Il Capitano Elena di stillfreeit (/viewuser.php?uid=135668)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
CE 1
Note
dell'autore:
1. Anche
questa storia non è particolarmente attuale, è
passato qualche anno da quando è stata scritta. Non sono
l'unica autrice della storia, approfitto per ringraziare Lupa e Ldb,
anche se probabilmente non leggeranno mai :D
2.
Ancora sta storia del maschilismo, ma che sei fissata?? Eh, mi spiace,
ma il contesto non poteva essere che questo! Chiedo scusa ai maschietti.
27 Marzo 1458
Lei
era il Capitano della
polizia locale.
Sì. Una donna.
Arrivata dov'era perché
il vezzo femminile delle unghie lunghe non era solo un segno di
femminilità, ma
talvolta anche utili per farsi strada nella società,
piantandole negli ostacoli per non cadere.
Li sentiva, alle spalle, i
mugugnii degli uomini convinti che non fosse all'altezza, e delle
donne,
convinte che fosse un ruolo poco adatto ad una ragazza e per una
moglie. Era compito dell'uomo portare la pagnotta, chi ci pensava poi
alla casa, alla servitù, ai figli?
Conosceva a memoria questa litania, perché l'aveva sentita
da più di una bocca. La
prima era quella di sua madre.
Tuttavia, seppur qualche volta si era lasciata infastidire da
quegli interminabili ronzii, col tempo aveva imparato a lasciarli
dov'erano:
alle spalle.
Era lì e finché portava a
termine il suo lavoro nel modo corretto, lì sarebbe rimasta. Non c'era una legge effettiva che glielo
impedisse, e dell'opinione pubblica non sapeva che farsene.
Essere donna ed essere
Capitano erano due realtà che facevano parte di Elena. Due
realtà ben distinte,
che convivevano, e non si escludevano a vicenda. Capitano e moglie.
A volte un po' più l'uno
che l'altra, doveva ammetterlo... ma Francesco era un uomo paziente.
Conosceva le sue
responsabilità e rispettava i suoi desideri di carriera.
Aveva dovuto fare
tanta gavetta per arrivare dov'era, partendo da giovane recluta a soli
dodici
anni, con estenuanti turni di guardia notturni, completamente gratuiti.
Si conoscevano dai tempi dei giochi e delle battaglie con le spade di
legno. Lo aveva sempre battuto, già da allora. Infatti, lui
aveva scelto la carriera politica, molto più adatta. In
sostanza, Francesco aveva sempre saputo ciò a cui sarebbe
andato
incontro scegliendola come moglie.
"Ah,
Capitano... se ci fossero più donne come voi..."
commentò allegro il
Maresciallo, mentre prendeva la pergamena con sopra annotati i turni di
difesa per i
successivi due mesi che Elena stava organizzando da cinque interi
giorni, comprese
quattro notti insonni alla tenue luce della candela che avevano minato
crudelmente al suo senso della vista.
Ci sarebbero, se non
le soffocaste sotto il pugno... pensò Elena, ma
si morse la lingua.
Sorrise
fingendo di accettare il commento come un complimento. D'altra parte,
conosceva
il Maresciallo e non era un uomo cattivo. Per cui, sebbene di
discutibile gusto, era da considerarsi pur sempre un commento in
buona fede.
La mentalità di un'epoca
è difficile da cambiare. Elena non aspirava a farlo, ma non
sopportava di dover
trascorrere le giornate a bere il tisane o a filare la lana solo
perché le
mancava una parte anatomica.
"Badate
solo che vengano rispettati. Voglio essere avvisata di qualsiasi
problema o
trasgressione". Sapeva che non tutti i soldati apprezzavano di
essere bacchettati da una donna, quando una volta tornati a casa erano
loro a
comandare, ma anche costoro non osavano mancare di rispetto al
distintivo, alla
divisa, e all'Istituzione.
Il Maresciallo scattò
sull'attenti con il consueto saluto militare, sempre ligio
all'etichetta. Elena rispose con un cenno, permettendogli
di girare i tacchi ed uscire. Soprattutto di lasciarla sola.
Appena la porta del suo
ufficio si richiuse, Elena si lasciò cadere sulla sedia in
modo molto meno
scomposto di quanto si addicesse ad un militare, o ad una donna.
Ma nessuno avrebbe
giudicato. Era sola. Finalmente sola.
Decise di essersi meritata il diritto di godersi almeno mezzora di pace
dopo l'ultima fatica portata a termine.
Sospirò, gettando via la
stanchezza dai polmoni, mentre rigirava senza accorgersene la fede
attorno
all'anulare.
In effetti, stava pensando proprio a Francesco e al poco tempo che
aveva passato a casa in quel periodo. Quella sera sarebbe stata
praticamente la
prima che avrebbe potuto trascorrere nel suo letto, dopo le quattro
vissute
allo scrittoio, eterne come mai era capitato nella sua vita. Sentiva
proprio il bisogno di tornare
ad un po' di coniugale normalità, ed era sicura di non
sbagliare pensando che
fosse lo stesso desiderio di Francesco.
Ancora un po' di pazienza e sarebbe
tornata a casa...
A volte anche il vestito Capitano gli stava troppo stretto. Elena non
era
un muro di mattoni e faticava a mantenersi tale, per quanto fosse
necessario per la
sopravvivere in mezzo ad un mucchio di uomini. Solo fuori dalla Caserma
poteva
abbatterlo, e ormai aveva superato il numero di ore che la sua anima
potesse sopportare.
Si tolse la fede e lesse
l'incisione: canaglia.
Poco romantico agli occhi dei profani, ma con un grande
significato per loro. Era il soprannome con cui Francesco usava
apostrofarla
quando erano piccoli.
E aveva ragione... canaglia era e canaglia sarebbe rimasta.
"Capitano...".
Elena alzò in fretta lo
sguardo scuro, cadendo dalle nuvole dei suoi mille pensieri. Ecco
riedificarsi dal nulla il muro di mattoni, più imponente che
mai.
Era il Maresciallo. Molto
meno ilare di poco prima... pallido e sudato, come chi è
scampato per un soffio
ad una disgrazia.
Elena si alzò di scatto dalla
sedia.
"Si usa
bussare dalle mie parti, Maresciallo. E il vostro grado non vi esenta
dall'educazione" rimproverò, con la durezza più
adatta al suo ufficio.
Il Maresciallo abbassò lo
sguardo mortificato, tuttavia era impossibile notare che ci fosse
qualcosa che non andava nel suo atteggiamento.
"Mi
rincresce, Capitano... ma..." balbettava trafelato, doveva essere
giunto di corsa. "...c'è... c'è una cosa che
dovete
ass...
assolutamente vedere...".
Solo allora
Elena lasciò da parte la recita di donna di ghiaccio per
guardarlo accigliata e
perplessa.
Il Maresciallo le fece
segno di seguirlo. Andò con lui.
L'aria mattutina era
ancora fresca, ma il sole lentamente si alzava in cielo, pronta a
riscaldarla.
La vita in città era ancora abbastanza tranquilla, e solo
poche botteghe
avevano già aperto. Il panettiere, lui già
sbadigliava di stanchezza.
Elena seguì in silenzio
il Maresciallo, chiedendosi cosa fosse accaduto di tanto grave da
scuotere un
omone del genere, solitamente logorroico fino alle ossa, per lasciarlo
senza
parole.
Non camminarono molto, non giunsero neanche fino alla piazza.
Elena capì dove la stava
conducendo ancor prima di arrivare, quando scorse da lontano una folla
ammucchiata in uno stretto vicolo, e qualche guardia che tentava di
mantenerla
lontana. Alcuni parevano nelle stesse condizioni emotive del
Maresciallo,
pallidi come lenzuola.
La videro e si
illuminarono.
"Lasciate passare il
Capitano!" esclamarono alla folla spingendola indietro con la forza per
fare in modo di
aprirle un varco. La folla agitata e crepitante come un nugolo di vespe
dovette
obbedire, e tacque all'improvviso all'unisono quasi fosse un unico
individuo,
quando Elena diede uno sguardo a ciò che finora le era stato
impossibile
vedere.
Era stata la guerra
vissuta tempo prima a temprarla di fronte alla morte, anche a quella
cruenta,
lenta e sofferente. Tuttavia, lo spettacolo fu senz'altro
impressionante anche
ai suoi occhi addestrati, fino a chiedersi come avesse fatto tutta
quella gente a guardare
senza svenire.
Il corpo di un uomo. Dire
che fosse stato barbaramente assassinato era voler alleggerire la
realtà.
Completamente nudo. Una
coltellata in pieno ventre era stata di certo il colpo fatale, ma non
fulminante. Ciò significava che la vittima aveva vissuto una
morte lenta, lunga
e chissà con quali sofferenze.
Non finiva lì... Il viso era sfregiato da un
lungo taglio che partiva dal sopracciglio sinistro fino all'angolo
destro del
mento, ed era stato brutalmente e malamente castrato.
Negli occhi spettrali si
leggevano paura e dolore, impressi nel vetro della morte.
Quando la nausea fece
capolino, Elena decise che poteva bastare, e distolse lo sguardo.
Si voltò verso il
Maresciallo, che evitava accuratamente di spendere ulteriori sguardi
verso quel
disastro.
"Chi
era?" gli chiese. Si accorse di avere un filo di voce, e provvide
immediatamente a schiarirsela.
"Non lo
sappiamo, Capitano" rispose, da bianco si era colorato di un'inusuale
ma comprensibile sfumatura di verde.
Elena era consapevole di quanto fosse necessaria
la fermezza del Capitano davanti agli occhi dei suoi uomini. Doveva
essere pronta, faceva parte del mestiere.
Avevano bisogno di ordini.
"Bene.
Rimuovetelo da qui, e fatelo portare all'obitorio, in modo che qualcuno
possa
riconoscerlo. Informatevi quanto possibile e fatemi avere un foglio di
appunti
dettagliato. Dobbiamo capire chi è stato capace di compiere
questo
scempio" non che un promemoria fosse tanto necessario, avrebbe tenuto
quell'immagine impressa nella sua mente e nei suoi incubi peggiori
probabilmente per sempre. "E poi andate a vomitare dove
potrete conservare la vostra
dignità" disse infine, vedendolo più verde che
mai.
"Grazie,
Capitano".
"Ho
l'immenso onore di avere mia moglie nel mio letto questa sera?".
Elena alzò lo sguardo
dalla pergamena che stava leggendo verso suo marito, fermo sulla soglia
della
camera da letto.
Rivolse un debole sorriso
all'uomo che era riuscito a cambiare così poco da quando
erano ragazzini ad
oggi.
Non aveva la forza di dire niente. Ritornò a guardare la
pergamena,
ripetendo mentalmente le parole che vi erano scritte che ormai
conosceva a memoria. Le
stava rileggendo da un'ora buona, seduta sul letto della loro stanza,
alla
ricerca di un nesso, di una logica, di un indizio.
"E
no... abbiamo detto che non ti saresti mai portata il lavoro in
camera..." protestò Francesco, la raggiunse e le tolse di
forza
la pergamena dalla mano. La sbatté sullo scrittoio sotto la
finestra, senza
neanche guardarla.
Ad essere sincera, quel gesto fu piuttosto liberatorio anche per Elena
stessa. Gliene era grata.
"Hai
ragione, scusami..." mormorò lasciandosi cadere sul
materasso
senza neanche tentare di opporsi.
Era stanca. E ciò che
aveva visto quella mattina era stato un colpo di grazia che ancora non
era
riuscita a superare.
In guerra quella
violenza la devi mettere in conto... ma per strada, tutta quella furia
apparentemente non giustificata... Neanche un animale era capace di
tanto.
E poi l'ultima cosa che
voleva era far pesare maggiormente la sua vita su Francesco. Sapeva che
essere
il marito di un Capitano donna non era per nulla facile. Fuori era
costretto a
sopportare... ma almeno in casa, era giusto che Elena recuperasse il
ruolo che in quel periodo
aveva accantonato.
"Che
cos'hai? Ti vedo turbata..." disse Francesco preoccupato, sdraiandosi
accanto a lei. Doveva essere una sorpresa per lui vedere una canaglia
così poco
combattiva.
Elena gli sorrise mentre si
avvicinava. A dire il vero, ora che il muro di mattoni non le era
più necessario, sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno,
e
lui era di certo la sua prima scelta.
Gli raccontò che
cosa era successo, che cosa aveva visto, mentre lui ascoltava in
silenzio mentre le
accarezzava distrattamente i capelli castani.
"È terribile! Chi può aver fatto una cosa del
genere?" era abbastanza
turbato anche lui, ma mai poteva esserlo come chi aveva visto tutto dal
vivo.
"Quando
trovi una risposta, ricordati di avvertirmi" gli disse con un
sorriso. Poi sospirò stancamente e tornò seria
"Nel frattempo
aumenterò le ronde notturne per la città. Non
è più sicuro girare di notte, a
quanto pare...".
"Immagino
starai chiusa in quell'ufficio per almeno un mese..." fu il commento
di Francesco, amaro quanto bastava per essere distinguibile.
Elena ebbe la conferma di tutti i pensieri che aveva fatto durante
quelle notti
trascorse lontano da lui.
"Non ci
penso neanche" rispose, recuperando dalla sua riserva personale la
caratteristica caparbietà. "Lo so, non sono stata la moglie
che
avrei voluto in questo periodo e mi dispiace tantissimo... ma non
intendo
sacrificarmi oltre ed abusare ancora della tua pazienza. Essere tua
moglie è
molto più importante che essere il Capitano, lo
terrò e lo farò
presente" lo guardò fisso negli occhi mentre parlava.
Era proprio quello
sguardo tipico di Francesco a non essere cambiato nell'arco di anni.
Sempre lo stesso di chi è
stato colto con le mani nel barattolo della
marmellata. Appariva anche più pallido
del solito, doveva essere stanco anche lui. Sapeva di
essere più o meno dello stesso colore.
"Non...
non devi rimproverarti... io... capisco quanto sia importante il dovere
per te,
e lo condivido, lo sai..." mormorò, ma Elena non lo
lasciò finire.
"Lo so,
ma non voglio che tu sia costretto a sopportare oltre... Mi
farò
perdonare" lo abbracciò affondando la testa sulla sua
spalla. Non
poté così notare gli occhi rossi del marito.
Francesco la strinse e le
baciò la testa.
"Ti amo
tanto, Elena..."
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Capitolo 2 *** 2 ***
CE 2
28 Marzo 1458
"Era uno
scultore, un affezionato di taverne ed alcol. Di natura molto violenta
a quanto
mi dicono. Precedenti per risse aggravate e altri reati di questo
genere" fu il resoconto orale del Maresciallo, quasi del tutto
identico alla pergamena che le aveva consegnato come rapporto.
"Non una
gran perdita, dunque..." fu il bassissimo commento di Elena mentre
scorreva velocemente l'elenco del riconoscimento. C'erano anche
accennate violenze
su donne, furti di materie prime e vandalismo. Insomma, un bel
soggetto. "Aveva famiglia, che si sappia?" Elena sperava
vivamente di no.
"Oh no,
viveva nella sua bottega, in pessime condizioni... a riconoscerlo sono
stati
dei vicini" rispose il Maresciallo. Elena annuì in segno
d'approvazione.
Be', questo apriva decine
di porte. Non era esattamente un soggetto che qualcuno si sarebbe
stupito di
vedere morto ammazzato. Era tutto quell'accanimento ad insospettirla...
"Siete
giunta a qualche conclusione, Capitano?" chiese il Maresciallo
dondolandosi sui piedi, evidentemente non soddisfatto della reazione
della donna. Forse cercava un applauso?
"Sì...
qualcosa..." accennò vagamente Elena poggiando il foglio
sulla
scrivania, insieme a quello che riportava la descrizione del cadavere.
In essi le sue idee trovavano conferme e smentite. "Le ferite
sanguinavano, sia quella sulla faccia che...
l'altra. Perciò, sono state inferte che l'uomo era ancora
vivo.
Inoltre, la
coltellata fatale non era mirata ad organi vitali, come il cuore, o i
polmoni. Sì, certo un colpo del genere ucciderebbe ovunque,
ma... se l'intento era quello di provocare la morte, perché
non
il
cuore?" disse, svolgendo ad alta voce tutti i ragionamenti che le
occupavano la mente.
"Dite che
non voleva ucciderlo?" chiese il Maresciallo perplesso. Elena
lasciò
sfuggire un sorriso divertito. L'intuito maschile.
"Certo
che voleva ucciderlo... Non mi crederete tanto folle da pensare il
contrario".
"No, no,
no, no... non ho detto questo!" si affrettò a precisare il
Maresciallo arrossendo. Elena lo interruppe con una risata, solo allora
riuscì a sorridere anche lui.
"Stavo solo
dicendo... perché far soffrire la vittima in modo tanto
cruento? Vuoi
ucciderlo? Bene, coltellata al cuore, e stai certo che non si
rialzerà
facilmente la mattina seguente. Inoltre, dalla descrizione del soggetto
mi
viene facile pensare che avesse decine di nemici, perciò
l'idea di una
vendetta non è tanto strana. Ma per quale ragione? Rissa?
Debiti? Èstrano pensare a tutta quella
violenza solo per qualche moneta. Ci deve essere una ragione
più profonda,
perché questo ha tutta l'aria di essere un omicidio
premeditato"
peccato che quella ragione non fosse tanto a portata di mano quanto
avrebbe
voluto.
"Sono
d'accordo, Capitano... Che cosa mi consigliate di fare?". Il
Maresciallo le piaceva molto come uomo. Sempre radicato nella cultura
maschilista, certo... ma uno dei pochi al quale bastava usare un
termine piuttosto che un altro per comunicarle il proprio rispetto, il
quale non si fermava solo alla divisa. Anche solo
un consigliare
al posto di ordinare.
Ovviamente, niente di
tutto ciò sarebbe pervenuto mai alle sue orecchie o a quelle
di chiunque altro.
Mantenere le distanze era la prima regola. Non doveva permettere abusi
di
confidenza a nessuno, neanche con chi ogni tanto se lo meritava.
"Be',
indagate quanto potete a proposito delle inimicizie più
profonde del soggetto,
e mi raccomando di aumentare le guardie notturne, sebbene non mi pare
che
l'assassino colpisca a caso, non voglio mettere in pericolo nessun
cittadino a
causa di vendette tra criminali".
"Credete
sia il caso di annunciare lo stato di allerta?" domandò il
Maresciallo. Elena lo guardò per qualche secondo, pensandoci
seriamente.
"No, non
per il momento. I cittadini sono già abbastanza sconvolti,
meglio tranquillizzarli
che allarmarli. È,
tutto, potete andare".
"Agli
ordini, Capitano...".
Una volta da sola, riprese il posto alla scrivania, ma
non diede ulteriori sguardi ai fogli. Aveva bisogno di sgombrare
la mente, e non esisteva nulla di meglio che rivivere la notte
trascorsa con
Francesco per farlo...
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Capitolo 3 *** 3 ***
CE 3
2 Aprile 1458
"Lo
abbiamo trovato
questa mattina, Capitano" l'anticipò la guardia, ancor prima
che Elena
vedesse effettivamente lo scempio.
Brutale esattamente allo
stesso modo di quello che l'aveva preceduto qualche giorno prima.
Gli stessi
tagli, lo stesso colpo. Perlomeno, Elena aveva avuto modo di
preparsi a quello
che avrebbe trovato, e il trauma fu molto più contenuto. Era
la preoccupazione
a crescere.
La situazione cominciava
a farsi seria.
Avevano cominciato a
cercare tra i nemici della vittima precedente, ma a questo punto le
ricerche
erano del tutto vanificate. Uomo diverso, giorno diverso, stessa
modalità.
Presumibilmente stesso assassino.
La sola fortuna su cui avevano
potuto contare, era che il
ritrovamento di questo corpo aveva destato meno scalpore. Erano state
due
guardie a trovarlo, troppo tardi per individuare anche il possibile
assassino,
ma avevano almeno potuto chiamare i rinforzi e portarlo via dal vicolo
fino all'obitorio mentre la città era ancora immersa nel
sonno.
"Si sa
chi è?" chiese Elena alla guardia, mentre osservava
preoccupata il
cadavere. Era incredibile. Se non fosse stato evidente che fossero due
persone diverse, avrebbe potuto pensare che qualcuno avesse trafugato
il
cadavere dell'altra volta per rimetterlo in strada.
Anche in quel caso, le
ferite erano sporche di sangue rappreso e il colpo fatale era stato
inferto all'addome, forse non tanto preciso sull'ubicazione, un po'
più spostato verso il fegato, ma l'arma da taglio era
sicuramente stata
la stessa, come la forza impressa.
"Lo ha riconosciuto una
delle guardie. Era un vecchio carpentiere, lavorava vicino al porto. Un
caratteraccio ha detto..." rispose la guardia. Quell'ultimo commento,
buttato quasi per caso, interessò invece moltissimo la mente
frenetica di
Elena.
"Precedenti
penali?" chiese, sicura che avrebbe sentito la stessa solfa del
delitto precedente.
"Sì, è stato al fresco
spesso, ma solo per pochi giorni. È per questo motivo che la guardia lo conosceva,
l'ultima volta che è uscito è stato qualche
settimana fa. Come ho detto, un
caratteraccio, e non certo un gentiluomo...". Aveva avuto ragione.
Stesso tipo di vittima...
Era maledettamente
circondata da indizi che non riusciva a mettere insieme, per quanto si
sforzasse.
Elena rimase in silenzio
per un bel po' guardando il sole fuori dalla finestra che pareva
allegramente
farsi beffe di lei, che sentiva il cervello completamene al buio in
quella
faccenda.
"Ovviamente
nessun testimone ha visto o sentito nulla...".
"Abbiamo chiesto. Ma la
zona è quella che è... di urla e di liti se ne
sentono a qualunque ora,
probabilmente non ci hanno fatto caso...".
Il silenzio dilagò
nuovamente, finché non le divenne evidente che non fosse
quello il posto adatto per
riflettere.
"Informatevi
se le due vittime avevano qualcosa in comune, soprattutto dei nemici...
Io ho
bisogno di un po' di tranquillità per riflettere sul motivo
che potrebbe
spingere qualcuno a sfregiare in questo modo un uomo" disse, non
senza una certa frustrazione e
più rivolta a se stessa che al suo accompagnatore mentre si
stropicciava gli occhi.
"Agli ordini,
Capitano" scattò sull'attenti per il saluto, e subito
uscì dalla stanza.
Lei fece lo stesso,
dirigendosi verso la caserma. Verso il suo ufficio.
Non si era ancora decisa
a dare l'allarme in città. Sapeva che la situazione si stava
evolvendo in modo
decisamente spiacevole, e sapeva anche che era stata fortunata che non
ci fosse
passato di mezzo qualche innocente oltre alle vittime puntate e ormai
chiaramente premeditate
dell'assassino.
Se qualcuno fosse passato
di lì per caso e l'assassino l'avesse visto, questo si
sarebbe sentito in pericolo e
avrebbe potuto decidere di eliminare anche lui.
Era un rischio, ma non abbastanza forte rispetto a ciò che
avrebbe causato lasciando dilagare il panico...
Chi diavolo c'era sotto?
Quale uomo aveva avuto la freddezza ed il coraggio di massacrare
così
ferocemente due persone? Che cosa significavano quei tagli?
Era una vendetta per
qualche motivo? Ma cosa potevano aver fatto quei due criminalotti da
quattro
soldi per meritarsi una morte così orrenda?
Seduta nel suo ufficio,
non riusciva a pensare ad altro.
Due vittime... una sola
morte. Un solo assassino.
Significava che avevano
avuto qualcosa in comune durante la vita... avevano fatto qualcosa di
simile...
magari alla stessa persona...
In effetti le storie che
aveva udito su di loro erano sommariamente simili. Due delinquenti di
infimo
rango... Che ci fosse in giro un qualche tipo di giustiziere della
notte? Perché si era fatto vivo solo allora?
Elena ripensò alle ferite
comuni delle due vittime... la castrazione e lo sfregio lungo tutta la
faccia erano quelle non mortali, quelle inferte per puro sadismo,
assolutamente non necessarie.
La punizione... e la
firma... fu l'illuminazione finale del ragionamento.
La logica era ineccepibile.
Persino la morte sofferente acquisiva un suo perché. Non un
perché molto
chiaro, a dire la verità. Di cosa erano stati accusati per
meritare una
punizione del genere?
Castrati...
Marito geloso e altresì
vendicativo? Ma quale donna sceglierebbe mai due disgraziati del genere
come
amanti?
Bigotto folle
intenzionato a mondare il mondo dagli empi? Non era da escludere.
Sperava solo
che in questo caso non ci fossero di mezzo preti... la faccenda sarebbe
stata
ancor più seria.
Alla fine del
ragionamento aveva raggiunto tante conclusioni, ma nessuna che
l'aiutasse ad
individuare il colpevole.
La risposta era certamente nello
sfregio sul viso delle vittime.: la firma.
Purtroppo non le
ricordava proprio nulla...
Arrivò il tramonto, e con
lui nessuna risposta. Quando la luce rossa cominciò ad
entrare dalla finestra,
decise che era arrivato il momento di tornare a casa.
Era armata ed era a
cavallo, perciò si sentiva abbastanza sicura anche a girare
a sole tramontato,
ma aveva promesso a Francesco di incamminarsi che fosse ancora
giorno... e
soprattutto che sarebbe tornata ogni sera. E lo avrebbe, fatto... a
dispetto di
emergenze ed assassini. Le conclusioni che non afferrava in caserma
prima del
tramonto non le avrebbe acchiappate neanche a notte fonda. Tornare a
casa era un
bel modo per rilassarsi, e solo a mente rilassata poteva sperare di
riuscire a
capire qualcosa in più.
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Capitolo 4 *** 4 ***
CE 4
5 Aprile 1458
"Dissanguati?"
domandò Elena in un sussurro stupito. La folla intorno a lei
e
al Maresciallo non permetteva loro di avere una conversazione a toni
normali.
La Domenica mattina era quasi
un obbligo abbandonare le divise e gli incarichi istituzionali di
caserma, ad
esclusione dei poveri sfortunati che avevano i turni di guardia. La
giornata era splendida ma ancora troppo fredda per affidarsi alle
illusioni dei primi soli di stagione, tuttavia, era un piacere dopo
tanto grigiore dover stringere gli occhi per ripararli dalla luce.
Lei e il Maresciallo si
erano incontrati quasi per caso nella piazza davanti alla Chiesa.
Francesco
aveva da poco preso la strada per tornare a casa dopo la funzione,
mentre lei
si era attardata per ulteriori aggiornamenti. Elena si era comportata
da moglie
esemplare negli ultimi giorni, per quanto permettessero le circostanze,
perciò
Francesco non ebbe nulla da obiettare, fuorché uno sguardo
non troppo amichevole
verso il Maresciallo.
"Così
dicono..." confermò il Maresciallo mentre passeggiavano
lentamente lungo la
piazza. Era strano fare quei discorsi senza indossare un'arma o una
divisa,
quasi fossero due normali civili che chiacchieravano a proposito delle
ultime novità. Il muro era ancora alto tra di loro, ma forse
di
un materiale un po' meno resistente. "Pare che il colpo all'addome non
fosse
abbastanza forte da essere mortale, per quanto dovesse esserlo nelle
intenzioni
dell'assassino".
"Un
soggetto non particolarmente forte, dunque" fu la sua logica
conclusione. Elena diede uno sguardo alla stazza del Maresciallo, e
sorrise
nascostamente. Di certo poteva escludere lui e tutti i suoi simili.
Uomini del
genere in un momento di follia o rabbia avrebbero ridotto in poltiglia
le
vittime.
"Ma come è
possibile? La prima vittima non sembrava tanto facile da abbattere, a
giudicare
dal fisico" obiettò il Maresciallo, che dallo sguardo e dal
tono
quasi disperato pareva molto più confuso da tutti quegli
indizi rispetto a lei.
"Considerate
i soggetti. Considerate i loro abituali atteggiamenti rispetto a quelli
dell'assassino. Lui ha premeditato tutto, era preparato ed intenzionato
a
colpire. Loro colti di sorpresa, facilmente in completa sbronza"
spiegò Elena, in modo da dargli qualcosa su cui riflettere
per
il resto del pomeriggio. Intanto, in lontananza, già
intravedeva il suo cavallo legato insieme ad altri.
Anche lei aveva qualcosa di più su
cui riflettere. Aveva un elenco di persone che avrebbero avuto un
movente di
regolazione di conti con le vittime, ma sinceramente nessuna di esse la
convinceva davvero. Soprattutto perché nessuna era in comune
tra le due
vittime.
Navigavano ancora nel buio più assoluto.
Mentre il secondo
omicidio era ancora miracolosamente oscuro a gran parte dei cittadini,
il primo
era ancora oggetto di congetture da parte di tutti, in modo particolare
il
fatto che fosse ancora rimasto impunito. Figurarsi.
Elena non era preoccupata
per questo. Era più una sfiducia verso l'intero corpo della
polizia piuttosto
che verso di lei in particolare. Certo, aveva molto da dimostrare ai
suoi amorevoli concittadini.
"Credo
che passerò dalla caserma questo pomeriggio... Dobbiamo
cominciare a stringere
il campo dei sospetti" disse mentre montava a cavallo rifiutando
gentilmente
l'aiuto del Maresciallo.
"Sissignora" la salutò lui, nonostante la mancanza di divisa
ufficiale. Un cenno ed Elena partì al galoppo verso casa.
Ben presto, le case e le strade cominciarono a diradarsi per dare
spazio ai campi coltivati e brulli. Diminuivano gli esseri umani,
aumentavano gli animali tra domestici e selvatici.
Lei e Francesco avevano deciso di
prendere casa in campagna, a distanza di un quarto d'ora dalla
città. Ciò li
obbligava ad adoperare il cavallo ogni volta volessero raggiungerla, ma
era un
prezzo che valeva la pena pagare per un po' di tranquillità
ed intimità.
Era difficile incontrare
qualcuno lungo la strada, piuttosto qualche volpe o lepre, invece
quella volta Elena scorse da lontano la figura di un
bimbetto che correva al lato della strada da solo. Incuriosita e spinta
dal suo senso del dovere lo raggiunse al
trotto.
"Dove
vai, piccolino?" gli chiese adeguando l'andatura del cavallo a
quella del bambino, che dapprima spaventato dall'apparizione improvvisa
della
bestia, rallentò la corsa. Elena gli sorrise e lui parve
tranquillizzarsi.
"Devo consegnare
la lettera al messere Francesco che abita lì lontano" disse
con
un
certo orgoglio incespicando nelle parole, indicò il profilo
della loro dimora che si scorgeva già ma ancora piuttosto
lontana. Elena lo guardò accigliata.
Chi aveva mandato un
bambino tanto piccolo a fare tutta quella strada da solo e a piedi?
"Ma il
messere Francesco abita davvero lontano da qui, non puoi raggiungerlo a
piedi" gli disse. Di solito i mittenti delle lettere a suo marito
utilizzavano messaggeri molto più esperti, e soprattutto
muniti
di cavallo per
coprire distanze del genere. "Perché non dai a me la
lettera?
Gliela consegno io, lo conosco. Così puoi tornare a casa
prima
che faccia buio" gli propose e gli tese la mano. Il bambino la
guardò sospettoso e si strinse
la pergamena al petto.
"Ci prendo
quattro monete se la consegno io" le disse, e ricominciò a
camminare.
"E io te
ne do altre quattro se la fai consegnare a me. Tu devi fare tanta
strada, io
come vedi ho il cavallo, vado più veloce. Giuro sul mio
onore che la
consegnerò" disse alzando la mano destra come promessa.
Il bimbo si
fermò e la guardò, di certo valutando seriamente
la proposta.
Non impiegò molto ad accettare, e
tornò indietro con ben otto monete sonanti nelle tasche.
Arrivata a casa, lasciò
il cavallo nel recinto accanto a quello di Francesco.
Non aveva pensato di
chiedere al bambino chi l'avesse incaricato di consegnarla. Un pazzo di
certo...
Guardò la pergamena. Era
ben piegata, ma non imbustata e senza alcun sigillo. Molto strano, di
solito le
lettere per Francesco avevano un aspetto molto più ufficiale.
Elena ci pensò un po'...
non era molto corretto come gesto ma... la curiosità
è donna...
In fin dei conti, la
lettera era già praticamente aperta.
Cominciò a leggere... e
già dalla prima riga, l'aria fermò il corso lungo
i suoi polmoni.
La sensazione fu quella
di un pugno in pieno stomaco, una stretta ferra sulla gola e di una
cascata di massi sulla testa...
Non si accorse neanche di essersi
fermata all'ingresso di casa mentre leggeva.
"Mio
adorato Francesco,
ormai giorni sono passati dal
nostro ultimo incontro e il
mio cuore è distrutto da questa folle lontananza.
L'ardore dei vostri baci mi ritorna
chiaro alla mente e mi riscalda le
labbra.
Quando potremmo rincontrarci?
Luce della mia vita, non lasciatemi
al buio in questo mondo, senza la
vostra guida.
L'unico mio desiderio è perdermi ancora
nelle vostra forti braccia, sentire il respiro nel vostro petto che
vorrei
riempire di baci.
La vostra voce è l'eco dei battiti
del mio cuore, se voi non mi parlaste più morirei.
Ascoltarci abbracciati, raccontarci
e
guardarci negli occhi fino a perdere la ragione, non chiedo altro dalla
mia
esistenza.
Vi amo come niente e nessuno prima
d'ora
siete tutta la mia vita.
Per
sempre vostra".
"Ho
sentito arrivare il cavallo..." giunse dall'altra stanza. Era la
voce di Francesco, ma le giunse all'orecchio come un suono estraneo.
Infondo, di ciò si
trattava: un estraneo...
L'uomo che aveva sposato, quello che diceva di
amarla, che rispettava lei e quello che era, che la incoraggiava sempre
a
migliorare, quello che conosceva da sempre non esisteva
più... o forse non
era mai esistito.
Chi aveva avuto accanto tutto quel tempo? "Ti
ha trattenuto un bel po' quel Maresciallo...". L'aveva raggiunta
all'ingresso. Elena lo vedeva sfocato in mezzo alle lacrime che le
coprivano
gli occhi, e in ogni caso non avrebbe riconosciuto più quel
sorriso, che gli
morì sulle labbra vedendola piangere immobile con in mano
quel pezzo di carta
stropicciato nel pugno. "Che cosa è successo?"
soffiò preoccupato avvicinandosi di un passo.
Elena sentiva il pugnale
conficcato al centro del petto che ad ogni respiro segava dolorosamente
le sue ossa, il suoi organi... e non
si decideva ad ucciderla una volta per tutte.
"È
per te" riuscì a dire con quel poco di voce che
le restava in
gola, allungandogli la lettera.
Francesco la prese
perplesso e sconvolto da quelle lacrime che così raramente
avevano solcato il volto della
moglie. Anche a lui bastarono le prime righe per capire.
Impallidì.
"Elena..."
cominciò, accartocciando la lettera in una mano.
Elena si sentiva piena. Sarebbe
bastata anche una sola goccia in più, per fare esplodere il
recipiente.
"È questa la donna
che vuoi? Vuoi
una donna che viva in funzione di te?" riusciva a mantenere ancora un
tono contenuto, forse perché la delusione riusciva a
mitigare
l'ira, ma
stava bruciando in fretta.
Aveva sempre creduto che l'accettasse
per quello che era, a dispetto delle convenzioni. Non l'aveva mai messo
in
dubbio. L'aveva sposato perché convinta che lui fosse
diverso dagli altri...
Ingenua. Ingenua a pensare che il diverso esistesse.
"No,
non è affatto così. Elena, ti giuro che
è qualcosa che non esiste
più...". Oh, questo aggiustava veramente tutto, allora!
Le emozioni erano così
tante, e così mal mescolate che le bloccavano le parole
nella
gola, senza
lasciare che arrivassero alla bocca e solo per questo Francesco
poté continuare con le sue inutili giustificazioni: "Mi sono
comportato da vero egoista. Io... mi sono sentito
messo da parte a causa del tuo lavoro, ma ti giuro che è
stato
solo un momento.
Un momento di troppo, lo ammetto. Ho sbagliato, e sono stato uno
stupido. Ma
questo non significa che io voglia altre donne oltre te...".
Ogni sua
parola era una goccia di veleno.
Francesco era sempre
stata una certezza per lei. L'unica, forse. La sua bussola. E adesso
che aveva
scoperto che anche la bussola la conduceva nella direzione sbagliata...
si era
persa.
"Mi hai
sempre detto che mi appoggiavi in queste scelte... che mi capivi quando
dovevo
sacrificarmi in caserma per stare lontana da casa... invece non hai mai
capito
niente!"
ringhiò, e già avvertiva il suo umore riscaldarsi
in modo
esponenziale. La rabbia schermava il dolore, ma la rendeva incapace di
controllarsi: "Sei sempre
stato davanti al mio lavoro. Se è capitato il contrario non
è certo stata una mia scelta".
Doveva andare via da quella casa... in
fretta... non riusciva più a respirare, come costretta in
un'armatura.
"Elena,
sono sempre stato fiero di essere tuo marito" provò a dire
Francesco afferrandole le braccia, lei si liberò con uno
strattone.
Doveva andare via...
"Ho
sbagliato io ad illudermi che fossi diverso dagli altri, e che fossi
abbastanza
forte da accettarmi per quello che sono" mormorò muovendo i
primi passi verso la porta.
"Elena,
ti prego...".
Che preghi il suo Dio. Magari di restituirgli un minimo di
dignità mentale.
Bastardo.
"Tieniti
pure quella donna che si annulla completamente per te, se ti piace. Ce
ne sono
tante in giro..." ansimò, e la sua coscienza le
suggerì
che la tempesta di rabbia unita al suo addestramento alle armi non
rendevano consigliabile rimanere nei pressi di una persona. Avrebbe
dovuto darle retta, intanto che era ancora disposta a farlo.
Si tolse la fede dall'anulare e la lasciò su un
tavolino dell'ingresso. Francesco impallidì. Forse aveva
pensato
che gli avrebbe concesso di spiegarsi, di rimediare... presumeva
troppo. "Non venire a cercarmi, marito mio. Fa
come se fossi vedovo".
Fu così che uscì in fretta dalla casa, ignorando
i “ti
prego, aspetta” di Francesco che tentava invano di fermarla.
Fu più veloce a salire in
groppa al suo cavallo e a prendere la strada verso la città
al galoppo,
aumentando la distanza tra lei e lui.
Invece di sedarla, la
delusione alimentava la rabbia a cui stava lasciando il posto, ed essa
cresceva
come l'edera attorno al suo cuore.
Il mondo che aveva
intorno non aveva posto per una donna come lei. Cominciava a gettarle
contro
tutto il suo fango pur di vederla demordere e inginocchiarsi di fronte
alla
realtà.
Le aveva tolto in un solo
gesto la sua famiglia, il suo migliore amico e l'uomo che amava...
mostrandole
chi in realtà vi aveva nascosto dietro. Un uomo non
abbastanza uomo da reggere
la sua vita.
Be', avrebbe dovuto fare di meglio.Il
mondo non la voleva?
Si sarebbe imposta. Era capace anche lei di gettare fango. Non avrebbe
accettato compromessi. E si sarebbe inginocchiata soltanto di fronte al
Creatore, una volta giunta la sua ora. Sarebbero stati costretti ad
accettarla. Era così, e non avrebbe cambiato una virgola per
nessuno.
Se non esisteva un uomo
che potesse accettarla, ne avrebbe fatto a meno. Se stessa bastava, e
non
avrebbe represso più nulla.
Entrò nella caserma senza
rispondere ai saluti delle guardie che incontrava. Lo sguardo era fisso
davanti a sé
e non lo abbassò finché non entrò nel
suo ufficio.
Era una furia. Tesa più
di una corda. Pugni stretti e le gambe che non decidevano a fermarsi. Perché sarebbe arrivato il momento
di piangere, molto presto. Di disperarsi e di chiedersi
perché.
Ma non ancora.Se ne
rendeva conto e
sapeva che in quel modo non poteva ragionare. Se non ragionava, era
solo un
animale in gabbia. Un animale in gabbia è vulnerabile ad
ogni minimo stimolo.
Bastava anche un:
"Capitano...".
"Che cosa
c'è?!" ruggì l'animale, voltandosi di scatto
verso un Maresciallo del tutto
colto di sorpresa da quella reazione.
"Vi
aspettavo molto più tardi" disse con una calma del tutto
contrapposta al tono di Elena, mentre la guardava dubbioso e
preoccupato. Una calma che in quel momento, Elena non era in grado di
tollerare.
Niente aveva il diritto di mantenere la calma quando lei era arrabbiata.
"Non è
mio dovere giustificare a voi i miei orari di arrivo o di uscita, sono
io il
Capitano o sbaglio?" sputava veleno peggio di una vipera irritata.
Il Maresciallo ne fu nuovamente colpito.
"Sì,
certo..." mormorò tentando di studiarla, ma senza
evidentemente
riuscire a scoprire quale diavolo avesse in corpo. Ben presto si
arrese. "Che cosa è
successo, Capitano?" si decise a chiedere infine, mandando alle
ortiche la discrezione.
Il maresciallo non era notoriamente un esperto di donne...
"Direi
che non vi riguarda, Maresciallo... ora se voleste essere
così gentile da
andare a...".
"Capitano" due
guardie alquanto agitate giunsero di corsa, interrompendola sul
più bello della
frase.
Le bastò guardarli in
faccia per capire, quasi potesse leggere nei loro pensieri. Proprio per
questo motivo, non aveva alcuna intenzione di ascoltarli.
Purtroppo parlarono lo stesso: "Un pescatore ha trovato un altro corpo
in
riva al fiume... stesse ferite di tutti gli altri...".
Basta! Basta, per
favore! MALEDIZIONE BASTA!!
Elena
strinse gli occhi e
i pugni, forse nella speranza di svegliarsi, di cancellare tutto, di
renderli invisibili. Di tornare a qualche ora prima.
Non valse a nulla, ormai la goccia era caduta, e la sua rabbia era
un fiume in piena che distrusse totalmente la diga del suo
autocontrollo.
Urlò tutta la
frustrazione che aveva dentro e una delle sedie andò a
distruggersi contro il
muro a causa di un suo potente calcio.
Le persone continuavano a
morire e lei non riusciva ad arrivare alla conclusione che potesse
fermare quel
maledetto! Le imprecazioni
nella sua testa avevano raggiunto il limite della decenza.
I tre militari sulla
porta avevano assistito alla scena sbigottiti, mentre lei si copriva il
viso con le mani
in cerca del buio e della tranquillità che le permettessero
di mettere insieme
i pensieri, emarginando quelli inutili.
Non li vide, ma le parve
di udire sussurrare vagamente:
"Ma che le
prende?".
"E che ne so? Sarà
nel suo periodo...".
Quel tipo di provocazione
era esattamente ciò che le serviva per trovare una vittima
con cui prendersela
in un momento del genere.
"Già,
forse avete ragione. Ed è una fortuna che il Creatore abbia
maledetto noi con
la piaga del sangue, visto che degli insulsi vermi senza palle come
siete voi
non sarebbero mai riusciti a reggere neanche un giorno del dolore che
ci capita
di provare" il volume prendeva quota ad ogni parola come se sbattesse
le ali. "Voi che pur di non confrontarvi con un vostro pari preferite
costringerlo con la violenza al vostro volere perché sapete
che
se ci mettesse
appena un po' più di cervello non ci sarebbe partita.
Sbaglio o
sei tu il
soldato che è svenuto davanti a quei cadaveri?" l'indice
accusatore puntò minaccioso uno dei due giovani
militare,
che come il suo compagno guardava il Capitano ad occhi
sbarrati, rimpicciolendosi sempre di più ad ogni sua parola,
come se la sua
rabbia premesse forte sulle loro teste.
Il poveretto annuì
lievemente, perché sapeva che non rispondere sarebbe stata
quasi una condanna a
morte. "E ALLORA FAMMI LA CORTESIA DI ANDARE A SVENIRE FUORI
DALLA MIA VISTA IMMEDIATAMENTE!! E PORTATI ANCHE IL TUO COMPAGNO!!
FILATE
VIA!!" fu l'ordine, già eseguito ancor prima che finisse di
parlare.
Che liberazione...
Più urlava, più aveva
voglia di urlare.
"Capitano...?"
fu la sola cosa che riuscì a chiedere il Maresciallo,
l'unico rimasto lì ad
assistere sconcertato a quella scena.
Lei non rispose e gli
voltò le spalle.
Urlare e sfogare la
rabbia era un piacere liberatorio che mai avrebbe potuto immaginare, ma
non era un lusso che poteva permettersi.
Doveva riattivare la mente, e ragionare.
Sapeva che le stava sfuggendo un particolare importante, che invece
avrebbe
dovuto avere a portata di mano per giungere alla conclusione... ma
finché
lasciava che la rabbia viaggiasse a ruota libera, non ci sarebbe
riuscita.
Sospirò buttando fuori
l'ultimo residuo della furia contro i due soldati, si poggiò
alla scrivania con
le nocche dei pugni stretti e chiuse gli occhi.
Calmati Elena...
Calmati... Tu lo sai di cosa sei capace quando perdi le staffe... Ce ne
sono
già troppi di cadaveri in città, non
c'è bisogno che ne aggiungi anche in
caserma...
La rabbia è un animale
che per scatenarsi deve mantenersi al buio, e basta una piccola luce a
scacciarla... quella che si era appena accesa nella mente di Elena e
aveva
zittito la bestia, almeno per il momento.
Era tutto così chiaro.
Aveva sbagliato
dall'inizio. Aveva puntato la testa in una direzione e non si era
neanche posta
il problema di voltarla leggermente da un'altra parte.
Un errore imperdonabile...
soprattutto commesso da lei.
E adesso, adesso che la
luce si era riaccesa, vedeva tutto così tremendamente chiaro
che si stupì di
quanto cieca fosse riuscita ad essere.
"È
una donna..." mormorò guardando gli appunti
sparsi sulla
scrivania quasi ci fosse praticamente scritto.
"Come
dite?" tentò cautamente il Maresciallo, del tutto
imbarazzato.
"È una donna!!" ripeté, più che
sicurissima. Il Maresciallo la guardò senza capire. Ma per
quanto ne sapeva
lei, poteva anche spiegarglielo scrivendoglielo a chiare lettere sulla
parete,
non avrebbe mai capito.
Era un uomo. E un uomo
non avrebbe mai capito quello che stava capendo lei... Quella furia
tirata
fuori come solo una persona repressa poteva saper fare...
La castrazione... Non era
difficile conoscere i motivi per cui una donna avrebbe potuto decidere
di
punire un uomo con quel gesto. Potevano essere molteplici, ma uno solo
le
veniva in mente. Quelle che per nessuna legge erano dichiarate colpe
per gli
uomini carnefici e invece lo erano per le donne vittime.
Lo sfregio... quante
donne colme di cicatrici da violenza, sia fisiche che nell'anima, aveva
già visto?
Persino i colpi non
abbastanza forti che aveva inferto alle vittime trovavano infine
spiegazione.
"Maresciallo,
non vi affannate a chiedere, sono certa che anche questa terza vittima
fosse un
ubriacone violento come tutti gli altri. Piuttosto, voglio che
cominciate ad
indagare sulle donne che hanno subito stupri negli ultimi tempi.
Controllate se
ce n'è qualcuna magari sparita improvvisamente" La carovana
di pensieri
era partita e non si sarebbe fermata facilmente. Il Maresciallo la
fissò interdetto da
tutte quelle novità dell'ultimo minuto quando pochi istanti
prima navigavano
ancora nell'acqua alta.
"Capitano,
ne siete sicura?" chiese infine.
"La pista
è molto più logica di quella che abbiamo seguito
fino a questo momento,
Maresciallo. Fate come vi ho detto".
Il Maresciallo la fissò ancora qualche
secondo.
"Mi fido
ciecamente di voi, Capitano" ammise infine.
Quelle parole la scossero, fragile com'era. Ma durò solo un
secondo. Era qualcosa che aveva sentito
dire anche ad altri... che non avevano fatto altro che deluderla.
Il Maresciallo scattò
sull'attenti e fece per andarsene, ma un altro soldato
arrivò di corsa.
"Capitano... vostro
marito chiede di entrare..." disse. Subito la rabbia che la luce
dell'intuizione aveva esiliato lontano, tornò alla carica.
"Cacciatelo.
Non voglio vederlo" rispose seccamente. Il soldato la guardò
solo un
momento perplesso, ma consapevole di non avere il diritto di porre
alcuna domanda in merito, obbedì subito tornando
all'ingresso.
Elena era diretta alla
scrivania, quando si sentì bloccare da un braccio.
Si voltò stupita. Era il
Maresciallo. Lo guardò basita, senza parole. Non avevano mai
avuto un contatto fisico di alcun tipo.
"Che cosa
vi ha fatto?!" le chiese, diretto e lasciando da parte il solito tono
calmo e istituzionale con cui usava rivolgersi. Elena
continuò a
fissarlo senza riuscire neanche a rimproverarlo e rimetterlo al suo
posto. Non aveva mai
letto quella rabbia negli occhi del Maresciallo. Non trovò
le
parole per
rispondere, e si limitò a scuotere la testa.
Lui le lasciò il braccio
e d'improvviso corse verso l'ingresso seguendo la scia del soldato.
Elena gli corse dietro
appena riuscì ad ordinare alle sue gambe di farlo.
Arrivò appena in tempo per
vedere il pugno di pietra del Maresciallo posarsi in modo per niente
delicato
sul muso di Francesco.
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Capitolo 5 *** 5 ***
CE 5
5 Aprile
1458
"Rammentate
di essere Maresciallo, vero?".
Era di nuovo seduta
dietro la sua scrivania, mentre il Maresciallo le era di fronte, in
piedi e sull'attenti, in
perfetto atteggiamento militare.
Era passato giusto un
quarto d'ora da quando Elena, aiutata da due guardie, aveva trascinato
il
Maresciallo dentro la caserma dividendolo da Francesco prima che
scoppiasse la
rissa vera e propria, episodio che sarebbe stato decisamente
sconveniente per
troppe persone.
"Sì,
Capitano" rispose il Maresciallo con il solito tono pacato e sereno.
"Allora
forse avete dimenticato cosa comporta essere Maresciallo? Aiutatemi a
capire,
vi prego" quello di Elena era freddo e severo.
Era stato un gesto
immotivato, pericoloso ed irruento, che di certo non avrebbe giovato
alla sua
immagine. Ma come gli era saltato in mente? Un uomo ponderato come lui,
che non
osava respirare senza prima pensarci almeno tre volte.
"Mi assumo
l'intera responsabilità del mio gesto, Capitano.
Sconterò la punizione che ne
consegue, perché è mio dovere dare il buon
esempio, ma vi dico già da adesso
che non sono affatto pentito del mio gesto" nessuno sembrava
più tranquillo.
Certamente più di quanto fosse Elena.
"Perché?!"
esclamò esasperata dalla ricerca di una ragione logica che
potesse
spingere una roccia come il Maresciallo ad un gesto così...
idiota!!
Pensava che, dopo
l'ultima batosta, il mondo avesse deciso di smettere di rivoltarsi
davanti ai
suoi occhi rendendo vero tutto ciò che non avrebbe mai
creduto possibile.
Invece sembrava avere ancora tanto da dimostrare...
"Perché
vostro marito dovrebbe ringraziare il Creatore ad ogni ora del giorno e
della
notte per la fortuna che gli è stata concessa" fu la sua
impassibile
giustificazione.
Avrebbe dovuto essere un
complimento? Sperava di no, perché ogni sorta di allusione a
quel tipo di
argomento non era altro che un'eruzione di rabbia dentro un cuore che
aveva già
cominciato a sigillare le proprie porte.
"Maresciallo,
lasciate che sia io ad occuparmi dei miei problemi coniugali. Non ho
bisogno né
della vostra protezione né del vostro aiuto, sono stata
chiara?" fu
la sua tagliente risposta, per la quale non avrebbe accettato altro che:
"Cristallino,
Capitano..." rispose, solo allora abbassando leggermente il tono di
voce.
"Dunque
cercate di adottare un comportamento più consono al vostro
ruolo, d'ora in
poi" lo rimproverò ancora una volta. "Siamo in
emergenza e non posso permettermi di fare a meno di voi,
perciò non vi
sospenderò dal servizio". Era una fortuna. Nonostante tutto
non
voleva allontanarlo dalla caserma. Era un militare perfetto e un
alleato prezioso,
e per quanto le normali leggi lo avrebbero imposto, non le sembrava
giusto
sospenderlo per un unico e solo errore in una carriera immacolata. "Ora
tornate all'incarico che vi ho assegnato prima. Potrebbe
essere una sola, ma potrebbero essere di più, questo
è tutto da vedere. Ho
bisogno che indaghiate nelle campagne, nelle sartorie, anche nei
bordelli se è
necessario. E per cortesia, ascoltate quello
che vi diranno, non posso
essere con voi in ogni sopralluogo per assicurarmi che non vi facciate
sfuggire
nulla perché distratti da altro" il vago riferimento era
abbastanza
chiaro.
Il Maresciallo annuì, Elena lo congedò con un
gesto. Girò sui tacchi ed
uscì.
Elena attese di udire i
suoi passi echeggiare nei corridoi di pietra fino a scomparire, poi si
alzò
anche lei e raggiunse l'esterno della caserma.
Trovò Francesco
esattamente dove era convinta che sarebbe stato, seduto per terra con
le spalle
contro il muro dell'edificio. Scompigliato, con uno zigomo pesto e gli
occhi
arrossati non sembrava neanche più lui. Ma d'altra parte,
era da quando aveva
letto quella maledetta missiva che non riusciva più a
riconoscere l'uomo che
aveva davanti.
Scattò in piedi appena la
vide uscire, fece per avvicinarsi e cominciare a parlare, ma lei lo
bloccò con
un gesto della mano. Toccava a lei parlare:
"Devi
andartene da qui. Vai a casa e non tornare a cercarmi" gli disse,
quasi fosse uno dei suoi soldati che nulla di meglio aspettava che
ricevere
degli ordini. Elena sapeva che con lui sarebbe stato diverso, ma
l'atteggiamento che avrebbe ricevuto d'ora in
poi sarebbe stato quello.
"Non
vado via se non mi prometti di tornare con me" rispose lui. Faceva
per avvicinarsi, ma c'erano due guardie poco lontane da loro pronte ad
intervenire ad un solo gesto di Elena, gesto che sarebbe partito al
minimo
tocco.
"Non
conosco le donne che frequenti tu, ma stai certo che se pensi che
farò la
moglie che sta zitta e si mette a cuccia davanti a questo tipo di cose,
ti sbagli. Io sono il
Capitano qui, e posso restare in caserma quanto voglio. Ironia della
sorte
tornavo a casa solo per te, ma a quanto ho capito non è che
apprezzassi
molto..." commentò convertendo la rabbia in freddo sarcasmo.
Era
contenta di non aver da versare più neanche una lacrima. Non
aveva intenzione
di mostrargli quanto le ferite che le aveva inferto le dolevano senza
pietà.
"Ho
sbagliato! Lo so che ho sbagliato e capisco la tua rabbia, ma io sono
innamorato di te, solo di te, lo giuro! L'idea che tu rimanga qui
con... con
quello... mi fa impazzire, non lo sopporto" disse senza neanche
provare a trattenere le lacrime, stringendosi dei ciuffi di capelli
dentro ai
pugni.
Non c'era nessuna pietà
che smuovesse Elena davanti a quella scena. Il processo di autodifesa
era
completato, e il suo cuore si era chiuso a riccio, non avrebbe lasciato
passare
più nulla.
Al contrario, si infuriò.
"Dopo
quello che hai fatto osi dubitare della mia
fedeltà? Vai a casa, Francesco, o
sarò costretta a prendere provvedimenti" minacciò
con seria determinazione.
"Sei
mia moglie..." solo udire quella parola che solo fino al giorno
prima la riempiva di orgoglio, era come punzecchiare un grosso felino
chiuso in
gabbia.
"Su
contratto, è vero, e la legge non mi consente di fare nulla
in proposito. Ma
non avrai altro da me. E ora, per l'ultima volta: vai via".
"Dovrai
farmi arrestare. Oppure lasciare che quello mi uccida..." era
altrettanto determinato. Per quanto
la riguardava, intanto, quella conversazione era già finita.
Di arrestarlo non
l'avrebbe fatto arrestare di certo, né tanto meno avrebbe
aizzato una nuova
rissa. Se voleva lasciarsi morire lì, aveva tutto il tempo
del mondo, tanto non
l'avrebbe fatto.
Non le interessava
più.
6
Aprile 1458
Si era
addormentata
piegata sulla scrivania del suo ufficio. La candela si era
già spenta da un bel
po', ma ormai era la debolissima luce rosa dell'alba ad entrare dalla
finestra,
senza però toccare il viso di Elena, che seduta dava le
spalle alla finestra.
Perciò continuava a dormire, per quanto non fosse la
posizione più comoda che
potesse assumere. Era finita tra le braccia di Morfeo solo da poche
ore, quando
un rumore sordo entrò nei suoi confusi sogni come un colpo
d'ascia.
Scattò in piedi
sfoderando d'istinto il coltello, come aveva imparato durante la
guerra. Ma il
solo rumore che seguì fu quello della sedia dove poco prima
stava dormendo che
cadde sul pavimento con un tonfo.
Sudata e affannata dallo
spavento si riprese dal torpore, e si guardò intorno alla
ricerca della fonte del rumore.
Il vetro della finestra
era stato infranto da un sasso che adesso giaceva sul pavimento.
Subito si affacciò dalla
finestra, ma non vide nessuno. Non che si aspettasse il contrario, ma
un po' ci
aveva sperato.
Dovette stropicciarsi gli
occhi prima di poter capire che la stranezza di quel sasso era dovuta
ad un
foglio di pergamena legato intorno ad esso con lo spago.
Stupita e ancora
scombussolata dalla sveglia poco gentile, lo prese e
districò il messaggio.
"Capitano,
vi aspetto questa notte
al dodicesimo rintocco all'entrata del campanile.
Vi consiglio di venire. Da sola. Voi non avete da
temere con me.
La sfregiata"
Lo rilesse più di una
volta per essere sicura di non essere ancora in mezzo ai sogni.
Infine si
convinse che quel messaggio era arrivato veramente e che la
persona che
stavano disperatamente cercando da giorni, le aveva appena dato un
appuntamento
per quella notte stessa.
La sfregiata... lo
sapevo! Era una donna! Ormai non poteva essere altrimenti, aveva ufficialmente
eliminato anche il
beneficio del dubbio. E aveva avuto ragione anche a proposito della
firma dei
delitti. Non si sarebbe stupita di vedere un taglio uguale a quello
delle
vittime sulla sua faccia.
E a questo proposito...
che aveva intenzione di fare?
Quella donna aveva già
ucciso tre persone, o almeno quello era il numero di cui erano a
conoscenza.
Non sarebbe stato di certo un appuntamento per bere una tisana. Che
cosa voleva
da lei? Perché farsi vedere? Perché rendersi
tanto evidente al Capitano della
polizia, tra l'altro? Non erano tanto vicini a lei da poter costituire
un
pericolo, almeno per il momento.
La curiosità era alle
stelle ma... sarebbe andata davvero da sola? Avrebbe potuto essere
veramente
pericoloso.
"Capitano!"
esclamò il Maresciallo precipitatosi nel suo ufficio. "Ho
sentito dei rumori! State bene? Che cosa è successo??".
Elena gli
diede un solo sguardo, il Maresciallo aveva il suo stesso aspetto di
chi è stato buttato giù
dal letto con la forza. Poi tornò a guardare dalla finestra.
Non la vedeva,
ovviamente, ma aveva quasi la sensazione che i suoi occhi le
ricambiassero lo
sguardo da qualche parte.
Si rigirava nelle mani il
sasso, sovrappensiero.
Dirlo al Maresciallo
voleva dire assicurarsi un segugio per quella notte...
"Qualche
vandalo annoiato..." mentì, stringendo il biglietto nel
pugno perché
non lo vedesse. "Nulla di cui preoccuparsi" disse
infine.
Le ultime faccende della
sua vita le avevano iniettato nelle vene uno sprezzo del pericolo che,
sebbene
avesse normalmente coraggio da vendere, non ricordava di aver mai avuto.
Non aveva bisogno della
protezione di nessuno.
E se anche quella donna avesse avuto intenzione di
ucciderla, si sarebbe difendesa da sola. Avrebbe trovato pane per i
suoi
denti. Una lezione che tutti avrebbero dovuto imparare.
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Capitolo 6 *** 6 ***
CE 4
5 Aprile 1458
Non si prospettava una
bella serata.
Stava per piovere.
Quel clima, unito
all'idea di ciò che stava per fare le pesava sul cuore
facendola dubitare della
decisione presa.
Percorreva a passo deciso
i viottoli della città, completamente avvolta nel mantello
perché nessuno la
riconoscesse mentre andava.
Mancavano cinque minuti
alla mezzanotte.
Aveva sbagliato ad andare
da sola sgattaiolando dalla caserma senza essere vista per andare
all'appuntamento con l'assassina che era l'incubo di tutta la polizia
da un po'
di tempo a questa parte? Avrebbe dovuto portarsi dietro la scorta?
Infondo
quella poteva essere l'unica occasione per fermarla...
Nonostante tutto ciò, l'orgoglio aveva ormai
preso il suo trono nella mente di Elena, non esisteva altro che quello.
Non era la richiesta
dell'assassina stessa ad averla convinta ad andare da sola.
Semplicemente, era quello il modo in cui aveva deciso di proseguire e
così avrebbe fatto.
Non aveva paura. E non sempre non avere
paura è un buon segno. Perché significa che non
te ne importa più nulla. Infondo
era quella la sensazione che le trasmetteva tutto ciò che
aveva intorno.
Riusciva già a vedere il
campanile, e nelle colline lontane scorse addirittura la luce
abbagliante di un
fulmine, raggiunta da un tuono diversi secondi più tardi.
Aveva incrementato il
passo, non voleva fare tardi. Stringeva convulsamente l'elsa della
spada nella
mano sinistra. Si sentiva osservata in ogni angolo, sebbene non ci
fosse
nessuno in giro.
Sapeva che lei era già lì
ad aspettarla, a valutarla... magari pronta in un agguato. Be', aveva
scelto la
persona sbagliata da spalmare al suolo, così tesa sarebbe
scattata al minimo
soffio di vento.
La pioggia diventò fitta
e regolare quando partirono i dodici rintocchi della mezzanotte.
Elena era già
davanti alla porta dell'entrata, e quell'attesa era snervante.
Il tempo pareva essersi
messo le stampelle nell'intenzione di rallentare maggiormente, e quei
dodici
rintocchi sembravano durare una vita.
Era già lì, ma non
sarebbe apparsa prima dell'ultimo canto delle campane, che infine
arrivò,
lasciando dietro di sé il silenzio angosciante e teso.
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Capitolo 7 *** 7 ***
Si ringrazia Ldb per aver interpretato egregiamente la parte di una
pazza squilibrata.
5 Aprile 1458
La sfregiata
Nascosta dietro l’angolo adiacente all’entrata del
campanile, attendeva l’arrivo della donna che aveva visto
tornando nei luoghi delle sue …opere d’arte.
Ma il cerchio ancora non era chiuso, molti altri andavano puniti, anche
se sentiva che scrivere il finale di quella storia, di quella che era
la sua storia, spettava esclusivamente a lei.
In cerca di una sorta di comprensione aveva deciso di rendere partecipe
della sua follia proprio colei che avrebbe potuto arrestarla o peggio
ucciderla in un batter d’occhio se
solo avesse voluto, ma lei avrebbe capito, ne era certa.
L’averla vista litigare e inveire in malo modo su diversi
uomini, averla osservata da lontano piena di ammirazione
l’aveva fatta arrivare a quella conclusione.
Lei avrebbe capito.
Andava fiera di quanto aveva fatto. E non le importava nient altro.
La sua unica ragione di vita.
C’erano momenti in cui si sentiva confusa, voleva tornare a
casa, dove la mamma le avrebbe cantato una ninna nanna per farla
addormentare….poi improvvisamente si
ricordava che sua madre non c’era più, che da
molto tempo ormai non aveva più una casa, e riaffioravano
alla mente ricordi recenti di stanze dalle pesanti tende rosse, di
lenzuola che sapevano di stantio, di corpi sudati che come lupi si
gettavano sulla preda agonizzante per straziarne le carni.
La vide arrivare e posizionarsi proprio davanti all’entrata,
mentre una pioggia battente le appiccicava i capelli lunghi e neri al
volto sporco.
La osservò in silenzio ascoltando e scandendo i rintocchi
della campana…appoggiata colpiva con la testa il muro ad
ogni rintocco, gli occhi serrati persi nella confusione creata dai
ricordi, reali e non.
L’ultimo rintocco.
Si decise a farsi avanti.
Una folata di vento la costrinse a stringersi in quello straccio sporco
che usava come mantella e che anche se pur leggero le nascondeva di
fatto fino alla vita, tenendo ben al
riparo le mani dal freddo, che soleva tenere ben strette in pugni ,
talmente strette che nei momenti di nervosismo le unghie le si
conficcavano nei palmi delle mani.
Si aggiustò i capelli in modo da coprirsi bene i lati del
viso, poi la mano tornò a sparire sotto la mantella, fece un
passo avanti rendendosi visibile ma tenendosi a distanza….
"Capitano".
Guardò meglio la donna che aveva di fronte, e
cominciò a tremare sotto il peso degli stracci fradici che
portava addosso.
"Vi ringrazio per essere venuta Capitano"
Tornò nervosamente ad aggiustarsi i capelli con la mano
sinistra, che nascose subito nuovamente sotto la mantella.
Vide che la donna si stava accingendo a fare un passo in avanti verso
di lei, e arretrò come spaventata esclamando febbrilmente
"No, no! Vi prego no, non vi avvicinate, non vi avvicinate, vi prego,
vi prego."
Si strinse nelle spalle, sembrò diventare piccola piccola,
abbassò la testa e i capelli bagnati le nascosero quasi del
tutto il viso.
"Io…io…ho una storia da raccontarvi Capitano. Vi
prego non vi avvicinate"
Continuava a ripetere.
Lamento.
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Capitolo 8 *** 8 ***
cp 8
5 Aprile 1458
Il tempo trascorso dalla fine della vibrazione dell'ultima campana al
suono di quella voce, confermò la teoria che l'assassina
fosse già lì da tempo ad osservarla.
Era alle sue spalle, ed Elena si voltò di scatto, questa
volta prendendo l''impugnatura della spada con la mano destra, pronta a
sfoderarla. Una piccola figura incappucciata quanto lei uscì
dall'ombra.
Tacque, non seppe determinare per quanto. Quella notte sembrava che il
Tempo avesse abbandonato le normali regole preferendo ad esse il caos.
Poteva correre spedito per un istante e poi arrestarsi per
un'eternità.
"Vi ringrazio per essere venuta" le disse.
Teneva la voce bassa, appena più forte dello scroscio sempre
più forte della pioggia.
Dopo aver immaginato per notti intere che aspetto avesse, infine era
lì di fronte a lei ma avvolta in quel modo rimaneva ancora
nella dimensione di sogno... o di incubo.
Si avvicinò di un passo, estraendo poche dita della lama
dalla fodera.
Non si fidava affatto di lei. Già il fatto che non potesse
distinguerne lo sguardo da sotto il cappuccio la rendeva un avversario
inaffidabile. Non avrebbe abbassato la guardia.
D'altra parte, non vedeva l'ora che tentasse un qualsiasi attacco. A
differenza del Maresciallo, lei non aveva avuto ancora occasione di
prendere a pugni qualcuno.
La supplica partì che neanche aveva abbassato del tutto la
pianta del piede.
"No, no! Vi prego no, non vi avvicinate, non vi avvicinate, vi prego,
vi prego". Elena si fermò di scatto, quasi avesse estratto
un'arma.
La guardò in un misto di disgusto e stupore. Era quella,
quel ragnetto, ad aver seminato morte lungo il suo cammino? Ad aver
brutalmente ucciso e mutilato tre uomini. Quella
che ora si rannicchiava dietro al mantello, quasi temesse le percosse
di un genitore severo.
Era quasi delusa da ciò che vedeva.
Ricordò quando nel suo studio, aveva praticamente potuto
vedere allo specchio la sua rabbia contro chi l'aveva ingannata, chi
aveva denigrato il suo valore, chi avrebbe voluto che fosse solo uno
strumento, come tutte le altre.
La guardò stringendo gli occhi a due fessure. A chi voleva
darla a bere? Non certo a lei.
Elena sapeva che cosa era stata capace di fare quella donna, anche
più di una volta. La parte dell'agnellino le veniva bene, ma
non per questo ci sarebbe cascata.
Se era un modo per dettare le regole dello scontro, si stava sbagliando
di grosso. Era lei il Capitano.
"Io…io…ho una storia da raccontarvi Capitano. Vi
prego non vi avvicinate" continuò.
Elena scoprì di avere i denti scoperti in un ringhio quasi
bestiale, e la mano che fremeva per sfoderare la spada in un moto di
rabbia.
"La sola cosa che voglio sentire uscire dalla tua bocca è il
motivo per cui hai voluto me qui stanotte, quando sai perfettamente che
sono autorizzata ad arrestarti, ed anche ad ucciderti" disse,
utilizzando il suo miglior tono da Capitano severo. "Non aspettarti di
farmi compassione, quella l'ho persa già da tempo. Siamo
avversari, non contratterò con te. E inoltre..." per la
prima volta staccò la mano dall'elsa della spada, e si
abbassò il cappuccio dal viso ormai fradicio. Il suo sguardo
scuro continuava a scrutare nel buio del viso della donna che aveva di
fronte. "Sono abituata a guardare le persone negli occhi quando ci
parlo, anche quando sono nemici. Abbassa il cappuccio, e forse
ascolterò ciò che hai da dirmi".
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Capitolo 9 *** 9 ***
La sfregiata:
8 Aprile 1458
Con un po’ d’esitazione si abbassò il
cappuccio.
Le lacrime si confondevano con la pioggia.
Tremava sempre più e cominciò a singhiozzare.
Si aggiustava nervosamente i capelli, sempre a testa bassa, sempre con
la mano sinistra.
"Ero povera, vivevo per strada" cominciò quando i singhiozzi
si fecero più radi e le permisero di parlare "Un giorno,
moribonda, non mangiavo da giorni, mi trovai davanti ad un grosso
portone, non sapevo dove fossi. Quasi uccisa dai morsi della fame mi
permisi di bussare. Mi fu aperto, ma svenni quasi immediatamente. Mi
risvegliai in un letto, mi
avevano lavata, e accanto a me c’era ogni ben di dio. Ma
prima che ebbi il tempo di rendermene conto, un uomo entrò
in quella stanza senza neanche bussare e…"
I singhiozzi tornarono ad essere frequenti, scuoteva la testa con
insistenza. "Abusò di me" disse con un filo di voce. "Tentai
di fuggire, ma ero debole, mi riprese e … E mi fece molto
male. Mi disse che oramai ero una sua proprietà, che avrebbe
potuto fare di me ciò che voleva, che ero solo una
poveraccia di cui non importava nulla a nessuno, e che
nessuno sarebbe venuto a cercarmi se mi avesse gettato nel fiume. La
sera stessa fui portata in un'altra casa, all’apparenza
fatiscente ma ciò che v’era dentro non
rispecchiava affatto ciò che si poteva capirne da
fuori… Fui…venduta ad una
donna… Una donna che si faceva chiamare madame
d’Ou. Fui legata e gettata in un luogo buio e freddo, ogni
giorno venivano a portarmi del pane, e mi ripetevano che se non avessi
fatto ciò che volevano mi avrebbero lasciato morire
lì…dovetti cedere mi capite? Non avevo altra
scelta capite? Madame d’Ou sembrò contenta, mi
lavarono e mi vestirono come una signora, ciòche dovevo fare
era solo starmene seduta nel grande salone e attendere che un uomo mi
scegliesse… Ciò che ho visto…non
posso…non posso raccontarlo, non posso io…io non
ricordo…non posso…ciò che ho
sopportato…loro…".
Si sciolse improvvisamente in un pianto liberatorio, e si
lasciò cadere in ginocchio sotto gli occhi esterrefatti
della sua interlocutrice.
"Capite? Io... io non potevo fare altrimenti. Poi ci fu un uomo, un
uomo malvagio più degli altri…le altre ragazze ne
avevano paura, mi avevano messo in guardia da lui,ma una sera fu
inevitabile, mi vide e mi disse che avevo un bel viso, e che per quella
sera sarei stata la sua duchessa…." Con un gesto secco si
scostò i capelli dalla guancia mostrando il volto sfigurato
da un taglio profondo che partiva dal sopracciglio e guardò
finalmente negli occhi il capitano, tremando non più per il
freddo e la pioggia, ma per la rabbia che provava. "Ecco! Ecco cosa mi
ha fatto… Mi ha sfigurata…capite? Mi ha
sfigurata! Urlava sempre più... E rideva…si
faceva beffa di me! Delle mie urla! Dei miei pianti! Del mio
dolore…della mia vergogna! Fui sbattuta fuori da quel posto
quando ancora la ferita non si era rimarginata! Chi avrebbe voluto
portarsi a letto una sfregiata! Persino le altre ragazze mi guardavano
con pietà, con disgusto! Mi ritrovai di nuovo per
strada…capite? Tutti gli uomini…tutti gli uomini
sono
uguali, sono malvagi, animali, bestie! E io…io li ho puniti.
Ho tagliato via loro ciò che li rende bestie,
così che non potranno mai più fare del male a
nessuno! Io per una volta alla fine ho riso di loro, delle loro smorfie
di dolore, del sangue che gli usciva fuori copioso e del fatto che non
potranno fare mai più del male a nessuna donna! Nessuna
donna sarà più costretta a sentire i loro fiati
puzzolenti, le loro mani sporche, i loro schiaffi, le loro urla! Mai
più! Questo..." con rabbia estrasse la mano destra da sotto
la mantella brandendo un grosso coltello da macellaio. "...Questo!
E’ lo strumento della loro purificazione! Questo!
E’ lo strumento dell’angelo vendicatore!" Oramai
sembrava in preda al delirio. Non piangeva più, vedere quel
coltello fra le sue mani la faceva sentire forte, guardava il capitano
negli occhi, sembrava essersi trasformata in tutt’altra
persona. La ragazzina smarrita non c’era più e
aveva lasciato il posto alla donna vendicatrice che aveva compiuto quei
misfatti. Brandiva quel grosso coltello e ondeggiava avanti e indietro,
un espressione più che furiosa in viso. "Capitano io so che
mi capisci"
Il tono di voce era cambiato, si era fatto più sicuro, e la
voce era più roca per via della rabbia.
"Sì…io so che mi capisci. Ti ho vista sai? Ho
visto come tratti gli uomini che ti stanno
intorno…tu…tu li
odi…sì…li odi…proprio come
li odio io…perché non ti unisci a
me…insieme potremmo essere imbattibili contro quellla massa
di sudici ubriaconi…"
Improvvisamente scoppiò in una fragorosa risata.
"Sì…imbattibili…" ripetè
quasi come un sussurrò. "Allora? Cosa mi dici?" Vide che
fissava il suo coltello. "Non aver paura di me…vedi?"
Alzò le mani "Non lo sto puntando contro di
te…è solo che…mi fa sentire
più sicura".
Rise di nuovo. "Più…forte".
Piegò la testa da un lato continuando a fissare il capitano
negli occhi
"Allora? Capitano?…vuoi unirti a me nella mia vendetta?
Sarà…" Fece una pausa, poi un lungo sospiro.
"...divertente".
Un ghigno malvagio.
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Capitolo 10 *** 10 ***
Lo stomaco di Elena si rivoltò pericolosamente.
Non sarebbe dovuta andare, non avrebbe dovuto vederla e soprattutto non
avrebbe dovuto ascoltare quella storia.
Era un insieme di elementi presi tutti contemporaneamente a provocarle
quella nausea. Una sensazione persino peggiore rispetto a quella che
aveva provato vendendo il corpo
martoriato della prima vittima.
La storia che le aveva raccontato non era poi così
strabiliante in realtà. Purtroppo era una come tante nel
passato, e come sarebbero state in un futuro che non accennava a
cambiare... ma udirla raccontata direttamente da chi l'aveva vissuta,
con quell'inevitabile emozione di dolore, e infine, vendetta,
quell'odio colava dalle sue labbra insieme alle parole quasi si fosse
condensato...
Lo sapeva, l'assassina lo sapeva che le stava facendo quell'effetto...
sapeva che in cuore suo stava tremando di paura davanti a quelle
parole, davanti a quello sfregio che le
sfigurava il viso da parte a parte. Lo sapeva.... sapeva che Elena non
avrebbe mai avuto il coraggio di condannare quell'odio e quella rabbia,
quella ricerca di vendetta...
Ecco perché l'aveva chiamata.
Ma che razza di Capitano era? Il suo dovere era proteggere la sua
città, i suoi cittadini... e quella donna era una minaccia.
Non poteva sapere chi avrebbe trascinato nella sua vendetta, se solo i
suoi... presunti colpevoli, o anche degli innocenti. Non poteva
permetterlo.
Doveva far rispettare la Legge, non poteva lasciare che ognuno facesse
quel che voleva: questo era comportarsi da Capitano. Ma Elena, la donna
che c'era sotto, stava tremando...
"Sì…io so che mi capisci. Ti ho vista sai? Ho
visto come tratti gli uomini che ti stanno
intorno…tu…tu li
odi…sì…li odi…proprio come
li odio io…perché non ti unisci a
me…insieme potremmo essere imbattibili contro quella massa
di sudici ubriaconi…".
Fu un colpo preciso, mirato e potente allo stomaco. Simili a quelli che
l'assassina aveva fisicamente inferto alle sue vittime, non abbastanza
forte per loro, ma per lei pareva avere la potenza di un esercito.
Li odiava... sì, li odiava... e come poteva non farlo?
Come si può essere un umano e riuscire a non odiare chi
vincola la tua libertà solo perché si
è fatti in modo diverso? Chi non riesce ad apprezzare se non
hai il bisogno di un
braccio che ti sostenga, se vuoi farcela da sola. Chi non capisce che
tu possa avere diverse ambizioni oltre a quelle di accudire dei figli.
Pensava a tutto questo, e la mano ancora stretta attorno alla spada
tremò.
Quanto avrebbe voluto che capissero quanto erano costrette a
soffrire... quanto lei era costretta a soffrire.
"Allora? Capitano?…vuoi unirti a me nella mia vendetta?
Sarà… divertente".
Elena la guardò intensamente per qualche istante,
soffermandosi sullo sguardo reso folle da tutto quell'astio maturato in
anni di reclusione, la peggiore, quella in cui smetti di
essere un umano, e diventi un oggetto. Riconosceva la luce della
soddisfazione, di chi ha visto il proprio carceriere soccombere sotto i
propri colpi, di chi lo ha guardato morire con piacere... di chi ha
fatto pagare un prezzo salato a coloro che le avevano inferto tanta
sofferenza...
Ed Elena? Anche lei cercava il suo riscatto... offesa e tradita... non
come l'assassina, certo... ma anche lei per lo stesso motivo.
Perché era una donna.
Elena... lei sì che avrebbe anche potuto accettare... Lo
aveva promesso... aveva promesso che si sarebbe imposta al mondo...
"La mia guerra io l'ho già vinta" deglutì, ma la
voce si era innalzata decisa e ferma. "Quando parlo, gli uomini
rispondono “Sissignora” o “Agli ordini,
Capitano” e non ho mai avuto bisogno di castrare nessuno
perché lo facessero. E non mi importa quello che pensano o
dicono dietro, perché davanti a me, davanti al mondo, mi
devono trattare con il massimo rispetto. Quello che fai non
salverà nessuna donna dal destino che hai subito. Una prova
di forza non farà che aumentare la tensione, e quelle che
pagheranno saranno le donne che il coltello non ce l'hanno a
disposizione. Cerca la tua vendetta, ma non aspettarti che io ti lasci
campo libero per farlo"
Si sarebbe imposta, sì, ma non come lei.
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Capitolo 11 *** 11 ***
La Sfregiata:
"Nè tu, nè nessun altro può fermarmi!"
Il suo tono si feceva sempre più rabbioso, gesticolava
sempre più velocemente. "Credevo potessi capirmi, e invece
no…tu…tu vuoi arrestarmi tu…tu vuoi
che io la smetta non è vero?!
Bhè…sappi che io non mi
fermerò…e lo sto facendo anche per te
Lo capisci?!"
La pioggia continuava a battere incessante, il temporale non accennava
a diminuire e alcuni lampi illuminavano il cielo…seguiti da
fortissimi tuoni che la facevano sussultare
per lo spavento.
Nella sua mente folle cominciò a farsi strada un
idea…aveva assolutamente bisogno del consenso di quella
donna che tanto ammirava…
La sfregiata
"Ho bisogno di tempo". Cominciò a ripetere come una
cantilena, quasi sottovoce, camminando avanti e indietro davanti al
Capitano. "Sì tempo…devi darmi tempo….
Ho intenzione di dimostrarti che anche tu potresti approvare
ciò che sto facendo…
No! Non ti avvicinare…non ti avvicinare.
Oppure potrei sfidarti….a prendermi Capitano…che
ne dici? Questo gioco ti piace di più?"
Le sbraitò ridendo sguaiatamente.
Sì…ti sfido Capitano…
"C’è
una donna….che non merita di essere tradita…"
iniziò a canticchiare come se fosse una filastrocca. "Vuoi
sapere come continua? Bene capitano ti sfido a prendermi…
c’è qualcuno che merita di essere
punito….per averla….ferita!
Entro la mezzanotte di
domani, Capitano, qualcun altro verrà punito….e
allora sono sicura che mi ringrazierai!"
Di nuovo quell’inquietante risata si mescolò al
picchettio della pioggia. D’improvviso urla e bestemmie si
levarono nell'aria sovrastando la sua voce. Un gruppetto di uomini
quasi sicuramente ubriachi si stava avvicinando nella loro direzione,
due di loro si stavano prendendo a pugni.
Uno di loro tirò fuori un coltello, e tutti spinti
dall’antica legge della sopravvivenza si allontanarono dal
losco figuro, formando in cerchio irregolare intorno ai due.
Entrambe si voltarono a guardare la scena, vedeva che il Capitano era
combattuta.
Fu il caos.
Approfittò della confusione e della momentanea distrazione
del Capitano per dileguarsi, non era ancora il momento di farsi
prendere…a dire il vero non lo sarebbe mai stato.
Avrebbe preferito morire e se fosse stato necessario,
l’avrebbe fatto con le sue stesse mani.
Mentre cercava un riparo lontano dal mondo si chiese perché
lei non volesse capire qual era la sua missione. L’avrebbe
costretta ad approvare quanto stava facendo, ne era sicura.
Il prossimo omuncolo da punire….stavolta l’aveva
scelto. L’apice del trionfo.
Sperava che il Capitano avesse capito di cosa stesse parlando. Non
voleva essere fermata, voleva solo essere capita.
Si fermò in un vicolo lontano dalla vita, completamente
fradicia e il coltello sempre stretto in mano nascosto sotto la
mantella. Un buon odore di pane appena sfornato…e lo
stomaco che brontolava. Sbirciò nella piccola finestrella
sopra la sua testa.
Pensò che non aveva nulla da perdere.
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Capitolo 12 *** 12 ***
"Sì, ti sfido Capitano".
Pazza. Non era solo il viso ad essersi sfigurato con quella ferita. Il
coltello in qualche modo doveva averle lesionato anche la mente, non
c'era altra spiegazione.
Forse cominciò a guardarla sotto la giusta luce,
cioè una donna completamente fuori di senno.
Cominciò ad averne quasi paura. Aveva visto che cosa era
capace di fare: i pazzi non si battono alla stessa maniera di un
normale essere umano... era come una bestia feroce e selvaggia.
In che modo aveva intenzione di sfidarla? Non certo un duello, con quel
coltellino lì non sarebbe andata lontano confrontandosi con
la sua spada... Elena avrebbe dovuto ucciderla. Ma nonostante la
freddezza che tentava di tirare fuori dal suo ruolo di Capitano, non ne
aveva il coraggio.
Com'era assassina, contemporaneamente era anche vittima... erano stati
altri a ridurla in quelle condizioni, a renderla pericolosa. Non era
colpa sua.
Ciononostante, Elena sapeva che doveva fermarla al più
presto. Non poteva lasciarla in libertà.
Quando parlò di nuovo, Elena si rese conto di non aver
ancora visto il fondo della sua follia. "C'è una donna...
che non merita di essere tradita..." disse. Solo vagamente, Elena si
accorse di essere quasi ipnotizzata da quelle parole, all'apparenza
senza senso. Avrebbe dovuto disarmarla e trascinarla in vincoli in
caserma.
"Vuoi sapere come continua? Bene, Capitano, ti sfido a
prendermi...c’è qualcuno che merita di essere
punito….per averla….ferita!
Entro la mezzanotte di domani, Capitano, qualcun altro verrà
punito….e allora sono sicura che mi ringrazierai!"
scoppiò a ridere.
Come poteva una persona ridursi in quel modo? Abbandonare a ragione ai
demoni della vendetta. Vendetta che avrebbe logorato lei molto
più che coloro che tentava di punire.
Non l'avrebbe cambiato il mondo, non certo in quel modo.
Alla fine Elena riuscì a comprendere perché
l'aveva chiamata quella sera... e comprese quale sarebbe stato il suo
compito.
"Lascia che ti aiuti" non sapeva bene come. Aveva ucciso delle persone,
e questo comportava la condanna a morte, se l'avesse catturata. Ma se
non l'avesse fatto, avrebbe continuato ad uccidere, fino a distruggere
quel poco che restava di se stessa. La rabbia che aveva provato nei
giorni precedenti verso quell'assassino che la faceva impazzire, si era
del tutto convertita in pietà per chi aveva davanti.
Non seppe mai la risposta della donna, perché in quello
stesso momento, nella locanda poco distante da loro scoppiò
la scintilla di quella che sarebbe divampata presto in una vera e
propria rissa. L'incantesimo si ruppe con quella distrazione come un
bicchiere di cristallo lasciato cadere per terra.
Doveva intervenire... no, non poteva lasciarla fuggire... aveva
intenzione di uccidere ancora, e lei non aveva idea neanche di dove
cominciare a cercarla per poterla fermare.
Quell'indecisione durò un momento di troppo. Quando decise
finalmente quale fosse la priorità, l'assassina si era
già dileguata, e a nulla valse tentare di rincorrerla. Era
come se il buio della notte l'avesse inghiottita, trasportandola
più lontano di quanto avrebbero fatto delle semplici gambe.
Lo stridere metallico delle armi le suggerì l'arrivo
imminente delle guardie per sedare la rissa. Non dovevano trovarla, non
avrebbe mai dovuto essere lì e non aveva intenzione di dare
spiegazioni in merito.
Solo in quel momento, lontano dall'incantesimo della follia
dell'assassina, si rendeva conto della grave mancanza che aveva avuto
nei confronti della polizia andando all'appuntamento da sola, e quanto
lo fosse maggiormente l'essersela fatta sfuggire sotto il naso.
Si coprì lesta con il cappuccio e si allontanò a
passo veloce dal campanile e dalla vista delle guardie, mimetizzandosi
nella notte grazie al mantello nero.
E adesso?
Pensava mentre tornava in caserma, ormai suo alloggio definitivo. Che
avrebbe fatto? Dove l'avrebbe cercata?
Aveva tempo fino alla mezzanotte successiva per farsi illuminare da una
brillante idea.
Se aveva detto che avrebbe ucciso, così avrebbe fatto... E
se ci fosse riuscita, come avrebbe potuto perdonarselo? Gli altri
omicidi erano sì sotto la sua responsabilità, ma
istituzionale, non morale... non era stata avvertita... come era
accaduto quella notte.
C'è una donna
che non merita di essere tradita. C'è qualcuno che merita di
essere
punito, per averla
ferita. Non riusciva a capire. Troppo concentrata sul tono
con cui l'aveva quasi canticchiata. Deliri di una fuori di testa, ma...
se credeva che ci fosse qualcuno da punire, si sarebbe arrogata il
diritto di farlo. Ma chi?
Doveva entrare nella sua psicologia, ma a differenza dell'assassina,
lei era sana di mente... non era facile.
A quanto era riuscita a carpire da quel breve discorso, per lei nessuna
donna meritava di essere maltrattata... e allora quale uomo avrebbe
punito?
Doveva essercene qualcuno in particolare.
La guardia davanti alla caserma stava dormendo praticamente in piedi.
Non avrebbe dovuto, ma per quella volta decise di chiudere un occhio.
Doveva approfittare di quella svista, nessuno doveva sapere che era
uscita.
A passo leggero rientrò nel suo ufficio buio.
Atmosfera adatta per pensare... no, non ci riusciva a pensare... doveva
risposare. Si asciugò superficialmente i capelli fradici con
un panno di stoffa e si sdraiò sulla brandina improvvisata
accanto ad un archivio.
Guardò il vetro infranto della finestra... non riusciva a
pensare... Era poco più lucida di quanto non fosse stata
pochi minuti prima. Quella sfregiata era pazza, sì... ma una
pazza furba. Sapeva di averle fatto effetto e che con l'immagine di
quello sfregio lungo il viso, difficilmente sarebbe riuscita a
concentrarsi in tempo su come risolvere quel caso.
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Capitolo 13 *** 13 ***
6 Aprile 1458
"Dove siete stata ieri notte?"
La domanda la raggiunse lontana e disturbata come se avesse avuto le
orecchie tappate con del cotone.
Erano le sette e un quarto del mattino, mancavano sedici ore e tre
quarti alla scadenza della promessa della sfregiata, ed Elena non aveva
la più pallida idea di dove sbattere la testa.
Era affacciata alla finestra, dalla quale era stato eliminato il vetro
rotto per essere sostituito in seguito.
Guardava la città avanti a sé. Ogni angolo le
sembrava un possibile nascondiglio, ogni uomo che passava una possibile
vittima. Quasi li vedeva camminare già nudi e sfregiati.
Di dormire non c'era stato verso. Appena chiudeva gli occhi, l'immagine
vivida di quella cicatrice riaffiorava come se l'avesse avuta
nuovamente di fronte. Quello sguardo folle, e quella risata maniacale
la perseguitavano.
La domanda del Maresciallo non la colse affatto di sorpresa. Ormai
credeva di aver dimenticato anche cosa significasse la parola
“sorpresa”. Da un po' di tempo a questa parte aveva
cominciato ad aspettarsi di tutto da tutti. Era passata dal ghiaccio
duro e gelido, all'aridità dell'anima più totale,
in cui non sarebbe mai potuto crescere nulla.
Quella notte, a mezzanotte, il mondo avrebbe segnato la definitiva
sconfitta del Capitano Elena. Quelle sedici ore erano solo un'agonia.
Si voltò verso il Maresciallo.
Era un ritratto, come al solito. Non ricordava di averlo mai visto in
qualsiasi altra posizione. Sull'attenti davanti alla sua scrivania,
né più a destra e né più a
sinistra del solito, quasi avesse messo la croce sul pavimento nel
punto esatto in cui i piedi dovevano posizionarsi.
"Dove sono stata ieri notte?" domandò di rimando, quasi
volesse che fosse lui a dirglielo. Lei era troppo stanca.
Stanca di ragionare. Stanca di cercare di interpretare le filastrocche
di una fuori di testa.
Incredibile. Capitano della polizia, e una pazza totale riusciva a
farla perdere in un bicchier d'acqua.
Si lasciò cadere sulla sedia, abbandonando la schiena
all'indietro e le braccia sui braccioli di legno. Lo guardò
con gli occhi gonfi cerchiati dal viola delle occhiaie, due borse che
conservavano al loro interno decine di ore di sonno arretrate.
"Capitano..." c'era solo una leggerissima, quasi impercettibile nota di
impazienza che risaltava rispetto al solito tono apatico. Scomparve,
dopo qualche secondo di pausa e una schiarita di gola. "Vi è
caduto questo dalla tasca ieri sera...".
Elena riconobbe il rotolino di pergamena ancor prima che il Maresciallo
lo aprisse mostrandole il messaggio. Era quello dell'assassina,
arrivatole insieme al sasso il pomeriggio precedente.
Se solo non l'avesse mai ricevuto...
Vedere quel biglietto nelle mani del Maresciallo, non le
provocò alcun effetto particolare. Si limitò ad
annuire lentamente, senza dire altro. "Ho mandato le guardie a
controllare ieri sera, forse troppo tardi. Non ho detto niente a loro.
Vi ho già detto che mi fido di voi... ma vi prego di
spiegarmi per quale ragione siete andata...". Sembrava un padre
paziente, che tentava in tutti i modi di arginare quello che avrebbe
dovuto essere un rimprovero verso la figlia ribelle.
Senza volerlo, Elena ripensò a suo padre.
L'aveva odiata. L'unica figlia che invece di pensare a filare la lana,
si divertiva con armi e bastoni, a giocare al soldato.
Quale uomo al mondo l'aveva mai amata?
Elena sospirò, cercando invano di buttar via quanta
più depressione poteva.
"Riccardo, giusto?" gli chiese all'improvviso. Non gli si era mai
rivolta dandogli del “tu” o chiamandolo per nome.
Persino sul viso imperscrutabile del Maresciallo si intravide crescere
un leggerissimo punto di domanda.
"Come dite?" chiese lui, riuscendo a stento a far uscire la voce dalla
gola.
Elena sorrise con pazienza.
"Immagino sia questo il tuo nome, vero? Oppure i tuoi genitori
avevano tanto senso dell'umorismo da battezzarti Maresciallo?" da dove
uscisse questa nuova lei, non sapeva dirlo, soprattutto davanti a chi
avrebbe dovuto trattare con la disciplina di Capitano.
Doppiamente sorpreso era lui stesso.
"Sì, Riccardo, Capitano". Continuava a chiamarla
così, probabilmente nel tentativo di ricordarle quale fosse
la realtà. Lei non ci badò affatto.
"Siediti" disse indicando una delle due sedie di fronte. La sorpresa
del Maresciallo quadruplicò, se possibile. "Per cortesia"
insistette dolcemente.
Ancora un secondo di esitazione, infine il Maresciallo capì
che Elena non stava affatto scherzando. Obbedì.
"Bene, Riccardo... ora dimmi, quante donne conosci che hanno assunto
una posizione cosiddetta di potere" gli disse, quasi lo stesse
interrogando a proposito della cultura generale.
"Nessuna, oltre voi..." non si aspettava che il Maresciallo osasse
prendersi la sua stessa confidenza chiamandola per nome o dandole del
tu, perciò non gli chiese di farlo.
"Molto bene" approvò Elena annuendo vistosamente con il
capo. "E quante assassine conosci?" la risposta a questa
domanda non arrivò veloce come quella precedente. Il
Maresciallo la fissò a bocca semiaperta per qualche istante,
poi balbettando parve trovare una risposta soddisfacente.
"Be'... be', le streghe..." cominciò, ma Elena interruppe
quella frase alzando appena la mano destra.
"Riccardo, non stiamo raccontando favole ai bambini... Per cortesia,
dimmi quante assassine reali
conosci..." ripeté, sperando in una risposta migliore.
"Solo questa, Capitano..." disse accennando al rotolo di pergamena che
ancora teneva tra due dita. "Spero non vogliate
paragonarvi a lei...".
"Sto solo cercando di fare un ragionamento... Sarà logico
anche per te, Riccardo, pensare che un'assassina del genere, che per
movente si vendica su stupratori, non si rivolgerà mai ad un
membro maschile della polizia" rispose, tentando di
trascinarlo lentamente e con pazienza nel suo ragionamento. Solo in
quel momento la frustrazione di non aver capito niente in quella
storia, esplose anche nelle parole del Maresciallo.
"Gli assassini non si rivolgono alla polizia. Cercano di sfuggirle. E
in ogni caso, non sareste dovuta andare da sola" ricominciò
con il rimprovero, ma Elena lasciò che le scivolasse
addosso, come stava facendo gran parte delle emozioni che avrebbero
dovuto colpirla. Arida come un secchio di sabbia. "Che cosa voleva, in
ogni caso? E perché non è qui?" insistette il
Maresciallo quando capì che non avrebbe aggiunto altro.
"Mi è sfuggita" ammise stancamente Elena stropicciandosi gli
occhi con due dita. "Credo volesse che comprendessi il suo gesto, da
donna a donna, diciamo... che la incoraggiassi a continuare... magari
che l'aiutassi anche".
"Ma...".
"Maresciallo, mi conoscete abbastanza per non dover neanche porre
questo genere di domande" tornò bruscamente ai modi
militari, quasi senza accorgersene. Non avrebbe messo apertamente in
discussione la propria realtà proprio mentre era divorata
dalla colpa proprio in tal senso.
Funzionò, il Maresciallo tacque, quasi imbarazzato di aver
potuto dubitare per un secondo della lealtà di Elena verso
la polizia, verso la sua città.
Elena sospirò di nuovo, crollando ancora in quell'apatia che
ormai aveva conquistato il trono del deserto dentro di lei. "So di aver
sbagliato a decidere di incontrarla senza scorta. Forse semplicemente
sapevo che non mi avrebbe fatto del male, e infatti
non era sua intenzione, altrimenti, ti assicuro, ci avrebbe perlomeno
provato".
Per un momento pensò anche di aggiungere della sfida che le
aveva lanciato. Ma ci ripensò ancor prima di prendere fiato
per parlare. Era inutile renderlo partecipe, non poteva aiutarla.
Qualcosa però, doveva pur dirla, per dare l'immagine di chi,
al contrario di ciò che sentiva dentro, faceva qualcosa per
proseguire le indagini. "Di buono c'è che l'ho vista in
faccia... e ti assicuro che non è un viso che si mimetizza
facilmente...".
Gliela descrisse, fingendo di acconsentire al suggerimento di mandare
le pattuglie a cercare una donna del genere.
Non l'avrebbero mai trovata. Elena l'aveva vista solo perché
era stata lei a decidere di mostrarsi, e non l'avrebbe mai fatto se non
fosse stata comunque certa di essere al sicuro.
Era pazza, mica scema...
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Capitolo 14 *** 14 ***
cp 14
6 Aprile 1458
Le ore successive trascorsero di fretta.
Più pensava, più sentiva che non avrebbe
afferrato la soluzione. Ma di smettere di pensarci, non c'era verso.
Il pigro viaggio del sole primaverile verso ovest non rallentava
affatto la corsa di quella giornata che stava passando veramente troppo
in fretta.
Erano solo le quattro e mezza del pomeriggio, e mancavano sette ore e
mezza alla scadenza, ed Elena si sentiva ancora ferma al punto di
partenza, incollata con le scarpe nella pece.
Aveva optato per una breve passeggiata in città, in mezzo
alla vita comune. Quella vita che le scorreva rapida senza osare
sfiorarla. Vedeva il mercato, le botteghe, il teatro, e
infondo, molto lontano, i campi coltivati.
Cosa sarebbe stato di lei a quell'ora se avesse seguito le parole di
suo padre? Una contadina, dedita al ricamo per ammazzare il tempo nelle
lunghe giornate invernali accanto al fuoco, dei figli, un marito da
attendere, che lavorava e portava a casa il pane.
Di certo non avrebbe ricevuto missive da assassine con manie di
grandezza.
Ma era inutile sognare una vita tranquilla quando sapeva che non
l'avrebbe mai
sopportata. Il Creatore l'aveva maledetta con una foglia in
più rispetto al resto del prato. La sua vita era per
coraggiosi... stolti forse... affatto facile e tranquilla.
Tornò in caserma quando le strade cominciarono a svuotarsi.
Erano le sette di sera. Mancavano cinque ore. Nessuna idea per la testa.
Seduta alla sua scrivania, con le gambe che le dolevano dalla lunga
passeggiata, fissava con occhi vitrei la porta chiusa di fronte a
sé.
Ormai era chiaro: chiunque fosse in pericolo di vita quella notte,
avrebbe fatto bene a scolarsi la sua ultima birra e pagare l'ultima
buona donna... perché nessuno era mai tornato a testimoniare
se l'inferno ne fosse fornito o meno.
Quella cantilena aveva ormai preso piede nel suo cervello, e la
ripeteva nella mente come una ninna nanna, quasi davvero potesse
conciliarle un sonno che non accennava ad
arrivare.
C'è una donna
che non merita di essere tradita. C'è qualcuno che merita di
essere punito, per averla ferita.
Ma chi? CHI??
Le aveva pensate tutte... dal più umile garzone, fino a
pensare addirittura al Vescovo.
Temeva che avrebbe scoperto l'identità della premeditata
vittima solo la mattina seguente, quando una delle guardie, pallida e
in preda alla nausea, le avrebbe portato la notizia.
Sospirò, distogliendo infine lo sguardo dalla porta per
guardarsi le mani... si accorse solo in quel momento che stava
strofinando la base dell'anulare sinistro con il pollice e l'indice
destro.
Una vecchia abitudine. Sì, se la ricordava... quando portava
l'anello.
Scoppiò a piangere.
Che liberazione.
Scoprì di essere ancora capace di piangere... chiaro sintomo
che fosse ancora in vita, quando aveva fermamente creduto di vivere
ormai solo per inerzia.
Quasi come sanguinare... e in effetti, era altrettanto doloroso.
Rinunciò a tenere il conto del tempo che trascorse a
singhiozzare e versare più lacrime di quanto probabilmente
avrebbe mai pensato di fare in vita sua... poteva permetterselo... era
da sola in quella stanza...
Era da sola. Completamente. Non aveva più nessuno su cui
contare, e mai più si sarebbe fidata tanto di nessun altro.
Nessun essere umano merita di restare da solo!
E allora perché? Perché proprio a lei? Per quale
motivo meritava quella punizione??
C'è una donna
che non merita di essere tradita. C'è qualcuno che merita di
essere punito, per averla ferita.
Oh... no...
Bhè…sappi
che io non mi fermerò…e lo sto facendo anche per
te.
Lo capisci?! ...
Ho intenzione di
dimostrarti che anche tu potresti approvare ciò che sto
facendo…
Entro la mezzanotte di
domani, Capitano, qualcun altro verrà punito….e
allora sono sicura che mi ringrazierai!
Bene, Capitano, ti sfido
a prendermi...
Oh... no... no... no...
...vostro marito
dovrebbe ringraziare il Creatore ad ogni ora del giorno e della notte
per la fortuna che gli è stata concessa...
Di nuovo così stupida... di nuovo così cieca...
Non ricordava di averlo ordinato al cervello, forse non era stato
quello a mandare l'impulso, in effetti... ma era scattata in piedi, ed
era corsa fuori dal suo ufficio.
Aveva girato quasi l'intera città quel pomeriggio e non
l'aveva visto... era stata lei a dirgli di andarsene.
Santo cielo, ancora non poteva credere che fosse possibile... era... un
vero e proprio incubo.
Uscì fuori dalla caserma, dove avevano avuto la loro ultima
conversazione... ma sapeva già che non l'avrebbe trovato.
Non ci aveva neanche fatto caso quando era uscita, né quando
era rientrata...
Corse di nuovo dentro, sotto gli occhi perplessi di una delle guardie
di turno.
"Maresciallo!" esclamò quando lo vide nel corridoio. Subito
scattò nel saluto militare quando la vide.
"Capitano" disse, ma lei non aveva tempo per i convenevoli.
"Avete una vaga idea di dove possa essere mio marito?"
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Capitolo 15 *** 15 ***
cp15
La Sfregiata
6 Aprile 1458
Il tempo scorre veloce tra le tue dita.
L’ennesima notte per strada, sei invisibile quando non sei
nessuno e non vali niente.
Unico pensiero fisso….che il Capitano avesse capito.
Unica speranza, trovare l’omuncolo impunito.
L’aveva seguita, osservata.... da quando l’aveva
vista la prima volta china sulla sua prima vittima, intenta ad
analizzare il cadavere.
Sapeva dove abitava, sapeva che la sua vita era divisa fra la sua
abitazione e la caserma.
Sapeva di suo marito. Ma non sapeva dove trovarlo.
Era riuscita a mangiare senza versare un'ulteriore goccia di sangue, e
questo la faceva sentire stranamente sollevata.
Nascosta come sempre aveva ascoltato la conversazione fra lei e suo
marito…ma disgraziatamente non le era venuto in mente di
seguirlo.
Ancora non sapeva cosa avrebbe voluto fare.
Aveva vagato per la città tutta la mattina, sedendosi ai
bordi dei viottoli, come in un precario stato di trance alzando lo
sguardo di tanto in tanto, per vedere se il passante di
turno impietosito era adatto e disposto a sganciarle qualche ducato.
Spesso veniva insultata e schernita in malo modo ....
“Ehi non provare ad avvicinarti…feccia!”
Oramai era abituata a ciò.
Le scivolava addosso, esattamente come la pioggia battente della sera
prima.
Se il Capitano avesse capito si sarebbe diretta immediatamente nel
luogo in cui era suo marito, inizialmente ipotizzò che
poteva essere tornato nella loro casa.
Seduta per l’ennesima volta si guardò i piedi,
scalza, le facevano male, erano pieni di vesciche.
Il selciato di certo non aiutava.
Trovò rifugio in quella zona della città dove i
bambini scalzi giocavano con le pozzanghere lasciate dalla pioggia, e
dove il fetore degli escrementi degli animali che
circolavano liberi si mescolavano a quello delle persone. Dove le case
erano fatiscenti e quasi costruite l’una
sull’altra, dove se volevi vivere non avevi altra scelta che
rubare,
dove chiunque con un po‘ di ducati in tasca e un
po’ di avventatezza ci si avventurava per sbaglio, moriva
senza essere più trovato. Ma a lei vestita di stracci quel
posto non poteva che essere familiare, ci era nata e ci aveva vissuto
prima di entrare a far parte della squadretta di madame d’Ou
e dopo, quando era stata cacciata. Trovava riparo nei fienili, o in
mezzo alle mangiatoie abbandonate, inutilizzate e sporche tra una
baracca e un rudere.
Organizzò stranamente i pensieri. C’erano due
possibilità, restrinse quindi il campo di ricerca alla loro
abitazione e alle taverne della città. Decise che avrebbe
lasciato per
ultima l’abitazione. Dopo quanto era accaduto era la meno
probabile. Rimase a pensare seduta vicino ad una mangiatoia,
rannicchiata, la testa fra le ginocchia tra le urla dei
ragazzini che ora litigavano, ora giocavano senza curarsi di lei e
della loro mera condizione di vita. Quando rialzò la testa
era quasi il tramonto. Le aveva detto
mezzanotte. Ma in realtà non sapeva quando sarebbe stata,
quando sarebbe arrivata la mezzanotte. Avrebbe potuto regolarsi con i
rintocchi delle campane della chiesa più
vicina, ma le capitava spesso di confondersi, com'era successo la sera
prima...non sapeva definire bene quanto tempo avesse aspettato sotto al
campanile. Si rese conto di essere un ‘incosciente, aveva
parlato a vanvera spinta dall’enfasi della situazione e del
momento.
Il suo girovagare continuo per la città l’aiutava,
conosceva esattamente quante taverne c’erano in
città.
Cinque.
Il crepuscolo.
Si alzò per raggiungere la prima.
A piedi scalzi e dolenti, cominciò con quella non molto
lontana da dove si trovava. Una taverna frequentata per lo
più da gente come lei, una taverna fatiscente e
maleodorante, dove se volevi sederti dovevi chiedere permesso ai ratti.
Sbirciò dentro. Un uomo seduto con la testa appoggiata sul
tavolo. Non era chi stava cercando.
La seconda taverna. Di media grandezza, frequentata per lo
più da membri della giustizia cittadina, in effetti la
trovò piena di soldati e gendarmi in splendente divisa, che
invece di fare il loro lavoro si ubricavano lontano dagli occhi dei
loro superiori.
Eccolo lì.
Diamine che fortuna.
Troppa fortuna.
Davvero troppa.
Inverosimilmente troppa.
Il solo guardarlo, le creava un moto di rabbia proveniente direttamente
dalle viscere.
Quella sì che era feccia. Come poteva il mondo esser
popolato da tanta feccia.
Come potevano essere loro-gli uomini- portatori della vita.
Come poteva quell’uomo con la testa ciondolante e i gomiti
appoggiati sul bancone essere colui che quella donna che tanto
ammirava, amava o aveva amato.
Si rese conto che non poteva saperlo e ebbe un momento
d’indecisione. Lo osservava da quella finestrella sbarrata
che dava dirtettamente sulla strada.
Era ubriaco, e parlava con un altro uomo. Un uomo che lei aveva
già visto in quegli ultimi giorni.
Vide una donna avvicinarsi ai due con fare lascivo. Riconosceva quei
modi, perché erano stai insegnati anche a lei.
Poi l'altro se ne andò.
La rabbia, il disgusto, il disprezzo, si fecero spazio nel suo stomaco
infinitamente vuoto.
Lo vide mentre allungava una mano verso la donna, stava quasi per
sbilanciarsi dallo sgabello quando quella stessa mano
atterrò sul seno di lei.
L’avrebbe atteso uscire. Il coltello ben saldo nella mano
destra sotto la mantella. Si sedette nel vicolo proprio accanto alla
porta della taverna. Prima o poi sarebbe dovuto
uscire per far ritorno a casa.
Scende la notte.
Il coltello ben saldo nella mano destra.
Il momento era giunto.
Come le era accaduto nei giorni precedenti dimenticò ogni
cosa. Dimenticò persino il Capitano. Una volta che
l’obiettivo era focalizzato, non esisteva più
nulla.
Solo lei, il suo coltello e chi sarebbe stato punito.
Seduta in quel vicolo buio, nascosta dal favore delle tenebre, si
chiese se Aristotele approvasse quanto stava facendo. Una voce nella
sua testa le disse di sì. Aristotele aveva
fatto sì che lei lo trovasse senza troppa fatica. Aristotele
punisce i traditori. Lei era lo strumento della punizione divina.
La sua pazienza sembrò essere ripagata.
Udì la stessa voce che aveva implorato perdono il giorno
prima, e si tenne pronta.
Sbirciò oltre l’angolo del vicolo per assicurarsi
che il traditore fosse solo.
Con un boccale in mano, ciarlava da solo e piangeva quasi. Si sporse
allungando la mano sinistra fuori dalla mantella
"Messer fate la carità ad una poveraccia messer,
v’imploro fate la carità" Disse a testa bassa con
voce tenera, quasi dolente
Lui d’apprima noncurante, si girò a guardarla
avvicinandosi..
"Ehi…fatti vedere sotto quel cappuccio…magari
possiamo…Aaaargh!"
Senza pensarci due volte, afferrò una sua mano per attirarlo
a se nel vicolo, velocemente tirò fuori il coltello con
l’altra e lo infilò
nell’addome dell’uomo, che sentì
l’urlo
scomparirgli in gola soffocato dal sangue che non trovò
altra via d’uscita che dalla sua bocca. Lo pugnalò
con talmente tanta rabbia e forza, che l’uomo rimase per
alcuni istanti in piedi di fronte a lei, bloccato, sospeso fra la vita
e la morte, trovando la volontà per scostare dal viso della
sua truce assassina il cappuccio, per scoprire quel disgustoso sfregio
che aveva in viso, guardarlo per un attimo e accasciarsi al suolo
accompagnato dolcemente dal coltello che gli si rigirava nelle viscere.
Un ghigno soddisfatto e compiaciuto comparve sulle labbra della
sfregiata.
L’osservò per un attimo agonizzare a terra, si
chinò per afferrarlo per i piedi e trascinarlo
nell’oscurità per terminare l'opera quando uno
scalpitìo di passi e voci concitati si
avvicinava nella sua direzione….doveva fare in fretta.
Ma quell’uomo era davvero pesante per lei. E chiunque fosse
passato di lì avrebbe notato una testa spuntare dal vicolo.
Sperò nell'indifferenza dei passanti, colonna sonora della
sua esistenza.
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Capitolo 16 *** 16 ***
Note: Il capitolo di
Francesco è stato scritto interamente dalle mani sante di
Lupa. Io ti odio! ç_ç
Francesco
6 Aprile 1458
Avrebbe fatto di tutto per poter tornare indietro per non aver mai
compiuto mai quel passo.
Era un uomo sì ed era debole.
Non aveva saputo tenerle testa, lei era così migliore di lui.
Non avrebbe dovuto ascoltare i suoi amici quella notte di qualche
settimana prima, per gioco dicevano, noi tutti abbiamo
un’amante e mettevano in dubbio la sua virilità.
Da quanto tempo non stringeva Elena…
E Marietta non era affatto male, rotondetta e sciocchina,
iniziò a corteggiarla per scherzo, qualche bigliettino, non
avevano neanche consumato, qualche bacetto, per non perdere la faccia
con Lorenzaccio, il Guercio e Ramon, il nuovo amico spagnolo che
vantava conquiste in tutta la Castiglia e mezzo Impero.
Non voleva essere da meno ed era stato debole, Marietta era sciocca
sciocca.
"Era bellina ma sciocca proprio come te" disse alla ragazza discinta al
suo fianco, voleva avvicinarsi e spiegarle bene quanto era sciocca
Marietta ma il poco sangue che gli scorreva nell’alcool che
aveva nelle vene si raggelò quando, sbagliando mira, la
appoggiò sul suo seno per non cadere dallo sgabello.
Avvampò.
"Si può sbagliare una volta, non due" le disse biascicando.
Ramon era stato a sentirlo per mezza sera, lo aveva fatto ubriacare ma
deplorava le condizioni in cui Francesco si era ridotto. Per la moglie
poi!
Così lo aveva abbandonato per andare a riempirsi di gonorrea
in qualche altro bordello. Inconcepibile per quel collezionista di
sottovesti piangere in pubblico per una donna, per una moglie, la
compagna istituzionale, quella che doveva procreare e stare in un
angolo, millantava machismo Ramon, era Castillano lui.
Ma lui non c’era la prima volta che aveva capito che Elena
non era solo la sua compagna di giochi, la prima volta che aveva
assaggiato il sapore delle labbra di lei, non c’era
quando per la prima volta aveva sentito il contatto con la sua pelle
dopo quel giorno di balli e parenti, padre Onorio aveva detto
“per sempre” proprio così, lo ricordava
ancora Francesco.
Lo scosse un singhiozzo, guardò la ragazza:
"Tu non ti puoi chiamare Elena, non sai conversare come lei, li vedi?"
Indicò la platea di militari nella bettola.
"Tutti questi omaccioni tremano ad un suo sguardo e lei non mi ha mai
tradito, mai, nonostante quel maresciallo, ah lui. Dev’essere
innamorato di lei, dev’essere che mi vuole portare via Elena".
Poi trasse un plico di lettere. "Me le ha mandate lei in tutti questi
anni, vedi com’è grosso il pacco? Le ho portate
con me, avrei voluto che le rileggesse, che non dimenticasse, che non
mi dimenticasse". Continuò a delirare finché la
ragazza in silenzio non tirò fuori una boccetta da una tasca
e gli applicò un po’ di unguento
sull’occhio tumefatto.
Chiese solo: "E questo?".
"È stato lui, quel Maresciallo, ma aveva ragione forse, che
mi uccidessero pure a questo punto, tanto a che valgo?"
mugugnò Francesco tra il dolore per l’applicazione
e il sollievo immediato che ne traeva.
"Sai," riprese la ragazza riponendo la boccetta, "con i lividi quelle
come me ci devono convivere piuttosto spesso". Sorrise di un sorriso
amaro che l’uomo colse nonostante l’ubriachezza.
Poi gli disse: "Sei un brav’uomo, normalmente quelli a cui
accadono vicende come le tue vengono a sfogarsi e non a parole, con
quelle come me. Torna a casa, domattina fatti un bagno e ripresentati
da lei con le lettere. Sono sicura che neanche lei ti ha dimenticato,
spiegale la vicenda, non aspettarti perdono immediato, dovrei seguirla
piano piano.
Ora va che non voglio che si accorgano che sto a conversare, devo mio
malgrado guadagnare qualcosa".
Francesco in uno sprazzo di lucidità le lasciò
tutti i ducati che aveva in tasca.
"Così per un paio di giorni potrai stare tranquilla" le
disse abbracciandola.
Ripose il plico delle lettere dentro la camicia, in modo da non
perderle e uscì dalla taverna e stava come quegli ubriachi
che dopo la malinconia pensano di avere finalmente
in mano la soluzione a tutti i loro problemi e nell’euforia
della bontà ricevuta pensava di andare in giro a scambiare
il favore.
Quando la mendicante gli si avvicinò non aveva
più denari, ma voleva ugualmente sperimentare la sua nuova
attitudine era incappucciata:
"Ehi…fatti vedere sotto quel cappuccio…magari
possiamo…Aaaargh!" voleva vederla in viso ma lei fu
più veloce.
Successe tutto in un attimo, i colpi alla pancia, le lettere tentava di
mugugnare Francesco tra il dolore e l’alcool, le lettere.
Per il colpo la vecchia ulcera allo stomaco, frutto di pessimi ranci in
tempo di guerra si riaprì, troppo alcool e digiuno in quei
due giorni e il colpo fatale.
Vomitava sangue e sentiva dolore ai visceri, Elena non avrebbe
più potuto leggerle quelle lettere, così rotte e
imbrattate di sangue che ora sentiva scorrergli anche
dall’addome.
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Capitolo 17 *** 17 ***
17
6 Aprile 1458
Le lame scintillano quando sono sotto la luce del Sole. Invece quando
questa manca, diventano praticamente invisibili ma non intangibili, e
il loro soffio delicato, lo si distingue
subito.
Così, quando il filo di una lama accarezzò quasi
dolcemente la gola della sfregiata, questa si irrigidì.
"Come si dice: tra moglie e marito..." disse la voce di Elena
dall'ombra, disumana come neanche lei avrebbe mai creduto di riuscire
ad essere. Lasciò in sospeso il proverbio: "Stai ferma!"
esclamò, sorprendendo se stessa della forza che impresse in
quell'ordine, e del brivido di rabbia che le percorse il braccio fin
quasi a far vibrare la spada. "Fai solo un altro passo verso di lui, e
lo sfregio sulla faccia sarà la tua ultima preoccupazione,
te lo prometto".
Era in una specie di
trance. Aveva solo la vaghissima idea di ciò che realmente
stava facendo.
Non sapeva che ore
fossero, ma era cosciente che fosse maledettamente tardi. Se solo
l'avesse capito prima, l'avrebbe raggiunto a casa, e magari convinto a
non uscire.
Invece, il Maresciallo
le aveva detto che lo aveva visto bazzicare nei dintorni di una
locanda, una di quelle che sapeva essere frequentata anche da tanti
suoi sottoposti.
Un posto affollato,
certo, dove la sfregiata non si sarebbe mai neanche sognata di
avvicinarsi... ma se solo ne fosse uscito...
"Nonostante tutto...
siete ancora innamorata di lui..." commentò piano il
Maresciallo mentre correvano dalla caserma per inoltrarsi nelle viscere
più strette della città, dove l'occhio della
legge non vedeva, o fingeva di non vedere.
Elena non si rese
neanche lontanamente conto che quella non fosse il genere di domande
che normalmente avrebbe apprezzato.
Sii sincera... fu l'eco
nella sua mente.
Sincera come lo erano le
gambe che correvano senza che la sua mente le guidasse. Sincera come la
mano destra che impugnava la spada, pronta a sguainarla... La
sincerità era la ragazza che stava correndo, non il Capitano
che parlò:
"Se non arrivo in
tempo... sarà tutta colpa mia" rispose. Era la
verità. Una delle tante...
"Come fate ad essere
certa che andrà da lui?" le chiese ancora il Maresciallo.
Teneva perfettamente il passo di corsa di Elena grazie all'ampia
falcata.
"Me l'ha praticamente
detto". E se solo ci fosse arrivata prima, adesso non avrebbe patito la
pessima sensazione che fosse già troppo tardi.
Perché?
Perché non ci aveva pensato?
Sii sincera...
Sincera? Sincera voleva
dire... ammettere di non aver pensato a lui tra le possibili vittime
perché... perché non lo avrebbe mai messo tra i
delinquenti che erano morti sotto la lama della sfregiata. Le aveva
fatto male, certo, di una ferita che nessun unguento sarebbe stato mai
capace di sanare. Sapeva che non si sarebbe mai più fidata
di lui... sapeva di non poterlo perdonare, come non avrebbe mai
perdonato se stessa se non fosse arrivata in tempo.
Sii sincera...
Ammettere che non
sarebbe mai stata capace di amare nessun altro oltre lui... Ed era
esattamente questo che da quando aveva letto quella maledetta missiva,
la stava uccidendo.
Sincera così va bene?
pensò con rabbia. Una sincerità che odiava.
Preferiva di gran lunga l'altra spiegazione, quella dei doveri da
Capitano della polizia che la spingevano a correre per salvare una
vita, cosa che non era riuscita a fare le altre volte.
"Entrate nella taverna e
recuperate i soldati più sobri che ci sono, se ce ne sono...
poi seguite il suono della mia voce".
Elena parlava a voce alta e chiara, mentre grazie ad una lievissima
pressione del filo della spada, spingeva di qualche passo indietro la
donna, allontanandola dal corpo di Francesco.
Non osava guardare. Nella sua mente non era ancora tutto perduto, e
così ancora avrebbe dovuto rimanere. Non era il momento
adatto per crollare.
"Questa volta l'hai fatta fuori dal secchio. Potevo... capire... quando
volevi vendicare te stessa, ma non permetto a nessuno di vendicare
me... Quello resta un mio diritto inalienabile" aggiunse a voce
più bassa. La sfregiata la guardò ma non disse
nulla.
Infine i passi accompagnati dal rumore del ferro delle armi sguainate
anticiparono ombre che accorsero nel vicolo.
"Capitano" si annunciò la voce del Maresciallo.
"Portate questa donna in caserma. È accusata di omicidio
plurimo volontario..." gli rispose, senza staccare gli occhi da quelli
della sfregiata. "E non osate neanche torcerle un capello... o ve la
vedrete con me" aggiunse immediatamente.
Due guardie la presero per le braccia. La donna urlò e
cominciò a divincolarsi, ma la stretta ferrea le impediva in
qualsiasi modo di liberarsi.
Smise di guardarla ed infine si inginocchiò al fianco di
Francesco. Sanguinava, e rantolava... era ancora vivo... ma non sapeva
stabilire per quanto tempo, se non avessero fatto qualcosa.
Il cuore sbatteva contro le costole, quasi urlando di uscire. Forse
poteva ancora fare qualcosa.
"Chiamate in fretta un cerusico... sbrigatevi!" ordinò alle
altre due guardie, che non osarono farselo ripetere una seconda volta e
corsero in direzione opposta agli altri due, per andare a svegliare il
cerusico.
Come poco prima, mentre correva, lasciò che fosse l'istinto
a guidarla... perché la ragione non avrebbe retto alla vista
del sangue che sgorgava dalla bocca di Francesco.
L'istinto del militare che è stato in guerra, la
portò a sbottonargli la camicia.
Elena, la ragazza che stava dietro il vetro ad osservare, riconosceva
vagamente quel corpo... come riconobbe l'anello che portava legato ad
una catenina al collo. Non poteva
leggere cosa ci fosse scritto, ma avrebbe scommesso la mano destra che
fosse quello di canaglia.
Quando un brivido le scosse le mani, si accorse che la campana di vetro
si
stava infrangendo, e corse subito ai ripari.
"Vorrei sapere se anche l'altra dolcissima dama sarebbe stata in grado
di provare a stabilizzarti mentre arriva il cerusico, marito mio..."
commentò a mezza voce.
Diversi fogli di pergamena imbrattati di sangue fuoriuscirono dalla
camicia quando l'aprì sul ventre, all'altezza della ferita.
Ma che diavolo...?
Non poteva leggere cosa ci fosse scritto, ma si trovò a
benedirle. Era un plico di un certo volume, e gran parte della lama si
era persa dentro di esso piuttosto che nell'intestino di Francesco...
sebbene stesse comunque perdendo una quantità preoccupante
di sangue, un bagliore di speranza si riaccese nella mente di Elena,
sempre confinato al di là del vetro, ma presente.
"È meno grave di quanto pensassi..." disse la voce del
Maresciallo, alle sue spalle. Elena sussultò, non si era
accorta che fosse ancora lì. In effetti, si era dimenticata
che il mondo stava continuando a ruotare intorno a lei, nonostante
tutto.
Elena non rispose, finì di togliergli la camicia e gliela
legò con un forte nodo all'altezza della ferita, per fermare
l'emorragia, o almeno quella interna. Francesco urlò dal
dolore
sputando ancora sangue.
"...ancora sette giorni
e potrò tornare. E quando lo farò, voglio che sia per sempre..."
disse ancora il Maresciallo, con l'espressività di chi legge
qualcosa a fatica.
Elena si voltò di scatto verso di lui... vide che aveva
raccolto una pergamena ed acceso un fiammifero per leggere... non era
la prima volta che udiva quelle parole. "Riconosco la grafia"
commentò rauco il Maresciallo mentre il fiammifero si
spegneva inesorabilmente.
"Lo scrissi io..." disse Elena lasciando scorrere due lacrime.
Ormai il vetro si era infranto, ed erano state le sue stesse parole a
farlo.
Le sue lettere avevano smorzato la violenza del pugnale. A quanto
pareva, in qualche modo... era arrivata in tempo.
Ma non ci fu tempo per aggiungere altro, perché il cerusico
e gli altri due soldati arrivarono di corsa nel vicolo.
Elena decise di fare spazio a mani più esperte, ma non prima
di aver tolto la catenina con la fede dal collo di Francesco.
"Non ti posso
perdonare..." pensò. Fu estremamente grata al
Maresciallo, che si prese la briga di intervenire al posto suo. Non
voleva alzare lo sguardo verso i soldati e mostrare loro che aveva
anche un lato umano... era sbagliato... e controproducente.
"Tu raggiungi i tuoi compagni in caserma... tu, invece, aiuta me e il
cerusico e portare quest'uomo in un posto più consono per
essere curato" ordinò ai due soldati, che eseguirono senza
osare proferire verbo.
Poté scambiare non più di un'occhiata di
gratitudine con lui, prima che sparisse insieme agli altri.
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Capitolo 18 *** 18 ***
18
6 Aprile 1458
La Sfregiata
"Come si dice: tra moglie e marito..."
Quelle parole la raggiunsero affilate come la lama che sentiva premerle
sulla gola. "Stai ferma! Fai solo un altro passo verso di lui, e lo
sfregio sulla faccia sarà la tua
ultima preoccupazione, te lo prometto".
Avvertiva chiaramente la rabbia e la serietà che quella voce
traspariva.
Il Capitano aveva capito. E l’aveva raggiunta prima che
potesse portare a termine la sua missione.
Rimase pietrificata mentre la sua mente folle decideva se essere
contenta oppure no di quanto stava accadendo.
Ma lei non voleva essere fermata. Voleva essere solo capita.
E da come il Capitano le premeva la lama sulla gola, capì
che le cose non stavano andando esattamente come aveva sperato.
Il cuore sembrò fermarsi.
Il tempo sembrò fermarsi.
Sperò che quella lama le affondasse dentro.
Stranamente i suoi pensieri si concentrarono per un attimo sulla
sensazione che le dava il sangue caldo che le rigava le mani dopo la
ferita provocata alla vittima. Ogni volta
pensava che era una sensazione piacevolissima. Sentire la vita di
qualcuno che ti scivola fra le dita.
Il Capitano continuava a parlare, stava dicendo qualcosa, impartiva
ordini, percepiva la sua voce lontana…
"Potevo... capire... quando volevi vendicare te stessa, ma non permetto
a nessuno di vendicare me... Quello resta un mio diritto inalienabile".
Come se fosse regredita improvvisamente ad uno stato infantile, non
riuscì a capire e a cogliere fino in fondo il significato di
quelle parole. O forse semplicemente non
voleva…e la sua mente faceva il resto. La guardava negli
occhi, ma in realtà era come…assente.
"Portate questa donna in caserma. È accusata di omicidio
plurimo volontario... E non osate neanche torcerle un capello... o ve
la vedrete con me".
Cosa stava succedendo?
Era reale ciò che vedeva o era solo il frutto di un incubo?
Si trovava davvero in quel vicolo buio con una lama puntata alla gola?
A riportarla alla realtà furono le forti pressioni che
sentì quando le due guardie la preserò per le
braccia, quasi stritolandole per non lasciarla scappare.
Il suo corpo reagì istintivamente risvegliato da quello
strano dolore.
"Lasciatemi!" Cominciò a cercare di divincolarsi, scalciando
come un mulo e dimendandosi a più non posso. "Vi ho detto di
lasciarmi! Luridi porci! Non avete il diritto di toccarmi!"
Le due guardie ridevano e la schernivano
"Stai buona assassina!"
"Lo sai che fine fa la feccia come te!"
"Saremo in prima fila quando ti faranno penzolare da una forca!"
Uno di loro la strattonò per farla camminare e insieme la
trascinarono via, lontano dal capitano e da quella che sarebbe dovuta
essere l’ennesima vendetta.
La forca…se avesse deciso di morire, era sicuro che
l’avrebbe fatto accadere per sua stessa mano e
volontà.
Doveva assolutamente trovare un modo per scappare.
Muovendosi alla cieca diede un calcio ad una delle due guardie con il
tallone, e nonostante fosse a piedi nudi, riuscì a
procurargli un certo fastidio.
"Ah! Brutta bagascia!"
Per tutta risposta la guardia colpita gli diede un manrovescio, e
l’altra invece di tenerla, lasciò che perdesse
l’equilibrio e andasse a sbattere contro il muro.
La sfregiata si accasciò a terra, stordita.
La guardia le si avvicinò e la tirò su
prendendola per il collo, trovandosi faccia a faccia con lei, talmente
vicino, che poteva sentire il suo alito fetido di alcool e la puzza
della
taverna in cui era fino a qualche momento prima.
"Allora…" le alitò in viso "Lo vuoi capire che
per te è finita?"
La sfregiata per tutta risposta gli sputò in faccia, e prima
che la guardia facesse in tempo a dargli un altro ceffone gli diede una
ginocchiata tra le gambe.
La guardia cadde in ginocchio dolorante e intervenne l’altra
per tenerla ferma. Un grosso panzone lento e ubriaco, che
provò a prenderla da dietro per fermare la sua fuga.
La sfregiata si trovò con la sua mano sulla bocca, e gliela
morse come se fosse un cane rabbioso, così forte da fargli
uscire il sangue. La guardia ritirò istintivamente la mano,
ma un pezzo di carne rimase tra i denti della sfregiata, che aveva
cominciato a correre per fuggire prima ancora di sputarlo via.
Fuggire…nascondersi…ma dove?
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Capitolo 19 *** 19 ***
19
6 Aprile 1458
Rimasta praticamente sola in quel vicolo, annegava nella confusione
più totale. Quella giornata era stata... decisamente lunga.
E aveva come la netta sensazione che non avesse ancora toccato il fondo.
Sperava che fosse solo un'impressione, perché ne aveva
veramente abbastanza, almeno per quella sera.
Sapeva che la storia non sarebbe finita, che c'era ancora un'assassina
di cui occuparsi.
Quale sarebbe stato l'epilogo? Non era difficile da immaginare. Non
c'era pietà per gli assassini, e una del genere... nel giro
di ventiquattro ore si sarebbe trovata nel caldo
abbraccio di un falò.
Era giusto così, si costrinse a pensare, quella sfregiata
aveva ucciso delle persone, e come tutti gli altri doveva pagare... Ma
ad essere sincera, Elena non era troppo convinta.
Sì, è vero, aveva appena tentato di uccidere suo
marito, e non era molto chiaro se ci fosse riuscita o meno... tuttavia,
non riusciva a bloccare la sua mente sull'odio, correva troppo veloce.
Il Capitano della Polizia è la legge, e deve farla
rispettare, e ciò avrebbe fatto, ma nonsignificava che
dentro di sé non potesse dubitarne.
La sfregiata (le veniva strano persino chiamarla in quel modo... doveva
pur avere un nome
normale), era una reazione. Una reazione perfettamente
umana ad una condizione
sbagliata.
Certo, esistevano reazioni migliori rispetto a quella di castrare
cadaveri... ma era semplicemente un'altra lingua con cui esprimersi.
Una lingua barbara e brutale, ma
l'unica che avesse mai conosciuto nella sua vita. Senza contare la sua
evidente infermità mentale.
Ma c'era ben poco di cui crucciarsi. La legge avrebbe fatto il suo
corso, e la legge non ammette ribellioni. Quanto ad Elena non avrebbe
osato impedire che il destino si
compisse. Forse era meglio così anche per lei: che cosa
aveva da vivere in quel mondo oltre che la vendetta che le avrebbe
soltanto corroso l'anima?
Pensava a questo, oltre che a quelle missive che aveva visto colare
insieme al sangue di Francesco dalla sua pancia... perché
diamine le aveva portate con sé? Cosa sperava di dimostrare?
Che c'era stato un tempo in cui era innamorata di lui...? Se lo
ricordava bene anche lei, e non era stato neanche troppo tempo prima...
C'era qualcosa che non andava nell'aria di quel vicolo... qualcosa di
sbagliato...
Strinse gli occhi per scorgere due sagome contorcersi sulla strada,
mentre un'altra, spettrale come un fantasma, stava correndo. Elena
impiegò molto meno di un secondo a
risvegliarsi dal torpore e capire cosa stava accadendo.
Si ritrovò a correre dietro quell'ombra ancor prima che si
rendesse conto di esserselo ordinato.
Piccola bastarda...
pensò tra sé e sé.
Scavalcò di netto i due soldati, senza neanche curarsene,
era certa che sarebbero sopravvissuti, erano solo appesantiti
dall'alcol, e di questo la sfregiata come al solito
doveva aver approfittato. Ma non doveva essercene un terzo? Eh
sì, il Maresciallo ne aveva mandato un altro, ma
quell'idiota doveva aver pensato bene di prendersi un'ultima birra, che
per quanto la riguardava poteva anche essere l'ultima della sua
carriera.
Magra com'era quella maledetta era assurdamente veloce, ma gli anni di
addestramento sulle spalle di Elena davano i propri frutti. Almeno
riusciva a starle dietro.
Non poteva perderla di vista, anche un solo secondo di distrazione
sarebbe stato di troppo. Avrebbe potuto sparire da un momento all'altro
senza lasciare tracce come aveva già fatto in passato.
Chissà dove la stava conducendo. Era certa che sapesse
perfettamente che la stava seguendo...
Salirono sul ponte a tutta velocità. Non accennava a
rallentare.
Quando la vide correre di corsa verso la ringhiera, l'immagine che si
generò spontanea nella sua mente era talmente agghiacciante
che non riuscì a continuare a correre e frenò
quasi in scivolata.
"Fermati!!" gridò. La donna sembrò pietrificarsi
affacciata al parapetto del ponte. Sotto i loro piedi, impetuoso
scorreva il fiume, veloce e menefreghista quanto il tempo.
La sfregiata si voltò lentamente verso di lei. Al buio era
praticamente impossibile distinguere i tratti del suo viso, ma poteva
perfettamente immaginarlo. Era scolpito nella sua memoria e
lì sarebbe rimasto per sempre.
Elena trovò il coraggio di fare un passo in avanti, ma
l'altra parve mettersi sulla difensiva. Si bloccò subito,
prima che facesse qualche passo avventato. "Non voglio farti del male,
lo giuro!".
Era strano... ma era vero.
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Capitolo 20 *** 20 ***
20
6 Aprile 1458
La sfregiata.
Era dietro di lei.
Ed anche maledettamente vicina.
Il coniglio che corre in fuga dal lupo.
Corri Agnes, non può finire così. O forse
sì?!
In fondo non aveva nulla da perdere. Quanto valeva la sua vita?
Quanto valeva a quella missione che aveva intrapreso?
Quanto valeva la sua vendetta?
Stava nuotando in un mare di confusione. E proprio nel momento
più alto della sua corsa sconclusionata, vide profilarsi per
lei la soluzione di tutto.
Il ponte che attraversava il corso d'acqua principale e collegava
quella zona più o meno malfamata della città al
fetido borgo dov'era nata.
E' fondamentale che ci sia una spartizione netta tra i buoni e i
cattivi.
Decise in quel momento che la sua fine sarebbe stata lì, nel
mezzo, e si scagliò come una furia pronta a lanciarsi oltre
quella ringhiera che la separava dall'inferno alla libertà
eterna.
"Fermati!"
Il suo cuore si cessò di battere dinanzi alla vista del
fiume che scorreva impetuoso sotto di lei a causa della pioggia della
notte precedente, e della voce cristallina del Capitano
che le ordinava di fermarsi. Le stava ordinando di non buttarsi. Le
stava chiedendo di rimanere tra i vivi.
Perchè? Per quale motivo? Cosa le sarebbe importato se fosse
morta?
Rimase pietrificata a quella vista, il resto del corpo le si
bloccò automaticamente, finchè i muscoli tesi
dalla corsa non si rilassarono, e tutti i pensieri, tutte le sensazioni,
coinvogliarono in una sola: la rassegnazione.
Si voltò verso il Capitano, abbandonando quella visone di
liberazione per ascoltare cos'è che aveva da dirle.
Perchè se le aveva chiesto di fermarsi, qualcosa sicuramente
doveva dirle, pensò.
Sospesa a metà tra la bambina smarrita che era una volta, e
la donna ferita che era ora, le venne spontaneo arretrare quando vide
la sua inseguitrice avanzare verso di lei.
"Non voglio farti del male, lo giuro!".
"Non ti avvicinare!".
Le urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Neanche lei si
aspettava una reazione così isterica da se stessa. Tutto era
precipitato in un istante, il solo non sapere cosa ne sarebbe stato di
lei, aveva trasformato nuovamente le sue sensazioni. Reagiva di
conseguenza.
"Che cosa vuoi, vuoi forse arrestarmi? Perchè.... Io non
voglio più stare qui. Lasciami andare"
Si lasciò andare rapita per un momento dal rumore del fiume
che scorreva sotto di loro, lasciando tutto sospeso in una pausa
silenziosa.
"Lo amavi? Nonostante quello che ti ha fatto, come puoi amarlo ancora?
L'ho capito dai tuoi occhi. Tutti mi hanno sempre detto che sono una
stupida. Ma certe cose so capirle. Io non voglio più stare
qui. Lasciami andare. Ti prego".
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Capitolo 21 *** 21 ***
21
6 Aprile 1458
Incredibile... incredibile come fosse facile distruggere una vita, fino
a desiderare di vederla spegnersi.
Le sembrava una cosa inconcepibile.
Elena era stata costretta a pensare alla morte più di una
volta... quando vai in guerra, i conti con la morte li devi fare, e
ogni volta che arrivi a chiudere gli occhi la sera, ringrazi
chiunque ti abbia dato la possibilità di farlo, e la mattina
dopo devi essere di nuovo pronto a ricominciare a pregare. L'idea di
decidere di troncare volontariamente era estranea alla sua
comprensione...
Cosa c'era dopo? Paradiso? Inferno? O peggio... nulla? Nessuno era mai
tornato indietro per raccontarlo...
Prima o poi, dobbiamo tutti morire... ma andare così
spontaneamente verso... verso qualcosa di indefinibile a priori...
Ma d'altra parte, Elena non poteva capire. Non poteva capire cosa
avesse passato nella sua vita, tanto da preferire la morte... poteva
immaginarlo, poteva sentirlo raccontare da lei stessa... ma non avrebbe
mai capito.
Elena aveva visto il fango del mondo, ma sotto il fango, era riuscita a
scorgere qualche fiore... qualcosa che le ricordasse che infondo, ne
valeva la pena.
"Non voglio arrestarti" disse. Ed era la verità.
La sua divisa, il suo grado, il suo giuramento le imponevano di portare
l'assassina alla giustizia... ma in quel momento... la divisa era solo
un abito, il suo grado solo un'idea e il
suo giuramento... solo parole. Niente a confronto di chi aveva preso
totalmente il sopravvento: soltanto Elena.
Ed Elena non avrebbe guardato una donna penzolare dalla forca,
conoscendo la sua storia... i motivi che l'avevano spinta a tanto...
nessun aveva l'autorità per punire altri
generi di crimini... e perché ciò non avrebbe
dovuto spingere una persona a farsi giustizia da sola? "Non voglio
farlo... Non ti chiederò neanche di rimanere da questa parte
del parapetto" aggiunse con un tremore lieve della voce.
"Sei completamente padrona della tua vita e... della tua morte. Io da
parte mia posso dirti che ogni respiro è degno di essere
compiuto... ma parlo della mia esperienza. So cos'hai passato, e so
quale faccia ti ha mostrato il mondo... so che qualcosa che non si
vede, praticamente non esiste... e non ti costringerò a
credere che un volto migliore del mondo esista, io l'ho visto. Non
posso prometterti che te lo mostrerà se deciderai di
buttarti da un ponte... Forse dovresti dargliene la
possibilità" sospirò. Non sapeva da dove
uscissero fuori quelle parole... anche lei si sentiva infuriata col
mondo e con la società, ma sentiva di essere sincera mentre
parlava. "Non ti arresterò" ripeté sicura. "Ti
voglio dare la possibilità di scegliere... tra morire di
mano tua... o scappare, allontanarti dalla città e non
voltarti indietro. Mai. Una sola possibilità... Non ti
voglio rivedere. Scegli" concluse. Aveva cercato di guardarla negli
occhi... ma il buio le impediva di distinguere qualcosa di
più che un luccichio umido... Sì, la sua
coscienza le diceva che stava facendo la cosa giusta. Era l'unica
grazia che poteva concederle... quella di essere padrona delle sue
scelte.
Il silenzio dilagò, riempito unicamente dalla corsa sfrenata
del fiume sotto di loro, unico testimone di quella chiacchierata.
La sfregiata non proferì parola.
Elena chinò leggermente il capo come ultimo saluto. Era un
addio, in ogni caso. Sapeva che non sarebbe potuta essere
più indulgente se l'avesse rincontrata in futuro.
Le voltò le spalle... a chiunque altro sarebbe parsa una
mossa alquanto stupida. Si voltano le spalle al nemico solo quando
è cadavere. Elena sapeva, come al loro primo incontro, che
non le sarebbe accaduto niente.
Fece giusto cinque passi verso la caserma... si fermò e si
voltò di nuovo...
Non c'era più nessuno.
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