Embrace me With Your Mind.

di RobiSmolderhalder
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Attraction At First Sight ***
Capitolo 3: *** Each Other’s Breath. ***
Capitolo 4: *** Flavour of Passion. ***
Capitolo 5: *** Inside. ***
Capitolo 6: *** You've built a love but that love falls apart. ***
Capitolo 7: *** But Just Give Me, huh, what I Know is mine. ***
Capitolo 8: *** What Are Stars Useful for? ***
Capitolo 9: *** The Arcane ***
Capitolo 10: *** Orfeo e Euridice. ***
Capitolo 11: *** She is My Person. ***
Capitolo 12: *** Finally Us. ***
Capitolo 13: *** Epilogo // Us Forever. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Embrace me With Your Mind.

 

Prologo.

 

 

 

 

Apro gli occhi di scatto. Guardo la radiosveglia che segna le due e quarantacinque di notte, sbuffo guardando la donna che occupa l’altra parte del letto e mi metto seduto. Mi passo freneticamente una mano tra i capelli e mi alzo per andare in bagno. Mi guardo allo specchio che si trova attaccato al muro, sopra il lavabo. Per la millesima volta fisso quell’uomo che non sono. Mi guardo, non riconoscendo neanche una minima parte di me stesso. Mi faccio schifo, ecco cosa. Mi manca il ragazzo spensierato, che non gli importava se faceva sesso con una donna per poi dimenticarne il nome. Che non gli importava se sua madre si disperava perché non vedeva il figlio per tre giorni consecutivamente. Non gli importava ma era felice, non era represso, non era costretto, non era quello che è adesso, non doveva sopportare tutto quello che sopporta adesso. Quel ragazzo che per certi versi era peggiore di quello che è adesso. Apro l’acqua e violentemente sfrego le mani sulla mia faccia, come a voler eliminare il volto della persona che ho appena visto allo specchio, ma, ovviamente, non elimino un cazzo, elimino solo la mia voglia di tornare indietro, cercando di non pensarci, cercando di vivere come negli anni precedenti, come fino a ieri.
Il sole fa capolino, illuminando il Big-Ben, mostrando la bellezza di Londra, in tutto il suo fascino. Ho sempre amato questa città, da quando ero piccolo mi sono sempre sentito fortunato a vivere qui, ad essere nato qui. E’ decisamente la città dove tutti vorrebbero essere nati. Mi passo una mano in fronte, cercando di togliere un po’ del sudore causato dalla mia “corsa mattutina”. Tra due ore devo essere al lavoro, ma tornare a casa adesso sarebbe troppo. Sarebbe troppo sopportare il bacio del buongiorno da una persona che ti disgusta. Sarebbe troppo sopportare la sua voce da gallina annoiata di prima mattina. Perciò mi siedo sul rialzo del marciapiede e mi guardo attorno. Chissà com’è la gente che mi passa davanti. Molte volte, nelle mattine come questa, mi ritrovo a guardarmi attorno, immaginando la vita della gente, degli uccellini che cantano sopra un albero, dei cani, delle auto stesse. Qualsiasi cosa per evitare di pensare a me, a quanto schifo mi faccia la mia vita, nonostante io sia pieno di soldi, nonostante sia sposato a soli trentuno anni, nonostante ci sono molti dei miei conoscenti che mi invidiano. Sono quella persona che se la conosci davvero la eviti, sono quella persona che potrebbe essere considerata spregevole, sono quella persona che vive, respira agisce per interesse. Mi piace il lusso, mi piace il mio lavoro, mi piace bere vini pregiati, ma a che prezzo? A quello di farmi schifo, a quello di sputare nello specchio dove mi vedo riflesso. Sono Edward Cullen, un uomo di trentuno anni, un fallito, un pediatra raccomandato. Un uomo che si è rovinato la vita con le sue stesse mani.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sbradabambambam. Eccomi, ancora, yay :p
La mia storia, per chi la conosce “Love Save The Pain” è quasi terminata. Questa piccola storiella è nella mia mente già da parecchio tempo, ma sono sicura che, non riuscirei ad iniziare due storie insieme, un po’ perché  non mi piace farlo, un po’ perché poi avrei trascurato una delle due.
Spero che questo prologo incuriosisca, lo spero davvero. Vorrei dire una cosa alla gente che mi conosce: ebbene, per la prima volta mi imbatto in una storia senza malinconia, cioè forse un po’ di malinconia c’è, ma non è il genere che predominerà la storia ecco…quindi, TRANQUILLE! Ahahahahahah.
Okay, me ne vado…Fatemi sapere :p

 Roby.

 

 

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Capitolo 2
*** Attraction At First Sight ***


Embrace Me With Your Mind.

 

 

 

Attraction At First Sight.

 

 

 

 

 

«Buongiorno amore mio.»- Sussurra Tanya, accarezzandomi il petto, alzo gli occhi al cielo, sospirando di rabbia, già alle sei del mattino. La sua mano sale sul mio petto, per poi lisciare la spalla e finire sulla schiena. E come se fosse già tutto programmato, sento il suo sedere alzarsi dal letto e i suoi passi dirigersi in cucina. Ogni mattina sempre la stessa recita, finge di avvicinarsi, cercando di convincermi del fatto che noi ci amiamo e che siamo una delle coppie più felici al mondo, una di quelle coppie senza problemi, ma lei non sa che è tutta una finzione, da parte sua, da parte mia. Non c’è mai stata quella scintilla, che per qualche anno ho creduto arrivasse, all’inizio credevo che magari, anche involontariamente, sarei riuscito ad amarla, ma amare una persona che non ti ama avrebbe forse un senso? Nemmeno lei mi ama, credevo di sì, credevo che la sceneggiata avesse preso atto proprio perché credevo che lei mi amasse, ma non era quello lo scopo evidentemente. E quindi, entrambi siamo quelle persone fredde, cattive, quelle che non pensano alla vita altrui, quelle che pensano solo ai soldi, ai proprio interessi, alle proprie ambizioni, infischiandosene degli altri.
Io ci sono diventato così. Ricordo quel tempo lontano, quando al mio posto c’era un ragazzo di diciassette anni, quel ragazzo che voleva diventare un pediatra, perché l’unica cosa che riusciva ad amare era il sorriso dei bambini. Ho lottato tanto per tenermela, quella sensazione che si prova quando curi un bambino, quando la madre ti ringrazia, quando puoi scherzarci, quando sei sicuro che quel bambino si fida di te. Forse non sono poi così tanto gelido, forse nel mio cuore è rimasto un piccolo incentivo, riuscire a sorridere tramite l’abbagliante sorriso di un bambino.
Mi alzo dal letto, stufo di esserci rimasto anche fin troppo, stufo dell’odore di fondotinta spalmato sulle lenzuola, hanno creato il latte detergente apposta, porca troia. Entro in bagno, cercando di non guardare lo specchio che ho davanti e quindi iniziare a  imprecare contro di me. Mi infilo dentro il box doccia e sinceramente, ammiro la mia nudità. Dal primo giorno che io e Tanya ci siamo sposati –avevo solo ventidue anni- mi sono chiesto il perché della sua indifferenza alla vista del mio corpo nudo, le altre donne pagherebbero un malloppo per avermi, mentre lei che potrebbe tutti i giorni, tutte le ore del giorno, è come se io non ci fossi, tante volte ho pensato fosse omosessuale, non che io abbia niente contro, ma cazzo sono suo marito. Sarebbe da stronzi dire: mi sembra giusto tradirla, dato che lei non fa nulla. Ed io lo dico. Io sono un fottuto stronzo.

«Buongiorno Dottor Cullen.»- Mormora Ben alzandosi, come forma di rispetto, io gli sorrido e lo saluto. Sono sempre stato abbastanza magnanimo con Ben, mi piace come assistente e mi sta anche molto simpatico. Ho sempre pensato, che se un giorno, potrò riavere la mia libertà, potrei aprire uno studio solo mio, non in ospedale come adesso, adesso che sono costretto a stare qui, e ho sempre pensato a Ben insieme a me. Mi sta simpatico.
«Quanti bambini ci sono oggi? Età?»- Sussurro distrattamente, sfilandomi il giaccone per sostituirlo col camice.
«Due.»
«Solamente due?»- Chiedo confuso. Ben annuisce e si alza avvicinandosi a me.
«Ricorda le selezioni? Per gli specializzandi?»- Mi batto una mano in fronte, rendendomi conto che non ci avevo proprio pensato. Devo scegliere due ragazzi in un gruppo di sette. Sono stato scelto dal primario per il compito di insegnare loro il mio mestiere. Annuisco e accendo il mio computer.
«A che ora arrivano?»- Chiedo velocemente.
«Alle undici dottore. Prima i bambini. Allison tra cinque minuti e Erik alle dieci.»- Annuisco e sospiro di sollievo. Dopo aver visitato i piccoli, mi rendo conto di avere mezz’ora a disposizione. Scendo al piano di sotto, al reparto Ginecologia e cerco tra le stanza Marie. Dovrebbe essere di turno oggi.
«Edward! Che fai qui?»- Esclama Marie, picchiettandomi sulla spalla destra.
«Ti cercavo.»- Sussurro, con voce grave, bassa e roca, mentre lei mi fa l’occhiolino maliziosamente. Annuisco e scendo al piano meno uno. Non c’è mai nessuno lì sotto. E se anche fosse, qui mi conoscono in molti, non mi sono mai creato problemi, anche se essere scoperto manderebbe a puttane anche l’ultima cosa che mi è rimasta: il mio lavoro. Mi infilo dentro lo spogliatoio femminile, e, dopo essermi spogliato completamente, appoggiando la mia schiena sulle piastrelle fredde del box doccia, attendo Marie. Dopo qualche minuto, Marie entra, anche lei svestita, come ogni volta, come se fosse una regola. Accarezzando sensualmente il mio petto, coperto da pochi peli, che si raddrizzano per l’eccitazione, le sue gambe si ancorano ai miei fianchi e senza preamboli, senza parlare, senza baciarci o aggiungere smancerie di alcun genere, il mio membro sfiora la sua intimità, un attimo prima di entrare del tutto. Butto la testa all’indietro e per pochi minuti non penso a niente, se non al sesso.
«Dottor Cullen. Sono arrivati.»- Annuncia Ben, sulla soglia del mio studio. Mi sistemo la cravatta  e preparo un sorriso per accogliere quei ragazzi. E’ un piacere farlo, avrei voluto anch’io la loro stessa possibilità, forse non sarei a questo livello, ma sarei comunque stato un pediatra. Rimango seduto al mio posto, ma Ben mi guarda sorridendomi strano.
«Dottore, in sala riunioni.»- Scoppio a ridere, rendendomi conto di quanto posso essere sembrato ridicolo, rendendomi conto ancor di più di quanto non sia all’altezza di quello che pensa la gente. Mi alzo e inizio a camminare. Ben si schiarisce la voce facendomi arrestare. Indica i miei pantaloni e, ne sono sicuro, qualche anno fa sarei arrossito per questo. Mi sistemo la lampo dei pantaloni e ricomincio da dove mi ero fermato.
«Ben.»- Sussurro sicuro che abbia capito, infatti annuisce e con un gesto teatrale imita il “bocca cucita”. Entriamo nella sala riunioni e la prima cosa che vedo mi lascia basito, con un sorriso da ebete in faccia, e mi ci vorrebbe anche un aggiustata al pacco se la cosa non cambia. Vedo un sedere, tonico e sodo, dove continuano due gambe snelle ma al punto giusto. La ragazza si rimette in piedi, infilando il cellulare sulla borsa, sicuramente le era caduto.
«Buongiorno.»- Mormoro, non guardando più verso la sua direzione, in modo da non pensare ad altro e parlare in modo per niente casto, davanti a questi sette ragazzi che sono qui per la specializzazione.
Loro al mio saluto si alzano e mi sorridono, agito la mano, facendogli segno di sedersi, devo ammettere che mi piace quando arrivo e la gente si alza per rispetto, ma a volte no, dipende dai casi, dipende se sono fiero di me in quel momento. Perché sì, ci sono quei momenti in cui lo sono, anche se può sembrare difficile. Al momento non lo sono, quindi non mi va che la gente si alzi alla vista del mio arrivo. Mi presento, sentendomi un verme, ma facendo comunque attenzione alla classe, al portamento, prima cosa che mi hanno detto entrato in ospedale: per accogliere, parlare con i pazienti bisogna essere posati, gentili ma allo stesso tempo gelidi con loro, mantenere una certa classe, farli fidare di te dal primo istante in cui posano i loro occhi su di te. Ed io, da copione lo faccio e, come me, Ben. Che mi aiuterà con i ragazzi che poi selezioneremo insieme.
Prendo i fascicoli dei ragazzi, guardando con la coda dell’occhio la ragazza di poco prima, i suoi capelli sono lunghi e castani, i suoi occhi sono grandi ma non ho ancora notato il colore, la sua bocca è carnosa. Il suo modo di muoversi, di toccarsi nervosamente i capelli, la rende infantile, imbarazzata, molto più eccitante di una qualsiasi donna che non appena mi vede alza l’orlo della minigonna. I ragazzi cominciano a presentarsi, esponendo le loro qualità, faccio qualche domanda di base e nessuno mi delude. Poi tocca a lei.
«Sono Isabella Swan, ho ventisette anni. Sono al quarto anno di specializzazione.»- Mormora imbarazzata, con le gote che diventano irrimediabilmente rosse.
«Come mai è qui?»- Chiedo strafottente.
«Per lo stesso motivo di questi altri sei ragazzi.»- Mormora assumendo il colore della pelle normale, alterandosi, confondendosi.
«Mi dia una motivazione, perché dovrei scegliere lei al posto di qualcun altro?»- Continuo, facendole corrucciare le sopracciglia.
«Perché io amo i bambini. Perché l’unica cosa positiva che c’è al mondo è il loro sorriso.»- Mi dice, con ferma sicurezza sulla voce. Rimango spiazzato e continuo a guardarla.
«Si sente abbastanza competente per questo lavoro?»- Chiedo.
«Si. Ma se non ci provo non posso esserne certa al cento per cento. Lei. per esempio, è molto giovane. Nel momento in cui ha iniziato a lavorare, si sentiva competente?»- Mi chiede con una nota di rabbia nella voce. Mi giro guardando Ben, che mi guarda con gli occhi sgranati, rimango impassibile agli occhi degli altri, ma sentendo comunque un moto di rabbia che vorrebbe annebbiare i miei sensi.
«Bene. Grazie per essere venuti. Vi faremo sapere la prossima settimana.»- Dico guardando tutti tranne lei. Mi alzo e mi dirigo fuori.

 

«Dottor Cullen. C’è Denali sulla linea.»- Mormora Ben distrattamente, passandomi il telefono. Sospiro e alzo gli occhi al cielo.
«Pronto?»
«Edward. Le selezioni come vanno?»- Mi chiede con tono burbero, suo solito.
«Stiamo giusto decidendo, io e il mio assistente.»
«Le voglio entro oggi. Chiaro?»- Chiude la telefonata ed io annuisco come un automa, invano. Ben mi guarda preoccupato ed io gli faccio cenno di continuare quello che stava facendo.
«Jacob Black?»- Mi chiede, guardando la lista dei ragazzi che sono venuti cinque giorni fa. Jacob, trent’anni, viene dall’America, mh…forse.
«Poi?»
«Marlene Yanks.»- Scuoto la testa, ricordando quella ragazza così impacciata che avrebbe paura di fare un  piccolo prelievo, figuriamoci operare un bambino. Ben scoppia a ridere e scuote la testa.
«Isabella Swan?»- Ecco dove volevo che arrivasse, annuisco con vigore e lui mi guarda con gli occhi sgranati.
«Darà filo da torcere Dottor Cullen.» Ammette, cercando di farmi ripensare alla mia scelta.
«Ed è proprio per questo che le daremo una possibilità.»- Lui mi guarda confuso e riprende la lista.
«Va bene così. Jacob Black e Isabella Swan. Saranno loro gli specializzandi scelti da noi. Sempre se per te va bene.»- Mormoro guardando la scheda della ragazza.
«Per Black va bene, ma la Swan. Non mi sembra che possa andare d’accordo con lei. Non credo che sarà facile con lei.»- Dice, alzando i suoi occhiali e gesticolando animatamente.
«E’ proprio per questo che ho scelto lei. Mi piacciono le sfide, lo sai. Chiama Black. Io contatterò la ragazza.»- Annuisce, sicuro che sia deluso per la mia decisione, ma in fin dei conti uno gli va bene, l’altra me ne occuperò personalmente io. Un sorriso strafottente nasce sulle mie labbra e prendo la cornetta componendo il suo numero.
“Pronto?”
«Parlo con Mrs Isabella Swan?»- Sussurro con voce roca, senza farlo neanche apposta.
“S-si”- Sussurra flebilmente.
«Volevo avvisarla che dal prossimo Lunedì potrà venire qui come specializzanda. E’ stata scelta.»- Dico sorridendo tra me.
“Oh, grazie! Io…davvero, volevo-” -Dice balbettando. La interrompo immediatamente.
«Stia tranquilla. Ci vediamo Lunedì. Buona giornata.»- Chiudo la chiamata e guardo fuori dalla finestra. Oggi piove, non che sia una novità, gli alberi sono spogli, il cielo è scuro, opaco. Dovrebbe influenzarmi, ma non lo fa. Sono impaziente di incontrare Isabella. Voglio vedere, costatare se quello che penso, se quello che voglio fare, sia fattibile. Guardo L’orologio, si è fatta ora di pranzo, prendo la mia valigetta e scendo chiedendo a Ben se vuole qualcosa da mangiare, ma come sempre nega.

 
«Cosa c’è che non va Edward? Ti vedo distante.»- Sussurra Tanya, lasciando a mezz’aria la forchetta con le uova. La guardo sgranando gli occhi, mentre sorseggio il mio caffè e leggo il mio giornale.
«Cosa c’è?»-Dico rivolgendomi a lei infastidito. Lei sbuffa e scuote la testa continuando a mangiare. Sbuffo pesantemente, facendomi sentire da lei.
«Come va il lavoro Edward?»- mi chiede con nonchalance. Io annuisco, dicendole “bene” con quel gesto. E’ sempre stato così tra di noi. Molti credono che siamo la copia perfetta, per i soldi, per il lusso. Ma la coppia perfetta non esiste. Se non hai i soldi, anche se c’è l’amore, ci sono problemi causati dalla situazione economica. Se ci sono i soldi e il lusso, nel 90% dei casi non si amano, o uno non viene ricambiato. Noi siamo nella percentuale delle persone che non si amano, stiamo insieme per il popolo, tante volte mi sono chiesto perché siamo ancora qui? Come due conoscenti che devono dividere la casa. Lei mi tradisce, io la tradisco, per quale motivo dobbiamo entrambi convivere con una persona che non consideriamo minimamente? Io, certamente, non ho il coraggio, né l’idea di iniziare questo tipo di conversazione, lei non lo ha mai fatto, ed io aspetto, aspetto il giorno che finalmente prenderà un’iniziativa. Per capire, parlare di quanto diversi siamo, di quanta indifferenza ci sia tra noi due, siamo sposati, questa è l’unica cosa che ci fa stare qui, questa è l’unica cosa che abbiamo in comune.
«Vado a lavoro.»- Sussurro alzandomi, lei, cogliendomi di sorpresa, si alza e prende la mia giacca. Mi aiuta a infilarmela per poi lasciarmi un bacio a fior di pelle sul mento. Alzo le sopracciglia e mi avvio a lavoro.

«Bene. Jacob, Isabella. Siete i benvenuti, le regole le sapete, il lavoro partirà già da stamattina. Io e il mio assistente-infermiere Ben, siamo qui per qualsiasi chiarimento.»- Annuncio ai due ragazzi, appena entrati nel mio studio. Ben si alza e aggiusta i suoi occhiali.
«Jacob, oggi inizierà con me. Domani ci sarà Isabella con me e così via. A saltellare lavorerete sia con me che con il Dottor Cullen. Vieni Jacob.»- I due vanno via ed io rimango a guardare Isabella. Lei abbassa lo sguardo mordendosi sensualmente il labbro inferiore. Appoggio la schiena allo schienale della mia poltrona e mi fermo a fissarla. Indossa un maglioncino nero attillato, i jeans sono marroni così stretti che credo che le sue gambe stiano urlando per essere liberate. Ai piedi indossa delle decolleté nere lucide, col tacco medio. I suoi capelli sono sciolti, con un fermaglio che tiene quelli davanti, in modo da avere il viso completamente scoperto. Non mi guarda, è intimorita da me, dal mio aspetto, cosa che mi infastidisce ma a cui sono abituato. Mi schiarisco la voce, cercando di attirare la sua attenzione e questo succede.
«Si?»- Chiede balbettando.
«C’è qualcosa che non va?»- Chiedo apparendo preoccupato. Lei scuote la testa alzando le sopracciglia. Guardo l’orologio, sono le otto e trenta.
«Ha bisogno di qualcosa? Tra mezz’ora iniziamo le visite.»
«No. Mi chiedevo come mai avesse scelto me.»- Mi chiede, pare stia prendendo almeno un minimo di coraggio.
«Bè, non si sente all’altezza?»- Chiedo sorridendole. Lei mi sorride e scuote la testa. E tutto questo mi sembra troppo eccitante, anche se magari non lo è per niente.
«Abbiamo scelto anche Mr Black. Potevamo scegliere un’altra persona al suo posto, è vero. Ma i voti, il curriculum notevole, hanno messo lei nella via giusta per entrare a far parte della nostra squadra. Se vuole tirarsi indietro può sempre farlo.»- Le dico, cercando di farle capire che non è stata assolutamente una cosa personale e, se anche lo è stata, qualsiasi medico l’avrebbe scelta, sia per il curriculum, sia per i suoi voti. Forse se non avesse attirato la mia attenzione in quel modo, se non mi fosse sembrata così sensuale ed eroticamente affascinante, l’avrei scelta comunque. Lei annuisce e poggia la sua borsa per terra, afferrando il camice che Ben le ha lasciato. Mi avvicino a lei, aiutandola a mettersi il camice. Annuso, per quel che mi è concesso. Il suo odore emanato dalla sua chioma profumata, e vorrei scoparmela fino a farle perdere i sensi. Mantengo un po’ di  contegno e mi allontano aprendo la porta dello studio.
Dopo aver visitato quattro bambini – ci sono riuscito, nonostante la distrazione è stata notevole- è arrivata l’ora di staccare e lasciare posto alla Dottoressa Coleman. L’altra pediatra che occupa questo studio. Mi sfilo via il camice e prendo la mia valigetta.
«Posso offrirle il pranzo?»- Chiedo gentile. Lei mi sorride e annuisce. Prendiamo l’ascensore, che si ferma al primo piano, Marie entra sorridendoci. Mi guarda, mordendosi il labbro ed io le faccio segno con gli occhi. Lei annuisce impercettibilmente e tutti e tre usciamo fuori dall’ospedale.
«Ha preferenze?»- Le chiedo girandomi verso di lei, accorgendomi di quanto bella sia in realtà, oltre che sexy. Lei scuote la testa e decido di portarla in un ristorante qui vicino.
Ordiniamo entrambi una bistecca di manzo, con un insalata mista e un semplice vino rosso da bere.
«Posso dirgli una cosa? Siamo fuori dall’orario di lavoro no?»- Mi chiede divertita, io le sorrido e annuisco.
«Sono contenta che non sia così stronzo, all’inizio credevo fosse molto peggio.»- ammette arrossendo.
«Ah si? Sono contento allora. Questo significa che continuerà a lavorare con me?»- Chiedo interessato. Lei annuisce e il cameriere ci porta il vino. Apre la bottiglia e riempie a metà i calici di entrambi.
«Alla nostra squadra.»- Mormoro alzando il calice. Lei sorride e mi imita facendo tintinnare i nostri calici. Iniziamo a mangiare, mentre le parlo delle varie operazioni che ho fatto a dei bambini,  lei mi guarda teneramente e si congratula. Finiamo il nostro pranzo, pago il conto con qualche protesta da parte sua. E iniziamo a camminare. Lei guarda l’orologio e si scusa con gli occhi.
«Se devi andare.»- Sussurro guardando i suoi occhi, sono marroni, anzi no, sono più color cioccolato al latte.
«Si. Ci vediamo domani allora.»- Annuisco e le porgo la mano.
«E’ stato un piacere Mr Cullen.»- Mormora non appena la sua piccola mano tocca la mia, facendomi sentire piacere nel stringerle la mano.
«Lo sarà ancor di più continuando.»- Sussurro rocamente avvicinandomi di più a lei. Lei mi sorride e girandosi va via.

 

 

 

 

Ecco il primo capitolo effettivo di questa storia. Grazie. Sono contenta che abbiate accettato il prologo con entusiasmo, nonostante fosse molto corto. Grazie infinite e spero, andando avanti, di non deludervi.
Alla prossima.
Un bacione.

Roby.

 

 

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Capitolo 3
*** Each Other’s Breath. ***


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Embrace Me With Your Mind.

 

 

Each Other’s Breath

 

 

 

 

«Ottima scelta Edward. Cerca di non farmi cambiare idea.» - E detto questo, il direttore del Charing Cross Hospital, si volta andando via dal mio ufficio. Sbuffo di rabbia non appena sento la porta principale del corridoio sbattere. Sono quell’uomo che sembra essere il padrone del mondo, la gente, i miei conoscenti pensano questo di me. Sono padrone solo del mio corpo, quando faccio sesso con una donna mi sento il padrone del mondo. Ma invece sono una nullità, solo un uomo inutile che ha dovuto rinunciare alla vita stessa per questo posto di lavoro. Mia madre e mio padre ormai mi odiano, forse sono felici, forse hanno problemi salutari. Non so nulla di loro, se non che fino a qualche tempo fa mi volevano bene. Guardo l’orologio, sperando che questa giornata finisca, ma ahimè sono solo le nove del mattino. E Jacob Black è in ritardo.
«Mi scusi Dottor Cullen.» - Mi dice, interrompendo i miei pensieri infatti, Jacob Black. Mi giro guardandolo di traverso e lui deglutisce. Dentro di me scoppio a ridere.
«Sono le nove del mattino. Mezz’ora di ritardo.» - Sussurro seriamente, come un predatore che sta per attaccare.
«Mi scusi, non si ripeterà più, è solo che…» - Lo interrompo bruscamente avvicinandomi a lui velocemente.
«Non importa cosa ti ha portato ad arrivare in ritardo. Spero per te che non si ripeterà più. Alla prossima sei fuori.» - Gli comunico con voce grave, quel tono che non ammette repliche, sedendomi al mio posto. Scuoto la testa, ci mancava solo questa. Apro l’agenda e ci sono solo due appuntamenti per oggi.
«Ben!» - Esclamo alzando la voce, in modo che mi senta dall’altra stanza. Si apre la porta dello studio ma non alzo lo sguardo.
«Dottor Cullen. Ben è impegnato, ha bisogno?» - Sussurra con voce calda Isabella. Alzo gli occhi guardandola. Ha il camice addosso, ma sono sicuro che sotto quell’inutile capo bianco c’è qualcosa che accenderebbe anche gli spiriti bollenti di un sacerdote. Rimango a fissarla, senza rendermene conto, subito lei mi sorride imbarazzata facendomi sbloccare.
«Si. Ecco, scusi.» - Mormoro distrattamente, facendole segno di accomodarsi.
«Ho notato che oggi ci sono solo due appuntamenti. E’ così per qualche appuntamento che magari o potuto dimenticare o?» - Sussurro, guardando i suoi occhi, sorpreso del fatto che lei sia riuscita a mantenere il mio sguardo, senza spostarlo per neanche un secondo.
«Ha un appuntamento con Tanya Denali.» - Mormora guardandomi negli occhi, ma senza sorridere.
«Oh. Capisco. D’accordo grazie. Per favore faccia venire Ben qui, quando si libera.» - Le dico congedandola in qualche modo. Prendo il mio cellulare, per capire che razza di appuntamento mi aspetta, ma non appena sblocco il cellulare la porta dello studio si apre. Devo lavorare.
«Buongiorno Dottor Cullen.» - Mormora affascinata la mamma di Fred. Avrà quarant’anni eppure è abbastanza affascinante.
«Buongiorno. E’ qui per il controllo della crescita?» - Chiedo guardando il piccolo. Lei annuisce e infilo i miei guanti. In tutto questo Jacob Black è fermo impalato che mi guarda. Lo fisso cercando di fargli capire che sì, si deve dare una mossa. Ma niente, non capisce.
«Signora, spogli il piccolo Fred.» - Mormoro alla madre del bambino. Mi avvicino a Black parlando piano.
«Hai intenzione di lavorare o no?» - Gli chiedo sprezzante, lui annuisce come un automa e inizia  a muoversi. Sbuffo alzando gli occhi al cielo e continuo a fare quello che amo di più in assoluto, il mio lavoro.

«Tanya. Cosa dobbiamo fare esattamente tra mezz’ora?» - Gli chiedo spazientito, al telefono, mentre mi tolgo il camice.
«Edward! Abbiamo la cena di beneficenza Sabato. Ho pensato che avresti potuto avere bisogno di un vestito.» - Mi dice con la sua voce insopportabile. “ Si è messa pure a pensare adesso”, penso tra me.
«D’accordo. Ci vediamo lì tra mezz’ora.» - Dico dandole appuntamento al negozio dove ci serviamo solitamente, negozio di cui non ricordo nemmeno il nome. Infilo la giacca, salutando Jacob, che resterà qui in caso di emergenza e nel corridoio intravedo Ben.
«Dottor Cullen. Sta andando da sua…» - Lo interrompo con un gesto veloce e lui mi guarda confuso.
«Non dire quello che stavi per dire.» - Mormoro serio. Lui mi guarda e inarca un sopracciglio.
«Ma lo sanno in molti.»
«In molti non tutti. Non a chi interessa realmente. Tu non dirlo a nessuno.» - Mormoro guardandolo negli occhi, ma sapendo comunque che posso fidarmi.
«D’accordo. Ma se ho ben capito, bè so che non sono affari miei. Ma sta sbagliando con se stesso.» - Annuisco alla sua affermazione, ma infischiandomene come sempre, dei buoni consigli che Ben si preoccupa di darmi, mi dirigo fuori. Odio queste cene e tutto quello che le riguarda, me se voglio tenermi il mio lavoro sono costretto ad andarci. Sono costretto a vivere la mia vita da uomo sposato. E dato che ci sarà il padre di mia moglie, nonché direttole del mio luogo di lavoro non ho vie di scampo. Mentre sono al volante della mia preziosa macchina comincio a pensare a come sarebbe stata la mia vita se io non fossi mai fuggito da casa. A come sarebbe mia madre, dopo quasi dieci anni di lontananza, mio padre, mia sorella. Se si è sposata, se ha lasciato il suo fidanzato, se sono zio. Non so nulla della mia famiglia, dato che, dal momento in cui mi sono sposato ho firmato anche il contratto di stare lontano dalla mia famiglia, dalla gente che mi ha amato più di qualsiasi altra persona. Mi passo una mano nei capelli nervosamente, cercando di non far aumentare la rabbia che provo verso me stesso. Mio padre voleva che lavoravo per lui. Ha una concessionaria di automobili, mi stava già inserendo tra lo staff, facendomi diventare parte del suo lavoro. Ma io non volevo questo per me, avevo iniziato l’università, di nascosto, lavorando la notte come gigolò. Il giorno in cui mi sono laureato, doveva essere il giorno più bello della mia vita, invece è uno di quei giorni che conservo nel mio armadio dei ricordi dolorosi. Poi sono scappato da casa mia, nonostante loro siano nella mia stessa città, nonostante a dividerci sono pochi isolati,  mai ho incontrato qualcuno di loro. Dormendo di notte alla stazione ho incontrato Denali. Che mi ha permesso di specializzarmi, ma a un prezzo. Quello di sposare e rendere felice la figlia. Ma lei non mi ama, come non la amo io. Odiarci è un termine esagerato, ma quello che proviamo l’una per l’altro si avvicina molto. Sbuffo scendendo dalla macchina e raggiungendo mia moglie dentro al negozio.
«Amore mio!» - Esclama, vendendomi incontro sotto gli sguardi delle commesse. Mi avvicino senza mostrare emozioni o interesse. Tanya mi passa sette abiti, composti da sette pantaloni, sette camicie, sette giacche e sette cravatte, “tutti diversi”, mi dice mentre i miei occhi non riescono a capire dove siano le differenze.
«Edward! Non capisco cosa ci trovi di mostruoso negli abiti che ho scelto per te!» - Esclama innocentemente. Apro lo sportello della macchina ed entro dentro, aspettando che lo faccia anche lei. Sbuffa come una bambina capricciosa e mi imita. Entra in macchina e mi guarda, forse cercando spiegazioni. Ma io metto in moto, cercando di farle capire che non ho nessuna intenzione di spiegarle qualcosa o, anche solo parlare con lei.
Arrivo davanti al portone del grande palazzo che ospita casa nostra, anche se di mio non c’è nulla. E mi guarda.
«Non parcheggi?» - Mi chiede confusa.
«Scendi dalla macchina!» - Urlo spazientito e lei lo fa. Non mi diverto a trattarla in questo modo. Ma il fatto che lei, come suo padre, credono di avere certi diritti su di me mi manda in bestia, mi annebbia i sensi facendomi diventare cattivo, vile, vigliacco. Ha scelto tutto lei, l’abito, il cappotto, le scarpe. E’ qualcosa che può sembrare stupido, per niente importante, ma tante volte sono le piccole cose che ci fanno rendere conto dei fatti come stanno. E’ come la semplice goccia che fa traboccare il vaso. Il senso di sottomissione che mi avvolge, quando sono con lei e soprattutto col padre, è qualcosa che mi soffoca, non sto bene in loro presenza. Mi sento fuori posto, per niente a mio agio. Arrivo in ospedale, guardo l’orologio che segna le tre del pomeriggio. Non c’è nessuno a questo orario, solitamente. Entro nel mio studio, trovando Ben al computer. Sbuffo tra me, credendo che forse, per una buona volta, potessi starmene per conto mio in silenzio.
«Dottor Cullen.» - Mormora Ben, sorpreso, alzando la testa per osservarmi. - «Come mai qui?» - Mi chiede ancora sorpreso.
«Mh. Così.» - Rispondo, scrollando le spalle. Lui annuisce confuso e torna a lavorare. Apro il mio computer e apro le ultime mail che mi sono arrivate. Sono solamente due. Una di Tanya, che mi chiede di tornare a casa e parlarne. Alzo gli occhi al cielo, gesto che compio ogni tre per due, per abitudine e controllo l’altra mail. E’ Isabella Swan. Mi ha inviato una mail dove dice che domani ritarderà mezz’ora. Rispondo scrivendole che non c’è problema e chiudo il pc. Saluto Ben e mi dirigo a casa.
«Edward! Dove sei stato?» - Mi chiede con voce stridula, Tanya. La guardo con sguardo sprezzante. Accorgendomi che i suoi capelli biondo platino sono adesso ben sistemati, le sue unghia laccate di rosso sono ancora umide. E come se avessi ricevuto uno schiaffo, la realtà si svela ai miei occhi. Realtà che comunque mi aspettavo. Non gli frega nulla, dove sono stato, con chi, non le interessa se il mio essere è stato distrutto, da lei, da suo padre, dalla mia famiglia. La ignoro andando in cucina.
«Adesso basta Edward!» - Urla ancora, seguendomi. Continuo ad ignorarla, facendole capire che non ho l’intenzione, né tantomeno la voglia di parlare con lei, in questo momento. Prendo una mela dal frigorifero e inizio a mangiucchiarla.
«EDWARD!» - Urla, rischiando di farmi venire l’emicrania. La guardo, freddo, sprezzante, con odio, con disperazione. Non ci sono altri modi, anche se vorrei guardarla in modo diverso, non credo potrei mai riuscirci. Forse all’inizio, qualche volta.
«Non ce la faccio Edward. Il tuo comportamento è inammissibile.» - Sputa con rabbia , come se davvero questo è un argomento di cui si deve parlare, come se farlo potrebbe significare qualcosa, potrebbe portare a qualcosa.
«Sei così freddo! Distante. Non so cosa devo fare con te.» - Mormora, dopo aver capito che ha la mia attenzione.
«Non è poi molto diverso dal tuo comportamento. Senti Tanya, è inutile parlare di questo, lo è davvero tanto. Non ha alcun senso. Noi, se è davvero così che possiamo definirci, non abbiamo alcun senso. Nessun punto di interesse verso l’altro. La preoccupazione verso l’altro. Non c’è voler bene tra me e te. Va avanti così da nove anni ormai, non cercare di fare qualcosa adesso. Sarebbe inutile. Se una cosa non va bene dall’inizio, mai potrà farlo.» - Dico tutto di un fiato, non accennando ad un divorzio, né a nessun tipo di fine nel rapporto che c’è tra me e lei. E’ inutile farlo, rovinerebbe anche quello che di più caro mi è rimasto. E se ho passato gli ultimi nove anni in questo modo, per il mio lavoro, allora continuerò a farlo. Butto la mela che è rimasta e mi avvio alla porta, sotto il suo sguardo indifferente. Non c’è tristezza, né rassegnazione. C’è sempre il solito alone all’interno di quello sguardo, c’è sempre quell’emozione; l’indifferenza, il menefreghismo. Mi infilo dentro la mia auto, restando almeno venti minuti a fissare la pioggia che battente finisce sul parabrezza, camminando fin quando le gocce non si fermano in un punto non ben definito. Ho sempre odiato la pioggia, adesso non posso dire altrettanto, non adesso che è qui a farmi compagnia, almeno lei c’è, qui con me. Afferro il mio cellulare – uno smartphone di ultima generazione- e guardo ancora una volta la mail. Non c’è nessun  messaggio non letto, rileggo il messaggio di Isabella, una volta, due, tre, fino a quando non è passata mezz’ora buona. Leggo la sua firma, che scioccamente include il suo numero di cellulare. Lo memorizzo a mente e dopo averlo composto faccio partire la chiamata.
“Pronto?” - Sussurra assonnata.
«Buon pomeriggio Isabella. Sono il Dottor Cullen. Mi chiedevo se ha tempo per un caffè.» - Dico con tranquillità, come ho sempre fatto con ogni donna, sulla lista dei miei interessi.
“S-si, ecco io mi…” - Si interrompe, dopo aver balbettato per almeno sei volte, in una frase, che forse non è tale.
«Ci vediamo al Kensington West Hotel. E’ a tredici minuti dall’ospedale. Tra mezz’ora?» - Chiedo con voce calda, o almeno provo di farla arrovare alle sue orecchie in quel modo.
“Un caffè in Albergo?”- Mi chiede divertita. Io sorrido, e sono sicuro, l’ha sentito anche lei.
«Mi piacciono le cose fatte in grande.» - Sussurro maliziosamente. Lei ride di gusto e un silenzio tombale  ci avvolge, anche se siamo lontani.
“Ci vediamo lì.” - Stacca la chiamata e giro la chiave facendo partire la macchina. Londra è sempre trafficata, specie al pomeriggio.

«Salve.» - Sussurra piano, Isabella appena arrivata, al piccolo bar che si trova all’interno dell’albergo.
«Si accomodi.» - Mormoro, un attimo dopo averle soffiato un bacio sul dorso della sua piccola e calda mano.
«Può darmi del tu. Può chiamarmi Bella.» - Sussurra sedendosi, io le sorrido e la guardo dalla testa ai piedi. Indossa un paio di Jeans stretti che le valorizzano il sedere, piccolo e sodo. Una maglia a  maniche lunghe viola, con lo scollo a V che lascia vedere un piccolo strato di pizzo del reggiseno nero. Posso sentire il suo profumo da qui, in questo piccolo tavolino, dove siamo seduti l’una di fronte all’altro.
«Bella. Puoi chiamarmi Edward.» - Dico provocandole una risata di gusto. Rimango incantato, vedendo la sua bocca aprirsi in un sorriso, le miei orecchie gioiscono per quel suono così bello quanto caldo. Ordiniamo entrambi del caffè macchiato, solo dopo averle giurato che questa volta avrebbe pagato lei.
«E’ sempre l’uomo che offre.» - Sussurro piano, lei deglutisce e mi guarda.
«Capirai. Due caffè.» - Dice sistemandosi una ciocca che è sfuggita alla sua coda di cavallo. Accorgendosi che la sto fissando sposta lo sguardo dall’altra parte del bar.
«Mi desideri Isabella?» - Chiedo a bassa voce, con tono dolce ma allo stesso tempo passionale. Lei mi guarda sgranando gli occhi per poi arrossire e spostare nuovamente lo sguardo. Prendo una sua mano tra le mie, è abbastanza fredda. Eppure avrei giurato che fosse attratta da me, almeno quanto lo sono io. Rimaniamo in silenzio, sentendo solo il mormorio delle persone, le tazze da caffè adagiarsi sui loro rispettivi piattini.
«Si. Prepotentemente.» - Il suo è un sussurro, che in altri casi non avrei sentito, ma le mie orecchie si aspettavano qualcosa del genere. Guardo i suoi occhi, accorgendomi della tonalità solo adesso, sono marroni, ma non semplicemente marroni, più color cioccolato al latte, più fluido del solito. Un colore mai visto prima, qualcosa di particolare, come la persona che li ha. Dal primo giorno che Bella è entrata nel mio campo visivo l’ho desiderata, facendo aumentare il mio desiderio quando è riuscita a rispondermi a tono, facendomi eccitare quando con un soffio fulmineo mi ha salutata. E adesso, in questo momento, desidero solo perdermi nelle sue labbra, baciarle fino a consumarle, scoprire le sue parti più nascoste e marcarne il territorio, farla mia, in qualsiasi modo immaginabile.
Dopo aver finito i nostri caffè, le porgo la mano che, prontamente afferra. Mi dirigo alla Hall prenotando una camera, sotto il suo sguardo, davanti a lei, facendole capire apertamente le mie intenzioni.
«Sei sicura?» - Le chiedo, quasi ansimante   con il pensiero a quello che voglio farle. Lei annuisce e mi sorride timida.
«Solo…» - Si interrompe scuotendo la testa e sedendosi ai piedi del letto. Rimango a guardarla, aspettando che parli. Ma non lo fa.
«Sei sicura?» - Le chiedo ancora, per paura che qualche secondo fa stava per rifiutarsi di tutto ciò. Lei mi sorride e si avvicina a me. Sbottona la mia giacca, facendola scivolare dalle mie spalle, è intraprendente, i suoi gesti sono sicuri, eppure fino ad un momento fa sembrava non sapesse ciò che stava facendo. Continua, facendo finire per terra la mia camicia. Rimango fermo, deglutendo, non riesco a muovermi, mi sento paralizzato dal suo tocco, dal suo profumo. Il percorso che ha intrapreso finisce nel esatto momento in cui i miei pantaloni scivolano sulle mie gambe. Sono visibilmente eccitato, e vedere lei che guarda il mio membro coperto dallo strato dei boxer, mentre si lecca sensualmente il labbro inferiore mi manda all’inferno e in paradiso allo stesso tempo. I miei boxer presto raggiungono i pantaloni. Non mi rendo conto di nulla, se non della sua bocca calda sul mio membro, succhia la punta per poi arrivare fino in fondo, poi risale leccando tutta l’asta. Sospiro di piacere e sento i suoi denti, sta sorridendo. Appoggio la testa sulla parete della stanza iniziando incontrollabilmente e gemere. Un lampo di lucidità attraversa la mia mente, facendomi rendere conto che sono quasi al limite, e questo non mi basta. Afferro le sue braccia e la faccio distogliere da quello che stava facendo. Guardo i suoi occhi, anche se è un gesto dolce, anche se di dolce dentro di me non c’è nulla. Al momento ho l’interno di me stesso infuocato dalla passione. Sfioro la sua guancia, così morbida e vellutata, che presto, sono sicuro, mi ritroverò a mordere. Afferro i lembi della sua maglia sfilandogliela. Come avevo previsto, indossa un reggiseno nero in pizzo, stretto, talmente tanto che i suoi seni sono costretti lì dentro. Bacio il suo collo prepotentemente sganciando il suo reggiseno, ritrovandomi i suoi seni schiacciati sul mio petto, i capezzoli turgidi premono su di me. La trascino sul letto e mi sdraio su di lei. Bacio le sue labbra con prepotenza, rendendomi conto che sono davvero morbide  come le avevo immaginate. Accarezzo i suoi fianchi morbidi, strizzandoli, facendole anche male. Le sue mani accarezzano i miei capelli, le sue dita afferrano qualche ciocca e il suo corpo comincia a muoversi freneticamente. Sbottono i suoi Jeans in men che non si dica, trovando il suo slip striminzito, fradicio. Mi lecco le labbra, liberandola anche di quell’inutile indumento. Mi abbasso sul suo centro inalando l’odore. Il mio membro pulsa e decido di darmi una mossa. La mia lingua entra prepotentemente sulle sue labbra intime, giocando con ritmo. Le sue mani che prima accarezzavano i miei capelli adesso sono nei suoi seni, che pizzica e strizza. Rimango a bocca aperta a quella visione così erotica e così necessaria in questo momento. Mi concentro sulla sua femminilità cominciando a succhiarle il clitoride, il suo ansimare mi induce a continuare questa piccola e piacevole tortura senza sosta. Le sua gambe cercano di chiudersi, ma sono bloccate dai miei avanbracci. I suoi umori, della stresso consistenza del miele, scivolano come un fiume in piena sulla mia lingua.
«Edward…» - Geme. Avvicino i nostri visi, incastonando gli sguardi.
«Cosa vuoi Bella?» - Mormoro mordendole il lobo dell’orecchio.
«Voglio te.» - Sussurra chiudendo gli occhi e arrossendo.
«Cosa vuoi che ti faccia?» - Le chiedo leccandole sensualmente il collo.
«Voglio che tu entri dentro di me. Adesso.» - Sibilla. A questa richiesta, le mie mani scivolano frenetiche sul comodino vicino alla sua testa. Apro il cassetto ed estraggo un preservativo. Non è la prima volta che vengo in quest’ albergo, per la stessa motivazione, le camere hanno tutti i tipi di precauzioni, per queste cose.
Mi siedo sui talloni trascinandola con me. Mi strappa il preservativo dalle mani e con foga lo infila sul mio membro. Con agilità si appoggia saldamente alle mie spalle e lentamente abbassa il suo corpo facendomi entrare in lei. Rimaniamo fermi per qualche secondo, guardo il suo viso, mi sorride, ricambio e lei accarezza i miei capelli. Inizia a muoversi lentamente, quasi con dolcezza. Afferro i suoi fianchi dettando il ritmo, frenetico, veloce. Guardo in basso, beandomi della visione del mio membro che scivola in lei. Mi abbasso sui suoi seni, afferrandoli tra i denti, leccandoli, mordendoli, baciandoli, senza lasciarle tregua. Strizzo le sua natiche e lei butta la testa indietro.
«Non smettere.» - Sussurra rocamente.
«Da fare cosa?» - Mormoro con qualche gemito strozzato, facendola impazzire.

«Tutto.» - Quasi urla. I suoi sospiri si fanno pesanti. Ad ogni spinta geme, ad ogni bacio che il suo seno riceve da me sospira di piacere. Allaccia le braccia dietro il mio collo e si alza facendo uscire il mio membro, per poi abbassarsi e farlo rientrare, come se il suo corpo andasse in caduta libera. Mi si mozza il respiro, mai nessuna era riuscita a farmi godere così. Solitamente annullo la mia mente al piacere. Adesso sto vivendo il sesso, lo sto toccando, lo sto guardando con gli occhi sgranati. Le sue pareti si contraggono attorno la mia asta. E la sua testa si appoggia alla mia spalla, il suo corpo viene scosso dall’orgasmo e dopo poche spinte veloci, forti, passionali vengo anch’io. Rimaniamo fermi. Sentendo il respiro dell’altro. Guardo il soffitto e sorrido ad esso.

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Capitolo 4
*** Flavour of Passion. ***


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Embrace Me With Your Mind.

Flavour of Passion.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi sveglio, a causa della luce mattutina che filtra dalle finestre e, l’odore fruttato, della donna che ha occupato con me questa notte, mi fa ricordare, formando delle immagini vivide nella mia mente,  tutto quello che è successo. Senza renderci conto di nulla, stanotte, siamo rimasti qui, continuando, ripentendo sempre quello che la prima volta abbiamo consumato in questa stanza. Ed è strano pensarci in questo momento, forse dovrei solo andarmene e fare finta che nulla è accaduto,  dopotutto, il suo tentennamento ha fatto intendere questo. Mi alzo lentamente, accorgendomi che sono le sei del mattino. Raccatto i miei vestiti sparsi per terra e vestendomi velocemente, senza neanche lavarmi, esco dalla stanza. Pago il conto, fino alle undici di questa mattina, in modo che Bella abbia tutto il suo tempo, nonostante alle otto dovrebbe essere nel mio ufficio e mi dirigo a casa. Il tragitto è piuttosto trafficato, forse sembra strano, insolito, ma siamo a Londra, siamo nella città più grande d’Europa. Siamo nella migliore città del mondo. La gente ha fretta, lavora, scherza, la gente ha la propria vita, ma scommetto che uno su mille vivono la vita come sto facendo io. Apro la porta, aspettandomi sempre la solita mattinata: Tanya, appena sveglia che sorseggia il suo caffè mentre ritocca gli occhi col trucco. Invece rimango sorpreso, accorgendomi che la situazione è tutt’altra cosa che la solita routine. Il direttore del Charing Cross, il posto in cui lavoro, quello che, teoricamente, dovrebbe essere mio suocero, è seduto sul bancone della cucina con un giornale che guarda distrattamente. Tanya invece è sempre lì, a fissare le imperfezioni che il suo viso potrebbe avere o, magari, qualche brufolo che spunta come per magia da un secondo all’altro.
«Buongiorno Edward.» . Sussurra David. Mi siedo al suo fianco, ignorando mia moglie completamente e lo guardo.
«Buongiorno Mr Denali.»- Sussurro, in soggezione, come sempre. Lui mi guarda, cosa che non mi piace per niente e, che, non mi è mai piaciuta.  Abbasso lo sguardo, intimidito, guardando la punta delle mie scarpe. Passano minuti interminabili in questo modo. Ma nessuno accenna a parlare o, semplicemente, muovere qualche muscolo.
«Posso andare adesso no?»- Dice ad alta voce mio suocero. Io annuisco confuso e Tanya lo guarda sorridente, soffiandogli un bacio. Alzo gli occhi al cielo, come per abitudine, ricordandomi che forse, e dico forse, la prossima volta, in una prossima vita, dovrei controllare bene chi dovrà convivere con me per molto tempo. Eppure sono passati nove anni, anni in cui il mio, il suo, il loro, atteggiamento non è cambiato, l’idea che inizialmente mi ero fatto di Tanya non è mai mutata, tutto è rimasto come prima, facendomi rendere conto, che il tempo passa, siamo sempre noi a rimanere fermi, uguali. Accompagno Mr Denali alla porta e non appena questa si apre mi porge la mano.
«La prossima volta non voglio fare il cane da guardia tutta la notte.»- Dice con fare minaccioso, rimango immobile a guardarlo e, anche quando mi ha sbattuto la porta in faccia, sono rimasto fermo immobile. Mi dirigo in bagno e come sempre mi guardo allo specchio, specie dopo una visita come questa. Mi guardo allo specchio, accorgendomi che ho le labbra rosse. Che il mio sguardo è cambiato, diverso. I miei occhi verdi luccicano, nonostante la luce soffusa del bagno. Nonostante la mia vita sia una vera schifezza, i miei occhi adesso brillano. Sono ardenti, perché so cosa vogliono, vogliono la stessa cosa che vuole la mia mente, il mio corpo: Bella. Scuoto la testa, sperando che quella di stanotte non sia un ossessione e mi infilo sotto la doccia, preparandomi mentalmente e fisicamente alla giornata che mi aspetta.

«Dottor Cullen!»- Esclama Ben preoccupato. Mi giro, guardando l’orologio di sbieco, accorgendomi che comunque sono già le nove, e di Bella non c’è traccia.
«Dimmi Ben.»- Dico, guardando i suoi occhi, tramite le lenti che porta.
«Ha chiamato Bella. Nel mio cellulare. Non riesce a venire oggi è malata.»- Mormora guardando altrove.
«Doveva chiamare me.»- Dico amareggiato, rendendomi conto che quello che  abbiamo fatto, a lei non ha dato le stesse mie sensazioni. Lui annuisce confuso e mi guarda. Ben mi conosce ormai. Ha sempre lavorato per me, ha avuto parecchie offerte di lavoro in questi anni, ma mai ha voluto accettare, quando io gli chiedevo il perché, lui rispondeva: “Sto bene così.” Ben è una cara persona, una di quelle persone  vere che mi circondano, forse è anche l’unico. Mi conosce bene, infatti adesso mi sta guardando, capendo tutto quello che al momento passa dalla mia testa.
«Si Ben. Non preoccuparti. Vai.»- Chino il capo, spostando la mia attenzione sulla mia agenda, pronto per la giornata lavorativa.
Dopo aver visitato cinque bambini, di cui quattro neonati, mi trovo nel mio studio, con una mano sotto al mento, guardando fuori dalla finestra, oggi, stranamente non piove. Mi giro i pollici, consapevole che no, non voglio tornarmene a casa, non voglio annoiarmi, non voglio ascoltare nulla se non il rumore delle mie labbra che schioccano ogni tanto. Entro nello studio di Ben, ormai vuoto da qualche ora. E noto dei fogli sparsi per la scrivania, non so perché sono entrato qui dentro, forse per la curiosità, forse per la noia. La curiosità che uccide il gatto ma non l’uomo, mi spinge a rovistare tra quelle carte. Ci sono due schede, una di Black e una di Isabella Swan. L’indirizzo di casa sua è stampato in quel pezzo di carta, sono tentato tra segnarmi l’indirizzo, oppure, cosa molto più razionale, lasciare perdere tutto e interpretare la sua assenza nel modo più ovvio che potrebbe esistere in questo caso. Si è pentita, sicuramente non finirà qui la specializzazione. Sbuffo cercando di distogliere lo sguardo dalla scrivania di Ben e tornarmene a casa, magari in un posto dove non ci sono tentazioni. Eppure, una sensazione, la mia mente, la mia coscienza urla “prendilo”. Mi scrivo l’indirizzo sul cellulare ed esco dall’ospedale dirigendomi da lei. Arrivo sotto quella che dovrebbe essere casa sua. E’ una palazzina di quattro piani, è messa a nuovo, o almeno sembra da qui fuori. Mi avvicino alla porta principale, cercando il suo cognome con lo sguardo tra la colonnina che contiene i pulsanti per citofonare. Swan-Weber. C’è scritto. Mi gelo sul posto, e se fosse il suo fidanzato, e sei lei si è pentita proprio perché non ha potuto fare a meno di me, del mio corpo e l’avesse tradito? Mi giro di spalle ma non appena muovo un piede per dirigermi nella mia auto una voce mi chiama.
«Edward!»- Urla Bella dal balcone del secondo piano. E’ in tuta, i suoi capelli sono attaccati in uno chignon fatto alla bell’è meglio. Rimango a guardarla, e lei mi guarda confusa, non mi sorride come l’ultima volta, non si colorano le sue guance di rosso, nemmeno quando un sorriso timido sfiora le mie labbra. Mi fa segno con la mano di aspettare e dopo pochi secondi sento il portone sbattere, è uscita.
«Cosa fai qui?»- Mi chiede curiosa, venendomi incontro. Si avvicina a me, sicuramente indecisa su come e, se, salutarmi. Mi avvicino a lei e sfioro le mie labbra con le sue, sono bagnate, per quel poco tempo che le mie labbra si sono posate tra le sue, hanno rubato il sapore del caffè.
«Ho saputo che sei malata. Volevo vedere come stai.»- Dico mentendo, non lasciando nemmeno per un secondo i suoi occhi.
«Bé…ecco, io.»- Si interrompe, abbassando la testa, in modo da non farsi smascherare.
«Non mi inviti su?»- Chiedo con un tono dolce, ma allo stesso tempo insistente. Lei annuisce sgranando gli occhi e insieme entriamo nell’atrio, per poi sparire dietro le porte dell’ascensore che si chiudono. Sento solo il suo odore, riesco a sentire solo il suono del suo respiro. Mi avvicino pericolosamente a lei, incastrandola tra il mio corpo e lo specchio freddo dell’ascensore. Il suo respiro diventa pesante ma nei suoi occhi non c’è ombra di paura. Le sue gote si tingono di rosso e posso finalmente toccare la sua lingua con la mia, l’aroma di caffè si espande dentro la mia bocca, sfiorando il mio corpo, il mio essere. Accarezzo la sua schiena, così calda e morbida e potrei davvero bloccare questo ascensore da un momento all’altro. Ma non appena quest’idea entra nella mia mente, il campanello ci informa che siamo arrivati.
«Bello qui.»- Mormoro esponendo la verità. E’ una piccola casetta, c’è una cucina abitabile, di colore arancione, a dividere la tivù dal tavolo con le sedie è un piccolo divano a due posti. Due stanze da letto, una lilla, sia intonacata che i mobili e una uguale azzurra. Il bagno è piccolo, c’è solo una piccola doccia e i pezzi sanitari.  Lei alla mia affermazione annuisce, sposta una sedia dal tavolo invitandomi a sedermi.
«Vuoi qualcosa? Caffè, succo d’arancia?»- Mi chiede sorridendomi dolcemente. Io scuoto la testa e appoggio i palmi delle mie mani sul tavolo.
«Voglio te.»- Soffio maliziosamente. Lei come poco prima, abbassa la testa e la scuote.
«Bella. C’è qualcosa che vuoi dirmi?»- Le chiedo, sperando che non mi dica di andarmene, sperando che non mi dica “mi sono pentita di tutto”, sperando solo che posso avere la possibilità di passare un’altra notte come quella passata con lei.
«Oh, Edward. Ci sono così tante cose che vorrei dirti!»- Urla guardandomi con gli occhi sgranati. Automaticamente le mie sopracciglia si alzano e continuo a guardarla. Apro le braccia incitandola a parlare ma lei mi guarda con sguardo omicida.
«Non mi aspetto nulla da te, che sia chiaro. Ma solo un tantino di coerenza, era davvero gradita! Dio! Che stupida. Sapevo che c’era del marcio in te.»- Continua ad urlare venendomi incontro, sono confuso, nient’altro. Apro la bocca per parlare ma le sue urla mi fermano.
«Senti mio caro dottorino, io non sono una troia che hai trovato per strada sia chiaro.»- Mi dice sbuffando. Adesso è rossa in faccia, rossa di rabbia. Continuando a guardarla mi alzo e le vado incontro, ma lei indietreggia fino a sbattere il sedere sul frigo. Apre il portapane e prende delle banconote. Con un gesto veloce le lancia sul tavolo.
«Allontanati!»- Urla tremante. Io lo faccio e continuo a guardarla.
«Quelli sono tuoi. Anch’io ho usufruito di quella stanza, per quanto inutile sia stato.»- Mormora ancora arrabbiata, e adesso capisco. Svegliarsi lì, da sola l’ha fatta sentire usata. Eppure è una cosa che ho sempre fatto, una cosa di cui nessuna donna mi ha mai incolpato.
«Bella.»- Sussurro. Ma lei mi guarda ancora trucidandomi e rimango in silenzio. Ci guardiamo entrambi e riesco a sentirlo, quel filo sottilissimo che ci lega, l’attrazione che proviamo l’una verso l’altro. Cerco di avvicinarmi, ma lei non me lo permette. Indietreggia. Questa cosa mi fa sentire terribilmente fuori posto. Protendo una mano verso di lei, ma lei volta la faccia.
«Non vuoi vedermi più?»- Le chiedo interessato. Lei annuisc ed io mi dirigo alla porta, lasciandole lì sul tavolo i soldi.
«Ci vediamo domani a lavoro, Dottor Cullen. Solo a lavoro.»- Sussurra prima che la porta si chiude alle mie spalle.

 

Tre giorni dopo.

«Non puoi ignorarmi per sempre.»- Sussurro sul suo collo, giusto in tempo, prima che entri un nuovo bambino. Gli ultimi tre giorni sono stati infernali. Vederla così distante, come se io non esistessi è una cosa che odio. Eppure, nemmeno per un secondo l’attrazione per lei ha desistito. In questi ultimi giorni, i nostri corpi si sono sfiorati, molto spesso i nostri respiri hanno invaso il viso dell’altro. Ma niente, ho provato a parlarle, ma non pare le importi qualcosa. Credevo che anche lei, sentisse la stessa passione, la stessa attrazione, lo stesso bisogno fisico mio, invece mi sbagliavo, l’ho delusa, ferita. Siamo in studio, tra mezz’ora finiamo, rimane l’ultima visita. Usciamo dall’ospedale insieme io la saluto con un cenno col capo e lei mi ignora.
«Scusa! Scusa va bene? Non intendevo ferirti.»- Urlo con il viso ricoperto d’acqua piovana, siamo nel parcheggio, e forse, le mie scuse sono riuscite a farla riflettere almeno un pochino.
«Dottor Cullen.»- Sospira.
«Oh non chiamarmi così, non cercare di mantenere la distanza in questo modo, non serve a niente. » Dico ad alta voce. Siamo fisicamente lontani, perciò mi avvicino, aspettando che lei faccia qualche passo indietro, ma non lo fa, rimane a guardarmi mentre mi avvicino a lei. Non dovrei farlo, c’è un sacco di gente che mi conosce qui, eppure non mi fermo.
«Scusa. Io non intendevo trattarti in quel modo.»- Mormoro, non appena siamo abbastanza vicini. Lei mi guarda ma non parla.
«Edward. Io non sono quel tipo di ragazza con cui ti puoi divertire. Non sono una ragazza facile, per quanto possa sembrarti strano. Non è così.»- Mormora afflitta.
«Okay. Adesso basta tenermi il broncio però.»- Sussurro sorridendole.
«L’unico motivo per cui mi sono data a te, così presto, senza tentennamenti è stato il desiderio che provo nei tuoi confronti. Qualcosa di potente, forte, immaginabile.»

 
Afferro la giacca e mi precipito fuori dalla porta, sono le dieci di sera.
«Edward? Dove vai?»- Mi chiede con voce stridula Tanya.
«Vado a giocare a Poker. Non aspettarmi stanotte.»- Le dico senza guardarla, non so nemmeno perché le sto rendendo delle spiegazioni.
«Ciao.»- Sussurro sulle sue labbra. Lei mi sorride e si fionda sulle mie braccia. Le sue mani giocano con i miei capelli, così come le nostre bocche che si muovono a sincrono. Accarezzo con l’olfatto il suo odore di rose, fresco e potente, talmente tanto da inebriarmi i sensi. Le sue mani accarezzano il mio petto e sento che potrei morire. Dopo qualche minuto senza nemmeno rendermene conto siamo nudi, sdraiati su un letto, all’interno della camera azzurra. Infilo un dito dentro la sua intimità mentre il mio lobo si trova a contatto con i suoi denti. La sua entrata è calda, morbida e assolutamente bagnata.
«Dentro di me, Edward.»- Sussurra vicino al mio orecchio con urgenza. Afferro un lembo dei miei Jeans, che si trova ai piedi del letto e dalla tasca prendo il preservativo. La sua piccola mano afferra il mio polso e scuote la testa, confondendo la mia mente.
«Prendo la pillola.»- Sussurra con il respiro accelerato, senza darle nemmeno il tempo di prendere fiato, o chiudere gli occhi entro dentro di lei, in un’unica, veloce, prepotente e passionale spinta causata da un profondo colpo di reni. Le sue mani, graffiano prepotentemente la mia schiena, i suoi occhi sono sgranati a causa della velocità e della sorpresa. Sorrido baciando le sue labbra calde e morbide e un gemito si confonde con il suo respiro. Spingo, non mi fermo nemmeno per un secondo, stiamo in silenzio, si sente solo il cozzare dei nostri corpi a contatto, i nostri gemiti, e il rumore del letto che sbatte prepotentemente sul muro. I suoi gemiti presto si trasformano in urla di piacere, il mio corpo inizia ad avere degli spasmi e sento le sue pareti intime contrarsi contro di me. Appoggio il mio viso sull’incavo del suo collo, leccando il suo seno, facendole capire che sì, è ancora presto per la fine. La mia fronte preme sul materasso e spingo più forte, cosa che fino a qualche secondo fa non credevo possibile. Accarezzo i suoi fianchi e vedo un sorriso aleggiare sul suo volto, la sua bocca lascia un bacio infuocato sulla mia spalla e capovolgo le posizioni, senza staccare i nostri corpi uniti. Il suo corpo sopra il mio è una visione considerata illegale, un pensiero che dovrò censire a lavoro. Le sua mani si impuntano sul mio petto e le mie stringono forte i suoi seni. Ansimo come mai prima d’ora, rendendomi conto quanto mi è mancato tutto questo. Anche se è successo solo per una notte ero consapevole che mi sarebbe mancato, quello che non sapevo era quanto mi sarebbe mancato. Il suo odore, il suono della sua voce rapita dal piacere, i suoi occhi lucidi dall’emozione. Mai avevo fatto del sesso appagante come quello con lei. I suoi capelli sfiorano il mio petto. Afferro saldamente i suoi fianchi e dopo qualche spinta verso il mio seme in lei. Bella si abbassa su di me lasciando un bacio sulla mia bocca e solo dopo avermi sorriso appoggia il capo sul mio petto. Accarezzo la sua schiena, ormai sudata e mi perdo nell’accarezzare quella pelle così morbida, il suono dei suoi sospiri che mi tranquillizzano, chiudo gli occhi e provo a dormire.
Mi sveglio di soprassalto, sentendo un rumore metallico provenire dall’altro lato della casa. Tasto la parte del letto, dove fino a poco tempo prima c’era Bella, adesso è vuoto. Respiro a pieni polmoni, godendo del suo odore, del nostro, impregnato nelle lenzuola. Mi alzo, rendendomi conto che sono nudo, infilo i boxer e la camicia e mi dirigo in cucina.
«Oh scusami. Non volevo svegliarti.»- Sussurra impacciata, mentre ripone la teiera sopra il piano cottura.
«No tranquilla. Che è successo?»- Chiedo, riferendomi al rumore di poco prima.
«Avevo dimenticato l’acqua.»- Sussurra imbarazzata, indicando la teiera. Chiudo le labbra, per non sembrare scortese e riderle in faccia. Ma le sua guance si gonfiano, smascherando il mio tentativo vano. Mi lancia uno straccio addosso e scoppia a ridere anche lei, seguita da me.
Sono le quattro del mattino, siamo seduti sul piccolo tavolo arancione della sua cucina, sorseggiamo il tè che Bella aveva fatto per lei, ma da buon inglese quale sono, non ho potuto rifiutare.
«Come mai ti sei svegliata?»- Le chiedo, scottandomi un po’ la lingua.
«Mi capita spesso, svegliarmi la notte, non dormire per notti intere. Credo che ormai sia un’abitudine.»- Annuisco e mi incanto a guardarla. Lei beve il suo tè tranquillamente, mentre io penso che nessuna creatura che i miei occhi abbiano mai visto sia più bella di lei. Mi passo una mano in fronte, spazzando via lo strato di sudore che si era formato, a causa del vapore del tè e continuo a guardarla.
«Sei nata qui?»- Le chiedo, così per conversare, per capire un po’ qualcosa di lei.
«No, io vengo da Manchester, i miei vivono lì. Sono stata io a volere continuare gli studi a Londra. Loro sono contenti, vado a trovarli spesso.»- Sussurra guardandomi con quegli occhi grandi e forse troppo sinceri.
«Ti mancano.»- Sussurro, rendendomi conto della mancanza dei miei genitori.
«Si. Ma sono felice così. In fondo devo vivere la mia vita, farli stare un po’ da soli è anche bello per loro.»- Annuisco alla sua affermazione e inizio a bere il mio tè.
«E tu? Sei nato qui?»
«Si.»- Sussurro, cercando di farle capire che parlare della mia vita non è il mio forte.
«E i tuoi?»- Mi chiede dolcemente, non voglio risponderle male, è così dolce.
«Loro vivono a Londra. Ma io abito per conto mio.»
«Sei fidanzato?»- Mi chiede imbarazzata all’inverosimile. Io scuoto la testa come un automa e  lei sospira.
«Meno male. Non avrei sopportato il contrario.» - Sussurra sorridendo, facendomi gelare all’interno, senza farle rendere conto di nulla. Mi avvicino a lei, che mi guarda, studia ogni mio movimento e avvicino il mio viso al suo.
«E tu? Sei fidanzata?» - Le chiedo con troppa enfasi. Lei scuote la testa e mi sorride a trentadue denti. Avvicino pericolosamente la mano all’interno dei suoi slip e lei smette per qualche attimo di respirare.
«Allora non da fastidio a nessuno se faccio questo?» - Dico penetrandola con un dito. Lei chiude gli occhi e scuote la testa. La prendo in spalla adagiandola sul tavolo, apro la camicetta e strizzo i suoi seni tra le mie dita, forse un po’ troppo forte, perché un gemito di dolore lascia le sue labbra. Avvicino la bocca a quella parte preziosa del suo corpo e mi perdo in lei, nella sua morbidezza, nel suo odore.

 

 

 

 

 

 

Eccolo! Come vi pare? Se volete capire qualcosa in più, c’è il video, un piccolo Trailer della storia. Fatto da Aiami, grazie tesorino è bellissimo, personalmente lo amo *___*
Okay, sono di fretta. Se qualcosa non vi piace, non esitate a dirmelo.
Un bacione. Alla prossima.

Roby <3

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Capitolo 5
*** Inside. ***


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Embrace Me With Your Mind.

 

 

Inside.

 

 

 

Accarezzo la schiena di Bella, soffice e diafana. Le mie dita si insinuano nei suoi capelli, così morbidi e profumati. Sono le cinque del mattino, sono già due mesi che andiamo avanti così. Circa tre volte a settimana ho il posto d’onore nel suo letto, a lavoro siamo professionali, ma Ben, per esempio ha capito tutto. Ma mi fido di lui, l’ho sempre fatto dal primo giorno che gli ho rivolto la parola. Sono due mesi che mi limito al sesso con Bella. Ho smesso di incontrare Marie clandestinamente, ho smesso con le donne che incontro nei pub di lusso. Lei mi basta, non c’è nessun sentimento da condividere con lei, c’è l’affetto che si è instaurato in questo poco tempo e la chiave di tutto; il sesso. Sesso magnifico, soddisfacente al massimo, in ogni modo possibile è qualcosa di forte, di cui, ormai, non posso fare a meno. È come un abitudine, il suo corpo mi richiama ogni qualvolta il mio campo visivo lo incontra. Il mio rapporto con Tanya, ancora sconosciuto a Bella, è sempre uguale, vuoto, privo di ogni forza positiva, immutabile. So bene che devo riferire a Bella di essere sposato, so bene che non appena saprà tutto andrà via da me, da tutto quello che si è creato fino ad oggi. Tante volte la tentazione di dirglielo c’è stata, tante volte stavo per farlo, ma un suo gesto, un suo sguardo mi hanno sempre fermato. Ho capito, per quel che mi è stato consentito, parte del suo carattere. E’ una ragazza riservata, timida, mai avrei pensato che fosse stata una bomba sexy, o almeno non credevo fosse così. Molte volte, addormentandomi dopo il sesso, ho creduto fosse solo un sogno, che quella ragazza che all’apparenza sembra così casta era tutto un sogno. Invece è la realtà, una realtà che mi sta bene, che serve per la mia psiche.
Continuo ad accarezzare il suo corpo, con lievi carezze, in modo che non si svegli, non voglio veda questa dolcezza che a stento penso sia la mia. Ma con lei è così, ci sono gesti e parole che non controllo, che con l’istinto prendono vita. Non posso innamorarmi di lei, non posso condannarla ad un amore di fughe e sotterfugi. Lei vorrà accanto un uomo sempre presente, con cui avrà dei figli, con cui entrerà in chiesa vestita di bianco. Un uomo della sua altezza, dolce come lei, buono come la sua anima. È quella persona che con semplici gesti o parole, sa abbracciarti con la mente. È quella ragazza che quando la incontri pensi: non posso essere più fortunato di così. Mi rendo conto che prima o poi si stancherà, o, peggio ancora, mi lascerà con la consapevolezza di essere stata sedotta da un uomo sposato. Non voglio pensarci al momento, in fondo nella mia vita ho sempre agito d’istinto, vivendo alla giornata, molte volte questo comportamento mi ha portato all’odio verso me stesso, ma non conosco altro modo. Annuso i miei polpastrelli che sanno di lei, di noi, dell’odore dei nostri corpi uniti, l’odore di sesso impregnato dentro di lei. Continuo ad accarezzare il suo corpo, uno dei migliori che io abbia mai visto, che io abbia mai posseduto. Guardo l’orologio, accorgendomi che sono già le sei. Mi alzo e corro in bagno a farmi una doccia rilassante, anche se, tecnicamente, sono rilassato al massimo.
«Edward?» Sussurra Bella, con voce assonnata, mentre l’acqua calda scorre gentile sul mio corpo. Sfrego la mano sul box doccia, in modo da vedere la sua sagoma appoggiata sullo stipite della porta.
«Sono qui.»  Mormoro, continuando a guardarla attraverso l’anta della doccia.
«Sono contenta che tu sia qui.» Sussurra, strappandomi un sorriso, per poi andare a preparare il caffè. La mattina con Bella è sempre così; non puoi fare colazione senza toccare, guardare, ammirare il suo corpo. Il modo in cui si muove, il modo in cui mangia o semplicemente parla, ha una linea diretta con qualcosa che si trova sotto ai miei pantaloni.
Sbuffo, torturandomi una ciocca di capelli, continuando a leggere delle formule, che il mio caro suocero mi ha mandato. Funziona così: lui mi ha permesso di lavorare qui, in cambio della mia totale disposizione nei suoi confronti. Purtroppo non posso oppormi né ribattere, ho firmato un contratto con l’anima, solo la morte potrebbe salvarmi. Aspetto che Black entri, in modo da continuare con il nostro lavoro. Devo dire che ultimamente non ha fatto altro che compiacermi, merita continuare a lavorare con noi, merita di sedere sulla mia stessa poltrona un giorno, quando finalmente potrà farlo. Solitamente, da ragazzi, scegliamo quello che ci sembra più opportuno per il futuro, ci sono quelli che credono che una strada sia quella giusta, per poi cambiarla e ricambiarla milioni di volte. Io ho scelto la mia, subito, in modo veloce ed efficace. Forse non è la strada giusta, forse è quella più dolorosa, difficile, ma non ho altro. Dicono che i soldi non fanno la felicità, ma pensandolo sinceramente io non credo sia così. I soldi fanno gran parte della felicità. Dicono che è l’amore, il volere bene, l’affetto a farti felice molto spesso. Ma se non hai quello, quel qualcosa per cui vale la pena lottare allora io credo che per essere felice, io stesso, ho bisogno di questo. Dei soldi, del mio lavoro, di tutto quello che inconsciamente mi fa stare bene e male al tempo stesso. Forse se tornerei indietro avrei ascoltato mio padre, forse avrei potuto rinunciare al mio sogno per vedere il sorriso dei miei genitori, per passare il natale in famiglia, senza essere sposato, magari avrei conosciuto una ragazza e anch’io, come molti della mia età, mi sarei innamorato. Senza questa vita, avrei avuto delle possibilità, occasioni che ho sprecato dal momento in cui ho incontrato Mr Denali.
«Dottor Cullen!» Trilla forsennatamente Ben, spalancando la porta del mio studio. Mi alzo immediatamente e lo guardo, è affannato, sembra più un maratoneta che un infermiere.
«Al pronto soccorso pediatrico, presto! C’è un bambino di tre anni che deve immediatamente essere operato.» Urla gesticolando, facendo cadere per terra una pila di fogli che aveva tra le mani. Esco immediatamente dallo studio, inizio a correre verso l’ascensore, una mano che non appena sfiora il mio braccio, riconosco mi ferma.
«Edward.» Mormora Bella confusa.
«C’è un bambino grave di sotto. Devo andare!» Urlo fuori di me, spaventato di essere in ritardo. La sento sussurrare un “vengo con te” ed insieme camminiamo tra i corridoi arrivando al pronto soccorso pediatrico. Non appena Michelle mi vede mi fa cenno di sbrigarmi. La mano di Bella è intrecciata alla mia, sembra che stiamo provando le stesse cose, la stessa paura, per quel piccolo ancora sconosciuto. Non appena lo vedo, steso incosciente sulla barella, gli occhi dilatati e i capelli neri arruffati e sudati, lo stomaco si stringe in una morsa e realizzo che non c’è tempo da perdere.
«Che è successo?» Sussurro, cercando di mantenere la calma mentre strappo via i vestiti a quel piccolo.
«È caduto ieri pomeriggio dalla scale con il triciclo. Inizialmente non ha accusato dolori o altro, ma stamattina è svenuto e lo hanno portato qui.» Mormora Michelle guardandomi seriamente. Scuoto la testa e inizio a tastare la testa del piccolo. Ha un bernoccolo evidente dietro l’orecchio. Respira regolarmente, grazie alle macchine respiratorie che hanno attaccato immediatamente.
«Fate una radiografia completa. Presto!» Spingo la barella fuori dalla stanza e un’infermiera lo porta di sotto. Mi dirigo in sala operatoria, seguito da Michelle e Bella.
«Cosa pensi che sia Edward?» Mi chiede Bella a bassa voce.
«Dovrebbe essere un’emorragia interna. Se è come penso, dobbiamo aprire il cranio del piccolo, togliere il sangue in eccesso e ricucire.» Mormoro, cercando di stare calmo. Prendo una cartellina e aiutato da Michelle segno i dati anagrafici del piccolo. Rimango immobile non appena Michelle mi comunica il cognome. Cullen. Erik Cullen. Tre anni.
«Chi sono i genitori?» Chiedo interessato. Bella ci guarda confusa e si acciglia.
«Sono qui fuori.» Mi risponde Michelle. Esco fuori dalla stanza e dopo nove anni la vedo, stretta a quello che dovrebbe essere il marito, mentre si dispera per il figlio. Alice. Mia sorella. Quella persona che riusciva a capirmi, sempre. L’unica che sapeva del mio sogno, l’unica pronta a sostenermi. Quella che mi ha fatto più male, tra tutti. Perché lei era la persona più importante della mia vita, e avere la consapevolezza, che nonostante le promesse di non abbandonare mai l’altro, nonostante mi ha sempre giurato che mi avrebbe spalleggiato qualsiasi cosa fosse accaduta, mi ha fatto male, vedere, che anche lei non ha capito. Anche lei mi ha abbandonato, anche lei ha dimenticato tutto, insieme ai miei genitori. Rientro nella sala operatoria e Bella mi passa le lastre ed è come avevo immaginato, emorragia interna al cranio.
«Dobbiamo aprire il cranio del piccolo Erik. Peter fai l’anestesia totale. Preparate tutto. Dobbiamo sbrigarci.» Sussurro infilando i guanti di lattice. Bella mi guarda con un luce negli occhi che non le avevo mai visto. Mi avvicino a lei, chiedendole di tornare da Ben, sarebbe troppo da vedere per lei, come prima volta.
«No Edward. Io resto qui.» Sibila, con un tono che non ammette repliche. Annuisco e inizio ad operare.
Dopo due ore, dopo aver fatto un’operazione complicata, a quello che non sapevo fosse mio nipote, Bella mi guarda e mi sorride. Ho avuto paura di toccare qualcosa che potesse distruggere il cervello di quel piccolo bambino, ma fortunatamente questo non è successo. È andato tutto per il meglio, mentre la mano di Bella non lasciava la mia spalla, nemmeno per un secondo.
Portano il piccolo nel reparto delle degenze e Michelle viene verso di me sorridendo.
«Devi informare i genitori. Spiegare loro tutto. Ti aspettano qui fuori.» Dice questo e se ne va. Riduco gli occhi in due fessure e annuisco tra me. Esco fuori, preparandomi mentalmente all’incontro, al primo dopo nove anni, con mia sorella.
«Edward.» Sussurra Alice, iniziando a piangere, suo marito, un ragazzo biondo alquanto minuto la guarda confuso. Comincio a parlare, prima che lei possa dire o fare qualcosa.
«Vostro figlio ha avuto un’emorragia interna al cranio. La botta ha procurato un ematoma e il sangue anziché uscire, cosa migliore in questi casi, si è bloccato, non avendo modo di sfogare. Abbiamo dato venti punti di sutura. Adesso si trova al reparto degenze. Potrete restare con lui tutto il giorno, solamente uno di voi la notte.» Li informo e vada via, sotto lo sguardo disperato di mia sorella.
«Sei stato fenomenale Edward.» Mormora Bella abbracciandomi, la giornata di oggi, è finalmente giunta al termine. Annuisco, grato, anche se sono ancora scosso dell’incontro con mia sorella. È rimasta sempre la stessa, è cambiato solo il suo essere più donna, adesso che è anche una mamma. Ma sono felice, per lei. Sono felice di aver salvato suo figlio, che se anche non lo fosse stato sarebbe stata la stessa cosa. Miliardi di bambini muoiono giornalmente, ed è una cosa che io non concepisco.
«Che succede Edward?» mi chiede Bella corrucciando le sopracciglia. Sfila la mia mano che fio a qualche seconda fa era nella tasca dei miei jeans, e l’accarezza.
«Niente. Sono un po’ stanco.» Dico, cercando di sorriderle teneramente. E in un attimo, senza che entrambi ce ne rendiamo completamente conto siamo nudi, sul suo letto, uniti ed ansanti come mai prima d’ora.

 

**

«E così adesso ti sei limitato solo ad una? Mh, strano da parte tua.» Mormora Tanya distrattamente mescolando il suo tè. Io la guardo e rimango impassibile con il naso sul mio giornale.
«Sai Edward, non credevo fosse andata così. Il giorno in cui ci siamo sposati, ho sperato, pensato, che potesse davvero funzionare. Mi chiedo spesso, come mai non sia successo.»
«Non dovresti poi domandartelo così tanto sai? Non è così che una coppia si dovrebbe sposare. In realtà prima si diviene una coppia, poi ci si sposa.» Sussurro, appoggiando il giornale sull’isola della cucina, guardandola mentre mi rendo sempre di più di quanta indifferenza ci sia tra noi due. Mescola il suo tè con nonchalance, come se stessimo parlando della pioggia, che, in questo preciso istante, copre i nostri respiri talmente è battente sulle finestre di questa grande e lussuosa residenza.
«Perché non va via Edward?» Mi chiede tristemente. Io la guardo e per la prima volta sento quella frase che mai e poi mai avrei immaginato potesse essere pronunciata da lei.
«Non posso.» Mormoro, lanciando il giornale per poi rinchiudermi nel mio studio. Perché non vado via? Per il mio fottuto lavoro. Non so cosa mi è passato dalla mente, quel lontano giorno, non so perché ho accettato subito, senza ripensamenti, senza nulla. Il trillo di un messaggio mi ridesta e afferro il mio cellulare.

Apri la porta. Sono qui.

             Bella.

Scaravento il cellulare per terra e mi porto una mano tra i capelli. Chiedendomi cosa dovrei fare, come, perché è qui. Il campanello suona, e sento i tacchi a spillo di Tanya rimbombare sul pavimento, secondi che sembrano ore eterne. Scuoto la testa, rimanendo inerme, quando invece dovrei agire e fare qualcosa, ma sento ormai il sapore della sua perdita nelle mie labbra.
«Chi è?» Trilla con quella voce da gallina insopportabile. Nessuno risponde dall’altro lato della porta. Mi avvicino lentamente, la porta è aperta, Tanya è chinata con la testa sulla scala condominiale.
«Chi è?» Sussurro intimorito.
«Nessuno.» Dice alzando le spalle e chiudendo la porta. Aggrotto le sopracciglia e scostando di poco la tendina guardo fuori, è lì, con il cellulare tra le mani, si aggiusta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e dopo aver riposto il cellulare sulla tasca posteriore del suo jeans entra nella sua macchina. La vibrazione del mio cellulare, sulla mia tasca, mi avvisa di un nuovo messaggio.
«Ottima scelta Edward. Ricordati della cena di questa sera.» Sussurra Tanya, per poi sparire nella sala. Non è amareggiata o delusa, non le importa nulla, se non del trucco e dei capelli. Questa è una delle poche cose che abbiamo in comune, il fatto di non avere sentimenti, di dare importanza alle cose materiali, l’egoismo. Mi infilo sotto la doccia e, invece di indossare il mio prezioso smoking che mia moglie ha acquistato per me, indosso una tuta. Scendo le scale, sotto lo sguardo infuriato di Tanya e correndo, come se fosse appena mattina, come se la mia vita fosse bella, sorridendo raggiungo la casa di Bella.
«Edward…» Sussurra Bella confusa, mentre apre la porta. Mi infilo dentro con velocità, afferro il suo viso tra le mie mani e con forza bacio le sue labbra, appropriandomi di loro, baciandole come se fosse quel succo per l’immortalità, perché è così che mi sento quando sono con lei, immortale, potente, mi sento capace di poter spaccare il mondo, e se anche so che è un’illusione, per pochi attimi, ore, mi godo quel senso di potere che si impossessa di me quando sono con lei. Mi perdo in lei, sentendomi l’uomo migliore del mondo, il più potente, mi sento bene, protetto. Vorrei entrare nel suo corpo almeno ventimila volte al giorno, e ci sono momenti, come in questo caso, in cui vorrei entrare dentro di lei per poi rimanerci fino all’ultimo dei miei giorni. Non c’è amore tra di noi, nello strato sottile che divide i nostri corpi, c’è la passione, quel rosso che ti annebbia i sensi, facendoti desiderare, volere al massimo tutto ciò che lei, il suo corpo può darti. Quella sensazione di essere sospesi in aria, quel motivo per sorridere mentre il mio membro affonda con prepotenza in lei, i suoi sospiri e i suoi gemiti sono quel qualcosa che vorresti sempre sentire, ed è questo che intendo quando dico che si; vale la pena nasconderle la mia vita, tutto quello che di oscuro mi appartiene. Le nostre fronti sono appiccicate tra di loro, come i nostri corpi, i suoi capelli accarezzano le mie spalle con delicatezza, provocandomi dei brividi, sensazioni mai provate prima. Sussurra che vuole di più, e l’accontento, non pensando al momento in cui mi chiederà quel di più che potrebbe significare la fine di questa splendida avventura. Tanya, suo padre, Alice, Erik, i miei genitori, la mia vita adolescenziale, il giorno della mia laurea, diventano ricordi di vetro che in un battito di ciglia diventano frantumi, distrutti, come se in questo momento non esistono, come se quel passato, quella gente fossero solo protagonisti di un brutto sogno, come se non fossero reali, come se la realtà fosse questa. Io e Bella. Io e la mia passione. Io e il sesso, la chiave di tutto questo. Spingo sempre più forte, tentando invanomdi entrare ancora di più dentro di lei, solo dopo che le sue pareti intime si sono strette attorno al mio sesso, il mio sperma marchia il suo centro, rendendo ancora una volta questa donna mia, marchiandola nell’anima, perché da qualche mese a questa parte io sono dentro di lei che dal suo campo è entrata prepotentemente dentro di me. Mi addormento sfinito, stretto a lei, l’unica ragione per cui non sono davvero impazzito, con la consapevolezza che domani mi aspetta un rimprovero da parte di mio suocero, ma che questa notte sarà una delle migliori della mia vita, se tale si può definire.

 

«No! Non mi interessa! Puoi andartene!» Urlo fuori di me, di fronte a quella che dovrebbe essere considerata mia sorella. L’ho trovata nel mio studio questa mattina, con le braccia conserte e un’espressione dura in viso, l’ho colta alla sprovvista rivelandomi ancora più furioso di lei.
«Edward! Quando imparerai? Eh? Guardati sei patetico, hai rovinato la tua vita!» Urla, noncurante dei passi che si sentono lungo il corridoio. Sei patetico, hai rovinato la tua vita. Sei patetico, hai rovinato la tua vita. Sei patetico, hai rovinato la tua vita. La frase di mia sorella rimbomba nella mia mente, cerco di scacciarla, ma rimane lì nella sua costante e assolutamente sincera verità. Mi guardo, lo vedo, la pateticità, l’inutilità, la mia vita che in un giorno è scivolata via dalle mie mani come se fosse costruita da tanti piccoli granelli di sabbia. E lei lo sa, tutti quanti lo sanno.
«Mi sono sposato. Ho il lavoro dei miei sogni. Ho i soldi, ho il lusso.» Sibilo cercando di convincerla di quella assurda menzogna, facendolo credere che sono fiero di me, della strada che parandomisi davanti sto percorrendo a testa alta. Ma che invece all’interno di me stesso, vedo solo un uomo finito, un uomo inutile, un uomo vuoto, triste, senza arte né parte, un uomo che non merita di essere chiamato tale.
«Sei mio fratello, ti conosco meglio di nostra madre. Non puoi mentirmi Edward. Lasciati aiutare da me. Permettimi di ringraziarti per aver salvato la vita di mio figlio.» Sussurra addolcendo il tono della voce, scoppio a ridere ma subito dopo mi ricompongo, ricordando le volte che usava quel tono con me, quando voleva essere accompagnata ad una festa, quando mi chiedeva come le stava il vestito che indossava. Ma sono cambiato adesso, e lei si è rivelata una delle mie peggiori delusioni.
«Non ho bisogno di te Alice. Non più adesso…» Dico lasciando il discorso in sospeso, e se il suo carattere è ancora quello di una volta, non demorderà e continuerà a perseguitarmi, ma non è lei che vuole farlo, è comandata dal suo senso colpa. Quel senso di colpa che ha fatto breccia nel suo cuore, dal momento in cui ha realizzato che se lei fosse davvero rimasta dalla mia parte adesso io sarei un’altra persona. Una lacrima riga il suo viso, la sua mano la caccia via come se fosse un’altra umiliazione farsi vedere in questo stato da me, e solo dopo essersi ravvivata i capelli, gira il busto e va via. Ancora una volta, come quel lontano giorno di Luglio nove anni fa.

 

 

 

 

No, non è un miracolo. Ho aggiornato per davvero!
Spero di non avervi deluso, ma ho traslocato e non ho avuto molto tempo, e non ne ho nemmeno tanto adesso. Ma il prossimo aggiornamento ci sarà e non dovrete aspettare così tanto! I promise.
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, anche se sì! Me ne rendo conto non è uno dei migliori, anzi credo che sia il peggiore, il più corto e il più meno interessante!
Okay, me ne vado.
Fatemi sapere! Accetto le critiche costruttive.
Un bacio, grazie per chi non ha dimenticato questa storia, nonostante il ritardo.
Roby <3

 

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Capitolo 6
*** You've built a love but that love falls apart. ***


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You've built a love but that love falls apart.

 

 

 

 

 

 

 

Dopo l’intrusione di Alice nel mio studio, mio suocero, ovviamente, è stato messo al corrente di tutto. Di suo figlio operato da me e ricoverato nella sua azienda ospedaliera. Incazzato come non mai, sia per la mia assenza a cena quella sera, sia per aver saputo del mio dialogo con mia sorella. Mi ha minacciato, dicendomi che quella sarebbe stata l’ultima volta che qualche membro della mia famiglia mi avrebbe rivolto la parola, o sarebbe stato peggio per loro. E nonostante dovrei fregarmene altamente della mia famiglia, non posso dare il via libera a Mr Denali. Nonostante quelli che dovevano supportarmi nel bene o nel male, mi hanno voltato le spalle dandomi addosso, nonostante io fossi convinto che mio padre fosse il migliore del mondo rivelandosi invece il peggiore, non posso fare finta che loro siano morti, o peggio ancora, farli uccidere dagli aguzzini del padre di mia moglie. Sbuffo sonoramente, rimanendo spaesato e scioccato, non appena il mio indice tocca la mia guancia adesso inumidita da una lacrima. E per la prima volta in vita mia, forse sto piangendo. Perché mi sono realmente reso conto del volere bene che provo nei confronti di quella famiglia che mi ha, e che ho abbandonato nove anni fa. Che l’essere umano sbaglia, ed io, loro, abbiamo sbagliato. Ma che se anche nella vita sbagliamo non dobbiamo essere giustiziati per questo. Perché solo adesso mi rendo conto, che non sono stati solamente loro ad abbandonarmi, gettandomi tra le braccia del destino amaro, ma l’ho fatto anche io, perché se forse avrei fatto come mio padre comandava non sarei a questo punto. Tante volte immagino come sarebbe la mia vita in quel caso, forse sarei un semplice uomo scapolo, o magari sarei appena sposato, con la donna che amo, con quella persona di cui sarei stato dipendente. Scuoto la testa, odiandomi per tutto quello che ho fatto in questi ultimi anni. Ma nonostante ciò, nonostante io stesso pensi di essere l’uomo più vile e cattivo al mondo, nonostante io sembri quella persona che non ama, non ha sentimenti, non ha un cuore, nonostante tutto ciò che di marcio c’è in me, voglio cambiare. Voglio migliorare la mia vita, voglio mandare tutto all’aria, anche il mio lavoro, voglio provarci e per farlo, devo andare da una persona a dire la verità. Guarda la radiosveglia, che segna le quattro del mattino, e una parte di me vorrebbe correre a casa di Bella già da subito, ma di certo, presentarsi ad un orario poco consono come questo, non servirà ad ammorbidire la sua reazione dopo aver scoperto con che razza di uomo abbia passato del tempo, e non solo. Guardo il corpo di Tanya, sdraiato a fianco  a me, chissà lei, cosa pensa di tutto questo. Di come abbia accettato questo matrimonio, fallito ancora prima di essere cominciato. Eppure, se provo ad immaginare un suo pensiero, nulla di concreto appare alla mia mente, perché lei è come suo padre, una persona a cui importa solo il bene materiale, i soldi, il lusso. Come me, fino a qualche giorno fa. Sono stato trascinato nella loro tela, diventando quell’uomo che pian piano stava odiando se stesso, quell’uomo che molto spesso nelle favole odiamo, quell’uomo che non è poi tanto uomo. Mi rigiro tra le lenzuola strusciando la mia fronte sudata contro il tessuto fresco del cuscino, ma niente, più penso, più sudo, più mi asciugo sentendo l’odore della mia malinconia sul tessuto dove sono disteso, più le gocce di sudore imperlano il mio corpo, la mia anima. Chiudo gli occhi, contando fino a quando i miei occhi si chiudono e il subconscio, stanco e assolutamente sfinito, crolla nel mondo dei sogni, quel mondo dove ci è permesso fare, dire, agire come meglio crediamo, quel mondo che è bello, perché non è reale.
«Edward, stasera. C’è la cena per la beneficenza, ci saranno tutti gli impiegati dell’ospedale. Non. Devi. Mancare.» Sibilla minaccioso mio suocero, staccando il telefono senza mai salutare, cosa a cui sono abituato. Afferro la mia giacca, salutando Jacob e dirigendomi verso casa di Bella, che oggi, ha il giorno libero.
«Ciao piccola.» Sussurro tra i suoi capelli, mentre mi abbraccia calorosamente. Questa volta non mi sono buttato su di lei, rischiando di strapparle i vestiti per la foga, evitato di salutarla per la troppa fame di lei, quando si tratta di Bella sono ufficialmente un ingordo. E non so perché con lei accade tutto questo, ma in lei c’è qualcosa, quel qualcosa che mi fa soffermare più del dovuto alla sua persona, a quello che c’è all’interno di lei, quel qualcosa che aumenta la mia adorazione nei suoi confronti giorno per giorno. Perché lei non è quella donna da una botta e via, perché lei è intelligente, dolce, carismatica, perché lei meriterebbe l’amore di uomo alla sua altezza, meriterebbe cuori e fiori, meriterebbe una stella, il mondo intero.
«Come stai?» Mi chiede delusa, sicuramente di non aver ricevuto nessun assalto.
«Bene, un po’ stanco. E tu?» Lei alza le spalle e mi sorride contagiando anche i suoi splendidi occhi grandi. Mi fa cenno di seguirla in cucina, e versa un po’ di tè in due tazze.
«L’ho appena fatto.» Sussurra. Tolgo la mia giacca, appoggiandola sulla sedia e mi avvicino a lei. Prendo le sue mani tra le mie e ne accarezzo le nocche. La sua espressione è nervosa, non voglio immaginare quella che assumerà tra qualche ora o minuto. Mi guarda negli occhi, collegando le nostre menti, come solo lei sa fare. Una lacrima solca il suo viso ed io la raccolgo con un bacio. Ormai non mi faccio più alcun problema ad essere dolce con lei, lo merita.
«Cosa c’è piccolina?» Dico, calcando quel nomignolo che tanto le si addice. Lei scuote la testa e mi sorride.
«Nulla. Mi sei mancato oggi.» Ma so benissimo che non è solo questo. C’è tensione tra di noi, causata dalla rivelazione che dovrò farle, ansia che io le ho portato e che lei, sensibile com’è ha subito colto. Accarezzo l’incavo del suo collo con il palmo della mano e lei inclina la testa. Mh…il suo odore è delizioso. E in un attimo, tutti i buoni propositi di dirle la verità vanno a farsi fottere, ancora. Le sue mani dolci e delicate, realizzate dalla stessa consistenza della nuvola, scivolano tra i miei capelli, per poi scendere più giù e far sparire la mia camicia in un battito di ciglia. Accarezzo i suoi fianchi, magri ma abbastanza morbidi, tante volte i miei denti non hanno saputo resistere a quella morbidezza, lambendo anche quella parte del suo corpo. Accarezzo i suoi seni, nudi, come il resto del suo corpo, e la mia lingua inizia una lenta e passionale tortura, tormento a cui entrambi non possiamo fare a meno. I suoi gemiti aumentano, non appena la penetro con un dito, per poi aggiungerne un secondo. Le sue mani rischiano seriamente di strappare i miei capelli e sento la sensazione familiare della sua intimità che si stringe attorno al mio dito. Preme le sue unghia sulla mia spalla e se anche dovrebbe provocarmi dolore, non fa che aumentare il mio tasso d’eccitazione. Ormai l’ho capito, è come una droga, è come una dose abbandonata pronta per essere usata dal più abile tossico, è come una sigaretta per un fumatore che non fuma da mesi. Alzo le sue gambe all’altezza delle mie spalle, appoggiandole nella mia clavicola, e senza barriere, dato che da qualche settimana prende la pillola, faccio sprofondare il mio membro in lei. I suoi occhi si sgranano, per la sorpresa, per l’intrusione più profonda delle precedenti e inizia ad ansimare, contorcendo il suo corpo, la visione di lei, persa totalmente nella nostra bolla, della sua bocca aperta tanto è il piacere, è una di quelle cose che non ti stancheresti mai di vedere. Adoro il suo corpo, la sua mente, il suo profumo, il suo sorriso, i suoi occhi, quel che ho capito della sua anima. Adoro lei, ma ho paura di questa cosa, che prepotentemente si è fatta spazio dentro di me. Spingo il mio membro sempre più in profondità, desiderando, ogni volta, di arrivare sempre più in fondo. I suoi polpastrelli stringono forsennatamente la mia spalla ed il suo respiro è mozzato, roco, assolutamente eccitante. Ed è questo che intendo quando dico: stare bene.
«A cosa pensi?» Mi chiede Bella, distesa sul mio petto. Scuoto la testa e le mi studia con i suoi occhi magnifici.
«Edward…vorrei dirti tante cose. Vorrei passare le notti a parlare, per conoscerti meglio, vorrei tante cose.» Sussurra senza mai smettere di guardare i miei occhi.
«Parliamo.» Dico mentre le sorrido affettuosamente. Quel giorno passammo il pomeriggio a parlare. Mi raccontò della sua infanzia, di quanto goffa fosse, anche se io risposi che per me è sempre adorabile, in qualsiasi situazione. Mi raccontò delle noiose mattinate a pesca con il padre, persona che le manca molto, più di tutti i familiari che vivono a Manchester. Mi raccontò del suo primo ragazzo, mi raccontò un sacco di cose, ma l’unica cose che sono davvero riuscito a capire, l’unica cosa a cui ho fatto davvero caso è lei, il, suo modo di fare, di parlare, la sua tenacia quando racconta qualcosa. Non so cosa mi sta succedendo, so solo che ho paura…paura di perderla per sempre, nonostante la nostra non è una relazione fissa, stabile. Io dal mio canto le dissi tutto ciò che mi riguardava, tranne di Tanya, ovviamente e della mia famiglia. Eppure la tentazione di dirle tutto c’è stata, ma ho quel brutto presentimento che blocca la mia voce nel momento in cui decido che è il momento. Ma non passammo tutto il pomeriggio solo a parlare, lo passammo anche a guardarci negli occhi, mentre la mia mente veniva avvolta dal calore del suo abbraccio.

 

Guardo Bob – il ginecologo dell’Hospital Charing Cross - mentre mi racconta di una delle sue gite in montagna. Fingo di guardarlo – come ogni volta- e di ascoltarlo. C’è un sacco de gente, molte persone a me ancora sconosciute, nonostante gli otto anni di presenza lì dentro da parte mia, ci sono tutti i miei colleghi, felici che possono scroccare una cena dal capo per questa sera, c’è Marie nel suo splendido abito color senape. Ma la trovo affascinante perché lo è realmente, ma questo non mi porta più a desiderarla in certi modi. Tra la folla incrocio lo sguardo di Jacob Black e o lo champagne mi va di traverso, facendomi tossire rumorosamente, così tanto che Bob è costretto a picchiare più volte nella mia spalla. Mi guardo attorno, vedendo Tanya con il braccio appoggiato sulla spalla del padre, che parla animatamente con un uomo piuttosto vecchio, con due grandi occhiali da vista. Mi dirigo in bagno, deciso a chiamare Bella, per sentire che piani ha per stasera. Ma non appena prendo il cellulare, l’icona di un nuovo messaggio fa bella mostra di sé, chiudo gli occhi, strizzando forte le palpebre e premo il dito sul pulsante per aprire quel fottuto messaggio che mi ha messo troppa ansia ancora prima di leggerlo.
Volevo farti una sorpresa, non dicendoti nulla.
Ma sono qui con te e ti ammiro da lontano.
Tua Bella.

Strabuzzo gli occhi, sentendomi profondamente in colpa, e in una situazione piuttosto drastica. Afferro un ciuffo dei miei capelli tra le dita e lo tiro talmente forte da provocarmi dolore. Fisso lo schermo del mio cellulare come se così facendo da un momento all’altro quel messaggio possa sparire. Bussano alla porta, anzi bussare non è proprio il termine esatto, qualcuno lì fuori si è deciso a volere buttare giù la porta della toilette maschile.
«Edward?» Chiama mio suocero, facendomi imprecare a bassa voce. Mi guardo allo specchio, stampando uno dei sorrisi più falsi che io sia mai riuscito a fare ed esco, sicuro che questa sarà la notte più bastarda di tutta la mia vita. Guardo attorno alla sala, ma niente, non la vedo. E non sono tranquillo senza averla sott’occhio. Tanya si siede a fianco a me, e spero vivamente che non si comporti come fa solitamente agli occhi della gente, in pratica sta appiccicata a me, riempendomi di baci sul collo, cosa che fortunatamente non mi ha mai fatto vomitare sul piatto dove stavo cenando. La cena prosegue e di Bella nemmeno l’ombra, Ben è qui con la sua famiglia ma non ho intenzione di chiedergli nulla, per quanto riguarda la presenza di Bella. Come ogni serata come questa si presenta l’ora delle aste. Mio suocero, a cui non dispiace essere costantemente al centro dell’attenzione, inizia a descrivere gli oggetti e gli immobili in vendita, soldi che dice andranno tutti in beneficenza, quando invece li intasca lui e chi tiene la bocca chiusa, dichiarando che il grande e magnanimo John Denali per l’ennesima volta ha sfamato un sacco di persone del terzo mondo. La voce di quell’uomo mi ha sempre intimorito ed è una delle cose che odio di più, il fatto che il solo tono della sua voce comandi la mia mente, possedendola, facendo di lei ciò che lui meglio crede. Tanya stringe un braccio attorno alla mia vita, appoggiando il capo sulla mia spalla, vorrei darle un spintone per farla rimbalzare fuori dal ristorante, ma gli occhi del padre sono costantemente posati su di me, mi tiene d’occhio.
«Infine. La villa a schiera a Vancouver di mia figlia Tanya Denali e del marito Edward Cullen.»  Tutti quanti in sala applaudiscono, mi guardo ancora attorno e la vedo. Bella. Che fissa la mano di Tanya poggiata sulla mia coscia, il trucco è sbavato, le sua labbra tremano e mi guarda disperata. Boccheggio in cerca d’aria, provando qualcosa che mai avevo provato nel vederla in questo stato. Scuote la testa con un mezzo sorriso amaro e scappa via dalla sala, noncurante dello sguardo confuso delle persone che aveva di fianco. Una lacrima solca il mio viso incontrollabilmente, facendomi chiedere il perché. Dopo qualche ora congediamo tutti e torniamo a casa. Lascio salire Tanya, dicendole che devo fare una cosa importante e lei, come sempre, con la sua assoluta indifferenza agita la mano a mo’ di saluto, ancheggiando verso il portone principale del grattacielo.
Come accade nel novantanove percento dei casi, Bella non ha voluto saperne di aprire la porta. Scendo in macchina, recuperando le chiavi che lei stessa mi aveva consegnato all’inizio della nostra relazione, inconsapevole che io l’avevo presa come mia amante.
Apro lentamente la porta e la trovo rannicchiata sul divano, con una montagna di fazzoletti addosso ed una barattolo grande di nutella vuoto.
«Bella.» Sussurro amareggiato. Lei alza lo sguardo su di me, guardandomi con disprezzo, facendomi ammutolire all’istante.
«Vattene via Edward.» Mormora con un tono che non ammette repliche. Resto in silenzio torturandomi le mani.
«Bella…» Mormoro con tono sofferente, il suo sguardo che dal primo momento mi è sembrato uno dei più caldi, adesso è glaciale, coperto da quella lastra di ghiaccio che è la delusione.
«Non voglio più avere a che fare con te.»
«Lasciami spiegare.» le dico avvicinandomi, convinto a volerle dire tutta la verità, quella verità che mai nessuno ha mai saputo, quella che non ho mai voluto rivelare.
«Non c’è nulla da spiegare o, semplicemente da chiarire, la verità è chiara come il sole. Avresti dovuto immaginare che lo avrei saputo prima o poi. Mi avevano avvertito, ma il mio amore per te non mi ha mai fatto credere alle voci, che credevo malsane.» Sussurra con la voce rotta dal pianto, rimango in silenzio, mentre una lacrima, l’ennesima di questa sera, solca il mio viso. Lacrime che mai avevo versato nel corso della mia vita, nemmeno quando mi ero convinto che la mia vita si sarebbe distrutta.
«Si Edward. Perché purtroppo io ti amo. Dal primo giorno che ti ho visto, ho sentito quelle famose farfalle di cui parlano i libri e le Sit-Com. Mi sono data a te, in modo veloce e senza preamboli, solo per il semplice fatto che inconsapevolmente mi ero innamorata di te al primo sguardo, in modo fottutamente prematuro, in modo sbagliato. Sapevo che non sarebbe stato facile con te, ma credevo che oggi pomeriggio, abbiamo parlato tanto, avevo creduto di aver raggiunto un piccolo primo traguardo. Perché adesso sono io quella che deve cancellarti dalla mente, sono io che pur non avendoti mai pressato su nulla sono quella che si è scottata in questa cosa. Non pensavo tu fossi così. Adesso vai via Edward. Ti prego, non peggiorare il mio stato più di quanto tu non abbia già fatto.» Dice tra un singhiozzo e l’altro. Il suono del suo pianto così disperato mi lacera l’anima. Facendomi odiare me stesso, più di quanto io non abbia mai fatto. Guarda il pavimento, per evitare di guardare i miei occhi e cedere, ancora una volta alla tentazione, perché nonostante ci sia una catastrofe in corso, c’è tensione sessuale, nonostante i suoi sentimenti per me piano piano potrebbero trasformarsi in odio mi desidera, come mai prima d’ora. Lo vedo nei suoi gesti nervosi, lo sento nella sua voce, si percepisce nell’aria.
«Solo una cosa Edward, perché mi hai fatto questo? Perché proprio a me?» Sussurra piangendo come una bambina, e questo fa più male di qualsiasi altra cosa, senza rendermi conto di niente mi sento come se stessi per morire, senza una ragione valida. Perché se anche so benissimo che lei non meritava questo, perché se anche per me è sempre e solo stato sesso, mi sento come se anch’io stessi per cadere a pezzi.
«Perché ti ho desiderato dal primo momento. Perché tu hai qualcosa che mi ha spinto a pensare solo a quanto bene stavo con te. Perché ho avuto paura di perderti dicendoti la verità.» Mormoro con il cuore in mano, per la prima volta in vita mia.
«Fa male Edward. Fa ancora più male perché credevo che fossimo perfetti, credevo che anche tu, nel tuo piccolo mi amassi almeno la metà di quanto lo faccio io. Ero convinta di aver costruito un amore, ma questo amore è finito.» il mio sguardo incredulo fissa le sue mani. Chiedendomi come mai, questa giovane e intelligente ragazza si sia innamorata di uno stronzo come me, chiedendomi come mai io non me ne sia mai accorto. E come quando si hanno delle rivelazioni, immagini ben definite si prendono gioco della mia mente: lei che mi sorride mentre facciamo sesso che per lei era fare l’amore, lei che mi accarezza mentre opero mio nipote, il suo sguardo fiero quando riuscivo a curare un bambino, il suo sorriso pieno di mille promesse, la sua anima che mi dava amore senza che io me ne rendessi conto, il suo cuore che lei aveva affidato alle mie mani, di cui io non sono riuscito a prendermi cura. Rimango in silenzio e immobile incapace di fare qualsiasi cosa, mentre ancora le lacrime non vogliono saperne di fermarsi. Forse piango per il senso di colpa, forse piango perché ho deluso l’unica persona che è riuscita ad amarmi nonostante la mia anima nera e vuota.
«Non…non puoi far finta che questa sera non sia mai esistita?» chiedo rendendomi immediatamente di quanto suoni indecente questa proposta. Lei, infatti, sgrana gli occhi e scuote la testa scoppiando in una risata isterica.
«Tu. Sei. Fuori.» Sibilla con un’espressione che non ammette repliche. Si alza dal divano, scostando i fazzolettini, facendo una smorfia disgustata e si avvicina a me piano. Avvicina le sue piccole mani al mio petto e inizia a schiaffeggiarlo, per poi tirarci dei pugni. Ma non sa che non crea alcun dolore, perché niente è peggio del suo viso stravolto e disperato a causa mia.
«Sei un bastardo. Sono stata una stupida illusa. Ti odio. Ti odio. Ti odio! Esci fuori dalla mia vita Edward Cullen! Non voglio più avere a che fare con te!» Urla fuori di sé, scoppiando a piangere, graffia le mie mani immobili, come il resto del mio corpo, consapevole che merito tutto questo. Fa un passo indietro, ma inciampa in qualcosa e l’afferro prima che cade.
«NON TOCCARMI!» Sibilla con sguardo omicida. Sgrano gli occhi allibito da tanta intensità, nelle sue parole, nel suo sguardo carico d’odio. Rimango pietrificato a guardarla mentre si siede per terra in un angolino portandosi le ginocchia al petto e poi scoppiare in un pianto disperato, un suono che è troppo doloroso da udire. Passa un’ora, io in piedi di fronte a lei, che non ha ancora smesso di piangere, alza il viso e mi guarda stanca, come se avesse paura di continuare a lottare, come se avesse paura della persona che ha di fronte: me.
«Vattene Edward.» Sussurra stanca. Decido che è meglio darle del tempo, anche se dubito possa cambiare idea e vado via. Sperando di tornare presto.

 

 

 

 

 

 

Eccomi. È corto, lo so. Ma sono successe un sacco di cose.
Volevo chiedervi solo una piccola cosa…volete un Pov Bella? Per capire da che punto di vista vede la cosa? Dell’amore che lei prova per Edward?
Oppure volete continuare a stare nella testa del lunatico Edward Cullen?
Fatemi sapere eh! Così comincio a scrivere :3
Grazie a tutte quante, per l’affetto che mi date, anche solo leggendo questa storia.
Un bacione

Roby <3

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Capitolo 7
*** But Just Give Me, huh, what I Know is mine. ***


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Embrace Me With Your Mind.

 

 


But Just Give Me, huh, what I Know is mine.


 

 

 

 

Un mese dopo.

 

 

Accarezzo le mie labbra con un dito, togliendo il residuo di Whisky, togliendo dalle mie labbra quel retrogusto amaro che può mandarti fuori di testa. Ma non è quello il mio intento, ubriacarmi non mi porterà da nessuna parte. Oggi è domenica, l’ennesima senza di lei, una triste e immutabile domenica, dove continuo imperterrito con l’odio verso me stesso. Perché una soluzione c’è a tutto dicono, e lei l’ha trovata. È andata via, dall’ospedale, da me. È tornata a Manchester dai suoi, ed io mi sento solo come mai prima d’ora. Solo con me stesso, con l’uomo che io stesso odio, solo con il mio rancore, con la mia malinconia, con il mio senso di colpa. Nonostante io non sia l’uomo di cui una donna si innamorerebbe facilmente, lei mi ama o mi amava, lei era riuscita a vedere dentro di me, trovare in me qualcosa per cui valeva la pena amarmi.
Dicono che la vita, è ingiusta per dei motivi ben precisi, la gente si lamenta della propria vita, dando la colpa al caso, dando la colpa alle persone che circondano quella vita, dando la colpa a Dio. Ma nel novantanove per cento dei casi, siamo noi stessi a volere il nostro male, siamo noi che mandiamo a rotoli la nostra vita, noi stessi. Rimpiangere il passato ormai non ha più senso, quindi per continuare questo gioco che è la vita stessa ho solo due alternative: lasciare il mio lavoro, e quindi divorziare oppure, continuare a fare il burattino nelle mani di quel viscido di mio suocero. Tante volte, nel corso di questi ultimi anni, mi sono chiesto se valeva davvero la pena lottare per i sogni, mi ripetevo sempre che il lavoro segreto e l’università, mi avrebbero permesso di sorridere un giorno, che mio padre prima o poi avrebbe capito le mie aspirazioni, invece questo non è successo. Dicono che i sogni esistono per essere liberati da quel famoso cassetto, io ci credevo, ero convinto che il mio lavoro avrebbe riempito il mio cuore, che non importava del resto se facevo qualcosa che amavo al cento per cento. Eppure, da quando ho incontrato Bella, sono stato costretto a ricredermi. Mi sono sentito incompleto, una sensazione che mai aveva sfiorato lontanamente la mia anima. Ho creduto per pochi istanti che la mia vita fosse vuota, l’ho creduto per poi esserne del tutto convinto. E lei mi manca, mi manca più della mia famiglia, mi manca più del mio lavoro alla domenica, mi manca come se fosse l’aria che respiro. Perché nonostante il mio tentativo di autoconvincermi che il cinico e freddo Edward Cullen non vuole bene, non prova emozioni, non riesce ad abbracciare, non ama, non ci sono riuscito. Allora cosa è questo senso di vuoto all’altezza del cuore? Perché mi sento solo da quando gli occhi di lei hanno smesso di guardarmi? Perché vorrei prendere a calci il mondo, vorrei fare di tutto per poter sentire il respiro di lei? Perché preferirei morire che stare ancora un minuto di più senza di lei? Perché nonostante tutto, mi sono innamorato dell’unica persona che ha saputo amarmi davvero. Mi sono innamorato dell’unica persona che ha saputo abbracciarmi con la mente immediatamente. Mi sono innamorato di quella persona che quando la vedo il cuore perde un battito, quel cuore che credevo perduto da tanti anni. Mi sono innamorato, ma l’ho capito quando quell’amore è stato distrutto.

 

Sorseggio il mio caffè, anche se mi verrebbe voglia di tirarlo al muro, per vedere se, magari, potrebbe cambiare gusto, ho sempre odiato il caffè dei distributori, eppure eccomi qui, come ogni mattina a berlo. Marie passa con la sua cartellina in mano, ammiccando verso la mia direzione, ma io, come nell’ultimo periodo, continuo a bere il mio caffè ignorandola, so per certo che vorrà delle spiegazioni, ma sinceramente non è questo il mio problema al momento. Una donna mi da le spalle, la sua chioma liscia e perfettamente pettinata, color oro  ondeggia sulle sue spalle. Questa è la donna che riconoscerei tra mille, Esme, mia madre. Mi si gela il sangue nel vederla, strizzo gli occhi e corro verso il mio studio, non prima di strappare con un gesto veloce la targhetta con su scritto il mio nome nella porta. Jacob continua a scrivere la sua relazione ed io tiro un sospiro di sollievo. Le opzioni sono due: o mia madre è qui per qualche problema in particolare, oppure mia sorella le ha detto dove lavoro, sapevo che non appena mia madre avrebbe avuto una minima possibilità di incontrarmi avrebbe scalato montagne ripidissime anche solo per vedermi. Ricordo che quando ero a scuola, lei qualche volta veniva al mattino per parlare con i professori, dato che i colloqui erano spesso di pomeriggio e lei era sempre impegnata con il suo amato lavoro: arredatrice di interni. Ricordo che non appena finiva di parlare con i professori, veniva a sbirciare nella mia classe per vedere cosa stessi facendo, quando tornavo a casa le chiedevo il perché e lei mi rispondeva sempre: c’è sempre un buon motivo per ammirare i figli mentre loro non se ne accorgono. Una fitta allo stomaco mi fa piegare in due, ma non è dolore fisico, è un dolore che solo adesso sto cominciando a conoscere, è un dolore che c’è sempre stato, ma che non ho mai sentito perché non sono mai stato fragile come adesso. Il bussare alla porta mi fa sobbalzare e con uno scatto repentino mi alzo dalla sedia, sotto gli occhi incuriositi di Black, che non fa altro che ignorarmi da quando Bella è andata via, dicendo che non riusciva ad essere compatibile con la persona che avrebbe dovuto indirizzarla al suo lavoro: me.
«Prego.» Sussurro, dando il via libera alla persona che ha appena mimato un “toc toc”. E dato che era non scontato, ma prevedibile, mia madre apre la porta del mio studio. I suoi occhi mi squadrano a fondo, diventando visibilmente lucidi, io faccio lo stesso. Pensando a quante volte ho immaginato il viso di mia madre, l’immaginato diverso, più invecchiato, ho immaginato il suo viso pieno di rughe, ho immaginato in tanti modi diversi il viso della persona che mi ha messo al mondo, e forse l’ho immaginato bene, ma non lo vedo, vedo davanti a me solo, ed esclusivamente, la donna più bella dell’universo, la mia mamma. Restiamo in silenzio, guardandoci negli occhi, vedendo la nostalgia nello sguardo dell’altro, ci sarebbero tante cose da dire, da analizzare per poi chiarire, eppure entrambi non riusciamo a spezzare quell’emozione che il silenzio e la complicità dei nostri sguardi ha creato. Un sorriso timido spunta nelle sue labbra, e non posso fare a meno di ricambiare, quando ad un tratto l’incantesimo si spezza e una lampadina si accende nella mia mente.
«Vai via! Adesso, subito!» Esclamo senza alterarmi, mia madre sobbalza spaventata e una nota di delusione mischiata alla malinconia, passa nell’azzurro dei suoi occhi.
«Ti prego. Non puoi stare qui…lui...oh chi se ne frega.» mormoro fuori di me, torturandomi i capelli con le mani, mia madre, dal suo canto, rimane confusa a guardarmi, non appena una lacrima solca il suo viso gira il busto per andare via. Con una mossa veloce le prendo il braccio dolcemente e le do un bacio sulla guancia, gesto che mi è mancato tanto fare. Lei mi abbraccia e scoppia a piangere, facendomi commuovere, anche se forse non merito questo. Le intimo di andare via, dandole appuntamento all’Hilton per le cinque di oggi, lei se ne va via annuendo confusa. “Sai a cosa andrete in contro, non appena uno dei Cullen abbia un minimo contatto con te.” Strilla la voce di Denali dentro di me. Mille volte mi sono chiesto come mai un essere umano possa essere così vile come lui, senza cuore, con un’anima colorata di mille sfumature di nero. Incontrare mia madre è stato quel motivo che non mi ha fatto pensare Bella in tutta la mattinata, dopo un mese, ho pensato a lei, ricordandomi di quanto amore mi ha donato fino all’ultimo istante che ha potuto.

 «Ciao Mamma.» Sussurro imbarazzato, verso mia madre che sorride emozionata. Lei mi fa un cenno di salute, e so benissimo che non parla perché altrimenti scoppierebbe a piangere. Rimaniamo in silenzio, bevendo il nostro tè, e mi vengono in mente mille cose da dire, mille discorsi da chiarire, mille modi per dirle che io le voglio bene e che sono stato il figlio più stronzo del pianeta, eppure, gli occhi di mia madre lasciano morire le mie parole in gola. Perché non appena io aprirei la bocca, si alzerebbe la voce, arriveremo a dire cose che poi pensandoci ci diciamo: potevo risparmiarmele. Gli occhi di mia madre, quell’azzurro che tante volte io stesso ho fatto diventare ceruleo liquido, sono sempre accesi, senza nessuna ombra di vecchiaia, lei è sempre uguale, è sempre la donna più bella del pianeta. Passa mezz’ora, in silenzio, guardandoci negli occhi, non mi sento a disagio e riusciamo entrambi a sostenere lo sguardo dell’altro, mia madre mi sorride e fa una smorfia, che ancora ricordo molto bene, sta iniziando a parlare.
«Edward. Sono così felice di vederti. C’è una cosa però, che mi addolora, sono i tuoi occhi. Ricordo che quando sei nato, le mie sorelle e le mie amiche erano invidiose, per la bellezza del bimbo che avevo messo al mondo, te. I tuoi occhi verdi erano scintillati, pieni di vita, e mano a mano che passavano gli anni diventavano più intensi, accesi, sinceri. Amavo tutto di te, ma niente più dei tuoi bellissimi occhi, quel passa porta per arrivare alla tua mente quando tu non volevi. Adesso, dopo lunghissimi anni, non li riconosco più, questi che hai adesso, non sono gli occhi di mio figlio.» Sussurra con voce flebile, stanca forse di ricordare per parlare di tutto quello che di male ci siamo fatti entrambi. Continuo a guardarla, incapace di parlare o anche solo fare un qualche cenno con il capo. Perché ha ragione, non sono più quel figlio che tanto amava e di cui andava fiera, non sono più quel figlio per cui vale la pena anche solo soffrire. Torturo le mie mani, cercnaod in tutti i modi di non far intendere il mio disagio alla donna che mi ha messo al mondo e continuiamo a guardarci negli occhi, come se avessimo paura che questa fosse l’ultima volta. Ricordo ancora quello sguardo, che ancora aleggia nei suoi occhi, il giorno che me ne sono andato, non c’era rabbia né delusione, c’era rassegnazione, c’era paura, c’era ancora un po’ di affetto.
«Perché hai fatto tutto questo Edward?» Mi chiede con la voce di chi sta per piangere. Io scuoto la testa e alzo le spalle.
«Perché volevo inseguire il mio sogno, ma l’ho fatto nel modo sbagliato.» Sussurro rendendomi conto della verità assoluta nelle mie parole. Lei mi guarda e una lacrima solca la sua guancia, vorrei avvicinarmi e asciugarla con una bacio, ma rimango fermo, come sempre.
«Tuo padre è stato ingiusto. Ma voleva un futuro sicuro per te, qualcosa che potesse garantirti a vita. Non voglio giudicarti per questo, anzi, inseguire i propri sogni è la cosa che ognuno di noi dovrebbe fare. Ma non c’era bisogno di alzare tutta quella polvere, conosci tuo padre, sai che se insistevi per l’università lui prima o poi avrebbe ceduto. Ma siete entrambi testardi. Non voglio metterti pressione, non adesso, non dopo nove anni. Ma Edward? Non penso che nessuno abbia meritato questa guerra.» Mormora guardandomi negli occhi, parlandomi con tono autoritario. Mi sistemo meglio sulla poltrona in vimini e unisco le mani a mo’ di preghiera e le porto alle labbra, chiudo gli occhi e strizzo le palpebre tra loro.
«Mamma, ci sono tante cose sbagliate  in tutto questo.» Mormoro più a me stesso che a lei.
«So che ti sei sposato, Edward. Tua sorella odia questa cosa.» Annuisco alla sua affermazione, sorridendo automaticamente mentre penso a quella svampita di mia sorella.
«È stato un matrimonio per interesse…» Racconto a mia madre tutto quello che è successo un mese dopo essermene andato da casa. Del matrimonio, di quel contratto che involontariamente ho lasciato che la mia anima firmasse, all’accordo con Denali, di non avere più contatti con la mia famiglia, mia madre mi ascolta senza interrompermi, ma son le lacrime a farlo, il suo sguardo eufemisticamente addolorato. Eppure mi sento meglio, mentre parlo con lei, mentre per la prima volta dico la mia verità, mi sento come se pian piano mi stessi liberando di questo peso che ho nel cuore da anni. Mi sento rinato, come se parlarne con mia madre fosse la soluzione necessaria, ma tutti compreso me, sappiamo quanto pochi svincoli ci siano senza soluzioni, senza via d’uscita. Parlo a mia madre del mio sentirmi un uccello in gabbia da quanto ho sugellato il patto, da quando il mio anulare ha toccato l’oro freddo della fede nuziale, di quanto io odi la mia vita, nonostante il mio sogno di pediatra si sia avverato.
«Dobbiamo trovare una soluzione.» Dice convinta di ciò. Io scuoto la testa e rimaniamo in silenzio.
«Non dovrei nemmeno essere qui. Non voglio che vi succeda qualcosa, abbiamo provocato già troppo dolore.»
«Ma perché questo patto della famiglia? Noi non lo conosciamo nemmeno!» urla fuori di sé, beccandosi occhiate curiose dalla gente che ci circonda. Il cellulare di mia madre squilla e lei risponde immediatamente.
«Devo andare tesoro. Alice ha bisogno di una mano per il compleanno di Erik. Mi ha chiesto di invitarti.» Mormora guardando le mie mani, ancora unite tra loro.
«Ci vediamo stasera. Dammi l’indirizzo.» Sussurro porgendole il mio biglietto da visita, dalla parte opposta, quella bianca e vuota. Lei lo scrive e abbracciandomi forte mi saluta. La guardo mentre va via, e una lacrima solca il mio viso, l’emozione dell’aver visto mia madre ha resistito fino ad adesso.

 

Sistemo come meglio posso la mia cravatta mentre Tanya punta i suoi occhi su di me, è furiosa, ma non ho tempo per lei, sono sicuro che prima, questa sera, dovrò affrontare la rabbia giustificata di mio padre.
«Dove vai?» Mi chiede, come ogni volta.
«Esco. Mica una novità.» Sbuffo spazientito, afferro le chiavi ed esco sbattendo forte la porta di casa. Scrivo l’indirizzo nel Tom-Tom e parto, accorgendomi di quanta poca distanza ci sia tra casa mia e quella di mia sorella.
Suono alla porta, sospirando e sperando che la serata non finisca nel peggiore dei modi. Forse non sarei dovuto venire, forse in questo modo peggioro le cose. Forse dovrei tornarmene indietro. Ma il fatto è che ho voglia di vedere la mia famiglia, ho voglia di passare una serata con loro, ho nostalgia dei discorsi corti ma pieni di senso di mio padre. Quell’uomo che ho odiato, ma che adesso mi manca terribilmente.
«Ciao Edward.» Sussurra Alice abbracciandomi forte. Intravedo mio padre, sotto lo sguardo di mia madre e c’è tanta gente.
«Sono contenta che tu sia venuto.» Mormora baciandomi la guancia, mio padre a questa visione sorride e tiro un sospiro di sollievo. Cautamente mi avvicino a mia madre che è incollata a mio padre. Sapendo che devo essere io a fare il primo passo, dato l’orgoglio e la mentalità antica di mio padre, secondo lui il figlio devo sempre chiedere scusa al padre, deve sempre essere l’unico a sottomettersi in questi casi. Cosa che io non ho mai accettato, ma che questa sera eliminino dalla mia mente, convincendomi che quello è mio padre, che mi manca, he ho bisogno di lui nonostante il mio metro e ottanta e i miei trent’anni. Un sorriso che non riesce a trattenere spunta delle sua labbra, contagiandomi flebilmente. Mi avvicino e guardo i suoi occhi, invecchiati, come qualche capello bianco che aleggia sulla sua testa.
«Ciao papà.» Mormoro imbarazzato, cosa che lui nota e si avvicina abbracciandomi calorosamente. Scoppia a piangere sulla mia spalla e tutta la disperazione, l’odio verso me stesso, la tensione, il matrimonio, mio suocero, Tanya, vengono fuori liberandomi tramite un pianto misto tra nostalgia e liberazione. Mia madre si avvicina emozionata e ci guarda. Io e mio padre rimaniamo abbracciati per un tempo infinito, senza accorgerci della gente che c’è intorno, fregandocene. Mio padre inizia a parlarmi dell’azienda, senza farmi pesare la mia mancanza lì dentro. Mi parla di un suo vecchio amico, Alfred, uomo che mi ha cresciuto insieme alla mia famiglia, che è morto in un incidente stradale. Mia sorella mi prende sotto braccio, facendomi conoscere gli invitati.
«Lui è Jasper.» Sussurra, indicandomi il ragazzo che qualche settimana fa era con lei in ospedale. Stringo la mano al ragazzo e lo guardo.
«Tuo marito.» Affermo guardando Alice.
«Non siamo ancora sposati. Ho voluto aspettare che si fosse sistemato tutto con te prima.» mormora mia sorella abbassando lo sguardo. Rimango pietrificato, accorgendomi di quanto ingiusti siamo stati l’uno verso l’atra. Mi passo una mano sul mento guardando mia sorella, che mi sorride, nonostante tutto. Nonostante tutto mi hanno accolto come se nulla fosse successo. E mi sento un verme, perché non posso vederli quando voglio, non posso trascorrere il natale con loro, non finché Denali avrà vita.
Mia sorella mi trascina da una parte e l’altra della casa, seguita da suo figlio che gioca con il suo monopattino. Mi lascia un momento vicino al buffet, afferro un calice con del vino bianco e inizio a sorseggiarlo.
«Questo è mio fratello.» Sento sussurrare, mi volto e con immenso piacere, gli occhi di Bella si scontrano con i miei.

 

 

 

 

 

È cortissimo, lo so, ma la mia mente non ha potuto fare di più.
Questo non è semplicemente un capitolo di passaggio, succedono parecchie cose no? :3
Devo scappare! Ahm…grazie Ami! Senza di lei che mi sopporta non  so se ce la potrei mai fare. Un bacione!
Roby <3

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Capitolo 8
*** What Are Stars Useful for? ***


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Embrace Me With Your Mind.

 

 

What are stars useful for?

 

 

 

 

 

 

 

«E-edward.» Sussurra mentre il sorriso che aveva prima di guardarmi negli occhi svanisce in un attimo, colpito da mille sensazioni negative, la sua reazione, ovviamente, mi lacera il cuore, ancora di più, cosa che credevo impossibile.
«Bella io.» Sussurro, fermandomi a guardare mia sorella, facendole capire che voglio restare da solo con lei, ma mia sorella, con un sorrisetto furbo stampato in viso mi guarda…impreco dentro di me, contro mia sorella ma mantengo il contatto visivo con Bella, che dopo qualche secondo abbassa lo sguardo imbarazzato, un sorriso timido mi travolge e noto con piacere che le faccio sempre lo stesso effetto. Non può davvero aver smesso di amarmi, lo vedo dal suo sguardo, lo vedo dai suoi movimenti lenti e nervosi, lo vedo dai suoi occhi, lo specchio della sua anima, l’anima più bella che il mio essere abbia mai potuto conoscere. Le porgo la mano, azzardando il gesto, che lei non accetta ritraendosi ma senza dare nell’occhio, e allora annuisco impercettibilmente, non è pronta. Rimango qui senza andare via, nonostante la voglia causata dal suo senso di rifiuto mi costi un certo sforzo per farlo. Andarmene da qui, adesso, sarebbe come arrendermi, e non intendo farlo, sarebbe come darmi da solo in pasto ai leoni. Senza farle accorgere di nulla, avvicino la mia gamba alla sua, mentre lei è deliziosamente intenta a parlare con mia sorella, sfioro la sua coscia con il mio polpaccio, e il mio cuore pare che sia ricominciato a battere, il suo contatto mi mancava, la sua pelle così liscia e calda, il mio rifugio, la mia casa, il mio mondo perfettamente imperfetto. Lei si ritrae pericolosamente e mi guarda con sguardo omicida, nella folla non riesco a sentire cosa comunica ad Alice, ma non appena la vedo trafficare con la borsa e la giacchetta mi rendo conto che sta andando via. Saluto velocemente mio padre, dicendogli che andrò presto a trovarlo, facendo la stessa cosa con mia mamma e cerco Bella con lo sguardo, ma non c’è da nessuna parte, è andata via. Scendo velocemente le scale e m'infilo in macchina con un’unica, assoluta, necessaria meta: casa di Bella. “Sto arrivando, sto venendo a riprendere quello che è mio”.
«Edward! Vattene, ridammi quelle dannate chiavi e vattene via immediatamente!» Urla allibita, guardandomi con sguardo furibondo, incredulo. Non si aspettava la mia testardaggine, non si aspettava che io fossi ancora in possesso delle chiavi di casa sua. Mi passo una mano tra gli occhi, cercando di non demordere e sperando di concludere qualcosa, almeno questa sera.
«Bella ti prego! Parliamone, hai ragione! Avevi ragione, non lo avevo capito, ma io ti amo. Ti amo dal primo giorno che ti ho visto, ti amo dalla prima volta che il tuo corpo si è sincronizzato con il mio. Ma la mia vita, la mia anima non riusciva ad ammetterlo. Ti prego, dammi una possibilità, dimmi cosa posso fare per riaverti ancora, per sempre. Ti prego Bella…» Mormoro disperato, sotto il suo sguardo ancora furioso, scoppia una risata isterica che, stento a credere che sia lei a ridere in questo modo.
«Basta Edward! Non cercare di riempirmi di balle come hai fatto per tutto il tempo in cui mi sono donata a te! Come hai potuto dormire la notte in quel periodo? Sapendo che usavi una ragazza solo per scopartela? Hai mentito Edward, mi hai distrutto, è questo il prezzo che devi pagare.» Urla stremata, come se avesse appena percorso dieci chilometri correndo. E per la prima volta in vita mia ho paura, terrore di averla persa per sempre. Consapevole di essere un eterno fallito, ho avuto la possibilità di divenire un uomo migliore al suo fianco, una persona buona, il vero me, al suo fianco, ma stare insieme con lei era forse un privilegio per una persona vile come me, il suo destino, il destino di una giovane, brillante e stupenda ragazza, non ha voluto un uomo cattivo, un uomo che pensa sempre e solo al bene materiale, nel suo cammino. Perché stare al suo fianco, permetterle di amarmi, essere accolto a casa da una persona che so che mi ama per davvero, era la cosa migliore che potesse mai capitarmi. Con la coda tra le gambe, lancio le chiavi sul divano e con un sospiro da parte sua, esco da quella casa, sapendo che sarà per sempre. Non mi vuole più nella sua vita. L’ho distrutta. L’ho ferita. Da uomo inutile quale sono, ho rovinato anche la sua vita. Guardo la mia macchina, ma la ignoro continuando a camminare. Oggi ci sono le stelle, cosa assolutamente strana, poiché trecentosessanta giorni su trecentosessantacinque piove. Ricordo che quando ero piccolo, quelle rare volte che affacciavano le stelle in cielo, ero felice, me ne stavo quasi tutta la notte a guardarle, a fantasticare su di loro, creando favole, creando personaggi reali nella mia mente. Adesso le guardo, pensando che non abbiano più alcun senso, hanno perso il loro valore, perché quando perdi l’amore che senso ha guardare le stelle? Quando ti rendi conto che la persona che vedi riflesso al tuo posto è solo un povero essere umano che si odia, a che servono le stelle? Quando perdi tutto, quando ti rendi conto del valore che aveva quello che hai perso, cosa te ne fai delle stelle? Assolutamente nulla. Le stelle sono necessarie per quando siamo piccoli, ci aprono la porta della fantasia, ma una volta che scopri qual è la vera vita, le stelle sono solo degli insulsi puntini bianchi sul cielo.

Mi siedo sulla poltrona di pelle color écru, all’interno di uno dei ristornati più costosi dell’Inghilterra e aspetto Mr Denali, che urgentemente ha prenotato due posti un’ora fa. La mia mente formula mille domande, a cui, ovviamente non oso dare risposte, e cerco di non pensare e Bella, in modo che non possa essere più nervoso e intimidito dal solito, dal potere, dalla cattiveria del padre di mia moglie. Mi guardo attorno, sperando che lui arrivi presto, in modo che prima finisca questa messa in scena patetica, il genero e il suocero che pranzano amichevolmente. All’inizio del mio matrimonio, il rapporto con Denali era normale, tranne che per qualche pensiero mio, del non volere innamorarmi per forza di una persona che principalmente non sopportavo. Passando gli anni, si è accorto del mio essere totalmente indifferente con la figlia, del mio menefreghismo, non ha mai accennato di licenziarmi, non lo farebbe senza una motivazione valida, adesso, dato che in tutti questi anni, paradossalmente grazie al suo aiuto, sono diventato uno dei pediatri più famosi della città. Licenziarmi sarebbe un passo falso per lui, uomo consapevole dei miei pensieri riguardo al mio matrimonio. Eppure, fino a qualche periodo fa avrei fatto di tutto per il mio lavoro, adesso mi capita di pensare che la cosa migliore sia licenziarmi e vivere la mia vita, in modo definitivo.
«Perdona il mio ritardo Edward.» Sussurra mio suocero, io alzo le spalle e lui mi guarda negli occhi. Prendiamo le ordinazioni e lui non accenna a nulla, se non alla pioggia che oggi non ci fa compagnia. Abbasso lo sguardo, evitando ancora una volta i suoi occhi nei miei, avendo paura di quello sguardo che brucia a contatto con il mio campo visivo. Iniziamo a mangiare e un moto di rabbia silenziosa s’impossessa di me, perché diavolo non la fa finita di far finta che sia tutto okay? Perché non parla? Alzo gli occhi al cielo, cosa che lui non si fa fuggire e il suo sguardo mi incenerisce per pochi attimi.
«C’è un motivo per cui siamo qui Edward.» Sussurra, pulendosi la bocca con il tovagliolo. Io annuisco e aspetto che parli.
«Sai Edward…nella mia vita ho sempre cercato di avere tutto sotto controllo. E, infatti, è così. Il giorno in cui ti trovai, eri solo un ragazzino convinto di sapere ciò che voleva dalla vita. Ora mio caro, c’è qualcosa che devi dirmi?» Mi chiede tenendo sempre il tono della voce basso. Mi guardo attorno, disagiato per colpa sua, e il mio orecchio destro brucia e pulsa per la tensione che sento montarmi dentro ogni volta di più, non rispondo alla sua domanda e lui ovviamente continua a parlare.
«Sei un povero stupido se pensi che io non sappia dove sei stato ieri sera…» Mormora con tono per niente amichevole. Deglutisco ripetendomi che non devo farmi impaurire da lui. Lo guardo con tono di sfida, cercando di fargli capire che no, non importa che lui sappia, non importa se manderò a rotoli quello in cui ho creduto fin ora, non importa che io perda tutto, perché il tutto che intendo io l’ho già perso.
«Ti avevo avvertito Edward. Non mi lasci altre possibilità…» Dice guardandomi negli occhi, marchiandomi con il suo sguardo ardente.
«Perché?» Chiedo spaesato, parlando per la prima volta. «Perché ce l’hai tanto con me? Cosa ti ho fatto? Cosa ha la mia famiglia che non va?» Chiedo alzando di poco il tono della voce, confuso, estraniando per la prima volta le domande che ho sempre voluto fargli. Lui scoppia a ridere fragorosamente e si porta una mano sullo stomaco, duro e gonfio.
«Se avessi avuto qualche problema con te, non saresti di certo diventato uno dei medici più richiesti della città, se avessi avuto qualche disguido con te potevi dimenticarti il tuo bel sogno di pediatra. Quando ho deciso di aiutarti, mi hai detto che mi avresti dato qualsiasi cosa in cambio, non ti ho chiesto nulla. Solo di non avere più contatti con i tuoi familiari, cosa che inizialmente ti stava bene. Cosa è cambiato adesso?»
«ERO SOLO UN RAGAZZINO!» Sbotto buttando fuori tutta la mia ira e alzandomi dal tavolo, mi guardo attorno, accorgendomi che non c’è più nessuno, è deserto. Lui mi guarda alzando un sopracciglio e ridendo.
«Sei solo Edward. Come sempre, per sempre.» Mormora prima di alzarsi e andare via. Prendo a pugni la mia testa e tiro calci alle poltrone che mi trovo attorno, mi sfogo urlando e picchiando tutto quello che c’è qui dentro, ma mi sento libero, ad ogni pugno sferrato sul tavolo la mia anima geme, sospira di libertà, sono licenziato è ormai un dato di fatto, ma non mi sono mai sentito più libero di così. Inizio a correre, uscendo dal locale, ignorando la mia macchina, e sorridendo.

 

 

«Bella apri ti prego! Per l’ultima volta.» Urlo disperato, cancellando il sorriso che mi ero dipinto in viso poco prima. La porta finalmente si apre, rivelandola più bella che mai. Il suo corpo è fasciato da un vestitino verde di cotone, i suoi piedi sono nudi e i capelli sono legati in una coda di cavallo. Non si sposta per farmi entrare, ma il semplice fatto che sia ancora qui a guardarmi è qualcosa di positivo.
«Voglio parlare con te…ti prego, se non ti convinco adesso poi andrò via.» Sussurro  quasi piagnucolando. Un peso sullo stomaco si fa presente al pensiero di averla persa per sempre. Lei inclina la testa di lato e mi guarda diffidente. Dopo parecchi minuti, che sono sembrate ore si sposta lasciandomi entrare. Non appena supero l’uscio l’abbraccio stretta a me, annusando l’odore dei suoi capelli, quell’essenza che per tempo ho desiderato sentire, per troppo tempo. La stringo ogni secondo più forte in modo che se andrà via da me per sempre, io possa sentire ugualmente la consistenza della sua pelle. Un sospiro esce dalle sue labbra e vorrei stare così per sempre. Il suo corpo, irrigidisce a causa del mio abbraccio, si rilassa, alzo gli occhi al cielo e sorrido tra me.
«Muoviti Edward. Non ho tutto il tempo del mondo.» Sussurra cercando di volermi sembrare acida, ma ovviamente da pessima attrice quale è, il suo sussurro più che altro sembra un invito a continuare a stringerla a me. Allontano il viso dalla sua spalla e la guardo negli occhi, non c’è l’astio che c’era l’ultima volta, non c’è la stessa intensità di rabbia. Le mie dita afferrano la pelle del suo bacino e sospirando penso alle parole da dire. Molte volte, alla sera, quando la mancanza di lei perforava il mio petto, mi sono preparato un discorso strappalacrime da farle, che adesso, ovviamente ho dimenticato. Ingoio a vuoto e il suo piede inizia a sbattere sul pavimento, incitandomi a parlare.
«Okay. Ehm…ecco io… » Mi passo una mano tra i capelli, mentre lei riesce a contenere quello che sembra un sorriso, mi convinco che era davvero un sorriso e chiudo gli occhi per qualche istante, estraniandomi dal mondo intero, pensando solo a noi due, ai nostri occhi incastonati, alle nostre mani intrecciate tra loro e i pensieri e le parole vengono da sé guidate da quella strada immensa e assolata che sono i sentimenti.
«Bella io ti amo. E so che è tardi per dirlo, forse anche sbagliato ma è così. Quando ti ho persa ho capito il tuo vero valore, ho capito che non posso vivere senza di te, che la mia vita è un immensa cosa assurda senza di te. Non so se questo è il momento adatto per dirtelo, forse è assurdo, scontato, ma ti amo, scontatamente lo faccio. Il giorno della mia Laurea, mio padre, mi ha cacciato di casa. Lavoravo come accompagnatore per le donne per pagarmi gli studi…» Raccontai a Bella ogni singola cosa della mia vita, fino al giorno in cui la incontrai. Le dissi che da quel giorno la mia vita ebbe inizio, che lei era l’unica motivazione per vivere la mia vita, che ero un uomo vile, cattivo, che la sua presenza riusciva a tirare fuori il vero Edward Cullen, quello che è capace di amare, quello che sorride perché vuole farlo, quello per cui vale la pena amare e lottare. I suoi occhi si riempirono di gioia non appena le dissi quanto importante fosse per me, per poi ricadere subito dopo nella rabbia, quando le ho detto del mio matrimonio, fatto di interessi e sotterfugi. Forse il mio matrimonio sarà quello che distruggerà il nostro amore, perché un uomo che sposa per interesse non è un vero uomo, ed io non lo sono, o almeno non lo ero fino al giorno in cui l’ho conosciuta. Volevo che quella ragazza intimidita da me diventasse la mia donna, e avevo tutta l’intenzione di riuscirci. Presi un respiro profondo e aspettai la sua sentenza.
«Ecco cosa nascondeva Alice.» Sussurra piano a sé stessa. Rimaniamo a fissarci in silenzio, lei pensa a cosa fare, a cosa dirmi, io aspetto la sua sentenza cercando di prepararmi al peggio. Si alza dal piccolo divano e inizia a camminare per tutta la stanza, torturandosi le mani, cercando forse, il modo migliore per dirmi che non ho colto l’occasione per dirle tutto questo ambaradan prima. Sospira e si siede sulla sedia, lontana da me, scuoto la testa impercettibilmente e deglutisco, sento già sulla mia lingua il sapore della sua perdita.
«Il giorno in cui ti ho visto per la prima volta, ho pensato che non potesse esistere uomo più prepotente di te. Ed è vero, purtroppo, dato quello che mi hai appena detto. Vedi Edward, quando abbiamo pranzato insieme, io ho visto il vero te, nonostante quel giorno tu stavi progettando il modo per portarmi a letto, e ci sei pure riuscito senza troppo preamboli. Volevo credere che, quello che vedevo oltre quello che il mio cuore volesse vedere, tu fossi diverso, che il tuo essere “sono il re del mondo” fosse solo una maschera. Invece Edward, tu sei  due persone messe insieme, tu sei il buono e il cattivo, sei rude e sei dolce. Ed è questo che mi ha fatto innamorare di te, un senso di protezione si è acceso quando mi sono resa conto di essermi innamorata, come se tu avessi bisogno d’amore per rimanere solo una persona, posso dire di averci provato ma non di esserci riuscita. L’amore non va via facilmente, quindi, anche se mi duole ammetterlo, io ti amo. Però non posso vivere così, non posso continuare ad infliggermi il dolore, il senso di colpa per amare una persona che non sarà mai mia.» Sussurra, per poi avvicinarsi, alzo il sopracciglio chiedendomi il perché di quell’allontanamento e mi concentro sulle sue parole, rendendomi conto della verità all’interno di esse, rendendomi conto che vogliamo la stessa cosa.
«Io voglio solo te. Ho capito che sarei disposto a tutto per te.» Mormoro come un bambino che ha appena smesso di piangere. Una lacrima scende sul suo viso roseo e diafano, una combinazione che ho sempre amato su di lei.
«Saresti disposto a lasciare tua moglie, il tuo lavoro per me?» Mi chiede con gli occhi sgranati, non riuscendo a nascondere l’eccitazione nella sua voce.
«Sì. Sì. Sì! Diamine sì Bella! Perché io ti amo, te l’ho detto mille volte in un solo giorno, eppure tu sei qui a dubitarne ancora!» Dico enfatizzando. Lei si alza e con uno slancio si butta tra le mie braccia. Le sue labbra veloci e forti si impossessano nelle mie, afferro il suo viso tra le mie mani e mi riapproprio delle sue labbra, della sua essenza, tengo gli occhi aperti, cosa che non faccio mai, per vederla per catturare il suo viso in uno dei nostri momenti magici, per poi pensarla in questo modo, per sostituire i suoi occhi pieni di astio a questo. Accarezzo la sua pelle, e la riconosco, l’uomo riconosce le sue cose, e lei è mia, qui ancora una volta pronta per me, ancora una volta a mia disposizione, ancora una volta a darmi la sua fiducia. I suoi vestiti ben presto lasciano il suo corpo per accarezzare il marmo duro e lucido del pavimento, in compagnia con i miei abiti, per la premura, la passione, la voglia repressa che abbiamo di noi non ci spostiamo nemmeno in camera da letto, come eravamo soliti a fare. Con un’autorità che non credevo fosse capace di avere, mi fa stendere sul piccolo divano, dove i miei piedi, colpa della mia altezza, fuoriescono. Afferro i suoi seni tra le mie mani e butto la testa all’indietro, mi è mancata troppo, in tutti i sensi possibili. Mi sorride contagiando anche gli occhi, avvicina la mia bocca alla sua e senza farmene rendere nemmeno conto il mio membro è dentro di lei. Inizia a muoversi veloce cavalcandomi, ma io afferro con forza i suoi fianchi obbligandola a fermarsi.
«Piano.» Sussurro, facendole intendere che non voglio correre, non voglio far finire questo momento magico, anche se sono consapevole che non ci fermeremo qui stanotte, voglio godermi lei, in tutti i modi, in modo da cancellare quella solitudine che si era impossessata di me, in modo da dimenticare il suo dolore che si era propagato nella mia anima. La sua bocca si storce in una smorfia tenerissima e piano inizia a muoversi, alternando ogni spinta ad un bacio, aggiungendo qualche parola sussurrata catturata dal vento causato dai suoi capelli che si muovono a sincrono con noi. I suoi seni balzano ad ogni movimento e questa visione rischia di uccidermi, e penso che non ci sia modo migliore per morire. Ormai l’ho capito, dipendo da lei, dal suo amore, dal mio, e non c’è cosa più bella che il mio cervello abbia mai realizzato.

 

È ormai sera, mi incammino in bagno e non appena varco la soglia la vedo, con il lenzuolo avvolto sul corpo e lo sguardo fuori dalla finestra, nel cielo.
«Un penny per i tuoi pensieri.» Mormoro facendola sobbalzare, si avvicina e me sorridendomi dolce e bacia l’incavo del mio collo.
«Stavo pensando, a cosa servono le stelle?» Mormora appoggiando la testa sulla mia spalla. Vorrei dirle che l’ho pensato anch’io, che mi sono chiesto tante volte la stessa identica cosa, senza riuscire a darmi una risposta. E invece bacio la sua fronte e sussurro: «Servono per rendere magici i nostri momenti da umani innamorati.»

 

 

 

 

Eccoci qui! Non ho nulla da dire riguardo questo capitolo…spero come sempre che lo farete voi. E spero che smetterete ti odiarmi Edward lol anche se l’odio è stato totalmente giustificato.
Se volete, ho scritto una nuova storia qui c’è il link: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1975444&i=1
Grazie per il supporto di tutte quante, grazie infinitamente.
A presto.
Un bacione

Roby <3

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Capitolo 9
*** The Arcane ***


Embrace Me With Your Mind.

 

 

 

The Arcane.

 

 

 

 

 

 

 

 

È tarda sera, mentre saluto Bella nel silenzio della sua casa, silenzio sconvolto solo dal canto leggero degli uccellini posati sopra gli alberi. I suoi occhi mi implorano, perché sto tornando a casa e ha paura che una volta andanto via da qui io possa ricredermi su quello che le ho detto, su quello che abbiamo condiviso per l’ennesima volta qui. Non sapevo cosa volesse dire fare l’amore, eppure ci sono riuscito, non pensavo solo ed esclusivamente ad affondare in lei, ma la veneravo, cercando di farla sentire amata, dove prima le avevo dato un morso adesso c’è il marchio di un mio bacio. Non sapevo cosa significasse amare fino ad oggi una persona, ma Bella mi ha fatto vedere questa faccia dell’amore da tutti i lati. L’amore non è sempre rose e fiori, l’amore può uccidere anche l’uomo più forte, l’amore può rendere felice anche l’uomo più triste. Io non so in quella categoria apparterrò un giorno, so solo che voglio andare avanti con questa cosa, perché ho capito che nella vita amare è fondamentale, più dei soldi e del lusso, più della vita stessa. Sposto il peso da un piede all’altro guardando la mia donna triste che inclina il capo. Afferro il suo viso tra le mie mani dandole un bacio pieno d’affetto.
«Tornerò qui. Tornerò dall’amore.» Sussurro senza darle il tempo di rispondere e scendo le scale. Quando ero un adolescente mi piaceva leggere, i miei amici, i miei compagni di calcio mi prendevano in giro per questo, alcune ragazze credevano che io fossi dell’altra sponda. Io mi chiedevo sempre: “è così strano vedere un essere umano di sesso maschile leggere un libro?”. Ad ogni modo non mi importava, i libri riuscivano a prendermi dentro l’anima, quando leggevo un libro non vedevo più quello che avevo attorno, vedevo solo me in mezzo a quei personaggi. Mi immaginavo anche io un giorno in preda all’innamorando. Ho sempre amato la letteratura ed è strano perché chi ama un libro ama sognare, ed io invece mi sono intrappolato in una realtà troppo dura e spregevole. I libri parlano tanto dell’amore, parlano di farfalle nello stomaco, parlano del desiderio che si ha verso la persona che si ama, della stima, della venerazione e molti libri riescono a rendere il concetto chiaro come l’olio, eppure, nonostante miliardi di libri io abbia letto questa cosa per me è nuova. Bella è la mia novità, quell’incentivo per aiutarmi ad uscire dal baratro, l’arcano necessario per poter vivere. Perché l’amore non è dare senza pretendere? L’amore non è razionalmente irrazionale? Annuisco a me stesso, rendendomi conto che sto per diventare pazzo, follemente innamorato, cosa che mai e poi mai mi sarei aspettato. Parcheggio l’auto, consapevole che è l’ultima volta. Sono le nove di sera, mi sto comportando bene, dopotutto.
«Ciao Edward.» Mormora Tanya con gli occhi lucidi e rossi. Mi avvicino a lei, cercando di capire cosa deve dirmi. Faccio un cenno di saluto con il capo e aspetto che lei parli, ma dopo dieci minuti non parla, siamo immobili nel corridoio d’ingresso in piedi che ci fissiamo.
«Sono licenziato.» Mormoro cercando di spezzare il silenzio. Alcune lacrime bagnano le sue guance e io corrugo le sopracciglia. I singhiozzi iniziano a scuotere il suo corpo ed io mi avvicino portandola in cucina dove le porgo un bicchiere d’acqua. Non so perché, ma lo sto facendo, mi fa tenerezza, forse amare fa parte anche del diventare magnanimi con le persone che mai avresti pensato ti poter esserlo? Scuoto la testa, sorpreso del mio comportamento e aspetto che parli.
«Non sei licenziato. Mio padre vuole darti un’altra occasione.» Mormora tristemente. Io la guardo con sguardo interrogativo ma lei si alza e va a letto. Mi siedo sullo sgabello con una mano sotto al mento. È impossibile che non mi abbia licenziato, aveva detto che un qualsiasi passo falso da parte mia avrebbe compromesso la mia carriera di medico, eppure adesso pare si sia tirato indietro. Arriccio le labbra e scuoto la testa, è impossibile.

«Dottor Cullen?» Mi chiama Ben affacciando dalla porta del mio studio.
«Chiamami Edward, Ben!» Esclamo esasperato, per la ventesima volta. Ho sempre dato il permesso di darmi del tu a Ben, ma da un orecchio gli entra mentre dall’altro gli esce. Lui mi sorride ed io ricambio.
«Ci sono quattro appuntamenti per oggi. Black si è preso l’influenza.» Mormora confuso con le scartoffie tra le mani.
«Isabella?» Chiedo mentre mi abbasso sotto la scrivania per accendere il computer dello studio. Ben mi guardo confuso e poi sospira.
«Si è ritirata…credevo di avertelo detto.»  Mormora, finalmente dandomi del tu. Annuisco con vigore, pensando come mai Bella non abbia ripreso a lavorare. Scuoto la testa e mi preparo alla mia giornata lavorativa. Tra gli appuntamenti, noto che il primo è Erik Cullen. Strabuzzo gli occhi, chiedendomi come mai questo sia umanamente possibile ma non appena realizzo la cosa mia sorella entra con suo figlio, ormai del tutto guarito.
«Alice.» Sussurro flebilmente, lei mi sorride e indica suo figlio. Si chiude la porta alle spalle e si accomoda.
«Sai, credevo che prenderti come medico per mio figlio fosse stata la cosa migliore per riuscire a vederti spesso. Anche se spero che tu stia più spesso con noi, ormai che si è chiarito tutto.» Dice affannandosi, alzo gli occhi al cielo tipico di Alice.
«Non abbiamo chiarito ancora nulla.» mormoro guardando la porta, che spero non si apra rivelando mio suocero.
«Alice devi andare via. Non posso essere il tuo medico…vedi è difficile ma…» Balbetto cercando di formulare una qualche frase che abbia senso, ma il problema è che nulla ha senso in tutta questa faccenda.
«Edward. Perché non possiamo?» Mi chiede con voce dolce implorandomi di dirle qualcosa, di dirle quel di più che mi preme rivelare, ma io scuoto la testa e rimango irremovibile. Eppure, devo trovare un modo per liberarmi da tutto questo, devo cercare l’arcano per sciogliere questo nodo che mi lega alla famiglia Denali, e parlare con loro forse potrebbe essere la soluzione.
«Senti. Erik ha bisogno di un controllo urgente adesso?» Le chiedo assumendo il mio ruolo da medico, per poi tornare immediatamente al vecchio Edward Cullen, quello di diciassette anni. Alice scuote la testa e un sospiro abbastanza sonoro esce dalle mie labbra.
«Ci vediamo stasera. Dopo cena. A casa tua, avvisa Mamma e Papà.» Mormoro mentre sulle sue labbra esce un sorriso. La saluto, dandole un bacio sulla guancia e le dico di cercare in qualche modo di non farsi vedere da molte persone, tra quelle potrebbe esserci lui, sarebbe la fine, perché lui sa tutto quello che succede qui dentro, anche quando è in vacanza. La moglie, Jacqueline, una signora sulla cinquantina che proviene dall’America latina, è sempre accanto a suo marito, inerme, sotto al suo volere qualsiasi cosa accada, molte volte il termine da associarle non è la madre di mia moglie, è la schiava di Denali, è sotto il suo controllo, di quanto poca voce ha in capitolo molte volte dimentico il tono della sua voce. Tanya le vuole bene, dice, ma farebbe di tutto per il padre e viceversa, quindi a lei sta bene che sua madre sia così taciturna e priva di ogni cosa anche dentro casa sua. Mi massaggio le tempie e sbuffo aspettando che quella porta di apra rivelando qualche altro paziente.

Suono il campanello, tastando l’oggetto che ho appena comprato che si trova nella mia tasca, impaziente, dopo meno di ventiquattro ore sono in ansia di rivederla, come un bambino il giorno di Natale, tante volte mi chiedo se lei sia solo un’illusione, se tutto questo fosse solo un sogno, che ogni sera continua, come un telefilm, a puntate. Invece quando mi trovo dentro di lei, con le sua mani che scompigliano i miei capelli dolcemente, con il suo respiro sul mio collo e la sua voce che mi incita di continuare, di darle di più, di amarla fino in fondo, mi accorgo che fortunatamente è tutto vero, che lei mi ama, che io sono riuscito a rompere il mio cuore di ghiaccio per farlo tornare quello di una volta, chissà se non avessi conosciuto Bella, se questo fosse mai accaduto. All’inizio della nostra relazione ero io che tenevo il coltello dal lato del manico, adesso è lei ad averlo eppure non mi sono mai sentito più potente di così.
«Ciao.» Mormora dolcemente, aprendo di più la porta per lasciarmi entrare. Afferro i suoi fianchi, facendole avvolgere il mio bacino con le sue gambe e chiudo la porta con la mia schiena. La mio bocca gioca, possiede, maneggia, la sua con vigore e ci ritroviamo a ridere a sincrono sulla bocca dell’altro. Accarezzo le sua natiche con una mano, rendendomi conto di quanto io adori questa parte del suo corpo, di quanto io la desideri,  di quanto generalmente perfetta lei sia. Afferro una ciocca dei suoi capelli profumati e continuo a baciarla, mentre i nostri respiri si accelerano all’inverosimile. È sempre così quando entro in casa sua, ci basta guardarci negli occhi per impazzire di passione, ci basta vedere l’uno per ritrovarci nelle braccia dell’altro. Le sue piccole mani afferrano il mio viso, ed il suo tocco è come l’oasi della dolcezza, c’è amore in ogni suo gesto, quasi venerazione. Mi dirigo nella sua camera, con lei ancora sulle mie braccia e la adagio sul letto delicatamente. Le sfilo la canotta, nonostante io abbia ancora voglia di perdermi nelle sue labbra, sgancio il reggiseno azzurro in pizzo e mi allontano di poco per ammirarla. Le sue guance sono rosse, così come le sua labbra, i suoi capelli sono arruffati e potrebbe sembrare buffa, se non fosse per i suoi seni scoperti, eccitati con i capezzoli induriti. Mi fiondo su di lei, stuzzicando le sue punte rosa, accarezzando il suo seno, beandomi della sua pienezza tra le mie mani. E me la immagino, mentre con questa parte del suo corpo da vita ad un bambino, a nostro figlio. Sorrido teneramente, e lei mi guarda, scuoto la testa e sfilo i suoi pantaloncini abbassandoli insieme agli slip. Le sue mani mi fermano, ma solo per spogliarmi. Il mio membro eretto esce dai boxer e lei sorride languida, lo afferra e mentre chiudo gli occhi sento la sua bocca e la sua lingua giocarci. Chiudo gli occhi, ansimando, le sensazioni che mi trasmette questa donna sono eclatanti. La sua lingua gira attorno la mia cappella e posso seriamente avere paura di essere vittima di un infarto da un momento all’altro. L’afferro dalle ascelle, facendola staccare dal mio membro, e la butto sul letto in modo passionale, rude, comanda solo la passione adesso. Perché con lei è così, non c’è amore senza passione, perché quando è nuda tra le mie braccia, davanti ai miei occhi, dentro di me si accende il fuoco dell’eros, e la voglia di lei è insaziabile, entrerei dentro di lei tutte le ore del giorno e della notte, potrei passarci la vita che non sarei mai pienamente sazio. Le mie dita si insinuano tra le sua piaghe morbide e calde, e i sensi si annebbiano, facendomi perdere la ragione, la razionalità, facendomi vedere solo lei, solo noi, solo la nostra passione con la nota di quest’amore solo nostro. I suoi umori scivolano tra le mie mani e  non appena i miei occhi focalizzano Bella in preda all’orgasmo, non posso fare a meno di entrare con forza dentro di lei, facendole per qualche attimo mancare il respiro. Appoggia e sue gambe sulle mie spalle e spingo dentro di lei, in modo forte, feroce, passionale, lei urla ed io spingo sempre più forte, i suoi sospiri sono quel motivo in più che mi da la carica per spingere in lei sempre con più forza. Le sue mani graffiano le mie spalle, boccheggia, mentre le sue pareti intime si contraggono attorno a me, afferro il suo viso fermandomi, baciandola, ricordandole che nonostante i movimenti urlano “sesso” io la amo, in ogni modo possibile è amore. Vengo dentro di lei, invadendo il suo interno con il mio sperma, entrando in questo modo ossessivo dentro il suo corpo, dentro il suo essere. Rimango dentro di lei, mentre i nostri respiri si regolarizzano. Accarezza i miei capelli, ed io chiudo gli occhi rilassato con il viso appoggiato sui suoi seni che accarezzano la mia guancia, e accendono per l’ennesima volta la mia voglia che ho di lei. Accarezzo il suo fianco e chiudo gli occhi cadendo tra le braccia di Morfeo.
Con ancora gli occhi chiusi, allungo una mano alla mia destra, ma il letto è vuoto, apro gli occhi rivelandomi solo nella camera di Bella. Mi alzo e mi dirigo in cucina, sono le quattro del pomeriggio, magari aveva da fare ed io mi sono addormentato sopra di lei.
«Ben svegliato!» La sua voce euforica mi arriva da dietro le spalle e la circondo con un abbraccio.
«Vieni con me stasera.» Sussurro tra i suoi capelli, lei mi guarda e alzo un sopracciglio. «A casa di Alice, ci saranno anche i miei genitori.»
«Che dobbiamo fare Edward?»
«Ci amiamo Bella. E loro devono aiutarmi a vivere il nostro amore.» Mormoro sotto  il suo sguardo pieno di lacrime di commozione.

 «Non mi hai ancora raccontato come ti sei conosciuta con Alice.» Dico a Bella, curioso, mentre metto in moto la macchina per raggiungere casa di mia sorella. La guardo con la coda dell’occhio, notando la sua ansia, è bellissima questa sera, ha un vestito color verde smeraldo lungo con una scollatura che lascia davvero poco all’immaginazione sulla parte del seno, i suoi capelli mossi cadono perfettamente sulle sue spalle, voleva truccarsi ma io le ho impedito di farlo, l’amo così, acqua e sapone, non voglio che rovini il suo viso con fondotinta e ombretti vari.
«Stavo facendo colazione nella caffetteria dell’ospedale, il giorno dopo che hai operato Erik. Lei era lì che piangeva e mi aveva chiesto se poteva sedersi nel tavolino dove ero io – era l’unico posto libero quella mattina- ho accettato, abbiamo parlato per un’ora, e come se fossi stata colpita da un colpo di fulmine ho iniziato a provare affetto per lei, da quel giorno andavo nel reparto a trovare Erik e lei, fino a quando non ho scoperto…bè…fino a quando…lo sai…e lei mi ha consolata invitandomi a casa sua il giorno dopo, il giorno che Erik è stato dimesso. Il destino ha voluto metterci la sua mano.» Mormora toccandosi i capelli nervosamente. Afferro la sua mano tra la mia e ne accarezzo il dorso.
«Perdonami.»
«L’ho già fatto Edward. Non voglio pentirmene.»
«Torna a lavorare con me.»
«Non posso.» Mormora mentre, ne sono sicuro, una lacrima solca il suo viso, l’ennesima.
«Perché non puoi? » Chiedo confuso.
«Perché al momento vederti al di fuori di quello che siamo è doloroso. Vedere che hai appuntamenti con lei durante le tue ore lavorative mi logora, vedere che lei ti chiama al telefono mi uccide. »
«Io appartengo a te.»
«Non del tutto.»
«Dammi tempo.» La imploro.
«Lo sto facendo Edward. Ma fin quando non sarai solo ed esclusivamente mio, non posso fare come se nulla fosse.»
Parcheggio l’auto, ma non scendo, Bella mi guarda confusa, ma entrambi rimaniamo in silenzio, anche se siamo perfettamente consapevoli che ci sarebbero miliardi di cose da dire. Ci guardiamo negli occhi, e nei suoi ci vedo l’amore, la speranza, la rabbia, la voglia di lottare contro tutto e tutti pur di mantenere intatta la nostra bolla. E allora capisco perché Bella è stata l’unica donna capace ad insegnarmi ad amare, perché i suoi occhi sono eco dei miei. Sospiriamo in sincrono, ed insieme usciamo dalla macchina entrando dentro casa di mia sorella.
Mio padre mi accoglie come l’altra volta, abbracciandomi sotto lo sguardo commosso di mia madre, solo che questa volta siamo solo noi, senza amici di Alice, solo la famiglia, mio padre ci parla della sua azienda, maledicendo il suo socio che non riesce a concludere nulla, potrebbe essere riferito a me, al mio voler inseguire i sogni e lasciarlo da solo nella sua azienda, eppure non sembra di leggervi astio nelle sue parole, lui è così, parla sempre in modo costante del suo lavoro, perché ama ciò che fa e forse, dopo tutti questi anni ha capito che io ho lottato per qualcosa che amavo e che comunque adesso sto perdendo, non sono triste per questo, forse solo deluso, ma ho trovato Bella da amare, più di quanto io possa fare con il mio lavoro. Racconto a tutta la mia famiglia cosa è successo esattamente quella sera, all’accordo che ho accettato –ma che adesso ripudio- pur di diventare medico, racconto ai miei familiari degli ultimi nove anni, passati a lavorare e dormire, senza felicità o alcuna armonia, mio padre mi guarda attentamente, zittendo ogni tanto mia madre che singhiozza, Alice e Jasper ogni tanto annuiscono e Bella tiene saldamente la mia mano tra le sue.
«Non capisco perché quest’uomo sia così accanito contro di noi.» Mormora mia madre confusa.  Mio padre si gratta il mento e tutti aspettiamo cosa ha da dire.
«Edward. Saresti disposto a lasciare il tuo lavoro, cambiare vita, dopo nove anni?» Mi chiede infilando il suo sguardo nel mio, lo guardo attentamente e ho l’impressione che lui sia coinvolto in tutto questo, o che, comunque sospetti la causa dell’accanimento di Denali, su di me e sulla mia famiglia.
«Sì Papà, adesso che ho capito cosa significa voler bene, adesso che ho imparato ad amare qualcosa, qualcuno più del mio lavoro sì, questo giorno prima o poi doveva arrivare. Voglio essere felice, la vita è breve ed è unica, non voglio continuare a sprecarla in questo modo. » Mio padre, alla mia affermazione, annuisco impercettibilmente e Bella aumenta la stretta nella mia mano, sta tremando, è troppo nervosa.
«Potremmo dirlo alla Polizia.» Sussurra Alice. Io scuoto la testa con vigore e noto Jasper raddrizzarsi di scatto.
«Con la polizia, purtroppo,  per questo genere di cose non si risolve un bel niente. » Sussurro sconfitto.
«Deve esserci un modo, dannazione!» Urla mia madre alzandosi dalla sedia. Jasper si alza imitando mia madre, e per la prima volta questa sera, parla, svelandoci gran parte dell’arcano.
«Io so il perché. Sono tuo cognato Edward. Sono il figlio di Denali.»

 

 

 

 

 

 

Embé lol vi aspettavate di Jasper? Nel prossimo si saprà tutto, spero non rimarrete deluse, me la sto facendo sotto ad essere sincera lol.
Sono di fretta! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, conto in un vostro parere!
Alla prossima.
Un bacione, grazie infinite per il supporto, per tutto. ps: se il capitolo è qui, è grazie ad Ami, EFP ce l'ha con me oggi >.< Grazie tesorino mio , senza di te non so come farei <3

Roby <3

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Capitolo 10
*** Orfeo e Euridice. ***


Embrace Me With Your Mind.

 

 

 

Orfeo e Euridice.

 

 

 

 

I miei occhi fissano la figura di Jasper a lungo. Bella al mio fianco è impietrita, la mia famiglia la imita. Il viso di mio padre è sbiancato, come se fosse sotto shock, reazione che comunque mi da qualche dubbio che ho paura di esprimere. Anche al mio interno. Alice inizia a piangere e caccia un urlo disumano, facendomi scattare verso di lei, come quando eravamo ragazzi, ad ogni ostacolo io per lei c’ero, ad aiutarla, a consolarla, a darle consigli ed infine quando l’atmosfera si alleggeriva le dicevo qualche mia frase da sbruffone, a volte mi sentivo ridicolo, ma mi piaceva farlo, mi piaceva sentire la sua risata cristallina e piena di vita. Accarezzo mia sorella, mantenendo lo sguardo su Jasper, che pare si sia pentito di quello che ha detto. Lui è il fratello di Tanya, nonostante non ci sia alcuna somiglianza, mi chiedo come mai lo abbia tenuto nascosto, mi chiedo come mai questo abbia fatto gelare tutti me compreso.
«Ssh, calmati.» Sussurro a mia sorella, guardando Bella che porta nella cameretta Erik, evitandogli la scena.
«Sei uno stronzo!» Urla mia sorella avvicinandosi pericolosamente a lui.
«Adesso capisco perché non hai voluto sposarmi! Adesso capisco perché non hai voluto dare il tuo cognome a nostro figlio! Perché hai fatto questo?!» Urla mentre le lacrime le rigano copiosamente il viso di porcellana. Lui deglutisce, capendo finalmente la gravità della cosa e si avvicina a noi, chiedendo scusa con lo sguardo, mio padre scuote il capo e si siede seguito da mia madre, momentaneamente sconvolta.
«Ricordo ancora quando ero piccolo. All’età di quattro anni, i miei genitori mi comunicarono che presto avrei avuto una sorellina. Mio padre era felice, quando ha avuto la notizia che il suo prossimo figlio fosse stata una femmina. Gli anni passavano ed io amavo mia sorella e l’affetto era ricambiato. Mio padre cercava sempre in tutti i modi di farci litigare, sapendo che io ero molto geloso, lodava mia sorella lasciandomi in disparte, come se io fossi il figlio che lui non ha mai voluto. Ho sopportato la sua prepotenza, contro di me, contro mia madre. Non sopportavo che lei fosse sempre pronta per lui, sotto al suo volere non facendosi rispettare. Non appena trovai un lavoro all’età di vent’anni scappai di casa, munendomi di documenti falsi. Volevo sparire dalla sua vita, volevo che lui non ne facesse più parte, odiavo mio padre e lo odio tutt’ora.  Stavo per andarmene in Messico, dopo qualche anno che i miei risparmi mi potevano rendere agiato, quando una signorina con gli occhi più belli che io abbia mai visto tamponò la mia macchina nuova. Da quel momento iniziai a vivere solo per incontrarla tra le strade di Londra, non pensando più alla mia fuga a mio padre. Mi ero innamorato ed ero felice.» Sussurra guardando Alice negli occhi. Prende un sospiro mentre noi ci guardiamo tutti negli occhi confusi.
«Non ti ho sposata Alice solo perché non volevo farlo con un cognome falso, non ho dato il cognome a nostro figlio per lo stesso motivo. Aspetto la sua morte per farlo, in modo che io possa vivere felice, perché fin quando lui è in vita io sono prigioniero di me stesso. Non volevo infangare il nostro amore con qualcosa di falso, non volevo che tuo marito fosse Jasper Hale, quando invece non è un Hale per niente. Se ti avessi sposata come Jasper Denali lui mi avrebbe trovato, avrebbe fatto in modo di rovinare la mia vita ancora una volta, l’ennesima. So che magari è un ragionamento contorto, forse ho sbagliato, ma non voglio che tu pensi che io sia un impostore. Il mio cognome è falso, è vero, ma il mio amore, il mio cuore, i miei sentimenti verso di te sono l’unica cosa vera e pura che mi è rimasta. Avrei dovuto dirtelo prima, perdonami.» Mormora mentre una lacrima accenna ad uscire dal suo occhio. Mio padre si avvicina a Jasper e gli da una pacca sulla spalla. Alice inizia a respirare e si siede calmandosi.
«C’è una lunga storia dietro tutto questo, Edward.» Dice rivolgendosi direttamente a me.
«E mi pare assai strano che tu, Carlisle, non lo immagini.» Sussurra con lo sguardo cupo verso mio padre che si tramortisce.
«Vedi Edward. Quando mio padre frequentava l’università, era amico intimo di tuo padre. Entrambi si erano innamorati di Esme. Tua madre era innamorata di Carlisle, non appena si sposarono il rapporto d’amicizia divenne un rapporto d’odio. Ho sentito mio padre parlare al telefono, un giorno di parecchi anni fa, prometteva a qualcuno dall’altro lato del telefono che l’avrebbe fatta pagare a Cullen, in qualche modo, anche mentre era morto, ma l’avrebbe fatto. Non appena io conobbi Alice, mi resi conto che quel Cullen era tuo padre, e rivelare il mio cognome sarebbe stato peggio. Edward, ti sei infilato in un casino, lui aspetta un tuo passo falso per vendicarsi su tutta la tua famiglia. »  Guardo mio padre a lungo, leggendogli negli occhi la resa, accorgendomi che lui si aspettava una cosa del genere, solo che non ci aveva mai dato peso.

 

Accarezzo il velluto del cofanetto che contiene il regalo per Bella. Avrei voluto darglielo nel momento in cui le avrei chiesto di andare a vivere insieme, non sapendo che quel giorno pare non voler arrivare. Avrei donato questo regalo a lei, dicendole che volevo iniziare la mia vita, ormai distrutta. Non c’è più nulla da fare, sono condannato, devo morire qui, in questa casa. Volevo passare la notte con Bella, ma mi ha detto che ha bisogno di realizzare il tutto, mi ha detto che domani parleremo di tutto quanto. Spengo l’abat-jour dando le spalle a Tanya. Una lacrima solca il mio viso, questa è la mia vita, me la sono scelta io, inconsapevole dello sbaglio che stavo commettendo. Se forse avrei ragionato, ai tempi, adesso sarei un uomo felice, invece mi sento come quando si rompe un vaso, come quando stai per raccogliere e incollare tutti i pezzetti e non appena manca l’ultimo ti accorgi che è ormai frantumato e che quel vaso non potrà mai essere aggiustato. Un dolore all’altezza del petto mi fa piegare in due. Inizio a tossire sperando di morire, in modo da non poter più vivere questo supplizio che io stesso mi sono creato. Prendo a pugni il mio stomaco, fregandomene della donna che dorme al mio fianco. Dicono che i sogni nel cassetto devono essere liberati, che dobbiamo lottare per farli uscire da quel cassetto e renderli reali anziché solo sogni, ma a che scopo? Vale la pena realizzare un sogno per poi distruggere la propria vita? Chiudo gli occhi troppo provato emotivamente per pensare ancora, distruggendomi l’anima, inutilmente, perché qualsiasi cosa io faccia è inutile.

«Edward Cullen! Come va qui?» Mormora Denali sedendosi davanti a me e appoggiando i gomiti sulla mia scrivania. Io annuisco non proferendo parola. Ho paura di lui, soprattutto adesso che mi sono reso conto di quanto è spietato, di quanto il suo cuore e la sua anima siano oscuri. Continuo a leggere alcune diagnosi ignorandolo, o almeno provandoci, so bene che la sua presenza mi incute terrore e lui, questo lo sa, e ci gode, si nutre della mia paura per rendermi suo succube.
«Un grazie sarebbe ben accetto.» Mormora distrattamente, mente io alzo gli occhi per incontrare il suo viso, lo guardo confuso e lui scoppia a ridere malignamente.
«Avresti dovuto essere fuori!» Urla divenendo immediatamente serio, non batto ciglio sorpreso dal mio atteggiamento mite e continuo a guardarlo, facendolo parlare, facendogli confessare quando stronzo e vile sia.
«Ho voluto darti un’altra possibilità, trattandoti come se fossi mio figlio, vedi di non farmene pentire.»
«Ce l’hai già un figlio.» Sussurro confondendolo, sgrana gli occhi e rimane impietrito al suo posto. «So bene quello che hai in mente, purtroppo. Falla finita, inizia a vivere la tua vita e lasciala vivere anche agli altri. » Mormoro sicuro che mi abbia sentito mentre esce a grandi falcate dal mio studio. Scuoto la  mia testa pesante, piena di pensieri razionali e non. Cerco di pensare ad una via d’uscita ma non trovo nulla. Lui non ce l’ha con me, ce l’ha con mio padre, per avergli portato via il suo grande amore, mia madre. Mi chiedo cosa fosse successo se io non fossi scappato di casa quella notte, lui non mi avrebbe trovato, è vero, ma avrebbe cercato di vendicarsi in altri modi, forse più velocemente. Si è stancato anche lui dell’attesa, nove anni sono tanti, dicono che la vendetta si serve in un piatto freddo, ma ormai quel piatto è congelato, e non ne può più di aspettare. La mia vita distrutta continua a percorrersi, la mia vita che non è lecito chiamarla tale è stanca, vuole farla finita, perché quando la tua vita è distrutta per cosa vivi davvero?

 

«Sareste disposti tutti quanti a fuggire via da qui?» Chiedo alla mia famiglia al completo, siamo in una trattoria in centro, mio padre ci ha radunati tutti per parlare di questa situazione che ormai non appartiene solo a me, non lo ha mai fatto. Mio padre tossisce fragorosamente, rispondendomi, oh ma certo come farà senza la sua azienda?  Mia sorella, mia madre e Jasper restano in silenzio , sbuffo alzo gli occhi al cielo.
«Edward. Se non avresti incontrato Bella avresti continuato la tua vita così!» Dice mio padre con veemenza, facendomi sgranare gli occhi. Sì forse è vero, ma non è una cosa assolutamente positiva voler cambiare vita? Voler iniziare a vivere? Forse per mio padre non è così, ma lui non può capire, nessuno può farlo. Stringo i denti, cercando di mandare giù il cibo pensando a tutto e a niente, preferirei lavare le scale per avere Bella, preferirei morire senza di lei. Finisco il pasto e saluto tutti, non dandogli appuntamento, sarebbe inutile, loro sono tranquilli, ma non sanno cosa li aspetta, non sanno fin quanto si può spingere la cattiveria di Denali, forse non la conosce bene nemmeno il figlio, Jasper. Forse dovrei arrendermi come lui, aspettare che muoia per poter cominciare la mia vita senza interruzioni o paure da parte sua. Scuoto la testa, mentre metto la prima e parto, mi dirigo verso casa mia, voglio parlare con Tanya, lei dovrà pur sapermi dire qualcosa.
«Non lo so, Edward.» Sussurra Tanya, quando le chiedo il motivo per cui non sono ancora licenziato.
«Tu mi ami Tanya?» Mormoro, sicuro della sua risposta negativa. Lei sgrana gli occhi e scuote vigorosamente il capo.
«Chiedi il divorzio allora. Liberami. Da solo non posso farcela.»
«Senti Edward. Non sei mai stato gentile con me, mi ha sempre allontanata a calci, non puoi aspettarti che io ti aiuti.»
«Ne vale anche della vita di tuo fratello.» Mormoro amareggiato mentre mi chiudo la porta di casa alle spalle. Ho scelto la mia vita, non posso iniziarla a vivere. Che senso ha restare qui? Vorrei scappare, se solo sarei sicuro che la mia famiglia resterebbe indenne, ma che posso fare? Mi siedo sul marciapiede prendendomi la testa tra le mani, lacrime copiose scivolano forsennate nelle mie guance, inizio a singhiozzare per poi sdraiarmi al suolo, sfinito da tutto questo schifo. Una mano sfiora la mia spalla,  costringendomi ad aprire gli occhi, Jasper mi guarda facendomi un sorriso di circostanza, mi alzo e mi chiede se mi va di prendere insieme un caffè, accetto e ci dirigiamo in caffetteria.
«Mi dispiace Edward.»
«Non è colpa tua.»
«Dobbiamo trovare una soluzione, Edward.» Sussurra guardandomi negli occhi. Scuoto la testa e butto giù il mio caffè.
«Non ci sono soluzioni Jasper. Devo andare.» Gli do una pacca sulla spalla e vado via, sconfitto, deluso.

 

Non vedo più nulla, non sento più nulla, i miei sensi si sono annientati, vedo solo me e lei una combinazione perfetta. Accarezzo la sua spalla nuda, ricoperta di brividi che aumentano ad ogni mio tocco. È passione profonda la mia, mescolata con la sua. Spingo dentro di lei come se non ci fosse un domani, le sua unghia graffiano la mia schiena provocandomi qualche sussulto, ma è piacevole, vedere quanto le appartengo, sono sempre stato suo, anche quando le nostre strade non si erano ancora incrociate. I suoi gemiti danno il via ai miei, e ci susseguiamo come abbiamo sempre fatto, dalla prima volta che i nostri occhi si sono incontrati, dalla prima volta che ho capito che lei sarebbe stata tutto ciò di cui ho bisogno. Mordo il suo collo profumato, quell’oasi che non permetterei mai più che mi sfugga dalle mani. Questa è lei, la dolcezza mischiata alla passione, la felicità contro la tristezza, lei è la medicina per la mia influenza, lei è la salvezza per la mia vita. Mi sono affidato a lei, sicuro di fare la cosa migliore che potrei, sicuro che lei non mi deluderà e se anche fosse perdonerei ogni cosa a lei, che mi ha aperto il cuore ancora una volta. Sono un uomo completo adesso, rinuncerò a tutto purché lei rimanga nella mia vita. Esco da lei con il respiro spezzato, chiudo gli occhi ma un singhiozzo acuti me li fa riaprire rigorosamente.
«Che succede?» Mormoro abbracciandola, ma non appena la sua pelle tocca le mie braccia si divincola immediatamente. Sgrano gli occhi e continuo a guardarla, spaesato. I singhiozzi le percuoto il petto, e la paura si impossessa di me, prendo velocemente i boxer e vado a prenderle un bicchiere d’acqua. Non appena mi volto per dirigermi in camera la vedo di fronte a me, in lacrime che si tortura i capelli nervosamente, mi avvicino con il bicchiere ma con una mossa repentina lo rovescia per terra, facendo fuoriuscire l’acqua bagnando il pavimento e gran parte del divano.
«Cosa c’è Bella?!» Urlo innervosendomi dal suo comportamento inconcepibile.
«Cosa vedi Edward!? Cosa senti? DIMMELO…dimmelo, perché io non lo so!» Urla scoppiando a piangere nuovamente. Mi avvicino a lei, capendo immediatamente cosa intende e l’abbraccio forte a me, lei, dal suo canto, questa volta non rifiuta il mio abbraccio.
«Vedo due persone innamorate. Vedo un gran casino, ma sento che possiamo trovare un modo. Io ti amo Bella, ho capito che quando si ama si è disposti a tutto, ed io lo sono. Dio, giuro che lo sono.» Mormoro piangendo insieme a lei, sentendomi svuotato dal suo pianto, sentendomi tremendamente in colpa per tutto questo che solo ed esclusivamente io ho creato.
«Sai cosa vedo io Edward?» Mi chiede asciugandosi le lacrime, i suoi occhi sono indecifrabili, e ho paura di questo, perché quando non capisco il suo modo, le sue parole guardo i suoi occhi e tutto si fa chiaro, ma adesso sto vendendo l’ignoto e muoio di paura.
«Vedo me stessa che si contorce dal dolore quando mi manchi e tu non ci sei. Vedo te e quella donna dormire sullo stesso letto. Ti vedo mentre fai colazione nel suo stesso tavolo. Non sono mai stata una ragazza stabile con le relazioni, non mi sono mai innamorata. Da piccola, come tutte le bambine, sognavo il principe azzurro in groppa ad un bellissimo cavallo bianco con la criniera biondo cenere. Crescendo ho realizzato che lui non esiste, che l’uomo perfetto è solo Orfeo per Euridice, che sono sempre stata quella classica e solita illusa. Quando ti ho conosciuto credevo di aver trovato il mio Orfeo, sapevo  che all’interno di te c’era qualcosa di molto più grande di quello che potevo immaginare. Ma nei tuoi gesti, nei tuoi sguardi avevo capito che mi amavi, a modo tuo ma lo facevi. Mi sono innamorata di te spensierato mentre dormivi al mio fianco. Mi sono innamorata del tuo sesso rude e passionale, mi sono innamorata di un uomo che credevo fosse l’altra metà di me. Ma vedi Edward, io voglio un uomo al mio fianco, il mio uomo. Non voglio dividerti, non ce la faccio. Credevo di poter aspettare, pensavo di farcela, ma la mia volontà per quanto sembri immensa non lo è. Ho paura Edward, paura che questo stato d’impasse non finirà mai. Non ce la faccio Edward…io…» La interrompo, mentre il mio cuore si spezza pian piano, mentre la mia anima geme e la mia vita si distrugge ancora una volta.
«Devo parlare con Tanya. Chiederà lei il divorzio.» Sussurro in preda al panico, trovo la forza di afferrare il suo viso tra le mie mani e la guardo negli occhi. «Stasera, domani, non di più. Ti prego amore mio. Non mollare tutto adesso. Ce la farò, ce la faremo, ma se vai via non posso vivere. Io…mi dispiace per quello che sono, ma voglio provarci, voglio essere il tuo Orfeo mia bellissima Euridice, voglio renderti felice, ma devi darmi ancora un pochino di tempo, solo poco. Te lo prometto.» Sussurro piangendo, cercando di fermare queste dannate lacrime che non accennano a fermarsi, la fisso sperando in una sua resa, sperando che ragioni che mi dia il tempo, che non è facile, che non è una cosa che comando io. Chiude gli occhi e appoggia la testa sulla mia spalla, sospiro di sollievo ma con la paura che lentamente schiaccia il mio cuore.

 

«Tanya! Ti prego, farò tutto ciò che vuoi! Chiedi questo dannato divorzio, fallo per umanità, fallo per qualsiasi cosa, ti darò qualsiasi cosa in cambio. Ma ti prego!» Urlo disperato, inginocchiato di fronte a Tanya che anziché guardarmi e ascoltarmi si spazzola le unghia tranquillamente. MI alzo di scatto preso dalla rabbia e afferro la limetta, scaraventandola per terra. Lei mi guarda sgranando gli occhi e un sorriso furbo le si dipinge in volto.
«Picchiami Edward. Fallo avanti!» Urla ad un centimetro dal mio viso. Per un millesimo di secondo penso alla soddisfazione che potrei ricavare picchiandola a morte, riducendola grondante di sangue, vendicandomi una volta per tutte. E invece, la ragione uccide l’istinto, facendomi indietreggiare e facendomi pentire di aver pensato una cosa simile. Non ho mai picchiato una donna, trovo deboli gli uomini che lo fanno.
«Perché non vuoi chiedere il divorzio Tanya?» Chiedo ormai senza speranze, rendendomi conto che suo padre le ha trasmesso la caparbia.
«Per difendere l’onore di mia madre Edward.»
«Ma che cazzo vuol dire? Tua madre non è mai esistita per te, falla finita. Tanya, ti scongiuro, chiedi il divorzio. Non mi ami! Non tenermi legato a te in questo modo!»
«Vuoi il divorzio Edward? Chiedilo tu! Non vedo cosa ti cambia!» Scoppio a ridere alla sua affermazione, una risata che va dall’isterico al disperato.
«Lo sai che tuo padre farebbe fuori la mia famiglia, stronza!»
«Ci sarebbe una cosa che potrebbe farmi cambiare idea.» Sussurra alzando un sopracciglio con fare pensieroso.
«Qualsiasi cosa. Giuro, qualsiasi.» Dico sospirando, giungendo le mani a mo’ di preghiera.
«Devi…»

 

«Aaaaaaaaaah » Urlo, notando la mia mano gonfia e sanguinante. Il cofano ammaccato della mia macchina fa bella mostra di sé, in questa notte senza luna. Inizio a correre piangendo, rendendomi conto che ho perso davvero tutto e per sempre questa volta.
«Dimmi perché Edward!» Esclama Bella davanti a me con il volto ricoperto di lacrime. Abbasso la testa vergognandomi di me stesso e di tutte le scelte che ho fatto fino ad oggi.
«Non posso dirtelo.» Sussurro, rispondendo al suo ennesimo perché. Le ho detto francamente che non possiamo mai più amarci, che Tanya non mi darebbe mai il divorzio, che mi dispiace, ma ci sta male lei quanto me. Vorrei correrle incontro ad abbracciarla a sussurrarle che troveremo un modo, che andrà tutto bene, ma niente andrà tutto bene. Non ci sono soluzioni.
«Vai fuori Edward. Vaffanculo stronzo di merda! Vattene, non voglio più vederti. Esci dalla mia vita.» Urla disperata. Mi avvicino lentamente, le accarezzo il viso con un dito, conservando il suo ricordo nella mia anima per sempre, in modo da accompagnarmi ovunque io decida di andare, ovunque il destino, o chiunque comandi il tutto deciderà. Sussurro un “Ti amo” flebile, sussurrato al vento che lo porteranno sempre accanto a lei. Alla mia Euridice.
Esco da casa sua e afferro la pistola che avevo nella tasca posteriore del Jeans, la posiziono sulla mia tempia, basterebbe solo premere il grilletto per vivere in pace finalmente.

 

 

 

 

Non ho nulla da aggiungere. Non odiatemi, andrà tutto bene.
Un bacione

Roby <3

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Capitolo 11
*** She is My Person. ***


Embrace Me With Your Mind.

 

 

She Is My Person.

 

 

 

 

 

Deluso. Sconfitto. Solo. Amareggiato. Inutile. Senza arte né parte. Invisibile. Spregevole. Odioso. Sono una nullità, ho tutti i buoni propositi per premere questo grilletto e farla finita, per sempre, una volta per tutte. Smetterla di lottare per un amore impossibile, smettere di far soffrire quella persona che per me farebbe di tutto quando io in cambio non posso dargli nulla. Mi accascio al suolo, gettando la pistola lontano da me da buon codardo quale sono. Adesso sono arrivato in un punto morto, congelato, rimarrò così per sempre, non posso eseguire ciò che Tanya mi ha chiesto, non posso vivere senza Bella, eppure ho scelto la via più giusta, quella che qualunque altra persona avrebbe scelto, continuerò a vivere così, in questo modo che mi ha sempre fatto schifo, dove non sono mai felice, dove la mia vita non è affatto ciò che la parola vuol definire. Mi alzo, ormai sconfitto, cercando di non pensare a niente, tentando invano, perché quando chiudo le palpebre vedo lei, quando respiro sento il suo profumo ormai dentro di me. Non posso vivere così, sono certo che troverò il coraggio di mettere fine alla mia vita, in modo da non soffrire più. Perché per quanto io voglia provarci non posso dimenticarla, lei è la mia anima, indissolubilmente, inevitabilmente, assolutamente la mia anima è lei. Inizio a camminare senza una meta precisa, fin quando l’alba fa capolino sopra la città. Non ho voglia di tornare a casa, non ho voglia di fare assolutamente nulla, avrei solo voglia di distendermi al suolo a guardare il cielo,  passare la mia vita tra pioggia, sole, nuvole e stelle, avrei voglia di vivere per niente, di non vivere, di non esistere. Lei è la mia anima, e senza la nostra anima non possiamo vivere.

 

 

«Edward. Ti prego.» Mi supplica Alice, vuole sapere perché ho abbandonato tutto, perché ho deciso di continuare a vivere in questo modo malato, assolutamente sbagliato.
«Basta Alice. L’ho ha detto anche Papà, se non fosse arrivata Bella nulla sarebbe cambiato. Ho scelto di far finta che lei non abbia mai fatto parte della mia vita…»
«Ma non ci riesci!» Esclama inorridita, interrompendomi. «Non ci riesci cavolo! Quando imparerai Edward! Ci sono voluti nove anni per capire il bene della famiglia, cresci Edward! Per una buona volta non fare ciò che pensi sia giusto, ma fai quello che effettivamente lo è.» Sbuffa arrabbiata e guardandomi con sguardo truce.
«Non posso Alice. Dio lo vorrei davvero, ma non posso! NON POSSO! Cosa credi che io non ci sto male? Come posso dimenticarla? Non ce la farò mai. Non posso.» Mormoro fuori di me, rischiando di strapparmi i capelli per la rabbia. Ho deciso di venire qui da mia sorella perché pensavo che lei potesse capirmi, invece no lei ha visto ciò che io non volevo che lei vedesse, lei è mia sorella, ha capito che non è quello che voglio, che non è assolutamente la cosa più giusta, ma non ha capito il motivo.
«Edward. Ti prego, ragiona, devi cercare di uscire da questo incubo. Provaci, io farò tutto il possibile, te lo giuro, starò al tuo fianco sempre.» Sussurra piangendo, facendomi male con le sue parole, con le sue soluzioni impossibili. Non ci sono alternative. Ho una non-vita e sono costretto a viverla, fine della storia.
«Vado a lavoro Alice. Ci vediamo.» Mormoro dirigendomi verso la porta, ma lei mi rincorre bloccandomi per il polso.
«Dimmi il perché Edward.»
«Non posso.»
«Ti prego.» Afferro la maniglia ed esco fuori, dirigendomi a lavoro, cercando in qualche modo di svagare la mia mente piena e allo stesso tempo svuotata, anch’essa sola. La giornata passa mite, normale, come è sempre successo, solo che io sono diverso adesso. Sono solo, contro me stesso, contro tutto il mondo. Jacob Black è stato tutto il giorno incollato al suo cellulare, deludendomi e confermando la mia prima impressione su di lui, ma faccio finta di nulla, non mi importa di me stesso, figuriamoci degli altri. Avete presente quando immaginate il mondo spoglio? Tutto vuoto, senza persone, bianco, mite, assolutamente imperfetto. Ecco come mi sento, un mondo vuoto, un universo senza stelle o pianeti, una casa spoglia. E non è solo dolore psichico, c’è pure il cuore che fa male, quel cuore ormai inesistente, quel cuore strappato via dal mio petto. Sono vuoto, devastato, sono il nulla. La porta del mio studio si apre e la testa di Ben fa capolino all’interno del mio studio. Dietro di lui riesco a vedere solamente una chioma che riconoscerei fra mille.
«Edward. Posso?» Annuisco pensando che la persona dietro di lui è quella che penso che sia. Infatti non appena Ben oltrepassa la soglia, il corpo di Bella avanza dietro di lui, è spaventata, delusa, ferita, ma è qui, ancora una volta è qui.
«Stamattina è arrivata Isabella chiedendomi se poteva riprendere ciò che aveva sospeso. Mi chiedevo se tu sei d’accordo…» Lo interrompo con un gesto veloce e annuisco.
«Si, certo.» Sussurro rincuorato. Ben annuisce e tutti e tre rimaniamo a guardarci negli occhi silenziosamente.
«Ben, puoi andare. Isabella, siediti pure, dovremmo parlare del programma che abbiamo eseguito quando non c’eri. » Lei alle mie parole sgrana gli occhi e scuote la testa in modo impercettibile, senza che Ben se ne accorge. Quest’ultimo annuisce e chiudendo la porta ci lascia soli.
«Edward…» Comincia bloccandosi subito quando mi prendo la testa tra le mani e comincio a scuoterla.
«Sei qui.» Sussurro alzandomi dalla sedia, intento ad abbracciarla forte, ma i suoi gesti, il suo indietreggiare spaventata mi blocca all’istante, facendomi sentire un verme, fuori posto, un estraneo.
«Sono qui. Ma sono per la mia carriera Edward.»
«Non ci credo. Ci sono miliardi di Ospedali. Ma tu sei qui. Sei venuta da me.» Mi avvicino lentamente a lei, che, spaventata indietreggia, facendomi ammutolire, la guardo per capire cosa c’è di diverso in lei, in noi.
«Edward. Ti prego.»
«Cosa?»
«Lavoriamo insieme, basta. Non ci sarà nulla da dividere se non il lavoro.» Sussurra con voce tremante, facendomi intendere che non ci crede un minimo nemmeno lei.
«Non ci credi nemmeno tu, Bella. Due persone che si amano non possono ignorarsi.» Sussurro, mentre lei mi ignora e afferra il suo camice. Passo le giornate a guardarla, da quel giorno. Ma nulla è riuscito a cambiare, migliorare a crescere. I suoi movimenti, la sua voce, sono quel motivo per cui ancora ho resistito, non sono impazzito. Mi ignora, sta cercando di annullare il suo amore per me, rendendosi conto della realtà che aleggia in noi dal primo giorno in cui abbiamo capito di amare l’altro, il nostro è un amore impossibile, a causa mia, ma è una verità che non riesco pienamente ad accettare, perché accettandola perderei la mia anima, una volta e per sempre, lei. Ho cercato di trovare delle alternative, delle possibilità, ma sono inesistenti, è come se la vita, arrivato a questo punto ha voluto punirmi per aver acconsentito a rovinarla con le mie mani anni fa. Caccio indietro le lacrime per l’ennesima volta, rendendomi conto che persona schifosa io sia. Porto il pugno chiuso sotto al mento e comincio a tremare, per la rabbia, per il dolore, per la consapevolezza di un amore perduto e la certezza di essere davvero un uomo distrutto. Sono già passate due settimane, ma nulla è successo, nulla è cambiato, se non il senso di colpa che rischia di sfondare il mio cuore e uscire prepotentemente dalla mia schiena. Con un tremore che non mi è mai appartenuto accarezzo il velluto dei miei pantaloni all’altezza della tasca sinistra, incrocio con gli occhi Bella e mi avvicino a lei. Entra nel mio studio ed io la seguo.
«Ascoltami solo un secondo.» Sussurro al suo orecchio facendola rabbrividire. Lei scuote la testa e si allontana.
«Non abbiamo nulla da dirci.»
«Ti prego Bella! Ascoltami!» Esclamo alzando involontariamente la voce di qualche ottava. Lei rimane in silenzio e mi guarda, tutto ad un tratto non trovo più le parole da dire, mentre guardo le sue lacrime che copiose rigano il suo viso, mentre leggo il suo sguardo pieno di malinconia lacerandomi il cuore, vorrei dire tante cose che non appena provo ad estraniare dalla mia mente scivolano al vento silenziose. Rimango in silenzio, come un codardo, come qualcuno che non riesce ad affrontare nulla, se non le cose futili.
«Non abbiamo nulla da dire ormai Edward.» Sussurra piangendo, spezzandomi il cuore, tagliuzzandolo in modo che non possa mai più tornare come una volta. Afferro la scatolina dalla tasca con mano tremante e gliela porgo. Lei non si avvicina, non la guarda, ignora me e tutto il resto.
«Il giorno che la comprai volevo dartela per chiederti di venire a vivere con me. Questo non è stato possibile, mi permettimi di darti quest’ultimo mio dono, ti prego. Anche se poi mi dimenticherai, anche se è del tutto inutile. Ho bisogno di saperlo con te, in modo che non appena saremo lontani, non appena tu andrai via da me definitivamente, hai qualcosa con te per pensarmi, per ricordarti di quell’amore impossibile, ma indissolubile, forte e vero. Sono un fallito Bella, credevo che con te sarei cambiato, ma le decisioni mi hanno portato a questo e non posso cambiarlo. Accettalo, come segno del mio amore per te che morirà con me.» Lei si avvicina tremante e lo afferra, facendomi sospirare rumorosamente. Lo apre e sorride impercettibilmente. Lo tira fuori, ammirando il bracciale d’oro bianco contornato da piccolissimi diamanti, un ciondolo grande a forma di stella con una frase incisa: A cosa servono le stelle? Per rendere magici i nostri momenti da umani innamorati.
Una lacrima scivola dal mio viso, a sincrono con la sua, e mai ci siamo appartenuti come in questo momento, appoggia delicatamente ma allo stesso tempo frettolosamente la scatolina con il bracciale all’interno sulla scrivania e si getta sulle mie braccia. Riprendo a respirare per davvero non appena le mie narici assaporano il suo odore. Le sua labbra in automatico si incollano con le mie interpretando un bacio pieno di nostalgia e amore. Le nostre lingue si intrecciano dando vita ad una danza piena di passione e tristezza allo stesso tempo, rivelandoci quanto nostri siamo, quanto ci apparteniamo, facendoci rendere conto che è questa la realtà.
«Perdonami, ti prego.» Sussurro.
«Ti amo.» Promette.
L’anima dell’una appartiene all’altro, non dandoci scelta, perché è questa la nostra destinazione, io tra le sue braccia  e non importa come e quando, è così. Le sue mani si sciolgono da quei ceppi invisibili e si affrettano a toccare i miei capelli, facendomi gemere sulla sua bocca, desiderandola come mai avevo fatto prima d’ora, ma non voglio affrettare le cose, non voglio fare l’ingordo per poi avere le braccia vuote dalla sua assenza, accarezzo il momento, sento quest’atmosfera colorata del nostro amore, la tocco, la ascolto, mi sento completo, un uomo appagato, ma il mio cuore smette di battere non appena realizzo che sono solo momenti, che questo non potrà esserci sempre.
«Dimmi che durerà per sempre.» Mormora sulle mia labbra affannata. Io rimango in silenzio godendo le sue labbra sulle mie, non sapendole dare una risposta concreta, degna di ciò che merita.
«Dimmelo Edward.» Mormora facendomi sentire sulle sue labbra il sapore salato delle sue lacrime.
«Non posso.»
«Ti prego.»
«Tanya mi darà il divorzio, ma solo se sarò io ad uccidere mio padre.»

 

 

 

«Ti prego. Farò qualsiasi altra cosa. Ma non farmi questo.» Sussurro seriamente guardando per la prima volta negli occhi mia moglie, freddi e ostinati contro di me.
«Oh oh, Edward Cullen! Non avrei mai immaginato vederti così distrutto, così volubile tra le mie mani.» Dice scoppiando a ridere malignamente. Si avvicina a me  con fare provocatorio, toccandomi la mente con la sua malignità e cattiveria, facendomi non solo temere un giudizio, ma qualsiasi altra cosa lei possa dire o fare. Proprio come il padre.
«Devi soffrire Edward, mi hai rovinata.» Dice con lo sguardo cupo. «Vuoi il divorzio? Mi sta bene, ma devi fare ciò che io voglio.»
«Siete stati voi a rovinarmi! Perché devi complicare tutto? Cristo! Dammi il divorzio, lo vuoi anche tu, è la cosa migliore per entrambi.» Sussurro, facendole abbassare per un attimo l’ascia di guerra, lo vedo dai suoi occhi, dalla smorfia che il suo viso ha appena assunto. Mi avvicino a lei, che mentre parlavo indietreggiava e sfioro la mia bocca con l’indice.
«Ragiona Tanya. Fallo per tuo fratello.»
«Cosa sai di mio fratello Edward?» Urla inorridita.
«Lo conosco meglio di quanto tu possa credere.»
«Tu menti! Mio fratello è partito anni fa.» Sussurro affievolendo il tono della voce.
«Posso fartelo incontrare se non mi credi.» Sussurro non pienamente sicuro delle mie parole.
«Portami da lui.» Dice. Acconsento, sicuro che lei non potrebbe mai fare del male al fratello, Jasper stesso lo ha detto, si amavano come me e Alice, come un semplice fratello e una semplice sorella. Per la prima volta, mi sento in sintonia con i suoi pensieri, non sa cosa le aspetta, non vuole accettare che gli manca, che forse potrebbe mettere la parola fine a tutto questo casino senza un senso logico. Metto in moto, passando prima da casa di Bella, rendendola partecipe, infischiandomene se all’interno dell’auto c’è mia moglie, non pensando di star dando la possibilità a Tanya di confrontarsi con Bella, la donna che è riuscita a salvarmi. Convincere Bella, credo che sia stata l’impresa più ardua che io abbia mai affrontato, ma ce l’ho fatta, contro ogni presupposto ci sono riuscito. Adesso stiamo affrontando tutti e tre, in silenzio, il traffico di Londra in assoluta tranquillità, come se stare tutti e tre sullo stesso abitacolo fosse una cosa alquanto naturale. Guardo Bella, sul sedile del passeggero, sotto pressione di Tanya che le ha ceduto il posto. È nervosa, ma abbastanza ragionevole, mi sorride e sospiro rincuorato. Arriviamo a casa di mia sorella ma non appena il mio dito tocca per la terza volta il campanello l’urlo disumano di mia sorella mi fa raggelare il sangue nelle vene. Poi silenzio, terrificante. Bella spaventata più di me, mi passa una forcina per capelli, cerco di forzare la serratura, tentativo vano. Jasper arriva sorpreso, non notando la sorella seduta sul sottoscala.
«Ciao.» Sussurra confuso.
«Apri la porta muoviti!» Esclamo piano, sperando che mia sorella fosse solo chiusa semplicemente in casa. Lui sgrana gli occhi, non appena la figura di Tanya si fa visibile ai suoi occhi. Lei scoppia a piangere e lui la guarda con disprezzo, per poi rivolgermi uno sguardo truce.
«Apri la porta Jasper!» Dice Bella iniziano a muovere nervosamente le mani. Jasper afferra la chiave e la porta si apre con molta facilità.
Un altro urlo di Alice mi fa arrestare di colpo, ma non posso starmene qui inerme, c’è qualcosa che non va.

«Eccovi qua!» Esclama con un sorriso falso Denali, mi avvicino alla sala e quello che vedo mi fa salire un conato di vomito che non riesco a trattenere.

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Capitolo 12
*** Finally Us. ***


 

Embrace Me With Your Mind.

 

 

Finally Us.

 

 

Trattengo l’ennesimo conato di vomito, che preferirebbe uscire dal mio corpo una volta per tutte, eppure non lo fa, resta lì, come il senso di colpa, come la rabbia, come una delusione che rimane nel cuore per sempre. Il viso pallido e pieno di sangue di mio padre fa bella mostra di sé, è sdraiato per terra, dolorante e respira a fatica, le sue mani sono legate ad una corda abbastanza doppia da tagliare la pelle lì dove è situata. Mia sorella, quella che sembrava stesse per morire, è invece seduta in un angolino, con le mani negli occhi, sperando di non vedere il nulla, sperando forse di diventare cieca pur di non sopportare quella visione. Mia madre. Mia madre nuda tra le braccia di quel vile che qualche tempo fa credevo fosse l’uomo che mi aveva cambiato la vita, migliorandola. Il silenzio di mia madre è quello più agghiacciante, sta aspettando la sua ora, adesso, mentre lui tenta di slacciarsi la cintura.
«Lasciala andare!» Urlo finalmente, dopo qualche minuto che cercavo di dare vita alla mia voce che sembrava scomparsa nel nulla. Mi scaravento su di lui, non vedendo nemmeno i miei piedi muoversi, cercando in qualche modo di riuscire a farla finita per lui, adesso. Non appena lo spingo un urlo disumano lascia la gola di mia mamma. Ha una corda attaccata al collo, la cui cima è tra le mani di Denali, non appena tocchi lui, la corda si stringe nel collo di mia madre. Inizio a prenderlo a pugni, senza averlo deciso, senza rendermene conto, lui indietreggia e mia madre urla.
«Smettila Edward!» Urla Bella incazzata come mai prima d’ora. Si avvicina a noi con lo sguardo carico d’odio. Mi oltrepassa e avvicina il suo viso a quello del padre di Tanya.
«Sei un vile e lurido schifoso. Sei nato per rovinare la vita degli altri. Guardati.» Sussurra arrabbiata, indicandolo per poi guardare lo specchio che ha davanti. La sua faccia è schifata. «Fai schifo. Sei un bastardo. Che soddisfazione ci provi a fare cose del genere? Che senso ha vivere in questo modo malato?» Mormora con il cuore in mano, cercando di farlo ragionare, ma è tempo perso, è inutile. Lo sguardo di lui si perde per qualche attimo, per poi divenire malizioso e vile, come lui, come tutto ciò che lo riguarda. Con un ceffone colpisce il viso di Bella che cade per terra malamente. Gli sputo in faccia e inizio a prenderlo a pugni, non vedendo mia madre, né mio padre, non sento nemmeno gli altri che mi implorano di fermarmi. Continuo, colpendolo, fregandomene del suo sangue che schizza forsennatamente sulle mie dita piegate  a pugno. Colpisco, liberandomi dell’odio verso me stesso, sentendomi completo, sentendomi potente, non una  nullità come lui mi ha sempre fatto credere di essere. Sfogo la mia rabbia di tutti questi anni contro di lui, la mia disperazione causata gran parte per colpa sua, il mio animo chiuso in gabbia ha sciolto le catene ed è uscito, pronto per lui, per ucciderlo, annientarlo, farlo sentire debole e inutile, così come lui ha fatto con altri. Le urla di mia madre mi fanno arrestare per qualche attimo e i suoi occhi implorano pietà. Guardo Denali, con gli occhi chiusi, il respiro accelerato e qualche gemito di dolore che sfugge dalla sua bocca chiusa prepotentemente, per paura che inconsapevolmente potesse chiedere pietà, e lui non la chiede, né la concede. Corro in cucina e afferro un coltello medio, taglio la corda dal collo di mia madre e le sussurro di andarsi a vestire. Mi avvicino a mio padre, afferro il suo polso e con due dita lo tasto. Sospiro. È vivo. Annuisco alla mia famiglia che mi guarda, in bilico. Tanya è seduta tranquilla, come se nulla fosse successo. Jasper mi guarda serio e annuisce, mia sorella fa lo stesso. Hanno capito ciò che voglio fare. Non importa se con questo sacrificherò ancora la mia vita, non mi interessa se soffrirò come un cane, sarà un piccola rivincita per me stesso, per i miei genitori, per Bella. Apro la porta lanciando uno sguardo d’intesa a Jasper e scendo in macchina.
Apro la porta e tutto è come poco prima. Afferro la pistola dalla tasca posteriore e senza rendermene conto, con un secco, freddo e  immediato colpo il proiettile si infila sulla testa del grande e stimato Denali, mettendo fine alla sua vita, alla nostra sofferenza. Tanya balza dalla sedia urlando, in un attimo gli occhi di Bella uccidono i miei, e per un millesimo di secondo mi pento di ciò che ho fatto, sentendomi un bambino con il suo giocattolo frantumato tra le mani. È come se tutta la sicurezza che fino a qualche attimo prima si era impossessata di me si fosse dissolta nel nulla.
«Che cazzo hai fatto?!» Urla Bella lanciandosi sul mio corpo per poi colpirlo di pugni continuamente. Inizia a piangere mentre io guardo tutti con gli occhi sgranati. Jasper mi guarda, mia sorella ha la testa sotterrata nel suo petto. Mia madre non è ancora uscita dal bagno, Tanya è distesa accanto suo padre e piange. Mi guardo le mani, una con l’arma ancora stretta tra le dita, le stesse mani che hanno saputo uccidere.
«L’ho fatto per noi…» Sussurro con una lacrima che rischia di scendere sul mio viso.
«No Edward! MARCIRAI IN GALERA! »
«SPIEGAMI CHE CAZZO DI ALTERNATIVE AVEVO?! » Urlo con tutto il fiato che ho in corpo, mentre le lacrime scoppiano sul mio viso. Mi prendo la testa tra le mani facendo scivolare la pistola per terra. Sento i tacchi di Tanya avvicinarsi a me e rimango immobile, adesso sì che ho perso tutto, per davvero questa volta. Appoggia una mano nella mia spalla e la stringe forte, il suo respiro si avvicina al mio orecchio per poi sussurrare: «Questa la pagherai cara. » Si avvicina alla porta ma Jasper la blocca.
«Non così in fretta sorellina.» Alzo la testa e guardo entrambi. Lei scoppia a ridere e lo colpisce con il suo sguardo freddo e duro, identico a quello del padre.
«Prendi questi.» Mormora dandole una busta gialla imbottita. «Sparisci, o finirà male anche per te.» Lo sguardo di Jasper fa paura, per qualche millesimo di secondo ha fatto uscire il Denali che è in lui. Tanya indietreggia e mi guarda con sguardo assassino. Resta in silenzio per qualche secondo e solo dopo averci guardati con sguardo pieno d’odio afferra la busta titubante, Jasper si sposta e lei scappa via. Mia madre sbuca dal nulla, avvicinandosi al corpo di Denali per poi allontanarsi immediatamente, ma solo dopo avergli sferrato un calcio sulle palle. Guardo Bella, che finalmente si è degnata di donarmi il suo sguardo. Mi guarda con disperazione, rassegnazione. Chiamo l’ambulanza per mio padre, andando in contro al mio destino ancora una volta.

 

Una settimana dopo.

«Potevamo essere felici Edward. Hai sbagliato tutto.» Mormora, dopo essermi seduto nella sala d’aspetto della stazione di polizia, dopo aver risposto all’ennesimo interrogatorio. È ormai una settimana che sto dentro un cella, ma lo sapevo. Non è ancora deciso nulla, se ci sono abbastanza prove vado fuori. E la mia è stata legittima difesa. Ogni essere umano, dopo aver visto quelle cose lo avrebbe ucciso. Sospiro guardando Bella negli occhi.
«L’ho fatto per noi Bella. Questa era l’unica alternativa.»
«Sei un assassino Edward.»
«NO! Non lo sono! Non ho mai pensato di uccidere qualcuno, sono stato costretto Bella! Cazzo! Non capisci niente. TU COSA AVRESTI FATTO? » Mi zittisco all’istante non appena un poliziotto sbuca dalla porta per intimarmi di non fare casino. Lei si alza e va via. Facendomi sentire un verme. Scuoto la testa rendendomi conto che forse scegliere questa strada, l’unica, non è stato giusto. In fondo è stata lei stessa ad implorarmi di fare qualcosa. L’ho fatto solo per lei. Perché se non mi fossi innamorato di lei il mio mondo non mi sarebbe stato poi così tanto stretto. Lei ha migliorato la mia vita, ma molte volte mi fa pensare che per lei non sono abbastanza e non lo sono mai stato. Tanya, la nuova Eveline Sokoli, si trova negli stati uniti, è andata via il giorno stesso. Denali è al cimitero, nel posto dove merita di essere, forse all’inferno imparerà il senso della vita che ha ormai perso. Jasper è andato subito a sistemare le cose con i documenti e aspettano che questa merda finisca per sposarsi. Mio padre è stato operato al torace e alla gamba destra, aveva parecchie ossa spezzate, ma si sta riprendendo, è forte. Mia madre non  si è ancora ripresa, ma fortunatamente quel giorno siamo arrivati in tempo, prima che lui potesse profanarla con la sua malvagità. L’unico che non si è ancora capito in quale sezione di vita potesse essere collocato sono io. Scuoto la testa e aspetto che il poliziotto venga con le manette per riportarmi nella mia cella. La galera è dura, anche per un solo giorno. Non si fa nulla, se non mangiare schifezze. C’è una lurida puzza dentro le celle e i letti sanno di muffa. Ogni notte, prima di chiudere gli occhi, sfiniti dalle lacrime, vedo il corpo di Denali steso sul suo stesso sangue. È una visione che non mi abbandonerà mai.
«Sei libero Cullen. Almeno fino alla data del processo.» Dice il poliziotto sorridendomi, facendomi credere che lì dentro oggi mi hanno creduto più di ieri. Afferro i miei vestiti tra le mani dell’appuntato e corro a cambiarmi.

 

«Era l’unica cosa, Edward.» Sussurra mio padre. Io annuisco e una lacrima bagna il mio pugno appoggiato sul letto di mio padre.
«Crede che sono un assassino.»
«Ma non lo sei figliolo.» Appoggia una mano sulla mia spalla e mi guarda fin quando non si addormenta. Accarezzo la mano di mio padre, così fragile per un uomo come lui. Penso a quando ero piccolo, ricordo che gli piaceva farmi arrabbiare, mi nascondeva tutti i giocattoli e li tirava fuori solo quando scoppiavo a piangere seriamente. Sorrido, pensando che forse non è andato tutto perso. Che forse la mia vita può iniziare da adesso. Mi alzo, facendo attenzione a non svegliarlo e mi dirigo nel mio studio. Apro la porta, ed è strano trovarsi qui. Afferro una scatola, buttando sullo scaffale l’acqua fisiologica che aveva dentro e inizio a metterci i miei effetti personali.
«Edward.» Mormora Ben con gli occhi sgranati. Lo guardo e gli sorrido, mentre continuo a fare ciò che stavo facendo.
«Ho letto, sui giornali.» Mormora, forse, non sapendo che dire. Io annuisco e sospiro.
«Hai fatto bene Edward. Solo, cerca di non entrare ancora lì dentro. » Dice mentre si avvicina e mi da una pacca sulla spalla, io scoppio a piangere per l’ennesima volta e lo abbraccio forte. Rendendomi conto che era da tempo che volevo farlo, abbracciare qualcuno che mi ha sempre compreso, oltre la mia famiglia, oltre Bella.
«Cercherò di non farlo credimi.» Sussurro con le lacrime agli occhi, sentendomi un piccolo agnellino smarrito nel bosco.

 

Busso per l’ennesima volta ma niente, non apre quella dannata porta.
«Bella apri. Butto giù la porta! » urlo nel bel mezzo di una crisi di rabbia. Sono stanco di questa cosa, dobbiamo chiarirla una volta e per tutte. La porta si apre, rivelandola in lacrime per l’ennesima volta.
«Basta Edward, sono stanca. Ogni volta è sempre così. Io che mi incazzo, te vieni qui, fai casino, bussi mille volte finché non ti apro, parliamo, guardo i tuoi occhi e mi perdo in te, mi perdo nell’amore che provo nei tuoi confronti. Basta Edward, sono stanca di tutto questo, è sempre la stessa storia. Non eri costretto ad uccidere un uomo per stare con me.»
«Dio! Bella cosa dovevo fare? Uccidere mio padre? Dimmelo! Sarebbe stato peggiore! Falla finita Bella. Questa volta non ho nulla da farmi perdonare con te. Questa volta ho speso l’ultimo penny che avevo a mia disposizione per essere felice con te. Basta, sono stanco.»  Mormoro avvicinandomi a lei. Mi abbraccia e scoppia a piangere.
«Scusa…è solo che non voglio saperti in galera per colpa mia. Non voglio che la gente ti guardi come un assassino per colpa mia, per non aver saputo stare con te anche se stavi con un’altra.»
«Basta Bella. Finalmente siamo noi. Non pensarci.» Mormoro alzando la testa, per non permettere alle lacrime di scivolare sulle mie guance. Le sue mani come da copione si insinuano tra i miei capelli. La spingo dolcemente, mentre le nostre labbra si muovono a sincrono e la porto in camera da letto, ci stendiamo e ci guardiamo negli occhi.
«Sei la mia vita Bella. Non andare via da me. » Sussurro fondendo il mio sguardo con il suo.
«No Edward. Dopo tutto quello che è successo non posso andare via da te. Perdonami ti prego.» Mormora per poi tuffarsi ancora tra le mie labbra. Strappo la sua camicia da notte di Satin con passione, contando i secondi che mi separano dal fondermi con lei, con il suo amore, con il suo corpo, con il mio paradiso. Sfioro la sua intimità dalle mutandine in pizzo e mi sento perso. Roteo gli occhi per l’eccitazione e lei mi sorride maliziosa. Afferra la mia maglia e la butta via dal mio corpo con il mio aiuto, stessa cosa con i Jeans. Inginocchiati sul letto ci abbracciamo stretti, beandoci del calore dell’altro, dell’esistenza del nostro amore stesso. Un amore che per molti versi sembrava impossibile, ma un amore indissolubile e forte come il nostro non può essere impossibile, a tutto c’è una soluzione, ed io l’ho trovata. Uccidere una persona non è mai la cosa giusta da fare, ma sono stato costretto, la mia anima che, a quel tempo aveva firmato un contratto con Denali, sentiva il bisogno di compiere quel gesto. Mi sento un uomo libero, anche se forse non è la definizione esatta, mi sento finalmente quell’Edward Cullen ragazzo, buono e gentile con tutti, è come se uccidendo lui ho ucciso la parte peggiore di me. Ho ricavato la mia vita nella sua morte. Afferro gli slip di Bella e li faccio scivolare tra le sua gambe per poi lasciarli poltrire a terra, seguiti poco dopo dai miei boxer. Nudi e ansanti, desiderosi di noi come mai prima d’ora, consapevoli di essere l’uno dell’altra, senza interruzioni o presenze da parte di nessuno. Finalmente noi. Finalmente possiamo appartenerci, ore e per sempre. Accarezzo il suo corpo di profilo, prolungando questo momento che vorrei con tutto me stesso fosse infinito. La sua pelle ancora una volta morbida e diafana si lascia teneramente accarezzare dalle mie mani, quelle mani che non ti intendono lasciarla ma più , nemmeno per un solo attimo. Insinuo due dita dentro la sua intimità, gesto che la fa sobbalzare e immediatamente gemere, afferra le mie spalle, mi intima di fermarmi, ma come se fossi accecato dalla sua bellezza, dall’amore e dalla passione, che dal primo giorno mi hanno attratto da lei, lei è il polo ed io sono la calamita. Siamo noi, solo e irrimediabilmente noi.
Le sue dita esili si attaccano con forza ai miei capelli, facendomi eccitare in maniera inverosimile. Afferro i suoi fianchi e inginocchiandomi sul letto con una mossa repentina, la tiro verso di me, entrando dentro di lei con forza e velocità disarmante, i suoi capelli ondeggiano sul suo seno, facendomelo notare più del dovuto, con una mano la tengo stretta a me, mentre le sue mani accarezzano il mio viso e con l’altra sposto i capelli dal suo petto per poi baciarne un seno, turgido, perfetto per la mia bocca. Inizio a leccare, mordere accarezzare con la punta del naso mentre spingo sempre più a fondo, volendo entrare dentro di lei ancor di più, cercando ancora una volta di rendere tutto questo nostro e indimenticabile, voglio che ogni volta che mi vede pensi a tutto questo, a quello che realmente siamo, la nostra storia d’amore è iniziata in questo modo e voglio che continui così, a renderci indimenticabili, dipendenti l’uno dall’altra, perché se anche molte volte la dipendenza è un termine mostruoso per noi essere dipendenti è necessario, se lei respira io vivo, se io la amo lei respira, un circolo necessario, che potrebbe distruggerci in un attimo, rovinando tutto ciò per cui siamo cui in pochi attimi, ma questa è l’amore, e forse non c’è modo migliore di viverlo se non così. Affondo dentro di lei, i suoi respiri mi permettono di sorriderle per davvero. La sua bocca sussurra “Ti amo”, ne bacio ogni centimetro per poi sentire le sue pareti stringersi attorno al mio membro, continuo a spingere in lei, che sfinita si appoggia al mio petto, vengo dentro di lei, schizzando il mio seme all’interno del suo corpo, tingendolo ancora una volta del mio colore all’interno di lei. Mi stringe forte a sé, baciandomi il collo con dei piccoli e teneri baci. Stringo la sua pelle attorno alle mie dita, come se avessi paura che lei potesse scomparire da un momento all’altro. Ci sdraiamo sul letto, recuperando il respiro mozzato dall’amplesso appoggia la sua testa sul mio petto e sento la dolce sensazione dei suoi capelli che solleticano la peluria sul mio petto. Dopo qualche secondo, apro gli occhi sentendo la sua risata serena e leggera.
«Guarda.» Indica lo specchio di fronte a noi, dove siamo riflessi entrambi, mi metto seduto per guardarlo meglio e sorrido. Ci siamo noi, sereni, abbracciati e appagati.
«Ti amo Edward.» Mormora tuffandosi sulle mie labbra.
«Ti amo anch’io.» Le porgo la mano e confusa si alza dal letto insieme a me. Mi posiziono dietro di lei, adesso di fronte allo specchio e la guardo da lì.
«Guardaci Bella.» Mormoro baciandole l’orecchio.
«Siamo noi, Edward. Finalmente noi.»
 

 

 

 

Eccoci qui. Ultimo capitolo di questa storia.
Il prossimo sarà l’epilogo.
Non so quando aggiornerò, il 17 partirò per il mare, spero di riuscirci. Nel prossimo scriverò tutto ciò che c’è di necessario. Al momento godetevi il ferragosto e divertitevi.
Grazie mille, a tutte quante.
Un bacione

Roby <3

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Capitolo 13
*** Epilogo // Us Forever. ***


Embrace me With Your Mind.

 

 

 

Epilogo //Us Forever.

 

 

 

 

 

 

 

 

Due anni dopo.

 

 

Libero, come una rondine in primavera, alzo le braccia e con uno slancio mi tuffo nel mare. Liberando il mio corpo, facendo sfociare tutta l’adrenalina che ho all'interno. Annaspo l’aria, sorridendo al sole, al mare, alla mia vita che da qualche anno è più viva, è serena, è una vita con tutti i diritti di essere chiamata tale. Accarezzo il pelo dell’acqua ed è calda, sotto il sole cocente di Miami. Bella è sdraiata sotto al sole, non ha fatto altro da quando siamo atterrati a Miami, dopo due anni, finalmente possiamo permetterci di farci una piccola vacanza. I mesi che seguirono dopo la morte di Denali furono disastrosi, era come se eravamo entrati tutti in una strada senza uscita, era come se l’anima oscura di Denali si stesse ribellando a noi, ancora una volta, non lasciandoci scampo. Mi hanno arrestato, per sei lunghissimi mesi, c’è stato il processo, e sotto testimonianza di Alice, Jasper e dei miei genitori, non sono stato accusato di omicidio preterintenzionale, quello che invece è accaduto. Jasper ha il porto d’armi in casa, ed è stato lui a salvarmi il posteriore per l’ennesima volta.
«Signore. L’imputato si è trovato con le mani legate. La furia di mio padre aveva scaraventato una cassettiera per terra facendo riversare sul pavimento tutti i cassetti e, ovviamente, quello che contenevano. Edward ha afferrato la pistola e prima che tutti quanti ce ne rendevamo conto ha sparato. Uccidendolo. Difendendosi. »
Ricordo ancora perfettamente le parole di Jasper. Il giudice, sotto lo sguardo implorante di tutti quanti mi ha riconosciuto innocente. Il caso è ormai chiuso. Trovare lavoro, dopo tutto quello che era successo era divenuto impossibile, tant’è che stavo per impazzire, passavo le giornate con le copie del mio curriculum in mano, passeggiando per ore senza fermarmi, sotto la pioggia, sotto la neve. Tornavo a casa furioso, mi sentivo inutile e ancora una volta odiavo me stesso. Passarono altri sei mesi così, vuoti, senza speranza, io stesso per la seconda volta mi ero bruciato la terra che mi stava attorno, rimanendo fermo in quel tempo che ormai si era congelato. Non passavano i giorni senza una lacrima che rigava il mio viso, facendo scoppiare Bella in un pianto disperato. E invece adesso, eccoci qui. In vacanza, felici come non mai, appagati, entrambi innamorati di noi, del nostro lavoro attuale. Mio padre, otto mesi fa ha venduto la sua azienda, ricavandone un istituto ospedaliero di cui io ne sono il direttore e pediatra. Bella è una neuropsichiatra infantile. Mia madre fa parte del volontariato, racconta le favole ai bambini ricoverati, aiuta i vecchietti a mangiare, gioca a carte con la gente che si trova nei corridoi ad annoiarsi. Mio padre fa parte degli acquisti come barelle, medicine, lenzuola, attrezzature e quant’altro. Alice e Jasper fanno parte dell’infermeria e Ben è sempre al mio fianco. Siamo rinati, grazie  a mio padre, che, dopo avermi chiesto scusa per l’ennesima volta, mi ha consegnato i documenti dell’acquisto a mio nome.Edward Cullen Hospital. I primi giorni non riuscivo a credere ai miei occhi, dopo qualche mese mi sono abituato. A volte, nella penombra di casa mia alla notte, quando nessuno mi può vedere né sentire, penso che forse, se mio padre avesse capito prima a cosa aspiravo, non ci fosse stato bisogno di nessun spargimento di sangue, nessuna sofferenza per nessuno. Tante volte lo vedo, il viso di Denali pallido e raccapricciante, tante volte ho pensato che il mio gesto, per quanto spiegabile possa essere, è sempre stato il gesto di un assassino, di una persona fredda e crudele, proprio come lo era lui. Scuoto la testa, cercando di espellere certi pensieri dalla mia mente e torno sulla sabbia, guardando la mia fidanzata che parla al telefono e sorride. Senza nessuna parola mi porge il telefono e mi soffia un bacio.
«Pronto?»
«Edward! Senti non ho molto tempo. Voglio solo avvisarti che qui sono arrivati i documenti per il divorzio, Tanya si è arresa.»
Il cellulare mi scivola dalle mani, cadendo silenziosamente sulla sabbia, Bella mi guarda con gli occhi sgranati e afferra il telefono.
«Che succede Edward?» Mormora spaventata, sempre con quella paura negli occhi, la stessa che ha avuto nel momento in cui ha scoperto, in un tempo non molto lontano, che ero sposato. Sto per buttarmi addosso a lei, per chiederle di sposarmi e per farci l’amore per le prossime quarantotto ore, ma l’euforia svanisce non appena realizzo di noi. Di lei. Del poco che ha avuto da me in tutto questo tempo, da tutto quello che lei avrebbe meritato, una stella e forse anche un pezzetto di luna. Penso alle occasioni che ho avuto per dirle quanto l’amo, e tutte quelle volte che gliel’ho detto ma non c'è mai stato nulla di magico, solo il nostro amore, quell’amore potente, quell’amore che non si ferma che ha sempre voglia di crescere. Penso che chiederle di sposarmi in questo momento non rende la dichiarazione magica, degna di lei. Le sorrido e scuoto la testa, lei mia guarda inarcando un sopracciglio per poi abbassare gli occhiali sugli occhi e distendersi ancora. Afferra il libro che stava leggendo ed io mi incanto a guardarla. Con il mio sguardo accarezzo le sue gambe così snelle e sode, abbronzate in modo leggero ma alquanto eccitante. Il suo ventre piatto e morbido, che mi fa venire voglia di mordere ogni lembo di pelle che possiede. I suoi seni, intrappolati nel bikini nero, che guizzerebbero fuori nel momento in cui lei si accorgesse che i miei occhi li stanno consumando, tanta è l’intensità del mio sguardo. Sfioro il libro con un dito, scostandolo lievemente per riuscire a vedere il suo viso, le sue labbra rosse e succose, il suo nasino adorabile che la rende ancora più speciale ai miei occhi e poi…poi ci sono i suoi occhi, quelli che oggi mi hanno portato qui, con lei, catturandomi dentro la sua anima con un solo sguardo. Facendo di me un uomo e allo stesso tempo un bambino a cui bisogna insegnargli l’educazione. Facendo di me il suo dominatore e allo stesso tempo il suo sottomesso. Facendomi felice. Quegli occhi che mi hanno dato speranza, quegli occhi che mi hanno saputo odiare e amare allo stesso tempo. Quegli occhi che lanciano degli sguardi profondi, quelli per cui la gente pagherebbe per riceverli. Quegli occhi che adesso mi scrutano divertiti, facendomi incantare e innamorare ancora di più di lei.
«Che c’è?» Chiede fintamente infastidita. Mi tuffo sulle sue labbra affamato, voglioso. Le accarezzo con la lingua il contorno del labbro inferiore e il suo odore mi colpisce facendomi perdere la ragione. Le mie mani, come se fosse scattato il comando, vagano sul suo corpo, afferrando i suoi fianchi, i glutei, ogni parte del suo corpo, con passione e venerazione. Il tonfo del libro che cade per terra mi fa sorridere sulle sue labbra e so bene che lei ama quando lo faccio. Con le punta delle dita tocco ogni parte del suo corpo, arrivando lì, dove desidero arrivare ad ogni ora del giorno. Scavalco con il medio il costume di Bella e con un gesto repentino la penetro, sento i miei capelli tra le sue dita, alcuni abbandonano la mia cute tanta è la forza che ci mette. Ansima sulle mie labbra e il mio membro prega di uscire dal costume ed entrare prepotentemente dentro di lei. Le sue mani mi bloccano forzando il mio petto. La guardo negli occhi, accorgendomi della passione che trasmette anche da lì, vedendole quella luce che dal primo momento ha saputo farmi impazzire.
«Torniamo in albergo, Edward.» Sussurra con voce roca.

 

Accarezzo i suoi seni nudi, turgidi e guizzanti davanti al mio viso. Con i pollici schiaccio i capezzoli, gesto che, sono fortemente sicuro è quello che la fa impazzire di più. La sua bocca ed i suoi occhi sono spalancati, è in uno stato di trance, è alla mia mercé si fida di me più di chiunque altro. Nonostante io sia solo adesso un uomo affidabile, nonostante la maggior parte delle lacrime che ha versato sono state sprecate per causa mia, nonostante lei mi amasse da sempre quando io respingevo i miei stessi sentimenti e quindi i suoi. Forse, se la sua tenacia e il suo amore per me non fossero stati così potenti, non saremmo qui, felici, completi, appagati. Allargo le sue gambe rivelando il suo sesso lucido e gocciolante, il suo odore si insinua prepotentemente nelle mie narici e roteo gli occhi per la troppa eccitazione, sicuro che se non entro dentro di lei immediatamente, rischio di macchiare queste lenzuola, che ancora profumano di noi e della notte scorsa, rovinando così in modo davvero deludente quello che io chiamo: l’amore, le fondamenta del nostro sesso. Afferro le sue cosce e le porto sopra le mie gambe piegate, bacio la sua bocca e lentamente entro dentro di lei.
Rimaniamo così, in un attimo che sembra lunghissimo, in silenzio, facendo parlare tra di loro solo i nostri occhi, rivelandoci ancora una volta quanto importante e onnipotente sia il nostro amore, l’attrazione che ci unisce. La passione aleggia sulle nostre teste, schiacciandoci e obbligandoci a muoverci a sincrono, per l’ennesima e non ultima volta. Appoggio la testa sulla sua spalla, mentre lei detta il ritmo delle spinte, sento i nostri sessi che si incontrano, che percorrono quella poca strada che li divide per poi abbracciarsi sfociando in un sonoro schiocco. Con la fronte alza la mia testa e morde il mio mento, le mie mani tengono i suoi fianchi morbidi e caldi. Le sue pareti intime mi accolgono ad ogni spinta, ed è naturale per noi. I seni di Bella ondeggiando sul mio viso e non posso fare a meno di prenderne uno in bocca e succhiarlo, sperando quasi di ingoiarlo e farlo mio in ogni senso. Un gemito di dolore lascia le sue labbra e immediatamente mi scosto, notando il suo seno rosso e vergognosamente turgido.
«Scusa…» Ansimo appropriandomi delle sue labbra, lei scuote la testa e riponde al mio bacio con vigore.
Le sue pareti intime strizzano il mio membro mandandomi fuori di testa. Accarezzo con le orecchie i suoi gemiti, spingo sempre più forte portandoci al limite, vengo dentro di lei, marchiandola per l’ennesima volta, mi libero del mio sperma che improvvisamente era divenuto pesante e appoggio la mia testa sulla sua spalla e lei, come sempre, accarezza i miei capelli aspettando che i nostri respiri si regolarizzino. Strabuzzo gli occhi e mi alzo con una mossa repentina ed esco da lei in modo poco nobile, afferro la rosa blu che avevo gelosamente conservato nel piccolo armadietto vicino al letto, prendo la scatolina rossa che c’è di fianco e sospiro, diventando agitato e nervoso senza rendermene conto per davvero. Mi volto e la guardo, più bella che mai, nuda, con gli occhi curiosi e le gote rosa.
«Bella…okay, forse in questi casi dovrei dire tutto il tuo nome di battesimo, ma io…cioè, lo sai no?» Pronuncio questa frase senza senso toccandomi i capelli nervosamente, lei scoppia a ridere e mi guarda, aspettando che io parli. Mi schirisco la voce e guardo il tetto color avorio della nostra suite.
«Senti Bella. Non so bene cosa dire sinceramente, né mi ero scritto un discorso adatto, avrei voluto rendere speciale questa cosa per te…ma ovviamente è l’ennesimo mio fallimento. È solo che…ecco io…Okay basta.» cerco di darmi un contegno, ma mai mi sono sentito così in difficoltà, forse la paura di deluderla ancora una volta mi spaventa così tanto che mi fa perdere la ragione, forse è perché i suoi occhi, quando l’ho delusa, sono rimasti impressi dentro di me, ma devo cancellare questa sensazione, devo farlo in qualche modo.
«Sposami Bella. Tanya si è arresa, mi ha dato il divorzio. Voglio renderti mia moglie, legalmente, per sempre. Voglio una famiglia con te. Voglio il tuo sorriso sempre davanti ai miei occhi. Voglio te, le tue speranze, voglio te perché sei la mia salvezza. Perché sono sicuro che con te posso affrontare qualsiasi cosa. Perché voglio renderti una principessa…la mia principessa. Voglio la tua stessa fede al dito, voglio esserti fedele sempre, voglio starti vicino in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà. Ti amo amore mio e sei tutta la mia vita, sposami.» Lei si avvicina a me sinuosamente e con una lacrima di commozione che riga il suo viso, i suoi occhi stanno per esplodere di gioia.
«Hai dimenticato…e onorarti finché morte non ci separi. Sì Edward, fai di me tua moglie.» Sussurra allacciando le sue braccia sul mio collo e poi baciarmi fino a consumarmi le labbra. Ci stacchiamo guardandoci negli occhi e apro il piccolo cofanetto contenendo un anello fine e allo stesso tempo molto appariscente, proprio come piace a lei. Lo infilo nel suo dito e poi giro la sua mano portando all’insù il palmo, appoggio delicatamente la rosa blu e le la stringe abbracciandomi forte.
«Ti amo Edward. Amami ancora.» L’accontento, distendendola nel nostro letto, ricordandomi di noi, ieri e oggi, per sempre solo noi.

 

 

 

Dieci anni dopo.

Bella’s Pov.

«Richard! Lascia i capelli di tua sorella adesso!» urlo disperata, cercando di togliere i capelli di Amanda dal pugno terribilmente chiuso di Richard. Lo schiude subito, notando il mio sguardo finto furioso e scoppia a piangere. Lo prendo in spalla velocemente e bacio le sue guance.
«Amore mio, non piangere. Non devi tirare i capelli ad Amy, le fai male tesorino mio.» Accarezzo il suo naso con il mio e lui si calma immediatamente. Guardo i suoi occhi, identici a quelli del padre, gli stessi che riescono a portarmi al limite della dolcezza e della disperazione. Richard ha quattro anni, è biondo e ha gli occhi verdi, appunto, identici a quelli di Edward. Amanda invece ha sette anni, i suoi occhi sono marroni come i miei, i capelli sono color rame come quelli del padre. Ricordo ancora il giorno in cui ho scoperto di aspettarli, ricordo ancora le lacrime di commozione di Edward. Partorirli è stata la cosa più bella insieme al nostro matrimonio, benché li avessi partoriti io, suo padre era lì con me a darmi il coraggio e la forza necessaria per metterli al mondo. Mai un giorno ha mancato di ricordarmi quanto mi ama, mai un giorno non ha dimostrato amore ai suoi figli. Sono questi i momenti in cui ti chiedi cosa vuoi di più dalla vita?
Dopo esserci sposati acquistammo una villetta non molto lontana dal lavoro. C’è un giardino grandissimo, ottimo per le esigenze dei piccoli, che pian piano stanno crescendo. La casa è troppo grande per noi, ma Edward, non ha voluto sentirne di acquistarne un’altra, è come se tra lui e questa dimora ci fosse stato un rapidissimo colpo di fulmine. Mi sembra così strano sentirmi felice, quando per avere tutta questa felicità ho dovuto versare lacrime di sangue, è stato doloroso…è vero, ma ci ha portati qui. Innamorati e felici, con la nostra splendida famiglia, con i nostri piccoli tesori che riempiono i nostri giorni quando non siamo dell’umore adatto per farlo noi stessi. Forse con Edward in principio ho sbagliato, forse non sono stata quello che gli altri si aspettavano da me, ma sono qui adesso, se non avessi fatto quei piccoli errori sono sicura che non sarei a questo punto, non avrei la felicità sotto mano, non avrei nessuno che sappia realmente abbracciarmi con la mente. Il campanello trilla e corro ad aprire. Mia madre e mio padre fanno il loro ingresso con le mani piene di borse contenenti la spesa.
«Mamma, Papà! Nessuno vi da il diritto di fare la spesa!» Esclamo rimproverandoli.
«Tesoro per noi è un piacere.» Sussurra mio padre dirigendosi in cucina seguito da mia madre. Scuoto la testa ripetendomi che no…non cambieranno mai. Sono venuti qui in vacanza per un mese, lo fanno ogni anno da quando mi sono sposata. Vogliono bene ad Edward, anche se all’inizio avevano la puzza sotto al naso, causata dal gesto che Edward fece anni fa. Abbiamo spiegato loro tutto e, ovviamente, si sono ricreduti, accogliendolo in famiglia come un figlio. Alzo il volume dei cartoni ai miei piccoli e comincio a cucinare. Edward aveva un appuntamento importante con un bimbo di tre mesi, ma tra un po’ dovrebbe essere di ritorno. Infatti, non appena la tavola è pronta sento i mandanti della porta, sorrido ai miei figli che corrono verso il padre, assalendolo in un mega abbraccio pieno d’affetto. Edward si avvicina a me, con un girasole tra le mani, come ogni sera, me lo porge ed io lo bacio con trasporto. Ci sediamo a tavola e per l’ennesima volta rimango a guardarli tutti e tre, Amanda che sorride al padre mentre si passa una mano tra i capelli, nel mostrare affetto è nervosa, proprio come il padre, Richard che ha le sopracciglia inarcate mentre cerca di afferrare una patata con la forchetta e poi c’è lui, che non appena lo guardo mi accorgo che mi sta mangiando con gli occhi, come la prima volta che mi ha visto, come ogni giorno.
Questa è la mia vita adesso.
Questa è la mia famiglia.
E siamo noi, fantasticamente noi, per sempre.

 

 

 

The End.

 

 

Eccoci arrivati, finalmente aggiungo, alla fine di questa storia. So bene che non è molto soddisfacente, ma, come molti sanno, ho scritto questa storia come diversivo dopo aver concluso la mia perla (che non è granché) Love Save The Pain, avevo bisogno di espellere dalla mia mente quegli Edward e Bella e, come immaginavo, non ci sono riuscita propriamente, ma sono riuscita a convivere con il pensiero di quei due. So bene che sembra ridicolo, ma è così.
Concludo, ringraziando tutte quante. Grazie infinite, per ogni singola parola, per aver seguito, ricordato e scelto questa storia e anche per chi mi ha aggiunto tra gli autori preferiti.
A Giova71, per non aver preso le speranze, e per aver seguito questa storia dall’inizio alla fine.
A Paride, che inconsapevolmente mi ha sorpresa, per il suo interesse, per le sue parole e anche per aver seguito questa storia dall’inizio alla fine.
A Giulia, che mi segue dalla mia prima storia, nonostante sia un pochino di parte eh! Non manca di dirmi quello che pensa, non manca di spronarmi per scrivere, grazie tesorino mio, sei importante.
A Lu che riempie il mio cuore con ogni sua singola frase, rendendomi fortunata. Ti voglio bene piccolo-grande tesoro.
A Gra che mi ha aiutata quando ero impazzita, quando non sapevo che fare, quando il mio morale era a terra e lei, con le sue parole e il suo affetto mi ha raccolto con sé. Ti voglio bene piccola mia, stay strong, io sono con te sempre <3
Ad Ami, (senza la quale non ci sarebbe stata la piccola Amanda xD) a lei per aver letto i capitoli in anteprima, per essere sempre sincera, per aiutarmi con i titoli in inglese, per dirmi anche solo ti voglio bene. Non so se senza di te ce l’avrei mai fatta, lo sai. Hai scaldato il mio cuore con ogni piccola recensione, gesto o frase. Mi hai sopportato quando rompo letteralmente i coglioni su un nuovo capitolo. Mi hai dato speranza nel portare avanti questa storia che, per un certo senso è senza senso (lol). Ti voglio bene my love, non dimenticarlo, mai: Us Forever <3

Un bacione,
Ancora grazie.
Se volete ancora seguirmi, sto scrivendo questa storia:
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1975444&i=1
A presto, spero!
Roby <3

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