Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Apro gli occhi
di scatto. Guardo la radiosveglia che segna
le due e quarantacinque di notte, sbuffo guardando la donna che occupa
l’altra
parte del letto e mi metto seduto. Mi passo freneticamente una mano tra
i
capelli e mi alzo per andare in bagno. Mi guardo allo specchio che si
trova
attaccato al muro, sopra il lavabo. Per la millesima volta fisso
quell’uomo che
non sono. Mi guardo, non riconoscendo neanche una minima parte di me
stesso. Mi
faccio schifo, ecco cosa. Mi manca il ragazzo spensierato, che non gli
importava se faceva sesso con una donna per poi dimenticarne il nome.
Che non
gli importava se sua madre si disperava perché non vedeva il
figlio per tre
giorni consecutivamente. Non gli importava ma era felice, non era
represso, non
era costretto, non era quello che è adesso, non doveva
sopportare tutto quello
che sopporta adesso. Quel ragazzo che per certi versi era peggiore di
quello
che è adesso. Apro l’acqua e violentemente sfrego
le mani sulla mia faccia,
come a voler eliminare il volto della persona che ho appena visto allo
specchio,
ma, ovviamente, non elimino un cazzo, elimino solo la mia voglia di
tornare
indietro, cercando di non pensarci, cercando di vivere come negli anni
precedenti, come fino a ieri.
Il sole fa capolino, illuminando il Big-Ben, mostrando la
bellezza di Londra, in tutto il suo fascino. Ho sempre amato questa
città, da
quando ero piccolo mi sono sempre sentito fortunato a vivere qui, ad
essere
nato qui. E’ decisamente la città dove tutti
vorrebbero essere nati. Mi passo
una mano in fronte, cercando di togliere un po’ del sudore
causato dalla mia “corsa
mattutina”. Tra due ore devo essere al lavoro, ma tornare a
casa adesso sarebbe
troppo. Sarebbe troppo sopportare il bacio del buongiorno da una
persona che ti
disgusta. Sarebbe troppo sopportare la sua voce da gallina annoiata di
prima
mattina. Perciò mi siedo sul rialzo del marciapiede e mi
guardo attorno. Chissà
com’è la gente che mi passa davanti. Molte volte,
nelle mattine come questa, mi
ritrovo a guardarmi attorno, immaginando la vita della gente, degli
uccellini
che cantano sopra un albero, dei cani, delle auto stesse. Qualsiasi
cosa per
evitare di pensare a me, a quanto schifo mi faccia la mia vita,
nonostante io
sia pieno di soldi, nonostante sia sposato a soli trentuno anni,
nonostante ci
sono molti dei miei conoscenti che mi invidiano. Sono quella persona
che se la
conosci davvero la eviti, sono quella persona che potrebbe essere
considerata
spregevole, sono quella persona che vive, respira agisce per interesse.
Mi
piace il lusso, mi piace il mio lavoro, mi piace bere vini pregiati, ma
a che
prezzo? A quello di farmi schifo, a quello di sputare nello specchio
dove mi
vedo riflesso. Sono Edward Cullen, un uomo di trentuno anni, un
fallito, un
pediatra raccomandato. Un uomo che si è rovinato la vita con
le sue stesse mani.
Sbradabambambam.
Eccomi, ancora, yay :p
La mia storia, per chi la conosce “Love Save The
Pain” è
quasi terminata. Questa piccola storiella è nella mia mente
già da parecchio
tempo, ma sono sicura che, non riuscirei ad iniziare due storie
insieme, un po’
perchénon
mi piace farlo, un po’ perché
poi avrei trascurato una delle due.
Spero che questo prologo incuriosisca, lo spero davvero.
Vorrei dire una cosa alla gente che mi conosce: ebbene, per la prima
volta mi
imbatto in una storia senza malinconia, cioè forse un
po’ di malinconia c’è, ma
non è il genere che predominerà la storia
ecco…quindi, TRANQUILLE! Ahahahahahah.
Okay, me ne vado…Fatemi sapere :p
«Buongiorno
amore mio.»- Sussurra Tanya, accarezzandomi il
petto, alzo gli occhi al cielo, sospirando di rabbia, già
alle sei del mattino.
La sua mano sale sul mio petto, per poi lisciare la spalla e finire
sulla
schiena. E come se fosse già tutto programmato, sento il suo
sedere alzarsi dal
letto e i suoi passi dirigersi in cucina. Ogni mattina sempre la stessa
recita,
finge di avvicinarsi, cercando di convincermi del fatto che noi ci
amiamo e che
siamo una delle coppie più felici al mondo, una di quelle
coppie senza
problemi, ma lei non sa che è tutta una finzione, da parte
sua, da parte mia.
Non c’è mai stata quella scintilla, che per
qualche anno ho creduto arrivasse,
all’inizio credevo che magari, anche involontariamente, sarei
riuscito ad
amarla, ma amare una persona che non ti ama avrebbe forse un senso?
Nemmeno lei
mi ama, credevo di sì, credevo che la sceneggiata avesse
preso atto proprio
perché credevo che lei mi amasse, ma non era quello lo scopo
evidentemente. E
quindi, entrambi siamo quelle persone fredde, cattive, quelle che non
pensano
alla vita altrui, quelle che pensano solo ai soldi, ai proprio
interessi, alle
proprie ambizioni, infischiandosene degli altri.
Io ci sono diventato così. Ricordo quel tempo lontano,
quando al mio posto c’era un ragazzo di diciassette anni,
quel ragazzo che
voleva diventare un pediatra, perché l’unica cosa
che riusciva ad amare era il
sorriso dei bambini. Ho lottato tanto per tenermela, quella sensazione
che si
prova quando curi un bambino, quando la madre ti ringrazia, quando puoi
scherzarci, quando sei sicuro che quel bambino si fida di te. Forse non
sono
poi così tanto gelido, forse nel mio cuore è
rimasto un piccolo incentivo,
riuscire a sorridere tramite l’abbagliante sorriso di un
bambino.
Mi alzo dal letto, stufo di esserci rimasto anche fin
troppo, stufo dell’odore di fondotinta spalmato sulle
lenzuola, hanno creato il
latte detergente apposta, porca troia. Entro in bagno, cercando di non
guardare
lo specchio che ho davanti e quindi iniziare aimprecare contro di me. Mi infilo dentro il box doccia e
sinceramente,
ammiro la mia nudità. Dal primo giorno che io e Tanya ci
siamo sposati –avevo
solo ventidue anni- mi sono chiesto il perché della sua
indifferenza alla vista
del mio corpo nudo, le altre donne pagherebbero un malloppo per avermi,
mentre
lei che potrebbe tutti i giorni, tutte le ore del giorno, è
come se io non ci
fossi, tante volte ho pensato fosse omosessuale, non che io abbia
niente
contro, ma cazzo sono suo marito. Sarebbe da stronzi dire: mi sembra
giusto
tradirla, dato che lei non fa nulla. Ed io lo dico. Io sono un fottuto
stronzo.
«Buongiorno
Dottor Cullen.»- Mormora Ben alzandosi, come
forma di rispetto, io gli sorrido e lo saluto. Sono sempre stato
abbastanza
magnanimo con Ben, mi piace come assistente e mi sta anche molto
simpatico. Ho
sempre pensato, che se un giorno, potrò riavere la mia
libertà, potrei aprire
uno studio solo mio, non in ospedale come adesso, adesso che sono
costretto a
stare qui, e ho sempre pensato a Ben insieme a me. Mi sta simpatico.
«Quanti bambini ci sono oggi? Età?»-
Sussurro distrattamente,
sfilandomi il giaccone per sostituirlo col camice.
«Due.»
«Solamente due?»- Chiedo confuso. Ben annuisce e si
alza
avvicinandosi a me.
«Ricorda le selezioni? Per gli specializzandi?»- Mi
batto
una mano in fronte, rendendomi conto che non ci avevo proprio pensato.
Devo
scegliere due ragazzi in un gruppo di sette. Sono stato scelto dal
primario per
il compito di insegnare loro il mio mestiere. Annuisco e accendo il mio
computer.
«A che ora arrivano?»- Chiedo velocemente.
«Alle undici dottore. Prima i bambini. Allison tra cinque
minuti e Erik alle dieci.»- Annuisco e sospiro di sollievo.
Dopo aver visitato
i piccoli, mi rendo conto di avere mezz’ora a disposizione.
Scendo al piano di
sotto, al reparto Ginecologia e cerco tra le stanza Marie. Dovrebbe
essere di
turno oggi.
«Edward! Che fai qui?»- Esclama Marie,
picchiettandomi sulla
spalla destra.
«Ti cercavo.»- Sussurro, con voce grave, bassa e
roca,
mentre lei mi fa l’occhiolino maliziosamente. Annuisco e
scendo al piano meno
uno. Non c’è mai nessuno lì sotto. E se
anche fosse, qui mi conoscono in molti,
non mi sono mai creato problemi, anche se essere scoperto manderebbe a
puttane
anche l’ultima cosa che mi è rimasta: il mio
lavoro. Mi infilo dentro lo
spogliatoio femminile, e, dopo essermi spogliato completamente,
appoggiando la
mia schiena sulle piastrelle fredde del box doccia, attendo Marie. Dopo
qualche
minuto, Marie entra, anche lei svestita, come ogni volta, come se fosse
una
regola. Accarezzando sensualmente il mio petto, coperto da pochi peli,
che si
raddrizzano per l’eccitazione, le sue gambe si ancorano ai
miei fianchi e senza
preamboli, senza parlare, senza baciarci o aggiungere smancerie di
alcun
genere, il mio membro sfiora la sua intimità, un attimo
prima di entrare del
tutto. Butto la testa all’indietro e per pochi minuti non
penso a niente, se
non al sesso.
«Dottor Cullen. Sono arrivati.»- Annuncia Ben,
sulla soglia
del mio studio. Mi sistemo la cravatta e
preparo un sorriso per accogliere quei ragazzi. E’ un piacere
farlo, avrei
voluto anch’io la loro stessa possibilità, forse
non sarei a questo livello, ma
sarei comunque stato un pediatra. Rimango seduto al mio posto, ma Ben
mi guarda
sorridendomi strano.
«Dottore, in sala riunioni.»- Scoppio a ridere,
rendendomi
conto di quanto posso essere sembrato ridicolo, rendendomi conto ancor
di più
di quanto non sia all’altezza di quello che pensa la gente.
Mi alzo e inizio a
camminare. Ben si schiarisce la voce facendomi arrestare. Indica i miei
pantaloni e, ne sono sicuro, qualche anno fa sarei arrossito per
questo. Mi
sistemo la lampo dei pantaloni e ricomincio da dove mi ero fermato.
«Ben.»- Sussurro sicuro che abbia capito, infatti
annuisce e
con un gesto teatrale imita il “bocca cucita”.
Entriamo nella sala riunioni e
la prima cosa che vedo mi lascia basito, con un sorriso da ebete in
faccia, e
mi ci vorrebbe anche un aggiustata al pacco se la cosa non cambia. Vedo
un
sedere, tonico e sodo, dove continuano due gambe snelle ma al punto
giusto. La
ragazza si rimette in piedi, infilando il cellulare sulla borsa,
sicuramente le
era caduto.
«Buongiorno.»- Mormoro, non guardando
più verso la sua
direzione, in modo da non pensare ad altro e parlare in modo per niente
casto,
davanti a questi sette ragazzi che sono qui per la specializzazione.
Loro al mio saluto si alzano e mi sorridono, agito la mano,
facendogli segno di sedersi, devo ammettere che mi piace quando arrivo
e la
gente si alza per rispetto, ma a volte no, dipende dai casi, dipende se
sono
fiero di me in quel momento. Perché sì, ci sono
quei momenti in cui lo sono,
anche se può sembrare difficile. Al momento non lo sono,
quindi non mi va che
la gente si alzi alla vista del mio arrivo. Mi presento, sentendomi un
verme,
ma facendo comunque attenzione alla classe, al portamento, prima cosa
che mi
hanno detto entrato in ospedale: per accogliere, parlare con i pazienti
bisogna
essere posati, gentili ma allo stesso tempo gelidi con loro, mantenere
una
certa classe, farli fidare di te dal primo istante in cui posano i loro
occhi
su di te. Ed io, da copione lo faccio e, come me, Ben. Che mi
aiuterà con i
ragazzi che poi selezioneremo insieme.
Prendo i fascicoli dei ragazzi, guardando con la coda
dell’occhio la ragazza di poco prima, i suoi capelli sono
lunghi e castani, i
suoi occhi sono grandi ma non ho ancora notato il colore, la sua bocca
è
carnosa. Il suo modo di muoversi, di toccarsi nervosamente i capelli,
la rende
infantile, imbarazzata, molto più eccitante di una qualsiasi
donna che non
appena mi vede alza l’orlo della minigonna. I ragazzi
cominciano a presentarsi,
esponendo le loro qualità, faccio qualche domanda di base e
nessuno mi delude.
Poi tocca a lei.
«Sono Isabella Swan, ho ventisette anni. Sono al quarto anno
di specializzazione.»- Mormora imbarazzata, con le gote che
diventano
irrimediabilmente rosse.
«Come mai è qui?»- Chiedo strafottente.
«Per lo stesso motivo di questi altri sei
ragazzi.»- Mormora
assumendo il colore della pelle normale, alterandosi, confondendosi.
«Mi dia una motivazione, perché dovrei scegliere
lei al
posto di qualcun altro?»- Continuo, facendole corrucciare le
sopracciglia.
«Perché io amo i bambini. Perché
l’unica cosa positiva che c’è
al mondo è il loro sorriso.»- Mi dice, con ferma
sicurezza sulla voce. Rimango
spiazzato e continuo a guardarla.
«Si sente abbastanza competente per questo
lavoro?»- Chiedo.
«Si. Ma se non ci provo non posso esserne certa al cento per
cento. Lei. per esempio, è molto giovane. Nel momento in cui
ha iniziato a lavorare,
si sentiva competente?»- Mi chiede con una nota di rabbia
nella voce. Mi giro
guardando Ben, che mi guarda con gli occhi sgranati, rimango
impassibile agli
occhi degli altri, ma sentendo comunque un moto di rabbia che vorrebbe
annebbiare i miei sensi.
«Bene. Grazie per essere venuti. Vi faremo sapere la
prossima settimana.»- Dico guardando tutti tranne lei. Mi
alzo e mi dirigo
fuori.
«Dottor
Cullen. C’è Denali sulla linea.»-
Mormora Ben
distrattamente, passandomi il telefono. Sospiro e alzo gli occhi al
cielo.
«Pronto?»
«Edward. Le selezioni come vanno?»- Mi chiede con
tono
burbero, suo solito.
«Stiamo giusto decidendo, io e il mio assistente.»
«Le voglio entro oggi. Chiaro?»- Chiude la
telefonata ed io
annuisco come un automa, invano. Ben mi guarda preoccupato ed io gli
faccio
cenno di continuare quello che stava facendo.
«Jacob Black?»- Mi chiede, guardando la lista dei
ragazzi
che sono venuti cinque giorni fa. Jacob, trent’anni, viene
dall’America, mh…forse.
«Poi?»
«Marlene Yanks.»- Scuoto la testa, ricordando
quella ragazza
così impacciata che avrebbe paura di fare unpiccolo prelievo, figuriamoci operare un bambino. Ben
scoppia a ridere e
scuote la testa.
«Isabella Swan?»- Ecco dove volevo che arrivasse,
annuisco
con vigore e lui mi guarda con gli occhi sgranati.
«Darà filo da torcere Dottor Cullen.»
Ammette, cercando di
farmi ripensare alla mia scelta.
«Ed è proprio per questo che le daremo una
possibilità.»-
Lui mi guarda confuso e riprende la lista.
«Va bene così. Jacob Black e Isabella Swan.
Saranno loro gli
specializzandi scelti da noi. Sempre se per te va bene.»-
Mormoro guardando la
scheda della ragazza.
«Per Black va bene, ma la Swan. Non mi sembra che possa
andare d’accordo con lei. Non credo che sarà
facile con lei.»- Dice, alzando i
suoi occhiali e gesticolando animatamente.
«E’ proprio per questo che ho scelto lei. Mi
piacciono le
sfide, lo sai. Chiama Black. Io contatterò la
ragazza.»- Annuisce, sicuro che
sia deluso per la mia decisione, ma in fin dei conti uno gli va bene,
l’altra
me ne occuperò personalmente io. Un sorriso strafottente
nasce sulle mie labbra
e prendo la cornetta componendo il suo numero.
“Pronto?”
«Parlo con Mrs Isabella Swan?»- Sussurro con voce
roca,
senza farlo neanche apposta.
“S-si”- Sussurra flebilmente.
«Volevo avvisarla che dal prossimo Lunedì
potrà venire qui
come specializzanda. E’ stata scelta.»- Dico
sorridendo tra me.
“Oh, grazie! Io…davvero, volevo-” -Dice
balbettando. La
interrompo immediatamente.
«Stia tranquilla. Ci vediamo Lunedì. Buona
giornata.»-
Chiudo la chiamata e guardo fuori dalla finestra. Oggi piove, non che
sia una
novità, gli alberi sono spogli, il cielo è scuro,
opaco. Dovrebbe influenzarmi,
ma non lo fa. Sono impaziente di incontrare Isabella. Voglio vedere,
costatare
se quello che penso, se quello che voglio fare, sia fattibile. Guardo
L’orologio,
si è fatta ora di pranzo, prendo la mia valigetta e scendo
chiedendo a Ben se
vuole qualcosa da mangiare, ma come sempre nega.
«Cosa c’è che non va Edward? Ti vedo
distante.»- Sussurra
Tanya, lasciando a mezz’aria la forchetta con le uova. La
guardo sgranando gli
occhi, mentre sorseggio il mio caffè e leggo il mio giornale.
«Cosa c’è?»-Dico rivolgendomi
a lei infastidito. Lei sbuffa
e scuote la testa continuando a mangiare. Sbuffo pesantemente,
facendomi
sentire da lei.
«Come va il lavoro Edward?»- mi chiede con
nonchalance. Io
annuisco, dicendole “bene” con quel gesto.
E’ sempre stato così tra di noi.
Molti credono che siamo la copia perfetta, per i soldi, per il lusso.
Ma la
coppia perfetta non esiste. Se non hai i soldi, anche se
c’è l’amore, ci sono
problemi causati dalla situazione economica. Se ci sono i soldi e il
lusso, nel
90% dei casi non si amano, o uno non viene ricambiato. Noi siamo nella
percentuale delle persone che non si amano, stiamo insieme per il
popolo, tante
volte mi sono chiesto perché siamo ancora qui? Come due
conoscenti che devono
dividere la casa. Lei mi tradisce, io la tradisco, per quale motivo
dobbiamo
entrambi convivere con una persona che non consideriamo minimamente?
Io,
certamente, non ho il coraggio, né l’idea di
iniziare questo tipo di conversazione,
lei non lo ha mai fatto, ed io aspetto, aspetto il giorno che
finalmente
prenderà un’iniziativa. Per capire, parlare di
quanto diversi siamo, di quanta
indifferenza ci sia tra noi due, siamo sposati, questa è
l’unica cosa che ci fa
stare qui, questa è l’unica cosa che abbiamo in
comune.
«Vado a lavoro.»- Sussurro alzandomi, lei,
cogliendomi di
sorpresa, si alza e prende la mia giacca. Mi aiuta a infilarmela per
poi
lasciarmi un bacio a fior di pelle sul mento. Alzo le sopracciglia e mi
avvio a
lavoro.
«Bene.
Jacob, Isabella. Siete i benvenuti, le regole le
sapete, il lavoro partirà già da stamattina. Io e
il mio assistente-infermiere
Ben, siamo qui per qualsiasi chiarimento.»- Annuncio ai due
ragazzi, appena
entrati nel mio studio. Ben si alza e aggiusta i suoi occhiali.
«Jacob, oggi inizierà con me. Domani ci
sarà Isabella con me
e così via. A saltellare lavorerete sia con me che con il
Dottor Cullen. Vieni
Jacob.»- I due vanno via ed io rimango a guardare Isabella.
Lei abbassa lo
sguardo mordendosi sensualmente il labbro inferiore. Appoggio la
schiena allo
schienale della mia poltrona e mi fermo a fissarla. Indossa un
maglioncino nero
attillato, i jeans sono marroni così stretti che credo che
le sue gambe stiano
urlando per essere liberate. Ai piedi indossa delle
decolleté nere lucide, col
tacco medio. I suoi capelli sono sciolti, con un fermaglio che tiene
quelli
davanti, in modo da avere il viso completamente scoperto. Non mi
guarda, è
intimorita da me, dal mio aspetto, cosa che mi infastidisce ma a cui
sono
abituato. Mi schiarisco la voce, cercando di attirare la sua attenzione
e
questo succede.
«Si?»- Chiede balbettando.
«C’è qualcosa che non va?»-
Chiedo apparendo preoccupato.
Lei scuote la testa alzando le sopracciglia. Guardo
l’orologio, sono le otto e
trenta.
«Ha bisogno di qualcosa? Tra mezz’ora iniziamo le
visite.»
«No. Mi chiedevo come mai avesse scelto me.»- Mi
chiede,
pare stia prendendo almeno un minimo di coraggio.
«Bè, non si sente
all’altezza?»- Chiedo sorridendole. Lei mi
sorride e scuote la testa. E tutto questo mi sembra troppo eccitante,
anche se
magari non lo è per niente.
«Abbiamo scelto anche Mr Black. Potevamo scegliere
un’altra
persona al suo posto, è vero. Ma i voti, il curriculum
notevole, hanno messo
lei nella via giusta per entrare a far parte della nostra squadra. Se
vuole tirarsi
indietro può sempre farlo.»- Le dico, cercando di
farle capire che non è stata
assolutamente una cosa personale e, se anche lo è stata,
qualsiasi medico l’avrebbe
scelta, sia per il curriculum, sia per i suoi voti. Forse se non avesse
attirato la mia attenzione in quel modo, se non mi fosse sembrata
così sensuale
ed eroticamente affascinante, l’avrei scelta comunque. Lei
annuisce e poggia la
sua borsa per terra, afferrando il camice che Ben le ha lasciato. Mi
avvicino a
lei, aiutandola a mettersi il camice. Annuso, per quel che mi
è concesso. Il suo
odore emanato dalla sua chioma profumata, e vorrei scoparmela fino a
farle
perdere i sensi. Mantengo un po’ dicontegno
e mi allontano aprendo la porta dello studio.
Dopo aver visitato quattro bambini – ci sono riuscito,
nonostante la distrazione è stata notevole- è
arrivata l’ora di staccare e
lasciare posto alla Dottoressa Coleman. L’altra pediatra che
occupa questo
studio. Mi sfilo via il camice e prendo la mia valigetta.
«Posso offrirle il pranzo?»- Chiedo gentile. Lei mi
sorride
e annuisce. Prendiamo l’ascensore, che si ferma al primo
piano, Marie entra
sorridendoci. Mi guarda, mordendosi il labbro ed io le faccio segno con
gli
occhi. Lei annuisce impercettibilmente e tutti e tre usciamo fuori
dall’ospedale.
«Ha preferenze?»- Le chiedo girandomi verso di lei,
accorgendomi di quanto bella sia in realtà, oltre che sexy.
Lei scuote la testa
e decido di portarla in un ristorante qui vicino.
Ordiniamo entrambi una bistecca di manzo, con un insalata
mista e un semplice vino rosso da bere.
«Posso dirgli una cosa? Siamo fuori dall’orario di
lavoro
no?»- Mi chiede divertita, io le sorrido e annuisco.
«Sono contenta che non sia così stronzo,
all’inizio credevo
fosse molto peggio.»- ammette arrossendo.
«Ah si? Sono contento allora. Questo significa che
continuerà a lavorare con me?»- Chiedo
interessato. Lei annuisce e il cameriere
ci porta il vino. Apre la bottiglia e riempie a metà i
calici di entrambi.
«Alla nostra squadra.»- Mormoro alzando il calice.
Lei
sorride e mi imita facendo tintinnare i nostri calici. Iniziamo a
mangiare,
mentre le parlo delle varie operazioni che ho fatto a dei bambini,lei mi guarda teneramente
e si congratula.
Finiamo il nostro pranzo, pago il conto con qualche protesta da parte
sua. E
iniziamo a camminare. Lei guarda l’orologio e si scusa con
gli occhi.
«Se devi andare.»- Sussurro guardando i suoi occhi,
sono
marroni, anzi no, sono più color cioccolato al latte.
«Si. Ci vediamo domani allora.»- Annuisco e le
porgo la
mano.
«E’ stato un piacere Mr Cullen.»- Mormora
non appena la sua
piccola mano tocca la mia, facendomi sentire piacere nel stringerle la
mano.
«Lo sarà ancor di più
continuando.»- Sussurro rocamente
avvicinandomi di più a lei. Lei mi sorride e girandosi va
via.
Ecco il primo capitolo
effettivo di questa storia. Grazie.
Sono contenta che abbiate accettato il prologo con entusiasmo,
nonostante fosse
molto corto. Grazie infinite e spero, andando avanti, di non deludervi. Alla prossima. Un bacione. Roby.
«Ottima
scelta Edward. Cerca di non farmi cambiare idea.» -
E detto questo, il direttore del Charing Cross Hospital, si volta
andando via
dal mio ufficio. Sbuffo di rabbia non appena sento la porta principale
del
corridoio sbattere. Sono quell’uomo che sembra essere il
padrone del mondo, la
gente, i miei conoscenti pensano questo di me. Sono padrone solo del
mio corpo,
quando faccio sesso con una donna mi sento il padrone del mondo. Ma
invece sono
una nullità, solo un uomo inutile che ha dovuto rinunciare
alla vita stessa per
questo posto di lavoro. Mia madre e mio padre ormai mi odiano, forse
sono
felici, forse hanno problemi salutari. Non so nulla di loro, se non che
fino a
qualche tempo fa mi volevano bene. Guardo l’orologio,
sperando che questa
giornata finisca, ma ahimè sono solo le nove del mattino. E
Jacob Black è in
ritardo.
«Mi scusi Dottor Cullen.» - Mi dice, interrompendo
i miei
pensieri infatti, Jacob Black. Mi giro guardandolo di traverso e lui
deglutisce. Dentro di me scoppio a ridere.
«Sono le nove del mattino. Mezz’ora di
ritardo.» - Sussurro
seriamente, come un predatore che sta per attaccare.
«Mi scusi, non si ripeterà più,
è solo che…» - Lo interrompo
bruscamente avvicinandomi a lui velocemente.
«Non importa cosa ti ha portato ad arrivare in ritardo.
Spero per te che non si ripeterà più. Alla
prossima sei fuori.» - Gli comunico
con voce grave, quel tono che non ammette repliche, sedendomi al mio
posto.
Scuoto la testa, ci mancava solo questa. Apro l’agenda e ci
sono solo due
appuntamenti per oggi.
«Ben!» - Esclamo alzando la voce, in modo che mi
senta
dall’altra stanza. Si apre la porta dello studio ma non alzo
lo sguardo.
«Dottor Cullen. Ben è impegnato, ha
bisogno?» - Sussurra con
voce calda Isabella. Alzo gli occhi guardandola. Ha il camice addosso,
ma sono
sicuro che sotto quell’inutile capo bianco
c’è qualcosa che accenderebbe anche
gli spiriti bollenti di un sacerdote. Rimango a fissarla, senza
rendermene
conto, subito lei mi sorride imbarazzata facendomi sbloccare.
«Si. Ecco, scusi.» - Mormoro distrattamente,
facendole segno
di accomodarsi.
«Ho notato che oggi ci sono solo due appuntamenti.
E’ così
per qualche appuntamento che magari o potuto dimenticare o?»
- Sussurro,
guardando i suoi occhi, sorpreso del fatto che lei sia riuscita a
mantenere il
mio sguardo, senza spostarlo per neanche un secondo.
«Ha un appuntamento con Tanya Denali.» - Mormora
guardandomi
negli occhi, ma senza sorridere.
«Oh. Capisco. D’accordo grazie. Per favore faccia
venire Ben
qui, quando si libera.» - Le dico congedandola in qualche
modo. Prendo il mio
cellulare, per capire che razza di appuntamento mi aspetta, ma non
appena
sblocco il cellulare la porta dello studio si apre. Devo lavorare.
«Buongiorno Dottor Cullen.» - Mormora affascinata
la mamma
di Fred. Avrà quarant’anni eppure è
abbastanza affascinante.
«Buongiorno. E’ qui per il controllo della
crescita?» -
Chiedo guardando il piccolo. Lei annuisce e infilo i miei guanti. In
tutto
questo Jacob Black è fermo impalato che mi guarda. Lo fisso
cercando di fargli
capire che sì, si deve dare una mossa. Ma niente, non
capisce.
«Signora, spogli il piccolo Fred.» - Mormoro alla
madre del
bambino. Mi avvicino a Black parlando piano.
«Hai intenzione di lavorare o no?» - Gli chiedo
sprezzante,
lui annuisce come un automa e iniziaa
muoversi. Sbuffo alzando gli occhi al cielo e continuo a fare quello
che amo di
più in assoluto, il mio lavoro.
«Tanya.
Cosa dobbiamo fare esattamente tra mezz’ora?» - Gli
chiedo spazientito, al telefono, mentre mi tolgo il camice.
«Edward! Abbiamo la cena di beneficenza Sabato. Ho pensato
che avresti potuto avere bisogno di un vestito.» - Mi dice
con la sua voce
insopportabile. “ Si è messa pure a pensare
adesso”, penso tra me.
«D’accordo. Ci vediamo lì tra
mezz’ora.» - Dico dandole
appuntamento al negozio dove ci serviamo solitamente, negozio di cui
non
ricordo nemmeno il nome. Infilo la giacca, salutando Jacob, che
resterà qui in
caso di emergenza e nel corridoio intravedo Ben.
«Dottor Cullen. Sta andando da sua…» -
Lo interrompo con un
gesto veloce e lui mi guarda confuso.
«Non dire quello che stavi per dire.» - Mormoro
serio. Lui
mi guarda e inarca un sopracciglio.
«Ma lo sanno in molti.»
«In molti non tutti. Non a chi interessa realmente. Tu non
dirlo a nessuno.» - Mormoro guardandolo negli occhi, ma
sapendo comunque che
posso fidarmi.
«D’accordo. Ma se ho ben capito, bè so
che non sono affari
miei. Ma sta sbagliando con se stesso.» - Annuisco alla sua
affermazione, ma
infischiandomene come sempre, dei buoni consigli che Ben si preoccupa
di darmi,
mi dirigo fuori. Odio queste cene e tutto quello che le riguarda, me se
voglio
tenermi il mio lavoro sono costretto ad andarci. Sono costretto a
vivere la mia
vita da uomo sposato. E dato che ci sarà il padre di mia
moglie, nonché
direttole del mio luogo di lavoro non ho vie di scampo. Mentre sono al
volante
della mia preziosa macchina comincio a pensare a come sarebbe stata la
mia vita
se io non fossi mai fuggito da casa. A come sarebbe mia madre, dopo
quasi dieci
anni di lontananza, mio padre, mia sorella. Se si è sposata,
se ha lasciato il
suo fidanzato, se sono zio. Non so nulla della mia famiglia, dato che,
dal
momento in cui mi sono sposato ho firmato anche il contratto di stare
lontano
dalla mia famiglia, dalla gente che mi ha amato più di
qualsiasi altra persona.
Mi passo una mano nei capelli nervosamente, cercando di non far
aumentare la
rabbia che provo verso me stesso. Mio padre voleva che lavoravo per
lui. Ha una
concessionaria di automobili, mi stava già inserendo tra lo
staff, facendomi
diventare parte del suo lavoro. Ma io non volevo questo per me, avevo
iniziato
l’università, di nascosto, lavorando la notte come
gigolò. Il giorno in cui mi
sono laureato, doveva essere il giorno più bello della mia
vita, invece è uno
di quei giorni che conservo nel mio armadio dei ricordi dolorosi. Poi
sono
scappato da casa mia, nonostante loro siano nella mia stessa
città, nonostante
a dividerci sono pochi isolati,mai
ho
incontrato qualcuno di loro. Dormendo di notte alla stazione ho
incontrato
Denali. Che mi ha permesso di specializzarmi, ma a un prezzo. Quello di
sposare
e rendere felice la figlia. Ma lei non mi ama, come non la amo io.
Odiarci è un
termine esagerato, ma quello che proviamo l’una per
l’altro si avvicina molto.
Sbuffo scendendo dalla macchina e raggiungendo mia moglie dentro al
negozio.
«Amore mio!» - Esclama, vendendomi incontro sotto
gli
sguardi delle commesse. Mi avvicino senza mostrare emozioni o
interesse. Tanya
mi passa sette abiti, composti da sette pantaloni, sette camicie, sette
giacche
e sette cravatte, “tutti diversi”, mi dice mentre i
miei occhi non riescono a
capire dove siano le differenze.
«Edward! Non capisco cosa ci trovi di mostruoso negli abiti
che ho scelto per te!» - Esclama innocentemente. Apro lo
sportello della
macchina ed entro dentro, aspettando che lo faccia anche lei. Sbuffa
come una
bambina capricciosa e mi imita. Entra in macchina e mi guarda, forse
cercando
spiegazioni. Ma io metto in moto, cercando di farle capire che non ho
nessuna
intenzione di spiegarle qualcosa o, anche solo parlare con lei.
Arrivo davanti al portone del grande palazzo che ospita casa
nostra, anche se di mio non c’è nulla. E mi guarda.
«Non parcheggi?» - Mi chiede confusa.
«Scendi dalla macchina!» - Urlo spazientito e lei
lo fa. Non
mi diverto a trattarla in questo modo. Ma il fatto che lei, come suo
padre,
credono di avere certi diritti su di me mi manda in bestia, mi annebbia
i sensi
facendomi diventare cattivo, vile, vigliacco. Ha scelto tutto lei,
l’abito, il
cappotto, le scarpe. E’ qualcosa che può sembrare
stupido, per niente
importante, ma tante volte sono le piccole cose che ci fanno rendere
conto dei
fatti come stanno. E’ come la semplice goccia che fa
traboccare il vaso. Il
senso di sottomissione che mi avvolge, quando sono con lei e
soprattutto col
padre, è qualcosa che mi soffoca, non sto bene in loro
presenza. Mi sento fuori
posto, per niente a mio agio. Arrivo in ospedale, guardo
l’orologio che segna
le tre del pomeriggio. Non c’è nessuno a questo
orario, solitamente. Entro nel
mio studio, trovando Ben al computer. Sbuffo tra me, credendo che
forse, per
una buona volta, potessi starmene per conto mio in silenzio.
«Dottor Cullen.» - Mormora Ben, sorpreso, alzando
la testa
per osservarmi. - «Come mai qui?» - Mi chiede
ancora sorpreso.
«Mh. Così.» - Rispondo, scrollando le
spalle. Lui annuisce
confuso e torna a lavorare. Apro il mio computer e apro le ultime mail
che mi
sono arrivate. Sono solamente due. Una di Tanya, che mi chiede di
tornare a
casa e parlarne. Alzo gli occhi al cielo, gesto che compio ogni tre per
due,
per abitudine e controllo l’altra mail. E’ Isabella
Swan. Mi ha inviato una
mail dove dice che domani ritarderà mezz’ora.
Rispondo scrivendole che non c’è
problema e chiudo il pc. Saluto Ben e mi dirigo a casa.
«Edward! Dove sei stato?» - Mi chiede con voce
stridula,
Tanya. La guardo con sguardo sprezzante. Accorgendomi che i suoi
capelli biondo
platino sono adesso ben sistemati, le sue unghia laccate di rosso sono
ancora
umide. E come se avessi ricevuto uno schiaffo, la realtà si
svela ai miei occhi.
Realtà che comunque mi aspettavo. Non gli frega nulla, dove
sono stato, con
chi, non le interessa se il mio essere è stato distrutto, da
lei, da suo padre,
dalla mia famiglia. La ignoro andando in cucina.
«Adesso basta Edward!» - Urla ancora, seguendomi.
Continuo
ad ignorarla, facendole capire che non ho l’intenzione,
né tantomeno la voglia
di parlare con lei, in questo momento. Prendo una mela dal frigorifero
e inizio
a mangiucchiarla.
«EDWARD!» - Urla, rischiando di farmi venire
l’emicrania. La
guardo, freddo, sprezzante, con odio, con disperazione. Non ci sono
altri modi,
anche se vorrei guardarla in modo diverso, non credo potrei mai
riuscirci.
Forse all’inizio, qualche volta.
«Non ce la faccio Edward. Il tuo comportamento è
inammissibile.» - Sputa con rabbia , come se davvero questo
è un argomento di
cui si deve parlare, come se farlo potrebbe significare qualcosa,
potrebbe
portare a qualcosa.
«Sei così freddo! Distante. Non so cosa devo fare
con te.» -
Mormora, dopo aver capito che ha la mia attenzione.
«Non è poi molto diverso dal tuo comportamento.
Senti Tanya,
è inutile parlare di questo, lo è davvero tanto.
Non ha alcun senso. Noi, se è
davvero così che possiamo definirci, non abbiamo alcun
senso. Nessun punto di
interesse verso l’altro. La preoccupazione verso
l’altro. Non c’è voler bene
tra me e te. Va avanti così da nove anni ormai, non cercare
di fare qualcosa
adesso. Sarebbe inutile. Se una cosa non va bene dall’inizio,
mai potrà farlo.»
- Dico tutto di un fiato, non accennando ad un divorzio, né
a nessun tipo di
fine nel rapporto che c’è tra me e lei.
E’ inutile farlo, rovinerebbe anche
quello che di più caro mi è rimasto. E se ho
passato gli ultimi nove anni in
questo modo, per il mio lavoro, allora continuerò a farlo.
Butto la mela che è
rimasta e mi avvio alla porta, sotto il suo sguardo indifferente. Non
c’è
tristezza, né rassegnazione. C’è sempre
il solito alone all’interno di quello
sguardo, c’è sempre quell’emozione;
l’indifferenza, il menefreghismo. Mi infilo
dentro la mia auto, restando almeno venti minuti a fissare la pioggia
che
battente finisce sul parabrezza, camminando fin quando le gocce non si
fermano
in un punto non ben definito. Ho sempre odiato la pioggia, adesso non
posso
dire altrettanto, non adesso che è qui a farmi compagnia,
almeno lei c’è, qui
con me. Afferro il mio cellulare – uno smartphone di ultima
generazione- e
guardo ancora una volta la mail. Non c’è nessunmessaggio non letto, rileggo il messaggio di Isabella, una
volta, due,
tre, fino a quando non è passata mezz’ora buona.
Leggo la sua firma, che
scioccamente include il suo numero di cellulare. Lo memorizzo a mente e
dopo
averlo composto faccio partire la chiamata.
“Pronto?” - Sussurra assonnata.
«Buon pomeriggio Isabella. Sono il Dottor Cullen. Mi chiedevo
se ha tempo per un caffè.» - Dico con
tranquillità, come ho sempre fatto con
ogni donna, sulla lista dei miei interessi.
“S-si, ecco io mi…” - Si interrompe,
dopo aver balbettato
per almeno sei volte, in una frase, che forse non è tale.
«Ci vediamo al Kensington West Hotel. E’ a tredici
minuti
dall’ospedale. Tra mezz’ora?» - Chiedo
con voce calda, o almeno provo di farla
arrovare alle sue orecchie in quel modo.
“Un caffè in Albergo?”- Mi chiede
divertita. Io sorrido, e
sono sicuro, l’ha sentito anche lei.
«Mi piacciono le cose fatte in grande.» - Sussurro
maliziosamente. Lei ride di gusto e un silenzio tombaleci avvolge, anche se siamo lontani.
“Ci vediamo lì.” - Stacca la chiamata e
giro la chiave
facendo partire la macchina. Londra è sempre trafficata,
specie al pomeriggio.
«Salve.» -
Sussurra piano, Isabella appena arrivata, al
piccolo bar che si trova all’interno dell’albergo. «Si
accomodi.» - Mormoro, un attimo dopo averle soffiato un
bacio sul dorso della sua piccola e calda mano. «Può
darmi del tu. Può chiamarmi Bella.» - Sussurra
sedendosi, io le sorrido e la guardo dalla testa ai piedi. Indossa un
paio di
Jeans stretti che le valorizzano il sedere, piccolo e sodo. Una maglia a
maniche lunghe viola, con lo scollo a V che
lascia vedere un piccolo strato di pizzo del reggiseno nero. Posso
sentire il
suo profumo da qui, in questo piccolo tavolino, dove siamo seduti
l’una di fronte
all’altro. «Bella. Puoi
chiamarmi Edward.» - Dico provocandole una
risata di gusto. Rimango incantato, vedendo la sua bocca aprirsi in un
sorriso,
le miei orecchie gioiscono per quel suono così bello quanto
caldo. Ordiniamo
entrambi del caffè macchiato, solo dopo averle giurato che
questa volta avrebbe
pagato lei. «E’
sempre l’uomo che offre.» - Sussurro piano, lei
deglutisce e mi guarda. «Capirai.
Due caffè.» - Dice sistemandosi una ciocca che
è
sfuggita alla sua coda di cavallo. Accorgendosi che la sto fissando
sposta lo
sguardo dall’altra parte del bar. «Mi desideri
Isabella?» - Chiedo a bassa voce, con tono
dolce ma allo stesso tempo passionale. Lei mi guarda sgranando gli
occhi per
poi arrossire e spostare nuovamente lo sguardo. Prendo una sua mano tra
le mie,
è abbastanza fredda. Eppure avrei giurato che fosse attratta
da me, almeno
quanto lo sono io. Rimaniamo in silenzio, sentendo solo il mormorio
delle
persone, le tazze da caffè adagiarsi sui loro rispettivi
piattini. «Si.
Prepotentemente.» - Il suo è un sussurro, che in
altri
casi non avrei sentito, ma le mie orecchie si aspettavano qualcosa del
genere.
Guardo i suoi occhi, accorgendomi della tonalità solo
adesso, sono marroni, ma
non semplicemente marroni, più color cioccolato al latte,
più fluido del
solito. Un colore mai visto prima, qualcosa di particolare, come la
persona che
li ha. Dal primo giorno che Bella è entrata nel mio campo
visivo l’ho desiderata,
facendo aumentare il mio desiderio quando è riuscita a
rispondermi a tono, facendomi
eccitare quando con un soffio fulmineo mi ha salutata. E adesso, in
questo
momento, desidero solo perdermi nelle sue labbra, baciarle fino a
consumarle,
scoprire le sue parti più nascoste e marcarne il territorio,
farla mia, in
qualsiasi modo immaginabile. Dopo aver finito i
nostri caffè, le porgo la mano che,
prontamente afferra. Mi dirigo alla Hall prenotando una camera, sotto
il suo
sguardo, davanti a lei, facendole capire apertamente le mie intenzioni. «Sei
sicura?» - Le chiedo, quasi ansimante con
il
pensiero a quello che voglio farle. Lei annuisce e mi sorride timida. «Solo…»
- Si interrompe scuotendo la testa e sedendosi ai
piedi del letto. Rimango a guardarla, aspettando che parli. Ma non lo
fa. «Sei
sicura?» - Le chiedo ancora, per paura che qualche
secondo fa stava per rifiutarsi di tutto ciò. Lei mi sorride
e si avvicina a
me. Sbottona la mia giacca, facendola scivolare dalle mie spalle,
è
intraprendente, i suoi gesti sono sicuri, eppure fino ad un momento fa
sembrava
non sapesse ciò che stava facendo. Continua, facendo finire
per terra la mia
camicia. Rimango fermo, deglutendo, non riesco a muovermi, mi sento
paralizzato
dal suo tocco, dal suo profumo. Il percorso che ha intrapreso finisce
nel esatto
momento in cui i miei pantaloni scivolano sulle mie gambe. Sono
visibilmente
eccitato, e vedere lei che guarda il mio membro coperto dallo strato
dei boxer,
mentre si lecca sensualmente il labbro inferiore mi manda
all’inferno e in
paradiso allo stesso tempo. I miei boxer presto raggiungono i
pantaloni. Non mi
rendo conto di nulla, se non della sua bocca calda sul mio membro,
succhia la
punta per poi arrivare fino in fondo, poi risale leccando tutta
l’asta. Sospiro
di piacere e sento i suoi denti, sta sorridendo. Appoggio la testa
sulla parete
della stanza iniziando incontrollabilmente e gemere. Un lampo di
lucidità
attraversa la mia mente, facendomi rendere conto che sono quasi al
limite, e
questo non mi basta. Afferro le sue braccia e la faccio distogliere da
quello
che stava facendo. Guardo i suoi occhi, anche se è un gesto
dolce, anche se di
dolce dentro di me non c’è nulla. Al momento ho
l’interno di me stesso infuocato
dalla passione. Sfioro la sua guancia, così morbida e
vellutata, che presto,
sono sicuro, mi ritroverò a mordere. Afferro i lembi della
sua maglia
sfilandogliela. Come avevo previsto, indossa un reggiseno nero in
pizzo,
stretto, talmente tanto che i suoi seni sono costretti lì
dentro. Bacio il suo
collo prepotentemente sganciando il suo reggiseno, ritrovandomi i suoi
seni
schiacciati sul mio petto, i capezzoli turgidi premono su di me. La
trascino
sul letto e mi sdraio su di lei. Bacio le sue labbra con prepotenza,
rendendomi
conto che sono davvero morbide come le
avevo immaginate. Accarezzo i suoi fianchi morbidi, strizzandoli,
facendole
anche male. Le sue mani accarezzano i miei capelli, le sue dita
afferrano
qualche ciocca e il suo corpo comincia a muoversi freneticamente.
Sbottono i
suoi Jeans in men che non si dica, trovando il suo slip striminzito,
fradicio.
Mi lecco le labbra, liberandola anche di quell’inutile
indumento. Mi abbasso
sul suo centro inalando l’odore. Il mio membro pulsa e decido
di darmi una
mossa. La mia lingua entra prepotentemente sulle sue labbra intime,
giocando
con ritmo. Le sue mani che prima accarezzavano i miei capelli adesso
sono nei
suoi seni, che pizzica e strizza. Rimango a bocca aperta a quella
visione così
erotica e così necessaria in questo momento. Mi concentro
sulla sua femminilità
cominciando a succhiarle il clitoride, il suo ansimare mi induce a
continuare
questa piccola e piacevole tortura senza sosta. Le sua gambe cercano di
chiudersi, ma sono bloccate dai miei avanbracci. I suoi umori, della
stresso
consistenza del miele, scivolano come un fiume in piena sulla mia
lingua. «Edward…»
- Geme. Avvicino i nostri visi, incastonando gli
sguardi. «Cosa vuoi
Bella?» - Mormoro mordendole il lobo dell’orecchio. «Voglio
te.» - Sussurra chiudendo gli occhi e arrossendo. «Cosa vuoi
che ti faccia?» - Le chiedo leccandole
sensualmente il collo. «Voglio che
tu entri dentro di me. Adesso.» - Sibilla. A
questa richiesta, le mie mani scivolano frenetiche sul comodino vicino
alla sua
testa. Apro il cassetto ed estraggo un preservativo. Non è
la prima volta che
vengo in quest’ albergo, per la stessa motivazione, le camere
hanno tutti i
tipi di precauzioni, per queste cose. Mi siedo sui talloni
trascinandola con me. Mi strappa il
preservativo dalle mani e con foga lo infila sul mio membro. Con
agilità si
appoggia saldamente alle mie spalle e lentamente abbassa il suo corpo
facendomi
entrare in lei. Rimaniamo fermi per qualche secondo, guardo il suo
viso, mi
sorride, ricambio e lei accarezza i miei capelli. Inizia a muoversi
lentamente,
quasi con dolcezza. Afferro i suoi fianchi dettando il ritmo,
frenetico,
veloce. Guardo in basso, beandomi della visione del mio membro che
scivola in
lei. Mi abbasso sui suoi seni, afferrandoli tra i denti, leccandoli,
mordendoli, baciandoli, senza lasciarle tregua. Strizzo le sua natiche
e lei
butta la testa indietro. «Non
smettere.» - Sussurra rocamente. «Da fare
cosa?» - Mormoro con qualche gemito strozzato,
facendola impazzire. «Tutto.» -
Quasi urla. I suoi sospiri si fanno pesanti. Ad
ogni spinta geme, ad ogni bacio che il suo seno riceve da me sospira di
piacere. Allaccia le braccia dietro il mio collo e si alza facendo
uscire il mio
membro, per poi abbassarsi e farlo rientrare, come se il suo corpo
andasse in
caduta libera. Mi si mozza il respiro, mai nessuna era riuscita a farmi
godere
così. Solitamente annullo la mia mente al piacere. Adesso
sto vivendo il sesso,
lo sto toccando, lo sto guardando con gli occhi sgranati. Le sue pareti
si
contraggono attorno la mia asta. E la sua testa si appoggia alla mia
spalla, il
suo corpo viene scosso dall’orgasmo e dopo poche spinte
veloci, forti,
passionali vengo anch’io. Rimaniamo fermi. Sentendo il
respiro dell’altro.
Guardo il soffitto e sorrido ad esso.
Mi sveglio, a
causa della luce mattutina che filtra dalle
finestre e, l’odore fruttato, della donna che ha occupato con
me questa notte,
mi fa ricordare, formando delle immagini vivide nella mia mente, tutto quello che
è successo. Senza renderci
conto di nulla, stanotte, siamo rimasti qui, continuando, ripentendo
sempre
quello che la prima volta abbiamo consumato in questa stanza. Ed
è strano
pensarci in questo momento, forse dovrei solo andarmene e fare finta
che nulla
è accaduto,dopotutto,
il suo
tentennamento ha fatto intendere questo. Mi alzo lentamente,
accorgendomi che
sono le sei del mattino. Raccatto i miei vestiti sparsi per terra e
vestendomi
velocemente, senza neanche lavarmi, esco dalla stanza. Pago il conto,
fino alle
undici di questa mattina, in modo che Bella abbia tutto il suo tempo,
nonostante alle otto dovrebbe essere nel mio ufficio e mi dirigo a
casa. Il
tragitto è piuttosto trafficato, forse sembra strano,
insolito, ma siamo a
Londra, siamo nella città più grande
d’Europa. Siamo nella migliore città del
mondo. La gente ha fretta, lavora, scherza, la gente ha la propria
vita, ma
scommetto che uno su mille vivono la vita come sto facendo io. Apro la
porta,
aspettandomi sempre la solita mattinata: Tanya, appena sveglia che
sorseggia il
suo caffè mentre ritocca gli occhi col trucco. Invece
rimango sorpreso,
accorgendomi che la situazione è tutt’altra cosa
che la solita routine. Il direttore
del Charing Cross, il posto in cui lavoro, quello che, teoricamente,
dovrebbe
essere mio suocero, è seduto sul bancone della cucina con un
giornale che
guarda distrattamente. Tanya invece è sempre lì,
a fissare le imperfezioni che
il suo viso potrebbe avere o, magari, qualche brufolo che spunta come
per magia
da un secondo all’altro.
«Buongiorno Edward.» . Sussurra David. Mi siedo al
suo
fianco, ignorando mia moglie completamente e lo guardo.
«Buongiorno Mr Denali.»- Sussurro, in soggezione,
come sempre.
Lui mi guarda, cosa che non mi piace per niente e, che, non mi
è mai
piaciuta.Abbasso
lo sguardo,
intimidito, guardando la punta delle mie scarpe. Passano minuti
interminabili
in questo modo. Ma nessuno accenna a parlare o, semplicemente, muovere
qualche
muscolo.
«Posso andare adesso no?»- Dice ad alta voce mio
suocero. Io
annuisco confuso e Tanya lo guarda sorridente, soffiandogli un bacio.
Alzo gli
occhi al cielo, come per abitudine, ricordandomi che forse, e dico
forse, la
prossima volta, in una prossima vita, dovrei controllare bene chi
dovrà
convivere con me per molto tempo. Eppure sono passati nove anni, anni
in cui il
mio, il suo, il loro, atteggiamento non è cambiato,
l’idea che inizialmente mi
ero fatto di Tanya non è mai mutata, tutto è
rimasto come prima, facendomi
rendere conto, che il tempo passa, siamo sempre noi a rimanere fermi,
uguali.
Accompagno Mr Denali alla porta e non appena questa si apre mi porge la
mano.
«La prossima volta non voglio fare il cane da guardia tutta
la notte.»- Dice con fare minaccioso, rimango immobile a
guardarlo e, anche
quando mi ha sbattuto la porta in faccia, sono rimasto fermo immobile.
Mi
dirigo in bagno e come sempre mi guardo allo specchio, specie dopo una
visita
come questa. Mi guardo allo specchio, accorgendomi che ho le labbra
rosse. Che
il mio sguardo è cambiato, diverso. I miei occhi verdi
luccicano, nonostante la
luce soffusa del bagno. Nonostante la mia vita sia una vera schifezza,
i miei
occhi adesso brillano. Sono ardenti, perché so cosa
vogliono, vogliono la
stessa cosa che vuole la mia mente, il mio corpo: Bella. Scuoto la
testa,
sperando che quella di stanotte non sia un ossessione e mi infilo sotto
la
doccia, preparandomi mentalmente e fisicamente alla giornata che mi
aspetta.
«Dottor
Cullen!»- Esclama Ben preoccupato. Mi giro,
guardando l’orologio di sbieco, accorgendomi che comunque
sono già le nove, e
di Bella non c’è traccia.
«Dimmi Ben.»- Dico, guardando i suoi occhi, tramite
le lenti
che porta.
«Ha chiamato Bella. Nel mio cellulare. Non riesce a venire
oggi è malata.»- Mormora guardando altrove.
«Doveva chiamare me.»- Dico amareggiato, rendendomi
conto
che quello cheabbiamo
fatto, a lei non
ha dato le stesse mie sensazioni. Lui annuisce confuso e mi guarda. Ben
mi
conosce ormai. Ha sempre lavorato per me, ha avuto parecchie offerte di
lavoro
in questi anni, ma mai ha voluto accettare, quando io gli chiedevo il
perché,
lui rispondeva: “Sto bene così.” Ben
è una cara persona, una di quelle
personevere che mi
circondano, forse è
anche l’unico. Mi conosce bene, infatti adesso mi sta
guardando, capendo tutto
quello che al momento passa dalla mia testa.
«Si Ben. Non preoccuparti. Vai.»- Chino il capo,
spostando
la mia attenzione sulla mia agenda, pronto per la giornata lavorativa.
Dopo aver visitato cinque bambini, di cui quattro neonati,
mi trovo nel mio studio, con una mano sotto al mento, guardando fuori
dalla
finestra, oggi, stranamente non piove. Mi giro i pollici, consapevole
che no,
non voglio tornarmene a casa, non voglio annoiarmi, non voglio
ascoltare nulla
se non il rumore delle mie labbra che schioccano ogni tanto. Entro
nello studio
di Ben, ormai vuoto da qualche ora. E noto dei fogli sparsi per la
scrivania,
non so perché sono entrato qui dentro, forse per la
curiosità, forse per la
noia. La curiosità che uccide il gatto ma non
l’uomo, mi spinge a rovistare tra
quelle carte. Ci sono due schede, una di Black e una di Isabella Swan.
L’indirizzo
di casa sua è stampato in quel pezzo di carta, sono tentato
tra segnarmi l’indirizzo,
oppure, cosa molto più razionale, lasciare perdere tutto e
interpretare la sua
assenza nel modo più ovvio che potrebbe esistere in questo
caso. Si è pentita,
sicuramente non finirà qui la specializzazione. Sbuffo
cercando di distogliere
lo sguardo dalla scrivania di Ben e tornarmene a casa, magari in un
posto dove
non ci sono tentazioni. Eppure, una sensazione, la mia mente, la mia
coscienza urla
“prendilo”. Mi scrivo l’indirizzo sul
cellulare ed esco dall’ospedale dirigendomi
da lei. Arrivo sotto quella che dovrebbe essere casa sua. E’
una palazzina di
quattro piani, è messa a nuovo, o almeno sembra da qui
fuori. Mi avvicino alla
porta principale, cercando il suo cognome con lo sguardo tra la
colonnina che
contiene i pulsanti per citofonare. Swan-Weber.
C’è scritto. Mi gelo sul posto,
e se fosse il suo fidanzato, e sei lei si è pentita proprio
perché non ha potuto
fare a meno di me, del mio corpo e l’avesse tradito? Mi giro
di spalle ma non
appena muovo un piede per dirigermi nella mia auto una voce mi chiama.
«Edward!»- Urla Bella dal balcone del secondo
piano. E’ in
tuta, i suoi capelli sono attaccati in uno chignon fatto alla
bell’è meglio.
Rimango a guardarla, e lei mi guarda confusa, non mi sorride come
l’ultima
volta, non si colorano le sue guance di rosso, nemmeno quando un
sorriso timido
sfiora le mie labbra. Mi fa segno con la mano di aspettare e dopo pochi
secondi
sento il portone sbattere, è uscita.
«Cosa fai qui?»- Mi chiede curiosa, venendomi
incontro. Si
avvicina a me, sicuramente indecisa su come e, se, salutarmi. Mi
avvicino a lei
e sfioro le mie labbra con le sue, sono bagnate, per quel poco tempo
che le mie
labbra si sono posate tra le sue, hanno rubato il sapore del
caffè.
«Ho saputo che sei malata. Volevo vedere come
stai.»- Dico
mentendo, non lasciando nemmeno per un secondo i suoi occhi.
«Bé…ecco, io.»- Si
interrompe, abbassando la testa, in modo
da non farsi smascherare.
«Non mi inviti su?»- Chiedo con un tono dolce, ma
allo
stesso tempo insistente. Lei annuisce sgranando gli occhi e insieme
entriamo
nell’atrio, per poi sparire dietro le porte
dell’ascensore che si chiudono. Sento
solo il suo odore, riesco a sentire solo il suono del suo respiro. Mi
avvicino
pericolosamente a lei, incastrandola tra il mio corpo e lo specchio
freddo dell’ascensore.
Il suo respiro diventa pesante ma nei suoi occhi non
c’è ombra di paura. Le sue
gote si tingono di rosso e posso finalmente toccare la sua lingua con
la mia, l’aroma
di caffè si espande dentro la mia bocca, sfiorando il mio
corpo, il mio essere.
Accarezzo la sua schiena, così calda e morbida e potrei
davvero bloccare questo
ascensore da un momento all’altro. Ma non appena
quest’idea entra nella mia
mente, il campanello ci informa che siamo arrivati.
«Bello qui.»- Mormoro esponendo la
verità. E’ una piccola
casetta, c’è una cucina abitabile, di colore
arancione, a dividere la tivù dal
tavolo con le sedie è un piccolo divano a due posti. Due
stanze da letto, una
lilla, sia intonacata che i mobili e una uguale azzurra. Il bagno
è piccolo, c’è
solo una piccola doccia e i pezzi sanitari. Lei
alla mia affermazione annuisce, sposta una
sedia dal tavolo invitandomi a sedermi.
«Vuoi qualcosa? Caffè, succo
d’arancia?»- Mi chiede
sorridendomi dolcemente. Io scuoto la testa e appoggio i palmi delle
mie mani
sul tavolo.
«Voglio te.»- Soffio maliziosamente. Lei come poco
prima,
abbassa la testa e la scuote.
«Bella. C’è qualcosa che vuoi
dirmi?»- Le chiedo, sperando
che non mi dica di andarmene, sperando che non mi dica “mi
sono pentita di
tutto”, sperando solo che posso avere la
possibilità di passare un’altra notte
come quella passata con lei.
«Oh, Edward. Ci sono così tante cose che vorrei
dirti!»-
Urla guardandomi con gli occhi sgranati. Automaticamente le mie
sopracciglia si
alzano e continuo a guardarla. Apro le braccia incitandola a parlare ma
lei mi
guarda con sguardo omicida.
«Non mi aspetto nulla da te, che sia chiaro. Ma solo un
tantino di coerenza, era davvero gradita! Dio! Che stupida. Sapevo che
c’era
del marcio in te.»- Continua ad urlare venendomi incontro,
sono confuso, nient’altro.
Apro la bocca per parlare ma le sue urla mi fermano.
«Senti mio caro dottorino, io non sono una troia che hai
trovato per strada sia chiaro.»- Mi dice sbuffando. Adesso
è rossa in faccia,
rossa di rabbia. Continuando a guardarla mi alzo e le vado incontro, ma
lei
indietreggia fino a sbattere il sedere sul frigo. Apre il portapane e
prende
delle banconote. Con un gesto veloce le lancia sul tavolo.
«Allontanati!»- Urla tremante. Io lo faccio e
continuo a
guardarla.
«Quelli sono tuoi. Anch’io ho usufruito di quella
stanza,
per quanto inutile sia stato.»- Mormora ancora arrabbiata, e
adesso capisco.
Svegliarsi lì, da sola l’ha fatta sentire usata.
Eppure è una cosa che ho
sempre fatto, una cosa di cui nessuna donna mi ha mai incolpato.
«Bella.»- Sussurro. Ma lei mi guarda ancora
trucidandomi e
rimango in silenzio. Ci guardiamo entrambi e riesco a sentirlo, quel
filo
sottilissimo che ci lega, l’attrazione che proviamo
l’una verso l’altro. Cerco
di avvicinarmi, ma lei non me lo permette. Indietreggia. Questa cosa mi
fa
sentire terribilmente fuori posto. Protendo una mano verso di lei, ma
lei volta
la faccia.
«Non vuoi vedermi più?»- Le chiedo
interessato. Lei annuisc
ed io mi dirigo alla porta, lasciandole lì sul tavolo i
soldi.
«Ci vediamo domani a lavoro, Dottor Cullen. Solo a
lavoro.»-
Sussurra prima che la porta si chiude alle mie spalle.
Tre giorni
dopo.
«Non
puoi ignorarmi per sempre.»- Sussurro sul suo collo,
giusto in tempo, prima che entri un nuovo bambino. Gli ultimi tre
giorni sono
stati infernali. Vederla così distante, come se io non
esistessi è una cosa che
odio. Eppure, nemmeno per un secondo l’attrazione per lei ha
desistito. In
questi ultimi giorni, i nostri corpi si sono sfiorati, molto spesso i
nostri
respiri hanno invaso il viso dell’altro. Ma niente, ho
provato a parlarle, ma
non pare le importi qualcosa. Credevo che anche lei, sentisse la stessa
passione, la stessa attrazione, lo stesso bisogno fisico mio, invece mi
sbagliavo, l’ho delusa, ferita. Siamo in studio, tra
mezz’ora finiamo, rimane l’ultima
visita. Usciamo dall’ospedale insieme io la saluto con un
cenno col capo e lei
mi ignora.
«Scusa! Scusa va bene? Non intendevo ferirti.»-
Urlo con il
viso ricoperto d’acqua piovana, siamo nel parcheggio, e
forse, le mie scuse
sono riuscite a farla riflettere almeno un pochino.
«Dottor Cullen.»- Sospira.
«Oh non chiamarmi così, non cercare di mantenere
la distanza
in questo modo, non serve a niente. » Dico ad alta voce.
Siamo fisicamente
lontani, perciò mi avvicino, aspettando che lei faccia
qualche passo indietro,
ma non lo fa, rimane a guardarmi mentre mi avvicino a lei. Non dovrei
farlo, c’è
un sacco di gente che mi conosce qui, eppure non mi fermo.
«Scusa. Io non intendevo trattarti in quel modo.»-
Mormoro,
non appena siamo abbastanza vicini. Lei mi guarda ma non parla.
«Edward. Io non sono quel tipo di ragazza con cui ti puoi
divertire. Non sono una ragazza facile, per quanto possa sembrarti
strano. Non è
così.»- Mormora afflitta.
«Okay. Adesso basta tenermi il broncio
però.»- Sussurro
sorridendole.
«L’unico motivo per cui mi sono data a te,
così presto,
senza tentennamenti è stato il desiderio che provo nei tuoi
confronti. Qualcosa
di potente, forte, immaginabile.»
Afferro la giacca e mi precipito fuori dalla porta, sono le
dieci di sera.
«Edward? Dove vai?»- Mi chiede con voce stridula
Tanya.
«Vado a giocare a Poker. Non aspettarmi stanotte.»-
Le dico
senza guardarla, non so nemmeno perché le sto rendendo delle
spiegazioni.
«Ciao.»- Sussurro sulle sue labbra. Lei mi sorride
e si
fionda sulle mie braccia. Le sue mani giocano con i miei capelli,
così come le
nostre bocche che si muovono a sincrono. Accarezzo con
l’olfatto il suo odore
di rose, fresco e potente, talmente tanto da inebriarmi i sensi. Le sue
mani
accarezzano il mio petto e sento che potrei morire. Dopo qualche minuto
senza
nemmeno rendermene conto siamo nudi, sdraiati su un letto,
all’interno della
camera azzurra. Infilo un dito dentro la sua intimità mentre
il mio lobo si
trova a contatto con i suoi denti. La sua entrata è calda,
morbida e
assolutamente bagnata.
«Dentro di me, Edward.»- Sussurra vicino al mio
orecchio con
urgenza. Afferro un lembo dei miei Jeans, che si trova ai piedi del
letto e
dalla tasca prendo il preservativo. La sua piccola mano afferra il mio
polso e
scuote la testa, confondendo la mia mente.
«Prendo la pillola.»- Sussurra con il respiro
accelerato,
senza darle nemmeno il tempo di prendere fiato, o chiudere gli occhi
entro
dentro di lei, in un’unica, veloce, prepotente e passionale
spinta causata da
un profondo colpo di reni. Le sue mani, graffiano prepotentemente la
mia
schiena, i suoi occhi sono sgranati a causa della velocità e
della sorpresa.
Sorrido baciando le sue labbra calde e morbide e un gemito si confonde
con il
suo respiro. Spingo, non mi fermo nemmeno per un secondo, stiamo in
silenzio,
si sente solo il cozzare dei nostri corpi a contatto, i nostri gemiti,
e il
rumore del letto che sbatte prepotentemente sul muro. I suoi gemiti
presto si
trasformano in urla di piacere, il mio corpo inizia ad avere degli
spasmi e
sento le sue pareti intime contrarsi contro di me. Appoggio il mio viso
sull’incavo
del suo collo, leccando il suo seno, facendole capire che
sì, è ancora presto
per la fine. La mia fronte preme sul materasso e spingo più
forte, cosa che
fino a qualche secondo fa non credevo possibile. Accarezzo i suoi
fianchi e
vedo un sorriso aleggiare sul suo volto, la sua bocca lascia un bacio
infuocato
sulla mia spalla e capovolgo le posizioni, senza staccare i nostri
corpi uniti.
Il suo corpo sopra il mio è una visione considerata
illegale, un pensiero che
dovrò censire a lavoro. Le sua mani si impuntano sul mio
petto e le mie
stringono forte i suoi seni. Ansimo come mai prima d’ora,
rendendomi conto
quanto mi è mancato tutto questo. Anche se è
successo solo per una notte ero
consapevole che mi sarebbe mancato, quello che non sapevo era quanto mi
sarebbe
mancato. Il suo odore, il suono della sua voce rapita dal piacere, i
suoi occhi
lucidi dall’emozione. Mai avevo fatto del sesso appagante
come quello con lei.
I suoi capelli sfiorano il mio petto. Afferro saldamente i suoi fianchi
e dopo
qualche spinta verso il mio seme in lei. Bella si abbassa su di me
lasciando un
bacio sulla mia bocca e solo dopo avermi sorriso appoggia il capo sul
mio
petto. Accarezzo la sua schiena, ormai sudata e mi perdo
nell’accarezzare
quella pelle così morbida, il suono dei suoi sospiri che mi
tranquillizzano,
chiudo gli occhi e provo a dormire.
Mi sveglio di soprassalto, sentendo un rumore metallico
provenire dall’altro lato della casa. Tasto la parte del
letto, dove fino a
poco tempo prima c’era Bella, adesso è vuoto.
Respiro a pieni polmoni, godendo
del suo odore, del nostro, impregnato nelle lenzuola. Mi alzo,
rendendomi conto
che sono nudo, infilo i boxer e la camicia e mi dirigo in cucina.
«Oh scusami. Non volevo svegliarti.»- Sussurra
impacciata,
mentre ripone la teiera sopra il piano cottura.
«No tranquilla. Che è successo?»-
Chiedo, riferendomi al
rumore di poco prima.
«Avevo dimenticato l’acqua.»- Sussurra
imbarazzata,
indicando la teiera. Chiudo le labbra, per non sembrare scortese e
riderle in
faccia. Ma le sua guance si gonfiano, smascherando il mio tentativo
vano. Mi lancia
uno straccio addosso e scoppia a ridere anche lei, seguita da me.
Sono le quattro del mattino, siamo seduti sul piccolo tavolo
arancione della sua cucina, sorseggiamo il tè che Bella
aveva fatto per lei, ma
da buon inglese quale sono, non ho potuto rifiutare.
«Come mai ti sei svegliata?»- Le chiedo,
scottandomi un po’
la lingua.
«Mi capita spesso, svegliarmi la notte, non dormire per
notti intere. Credo che ormai sia un’abitudine.»-
Annuisco e mi incanto a guardarla.
Lei beve il suo tè tranquillamente, mentre io penso che
nessuna creatura che i
miei occhi abbiano mai visto sia più bella di lei. Mi passo
una mano in fronte,
spazzando via lo strato di sudore che si era formato, a causa del
vapore del tè
e continuo a guardarla.
«Sei nata qui?»- Le chiedo, così per
conversare, per capire
un po’ qualcosa di lei.
«No, io vengo da Manchester, i miei vivono lì.
Sono stata io
a volere continuare gli studi a Londra. Loro sono contenti, vado a
trovarli
spesso.»- Sussurra guardandomi con quegli occhi grandi e
forse troppo sinceri.
«Ti mancano.»- Sussurro, rendendomi conto della
mancanza dei
miei genitori.
«Si. Ma sono felice così. In fondo devo vivere la
mia vita,
farli stare un po’ da soli è anche bello per
loro.»- Annuisco alla sua
affermazione e inizio a bere il mio tè.
«E tu? Sei nato qui?»
«Si.»- Sussurro, cercando di farle capire che
parlare della
mia vita non è il mio forte.
«E i tuoi?»- Mi chiede dolcemente, non voglio
risponderle male,
è così dolce.
«Loro vivono a Londra. Ma io abito per conto mio.»
«Sei fidanzato?»- Mi chiede imbarazzata
all’inverosimile. Io
scuoto la testa come un automa elei
sospira.
«Meno male. Non avrei sopportato il contrario.» -
Sussurra
sorridendo, facendomi gelare all’interno, senza farle rendere
conto di nulla.
Mi avvicino a lei, che mi guarda, studia ogni mio movimento e avvicino
il mio
viso al suo.
«E tu? Sei fidanzata?» - Le chiedo con troppa
enfasi. Lei
scuote la testa e mi sorride a trentadue denti. Avvicino
pericolosamente la
mano all’interno dei suoi slip e lei smette per qualche
attimo di respirare.
«Allora non da fastidio a nessuno se faccio
questo?» - Dico
penetrandola con un dito. Lei chiude gli occhi e scuote la testa. La
prendo in
spalla adagiandola sul tavolo, apro la camicetta e strizzo i suoi seni
tra le
mie dita, forse un po’ troppo forte, perché un
gemito di dolore lascia le sue
labbra. Avvicino la bocca a quella parte preziosa del suo corpo e mi
perdo in
lei, nella sua morbidezza, nel suo odore.
Eccolo! Come vi
pare? Se volete capire qualcosa in più,
c’è
il video, un piccolo Trailer della storia. Fatto da Aiami, grazie
tesorino è
bellissimo, personalmente lo amo *___*
Okay, sono di fretta. Se qualcosa non vi piace, non esitate
a dirmelo.
Un bacione. Alla prossima.
Accarezzo la
schiena di Bella, soffice e diafana. Le mie
dita si insinuano nei suoi capelli, così morbidi e
profumati. Sono le cinque
del mattino, sono già due mesi che andiamo avanti
così. Circa tre volte a
settimana ho il posto d’onore nel suo letto, a lavoro siamo
professionali, ma
Ben, per esempio ha capito tutto. Ma mi fido di lui, l’ho
sempre fatto dal
primo giorno che gli ho rivolto la parola. Sono due mesi che mi limito
al sesso
con Bella. Ho smesso di incontrare Marie clandestinamente, ho smesso
con le
donne che incontro nei pub di lusso. Lei mi basta, non
c’è nessun sentimento da
condividere con lei, c’è l’affetto che
si è instaurato in questo poco tempo e
la chiave di tutto; il sesso. Sesso magnifico, soddisfacente al
massimo, in
ogni modo possibile è qualcosa di forte, di cui, ormai, non
posso fare a meno. È
come un abitudine, il suo corpo mi richiama ogni qualvolta il mio campo
visivo
lo incontra. Il mio rapporto con Tanya, ancora sconosciuto a Bella,
è sempre
uguale, vuoto, privo di ogni forza positiva, immutabile. So bene che
devo
riferire a Bella di essere sposato, so bene che non appena
saprà tutto andrà
via da me, da tutto quello che si è creato fino ad oggi.
Tante volte la
tentazione di dirglielo c’è stata, tante volte
stavo per farlo, ma un suo
gesto, un suo sguardo mi hanno sempre fermato. Ho capito, per quel che
mi è
stato consentito, parte del suo carattere. E’ una ragazza
riservata, timida,
mai avrei pensato che fosse stata una bomba sexy, o almeno non credevo
fosse
così. Molte volte, addormentandomi dopo il sesso, ho creduto
fosse solo un
sogno, che quella ragazza che all’apparenza sembra
così casta era tutto un
sogno. Invece è la realtà, una realtà
che mi sta bene, che serve per la mia
psiche.
Continuo ad accarezzare il suo corpo, con lievi carezze, in
modo che non si svegli, non voglio veda questa dolcezza che a stento
penso sia
la mia. Ma con lei è così, ci sono gesti e parole
che non controllo, che con
l’istinto prendono vita. Non posso innamorarmi di lei, non
posso condannarla ad
un amore di fughe e sotterfugi. Lei vorrà accanto un uomo
sempre presente, con
cui avrà dei figli, con cui entrerà in chiesa
vestita di bianco. Un uomo della
sua altezza, dolce come lei, buono come la sua anima. È
quella persona che con
semplici gesti o parole, sa abbracciarti con la mente. È
quella ragazza che
quando la incontri pensi: non posso essere più fortunato di
così. Mi rendo
conto che prima o poi si stancherà, o, peggio ancora, mi
lascerà con la
consapevolezza di essere stata sedotta da un uomo sposato. Non voglio
pensarci
al momento, in fondo nella mia vita ho sempre agito
d’istinto, vivendo alla
giornata, molte volte questo comportamento mi ha portato
all’odio verso me
stesso, ma non conosco altro modo. Annuso i miei polpastrelli che sanno
di lei,
di noi, dell’odore dei nostri corpi uniti, l’odore
di sesso impregnato dentro
di lei. Continuo ad accarezzare il suo corpo, uno dei migliori che io
abbia mai
visto, che io abbia mai posseduto. Guardo l’orologio,
accorgendomi che sono già
le sei. Mi alzo e corro in bagno a farmi una doccia rilassante, anche
se,
tecnicamente, sono rilassato al massimo.
«Edward?» Sussurra Bella, con voce assonnata,
mentre l’acqua
calda scorre gentile sul mio corpo. Sfrego la mano sul box doccia, in
modo da
vedere la sua sagoma appoggiata sullo stipite della porta.
«Sono qui.» Mormoro,
continuando a guardarla attraverso l’anta della doccia.
«Sono contenta che tu sia qui.» Sussurra,
strappandomi un
sorriso, per poi andare a preparare il caffè. La mattina con
Bella è sempre
così; non puoi fare colazione senza toccare, guardare,
ammirare il suo corpo.
Il modo in cui si muove, il modo in cui mangia o semplicemente parla,
ha una
linea diretta con qualcosa che si trova sotto ai miei pantaloni.
Sbuffo, torturandomi una ciocca di capelli, continuando a
leggere delle formule, che il mio caro suocero mi ha mandato. Funziona
così:
lui mi ha permesso di lavorare qui, in cambio della mia totale
disposizione nei
suoi confronti. Purtroppo non posso oppormi né ribattere, ho
firmato un
contratto con l’anima, solo la morte potrebbe salvarmi.
Aspetto che Black
entri, in modo da continuare con il nostro lavoro. Devo dire che
ultimamente
non ha fatto altro che compiacermi, merita continuare a lavorare con
noi,
merita di sedere sulla mia stessa poltrona un giorno, quando finalmente
potrà
farlo. Solitamente, da ragazzi, scegliamo quello che ci sembra
più opportuno
per il futuro, ci sono quelli che credono che una strada sia quella
giusta, per
poi cambiarla e ricambiarla milioni di volte. Io ho scelto la mia,
subito, in
modo veloce ed efficace. Forse non è la strada giusta, forse
è quella più
dolorosa, difficile, ma non ho altro. Dicono che i soldi non fanno la
felicità,
ma pensandolo sinceramente io non credo sia così. I soldi
fanno gran parte
della felicità. Dicono che è l’amore,
il volere bene, l’affetto a farti felice
molto spesso. Ma se non hai quello, quel qualcosa per cui vale la pena
lottare
allora io credo che per essere felice, io stesso, ho bisogno di questo.
Dei
soldi, del mio lavoro, di tutto quello che inconsciamente mi fa stare
bene e
male al tempo stesso. Forse se tornerei indietro avrei ascoltato mio
padre,
forse avrei potuto rinunciare al mio sogno per vedere il sorriso dei
miei
genitori, per passare il natale in famiglia, senza essere sposato,
magari avrei
conosciuto una ragazza e anch’io, come molti della mia
età, mi sarei
innamorato. Senza questa vita, avrei avuto delle
possibilità, occasioni che ho
sprecato dal momento in cui ho incontrato Mr Denali.
«Dottor Cullen!» Trilla forsennatamente Ben,
spalancando la
porta del mio studio. Mi alzo immediatamente e lo guardo, è
affannato, sembra
più un maratoneta che un infermiere.
«Al pronto soccorso pediatrico, presto!
C’è un bambino di
tre anni che deve immediatamente essere operato.» Urla
gesticolando, facendo
cadere per terra una pila di fogli che aveva tra le mani. Esco
immediatamente
dallo studio, inizio a correre verso l’ascensore, una mano
che non appena
sfiora il mio braccio, riconosco mi ferma.
«Edward.» Mormora Bella confusa.
«C’è un bambino grave di sotto. Devo
andare!» Urlo fuori di
me, spaventato di essere in ritardo. La sento sussurrare un
“vengo con te” ed
insieme camminiamo tra i corridoi arrivando al pronto soccorso
pediatrico. Non
appena Michelle mi vede mi fa cenno di sbrigarmi. La mano di Bella
è
intrecciata alla mia, sembra che stiamo provando le stesse cose, la
stessa
paura, per quel piccolo ancora sconosciuto. Non appena lo vedo, steso
incosciente sulla barella, gli occhi dilatati e i capelli neri
arruffati e
sudati, lo stomaco si stringe in una morsa e realizzo che non
c’è tempo da
perdere.
«Che è successo?» Sussurro, cercando di
mantenere la calma
mentre strappo via i vestiti a quel piccolo.
«È caduto ieri pomeriggio dalla scale con il
triciclo.
Inizialmente non ha accusato dolori o altro, ma stamattina è
svenuto e lo hanno
portato qui.» Mormora Michelle guardandomi seriamente. Scuoto
la testa e inizio
a tastare la testa del piccolo. Ha un bernoccolo evidente dietro
l’orecchio.
Respira regolarmente, grazie alle macchine respiratorie che hanno
attaccato
immediatamente.
«Fate una radiografia completa. Presto!» Spingo la
barella
fuori dalla stanza e un’infermiera lo porta di sotto. Mi
dirigo in sala
operatoria, seguito da Michelle e Bella.
«Cosa pensi che sia Edward?» Mi chiede Bella a
bassa voce.
«Dovrebbe essere un’emorragia interna. Se
è come penso,
dobbiamo aprire il cranio del piccolo, togliere il sangue in eccesso e
ricucire.» Mormoro, cercando di stare calmo. Prendo una
cartellina e aiutato da
Michelle segno i dati anagrafici del piccolo. Rimango immobile non
appena
Michelle mi comunica il cognome. Cullen. Erik Cullen. Tre anni.
«Chi sono i genitori?» Chiedo interessato. Bella ci
guarda
confusa e si acciglia.
«Sono qui fuori.» Mi risponde Michelle. Esco fuori
dalla
stanza e dopo nove anni la vedo, stretta a quello che dovrebbe essere
il
marito, mentre si dispera per il figlio. Alice. Mia sorella. Quella
persona che
riusciva a capirmi, sempre. L’unica che sapeva del mio sogno,
l’unica pronta a
sostenermi. Quella che mi ha fatto più male, tra tutti.
Perché lei era la
persona più importante della mia vita, e avere la
consapevolezza, che
nonostante le promesse di non abbandonare mai l’altro,
nonostante mi ha sempre
giurato che mi avrebbe spalleggiato qualsiasi cosa fosse accaduta, mi
ha fatto
male, vedere, che anche lei non ha capito. Anche lei mi ha abbandonato,
anche
lei ha dimenticato tutto, insieme ai miei genitori. Rientro nella sala
operatoria e Bella mi passa le lastre ed è come avevo
immaginato, emorragia
interna al cranio.
«Dobbiamo aprire il cranio del piccolo Erik. Peter fai
l’anestesia totale. Preparate tutto. Dobbiamo
sbrigarci.» Sussurro infilando i
guanti di lattice. Bella mi guarda con un luce negli occhi che non le
avevo mai
visto. Mi avvicino a lei, chiedendole di tornare da Ben, sarebbe troppo
da
vedere per lei, come prima volta.
«No Edward. Io resto qui.» Sibila, con un tono che
non
ammette repliche. Annuisco e inizio ad operare.
Dopo due ore, dopo aver fatto un’operazione complicata, a
quello che non sapevo fosse mio nipote, Bella mi guarda e mi sorride.
Ho avuto
paura di toccare qualcosa che potesse distruggere il cervello di quel
piccolo
bambino, ma fortunatamente questo non è successo.
È andato tutto per il meglio,
mentre la mano di Bella non lasciava la mia spalla, nemmeno per un
secondo.
Portano il piccolo nel reparto delle degenze e Michelle
viene verso di me sorridendo.
«Devi informare i genitori. Spiegare loro tutto. Ti
aspettano qui fuori.» Dice questo e se ne va. Riduco gli
occhi in due fessure e
annuisco tra me. Esco fuori, preparandomi mentalmente
all’incontro, al primo
dopo nove anni, con mia sorella.
«Edward.» Sussurra Alice, iniziando a piangere, suo
marito,
un ragazzo biondo alquanto minuto la guarda confuso. Comincio a
parlare, prima
che lei possa dire o fare qualcosa.
«Vostro figlio ha avuto un’emorragia interna al
cranio. La
botta ha procurato un ematoma e il sangue anziché uscire,
cosa migliore in
questi casi, si è bloccato, non avendo modo di sfogare.
Abbiamo dato venti
punti di sutura. Adesso si trova al reparto degenze. Potrete restare
con lui
tutto il giorno, solamente uno di voi la notte.» Li informo e
vada via, sotto
lo sguardo disperato di mia sorella.
«Sei stato fenomenale Edward.» Mormora Bella
abbracciandomi,
la giornata di oggi, è finalmente giunta al termine.
Annuisco, grato, anche se
sono ancora scosso dell’incontro con mia sorella.
È rimasta sempre la stessa, è
cambiato solo il suo essere più donna, adesso che
è anche una mamma. Ma sono
felice, per lei. Sono felice di aver salvato suo figlio, che se anche
non lo
fosse stato sarebbe stata la stessa cosa. Miliardi di bambini muoiono
giornalmente,
ed è una cosa che io non concepisco.
«Che succede Edward?» mi chiede Bella corrucciando
le
sopracciglia. Sfila la mia mano che fio a qualche seconda fa era nella
tasca
dei miei jeans, e l’accarezza.
«Niente. Sono un po’ stanco.» Dico,
cercando di sorriderle
teneramente. E in un attimo, senza che entrambi ce ne rendiamo
completamente
conto siamo nudi, sul suo letto, uniti ed ansanti come mai prima
d’ora.
**
«E
così adesso ti sei limitato solo ad una? Mh, strano da
parte tua.» Mormora Tanya distrattamente mescolando il suo
tè. Io la guardo e
rimango impassibile con il naso sul mio giornale.
«Sai Edward, non credevo fosse andata così. Il
giorno in cui
ci siamo sposati, ho sperato, pensato, che potesse davvero funzionare.
Mi
chiedo spesso, come mai non sia successo.»
«Non dovresti poi domandartelo così tanto sai? Non
è così
che una coppia si dovrebbe sposare. In realtà prima si
diviene una coppia, poi
ci si sposa.» Sussurro, appoggiando il giornale
sull’isola della cucina,
guardandola mentre mi rendo sempre di più di quanta
indifferenza ci sia tra noi
due. Mescola il suo tè con nonchalance, come se stessimo
parlando della
pioggia, che, in questo preciso istante, copre i nostri respiri
talmente è
battente sulle finestre di questa grande e lussuosa residenza.
«Perché non va via Edward?» Mi chiede
tristemente. Io la
guardo e per la prima volta sento quella frase che mai e poi mai avrei
immaginato potesse essere pronunciata da lei.
«Non posso.» Mormoro, lanciando il giornale per poi
rinchiudermi nel mio studio. Perché non vado via? Per il mio
fottuto lavoro.
Non so cosa mi è passato dalla mente, quel lontano giorno,
non so perché ho
accettato subito, senza ripensamenti, senza nulla. Il trillo di un
messaggio mi
ridesta e afferro il mio cellulare.
Apri
la
porta. Sono qui.
Bella.
Scaravento il
cellulare per terra e mi porto una mano tra i
capelli. Chiedendomi cosa dovrei fare, come, perché
è qui. Il campanello suona,
e sento i tacchi a spillo di Tanya rimbombare sul pavimento, secondi
che
sembrano ore eterne. Scuoto la testa, rimanendo inerme, quando invece
dovrei
agire e fare qualcosa, ma sento ormai il sapore della sua perdita nelle
mie
labbra.
«Chi è?» Trilla con quella voce da
gallina insopportabile.
Nessuno risponde dall’altro lato della porta. Mi avvicino
lentamente, la porta
è aperta, Tanya è chinata con la testa sulla
scala condominiale.
«Chi è?» Sussurro intimorito.
«Nessuno.» Dice alzando le spalle e chiudendo la
porta.
Aggrotto le sopracciglia e scostando di poco la tendina guardo fuori,
è lì, con
il cellulare tra le mani, si aggiusta una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e
dopo aver riposto il cellulare sulla tasca posteriore del suo jeans
entra nella
sua macchina. La vibrazione del mio cellulare, sulla mia tasca, mi
avvisa di un
nuovo messaggio.
«Ottima scelta Edward. Ricordati della cena di questa
sera.»
Sussurra Tanya, per poi sparire nella sala. Non è
amareggiata o delusa, non le
importa nulla, se non del trucco e dei capelli. Questa è una
delle poche cose
che abbiamo in comune, il fatto di non avere sentimenti, di dare
importanza
alle cose materiali, l’egoismo. Mi infilo sotto la doccia e,
invece di
indossare il mio prezioso smoking che mia moglie ha acquistato per me,
indosso
una tuta. Scendo le scale, sotto lo sguardo infuriato di Tanya e
correndo, come
se fosse appena mattina, come se la mia vita fosse bella, sorridendo
raggiungo
la casa di Bella.
«Edward…» Sussurra Bella confusa, mentre
apre la porta. Mi
infilo dentro con velocità, afferro il suo viso tra le mie
mani e con forza
bacio le sue labbra, appropriandomi di loro, baciandole come se fosse
quel
succo per l’immortalità, perché
è così che mi sento quando sono con lei,
immortale, potente, mi sento capace di poter spaccare il mondo, e se
anche so
che è un’illusione, per pochi attimi, ore, mi godo
quel senso di potere che si
impossessa di me quando sono con lei. Mi perdo in lei, sentendomi
l’uomo
migliore del mondo, il più potente, mi sento bene, protetto.
Vorrei entrare nel
suo corpo almeno ventimila volte al giorno, e ci sono momenti, come in
questo
caso, in cui vorrei entrare dentro di lei per poi rimanerci fino
all’ultimo dei
miei giorni. Non c’è amore tra di noi, nello
strato sottile che divide i nostri
corpi, c’è la passione, quel rosso che ti annebbia
i sensi, facendoti
desiderare, volere al massimo tutto ciò che lei, il suo
corpo può darti. Quella
sensazione di essere sospesi in aria, quel motivo per sorridere mentre
il mio
membro affonda con prepotenza in lei, i suoi sospiri e i suoi gemiti
sono quel
qualcosa che vorresti sempre sentire, ed è questo che
intendo quando dico che
si; vale la pena nasconderle la mia vita, tutto quello che di oscuro mi
appartiene. Le nostre fronti sono appiccicate tra di loro, come i
nostri corpi,
i suoi capelli accarezzano le mie spalle con delicatezza, provocandomi
dei
brividi, sensazioni mai provate prima. Sussurra che vuole di
più, e l’accontento,
non pensando al momento in cui mi chiederà quel di
più che potrebbe significare
la fine di questa splendida avventura. Tanya, suo padre, Alice, Erik, i
miei
genitori, la mia vita adolescenziale, il giorno della mia laurea,
diventano
ricordi di vetro che in un battito di ciglia diventano frantumi,
distrutti,
come se in questo momento non esistono, come se quel passato, quella
gente
fossero solo protagonisti di un brutto sogno, come se non fossero
reali, come
se la realtà fosse questa. Io e Bella. Io e la mia passione.
Io e il sesso, la
chiave di tutto questo. Spingo sempre più forte, tentando
invanomdi entrare
ancora di più dentro di lei, solo dopo che le sue pareti
intime si sono strette
attorno al mio sesso, il mio sperma marchia il suo centro, rendendo
ancora una
volta questa donna mia, marchiandola nell’anima,
perché da qualche mese a questa
parte io sono dentro di lei che dal suo campo è entrata
prepotentemente dentro
di me. Mi addormento sfinito, stretto a lei, l’unica ragione
per cui non sono
davvero impazzito, con la consapevolezza che domani mi aspetta un
rimprovero da
parte di mio suocero, ma che questa notte sarà una delle
migliori della mia
vita, se tale si può definire.
«No!
Non mi interessa! Puoi andartene!» Urlo fuori di me, di
fronte a quella che dovrebbe essere considerata mia sorella.
L’ho trovata nel
mio studio questa mattina, con le braccia conserte e
un’espressione dura in
viso, l’ho colta alla sprovvista rivelandomi ancora
più furioso di lei.
«Edward! Quando imparerai? Eh? Guardati sei patetico, hai
rovinato la tua vita!» Urla, noncurante dei passi che si
sentono lungo il
corridoio. Sei patetico, hai rovinato la tua vita. Sei
patetico, hai rovinato la tua vita. Sei patetico, hai rovinato la
tua vita. La frase di mia sorella rimbomba nella mia mente,
cerco di
scacciarla, ma rimane lì nella sua costante e assolutamente
sincera verità. Mi
guardo, lo vedo, la pateticità,
l’inutilità, la mia vita che in un giorno
è
scivolata via dalle mie mani come se fosse costruita da tanti piccoli
granelli
di sabbia. E lei lo sa, tutti quanti lo sanno.
«Mi sono sposato. Ho il lavoro dei miei sogni. Ho i soldi,
ho il lusso.» Sibilo cercando di convincerla di quella
assurda menzogna,
facendolo credere che sono fiero di me, della strada che parandomisi
davanti
sto percorrendo a testa alta. Ma che invece all’interno di me
stesso, vedo solo
un uomo finito, un uomo inutile, un uomo vuoto, triste, senza arte
né parte, un
uomo che non merita di essere chiamato tale.
«Sei mio fratello, ti conosco meglio di nostra madre. Non
puoi mentirmi Edward. Lasciati aiutare da me. Permettimi di
ringraziarti per
aver salvato la vita di mio figlio.» Sussurra addolcendo il
tono della voce,
scoppio a ridere ma subito dopo mi ricompongo, ricordando le volte che
usava
quel tono con me, quando voleva essere accompagnata ad una festa,
quando mi
chiedeva come le stava il vestito che indossava. Ma sono cambiato
adesso, e lei
si è rivelata una delle mie peggiori delusioni.
«Non ho bisogno di te Alice. Non più
adesso…» Dico lasciando
il discorso in sospeso, e se il suo carattere è ancora
quello di una volta, non
demorderà e continuerà a perseguitarmi, ma non
è lei che vuole farlo, è
comandata dal suo senso colpa. Quel senso di colpa che ha fatto breccia
nel suo
cuore, dal momento in cui ha realizzato che se lei fosse davvero
rimasta dalla
mia parte adesso io sarei un’altra persona. Una lacrima riga
il suo viso, la
sua mano la caccia via come se fosse un’altra umiliazione
farsi vedere in
questo stato da me, e solo dopo essersi ravvivata i capelli, gira il
busto e va
via. Ancora una volta, come quel lontano giorno di Luglio nove anni fa.
No, non è un
miracolo. Ho aggiornato per davvero! Spero di non avervi
deluso, ma ho traslocato e non ho avuto
molto tempo, e non ne ho nemmeno tanto adesso. Ma il prossimo
aggiornamento ci
sarà e non dovrete aspettare così tanto! I
promise. Spero come sempre che
il capitolo vi sia piaciuto, anche se
sì! Me ne rendo conto non è uno dei migliori,
anzi credo che sia il peggiore,
il più corto e il più meno interessante! Okay, me ne vado. Fatemi sapere! Accetto
le critiche costruttive. Un bacio, grazie per
chi non ha dimenticato questa storia,
nonostante il ritardo. Roby <3
Capitolo 6 *** You've built a love but that love falls apart. ***
Embrace
Me With Your Mind.
You've
built a love but that love falls apart.
Dopo
l’intrusione di Alice nel
mio studio, mio suocero, ovviamente, è stato messo al
corrente di tutto. Di suo
figlio operato da me e ricoverato nella sua azienda ospedaliera.
Incazzato come
non mai, sia per la mia assenza a cena quella sera, sia per aver saputo
del mio
dialogo con mia sorella. Mi ha minacciato, dicendomi che quella sarebbe
stata l’ultima
volta che qualche membro della mia famiglia mi avrebbe rivolto la
parola, o
sarebbe stato peggio per loro. E nonostante dovrei fregarmene altamente
della
mia famiglia, non posso dare il via libera a Mr Denali. Nonostante
quelli che
dovevano supportarmi nel bene o nel male, mi hanno voltato le spalle
dandomi addosso,
nonostante io fossi convinto che mio padre fosse il migliore del mondo
rivelandosi invece il peggiore, non posso fare finta che loro siano
morti, o
peggio ancora, farli uccidere dagli aguzzini del padre di mia moglie.
Sbuffo
sonoramente, rimanendo spaesato e scioccato, non appena il mio indice
tocca la
mia guancia adesso inumidita da una lacrima. E per la prima volta in
vita mia,
forse sto piangendo. Perché mi sono realmente reso conto del
volere bene che
provo nei confronti di quella famiglia che mi ha, e che ho abbandonato
nove
anni fa. Che l’essere umano sbaglia, ed io, loro, abbiamo
sbagliato. Ma che se
anche nella vita sbagliamo non dobbiamo essere giustiziati per questo.
Perché
solo adesso mi rendo conto, che non sono stati solamente loro ad
abbandonarmi,
gettandomi tra le braccia del destino amaro, ma l’ho fatto
anche io, perché se
forse avrei fatto come mio padre comandava non sarei a questo punto.
Tante volte
immagino come sarebbe la mia vita in quel caso, forse sarei un semplice
uomo
scapolo, o magari sarei appena sposato, con la donna che amo, con
quella
persona di cui sarei stato dipendente. Scuoto la testa, odiandomi per
tutto
quello che ho fatto in questi ultimi anni. Ma nonostante
ciò, nonostante io
stesso pensi di essere l’uomo più vile e cattivo
al mondo, nonostante io sembri
quella persona che non ama, non ha sentimenti, non ha un cuore,
nonostante
tutto ciò che di marcio c’è in me,
voglio cambiare. Voglio migliorare la mia
vita, voglio mandare tutto all’aria, anche il mio lavoro,
voglio provarci e per
farlo, devo andare da una persona a dire la verità. Guarda
la radiosveglia, che
segna le quattro del mattino, e una parte di me vorrebbe correre a casa
di
Bella già da subito, ma di certo, presentarsi ad un orario
poco consono come
questo, non servirà ad ammorbidire la sua reazione dopo aver
scoperto con che
razza di uomo abbia passato del tempo, e non solo. Guardo il corpo di
Tanya,
sdraiato a fiancoa
me, chissà lei, cosa
pensa di tutto questo. Di come abbia accettato questo matrimonio,
fallito
ancora prima di essere cominciato. Eppure, se provo ad immaginare un
suo
pensiero, nulla di concreto appare alla mia mente, perché
lei è come suo padre,
una persona a cui importa solo il bene materiale, i soldi, il lusso.
Come me,
fino a qualche giorno fa. Sono stato trascinato nella loro tela,
diventando
quell’uomo che pian piano stava odiando se stesso,
quell’uomo che molto spesso
nelle favole odiamo, quell’uomo che non è poi
tanto uomo. Mi rigiro tra le
lenzuola strusciando la mia fronte sudata contro il tessuto fresco del
cuscino,
ma niente, più penso, più sudo, più mi
asciugo sentendo l’odore della mia
malinconia sul tessuto dove sono disteso, più le gocce di
sudore imperlano il
mio corpo, la mia anima. Chiudo gli occhi, contando fino a quando i
miei occhi
si chiudono e il subconscio, stanco e assolutamente sfinito, crolla nel
mondo
dei sogni, quel mondo dove ci è permesso fare, dire, agire
come meglio
crediamo, quel mondo che è bello, perché non
è reale.
«Edward, stasera. C’è la cena
per la beneficenza, ci saranno tutti gli impiegati
dell’ospedale. Non. Devi.
Mancare.» Sibilla minaccioso mio
suocero,
staccando il telefono senza mai salutare, cosa a cui sono abituato.
Afferro la
mia giacca, salutando Jacob e dirigendomi verso casa di Bella, che
oggi, ha il
giorno libero.
«Ciao piccola.» Sussurro tra i
suoi capelli, mentre mi abbraccia calorosamente. Questa volta non mi
sono
buttato su di lei, rischiando di strapparle i vestiti per la foga,
evitato di
salutarla per la troppa fame di lei, quando si tratta di Bella sono
ufficialmente un ingordo. E non so perché con lei accade
tutto questo, ma in
lei c’è qualcosa, quel qualcosa che mi fa
soffermare più del dovuto alla sua
persona, a quello che c’è all’interno di
lei, quel qualcosa che aumenta la mia
adorazione nei suoi confronti giorno per giorno. Perché lei
non è quella donna
da una botta e via, perché lei è intelligente,
dolce, carismatica, perché lei
meriterebbe l’amore di uomo alla sua altezza, meriterebbe
cuori e fiori,
meriterebbe una stella, il mondo intero.
«Come stai?» Mi chiede delusa,
sicuramente di non aver ricevuto nessun assalto.
«Bene, un po’ stanco. E tu?»
Lei alza le spalle e mi sorride contagiando anche i suoi splendidi
occhi grandi.
Mi fa cenno di seguirla in cucina, e versa un po’ di
tè in due tazze.
«L’ho appena fatto.» Sussurra.
Tolgo la mia giacca, appoggiandola sulla sedia e mi avvicino a lei.
Prendo le
sue mani tra le mie e ne accarezzo le nocche. La sua espressione
è nervosa, non
voglio immaginare quella che assumerà tra qualche ora o
minuto. Mi guarda negli
occhi, collegando le nostre menti, come solo lei sa fare. Una lacrima
solca il
suo viso ed io la raccolgo con un bacio. Ormai non mi faccio
più alcun problema
ad essere dolce con lei, lo merita.
«Cosa c’è piccolina?» Dico,
calcando quel nomignolo che tanto le si addice. Lei scuote la testa e
mi
sorride.
«Nulla. Mi sei mancato oggi.»
Ma so benissimo che non è solo questo.
C’è tensione tra di noi, causata dalla
rivelazione che dovrò farle, ansia che io le ho portato e
che lei, sensibile
com’è ha subito colto. Accarezzo
l’incavo del suo collo con il palmo della mano
e lei inclina la testa. Mh…il suo odore è
delizioso. E in un attimo, tutti i
buoni propositi di dirle la verità vanno a farsi fottere,
ancora. Le sue mani
dolci e delicate, realizzate dalla stessa consistenza della nuvola,
scivolano
tra i miei capelli, per poi scendere più giù e
far sparire la mia camicia in un
battito di ciglia. Accarezzo i suoi fianchi, magri ma abbastanza
morbidi, tante
volte i miei denti non hanno saputo resistere a quella morbidezza,
lambendo
anche quella parte del suo corpo. Accarezzo i suoi seni, nudi, come il
resto
del suo corpo, e la mia lingua inizia una lenta e passionale tortura,
tormento
a cui entrambi non possiamo fare a meno. I suoi gemiti aumentano, non
appena la
penetro con un dito, per poi aggiungerne un secondo. Le sue mani
rischiano
seriamente di strappare i miei capelli e sento la sensazione familiare
della
sua intimità che si stringe attorno al mio dito. Preme le
sue unghia sulla mia
spalla e se anche dovrebbe provocarmi dolore, non fa che aumentare il
mio tasso
d’eccitazione. Ormai l’ho capito, è come
una droga, è come una dose abbandonata
pronta per essere usata dal più abile tossico, è
come una sigaretta per un
fumatore che non fuma da mesi. Alzo le sue gambe all’altezza
delle mie spalle,
appoggiandole nella mia clavicola, e senza barriere, dato che da
qualche
settimana prende la pillola, faccio sprofondare il mio membro in lei. I
suoi
occhi si sgranano, per la sorpresa, per l’intrusione
più profonda delle
precedenti e inizia ad ansimare, contorcendo il suo corpo, la visione
di lei,
persa totalmente nella nostra bolla, della sua bocca aperta tanto
è il piacere,
è una di quelle cose che non ti stancheresti mai di vedere.
Adoro il suo corpo,
la sua mente, il suo profumo, il suo sorriso, i suoi occhi, quel che ho
capito
della sua anima. Adoro lei, ma ho paura di questa cosa, che
prepotentemente si
è fatta spazio dentro di me. Spingo il mio membro sempre
più in profondità,
desiderando, ogni volta, di arrivare sempre più in fondo. I
suoi polpastrelli
stringono forsennatamente la mia spalla ed il suo respiro è
mozzato, roco,
assolutamente eccitante. Ed è questo che intendo quando
dico: stare bene.
«A cosa pensi?» Mi chiede
Bella, distesa sul mio petto. Scuoto la testa e le mi studia con i suoi
occhi
magnifici.
«Edward…vorrei dirti tante
cose. Vorrei passare le notti a parlare, per conoscerti meglio, vorrei
tante
cose.» Sussurra senza mai smettere di guardare i miei occhi.
«Parliamo.» Dico mentre le
sorrido affettuosamente. Quel giorno passammo il pomeriggio a parlare.
Mi
raccontò della sua infanzia, di quanto goffa fosse, anche se
io risposi che per
me è sempre adorabile, in qualsiasi situazione. Mi
raccontò delle noiose
mattinate a pesca con il padre, persona che le manca molto,
più di tutti i
familiari che vivono a Manchester. Mi raccontò del suo primo
ragazzo, mi
raccontò un sacco di cose, ma l’unica cose che
sono davvero riuscito a capire,
l’unica cosa a cui ho fatto davvero caso è lei,
il, suo modo di fare, di
parlare, la sua tenacia quando racconta qualcosa. Non so cosa mi sta
succedendo, so solo che ho paura…paura di perderla per
sempre, nonostante la
nostra non è una relazione fissa, stabile. Io dal mio canto
le dissi tutto ciò
che mi riguardava, tranne di Tanya, ovviamente e della mia famiglia.
Eppure la
tentazione di dirle tutto c’è stata, ma ho quel
brutto presentimento che blocca
la mia voce nel momento in cui decido che è il momento. Ma
non passammo tutto
il pomeriggio solo a parlare, lo passammo anche a guardarci negli
occhi, mentre
la mia mente veniva avvolta dal calore del suo abbraccio.
Guardo Bob
– il ginecologo dell’Hospital
Charing Cross - mentre mi racconta di una delle sue gite in montagna.
Fingo di
guardarlo – come ogni volta- e di ascoltarlo.
C’è un sacco de gente, molte persone
a me ancora sconosciute, nonostante gli otto anni di presenza
lì dentro da
parte mia, ci sono tutti i miei colleghi, felici che possono scroccare
una cena
dal capo per questa sera, c’è Marie nel suo
splendido abito color senape. Ma la
trovo affascinante perché lo è realmente, ma
questo non mi porta più a
desiderarla in certi modi. Tra la folla incrocio lo sguardo di Jacob
Black e o
lo champagne mi va di traverso, facendomi tossire rumorosamente,
così tanto che
Bob è costretto a picchiare più volte nella mia
spalla. Mi guardo attorno,
vedendo Tanya con il braccio appoggiato sulla spalla del padre, che
parla
animatamente con un uomo piuttosto vecchio, con due grandi occhiali da
vista.
Mi dirigo in bagno, deciso a chiamare Bella, per sentire che piani ha
per
stasera. Ma non appena prendo il cellulare, l’icona di un
nuovo messaggio fa
bella mostra di sé, chiudo gli occhi, strizzando forte le
palpebre e premo il
dito sul pulsante per aprire quel fottuto messaggio che mi ha messo
troppa
ansia ancora prima di leggerlo. Volevo
farti una sorpresa, non dicendoti nulla.
Ma
sono qui con te e ti ammiro da lontano.
Tua
Bella.
Strabuzzo gli
occhi, sentendomi
profondamente in colpa, e in una situazione piuttosto drastica. Afferro
un
ciuffo dei miei capelli tra le dita e lo tiro talmente forte da
provocarmi
dolore. Fisso lo schermo del mio cellulare come se così
facendo da un momento
all’altro quel messaggio possa sparire. Bussano alla porta,
anzi bussare non è
proprio il termine esatto, qualcuno lì fuori si è
deciso a volere buttare giù
la porta della toilette maschile.
«Edward?» Chiama mio suocero,
facendomi imprecare a bassa voce. Mi guardo allo specchio, stampando
uno dei sorrisi
più falsi che io sia mai riuscito a fare ed esco, sicuro che
questa sarà la
notte più bastarda di tutta la mia vita. Guardo attorno alla
sala, ma niente,
non la vedo. E non sono tranquillo senza averla sott’occhio.
Tanya si siede a
fianco a me, e spero vivamente che non si comporti come fa solitamente
agli
occhi della gente, in pratica sta appiccicata a me, riempendomi di baci
sul
collo, cosa che fortunatamente non mi ha mai fatto vomitare sul piatto
dove
stavo cenando. La cena prosegue e di Bella nemmeno l’ombra,
Ben è qui con la
sua famiglia ma non ho intenzione di chiedergli nulla, per quanto
riguarda la
presenza di Bella. Come ogni serata come questa si presenta
l’ora delle aste.
Mio suocero, a cui non dispiace essere costantemente al centro
dell’attenzione,
inizia a descrivere gli oggetti e gli immobili in vendita, soldi che
dice
andranno tutti in beneficenza, quando invece li intasca lui e chi tiene
la
bocca chiusa, dichiarando che il grande e magnanimo John Denali per
l’ennesima
volta ha sfamato un sacco di persone del terzo mondo. La voce di
quell’uomo mi
ha sempre intimorito ed è una delle cose che odio di
più, il fatto che il solo
tono della sua voce comandi la mia mente, possedendola, facendo di lei
ciò che
lui meglio crede. Tanya stringe un braccio attorno alla mia vita,
appoggiando
il capo sulla mia spalla, vorrei darle un spintone per farla rimbalzare
fuori
dal ristorante, ma gli occhi del padre sono costantemente posati su di
me, mi
tiene d’occhio.
«Infine. La villa a schiera a
Vancouver di mia figlia Tanya Denali e del marito
Edward Cullen.»Tutti quanti in sala
applaudiscono, mi guardo ancora attorno e la vedo. Bella. Che fissa la
mano di
Tanya poggiata sulla mia coscia, il trucco è sbavato, le sua
labbra tremano e
mi guarda disperata. Boccheggio in cerca d’aria, provando
qualcosa che mai
avevo provato nel vederla in questo stato. Scuote la testa con un mezzo
sorriso
amaro e scappa via dalla sala, noncurante dello sguardo confuso delle
persone
che aveva di fianco. Una lacrima solca il mio viso incontrollabilmente,
facendomi chiedere il perché. Dopo qualche ora congediamo
tutti e torniamo a
casa. Lascio salire Tanya, dicendole che devo fare una cosa importante
e lei,
come sempre, con la sua assoluta indifferenza agita la mano a
mo’ di saluto,
ancheggiando verso il portone principale del grattacielo.
Come accade nel novantanove
percento dei casi, Bella non ha voluto saperne di aprire la porta.
Scendo in
macchina, recuperando le chiavi che lei stessa mi aveva consegnato
all’inizio
della nostra relazione, inconsapevole che io l’avevo presa
come mia amante.
Apro lentamente la porta e la
trovo rannicchiata sul divano, con una montagna di fazzoletti addosso
ed una
barattolo grande di nutella vuoto.
«Bella.» Sussurro amareggiato. Lei
alza lo sguardo su di me, guardandomi con disprezzo, facendomi
ammutolire all’istante.
«Vattene via Edward.» Mormora
con un tono che non ammette repliche. Resto in silenzio torturandomi le
mani.
«Bella…» Mormoro con tono
sofferente, il suo sguardo che dal primo momento mi è
sembrato uno dei più
caldi, adesso è glaciale, coperto da quella lastra di
ghiaccio che è la
delusione.
«Non voglio più avere a che
fare con te.»
«Lasciami spiegare.» le dico
avvicinandomi, convinto a volerle dire tutta la verità,
quella verità che mai
nessuno ha mai saputo, quella che non ho mai voluto rivelare.
«Non c’è nulla da spiegare o,
semplicemente da chiarire, la verità è chiara
come il sole. Avresti dovuto
immaginare che lo avrei saputo prima o poi. Mi avevano avvertito, ma il
mio
amore per te non mi ha mai fatto credere alle voci, che credevo
malsane.»
Sussurra con la voce rotta dal pianto, rimango in silenzio, mentre una
lacrima,
l’ennesima di questa sera, solca il mio viso. Lacrime che mai
avevo versato nel
corso della mia vita, nemmeno quando mi ero convinto che la mia vita si
sarebbe
distrutta.
«Si Edward. Perché purtroppo io
ti amo. Dal primo giorno che ti ho visto, ho sentito quelle famose
farfalle di
cui parlano i libri e le Sit-Com. Mi sono data a te, in modo veloce e
senza
preamboli, solo per il semplice fatto che inconsapevolmente mi ero
innamorata
di te al primo sguardo, in modo fottutamente prematuro, in modo
sbagliato.
Sapevo che non sarebbe stato facile con te, ma credevo che oggi
pomeriggio,
abbiamo parlato tanto, avevo creduto di aver raggiunto un piccolo primo
traguardo. Perché adesso sono io quella che deve cancellarti
dalla mente, sono
io che pur non avendoti mai pressato su nulla sono quella che si
è scottata in
questa cosa. Non pensavo tu fossi così. Adesso vai via
Edward. Ti prego, non
peggiorare il mio stato più di quanto tu non abbia
già fatto.» Dice tra un
singhiozzo e l’altro. Il suono del suo pianto così
disperato mi lacera l’anima.
Facendomi odiare me stesso, più di quanto io non abbia mai
fatto. Guarda il
pavimento, per evitare di guardare i miei occhi e cedere, ancora una
volta alla
tentazione, perché nonostante ci sia una catastrofe in
corso, c’è tensione
sessuale, nonostante i suoi sentimenti per me piano piano potrebbero
trasformarsi in odio mi desidera, come mai prima d’ora. Lo
vedo nei suoi gesti
nervosi, lo sento nella sua voce, si percepisce nell’aria.
«Solo una cosa Edward, perché
mi hai fatto questo? Perché proprio a me?»
Sussurra piangendo come una bambina,
e questo fa più male di qualsiasi altra cosa, senza rendermi
conto di niente mi
sento come se stessi per morire, senza una ragione valida.
Perché se anche so
benissimo che lei non meritava questo, perché se anche per
me è sempre e solo
stato sesso, mi sento come se anch’io stessi per cadere a
pezzi.
«Perché ti ho desiderato dal
primo momento. Perché tu hai qualcosa che mi ha spinto a
pensare solo a quanto
bene stavo con te. Perché ho avuto paura di perderti
dicendoti la verità.»
Mormoro con il cuore in mano, per la prima volta in vita mia.
«Fa male Edward. Fa ancora più
male perché credevo che fossimo perfetti, credevo che anche
tu, nel tuo piccolo
mi amassi almeno la metà di quanto lo faccio io. Ero
convinta di aver costruito
un amore, ma questo amore è finito.» il mio
sguardo incredulo fissa le sue
mani. Chiedendomi come mai, questa giovane e intelligente ragazza si
sia
innamorata di uno stronzo come me, chiedendomi come mai io non me ne
sia mai
accorto. E come quando si hanno delle rivelazioni, immagini ben
definite si
prendono gioco della mia mente: lei che mi sorride mentre facciamo
sesso che
per lei era fare l’amore, lei che mi accarezza mentre opero
mio nipote, il suo
sguardo fiero quando riuscivo a curare un bambino, il suo sorriso pieno
di
mille promesse, la sua anima che mi dava amore senza che io me ne
rendessi
conto, il suo cuore che lei aveva affidato alle mie mani, di cui io non
sono
riuscito a prendermi cura. Rimango in silenzio e immobile incapace di
fare
qualsiasi cosa, mentre ancora le lacrime non vogliono saperne di
fermarsi.
Forse piango per il senso di colpa, forse piango perché ho
deluso l’unica
persona che è riuscita ad amarmi nonostante la mia anima
nera e vuota.
«Non…non puoi far finta che questa
sera non sia mai esistita?» chiedo rendendomi immediatamente
di quanto suoni
indecente questa proposta. Lei, infatti, sgrana gli occhi e scuote la
testa
scoppiando in una risata isterica.
«Tu. Sei. Fuori.» Sibilla con
un’espressione che non ammette repliche. Si alza dal divano,
scostando i
fazzolettini, facendo una smorfia disgustata e si avvicina a me piano.
Avvicina
le sue piccole mani al mio petto e inizia a schiaffeggiarlo, per poi
tirarci
dei pugni. Ma non sa che non crea alcun dolore, perché
niente è peggio del suo
viso stravolto e disperato a causa mia.
«Sei un bastardo. Sono stata
una stupida illusa. Ti odio. Ti odio. Ti odio! Esci fuori dalla mia
vita Edward
Cullen! Non voglio più avere a che fare con te!»
Urla fuori di sé, scoppiando a
piangere, graffia le mie mani immobili, come il resto del mio corpo,
consapevole che merito tutto questo. Fa un passo indietro, ma inciampa
in
qualcosa e l’afferro prima che cade.
«NON TOCCARMI!» Sibilla con
sguardo omicida. Sgrano gli occhi allibito da tanta
intensità, nelle sue
parole, nel suo sguardo carico d’odio. Rimango pietrificato a
guardarla mentre
si siede per terra in un angolino portandosi le ginocchia al petto e
poi
scoppiare in un pianto disperato, un suono che è troppo
doloroso da udire.
Passa un’ora, io in piedi di fronte a lei, che non ha ancora
smesso di
piangere, alza il viso e mi guarda stanca, come se avesse paura di
continuare a
lottare, come se avesse paura della persona che ha di fronte: me.
«Vattene Edward.» Sussurra
stanca. Decido che è meglio darle del tempo, anche se dubito
possa cambiare
idea e vado via. Sperando di tornare presto.
Eccomi. È corto, lo
so. Ma sono
successe un sacco di cose. Volevo chiedervi solo
una
piccola cosa…volete un Pov Bella? Per capire da che punto di
vista vede la
cosa? Dell’amore che lei prova per Edward? Oppure volete
continuare a
stare nella testa del lunatico Edward Cullen? Fatemi sapere eh!
Così comincio
a scrivere :3 Grazie a tutte quante,
per l’affetto
che mi date, anche solo leggendo questa storia. Un bacione Roby <3
Capitolo 7 *** But Just Give Me, huh, what I Know is mine. ***
Embrace
Me With Your Mind.
But Just Give Me, huh, what I Know is mine.
Un mese
dopo.
Accarezzo le mie
labbra con un dito,
togliendo il residuo di Whisky, togliendo dalle mie labbra quel
retrogusto
amaro che può mandarti fuori di testa. Ma non è
quello il mio intento,
ubriacarmi non mi porterà da nessuna parte. Oggi
è domenica, l’ennesima senza
di lei, una triste e immutabile domenica, dove continuo imperterrito
con l’odio
verso me stesso. Perché una soluzione
c’è a tutto dicono, e lei l’ha trovata.
È
andata via, dall’ospedale, da me. È tornata a
Manchester dai suoi, ed io mi
sento solo come mai prima d’ora. Solo con me stesso, con
l’uomo che io stesso
odio, solo con il mio rancore, con la mia malinconia, con il mio senso
di colpa.
Nonostante io non sia l’uomo di cui una donna si
innamorerebbe facilmente, lei
mi ama o mi amava, lei era riuscita a vedere dentro di me, trovare in
me
qualcosa per cui valeva la pena amarmi.
Dicono che la vita, è ingiusta
per dei motivi ben precisi, la gente si lamenta della propria vita,
dando la
colpa al caso, dando la colpa alle persone che circondano quella vita,
dando la
colpa a Dio. Ma nel novantanove per cento dei casi, siamo noi stessi a
volere
il nostro male, siamo noi che mandiamo a rotoli la nostra vita, noi
stessi.
Rimpiangere il passato ormai non ha più senso, quindi per
continuare questo
gioco che è la vita stessa ho solo due alternative: lasciare
il mio lavoro, e
quindi divorziare oppure, continuare a fare il burattino nelle mani di
quel
viscido di mio suocero. Tante volte, nel corso di questi ultimi anni,
mi sono
chiesto se valeva davvero la pena lottare per i sogni, mi ripetevo
sempre che
il lavoro segreto e l’università, mi avrebbero
permesso di sorridere un giorno,
che mio padre prima o poi avrebbe capito le mie aspirazioni, invece
questo non
è successo. Dicono che i sogni esistono per essere liberati
da quel famoso
cassetto, io ci credevo, ero convinto che il mio lavoro avrebbe
riempito il mio
cuore, che non importava del resto se facevo qualcosa che amavo al
cento per
cento. Eppure, da quando ho incontrato Bella, sono stato costretto a
ricredermi. Mi sono sentito incompleto, una sensazione che mai aveva
sfiorato
lontanamente la mia anima. Ho creduto per pochi istanti che la mia vita
fosse
vuota, l’ho creduto per poi esserne del tutto convinto. E lei
mi manca, mi
manca più della mia famiglia, mi manca più del
mio lavoro alla domenica, mi
manca come se fosse l’aria che respiro. Perché
nonostante il mio tentativo di
autoconvincermi che il cinico e freddo Edward Cullen non vuole bene,
non prova
emozioni, non riesce ad abbracciare, non ama, non ci sono riuscito.
Allora cosa
è questo senso di vuoto all’altezza del cuore?
Perché mi sento solo da quando
gli occhi di lei hanno smesso di guardarmi? Perché vorrei
prendere a calci il
mondo, vorrei fare di tutto per poter sentire il respiro di lei?
Perché preferirei
morire che stare ancora un minuto di più senza di lei?
Perché nonostante tutto,
mi sono innamorato dell’unica persona che ha saputo amarmi
davvero. Mi sono
innamorato dell’unica persona che ha saputo abbracciarmi con
la mente
immediatamente. Mi sono innamorato di quella persona che quando la vedo
il
cuore perde un battito, quel cuore che credevo perduto da tanti anni.
Mi sono
innamorato, ma l’ho capito quando quell’amore
è stato distrutto.
Sorseggio il mio
caffè, anche
se mi verrebbe voglia di tirarlo al muro, per vedere se, magari,
potrebbe
cambiare gusto, ho sempre odiato il caffè dei distributori,
eppure eccomi qui,
come ogni mattina a berlo. Marie passa con la sua cartellina in mano,
ammiccando
verso la mia direzione, ma io, come nell’ultimo periodo,
continuo a bere il mio
caffè ignorandola, so per certo che vorrà delle
spiegazioni, ma sinceramente
non è questo il mio problema al momento. Una donna mi da le
spalle, la sua
chioma liscia e perfettamente pettinata, color oroondeggia sulle sue spalle. Questa è la donna
che riconoscerei tra mille, Esme, mia madre. Mi si gela il sangue nel
vederla,
strizzo gli occhi e corro verso il mio studio, non prima di strappare
con un
gesto veloce la targhetta con su scritto il mio nome nella porta. Jacob
continua a scrivere la sua relazione ed io tiro un sospiro di sollievo.
Le
opzioni sono due: o mia madre è qui per qualche problema in
particolare, oppure
mia sorella le ha detto dove lavoro, sapevo che non appena mia madre
avrebbe
avuto una minima possibilità di incontrarmi avrebbe scalato
montagne
ripidissime anche solo per vedermi. Ricordo che quando ero a scuola,
lei
qualche volta veniva al mattino per parlare con i professori, dato che
i
colloqui erano spesso di pomeriggio e lei era sempre impegnata con il
suo amato
lavoro: arredatrice di interni. Ricordo che non appena finiva di
parlare con i
professori, veniva a sbirciare nella mia classe per vedere cosa stessi
facendo,
quando tornavo a casa le chiedevo il perché e lei mi
rispondeva sempre: c’è
sempre un buon motivo per ammirare i figli mentre loro non se ne
accorgono. Una
fitta allo stomaco mi fa piegare in due, ma non è dolore
fisico, è un dolore
che solo adesso sto cominciando a conoscere, è un dolore che
c’è sempre stato,
ma che non ho mai sentito perché non sono mai stato fragile
come adesso. Il
bussare alla porta mi fa sobbalzare e con uno scatto repentino mi alzo
dalla
sedia, sotto gli occhi incuriositi di Black, che non fa altro che
ignorarmi da
quando Bella è andata via, dicendo che non riusciva ad
essere compatibile con
la persona che avrebbe dovuto indirizzarla al suo lavoro: me.
«Prego.» Sussurro, dando il via
libera alla persona che ha appena mimato un “toc
toc”. E dato che era non
scontato, ma prevedibile, mia madre apre la porta del mio studio. I
suoi occhi
mi squadrano a fondo, diventando visibilmente lucidi, io faccio lo
stesso.
Pensando a quante volte ho immaginato il viso di mia madre,
l’immaginato
diverso, più invecchiato, ho immaginato il suo viso pieno di
rughe, ho
immaginato in tanti modi diversi il viso della persona che mi ha messo
al
mondo, e forse l’ho immaginato bene, ma non lo vedo, vedo
davanti a me solo, ed
esclusivamente, la donna più bella dell’universo,
la mia mamma. Restiamo in
silenzio, guardandoci negli occhi, vedendo la nostalgia nello sguardo
dell’altro,
ci sarebbero tante cose da dire, da analizzare per poi chiarire, eppure
entrambi
non riusciamo a spezzare quell’emozione che il silenzio e la
complicità dei
nostri sguardi ha creato. Un sorriso timido spunta nelle sue labbra, e
non
posso fare a meno di ricambiare, quando ad un tratto
l’incantesimo si spezza e
una lampadina si accende nella mia mente.
«Vai via! Adesso, subito!»
Esclamo senza alterarmi, mia madre sobbalza spaventata e una nota di
delusione
mischiata alla malinconia, passa nell’azzurro dei suoi occhi.
«Ti prego. Non puoi stare qui…lui...oh
chi se ne frega.» mormoro fuori di me, torturandomi i capelli
con le mani, mia
madre, dal suo canto, rimane confusa a guardarmi, non appena una
lacrima solca
il suo viso gira il busto per andare via. Con una mossa veloce le
prendo il
braccio dolcemente e le do un bacio sulla guancia, gesto che mi
è mancato tanto
fare. Lei mi abbraccia e scoppia a piangere, facendomi commuovere,
anche se
forse non merito questo. Le intimo di andare via, dandole appuntamento
all’Hilton
per le cinque di oggi, lei se ne va via annuendo confusa. “Sai a cosa andrete in contro, non appena
uno dei Cullen abbia un
minimo contatto con te.” Strilla la voce di Denali
dentro di me. Mille
volte mi sono chiesto come mai un essere umano possa essere
così vile come lui,
senza cuore, con un’anima colorata di mille sfumature di
nero. Incontrare mia
madre è stato quel motivo che non mi ha fatto pensare Bella
in tutta la
mattinata, dopo un mese, ho pensato a lei, ricordandomi di quanto amore
mi ha
donato fino all’ultimo istante che ha potuto.
«Ciao
Mamma.» Sussurro
imbarazzato, verso mia madre che sorride emozionata. Lei mi fa un cenno
di
salute, e so benissimo che non parla perché altrimenti
scoppierebbe a piangere.
Rimaniamo in silenzio, bevendo il nostro tè, e mi vengono in
mente mille cose
da dire, mille discorsi da chiarire, mille modi per dirle che io le
voglio bene
e che sono stato il figlio più stronzo del pianeta, eppure,
gli occhi di mia
madre lasciano morire le mie parole in gola. Perché non
appena io aprirei la
bocca, si alzerebbe la voce, arriveremo a dire cose che poi pensandoci
ci
diciamo: potevo risparmiarmele. Gli occhi di mia madre,
quell’azzurro che tante
volte io stesso ho fatto diventare ceruleo liquido, sono sempre accesi,
senza
nessuna ombra di vecchiaia, lei è sempre uguale,
è sempre la donna più bella
del pianeta. Passa mezz’ora, in silenzio, guardandoci negli
occhi, non mi sento
a disagio e riusciamo entrambi a sostenere lo sguardo
dell’altro, mia madre mi
sorride e fa una smorfia, che ancora ricordo molto bene, sta iniziando
a
parlare.
«Edward. Sono così felice di
vederti. C’è una cosa però, che mi
addolora, sono i tuoi occhi. Ricordo che
quando sei nato, le mie sorelle e le mie amiche erano invidiose, per la
bellezza del bimbo che avevo messo al mondo, te. I tuoi occhi verdi
erano
scintillati, pieni di vita, e mano a mano che passavano gli anni
diventavano più
intensi, accesi, sinceri. Amavo tutto di te, ma niente più
dei tuoi bellissimi
occhi, quel passa porta per arrivare alla tua mente quando tu non
volevi.
Adesso, dopo lunghissimi anni, non li riconosco più, questi
che hai adesso, non
sono gli occhi di mio figlio.» Sussurra con voce flebile,
stanca forse di
ricordare per parlare di tutto quello che di male ci siamo fatti
entrambi.
Continuo a guardarla, incapace di parlare o anche solo fare un qualche
cenno
con il capo. Perché ha ragione, non sono più quel
figlio che tanto amava e di
cui andava fiera, non sono più quel figlio per cui vale la
pena anche solo
soffrire. Torturo le mie mani, cercnaod in tutti i modi di non far
intendere il
mio disagio alla donna che mi ha messo al mondo e continuiamo a
guardarci negli
occhi, come se avessimo paura che questa fosse l’ultima
volta. Ricordo ancora
quello sguardo, che ancora aleggia nei suoi occhi, il giorno che me ne
sono
andato, non c’era rabbia né delusione,
c’era rassegnazione, c’era paura, c’era
ancora un po’ di affetto.
«Perché hai fatto tutto questo
Edward?» Mi chiede con la voce di chi sta per piangere. Io
scuoto la testa e
alzo le spalle.
«Perché volevo inseguire il mio
sogno, ma l’ho fatto nel modo sbagliato.» Sussurro
rendendomi conto della
verità assoluta nelle mie parole. Lei mi guarda e una
lacrima solca la sua
guancia, vorrei avvicinarmi e asciugarla con una bacio, ma rimango
fermo, come
sempre.
«Tuo padre è stato ingiusto. Ma
voleva un futuro sicuro per te, qualcosa che potesse garantirti a vita.
Non
voglio giudicarti per questo, anzi, inseguire i propri sogni
è la cosa che
ognuno di noi dovrebbe fare. Ma non c’era bisogno di alzare
tutta quella
polvere, conosci tuo padre, sai che se insistevi per
l’università lui prima o
poi avrebbe ceduto. Ma siete entrambi testardi. Non voglio metterti
pressione,
non adesso, non dopo nove anni. Ma Edward? Non penso che nessuno abbia
meritato
questa guerra.» Mormora guardandomi negli occhi, parlandomi
con tono
autoritario. Mi sistemo meglio sulla poltrona in vimini e unisco le
mani a mo’
di preghiera e le porto alle labbra, chiudo gli occhi e strizzo le
palpebre tra
loro.
«Mamma, ci sono tante cose
sbagliatein tutto
questo.» Mormoro più
a me stesso che a lei.
«So che ti sei sposato, Edward.
Tua sorella odia questa cosa.» Annuisco alla sua
affermazione, sorridendo
automaticamente mentre penso a quella svampita di mia sorella.
«È stato un matrimonio per
interesse…» Racconto a mia madre tutto quello che
è successo un mese dopo
essermene andato da casa. Del matrimonio, di quel contratto che
involontariamente ho lasciato che la mia anima firmasse,
all’accordo con
Denali, di non avere più contatti con la mia famiglia, mia
madre mi ascolta
senza interrompermi, ma son le lacrime a farlo, il suo sguardo
eufemisticamente
addolorato. Eppure mi sento meglio, mentre parlo con lei, mentre per la
prima
volta dico la mia verità, mi sento come se pian piano mi
stessi liberando di
questo peso che ho nel cuore da anni. Mi sento rinato, come se parlarne
con mia
madre fosse la soluzione necessaria, ma tutti compreso me, sappiamo
quanto
pochi svincoli ci siano senza soluzioni, senza via d’uscita.
Parlo a mia madre
del mio sentirmi un uccello in gabbia da quanto ho sugellato il patto,
da
quando il mio anulare ha toccato l’oro freddo della fede
nuziale, di quanto io
odi la mia vita, nonostante il mio sogno di pediatra si sia avverato.
«Dobbiamo trovare una
soluzione.» Dice convinta di ciò. Io scuoto la
testa e rimaniamo in silenzio.
«Non dovrei nemmeno essere qui.
Non voglio che vi succeda qualcosa, abbiamo provocato già
troppo dolore.»
«Ma perché questo patto della
famiglia? Noi non lo conosciamo nemmeno!» urla fuori di
sé, beccandosi occhiate
curiose dalla gente che ci circonda. Il cellulare di mia madre squilla
e lei
risponde immediatamente.
«Devo andare tesoro. Alice ha
bisogno di una mano per il compleanno di Erik. Mi ha chiesto di
invitarti.»
Mormora guardando le mie mani, ancora unite tra loro.
«Ci vediamo stasera. Dammi l’indirizzo.»
Sussurro porgendole il mio biglietto da visita, dalla parte opposta,
quella
bianca e vuota. Lei lo scrive e abbracciandomi forte mi saluta. La
guardo
mentre va via, e una lacrima solca il mio viso, l’emozione
dell’aver visto mia
madre ha resistito fino ad adesso.
Sistemo come
meglio posso la
mia cravatta mentre Tanya punta i suoi occhi su di me, è
furiosa, ma non ho
tempo per lei, sono sicuro che prima, questa sera, dovrò
affrontare la rabbia
giustificata di mio padre.
«Dove vai?» Mi chiede, come
ogni volta.
«Esco. Mica una novità.» Sbuffo
spazientito, afferro le chiavi ed esco sbattendo forte la porta di
casa. Scrivo
l’indirizzo nel Tom-Tom e parto, accorgendomi di quanta poca
distanza ci sia
tra casa mia e quella di mia sorella.
Suono alla porta, sospirando e
sperando che la serata non finisca nel peggiore dei modi. Forse non
sarei
dovuto venire, forse in questo modo peggioro le cose. Forse dovrei
tornarmene
indietro. Ma il fatto è che ho voglia di vedere la mia
famiglia, ho voglia di
passare una serata con loro, ho nostalgia dei discorsi corti ma pieni
di senso
di mio padre. Quell’uomo che ho odiato, ma che adesso mi
manca terribilmente.
«Ciao Edward.» Sussurra Alice
abbracciandomi forte. Intravedo mio padre, sotto lo sguardo di mia
madre e c’è
tanta gente.
«Sono contenta che tu sia
venuto.» Mormora baciandomi la guancia, mio padre a questa
visione sorride e
tiro un sospiro di sollievo. Cautamente mi avvicino a mia madre che
è incollata
a mio padre. Sapendo che devo essere io a fare il primo passo, dato
l’orgoglio
e la mentalità antica di mio padre, secondo lui il figlio
devo sempre chiedere
scusa al padre, deve sempre essere l’unico a sottomettersi in
questi casi. Cosa
che io non ho mai accettato, ma che questa sera eliminino dalla mia
mente,
convincendomi che quello è mio padre, che mi manca, he ho
bisogno di lui
nonostante il mio metro e ottanta e i miei trent’anni. Un
sorriso che non
riesce a trattenere spunta delle sua labbra, contagiandomi flebilmente.
Mi
avvicino e guardo i suoi occhi, invecchiati, come qualche capello
bianco che
aleggia sulla sua testa.
«Ciao papà.» Mormoro
imbarazzato, cosa che lui nota e si avvicina abbracciandomi
calorosamente.
Scoppia a piangere sulla mia spalla e tutta la disperazione,
l’odio verso me
stesso, la tensione, il matrimonio, mio suocero, Tanya, vengono fuori
liberandomi tramite un pianto misto tra nostalgia e liberazione. Mia
madre si
avvicina emozionata e ci guarda. Io e mio padre rimaniamo abbracciati
per un
tempo infinito, senza accorgerci della gente che
c’è intorno, fregandocene. Mio
padre inizia a parlarmi dell’azienda, senza farmi pesare la
mia mancanza lì
dentro. Mi parla di un suo vecchio amico, Alfred, uomo che mi ha
cresciuto
insieme alla mia famiglia, che è morto in un incidente
stradale. Mia sorella mi
prende sotto braccio, facendomi conoscere gli invitati.
«Lui è Jasper.» Sussurra,
indicandomi il ragazzo che qualche settimana fa era con lei in
ospedale.
Stringo la mano al ragazzo e lo guardo.
«Tuo marito.» Affermo guardando
Alice.
«Non siamo ancora sposati. Ho
voluto aspettare che si fosse sistemato tutto con te prima.»
mormora mia
sorella abbassando lo sguardo. Rimango pietrificato, accorgendomi di
quanto
ingiusti siamo stati l’uno verso l’atra. Mi passo
una mano sul mento guardando
mia sorella, che mi sorride, nonostante tutto. Nonostante tutto mi
hanno
accolto come se nulla fosse successo. E mi sento un verme,
perché non posso
vederli quando voglio, non posso trascorrere il natale con loro, non
finché
Denali avrà vita.
Mia sorella mi trascina da una
parte e l’altra della casa, seguita da suo figlio che gioca
con il suo
monopattino. Mi lascia un momento vicino al buffet, afferro un calice
con del
vino bianco e inizio a sorseggiarlo.
«Questo è mio fratello.» Sento
sussurrare, mi volto e con immenso piacere, gli occhi di Bella si
scontrano con
i miei.
È cortissimo, lo
so, ma la mia
mente non ha potuto fare di più. Questo non
è semplicemente un
capitolo di passaggio, succedono parecchie cose no? :3 Devo scappare!
Ahm…grazie Ami!
Senza di lei che mi sopporta non so se
ce la potrei mai fare. Un bacione! Roby <3
«E-edward.»
Sussurra mentre il sorriso che aveva prima di
guardarmi negli occhi svanisce in un attimo, colpito da mille
sensazioni negative,
la sua reazione, ovviamente, mi lacera il cuore, ancora di
più, cosa che
credevo impossibile.
«Bella io.» Sussurro, fermandomi a guardare mia
sorella,
facendole capire che voglio restare da solo con lei, ma mia sorella,
con un
sorrisetto furbo stampato in viso mi guarda…impreco dentro
di me, contro mia
sorella ma mantengo il contatto visivo con Bella, che dopo qualche
secondo
abbassa lo sguardo imbarazzato, un sorriso timido mi travolge e noto
con
piacere che le faccio sempre lo stesso effetto. Non può
davvero aver smesso di
amarmi, lo vedo dal suo sguardo, lo vedo dai suoi movimenti lenti e
nervosi, lo
vedo dai suoi occhi, lo specchio della sua anima, l’anima
più bella che il mio
essere abbia mai potuto conoscere. Le porgo la mano, azzardando il
gesto, che
lei non accetta ritraendosi ma senza dare nell’occhio, e
allora annuisco impercettibilmente,
non è pronta. Rimango qui senza andare via, nonostante la
voglia causata dal
suo senso di rifiuto mi costi un certo sforzo per farlo. Andarmene da
qui,
adesso, sarebbe come arrendermi, e non intendo farlo, sarebbe come
darmi da
solo in pasto ai leoni. Senza farle accorgere di nulla, avvicino la mia
gamba
alla sua, mentre lei è deliziosamente intenta a parlare con
mia sorella, sfioro
la sua coscia con il mio polpaccio, e il mio cuore pare che sia
ricominciato a
battere, il suo contatto mi mancava, la sua pelle così
liscia e calda, il mio
rifugio, la mia casa, il mio mondo perfettamente imperfetto. Lei si
ritrae
pericolosamente e mi guarda con sguardo omicida, nella folla non riesco
a
sentire cosa comunica ad Alice, ma non appena la vedo trafficare con la
borsa e
la giacchetta mi rendo conto che sta andando via. Saluto velocemente
mio padre,
dicendogli che andrò presto a trovarlo, facendo la stessa
cosa con mia mamma e
cerco Bella con lo sguardo, ma non c’è da nessuna
parte, è andata via. Scendo
velocemente le scale e m'infilo in macchina con un’unica,
assoluta, necessaria
meta: casa di Bella. “Sto arrivando, sto venendo a riprendere
quello che è
mio”.
«Edward! Vattene, ridammi quelle dannate chiavi e vattene
via immediatamente!» Urla allibita, guardandomi con sguardo
furibondo,
incredulo. Non si aspettava la mia testardaggine, non si aspettava che
io fossi
ancora in possesso delle chiavi di casa sua. Mi passo una mano tra gli
occhi,
cercando di non demordere e sperando di concludere qualcosa, almeno
questa
sera.
«Bella ti prego! Parliamone, hai ragione! Avevi ragione, non
lo avevo capito, ma io ti amo. Ti amo dal primo giorno che ti ho visto,
ti amo
dalla prima volta che il tuo corpo si è sincronizzato con il
mio. Ma la mia
vita, la mia anima non riusciva ad ammetterlo. Ti prego, dammi una
possibilità,
dimmi cosa posso fare per riaverti ancora, per sempre. Ti prego
Bella…» Mormoro
disperato, sotto il suo sguardo ancora furioso, scoppia una risata
isterica
che, stento a credere che sia lei a ridere in questo modo.
«Basta Edward! Non cercare di riempirmi di balle come hai
fatto per tutto il tempo in cui mi sono donata a te! Come hai potuto
dormire la
notte in quel periodo? Sapendo che usavi una ragazza solo per
scopartela? Hai mentito
Edward, mi hai distrutto, è questo il prezzo che devi
pagare.» Urla stremata,
come se avesse appena percorso dieci chilometri correndo. E per la
prima volta
in vita mia ho paura, terrore di averla persa per sempre. Consapevole
di essere
un eterno fallito, ho avuto la possibilità di divenire un
uomo migliore al suo
fianco, una persona buona, il vero me, al suo fianco, ma stare insieme
con lei
era forse un privilegio per una persona vile come me, il suo destino,
il
destino di una giovane, brillante e stupenda ragazza, non ha voluto un
uomo
cattivo, un uomo che pensa sempre e solo al bene materiale, nel suo
cammino.
Perché stare al suo fianco, permetterle di amarmi, essere
accolto a casa da una
persona che so che mi ama per davvero, era la cosa migliore che potesse
mai
capitarmi. Con la coda tra le gambe, lancio le chiavi sul divano e con
un
sospiro da parte sua, esco da quella casa, sapendo che sarà
per sempre. Non mi
vuole più nella sua vita. L’ho distrutta.
L’ho ferita. Da uomo inutile quale sono,
ho rovinato anche la sua vita. Guardo la mia macchina, ma la ignoro
continuando
a camminare. Oggi ci sono le stelle, cosa assolutamente strana,
poiché
trecentosessanta giorni su trecentosessantacinque piove. Ricordo che
quando ero
piccolo, quelle rare volte che affacciavano le stelle in cielo, ero
felice, me
ne stavo quasi tutta la notte a guardarle, a fantasticare su di loro,
creando
favole, creando personaggi reali nella mia mente. Adesso le guardo,
pensando
che non abbiano più alcun senso, hanno perso il loro valore,
perché quando
perdi l’amore che senso ha guardare le stelle? Quando ti
rendi conto che la
persona che vedi riflesso al tuo posto è solo un povero
essere umano che si
odia, a che servono le stelle? Quando perdi tutto, quando ti rendi
conto del
valore che aveva quello che hai perso, cosa te ne fai delle stelle?
Assolutamente
nulla. Le stelle sono necessarie per quando siamo piccoli, ci aprono la
porta
della fantasia, ma una volta che scopri qual è la vera vita,
le stelle sono
solo degli insulsi puntini bianchi sul cielo.
Mi siedo sulla
poltrona di pelle color écru, all’interno di
uno dei ristornati più costosi dell’Inghilterra e
aspetto Mr Denali, che
urgentemente ha prenotato due posti un’ora fa. La mia mente
formula mille
domande, a cui, ovviamente non oso dare risposte, e cerco di non
pensare e
Bella, in modo che non possa essere più nervoso e intimidito
dal solito, dal
potere, dalla cattiveria del padre di mia moglie. Mi guardo attorno,
sperando
che lui arrivi presto, in modo che prima finisca questa messa in scena
patetica, il genero e il suocero che pranzano amichevolmente.
All’inizio del
mio matrimonio, il rapporto con Denali era normale, tranne che per
qualche
pensiero mio, del non volere innamorarmi per forza di una persona che
principalmente non sopportavo. Passando gli anni, si è
accorto del mio essere
totalmente indifferente con la figlia, del mio menefreghismo, non ha
mai
accennato di licenziarmi, non lo farebbe senza una motivazione valida,
adesso,
dato che in tutti questi anni, paradossalmente grazie al suo aiuto,
sono
diventato uno dei pediatri più famosi della
città. Licenziarmi sarebbe un passo
falso per lui, uomo consapevole dei miei pensieri riguardo al mio
matrimonio.
Eppure, fino a qualche periodo fa avrei fatto di tutto per il mio
lavoro,
adesso mi capita di pensare che la cosa migliore sia licenziarmi e
vivere la
mia vita, in modo definitivo.
«Perdona il mio ritardo Edward.» Sussurra mio
suocero, io alzo
le spalle e lui mi guarda negli occhi. Prendiamo le ordinazioni e lui
non
accenna a nulla, se non alla pioggia che oggi non ci fa compagnia.
Abbasso lo
sguardo, evitando ancora una volta i suoi occhi nei miei, avendo paura
di
quello sguardo che brucia a contatto con il mio campo visivo. Iniziamo
a
mangiare e un moto di rabbia silenziosa s’impossessa di me,
perché diavolo non
la fa finita di far finta che sia tutto okay? Perché non
parla? Alzo gli occhi
al cielo, cosa che lui non si fa fuggire e il suo sguardo mi
incenerisce per
pochi attimi.
«C’è un motivo per cui siamo qui
Edward.» Sussurra,
pulendosi la bocca con il tovagliolo. Io annuisco e aspetto che parli.
«Sai Edward…nella mia vita ho sempre cercato di
avere tutto
sotto controllo. E, infatti, è così. Il giorno in
cui ti trovai, eri solo un
ragazzino convinto di sapere ciò che voleva dalla vita. Ora
mio caro, c’è
qualcosa che devi dirmi?» Mi chiede tenendo sempre il tono
della voce basso. Mi
guardo attorno, disagiato per colpa sua, e il mio orecchio destro
brucia e
pulsa per la tensione che sento montarmi dentro ogni volta di
più, non rispondo
alla sua domanda e lui ovviamente continua a parlare.
«Sei un povero stupido se pensi che io non sappia dove sei
stato ieri sera…» Mormora con tono per niente
amichevole. Deglutisco
ripetendomi che non devo farmi impaurire da lui. Lo guardo con tono di
sfida,
cercando di fargli capire che no, non importa che lui sappia, non
importa se
manderò a rotoli quello in cui ho creduto fin ora, non
importa che io perda
tutto, perché il tutto che intendo io l’ho
già perso.
«Ti avevo avvertito Edward. Non mi lasci altre
possibilità…»
Dice guardandomi negli occhi, marchiandomi con il suo sguardo ardente.
«Perché?» Chiedo spaesato, parlando per
la prima volta. «Perché
ce l’hai tanto con me? Cosa ti ho fatto? Cosa ha la mia
famiglia che non va?»
Chiedo alzando di poco il tono della voce, confuso, estraniando per la
prima
volta le domande che ho sempre voluto fargli. Lui scoppia a ridere
fragorosamente e si porta una mano sullo stomaco, duro e gonfio.
«Se avessi avuto qualche problema con te, non saresti di
certo
diventato uno dei medici più richiesti della
città, se avessi avuto qualche
disguido con te potevi dimenticarti il tuo bel sogno di pediatra.
Quando ho
deciso di aiutarti, mi hai detto che mi avresti dato qualsiasi cosa in
cambio,
non ti ho chiesto nulla. Solo di non avere più contatti con
i tuoi familiari,
cosa che inizialmente ti stava bene. Cosa è cambiato
adesso?»
«ERO SOLO UN RAGAZZINO!» Sbotto buttando fuori
tutta la mia
ira e alzandomi dal tavolo, mi guardo attorno, accorgendomi che non
c’è più
nessuno, è deserto. Lui mi guarda alzando un sopracciglio e
ridendo.
«Sei solo Edward. Come sempre, per sempre.» Mormora
prima di
alzarsi e andare via. Prendo a pugni la mia testa e tiro calci alle
poltrone
che mi trovo attorno, mi sfogo urlando e picchiando tutto quello che
c’è qui
dentro, ma mi sento libero, ad ogni pugno sferrato sul tavolo la mia
anima
geme, sospira di libertà, sono licenziato è ormai
un dato di fatto, ma non mi
sono mai sentito più libero di così. Inizio a
correre, uscendo dal locale,
ignorando la mia macchina, e sorridendo.
«Bella
apri ti prego! Per l’ultima volta.» Urlo disperato,
cancellando il sorriso che mi ero dipinto in viso poco prima. La porta
finalmente si apre, rivelandola più bella che mai. Il suo
corpo è fasciato da un
vestitino verde di cotone, i suoi piedi sono nudi e i capelli sono
legati in
una coda di cavallo. Non si sposta per farmi entrare, ma il semplice
fatto che
sia ancora qui a guardarmi è qualcosa di positivo.
«Voglio parlare con te…ti prego, se non ti
convinco adesso
poi andrò via.» Sussurroquasi
piagnucolando. Un peso sullo stomaco si fa presente al pensiero di
averla persa
per sempre. Lei inclina la testa di lato e mi guarda diffidente. Dopo
parecchi
minuti, che sono sembrate ore si sposta lasciandomi entrare. Non appena
supero
l’uscio l’abbraccio stretta a me, annusando
l’odore dei suoi capelli,
quell’essenza che per tempo ho desiderato sentire, per troppo
tempo. La stringo
ogni secondo più forte in modo che se andrà via
da me per sempre, io possa
sentire ugualmente la consistenza della sua pelle. Un sospiro esce
dalle sue
labbra e vorrei stare così per sempre. Il suo corpo,
irrigidisce a causa del
mio abbraccio, si rilassa, alzo gli occhi al cielo e sorrido tra me.
«Muoviti Edward. Non ho tutto il tempo del mondo.»
Sussurra
cercando di volermi sembrare acida, ma ovviamente da pessima attrice
quale è,
il suo sussurro più che altro sembra un invito a continuare
a stringerla a me.
Allontano il viso dalla sua spalla e la guardo negli occhi, non
c’è l’astio che
c’era l’ultima volta, non c’è
la stessa intensità di rabbia. Le mie dita
afferrano la pelle del suo bacino e sospirando penso alle parole da
dire. Molte
volte, alla sera, quando la mancanza di lei perforava il mio petto, mi
sono
preparato un discorso strappalacrime da farle, che adesso, ovviamente
ho
dimenticato. Ingoio a vuoto e il suo piede inizia a sbattere sul
pavimento,
incitandomi a parlare.
«Okay. Ehm…ecco io… » Mi
passo una mano tra i capelli,
mentre lei riesce a contenere quello che sembra un sorriso, mi convinco
che era
davvero un sorriso e chiudo gli occhi per qualche istante,
estraniandomi dal
mondo intero, pensando solo a noi due, ai nostri occhi incastonati,
alle nostre
mani intrecciate tra loro e i pensieri e le parole vengono da
sé guidate da
quella strada immensa e assolata che sono i sentimenti.
«Bella io ti amo. E so che è tardi per dirlo,
forse anche
sbagliato ma è così. Quando ti ho persa ho capito
il tuo vero valore, ho capito
che non posso vivere senza di te, che la mia vita è un
immensa cosa assurda
senza di te. Non so se questo è il momento adatto per
dirtelo, forse è assurdo,
scontato, ma ti amo, scontatamente lo faccio. Il giorno della mia
Laurea, mio
padre, mi ha cacciato di casa. Lavoravo come accompagnatore per le
donne per
pagarmi gli studi…» Raccontai a Bella ogni singola
cosa della mia vita, fino al
giorno in cui la incontrai. Le dissi che da quel giorno la mia vita
ebbe
inizio, che lei era l’unica motivazione per vivere la mia
vita, che ero un uomo
vile, cattivo, che la sua presenza riusciva a tirare fuori il vero
Edward
Cullen, quello che è capace di amare, quello che sorride
perché vuole farlo,
quello per cui vale la pena amare e lottare. I suoi occhi si riempirono
di gioia
non appena le dissi quanto importante fosse per me, per poi ricadere
subito
dopo nella rabbia, quando le ho detto del mio matrimonio, fatto di
interessi e
sotterfugi. Forse il mio matrimonio sarà quello che
distruggerà il nostro
amore, perché un uomo che sposa per interesse non
è un vero uomo, ed io non lo
sono, o almeno non lo ero fino al giorno in cui l’ho
conosciuta. Volevo che
quella ragazza intimidita da me diventasse la mia donna, e avevo tutta
l’intenzione
di riuscirci. Presi un respiro profondo e aspettai la sua sentenza.
«Ecco cosa nascondeva Alice.» Sussurra piano a
sé stessa.
Rimaniamo a fissarci in silenzio, lei pensa a cosa fare, a cosa dirmi,
io
aspetto la sua sentenza cercando di prepararmi al peggio. Si alza dal
piccolo
divano e inizia a camminare per tutta la stanza, torturandosi le mani,
cercando
forse, il modo migliore per dirmi che non ho colto
l’occasione per dirle tutto
questo ambaradan prima. Sospira e si siede sulla sedia, lontana da me,
scuoto
la testa impercettibilmente e deglutisco, sento già sulla
mia lingua il sapore
della sua perdita.
«Il giorno in cui ti ho visto per la prima volta, ho pensato
che non potesse esistere uomo più prepotente di te. Ed
è vero, purtroppo, dato
quello che mi hai appena detto. Vedi Edward, quando abbiamo pranzato
insieme,
io ho visto il vero te, nonostante quel giorno tu stavi progettando il
modo per
portarmi a letto, e ci sei pure riuscito senza troppo preamboli. Volevo
credere
che, quello che vedevo oltre quello che il mio cuore volesse vedere, tu
fossi
diverso, che il tuo essere “sono il re del mondo”
fosse solo una maschera.
Invece Edward, tu seidue
persone messe
insieme, tu sei il buono e il cattivo, sei rude e sei dolce. Ed
è questo che mi
ha fatto innamorare di te, un senso di protezione si è
acceso quando mi sono
resa conto di essermi innamorata, come se tu avessi bisogno
d’amore per
rimanere solo una persona, posso dire di averci provato ma non di
esserci
riuscita. L’amore non va via facilmente, quindi, anche se mi
duole ammetterlo,
io ti amo. Però non posso vivere così, non posso
continuare ad infliggermi il
dolore, il senso di colpa per amare una persona che non sarà
mai mia.»
Sussurra, per poi avvicinarsi, alzo il sopracciglio chiedendomi il
perché di
quell’allontanamento e mi concentro sulle sue parole,
rendendomi conto della
verità all’interno di esse, rendendomi conto che
vogliamo la stessa cosa.
«Io voglio solo te. Ho capito che sarei disposto a tutto per
te.» Mormoro come un bambino che ha appena smesso di
piangere. Una lacrima
scende sul suo viso roseo e diafano, una combinazione che ho sempre
amato su di
lei.
«Saresti disposto a lasciare tua moglie, il tuo lavoro per
me?» Mi chiede con gli occhi sgranati, non riuscendo a
nascondere l’eccitazione
nella sua voce.
«Sì. Sì. Sì! Diamine
sì Bella! Perché io ti amo, te l’ho
detto mille volte in un solo giorno, eppure tu sei qui a dubitarne
ancora!»
Dico enfatizzando. Lei si alza e con uno slancio si butta tra le mie
braccia.
Le sue labbra veloci e forti si impossessano nelle mie, afferro il suo
viso tra
le mie mani e mi riapproprio delle sue labbra, della sua essenza, tengo
gli
occhi aperti, cosa che non faccio mai, per vederla per catturare il suo
viso in
uno dei nostri momenti magici, per poi pensarla in questo modo, per
sostituire
i suoi occhi pieni di astio a questo. Accarezzo la sua pelle, e la
riconosco, l’uomo
riconosce le sue cose, e lei è mia, qui ancora una volta
pronta per me, ancora
una volta a mia disposizione, ancora una volta a darmi la sua fiducia.
I suoi
vestiti ben presto lasciano il suo corpo per accarezzare il marmo duro
e lucido
del pavimento, in compagnia con i miei abiti, per la premura, la
passione, la
voglia repressa che abbiamo di noi non ci spostiamo nemmeno in camera
da letto,
come eravamo soliti a fare. Con un’autorità che
non credevo fosse capace di
avere, mi fa stendere sul piccolo divano, dove i miei piedi, colpa
della mia
altezza, fuoriescono. Afferro i suoi seni tra le mie mani e butto la
testa all’indietro,
mi è mancata troppo, in tutti i sensi possibili. Mi sorride
contagiando anche
gli occhi, avvicina la mia bocca alla sua e senza farmene rendere
nemmeno conto
il mio membro è dentro di lei. Inizia a muoversi veloce
cavalcandomi, ma io
afferro con forza i suoi fianchi obbligandola a fermarsi.
«Piano.» Sussurro, facendole intendere che non
voglio
correre, non voglio far finire questo momento magico, anche se sono
consapevole
che non ci fermeremo qui stanotte, voglio godermi lei, in tutti i modi,
in modo
da cancellare quella solitudine che si era impossessata di me, in modo
da
dimenticare il suo dolore che si era propagato nella mia anima. La sua
bocca si
storce in una smorfia tenerissima e piano inizia a muoversi, alternando
ogni
spinta ad un bacio, aggiungendo qualche parola sussurrata catturata dal
vento
causato dai suoi capelli che si muovono a sincrono con noi. I suoi seni
balzano
ad ogni movimento e questa visione rischia di uccidermi, e penso che
non ci sia
modo migliore per morire. Ormai l’ho capito, dipendo da lei,
dal suo amore, dal
mio, e non c’è cosa più bella che il
mio cervello abbia mai realizzato.
È
ormai sera, mi incammino in bagno e non appena varco la
soglia la vedo, con il lenzuolo avvolto sul corpo e lo sguardo fuori
dalla
finestra, nel cielo.
«Un penny per i tuoi pensieri.» Mormoro facendola
sobbalzare, si avvicina e me sorridendomi dolce e bacia
l’incavo del mio collo.
«Stavo pensando, a cosa servono le stelle?» Mormora
appoggiando la testa sulla mia spalla. Vorrei dirle che l’ho
pensato anch’io,
che mi sono chiesto tante volte la stessa identica cosa, senza riuscire
a darmi
una risposta. E invece bacio la sua fronte e sussurro:
«Servono per rendere
magici i nostri momenti da umani innamorati.»
Eccoci
qui! Non ho nulla da dire riguardo questo capitolo…spero
come sempre che lo farete voi. E spero che smetterete ti odiarmi Edward
lol
anche se l’odio è stato totalmente giustificato.
Se volete, ho scritto una nuova storia qui c’è il
link: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1975444&i=1
Grazie per il supporto di tutte quante, grazie
infinitamente.
A presto.
Un bacione Roby <3
È
tarda sera, mentre saluto Bella nel silenzio della sua
casa, silenzio sconvolto solo dal canto leggero degli uccellini posati
sopra
gli alberi. I suoi occhi mi implorano, perché sto tornando a
casa e ha paura
che una volta andanto via da qui io possa ricredermi su quello che le
ho detto,
su quello che abbiamo condiviso per l’ennesima volta qui. Non
sapevo cosa
volesse dire fare l’amore, eppure ci sono riuscito, non
pensavo solo ed
esclusivamente ad affondare in lei, ma la veneravo, cercando di farla
sentire
amata, dove prima le avevo dato un morso adesso
c’è il marchio di un mio bacio.
Non sapevo cosa significasse amare fino ad oggi una persona, ma Bella
mi ha
fatto vedere questa faccia dell’amore da tutti i lati.
L’amore non è sempre
rose e fiori, l’amore può uccidere anche
l’uomo più forte, l’amore può
rendere
felice anche l’uomo più triste. Io non so in
quella categoria apparterrò un
giorno, so solo che voglio andare avanti con questa cosa,
perché ho capito che
nella vita amare è fondamentale, più dei soldi e
del lusso, più della vita
stessa. Sposto il peso da un piede all’altro guardando la mia
donna triste che
inclina il capo. Afferro il suo viso tra le mie mani dandole un bacio
pieno
d’affetto.
«Tornerò qui. Tornerò
dall’amore.» Sussurro senza darle il
tempo di rispondere e scendo le scale. Quando ero un adolescente mi
piaceva
leggere, i miei amici, i miei compagni di calcio mi prendevano in giro
per
questo, alcune ragazze credevano che io fossi dell’altra
sponda. Io mi chiedevo
sempre: “è così strano vedere un essere
umano di sesso maschile leggere un
libro?”. Ad ogni modo non mi importava, i libri riuscivano a
prendermi dentro
l’anima, quando leggevo un libro non vedevo più
quello che avevo attorno,
vedevo solo me in mezzo a quei personaggi. Mi immaginavo anche io un
giorno in
preda all’innamorando. Ho sempre amato la letteratura ed
è strano perché chi
ama un libro ama sognare, ed io invece mi sono intrappolato in una
realtà
troppo dura e spregevole. I libri parlano tanto dell’amore,
parlano di farfalle
nello stomaco, parlano del desiderio che si ha verso la persona che si
ama,
della stima, della venerazione e molti libri riescono a rendere il
concetto
chiaro come l’olio, eppure, nonostante miliardi di libri io
abbia letto questa
cosa per me è nuova. Bella è la mia
novità, quell’incentivo per aiutarmi ad
uscire dal baratro, l’arcano necessario per poter vivere.
Perché l’amore non è
dare senza pretendere? L’amore non è razionalmente
irrazionale? Annuisco a me
stesso, rendendomi conto che sto per diventare pazzo, follemente
innamorato,
cosa che mai e poi mai mi sarei aspettato. Parcheggio l’auto,
consapevole che è
l’ultima volta. Sono le nove di sera, mi sto comportando
bene, dopotutto.
«Ciao Edward.» Mormora Tanya con gli occhi lucidi e
rossi.
Mi avvicino a lei, cercando di capire cosa deve dirmi. Faccio un cenno
di
saluto con il capo e aspetto che lei parli, ma dopo dieci minuti non
parla,
siamo immobili nel corridoio d’ingresso in piedi che ci
fissiamo.
«Sono licenziato.» Mormoro cercando di spezzare il
silenzio.
Alcune lacrime bagnano le sue guance e io corrugo le sopracciglia. I
singhiozzi
iniziano a scuotere il suo corpo ed io mi avvicino portandola in cucina
dove le
porgo un bicchiere d’acqua. Non so perché, ma lo
sto facendo, mi fa tenerezza,
forse amare fa parte anche del diventare magnanimi con le persone che
mai
avresti pensato ti poter esserlo? Scuoto la testa, sorpreso del mio
comportamento e aspetto che parli.
«Non sei licenziato. Mio padre vuole darti un’altra
occasione.» Mormora tristemente. Io la guardo con sguardo
interrogativo ma lei
si alza e va a letto. Mi siedo sullo sgabello con una mano sotto al
mento. È
impossibile che non mi abbia licenziato, aveva detto che un qualsiasi
passo
falso da parte mia avrebbe compromesso la mia carriera di medico,
eppure adesso
pare si sia tirato indietro. Arriccio le labbra e scuoto la testa,
è
impossibile.
«Dottor
Cullen?» Mi chiama Ben affacciando dalla porta del
mio studio.
«Chiamami Edward, Ben!» Esclamo esasperato, per la
ventesima
volta. Ho sempre dato il permesso di darmi del tu a Ben, ma da un
orecchio gli
entra mentre dall’altro gli esce. Lui mi sorride ed io
ricambio.
«Ci sono quattro appuntamenti per oggi. Black si è
preso l’influenza.»
Mormora confuso con le scartoffie tra le mani.
«Isabella?» Chiedo mentre mi abbasso sotto la
scrivania per
accendere il computer dello studio. Ben mi guardo confuso e poi sospira.
«Si è ritirata…credevo di avertelo
detto.» Mormora,
finalmente dandomi del tu. Annuisco
con vigore, pensando come mai Bella non abbia ripreso a lavorare.
Scuoto la
testa e mi preparo alla mia giornata lavorativa. Tra gli appuntamenti,
noto che
il primo è Erik Cullen. Strabuzzo gli occhi, chiedendomi
come mai questo sia
umanamente possibile ma non appena realizzo la cosa mia sorella entra
con suo
figlio, ormai del tutto guarito.
«Alice.» Sussurro flebilmente, lei mi sorride e
indica suo
figlio. Si chiude la porta alle spalle e si accomoda.
«Sai, credevo che prenderti come medico per mio figlio fosse
stata la cosa migliore per riuscire a vederti spesso. Anche se spero
che tu
stia più spesso con noi, ormai che si è chiarito
tutto.» Dice affannandosi, alzo
gli occhi al cielo tipico di Alice.
«Non abbiamo chiarito ancora nulla.» mormoro
guardando la
porta, che spero non si apra rivelando mio suocero.
«Alice devi andare via. Non posso essere il tuo
medico…vedi
è difficile ma…» Balbetto cercando di
formulare una qualche frase che abbia
senso, ma il problema è che nulla ha senso in tutta questa
faccenda.
«Edward. Perché non possiamo?» Mi chiede
con voce dolce
implorandomi di dirle qualcosa, di dirle quel di più che mi
preme rivelare, ma
io scuoto la testa e rimango irremovibile. Eppure, devo trovare un modo
per
liberarmi da tutto questo, devo cercare l’arcano per
sciogliere questo nodo che
mi lega alla famiglia Denali, e parlare con loro forse potrebbe essere
la
soluzione.
«Senti. Erik ha bisogno di un controllo urgente
adesso?» Le
chiedo assumendo il mio ruolo da medico, per poi tornare immediatamente
al
vecchio Edward Cullen, quello di diciassette anni. Alice scuote la
testa e un
sospiro abbastanza sonoro esce dalle mie labbra.
«Ci vediamo stasera. Dopo cena. A casa tua, avvisa Mamma e
Papà.» Mormoro mentre sulle sue labbra esce un
sorriso. La saluto, dandole un
bacio sulla guancia e le dico di cercare in qualche modo di non farsi
vedere da
molte persone, tra quelle potrebbe esserci lui, sarebbe la fine,
perché lui sa
tutto quello che succede qui dentro, anche quando è in
vacanza. La moglie, Jacqueline,
una signora sulla cinquantina che proviene dall’America
latina, è sempre
accanto a suo marito, inerme, sotto al suo volere qualsiasi cosa
accada, molte
volte il termine da associarle non è la madre di mia moglie,
è la schiava di
Denali, è sotto il suo controllo, di quanto poca voce ha in
capitolo molte
volte dimentico il tono della sua voce. Tanya le vuole bene, dice, ma
farebbe
di tutto per il padre e viceversa, quindi a lei sta bene che sua madre
sia così
taciturna e priva di ogni cosa anche dentro casa sua. Mi massaggio le
tempie e
sbuffo aspettando che quella porta di apra rivelando qualche altro
paziente.
Suono il
campanello, tastando l’oggetto che ho appena
comprato che si trova nella mia tasca, impaziente, dopo meno di
ventiquattro
ore sono in ansia di rivederla, come un bambino il giorno di Natale,
tante
volte mi chiedo se lei sia solo
un’illusione,
se tutto questo fosse solo un sogno, che ogni sera continua, come un
telefilm,
a puntate. Invece quando mi trovo dentro di lei, con le sua mani che
scompigliano i miei capelli dolcemente, con il suo respiro sul mio
collo e la
sua voce che mi incita di continuare, di darle di più, di
amarla fino in fondo,
mi accorgo che fortunatamente è tutto vero, che lei mi ama,
che io sono
riuscito a rompere il mio cuore di ghiaccio per farlo tornare quello di
una
volta, chissà se non avessi conosciuto Bella, se questo
fosse mai accaduto. All’inizio
della nostra relazione ero io che tenevo il coltello dal lato del
manico,
adesso è lei ad averlo eppure non mi sono mai sentito
più potente di così.
«Ciao.» Mormora dolcemente, aprendo di
più la porta per
lasciarmi entrare. Afferro i suoi fianchi, facendole avvolgere il mio
bacino
con le sue gambe e chiudo la porta con la mia schiena. La mio bocca
gioca,
possiede, maneggia, la sua con vigore e ci ritroviamo a ridere a
sincrono sulla
bocca dell’altro. Accarezzo le sua natiche con una mano,
rendendomi conto di
quanto io adori questa parte del suo corpo, di quanto io la desideri,di quanto generalmente
perfetta lei sia.
Afferro una ciocca dei suoi capelli profumati e continuo a baciarla,
mentre i
nostri respiri si accelerano all’inverosimile. È
sempre così quando entro in
casa sua, ci basta guardarci negli occhi per impazzire di passione, ci
basta
vedere l’uno per ritrovarci nelle braccia
dell’altro. Le sue piccole mani
afferrano il mio viso, ed il suo tocco è come
l’oasi della dolcezza, c’è amore
in ogni suo gesto, quasi venerazione. Mi dirigo nella sua camera, con
lei
ancora sulle mie braccia e la adagio sul letto delicatamente. Le sfilo
la
canotta, nonostante io abbia ancora voglia di perdermi nelle sue
labbra,
sgancio il reggiseno azzurro in pizzo e mi allontano di poco per
ammirarla. Le
sue guance sono rosse, così come le sua labbra, i suoi
capelli sono arruffati e
potrebbe sembrare buffa, se non fosse per i suoi seni scoperti,
eccitati con i
capezzoli induriti. Mi fiondo su di lei, stuzzicando le sue punte rosa,
accarezzando il suo seno, beandomi della sua pienezza tra le mie mani.
E me la
immagino, mentre con questa parte del suo corpo da vita ad un bambino,
a nostro
figlio. Sorrido teneramente, e lei mi guarda, scuoto la testa e sfilo i
suoi
pantaloncini abbassandoli insieme agli slip. Le sue mani mi fermano, ma
solo
per spogliarmi. Il mio membro eretto esce dai boxer e lei sorride
languida, lo
afferra e mentre chiudo gli occhi sento la sua bocca e la sua lingua
giocarci.
Chiudo gli occhi, ansimando, le sensazioni che mi trasmette questa
donna sono
eclatanti. La sua lingua gira attorno la mia cappella e posso
seriamente avere
paura di essere vittima di un infarto da un momento
all’altro. L’afferro dalle
ascelle, facendola staccare dal mio membro, e la butto sul letto in
modo
passionale, rude, comanda solo la passione adesso. Perché
con lei è così, non c’è
amore senza passione, perché quando è nuda tra le
mie braccia, davanti ai miei
occhi, dentro di me si accende il fuoco dell’eros, e la
voglia di lei è
insaziabile, entrerei dentro di lei tutte le ore del giorno e della
notte,
potrei passarci la vita che non sarei mai pienamente sazio. Le mie dita
si
insinuano tra le sua piaghe morbide e calde, e i sensi si annebbiano,
facendomi
perdere la ragione, la razionalità, facendomi vedere solo
lei, solo noi, solo
la nostra passione con la nota di quest’amore solo nostro. I
suoi umori
scivolano tra le mie mani enon
appena i
miei occhi focalizzano Bella in preda all’orgasmo, non posso
fare a meno di
entrare con forza dentro di lei, facendole per qualche attimo mancare
il
respiro. Appoggia e sue gambe sulle mie spalle e spingo dentro di lei,
in modo
forte, feroce, passionale, lei urla ed io spingo sempre più
forte, i suoi
sospiri sono quel motivo in più che mi da la carica per
spingere in lei sempre
con più forza. Le sue mani graffiano le mie spalle,
boccheggia, mentre le sue
pareti intime si contraggono attorno a me, afferro il suo viso
fermandomi,
baciandola, ricordandole che nonostante i movimenti urlano
“sesso” io la amo,
in ogni modo possibile è amore. Vengo dentro di lei,
invadendo il suo interno
con il mio sperma, entrando in questo modo ossessivo dentro il suo
corpo,
dentro il suo essere. Rimango dentro di lei, mentre i nostri respiri si
regolarizzano. Accarezza i miei capelli, ed io chiudo gli occhi
rilassato con
il viso appoggiato sui suoi seni che accarezzano la mia guancia, e
accendono
per l’ennesima volta la mia voglia che ho di lei. Accarezzo
il suo fianco e
chiudo gli occhi cadendo tra le braccia di Morfeo.
Con ancora gli occhi chiusi, allungo una mano alla mia
destra, ma il letto è vuoto, apro gli occhi rivelandomi solo
nella camera di
Bella. Mi alzo e mi dirigo in cucina, sono le quattro del pomeriggio,
magari
aveva da fare ed io mi sono addormentato sopra di lei.
«Ben svegliato!» La sua voce euforica mi arriva da
dietro le
spalle e la circondo con un abbraccio.
«Vieni con me stasera.» Sussurro tra i suoi
capelli, lei mi
guarda e alzo un sopracciglio. «A casa di Alice, ci saranno
anche i miei genitori.»
«Che dobbiamo fare Edward?»
«Ci amiamo Bella. E loro devono aiutarmi a vivere il nostro
amore.» Mormoro sotto il
suo sguardo
pieno di lacrime di commozione.
«Non
mi hai ancora raccontato come ti sei conosciuta con
Alice.» Dico a Bella, curioso, mentre metto in moto la
macchina per raggiungere
casa di mia sorella. La guardo con la coda dell’occhio,
notando la sua ansia, è
bellissima questa sera, ha un vestito color verde smeraldo lungo con
una
scollatura che lascia davvero poco all’immaginazione sulla
parte del seno, i
suoi capelli mossi cadono perfettamente sulle sue spalle, voleva
truccarsi ma
io le ho impedito di farlo, l’amo così, acqua e
sapone, non voglio che rovini
il suo viso con fondotinta e ombretti vari.
«Stavo facendo colazione nella caffetteria
dell’ospedale, il
giorno dopo che hai operato Erik. Lei era lì che piangeva e
mi aveva chiesto se
poteva sedersi nel tavolino dove ero io – era
l’unico posto libero quella
mattina- ho accettato, abbiamo parlato per un’ora, e come se
fossi stata
colpita da un colpo di fulmine ho iniziato a provare affetto per lei,
da quel
giorno andavo nel reparto a trovare Erik e lei, fino a quando non ho
scoperto…bè…fino
a quando…lo sai…e lei mi ha consolata invitandomi
a casa sua il giorno dopo, il
giorno che Erik è stato dimesso. Il destino ha voluto
metterci la sua mano.»
Mormora toccandosi i capelli nervosamente. Afferro la sua mano tra la
mia e ne
accarezzo il dorso.
«Perdonami.»
«L’ho già fatto Edward. Non voglio
pentirmene.»
«Torna a lavorare con me.»
«Non posso.» Mormora mentre, ne sono sicuro, una
lacrima
solca il suo viso, l’ennesima.
«Perché non puoi? » Chiedo confuso.
«Perché al momento vederti al di fuori di quello
che siamo è
doloroso. Vedere che hai appuntamenti con lei durante le tue ore
lavorative mi
logora, vedere che lei ti chiama al telefono mi uccide. »
«Io appartengo a te.»
«Non del tutto.»
«Dammi tempo.» La imploro.
«Lo sto facendo Edward. Ma fin quando non sarai solo ed
esclusivamente mio, non posso fare come se nulla fosse.»
Parcheggio l’auto, ma non scendo, Bella mi guarda confusa,
ma entrambi rimaniamo in silenzio, anche se siamo perfettamente
consapevoli che
ci sarebbero miliardi di cose da dire. Ci guardiamo negli occhi, e nei
suoi ci
vedo l’amore, la speranza, la rabbia, la voglia di lottare
contro tutto e tutti
pur di mantenere intatta la nostra bolla. E allora capisco
perché Bella è stata
l’unica donna capace ad insegnarmi ad amare,
perché i suoi occhi sono eco dei
miei. Sospiriamo in sincrono, ed insieme usciamo dalla macchina
entrando dentro
casa di mia sorella.
Mio padre mi accoglie come l’altra volta, abbracciandomi
sotto lo sguardo commosso di mia madre, solo che questa volta siamo
solo noi,
senza amici di Alice, solo la famiglia,
mio padre ci parla della sua azienda, maledicendo il suo socio che non
riesce a
concludere nulla, potrebbe essere riferito a me, al mio voler inseguire
i sogni
e lasciarlo da solo nella sua azienda, eppure non sembra di leggervi
astio
nelle sue parole, lui è così, parla sempre in
modo costante del suo lavoro,
perché ama ciò che fa e forse, dopo tutti questi
anni ha capito che io ho
lottato per qualcosa che amavo e che comunque adesso sto perdendo, non
sono
triste per questo, forse solo deluso, ma ho trovato Bella da amare,
più di
quanto io possa fare con il mio lavoro. Racconto a tutta la mia
famiglia cosa è
successo esattamente quella sera, all’accordo
che ho accettato –ma che adesso ripudio- pur di diventare
medico, racconto ai
miei familiari degli ultimi nove anni, passati a lavorare e dormire,
senza
felicità o alcuna armonia, mio padre mi guarda attentamente,
zittendo ogni
tanto mia madre che singhiozza, Alice e Jasper ogni tanto annuiscono e
Bella
tiene saldamente la mia mano tra le sue.
«Non capisco perché quest’uomo sia
così accanito contro di
noi.» Mormora mia madre confusa.Mio
padre si gratta il mento e tutti aspettiamo cosa ha da dire.
«Edward. Saresti disposto a lasciare il tuo lavoro, cambiare
vita, dopo nove anni?» Mi chiede infilando il suo sguardo nel
mio, lo guardo
attentamente e ho l’impressione che lui sia coinvolto in
tutto questo, o che,
comunque sospetti la causa dell’accanimento di Denali, su di
me e sulla mia
famiglia.
«Sì Papà, adesso che ho capito cosa
significa voler bene,
adesso che ho imparato ad amare qualcosa, qualcuno più del
mio lavoro sì,
questo giorno prima o poi doveva arrivare. Voglio essere felice, la
vita è
breve ed è unica, non voglio continuare a sprecarla in
questo modo. » Mio
padre, alla mia affermazione, annuisco impercettibilmente e Bella
aumenta la
stretta nella mia mano, sta tremando, è troppo nervosa.
«Potremmo dirlo alla Polizia.» Sussurra Alice. Io
scuoto la
testa con vigore e noto Jasper raddrizzarsi di scatto.
«Con la polizia, purtroppo, per
questo genere di cose non si risolve un
bel niente. » Sussurro sconfitto.
«Deve esserci un modo, dannazione!» Urla mia madre
alzandosi
dalla sedia. Jasper si alza imitando mia madre, e per la prima volta
questa
sera, parla, svelandoci gran parte dell’arcano.
«Io so il perché. Sono tuo cognato Edward. Sono il
figlio di
Denali.»
Embé lol vi
aspettavate di Jasper? Nel prossimo si saprà
tutto, spero non rimarrete deluse, me la sto facendo sotto ad essere
sincera
lol. Sono di fretta! Spero
che il capitolo sia stato di vostro
gradimento, conto in un vostro parere! Alla prossima. Un bacione, grazie
infinite per il supporto, per tutto. ps: se il capitolo è
qui, è grazie ad Ami, EFP ce l'ha con me oggi
>.< Grazie tesorino mio , senza di te non so come farei
<3 Roby <3
I miei occhi
fissano la figura di Jasper a lungo. Bella al
mio fianco è impietrita, la mia famiglia la imita. Il viso
di mio padre è
sbiancato, come se fosse sotto shock, reazione che comunque mi da
qualche
dubbio che ho paura di esprimere. Anche al mio interno. Alice inizia a
piangere
e caccia un urlo disumano, facendomi scattare verso di lei, come quando
eravamo
ragazzi, ad ogni ostacolo io per lei c’ero, ad aiutarla, a
consolarla, a darle
consigli ed infine quando l’atmosfera si alleggeriva le
dicevo qualche mia
frase da sbruffone, a volte mi sentivo ridicolo, ma mi piaceva farlo,
mi
piaceva sentire la sua risata cristallina e piena di vita. Accarezzo
mia
sorella, mantenendo lo sguardo su Jasper, che pare si sia pentito di
quello che
ha detto. Lui è il fratello di Tanya, nonostante non ci sia
alcuna somiglianza,
mi chiedo come mai lo abbia tenuto nascosto, mi chiedo come mai questo
abbia
fatto gelare tutti me compreso.
«Ssh, calmati.» Sussurro a mia sorella, guardando
Bella che porta
nella cameretta Erik, evitandogli la scena.
«Sei uno stronzo!» Urla mia sorella avvicinandosi
pericolosamente a lui.
«Adesso capisco perché non hai voluto sposarmi!
Adesso
capisco perché non hai voluto dare il tuo cognome a nostro
figlio! Perché hai
fatto questo?!» Urla mentre le lacrime le rigano copiosamente
il viso di
porcellana. Lui deglutisce, capendo finalmente la gravità
della cosa e si
avvicina a noi, chiedendo scusa con lo sguardo, mio padre scuote il
capo e si
siede seguito da mia madre, momentaneamente sconvolta.
«Ricordo ancora quando ero piccolo.
All’età di quattro anni,
i miei genitori mi comunicarono che presto avrei avuto una sorellina.
Mio padre
era felice, quando ha avuto la notizia che il suo prossimo figlio fosse
stata
una femmina. Gli anni passavano ed io amavo mia sorella e
l’affetto era
ricambiato. Mio padre cercava sempre in tutti i modi di farci litigare,
sapendo
che io ero molto geloso, lodava mia sorella lasciandomi in disparte,
come se io
fossi il figlio che lui non ha mai voluto. Ho sopportato la sua
prepotenza,
contro di me, contro mia madre. Non sopportavo che lei fosse sempre
pronta per
lui, sotto al suo volere non facendosi rispettare. Non appena trovai un
lavoro
all’età di vent’anni scappai di casa,
munendomi di documenti falsi. Volevo
sparire dalla sua vita, volevo che lui non ne facesse più
parte, odiavo mio
padre e lo odio tutt’ora. Stavo
per
andarmene in Messico, dopo qualche anno che i miei risparmi mi potevano
rendere
agiato, quando una signorina con gli occhi più belli che io
abbia mai visto tamponò
la mia macchina nuova. Da quel momento iniziai a vivere solo per
incontrarla
tra le strade di Londra, non pensando più alla mia fuga a
mio padre. Mi ero
innamorato ed ero felice.» Sussurra guardando Alice negli
occhi. Prende un
sospiro mentre noi ci guardiamo tutti negli occhi confusi.
«Non ti ho sposata Alice solo perché non volevo
farlo con un
cognome falso, non ho dato il cognome a nostro figlio per lo stesso
motivo.
Aspetto la sua morte per farlo, in modo che io possa vivere felice,
perché fin
quando lui è in vita io sono prigioniero di me stesso. Non
volevo infangare il
nostro amore con qualcosa di falso, non volevo che tuo marito fosse
Jasper
Hale, quando invece non è un Hale per niente. Se ti avessi
sposata come Jasper
Denali lui mi avrebbe trovato, avrebbe fatto in modo di rovinare la mia
vita
ancora una volta, l’ennesima. So che magari è un
ragionamento contorto, forse
ho sbagliato, ma non voglio che tu pensi che io sia un impostore. Il
mio
cognome è falso, è vero, ma il mio amore, il mio
cuore, i miei sentimenti verso
di te sono l’unica cosa vera e pura che mi è
rimasta. Avrei dovuto dirtelo
prima, perdonami.» Mormora mentre una lacrima accenna ad
uscire dal suo occhio.
Mio padre si avvicina a Jasper e gli da una pacca sulla spalla. Alice
inizia a
respirare e si siede calmandosi.
«C’è una lunga storia dietro tutto
questo, Edward.» Dice
rivolgendosi direttamente a me.
«E mi pare assai strano che tu, Carlisle, non lo
immagini.»
Sussurra con lo sguardo cupo verso mio padre che si tramortisce.
«Vedi Edward. Quando mio padre frequentava
l’università, era
amico intimo di tuo padre. Entrambi si erano innamorati di Esme. Tua
madre era
innamorata di Carlisle, non appena si sposarono il rapporto
d’amicizia divenne
un rapporto d’odio. Ho sentito mio padre parlare al telefono,
un giorno di
parecchi anni fa, prometteva a qualcuno dall’altro lato del
telefono che
l’avrebbe fatta pagare a Cullen, in qualche modo, anche
mentre era morto, ma
l’avrebbe fatto. Non appena io conobbi Alice, mi resi conto
che quel Cullen era
tuo padre, e rivelare il mio cognome sarebbe stato peggio. Edward, ti
sei
infilato in un casino, lui aspetta un tuo passo falso per vendicarsi su
tutta
la tua famiglia. » Guardo
mio padre a
lungo, leggendogli negli occhi la resa, accorgendomi che lui si
aspettava una
cosa del genere, solo che non ci aveva mai dato peso.
Accarezzo il
velluto del cofanetto che contiene il regalo
per Bella. Avrei voluto darglielo nel momento in cui le avrei chiesto
di andare
a vivere insieme, non sapendo che quel giorno pare non voler arrivare.
Avrei
donato questo regalo a lei, dicendole che volevo iniziare la mia vita,
ormai
distrutta. Non c’è più nulla da fare,
sono condannato, devo morire qui, in
questa casa. Volevo passare la notte con Bella, ma mi ha detto che ha
bisogno
di realizzare il tutto, mi ha detto che domani parleremo di tutto
quanto.
Spengo l’abat-jour dando le spalle a Tanya. Una lacrima solca
il mio viso,
questa è la mia vita, me la sono scelta io, inconsapevole
dello sbaglio che
stavo commettendo. Se forse avrei ragionato, ai tempi, adesso sarei un
uomo
felice, invece mi sento come quando si rompe un vaso, come quando stai
per
raccogliere e incollare tutti i pezzetti e non appena manca
l’ultimo ti accorgi
che è ormai frantumato e che quel vaso non potrà
mai essere aggiustato. Un
dolore all’altezza del petto mi fa piegare in due. Inizio a
tossire sperando di
morire, in modo da non poter più vivere questo supplizio che
io stesso mi sono
creato. Prendo a pugni il mio stomaco, fregandomene della donna che
dorme al
mio fianco. Dicono che i sogni nel cassetto devono essere liberati, che
dobbiamo lottare per farli uscire da quel cassetto e renderli reali
anziché
solo sogni, ma a che scopo? Vale la pena realizzare un sogno per poi
distruggere la propria vita? Chiudo gli occhi troppo provato
emotivamente per
pensare ancora, distruggendomi l’anima, inutilmente,
perché qualsiasi cosa io
faccia è inutile.
«Edward
Cullen! Come va qui?» Mormora Denali sedendosi
davanti a me e appoggiando i gomiti sulla mia scrivania. Io annuisco
non
proferendo parola. Ho paura di lui, soprattutto adesso che mi sono reso
conto
di quanto è spietato, di quanto il suo cuore e la sua anima
siano oscuri.
Continuo a leggere alcune diagnosi ignorandolo, o almeno provandoci, so
bene
che la sua presenza mi incute terrore e lui, questo lo sa, e ci gode,
si nutre
della mia paura per rendermi suo succube.
«Un grazie sarebbe ben accetto.» Mormora
distrattamente,
mente io alzo gli occhi per incontrare il suo viso, lo guardo confuso e
lui
scoppia a ridere malignamente.
«Avresti dovuto essere fuori!» Urla divenendo
immediatamente
serio, non batto ciglio sorpreso dal mio atteggiamento mite e continuo
a
guardarlo, facendolo parlare, facendogli confessare quando stronzo e
vile sia.
«Ho voluto darti un’altra possibilità,
trattandoti come se
fossi mio figlio, vedi di non farmene pentire.»
«Ce l’hai già un figlio.»
Sussurro confondendolo, sgrana gli
occhi e rimane impietrito al suo posto. «So bene quello che
hai in mente,
purtroppo. Falla finita, inizia a vivere la tua vita e lasciala vivere
anche
agli altri. » Mormoro sicuro che mi abbia sentito mentre esce
a grandi falcate
dal mio studio. Scuoto lamia
testa
pesante, piena di pensieri razionali e non. Cerco di pensare ad una via
d’uscita
ma non trovo nulla. Lui non ce l’ha con me, ce l’ha
con mio padre, per avergli
portato via il suo grande amore, mia madre. Mi chiedo cosa fosse
successo se io
non fossi scappato di casa quella notte, lui non mi avrebbe trovato,
è vero, ma
avrebbe cercato di vendicarsi in altri modi, forse più
velocemente. Si è
stancato anche lui dell’attesa, nove anni sono tanti, dicono
che la vendetta si
serve in un piatto freddo, ma ormai quel piatto è congelato,
e non ne può più
di aspettare. La mia vita distrutta continua a percorrersi, la mia vita
che non
è lecito chiamarla tale è stanca, vuole farla
finita, perché quando la tua vita
è distrutta per cosa vivi davvero?
«Sareste
disposti tutti quanti a fuggire via da qui?» Chiedo
alla mia famiglia al completo, siamo in una trattoria in centro, mio
padre ci
ha radunati tutti per parlare di questa situazione che ormai non
appartiene
solo a me, non lo ha mai fatto. Mio padre tossisce fragorosamente,
rispondendomi, oh ma certo come farà senza la sua azienda?Mia sorella, mia madre e
Jasper restano in
silenzio , sbuffo alzo gli occhi al cielo.
«Edward. Se non avresti incontrato Bella avresti continuato
la tua vita così!» Dice mio padre con veemenza,
facendomi sgranare gli occhi.
Sì forse è vero, ma non è una cosa
assolutamente positiva voler cambiare vita?
Voler iniziare a vivere? Forse per mio padre non è
così, ma lui non può capire,
nessuno può farlo. Stringo i denti, cercando di mandare
giù il cibo pensando a
tutto e a niente, preferirei lavare le scale per avere Bella,
preferirei morire
senza di lei. Finisco il pasto e saluto tutti, non dandogli
appuntamento,
sarebbe inutile, loro sono tranquilli, ma non sanno cosa li aspetta,
non sanno
fin quanto si può spingere la cattiveria di Denali, forse
non la conosce bene
nemmeno il figlio, Jasper. Forse dovrei arrendermi come lui, aspettare
che
muoia per poter cominciare la mia vita senza interruzioni o paure da
parte sua.
Scuoto la testa, mentre metto la prima e parto, mi dirigo verso casa
mia,
voglio parlare con Tanya, lei dovrà pur sapermi dire
qualcosa.
«Non lo so, Edward.» Sussurra Tanya, quando le
chiedo il
motivo per cui non sono ancora licenziato.
«Tu mi ami Tanya?» Mormoro, sicuro della sua
risposta
negativa. Lei sgrana gli occhi e scuote vigorosamente il capo.
«Chiedi il divorzio allora. Liberami. Da solo non posso
farcela.»
«Senti Edward. Non sei mai stato gentile con me, mi ha
sempre allontanata a calci, non puoi aspettarti che io ti
aiuti.»
«Ne vale anche della vita di tuo fratello.» Mormoro
amareggiato mentre mi chiudo la porta di casa alle spalle. Ho scelto la
mia
vita, non posso iniziarla a vivere. Che senso ha restare qui? Vorrei
scappare,
se solo sarei sicuro che la mia famiglia resterebbe indenne, ma che
posso fare?
Mi siedo sul marciapiede prendendomi la testa tra le mani, lacrime
copiose
scivolano forsennate nelle mie guance, inizio a singhiozzare per poi
sdraiarmi
al suolo, sfinito da tutto questo schifo. Una mano sfiora la mia spalla,costringendomi ad aprire
gli occhi, Jasper mi
guarda facendomi un sorriso di circostanza, mi alzo e mi chiede se mi
va di
prendere insieme un caffè, accetto e ci dirigiamo in
caffetteria.
«Mi dispiace Edward.»
«Non è colpa tua.»
«Dobbiamo trovare una soluzione, Edward.» Sussurra
guardandomi negli occhi. Scuoto la testa e butto giù il mio
caffè.
«Non ci sono soluzioni Jasper. Devo andare.» Gli do
una
pacca sulla spalla e vado via, sconfitto, deluso.
Non vedo
più nulla, non sento più nulla, i miei sensi si
sono annientati, vedo solo me e lei una combinazione perfetta.
Accarezzo la sua
spalla nuda, ricoperta di brividi che aumentano ad ogni mio tocco.
È passione
profonda la mia, mescolata con la sua. Spingo dentro di lei come se non
ci
fosse un domani, le sua unghia graffiano la mia schiena provocandomi
qualche
sussulto, ma è piacevole, vedere quanto le appartengo, sono
sempre stato suo,
anche quando le nostre strade non si erano ancora incrociate. I suoi
gemiti danno
il via ai miei, e ci susseguiamo come abbiamo sempre fatto, dalla prima
volta
che i nostri occhi si sono incontrati, dalla prima volta che ho capito
che lei
sarebbe stata tutto ciò di cui ho bisogno. Mordo il suo
collo profumato, quell’oasi
che non permetterei mai più che mi sfugga dalle mani. Questa
è lei, la dolcezza
mischiata alla passione, la felicità contro la tristezza,
lei è la medicina per
la mia influenza, lei è la salvezza per la mia vita. Mi sono
affidato a lei,
sicuro di fare la cosa migliore che potrei, sicuro che lei non mi
deluderà e se
anche fosse perdonerei ogni cosa a lei, che mi ha aperto il cuore
ancora una
volta. Sono un uomo completo adesso, rinuncerò a tutto
purché lei rimanga nella
mia vita. Esco da lei con il respiro spezzato, chiudo gli occhi ma un
singhiozzo acuti me li fa riaprire rigorosamente.
«Che succede?» Mormoro abbracciandola, ma non
appena la sua
pelle tocca le mie braccia si divincola immediatamente. Sgrano gli
occhi e
continuo a guardarla, spaesato. I singhiozzi le percuoto il petto, e la
paura
si impossessa di me, prendo velocemente i boxer e vado a prenderle un
bicchiere
d’acqua. Non appena mi volto per dirigermi in camera la vedo
di fronte a me, in
lacrime che si tortura i capelli nervosamente, mi avvicino con il
bicchiere ma
con una mossa repentina lo rovescia per terra, facendo fuoriuscire
l’acqua
bagnando il pavimento e gran parte del divano.
«Cosa c’è Bella?!» Urlo
innervosendomi dal suo comportamento
inconcepibile.
«Cosa vedi Edward!? Cosa senti? DIMMELO…dimmelo,
perché io
non lo so!» Urla scoppiando a piangere nuovamente. Mi
avvicino a lei, capendo
immediatamente cosa intende e l’abbraccio forte a me, lei,
dal suo canto,
questa volta non rifiuta il mio abbraccio.
«Vedo due persone innamorate. Vedo un gran casino, ma sento
che possiamo trovare un modo. Io ti amo Bella, ho capito che quando si
ama si è
disposti a tutto, ed io lo sono. Dio, giuro che lo sono.»
Mormoro piangendo
insieme a lei, sentendomi svuotato dal suo pianto, sentendomi
tremendamente in
colpa per tutto questo che solo ed esclusivamente io ho creato.
«Sai cosa vedo io Edward?» Mi chiede asciugandosi
le
lacrime, i suoi occhi sono indecifrabili, e ho paura di questo,
perché quando
non capisco il suo modo, le sue parole guardo i suoi occhi e tutto si
fa
chiaro, ma adesso sto vendendo l’ignoto e muoio di paura.
«Vedo me stessa che si contorce dal dolore quando mi manchi
e tu non ci sei. Vedo te e quella donna dormire sullo stesso letto. Ti
vedo
mentre fai colazione nel suo stesso tavolo. Non sono mai stata una
ragazza
stabile con le relazioni, non mi sono mai innamorata. Da piccola, come
tutte le
bambine, sognavo il principe azzurro in groppa ad un bellissimo cavallo
bianco
con la criniera biondo cenere. Crescendo ho realizzato che lui non
esiste, che
l’uomo perfetto è solo Orfeo per Euridice, che
sono sempre stata quella
classica e solita illusa. Quando ti ho conosciuto credevo di aver
trovato il
mio Orfeo, sapevoche
all’interno di te
c’era qualcosa di molto più grande di quello che
potevo immaginare. Ma nei tuoi
gesti, nei tuoi sguardi avevo capito che mi amavi, a modo tuo ma lo
facevi. Mi
sono innamorata di te spensierato mentre dormivi al mio fianco. Mi sono
innamorata del tuo sesso rude e passionale, mi sono innamorata di un
uomo che
credevo fosse l’altra metà di me. Ma vedi Edward,
io voglio un uomo al mio
fianco, il mio uomo. Non voglio dividerti, non ce la faccio. Credevo di
poter
aspettare, pensavo di farcela, ma la mia volontà per quanto
sembri immensa non
lo è. Ho paura Edward, paura che questo stato
d’impasse non finirà mai. Non ce
la faccio Edward…io…» La interrompo,
mentre il mio cuore si spezza pian piano,
mentre la mia anima geme e la mia vita si distrugge ancora una volta.
«Devo parlare con Tanya. Chiederà lei il
divorzio.» Sussurro
in preda al panico, trovo la forza di afferrare il suo viso tra le mie
mani e
la guardo negli occhi. «Stasera, domani, non di
più. Ti prego amore mio. Non
mollare tutto adesso. Ce la farò, ce la faremo, ma se vai
via non posso vivere.
Io…mi dispiace per quello che sono, ma voglio provarci,
voglio essere il tuo
Orfeo mia bellissima Euridice, voglio renderti felice, ma devi darmi
ancora un
pochino di tempo, solo poco. Te lo prometto.» Sussurro
piangendo, cercando di
fermare queste dannate lacrime che non accennano a fermarsi, la fisso
sperando
in una sua resa, sperando che ragioni che mi dia il tempo, che non
è facile,
che non è una cosa che comando io. Chiude gli occhi e
appoggia la testa sulla
mia spalla, sospiro di sollievo ma con la paura che lentamente
schiaccia il mio
cuore.
«Tanya!
Ti prego, farò tutto ciò che vuoi! Chiedi questo
dannato
divorzio, fallo per umanità, fallo per qualsiasi cosa, ti
darò qualsiasi cosa
in cambio. Ma ti prego!» Urlo disperato, inginocchiato di
fronte a Tanya che
anziché guardarmi e ascoltarmi si spazzola le unghia
tranquillamente. MI alzo
di scatto preso dalla rabbia e afferro la limetta, scaraventandola per
terra. Lei
mi guarda sgranando gli occhi e un sorriso furbo le si dipinge in volto.
«Picchiami Edward. Fallo avanti!» Urla ad un
centimetro dal
mio viso. Per un millesimo di secondo penso alla soddisfazione che
potrei ricavare
picchiandola a morte, riducendola grondante di sangue, vendicandomi una
volta
per tutte. E invece, la ragione uccide l’istinto, facendomi
indietreggiare e
facendomi pentire di aver pensato una cosa simile. Non ho mai picchiato
una
donna, trovo deboli gli uomini che lo fanno.
«Perché non vuoi chiedere il divorzio
Tanya?» Chiedo ormai
senza speranze, rendendomi conto che suo padre le ha trasmesso la
caparbia.
«Per difendere l’onore di mia madre
Edward.»
«Ma che cazzo vuol dire? Tua madre non è mai
esistita per
te, falla finita. Tanya, ti scongiuro, chiedi il divorzio. Non mi ami!
Non tenermi
legato a te in questo modo!»
«Vuoi il divorzio Edward? Chiedilo tu! Non vedo cosa ti
cambia!» Scoppio a ridere alla sua affermazione, una risata
che va dall’isterico
al disperato.
«Lo sai che tuo padre farebbe fuori la mia famiglia,
stronza!»
«Ci sarebbe una cosa che potrebbe farmi cambiare
idea.»
Sussurra alzando un sopracciglio con fare pensieroso.
«Qualsiasi cosa. Giuro, qualsiasi.» Dico
sospirando,
giungendo le mani a mo’ di preghiera.
«Devi…»
«Aaaaaaaaaah
» Urlo, notando la mia mano gonfia e
sanguinante. Il cofano ammaccato della mia macchina fa bella mostra di
sé, in
questa notte senza luna. Inizio a correre piangendo, rendendomi conto
che ho
perso davvero tutto e per sempre questa volta.
«Dimmi perché Edward!» Esclama Bella
davanti a me con il
volto ricoperto di lacrime. Abbasso la testa vergognandomi di me stesso
e di tutte le scelte che ho fatto fino ad oggi.
«Non posso dirtelo.» Sussurro, rispondendo al suo
ennesimo
perché. Le ho detto francamente che non possiamo mai
più amarci, che Tanya non
mi darebbe mai il divorzio, che mi dispiace, ma ci sta male lei quanto
me.
Vorrei correrle incontro ad abbracciarla a sussurrarle che troveremo un
modo,
che andrà tutto bene, ma niente andrà tutto bene.
Non ci sono soluzioni.
«Vai fuori Edward. Vaffanculo stronzo di merda! Vattene, non
voglio più vederti. Esci dalla mia vita.» Urla
disperata. Mi avvicino
lentamente, le accarezzo il viso con un dito, conservando il suo
ricordo nella
mia anima per sempre, in modo da accompagnarmi ovunque io decida di
andare,
ovunque il destino, o chiunque comandi il tutto deciderà.
Sussurro un “Ti amo”
flebile, sussurrato al vento che lo porteranno sempre accanto a lei.
Alla mia
Euridice.
Esco da casa sua e afferro la pistola che avevo nella tasca
posteriore del Jeans, la posiziono sulla mia tempia, basterebbe solo
premere il
grilletto per vivere in pace finalmente.
Non ho nulla da aggiungere.
Non odiatemi, andrà tutto bene. Un bacione Roby <3
Deluso.
Sconfitto. Solo. Amareggiato. Inutile. Senza arte né
parte. Invisibile. Spregevole. Odioso. Sono una nullità, ho
tutti i buoni
propositi per premere questo grilletto e farla finita, per sempre, una
volta
per tutte. Smetterla di lottare per un amore impossibile, smettere di
far
soffrire quella persona che per me farebbe di tutto quando io in cambio
non
posso dargli nulla. Mi accascio al suolo, gettando la pistola lontano
da me da
buon codardo quale sono. Adesso sono arrivato in un punto morto,
congelato,
rimarrò così per sempre, non posso eseguire
ciò che Tanya mi ha chiesto, non
posso vivere senza Bella, eppure ho scelto la via più
giusta, quella che
qualunque altra persona avrebbe scelto, continuerò a vivere
così, in questo
modo che mi ha sempre fatto schifo, dove non sono mai felice, dove la
mia vita
non è affatto ciò che la parola vuol definire. Mi
alzo, ormai sconfitto,
cercando di non pensare a niente, tentando invano, perché
quando chiudo le
palpebre vedo lei, quando respiro sento il suo profumo ormai dentro di
me. Non
posso vivere così, sono certo che troverò il
coraggio di mettere fine alla mia
vita, in modo da non soffrire più. Perché per
quanto io voglia provarci non
posso dimenticarla, lei è la mia anima, indissolubilmente,
inevitabilmente,
assolutamente la mia anima è lei. Inizio a camminare senza
una meta precisa,
fin quando l’alba fa capolino sopra la città. Non
ho voglia di tornare a casa, non
ho voglia di fare assolutamente nulla, avrei solo voglia di distendermi
al
suolo a guardare il cielo, passare
la
mia vita tra pioggia, sole, nuvole e stelle, avrei voglia di vivere per
niente,
di non vivere, di non esistere. Lei è la mia anima, e senza
la nostra anima non
possiamo vivere.
«Edward.
Ti prego.» Mi supplica Alice, vuole sapere perché
ho abbandonato tutto, perché ho deciso di continuare a
vivere in questo modo
malato, assolutamente sbagliato.
«Basta Alice. L’ho ha detto anche Papà,
se non fosse
arrivata Bella nulla sarebbe cambiato. Ho scelto di far finta che lei
non abbia
mai fatto parte della mia vita…»
«Ma non ci riesci!» Esclama inorridita,
interrompendomi. «Non
ci riesci cavolo! Quando imparerai Edward! Ci sono voluti nove anni per
capire
il bene della famiglia, cresci Edward! Per una buona volta non fare
ciò che
pensi sia giusto, ma fai quello che effettivamente lo
è.» Sbuffa arrabbiata e
guardandomi con sguardo truce.
«Non posso Alice. Dio lo vorrei davvero, ma non posso! NON
POSSO! Cosa credi che io non ci sto male? Come posso dimenticarla? Non
ce la
farò mai. Non posso.» Mormoro fuori di me,
rischiando di strapparmi i capelli
per la rabbia. Ho deciso di venire qui da mia sorella perché
pensavo che lei
potesse capirmi, invece no lei ha visto ciò che io non
volevo che lei vedesse,
lei è mia sorella, ha capito che non è quello che
voglio, che non è
assolutamente la cosa più giusta, ma non ha capito il motivo.
«Edward. Ti prego, ragiona, devi cercare di uscire da questo
incubo. Provaci, io farò tutto il possibile, te lo giuro,
starò al tuo fianco
sempre.» Sussurra piangendo, facendomi male con le sue
parole, con le sue
soluzioni impossibili. Non ci sono alternative. Ho una non-vita e sono
costretto a viverla, fine della storia.
«Vado a lavoro Alice. Ci vediamo.» Mormoro
dirigendomi verso
la porta, ma lei mi rincorre bloccandomi per il polso.
«Dimmi il perché Edward.»
«Non posso.»
«Ti prego.» Afferro la maniglia ed esco fuori,
dirigendomi a
lavoro, cercando in qualche modo di svagare la mia mente piena e allo
stesso
tempo svuotata, anch’essa sola. La giornata passa mite,
normale, come è sempre
successo, solo che io sono diverso adesso. Sono solo, contro me stesso,
contro
tutto il mondo. Jacob Black è stato tutto il giorno
incollato al suo cellulare,
deludendomi e confermando la mia prima impressione su di lui, ma faccio
finta
di nulla, non mi importa di me stesso, figuriamoci degli altri. Avete
presente
quando immaginate il mondo spoglio? Tutto vuoto, senza persone, bianco,
mite,
assolutamente imperfetto. Ecco come mi sento, un mondo vuoto, un
universo senza
stelle o pianeti, una casa spoglia. E non è solo dolore
psichico, c’è pure il
cuore che fa male, quel cuore ormai inesistente, quel cuore strappato
via dal
mio petto. Sono vuoto, devastato, sono il nulla. La porta del mio
studio si
apre e la testa di Ben fa capolino all’interno del mio
studio. Dietro di lui
riesco a vedere solamente una chioma che riconoscerei fra mille.
«Edward. Posso?» Annuisco pensando che la persona
dietro di
lui è quella che penso che sia. Infatti non appena Ben
oltrepassa la soglia, il
corpo di Bella avanza dietro di lui, è spaventata, delusa,
ferita, ma è qui,
ancora una volta è qui.
«Stamattina è arrivata Isabella chiedendomi se
poteva
riprendere ciò che aveva sospeso. Mi chiedevo se tu sei
d’accordo…» Lo
interrompo con un gesto veloce e annuisco.
«Si, certo.» Sussurro rincuorato. Ben annuisce e
tutti e tre
rimaniamo a guardarci negli occhi silenziosamente.
«Ben, puoi andare. Isabella, siediti pure, dovremmo parlare
del programma che abbiamo eseguito quando non c’eri.
» Lei alle mie parole
sgrana gli occhi e scuote la testa in modo impercettibile, senza che
Ben se ne
accorge. Quest’ultimo annuisce e chiudendo la porta ci lascia
soli.
«Edward…» Comincia bloccandosi subito
quando mi prendo la
testa tra le mani e comincio a scuoterla.
«Sei qui.» Sussurro alzandomi dalla sedia, intento
ad
abbracciarla forte, ma i suoi gesti, il suo indietreggiare spaventata
mi blocca
all’istante, facendomi sentire un verme, fuori posto, un
estraneo.
«Sono qui. Ma sono per la mia carriera Edward.»
«Non ci credo. Ci sono miliardi di Ospedali. Ma tu sei qui.
Sei venuta da me.» Mi avvicino lentamente a lei, che,
spaventata indietreggia,
facendomi ammutolire, la guardo per capire cosa
c’è di diverso in lei, in noi.
«Edward. Ti prego.»
«Cosa?»
«Lavoriamo insieme, basta. Non ci sarà nulla da
dividere se
non il lavoro.» Sussurra con voce tremante, facendomi
intendere che non ci
crede un minimo nemmeno lei.
«Non ci credi nemmeno tu, Bella. Due persone che si amano
non possono ignorarsi.» Sussurro, mentre lei mi ignora e
afferra il suo camice.
Passo le giornate a guardarla, da quel giorno. Ma nulla è
riuscito a cambiare,
migliorare a crescere. I suoi movimenti, la sua voce, sono quel motivo
per cui
ancora ho resistito, non sono impazzito. Mi ignora, sta cercando di
annullare
il suo amore per me, rendendosi conto della realtà che
aleggia in noi dal primo
giorno in cui abbiamo capito di amare l’altro, il nostro
è un amore impossibile,
a causa mia, ma è una verità che non riesco
pienamente ad accettare, perché
accettandola perderei la mia anima, una volta e per sempre, lei. Ho
cercato di
trovare delle alternative, delle possibilità, ma sono
inesistenti, è come se la
vita, arrivato a questo punto ha voluto punirmi per aver acconsentito a
rovinarla
con le mie mani anni fa. Caccio indietro le lacrime per
l’ennesima volta,
rendendomi conto che persona schifosa io sia. Porto il pugno chiuso
sotto al
mento e comincio a tremare, per la rabbia, per il dolore, per la
consapevolezza
di un amore perduto e la certezza di essere davvero un uomo distrutto.
Sono già
passate due settimane, ma nulla è successo, nulla
è cambiato, se non il senso
di colpa che rischia di sfondare il mio cuore e uscire prepotentemente
dalla
mia schiena. Con un tremore che non mi è mai appartenuto
accarezzo il velluto
dei miei pantaloni all’altezza della tasca sinistra, incrocio
con gli occhi
Bella e mi avvicino a lei. Entra nel mio studio ed io la seguo.
«Ascoltami solo un secondo.» Sussurro al suo
orecchio
facendola rabbrividire. Lei scuote la testa e si allontana.
«Non abbiamo nulla da dirci.»
«Ti prego Bella! Ascoltami!» Esclamo alzando
involontariamente
la voce di qualche ottava. Lei rimane in silenzio e mi guarda, tutto ad
un
tratto non trovo più le parole da dire, mentre guardo le sue
lacrime che
copiose rigano il suo viso, mentre leggo il suo sguardo pieno di
malinconia
lacerandomi il cuore, vorrei dire tante cose che non appena provo ad
estraniare
dalla mia mente scivolano al vento silenziose. Rimango in silenzio,
come un
codardo, come qualcuno che non riesce ad affrontare nulla, se non le
cose
futili.
«Non abbiamo nulla da dire ormai Edward.» Sussurra
piangendo, spezzandomi il cuore, tagliuzzandolo in modo che non possa
mai più
tornare come una volta. Afferro la scatolina dalla tasca con mano
tremante e
gliela porgo. Lei non si avvicina, non la guarda, ignora me e tutto il
resto.
«Il giorno che la comprai volevo dartela per chiederti di
venire a vivere con me. Questo non è stato possibile, mi
permettimi di darti
quest’ultimo mio dono, ti prego. Anche se poi mi
dimenticherai, anche se è del
tutto inutile. Ho bisogno di saperlo con te, in modo che non appena
saremo
lontani, non appena tu andrai via da me definitivamente, hai qualcosa
con te
per pensarmi, per ricordarti di quell’amore impossibile, ma
indissolubile,
forte e vero. Sono un fallito Bella, credevo che con te sarei cambiato,
ma le
decisioni mi hanno portato a questo e non posso cambiarlo. Accettalo,
come
segno del mio amore per te che morirà con me.» Lei
si avvicina tremante e lo
afferra, facendomi sospirare rumorosamente. Lo apre e sorride
impercettibilmente. Lo tira fuori, ammirando il bracciale
d’oro bianco
contornato da piccolissimi diamanti, un ciondolo grande a forma di
stella con
una frase incisa: A cosa servono le
stelle? Per
rendere magici i nostri
momenti da umani innamorati.
Una lacrima scivola dal mio viso, a sincrono con la sua, e
mai ci siamo appartenuti come in questo momento, appoggia delicatamente
ma allo
stesso tempo frettolosamente la scatolina con il bracciale
all’interno sulla
scrivania e si getta sulle mie braccia. Riprendo a respirare per
davvero non
appena le mie narici assaporano il suo odore. Le sua labbra in
automatico si
incollano con le mie interpretando un bacio pieno di nostalgia e amore.
Le
nostre lingue si intrecciano dando vita ad una danza piena di passione
e
tristezza allo stesso tempo, rivelandoci quanto nostri siamo, quanto ci
apparteniamo, facendoci rendere conto che è questa la
realtà. «Perdonami,
ti prego.»
Sussurro.
«Ti amo.» Promette.
L’anima dell’una appartiene all’altro,
non dandoci scelta, perché è questa la nostra
destinazione, io tra le sue
braccia e non
importa come e quando, è
così. Le sue mani si sciolgono da quei ceppi invisibili e si
affrettano a
toccare i miei capelli, facendomi gemere sulla sua bocca, desiderandola
come
mai avevo fatto prima d’ora, ma non voglio affrettare le
cose, non voglio fare
l’ingordo per poi avere le braccia vuote dalla sua assenza,
accarezzo il
momento, sento quest’atmosfera colorata del nostro amore, la
tocco, la ascolto,
mi sento completo, un uomo appagato, ma il mio cuore smette di battere
non
appena realizzo che sono solo momenti, che questo non potrà
esserci sempre.
«Dimmi che durerà per sempre.»
Mormora sulle mia labbra affannata. Io rimango in silenzio godendo le
sue
labbra sulle mie, non sapendole dare una risposta concreta, degna di
ciò che
merita.
«Dimmelo Edward.» Mormora
facendomi sentire sulle sue labbra il sapore salato delle sue lacrime.
«Non posso.»
«Ti prego.»
«Tanya mi darà il divorzio, ma
solo se sarò io ad uccidere mio padre.»
«Ti
prego. Farò qualsiasi altra
cosa. Ma non farmi questo.» Sussurro seriamente guardando per
la prima volta
negli occhi mia moglie, freddi e ostinati contro di me.
«Oh oh, Edward Cullen! Non
avrei mai immaginato vederti così distrutto, così
volubile tra le mie mani.»
Dice scoppiando a ridere malignamente. Si avvicina a me con fare provocatorio,
toccandomi la mente con
la sua malignità e cattiveria, facendomi non solo temere un
giudizio, ma
qualsiasi altra cosa lei possa dire o fare. Proprio come il padre.
«Devi soffrire Edward, mi hai
rovinata.» Dice con lo sguardo cupo. «Vuoi il
divorzio? Mi sta bene, ma devi
fare ciò che io voglio.»
«Siete stati voi a rovinarmi!
Perché devi complicare tutto? Cristo! Dammi il divorzio, lo
vuoi anche tu, è la
cosa migliore per entrambi.» Sussurro, facendole abbassare
per un attimo l’ascia
di guerra, lo vedo dai suoi occhi, dalla smorfia che il suo viso ha
appena
assunto. Mi avvicino a lei, che mentre parlavo indietreggiava e sfioro
la mia
bocca con l’indice.
«Ragiona Tanya. Fallo per tuo
fratello.»
«Cosa sai di mio fratello
Edward?» Urla inorridita.
«Lo conosco meglio di quanto tu
possa credere.»
«Tu menti! Mio fratello è
partito anni fa.» Sussurro affievolendo il tono della voce.
«Posso fartelo incontrare se
non mi credi.» Sussurro non pienamente sicuro delle mie
parole.
«Portami da lui.» Dice.
Acconsento, sicuro che lei non potrebbe mai fare del male al fratello,
Jasper
stesso lo ha detto, si amavano come me e Alice, come un semplice
fratello e una
semplice sorella. Per la prima volta, mi sento in sintonia con i suoi
pensieri,
non sa cosa le aspetta, non vuole accettare che gli manca, che forse
potrebbe
mettere la parola fine a tutto questo casino senza un senso logico.
Metto in
moto, passando prima da casa di Bella, rendendola partecipe,
infischiandomene
se all’interno dell’auto c’è
mia moglie, non pensando di star dando la
possibilità a Tanya di confrontarsi con Bella, la donna che
è riuscita a
salvarmi. Convincere Bella, credo che sia stata l’impresa
più ardua che io
abbia mai affrontato, ma ce l’ho fatta, contro ogni
presupposto ci sono
riuscito. Adesso stiamo affrontando tutti e tre, in silenzio, il
traffico di
Londra in assoluta tranquillità, come se stare tutti e tre
sullo stesso
abitacolo fosse una cosa alquanto naturale. Guardo Bella, sul sedile
del
passeggero, sotto pressione di Tanya che le ha ceduto il posto.
È nervosa, ma
abbastanza ragionevole, mi sorride e sospiro rincuorato. Arriviamo a
casa di
mia sorella ma non appena il mio dito tocca per la terza volta il
campanello l’urlo
disumano di mia sorella mi fa raggelare il sangue nelle vene. Poi
silenzio,
terrificante. Bella spaventata più di me, mi passa una
forcina per capelli,
cerco di forzare la serratura, tentativo vano. Jasper arriva sorpreso,
non
notando la sorella seduta sul sottoscala.
«Ciao.» Sussurra confuso.
«Apri la porta muoviti!»
Esclamo piano, sperando che mia sorella fosse solo chiusa semplicemente
in
casa. Lui sgrana gli occhi, non appena la figura di Tanya si fa
visibile ai
suoi occhi. Lei scoppia a piangere e lui la guarda con disprezzo, per
poi
rivolgermi uno sguardo truce.
«Apri la porta Jasper!» Dice
Bella iniziano a muovere nervosamente le mani.
Jasper afferra la chiave e la
porta si apre con molta facilità.
Un altro urlo di Alice mi fa
arrestare di colpo, ma non posso starmene qui inerme,
c’è qualcosa che non va. «Eccovi
qua!» Esclama con un
sorriso falso Denali, mi avvicino alla sala e quello che vedo mi fa
salire un
conato di vomito che non riesco a trattenere.
Trattengo
l’ennesimo conato di vomito, che preferirebbe uscire dal
mio corpo una volta per tutte, eppure non lo fa, resta lì,
come il senso di
colpa, come la rabbia, come una delusione che rimane nel cuore per
sempre. Il
viso pallido e pieno di sangue di mio padre fa bella mostra di
sé, è sdraiato
per terra, dolorante e respira a fatica, le sue mani sono legate ad una
corda
abbastanza doppia da tagliare la pelle lì dove è
situata. Mia sorella, quella
che sembrava stesse per morire, è invece seduta in un
angolino, con le mani negli
occhi, sperando di non vedere il nulla, sperando forse di diventare
cieca pur
di non sopportare quella visione. Mia madre. Mia madre nuda tra le
braccia di
quel vile che qualche tempo fa credevo fosse l’uomo che mi
aveva cambiato la
vita, migliorandola. Il silenzio di mia madre è quello
più agghiacciante, sta
aspettando la sua ora, adesso, mentre lui tenta di slacciarsi la
cintura.
«Lasciala andare!» Urlo finalmente, dopo qualche
minuto che cercavo
di dare vita alla mia voce che sembrava scomparsa nel nulla. Mi
scaravento su
di lui, non vedendo nemmeno i miei piedi muoversi, cercando in qualche
modo di
riuscire a farla finita per lui, adesso. Non appena lo spingo un urlo
disumano
lascia la gola di mia mamma. Ha una corda attaccata al collo, la cui
cima è tra
le mani di Denali, non appena tocchi lui, la corda si stringe nel collo
di mia
madre. Inizio a prenderlo a pugni, senza averlo deciso, senza
rendermene conto,
lui indietreggia e mia madre urla.
«Smettila Edward!» Urla Bella incazzata come mai
prima d’ora. Si
avvicina a noi con lo sguardo carico d’odio. Mi oltrepassa e
avvicina il suo
viso a quello del padre di Tanya.
«Sei un vile e lurido schifoso. Sei nato per rovinare la vita
degli altri. Guardati.» Sussurra arrabbiata, indicandolo per
poi guardare lo
specchio che ha davanti. La sua faccia è schifata.
«Fai schifo. Sei un
bastardo. Che soddisfazione ci provi a fare cose del genere? Che senso
ha
vivere in questo modo malato?» Mormora con il cuore in mano,
cercando di farlo
ragionare, ma è tempo perso, è inutile. Lo
sguardo di lui si perde per qualche
attimo, per poi divenire malizioso e vile, come lui, come tutto
ciò che lo
riguarda. Con un ceffone colpisce il viso di Bella che cade per terra
malamente.
Gli sputo in faccia e inizio a prenderlo a pugni, non vedendo mia
madre, né mio
padre, non sento nemmeno gli altri che mi implorano di fermarmi.
Continuo,
colpendolo, fregandomene del suo sangue che schizza forsennatamente
sulle mie
dita piegate a
pugno. Colpisco,
liberandomi dell’odio verso me stesso, sentendomi completo,
sentendomi potente,
non unanullità
come lui mi ha sempre
fatto credere di essere. Sfogo la mia rabbia di tutti questi anni
contro di
lui, la mia disperazione causata gran parte per colpa sua, il mio animo
chiuso
in gabbia ha sciolto le catene ed è uscito, pronto per lui,
per ucciderlo,
annientarlo, farlo sentire debole e inutile, così come lui
ha fatto con altri.
Le urla di mia madre mi fanno arrestare per qualche attimo e i suoi
occhi
implorano pietà. Guardo Denali, con gli occhi chiusi, il
respiro accelerato e
qualche gemito di dolore che sfugge dalla sua bocca chiusa
prepotentemente, per
paura che inconsapevolmente potesse chiedere pietà, e lui
non la chiede, né la
concede. Corro in cucina e afferro un coltello medio, taglio la corda
dal collo
di mia madre e le sussurro di andarsi a vestire. Mi avvicino a mio
padre,
afferro il suo polso e con due dita lo tasto. Sospiro. È
vivo. Annuisco alla
mia famiglia che mi guarda, in bilico. Tanya è seduta
tranquilla, come se nulla
fosse successo. Jasper mi guarda serio e annuisce, mia sorella fa lo
stesso.
Hanno capito ciò che voglio fare. Non importa se con questo
sacrificherò ancora
la mia vita, non mi interessa se soffrirò come un cane,
sarà un piccola
rivincita per me stesso, per i miei genitori, per Bella. Apro la porta
lanciando uno sguardo d’intesa a Jasper e scendo in macchina.
Apro la porta e tutto è come poco prima. Afferro la pistola
dalla
tasca posteriore e senza rendermene conto, con un secco, freddo eimmediato colpo il
proiettile si infila sulla
testa del grande e stimato Denali, mettendo fine alla sua vita, alla
nostra
sofferenza. Tanya balza dalla sedia urlando, in un attimo gli occhi di
Bella
uccidono i miei, e per un millesimo di secondo mi pento di
ciò che ho fatto,
sentendomi un bambino con il suo giocattolo frantumato tra le mani.
È come se
tutta la sicurezza che fino a qualche attimo prima si era impossessata
di me si
fosse dissolta nel nulla.
«Che cazzo hai fatto?!» Urla Bella lanciandosi sul
mio corpo per
poi colpirlo di pugni continuamente. Inizia a piangere mentre io guardo
tutti
con gli occhi sgranati. Jasper mi guarda, mia sorella ha la testa
sotterrata
nel suo petto. Mia madre non è ancora uscita dal bagno,
Tanya è distesa accanto
suo padre e piange. Mi guardo le mani, una con l’arma ancora
stretta tra le
dita, le stesse mani che hanno saputo uccidere.
«L’ho fatto per noi…» Sussurro
con una lacrima che rischia di
scendere sul mio viso.
«No Edward! MARCIRAI IN GALERA! »
«SPIEGAMI CHE CAZZO DI ALTERNATIVE AVEVO?! » Urlo
con tutto il
fiato che ho in corpo, mentre le lacrime scoppiano sul mio viso. Mi
prendo la
testa tra le mani facendo scivolare la pistola per terra. Sento i
tacchi di
Tanya avvicinarsi a me e rimango immobile, adesso sì che ho
perso tutto, per
davvero questa volta. Appoggia una mano nella mia spalla e la stringe
forte, il
suo respiro si avvicina al mio orecchio per poi sussurrare:
«Questa la pagherai
cara. » Si avvicina alla porta ma Jasper la blocca.
«Non così in fretta sorellina.» Alzo la
testa e guardo entrambi.
Lei scoppia a ridere e lo colpisce con il suo sguardo freddo e duro,
identico a
quello del padre.
«Prendi questi.» Mormora dandole una busta gialla
imbottita. «Sparisci,
o finirà male anche per te.» Lo sguardo di Jasper
fa paura, per qualche
millesimo di secondo ha fatto uscire il Denali che è in lui.
Tanya indietreggia
e mi guarda con sguardo assassino. Resta in silenzio per qualche
secondo e solo
dopo averci guardati con sguardo pieno d’odio afferra la
busta titubante, Jasper
si sposta e lei scappa via. Mia madre sbuca dal nulla, avvicinandosi al
corpo
di Denali per poi allontanarsi immediatamente, ma solo dopo avergli
sferrato un
calcio sulle palle. Guardo Bella, che finalmente si è
degnata di donarmi il suo
sguardo. Mi guarda con disperazione, rassegnazione. Chiamo
l’ambulanza per mio
padre, andando in contro al mio destino ancora una volta.
Una
settimana dopo.
«Potevamo
essere
felici Edward. Hai sbagliato tutto.» Mormora, dopo essermi
seduto nella sala d’aspetto
della stazione di polizia, dopo aver risposto all’ennesimo
interrogatorio. È
ormai una settimana che sto dentro un cella, ma lo sapevo. Non
è ancora deciso
nulla, se ci sono abbastanza prove vado fuori. E la mia è
stata legittima difesa.
Ogni essere umano, dopo aver visto quelle cose lo avrebbe ucciso.
Sospiro
guardando Bella negli occhi.
«L’ho fatto per noi
Bella. Questa era l’unica alternativa.»
«Sei un assassino
Edward.»
«NO! Non lo sono!
Non ho mai pensato di uccidere qualcuno, sono stato costretto Bella!
Cazzo! Non
capisci niente. TU COSA AVRESTI FATTO? » Mi zittisco
all’istante non appena un
poliziotto sbuca dalla porta per intimarmi di non fare casino. Lei si
alza e va
via. Facendomi sentire un verme. Scuoto la testa rendendomi conto che
forse
scegliere questa strada, l’unica, non è stato
giusto. In fondo è stata lei
stessa ad implorarmi di fare qualcosa. L’ho fatto solo per
lei. Perché se non
mi fossi innamorato di lei il mio mondo non mi sarebbe stato poi
così tanto
stretto. Lei ha migliorato la mia vita, ma molte volte mi fa pensare
che per
lei non sono abbastanza e non lo sono mai stato. Tanya, la nuova
Eveline
Sokoli, si trova negli stati uniti, è andata via il giorno
stesso. Denali è al
cimitero, nel posto dove merita di essere, forse all’inferno
imparerà il senso
della vita che ha ormai perso. Jasper è andato subito a
sistemare le cose con i
documenti e aspettano che questa merda finisca per sposarsi. Mio padre
è stato
operato al torace e alla gamba destra, aveva parecchie ossa spezzate,
ma si sta
riprendendo, è forte. Mia madre nonsi è
ancora ripresa, ma fortunatamente quel giorno siamo arrivati in tempo,
prima
che lui potesse profanarla con la sua malvagità.
L’unico che non si è ancora
capito in quale sezione di vita potesse essere collocato sono io.
Scuoto la
testa e aspetto che il poliziotto venga con le manette per riportarmi
nella mia
cella. La galera è dura, anche per un solo giorno. Non si fa
nulla, se non
mangiare schifezze. C’è una lurida puzza dentro le
celle e i letti sanno di
muffa. Ogni notte, prima di chiudere gli occhi, sfiniti dalle lacrime,
vedo il
corpo di Denali steso sul suo stesso sangue. È una visione
che non mi
abbandonerà mai.
«Sei libero Cullen.
Almeno fino alla data del processo.» Dice il poliziotto
sorridendomi, facendomi
credere che lì dentro oggi mi hanno creduto più
di ieri. Afferro i miei vestiti
tra le mani dell’appuntato e corro a cambiarmi.
«Era
l’unica cosa,
Edward.» Sussurra mio padre. Io annuisco e una lacrima bagna
il mio pugno
appoggiato sul letto di mio padre.
«Crede che sono un
assassino.»
«Ma non lo sei
figliolo.» Appoggia una mano sulla mia spalla e mi guarda fin
quando non si
addormenta. Accarezzo la mano di mio padre, così fragile per
un uomo come lui.
Penso a quando ero piccolo, ricordo che gli piaceva farmi arrabbiare,
mi
nascondeva tutti i giocattoli e li tirava fuori solo quando scoppiavo a
piangere
seriamente. Sorrido, pensando che forse non è andato tutto
perso. Che forse la
mia vita può iniziare da adesso. Mi alzo, facendo attenzione
a non svegliarlo e
mi dirigo nel mio studio. Apro la porta, ed è strano
trovarsi qui. Afferro una
scatola, buttando sullo scaffale l’acqua fisiologica che
aveva dentro e inizio
a metterci i miei effetti personali.
«Edward.» Mormora
Ben con gli occhi sgranati. Lo guardo e gli sorrido, mentre continuo a
fare ciò
che stavo facendo.
«Ho letto, sui
giornali.» Mormora, forse, non sapendo che dire. Io annuisco
e sospiro.
«Hai fatto bene
Edward. Solo, cerca di non entrare ancora lì dentro.
» Dice mentre si avvicina
e mi da una pacca sulla spalla, io scoppio a piangere per
l’ennesima volta e lo
abbraccio forte. Rendendomi conto che era da tempo che volevo farlo,
abbracciare qualcuno che mi ha sempre compreso, oltre la mia famiglia,
oltre
Bella.
«Cercherò di non
farlo credimi.» Sussurro con le lacrime agli occhi,
sentendomi un piccolo
agnellino smarrito nel bosco.
Busso
per l’ennesima
volta ma niente, non apre quella dannata porta.
«Bella apri. Butto
giù la porta! » urlo nel bel mezzo di una crisi di
rabbia. Sono stanco di
questa cosa, dobbiamo chiarirla una volta e per tutte. La porta si
apre,
rivelandola in lacrime per l’ennesima volta.
«Basta Edward, sono
stanca. Ogni volta è sempre così. Io che mi
incazzo, te vieni qui, fai casino,
bussi mille volte finché non ti apro, parliamo, guardo i
tuoi occhi e mi perdo
in te, mi perdo nell’amore che provo nei tuoi confronti.
Basta Edward, sono
stanca di tutto questo, è sempre la stessa storia. Non eri
costretto ad uccidere
un uomo per stare con me.»
«Dio! Bella cosa
dovevo fare? Uccidere mio padre? Dimmelo! Sarebbe stato peggiore! Falla
finita
Bella. Questa volta non ho nulla da farmi perdonare con te. Questa
volta ho
speso l’ultimo penny che avevo a mia disposizione per essere
felice con te.
Basta, sono stanco.»Mormoro
avvicinandomi a lei. Mi abbraccia e scoppia a piangere.
«Scusa…è solo che
non voglio saperti in galera per colpa mia. Non voglio che la gente ti
guardi
come un assassino per colpa mia, per non aver saputo stare con te anche
se
stavi con un’altra.»
«Basta Bella.
Finalmente siamo noi. Non pensarci.» Mormoro alzando la
testa, per non
permettere alle lacrime di scivolare sulle mie guance. Le sue mani come
da copione
si insinuano tra i miei capelli. La spingo dolcemente, mentre le nostre
labbra
si muovono a sincrono e la porto in camera da letto, ci stendiamo e ci
guardiamo negli occhi.
«Sei la mia vita
Bella. Non andare via da me. » Sussurro fondendo il mio
sguardo con il suo.
«No Edward. Dopo
tutto quello che è successo non posso andare via da te.
Perdonami ti prego.»
Mormora per poi tuffarsi ancora tra le mie labbra. Strappo la sua
camicia da
notte di Satin con passione, contando i secondi che mi separano dal
fondermi
con lei, con il suo amore, con il suo corpo, con il mio paradiso.
Sfioro la sua
intimità dalle mutandine in pizzo e mi sento perso. Roteo
gli occhi per l’eccitazione
e lei mi sorride maliziosa. Afferra la mia maglia e la butta via dal
mio corpo
con il mio aiuto, stessa cosa con i Jeans. Inginocchiati sul letto ci
abbracciamo stretti, beandoci del calore dell’altro,
dell’esistenza del nostro
amore stesso. Un amore che per molti versi sembrava impossibile, ma un
amore
indissolubile e forte come il nostro non può essere
impossibile, a tutto c’è
una soluzione, ed io l’ho trovata. Uccidere una persona non
è mai la cosa
giusta da fare, ma sono stato costretto, la mia anima che, a quel tempo
aveva
firmato un contratto con Denali, sentiva il bisogno di compiere quel
gesto. Mi
sento un uomo libero, anche se forse non è la definizione
esatta, mi sento
finalmente quell’Edward Cullen ragazzo, buono e gentile con
tutti, è come se uccidendo
lui ho ucciso la parte peggiore di me. Ho ricavato la mia vita nella
sua morte.
Afferro gli slip di Bella e li faccio scivolare tra le sua gambe per
poi
lasciarli poltrire a terra, seguiti poco dopo dai miei boxer. Nudi e
ansanti,
desiderosi di noi come mai prima d’ora, consapevoli di essere
l’uno dell’altra,
senza interruzioni o presenze da parte di nessuno. Finalmente noi.
Finalmente
possiamo appartenerci, ore e per sempre. Accarezzo il suo corpo di
profilo,
prolungando questo momento che vorrei con tutto me stesso fosse
infinito. La
sua pelle ancora una volta morbida e diafana si lascia teneramente
accarezzare
dalle mie mani, quelle mani che non ti intendono lasciarla ma
più , nemmeno per
un solo attimo. Insinuo due dita dentro la sua intimità,
gesto che la fa
sobbalzare e immediatamente gemere, afferra le mie spalle, mi intima di
fermarmi, ma come se fossi accecato dalla sua bellezza,
dall’amore e dalla
passione, che dal primo giorno mi hanno attratto da lei, lei
è il polo ed io
sono la calamita. Siamo noi, solo e irrimediabilmente noi.
Le sue dita esili si
attaccano con forza ai miei capelli, facendomi eccitare in maniera
inverosimile. Afferro i suoi fianchi e inginocchiandomi sul letto con
una mossa
repentina, la tiro verso di me, entrando dentro di lei con forza e
velocità
disarmante, i suoi capelli ondeggiano sul suo seno, facendomelo notare
più del
dovuto, con una mano la tengo stretta a me, mentre le sue mani
accarezzano il
mio viso e con l’altra sposto i capelli dal suo petto per poi
baciarne un seno,
turgido, perfetto per la mia bocca. Inizio a leccare, mordere
accarezzare con
la punta del naso mentre spingo sempre più a fondo, volendo
entrare dentro di
lei ancor di più, cercando ancora una volta di rendere tutto
questo nostro e
indimenticabile, voglio che ogni volta che mi vede pensi a tutto
questo, a
quello che realmente siamo, la nostra storia d’amore
è iniziata in questo modo
e voglio che continui così, a renderci indimenticabili,
dipendenti l’uno dall’altra,
perché se anche molte volte la dipendenza è un
termine mostruoso per noi essere
dipendenti è necessario, se lei respira io vivo, se io la
amo lei respira, un
circolo necessario, che potrebbe distruggerci in un attimo, rovinando
tutto ciò
per cui siamo cui in pochi attimi, ma questa è
l’amore, e forse non c’è modo
migliore di viverlo se non così. Affondo dentro di lei, i
suoi respiri mi
permettono di sorriderle per davvero. La sua bocca sussurra
“Ti amo”, ne bacio
ogni centimetro per poi sentire le sue pareti stringersi attorno al mio
membro,
continuo a spingere in lei, che sfinita si appoggia al mio petto, vengo
dentro
di lei, schizzando il mio seme all’interno del suo corpo,
tingendolo ancora una
volta del mio colore all’interno di lei. Mi stringe forte a
sé, baciandomi il
collo con dei piccoli e teneri baci. Stringo la sua pelle attorno alle
mie
dita, come se avessi paura che lei potesse scomparire da un momento
all’altro.
Ci sdraiamo sul letto, recuperando il respiro mozzato
dall’amplesso appoggia la
sua testa sul mio petto e sento la dolce sensazione dei suoi capelli
che
solleticano la peluria sul mio petto. Dopo qualche secondo, apro gli
occhi
sentendo la sua risata serena e leggera.
«Guarda.» Indica lo
specchio di fronte a noi, dove siamo riflessi entrambi, mi metto seduto
per
guardarlo meglio e sorrido. Ci siamo noi, sereni, abbracciati e
appagati.
«Ti amo Edward.»
Mormora tuffandosi sulle mie labbra.
«Ti amo anch’io.» Le
porgo la mano e confusa si alza dal letto insieme a me. Mi posiziono
dietro di
lei, adesso di fronte allo specchio e la guardo da lì.
«Guardaci Bella.»
Mormoro baciandole l’orecchio.
«Siamo noi, Edward.
Finalmente noi.»
Eccoci qui. Ultimo
capitolo di questa storia. Il prossimo
sarà l’epilogo. Non so quando
aggiornerò, il 17 partirò per il mare, spero di
riuscirci. Nel prossimo scriverò
tutto ciò che c’è di necessario. Al
momento godetevi il ferragosto edivertitevi. Grazie mille, a
tutte quante. Un bacione Roby <3
Libero, come una
rondine in primavera, alzo le braccia e con
uno slancio mi tuffo nel mare. Liberando il mio corpo, facendo sfociare
tutta l’adrenalina
che ho all'interno. Annaspo l’aria, sorridendo al sole, al
mare, alla mia vita che
da qualche anno è più viva, è serena,
è una vita con tutti i diritti di essere
chiamata tale. Accarezzo il pelo dell’acqua ed è
calda, sotto il sole cocente
di Miami. Bella è sdraiata sotto al sole, non ha fatto altro
da quando siamo atterrati
a Miami, dopo due anni, finalmente possiamo permetterci di farci una
piccola
vacanza. I mesi che seguirono dopo la morte di Denali furono
disastrosi, era
come se eravamo entrati tutti in una strada senza uscita, era come se
l’anima
oscura di Denali si stesse ribellando a noi, ancora una volta, non
lasciandoci
scampo. Mi hanno arrestato, per sei lunghissimi mesi,
c’è stato il processo, e
sotto testimonianza di Alice, Jasper e dei miei genitori, non sono
stato
accusato di omicidio preterintenzionale, quello che invece è
accaduto. Jasper
ha il porto d’armi in casa, ed è stato lui a
salvarmi il posteriore per l’ennesima
volta.
«Signore. L’imputato
si è trovato con le mani legate. La furia di mio padre aveva
scaraventato una
cassettiera per terra facendo riversare sul pavimento tutti i cassetti
e,
ovviamente, quello che contenevano. Edward ha afferrato la pistola e
prima che
tutti quanti ce ne rendevamo conto ha sparato. Uccidendolo.
Difendendosi. »
Ricordo ancora perfettamente le parole di Jasper. Il
giudice, sotto lo sguardo implorante di tutti quanti mi ha riconosciuto
innocente. Il caso è ormai chiuso. Trovare lavoro, dopo
tutto quello che era
successo era divenuto impossibile, tant’è che
stavo per impazzire, passavo le
giornate con le copie del mio curriculum in mano, passeggiando per ore
senza
fermarmi, sotto la pioggia, sotto la neve. Tornavo a casa furioso, mi
sentivo
inutile e ancora una volta odiavo me stesso. Passarono altri sei mesi
così,
vuoti, senza speranza, io stesso per la seconda volta mi ero bruciato
la terra
che mi stava attorno, rimanendo fermo in quel tempo che ormai si era
congelato.
Non passavano i giorni senza una lacrima che rigava il mio viso,
facendo
scoppiare Bella in un pianto disperato. E invece adesso, eccoci qui. In
vacanza, felici come non mai, appagati, entrambi innamorati di noi, del
nostro
lavoro attuale. Mio padre, otto mesi fa ha venduto la sua azienda,
ricavandone
un istituto ospedaliero di cui io ne sono il direttore e pediatra.
Bella è una
neuropsichiatra infantile. Mia madre fa parte del volontariato,
racconta le favole
ai bambini ricoverati, aiuta i vecchietti a mangiare, gioca a carte con
la
gente che si trova nei corridoi ad annoiarsi. Mio padre fa parte degli
acquisti
come barelle, medicine, lenzuola, attrezzature e quant’altro.
Alice e Jasper
fanno parte dell’infermeria e Ben è sempre al mio
fianco. Siamo rinati,
graziea mio padre,
che, dopo avermi
chiesto scusa per l’ennesima volta, mi ha consegnato i
documenti dell’acquisto
a mio nome.Edward Cullen Hospital. I primi giorni non riuscivo a
credere ai miei
occhi, dopo qualche mese mi sono abituato. A volte, nella penombra di
casa mia
alla notte, quando nessuno mi può vedere né
sentire, penso che forse, se mio
padre avesse capito prima a cosa aspiravo, non ci fosse stato bisogno
di nessun
spargimento di sangue, nessuna sofferenza per nessuno. Tante volte lo
vedo, il
viso di Denali pallido e raccapricciante, tante volte ho pensato che il
mio
gesto, per quanto spiegabile possa essere, è sempre stato il
gesto di un
assassino, di una persona fredda e crudele, proprio come lo era lui.
Scuoto la
testa, cercando di espellere certi pensieri dalla mia mente e torno
sulla
sabbia, guardando la mia fidanzata che parla al telefono e sorride.
Senza
nessuna parola mi porge il telefono e mi soffia un bacio.
«Pronto?»
«Edward! Senti non ho
molto tempo. Voglio solo avvisarti che qui sono arrivati i documenti
per il
divorzio, Tanya si è arresa.»
Il cellulare mi scivola dalle mani, cadendo silenziosamente
sulla sabbia, Bella mi guarda con gli occhi sgranati e afferra il
telefono.
«Che succede Edward?» Mormora spaventata, sempre
con quella
paura negli occhi, la stessa che ha avuto nel momento in cui ha
scoperto, in un
tempo non molto lontano, che ero sposato. Sto per buttarmi addosso a
lei, per
chiederle di sposarmi e per farci l’amore per le prossime
quarantotto ore, ma l’euforia
svanisce non appena realizzo di noi. Di lei. Del poco che ha avuto da
me in
tutto questo tempo, da tutto quello che lei avrebbe meritato, una
stella e
forse anche un pezzetto di luna. Penso alle occasioni che ho avuto per
dirle
quanto l’amo, e tutte quelle volte che gliel’ho
detto ma non c'è mai stato nulla di
magico, solo il nostro amore, quell’amore potente,
quell’amore che non si ferma
che ha sempre voglia di crescere. Penso che chiederle di sposarmi in
questo
momento non rende la dichiarazione magica, degna di lei. Le sorrido e
scuoto la
testa, lei mia guarda inarcando un sopracciglio per poi abbassare gli
occhiali
sugli occhi e distendersi ancora. Afferra il libro che stava leggendo
ed io mi
incanto a guardarla. Con il mio sguardo accarezzo le sue gambe
così snelle e
sode, abbronzate in modo leggero ma alquanto eccitante. Il suo ventre
piatto e
morbido, che mi fa venire voglia di mordere ogni lembo di pelle che
possiede. I
suoi seni, intrappolati nel bikini nero, che guizzerebbero fuori nel
momento in
cui lei si accorgesse che i miei occhi li stanno consumando, tanta
è l’intensità
del mio sguardo. Sfioro il libro con un dito, scostandolo lievemente
per
riuscire a vedere il suo viso, le sue labbra rosse e succose, il suo
nasino
adorabile che la rende ancora più speciale ai miei occhi e
poi…poi ci sono i
suoi occhi, quelli che oggi mi hanno portato qui, con lei, catturandomi
dentro
la sua anima con un solo sguardo. Facendo di me un uomo e allo stesso
tempo un
bambino a cui bisogna insegnargli l’educazione. Facendo di me
il suo dominatore
e allo stesso tempo il suo sottomesso. Facendomi felice. Quegli occhi
che mi
hanno dato speranza, quegli occhi che mi hanno saputo odiare e amare
allo
stesso tempo. Quegli occhi che lanciano degli sguardi profondi, quelli
per cui la gente pagherebbe per riceverli. Quegli occhi che adesso mi
scrutano divertiti,
facendomi incantare e innamorare ancora di più di lei.
«Che c’è?» Chiede fintamente
infastidita. Mi tuffo sulle
sue labbra affamato, voglioso. Le accarezzo con la lingua il contorno
del labbro
inferiore e il suo odore mi colpisce facendomi perdere la ragione. Le
mie mani,
come se fosse scattato il comando, vagano sul suo corpo, afferrando i
suoi
fianchi, i glutei, ogni parte del suo corpo, con passione e
venerazione. Il
tonfo del libro che cade per terra mi fa sorridere sulle sue labbra e
so bene
che lei ama quando lo faccio. Con le punta delle dita tocco ogni parte
del suo
corpo, arrivando lì, dove desidero arrivare ad ogni ora del
giorno. Scavalco
con il medio il costume di Bella e con un gesto repentino la penetro,
sento i
miei capelli tra le sue dita, alcuni abbandonano la mia cute tanta
è la forza
che ci mette. Ansima sulle mie labbra e il mio membro prega di uscire
dal
costume ed entrare prepotentemente dentro di lei. Le sue mani mi
bloccano
forzando il mio petto. La guardo negli occhi, accorgendomi della
passione che
trasmette anche da lì, vedendole quella luce che dal primo
momento ha saputo
farmi impazzire.
«Torniamo in albergo, Edward.» Sussurra con voce
roca.
Accarezzo i suoi
seni nudi, turgidi e guizzanti davanti al
mio viso. Con i pollici schiaccio i capezzoli, gesto che, sono
fortemente
sicuro è quello che la fa impazzire di più. La
sua bocca ed i suoi occhi sono
spalancati, è in uno stato di trance, è alla mia
mercé si fida di me più di
chiunque altro. Nonostante io sia solo adesso un uomo affidabile,
nonostante la
maggior parte delle lacrime che ha versato sono state sprecate per
causa mia,
nonostante lei mi amasse da sempre quando io respingevo i miei stessi
sentimenti e quindi i suoi. Forse, se la sua tenacia e il suo amore per
me non
fossero stati così potenti, non saremmo qui, felici,
completi, appagati.
Allargo le sue gambe rivelando il suo sesso lucido e gocciolante, il
suo odore
si insinua prepotentemente nelle mie narici e roteo gli occhi per la
troppa
eccitazione, sicuro che se non entro dentro di lei immediatamente,
rischio di
macchiare queste lenzuola, che ancora profumano di noi e della notte
scorsa,
rovinando così in modo davvero deludente quello che io
chiamo: l’amore, le
fondamenta del nostro sesso. Afferro le sue cosce e le porto sopra le
mie gambe
piegate, bacio la sua bocca e lentamente entro dentro di lei.
Rimaniamo così, in un attimo che sembra lunghissimo, in
silenzio, facendo parlare tra di loro solo i nostri occhi, rivelandoci
ancora
una volta quanto importante e onnipotente sia il nostro amore,
l’attrazione che
ci unisce. La passione aleggia sulle nostre teste, schiacciandoci e
obbligandoci a muoverci a sincrono, per l’ennesima e non
ultima volta. Appoggio
la testa sulla sua spalla, mentre lei detta il ritmo delle spinte,
sento i
nostri sessi che si incontrano, che percorrono quella poca strada che
li divide
per poi abbracciarsi sfociando in un sonoro schiocco. Con la fronte
alza la mia
testa e morde il mio mento, le mie mani tengono i suoi fianchi morbidi
e caldi.
Le sue pareti intime mi accolgono ad ogni spinta, ed è
naturale per noi. I seni
di Bella ondeggiando sul mio viso e non posso fare a meno di prenderne
uno in
bocca e succhiarlo, sperando quasi di ingoiarlo e farlo mio in ogni
senso. Un
gemito di dolore lascia le sue labbra e immediatamente mi scosto,
notando il
suo seno rosso e vergognosamente turgido.
«Scusa…» Ansimo appropriandomi delle sue
labbra, lei scuote
la testa e riponde al mio bacio con vigore.
Le sue pareti intime strizzano il mio membro mandandomi
fuori di testa. Accarezzo con le orecchie i suoi gemiti, spingo sempre
più
forte portandoci al limite, vengo dentro di lei, marchiandola per
l’ennesima
volta, mi libero del mio sperma che improvvisamente era divenuto
pesante e
appoggio la mia testa sulla sua spalla e lei, come sempre, accarezza i
miei
capelli aspettando che i nostri respiri si regolarizzino. Strabuzzo gli
occhi e
mi alzo con una mossa repentina ed esco da lei in modo poco nobile,
afferro la
rosa blu che avevo gelosamente conservato nel piccolo armadietto vicino
al
letto, prendo la scatolina rossa che c’è di fianco
e sospiro, diventando
agitato e nervoso senza rendermene conto per davvero. Mi volto e la
guardo, più
bella che mai, nuda, con gli occhi curiosi e le gote rosa.
«Bella…okay, forse in questi casi dovrei dire
tutto il tuo
nome di battesimo, ma io…cioè, lo sai
no?» Pronuncio questa frase senza senso
toccandomi i capelli nervosamente, lei scoppia a ridere e mi guarda,
aspettando
che io parli. Mi schirisco la voce e guardo il tetto color avorio della
nostra
suite.
«Senti Bella. Non so bene cosa dire sinceramente,
né mi ero
scritto un discorso adatto, avrei voluto rendere speciale questa cosa
per te…ma
ovviamente è l’ennesimo mio fallimento.
È solo che…ecco io…Okay
basta.» cerco
di darmi un contegno, ma mai mi sono sentito così in
difficoltà, forse la paura
di deluderla ancora una volta mi spaventa così tanto che mi
fa perdere la
ragione, forse è perché i suoi occhi, quando
l’ho delusa, sono rimasti impressi
dentro di me, ma devo cancellare questa sensazione, devo farlo in
qualche modo.
«Sposami Bella. Tanya si è arresa, mi ha dato il
divorzio.
Voglio renderti mia moglie, legalmente, per sempre. Voglio una famiglia
con te.
Voglio il tuo sorriso sempre davanti ai miei occhi. Voglio te, le tue
speranze,
voglio te perché sei la mia salvezza. Perché sono
sicuro che con te posso
affrontare qualsiasi cosa. Perché voglio renderti una
principessa…la mia
principessa. Voglio la tua stessa fede al dito, voglio esserti fedele
sempre,
voglio starti vicino in salute e in malattia, in ricchezza e in
povertà. Ti amo
amore mio e sei tutta la mia vita, sposami.» Lei si avvicina
a me sinuosamente
e con una lacrima di commozione che riga il suo viso, i suoi occhi
stanno per
esplodere di gioia.
«Hai dimenticato…e onorarti finché
morte non ci separi. Sì
Edward, fai di me tua moglie.» Sussurra allacciando le sue
braccia sul mio
collo e poi baciarmi fino a consumarmi le labbra. Ci stacchiamo
guardandoci
negli occhi e apro il piccolo cofanetto contenendo un anello fine e
allo stesso
tempo molto appariscente, proprio come piace a lei. Lo infilo nel suo
dito e
poi giro la sua mano portando all’insù il palmo,
appoggio delicatamente la rosa
blu e le la stringe abbracciandomi forte.
«Ti amo Edward. Amami ancora.»
L’accontento, distendendola
nel nostro letto, ricordandomi di noi, ieri e oggi, per sempre solo noi.
Dieci
anni dopo.
Bella’s
Pov.
«Richard!
Lascia i capelli di tua sorella adesso!» urlo
disperata, cercando di togliere i capelli di Amanda dal pugno
terribilmente
chiuso di Richard. Lo schiude subito, notando il mio sguardo finto
furioso e
scoppia a piangere. Lo prendo in spalla velocemente e bacio le sue
guance.
«Amore mio, non piangere. Non devi tirare i capelli ad Amy,
le fai male tesorino mio.» Accarezzo il suo naso con il mio e
lui si calma
immediatamente. Guardo i suoi occhi, identici a quelli del padre, gli
stessi
che riescono a portarmi al limite della dolcezza e della disperazione.
Richard
ha quattro anni, è biondo e ha gli occhi verdi, appunto,
identici a quelli di
Edward. Amanda invece ha sette anni, i suoi occhi sono marroni come i
miei, i
capelli sono color rame come quelli del padre. Ricordo ancora il giorno
in cui
ho scoperto di aspettarli, ricordo ancora le lacrime di commozione di
Edward.
Partorirli è stata la cosa più bella insieme al
nostro matrimonio, benché li
avessi partoriti io, suo padre era lì con me a darmi il
coraggio e la forza
necessaria per metterli al mondo. Mai un giorno ha mancato di
ricordarmi quanto
mi ama, mai un giorno non ha dimostrato amore ai suoi figli. Sono
questi i
momenti in cui ti chiedi cosa vuoi di più dalla vita?
Dopo esserci sposati acquistammo una villetta non molto
lontana dal lavoro. C’è un giardino grandissimo,
ottimo per le esigenze dei
piccoli, che pian piano stanno crescendo. La casa è troppo
grande per noi, ma
Edward, non ha voluto sentirne di acquistarne un’altra,
è come se tra lui e
questa dimora ci fosse stato un rapidissimo colpo di fulmine. Mi sembra
così
strano sentirmi felice, quando per avere tutta questa
felicità ho dovuto
versare lacrime di sangue, è stato
doloroso…è vero, ma ci ha portati qui.
Innamorati e felici, con la nostra splendida famiglia, con i nostri
piccoli
tesori che riempiono i nostri giorni quando non siamo
dell’umore adatto per
farlo noi stessi. Forse con Edward in principio ho sbagliato, forse non
sono
stata quello che gli altri si aspettavano da me, ma sono qui adesso, se
non
avessi fatto quei piccoli errori sono sicura che non sarei a questo
punto, non
avrei la felicità sotto mano, non avrei nessuno che sappia
realmente
abbracciarmi con la mente. Il campanello trilla e corro ad aprire. Mia
madre e
mio padre fanno il loro ingresso con le mani piene di borse contenenti
la
spesa.
«Mamma, Papà! Nessuno vi da il diritto di fare la
spesa!»
Esclamo rimproverandoli.
«Tesoro per noi è un piacere.» Sussurra
mio padre
dirigendosi in cucina seguito da mia madre. Scuoto la testa ripetendomi
che no…non
cambieranno mai. Sono venuti qui in vacanza per un mese, lo fanno ogni
anno da
quando mi sono sposata. Vogliono bene ad Edward, anche se
all’inizio avevano la
puzza sotto al naso, causata dal gesto che Edward fece anni fa. Abbiamo
spiegato loro tutto e, ovviamente, si sono ricreduti, accogliendolo in
famiglia
come un figlio. Alzo il volume dei cartoni ai miei piccoli e comincio a
cucinare. Edward aveva un appuntamento importante con un bimbo di tre
mesi, ma
tra un po’ dovrebbe essere di ritorno. Infatti, non appena la
tavola è pronta
sento i mandanti della porta, sorrido ai miei figli che corrono verso
il padre,
assalendolo in un mega abbraccio pieno d’affetto. Edward si
avvicina a me, con
un girasole tra le mani, come ogni sera, me lo porge ed io lo bacio con
trasporto. Ci sediamo a tavola e per l’ennesima volta rimango
a guardarli tutti
e tre, Amanda che sorride al padre mentre si passa una mano tra i
capelli, nel
mostrare affetto è nervosa, proprio come il padre, Richard
che ha le
sopracciglia inarcate mentre cerca di afferrare una patata con la
forchetta e
poi c’è lui, che non appena lo guardo mi accorgo
che mi sta mangiando con gli
occhi, come la prima volta che mi ha visto, come ogni giorno.
Questa è la mia vita adesso.
Questa è la mia famiglia.
E siamo noi, fantasticamente noi, per sempre.
The End.
Eccoci
arrivati, finalmente aggiungo, alla fine di questa storia. So bene che
non è
molto soddisfacente, ma, come molti sanno, ho scritto questa storia
come
diversivo dopo aver concluso la mia perla (che non è
granché) Love Save The
Pain, avevo bisogno di espellere dalla mia mente quegli Edward e Bella
e, come
immaginavo, non ci sono riuscita propriamente, ma sono riuscita a
convivere con
il pensiero di quei due. So bene che sembra ridicolo, ma è
così.
Concludo,
ringraziando tutte quante. Grazie infinite, per ogni singola parola,
per aver
seguito, ricordato e scelto questa storia e anche per chi mi ha
aggiunto tra
gli autori preferiti.
A
Giova71, per non aver preso le speranze, e per aver seguito questa
storia dall’inizio
alla fine.
A
Paride, che inconsapevolmente mi ha sorpresa, per il suo interesse, per
le sue
parole e anche per aver seguito questa storia dall’inizio
alla fine.
A
Giulia, che mi segue dalla mia prima storia, nonostante sia un pochino
di parte
eh! Non manca di dirmi quello che pensa, non manca di spronarmi per
scrivere,
grazie tesorino mio, sei importante.
A Lu
che riempie il mio cuore con ogni sua singola frase, rendendomi
fortunata. Ti
voglio bene piccolo-grande tesoro.
A Gra
che mi ha aiutata quando ero impazzita, quando non sapevo che fare,
quando il
mio morale era a terra e lei, con le sue parole e il suo affetto mi ha
raccolto
con sé. Ti voglio bene piccola mia, stay strong, io sono con
te sempre <3
Ad Ami,
(senza la quale non ci sarebbe stata la piccola Amanda xD) a lei per
aver letto
i capitoli in anteprima, per essere sempre sincera, per aiutarmi con i
titoli
in inglese, per dirmi anche solo ti voglio bene. Non so se senza di te
ce l’avrei
mai fatta, lo sai. Hai scaldato il mio cuore con ogni piccola
recensione, gesto
o frase. Mi hai sopportato quando rompo letteralmente i coglioni su un
nuovo
capitolo. Mi hai dato speranza nel portare avanti questa storia che,
per un
certo senso è senza senso (lol). Ti voglio bene my love, non
dimenticarlo, mai:
Us Forever <3