Under custody.

di FloxWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Questa è anche la storia di una madre.
Ed è pur sempre la festa della mamma, sì?
Auguri anche a te, lassù.

Under custody
prologo

 

A volte la vita prende pieghe inaspettate.
Un secondo prima sei in viaggio, diretta all'interrogatorio più importante della tua vita.
Un secondo dopo puf.
Tuo figlio è orfano.

*

 

Ha sette anni, Daniel Beckett; un paio di occhi verde intenso dietro le lenti sottili, i capelli castano chiaro, sempre in disordine, e una fossetta sulla guancia sinistra.
I bambini della scuola elementare di Washington hanno iniziato a fargli quella domanda fin dai primi giorni della prima, senza cattiveria, perché nei bambini di sei anni c'è solo tanta innocenza.

Che lavoro fa il tuo papà?

Il papà di Tom è un impiegato, mentre quello di Kenneth è un giardiniere.
Il papà di Emily fa il pasticcere.

Che lavoro fa il tuo papà?

Ma Daniel non ce l'ha, un papà.
È stata la mamma ad insegnargli a giocare a hockey, ed è lei a portarlo allo stadio a vedere il baseball, quando riesce a staccare presto dal lavoro.
Altrimenti sta da Mrs Jackson, la signora anziana che abita sopra di loro, che gli lascia mangiare il bis di torta al cioccolato e gli regala sempre qualche fumetto di quando suo figlio era piccolo.

Che lavoro fa il tuo papà?

La mamma dice che non lo sa. Gli sorride mesta, gli bacia la testa e gli dice che un giorno, forse capirà.
Ma Daniel non è stupido, lui lo sa che i bambini non li portano le cicogne.
E un papà ce lo deve avere per forza, da qualche parte.
Anche se la mamma non sa chi è, o non glielo vuole dire.

Che lavoro fa il tuo papà?

Daniel non ha mai avuto un papà.
E adesso non ha più nemmeno una mamma.

[Otto anni prima]


L'appartamento nuovo sapeva di vernice e polvere e scelte sbagliate.Kate appoggiò il borsone scuro accanto alla porta d'ingresso, chiudendola silenziosamente dietro di sé; prese a vagare per le stanze deserte, spettro silenzioso in mezzo al silenzio: l'unico rumore era il ticchettare dei suoi tacchi sempre troppo alti.
Eppure aveva la sensazione che le lacrime che cadevano sulla moquette sgualcita facessero un fracasso infernale, piccole gocce salate pesanti come macigni.
Entrò nella sua nuova camera da letto, si asciugò frettolosamente gli occhi con la manica e si accostò in silenzio alla finestra, scostando le tendine polverose con delicatezza.
Di sotto, il camion del trasloco era fermo davanti al portone.
Kate sospirò, si morse il labbro e tornò verso l'entrata: scaricare tutto senza un aiuto sarebbe stata dura, ma non voleva pentirsi di quella scelta, abbandonare il proprio orgoglio.
Non ancora.

 

 

 


{FloxWeasley's corner
Ok, lo ammetto, questo finale di stagione sta condizionando un po' anche me.
Ma non ne le senso OMG cosa succederà aiutooooo!!
Più nel senso Ehi, credo in Marlowe! Sono sicura che sarà un finale che mi lascerà con i dubbi tutta l'estate!
Ecco.
Da qui questo What if? - perché, zucchette mie, nel caso non lo aveste capito è un gigantesco What if?
E se Kate andasse a Washington? Se... *cose che verranno svelate nei prossimi capitoli e che potreste anche intuire da questo, se siete attente*
So che non succederanno davvero nel telefilm, ma se mi ci metto so essere più diabolica del barbuto, quindi...
In ogni caso, spero che questo prologo vi sia piaciuto e vogliate seguirmi!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Due. ***



Under custody
capitolo uno.


La vita di una persona può essere sconvolta in un secondo.
A volte anche meno.
Basta un gesto, un'occhiata.
Una parola.

 

*

 

«Parlo con il signor Castle?» fece una voce femminile dall'altra parte della cornetta.
Chissà da dove proveniva, quella voce.
Magari dall'Europa, o dall'Alaska, o dall'appartamento di fianco.
«In persona» fece lui, allegro. «Posso sapere invece con chi ho il piacere di parlare io, signorina?»
La donna fece un piccolo sospiro.
«Sono l'assistente sociale Beatrix Mendler, la chiamo per l'affidamento di Daniel Beckett»
Il respiro di Castle si mozzò, mentre la penna con cui stava distrattamente giocando cadde a terra con un suono secco, quasi irreale.
«I-io... co-cosa?» balbettò, sforzandosi di respirare normalmente.
«Mi dispiace molto, signor Castle, ma Kate Beckett è deceduta ieri mattina. Lei è stato indicato dalla signora Beckett come possibile affidatario del bambino» spiegò la donna con un tono dolce, uno di quelli che si usano per farsi ascoltare dai bambini.
Lui scosse la testa, inebetito.
«No, lei non... »
«Signor Castle... » lo richiamò la donna. Rick inspirò profondamente, come se più aria entrava nei suoi polmoni, più si sarebbe alleviata la morsa che sentiva sul cuore.
«Kate... l-la signora Beckett ha – aveva – un figlio?» domandò infine, mentre la voce gli si spezzava su queste ultime parole.
Seguì un rumore di carte dall'altra parte, come se Beatrix cercasse il fascicolo giusto.
«Sì, signor Castle. Daniel Beckett, nato il 21 Febbraio 2014 al St. Claud Hospital di Boston» spiegò con calma la donna.
Castle trattenne il fiato.
Non ci voleva un genio per capire perché Kate avesse deciso di affidarlo a lui.
«Non... non ha altri parenti? Il padre non c'è?» domandò, più perché non riusciva ad affrontare l'argomento principale che per vero interesse. La sapeva già, la risposta.
«No, il padre è ignoto; volendo potremmo affidarlo al nonno, Jim Beckett, ma Kate aveva chiesto di lei».
Castle annuì in silenzio, asciugandosi frettolosamente le lacrime con una mano.

Non poteva dire di no, lo sapeva bene.
Non era da lui, e poi, anche volendo, non se lo sarebbe mai perdonato.
No.
Kate aveva voluto così, e lui l'avrebbe rispettata.
Anche se significava mettere da parte l'orgoglio. Anche se era doloroso.

«Sì» disse soltanto, con voce ferma. «Accetto l'affidamento di Daniel Beckett».

 

[Otto anni prima]

 

Kate si muoveva come un'ombra nella camera da letto, raccogliendo i suoi vestiti da terra silenziosamente e lanciando occhiate furtive all'uomo che russava sotto le lenzuola candide.
Si soffiò distrattamente una ciocca di capelli dal viso e fissò intensamente l'uomo addormentato.
Non ricordava nemmeno il suo nome.
Scrollò le spalle e si infilò i pantaloni scuri, guardando distrattamente fuori dalla finestra.
Non aveva importanza il nome.
Importava il suo corpo, il suo corpo che si andava a sovrapporre a quello di Castle nei suoi ricordi. E per un po' funzionava, per quei cinque, dieci minuti; a volte durava fino al mattino.
Ma quando guardava il sole sorgere, non aveva più importanza con chi avesse trascorso la notte. C'era solo un uomo nei suoi pensieri, e quello era Richard Castle.
Perché se poteva dimenticare il suo corpo, le sue mani, le sue carezze, solo usando altri uomini, si era ripromessa di non farlo con il resto.
Avrebbe amato solo quegli occhi azzurri, quel sorriso strafottente, quella voce profonda; non avrebbe amato nessun altro, mai.
Era giusto così.
Sospirò e infilò la camicia bianca, i calzini, le scarpe. Recuperò la borsa e uscì furtivamente dalla stanza.
Di notte era un'ombra qualsiasi, di giorno l'ombra di sé stessa.

 


{FloxWeasley's corner
Capitolo un po' di cacca, lo so.
E no, non voglio far passare Beckett per la troia di turno, né voglio scrivere di lei senza rispettare il suo carattere. Semplicemente, nella mia mente ha avuto questa reazione alla rottura con Castle.
Alla prossima, e grazie a chi mi segue nonostante la mia incapacità di progettare per bene una long :3

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Capitolo 3
*** Tre. ***



Under custody
capitolo due.

 

Lo zainetto del bambino era rosso acceso, uno di quei colori che una volta adulti si finisce per odiare; Daniel se ne stava seduto sul divano guardandosi intorno curioso, stringendo al petto quello zaino come fosse stato l'unico scoglio a cui aggrapparsi per non affogare.
Rick lo osservava senza parlare dalla poltrona.

L'assistente sociale aveva lasciato loro tutto il pomeriggio per conoscersi e capire se un affidamento sarebbe stato possibile, dopodiché sarebbe iniziato un periodo di osservazione in cui Daniel avrebbe vissuto con lui.

Era bastato un solo scambio di sguardi per ripiombare in un mare di ricordi: quegli occhi verdi così intensi, luminosi nonostante tutte le lacrime che dovevano aver versato, portavano un bagaglio niente male per un bambino di sette anni.
Un battito di ciglia, e tutti i ricordi erano scomparsi.

Il silenzio di Daniel era qualcosa di strano, scivolava attorno ai due senza veramente toccarli: non era fastidioso, né pesante, né opprimente.
Ad un tratto il bambino si spinse gli occhiali sul naso e fissò di nuovo quei suoi occhi verdi in quelli azzurri di Richard.
«Tu sei il mio papà?»
L'uomo sospirò e si andò lentamente a sedere accanto a lui sul divano.
Ovviamente si era aspettato quella domanda; da quando aveva saputo dell'esistenza di quel bambino non aveva fatto che domandarselo, e a dirla tutta incontrarlo non aveva fatto che rinforzare la risposta che aveva trovato.
Sì.
I capelli, gli occhi, il viso erano di Kate.
Persino il sorriso, un po' timido ma in grado di illuminare l'intera stanza, era evidentemente suo.
Solo osservandolo con occhio attento si potevano notare i particolari che lo accomunavano a Rick: la forma del naso, la rughetta in mezzo alla fronte quando era pensieroso, le mani.
«Non lo so» disse infine, sorridendogli mesto. «Se vuoi possiamo scoprirlo insieme, più avanti».

La mente dei bambini è sorprendentemente contorta, per chi ormai dell'infanzia ha una manciata di fotografie sbiadite e qualche ricordo ancor più sbiadito.
Si desidera qualcosa con tutti sé stessi, piangendo, puntando i piedi finché non lo si ottiene; poi, però, basta poco per essere felici.

Daniel sembrò trovare la risposta soddisfacente. Annuì, stringendo al petto lo zainetto rosso, dopodiché si fece molto più loquace.
Lui e Rick chiacchierarono per tutto il pomeriggio, evitando con cura un argomento in particolare: era ancora presto, per entrambi. Ci sarebbe stato tempo.
Ci sarebbe stata una vita intera per parlare di Kate.
E alla fine della giornata, quando Beatrix tornò a prendere Daniel, una cosa era chiara: erano una famiglia.
Una nuova, instabile, traballante famiglia.
Ma era già un passo in avanti.

*

 

L'appartamento era colmo di un buio denso e appiccicoso, di quelli che ti si appiccicano alla pelle e all'anima; Kate si risvegliò di soprassalto e corse in bagno, dove si liberò di tutta la paura che le aveva stretto lo stomaco come una morsa rimettendo nel water scheggiato.
Si rialzò tremante e si diresse automaticamente verso l'unico, minuscolo balcone della casa.
Erano tre settimane che viveva con quell'angoscia, quella sensazione di non avere mai abbastanza aria; una volta fuori il venticello fresco della sera di metà settembre le carezzò il viso, riuscendo a sciogliere la tensione per un po'.
Beckett si appoggiò alla ringhiera e inspirò a pieni polmoni, rovesciando la testa indietro per cercare le stelle: di quel buio non aveva paura, perché, anche se non ci fossero state le luci di Boston a rischiararlo, ci sarebbero state le stelle, e non si può avere paura delle stelle.
Il buio del suo appartamento nuovo, ancora troppo vuoto, invece, la angosciava terribilmente: era lo stesso buio che aveva smesso di temere a sette anni che tornava a farle pagare il conto – molto più salato di quanto si sarebbe mai aspettata.
Era sola, sola con sé stessa e con le sue paure.

Non si pentiva di aver lasciato New York, perché il lavoro lì a Boston era ciò che aveva sempre sognato; si pentiva di quella solitudine che era solo colpa sua, sua e del suo fottutissimo orgoglio.
Non aveva detto a Rick del colloquio per... perché, poi?
Le sembrava di non ricordarlo nemmeno più.
E poi avevano litigato, e presa da chissà quale attacco di orgoglio aveva voluto dimostrare che poteva ancora fare scelte da sola: “Libera di farlo. Ma in quel caso, noi abbiamo chiuso.”

No, si era sbagliata.
Non era sola.
Ma quella... cosa, quella cosa era solo un problema in più.

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


 

Under custody
capitolo tre.

 

«Papà?»
La voce sottile di Daniel lo sorprende mentre sono in strada, diretti alla pizzeria dietro l'angolo: da quando il bambino vive con lui, preferiscono fare due passi per procurarsi la cena.
Castle si blocca e Daniel, che gli stava trotterellando spensieratamente dietro, gli finisce addosso. Si volta lentamente, un sorriso estatico in volto, e guarda quello scricciolo dagli occhi intensi.
«Dimmi, Danny»
Il bambino sorride di rimando, sollevato per come Rick ha preso quella sua piccola, insignificante parola – ma che per lui è grande come l'universo.
«Dopo... possiamo vedere Il pianeta del Tesoro? Lo vedevo sempre... con la mamma» ammette, mentre dietro le lenti gli occhi gli brillano, e le guance gli si accendono di rosso. 
Castle sorride, immaginando Kate, la sua Kate, e quel piccolo miracolo, abbracciati, davanti ad un televisore con una gigantesca ciotola di pop-corn.
Ad Alexis quel cartone non piaceva granché, perché è più una cosa da maschi: astronavi, pirati, tesori... lui, però, lo adorava, quindi la videocassetta è ancora nel loft.
Scompiglia i capelli del figlio e gli prende la mano.
«Certo, campione!»

 

Lo schermo si fa nero, poi partono i titoli di coda e la canzone finale.
Castle abbassa lo sguardo sul tappeto, dove per tutta la sera Daniel se n'è stato a pancia in giù, le manine a sostenere le guance paffute, con gli occhi attenti e le labbra che sillabavano ogni battuta: ora è acciambellato come un gatto, e il suo respiro lieve segnala che si è addormentato.
L'uomo, intenerito, sorride e si abbassa per prenderlo in braccio: delicatamente lo stringe a sé e mentre lo porta nella sua cameretta, riflette.
Quel giorno, per la prima volta in quattro mesi che vive con lui, Daniel l'ha chiamato papà, e non solo: ha aperto il suo cuoricino a lui, mettendolo al corrente di una cosa così personale come il film che guardava sempre con la sua mamma.
Sospira, Castle, mentre lo depone sotto le coperte e gli sfila gli occhiali: chissà se, involontariamente, quel bambino così intelligente si è mai associato a Jim, il protagonista.
Jim, che il papà ha abbandonato. Jim che deve imparare a cavarsela da solo.
Accarezza la fronte di Daniel e spegne la lucina sul comodino, uscendo in silenzio.
«Papà?» lo chiama di nuovo la vocina di Daniel, proveniente da qualche parte in mezzo al buio. Castle sorride ancora.
«Sì, Dan?»
«Sono contento di aver guardato Il pianeta del tesoro con te». Sbadiglia. «La mamma era come Sarah... sempre buona, dolce, però sola». L'uomo lo sente girarsi dall'altra parte e resta in silenzio, sicuro che se provasse a rispondere a quelle parole, probabilmente inizierebbe a piangere come un bambino.
«Buonanotte»
«Buonanotte, Dan».

*

 

Elizabeth Parker è un bravo capitano.
È stata nell'esercito, tanti anni prima, e il cipiglio freddo e severo che mantiene in ogni circostanza è una conseguenza di quel periodo.
Impassibile, scruta la detective Beckett sedersi davanti a lei dall'altra parte della scrivania.
Quella minuta, tenace poliziotta lavora per lei da soli quattro mesi, ma il capitano può già affermare che si tratti di uno dei suoi più validi elementi.
«Detective Beckett, voleva parlarmi di qualcosa?»
Kate sospira, e per un attimo smette di torturarsi le mani per rivolgere al capitano uno sguardo fermo. Non sembra spaventata, solo... rassegnata.
«Capitano Parker, so che lavoro qui da poco e tutto, ma... mi servirebbe un congedo per maternità» dice, seria, senza accennare alcun sorriso.
Elizabeth resta in silenzio per un attimo: quella rivelazione non la coglie certo impreparata. Prima che un bravo capitano, è una donna.
E come tutte le donne, certe cose le capisce.
«Detective, come ha detto lei lavora qui da poco. Io l'ho assunta per lavorare, non per mettere al mondo dei bambini».
Kate annuisce rigida.
Sapeva che non sarebbe stata una conversazione facile, ma sperava che, essendo donna, la rigida Elizabeth Parker si sarebbe sciolta un po'.

Speranza vana.
«Potrei rispedirla a New York in questo preciso istante».
Per un attimo, negli occhi di Kate si accende una luce supplichevole.
Lo faccia, la prego, lo faccia, faccia ciò che io non ho il coraggio di fare...
L'attimo dopo, però, quella luce si spegne: il volto freddo e risoluto di Castle, nel lanciarle quell'ultimatum, le compare in testa e spazza via tutti i suoi stupidi desideri.
«Lo so, signore» risponde.
Il capitano la scruta ancora: non ha mai capito il desiderio di tutte le donne di procreare, di costruirsi personalmente l'ennesima palla al piede – urlante e puzzolente.
Però sa quando essere obiettiva e quando bastarda, e Kate Beckett non merita la sua bastardaggine.
«Però voglio darti una possibilità: potrai continuare a lavorare per noi, una volta nato il bambino. L'importante è che non interferisca con il lavoro».
«Grazie, capitano».
Beckett finalmente abbozza un sorriso, sollevata. Stringe la mano al capitano, si alza e fa per uscire, quando la voce fredda di Elizabeth la ferma:
«E che questo errore non si ripeta più».
Lei annuisce di nuovo, rigida, senza voltarsi, ed esce il più velocemente possibile.
Una volta fuori inspira a pieni polmoni: in quell'ufficio le sembrava di stare in apnea.
Si dirige senza fretta alla sua scrivania, ripensando alle ultime parole del suo superiore: errore, ha detto.
Seduta sulla sua scrivania, abbassa lo sguardo sulla camicia bianca dove un occhio attento può cogliere un leggero rigonfiamento, e non riesce a definirlo un errore.
È qualcosa che la tiene legata al vero grande amore della sua vita, ora più che mai.
Qualcosa che è anche un pezzettino di lui.
E per la prima volta da quattro mesi, riesce a sorridere al ricordo di Castle.

{FloxWeasley's Corner
Mi dispiace per il ritardo, già di mio non sono tanto puntuale con gli aggiornamenti, figuriamoci se ci si mette l'oratorio estivo che mi tiene fuori casa fino alle sette di sera! XD
Comunque.
Che ne pensate?
Spero che questa piccola long vi stia piacendo, mi ci sto affezionando! :)
Alla prossima e buone vacanze, nel frattempo!

PS: avete visto Il pianeta del Tesoro?
Io l'ho riguardato stamattina ed è stato amore: solo ad Alexis non piace perché è da maschietti u.u

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


 

Under custody
capitolo quattro.


«Emily, lui è Daniel. Perché non gli fai vedere la tua camera?» chiese dolcemente Jenny alla figlia, sorridendole conciliante.
La bambina scrollò le spalle, sorrise in direzione del nuovo amico e, prendendolo per mano, disse: «Vieni, ti faccio vedere i miei giochi! Così conosci anche mio fratello Christopher, Manuel e Olivia».
Il bambino, completamente inebetito da quella manina calda che teneva la sua, lanciò uno sguardo confuso al padre e si lasciò trascinare via.
Castle gli fece l'occhiolino, prima di sedersi sul divano di casa Ryan e accettare una bottiglia di birra dall'amico.

I due fratelli Ryan, Emily e Christopher – la prima nata nel Dicembre 2013, qualche mese prima di Daniel, il secondo due anni dopo – erano le fotocopie di mamma Jenny: stessi capelli biondi, stesso viso dolce e stesso sorriso. Gli occhi, invece, erano quelli di Kevin.
Manuel e Olivia, invece, erano i gemelli Esposito: avevano l'età di Christopher ed erano un pericoloso mix tra Javier e Lanie – sia esteticamente che caratterialmente, il che li rendeva due tipetti piuttosto focosi.

«Castle, ci dispiace di non averti detto di Daniel. Davvero. Kate ci aveva fatto giurare... » iniziò Ryan, mortificato, guardando lo scrittore con occhi tristi.
Rick sorrise malinconico e lo interruppe subito:
«Lo so, ragazzi. Non ve ne faccio una colpa. L'unica cosa che mi tormenta è perché? Perché non ha voluto dirmi nulla? Era pur sempre mio figlio».
Tutti scossero la testa, rincorrendo malinconici i ricordi di sette anni prima.

Erano tutti radunati nel salotto dei Ryan: Castle, seduto sul divano accanto a Kevin e Javi – quest'ultimo impegnato a tenere a bada Coleen, l'ultimogenita, che a soli dieci mesi cercava di suicidarsi buttandosi dalle ginocchia del padre – mentre Jenny e Lanie li osservavano dalle due poltrone rosse ai lati del divano.

«Io... » fece Lanie sottovoce, ritrovandosi addosso gli occhi di tutti in pochi istanti. Si schiarì la gola e parlò guardando fuori dalla finestra: «Io non voglio giustificare Kate, perché le ho ripetuto allo sfinimento che non ero d'accordo con lei, ma... insomma, la conoscete anche voi. È-» Si irrigidì, prima di proseguire con voce spezzata: «Era testarda e orgogliosa. Credo che l'idea di tornare indietro praticamente strisciando, dopo essersene andata in modo così brutale... Fosse troppo, per lei»
Castle si lasciò andare contro lo schienale del divano.
«Ci sono situazioni per cui non puoi dare retta all'orgoglio, perché sono scelte che non riguardano solo te. Kate è stata egoista, sia nei miei confronti che in quelli di Dan» fece, freddo.
«Però... » fece per ribattere Lanie, alzandosi in piedi, ma si bloccò. Guardò lo scrittore con occhi smarriti e scoppiò in singhiozzi. Javier si alzò, lasciò Coleen tra le braccia di Jenny e avvolse la moglie con le sue braccia forti, posandole un bacio sulla nuca.
«Mi manca così tanto... » singhiozzò la donna contro il suo petto.
«Lo so, chica, lo so» fece Javier, accarezzandole i capelli. Guardò gli altri: avevano tutti le lacrime agli occhi. «Manca a tutti noi».

 

*

 

Kate si svegliò di soprassalto, infreddolita e con il collo dolorante per aver dormito in quella posizione scomoda sul divano.
Restò qualche secondo ad ascoltare la pioggia scrosciare fuori e il cellulare vibrare sul tavolino, persa nei ricordi di quando, a New York, si addormentava sul divano e Castle la svegliava con un bacio, dicendole che lì avrebbe dormito malissimo, e la accompagnava a letto.
Si alzò un po' faticosamente – non si era ancora abituata a portare in giro il pancione – e prese in mano il telefonino: la foto sorridente di Ryan lampeggiava sullo schermo, sotto la scritta “14 Dicembre 2013 – ore 00.21”.
«Beckett» fece, con voce incerta, passandosi una mano tra i capelli e rimettendosi a sedere.
«Becks, sono papà! Sono diventato papà! È-è nata, è nata!» fece la voce euforica ed esausta allo stesso tempo di Kevin.
«Fantastico!» sorrise la detective. «Sono felice per voi, Ryan! Jenny come sta?»
«Sta benone! È stravolta, ma vedessi quant'è felice... e bella!»
Kate sospirò. Ryan era un uomo dolcissimo, e questo gli aveva procurato non poche prese in giro da parte di Espo, Castle e anche da lei; tuttavia, Beckett era fermamente convinta che Jenny e la bambina fossero davvero fortunate ad essere amate da un uomo del genere.
«Oh, lo immagino!» rispose lei. «Quindi come avete deciso di chiamarla?»
«Siamo ancora indecisi tra Emily e Sarah, ma io tifo per Emily!»
«Sono entrambi molto car-»
«Ehi, Becks! Il neo-papà stordito, qui, non te l'ha detto che sei in viva voce?» la interruppe la voce allegra di Esposito. Già dal tono si notava quando fosse orgoglioso dell'amico.
«Non prenderlo in giro, Espo! Ha fatto centro prima di te!» rise Beckett.
«Bleah! Io non voglio dei marmocchi col moccio al naso, io sono un vero Latin Lover!»
«Ti ricordo che posso sempre ritirare il mio sì, Javier!» si aggiunse la voce di Lanie.
«Lanie!» la salutò allegramente Kate.
«Ehi, tesoro, come stai? Procede tutto bene?»
Beckett sfiorò distrattamente il proprio ventre tondo.
«Tutto nella norma» rispose, ripensando con un sorriso a quel cuoricino che batteva sul monitor della dottoressa Sherman, una settimana prima.
«E... con Castle? Hai per caso cambiato idea?» La voce di Esposito era per una volta seria. Beckett sentì con chiarezza la gomitata che Lanie gli tirò e il suo lamento a mezza voce.
Sospirò.
«No, Espo». Restò in silenzio per qualche secondo, mordendosi il labbro.
Quella telefonata era iniziata così bene, l'aveva distratta e fatta ridere per la prima volta da giorni... perché doveva sempre saltare fuori l'argomento Castle?
«Ehi, Becks, ti saluta Jenny! Sta allattando la piccola, e indovina? La chiamiamo Emily!» tornò a farla sorridere la voce di Ryan. Sprizzava felicità ad ogni sillaba.
«Dì a Jenny che abbraccio forte sia lei che la bimba» rispose lei. «E... Kev?» lo chiamò, sperando che nel frattempo non se ne fosse andato.
«Sì?»
«Sarai un padre meraviglioso» disse, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.
Di gioia, però.

 

 

 

{FloxWeasley's corner
Come sempre, dimostro quanto sono scostante nell'aggiornare le storie.
Però stavolta ho una scusa: ero in vacanza!

(O Puglia Puglia mia Puglia Puglia mia, ti porto sempre nel cuore quando vado via!)
Allora?
Che ne dite di questo capitolo?
Parla poco di Daniel e di Kate, lo so, ma molto dei ragazzi: mi erano mancati, e ho voluto inserirli.
Alla prossima! :)

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Capitolo 6
*** Sei. ***


Under custody
capitolo cinque.


I bambini, si sa, non sanno stare zitti.
Sembra quasi che, quando un pensiero più forte degli altri attraversa le loro testoline, non riescano a tenerlo lì dentro e le parole scivolino fuori anche senza volerlo.
Daniel era un'eccezione.
Per tutti i primi mesi ingoiò quelle domande che premevano per uscire dalle sue labbra, consapevole che fosse ancora troppo presto.
Poi, un giorno – doveva essere Dicembre, otto mesi dopo che quello scricciolo era entrato prepotentemente nella vita di Castle, perché New York era sepolta sotto venti centimetri di neve –, Danny sembrò sentirsi finalmente pronto.
Leggeva un libro sul divano, a testa in giù come gli aveva insegnato Milo, il suo migliore amico, e la domanda che da mesi gli rimbalzava in testa tornò a tormentarlo all'improvviso. Per un attimo i suoi occhi si immobilizzarono sulla pagina, mentre una strana sensazione di sicurezza gli riempiva il cuore; poi scese dal divano con una capriola, mollando lì il libro, e pieno di determinazione corse a cercare il padre.
Lo trovò nel suo studio, intento a scrivere al portatile; quando Rick notò il bambino fermo sulla porta, con quell'aria un po' incerta che gli ricordava tanto Kate, gli sorrise incoraggiante e gli fece segno di entrare.
Daniel si fiondò dentro e si arrampicò sulle sue ginocchia, fissando senza troppe cerimonie i propri occhioni verdi in quelli azzurri di Castle.
«Perché tu e la mamma non stavate insieme, come zio Kev e zia Jenny? O come zio Javi e zia Lanie, o come i genitori di Milo, o...» si interruppe bruscamente, trattenendo il fiato. Aspettava una risposta.
Castle sospirò e si passò una mano tra i capelli, per poi sorridere tristemente.
«Sai, Danny, a volte le persone smettono di amarsi. Succede spesso, e di solito è il motivo per cui due genitori non stanno più insieme, ma non è quello che è successo a me e alla mamma»
Il bambino annuì, attento, e sorrise a sua volta. Castle gli sistemò gli occhiali un po' storti e continuò:
«Noi ci amavamo veramente tanto, lo sai? Ma non eravamo bravi a dircelo. Anzi, non eravamo bravi a pensare per due invece che per uno solo» fece, mentre le lacrime iniziavano a pungergli gli angoli degli occhi. Non gli andava di dire a suo figlio che era la sua mamma a non pensare per due, e che lui lo faceva già da un po'. 
Sbatté velocemente le palpebre e riprese: «Ed eravamo testardi, tutti e due, ma soprattutto la mamma: di solito era così adorabilmente testarda che non lo consideravo un difetto. Ma quando, per quella sua testardaggine, ha deciso di dimostrare che poteva prendere decisioni anche da sola, beh... è diventato il suo più grande difetto. E forse anche un po' il mio: un po' per paura, un po' per orgoglio, un po' per non so cosa, ho finito per perderla. Anche se ci amavamo così tanto». Sospirò.
Accarezzò il volto del bambino e concluse:
«A volte va così. Le persone sono fatte per stare insieme, ma non sono capaci di rimanerci».
Daniel scosse piano la testa, contrariato.
«È... è una cosa stupida» disse solo, lanciando al padre uno sguardo confuso.
«Puoi dirlo forte. Siamo stati stupidi, perché non siamo stati capaci di continuare ad amarci» replicò quello con lo stesso sorriso triste di prima.
Daniel annuì e una lacrima solcò la sua guancia; la asciugò con la manica verde scuro della felpa e rivolse quel suo sguardo bagnato al padre.
«Sono contento che vi amavate, però» disse solo, prima di abbracciarlo forte.

*

Le giornate si susseguivano sempre più lente, per Kate, da quando era a casa per la maternità.
C'erano le visite di suo padre, certo, e a volte anche quelle di Espo, Lanie, Ryan, Jenny e la piccola Emily, e persino di alcuni dei nuovi colleghi che più le si erano
affezionati.

Per il resto del tempo, però, era sola con sé stessa. E con i propri pensieri.
Se ne stava sul divano, con un cuscino dietro la schiena perché ormai le era pressoché impossibile stare in una posizione comoda, e pensava.
Pensava a come sarebbe stato una volta nato il bambino, guardava con terrore al parto e piangeva sui ricordi sempre vividi di quegli ultimi anni.
Ma soprattutto fantasticava.
Su come avrebbe reagito Castle nel vederla piombare a New York all'improvviso, con quel pancione enorme e troppe cose per cui scusarsi, o su come sarebbe stato se fosse tornata prima, o se fosse rimasta nella sua città, nella sua vecchia vita per tutto il tempo.
Immaginava scene così melense e romantiche da vergognarsi terribilmente solo per averle immaginate, e altre così divertenti e realistiche da farla ridere da sola.
E per un attimo le sembrava così facile prendere in mano il telefono, comporre quel numero che sapeva a memoria e scusarsi fino a perdere la voce.
Non lo fece mai.
Restò a fissarlo per ore intere, come chiusa in uno stato di totale apatia, mentre il suo subconscio continuava a proporle quelle fantasie così belle e tristi da stringerle il cuore in un morsa.
E poi si sorprese a fare lunghi discorsi mentali con quel cosino dentro di lei.
Le prime volte si vergognava così tanto – non sapeva nemmeno perché, visto che per tante donne era una cosa naturalissima – che non appena si rendeva conto davvero di ciò che stava facendo, si bloccava e si metteva a fare altro.
Presto invece divenne normale.
Di esprimere quei discorsi ad alta voce non se ne parlava proprio, ma le parole che mentalmente rivolgeva al bambino divennero sempre più numerose e naturali.
L'appartamento non le sembrava più tanto vuoto, quando con un leggero sorriso iniziava quei lunghi monologhi interni.
Quel bambino fu la sua ancora di salvezza, nel mare grigio e in tempesta dei suoi sentimenti: la salvò mentre rischiava di affogare.
Più di una volta.

 

 

{Angoletto FloxWeasley :3
Non sono morta! Ma sono dispiaciutissima perché per l'ennesima volta mi ritrovo a scusarmi per il ritardo.
(Anche se... si può definire ritardo, se finisco con il pubblicare sempre ogni morte di papa ma con una certa regolarità? U.U)
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Al prossimo!

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