Storia di un ragazzo qualunque

di Words
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ci sarà un posto anche per me ***
Capitolo 2: *** 'Un brivido mi percorse la schiena' ***
Capitolo 3: *** '...significava un nuovo inizio'. ***



Capitolo 1
*** Ci sarà un posto anche per me ***


PRIMO CAPITOLO

Ero di nuovo seduto lì, su una di quelle fredde e scomode sedie grigie, dentro quei noiosi uffici, di fronte al solito assistente sociale, che era capace di far tutto, tranne che aiutare la gente.
Sono Mattia, ho 16 anni, mi piacerebbe dirvi anche di dove sono, ma non ne sono sicuro, 6 mesi fa abitavo un paesino in provincia di Bari, poi per tre mesi fui a Milano e fino all’altro ieri a Roma. Ho frequentato così tante e diverse scuole che ad elencarvele tutte ci metterei una vita, ho vissuto con coppie che volevano che io li chiamassi genitori, ma io di padre e madre ne ho avuti due soltanto; mio padre morì quando avevo poco più che sette mesi, così, all’improvviso, senza che il destino mi abbia dato nemmeno il tempo di imparare a dire ‘ti voglio bene’. Mia madre, invece sei anni fa si ammalò di cancro e se ne andò durante una calda giornata di Maggio, non scorderò mai quel momento, il sole brillava cercando di darmi conforto, ma il mio cuore era cupo come non lo è mai stato, avrei voluto andarmene con lei quel giorno, non mi restava più nulla, lei era la mia vita, e la mia vita finì quel giorno stesso. Da allora fui sballottato di continuo da una famiglia all’altra, senza tregua, senza che nessuno mi abbia mai chiesto se davvero io avessi voluto avere un’altra famiglia. Io in realtà una famiglia la volevo, ma non una di quelle che prendono un ragazzo solo perché non ne possono avere uno proprio, io non sono la ruota di scorta di nessuno. Allora ho imparato a cavarmela da solo, con la foto di mia madre in tasca ho superato la qualunque, i bulli, la tristezza, la rabbia e la delusione, conosco più assistenti sociali di quanto voi possiate immaginare.
Adesso sono qui, di nuovo, in un ufficio, con degli estranei che pretendono che io li consideri la mia famiglia. Avevano intenzione di portarmi a casa loro, ma io non sapevo nemmeno dove abitassero, avrei voluto spaccare tutto in quel momento e mettermi ad urlare, ma poi pensai che mancano solo due anni e avrò raggiunto la maggiore età, poi sarò libero, libero di trovarmi un lavoro, di crearmi una vera famiglia e di far ciò che mi pare.

Arrivammo nel tardo pomeriggio in una grande casa gialla, aveva un giardino davanti e persino una piscina nel retro, pensai che se avessi avuto degli amici ci saremmo divertiti, ma io in realtà degli amici non li ho, ogni volta che conosco qualcuno poi sono costretto a dirgli addio, il destino è crudele con me, credo mi odi, probabilmente ci prova gusto a farmi soffrire. I miei nuovi affidatari erano ricchi, una nota positiva tra le tante buie, almeno me la sarei spassata un po’.
Mi chiesero cosa avrei preferito mangiare per cena, e io risposi che mi andava bene qualsiasi cosa, ero accecato dalla fame. Si fecero le otto e trenta e ci sedemmo attorno ad un grande tavolo di vetro, di fronte a me una fetta di carne che diceva tutto della mia vita: asciutta. Sì, esatto, perché la mia vita era asciutta, priva di affetto e di serenità, ma questi due non sembravano male, me li potevo lavorare.
Si chiamavano Alex e Simona, mi raccontarono che erano sposati da poco più di tre anni, e sottolinearono il fatto che non avevano ancora provato ad avere figli, ma essendo entrambi molto religiosi avevano deciso di adottarne uno, magari per salvarlo da una vita in rovina, li guardai con gli occhi lucidi, strinsi tra le mani la foto della mamma e chinai il capo, fra tre giorni sarebbe stato il suo compleanno, ma forse, il regalo lo stava per fare lei a me. 

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Capitolo 2
*** 'Un brivido mi percorse la schiena' ***


La notte dormii in quella che loro definirono la ‘mia stanza’, in realtà non so quanto quelle mura avessero qualcosa di mio, so solo che se da una parte quella definizione mi sorprese, dall’altra ero soddisfatto di possedere qualcosa.
Il giorno successivo mi alzai alle 7.30 per andare a scuola, mi accompagnò Alex, aveva una bella macchina costosa. Era il mio ennesimo primo giorno di scuola, magari per alcuni potrebbe essere motivo di ansia o di adrenalina, invece per me era uno delle semplicissime altre otto volte in cui ero costretto a presentarmi alla mia classe, ogni volta era la stessa storia, dovevo dire il nome, da dove venivo, cosa avevo fatto prima di arrivare lì, però mai a nessuno sembrava interessare davvero, più che altro sembrava uno stupido rito.
Alex mi lascio all’ingresso chiedendomi se preferivo essere accompagnato, mi bastò guardarlo per fargli capire la mia risposta, riaccese la macchina, mi sorrise e andò via.
Tutti mi osservavano incuriositi, c’era chi ridacchiava, chi si scambiava sguardi con l’amica e chi mi guardava malamente, niente di nuovo!
Suonò la campanella e andai in classe, questa volta non mi fecero presentare, semplicemente mi diedero il benvenuto e mi dovetti sedere in prima fila, la giornata iniziava bene. La prima ora avevamo fisica, una delle mie materie preferite, a scuola me la cavavo bene, non studiavo molto, ma giocavo d’astuzia.
Il professore mi chiese di andare alla lavagna per verificare il mio livello di preparazione, in silenzio mi alzai e mi avvicinai a lui, mi diede un semplice problema da fare, lo risolvetti pochi minuti, tutti erano attoniti, molti sgarrarono gli occhi, in quel momento mi sentii una sorta di genio, il professore mi guardò e disse: “eehm.. sì, grazie, puoi tornare al posto”, probabilmente l’avevo sorpreso.
Suonò la campanella e dopo due ore di lezione ci fu l’intervallo. Molti miei compagni si avvicinarono a me ponendomi molte domande, alcuni mi chiesero dei miei genitori, ma non raccontai niente di vero, mi infastidiva il fatto di essere ‘compatito’, dissi che avevo una storia normale e noiosa, una famiglia come le loro e che mi ero appena trasferito causa lavoro di mio padre. Essere una persona ‘normale’ era più facile, dopo un po’ smettevano di fare domande. L’unica che non mi rivolse la parola era una ragazza biondina, seduta in fondo alla classe, aveva degli occhi meravigliosi, ero quasi affascinato dalle sue labbra perfette e dal suo viso tondo, che quasi sembrava scolpito, mi sorprese il fatto di non averla notata appena entrato in aula. Ero curioso di sentire la sua voce, così mi avvicinai, le feci un sorriso e lei abbassò lo sguardo, pensai che fosse una di quelle ragazze depresse piene di complessi, oppure una snob, sì, probabilmente mi stava snobbando. Mi girai infastidito e tornai al mio posto.
Ricominciarono le lezioni, ma avevo ancora il viso di quella ragazza occhi cielo impresso nella mente, in fondo non sapevo nemmeno il suo nome; così mi girai verso il mio vicino di banco cercando di avere informazioni, Leo mi disse che era meglio lasciarla stare perché aveva perso da poco la madre dopo una lunga malattia, d’allora non aveva detto più una parola se non interrogata o costretta a farlo.
Quelle parole risuonarono nelle mie orecchie come un macigno, un brivido mi percosse la schiena, per qualche istante ebbi l’impressioni di rivivere l’angoscia e la sofferenza della perdita di mia madre, mi sentii male al punto da chiedere al professore di andare in bagno per riprendermi un po’.
Perché avevo avuto quella reazione? Perché stato soffrendo per una ragazza di cui, ancora, non sapevo nemmeno il nome? Ritornai in aula disturbando ancora Leo e pregandolo di dirmi il nome della ragazza misteriosa, ‘Marta’, mi disse.

Al suono dell’ultima campanella, mi alzai con le gambe tremanti, presi il mio zaino, mi girai e incrociai lo sguardo azzurro dei suoi occhi e non so il motivo, ma le uniche parole che uscirono dalla mia bocca furono: “Io ci sono”. 

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Capitolo 3
*** '...significava un nuovo inizio'. ***


Tornato a casa pranzai con Alex e Simona, ero ancora un po’ turbato dall’incontro con Marta. Non so perché, ma c’era qualcosa in lei che mi faceva smuovere l’anima.

Guardai un po’ di tv e comincia a fare i compiti. Facevo il 3° superiore ed ero sommerso dai compiti, non solo perché il liceo era impegnativo, ma avendo da poco cambiato scuola dovevo continuamente recuperare buona parte di programma che non avevo ancora studiato. Questa cosa la odiavo a morte.

Senza nemmeno accorgermene si fecero le 20 circa, Alex mi chiamo dicendomi che la cena e pronta, di sbrigarmi perché dovevano darmi una notizia importante. Una notizia? Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, non so per quale ragione, ma ero spaventato a tal punto da non riuscire più a muovermi. Mi passarono tantissime cose per la testa: dovevo ricambiare famiglia? Dovevamo trasferirci? Era successo qualcosa di brutto? Non ce la feci più a pensare e passai, il più lentamente possibile, in sala da pranzo.
Alex e Simona erano seduti e stavano aspettando che io arrivassi, mi guardavano sorridendo, con la voce che mi tremava chiesi qual’era la notizia tanto importante. Alex, fece un sorriso enorme e mi disse: “fra poco non sarai più solo, avrai un marmocchio tra i piedi, sempre che tu non te ne vada, io e mia moglie aspettiamo un bambino”. Quelle parole risuonarono nella mia mente come la notizia più bella degli ultimi 16 anni. Non credevo alle mie orecchie, da sempre, la mia vita era stata un susseguirsi di spiacevoli eventi, ma finalmente, dopo aver visto morire i miei genitori, aver cambiato così tante famiglie da non poterle contare  sulle dita, essere stato in comunità per tre mesi, avevo ricevuto una notizia che mi aveva fatto battere il cuore, ma di emozione.

Restai immobile per qualche istante, poi andai ad abbracciare la mia nuova famiglia.
Sì, perché dopo tanto tempo, sentivo di appartenere ad un progetto, ad un’idea, ad una famiglia.
Avevo voglia di piangere, non so il perché, in fondo conoscevo quelle persone da poco più di una settimana, ma la loro felicità era anche la mia. Chiesi di andare un attimo nella mia stanza, chiusi la porta, presi la foto di mia madre e pregai. Sentivo la sua mano sulla mia spalla, sentivo che potevo essere felice, o almeno lo speravo. Chiusi gli occhi e riuscii persino a sentire il suo profumo, la sentivo vicina, come non mai.

Ad un tratto mi venne in mente Marta, la sua storia, i suo occhi cielo, pregai Dio affinché il brivido di felicità che stavo attraversando io, lo potesse vivere anche lei.
Un giorno, un ragazzo in comunità, vedendomi pregare, mi chiese come io potessi ancora credere in Dio dopo tutto quello che avevo passato, al tempo non risposi non essendo sicuro di avere la risposta, forse adesso l’avevo trovata. Dio non ti abbandona, e questa ne era la prova, tutti noi nasciamo con uno scopo nella vita, e anche se ancora non avevo trovato il mio, Dio mi dava la forza di andare avanti e di non smettere di cercare la mia strada.
Ero felice, come non mai. Una nuova vita nel ventre della mia nuova ‘madre’ significava un nuovo inizio.

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