Black Flame

di Sly thefc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- Un giorno come gli altri ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- Intorno a me ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- Un abito di piume nere ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- Due abbracci ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5- La bontà ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- Legata al filo della morte ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- Il volto dimenticato ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8- Una piuma per ricordare ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10- Gli errori ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11- La verità che salva ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12- Gli angeli non esistono ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Black Flame

Prologo


Le prendo la mano, la guardo negli occhi. So che ormai è finita, giusto un miracolo potrebbe salvarci.
Siamo in un vicolo cieco.

Le stringo la mano sempre di più, poi l’abbraccio e piango.

Lei non reagisce. È triste, cupa, oscura e non tenta nemmeno di consolarmi. Se ne sta ferma, immobile a subirsi le mie disperazioni.
Non ha un’espressione facciale, non cerca né di aiutarmi, né di allontanarmi. Non capisco le sue intenzioni, la sua personalità.
La creatura è ormai a pochi passi da noi, probabilmente tra alcuni istanti saremo morti.

L’ho appena incontrata, ma ciò non vuol dire che non debba tentare di consolarmi.
Non smetto di guardarla negli occhi, anche perché sono fantastici.
Non mi è mai capitato di vedere una persona con le iridi di colori differenti. Una verde, come la libertà e la natura, l’altra azzurra, come il freddo e la malinconia.

Finalmente si discosta da me e mi volge le spalle. Forse si è accorta del mio continuo fissarla.
Distende le braccia e le mani come per proteggermi da quel mostro e urla come una forsennata.
“Quest’uomo mi darà una personalità, mi aiuterà a imparare le emozioni di questo mondo; niente e nessuno me lo porterà via!”
Queste parole mi sorprendono, ma cosa vorrà dire?
La rabbia le avvolge il corpo, e poi, d’improvviso, due ali bianche e candide le spuntano dalla schiena.

“Un angelo” penso, appena in tempo, prima di svenire.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- Un giorno come gli altri ***


Black Flame

Capitolo 1- Un giorno come gli altri

È un giorno come tutti gli altri. Sveglia alle 6:30 del mattino, una mezz’oretta di lavarsi, vestirsi e mangiare, e via, si va a lavoro.
Niente università, odio lo studio. Non ho nemmeno finito il liceo. Non avevo il tempo di occuparmi della scuola e dei compiti. Sinceramente nemmeno avevo voglia.

Con mia madre costretta a letto, ero io che dovevo fare tutto in casa. Lavare i piatti, stirare, pulire i pavimenti e tutte le cose che un adolescente non si sognerebbe mai di eseguire. Ma da una parte ho preferito questo, all’andare a quel liceo che tanto odiavo, in quella classe che disprezzavo ancora di più. Non avevo legato con nessuno, ero solo, e vedere tutti i miei compagni parlare e divertirsi mi metteva una rabbia dentro che non riuscivo a sopportare. Ero preso in giro dagli altri, escluso, perché non potevo uscire a mangiare un gelato o a fare una passeggiata.
Ho sempre cercato di relazionarmi con i miei compagni, ma ogni volta che rivolgevo loro un timidissimo “ciao, come state?” mi squadravano dalla testa ai piedi, si voltavano e ridevano. Ma non gli facevo nemmeno un po’ pena? Sapevano della mia situazione, di mia madre malata e paralizzata, che presto se ne sarebbe andata.

I professori invece erano veramente comprensivi, forse troppo. Non m’interrogavano mai, non avevo voti, eppure mi promuovevano. Ai colloqui con gli insegnanti nessuno dei miei familiari si è mai presentato. Mio padre, perennemente ubriaco, non ne voleva sapere. Mi odiava con tutto il suo cuore, perché, anche se di pietra, ne aveva uno.

Questa storia va avanti da anni ormai, io non ce la faccio a proseguire. Mi sento colpevole di tutto questo, e forse lo sono. Di quel giorno non ho memoria, ma sto cercando di recuperarla.

Anche quello era un sabato come tutti gli altri. Ero piccolo, avevo dieci anni. La mattina andavamo tutti insieme al parco, mamma, papà, mio fratello ed io. Giocavamo a palla, ci divertivamo. Sono bastati pochi minuti. Mi ero allontanato un attimino, incuriosito da una piccola bambina che saltava con la corda, sola. La fissavo, lei non si voltava.
Ad un tratto arriva mia madre disperata, correndo. Mi sarebbe piaciuto tanto vederglielo fare di nuovo.
“Tuo fratello!” urlava “tuo fratello non è con te?”
Ricordo di essermi guardato intorno, e di non averlo visto. È a quel punto che la bimba smise di saltare e si voltò. Ma come faccio a ricordarmi del suo viso, con mia madre urlante di sottofondo e la sua corsa rumorosa verso mio padre, per dirgli che il loro caro figliolo era scomparso?
Lui era il preferito della famiglia, l’ho sempre saputo. Era sempre coccolato da loro.
Così quei due irresponsabili dei miei genitori corrono verso non so dove, per cercare mio fratello. Io, come farebbe un qualunque bambino, li ho inseguiti, ma forse era meglio se non l'avessi fatto.

Arrivato in strada, li vidi. Non so com’era successo, e sinceramente non m’importava. C’era mio padre, accasciato accanto a mia madre, e quest’ultima, sotto un camion enorme. Pochi minuti e arrivarono non so quante ambulanze e volanti della polizia, ma io, spaventato come non mai, tornai indietro, da quella bambina. Non so esattamente perché, fatto sta che non ho esitato a tornare da lei. Purtroppo però, era scomparsa, sicuramente si era impaurita ed era andata via.

È così che io sono rimasto solo al mondo. Senza nessuno su cui contare. Forse se io avessi portato mio fratello con me, ora saremmo una famiglia felice.

Quando ero in terzo liceo, mia madre mi ha chiesto di lasciare la scuola e di rimanere con lei.
Non avevamo i soldi per pagare una badante, o qualcuno che lo faccia al posto mio. Non ho potuto rifiutare. È un mio dovere, in fondo, la colpa è solo mia.
Avevo 19 anni, era un giorno di maggio e faceva veramente caldo. Ero andato a comprare un po’ di pane. Torno a casa e mia madre non respirava più. Se n’era andata. I medici avevano detto che presto sarebbe successo. Inutile dire che a pochi giorni da questo spiacevole evento, mio padre si è suicidato.
Sono contento per loro. Ora tutta la migliore parte della famiglia si trova in cielo, ma cosa più importante, mio fratello, mia madre e mio padre sono insieme, come hanno sempre voluto. In realtà non so se mio fratello sia con loro, ma lo spero con tutto me stesso.
Non voglio morire, no, non lo farò. Non rovinerò la loro pace un’altra volta, non sprecherò la mia vita per rattristarli ancora di più. Io non sono debole come loro.

Sono le 7, meglio che vada a lavoro, sto facendo tardi. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- Intorno a me ***


Black Flame

Capitolo 2- Intorno a me

Che bello vedere che per strada ci sono ancora persone che non si vergognano di tenersi per mano.
Vedere una mamma che abbraccia il figlio dopo che è tornato da scuola.
Vedere un ragazzo che piange davanti allo squallido messaggio appena inviato dalla sua compagna per lasciarlo.
Vedere gli occhi di due innamorati incontrarsi, per poi perdersi in un bacio.

Sono queste le gioie della vita.

Avere qualcuno con cui confidarsi, parlare, gioire, litigare.
Credo proprio di averne bisogno. Non posso più restare solo.

Necessito di qualcuno che mi impedisca di mentire, agli altri, ma per primo a me stesso, perché, diamine, anche se non ero il preferito, anche se non ero apprezzatissimo, mi manca la mia famiglia.
Sentire mia madre che mi sgridava perché avevo finito tutte le merendine; mio padre che esultava perché la sua squadra preferita aveva vinto la partita finale; mio fratello che si arrabbiava perché non riusciva a superare un livello del gioco che più amava.

Mi manco io, che sorridevo, sbraitavo e ridevo.

Vorrei qualcuno che mi dicesse che in cielo stanno tutti bene, sono felici, ma che senza di me non è la stessa cosa.
Ora che sono arrivato a lavoro, capisco che agli altri non importa di una singola persona ferita dentro il cuore.
Ognuno pensa ai propri fatti, ai propri problemi, come un asino col paraocchi, che cammina, senza sapere dove andrà a finire.
Se al mondo non sei nessuno, nessuno mai sarà lì per consolarti, aiutarti e sostenerti.

Lavoro in un ristorante, faccio il cameriere. Sì, sono un misero servitore.
Per me è tantissimo, dato che non ho finito nemmeno la scuola.
Trovando questo lavoro pare che io abbia avuto quella che chiamano “una manna dal cielo”.
Peccato che il cielo mi abbia tolto tutto quello che avevo.

Nessuno dei miei colleghi mi cerca, se non per chiedermi di passargli il piatto col riso in bianco da portare al tavolo quattro.
Non mi hanno mai chiesto “Ehi, Azar, che dici se andiamo a prenderci una birra, questa sera, al nuovo bar che ha aperto dietro l’angolo?”, nulla di simile.

Dovrei mettermi in testa che il mondo va avanti anche senza di me.

Non capirò mai perché gli altri hanno difficoltà a parlarmi, perché hanno quasi paura di farlo.
Hanno timore della mia storia, forse?
Credono che comunicando con me tutti i miei mali vadano verso loro?  
Tutti questi pensieri, credo che mai lasceranno la mia mente.
Il capo mi ha rimproverato più volte del mio essere con la testa fra le nuvole.
Credo stia venendo qua, ora, proprio per questo.
“Azar! Che combini? La pasta al sugo era per il tavolo otto, non per il sei! Ti ho già detto più volte che devi stare attento a come lavori, altrimenti ti licenzierò!”
“Sì, capo, chiedo umilmente scusa.”
Lo sapevo. Mi ha minacciato un’altra volta di licenziarmi. Credo che abbia paura di farlo, altrimenti mi avrebbe cacciato già da un pezzo.
Quest’ambiente è così straziante. Fare avanti e indietro con un vassoio d’argento in mano non è il massimo, specialmente con tutto il chiasso che c’è in questo ristorante.

Forse ho capito come mi sento.
In me, penso che la gente mi tema, anche se non ha un vero motivo per farlo.
Non ho nulla in faccia di così spaventoso, non sono uno che la gente vede e comincia subito a sparlare.
Sono perfettamente sano, non ho cicatrici sul corpo o nulla del genere. Non capisco.

Sono le 19, e il mio turno è finito. Era ora!

Ma perché continuo a fare certi pensieri?
A sperare che qualcuno chissà dove ascolti ciò che ho da dire? Sto forse impazzendo?
No, non può essere. Io so per certo che qualcuno sta sentendo i miei discorsi.
Quindi parlo con te, misterioso uditore:
Io sono Azar Black, unico superstite della mia famiglia. Io ho bisogno di te, aiutami a smettere di mentire. Aiutami a sopravvivere. So di essere forte, ne sono certo, ma da solo nessuno può vivere o morire, e non esiste via di mezzo.
Non voglio più fingere, ingannare, e per farlo ho bisogno di te.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- Un abito di piume nere ***


Black Flame

Capitolo 3- Un abito di piume nere

Cosa sto facendo?
Davvero credo che in questa terra ci sia qualcuno disposto ad ascoltarmi e ad aiutarmi?
Ma chi voglio prendere in giro?

Non sono forte, mi sto solo illudendo di poter superare i miei traumi.
Nessuno mi ama, nessuno mi apprezza, nessuno mi sostiene, nessuno può farlo e mai lo farà.

Credo proprio che oggi prenderò un giorno di ferie.
Esattamente un anno fa, mia madre chiudeva gli occhi, per non riaprirli mai più.
Recarmi alla sua tomba è il minimo che io possa fare per lei, che mi ha permesso di esistere in questo mondo che mi volta le spalle.
Questa realtà in cui mi trovo è orribile, spenta e tenue, ma è comunque una vita, detta anche “il dono più prezioso”.

Perché, inutile negarlo, questa miscela di sensi, emozioni e sentimenti è qualcosa di insostituibile e unico.

A mia madre non piacevano i colori. Il suo ambiente era oscuro, nero e cupo.

È per questo che, nel cimitero, la sua, unita a quella di mio padre, è l’unica tomba senza la minima traccia di vivacità. Non c’è nemmeno un petalo a ornare quel luogo santo, dove tutti riposano in pace.
Vado lì solo per fare una piccola preghiera alla mia famiglia, e a mio fratello, il cui corpo non è mai stato trovato, ammesso che ce ne sia uno.

Per strada non c’è un'anima. A quest’ora di mattina staranno tutti a lavoro, conducendo la normalissima vita che a tutti piacerebbe avere.

Anzi, qualcuno c’è. È una ragazza con i capelli neri, lunghi. È sdraiata sul fianco, al lato del marciapiede. Non può essere una mendicante, impossibile. Il vestito che indossa è meraviglioso, sembra molto costoso. Avrà avuto un mancamento dovuto al caldo probabilmente, meglio soccorrerla.
“Signorina? Quasi sicuramente sto parlando da solo, giacché lei è svenuta, ma se non fosse così, la prego di rispondere, o sarò costretto a chiamare un’ambulanza.”

Si muove. È palesemente stordita e stanca. Si alza in piedi a fatica, ma ancora non mi mostra il suo sguardo.
Si passa l’avambraccio destro sul viso e quando lo scosta, finalmente riesco a vedere il suo volto completo.
Vedo due occhi, ma che dico, due gemme a dir poco strabilianti, diverse. Uno smeraldo e uno zaffiro illuminano quella faccia senza espressione.
A quel punto una domanda mi sorge spontanea.
“Sta bene, signorina?”
“Chi sei tu?”
Quanta sfacciataggine. Cerco di prestare aiuto e non mi dà nemmeno del lei.
“Io sono Azar. Se posso, cosa ci faceva sdraiata sul marciapiede?”
“Azar Black?”

Come fa questa ragazza a sapere il mio nome? Mi conosce? Perché lei conosce me ed io non so nemmeno da dove venga? Tanto vale smettere di darle del lei. E comunque non ha risposto alla mia domanda.
“Noto con piacere che tu mi conosci. Posso sapere con chi sto parlando?”
“No, non puoi, non adesso. Ora pensa solo a correre, siamo nei guai, lui sta arrivando.”
“Lui? Ma di cosa stai parlando?”

Questa ragazza ha dei problemi mentali. Pensavo di essere l’unico in questa città e invece, almeno in questo, non sono solo.

Lei comincia a correre verso chissà dove, ma io devo andare da mia madre, non ho tempo per questi stupidi giochetti.

Nemmeno faccio in tempo ad arrivare al cimitero, che incontro un uomo, se così si può chiamare.
Un adulto, maschio. Indossa un abito di piume nere, compreso di ali.
E se questo mostro sia proprio “Lui”?

Corro nella direzione della ragazza dai capelli corvini, riesco a vederla, ma è ferma.
La via è terminata, strada chiusa.

Le prendo la mano, la guardo negli occhi. So che ormai è finita, giusto un miracolo potrebbe salvarci.
Siamo in un vicolo cieco. 

Le stringo la mano sempre di più, poi l’abbraccio e piango.

Lei non reagisce. È triste, cupa, oscura e non tenta nemmeno di consolarmi. Se ne sta ferma, immobile a subirsi le mie disperazioni.
Non ha un’espressione facciale, non cerca né di aiutarmi, né di allontanarmi. Non capisco le sue intenzioni, la sua personalità.
La creatura è ormai a pochi passi da noi, probabilmente tra alcuni istanti saremo morti.

L’ho appena incontrata, ma ciò non vuol dire che non debba tentare di consolarmi.
Non smetto di guardarla negli occhi, anche perché sono fantastici.
Non mi è mai capitato di vedere una persona con le iridi di colori differenti. Una verde, come la libertà e la natura, l’altra azzurra, come il freddo e la malinconia.

Finalmente si discosta da me e mi volge le spalle. Forse si è accorta del mio continuo fissarla.
Distende le braccia e le mani come per proteggermi da quel mostro e urla come una forsennata.
“Quest’uomo mi darà una personalità, mi aiuterà a imparare le emozioni di questo mondo; niente e nessuno me lo porterà via!”
Queste parole mi sorprendono, ma cosa vorrà dire?
La rabbia le avvolge il corpo, e poi, d’improvviso, due ali bianche e candide le spuntano dalla schiena.

“Un angelo” penso, appena in tempo, prima di svenire.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4- Due abbracci ***


Black Flame

Capitolo 4- Due abbracci

Dove mi trovo? Che posto è questo?
La mia vista è appannata, come se ci fosse un velo opaco davanti agli occhi, mi devo riprendere un attimo.

Che sogno devastante.

Un momento, qui accanto c’è quella ragazza, inginocchiata. Non stavo sognando.
L’ho visto! Questa donna aveva le ali! Non sto impazzendo!
Ne sono certo, lei è un angelo, ed esiste veramente!

Mi alzo a fatica da terra, barcollo e sto per cadere.
Quella donna-angelo mi prende in tempo per le braccia e m’issa su.

Ora sì che vedo bene.

I nostri sguardi s’incontrano.
Ha degli occhi bellissimi, è impossibile resistergli.

Lei abbassa la visuale, mentre io non smetto di scrutare quelle due pietre preziose.

Dovrei chiederglielo. Lei è veramente un angelo?
“Ora puoi dirmi il tuo nome, signorina?”
“Somber, mi chiamo Somber Flame, e sì, nel caso te lo stessi chiedendo, sono un angelo.”

É la ragazza più bella che abbia mai visto, ma non per il suo aspetto fisico. Ha qualcosa che mi attira, come una calamita.

“Allora non stavo sognando! È successo tutto veramente? Chi era quell’uomo vestito di piume nere?”
“L’uomo vestito di piume nere? Ma di cosa stai parlando?”

Non capisco, o sono pazzo io, o lo è lei, o lo siamo entrambi. Io opterei per l’ultima, giusto per fare in modo che nessuno rimanga solo.

Eppure se è accaduto tutto realmente, se lei è un angelo, allora non posso essermi immaginato quella creatura.
“Parlo di colui che ci stava inseguendo, dalla quale siamo scappati. Ammesso che sia successo veramente.”
“Azar Black, chiedo umilmente perdono per aver sfruttato i tuoi desideri per scappare. Se vuoi, posso andarmene e tornare da dove sono venuta.”
Ma chi le hai mai chiesto di venire qua! Per me può andare dove vuole, di certo non è colpa mia se si trova qui.

Un momento, e se quando parlavo al cielo ci fosse stato veramente qualcuno che mi stava ascoltando?

Comunque cosa c’entra questa sua affermazione con la mia domanda?
“Non hai risposto alla mia domanda.” Mi limito a dire.
“Stai parlando del corvo?”
Ah, era un corvo. Un corvo gigante, direi. È impossibile che quella creatura fosse un corvo, ma chi sta cercando di prendere in giro?
“Non ho tempo per giocare, cos’era?”
“È così che loro vengono chiamati. Pronunciare la loro vera specie si dice porti male.”
Davvero anche gli angeli credono alle superstizioni? Nominare un semplice sostantivo per loro è così importante?
“Comunque, Somber, sbaglio o prima hai detto di voler imparare ad avere una personalità? Voi angeli non ne avete una?”
“Non è esattamente così, gli angeli provano emozioni, sentimenti, ma io…”
Sta cominciando a balbettare.

Pare che lei non senta nulla. È sempre monotona, cupa e vuota.
Di certo non ho chiesto al cielo di ricevere un angelo senza carattere.
Io ho bisogno di una spalla, non di qualcuno a cui darne una.

Però lei è dannatamente… magnetica.

“Tu?” provo a spingerla a continuare.
“Io… sono un angelo un po’ particolare. Tecnicamente non dovrei esistere, ecco perché il demone ci stava inseguendo prima.”
“Aspetta, ma non era un corvo?”
“Sì, un demon… ops, l’ho detto.”
Mette le sue dita sopra la bocca, come per annullare la sua affermazione, mentre guarda in basso. Si accascia a terra.
È questo ciò che non può dire? Non può pronunciare la parola “demone”?
Quindi l’uomo vestito di piume nere era un demone?

È tutto così complicato.
Non bastavano il mio lavoro estenuante e la mia famiglia ora inesistente?
Era proprio necessario che un angelo piombasse in questa vita, rendendola ancora più confusa di quanto non lo sia già?
Posso solo giungere a una conclusione. Il cielo mi odia.

“Somber… prima mi hai chiesto se desideravo che tu tornassi da dove sei venuta. Vale ancora come proposta? Insomma, la mia vita è già un disastro completo, non sono pronto a dare il mio appoggio a qualcun altro. Lo dico per il tuo bene!”
È impassibile, come al solito. Non dice una parola, e non leggo nessun segno di dolore o delusione nei suoi splendidi occhi.
“Quella proposta varrà sempre. Ti ho sfruttato per scappare, è vero, ma non verrei mai meno ai miei patti. Io sono il tuo angelo, tu mi hai chiamato.”
Lei è il mio angelo. Ridicolo. Gli angeli sono, per caso, degli oggetti?
“Lascia che ti dica una cosa. Tu non sei un arnese, non appartieni a nessuno, sei libera. Non permettere mai che qualcuno ti sfrutti. Sei una persona come le altre, meriti di avere le tue scelte. Io ho fatto la mia, quella di rimanere solo. Ora tocca a te.”
Mi scruta dalla testa ai piedi e poi si rialza.
“Mi dispiace, ma io non sono una persona. Sono un angelo fuori dal comune, che va eliminato. Non sono libera. E se dovessi scegliere, in questo momento, rimarrei con te. Pare che tu abbia bisogno del mio aiuto. Non l’hai scelta tu quest’esistenza in solitudine.”
Diamine se ha ragione.
Io ho bisogno di lei, e lei di me. Nessuno dei due può vivere senza l’altro.
Meglio cominciare subito con l’addestramento.
Mi avvicino a lei. La abbraccio. Lei rimane in piedi, con le mani distese lungo i fianchi.
“Questo si chiama ‘abbraccio’, Somber. Una persona, o un angelo nel tuo caso, lo dà quando vuole bene all’altra. Di solito viene ricambiato. È un gesto di amicizia.
Quest’ultimo è uno dei sentimenti che t’insegna più emozioni, sia positive che negative.
Che ne dici, ti va bene come prima lezione?”


Mi abbraccia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5- La bontà ***


Black Flame

Capitolo 5- La bontà

Credo che al mondo non esista una persona più emotiva di me, dato il mio passato di sofferenza.
Per la prima volta nella mia intera vita, ho ricevuto un abbraccio.

Non m’importa chi sia, cosa voglia, no. È l’unica che ha avuto la forza di avvicinarsi a me.
Nessuno nella mia famiglia aveva fatto una cosa del genere.

In un momento del genere non riesco a trattenere le lacrime, che cominciano a scendere copiosamente dai miei occhi.
“Che cosa stai facendo?” Mi chiede Somber. Per un momento ho quasi dimenticato della sua ignoranza nei confronti delle emozioni, che mi ha chiesto di insegnarle.

A volte la invidio, lei non può provare dolore, e non voglio che soffra.

Le farò apprendere solo il lato bello della vita, per quanto io possa conoscerlo.
Mi chiedo se lei sappia già di tutte le mie pene del passato. È probabile. Se è stato veramente il cielo a mandarla dovrebbe saperne il motivo.

“Io? Non sto facendo nulla.” Mi limito a risponderle, portando il braccio all’altezza degli occhi, strofinando per cancellare le lacrime.

La invito a staccarsi da me, perché, se dura troppo, un abbraccio può risultare fastidioso.

In questi momenti non so cosa fare. Non mi è mai capitato di essere in compagnia di qualcuno.
“Lo vuoi un gelato?”
Dovrebbe andar bene. Un invito non si rifiuta mai, salvo che non ci siano degli impegni di mezzo, e le non dovrebbe averne.
“Che cos’è un gelato?”
Ah già. Lei non sa nulla. 
“Vieni con me, è la cosa più buona che esista al mondo.”

La porterò alla gelateria migliore della città. Non m’importa che sia costosa, voglio solo farle capire cos’è la bontà, insegnarle le sensazioni positive.
“Siamo quasi arrivati, altri due minuti.”
La rassicuro dopo la nostra lunga camminata.

Ci siamo, ora assaggerà il nostro cibo per la prima volta, credo.
“Devi scegliere dei gusti, ma suppongo che tu non sappia cosa siano, quindi ti prenderò un gelato uguale al mio.”
Le do il suo gelato, e le dico come mangiarlo.
“Non senti qualcosa di strano? Non senti un sapore sublime?”
“Ecco… qualcosa sì, è… buono, credo…”
“Sono felice! È fantastico! Questa si chiama ‘bontà’, ‘delizia’, i sinonimi sono molti, ma quando senti quella sensazione, vuol dire che stai mangiando qualcosa che ti piace!”
Anche lei sembra contenta. Mi sento bene per lei, ma ancora stento a credere della sua provenienza.

“Tu sei a conoscenza del mio passato? Insomma, non sono la persona migliore per fare da insegnante di emozioni.”
“Diciamo di sì, ma la tua famiglia è sempre stata un mistero su in cielo.”
“Un mistero? E perché?”
“Che vuoi che ne sappia io? Non sono mai stata parte integrante tra gli angeli.”

Allora è veramente un angelo. Che cosa fantastica.

“Scusa se te lo chiedo, non voglio sembrare invadente facendoti tutte queste domande, ma vieni veramente dal cielo?”
“Purtroppo sì, ma io non voglio più tornarci.”

Non vuole tornare a casa sua. Mai sentita una cosa simile.

“È un brutto posto lassù?”
“In genere no, ma per me… per un angelo come me… che non dovrebbe esistere… ecco…”
“E perché non dovresti esistere? Ci sono vari tipi di angeli?”
“Esistono gli angeli puri, ovvero quelli comuni, normali, che sono nati da due genitori angeli.
Ed esistono gli angeli neri, che non hanno personalità, nati da una madre angelo e un padre umano. Essi non devono nascere, scompigliano l’equilibrio del mondo. Una creatura generata per aiutare l’uomo, non può non conoscere le emozioni. È una contraddizione. Tutti gli angeli neri vengono uccisi e ormai non ce ne sono più.”
“Ma tu sei…”
“Esclusa me, ovviamente. Io sono un angelo nero.”

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- Legata al filo della morte ***


Black Flame

Capitolo 6- Legata al filo della morte

D’istinto la mia mano lascia che il gelato cada a terra.
Che spreco.
Me l’aveva detto. Mi aveva annunciato il fatto di essere un angelo paranormale, ma non mi aveva detto di essere l’ultima della sua specie. L’ultimo angelo nero.
Si è approfittata di me per scappare dal cielo e quindi da coloro che volevano, anzi, che vogliono ucciderla.

Ma cosa vuole ancora qua? Può benissimo andarsene da qualche parte e da qualcuno migliore di me. Sarei molto più contento se fuggisse da me.
È questo che voglio?
No. Io non lo permetterò. Lei deve stare qui, accanto a me, ed io le insegnerò ad avere una personalità.

“Hai mai conosciuto il tuo padre umano?”
È impassibile, che novità. A volte mi fa proprio rabbia questa sua monotonia.
“A questo punto dovrei sentire qualcosa, forse di negativo, non lo so. Comunque no, non l’ho mai conosciuto e credo che mai lo farò.”
Qualcosa di negativo, dice. Non posso insegnarle quelle emozioni. Io voglio che sia felice.
“Dovresti essere sorpresa, un po’ incredula. A dire il vero non so cosa dovresti sentire dentro. Ormai ho perso la percezione della negatività. Niente è paragonabile a quello che ho passato.”

Mi guarda fisso negli occhi, con quello sguardo prezioso, verde e azzurro.

“Hai idea di come sia vivere legati al filo della morte? Con la paura di essere uccisi da un minuto all’altro? Io non sono salva. Gli angeli possono raggiungermi, anche se sono con te. Smettila di fare la parte della vittima, perché se ce n’è veramente una, quella sono io.”

Rabbia, paura. Queste non gliele ho insegnate io.

“Che cosa senti?”
“Se lo sapessi, non starei qui a chiederti aiuto, tu che dici?”
“Si chiamano rabbia e paura. La prima è quel sentimento che ti fa venir voglia di dare un pugno al muro e romperlo, anche se non risolverebbe nulla. La seconda è l’emozione dell’istinto. È la sensazione che qualcosa andrà storto e ti fa scappare. Ecco perché sei qui. Tu vuoi andartene.”
“Non capisco. Io sono un essere impassibile. Non so cosa siano le emozioni.”
“Anche il fatto di rimanere monotoni è un cenno di personalità. Crescendo avrai sicuramente imparato da sola qualche sensazione.”
“Ma se la vita è fatta di gioia, io voglio usare quella. La vita non è fatta di monotonia e tristezza, la mia non è una vita!”
“La tua è una vita come lo è la mia o come lo è quella di quei due passanti in mezzo alla strada. Non si può avere tutto, non ci si può fermare perché la vita non è come vorremmo. Io sono qui per aiutarti, tu sei qui per ricambiare. Niente è regalato, nulla è perduto, ma guardare al passato e piangerlo è da stupidi. Tu non sei stupida.”
“Mi dispiace, per colpa mia ti è caduto il gelato.”

Ora però è il mio turno di arrabbiarmi.
“Ascoltami attentamente. Non m’importa del gelato, dei soldi. Io voglio soltanto la tua felicità, voglio soltanto che tu sorrida di spontanea volontà e che non debba essere io a dirti di farlo.”

La mia mano si muove da sola e arriva violentemente sulla sua guancia.
Cosa sta succedendo? Le ho appena dato uno schiaffo? Io non volevo.
Si accarezza con la mano la gota rossa e guarda in basso.

“Se solo sapessi cos’è la felicità...”
“Mi dispiace. Giuro, non era mia intenzione.”
“Perché lo hai fatto? Perché vuoi farmi sentire male?”

La abbraccio. Le lacrime cominciano a scendere dai miei occhi e la stringo sempre di più. Lei sa cosa sto facendo, dovrebbe ricambiare.
“Ti prego, abbracciami anche tu. Ne ho bisogno.”
Dico singhiozzando.

“Non sono obbligata a farlo. Non voglio il tuo abbraccio.”
“Capisco.”

Mi stacco da lei un po’ deluso, mi asciugo le lacrime e prendo fiato.
“Perché vuoi imparare i sentimenti e le emozioni? Cambierebbe la tua situazione?”
“Io credo che avendo una personalità… ecco… sarei paragonabile ad un essere umano e quindi diventerei umana. Nessuno mi cercherà più, sarò libera.”
È questo che vuole. Ora capisco. Vuole soltanto un po’ di libertà.
“Sei sicura che avendo una personalità tutto si risolverà?”
“No, ma lo spero tanto. Comunque non posso starmene qui immobile a guardare il mondo che va avanti senza riuscir a capire i fatti. Ti ripeto che, quando vuoi, sei libero di abbandonarmi.”

Non dovrebbe farmi questa domanda.
Sa che una parte di me vuole rimanere sola, ma che l’altra ha bisogno di qualcuno.
Cerca forse di ingannarmi con delle domande a trabocchetto?
Solo una parte può vincere sull’altra. Devo scoprire quale.

“Ti prego, non andartene, mai. Sono solo, non posso più vivere così. Accompagnami in questo mio, anzi nostro, percorso. Aiutami a vincere la guerra con me stesso. Resta qui, con me.”

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Capitolo 8
*** Capitolo 7- Il volto dimenticato ***


Black Flame

Capitolo 7- Il volto dimenticato

Chissà se mi capisce. Chissà se mi ascolta. Chissà se mi prende in giro.
È una ragazza alata che viene dal cielo. Devo davvero crederci?
Forse è tutto una mia immaginazione, forse…

“Tu sei come tutti gli altri. Sei una persona come il resto della popolazione. Nella storia nessuno si è mai separato dal proprio angelo. Credevo che tu fossi diverso, che avessi la forza di abbandonarmi, e invece…”
“È questo che vuoi? Vuoi che io me ne vada? Bastava dirlo.”
“Non puoi. Te l’ho detto, sei come tutti gli altri.”
“Ti faccio vedere come non posso? Ci metto un attimo a girarti le spalle e ad andare a casa mia.”
“Prego.”

Come le ho detto, mi giro e mi dirigo verso casa mia. Riesco a vedere l’angelo con la coda dell’occhio. È rimasta in piedi con il suo solito faccino impassibile. Probabilmente rimarrà lì per tutta la sua vita.
Prendo le chiavi di casa, apro la serratura ed entro.
Mi preparo un panino, mi sdraio sul divano e, mentre guardo il soffitto, lo mangio.
Possibile che nessun uomo al mondo abbia mai abbandonato il proprio angelo?
Entrerò nella storia per averlo fatto.
Le avevo chiesto di restare con me e invece di farlo mi sta cacciando.
Sembra una ragazza così innocente, con quei capelli corvini e quel viso adorabile, incapace di ridere o piangere.

Forse un po’ mi sto pentendo di quello che ho appena compiuto, ma in fondo si tratta di ciò che vuole lei.
Per un momento, vorrei però riuscire a pensare a cosa desidero io.
Sono stato io a chiamarla e, anche se è un angelo un po’ diverso dagli altri, mi devo accontentare. Dopotutto sono stato io a dirle che dalla vita non si può avere tutto, che guardare al passato è da stupidi, che nulla è regalato.

Il cielo mi ha mandato le peggiori sventure, ma è forse mandandomi lei che cerca di riparare?

È anche vero che io voglio qualcuno che mi supporti, e non qualcuno che abbia bisogno del mio aiuto.
A quest’ora potrebbe anche essere stata presa dagli angeli e uccisa, e in questo caso sarebbe solo e soltanto colpa mia.

Perché l’ho lasciata lì? E l’unica che mi abbia rivolto una parola, un abbraccio.
Sono solo uno stupido, ecco il motivo.

Mi alzo dal divano, poso la metà del panino rimasta, e apro la porta.
Non mi sarei mai aspettato di ritrovarmi davanti quello sguardo di smeraldo e zaffiro.

“Te l’avevo detto. È impossibile lasciare il proprio angelo.”
“Ma che dici? Sei tu che sei venuta qua! Io stavo solo uscendo per comprare qualcosa da mangiare.”
“Basta, basta mentire, ti prego, smettila.”
Mentre dice queste parole, si avvicina lentamente, mentre io mi allontano.
“Che cosa vuoi fare? Non volevi cacciarmi?”
“Sto ricambiando, con un po’ di ritardo, l’abbraccio che ho rifiutato prima. Non vuoi?”
I miei piedi fermano la loro lenta camminata indietro, e cominciano una brevissima corsetta in avanti. Apro le braccia e la stringo più forte che posso.

Di nuovo, delle leggere lacrime cominciano a scendere dai miei occhi.

“Perché faccio questo? Perché ti ho lasciato sola? Perché ti ho dato uno schiaffo?”
“Perché è quello che merito. Stai per caso piangendo? Mentre venivo qua, ho visto una ragazza farlo dopo aver guardato il suo cellulare. È scoppiata proprio come hai fatto tu adesso. Non ti sei stancato di versare gocce di pianto inutilmente? È tutta la vita che ti ripeti in quest’azione.”
Piango ancora più copiosamente.
“Sì, mi sono stancato. Sono stufo di dover lacrimare su un passato macchiato di disperazione. Ma queste sono lacrime di gioia. Sono felice che tu sia tornata. Sono felice che tu mi stia abbracciando. Sono felice che tu sia qui. Sono felice che tu sia arrivata da me. Sono felice solo grazie a te. E anche se non entrerò nella storia come primo uomo che abbandona il proprio angelo, non m’interessa. Prima di tutto perché tu non sei una mia proprietà, e secondo perché io voglio stare con te. Niente e nessuno ci separerà mai.”
“Questo è certo. Gli angeli sono fatti in modo tale da attirare le persone. Anche se io sono un angelo nero, mantengo la mia principale qualità, e mi dispiace di esser la causa di tutti i tuoi malori.”
“La causa dei miei malori? Tu sei la gioia della mia vita, sei un lampo di luce durante una giornata coperta dal buio.”

Mi accarezza la guancia per eliminare parte delle lacrime col pollice. Io mi poggio sulla sua delicata mano e chiudo gli occhi.

“Sì, è colpa mia. Se quel giorno io non fossi andata al parco a saltare con la corda, non ti avrei attirato. Tua madre e tuo padre sarebbero vivi e tu saresti contento col tuo fratello minore. Quando hai chiesto aiuto al cielo, hai detto che da soli non si può vivere o morire ed io sono qui per stare con te, per riparare i miei errori. Anche se mi è difficile starti vicino, devo farlo. Io voglio solo che tu sia felice.”


Lei è… quella bimba che cerco da una vita intera. È la ragazzina di cui non riesco a ricordare il volto. È lo scopo della mia vita.

“Guardare al passato e piangerlo è da stupidi. Se devi versare lacrime, fallo per il presente, ma ricorda che domani, questo diventerà ieri. Se vuoi rendermi felice, rimani qui, anche se è faticoso per te. Ti prometto che ti aiuterò a diventare umana, così sarai capace di essere libera, e anche tu potrai brillare di gioia.”

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Capitolo 9
*** Capitolo 8- Una piuma per ricordare ***


Black Flame

Capitolo 8- Una piuma per ricordare

Voglio rimanere abbracciato a lei per sempre. Stringerla sempre più forte a me.
Purtroppo però, tutte le cose belle finiscono.

La invito a entrare a casa e lei, molto timidamente, muove i piedi verso l’interno.
“Questa è la tua nuova casa, la nostra casa.”
“È quindi è qui che tu vivi. Interessante. “
“Ti do un consiglio. Con questo tuo vestito sembri un po’ strana a camminare per le strade di questa città. Se vuoi, puoi prendere qualche mia maglietta e un paio di pantaloni. Un giorno ti porterò a comprarti qualcosa, anzi se vuoi andiamo subito.”
“Davvero mi regaleresti qualcosa di tuo? Te ne sarei veramente grata. Se dovessi diventare umana e non ci dovessimo rincontrare, mi aiuterà a non dimenticarti. Anch’io vorrei che tu non ti scordassi mai di me, quindi ti regalerò qualcosa di mio.”

Dalla sua schiena, spuntano, finalmente, quelle due ali piumate bellissime. Con molta delicatezza, prende una piuma dall’ala destra e me la dona, poi le ripone.
Io accetto, seppur a malincuore.

“Ti prometto che quando diventerai umana, ci ritroveremo.”
“Azar, non fare promesse che non puoi mantenere. Potrei essere spedita in una qualsiasi parte del mondo.”
“Ed io allora ti cercherò in ogni vicolo in questa Terra.”
“Bugiardo.”
“No, questa volta so che dalla mia bocca esce soltanto la verità. Comunque prendi le magliette che più ti piacciono e sistemale sul divano. Una indossala perché andiamo a farci un giro. Ovviamente non dimenticare i pantaloni.”
Ho la sua piuma ancora in mano. La metto sul comodino accanto al divano e aspetto la decisione di Somber, sperando che non scelga i miei indumenti preferiti.
“Prendo queste due!”
Mi dice, tenendo in mano la mia maglia arancione e quella color porpora.
Fortunatamente non ha preso quella verde. Me l’aveva regalata mia madre poco prima di andarsene. Credo fosse di mio padre. Se l’avesse scelta, non avrei potuto negargliela.  

M’indica un paio di jeans corti classici, glieli prendo e li poso sul braccio del divano.
“Ora decidi quale delle due magliette abbinare a questi pantaloni e va a cambiarti.”
La nostra corporatura è molto simile. Siamo entrambi esili e magri.

Entra in bagno, chiude la porta, mentre io mi siedo, aspettando.
Esce. Se non fosse per i suoi capelli lunghi, direi che si tratti di un uomo.

“Il tuo bel vestito poggialo sul divano insieme all’altra maglietta che hai scelto. Ora andiamo a comprarti qualcosa di più decente.”

Sembra di avere a che fare con una bambina capricciosa.
Prendo le chiavi, il portafoglio, apro la porta e usciamo.

Fa abbastanza caldo, anzi oserei dire che si muoia. Lei probabilmente non lo sente.
Per la strada c’è parecchia gente. Spero con tutto me stesso che Somber non noti la coppia che si sta abbracciando e baciando là in fondo alla via. Mi tartasserebbe di domande, sicuramente.

“Cosa stanno facendo quei due laggiù?”
Lo sapevo. Potrei fare l’indovino in futuro.
“Beh ecco… come posso spiegarti…”
La vergogna mi ricopre completamente, dalla testa ai piedi.
“A parole tue. Mi devi insegnare le emozioni no?”
“Ecco ora te lo dico. Non voglio insegnarti tutti i sentimenti, se questo significa perderti e non trovarti più.”
“Ma hai detto che mi cercheresti in capo al mondo!”
“Sì, e questo è vero, ma in cuor mio, so che non ti troverei più. Mi va bene che tu sia un po’ strana, chiedimi tutte le emozioni che vuoi, ma non quelle tristi.”
“A me però non va bene. Io non voglio più essere strana. Rispondi, cosa stanno facendo quei due giovani?”
“Loro… si amano. L’amore è il sentimento che fa girare il mondo. È una profonda prova di affetto nei confronti di qualcuno. Un impulso che ci spinge verso una persona. A volte può non essere ricambiato, ed è molto triste. Può diventare anche un peso da portarsi sulle spalle per tutta la durata della vita. Non è qualcosa che si può spiegare chiaramente.”
“Tu hai mai amato?”
 “Io… non sono in grado di amare. Tutti mi respingono, come se in me avessi qualcosa che li allontani. Al contrario di te, che attiri le persone.”
“Ma io sono sempre qui, o sbaglio?”

“Non sbagli.”

“Quindi, potresti amarmi, anche se non sono una persona?”
Ma che domande fa? Non si rende proprio conto di ciò che mi sta chiedendo.
“L’amore è complicato, non è una cosa da prendere così alla leggera.”
“Non aggirare il discorso. Tu mi ami?”
Mi spiazza in certi modi che solo lei conosce. Mi fa tentennare.
“Io… sì… ecco... potrei amarti.”

“Beh, non farlo.”

“Ma cosa dici? Sei impazzita?”
“Hai detto che se non è ricambiato può diventare un peso, e che è molto triste, io non voglio questo. Sono io che non sono in grado di farlo, non tu. Non posso ricambiare.”
“Non fa niente. Io non posso smettere di amarti così di punto in bianco. Ti aspetterò. Magari un giorno ricambierai, o sbaglio?”

“Non sbagli.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 10- Gli errori ***


Black Flame

Capitolo 10- Gli errori

Chissà per quanto dovrò aspettare.
Quanto ancora sarò costretto a soffrire, senza poter spiegare a qualcuno il motivo.
Quanto ancora dovrò chiedere aiuto al cielo.
Quanto ancora dovrò guardare in faccia persone felici che non osano incrociare il mio sguardo nemmeno per errore.
Ora però non importa.

Finché Somber è con me, posso sorridere, guardarla negli occhi e avere qualcuno cui dare il mio aiuto.
In questo caso le servono dei vestiti decenti, almeno da donna. Il negozio che ho in mente è a dieci minuti a piedi da casa mia, ormai siamo quasi arrivati.
Perché si è fermata di colpo? Ora cosa è successo?
“Azar, lo senti?”
“Cosa dovrei sentire? Se ti riferisci al caldo, sì, purtroppo lo percepisco.”
“È la stessa sensazione di quella volta, la sensazione che mi fa aver paura. È sempre più forte e vicina.”
“Quella volta? Di cosa parli? Potresti spiegarti meglio?”
Credo proprio che stia dando di matto. Non la capisco proprio. A cosa si riferisce?
“È lui.”

Lui. Un brivido mi percorre ogni millimetro del mio corpo, dalla testa ai piedi. Non sento nessun tipo di emozione, di paura, ma il mio subconscio conosce “lui”.
Istintivamente mi giro.
Il sorriso beffardo, gli occhi cupi di terrore, la camminata sicura, l’abito di piume nere.
Come non riconoscerlo.
Il demone.

“È qui, di nuovo. Il corvo è qui! Azar, mi ucciderà, se non vai via, farà la stessa cosa con te, scappa!”
“Somber, mai fuggirò vedendoti in pericolo, mai avrò paura in tua presenza, mai mi piegherò al potere dei demoni.”

Non mi quadra. Perché un demone dovrebbe cacciare un angelo? Capisco che si tratta di un ibrido, ma qualcosa non è corretto nei miei pensieri. Dovrebbero essere gli altri angeli a volere la morte di Somber, non un corvo.
“Non ti permetterò di farle del male, non la toccherai nemmeno con un dito della tua mano maledetta!”
Prendo la mano della mia compagna angelo e cominciamo a correre verso chissà quale meta.
“Perché correre quando puoi volare?”
Spalanca le sue ali bianche candide, mi prende in braccio e ci solleviamo in volo.
“Ferma, non puoi portarmi, sono un peso, lasciami giù, allontanati da qua!”
“Non svenire questa volta, va bene?”

Mi fa toccare terra, e poi si accascia dolorante, urlando di disperazione.
Ma che cosa le succede, così all’improvviso?
Il demone è proprio davanti a noi. Riesco a vedere ogni lineamento del suo viso. Stringe il suo pugno e Somber si contorce dal tormento.
“Sono i tuoi poteri a farle questo? Basta lasciala stare, mostro!”
I suoi occhi incrociano i miei con aria di sfida.
Alza il sopracciglio destro e in un momento mi ritrovo a soffrire le pene dell’inferno come l’angelo. La sofferenza penetra ogni poro nel mio corpo.
Ci ha entrambi in pugno. È così che deve finire? È così che dobbiamo morire? Per colpa di un uccellaccio malefico?

“Perfetto, colleghi angeli, la femmina è tutta vostra.”

Due angeli compaiono alle spalle del demone e si dirigono verso Somber.
Hanno complottato pur di ucciderla.
Le afferrano violentemente le mani e la issano su, dopo che il corvo ha smesso la sua tortura.
Un timido “no, lasciatela” esce dalla mia bocca, senza influenzare i giudizi dei celesti, che volano via, portando con loro il corpo svenuto, agonizzante del povero angelo.

“Ho completato la mia collaborazione con gli esseri alati del cielo. Ora devo compiere il mio incarico, quello per cui sono stato mandato qui.”
Sento la sofferenza andare lentamente via dal mio corpo.
“Cosa le faranno? Perché hai permesso questo?”
“Con calma, Azar. Non so il motivo della loro commissione, fatto sta che angeli e demoni se richiesto si devono aiutare a vicenda. Ci deve essere stato un motivo riguardante l’equilibrio del mondo o qualcosa del genere.”
“Come fai ad essere così menefreghista? Sappiamo entrambi che la uccideranno, pensi che sia una cosa bella? Sei contento?”
“Quanto mi piacerebbe poter provare emozioni, Fuoco Nero, ma non tutto è concesso dalla natura.”
“Fuoco Nero… come fai tu a sapere il significato del mio nome?”
“Il Fuoco che distrugge una famiglia tinta di Nero, Azar Black, verrà spento dal salvatore, dal Migliore in famiglia, Aris Black. Quindi, lasciami svolgere la mia mansione, fratello, permetti al Migliore di estinguere il Fuoco Nero.”
“Aris… tu sei scomparso, tu non sei mio fratello!”
“Guardami, Azar. Non ti ricordi di me?”
“Mio fratello non può essere un demone! Stai mentendo!”
“Non ti sei mai sentito escluso, cacciato via? Come se gli altri avessero paura di te? Questa è la caratteristica di ogni demone. Questo è il motivo per cui siamo emarginati. Non è colpa delle persone, ma della natura stessa.”
“Non capisco, cosa vuoi dire?”
“Sei la vergogna della nostra famiglia Azar, sei un ibrido di corvo che non sarebbe dovuto nascere, un demone bianco. Sei l’ultimo, e hanno dato a me il compito di eliminarti, dato che nostra madre non ha avuto il coraggio di uccidere un figlio. Una specie di punizione. Credi sia giusto? Sono sempre stato il preferito in famiglia, ma tu, io ti ho sempre invidiato. Riesci ad essere felice, a sorridere. Non lo sopporto.”

Mi resta poco tempo, solo per pensare. E la mia ultima riflessione la dedico a te, angelo.

“Somber, hai visto? Non sei sola. Siamo due errori. Moriremo per la nostra diversità. La società non ci accetta. Almeno così, potremo stare insieme, chissà.”
Una lacrima nasce dal mio occhio e va a morire sull’asfalto caldo. Sarà questa la mia ultima goccia di sfogo?

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11- La verità che salva ***


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Capitolo 11- La verità che salva

Mi metto una mano sul volto, non voglio guardare la faccia di mio fratello mentre mi uccide.
“Cos’è quello? Cos’hai appena fatto?”
“Sei uguale a lei. Ignorante e piccolo di mentalità. Stavo piangendo. E l’unica valvola di sfogo quando sai che niente può aiutarti.”
“Uguale a lei? Intendi all’angelo?”
“A Somber, l’ibrido di angelo.”
“Lei è un angelo nero? Sono tutti morti, estinti, non può essere vero.”
“Ora anche lei sarà all’altro mondo, non credi? Voleva solo diventare un essere umano, vivere normalmente. Credeva che per farlo le sarebbe bastato imparare le emozioni, ma a questo punto mi chiedo, è così? E allora un demone bianco come me cosa deve fare per diventare una persona normale?”
“Lei credeva questo? No, non è così. È impossibile apprendere tutte le sensazioni al mondo, così di punto in bianco. Per far sì che un ibrido diventi umano, è necessaria la presenza dell’ibrido opposto. I loro sguardi devono incontrarsi, ma entrambi gli individui hanno l’obbligo di essere a conoscenza della loro vera natura. A quel punto entrambe le creature potranno avere una vita da persona normale.”

Io posso ancora salvarla. Posso salvare entrambi. Ora che so cosa sono veramente è tutto più facile. Somber, ti aiuterò, come promesso.

“Ascoltami Aris. Se puoi dirmi il luogo dove si radunano gli angeli per eseguire le esecuzioni e la strada più veloce per raggiungerlo tutto si risolverà, non sarai costretto ad uccidermi.”
“E se lei fosse morta?”
Una fitta allo stomaco mi colpisce.
“Tornerò qui. Lo giuro.”
Mette le braccia conserte, mi fissa ed emette un sospiro.

“È in cielo. Proprio qui sopra.”
Guardo istintivamente verso l’alto, irraggiungibile.
Aris mi mette una mano sulla spalla, con lo sguardo basso.
“Devo ricordarti cosa sei? Sei un demone, non ci chiamano corvi per nulla.”
Apre le sue ali nere con maestria e, con i soliti occhi cupi, m’invita a provare.

Mi concentro più che posso. Lo devo fare per lei, per Somber.
Eccole, le mie piume nere. Sento anche il potere.

“Attento, non sarà un bello spettacolo. Quando si tratta di eliminare qualcuno, gli angeli sono terribili. Non si limitano a colpirti fatalmente. Prima tagliano i capelli, simbolo di forza, poi staccano le ali con violenza. A quel punto la creatura del cielo muore di dolore. Sicuramente sentiranno la tua presenza, fai con cautela.”
“E perché io non sento la tua di presenza? Non percepisco la paura che trasmetti.”
“Tra demoni non funziona. Ora sbrigati, se non vuoi trovarla morta.”
“In fondo, credo che anche i corvi possano provare emozioni. Tu mi vuoi bene, lo so per certo. Non mi avresti lasciato andare altrimenti. Grazie.”

Mi do la spinta dal basso e spicco il volo. Ho sempre sognato di volare, lo ammetto, anche se non sono queste le condizioni in cui avrei voluto farlo.
Oltre le nuvole, nel cielo dove albergano le emozioni di migliaia di persone, è lì che gli angeli si riuniscono. È lì che Somber sta per morire.
Buco le nuvole con decisione. Mi soffermo a guardare il panorama spettacolare che mi trovo davanti, per qualche istante, poi mi concentro e vado sempre più in alto, dove ogni persona vorrebbe stare.
Buco un altro strato di nuvole. Un urlo si leva dalle bocche della cerchia di angeli che circondano l’ibrido e i due esecutori, intenti a strappare le ali dal corpo di Somber. I capelli già le erano stati tagliati.
“Demone!”
Li fermo tutti, con il mio nuovo potere. Sono paralizzati.

“Somber, ferma, ora si risolverà tutto, aspetta prima di guardarmi, devo darti una cosa.”
Mi avvicino lentamente a lei, con un braccio davanti agli occhi, per evitare il contatto.
Con il tatto riesco a sentire il suo corpo debole e stanco, ormai quasi giunto al limite.
La abbraccio con tutta la forza che ho.
Dalle mie ali stacco una piuma nera e gliela porgo sulla mano debole, stringendogliela.
“Ora devo chiederti di chiudere gli occhi, ho bisogno di vedere per quello che sto per fare. Se accetti i miei consigli, poi tornerai umana.”
Scosto il mio braccio dal volto. Fortunatamente ha gli occhi chiusi.
Con la mano destra le accarezzo la guancia, poi avvicino timidamente il mio viso al suo, finché le nostre labbra non si toccano. Le mie palpebre si abbassano istintivamente, e anche il palmo sinistro finisce sulla sua gota. Col pollice riesco a sentire le lacrime, e gliele asciugo.
“Non voglio, non voglio andarmene. Mi va bene essere un po’ strana, non fa niente, resta con me.”
“Adesso sei tu la bugiarda. Non è questo che vuoi.”
“Sì invece, io voglio stare con te.”

All’orecchio le sussurro le stesse parole di quella mattina.
“Ti cercherò in ogni angolo su questo pianeta, lo giuro.”

Apriamo gli occhi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12- Gli angeli non esistono ***


Black Flame

Capitolo 12- Gli angeli non esistono

Gli sguardi s’incontrano. Lascio gli altri angeli liberi dalla paralisi impostagli.
Una luce abbagliante avvolge il corpo di Somber, facendolo scomparire lentamente.
Aspetto anch’io il mio momento, ma un angelo m’interrompe temporaneamente.
“Non ci sono possibilità che v’incontriate una volta tornati sulla Terra, e anche se questo dovesse accadere, vi sarete già dimenticati l’uno dell’altra. E così che succede tra angelo e padrone. Entrambi devono dimenticare l’influenza sulla vita dell’altro. Te lo dico in questa maniera così fredda in modo tale che tu possa prendere la realtà in pieno.”
“Quanto tempo ho, prima di cancellarla dalla mia mente? Dimenticherò la mia vera natura?”
“Un giorno, due al massimo, e comunque no, quella rimarrà impressa nei tuoi pensieri. Tu credi nel destino, Azar?”
“Il destino è solo un’arma per giustificare i fatti veri e propri.”
“Suppongo sia una negazione. Sei un ragazzo forte, in fin dei conti. Voglio vedere come sopravvivrai in questo mondo ipocrita senza quel poco di paura che donavi in precedenza.”
“È una sfida, angelo?”
“Potrebbe. Ora sparisci.”

Mi sento male. Una sensazione ambigua mi pervade il corpo velocemente, credo di star per svenire.
Cosa succede? Dove mi trovo? Sono a casa mia, sul letto, in pigiama. Devo vestirmi, lavarmi andare a lavoro. Vado in salotto, il mio occhio cade sul divano. C’è un vestito molto elegante su di esso. L’angelo, era suo. Già sto dimenticando. Devo trovarla prima che sia troppo tardi. Glielo avevo promesso.

Mi vesto in pochi minuti, mi lavo, prendo il costoso indumento e lo porto in lavanderia, per poi andare a lavoro.
Mi dirigo verso il ristorante, apro le porte. Il capo è in piedi che mi guarda arrabbiato.
“Azar, cosa hai fatto in questi giorni? È un po’ che non ti presenti a lavoro. Questa è l’ultima possibilità che ti do, prima di licenziarti. Ringrazia il cielo per questo.”
“Ringraziare il cielo? Se è quello che devo fare, preferisco che mi cacci via.”
“Per ora ti lascerò lavorare qui, ma solo perché non ho un sostituto. Appena qualcuno verrà, sappi che ti manderò fuori da questo posto a vita.”
“Allora, credo che dovrò pregare il cielo di mandarmi un altro angelo con cui scambiare il lavoro.”
Lo supero senza guardarlo in faccia, sotto i suoi occhi minacciosi. Ma cosa mi sta prendendo? Angeli? Sto impazzendo.

Gli angeli non esistono.

Dopo tutta la disperazione e la solitudine che il cielo mi ha mandato, dovrei davvero credere che esistano creature del genere?
Nessuno mi ha mai amato, abbracciato o tenuto per mano.
“Ehi, Azar, che dici, ci andiamo a prendere una birra al bar dietro l’angolo? Per festeggiare il tuo ritorno!”
Davvero sta succedendo? I miei colleghi, che mi hanno disprezzato per tutta la vita, mi stanno invitando ad uscire?
“Come potrei rifiutare? Anzi, direi che pago tutto io!”
Trascorriamo la sera così, a bere.
Passano le settimane, in cui ogni giorno è la fotocopia del precedente.
Lavoro, lavoro, lavoro, birra.
Ogni tanto ricevo una chiamata dalla lavanderia per andare a ritirare un vestito lungo, ma credo si sbaglino. Insomma, sono un uomo, io non indosso quel tipo d’indumento.

Cominciano ad arrivare le prime giornate fresche, da indossare la giacca, ma ciò non cambia la mia routine quotidiana.
C’è una piuma sul comodino, dove l’avrò presa? Mi avvicino, la fisso per un po’. Un mal di testa mi colpisce. Sovrappensiero, la prendo e la metto nella tasca del giubbotto.
L’emicrania è sempre più forte, vado al ristorante a chiedere un permesso per malattia, sto malissimo, ho bisogno di un po’ d’aria fresca.
Esco, chiudo gli occhi e cammino, dove mi portano i piedi. In realtà so dove sto andando.
Quel bel parco dove la mia esistenza si è rovesciata, dove mio fratello è stato rapito, a causa di una mia distrazione della quale non ho memoria. Meglio così. Spesso è meglio non ricordare gli anfratti più bui di una vita.
Nonostante il continuo vento, il sole splende e il verde prato è sempre piacevole come posto per rilassarsi.
Mentre passeggio, una fitta alla testa mi fa perdere la concentrazione, facendomi cadere a terra come un impacciato.
Ma cosa mi sta accadendo? Perché mi sento così?
“Signore, si sente bene? Le serve aiuto?”
La mia vista offuscata scorge una mano tesa verso di me. Il sole non mi permette di vedere con chiarezza il volto della mia aiutante.

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