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di Kitri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima - Usagi ***
Capitolo 2: *** Parte seconda - Mamoru ***



Capitolo 1
*** Parte prima - Usagi ***


Pensavate di esservi liberate di me? E invece no! Eccomi di nuovo qui. Vi ho anticipato un sequel di Come ogni volta e sicuramente, a breve, ci sarà anche quello. Nel frattempo, cosa staranno facendo Mamoru e Usagi? Vi lascio alla prima parte di questa flash-fic, idea suggeritami dalla mia amica Rosa, alias Red85, che ringrazio con tutto il cuore. Spero che vi piaccia! Un abbraccio
 

 
 

 
USAGI
 
 
«Usa! – gridò Yumiko dal piano inferiore – Le ragazze ti stanno aspettando!».
«Arrivo!» rispose Usagi, mentre combatteva con la sua valigia, che proprio non ne voleva sapere di chiudersi.
Nell’ultimo disperato tentativo di riuscire nell’impresa, la ragazza vi si sedette sopra, spingendo con tutto il suo peso, e con forza tirò la zip.
«Ce l’ho fatta!» esultò trionfante, ammirando il suo piccolo successo.
Occhiali da sole e zainetto in spalla, afferrò il manico del trolley e fece per uscire dalla sua stanza. Ma un luccichio sulla cassettiera attirò la sua attenzione e la indusse a bloccarsi di colpo e a tornare sui propri passi.
Davanti allo specchio indossò la collanina. Con le dita indugiò sul pendente a forma di mezzaluna, accarezzandolo, e, mentre osservava la sua immagine riflessa, respirò i ricordi legati a quel gioiello.
«Usaaaa!» la chiamò ancora Yumiko.
Usagi si ridestò immediatamente dai suoi pensieri e si affrettò a raggiungere le sue amiche al piano di sotto.
«Era ora! – la rimproverò Rei, non appena la vide comparire in cima alle scale – Sei sempre la solita ritardataria!».
Usagi fece una smorfia, mostrandole la lingua.
«Io sono in perfetto orario, siete voi che siete in anticipo!».
«Ma guardati! - esclamò Rei, indispettita dall’atteggiamento infantile di Usagi - Se ti vedessero i tuoi pazienti, penserebbero che sei una bambina e non si farebbero più curare da te!».
«Già! Peccato solo che i miei pazienti non mi possano vedere, adesso» disse la ragazza di rimando, senza batter ciglio alle provocazioni di Rei.
Le altre tre amiche, che miliardi di volte avevano assistito agli stupidi battibecchi tra le due, sospirarono rassegnate.
«Cominciamo bene!» fu il commento di Ami.
«Stanze separate!» sentenziò Makoto.
«Mi dispiace, - intervenne per ultima Minako - ma Ami ha prenotato solo stanze uniche con cinque posti letto».
«Ami! Tu che pensi sempre a tutto, come hai potuto trascurare questo dettaglio così importante?» esclamò Makoto, fingendo un rimprovero.
«Hai ragione! - rispose la ragazza – Chiedo venia!».
Le tre ragazze si scambiarono sguardi complici e poi scoppiarono a ridere, mentre Usagi e Rei continuavano a discutere, imperterrite, come due bambine.
Il rapporto che univa le cinque amiche era così, fatto di sincerità e complicità, un rapporto speciale, l’avrebbero definito.
Si conoscevano dagli anni del liceo e da allora non si erano mai separate, almeno fino a quando Usagi, dopo la laurea in medicina, non si era trasferita nella Capitale per specializzarsi in chirurgia.
Quella vacanza era un’occasione molto importante per loro, perché in un mese avrebbero avuto modo di stare insieme e recuperare il tempo perso. E infatti, quando anche Usagi, alla fine, aveva deciso di andare con loro, avevano letteralmente fatto i salti di gioia.
Certo sapevano quale fosse il motivo che aveva spinto la loro amica a unirsi all’ultimo momento, ma non avevano mai pensato, neanche per un secondo, di essere un ripiego, solo perché lei e Mamoru si erano lasciati.
Anzi, si erano ripromesse di farla stare bene e di aiutarla a riprendersi, quando la malinconia avrebbe fatto la sua inevitabile comparsa su quel volto solare e allegro e che loro amavano vedere sorridere.
 
«Divertitevi, ragazze! – le salutò Yumiko – E mi raccomando, una cartolina da ogni città che visiterete!».
«State attente!» fu, invece, la raccomandazione di Kenji, che, benché sua figlia vivesse da quasi un anno fuori città, non perdeva occasione di mostrare il suo lato di genitore apprensivo.
Dopo che Usagi ebbe salutato con un bacio suo padre, Yumiko e la piccola Chibiusa, le cinque ragazze si avviarono alla fermata ad attendere l’autobus che le avrebbe accompagnate all’aeroporto.
«Credi che questa vacanza le farà bene?» chiese Kenji, preoccupato, a sua moglie, mentre osservava la figlia allontanarsi in compagnia delle amiche.
«Io credo di sì! Si riprenderà, vedrai» rispose Yumiko rassicurante, posandogli una mano sulla spalla.
«Mi piaceva Mamoru! Era esattamente l’uomo che avrei voluto vedere al fianco di Usagi».
«Anche a me piaceva! – sospirò la donna. Poi aggiunse – Secondo me, però, non dovremmo parlare al passato. Ho la sensazione che tra loro non sia finita».
Kenji si voltò a guardarla, alzando un sopracciglio in un’espressione interrogativa. Yumiko gli sorrise teneramente.
«È solo una sensazione, tesoro! Diamo tempo al tempo, e vedremo se è giusta o no».
 
Le cinque ragazze arrivarono in aeroporto puntuali, piene di entusiasmo per l’ avventura che cominciava proprio in quel momento. Un mese lontano da tutto e tutti! Fecero il check-in e si sistemarono nella sala d’attesa.
Mentre Minako e Rei facevano un giro per negozi, Makoto andò a prendere qualcosa da mangiare, Usagi si sedette a leggere l’ultimo numero di una rivista di medicina, che non aveva ancora neanche sfogliato, e Ami dava un’occhiata al programma della vacanza per mettere a punto gli ultimi dettagli.
Avevano a disposizione quattro settimane e ne avrebbero approfittato visitando quattro capitali europee.
La prima tappa sarebbe stata Roma, seguita da Londra, Amsterdam e Praga. Inizialmente, però, era stata prevista anche una tappa a Parigi.
C’era una probabilità molto bassa che, in una simile metropoli, Usagi e Mamoru si incontrassero. Ma poiché non è mai possibile conoscere i casi della vita, viste anche le troppe coincidenze che avevano fatto conoscere i due ormai ex-fidanzati, alla fine, le quattro amiche avevano preferito sostituire la capitale francese con quella olandese, all’insaputa della diretta interessata, ed evitare quindi ogni eventualità che la vacanza della loro amica fosse rovinata.
 
Usagi era completamente assorta nella lettura di un articolo, quando qualcuno le sfilò di mano la rivista.
«Nuove tecniche neurochirurgiche  - Minako lesse ad alta voce il titolo dell’articolo - Non ci siamo proprio, Usa-chan! Questa è una vacanza, niente lavoro!».
Usagi sbuffò infastidita per essere stata interrotta sul più bello.
«Ok, Mina! Posso riavere almeno la mia rivista per rimetterla in borsa?» chiese con finto garbo, prima di passare alla maniere forti.
Minako la osservò dubbiosa per essere sicura che Usagi non facesse scherzi, prima di restituirle quanto le aveva sottratto per una giusta causa.
«Ci pensate che bello? Da quand’è che non facevamo una vacanza insieme?» chiese a un tratto Makoto.
«L’ultima è stata due anni fa – rispose Rei – In Grecia».
«Se non sbaglio fu durante quella vacanza che Usagi conobbe Takashi – esclamò Minako. Poi aggiunse maliziosa verso la sua amica – Magari anche stavolta incontri qualche aitante giovanotto che ti farà dimenticare il tuo bel dottore … Ahia! Ma cosa ho detto?».
Minako si era beccata due gomitate da parte di Makoto e Rei, mentre Ami si portava la mano alla fronte scuotendo la testa.
«Zitta!» la minacciò Rei a bassissima voce.
Usagi sorrise davanti alla comicità della scena. Era chiaro che le sue amiche si fossero messe d’accordo per non nominare il suo ex in sua presenza.
«Io non ho bisogno di dimenticare Mamoru – disse - E, per la cronaca, ne potete parlare liberamente! Non è la malattia di cui sto morendo, è solo un uomo che ho amato e con cui non ha funzionato. Punto. Quindi, vi prego, comportatevi in maniera naturale, ok?».
Usagi pronunciò quelle parole con decisione per tranquillizzare le sue amiche.
“È solo un uomo che ho amato e con cui non ha funzionato”.
Aveva parlato al passato e aveva mentito.
Amava ancora Mamoru e, del resto, erano passati solo una decina di giorni dall’ultima volta che si erano visti, e sapeva che non sarebbe stato facile dimenticarlo, sempre che ci fosse riuscita.
Però doveva ammettere di sentirsi serena, soprattutto dopo l’ultimo periodo che aveva vissuto, perché sapeva di aver fatto la scelta giusta.
«Scusaci, Usa-chan! È solo che siamo preoccupate per te!» esclamò Minako, mortificata per la gaffe di poco prima.
«Abbiamo paura che tu reagisca proprio come hai fatto dopo la rottura con Sachi» si giustificò Rei.
Usagi sgranò gli occhi, chiedendosi che cosa intendesse Rei. Poi, quando comprese, sorrise, facendo segno di no con la testa.
«Questo non accadrà mai! – disse – Primo, perché sono cresciuta da allora, e secondo, perché tra Mamoru e Sachi c’è una bella differenza. Mamo mi ha restituito quello che Sachi mi aveva tolto, me stessa. Non ho alcun rimpianto, sono serena, credetemi!».
Ami, che era seduta accanto a Usagi, notò gli occhi lucidi della ragazza e pensò che fosse meglio chiudere lì quel discorso.
«Che ne dite di una bella foto per inaugurare l’album delle nostre vacanze?» esclamò, sorridendo e mostrando la macchina fotografica.
«Ottima idea!» risposero le amiche in coro. Quindi, si misero in posa.
«Pronte?» chiese Makoto posizionando la macchinetta, prima di premere il pulsante dell’autoscatto e correre in mezzo alle altre.
Quella foto, un mese dopo, sarebbe stata incorniciata da Usagi e messa accanto alle altre che facevano bella mostra di sé nella sua libreria, come ricordo di una bellissima e indimenticabile vacanza.
 
L’indomani mattina Usagi si svegliò molto presto.
Ci mise qualche secondo per mettere a fuoco dove si trovasse.
“Roma, città eterna!” pensò tra sé sorridendo.
Si sedette al centro del letto stiracchiandosi. Diede un’occhiata alle sue amiche e si stupì di essere l’unica già sveglia.
Un tempo era una dormigliona, ma nell’ultimo anno, con i turni estenuanti in ospedale, aveva modificato i suoi ritmi e ora svegliarsi così presto era diventata un’abitudine, anche in vacanza.
Con uno scatto si alzò e corse alla finestra, aprendola e respirando a pieni polmoni l’aria dell’Italia.
La sera precedente erano arrivate in ostello molto tardi e non avevano visto granché, preferendo andare subito a letto e mettersi in forze per il giorno successivo.
C’era un sole meraviglioso e, benché fosse presto, faceva già piuttosto caldo.
Forse non era stata un’ottima idea scegliere di visitare l’Italia in piena estate, ma, già solo per il suggestivo scorcio della città che si riusciva ad ammirare dalla finestra, Usagi pensò che valesse la pena sopportare tutto quel caldo.
Osservava estasiata la stradina sottostante con i suoi negozietti, i passanti e la vita che riprendeva piano piano con il nuovo giorno, quando qualcosa di morbido le colpì la schiena: una delle sue amiche le aveva tirato un cuscino.
«Chi è stata?» esclamò voltandosi e osservando perplessa le ragazze che ancora dormivano o fingevano di dormire.
Una risatina soffocata attirò la sua attenzione.
«Sei stata tu! – gridò divertita, fiondandosi sul letto di Rei – Adesso me la paghi!».
Neanche a dirlo, che altri tre cuscini, uno dopo l’altro, arrivarono a colpirla. Le ragazze erano tutte sveglie e avevano teso un vero e proprio agguato alla povera Usagi.
Così, in men che non si dica, improvvisarono una lotta all’ultimo cuscino sul letto di Rei, ridendo come pazze, proprio come accadeva ai vecchi tempi, durante i pigiama-party che erano solite organizzare.
Usagi riuscì a divincolarsi da quel groviglio di gambe, braccia e cuscini.
«Ho vinto io! – esclamò alzandosi e correndo verso la porta del bagno – E sarò la prima a fare la doccia!».
Le altre provarono a bloccarla, ma inutilmente, perché la ragazza fu più svelta a chiudersi la porta alle spalle.
«Sei un’imbrogliona, Usa-chan!» le gridò Minako.
«Almeno fai presto, che tocca anche a noi!» si raccomandò Rei.
«Ok, faccio presto!» fu la promessa di Usagi.
Le altre ragazze si guardarono complici e sorrisero. Usagi sembrava allegra. Forse era davvero serena come aveva affermato lei stessa, il giorno precedente, in aeroporto.
 
In giro per le strade della capitale italiana, le ragazze si guardavano intorno incantate. In ogni angolo della città era possibile ammirare le testimonianze del passato, i resti di quello che era stato il più grande Impero della storia.
Era incredibile come il passato si fondesse perfettamente con il presente e come la gente del luogo fosse abituata a tanta meraviglia.
Faceva molto caldo e il sole picchiava forte, ma quasi non se ne accorsero, prese com’erano da tutto ciò che le circondava.
Ed ebbero anche modo di constatare personalmente che quanto si diceva sugli italiani era vero. Calorosi ed espansivi.
Il loro cammino fu, infatti, spesso accompagnato da fischi e apprezzamenti. Erano tutte bellissime ragazze e non passavano certo inosservate, ma non erano abituate a tali manifestazioni nel loro Paese, dove tutti erano freddi e distaccati. E la cosa divertì parecchio le cinque amiche.
Su insistenza di Minako, la prima tappa fu Fontana di Trevi.
La ragazza aveva letto da qualche parte una leggenda secondo la quale, se si gettano tre monete nella fontana, la prima garantirà il ritorno a Roma, la seconda porterà una nuova storia d'amore, mentre la terza porterà al matrimonio.
Non c’è bisogno di spiegare cosa avesse spinto Minako a essere così insistente. E, anche se le altre inizialmente si erano mostrate poco interessate alla leggenda, alla fine si erano accodate alla loro amica.
«Uno, due e tre!» gridarono in coro divertite, mentre di spalle, una di fianco all’altra, prendevano lo slancio prima di tirare la terza e ultima monetina.
«Speriamo che funzioni!» sospirò l’ingenua Minako.
«Ma è solo una leggenda!» esclamò Usagi.
«Sì, ma intanto l’avete fatto anche voi!».
«Non si può mai sapere! - intervenne Makoto facendole l’occhiolino – Magari si avvera!».
«Sono sicura che durante questa vacanza incontrerò l’uomo della mia vita!» fu l’affermazione convinta di Minako, che fece scoppiare a ridere le sue amiche.
«Non posso credere che tu sia così disperata da affidarti a una leggenda» la punzecchiò Rei.
Minako sbuffò infastidita.
«Non sono disperata!».
«Su, lasciatela stare! – intervenne Usagi in difesa della povera Minako – Lo sapete che lei è l’eterna, inguaribile, sognatrice».
«Grazie Usa! Solo tu puoi capirmi! Queste streghe non sanno neanche cosa sia l’amore!» disse la ragazza mettendosi sotto il braccio di Usagi e facendo una smorfia dispettosa alle altre.
“Già! Purtroppo io lo so!” fu il pensiero malinconico di Usagi a quella affermazione.
Minako, memore della gaffe del giorno precedente, si rese conto di aver detto qualcosa che aveva intristito la sua amica e cercò di porvi subito rimedio.
«Andiamo Usa! Ti offro un gelato e a queste streghe niente!».
E così dicendo la trascinò verso la gelateria più vicina, ben sapendo quanto un buon gelato al cioccolato avesse il potere di risollevarle il morale.
 
Le cinque amiche passarono così l’intera giornata in giro a visitare Roma e, solo quando si sentirono completamente mancare le forze, decisero di rientrare a riposare, prima di andare a cenare nella trattoria vicino all’ostello.
Sotto la doccia, finalmente sola, Usagi si lasciò andare ai cattivi pensieri che fino a quel momento aveva tenuto distanti, grazie alla splendida giornata e, soprattutto, alle attenzioni delle sue meravigliose amiche.
Accarezzò il pendente a forma di mezzaluna, quasi fosse una sorta di amuleto che l’aiutasse a sentire Mamoru più vicino.
“Chissà che sta facendo adesso!” si chiese.
Ripensò alle ultime rivelazioni che lui le aveva fatto e a quanto dovesse essere grande la ferita che si portava dentro, uno squarcio nell’anima.
Sentì che stava per scoppiare a piangere, per la prima volta da quella fatidica sera. Aveva voglia di piangere per il dolore di Mamoru, perché adesso era solo con le sue ferite, perché le mancava terribilmente e perché in tutto questo lei continuava a sentire di aver fatto la scelta giusta.
Eppure ce l’aveva con il destino, che li aveva voluti separare, nonostante fossero anime gemelle, e ce l’aveva con l’amore che aveva scelto di unirli pur sapendo che sarebbe stato inutile, e ce l’aveva con Hiroshi Chiba perché aveva seminato solo tanto dolore.
Provò a respirare profondamente per far sciogliere quel nodo alla gola che l’opprimeva. Doveva stare calma ed essere forte e pensare solo a godersi la vacanza con le sue amiche. Doveva avere pazienza e attendere che il tempo lavasse via ogni segno.
«Usagi, sbrigati! Il bagno serve anche a noi!» la richiamò Rei, bussando insistentemente alla porta.
«Sì, sto uscendo!» rispose dopo aver chiuso l’acqua e coprendosi con un telo.
Aprì la porta del bagno.
«Scusatemi, ragazze! È tutto vostro» disse uscendo dal bagno, mentre il rimprovero che Rei aveva sulla punta della lingua morì sul nascere, bloccato all’istante dall’espressione di Usagi.
«Non avrai pianto?» le chiese.
«Io? No, che dici!» rispose la ragazza vaga, cercando la biancheria nel cassetto.
Le amiche si scambiarono occhiate di intesa.
«Senti, Usa – esclamò Ami, all’improvviso, con molta dolcezza – Noi ci siamo rese conto di avere sbagliato con te. Col nostro atteggiamento non abbiamo fatto altro che reprimere i tuoi stati d’animo. Quindi vorremmo chiederti di sentirti libera di parlare, di sfogarti, di piangere, se lo vuoi. Noi saremo qui ad ascoltarti e a sostenerti».
Usagi sorrise guardando un a una tutte le sue amiche. Loro erano uno dei suoi tesori più grandi e ancora una volta glielo stavano dimostrando, nonostante la sua assenza dell’ultimo anno.
«Grazie, ragazze! Sono un po’ triste, ma passerà! E se ne avessi bisogno, vi giuro che mi lascerò andare».
E il tutto si concluse con un mega abbraccio di gruppo, di quelli che con l’età erano diventati sempre più rari, ma che racchiudevano in sé sempre lo stesso significato: un legame vero e profondo.
 
La settimana a Roma volò, come pure quelle a Londra e ad Amsterdam.
Le ragazze avevano passato il tempo a girare, a visitare musei e luoghi di interesse culturale. Ma non si erano certo lasciate sfuggire pomeriggi di relax nei parchi cittadini, lunghe passeggiate in bicicletta, shopping nei centri commerciali e serate in giro per locali, cercando di soddisfare i gusti e le esigenze di tutte, anche se qualche volta, non riuscendo a mettersi d’accordo, alla fine erano state costrette a separarsi.
In ogni caso, si stavano divertendo e avevano come l’impressione di vivere in un’altra dimensione, lontano dalla vita di tutti i giorni.
Anche Usagi era decisamente più rilassata ed era riuscita ad allontanare lo stress di un anno di duro lavoro in ospedale e, soprattutto, dell’ultimo periodo che aveva vissuto prima di partire.
Certo ogni sera, appena si metteva a letto, sola con i propri pensieri, la mente volava sempre verso di lui.
“Chissà che sta facendo! Chissà come sta!” erano sempre le stesse le domande che si poneva.
Ma non sentiva più quel nodo alla gola e quel forte desiderio di scoppiare a piangere così come le era capitato la prima sera a Roma. E il più delle volte crollava in un sonno profondo, non appena il pensiero di Mamoru veniva a farle visita.
L’unico episodio in cui la malinconia sembrò sopraffarla, fu in un negozietto di musica di Londra, in cui era entrata a dare uno sguardo assieme a Makoto, con la quale condivideva gli stessi gusti musicali.
Mentre era immersa tra i vinili di musica rock anni ’90, riconobbe in sottofondo la voce di John Lennon, che la riportò a quando, il giorno di Natale, aveva danzato nella soffitta di casa sua, abbracciata a Mamoru, sulle note della stessa canzone che ascoltava in quel momento.
 
Love is real, real is love
Love is feeling, feeling love
Love is wanting to be loved

Love is touch, touch is love
Love is reaching, reaching love
Love is asking to be loved
 
Love is you
You and me
Love is knowing
We can be

Love is free, free is love
Love is living, living love
Love is needing to be loved
 
Usagi si bloccò di colpo. Rivide tutta la scena davanti ai suoi occhi. Le sembrò di sentire ancora il calore delle sue braccia e l’odore della sua pelle.
«Tutto bene, Usagi?» le chiese Makoto, avendola vista estraniarsi, all’improvviso, dalla realtà circostante.
La voce della sua amica la svegliò di colpo.
«Questa canzone … - rispose Usagi – Sì, tutto bene!».
«Ti ha ricordato Mamoru, vero?».
Usagi fece cenno di sì con la testa.
«Per quanto mi sforzi di non pensare a lui, c’è sempre qualcosa, qualche minuscolo dettaglio, che lo riporta da me. E allora penso che non passerà e che non è solo questione di tempo».
«Non devi sforzarti di dimenticarlo, dopotutto è stato il tuo amore e stavate per sposarvi. Vedrai che piano il suo ricordo sbiadirà e non ti farà più così male».
Usagi provò a sorridere, abbandonandosi al morbido abbraccio di Makoto.
“Speriamo che sia così!” si augurò tra sé.
 
Si trovavano nell’aeroporto di Amsterdam-Schiphol, in attesa dell’aereo che le avrebbe condotte a Praga per la loro ultima settimana di vacanza.
Stranamente, tra le ragazze regnava il più assoluto silenzio. Chi sonnecchiava, chi leggeva, chi si guardava intorno. Forse, erano state sopraffatte dalla stanchezza, o più probabilmente recuperavano le forze per godersi al meglio gli ultimi giorni, prima di tornare a casa.
Improvvisamente, il trillo del cellulare di Usagi che annunciava l’arrivo di un sms, attirò l’attenzione di tutte.
«È Seiya!» disse Usagi, per soddisfare la muta curiosità delle sue amiche, che le rivolgevano sguardi eloquenti.
«Seiya chi? – chiese Rei – Il tuo collega medico?».
Usagi fece cenno di sì con la stessa, mentre leggeva il messaggio.
«E che vuole?» chiese Minako adesso ancor più curiosa.
Usagi si apprestò a leggere il messaggio ad alta voce.
«Sono a Praga con mio fratello Yaten e un amico. Se non ricordo male è la tua ultima tappa. Se così fosse, che ne pensi di unire le due compagnie una di queste sere? Aspetto tue notizie. Seiya».
«Qui gatta ci cova!» esclamò Makoto sospettosa, ben conoscendo, come le altre, i precedenti di Seiya nei confronti della loro amica.
«Secondo me ha deciso di tornare all’attacco!» sentenziò Ami, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
«Sempre maliziose, eh? – le ammonì Usagi – È un amico e ha semplicemente chiesto di vederci tutti insieme, visto che saremo in vacanza nello stesso posto».
«Per me non c’è niente di casuale in tutto questo!» disse Rei.
«Già! – l’appoggiò Makoto – Guarda caso, con tanti posti nel mondo … ».
«Beh, - intervenne Minako, che su certe cose era molto più pratica– Casuale o no, che aspetti a chiamarlo per dirgli che siamo d’accordo?».
«Mina!» la ripresero in coro le ragazze.
«Magari sono carini!» si giustificò la ragazza, sorridendo e mostrando la lingua divertita.
«L’avrei chiamato a prescindere» ammise Usagi, mentre componeva il numero di telefono di Seiya.
Il ragazzo rispose al terzo squillo.
«Usagi! Che piacere sentirti! Come stai?».
«Ciao Seiya! Io sto bene. Non sapevo che avessi in programma una vacanza a Praga. Ti avevo lasciato in partenza per il campeggio con Umino, Ryo e Yuichiro».
«Ehm … sì! In effetti sono tornato qualche giorno fa e, avendo ancora una settimana di ferie a disposizione, ho deciso di seguire mio fratello».
«Capisco! Bene, io arrivo a Praga questa sera. Ci sentiamo domani e ci organizziamo?».
«D’accordo, a domani allora! E buon viaggio!».
«Ciao, Seiya a domani!».
La ragazza chiuse la conversazione sotto gli sguardi attenti delle sue amiche, che non si erano lasciate sfuggire la minima espressione di Usagi ed erano state tutte orecchi durante l’intera la telefonata.
«Pensate quello che volete, ma per me Seiya è volato fino a Praga apposta per te!» ribadì Rei.
«Lo penso anche io!» aggiunse Ami.
«Io pure!» confermò Makoto.
«Eh, poverino! – fu, invece il commento di Minako, riferendosi allo scarso interesse che Usagi nutriva per Seiya – A fine vacanza, si renderà conto di aver fatto un viaggio a vuoto!».
«Beh, pensatela come volete – sbuffò infine Usagi, lievemente infastidita dall’insistenza delle sue amiche – Tanto io so che non è così! E ora muoviamoci, che stanno chiamando il nostro volo!».
 
In effetti, però, era proprio Usagi che si sbagliava, mentre le sue amiche avevano pienamente ragione.
Seiya era volato fino a Praga appositamente per lei, perché non riusciva ad aspettare altri dieci giorni per rivederla, e non aveva affatto seguito suo fratello, ma era stato lui a trascinarsi dietro il povero Yaten, che alla fine, malvolentieri, si era lasciato convincere, pur di non sentirlo più e purchè fosse lui a pagare.
«Stai facendo una cavolata! – gli ripeté Yaten, per l’ennesima volta, il giorno della partenza – E stupido sono anche io che mi sono lasciato coinvolgere!».
«Andiamo, non lamentarti sempre! Stai per visitare la città più magica d’Europa e il tutto completamente gratis!»
«Seh! Non credo che tutta questa magia sarà sufficiente a far cadere ai tuoi piedi la tua bella principessa».
«Yaten, forse è una cavolata e sicuramente non basterà. Ma ho provato a dimenticarla e non ci sono riuscito. E adesso che mi è stata data una seconda possibilità, sono deciso a conquistarla»
«Una seconda possibilità?!? Seiya, si è appena lasciata con un uomo con cui progettava di sposarsi!».
«E allora? Saprò aspettare, non commetterò lo stesso errore della prima volta. E poi, credimi, sono convinto di non esserle mai stato indifferente, altrimenti avrei mollato da subito».
Yaten alzò le mani di fronte alla convinzione del fratello.
«Ok! In bocca al lupo, allora!» sospirò, augurandosi che non si facesse male, semmai fosse caduto.
 
Il giorno seguente, dopo aver fatto il primo giro turistico della città, Usagi sentì nuovamente Seiya. Le due compagnie si diedero appuntamento per quella stessa sera nella piazza della Città Vecchia, vicino all’Orologio Astronomico, per andare poi a cenare insieme in qualche localino tipico.
 
Seiya era lì già da un po’ in compagnia di suo fratello Yaten, che continuava a sbuffare, maledicendo il momento in cui si era lasciato convincere, e del suo amico Toshio. E quando la vide in lontananza, la riconobbe subito. Del resto, come avrebbe potuto confondere quel corpo da sirena, quegli occhi azzurro mare e quel sorriso bello da lasciar senza parole?
Lo sguardo del ragazzo si illuminò all’istante.
«Eccole, sono loro!» esclamò, sollevando la mano in segno di saluto.
«Fammi capire un po’, e chi sarebbe la tua principessa?» chiese Yaten curioso.
«La seconda da sinistra!».
Yaten ci pensò su un attimo, mentre squadrava l’ignara Usagi.
«Beh, non posso darti torto … - alla fine fu costretto ad ammettere - anche se continuo a pensare che sei un idiota!».
«Wow! – aggiunse, invece, Toshio – Secondo me abbiamo fatto benissimo a lasciarci convincere! Sono tutte uno schianto, soprattutto quella più alta».
 
Dall’altro lato, anche le ragazze facevano i propri commenti.
«Allora, quale dei tre è Seiya?» chiese Rei.
«Quello al centro!» disse Usagi, rispondendo al saluto di Seiya.
«Ma è carino! Per non parlare di quello con la maglia blu» commentò Makoto riferendosi a Toshio.
«E che mi dite dell’altro? Lo sapevo che avrei incontrato l’uomo della mia vita!» concluse Minako piena di entusiasmo.
Usagi si scambiò un sorriso complice con Ami, che scuoteva la testa, disapprovando i commenti delle altre.
Quando poi fu più vicina a Seiya, accelerò il passo per finire direttamente nel suo abbraccio. Era davvero contenta di rivederlo dopo tutti quei giorni. Era uno dei suoi migliori amici, con cui aveva vissuto a stretto contatto nell’ultimo anno e che le era stato particolarmente vicino quando ne aveva avuto bisogno.
«Sono contenta di vederti! Mi sei mancato, lo sai?» esclamò sciogliendo l’abbraccio e mostrandogli il suo sorriso disarmante.
Il cuore di Seiya si sciolse completamente. Quante volte aveva sognato quel sorriso! «Anche tu mi sei mancata!» le rispose.
«Così anche tu sei un’amante delle pratiche di macellazione! – intervenne Yaten – Io sono Yaten, l’altro fratello di Seiya!».
Usagi lo guardò con sconcerto, porgendogli la mano.
«Ma sei sempre così diretto? Ebbene sì, comunque! Io sono Usagi».
«Non farci caso, Usa – disse Seiya lanciando sguardi minacciosi in direzione del fratello – Lui non ha mai capito la nostra … ehm … arte!».
«Se è per questo anche noi – si intromise subito Minako – Piacere, io sono Minako».
Gli otto ragazzi fecero così le presentazioni di rito, poi si avviarono alla ricerca di un localino carino dove cenare.
Yaten fu subito preso d’assalto da Minako e dalle sua chiacchiere, Toshio si destreggiava tra Rei e Makoto, Ami camminava da sola scattando foto ai punti interessanti della città, mentre Seiya e Usagi guidavano la fila.
«Allora, come è andato questo tour dell’Europa?» chiese Seiya.
«Bene! È stato fantastico!».
«E come stai?».
«Staccare la spina mi ha fatto decisamente bene!».
«L’hai più sentito?»
Usagi provò a sorridere. Fece segno di no con la testa.
Seiya, dentro di sé, avrebbe voluto fare i salti di gioia, ma l’espressione malinconica di Usagi, dietro quel sorriso di circostanza, gliene fece passare la voglia.
Si limitò a cingerle le spalle in segno di amicizia, anche se si rendeva perfettamente conto che fare l’amico, in quel momento, non era per niente la mossa giusta.
 
I giorni a Praga passarono piuttosto velocemente e quello che doveva essere un incontro occasionale, divenne poi una vera consuetudine.
Le due compagnie passarono praticamente tutti i giorni insieme in giro per la città, come se si conoscessero da sempre. Artefici di questa unione furono, da una parte, Toshio, letteralmente fulminato da Makoto, la quale non disdegnava affatto le attenzioni del ragazzo, e, dall’altra, Minako, invaghita di Yaten, che, seppur non lo desse a vedere, era fortemente attratto dall’esuberanza della dolce biondina.
In tutto questo Usagi e Seiya facevano da collante.
E altrettanto velocemente, arrivò anche l’ultimo giorno prima del rientro a casa.
Ami e Rei, con la scusa di essere molto stanche, pensarono di rientrare prima in ostello, per dare la possibilità a Minako e Makoto di stare con i loro “belli” e provare a concludere qualcosa, almeno quell’ultima sera.
«Vedi tu se devo sacrificare la mia ultima sera di vacanza per quelle due sciagurate!» brontolò Rei, mentre rientravano alle undici passate.
«Beh, avresti preferito continuare a fare da candelabro?» chiese Ami.
«Certo che no! Ma dico io, non poteva capitare anche a me di incontrare un bel ragazzo che mi facesse la corte? Per non parlare poi di Usagi, che ha appena concluso una storia con un dio greco e subito ce n’è un altro che non ha occhi che per lei!».
Ami le sorrise con tenerezza.
«Penso che Usagi avrebbe preferito rimanere col primo “dio greco”. Arriverà l’amore anche per te, vedrai!».
«Sì, ma intanto sono la solita sfigata costretta ad andarsene a dormire!».
«Anche io, allora!».
Le due ragazze si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Poi tenendosi sotto braccio, si avviarono verso l’ostello, dove le attendeva un appuntamento con il letto e un buon libro.
 
Usagi e Seiya camminavano avanti, fianco a fianco, mentre parlavano di lavoro e del programma di specializzazione del secondo anno. Quando, a un certo punto, voltandosi, Usagi si accorse che le altre due coppie erano sparite.
«Ma che fine avranno fatto gli altri?» chiese.
«Boh! Erano dietro di noi fino a poco fa».
«Forse dovremmo andare a cercarli!».
«Tranquilla! Le tue amiche sono in ottime mani».
«E se fosse successo qualcosa?».
Seiya scoppiò a ridere.
«Non ti facevo così ingenua, Usagi!».
La ragazza lo guardò sollevando un sopracciglio con aria dubbiosa. Al che Seiya decise di essere più esplicito.
«Non ci sei, eh? Saranno sicuramente nascosti in qualche vicoletto, avvinghiati, a dare sfogo ai loro ormoni!».
Usagi arrossì lievemente. Che stupida! Come aveva fatto a non arrivarci da sola?
«Arriviamo fino al Ponte Carlo?» chiese poi Seiya.
« Ok!».
E così si incamminarono per le strade silenziose della Città Vecchia, lasciando indietro le altre due coppie, che sicuramente avevano di meglio a cui pensare.
«Ero così presa dai miei problemi, ultimamente, che non ti ho chiesto come va con Akiko» chiese Usagi, mentre continuavano a passeggiare.
« Akiko?».
«L’infermiera di pediatria!».
«Ahhh … quella Akiko!».
«Lascia perdere – sospirò Usagi con una smorfia – mi hai già risposto!».
«Non era la donna adatta a me!».
« Capisco!».
«E tu? Con Mamoru, intendo. Mi hai detto che non lo senti da allora, ma non mi hai detto come ti senti ».
Erano giorni che Seiya aspettava di trovare il momento giusto per farle quella domanda.
«Te l’ho detto, invece. Questa vacanza mi ha fatto decisamente bene» mentì Usagi.
«E quando tornerai a casa, sapendo che lui non c’è?».
Già! Quando sarebbe tornata a casa! Da tempo, ormai, si faceva la stessa domanda.
«Tra me e Mamoru è finita! Abbiamo preso direzioni diverse e lo abbiamo fatto di comune accordo. Sarebbe stato impossibile continuare ad andare avanti. Devo per forza farmene una ragione e proseguire per la mia strada».
Seiya scrutò a fondo i suoi occhi per cercare di percepire ogni più piccola espressione, che tradisse le sue parole. Sembrava, però, convinta. E in effetti, Usagi cercò di assumere un’aria più convincente possibile, innanzitutto per persuadere se stessa.
Intanto, avevano appena varcato il portico della torre, da cui iniziava il ponte.
L’aria si era leggermente rinfrescata e Usagi incrociò le braccia su petto, come per riscaldarsi.
«Hai freddo? - chiese Seiya premuroso. Poi quando la ragazza annuì, prese la felpa che aveva annodato in vita e gliela posò sulle spalle – Così dovrebbe andare meglio!».
Usagi lo ringraziò sorridendo, apprezzando quel gesto di cavalleria, che non si aspettava da uno come Seiya.
A circa metà percorso, si fermò, portandosi verso il parapetto.
«Santa Ludmilla» pronunciò leggendo sulla statua il nome della santa raffigurata.
Poi si affacciò a osservare la Moldava che scorreva sotto il ponte.
«È così calmo e placido. Ci crederesti che ha straripato diverse volte, seminando paura e distruzione?» esclamò Usagi, riconoscendo, nel mentre, un’analogia con gli ultimi mesi della propria vita.
Seiya si portò accanto a lei a osservare il fiume. Rimasero così per un po’, in completo silenzio. Lei assorta nei suoi pensieri, lui che cercava di carpirli.
«A cosa pensi?» le chiese, infine, il ragazzo.
Usagi si voltò, dando le spalle al fiume e appoggiandosi con i gomiti sul parapetto.
«Niente! Pensavo che a settembre potrei riprendere a frequentare qualche corso di danza e cercare di conciliarlo col lavoro. Così non avrei più bisogno di danzare nel mio salotto».
Seiya la guardò sorpreso e con un mezzo sorriso.
«Danzi nel salotto?».
Usagi annuì sorridendo. Era abituata, ormai, all’espressione di sconcerto sul volto di chi apprendeva quella sua strana abitudine.
«Ho smesso di studiare danza al secondo anno di medicina. Entrambe le cose erano troppo impegnative. Però non ho mai smesso di allenarmi».
Il sorriso di Seiya si allargò.
«Mi piacerebbe vederti … secondo me sei ancora più bella!».
A quelle parole Usagi si morse il labbro, sorridendo leggermente imbarazzata.
«Questa cosa non la sapevo!» continuò il ragazzo.
«Tante cose non sai di me!».
«Sì, ma vorrei tanto scoprirle!».
Lo sguardo di Seiya si fece serio e Usagi lo percepì all’istante. Il ragazzo lentamente si portò più vicino a lei, faccia a faccia.
Complici la notte e la magia di quel luogo, a Seiya sembrò il momento giusto.
Racchiuse i piedi di Usagi tra i suoi e con le mani si appoggiò al parapetto, circondandola completamente e imprigionandola con le proprie braccia. I suoi movimenti erano molto lenti, come se volesse prevedere e prevenire la reazione di Usagi. Ma la ragazza non si mosse.
Adesso i loro visi erano vicinissimi.
Usagi pensò che Seiya era bello e che, in fondo, era sempre stata un po’ attratta da lui, anche se l’aveva respinto più e più volte.
Per un attimo, annebbiata da quella strana atmosfera, si lasciò andare, svuotando la testa da tutti i suoi pensieri, permettendogli così di avvicinarsi sempre di più, fino a sentire il suo respiro e il peso del suo corpo che gravava sul proprio.
Ma quando sentì il tocco delle sue labbra sulle proprie, un tocco leggero, quasi impercettibile, fu il suo cuore a ribellarsi, a rifiutare altre labbra che non fossero quelle di Mamoru.
In un attimo, si tirò indietro, per quanto fosse possibile vista la posizione, e lo bloccò posandogli una mano sulla bocca.
«Mi dispiace, Seiya! Scusami, ma non sono pronta».
Usagi si aspettava un’altra scenata, come già era avvenuto in passato e si stupì non poco della reazione di Seiya.
«Ok!» le disse il ragazzo, posandole un lieve bacio sulla punta delle dita e liberandola dalla prigione che aveva costruito intorno a lei.
«Vieni – aggiunse con estrema dolcezza – Ti accompagno a casa!».
Non parlarono per tutto il tragitto.
Seiya le cingeva le spalle con il braccio, dandosi dello stupido per non avere aspettato.
Lei, in segno di affetto, quasi come una muta richiesta di perdono per avergli creato false speranze, gli appoggiò la testa sulla spalla.
Nella fresca notte della magica Praga, Seiya riaccompagnò Usagi, tenendola stretta a sé. Nel suo cuore la speranza che un giorno sarebbe riuscito a farla innamorare.
Nel cuore di Usagi, invece, un grande peso: l’indomani la vacanza sarebbe terminata e sarebbe tornata alla vita di tutti i giorni. Il periodo più difficile cominciava adesso: riprendere la quotidianità senza Mamoru.

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Capitolo 2
*** Parte seconda - Mamoru ***


MAMORU
 
 
 
«I passeggeri del volo diretto a Parigi sono pregati di presentarsi al varco».
La voce dall’altoparlante si diffuse in tutta la sala d’attesa.
“Ecco, ci siamo!” pensò Mamoru, mentre prendeva il bagaglio a mano e si dirigeva verso l’uscita indicata dall’annunciatrice.
Pochi minuti ancora e poi avrebbe detto definitivamente addio alla sua vecchia vita per cominciarne una nuova, per la seconda volta.
Alle sue spalle lasciava bugie, tradimenti, dolore, per inseguire la folle aspirazione di dimenticare. Un desiderio che era stato più forte della passione per il proprio lavoro, dell’affetto per gli amici di sempre, dell’amore per l’unica donna della sua vita.
 
Dal finestrino dell’aereo guardò il suo Paese scomparire piano piano, fino a diventare una macchia circondata dall’oceano, per poi sparire completamente sotto un letto di nuvole.
Poggiò la testa al sediolino, sospirando, nell’attesa che il segnale rosso si spegnesse e potesse finalmente slacciare la cintura di sicurezza.
Verde! Si liberò di scatto della fastidiosa imbracatura e prese il libro che prima del decollo aveva appoggiato sulle ginocchia.
«Signore, le è caduta questa!».
L’hostess richiamò la sua attenzione porgendogli una fotografia.
« Grazie!».
«È sua moglie? Siete davvero una bella coppia».
Mamoru la guardò un po’ stupito: in genere, le assistenti di volo erano sempre molto discrete. Ma con un mezzo sorriso le lasciò intendere di avere ragione.
Rigirò tra le mani la fotografia che era solito usare come segnalibro. Era un’istantanea scattata in primavera, nel giardino di casa Tsukino, con una vecchia macchina fotografica di Kenji.
Usagi era bellissima, mentre lo abbracciava e sorrideva verso la camera. E in quell’immagine Mamoru scoprì un se stesso diverso, come se fosse lei a farlo risplendere. Adesso si sentiva spento. Usagi era la sua stella e lui nient’altro che un pianeta che brillava di luce riflessa.
Osservò la scritta sul retro, “Usa & Mamo … per sempre!”.
Sorrise per quanto la sua Usagi fosse a volte infantile, ma quel suo lato era dolce ed estremamente disarmante, tanto quanto il suo lato sensuale e femminile, che lo aveva sempre fatto impazzire.
Gli sembrò di udire la sua voce che lo chiamava:
« Mamo-chan!»
e di avere tra le narici il suo odore di vaniglia e di rose.
La sua Usako!
L’unica donna per la quale aveva combattuto sfiorando a volte il ridicolo, proprio lui che non era abituato, ma che non aveva saputo tenersi stretta come il tesoro più prezioso della sua vita.
L’aveva delusa e l’aveva lasciata andare via.
L’aveva fatta piangere dieci, cento, mille volte!
Gli unici occhi che avrebbe voluto sempre veder sorridere, avevano versato litri di lacrime a causa sua e del suo essere un fuggitivo.
Avrebbe voluto proteggerla per sempre, ma aveva finito con l’essere lui stesso qualcosa da cui Usagi andava protetta.
Adesso, altre braccia l’avrebbero stretta, altre labbra avrebbero lambito la sua pelle di luna, altri occhi si sarebbero specchiati in quel mare cristallino, qualcun altro le avrebbe dato tutto ciò che lui non aveva saputo donarle.
Il solo pensiero gli procurava una morsa lancinante allo stomaco.
Un’amara consolazione il fatto che a migliaia di chilometri non avrebbe mai potuto vedere la sua Usako amare un altro.
Strinse i pugni fino a sentire dolore.
Poi, ripose la foto tra le pagine del libro e si costrinse a dormire, per non sentire il lungo viaggio, ma soprattutto per non pensare.
 
Guardò l’elegante palazzina che si ergeva davanti a lui.
République – 11, Rue de la Fontaine au Roi.
L’indirizzo era quello giusto.
«Buonasera! – disse, salutando il portiere – Sono Mamoru Chiba, il nuovo inquilino».
L’uomo sollevò lo sguardo dal giornale, togliendosi gli occhiali, e la sua bocca si aprì un largo sorriso.
«Buonasera, dottor Chiba! – rispose cordialmente – La stavo aspettando! Io sono Antoine».
Gli si avvicinò porgendogli la mano in segno di saluto. Poi, chinandosi a prendere le valigie, aggiunse: «L’accompagno subito nel suo appartamento».
«Non si disturbi con le valigie! Faccio da me».
Ma l’uomo insistette. Una valigia per ciascuno e si avviarono verso le scale.
L’appartamento era al secondo piano e, ovviamente, niente ascensore. Mamoru pensò comunque che il palazzo gli piacesse. Elegante, accogliente, pulito. Certo, con quello che pagava di affitto!
«Bonsoir, Antoine!».
L’attenzione di Mamoru fu catturata da una voce femminile e dal suo grazioso accento francese. Una ragazza dai capelli rossi scendeva le scale e sembrava essere piuttosto di fretta.
«Bonsoir, Mademoiselle Moreau!» le rispose il portiere.
La ragazza incrociò lo sguardo di Mamoru e gli sorrise, poi continuò la sua corsa.
 
L’appartamento era piccolo e grazioso e non mancava assolutamente niente.
Si affacciò alla finestra del soggiorno che dava direttamente sulla strada e constatò che anche il quartiere era di suo gusto, centrale, ma tranquillo. Con la metropolitana a due passi non sarebbe stato difficile raggiungere entrambe le cliniche, dove aveva già ottenuto un colloquio per la settimana successiva.
Con calma cominciò a sistemare le sue cose, prima di fare una doccia e andare a dormire stremato dal viaggio.
 
“«Ti amo, amore mio!» gli aveva sussurrato dolcemente, prima di baciarlo languida.
Poteva sentire le sue bollenti carezze mentre si adagiava sopra di lui.
Come erano belli i suoi occhi, come brillavano quei capelli che le ricadevano sul viso, come scottava la sua pelle!
La sua dolce e meravigliosa Usako!
Con un rapido scatto si era messo a sedere, ritrovando il suo viso a pochi centimetri dal proprio. Le aveva preso la testa tra le mani e aveva posato un bacio sul suo splendido sorriso.
E rideva divertita Usagi.
«Ti amo, piccola!» aveva sussurrato tra un bacio e un altro.
E Usagi rideva, rideva ancora.
Poi era scomparsa e, all’improvviso, le sue mani non stringevano più quel volto angelico, ma solo aria, fredda e inconsistente aria.
Usagi era distante e gli dava le spalle.
Continuava a sentirla ridere, mentre si allontanava sempre di più, mano nella mano con uomo che non era lui.”
 
Mamoru si svegliò di soprassalto. Era stato solo un sogno, il presagio di quanto prima o poi sarebbe sicuramente avvenuto e contro cui non avrebbe potuto fare niente.
Tale constatazione lo metteva sempre in crisi, per quanto cercasse di essere forte.
“Passerà!” cercò di autoconvincersi.
Guardò l’ora sul cellulare: le 7.30.
Tanto valeva alzarsi e scendere a fare un giro nei dintorni. Avrebbe fatto colazione in un bistrot, dopodiché di corsa a fare la spesa, visto che il frigo era vuoto.
I giri turistici li avrebbe rimandati al tardo pomeriggio o all’indomani.
 
Era carico di sacchetti della spesa e si fermò davanti all’ingresso della palazzina, cercando goffamente di estrarre le chiavi dalla tasca. Con una spallata aprì il portone, per lasciare poi che si richiudesse da solo alle sue spalle. E fu in un attimo, senza sapere né come né perché, che si scontrò con qualcuno.
«Oh, je suis désolé, monsieur!».
Mamoru riconobbe la voce della ragazza dai capelli rossi della sera precedente.
«Ti sei fatto male? Che disastro, lasci che ti aiuti!» aggiunse poi lei, chinandosi per aiutarlo a raccogliere quello che era caduto nello scontro.
«Sempre di fretta, eh?» le chiese Mamoru ironico, incontrando i suoi occhi.
La ragazza arrossì leggermente, forse per la figuraccia, forse imbarazzata dallo sguardo del bel ragazzo di fronte a lei.
«Sono in ritardo per il lavoro!» si scusò.
Mamoru sorrise.
«Lascia, raccolgo io. Corri al lavoro!».
La ragazza annuì e subito si voltò per seguire il consiglio.
Due passi e si bloccò di colpo, come se si fosse ricordata, all’improvviso, di qualcosa di importante. Si voltò, porgendogli la mano.
«Comunque mi chiamo Michelle e abito nell’appartamento sopra al tuo».
«Io sono Mamoru».
«Ci vediamo e scusami ancora» disse velocemente la ragazza, prima di correre via come una furia.
Mamoru la guardò perplesso.
“Che tipo strano!” pensò sorridendo.
 
La prima settimana della sua nuova vita passò velocemente, tra cose da sistemare a casa e colloqui da preparare.
Si concesse qualche passeggiata solitaria la sera e qualche breve giro turistico della città.
I rapporti sociali furono limitati a qualche scambio di battute con il portiere Antoine e con la sua stramba vicina, che aveva soprannominato Uragano Michelle, sempre di corsa e sempre agitata. Quasi non si rese conto che erano già trascorsi sette giorni, durante i quali, stranamente, non aveva avuto né il tempo né la voglia di pensare a ciò che si era gettato alle spalle.
Ma, prima o poi, sarebbe arrivato il momento di mettersi in contatto con qualcuno, per far sapere che era ancora vivo e stava bene.
Così, quella mattina, si alzò proprio con quella intenzione.
Rimandò la telefonata a Kaori di qualche giorno, mentre scartò l’ipotesi di chiamare Heles, vista la reazione che lei aveva avuto prima della sua partenza.
Il telefono di Motoki squillava.
« Mamoru?».
«Sì, sono io! Come stai?».
«Benone … e tu?».
«Me la cavo!».
«Com’è Parigi? Cominci già ad ambientarti?».
«È bellissima ed è più grande di quanto ti immagini. È praticamente impossibile ambientarsi in una settimana, però non posso lamentarmi».
«E il lavoro?».
«Ho due colloqui fissati per questo pomeriggio».
«Andrà sicuramente bene, col curriculum che hai!».
«Heles? Avrei voluto chiamarla, ma con la scenata che mi ha fatto prima di partire … ho preferito rinunciare».
«Hai fatto bene! Mi dispiace dirtelo, ma ce l’ha ancora a morte con te! Ha visto tutto come un tradimento da parte tua … ma che ci vuoi fare? Lo sai, è così! sempre drastica nei suoi modi di ragionare. Ma dalle il tempo, le passerà!».
Mamoru ascoltava in silenzio. Un tradimento. Heles, come al solito non aveva tutti i torti.
«Proverò almeno a mandarle un messaggio per sondare il terreno» disse.
«Come preferisci, ma non ti aspettare che sia dolce con te».
«Dolce? E quando mai lo è stata?».
Entrambi scoppiarono a ridere.
«Bene … ehm … vuoi sapere di qualcun altro?- aggiunse Motoki tornando serio. Ma sentendo che Mamoru esitava a rispondere continuò – Vabbè, te lo dico io! Gli specializzandi sono tutti in ferie. Usagi è a casa dei suoi, poi partirà per una vacanza con le amiche. Non so dove andrà. Ho chiesto un po’ in giro di lei perché volevo parlarle e sapere come sta, ma a quanto pare attorno a lei aleggia il mistero più totale. Sembra che tutti si siano messi d’accordo per proteggerla e tenerla lontano da me e Heles. Mi dispiace, non so dirti altro!».
Mamoru esitò ancora qualche minuto.
«Ok … - fu l’unica parola a riguardo che Motoki gli sentì pronunciare e sembrò quasi che Mamoru non vedesse l’ora di chiudere la conversazione – Ci sentiamo presto, allora?».
«Buona fortuna, amico mio!».
Mamoru sorrise.
«Grazie! Ciao».
Riagganciò e andò a prepararsi la colazione, malinconico, pensieroso.
Avrebbe preferito non sentir parlare di Usagi e continuare a illudersi che lei fosse stata solo un miraggio, un bellissimo sogno.
Il pensiero che lei appartenesse alla realtà e che altri potessero vederla e parlare con lei, sapere cosa faceva e come stava, non gli faceva per niente bene.
Usagi e tutto ciò che aveva portato con sé erano reali, ma non facevano più parte della sua vita. Era questo che ancora non riusciva ad accettare.
“Passerà!” continuava a ripetersi, sforzandosi di essere razionale e di non lasciare che i sentimenti prendessero il sopravvento.
Ma che senso aveva parlare di razionalità quando di mezzo c’era il suo amore per quella dolce creatura?
È vero, aveva ascoltato solo la ragione quando aveva deciso di lasciarla andar via, ma il suo cuore continuava, ingiustamente e dolorosamente, a reclamarla.
L’unico sollievo, in quel momento, era sapere che lei non fosse sola e avere la consapevolezza che le sue amiche e la sua famiglia le sarebbero state vicino.
La famiglia Tsukino, la meravigliosa famiglia di Usagi!
L’avevano accolto da subito come un loro familiare, gli avevano fatto capire cosa significasse il calore di una vera famiglia.
Prima o poi, avrebbe dovuto chiamare Kenji e Yumiko e scusarsi con loro per non aver mantenuto la promessa, per non essere stato in grado di rendere felice la loro Usagi.
Chiamarli e scusarsi era il minimo che potesse fare. Certo non in quel momento, però. C’era il rischio che Usagi fosse in casa. Avrebbe aspettato che lei partisse per la vacanza.
Nel frattempo, c’era anche qualcun altro con cui scusarsi: Heles.
Prese il telefono e cominciò a digitare un messaggio. Poche righe. Con lei non servivano frasi ridondanti e troppi giri di parole, Heles era concreta e adesso anche enormemente adirata con lui.
 
“Ho deluso tutti, lo so. Ma non prenderla come un tradimento, per me sei e sarai sempre la sorella che non ho mai avuto. Ti voglio bene!”
 
Al contrario delle sue aspettative la risposta di Heles non tardò ad arrivare.
 
“Va’ al diavolo, Chiba!”
 
Sì, decisamente Heles era ancora, esageratamente, arrabbiata con lui. Certo che non conosceva mezze misure! Ma presto avrebbe sicuramente capito e avrebbe accettato la sua decisione. Per ora sarebbe stato meglio non insistere e lasciare che la rabbia sbollisse.
 
Erano quasi le sette di sera e percorreva la strada che dalla metro di Place de la République conduceva alla sua abitazione. Era contento. Entrambi i colloqui erano andati più che bene. Ma lui aveva scelto la seconda clinica, la Saint-Claude.
D’istinto, era quella che lo ispirava maggiormente, senza contare che era molto più vicina e raggiungerla, anche in caso di emergenza, sarebbe stato molto più facile.
Stava pensando che avrebbe avuto sicuramente bisogno di una macchina e che magari, inizialmente, avrebbe potuto prenderne una a noleggio, quando all’improvviso si sentì chiamare.
« Mamoru!».
«Uragano Michelle!» rispose, riconoscendo subito quel grazioso accento francese, con cui la ragazza pronunciava il suo nome, accentando simpaticamente l’ultima sillaba.
«Stai tornando a casa?» chiese la ragazza.
«Sì. Come mai non sei di corsa oggi?».
«Oggi niente lavoro».
«Bene! Pensavo di andare a prendere un aperitivo prima. Visto che sei libera vieni con me?».
La ragazza lo guardò un po’ titubante. Cercò di capire se quell’invito fosse sincero o fosse solo un gesto di cortesia dettato dalle circostanze.
Mamoru comprese la sua esitazione.
«Dai, festeggiamo il mio nuovo lavoro!».
Michelle mostrò un sorriso contento.
«Hai trovato un lavoro? – chiese e, vedendolo annuire aggiunse – Allora, accetto volentieri».
E insieme si avviarono verso uno dei bistrot lungo il canale Saint-Martin.
 
«Allora, di che lavoro si tratta? – chiese Michelle sorseggiando il suo bitter rosso –Aspetta, lasciami indovinare … secondo me sei … un avvocato!».
«Un avvocato?» replicò Mamoru divertito.
«Hai l’aria triste e malinconica. E sembri un tipo piuttosto solitario».
Il ragazzo la scrutò sollevando un sopracciglio, non sapeva se incuriosito dall’ impressione che la ragazza aveva di lui oppure da quella visione categorica degli avvocati.
«Dunque, secondo te gli avvocati sarebbero tristi e solitari?».
«La maggior parte di quelli che ho conosciuto sì».
«E ne hai conosciuti tanti?».
«Abbastanza per affermare che sono così. Allora? Sei o non sei un avvocato?».
Mamoru scosse la testa, quasi desolato di dover smentire quella sua buffa convinzione.
«Mi dispiace, non lo sono!».
Michelle lo osservò perplessa.
«Ah no?».
«Sono un medico».
«Wow … è sempre utile conoscerne uno e, soprattutto, uno che abita al piano di sotto».
« Già!».
Mamoru rise per la spontaneità di quell’affermazione.
«E di cosa ti occupi?».
«Sono un neurochirurgo».
«Oh … così apri cervelli!».
«Beh … più o meno! E tu cosa fai? Che sei sempre di corsa e sempre agitata già lo so, sarei curioso di capire il perché».
Michelle arrossì leggermente. Trovava strano che a un ragazzo bello come Mamoru, e per di più un professionista affermato, potesse interessare la vita di una come lei.
E in effetti, lo stesso Mamoru non sapeva trovare una spiegazione razionale per cui si trovasse in quel bistrot seduto insieme a quella strana ragazza. Fisicamente non lo attraeva, non era per niente il suo tipo, e in genere era sempre stato piuttosto schivo con le donne in generale, nel senso che non aveva mai dovuto chiedere, tranne che a Usagi, ovvio. Però, quella ragazza gli metteva allegria e c’era qualcosa di lei che inconsciamente lo attirava.
«Studio Dipinto e Restauro all’Accademia delle Belle Arti – si decise, infine, a rispondere Michelle – e lavoro part-time in una galleria d’arte. Il sabato e la domenica, invece, vendo i miei dipinti a Place du Tertre, a Montmartre».
«Così sei un’artista … ».
La ragazza arrossì ancora, mentre Mamoru la fissava con il suo sguardo penetrante che metteva decisamente soggezione.
« … e cosa dipingi?» continuò Mamoru curioso.
«Non ho un soggetto preferito. Dipingo quello che mi ispira e che mi trasmette forti emozioni».
«Uno di questi fine settimana verrò a farmi un giro a Montmartre. Sono proprio curioso di vedere i tuoi quadri!».
La ragazza sorrise, per l’ennesima volta imbarazzata da quegli occhi blu, e si passò nervosamente la mano tra le morbide onde rosse.
Mamoru se ne accorse e sorrise a sua volta, abbassando lo sguardo sul suo aperitivo.
Era sempre lo stesso l’effetto che faceva alle donne. Un tempo ne andava fiero, ma da quando Usagi era entrato nella sua vita, la cosa lo metteva a disagio. E di certo non era sua intenzione imbarazzare quella ragazza.
«Vado a pagare e poi torniamo a casa, ok?» esclamò alzandosi.
 
Il tratto di strada fino a casa, lungo il canale, fu decisamente molto piacevole. Michelle meritava pienamente il soprannome che Mamoru le aveva dato. Era allegra, spontanea, piena di brio e lui la trovava decisamente simpatica.
Mentre continuava a parlare a raffica, a un certo punto, lei si fermò di scatto.
«Ti va un gelato? - gli chiese - Offro io naturalmente».
«Un gelato a quest’ora?».
«Che importa che ora è? Un gelato al cioccolato è quello che ci vuole. È il mio preferito!».
Mamoru restò un attimo spiazzato, come se avesse avuto un’illuminazione improvvisa.
Quella ragazza gli ricordava Usagi!
E non fisicamente, perché non avevano nulla in comune e non si assomigliavano per niente, neanche lontanamente. Ma aveva un modo di essere e di porsi molto simile alla sua Usako. Non quella fredda e schiva dei primi tempi, ma quella che aveva conosciuto bene, solare e allegra, dolce e un po’ infantile. Per un attimo ebbe quasi la tentazione di scappare via.
«Che hai Mamoru?» chiese Michelle, avendo notato la sua espressione.
«Niente … mi hai ricordato una persona».
«Una tua ex?».
Mamoru non rispose subito.
«Sì – esclamò dopo un po’, mantenendosi vago – Allora, questo gelato?».
 
Mamoru tornò a casa un po’frastornato. Era riuscito a passare una giornata tranquilla, serena e anche con Michelle era stato bene. Almeno fino a quando non gli era balenata in mente quella strana e assurda idea.
Possibile che ogni cosa gli parlasse di Usagi? Possibile che, benché si sforzasse di non pensare, lei era sempre lì?
Sì, era possibile! E lo sarebbe stata per sempre, incatenata al suo cuore e alla sua anima.
E non sarebbe bastato il tempo per fargli dimenticare che da qualche parte lei c’era ed era la sua anima gemella e che lui l’aveva incontrata solo per perderla.
Maledetto destino! Maledetto Hiroshi Chiba! Maledetto se stesso!
E quella notte la sognò ancora … il suo corpo, la sua voce, il suo odore.
 
Qualche giorno dopo, Mamoru rientrò dal lavoro prima del previsto.
Era tutta la giornata che gli frullava in testa una certa intenzione e così, non appena richiuse la porta alle sue spalle, la prima cosa che fece fu prendere il telefono e chiamare casa Tsukino, come aveva pensato già un po’ di tempo prima.
«Buonasera, signor Tsukino! Sono Mamoru».
«Mamoru?!? » esclamò Kenji stupito.
«Sì, sono proprio io!».
«Ma che bella sorpresa! È davvero un piacere sentirti».
«Grazie! Anche per me lo è».
«Solo che, se hai chiamato per Usagi, in questo momento non c’è. È in vacanza con le amiche per tutto il mese».
«Lo so, è per questo che ho chiamato solo adesso. In realtà volevo parlare proprio con lei, signor Tsukino».
«Con me? È per via di mia figlia?».
«Beh, più o meno … volevo dirle che …  che mi dispiace per come sono andate le cose tra me e Usagi, e … le chiedo scusa se in qualche modo vi ho delusi».
Mamoru poté sentire Kenji sorridere dall’altro lato.
«Non devi scusarti, ragazzo! Non so cosa sia successo esattamente tra voi, ma da quello che mi ha raccontato Usagi, non è colpa tua ed è stata una decisione presa di comune accordo. A volte, le situazioni sfuggono al nostro controllo e vanno così come devono andare. Tu non ci hai deluso, tutt’altro! Da quando sei entrato nella vita di mia figlia, lei è tornata come era prima, e di questo devo solo ringraziarti. Anzi, sono io quello che si deve dispiacere, per me eri la persona giusta per lei! E poi, mi dispiace anche aver perso un abile avversario di scacchi!».
Stavolta fu Mamoru a sorridere.
«Sono contento di sentirla parlare così! E sono felice di aver fatto parte della sua famiglia, anche se per poco».
«Mai dire mai! Magari col tempo le cose si sistemeranno! Tu ed Usagi vi chiarirete e farai ancora parte della mia famiglia, e stavolta per sempre».
In quel momento, Mamoru intuì che qualcosa a Kenj era sfuggito, o semplicemente era stata Usagi a non dirglielo.
«Signor Tsukino … io ho lasciato la città, mi sono trasferito a Parigi … sono … sono scappato da tutti i miei problemi!».
Kenji rimase senza parole, ma solo per un attimo. Un uomo come lui aveva sempre la risposta giusta in ogni situazione.
«Oh … questo non lo sapevo! Ma non ha importanza – esclamò – Io spero sempre che un giorno ogni cosa si sistemerà. Se è destino, tu e Usagi tornerete insieme. Anche mia moglie Yumiko è della stessa opinione».
“Non potrà mai accadere” pensò Mamoru, ma lo tenne per sé
«Grazie, mille! Grazie per la chiacchierata e grazie per tutto!» rispose.
«In bocca al lupo, figliolo!».
«Crepi! E, per favore, non dica a Usagi che ho chiamato».
«Stai tranquillo! Arrivederci, Mamoru».  
« Arrivederci».
 
Quando Mamoru riagganciò si sentì sollevato, anche se le speranze di Kenji per il futuro non lo aiutavano a stare meglio. Ma poteva mai rispondergli che si sbagliava e che per lui e Usagi non c’era alcun futuro?
Senza neanche sapere come, si trovò a frugare tra gli scatoloni con la sua roba, che erano arrivati pochi giorni prima. Trovò quello che cercava. Forse il suo era solo desiderio di lasciarsi andare e, per una volta, provare a non trattenersi.
Fece partire la loro canzone, la canzone del loro primo e unico Natale insieme.
Sentiva che il cuore stava per scoppiargli, ma non pianse. Non aveva mai pianto in vita sua. Piuttosto gli uscì un sorriso al ricordo di lei e di come erano felici in quel momento, convinti che niente li avrebbe più separati, adesso che si erano trovati.
Mentre la voce di John Lennon continuava a diffondersi nella stanza, qualcuno bussò.
«Ehi, Michelle!» esclamò, aprendo la porta e trovandosi davanti la sua vicina.
La ragazza sorrise allegra.
« Disturbo?».
«No, accomodati!».
«Ti ho portato i croissant che ti avevo promesso» esclamò, sventolandogli avanti il sacchetto dal quale fuoriusciva un profumo niente male.
«Croissant a quest’ora? Io ci avrei fatto colazione».
La ragazza lo osservò perplessa.
«Che differenza fa? Io ho fame adesso!»
Mamoru scoppiò a ridere.
«Eccone un’altra che mangia come un elefante!».
«E chi sarebbe l’altra?».
«Non farci caso! - disse Mamoru sfilandole il sacchetto di mano – Thè o latte caldo?».
«Vada per il latte!» rispose la ragazza seguendolo in cucina.
Negli ultimi giorni si erano frequentati abbastanza da capire che c’era una reciproca simpatia e passavano spesso le serate insieme.
Mamoru la trovava stramba, ma nello stesso tempo era allegra e divertente, oltre che una ragazza intelligente con cui era un piacere conversare. E il fatto che non lo attraesse fisicamente lo rendeva ancora più sicuro del fatto che, tra loro, potesse nascere davvero una bella amicizia.
Michelle, forse, non era dello stesso parere di Mamoru, anche se aveva capito subito che non aveva possibilità e che, da qualche parte, c’era una ex-fidanzata che lui amava e che ancora lo faceva soffrire. Ma, per ora, per lei era sufficiente passare il suo tempo in compagnia di quel bel dottore dagli occhi blu e dal fascino indiscutibile.
Se ne stavano seduti tranquillamente sul divano a gustare i croissant alla crema che Michelle aveva portato.
«Hai fatto qualcosa di interessante oggi?» chiese la ragazza.
«Mhm, vediamo un po’… ah, sì! Ho estratto una cisti grande come una pallina da ping-pong dal cervello di un uomo».
Era vero, ma più che altro Mamoru glielo disse per scatenare la sua reazione, che puntualmente arrivò.
«Che schifo!» esclamò Michelle, con una faccia disgustata che fece ridere Mamoru.
Battibeccavano sulla correttezza o meno del giovane medico di rivelare dettagli disgustosi del suo lavoro, quando qualcosa attirò l’attenzione di Michelle. Sul tavolino una foto faceva capolino da sotto un libro.
Spostò piano il libro, senza che Mamoru glielo impedisse.
«È lei?» chiese osservando la ragazza bionda che abbracciava Mamoru.
Il ragazzo annuì, mentre continuava a mandare giù il suo latte.
«È molto bella! Come si chiama?».
«Usagi» riuscì a rispondere il ragazzo mantenendo un tono freddo.
«Sembrate molto felici in questa foto. Perché vi siete lasciati?».
«Perché a volte la vita non va come vorremmo».
La ragazza fece una smorfia.
«O forse siamo noi a lasciare che vada in un certo modo».
Mamoru sorrise beffardo.
«Sì, come no!».
«Scommetto che non hai combattuto abbastanza».
« È l’unica donna per cui abbia mai combattuto!».
«Per averla, immagino! Quando si è trattato, poi, di tenerla al tuo fianco te la sei lasciata scappare».
Mamoru si morse il labbro.
«Ma credi di sapere sempre tutto, tu?».
«Se non me lo racconti, come faccio a saperlo? Ho provato solo a immaginare. Ma so di non aver sbagliato».
«Sei brava a estorcere informazioni, eh?».
E così, senza saper neanche perché, si trovò a raccontare i suoi ultimi mesi a una ragazza che in fondo non conosceva ed era poco meno di un’estranea, tralasciando solo quello che si era tenuto dentro per anni e che alla fine aveva rivelato solo a Usagi.
«Capisco, ora, perché sei scappato! – esclamò alla fine Michelle – Ma io al posto tuo sarei rimasto, non avrei mai abbandonato la persona che amavo».
Mamoru storse la bocca. Era l’ennesima persona che gli ripeteva la medesima cosa.
«È questo il punto – disse, infine – Io ho messo i miei problemi davanti a lei. Non merito quindi il suo amore!».
«Beh, forse prima di prendere una decisione simile, dovevi lasciare che fosse lei a decidere se la meritavi oppure no».
Mamoru sospirò nervosamente, lasciando cadere la testa all’indietro sulla spalliera del divano. Michelle osservò pensierosa il suo atteggiamento.
«Ok, dottore di cervelli, si è fatto tardi – disse, alzandosi e pensando che fosse meglio lasciarlo solo – Io vado a casa. Ero venuta a salutarti perché domani parto per le ferie con un’amica. Torno la prossima settimana».
«Ok – disse per poi accompagnarla alla porta – Divertiti!»
«Al mio ritorno ti porto a vedere una mostra che ti piacerà senz’altro».
«Dalì?» chiese Mamoru curioso.
La ragazza scosse la testa sorridendo.
«Van Gogh!».
«Wow! – esclamò Mamoru – Non combinare guai, allora, e torna sana e salva».
«Io combinare guai?!? Piuttosto tu! - disse prendendolo in giro – Ciao, dottore!».
«Ciao Uragano!».
E prima di richiudere la porta aspettò che fosse completamente scomparsa su per la rampa di scale.
 
“Se è destino, tu e Usagi tornerete insieme”.
“Forse siamo noi a lasciare che la vita vada in un certo modo”.
Le parole di Kenji e Michelle risuonavano nella sua mente e non erano messaggi di speranza nel suo cuore, ma solo continui, dolorosi colpi.
Non esistevano più Mamoru e Usagi nella loro bolla di cristallo.
Quella bolla era andata in frantumi e non sarebbe stato possibile ripararla, perché, nella realtà circostante, non c’erano solo Mamoru e Usagi, che nonostante tutto continuavano ad amarsi, c’erano anche Hiroshi, Midori, Aiko, Kaori, i sensi di colpa, le bugie, i tradimenti, le ferite …
Mamoru e Usagi non esistevano più.
Ma quella notte, la sognò ancora. E stavolta era lui a stringerle la mano.
 
 
 
 
 
Ecco conclusa questa piccola, breve parentesi. Ma adesso cosa accadrà? Spero che sarete curiose di scoprirlo ... a breve tornerò con il sequel di Come ogni volta. Eh, no! non vi libererete ancora di me :-) Un saluto a tutte
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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