sbalorditivo di liquori che Johnny aveva rimediato da un ripostiglio segreto di alcolici.

 

Draco se ne stava rattrappito in un angolo, serio e composto, tentando solo di ingoiare il poco cibo che aveva spizzicato, lottando contro un’ostinata mareggiata di nausea. 

 

Kat, spaparanzata tra Johnny e Alex, si portò un dito alle labbra, dando un altro morso al pasticcino, schizzando crema un po’ ovunque sul suo viso. “Allora, amico Drà, ti diverti qui con Johnny? Ti piacciamo io e Alex? … beh, ti piacerò soltanto io perché Alex è talmente stronzo che non piace a nessuno. E poi, ti piace stare con Sam?”

 

Alex e Johnny gli sorrisero in coro.

 

“Allora?”

 

Draco soppresse un grugnito. “Siete talmente squallidi…”

 

Il suo commento masticato dal ribrezzo venne coperto dal coro festeggiante di Alex e Johnny. Draco represse un brivido; quelle persone erano grottesche quanto un enorme ragno nero  e peloso. 

 

Con un colpo d’occhio vide la porta della cucina aprirsi lievemente. Riconobbe con sollievo una figura che lo richiamava tacitamente dallo spicchio socchiuso e si avvicinò, attento a non farsi scoprire dalle tre bestie esultanti.

 

“I tuoi amici sono veramente squallidi” commentò lui e la sua lingua sembrò schioccare dal disgusto.

 

“E’ proprio vero” replicò Samantha con un sorrisino accomodante “Per questo sono così amabili.”

 

“Già” mugugnò Draco con un sarcasmo acido “Qui tutto si direbbe amabile.”

 

Samantha rimase silenziosa. Lui scoccò un’occhiata a Villa Drake, spedita, sommaria, spietata, finché gli sfuggì un colpo d’occhio verso Samantha e parlò con la lingua che grondava ripugnanza.

 

Che schifo.”

 

*^*

 

Hermione era compattata tra Ron e Viktor Krum, neanche fosse stata un’assegnazione di posti calcolata con lo scopo preciso di esasperare la sua pazienza a posizionarla nel mezzo dei due titani che la contendevano.

 

In compenso era felice per Ginny che aveva trovato posto accanto a Harry, ben lontana dall’inopportuno Luke Davisson e da Luna che per quella serata sembrava avere occhi e orecchie solo per il suo accompagnatore.

 

Fleur e Bill erano a capotavola e lei lo invitava ad assaggiare le specialità culinarie preparate con tanto impegno da Molly Weasley che, seduta al fianco del figlio maggiore col marito Arthur non poteva evitare di lanciare occhiatine puntigliose ai tentativi della nuora di imboccare il primogenito Weasley.

 

Un’altra serie di colpi annunciò la venuta degli ultimi ospiti alla festa di Natale di Shell Cottage.

 

Fleur si fiondò all’entrata con un candido: “J’arrive!”, ma, resasi conto dell’identità della coppietta alla porta, preferì ritirare la sua cortesia in un tono di glaciale educazione.

 

Bienvenue, Julie” disse alla cugina.

 

Julie Delacour varcò la soglia a braccetto con John Marshall che pareva affascinante quanto sgarbato : il suo abito da serata era forse uno degli ultimi e più prestigiosi modelli della collezione maschile di Madama McClan e l’espressione di beffarda ironia sembrava pronta a colpire con la sua infallibile capacità di esasperare le persone.

 

Fleur sbatté la porta alle spalle della coppietta con evidente intenzione di creare fastidio ai due. Julie e Marshall si limitarono a scambiarsi un’occhiata carica di pietà mista a divertimento e presero posto a tavola accanto a Ron, Hermion e Krum senza salutare nessuno. Così il giovane Weasley si trovò di fianco il mentore che avrebbe determinato la sua ascesa nell’esercito del Ministero.

 

“Non preoccuparti, Weasley” attaccò Marshall con un ghigno sottile “Per questa serata non ho progettato alcun test di abilità magica. E’ Natale e ho pensato che non fosse il caso di mostrare pubblicamente le tue imbarazzanti lacune per quanto concerne la vita in generale.”

 

Ron cominciò a digrignare i denti ma ricevette un leggero pizzicotto da Hermione, che con lo sguardo lo implorava di stare quieto.

 

“Questa è una festa di famiglia e si suppone dovremmo essere tutti amichevoli e garbati a questa tavolata” intervenne Molly Weasley con un’espressione truce a Marshall “Quindi, Generale degli Eclitti, si sforzi almeno di passare una bella serata e di non rovinare la festa a nessuno.”

 

Marshall fece spallucce e cominciò a conversare amabilmente con la consorte Juile che non aveva smesso un istante di sogghignare da quando aveva messo piede a Shell Cottage.

 

Molly ritornò composta, acclamata dai complimenti di Arthur. Ron si versò il primo bicchiere di Burrobirra e lo trangugiò con un fremito, cercando di scaricare una scossa di rabbia.

 

Marshall sogghignò nel vederlo fremere. “Vacci piano, Weasley, o rischi di passare direttamente in coma etilico al primo sorso di Whiskey Incendiario.”

 

Molly lo fulminò con uno sguardo minaccioso.

 

Marshall le sorrise con sarcastica cortesia. “D’accordo, cercherò di non rovinare la festa.”

 

Molly socchiuse gli occhi e con un colpo di bacchetta dispensò un’ampia porzione di antipasti nei piatti dei convenuti; poi si rivolse a Marshall.

 

“Favorisca pure, Generale degli Eclitti, dato che per lei è impossibile risultare non offensivo quando apre la bocca.”

 

Marshall  inforcò un piccolo cavolfiore affumicato con una strizzata d’occhio a Molly. “Gentilissima, signora.”

 

Con un rumore di stoviglie e porcellana, i convenuti cominciarono a consumare l’antipasto in silenzio, evitando che Marshall attaccasse discorso con qualcuno.

 

Harry lanciò un’occhiata nei paraggi. Era arrivato a Shell Cottage con ben due ore di ritardo, tutto merito di un inviato speciale della Gazzetta del Profeta che l’aveva bloccato sotto casa – un convenzionale appartamento babbano – con una serie di improponibili domande sulla sconfitta di Lord Voldemort. Così non aveva avuto tempo per chiacchierare con Ginny, si era dovuto accontentare di sedersi accanto a lei e in un minuto la presenza di Marshall e Julie Delacour aveva richiesto un religioso silenzio.

 

Ma c’era qualcosa che riuscì a distoglierlo dalla frustrazione di non averle ancora parlato. L’accompagnatore di Luna, a cui non aveva riservato molta attenzione durante i convenzionali saluti e auguri di Natale, aveva un’aria fastidiosamente famigliare.

 

Si trovò a fissarlo per troppo tempo, tanto che infine lo sguardo indaco dell’uomo si sollevò sul suo.

 

“Harry Potter, dimmi pure” proruppe Luke Davisson con una voce decisa e risonante, spezzando il placido silenzio a cui tutti si erano assuefatti.

 

Harry sbatté le palpebre con uno strano disagio. “No, niente. Hai solo un volto famigliare.”

 

“Capisco” bisbigliò Luke, riprendendo a consumare l’antipasto. Masticando un saporito boccone di pomodoro le sue labbra sembrarono piegarsi al sorriso.

 

“Anche per me hai un’aria famigliare” intervenne Marshall con voce tonante, troncando bruscamente la quiete dei presenti “Ma certo, ti ho visto fuori dal Parlamento babbano al termine della guerra. Eri nel gruppo di quella falsa Mangiamorte, vero?”

 

“Samantha Drake, sì, ero con lei” confermò Luke con totale quiete “Avevo il compito di proteggerla.”

 

Harry inforcò gli occhiali verso Davisson mentre una reminescenza si faceva strada nella sua mente. “Ecco dove ti ho visto. Eri uno dei due Mangiamorte che stava dietro a Malfoy e a quell’altra ragazza.”

 

“Ebbene sì” comprovò Luke con un’aria placida e affatto tesa mentre si versava nel piatto altri manicaretti prelibati.

 

Sollevò il capo solo memore di un silenzio scomodo ed elettrico. I convenuti lo fissavano sbalorditi e irritati dal suo sdegno, bramando maggiori dettagli, tranne Luna, che lo guardava come sempre aveva fatto: curiosità e meraviglia, un’accoppiata perfetta per beatificare l’orgoglio di Luke.

 

Da capotavola, il signor Weasley si protese verso Luke che era seduto all’angolo del suo lato. Tentò di scorgere oltre la manica di lana del suo braccio sinistro.

 

Luke, la cui arguzia non aveva niente da invidiare a quella delle volpi, capì immediatamente i propositi di Arthur e sollevò la manica sinistra.

 

“Ecco, così non si scomoda nello sbirciare” dichiarò Luke, scoprendo il tatuaggio di un teschio e di un serpente ancora delineato nei contorni ma di un nero decisamente scolorito.

 

“Fuori da questa casa!” scoppiò Artur, ritraendosi alla vista del Marchio Nero.

 

“Non c’è motivo di allarmarsi” lo rassicurò Luke con un sorriso calcolato e calmo “Questo marchio non ha alcun valore per me.”

 

“Ma ha valore per noi” protestò Arthur, gli occhi che ancora saettavo irrequieti sullo sbiadito tatuaggio nero.

 

“Non posso credere che a questa tavola ci sia…” cominciò Molly, pallida di rabbia.

 

Ginny si sporse sulla tavola per cercare gli occhi di Luna. L’amica la fissò di rimando e il suo sguardo sembrava rilassato.

 

“Luna?”

 

Luna si sporse a sua volta e la guardò con occhi sporgenti e tranquilli. “Non ti preoccupare, Ginny. Luke è un altro tipo di persona. Il suo compito era raccogliere informazioni sugli affari segreti di Voldemort e quindi si è dovuto fingere Mangiamorte.”

 

Nessuno dei presenti faticò a percepire le parole di Luna, ma le dichiarazioni dei Lovegood non erano altrettanto facili da digerire, specie per la loro inaffidabilità.

 

Inascettabile” dichiarò Fleur con un bisbiglio.

 

Marshall lanciò qualche occhiata ai convenuti e posò bruscamente il proprio bicchiere, catturando l’attenzione generale.

 

“E voi credevate che la festa l’avrei rovinata io!” sghignazzò, sinceramente divertito.

 

Un alone di fastidio e imbarazzo calò sui commensali, tranne che su Luna e Luke, pacati e immobili nella loro snervante distensione, e su Julie che sghignazzava sempre alle audaci battute di Marshall.

 

“Dovremmo contattare gli Auror” propose Bill ricevendo il deciso sostegno di Fleur.

 

“Casomai gli Eclitti” precisò Marshall con un sogghigno altero “E comunque si rilassi, signor Weasley. Ha la fortuna di avere alla sua tavola il Generale in persona.”

 

“Questo lo so” ribatté Bill con rancore “Quindi faccia qualcosa.”

 

Marshall storse la bocca mentre prendeva un sorso di vino. “C’è poco da fare. Il qui presento Luke Davisson è posto sotto tutela di un’associazione la cui potestà giudiziale supera ampiamente quella del Ministero.”

 

“Niente da fare?” ripeté Arthur con astio.

 

“No” replicò Marshall con decisa noncuranza “Il Ministero che, come avrà notato, si sta lentamente risollevando, non ha abbastanza influenza da contestare le disposizioni di questo gruppo… credo si chiami A.R.A.s.

 

Marshall cercò conferma da Luke che accennò con approvazione.

 

“Quindi non c’è niente da fare” proseguì il Generale degli Eclitti “E comunque mi creda, signor Weasley, neanche a me ha fatto piacere veder espatriare due criminali di guerra solo per dei biechi intrallazzi burocratici.”

 

Le dita di Arthur si contrassero sulla tovaglia. “Quali criminale di guerra?”

 

Lucius e Narcissa Malfoy” replicò Marshall riprendendo a sorseggiare un bicchiere di vino e mancando la brusca reazione di Arthur “La signorina Drake è riuscita a farli uscire dal Paese grazie al prestigioso sostegno dell’A.R.A.s.

 

“Non ci credo” mugugnò Arthur e Molly lo vide rabbrividire di rabbia e frustrazione.

 

“E Draco Malfoy?” azzardò Ron spinto da una curiosità indefinibile.

 

Harry si sentì affondare contro la sedia. La fine della guerra era sopraggiunta talmente repentina che gli ultimi istanti della battaglia contro Voldemort erano trascorsi nella sua memoria come finzioni e attimi distanti anni luce dal presente: ciò che contava davvero era che tutto fosse finito e che potesse sorridere ancora ai suoi cari. Allora era arrivato Han Joshuel e gli eventi della trascorsa guerra, i lutti, i volti e i nomi dei morti erano svaniti in secondo piano.

 

E Draco Malfoy doveva trovarsi tra i caduti; Harry l’aveva visto ucciso dall’Anatema della Morte della sua compagna, la stessa che aveva voluto salvare i genitori della sua vittima a dire di Marshall… Eppure c’era qualcosa di insolito nella trama del salvataggio dei Malfoy: per quale motivo quella Mangiamorte l’aveva fatto?

 

“Quella Mangiamorte ha espatriato anche lui?” continuò Ron con un ringhio nella voce.

 

Marshall sollevò le spalle. “Beh, c’era poco da espatriare. Non credo le importasse molto di trascinarsi appresso un cadavere.”

 

“Cadavere?” scandì Ron, stupefatto.

 

“Draco Malfoy è morto” dichiarò Marshall con assoluta calma.

 

Ben pochi riuscirono a trovare un’espressione adeguata in risposta a quella notizia. Solo Harry capì che nell’aria aleggiava disagio.

 

“Cos’è questa cupezza?” irruppe Marshall, trascinando un ghigno beffardo sulle labbra “Credevo che disprezzaste i Mangiamorte, e allora perché siete così costernati per la morte del più giovane dei Malfoy?”

 

“Non siamo costernati, solo sorpresi” protestò Ron e Marshall gli sghignazzò in faccia.

 

Ron buttò la schiena contro la sedia e guardò Hermione. “Non l’avremo più intorno che ci rompe con i suoi ghigni beffardi” disse e nella sua voce c’era una soddisfazione asettica e pudica.

 

“Già” Hermione lo fissò e parlò come lui “Non mi insulterà più.”

 

“Riprendiamo a mangiare” propose Molly, infine.

 

*^*

 

“Che razza di gusti, Sam” considerò Kat, fissando Draco di sbieco.

 

“Perché dici così?” protestò Samantha con un gorgoglio “Credevo che sapessi che mi piacciono le persone particolari.”

 

“E quel Draco Malfoy sembra molto particolare… a cominciare dal nome… bah… mi sembra così freddo. Non ti ha baciata neanche una volta.”

 

“Questo perché lui è molto rispettoso in presenza di estranei” lo difese Samantha.

 

Kat storse la bocca. “Estranei? Ha capito che siamo amici d’infanzia?”

 

“Sì, ma non credo che lui dia molto peso a queste cose” replicò Samantha accomodandosi accanto all’amica con uno strano gorgoglio allo stomaco. Si strinse una mano all’addome e il soffio di un pensiero sconcertante le passò per la mente.

 

‘Non può essere.’

 

Allentò la presa e riportò la mano con noncuranza a sistemarsi una ciocca di capelli. Guardò Kat e la vide intenta ad analizzare il profilo superbo di Draco, sdegnoso nel suo atteggiamento posato mentre Alex e Johnny si scalmanavano di risate come due bestie selvagge.

 

Kat fece una strana smorfia, tentando di emulare l’espressione melliflua di Draco. “E’ uno snob, scommetto con un carattere schifoso… oh, senza offesa, Sam.”

 

“Insomma…” sospirò Samantha “E’ molto perfezionista, questo sì, egocentrico e narcisista. Ma è comunque difficile da descrivere” i suoi occhi scivolarono su Draco senza che fosse sua intenzione e lo vide che storceva la bocca ed assottigliava lo sguardo.

 

“Non farci caso, Samantha, io faccio molto spesso delle smorfie, è nella mia natura di Malfoy. Solo quando assottigli gli occhi sono veramente a disagio” le aveva confidato una volta Draco, e forse era stata l’unica e autentica confessione riguardo il suo intricatissimo carattere.

 

E lui stava assottigliando lo sguardo.

 

Inconsciamente, Samantha socchiuse gli occhi come lui. “Sembra quasi che per Draco sia indifferente la compagnia o la solitudine, quasi come se non gli importasse molto dell’amicizia… o dell’amore.”

 

“Finiscila! Non mi cascare nella depressione” reclamò Kat.

 

Samantha si riprese con un sorrisetto indispettito. “D’accordo. Ora sono sicura di essere innamorata.”

 

“Ma dai?” fece Kat con un accento di irrisione nella voce.

 

Samantha inclinò la testa, solo un vago tono possibilista. “L’affetto che provo per lui è strano e francamente non ha spiegazioni. Quindi è amore, giusto?”

 

Kat corrucciò le sopracciglia, lanciando un’occhiata collerica ad Alex. “Perché lo chiedi a me? Come faccio a saperlo se mi ritrovo appaiata ad un coglione come Alex? Non so nemmeno se mi è fedele e anche se si scolerebbe il contenuto di un’enoteca al giorno, ha una testa schifosamente intricata. Non lo capisco.”

 

“Nemmeno io capisco Draco. E’ così enigmatico.”

 

“Anche Alex è una testa di cazzo…” Kat corrugò all’improvviso la fronte “Voglio dire… Diciamo pure che è semplicistico come un microbo ma è così privo di punti di riferimento che va a cacciarsi nelle situazioni più assurde solo per saggiare il gusto dello strambo e del rischioso, solo per vincere un’improbabile sfida contro la decenza umana, solo per il brivido di nuove avventure. Alex Cooper è banale e scontato, è solo quello che fa che lo rende particolarmente equivoco ed incomprensibile.”

 

Samantha fissò l’amica con una smorfia ironica. “Visto? In fin dei conti lo conosci.”

 

“Col tempo e… alcuni tradimenti… sono riuscita a capirlo, quel grandissimo stronzo…” borbottò Kat.

 

“Quindi dovrò pazientare per capire Draco” concluse Samantha con un altro sospiro.

 

Kat adocchiò Draco e storse la bocca. “Bah. Come si fa ad innamorarsi di un tipo come quello?”

 

“E’ vero, è freddo, delle volte è completamente distaccato, isterico, irritabile quasi quanto una donna” recitò Samantha con uno strano sorrisetto “Da qualche parte è sensibile ma è anche un gran bastardo perché non si fa problemi a ferire le persone.”

 

Kat la fissò con serietà. “Ti ha fatto qualcosa?”

 

Samantha fece spallucce. “Insomma… Gli ho detto che dovrebbe sentirsi fortunato perché la sua famiglia è ancora viva, perché lui è ancora vivo… e che doveva mostrarsi almeno un po’ felice quand’era con me.”

 

“Che stronzi anche i depressi” sbuffò Kat, lasciando slittare lo sguardo sul broncio mellifluo di Draco.

 

“Lui mi ha detto che la gloria e il rispetto sono vitali per lui, per la sua famiglia e che qui, qui con la mia famiglia, qui con me, loro non sarebbero mai riusciti ad ottenere rispetto, che avrebbero avuto solo umiliazione per il modo in cui li trattavamo, perché qui nessuno conosce il loro nome: i Malfoy… perché qui con noi la loro vita di gloria è finita. Ha detto che qui fa tutto schifo.”

 

“E tu lo ami” mugugnò Kat “Quello stronzetto biondo e ingrato.”

 

“E tu ami Alex” le sibilò Samantha in tono di accusa.

 

“Ma quando mai?” sbottò Kat arrossata di sconcerto e di vergogna.

 

Samantha annuì con un gran sorriso. “Perché altrimenti gli perdoneresti tutte le sue scappatelle? E… beh, la sua storia la conosci…”

 

Kat si abbandonò ad una rancorosa rassegnazione. “Hai ragione, forse dovrei tenere la bocca chiusa. Il nostro amore ci rende così masochiste. Autenticamente devote a degli stronzi che amano spezzarci il cuore.”

 

Samantha concordò e un sapore amaro gli salì in gola.

 

‘Una persona che ami e che ti respinge. Ho paura che mi lasci.’

 

“Che schifo.”

 

“Anche se dovessi tenerlo al guinzaglio per tutta la vita…”

 

Kat la guardò con un’espressione inquieta.

 

“Anche stretto ad una catena” ribadì Samantha “voglio dimostrare a quel testone di Draco che può essere felice se rimane al mio fianco.”

 

“E che guinzaglio pensi di usare?” borbottò Kat con scherno, ma Samantha nemmeno se ne accorse, catturata com’era dalla figura di Draco.

 

*^*

 

“Buonasera, famiglia Weasley eccetera!”

 

I due gemelli di casa Weasley fecero irruzione a Shell Cottage presentandosi a braccetto con due bionde maghe e straordinariamente simili tra loro pur non essendo sorelle.

 

“Che fine ha fatto la cassiera di Mielandia?” sogghignò Bill a Fred.

 

Lui fece spallucce. “Troppo seria per i miei gusti.”

 

“Ma se rideva in continuazione” puntualizzò Bill.

 

Fred scosse la testa, categorico. “Troppo seria.”

 

“Veramente rideva anche troppo” intervenne George dopo aver offerto un drink alla sua accompagnatrice “E ad altri uomini. Ecco perché Fred l’ha scaricata.”

 

Fred alzò le braccia al soffitto in una teatrale posa drammatica. “In questo mondo di dopoguerra non si può fare affidamento nemmeno sulla discrezione di un gemello.”

 

George sghignazzò. “Quando mai siamo stati discreti?”

 

“Hai ragione tu, George” ribatté Fred “Non ti chiederei mai di tradire la nostra natura solo per una donna”

 

L’avvenente e bionda accompagnatrice di Fred fece uno strano verso, ma per il resto della serata si limitò a decifrare i biascicamenti francesi di Fleur con un cipiglio ammagliato.

 

“Piuttosto” continuò Fred con un’occhiata al salotto “E’ crollato un anatema depressivo su questa casa?”

 

“O è solo Fleur che trascina il malumore nella sua scia argentata?” proseguì George.

 

“Nessuna delle due” disse Ginny, lanciando un’occhiata scocciata a due figure che si contorcevano sul divano più appartato “Ci sono Marshall e la cugina di Fleur.”

 

“Merlino dà loro i poteri e loro si accoppiano” concordò George.

 

“C’è anche Lunatica Lovegood” soggiunse Fred, guardandosi alla spalle “E l’uomo che le sta vicino ha tutta l’aria dell’agente segreto.”

 

“Sei un mito nel giudicare le persone, Fred” asserì Ginny, deglutendo il terzo bicchiere di Burrobirra.

 

Il divano più vicino era occupato da quella che era sicuramente la più originale delle sue amiche, nonché dall’elemento che aveva irreparabilmente sfaldato la magia della festa.

 

“Spero di non averti rovinato la serata” mormorò Luke.

 

Luna scosse la testa. “No, al contrario. Mi piacciono i misteri che si accavallano su misteri.”

 

Luke le sorrise con gratitudine e fissò il soffitto. Lasciò che una sincera soddisfazione gli rilassasse il viso, cosa insolita per una persona come lui, addestrata a mantenere perpetuamente un volto di granito, impermeabile alle emozioni autentiche.

 

Un vischio pendeva dal soffitto, esattamente sopra le loro teste.

 

“Mi racconti la leggenda del vischio?” le domandò Luke con un’innocenza da bambino.

 

Luna scosse la chioma bionda e intrecciò la collana di tappi di sughero attorno al polso destro. “Ci sono molte leggende sul vischio, quale vuoi conoscere?”

 

Lei ebbe solo il tempo di scorgere un piccolo ghigno furbo da Luke, poi le labbra di lui sparirono dalla visuale, premute alle sue solo per un attimo infinitesimale, solo un tocco sfiorato, ma accadde: il suo primo bacio.

 

Luke tornò ad accomodarsi contro il soffice divano, valutando la reazione di Luna con un cipiglio di compiacenza.

 

“Questa tradizione già la conosco” le bisbigliò con una strizzata d’occhio “Voglio sentirmi raccontare quelle meno tradizionali.”

 

In vita sua Luna non aveva trovato un motivo valido per arrossire; la vergogna e soprattutto l’imbarazzo non erano mai stati propri del suo carattere.

 

“Va bene” bisbigliò Luna e le sue guance si tinsero di porpora.

 

*

 

A mezzanotte in punto qualcosa sembrò incrinarsi nel rapporto tra Marshall e Julie, tanto che il salotto di Shell Cottage si tramutò in un acceso campo di fuoco, beffe, insulti e bestemmie.

 

Luke sghignazzava ad ogni strillo di Julie e Luna annotava incuriosita ogni insulto che le giungeva nuovo all’orecchio. I signori Wealey giacevano immoti sullo stipite della cucina, domandandosi in cuor loro come potesse una giovane donna possedere un lessico tanto nutrito. Ron fremeva alla prospettiva di dover affrontare un John Marshall con la sbronza cattiva durante gli allenamenti del pomeriggio seguente ma riusciva comunque a sogghignare all’idea del suo più odiato ex-professore scapolo e inviperito dalla frustrazione sessuale. Hermione si era misteriosamente ritrovata a braccetto con Fleur che, sempre più indignata, si copriva le orecchie e gorgogliava ritmicamente come una cantilena.

 

Ce n’est pas possible. Elle ne peut pas être ma cousine.”

 

Harry aveva preferito rifugiarsi in cucina colto da un sospettoso mal di testa  che gli era sopraggiunto dopo aver trangugiato la Burrobirra offertagli dai gemelli Weasley.

 

“Qui la situazione sembra delicata” disse George, tentando si surclassare gli strilli della coppia “Che combinate tu e Harry?”

 

Ginny fece spallucce. “Niente.” E trangugiò il quinto bicchiere di Burrobirra.

 

Fred e George si scambiarono un’occhiata complice.

 

“E’ fatta” bisbigliò il primo al gemello, attento a non farsi sentire dalla sorella.

 

“Questa notte ci saranno scintille” concordò George.

 

Fred tirò un sospiro. “Finalmente. Non se ne può proprio più di tutta questa apatia. Tra nostro fratello ed Hermione, Ginny e Harry…”

 

George annuì. “Già, gli unici elementi produttivi sono quel Marshall e la francese schizzata, ma adesso anche loro hanno allentato il ritmo.”

 

“Allentato? Si stanno mangiando vivi. Utile, comunque, questa disputa. Sto imparando parole di cui non conoscevo l’esistenza.”

 

“Io invece le sapevo tutte” dichiarò George con orgoglio.

 

“Come fai ad essere più dotto di me? Siamo fratelli.”

 

“Ho le mie fonti private.”

 

“Egoista” borbottò Fred con ironia.

 

“Ma sarà corretto incitare quello che stiamo facendo in modo che accada?” gorgogliò George con un’espressione di enigma shakespeariano.

 

“Non mi diventare moralista, George, o machiavellico, perché potrei cominciare ad odiarti.”

 

“Figurati” sghignazzò George “La mia era solo una domanda retorica.”

 

Fred accennò fatalmente. “Si vedrà tra qualche tempo.”

 

*^*

 

Con tocchi d’alto rispetto, un Auror bussò all’ufficio del Ministro della Magia. Invitato ad entrare porse ad Albert un sontuoso foglio di pergamena, gli occhi brillavano come due barlumi d’orgoglio.

 

“Abbiamo ottenuto il consenso e il permesso di avviare il progetto di ricostruzione, Ministro Gray.”

 

Albert attese che l’Auror si ritirasse con un inchino compito e serrasse la porta.

 

Ritornò alla sua scrivania sotto lo sguardo attento di Jeremy.

 

Neo-Hogwarts” lo sillabò con calma e già gli parve di avere sulle labbra un nome che sapeva di cenere, di fuoco e di putrefazione.

 

Jeremy uscì dalla penombra del suo nascondiglio e sorrise al Ministro. “Tornerà tutto a posto… come vogliamo noi.”

 

Albert annuì mentre la pergamena si accartocciava tra le sue dita. “Già, tutto sarà perfetto.”

 

 

*=*=*=*=*=*=*=*


Que tal? Hace mucho tiempo que no nos veiamos! De aquerdo, lo sentimos, tenemos un poquito de retardo, però todo se solucionarà con esta noticia: ya tenemos que empezar la Tercera Parte!!! Sì, porque esta Segunda nos gusta mucho, però falta de argumientos, asì que todo lo que no escribimos aqui serà un Flash Back en la tercera parte.
Yahiii!!!


E queste disperate parole in spagnolo provano che siamo state a Barcellona per una settimana!!! *_* Ebbene sì: ecco spiegato il nostro clamoroso ritardo ^_^! Ma c’è anche un altro motivo. Chi capisce lo spagnolo (beh, se avete buone conoscenze di dialetto e francese potreste anche riuscirci -_^) saprà già che questo… (*rullo di tamburi*)… è l’ultimo capitolo della Seconda Parte!!! !_!

Oh, non disperate. E’ solo che a Barcellona, proprio davanti alla Sagrada Familia, abbiamo avuto un’illuminazione divina, una specie di noesis platonica ^_^, che ci ha sibilato all’orecchio di concludere “Post War” per dedicarci anima e corpo alla Terza Parte (che è senza dubbio la preferita e la più acclamata delle due autrici! NdSamy&Kaho).

Ma non temete! Tutto ciò che avevamo previsto di scrivere in questa Seconda Parte non andrà perduto: ci saranno dei funzionalissimi flash-back che spiegheranno la situazione passata. E’ anche più carino… immaginate: catapultati direttamente 17 anni dopo la fine della guerra, con figli e figlie e sconosciuti e rapporti famigliari già maturi e dai background sfumati e misteriosi… ^_^ E’ proprio per questo che decidiamo di concludere qui: SUSPANCE. 

Per chi è rimasto a bocca asciutta per l’illusorio ex-titolo: Lust (mi vengono in mente Derfel Cadarn per Ginny e Saty ^_^), non si deve preoccupare! Con un magistrale flach-back si capirà perché Fred e George erano così estasiati per la coppietta Harry/Ginny alla fine delle festa.   

Così… attendete il primo capitolo della Terza Parte!!! UAHOOOO!!! E’ emozionante persino scriverlo, chissà crearlo con immaginazione e passione *_*

Speriamo di non aver deluso nessuno… Ma no! Assicuriamo una chicca per la Terza Parte ^_^

 

Risposte alle recensioni:

 

HarryEly: Oddio, Kaho è morta leggendo che l’ex di Samantha è 100 volte peggio di Draco! XD E ti capisce benissimo, perché Draco è odioso. *Samy picchia Kaho* Ehm… Comunque, sì, è tutto complicato… speriamo di ritrovarti ancora qui! *.* bacio!

Saty: Donna, non ci sono parole per te se non la nostra ammirazione, tu meriteresti una statua, una dedica, qualcosa! Insomma, qualcosa dobbiamo fare per te, nostra luce, che ci fai giustizia! *_* Il perché la storia è poco seguita non lo sappiamo nemmeno noi, forse per non tornare indietro a leggere l’altro pezzo della saga… chissà. Tanto la terza parte si può leggere senza nulla. XD E ti piacerà, speriamo! Si vedono i figli di tutti, anche se non sappiamo se ti piaceranno quelli di Hermione e Ron… mica potevano essere perfetti, eh. Non ti aspettare Gary Stue o Mary Sue, anzi! XD Devi temere il peggio! Un bacio

ninny: Amiamo maltrattare Harry. Sul serio, è più forte di noi! (soprattutto Samy… XD) Grazie di essere qui! ^^ bacio!

horus:

KAHO – Io so chi sei e ti dico: insultami pure, ma lascia al recensione, da brava cuginetta! XD Lo sia che sono lavativa, è più forte di me. Ma stavolta è la scuola, eh. E la gita. E tutto il resto. E, in fondo, lo so che mi vuoi bene! <3

SAMY – Brava, almeno tu digliene quattro insieme a me a questa pigrona! Non riesco a farla lavorare, ecche cavolo! XD Grazie della recensione! ^^

Bacio!

Derfel Cadarn: Johnny è sempre simpatico! XD E Ginny vedrai che apparirà presto… e in grande stile. (te la immagini come mamma? *_* Che teneraaaa! E immagino tu ritenga fortunato il giovine che se la piglia! XD) Grazie del commento! ^^ un bacio anche a te! XD (disperdiamo baci dappertutto… uhm…)

maryrobin: Grazie e scusa l’attesa! ^^


Siamo a: 5/5 capitoli!!!!

 

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Samy & Kaho

 

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