mi ami, vero o falso? vero.

di clatomeanslove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** era la notte. ***
Capitolo 2: *** 2. stringo la sua mano, e già temo il momento in cui dovrò lasciarla. ***
Capitolo 3: *** 3. proteggerci a vicenda, è questo quello che facciamo. ***
Capitolo 4: *** everybody is watching. ***



Capitolo 1
*** era la notte. ***


E' una notte piuttosto buia, anche quelle poche stelle che si vedevano nel distretto due sembrano scomparse.
Io odio dormire in camera mia, è così opprimente, e non sento il vento sul viso, non riesco a percepire la luce della luna sulla pelle, e per me è la cosa peggiore del mondo.
Mi sento come un animale in gabbia, non riesco a muovermi, a respirare, sento le pareti che si avvicinano sempre di più, si fanno più vicine, la mia gabbia toracica si schiaccia e ho paura che mi scoppi la testa.
Per questo dormo sul balcone, o direttamente in giardino se posso.
Amo il mio giardino.
Il mio luogo preferito, sin da quando sono piccola, è il grande ulivo che si trova nell'angolo sinistro. È un albero abbastanza grande, che fa ombra su una buona parte di prato e d'estate è un ottimo posto in cui rifugiarsi, perché tra le chiome non si riesce a scorgere niente.
Ora, sono lì.
Non fa molto freddo, ma uscendo mi porto dietro una coperta, una di quelle vecchie e brutte, perché se i miei genitori dovessero scoprire che dormo in giardino, e in più che rovino delle coperte, mi ridurrebbero alla sorveglianza vigilata, o agli arresti domiciliari.
Vado sull'albero, e una sensazione strana mi percorre. Paura? No, io non provo 'paura'. Non so neanche cos'è la paura, e non voglio saperlo. Nel distretto due ce la caviamo bene, direi.
Siamo i favoriti di Capitol City, gli produciamo ogni bene, e loro ci ricambiano con il denaro.
So che siamo quelli che se la passano meglio perché vedo le mietiture degli altri distretti, tutti affamati, smorti, pallidi, alcuni faticano a stare in piedi. A volte mi fanno anche pena.
Ma che dico? Noi siamo stati allenati per uccidere, siamo allenati da quando siamo piccoli per gli Hunger Games. Infatti siamo quasi sempre noi a vincere, ci proponiamo come tributi, scattiamo sul palco, salutiamo la folla, che ci accoglie con grida e gioia.
Negli altri distretti non sono così. Non ci sono mai volontari.
Quelli che vengono scelti strisciano sul palco, lentamente, quasi stessero andando a morire.
Che poi è quasi sempre vero, ma poco importa.
Insomma, non capisco. Lottate dico io, fatevi valere! Date un senso alla vostra vita.
Ma nulla. Quelli strisciano sul palco, zoppicano per arrivarci, piangono, piangono e urlano.
Ma perchè cazzo piangete? Tanto nessuno verrà al vostro posto. E se vi fregasse veramente qualcosa della vostra vita smettereste di piangere e comincereste ad uccidere per sopravvivere.
Ma quando i favoriti vi si parano davanti fate ancora, sempre la stessa lagna.
Piangete, urlate, chiedete pietà, quando sapete benissimo che vi sarà negata. Sarete animali da macello come tutti gli altri 23 tributi, morirete tutti, uno dopo l'altro, finché non rimarrà il vero e unico campione, quello che è riuscito a tagliare la gola anche al suo ultimo alleato, l'ultimo che era rimasto.
Insomma, quello è un vero Uomo, o donna comunque, uno di quelli che hanno il diritto di vivere qui. Dei deboli che piangono non ce ne facciamo nulla, sono solo scarti della società.
Invece, uno che ha avuto la forza di uccidere anche il suo migliore amico.. beh, allora è forte.
Tutti quelli degli altri tributi disprezzano gli Hunger Games, li criticano, li odiano, ci manifestano contro, ma non sanno che semplicemente gli stiamo facendo un favore.
È una semplicissima selezione naturale che fa vincere il forte e morire il debole.
Semplice e pulito.
Tra qualche millennio non ci saranno più poppanti frignoni, ma solo veri uomini e vere donne, che riformeranno la società umana.

Guardo il cielo.
ci sono poche stelle sta notte.
sorrido.
è questa la notte.

ho pensato varie volte di propormi volontaria, di andare lì dentro. Ma poi una cosa o l'altra mi facevano cambiare idea. Non lo so, non so se andare o no.

I miei amici e i miei genitori ovviamente non sanno che ci sto pensando seriamente, ma a loro non importa. Insomma a nessuno importa veramente.

E a me non importa di nessuno di loro, di nessuno.

Mi giro di scatto, perchè ho appena sentito un ramo spezzarsi.

Prendo in mano il pugnale che tengo sempre nella cintura e scatto in piedi.

Una figura possente compare dal buio, e il suo candido sorriso riesce a illuminare persino la notte.

«Cato.»

«Ciao Clove.» mi sorride.

«Che ci fai qui?»

«Nulla direi, come te. Ti va di parlare?»

sento le farfalle nello stomaco, e un sorriso ebete mi compare sul viso.

«Ovvio.»

i muscoli del mio corpo si rilassano quando abbasso il coltello, e mi siedo con la schiena contro l'albero facendo un po' di spazio per Cato sotto la coperta.

Mi si rannicchia affianco e mi sorride.

«Allora, domani.»

«Già, domani..»

Ora lo so perchè ogni volta che penso di farmi volontaria ci ripenso. Perchè c'è lui.

Non potrei mai pensare di perdere Cato.

Toglietemi tutto, posso fare a meno di tutto, ma non del suo sorriso.

Non della sua stretta calda intorno alle mie spalle.

Non delle sue battute che cadono sempre nel momento giusto.

Ecco cosa mi fermava, ogni volta.

«Non permetterò che ti facciano del male Clove. E poi hai poche nomine. Non accadrà.»

«Cato.. tu non hai intenzione di andare, vero?»

Volta la testa dall'altra parte per non incrociare il mio sguardo.

In quel momento impazzisco.

«CATO TU NON PUOI, NON PUOI ANDARE VOLONTARIO!» mi alzo in piedi «CATO LO SAI VERO? SE FORTE, HAI TUTTE LE CAPACITÀ DI VINCERE, MA GLI STRATEGHI SONO SPIETATI, POTREBBERO UCCIDERTI CON UNA FRANA, CON UN INCENDIO, IN QUALUNQUE MODO!»

Cato mi guarda con dolcezza e prende le mie mani che in questo momento si stanno muovendo convulsamente.

«Hei, Clove. Hei. Guardami. Guardami negli occhi.»

Alzo la testa.

«Mi vedi? ok. Io so quello che faccio. È la mia vita, e per una volta ho deciso così.»

Lo guardo con gli occhi spalancati. Spero stia scherzando. Ma non è così.

«Clove, siamo amici vero?»

Mi si stringe lo stomaco. Faccio 'si' con la testa.

«Bene. Però devo dirti una cosa.»

non lo sto guardando negli occhi, e preferisco così. Non so cosa mi dirà, non lo voglio sapere. Voglio solo che lui non vada, voglio che resti con me per sempre.

«Clove, io ti amo.»

il vuoto. Il mio cervello si svuota. Non so chi sono, non so come mi chiamo, ma non mi interessa. Alzo la testa. Lo guardo negli occhi. È così bello. Continuo a guardarlo con occhi vuoti e lui resta immobile. Lui tiene le mie mani, io lo fisso.

Stiamo così per qualche minuto, poi mi risveglio.

«Cato?»

«Dimmi.»

«Stavi scherzando?»

«Non mi permetterei mai.» in quel momento le sue mani si staccando dalle mie e vanno sul mio viso, poi avvicina le sue labbra alle mie e mi bacia.

È il mio primo bacio, e devo dire che è strano.

Sa di sale. Si, di sale.

Inizialmente credo che prima di venire qui se ne sia messo un po' in bocca, ma poi capisco. Sta piangendo.

Il grande, il forte e grande Cato, l'assassino, sta piangendo tra le mie braccia.

Lo stringo più forte. Fosse per me non lo lascerei mai andare. Stare così per tutta la vita, abbracciata a lui, per sempre.

Ma ad un certo punto lui si sfila dall'abbraccio. Mi sorride, anche se ha ancora le lacrime che gli rigano il volto.

«Scusa se ho perso tutto questo tempo con te.»

«Non scusarti mai, hai capito?»

«Clove.. io andrò. Lo sai vero?»

«Non andare, ti prego... se non vuoi farlo per te, fallo per me.»

«Clove, qualunque cosa accada ricorda solo una cosa.»

mi prende il viso tra le mani.

«Io ti avrei sposata.»

per la prima volta, dentro di me sento ammontare una sensazione strana. Comincio a stremare. Mi guardo le mani. Stanno tremando, come d'inverno quando esco senza giacca. Guardo Cato. Mi sorride incoraggiante, ma improvvisamente lo vedo lontano, lontanissimo. Chiudo gli occhi, e lo vedo lì, a terra, in una pozza di sangue, morto sgozzato.

Apro gli occhi di colpo e mi butto tra le sue braccia, tremante. Per la prima volta sento di avere paura. La sento, proprio sulla bocca dello stomaco. Ho paura.

«Ho paura, Cato.»

«Piccola, non devi.»

«Cato ho paura. Paura di perderti. E so che se entrerai lì dentro non ti rivedrò mai più. E io non voglio. Non andare, resta qui con me, per sempre.. saremo felici. Insieme.»

smette di respirare per qualche istante. Sta trattenendo il respiro.

«Clove.»

«Dimmi.»

«Ok.»

Mi stacco dall'abbraccio e lo guardo negli occhi. Non so leggere cosa dicano di preciso, perchè sembra un misto di gioia, dolore, indecisione, felicità e tristezza. Con gli occhi ancora pieni di lacrime mi bacia di nuovo. Sono sicura, che se resterà qui con me sarò felice, veramente felice. E non vorrò mai più farmi volontaria, perchè ho lui.

«Ti prego, giurami che resterai.»

«Te lo giuro Clove, te lo giuro.»

e restiamo così, tutta la notte abbracciati sotto l'albero del mio giardino.

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Capitolo 2
*** 2. stringo la sua mano, e già temo il momento in cui dovrò lasciarla. ***


quando mi sveglio di fianco a me non c'è nulla.
Il vuoto. Tasto un po' la coperta e sento solo la morbidezza del materasso.
Freddo. Cato se n'è andato.
Riesco a pensare solo a questo.
Non al fatto che evidentemente nella notte mi deve aver portato in camera mia, in braccio, e posata delicatamente sotto le coperte.
Cato se n'è andato.
È scivolato via da me, un'altra volta.
Mi tiro su seduta, delicatamente, e fisso la parete davanti a me. Bianca. Quante volte svegliata da un incubo la vedevo rossa, completamente piena di sangue?
Sospiro, mentre mi alzo in piedi e mi infilo le pantofole.
Per un istante mi fisso allo specchio e arrossisco da morire.
Sono in pigiama.
Quando sono scesa in giardino ero vestita in tenuta da allenamento, e ora sono in pigiama. Per un altro istante non riesco a immaginarmi Cato che mi sfila i vestiti e mi mette il mio soffice pigiama.
Poi scaccio via l'idea.
Lui se n'è andato via comunque. Poteva restare con me.
Tanto i miei non se ne sarebbero accorti.
In realtà i miei non si accorgono neanche di me. Sono invisibile ai loro occhi.
Potrei propormi volontaria proprio in questo momento e morire nell'arena, e loro se ne accorgerebbero sono quando quelli di capitol city riporteranno il corpo.
Ma ho fatto una promessa a Cato, che ne ha fatta una a me.
Nessuno dei due andrà agli hunger games.
Nessuno.
Mi tocco le labbra, e mi immagino ancora Cato, il forte e spietato Cato, che per una volta ha ceduto ai sentimenti, e mi ha baciata.
Mi risiedo sul letto, sempre fissando il vuoto.
Mi ha detto 'ti amo.'
Cato ha detto che mi ama.
Improvvisamente sento un forte peso sullo stomaco, e non è la paura, questa la conosco.
È il senso di colpa. Perchè non gli ho detto che l'amavo anch'io.
Guardo il cielo e realizzo che sono già passate le undici, e comincio seriamente a preoccuparmi.
Devo essere pronta per le 12, cavolo, le 12! mi butto molto velocemente nella doccia, mi insapono i capelli alla velocità della luce e schizzo fuori, ancora tutta bagnata. Vado nel mio armadio e tiro su l'abito da cerimonia che mi ha regalato mia nonna a natale. È bellissimo, anzi, sarebbe bellissimo, se non dovessi indossarlo oggi.
Faccio spallucce, non importa.
Lo infilo, e mentre cerco di mettermi le bellissime scarpe col tacco azzurre abbinate, mi strofino i capelli con un panno, sperando che si asciughino più velocemente.
Impreco a bassa voce, mentre inciampo sui miei stessi piedi.
E proprio in quel momento sento una risatina soffocata.
Sfilo il coltello e mi volto di scatto, saltando e cadendo addosso 'all'aggressore'.
Arrossisco immediatamente.
«Si può sapere che ci fai qui?!»
Cato ride di nuovo, sta volta di gusto.
«NON STO SCHERZANDO! DA QUANTO SEI QUA?!»
Ride di nuovo, al che io rilasso i muscoli del viso.
«Eri già vestita, non ti preoccupare.»
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia di nuovo, e il mio stomaco si stringe.
«Come siamo belle!» Mi prende la mano e mi fa fare una piroetta.
«Grazie.»
«Quello che ci chiediamo sempre noi ragazzi è come voi facciate a camminare su quei trampoli.. quanto saranno? Quaranta centimetri?»
«No, cretino.» rido «Sono solo quindici.»
Mi prende sotto le ascelle e mi fa girare, mentre mi attacco alle sue spalle, ridendo e guardandolo negli occhi.
Evidentemente deve inciampare sulla mia spazzola, o sulla scatola di scarpe perchè cadiamo a terra uno sopra l'altro.
«Pft, e tu volevi andare volontario nell'arena? Ma guardati, riesci a finire a terra solo in camera di una ragazza!»
scivola da sotto il mio corpo e viene sopra di me, sostenendosi sulle sue braccia forti.
«Se solo non ti amassi così tanto, ora probabilmente tu saresti morta, con una spada nel cuore.»
«E credi che me ne andrei senza lottare?»
«No non credo.»
Si china e mi bacia di nuovo. Restiamo così a farci le coccole sul pavimento per un po', quando improvvisamente dalla strada cominciano a venire delle urla: la folla sta andando in piazza, sotto il palazzo di giustizia.
«Andiamo?»
«Insieme.»
sorride e mi prende la mano.

Non passiamo dalla finestra, facciamo le scale che portano al piano di sotto, e ovviamente, i miei non si accorgono di nulla. Magari sono già usciti.

Mentre camminiamo tra la folla, stringo la mano di Cato più forte, e temo già il momento in cui dovrò lasciarla.*

Arriviamo in piazza, ci facciamo identificare e ci separiamo. Cato va con i ragazzi 17enni, e io con le ragazze 15enni del distretto due.

Mi affianco a Clare, la mia migliore amica, nonché mia compagna al centro di addestramento del distretto due. Mi guarda con occhi tristi. Lei è l'unica a cui avevo detto che pensavo di farmi volontaria, così, invece di ricambiare lo sguardo infelice, le sorrido.

«Clare, non andrò.»

Spalanca gli occhi e mi abbraccia. Io non sono brava in queste cose. Resto per due secondi immobile, con le braccia ancora aperte, prima di ricambiare l'abbraccio.

«Clove, oddio, oddio, Clove. Sono così felice. Per un attimo ho avuto paura di perderti, per sempre.»

Trattengo le lacrime. So come si sente. Come io quanto Cato mi ha detto che voleva farsi volontario. Ma io non piango. Io sono Clove. La ragazza dei coltelli. Quella che ha vinto tutte le gare scolastiche. Quella che ha perso la madre in un incidente. Quella che si è rialzata, e ha ricominciato a camminare. Non sono una ragazza qualsiasi.

«Io sono Clove.»

«ahahahah, cretina, lo so bene.»

ci sciogliamo dall'abbraccio, e le sistemo la treccia che le si era un po' rovinata.

Poi mi volto, e cerco Cato. Lo vedo lì immobile, che mi fissa. Deve aver visto tutta la scena, e mi fa un piccolo sorriso incoraggiante, che io non esito a ricambiare. Poi, con il labiale mi dice: 'non andrò.' e io gli dico 'ti amo.' non ci penso neanche in realtà, le parole scappano da sole, scorrono dalla mia gola alle labbra, e scappano al vento.

Lui allarga gli occhi, giusto un poco per intuire lo stupore, e poi torna quasi impassibile, se non fosse per quel sorriso che non lo abbandona più, almeno finchè non mi giro per guardare il palco.

Il sindaco sale, ci saluta e comincia il discorso.

Legge le solite robe, dice le solite cose, e parla, parla, parla.

Tutte le cose ogni anno. Non vedo l'ora che tutto ciò finisca. Abbasso lo sguardo e comincio a fissarmi le mani, osservo le unghie, ora laccate, le nocche, e ogni piccola cicatrice accumulata in anni di allenamenti con i coltelli. E vado avanti a rimirarmi le mani fino a quando non compare la solita donna, quella che deve estrarre i nomi. Viene da capitol city, quindi è conciata da far ridere: parrucca gialla canarino, pelle color del tramonto, e su tutto il viso tatuaggi oro, dai disegni più insensati. Qualcosa di orrendo.

Come vestito indossa una specie di tubo color giallo evidenziatore che le schiaccia il seno, così da farla sembrare, non solo ridicola, ma anche volgare. Poco importa.

«Prima le signore!» dice con quella voce stridula e quell'accento ridicolo.

Si avvicina alla boccia, dove il mio nome è contenuto solo tre volte.

La sua mano si immerge, gira un po', e poi, molto lentamente ne esce.

Ha in mano un bigliettino.

Quello con un nome, uno solo.

Quello che porterà la rovina di una ragazza qui.

Lo apre, lo fissa per qualche secondo.

«Clove Humepry.»

Resto con il mio sorriso spavaldo per qualche secondo.

Prima di realizzare.

È il mio nome quello. O cazzo, è il mio nome.

Il mio sorriso si spegne.

Guardo Clare, che ha gli occhi spalancati e la bocca semi aperta.

Mi guarda, e io cerco di sorriderle, ma lei per tutta risposta mi si attacca al braccio, cercando di fermarmi.

«CLOVE NO, TI PREGO CLOVE!! NON ANDARE VIA, CLOVE NO!»

«Lasciami andare, Clare.»

è l'unica cosa che riesco a dire, poi sfilo il braccio dalla sua presa e vado, con le gambe molli, sul palco.

«Bene, ora i signori!» dice ridacchiando, con la sua voce stridula.

Mescola i bigliettini per un po', e io cerco con lo sguardo Cato.

Lo vedo lì, immobile, zitto. Mi guarda negli occhi, e ho paura.

Perchè capisco, ancora prima di cosa stia facendo, cosa farà.

«Mi propongo volontario come tributo.»

La schifosa donna sorride.

«Prego, accomodati qui. Affianco a questa bella signorina.»

tutta la paura che per un attimo ho intravisto nei suoi occhi svanisce, ora c'è solo il suo sorriso spavaldo, e con un balzo viene sul palco.
«Nome prego?»

«Cato Wellish.»
«Signore e signori, ecco a voi i tributi del distretto due!»



SPAZIO AUTRICE:
ragazze e ragazzi, ho avuto un momento di panico in cui non sapevo come fare con il codice html.
così era tutto attaccato, non andava a capo, e illeggibile.
insomma, dava fastidio anche a me!
ora l'ho sistemato un po', sperando che sia più semplice da leggere.
un bacio tributi.

fra.

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Capitolo 3
*** 3. proteggerci a vicenda, è questo quello che facciamo. ***


Appena ci danno il via libera corro avanti, senza voltarmi indietro, senza guardare Cato.
Perchè so cosa vedrei.
Non disperazione.
Soltanto odio. Non nei miei confronti, ovviamente.
Odio generale, verso tutti quelli che sono qui, e ovviamente troverei la spietatezza.
La sete di sangue. Quel sorriso un po' spavaldo che nessuno riuscirà mai ad abbattere.
A parte me, forse.
Per un attimo mi aggrappo al ricordo di poche ore prima, Cato che piange tra le mie braccia, e quello di noi due sdraiati sul pavimento abbracciati.
Ma il punto non è questo.
Stiamo andando nell'arena, dove ne uscirà uno solo.
Non c'è tempo per l'amore, come per la compassione o per la felicità.
Spengo il cervello e cerco di archiviare le ultime 24 ore, ma non di cancellarle. Quando morirò, e questo non sarà nell'arena, voglio potermi ricordare del primo ragazzo che ho amato, e di come questa società l'abbia ucciso sotto i miei occhi.
Io sono Clove, io sono una macchina per uccidere.
Io non provo pietà, io non piango.
Io, per la seconda volta, mi rialzerò e ricomincerò a camminare, a testa alta, come se nulla mi importasse.
Veniamo scortati al Palazzo di Giustizia, una grande costruzione grigiastra, e vengo chiusa in una delle sue stanze e so che quest'ora sarà una delle più dure della mia vita. Ora dovrò dire addio a tutto, per sempre, perchè nell'arena non potrò provare rancore, pietà, e tanto meno amore. Sarò la ragazza dei coltelli, per cui mi sto allenando da quando sono piccola.
Per prima entra Clare.
Non sono pronta, lo devo ammettere, ma dopo un secondo di stupore torno spietata, fredda, e senza sguardo.
Vedo che lei non riesce a guardarmi negli occhi, gonfi, e si fissa le scarpe. In mano tiene qualcosa che non riesco ancora a vedere.
Ad un certo punto alza lo sguardo e mi fissa negli occhi, triste. Anzi, non è tristezza. Be', anche, ma è pietà. Ha pietà di me.
«Clove, io..»
«Sta' zitta.»
«Clove sul serio, lasciami parlare..» e si siede sulla poltroncina di fianco alla mia.
«Sai, quando tu mi hai detto che ti saresti proposta volontaria...Ho avuto veramente paura di perderti. Di non vederti più entrare all'alba nel centro di addestramento, non vederti tirare i tuoi coltelli con la forza di una tigre, di non vedere più quel sorriso spietato quando trafiggi un manichino. Avevo paura di non vedere più i tuoi occhi verdi, avevo paura di non sentire più il suono della tua voce, anche se c'è da dire che non sei una grande chiacchierona.» sorride.
«Clove, ora però ci andrai... non so cosa ti aveva fermata dal proporti volontaria, però era stato efficace. Riuscivo a essere felice e basta, perchè sapevo che non avrei perso la mia sorellina.»
Ovviamente non siamo sorelle di sangue, non siamo imparentate direttamente. Anche se poi alla fine tutti nel distretto due hanno qualche legame, anche se lontanissimo, ma poco importa. Io e Clare ci conosciamo da quando eravamo ancora in fasce, e mi ricordo di essere stata io stessa a regalarle il suo primo coltello, quando compì 12 anni.
Lei non è esperta con i coltelli, è più brava con le frecce e l'arco, oh si, con quelle ci sa fare. Ma non importa, e poi mi sono promessa di dare un taglio a tutto ora, nell'arena non voglio essere distratta. Devo tornare a casa per fare un favore a me, non a loro.
«Clare, mi mancherai. Ma lo sai che tornerò. Nessuno è pronto come me.» nell'ultima frase mi si incrina un po' la voce, ma lei sembra non accorgersene.
«Quando sarai lì dentro, ricordati solo una cosa.» apre la mano e all'interno c'è una collanina d'oro, con un ciondolo. Si avvicina a me e me lo lega al collo, poi si risiede.
«Io ti ho sempre voluto bene.» sento gli occhi pizzicarmi, ma cerco di restare impassibile. So benissimo che lì fuori ci saranno le telecamere.
Ma le mi si butta tra le braccia, e le mie lacrime cominciano a scendere lungo le guance, silenziose. Faccio in tempo ad asciugarle che la porta si apre, entra un pacificatore gridando 'TEMPO!' e raccoglie Clare di peso e la porta via, lontano da me.
Quante parole non dette. E così non sono neanche riuscita a tagliare i rapporti con lei.
Vabbé, non importa.
La porta si apre subito dopo, molto lentamente.
Trattengo il respiro. Devo avere un'aria sconvolta, occhi gonfi dal pianto, spalancati e la bocca leggermente aperta.
«Ciao Clove.» mi ero scordata di quanto fosse profonda la sua voce. Non parlavamo mai praticamente. Da quando mamma è morta, per me lui è morto con lei.
«Ciao papà. Finalmente ti sei ricordato di me.»
Nei suoi occhi scatta la rabbia, ma dopo tornano di nuovo freddi.
«Direi di si.»
«Bene, visto che non mi parli da quattro anni e mezzo, ormai.»
«Veramente sei tu che mi hai evitata per tutto questo tempo.»
«Si, e preferisco sia stato così.»
Resta appoggiato alla porta. Non sorride, non inarca le sopracciglia, non da segno di avermi sentita. Quasi riuscisse a filtrare le parole e sentisse solo quelle che vuole.
«Sono venuto a salutarti.»
«A dirmi addio, forse. Credi che non tornerò indietro,non è così?»
«Non con Cato.» Il cuore mi si ferma. Ho provato ogni genere di dolore fisico, bruciature, pugnalate, schiaffi, cazzotti, pugni, ma devo ammettere che questo è quello più doloroso.
Non so come affrontarlo, un male al cuore.
Ma non importa adesso.
Alzo di nuovo lo sguardo, e vedo che un sorrisetto gli compare sul viso.
«Be', figliola. Il nostro è un addio.»
«Sappi che quando tornerò ti ucciderò. Ti pugnalerò nel sonno piuttosto, ma tu non vivrai mai più sotto il mio stesso tetto.»
«Vorrà dire che in queste settimane in cui non ci sarai me la spasserò. Con la casa tutta per me.»
Sorride, e apre la porta.
«Il nostro è un addio, non un arrivederci Clove.»
Non fa in tempo a chiudere la porta che gli pianto un pugnale nella mano.
Bene, almeno mi sono sfogata. E poi quel pugnale faceva schifo.
Mi rimetto seduta e cerco di rilassarmi, respiro profondamente, e chiudo gli occhi. Quando li riapro non c'è nessuno.
Vorrà dire che non hanno fatto entrare quelli dell'addestramento, meglio.
Di loro non mi importava veramente.
Aspetto che un pacificatore mi venga a prendere, mi tiro su a testa alta e scendo in piazza, di nuovo.
Sono circondata dalle telecamere, e sono molto felice di vedere che i miei occhi non sono gonfi. Con sguardo glaciale salgo sul treno e mi preparo a partire.
Proprio in quel momento vedo salire Cato, accompagnato sempre dal suo sorrisetto strafottente. Appena mi vede però, scompare, e comincia a guardarsi intorno per vedere se c'è qualcuno.
«Non c'è nessuno, se è questo che ti interessa.»
«Oddio Clove..»
«Ti prego, sta zitto.»
Resta in piedi immobile, davanti a me. Restiamo a fissarci a lungo, fino a quando qualcuno bussa alla porta.
«Ascoltami bene, io non mi sono proposto volontario così, ok? Non ho infranto la nostra promessa.»
«CATO, SI INVECE! L'UNICA COSA CHE POTEVA FARMI STARE BENE ERA IL PENSIERO CHE TU FOSSI A CASA, SANO E SALVO! ADESSO SOLO UNO DI NOI DUE TORNERÀ A CASA, UNO SOLO. COSA NE HAI FATTO DI TUTTO QUELLO CHE ABBIAMO DETTO IERI? E STA MATTINA? CATO ASCOLTAMI!»
Lui ha abbassato lo sguardo e si osserva le mani.
«Sarai tu.»
«Cosa?!»
«Sarai tu a tornare al distretto due, ok? Mi sono proposto volontario perchè voglio proteggerti in quell'inferno, ok? Capisci? Se non avessero estratto il tuo nome ora non saremmo qui, ma non mi va di parlare di 'se, ma e forse.' siamo qui, e non possiamo farci nulla. Tu sarai l'unica in questa stanza a fare il viaggio inverso, ok?»
Lo guardo. I miei occhi devono sembrare vuoti.
«Cato, io non torno a casa senza di te.» Tutte le mie promesse fatte a me stessa vanno in fumo con questa frase, scoppiano, come le bolle di sapone nella vasca. E la causa è solo lui. Ancora, di nuovo.
In quel momento i colpi sulla porta si fanno più insistenti, allora Cato si china su di me e mi dà un leggero bacio. Desidero averne altri, ma non posso. Sblocchiamo la porta che avevamo chiuso a chiave e il nostro mentore entra, abbastanza infastidito. Comincia a parlare, ma non lo ascolto, continua e continua, ma non mi importa.
L'unica cosa che riesco a realizzare è che Cato è qui per proteggermi.
Ma io vorrei fare lo stesso con lui.
Proteggerci a vicenda, ecco quello che facciamo.
 
 
SPAAAZIO AUTRICE:
 
ciao ragazzzzuoli.(?) lol, nuovo capitolo, mi sentivo ispirata sta mattina. :)
che ne pensate? forse è un po' più breve degli altri ma non sapevo più che dire, o forse se andavo avanti non avrei finito mai.. lol
comunque, codetevi questo capitolo, perchè ora con gli esami cercherò di non distrarmi, e forse fino al 10 non scriverò.. poi vediamo ovviamente.
grazie a tutti i 187 che hanno letto il primo capitolo, e grazie anche a quelli che hanno letto il secondo, anche se ora non mi ricordo il numero preciso. :)
be', che dire, ora non resta che seguire un po' la traccia della collins e vedere eventuali sviluppi.. spero che vi piaccia e ricordatevi di rencensire!
 

PS. Oggi, essendo intenzionata a continuarlo, l'ho riletto e corretto. Volevo dirvi solo questo, presto avrete un nuovo capitolo.
Tanti kizz da Francesca. icsdì icsdì xdxd

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Capitolo 4
*** everybody is watching. ***


Io son Clove.
Sono nata nel distretto due.
Ho 15 anni.
Sono innamorata di un ragazzo che conosco da quando sono nata.
Si chiama Cato.
Volevo offrirmi volontaria per gli Hunger Games.
Ma poi ho scoperto che anche lui mi amava.
Così ho deciso di restare nel distretto due e rinunciare alla gloria.
Ma mi hanno estratta.
E ora sono qui.
Sono sul treno.
Sto andando nell'arena.
Con lui.
Con Cato.
 
Quando mi sveglio, l'altro lato del letto è freddo. In realtà lo è sempre stato, ma vengo sopraffatta da questa terribile sensazione. Mi sento sola, veramente sola.
Mi passo una mano sul viso e realizzo di aver passato tutta la notte facendo incubi e piangendo.
Ma perchè piango? Io non piango. È colpa di Cato, prima di conoscerlo non ero così debole, così piccola e vulnerabile.. se ora arrivasse un favorito mi ucciderebbe anche a mani nude.
Ma che cazzo dico? Io sono un favorito.
Sto impazzendo.
Mi butto giù dal letto, praticamente rotolando, e mi trovo accovacciata a terra, con la testa contro il pavimento.
“Solo una persona farà il percorso inverso e quella sarai tu.”
Ricomincio a piangere come una bambina, e capisco che non sto piangendo solo per Cato.
Sto piangendo per tutto, per tutte quelle cose che in 15 anni si sono accumulate dentro di me.
La morte di mia madre, l'abbandono di mio padre, l'odio, la rabbia, le ingiustizie, la sete di vendetta, il dolore, gli hunger games, la morte, i tributi, la mietitura, l'estrazione.. perchè? Perchè ora? Perchè proprio quando dovrei essere più forte mi ritrovo sdraiata sul pavimento a piangere?
Per la prima volta sento il peso di tutti i miei errori gravarmi sul petto.
Mi sento piccola, e tutto quel dolore è troppo pesante, e sento la mia gabbia toracica schiacciarsi sempre di più, comprimersi, esplodere..
Mi sento come sull'orlo di un precipizio e ho voglia di cadere. Solo lì, in piedi, e sto allungando il piede. Mi vedo, come se ci fosse qualcuno affianco a me e mi guardassi con i suoi occhi. Sembro una bambina spaventata, spaesata, persa, mentre allungo il piede verso il vuoto. Gli occhi sono rossi ma non si vedono le lacrime. I capelli sono mossi dal vento e le lentiggini risaltano sulla pelle bianca. Sembro un fantasma. Sto per cadere, quando sotto, nel vuoto, si accende una luce. Strizzo gli occhi e cerco di mettere a fuoco. C'è un salotto, con un divano rosso. C'è una donna su quel divano e sta leggendo un libro. Alza lo sguardo e mi vede. Sorride. È quel tipo di sorriso contagioso, come quello di Cato. Mi viene voglia di sorriderle, ma mi viene da piangere, così mi trattengo. La donna si rimette a leggere il libro, come se si fosse dimenticata di me. La porta dietro di lei si apre, lentamente. Lei non se ne accorge. Chi è? Chi sta entrando? Non capisco. Non vedo. Mi sporgo un po' di più ma non riesco a capire. So solo che sta stringendo un coltello. Chi è? Perchè vuole fare del male a quella donna? Comincio a gridare, le dico di correre, di scappare, di andarsene, ma non mi sente. Continua a leggere il libro e la persona che è entrata continua ad avvicinarsi a lei. Mi sporgo, gridando, lei sta alzando la testa, ma io perdo l'equilibrio e cado, proprio mentre la persona dietro di lei la pugnala.
 
 
Mi ritrovo sul pavimento in una posizione strana. Mi snodo e mi metto seduta con la schiena contro il letto. Mi tocco il viso e non c'è traccia di lacrime. Corro in bagno. Gli occhi non sono né rossi né gonfi. Non ho pianto. Sospiro. Infondo sono felice, vuol dire che non sono così vulnerabile. Mi infilo nella doccia, mi lavo e mi asciugo i capelli, e mi avvicino all'armadio. Realizzo con orrore che quello non è il mio armadio e che quelli non sono i miei vestiti. Roteo gli occhi e sfilo una maglietta nera e dei pantaloni blu. Li indosso e vado nella carrozza ristorante. Cato e il mentore sono già seduti, quest'ultimo mangia, ma Cato si sta rigirando tra le mani uno stuzzicadenti. Nessuno parla, così mi schiarisco la voce, facendo notare il mio arrivo. Lo stuzzicadenti in mano di Cato si rompe. Lui gira subito la testa e fa finta che io non sia mai arrivata.
Poco male, capisco come si sente. Realizzo che l'unico posto libero è affianco a lui, così mi accomodo e comincio a mangiare. Com'è che si chiamava il mentore? Jack? Jimmy? John? Josh? Boh, ma poco importa. L'unica cosa importante è che lui si ricordi il mio nome, sopratutto quando sono nell'arena.
«Siete di molte parole. Ne sono felice.»
«Umh.» sorride.
«Allora, Cato e Clove, giusto? Posso chiamarvi C al quadrato?» Ride, ma quando realizza che nessun altro ha trovato quell'orrenda battuta divertente smette.
«Va bene, ho capito. Vi dirò solo le cose importanti. Tra meno di due ore arriveremo a Capitol City, lì vi affideremo ai vostri preparatori, voi siete del due, quindi non dovrebbero esserci problemi. Subito dopo vi mostreranno i vostri abiti per la sfilata, sfilerete e poi a letto. Domani abbiamo il primo giorno di allenamenti. Tutto chiaro?»
«A che ora la cena?»
Non posso fare a meno di sorridere. Cato, arena o no, sarà sempre lo stesso. Mi giro, e noto che mi sta guardando. Gli sorrido e lui rimanda. Da sotto il tavolo mi prende la mano e non posso fare a meno di stringerla.
Vorrei dirgli 'ehi, sono qui, ci sono io per te', ma più di questo, non posso fare nulla. Potrò mostrargli il mio amore solo una volta entrati nell'arena. Solo allora.
 
Ah, quindi è questa Capitol City.
Tutta colorata, grande, esagerata.. Capitol City, la città del “troppo”.
Troppe persone, troppo trucco, troppi fronzoli, troppo cibo, troppo spreco, troppo odio, troppa cattiveria, troppo.. troppo tutto.
Mi fanno così schifo quelli di Capitol City. Sono persone orribili, che si divertono a guardarci ammazzare tra di noi, e noi, come deficienti, passiamo la nostra vita preparandoci per questo. Oh, io senza dubbio sono stata la più deficiente. Volevo pure andare volontaria.
Senza dubbio Cato ha distrutto la vecchia me, non c'è più la vecchia Clove, la macchina dei coltelli. La macchina per uccidere.
Ora c'è la nuova Clove, che ha paura. Ma non paura di morire, questo mai. La morte è solo un modo diverso per dire fine, e la fine è una bella cosa. La fine della sofferenza, la fine del dolore, la fine di qualcosa, in questo caso della vita.
Per ora non avevo mai pensato a come sarei voluta morire, ma morire per salvare Cato.. mi andrà più che bene. Sarà la morte migliore che avrei mai potuto desiderare.
Mi giro verso di lui e noto che sta guardando fuori dal finestrino con aria triste.
Mi avvicino e gli prendo la mano, controllando che nessuno ci stia guardando.
«Ehi, stai bene?»
«Mh. Tu?»
«No. Ma almeno non sono sola.»
«Sarò con te fino alla fine.»
«Fino alla fine.» Mi stringe la mano più forte e capisco che con lui non sarò mai più sola. Mai più. Per questo so che non posso tornare a casa senza di lui. Preferisco morire. Non avrei più un motivo per vivere una volta tornata a casa.
Ma lui si. Lui è così forte.. proprio come lo era la vecchia Clove. Voglio dargli un'ultima possibilità. Voglio che torni a casa e viva la sua vita.
Sfilo la mano dalla sua e mi avvicino al finestrino. Vi ucciderò, vi ucciderò tutti. Uno dopo l'altro. E sarà spettacolare. Quasi meglio degli Hunger Games.
Lo guardo, un'ultima volta, mentre fissa malinconico Capitol City. E giuro che sarà l'ultima volta che lo vedrò così. Sospiro e vado a preparare le mie cose.
Il letto è ancora tutto sfatto, e i vestiti sono sparsi sul pavimento. Raccolgo il mio vestito della mietitura e lo stringo. In quel momento mi viene di nuovo in mente ciò che era accaduto la mattina. La donna.. chi era quella donna? E perchè l'ho vista solo ora? Chi è che l'ha uccisa? E sopratutto, perchè l'ha uccisa? Sembrava una persona così buona, così dolce, così pura.. chi può essere stato così cattivo da volerla morta? Non riuscivo più a respirare. Perchè? E perchè l'avevo vista? Chi era? Che collegamento aveva con me? Sento un peso sul petto e poggio la schiena sul letto. Che cosa vuol dire? Sento gli occhi cominciare a pizzicare e realizzo che è il secondo crollo emotivo nel giro di troppo poco tempo.
In cosa mi stanno trasformando questi giochi? Ho sempre saputo che i giochi cambiavano tutti, ma non così. Noi siamo bambini che si devono comportare da soldati.
 
Everybody is waiting
Everybody is watching
Even when you're sleeping
Keep your eyes open
 
Ma io non mollerò. Non ora che ho qualcosa per cui lottare.
 
Everybody is waiting for you to breakdown
Everybody is watching to see the fallout
And Even when you're sleeping,
Keep your eyes open
 
Dolore. Ogni ferita crea una cicatrice. Perchè? Me lo sono sempre chiesto.
Una cicatrice ogni volta che mi faccio male. La cicatrice resta lì e mi guarda. 'Ehi, ti ricordi di me? Ti ricordi quanto hai sofferto per me?' Resta lì per ricordarmelo. Ma non ne voglio un'altra.
Mi guardo le mani. Completamente rovinate, coperte dai calli e dalle cicatrici. La bellezza di tirare i coltelli. Mi soffermo su ogni cicatrice e cerco di ricordarmi ogni sua storia.
Una me la sono fatta proprio quando ero con Cato. Avrò avuto sì e no 10 anni, avevo ricevuto da poco il mio primo vero coltello e giravo per il campo di addestramento molto orgogliosa.
«Ehi Clove, guarda che se continui a girartelo tra le mani si consuma!» disse accompagnato da quelle solite risatine sprezzanti dei suoi amici.
«Ma se te lo conficco in testa no, poi devo solo pulirlo.»
«Siamo di buon umore vedo! Tanto non sai fare male a nessuno, tornatene a torturare le lucertole!»
uno dei miei tanti attacchi di rabbia. Uno normale, solo un po' meno innocente.
Mi sono alzata di scatto e mi sono buttata addosso a lui con il coltello. Non mi sono mossa a caso, ma sistematicamente, infatti, benchè fosse due volte più alto di me, dopo trenta secondi l'avevo immobilizzato, con un coltello alla gola. Il mio coltello. Quello di cui andavo tanto fiera.
«Ultimo desiderio prima di morire?»
«Sarò io ad ucciderti, non il contrario.» e, nonostante l'avessi immobilizzato, riuscì a divincolarsi e ci trovammo con le postazioni invertite. Io la vittima, lui il cacciatore.
«Vuoi ancora comandare, piccola?»
«Brucerai all'inferno!» cercai di sfilargli il mio coltello dalle mani, ma tutto ciò che riuscii ad ottenere fu una mano sanguinante e un dito mezzo mozzato. Ecco perchè odiavo Cato. Perchè era riuscito a vincere già una volta.
Ecco perchè mi ero promessa di vincerli questi hunger games. Per dimostrare che ero più forte di lui, più determinata.
 
Ma come fai a scegliere ora? Come fai a decidere tra la tua vita e quella dell'unica persona che ti abbia mai amato?



SPAZIO AUTRICE.

ehi belli edrvgyuh. allora, come ho promesso a tutti, ecco qui il 4 capitolo, calcolando che non continuavo da mesi lol.
comunque, ora sono decisa a continuare e a finirla. GIURO.
com'è? se volete lasciate una recensione, e se qualcuno vuole lasciarmi una sua storia da leggere mi mandi pure un messaggio, leggo volentieri.
questo capitolo lo dedico a laura, perchè non le frega nulla dei clato o di hunger games, ma è stata costretta (dalla sottoscritta) a leggerla.
un bacio.

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