Madness.

di Dridri96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mystery ***
Capitolo 2: *** Trust me! ***
Capitolo 3: *** The last hope. ***
Capitolo 4: *** Shadow. ***
Capitolo 5: *** Survival. ***
Capitolo 6: *** First signs. ***
Capitolo 7: *** Warning. ***
Capitolo 8: *** Something's changed. ***
Capitolo 9: *** Quarrel. ***
Capitolo 10: *** Unexpected encounter. ***
Capitolo 11: *** Back in time. ***
Capitolo 12: *** Together again. ***
Capitolo 13: *** It hurts. ***
Capitolo 14: *** Contact. ***
Capitolo 15: *** It's coming. ***
Capitolo 16: *** Illusion. ***
Capitolo 17: *** Sacrifice. ***
Capitolo 18: *** The last day. ***
Capitolo 19: *** Final battle. ***
Capitolo 20: *** revival ***



Capitolo 1
*** Mystery ***


Capitolo 1

Fa freddo e inizia a calare il sole; io e mio papà siamo di ritorno verso casa dopo la nostra abitudinale passeggiata delle 18:30.
Oggi a noi si è unita un’amica di famiglia, Silvia: è simpatica, giovanile nonostante i suoi cinquant’anni passati, e gentile,
ma ciononostante io e mio padre preferiamo mantenere questo rito “privato”.
Così quando arriviamo davanti alla porta di casa e lei ci invita a ripetere l’esperienza anche il giorno seguente, noi gentilmente rifiutiamo, inventandoci altri impegni.
Silvia è decisamente arrabbiata: se ne va riservandoci uno dei suoi sguardi più sprezzanti. Nonostante abbia tanti pregi, tende ad arrabbiarsi con poco.
Noi intanto entriamo nel nostro appartamento trattenendo a stento i sorrisi: si sa che Silvia non porta mai rancore e probabilmente domani mattina ci porterà un dolce per scusarsi della scenata.

«Chissà se questa volta ci cucinerà la torta alle mele o il salame al cioccolato», pensa ad alta voce mio papà ridendo. Questa situazione si è ripetuta talmente tante volte ormai...
«Spero il salame, le viene decisamente meglio. E se siamo fortunati lo mangeremo a colazione, visto che le abbiamo detto che il pomeriggio siamo a sciare», questa è la scusa che ci siamo inventati, noi, che non abbiamo mai fatto sport e che siamo le persone più pigre del mondo: se il telecomando è troppo lontano spesso decidiamo di rimanere sintonizzati sullo stesso canale, qualsiasi sia il programma.
«Inizio a sentirmi in colpa», dice chiudendo la porta alle nostre spalle.

Non appena ci voltiamo verso il corridoio ci rendiamo conto della situazione: le pareti sono macchiate, la carta da parati strappata, sporcizia ovunque e l’ascensore è bloccato. Ci guardiamo preoccupati e decidiamo silenziosamente di salire al primo piano.
La confusione ci avvolge: gente che urla e corre in tutte le direzioni, bambini che piangono, persone che sussurrano agitate. Una donna è accovacciata in un angolo, le braccia che avvolgono le ginocchia e la testa chinata in avanti. Le sue pupille sono dilatate e lo sguardo è perso nel vuoto: è Daphne, la conosciamo bene. Entrambi decidiamo di avvicinarci a lei.

«Cosa succede?», chiede mio papà posandole la mano sulla spalla. La ragazza non risponde: continua a dondolarsi su se stessa canticchiando sempre le stesse quattro note che sembrano ossessionarla. Provo ad ascoltarle per capire che canzone sia, ma non riesco a riconoscerla, forse per la confusione, forse perché non l’ho mai sentita prima, o perché sono terrorizzata.
«Sono tutti impazziti», dice mio padre schivando un vaso che si spacca contro il muro dietro la sua testa.
«Tu rimani qua con lei, io vado a vedere se la situazione è uguale agli altri piani». Non so con quale coraggio avanzo verso le scale. Devo aggrapparmi al corrimano per non cadere, visto che le mie gambe tremano troppo e non riescono a sostenermi.
Il mio cuore martella dentro il petto implorando di uscire. Sento il forte desiderio di rinchiudermi in qualche stanza e non uscire più, o almeno non finché la situazione non si calma.
Al secondo piano devo bloccare la signora che di solito pulisce l’appartamento prima che si butti dalla rampa delle scale, al terzo tutti urlano, esattamente come al primo.
Non avevo mai visto una cosa simile. La stessa cantilena continua a risuonare in ogni angolo, come un ronzio fastidioso, ma in questo momento sono troppo preoccupata per chiedermi il perché.

Il quarto e ultimo piano è l’unico silenzioso, buio e tranquillo: le urla, i pianti e la canzone sono solamente un sottofondo inquietante che al momento non riesce a spaventarmi. Sono così contenta di aver trovato un luogo calmo che riesco persino ad ignorarlo.
Mi siedo per terra, nascondo il viso tra le mani e faccio respiri profondi per calmarmi. So che devo tornare da mio padre per riferirgli ciò che ho visto, ma non riesco a muovere un muscolo al momento. Sto tremando e non me ne ero nemmeno resa conto.
Uno scricchiolio. Una porta che si chiude. Dei passi che si avvicinano. Questi sono i rumori che ho appena sentito, ma non riesco a vedere niente, è tutto buio attorno a me.
Sudo e sento la testa girare. Cerco con la mano l’interruttore, ma non lo trovo. Decido di tornare a terra e chiudere gli occhi. Scuoto la testa cercando di scacciare il suono che si avvicina lentamente a me. Non ho niente per difendermi, l’unica cosa che posso fare è fare l’elenco dei vicini che ho visto ai piani precedenti per controllare che ci siano tutti, ma la confusione era tale che parecchi mancano all’appello.
Mi stringo in me stessa, come se questo possa bastare come difesa, fino a quando non sento una mano calda e forte afferrarmi il collo e sollevarmi da terra. Incontro degli occhi luccicanti in preda all’ansia, con un barlume di coscienza che non ho visto in nessun altro se non mio padre da quando sono entrata: dalla poca luce proveniente dalle scale capisco che è il nostro vicino Ben.

«Che fai?», sussurro cercando di deglutire e respirare, ma la sua presa me lo impedisce. Con le mie dita cerco freneticamente di allentare la sua presa, ma le mie mani tremano troppo e l’ansia mi impedisce di ragionare e trovare una via di scampo.
Cerco di colpirlo, ma i miei sforzi sono inutili: è decisamente più forte di me. Le mie gambe penzolano nel vuoto e ormai sono senza aria nei polmoni: i pugni non lo sfiorano nemmeno. La testa mi gira e temo di essere ormai spacciata. Dei brividi di orrore percorrono le mie ossa.
«Pazzia!». La sua voce non è più la stessa. Segue una risata agghiacciante, acuta e tremante. Poi allenta la presa, lascia che io riprenda fiato, posando le sue mani sulle mie spalle e impedendomi di scappare. Sbatte la mia schiena contro il muro per minacciarmi di non provare a ribellarmi e io lo accontento. Dopotutto, chi potrebbe aiutarmi in un luogo del genere?
«Cosa sta succedendo qui?». Nonostante il suo comportamento mi spaventi, è il primo che abbia detto una parola di senso compiuto da quando ho visto cos’è successo qua dentro, devo mettere da parte la paura per un attimo e fare la cosa giusta.
Come risposta si mette a canticchiare la stessa canzone di Daphne: ascoltandola mi si gela il sangue nelle vene.
Vedendo la paura nei miei occhi dapprima si rattrista, poi corruga la fronte impegnato in qualche strano ragionamento. Conclude scoppiando a ridere, con una lacrima che scende sulla sua guancia.

«Cos’è questa canzone?». Insisto perché credo che lui sia l’unico in grado di darmi qualche risposta qua dentro.
«Buio! Buio assoluto!», urla fuori di sé. «Come un serpente», aggiunge mimando il movimento dell’animale con le braccia.
I suoi occhi sbarrati incontrano i miei: mi sta supplicando di capirlo, e io annuisco per farlo felice, anche se in realtà non ho idea di cosa stia parlando.
«Chi è stato?», chiedo ancora, con la voce tremante e la gola chiusa dall’ansia.
Ben si allontana da me, con lo sguardo fisso verso la parete alle mie spalle. Posa la sua mano ossuta sulla carta da parati e la strappa via con le unghie. Poi ci posa l’orecchio e rimane in ascolto. Anche lui ormai è completamente impazzito, di certo non mi sarà più utile.

Mi volto dirigendomi silenziosamente verso le scale per raggiungere mio padre, quando Ben sussurra il mio nome. Mi giro verso di lui e sembra quello di sempre, anche se il suo volto è stanco, sconfitto e disperato. Ora è lucido, si rende conto di cosa ha fatto e ciò lo terrorizza, sa che non tornerà mai come prima: è impazzito, questi sono gli ultimi attimi prima che cada nell’oblio per il resto della sua vita.
Ma ha ancora un ultimo desiderio, si legge nei suoi occhi una richiesta di aiuto, così decido di ascoltarlo.

 
«è in ogni cosa, ma niente è adatto a lui.
Se lo incontri è la fine,
se lo sconfiggi è un nuovo inizio.


 

Angolo autrice_

Ciao a tutti :) 
Per prima cosa voglio ringraziare chiunque abbia letto questo capitolo. 
Questa è la prima storia che pubblico, quindi, che dire, sono un po' (tanto) emozionata :) 
Spero che la storia vi piaccia, per qualsiasi parere o consiglio scrivete una recensione, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate :) 
Bene, non so che altro dire, quindi... Un saluto a tutti e al prossimo capitolo (Spero, LOL :D ) 
Ps: capitolo troppo lungo?(la capacità di sintetizzare non è mai stato il mio forte .__. )

DriDri_

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Capitolo 2
*** Trust me! ***


Capitolo 2




Annuisco nonostante non abbia capito cosa mi voglia dire Ben, poi fuggo al primo piano per raggiungere mio padre, abbandonando quell’uomo a se stesso e alla sua pazzia.
Corro talmente veloce che salto parecchi gradini e i coinquilini non riescono a sfiorarmi. Mio padre è ancora affianco a Daphne che cerca di parlare con lei.

«Scoperto qualcosa?», chiede preoccupato. Intorno a noi si scatena sempre di più l’inferno, la situazione sembra peggiorare anziché placarsi: parecchi uomini stanno diventando violenti ed è quando vedo uno di loro colpire con un pugno una donna che mi rendo conto di non poter fare nulla se non scappare e salvare me e mio padre.
«Dobbiamo andarcene», sussurro con gli occhi sbarrati dalla paura, afferrando con mano tremante la sua manica e tirandolo verso di me.
«Cosa? Non possiamo lasciare questo posto! Cosa faranno loro?», mi domanda indicando i nostri coinquilini. Ha un cuore d’oro, l’ha sempre avuto, e so che andarsene e abbandonare quella povera gente gli sembra la cosa peggiore da fare, ma è l’unica soluzione al momento.
«Non puoi aiutarli». Le mie parole suonano come una preghiera: non voglio vederlo impazzire e non voglio che si ferisca nel tentativo di salvare questa gente.
I suoi occhi perdono luminosità: ha capito e la speranza abbandona il suo corpo. Annuisce, si solleva, lancia un ultimo sguardo a Daphne e decide di seguirmi fuori dal condominio.
«Aspetta, vado a prendere le nostre cose», dice dirigendosi verso le scale.
«No!», esclamo, strattonandolo nella direzione opposta. «Non c’è tempo», ma soprattutto non voglio che incontri Ben. Potrebbe essere ancora semicosciente e parlare con lui: questo lo convincerebbe definitivamente a restare qua. Inoltre l’istinto mi dice che non deve assolutamente sapere cosa mi ha detto quell’uomo. Il perché non lo so, me lo sento e basta.
«E va bene».

Corriamo fuori dall’edificio, lasciandoci alle spalle le urla e la distruzione. Immediatamente ci viene incontro Silvia e dal suo sguardo capisco che il problema non riguarda solamente casa nostra.
«State bene?!»
«Noi sì, ma sembrano essere tutti impazziti. Ho cercato di parlare con loro, ma non rispondono, non so che fare, vorrei aiutarli...», urla mio padre, portando le mani tra i capelli, disperato. Riesco a sentire il suo senso di colpa, ma non gli permetterò di rischiare la sua vita. «Cosa facciamo adesso?». I suoi occhi si posano di nuovo sul nostro condominio e si legge il suo desiderio di tornarci dentro per un ultimo tentativo.
«Io ho preso le chiavi dell’auto: non possiamo rimanere qua, ce ne andiamo, voi verrete con me», spiega dirigendosi verso il parcheggio che dista pochi metri da noi.

«Voi andate», dico, rimanendo immobile mentre loro si incamminano fianco a fianco. Mio padre si volta di scatto e mi raggiunge preoccupato.
«Cosa?»
«Voi andate, io vado da Eveline, vi raggiungerò assieme alla sua famiglia». Nel mio petto il cuore martella irrequieto. Devono fidarsi di me, devono partire senza di me, a qualsiasi costo. Io non posso andarmene, non ancora.
«Mi dispiace dirtelo, ma non è certo che la tua amica sia salva. Non possiamo lasciarti qua», dice mio padre con tono dolce.
«Mi ha scritto un messaggio. Ha detto che sta bene e mi ha chiesto di raggiungerla». Non sono mai stata brava a mentire, mio padre lo sa. Ha capito che sto inventando tutto quanto, ma non riesce a capire il perché. Non ci riesco nemmeno io, so solo che è la cosa giusta da fare.
«Bene, la passeremo a prendere e andremo via assieme a lei, così non dovrai andare da sola», interviene Silvia, raggiungendoci a sua volta.
I miei occhi lo stanno scongiurando, e lui l’ha capito. Attorno a noi non c’è più nulla, solamente la richiesta di fidarsi di me, di lasciarmi andare nonostante per lui sia doloroso, nonostante per me sia pericoloso. Potrebbe non rivedermi mai più, potrei non raggiungerli, né stanotte né domani, lo sappiamo entrambi, non serve dirlo. Ma lui ha capito che so qualcosa in più, ha capito che voglio salvarlo. Vorrebbe aiutarmi, non è nel suo carattere abbandonare le persone, ma se non so nemmeno cosa fare, come potrei trascinarlo assieme a me in un’impresa troppo grande e complicata?
Sono pronta a mettermi in gioco, ma non a rischiare di perderlo.
I miei occhi sono sbarrati nell’attesa della sua risposta, i suoi si spengono pian piano e si riempiono di lacrime silenziose. Alla fine le sue spalle si abbassano, il suo respiro si ferma per qualche secondo. Poi sospira e chiude gli occhi.

«Va bene. Ci vediamo dopo». La sua frase non ha questo significato. Addio Kyra, ti voglio bene, è questo quello che mi dice il suo sguardo affranto.
«Certo, a dopo». Grazie di esserti fidato. Addio papà.


Angolo autrice_
Ciao a tutti :D 
Ovviamente ringrazio ancora chi ha letto questo capitolo o quello precedente ;)
Spero che la storia vi piaccia, magari che qualcuno di voi inizi a metterla tra le "storie seguite", mi farebbe molto piacere :)
Vi chiedo anche (sì, sono una rompi balle u.u ) di recensire la storia, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se vi piace o se vi fa proprio schifo xD
Sappiate che non mordo nessuno ;) 

Grazie ancora di cuore a chi ha letto o leggerà la storia :D 
Al prossimo capitolo ! :D 

DriDri_

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Capitolo 3
*** The last hope. ***


Capitolo 3

 

Sono sola, in mezzo al caos, al buio, senza un posto in cui andare, senza sapere cosa fare. L’istinto mi spinge a fare davvero quello che ho detto a mio padre: inizio a correre verso la casa della mia migliore amica, perché dopotutto potrebbe essere viva, potrebbe non essere ancora impazzita.
Durante il tragitto inizio a perdere qualsiasi speranza. Ci sono edifici in fiamme, gente che urla o piange in ogni angolo e nonostante io cerchi di non farci caso, parecchi individui sono diventati violenti. Accelerò il passo per sfuggire a tutto questo, come se avanzando per le strade potesse tutto scomparire all’improvviso, ma ovviamente in ogni via si ripete la stessa storia.
Dopo alcuni minuti arrivo finalmente davanti al cancello della casa di Eveline. Suono il campanello, ma quando sento dei passi, dei sussurri e vedo un’ombra avvicinarsi scavalco il portone e mi nascondo tra i cespugli del giardino.

Eveline abita in una zona abbastanza isolata del paese, possiede una bella casa elegante e sempre ordinata e mentre la osservo dal mio nascondiglio mi sembra che tutto sia rimasto intatto. Non vorrei illudermi, ma il sollievo che mi invade è così piacevole che lascio che mi culli.
Mi godo questo momento di pace, fino a quando non sento uno scricchiolio e un sospiro vicino a me. Non guardo nemmeno cos’è stato, semplicemente mi alzo e inizio a correre verso la porta di casa. La trovo aperta e così, senza pensarci, entro. Quello che vedo non mi piace: mobili rotti e ribaltati, oggetti sparsi ovunque, cassetti e ante aperte: la casa è sottosopra.
Inizio a perlustrare il corridoio, la cucina e il bagno, ma non trovo nessuno. La casa sembra essere abbandonata e solo in quel momento mi rendo conto di non aver visto l’auto nel garage.
Proprio in quel momento il mio cellulare suona, facendomi saltare dallo spavento.

«Pronto?», chiedo col fiatone.
«Kyra, ma dove sei?». È la sua voce, lei è salva.
«A casa tua. Tu piuttosto dove sei?». È vero, ho convinto io mio padre a lasciarmi qui da sola e fino a pochi minuti fa ero convinta che sarei rimasta qui fino a quando non sarei impazzita anche io, ma ora che vedo un barlume di speranza, non posso fare a meno di aggrapparmi alla possibilità che la mia migliore amica sia ancora qui nei paraggi e mi venga a prendere.

«Sono scappata, come tutti quelli che non sono impazziti! Ormai siamo a qualche chilometro da casa, ma se vuoi torniamo a prenderti», urla in preda al panico nel sapermi da sola.
Rimango in silenzio per qualche minuto, guardando fuori dalla finestra: in lontananza si vedono ancora le fiamme e si percepisce il caos irrimediabile che ha travolto questa zona. Ogni fibra del mio corpo trema al solo pensiero di dover tornare là in mezzo completamente sola, senza in effetti alcuna speranza di sopravvivenza, di questo me ne rendo conto ora. Ma se Ben mi ha sussurrato quelle frasi, vuol dire che un filo logico dietro a tutto questo c’è. E se il destino ha deciso che proprio io avrei dovuto affrontare tutto questo, allora non posso fare altro che assecondarlo, per quanto il mio tentativo di salvataggio possa essere pericoloso e patetico.

«No, voi andate, non vi conviene tornare qua», sussurro, come se così facendo potessi rimangiare le parole.
«E tu cosa farai?». Nemmeno lei vuole tornare qua, lo sento dal suo tono di voce, ma è combattuta perché l’idea di lasciarmi la disgusta.
«Non preoccuparti per me, questa zona è piuttosto tranquilla. Posso nascondermi a casa dei tuoi vicini per un po’ di tempo»
«E poi? Kyra, la situazione peggiorerà e a quel punto nessuno potrà salvarti», grida ormai disperata, anche se in effetti nemmeno lei sa cosa dobbiamo fare.
In questo momento mi pento di averle risposto al telefono: per lei sarebbe stato meglio sapermi già impazzita come tutto il resto degli abitanti. Ora invece si sentirà per sempre in colpa per avermi abbandonata, perché avrebbe potuto salvarmi.

«Forse è così che devono andare le cose». È in questo momento, con questa frase, che sento una barriera chiudersi attorno a me. Il mondo che conoscevo prima mi ha tagliata fuori, mi ha esclusa, non gli appartengo più.
Metto giù il telefono senza lasciarle la possibilità di rispondere e lo lascio cadere a terra: non mi servirà più.
Scoppio a piangere disperata, senza forze, senza sapere come farò a scampare a tutto questo, come farò a salvare la mia città se non riesco nemmeno a salvare me stessa.
Poi mi sollevo, perché crogiolarsi nel dolore non mi aiuterà in alcun modo. Rivolgo uno sguardo verso le fiamme, le urla, i pianti della mia città: verso l’inferno terrestre che mi aspetta. È là che devo andare.

Quando esco di casa non sono pronta ad affrontare quello che mi aspetta, le mie gambe fanno fatica a muoversi perché vorrebbero ribellarsi alla mia volontà.
Dopo pochi passi vedo un’ombra, stesa a terra: mi avvicino per riconoscerla e quando vedo che è una mia compagna di classe sussulto. Mi accovaccio al suo fianco e poso l’orecchio sul suo petto: il cuore non batte più.
Quando la guardo nel viso, mi rendo conto che potrei essere io al suo posto, o Eveline, o mio padre.
Non posso lasciare che l’ingiustizia vinca così facilmente.

Angolo Autrice_
Salve a tutti!
Odio essere ripetitiva, ma ringrazio come sempre chiunque abbia letto questo capitolo o quelli precedenti :) 
Mi scuso se non sono riuscita a pubblicare ieri, ero piena di compiti e proprio non sono riuscita.
Questo capitolo non mi convince molto, quindi per favore, vi chiedo di recensire la storia, anche perché se non mi dite cosa ne pensate non so se vi piace o no, o se volete che cambi qualcosa. E poi fa sempre piacere ricevere una recensione, anche una critica, perché almeno mi fa capire se sto sbagliando qualcosa :) 
Quindi... Ciiiiiao :D


SPOILER 

Nel prossimo capitolo Kyra inconterà una persona. Sarà disposta ad aiutarla o dovrà combattere contro un nemico? 
Inoltre finalmente si entra nel vivo della storia ;)

 

DriDri_


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Capitolo 4
*** Shadow. ***


Capitolo 4




Percorro il tragitto che mi conduce al centro del paese quatta, quatta, sfruttando l’oscurità per nascondermi e non essere notata: non voglio che il mio sacrificio divenga inutile così presto, senza nemmeno darmi il tempo di provarci.
Impiego più tempo rispetto all’andata, ma almeno questa volta mi sono protetta.
Una volta arrivata, però, i lampioni, le fiamme e le luci accese delle abitazioni mi privano della mia invisibilità, così tendo le orecchie, pronta a correre nel caso qualcuno dovesse avvicinarsi a me.
Noto immediatamente che è iniziato il saccheggio dei negozi, ma non ne sono sorpresa: era questione di attimi. Le vetrine sono rotte, la merce è sparsa per le strade.
Ci sono così tanti rumori, odori e sensazioni che inizio a sentire una gran confusione nella mia testa. Che cosa pensavo di fare? Di arrivare, parlare a qualcuno e risolvere il problema? Non è così semplice, non ho un piano, non ho nessuna idea, ho solamente tanta paura.
Vorrei avventurarmi nella via principale, perché da qualche parte bisogna pur iniziare, ma la mia codardia mi porta a fuggire nei luoghi più tranquilli e desolati. Mentre corro mi scontro contro alcune persone, gente che conoscevo ma che non riconosco più: i volti sono sempre gli stessi, ma gli sguardi... non c’è logica, non c’è lucidità nei loro occhi, c’è solamente rabbia, tristezza, confusione.

Mi guardo alle spalle per un attimo, controllando che nessuno mi stia seguendo, quando vado a sbattere contro un uomo, che mi afferra per le spalle e mi spinge con forza sul marciapiede di lato. Cado, con un tonfo netto, e sento la schiena e il braccio schiacciati dal dolore, ma non posso permettermi di fermarmi: il pazzo ha deciso che vuole sfogare la sua ira su di me.
Mi sollevo e inizio a correre più veloce di prima, senza voltarmi, senza fermarmi, fino a quando non giungo vicino alla mia vecchia scuola: lì c’è un piccolo cortile con qualche albero e dei cespugli, dove posso nascondermi e riposarmi per un attimo.
Mi butto tra nell’erba e trattengo il respiro per non far rumore, massaggiando le botte che la caduta mi ha provocato.

Una mano mi afferra al braccio. Mi volto terrorizzata, non sento nemmeno il sangue scorrere nelle vene, le ferite non fanno più male, la paura ha annullato qualsiasi altra preoccupazione o pensiero. Un’altra mano preme sulla mia bocca per soffocare le mie urla. Davanti a me vedo solamente un’ombra. È un uomo. Probabilmente quello che poco fa mi ha assalita mi ha inseguita e ora attuerà la sua vendetta. Ma quando scorgo nel buio due occhi luccicanti capisco che non è lui: quest’uomo ha troppa coscienza delle sue azioni per essere pazzo.

«Smettila di urlare, idiota!», mi sibila seccato. Ora ho capito chi è. È Alex, un mio compagno di scuola. Sospiro esasperata e lo allontano da me bruscamente: con tutte le persone che potevano capitare, perché lui?
L’ho sempre odiato. Siamo a scuola assieme dalle elementari e da quando ha 6 anni si comporta come il classico bullo: incute timore agli altri studenti, deride chi è diverso da lui, si atteggia da ribelle... Ragazzi come lui ce ne sono tanti, ma per Alex provo un odio particolare.

Ricordo ancora quando, in terza elementare, mi aveva spinta in cortile durante la ricreazione: mi ero sbucciata un ginocchio ed ero scoppiata a piangere, lui mi aveva derisa davanti a tutti e poi era corso via a giocare con i suoi amici. Quando le maestre erano arrivate non avevo detto che era stato lui, non volevo che mi prendesse di mira.
La cosa peggiore, però, è avvenuta quest’anno: una sera era uscito con i suoi soliti amici e alcuni ragazzi della mia classe, il che era perfettamente normale. Il giorno seguente, arrivata a scuola, avevo trovato Eveline chiusa in bagno in lacrime. Tutti la prendevano in giro, ridevano di lei. Il motivo non l’ho ancora capito, so solo che lui aveva sparso una voce falsa per fare in modo che tutti la reputassero sfigata.
L’avevo raggiunto in corridoio e gli avevo urlato in faccia tutti gli insulti che mi passavano per la mente. Ero fuori di me, se me n’ero rimasta in silenzio quando mi aveva fatto male, non avevo intenzione di rimanere zitta quando decideva di rovinare la vita alla mia migliore amica.
Il risultato della mia presa di posizione era stata una nota. Per me.

Per questo, quando capisco che lui sta bene, mi sento ancora più infastidita. È brutto augurare del male a qualcuno, ma non posso far altro che pensare che con tutte le persone che si potevano salvare lui di certo non se lo meritava più di oro. Mi devo rassegnare ormai al fatto che non esista alcuna giustizia.
Mi alzo silenziosamente per andarmene, ma lui mi tira giù con uno strattone.

«Quell’uomo è ancora nei paraggi, vuoi che venga qua e ci trovi?». Non rispondo, mi limito a fulminarlo con lo sguardo.
«E tu sei ancora viva e sana», continua con un sorriso ironico. Dio, quanto lo odio. «Sul serio, come hai fatto?», insiste, ridendo a bassa voce.
«Sai, possiedo una qualità chiamata furbizia, non so se la conosci», rispondo scocciata, incrociando le braccia al petto. Rimaniamo in silenzio per un po’, in ascolto, spiando l’uomo che mi ha inseguita fino qui. Dopo qualche minuto se ne va più confuso di prima: probabilmente non sa nemmeno perché si trova vicino alla scuola.
«Ora, se non ti dispiace, devo andare», dico allora, alzandomi e allontanandomi da lui in fretta e furia.
«E dimmi un po’, dov’è che vorresti andare?», domanda con quella sua odiosa espressione spavalda.
«In... giro», rispondo in imbarazzo. Per quanto mi stia antipatico devo ammettere che sono piuttosto ridicola.
«Oh, interessante, in giro. Ti vai a prendere un panino al pub? O a fare shopping? No perché in quel caso ti devo dire che è stato quasi tutto distrutto», lo interrompo prima che finisca la frase.
«Lo so benissimo che è stato tutto distrutto, ho degli occhi come te», sbotto, forse a voce troppo alta.

Ci guardiamo entrambi esasperati, con lo stesso pensiero: non ci piacciamo, ma se vogliamo resistere in questo posto dovremo imparare a collaborare. Purtroppo il mio carattere istintivo mi spingerebbe a mandarlo al diavolo e continuare da sola, ma ormai non posso più reagire senza pensare, ne dipende la mia vita, non posso permettermi errori.
«Non andrai lontana, tutta sola»
«Preferisco stare da sola piuttosto che farmi aiutare da te». In parte è vero. Vorrei che ci fosse qualcun altro al posto suo, chiunque mi andrebbe bene. Ma devo ammettere che la sua proposta mi mostra finalmente un’impresa che si fa via via meno impossibile, meno complicata, meno spaventosa.
«Lo so, ma non pensi che assieme avremmo più possibilità di sopravvivere?». A questo punto non posso più controbattere. Così quando mi tende la mano gliela stringo con forza: ora dipendiamo l’uno dall’altra.

«Tu... hai capito cosa...?», domanda a bassa voce, dopo qualche attimo di silenzio.
«No. So solo che è stata una canzone a far impazzire tutti, il mio vicino mi ha detto una frase, in un momento di lucidità... ma è un indovinello, non so quanto possa esserci utile. Tu?»
«Ho visto un’ombra allontanarsi da casa mia, dopo che, insomma...». Ne soffre, lo vedo. Lo capisco perché il suo dolore è semplicemente il riflesso del mio. Anche lui deve aver perso i parenti, solo che i miei sono salvi, i suoi probabilmente sono impazziti.
«Che ombra?», sto per chiedergli se l’ha riconosciuta, quando vedo che il suo sguardo si sposta alle mie spalle: sgrana gli occhi e inizia ad indietreggiare. Io non ho il coraggio di voltarmi.
«Quella che è dietro di te».



Angolo Autrice_

Salve a tutti! :)
Eccoci con un nuovo capitolo (questa volta in anticipo, altrimenti non so quando sarei riuscita a postarlo). 
Ovviamente, come sempre, spero vi piaccia e vi chiedo di lasciare una recensione per farmi sapere se, secondo voi, potrei migliorare qualcosa o se vi va bene così :) 
Un parere in più fa sempre bene ;)
Ringrazio chi ha letto la storia e soprattutto quelle meraviglie che l'hanno recensita, grazie davvero, mi rendete la più felice del mondo :D 


DriDri_

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Capitolo 5
*** Survival. ***


Capitolo 5





L’aria fredda inizia a pungermi i polmoni ad ogni respiro. Stiamo correndo da parecchio tempo ormai, ma non ci fermiamo. Non avevo nemmeno guardato l’ombra prima di scappare, ero partita e basta.
Siamo nella campagna che circonda il nostro paese, a quel punto entrambi pensiamo di essere abbastanza lontani e ci fermiamo a prendere fiato. Non mi sono mai sentita così stanca in vita mia, mi viene da vomitare dallo sforzo, così mi accovaccio un attimo a terra, piegata in due.

«Che cos’era?», chiedo dopo essermi ripresa.
«Non ne ho idea, ma credo abbia a che fare con tutta questa storia». Annuisco, non riesco a fare altro.
Mi siedo sul marciapiede, perché ora che l’adrenalina sta abbandonando il mio corpo, il dolore al braccio e al coccige si fanno sentire nuovamente. Inoltre lo sforzo della corsa appena compiuto non ha di certo favorito una guarigione immediata.
Probabilmente ho un livido, niente di grave. Altrimenti non sarei riuscita a fuggire in quel modo. Esamino il mio braccio e noto un graffio, ma non esce sangue.

«Credo che per prima cosa dovremmo provvedere alla nostra sopravvivenza, poi potremo pensare a come fare gli eroi», dico puntando gli occhi verso le luci del paese alle nostre spalle.
«Concordo. Dovremo tornare laggiù, qua non c’è niente, solamente tanta erba e una lunga strada». Così riprendiamo il cammino.

Impieghiamo quasi venti minuti per tornare alla piazza centrale. Quando vedo le macerie e sento le urla mi vien quasi da ridere: cosa mi aspettavo, di rivedere le strade pulite e deserte di sempre? Devo smetterla di sperare in un miracolo, devo accettare la situazione, solo così potrò andare avanti e lasciarmi alle spalle il passato. Ormai è scivolato via, non ci posso fare niente, e rimembrarlo non serve a niente. Non mi conforta nemmeno, mi fa solamente avvolgere dalla malinconia.
Ci appartiamo per non venire investiti dalla folla e studiamo un attimo la zona.

«Ci serve cibo, acqua, dei vestiti... credo che queste siano le cose più importanti ora», dico contando i punti dell’elenco sulle dita.
«Bene, io vado a recuperare qualche vestito, tu ti occupi del cibo», detto ciò si volta per eseguire il suo compito, ma prima che me ne renda conto i brividi mi percorrono la schiena e la mia mano lo afferra per impedirgli di andarsene.
«Aspetta, vuoi che ci dividiamo?», chiedo scioccata. Nonostante vorrei mostrargli la mia capacità e fargli capire con chi ha a che fare, la paura mi attanaglia lo stomaco.
Dopotutto avevamo deciso di collaborare proprio per evitare di ritrovarci da soli: so che non avere nessuno che ti guarda le spalle è decisamente pericoloso in un posto come questo.
«Esatto, faremo molto prima, non trovi?». Annuisco e lascio la presa. Rimango a guardarlo mentre scompare tra la folla impazzita.
Ora devo pensare solamente a me stessa.

L’unica cosa che posso fare è saccheggiare un negozio, quindi mi dirigo verso la strada principale, dove si trovano il supermercato, il panificio, i bar e i ristoranti.
Le vetrine sono già state sfondate, quindi devo solamente fare attenzione a non tagliarmi con i pezzi di vetro e controllare che nessuno mi si avvicini.
Inizio dal posto più vicino, ovvero il supermercato. Il pavimento è appiccicoso a causa dell’alcol e del latte versati, mischiati a qualsiasi tipo di cibo si possa immaginare.
Le casse sono state distrutte, alcuni ripiani sono a pezzi, inclinati se non del tutto staccati.
Prendo uno zaino da uno scaffale in alto e inizio a buttarci dentro tutto ciò che potremo mangiare nei prossimi giorni: faccio scorta soprattutto di cibi in scatola, crackers, biscotti di burro, mais, un po’ di frutta, grissini, cereali... Tutte cose che non richiedono alcuna cottura o trattamento particolare.
Tutto è andato liscio, quindi mi intrufolo nel bar affianco. Anche qui sembra essere appena passato un uragano: le sedie, i tavoli, tutto è stato spaccato con violenza, sbattuto contro il muro o gettato fuori dalla porta. L’acqua esce con getto violento dai lavandini.
Prendo tutte le bottiglie d’acqua che trovo. Sono fatte di vetro, il che potrebbe rivelarsi un’arma nel caso di un attacco. Ormai sono costretta a pensare anche ad un possibile scontro, non posso lasciare niente al caso.
Per ultimo mi intrufolo nel panificio.
Qui sembra essere tutto diverso: a parte alcuni prodotti sparsi sul pavimento, il posto sembra in ordine.
Infatti, quando entro, noto con sorpresa che Franco, il proprietario, è ancora dietro il bancone pronto a servire la clientela.
So che dovrei stare lontana da lui, potrebbe essere impazzito e pericoloso, ma l’istinto mi fa avvicinare.

«Cosa ci fai qui?», chiedo a bassa voce.
«Io? Che cosa ci fai tu qui, piuttosto. Io sono rimasto per aiutare quelli che come te potrebbero avere bisogno di una mano». Non ho mai parlato con lui, se non per comprare la sua merce, ma ora mi rendo conto che sarebbe stato bello conoscerlo. Solamente una persona meravigliosa avrebbe potuto mettersi a completa disposizione per gli altri abitanti.
Non sapeva nemmeno se qualcuno si sarebbe salvato, o sarebbe rimasto, ha semplicemente messo da parte la sua vita per aiutare i compaesani. È un gesto davvero toccante.
«Quello  che stai facendo è davvero... bello», dico quasi commossa. «Comunque io sono rimasta per cercare di cambiare... questo», continuo, allargando le braccia e guardandomi attorno.
«Quindi in fondo stiamo facendo la stessa cosa, solo che io ormai sono vecchio, non ho niente da perdere. Tu sei ancora una ragazza, e una sedicenne che mette a rischio la propria vita per quella degli altri dev’essere davvero speciale».
Gli sorrido ed entrambi ci guardiamo con occhi tristi. Nessuno dei due pensa che l’altro sopravvivrà e ad entrambi dispiace. Franco è una persona così buona, si merita una bella vita, una fine dignitosa. Ma non gli propongo di scappare, dopotutto nemmeno io dovrei essere lì. So cosa vuol dire, io ho costretto mio padre a lasciarmi qui per lo stesso motivo: fare qualcosa, qualsiasi cosa.
«Perché non ti guardi in giro e prendi qualcosa? Immagino tu abbia molta fame. Tranquilla, non dovrai pagare niente», lo ringrazio e mi dirigo verso i cesti di pane alla mia destra.

Prendo un sacchetto di carta e ci infilo dentro tutto quello che riesce a starci. Tutto quel cibo mi sta mettendo una gran fame, non mangio da ore e le numerose corse mi hanno privata di tutte le energie. Ho bisogno di carboidrati.
Prendo anche qualche dolce fatto in casa, dello zucchero non fa mai male.
In quel momento lui mi raggiunge con una fetta di torta in mano. Me la porge con un sorriso.
Il profumo di cioccolato e vaniglia mi avvolge e mi fa sentire così felice e libera che non mi sembra possibile provare di nuovo queste sensazioni. È un contrasto così forte rispetto all’aria soffocante e alla puzza di bruciato di cui i miei polmoni si sono nutriti fin a quel momento...

«Ci resta poco tempo, perché non ce lo godiamo?». Detto questo addenta con un sorriso la fetta che ha in mano.

 Non ho nemmeno il tempo di assaggiare la torta, che noto le sue pupille dilatarsi. Le sue mani vecchie e ossute tremano a tal punto da lasciar cadere a terra il dolce. Dalla sua gola esce solamente qualche grido soffocato e roco. Mi allontano lentamente, tenendo gli occhi puntati su di lui, infilando in fretta e furia la mia fetta nella borsa.
Il suo corpo è colpito dalle convulsioni, cade a terra e dopo qualche attimo finalmente si ferma. Mi chino su di lui e noto che respira ancora. I suoi occhi sono persi in un altro mondo, non riesce a vedermi, ormai non mi riconosce più. È impazzito anche lui.
Mi allontano silenziosa, con il cuore che batte dolorosamente nel petto: sono stufa di tutto questo, di tutti questi sguardi disperati e senza logica, di tutte queste vite interrotte e rovinate per sempre.
Esco immediatamente, con la testa che ronza: tutto è successo troppo in fretta.

All’improvviso, però, mi fermo.
Mi tornano in mente le parole di Ben. “è in ogni cosa, ma niente è adatto a lui. Se lo incontri è la fine, se lo sconfiggi è un nuovo inizio.”
Ora ho capito. Quella cosa era dentro la fetta di Franco.
L’ombra mi ha inseguita, scappare è stato inutile, non posso nascondermi da le.
Non avrà pace finché non mi avrà in pugno.






Angolo Autrice_

Scusate il ritardo, lo so, è da più di una settimana che non pubblico niente, chiedo perdono (colpa di quella stupida scuola u.u ).
Durante queste vacanze spero di avere più tempo di scrivere/pubblicare, ma se non lo dovessi fare prima di Natale faccio a tutti voi gli auguri di buone feste :D


(We wish you a marry Christmas, we wish you a marry Christmas, we wish you a marry Christmas and a happy new year! :D)

 Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero che la storia inizi a farsi più chiara ;)
Vi chiedo come sempre di lasciarmi una recensione, perché i vostri consigli sono sempre utili! Vorrei sapere cosa ne pensate, se la storia vi piace, se invece la trovate noiosa... Insomma, commentate, perché la cosa più bella è accedere al mio account e vedere che mi avete lasciato una recensione!

Ok smetto di annoiarvi con i miei pensieri a ruota libera xD
Grazie ancora a chi ha letto pure questo capitolo, e soprattutto a chi ha recensito quelli precedenti (siete dei tesori! :D ) 

Baci:*


DriDri_

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Capitolo 6
*** First signs. ***


Capitolo 6





Torno nel posto in cui io e Alex ci eravamo separati. Anche lui porta uno zaino sulle spalle: era mio, lo usavo ogni giorno per andare a scuola.

«Dove l’hai preso?», chiedo sconvolta, strappandoglielo di dosso e aprendolo per vedere cosa contiene. Ci sono i miei vestiti più caldi e comodi: felpe, leggins, tute, calzettoni pesanti... persino delle coperte.
«A casa tua, dove sennò?», spiega nervoso, afferrandomi per un braccio e allontanandomi con la forza. In effetti rimanere qui, in mezzo al caos, non è una buona idea.
«Sai dove abito?», chiedo confusa. L’altra domanda che mi balena in mente è come hai fatto ad entrare e prendere la mia roba senza essere attaccato?
«Piuttosto tu dove hai preso questo zaino?», chiede indicando quello che porto sulle spalle.
«Mi avevi detto di procurarmi del cibo ed è quello che ho fatto», spiego frettolosamente, incamminandomi senza nemmeno sapere dove sto andando di preciso.
«Dove stai andando?», domanda, seguendomi con passo pesante.
«In un posto tranquillo dove possiamo riposare e mangiare», rispondo secca, allontanandomi ancora di qualche passo da lui.
Probabilmente siamo gli unici due ragazzi rimasti sani qui intorno, ma non riesco ad andare d’accordo con lui, a collaborare. Per me è già uno sforzo non prenderlo a schiaffi ogni volta che mi risponde con una battuta sarcastica.
«Cosa ti aspetti di trovare? Un hotel aperto e pronto ad ospitarci?». Il suo sarcasmo è quasi tastabile. Mi volto verso di lui, scocciata, e punto il dito contro il suo viso.
«Non credere che io sia un’idiota o una ragazzina qualunque. So bene quanto te in che situazione ci troviamo ora, e so anche che dovremo dormire all’aperto, senza un letto o un tetto sopra la testa. Sto cercando di provvedere a me stessa, anzi, a noi, quindi ficcati un panino in bocca e taci». È sbigottito, leggo nei suoi occhi la sorpresa. È lo stesso sguardo che aveva quella volta che gli avevo urlato a scuola davanti a tutti. Tende a dimenticarsi questo lato del mio carattere.

Affretto il passo verso i campi aperti che circondano il paese e durante il tragitto non ci rivolgiamo più la parola. Quando arriviamo a destinazione, mi guardo in giro e decido di fermarmi in mezzo al prato: saremo nascosti dalle spighe di grano, non ci sono lampioni. Siamo al sicuro, lontani dal pericolo, invisibili.
Quando sento Alex prendere fiato per parlare penso per un solo secondo che mi stia per ringraziare, o almeno che stia per riconoscere che sono stata in grado di trovare un buon nascondiglio.
«Cosa stavi dicendo prima su un panino da ficcarmi in bocca?». Con arroganza mi sfila lo zaino dalle spalle e fruga nella tasca, fino a quando non trova qualcosa che gli piace. Un panino tondo, dolce farcito di cioccolato.
«Oh, complimenti», esclama prima di addentare quella che sarà la sua cena.
Non abbiamo molte provviste e chissà fino a quando saremo bloccati qui. Non lascerò che la sua gola ci faccia morire di fame.
«Questo è tutto quello che ti è concesso mangiare fino a domani». Afferro lo zainetto e lo chiudo con un colpo secco.
«A quanto pare pensi di sopravvivere per parecchio tempo eh?». I brividi mi percorrono la schiena. In effetti queste potrebbero essere le mie ultime ore, chi mi assicura che domani sera sarò ancora in vita?
«Diciamo che morire non è nei miei piani», rispondo acida.
«Secondo me invece abbiamo ancora poco tempo, quindi perché non goderselo?». Solleva le sopracciglia con la sua classica espressione strafottente. Decido di ignorarlo. Non riesco a dire altro, mi si è chiusa la gola.

Non mi importa la sua opinione, io ho intenzione di tornare a vivere la vita di sempre, viva  e vegeta. Se lui si è già rassegnato non è un mio problema. L’importante è che il suo menefreghismo non mi metta nei guai. L’unico motivo per cui sto con lui è una maggiore sicurezza, quindi una maggiore probabilità di sopravvivenza.
Mi giro dandogli le spalle e guardando il cielo. Le stelle sono sempre al loro posto come ogni sera. Sembra che lassù sia ancora tutto uguale a ieri.
Guardo l’orologio che porto al polso sinistro: sono quasi le undici. Siamo ormai all’inizio di ottobre, quindi inizia a fare davvero freddo , i miei jeans e la mia camicetta non mi terranno abbastanza al caldo da permettermi di addormentarmi. Non che io creda di riuscire a chiudere occhio, con il pericolo che ci circonda.
Frugo nello zaino che ha portato Alex, prendo un maglione di lana e dei leggins caldi. Mi allontano per potermi cambiare e Alex non fa domande.

Con i vestiti più pesanti mi sento già meglio.

Mangio un pezzo di pane, giusto per riempire lo stomaco. Poi sfilo la coperta dallo zaino e mi preparo per la notte.
Alex si distende lontano da me dopo aver indossato dei vecchi vestiti di mio padre. Gli calzano alla perfezione, ma non posso fare a meno di pensare che sia l’unica cosa che hanno in comune.
Passo la notte con le orecchie continuamente tese per captare tutti i rumori possibili: non voglio essere attaccata alle spalle. Non chiudo occhio fino a quando non sorge il sole.
Alla luce tutto sembra più tranquillo, più normale. Mi fa sentire più forte e in grado di fronteggiare qualsiasi pericolo. I raggi scaldano la mia pelle fredda e distendono i miei muscoli intorpiditi.
È in questo momento che finalmente mi addormento.

Quando mi risveglio Alex sta facendo colazione vicino a me. È stato proprio l’odore di cibo fresco a darmi il buongiorno. Spero solo che non abbia approfittato del mio sonno per abbuffarsi delle nostre scorte.
Mi siedo stropicciandomi gli occhi e scrollandomi la terra dai capelli. Mi sporgo verso lo zainetto per prendere il pezzo di pane che avevo avanzato la sera prima e noto che Alex tiene in mano la fetta di torta che mi aveva offerto Franco.
La getto a terra giusto in tempo, prima che la addenti.
«Ma sei impazzita?!», urla in preda alla collera.
«Dovresti ringraziarmi, idiota. Franco è impazzito per colpa di una fetta come quella», gli spiego assaporando la mia colazione.
Cerca di controbattere, ma dopo un paio di tentativi capisce che ho ragione, così si rassegna. Non posso fare a meno di sorridere per il suo evidente imbarazzo nell’essere sconfitto.  Ovviamente non mi ringrazia.
«Come ha fatto ad impazzire  per colpa di una torta?», chiede dopo che ho finito di mangiare.
«L’ombra. Credo sia quello il motivo». Noto la sua espressione incerta, così continuo. «Credo riesca ad entrare nelle cose. Nel mio condominio erano tutti impazziti a causa di una canzone. L’ombra era la canzone e nel caso di Franco era la fetta di torta».
«I miei sono impazziti dopo aver guardato un programma. Questo vuol dire che l’ombra era entrata nella tv?». Non vorrebbe parlarne, soprattutto con me, lo vedo dal suo sguardo improvvisamente riservato e malinconico, ma non ha scelta. Se vuole capire cosa sta succedendo deve raccontarmi tutto ciò che può essere rilevante.
Annuisco. Per una frazione di secondo mi sembra di scorgere la paura nei suoi occhi. Lo capisco: entrambi siamo riusciti a schivare il pericolo per pura fortuna. Se fossimo stati a casa anche noi in quel momento, saremmo impazziti come tutti.

Rimaniamo un attimo in silenzio per elaborare i nostri pensieri, fino a quando Alex raccoglie la fetta di torta da terra e la pulisce con la mano. Poi la avvicina alla bocca.
«Ma sei scemo?!», esclamo, cercando di gettarla via come prima, ma lui era preparato alla mia reazione e mi schiva senza problemi.
«Dobbiamo capire se tutto ciò che l’ombra tocca diventa veleno, o se è l’ombra stessa che si impossessa  degli oggetti momentaneamente per utilizzarli come mezzi per raggiungere la nostra mente». Lo guardo stordita. Non riesco a capire. Lui sospira e spiega di nuovo.
«Se fosse il veleno dell’ombra ad annientarci dovremmo solo trovare il modo per preparare un antidoto, o qualcosa del genere. Se invece è l’ombra stessa ad impossessarsi della nostra mente, allora dovremo distruggerla, e subito».
«Dovremo distruggerla comunque, non ha senso rischiare così tanto», protesto cercando di nuovo di togliergli la fetta di mano.
«Più cose sappiamo sul nemico, più facile sarà scoprire i suoi punti deboli e annientarla», spiega allontanandosi da me.
Non posso impedirgli di mangiare quella torta, non posso fermarlo, non posso persuaderlo dal non compiere quel gesto. Potrei rimanere da sola, con un nemico in più proprio vicino a me. Per lui farmi fuori sarebbe un gioco da ragazzi.
«Lascia che lo faccia io». Non so nemmeno perché lo sto facendo, non ho avuto tempo per pensarci.
Alex mi osserva perplesso, per capire per quale motivo voglio rischiare così tanto, dopo tutto quello che ho fatto per sopravvivere.
Scuote impercettibilmente la testa. Approfitto di questo suo momento di confusione: lo raggiungo, prendo la fetta di torta e la addento.


Angolo Autrice_

Lo so, lo so, avevo detto che avrei pubblicato questo capitolo ieri, ma proprio non sono riuscita ç__ç Chiedo perdono!

Cooomunque,
BUON 2013 A TUTTI :D Anno nuovo, lettori nuovi (o almeno spero :3 )

Come sempre ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito la storia (vi adoro, davvero, mi rendete sempre la più felice del mondo *-*) e vi chiedo di lasciare una recensione anche a questo capitolo.
Spero vi piaccia :*

DriDri_

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Capitolo 7
*** Warning. ***


Capitolo 7






Alex si allontana da me con un balzo, ma non riesco a guardarlo davvero: sono troppo preoccupata ad osservare le mie mani tremanti che lasciano cadere il resto della fetta a terra. La testa mi gira, non capisco cosa mi stia succedendo. Sto per cadere a terra, quando sento due braccia forti che mi afferrano. Mi siedo e chiudo gli occhi per qualche secondo.
Quando li riapro Alex è accovacciato davanti a me, con una mano sulla mia spalla, che mi guarda preoccupato. Sta cercando di capire se sono ancora io. Scuoto la testa.

«No, la torta non è avvelenata», dico sollevandomi in piedi con il suo aiuto.
«Mio Dio Kyra! Mi ha spaventato a morte!», esclama poi lasciando la presa.
«E da quando uno come te si spaventa?», chiedo dandogli una leggera spinta sulla spalla. Mi sento improvvisamente così leggera...
«Ah no, la domanda è cosa ti è saltato in mente! Ti sembrava uno scherzo divertente? Bè, non lo era!». Vederlo in collera a causa mia mi sta davvero tirando su di morale.
«Non era uno scherzo, idiota». Era paura. Questo preferisco non dirlo ad alta voce. Non voglio apparire debole davanti a lui.
«Che ne diresti di tornare in paese per vedere com’è la situazione?», domando raccogliendo la nostra roba, lasciando a terra solamente una coperta, in modo da riconoscere la nostra nuova “casa” una volta tornati.

Ci incamminiamo e ben presto le urla e il frastuono tornano a farsi sentire. Ci guardiamo un attimo, entrambi preoccupati, poi proseguiamo in silenzio, sperando di non essere colpiti da nessuno, sperando di riuscire ad arrivare a stanotte sani e salvi.
«Cos’hai intenzione di fare?», chiede avvicinandosi a me e schivando un mattone.
«Direi di entrare nel primo posto che vediamo e indagare lì». Mi guarda scettico. «Da qualche parte dobbiamo pure iniziare», spiego, proseguendo quatta.

Ho le orecchie alzate pronte a captare qualsiasi rumore insolito, sono pronta a scappare nel caso di un attacco. Camminare per le strade inizia ad essere difficoltoso: sono ricoperte di macerie, alcuni edifici sono stati distrutti. Mi si stringe il cuore nel vedere il parco in cui giocavo da bambina completamente distrutto, con le poche giostre visibili carbonizzate.
L’aria è talmente pesante che ogni tanto porto il braccio davanti al naso.

Non so quanto a lungo riuscirò a stare in un posto del genere. Non solamente per il pericolo, ma anche perché ogni luogo porta ricordi lontani e dolorosi.
Quel parco era il luogo in cui avevo conosciuto la mia migliore amica, 13 anni prima, dove mio padre mi aveva insegnato ad andare in bicicletta, dove passavo i pomeriggi estivi leggendo... niente di tutto questo sarebbe mai tornato indietro. La mia vita mi era stata strappata via con prepotenza e non avevo potuto fare nulla per impedirlo.

Mentre sono persa nei miei pensieri sento una mano stringermi il braccio e tirarmi con violenza. Cado a terra, non capisco cosa sia successo. Mi ritrovo accovacciata dietro un albero con Alex sopra di me che mi protegge la testa. Quando guardo davanti a noi noto un uomo che non ho mai visto prima, con la barba bianca lunga e due braccia muscolose, alzare una mazza da baseball e mancarci solamente di qualche centimetro. Colpisce esattamente il punto in cui ero in piedi pochi secondo fa.
Non soddisfatto del suo colpo vuoto, si avvicina barcollante, con le pupille dilatate e lo sguardo perso. Sta guardando me.
Alza un braccio per colpirmi, così mi riparo con le mani, trattenendo il respiro. Sento Alex che si alza e quando riapro gli occhi gli ha appena sferrato un pugno sul naso. Adesso per l’uomo è lui la preda.
Non è molto coordinato, manca parecchie volte Alex, che si sposta da destra a sinistra per confonderlo.
A quel punto si alza, afferra un ramo spezzato e lo colpisce alla gamba. Questo cade a terra lamentandosi dal dolore.
Alex mi afferra la mano, mi aiuta ad alzarmi, mi squadra da capo a piedi per controllare che io stia bene. L’unico danno che ho riportato è un taglio al ginocchio, ma non mi lamento.
Inizia a correre. Faccio fatica a stare al suo passo, ma mi sforzo il più possibile.

All’improvviso svolta a destra ed entra in un negozio. Non ho fatto a tempo a vedere quale fosse, ma guardandolo dall’interno capisco immediatamente: è il negozio di giocattoli.
Ovviamente tutto è riversato sul pavimento, le luci sono spente e penzolano dal soffitto, le mensole sono rotte, le palle da basket sono bucate o incastrate in qualche buco.
Rimaniamo un attimo fermi a prendere fiato, senza rivolgerci la parola. Mi sento terribilmente in debito con lui. Mi ha salvato la vita.

«Grazie», sussurro, quasi sperando che non mi senta.
«Dovresti stare più attenta», risponde freddo e seccato, rivolgendomi un’occhiataccia e allontanandosi il più possibile da me. Se per un solo attimo avevo creduto ci fosse un bravo ragazzo nascosto sotto la facciata da bullo, mi sbagliavo.
Iniziamo la ricerca di indizi, anche se non sarà facile trovare qualcosa che ci faccia venire delle idee in questo caos.

Ci separiamo: io vado verso i giocattoli per bambine, lui per bambini.
Trovo due montagne ben distinte appena entro nel reparto: una contiene i corpi, l’altra le teste delle barbie. Sono bruciacchiate e ammaccate. Puzzano di benzina.
Decido di allontanarmi e cercare da un’altra parte.
Passo un’ora a rovistare tra le macerie, ma trovo solamente vestitini strappati, bambolotti rotti, peluche bucati, trucchi finti sparsi ovunque, attrezzi da cucina in miniatura...Tutto ha un terribile odore.
Sto ormai tornando da Alex, quando noto uno spazio interamente dedicato ai giocattoli antichi. Ci sono un sacco di trenini in legno, pupazzi fatti di pezza, pagliacci che escono da una scatola, senza un occhio e con un ghigno malefico disegnato sopra.

Non c’è niente che mi incuriosisce, solamente un set di campanelline. Sono in ordine a seconda delle note che riproducono. Le conto: sono solamente quattro. Alcune sono scomparse.
Noto che accanto c’è un piccolo bastoncino con la punta rotonda, fatto apposta per colpire le campane e farle suonare. Così lo faccio.
Tintinnano fastidiosamente, producendo un suono acuto e stonato. Le colpisco a caso. La stessa canzone che avevo sentito cantare nel condominio inizia ad echeggiare delicatamente con un suono inquietante.
Scuoto la testa: devo essermelo immaginato.
Cambio l’ordine delle campane, ma la musica prodotta e sempre la stessa.
Faccio cadere a terra il bastoncino e mi allontano. Le mani mi tremano, il sangue mi si è gelato nelle vene. Riesco solamente a voltarmi e correre il più velocemente possibile verso Alex. Lo trovo seduto su una seggiolina che legge un libro per bambini. Lo prendo per il braccio e lo tiro verso di me.

«Che hai adesso, svitata?». E se avesse ragione? E se fossi impazzita davvero? Comunque non rispondo. Non sento nemmeno la saliva in bocca.
Una volta arrivata, indico le campanelle alle mie spalle e gli spiego.
«In qualsiasi modo suono quelle campanelle producono la canzone che ha fatto impazzire tutto il condominio in cui abitavo!», esclamo in preda al panico.
Alex corruga le sopracciglia, guarda alle mie spalle e poi di nuovo me. Il suo sguardo e per la prima volta più dolce, e nello stesso tempo triste. Posa una mano sul mio collo.
«Kyra, quelle campanelle sono rotte, non possono suonare», spiega cercando di non spaventarmi. Mi volto e noto che le campane che poco prima erano in ordine sospese da un filo, ora sono spaccate, sparse a terra.
Il  mio cuore si ferma. Sono nel panico, non so che cosa fare. Devo spiegarglielo, ma ho paura che pensi che sono davvero impazzita. Io sono sicura di aver sentito quella canzone, di averla suonata.
«È stata l’ombra», sussurro col poco fiato che ho in gola.
«Ne sei certa?», domanda Alex, ma sento dal suo tono di voce che mi sta solamente assecondando. Annuisco distratta.
«Kyra, mi dispiace, ma ho paura che quella torta ti abbia fatto male. Non credo tu ti senta molto bene». Cerca di accarezzarmi la schiena, ma lo spingo via brutalmente.
«So quello che ho sentito!», urlo sconvolta. È possibile che io stia cadendo nell’oblio così lentamente? Tutti quelli che ho visto impazzire hanno impiegato al massimo un paio di minuti.
Alex apre la bocca per controbattere, ma non ne ha il tempo.

Siete sopravvissuti fino ad ora. Vi siete tenuti stretti la vostra sanità mentale con tutte le vostre forze. Ma non siete meglio degli altri. Farete la stessa fine. Io posso controllarvi. Io posso comandarvi. Io posso farvi impazzire.

Una voce. L’abbiamo sentita entrambi, nella nostra testa. Era talmente fredda da avermi fatto venire i brividi. Non era maschile, né femminile. Non aveva timbro, non aveva colore. Non apparteneva a niente di vivo.
Ci guardiamo, il terrore si riflette nei nostri occhi.
Non ci poniamo domane, scappiamo e basta. Dove non lo sappiamo.

La mia casa è in fiamme. La mia famiglia è in pericolo. Il mondo è in possesso dell’ombra. Sono piccola, mi guardo allo specchio mentre mia madre mi fa una treccia. No, non è più mia mamma, ora è l’ombra. La vedo.
Il terreno sparisce. Alex urla.
Eveline se n’è andata, non voleva salvarmi. Voleva che io morissi qua.
Cado, mi fa male il ginocchio.
Il terreno diventa acqua, sto affogando e bruciando nello stesso tempo.

Scuoto la testa, agito la mano per scacciare via questi pensieri illogici. Alex sta urlando, mi stringe la mano talmente forte da rischiare di spezzarmi qualche ossa.
Siamo vicini al ristorante del paese, apro la porta. Mi dirigo verso la cucina e poi verso la stanza frigorifera. Afferro la maniglia.

Scotta, mi brucia le dita. Apro la porta e dentro c’è il vuoto assoluto.

Chiudo la porta alle nostre spalle. Alex riapre gli occhi. È tutto finito.


Angolo Autrice_

Eccomi di nuovo, salve a tutti :D 
Lo so, questo capitolo è più lungo del solito, ma mi dispiaceva dividerlo a metà, quindi... :) 

Ovviamente ora Kyra e Alex dovranno rimanere chiusi là dentro al freddo per un po'. 
Ma come sono riusciti a bloccare l'ombra? Kyra sta impazzendo secondo voi o è tutto "normale" ? :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto ;) Lasciate un commentino, mi renderebbe così felice... :D 

Baci:*

DriDri_

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Capitolo 8
*** Something's changed. ***


Cap 8







Non ci preoccupiamo di osservare quello che ci circonda: Alex si butta a terra con una mano alla tempia, io mi siedo in un angolo perché tremo da capo a piedi e le mie gambe non riescono a sorreggere il mio peso.

Nessuno dei due parla, ognuno è isolato nel proprio mondo. È come se mi fossi appena risvegliata da un incubo del quale non ricordo i particolari: so solo che avevo paura e correvo.
Dopo qualche minuto, in cui riprendo fiato, mi volto a guardare Alex: sembra stare peggio di me. Mi avvicino a lui e gli poso una mano sulla spalla, ma lui mi afferra il braccio e mi spinge via. I suoi occhi sono arrossati, pieni di lacrime, il suo volto è contratto in un’espressione di dolore, paura e rabbia.
Mi allontano, con una mano sul petto: sento il cuore battere più forte che mai. Lui si copre il viso e si lascia cadere a terra.
Qualsiasi cosa l’ombra gli abbia fatto vedere doveva essere davvero orribile.

«Vuoi mangiare qualcosa?», domando. Non sopporto rimanere qua, in piedi, a fissarlo senza muovere un dito, ma non mi viene nient’altro da dire.
Lui inizia a dondolare su se stesso, senza darmi una risposta.

Io mi siedo in un angolo, estraggo dalla borsa un pezzo di pane e lo mangio.
Non me n’ero resa conto, ma qua dentro fa davvero freddo. La temperatura dev’essere di qualche grado sopra lo zero al massimo.
Improvvisamente sento la fronte sudare: fa così caldo che mi manca il respiro, ma so che è dovuto alla paura. Quando usciremo? Quanto tempo dovremo rimanere nascosti qua dentro?
Le mani mi tremano. Io detesto il freddo.
Torno a sentire quell’orribile sensazione di gelo dentro le ossa, così mi rannicchio su me stessa.
Io ed Alex non ci rivolgiamo la parola per più di un’ora, poi lui si avvicina a me per prendere del cibo.

«Stai meglio?», chiedo, vedendolo gustarsi l’ultimo dolcetto rimasto. Come risposta mi rivolge un grugnito, senza nemmeno guardarmi negli occhi. Che lo voglia o no, dobbiamo parlarne.
«Cos’hai visto?». Smette di mangiare. Una mano gli trema impercettibilmente per qualche secondo.
«Non so di cosa tu stia parlando», risponde evasivo.
«Lo sai benissimo invece». Non ha intenzione di parlare. Capisco che per lui sia difficile affrontare l’argomento, capisco che si vergogna ad aprirsi con me, ma è necessario: dobbiamo raccogliere tutte le informazioni possibili ed elaborarle.
«Non ho visto niente». Si ficca in bocca l’ultimo pezzo di dolce e si gira, dandomi le spalle.
«Lo so, capisco che non ne vuoi parlare, ma sarebbe importante raccogliere le informazioni. Scopriremmo qualcosa di più». Uso un tono di voce più dolce e comprensivo, ma non serve a niente. Sono tutti sforzi inutili.
«Allora perché non cominci tu, eh?», risponde seccato, alzandosi d scatto e dirigendosi verso la parete opposta.
Decido di lasciar perdere: spiegargli che io non ricordo nulla non servirebbe a fargli cambiare idea. E comunque, sto meglio da sola. La situazione è già abbastanza critica, lui serve solamente a peggiorare il mio umore.

Non ho niente da fare, così ricontrollo il cibo rimasto. Ora avanza un po’ di spazio nello zaino, così ci aggiungo quello che trovo in giro: prendo ben poco. Ovviamente è tutto cibo che necessita la conservazione al freddo.
Chiudo lo zaino e guardo le mie mani: sono completamente rosse, faccio fatica a muoverle a causa del freddo. Decido allora di mettermi un’altra felpa: sto scomoda, ma almeno sento un po’ calore in più.

Estraggo anche la coperta. È quella verde a strisce grigie che usavo ogni volta che ero ammalata. Mia madre mi preparava un tè caldo e me la portava a letto, così lo sorseggiavo da sotto la coperta, mentre leggevo un libro. Era sempre così rilassata, che mi sentivo sempre meglio.
Ma non dovrei tenerla io adesso. Non dopo che Alex mi ha salvato la vita. Sono in debito con lui, così mi alzo, mi dirigo da lui, lascio cadere la coperta sulle sue gambe e torno a sedermi nel mio angolo. Non fa domande, non mi ringrazia nemmeno: ha capito e, probabilmente, pensa che gli spetti di diritto dopo quello che ha fatto per me.
Mi rannicchio e cerco di addormentarmi, ma non è facile. Ho le dita delle mani congelate, come i piedi e le guance.
Alzo il cappuccio della felpa, ma non mi protegge abbastanza.
Osservo Alex, dall’altra parte della cella: lui ha la coperta, ma non una felpa sopra un maglione di lana (come me). Infatti lo vedo tremare, mentre si sfrega le mani.
In due ci scalderemmo meglio, ma io non oso andare da lui. Guardandolo provo una sensazione strana: provo pena nei suoi confronti, per il freddo e tutto quello che ha passato, ma non posso fare a meno di sentire il calore della rabbia ribollire nel mio stomaco.
Passa qualche ora, prima che mi renda conto del fatto che sono riuscita ad appisolarmi qualche minuto. Ovviamente non mi sono riposata, anzi, i miei muscoli sono sempre più tesi a causa del freddo.

Mi chiedo per quanto ancora rimarremo chiusi qua dentro. Perché l’ombra non è riuscita a inseguirci fino a qui? Cosa le ha impedito di entrare assieme a noi nella cella? Non credo che una porta possa ostacolarla. Eppure qui dentro ci dev’essere qualcosa che le ha impedito di entrare. Il freddo? Ne dubito: l’ombra non ha un corpo.
Mi guardo attorno, ma non vedo nulla che suggerisca una risposta alle mie domande.
Mi chiedo per quanto resisteremo, chiusi qua dentro. Io di certo non per molto. Ma preferirei uscire e rischiare di incontrare gente pazza e violenta, o peggio, proprio l’ombra?

Vorrei poterlo chiedere a qualcuno, vorrei avere qui con me una persona in grado di risolvere il problema, o anche solamente di dirmi che andrà tutto bene. Di certo questa persona non è Alex: lui è solamente capace di infastidirmi, finire il cibo e salvarmi la vita.
Ma forse non ho bisogno di nessuno, ce la posso fare da sola, sono una ragazza intelligente. Devo pensare: cosa può bloccare un’ombra? Al buio non può crearsi, eppure tutti sono impazziti di sera, quando il sole era già calato. No, non è stata l’oscurità a bloccarla. Dopotutto qui la luce è accesa, quindi avrebbe potuto raggiungerci.
Che abbia voluto darci una tregua? Non posso saperlo, ma qualcosa mi dice che era fin troppo determinata per abbandonare la sua preda.
Sento di avere la risposta a tutti i problemi nella mia mente, ma non riesco proprio a raggiungerla. È bloccata, non vuole uscire.
Forse mio padre saprebbe cosa fare. La voglia di correre, raggiungere la casa di Eveline per prendere il cellulare e contattarlo è talmente forte che mi avvolgo il torace con le braccia per trattenermi dal farlo.
Mi sembra di stare davvero impazzendo.

«Non hai freddo?», chiede Alex, cercando di mantenere un tono di voce tranquillo, ma si sente che si trattiene a malapena dal battere i denti.
«No, sto bene così», mento spudoratamente. So di essere un’idiota, dovrei mettere da parte l’orgoglio e approfittare del suo buon umore per avvicinarmi e scaldarmi con la sua coperta, ma proprio non ci riesco.
«Andiamo, stai tremando». Scuoto la testa. È vero: non riesco a stare ferma.
«Se vuoi venire qui puoi metterti anche tu sotto la coperta».
«No, quella è tua, te lo devo», rispondo seccata, ma non posso fare a meno di guardare la coperta con desiderio. Si deve stare davvero bene avvolti dalla sua soffice lana.
«Te lo chiedo io. Se ti dicessi che mi faresti un favore, verresti qui con me?», domanda sfoggiando quel suo sorrisetto malizioso ed arrogante con il quale conquistava tutte le ragazze della suola. Ma non me. Quella sua espressione strafottente mi fa solamente tremare le mani dalla rabbia.
«Forse», dico usando un tono duro.
«Andiamo, in due staremmo più caldi». Mi metto a braccia conserte e mi volto dall’altra parte.
Sento che si sta spostando e non ci metto molto a capire che se non vado io da lui sarà lui a venire da me. Infatti si siede e mi copre con la coperta.
«Grazie», dico, stringendo la coperta e scaldandomi finalmente le mani. Lui intanto prende un’altra giacca dallo zaino e se la infila sopra.
Con fare spavaldo mi circonda le spalle con un braccio. Mi allontano seccata, ma Alex mi impedisce di spostarmi.
«Così stiamo più caldi», dice con aria innocente. Così mi appoggio a lui, posando la testa sulla sua spalla. Mai e poi mai avrei immaginato di stare da sola e così vicina ad Alex Hunt.
Lo guardo: sembra sereno, finalmente tranquillo, così ne approfitto.

«Allora, mi dici cos’hai visto?», domando usando un tono di voce dolce e indifeso. Lui mi stringe per un secondo ancora di più a sé.
«Ho visto i miei genitori», la sua voce trema, ma non a causa del freddo. «Mio padre era un medico, salvava le persone, le curava, e lo stesso faceva mia madre, anche se in un modo diverso. Sai, lei era psicologa. Li vedevo mentre aiutavano tutta quella gente. Tutti li amavano, li apprezzavano. Tutti in città tessevano le loro lodi ogni volta che dicevo di essere loro figlio. Avevano un sacco di amici, chi poteva odiarli? Erano le persone più fottutamente gentili del mondo.
Vedevo la ragazza anoressica di quindici anni che mia mamma aveva aiutato, l’uomo che mio padre aveva salvato dopo un incidente in auto.
E poi c’ero io. Picchiavo dei ragazzini indifesi solamente per avere un attimo di fama, per essere accolto nel gruppo più “cool” della scuola.
Non saprei nemmeno contare tutte le volte che sono tornato ubriaco a casa, o con una minaccia di espulsione dalla scuola. I miei sembravano sempre più delusi, più disgustati. So che tutti si chiedevano come potessi essere proprio io, il peggiore di tutti, il figlio di una coppia così perfetta. Me lo chiedevo anche io. Anzi, me lo chiedo ancora».

Non posso fare a meno di ricordarmi di quello che ha fatto a me ed Eveline. Dovrei sentire rabbia, repulsione nel stargli vicino, ma sono curiosa di sentire cos’altro ha da dire, così rimango immobile, in ascolto.

«Ho fatto del male a tante persone». Mi guarda negli occhi e deglutisce a fatica. Entrambi stiamo pensando ad Eveline.
«Per me era tutto un gioco. Quando i miei si lamentavano mi arrabbiavo, pensavo fossero loro gli stupidi», si interrompe per un attimo, non so perché. Poi riprende: «L’ombra faceva il confronto tra di noi. Ad un tratto mio padre stava operando una donna, quando il  suo volto veniva sostituito dal mio. Uccidevo la paziente. Era mia madre». Sento un colpo al cuore: ora capisco perché era così arrabbiato. Come biasimarlo?
«Loro sono impazziti, ora forse sono morti, non lo so. Io sono vivo, sano, e mi chiedo perché. Loro meritavano la vita molto più di me, non avevano mai fatto del male a nessuno. Io invece sono un mostro. Se ne sono andati con la convinzione di aver sbagliato tutto con il loro unico figlio, con la convinzione che fosse colpa loro se sono così. Ma ormai è troppo tardi, non posso più fare niente per renderli orgogliosi, ho sprecato tutto il tempo che avevo a disposizione». Smette di parlare, ha un groppo in gola: le ultime parole erano a malapena sussurrate.
Lo abbraccio forte e mi stringo a lui. L’ho sempre odiato, qualche volta gli ho augurato di provare quello che faceva passare ai ragazzini che torturava con le sue cattiverie. Ora mi rendo conto che non merita di soffrire, ha commesso i suoi errori e si è pentito, anche se troppo tardi.
Credo che sia stato punito già abbastanza per quello che ha fatto.

«Mi dispiace», sussurro, mentre lui mi accarezza la schiena. Lo vedo asciugarsi di nascosto una lacrima, ma non dico nulla. Cerco di stargli vicino come posso.
«Mi dispiace per quello che ho fatto a te ed Eveline».
«L’importante è che tu abbia capito i tuoi errori». Nonostante ciò, sono felice di sentire finalmente delle scuse da parte sua.
Rimaniamo in silenzio per un po’ di tempo, con un ronzio di sottofondo.

«Tuo padre invece dov’è?», domanda a bassa voce, quasi con timore.
«È scappato», rispondo semplicemente.
«E ti ha lasciata qua tutta sola?», domanda agitato, allontanandosi da me.
«Gli ho chiesto io di lasciarmi qua. Pensavo di poter fare qualcosa, ma non volevo trascinarlo con me in un possibile fallimento. Lui si fidava di me, così ha fatto quello che gli avevo detto ed è partito». I suoi occhi si illuminano di... ammirazione? Non lo so, non l’ho mai visto così.
«Sei una vera guerriera. Forse dovevo prenderti un’armatura al posto della felpa che ti ho portato», dice indicando ciò che ho addosso. Scoppio a ridere e mi appoggio di nuovo a lui.
Sembra passata una vita intera dall’ultima volta che mi ero sentita davvero felice.
«Avevi qualche dubbio sul mio coraggio?», domando quasi offesa.
«Oh no, e chi se la dimentica la scenata che mi avevi fatto in corridoio? Solo a ripensarci tremo dalla paura». Scoppiamo entrambi a ridere.
Non sento nemmeno più tanto freddo, sono così sollevata e allegra che niente potrebbe rovinarmi il morale in questo momento.
«Forse sarei stata un membro valido della vostra gang». Lui annuisce e inizia ad imitare le urla che gli avevo rivolto quel giorno.
«Ti giuro che quando ti ho vista ho pensato: perfetto, con tutte quelle  che potevano sopravvivere è rimasta l’unica in grado di spararmi un colpo».
«E io avevo pensato: con tutti quelli che potevano rimanere, è rimasto proprio il più idiota, fastidioso e brutto». Scoppio a ridere, mentre lui mi allontana con aria sconvolta.
«E così io sarei brutto eh?». Sto quasi piangendo dal ridere. Gli tiro una sberla sul braccio e mi appoggio di nuovo alla sua spalla.
«Chi l’avrebbe mai pensato? Io e te che ridiamo e scherziamo. Forse siamo davvero impazziti», dico trattenendomi dal scoppiare nuovamente a ridere.
Lui è totalmente d’accordo.

Ci guardiamo per un attimo negli occhi, finalmente felici e tranquilli. L’unico attimo di pace nella bufera. Mi posa un bacio tra i capelli ed è così che, finalmente, mi addormento. 


Angolo Autrice_

Salve a tutti! :)
CHIEDO PERDONO! Scusate se ho pubblicato così tardi, ma la scuola mi ha portato via un sacco di tempo. Spero non succeda mai più, ma soprattutto spero che questo capitolo vi piaccia (altrimenti mi potrete tirare delle pietre ç_ç)
Come sempre ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito la storia fino ad ora, davvero, siete i migliori!
Vi chiedi di dirmi il vostro parere anche su questo capitolo. 
Baci :*

DriDri_

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Capitolo 9
*** Quarrel. ***


Capitolo 9






Mi sveglio con calma, tremante dal freddo e con gli occhi che fanno fatica ad aprirsi. Non ho dormito molto bene: oltre alla temperatura eccessivamente bassa, ho dovuto sopportare Alex che accanto a me si agitava e farfugliava nel sonno. Almeno lui stamattina sarà riposato, io mi sento già sufficientemente nervosa per entrambi.

Gli incubi mi hanno tormentata nei pochi attimi di sonno, ma mi hanno aiutata ad elaborare un piano. Prima di tutto devo andare nella casa di Eveline e recuperare il mio cellulare, sempre che sia possibile. Contatterò mio padre e la mia migliore amica e chiederò loro di aggiornarmi sulla situazione dei territori lontani dal nostro paese. Sempre che possano aggiornarmi. Non ho nemmeno voluto prendere in considerazione quest’idea, ma ora che sto riordinando le mie idee devo tenere conto di qualsiasi opzione. Nel caso non possano dirmi assolutamente niente, dovrò limitarmi ad agire sui fatti avvenuti qui.

Ovviamente le scorte finiranno tra un paio di giorni, quindi, una volta terminate, dovremo andare a rubare in qualche negozio. Nel frattempo sarà più sicuro per noi rimanere rinchiusi qua dentro: nonostante il freddo, le nostre probabilità di sopravvivenza sono più alte.
Intanto indagheremo sull’ombra: sappiamo che è in grado di entrare nelle cose, comprese le nostre menti, e di confondere la realtà.

Ora dobbiamo solamente capire cosa l’ha bloccata dall’inseguirci qui dentro. La risposta potrebbe essere la soluzione a tutti i nostri problemi, e mi sembra così vicina, ma irraggiungibile nello stesso momento che il nervosismo rischia di farmi davvero impazzire.
Ora devo solamente parlarne con Alex: confrontarmi con lui mi sarà sicuramente utile, magari ha notato qualche particolare che a me è sfuggito. Poi attueremo il piano.
Sento una sensazione di calore nel petto. Chissà, forse è speranza. Forse ce la possiamo fare, non siamo spacciati. Siamo sopravvissuti all’attacco di ieri, siamo riusciti a trovare un luogo sicuro, ma soprattutto siamo riusciti ad andare d’accordo, per la prima volta in vita nostra.
Se non saremo impegnati a litigare fra di noi riusciremo a concentrarci meglio sulla faccenda e risolvere finalmente tutto questo mistero.

Per la prima volta, da quando tutto è iniziato, mi ritrovo a pensare: cosa succederà dopo?
La gente riuscirà a guarire? Torneremo finalmente alla realtà? Riesco quasi a vederlo, il futuro, uguale al passato: vado a scuola, con la mia migliore amica Eveline, passeggio ogni sera con mio padre, scherzo con Silvia, passo i pomeriggi ascoltando musica e leggendo libri... sorrido, perché niente potrebbe essere meglio di tutto questo, della vita che avevo prima. In questo futuro, però, non c’è Alex.
Torneremmo ad odiarci come prima? Negherebbe di essersi alleato con me per la sopravvivenza e di avermi addirittura salvato la vita? Fino a poche ore fa avrei detto di sì, ma ora non riuscirei a giurarci. Ieri sera Alex mi ha mostrato un lato di lui che teneva nascosto forse anche a se stesso, un lato gentile e insicuro che apprezzo molto più di quello bullo e arrogante.

Stiracchio le braccia e la schiena, dolorante, e mi rendo conto che Alex non è più accanto a me. Forse è per questo che mi sono svegliata, in effetti mi sembrava facesse ancora più freddo.
Mi guardo in giro e lo trovo vicino allo zaino del cibo, mentre addenta un panino, dei biscotti e dei crackers. Mi dirigo verso di lui e gli tolgo il cibo di mano. Dev’essere sveglio da parecchio tempo a giudicare dalle scorte che ha esaurito.
«Si può sapere cos’hai in quella testa?!», sbotto, lanciandogli addosso il sacchetto di biscotti ormai vuoto.
«Avevo fame», risponde con sguardo innocente, ficcandosi in bocca ciò che gli rimane a portata di mano, prima che io allontani lo zaino.
«E questo ti sembra un motivo valido per farci rimanere senza cibo?». La rabbia mi sta facendo venire fame. Do un’occhiata allo zaino e dentro non c’è rimasto un granché: si è goduto una buona colazione mentre io dormivo.
Improvvisamente fa di nuovo caldo.
«Adesso saremo costretti ad uscire per procurarci nuovo cibo, razza di idiota!», urlo a pieni polmoni, lanciando lo zaino addosso ad Alex.
Rabbrividisco al solo pensiero di dover uscire allo scoperto. Le immagini che mi avevano travolta durante l’attimo di pazzia scorrono davanti ai miei occhi e mi lasciano senza fiato. Non voglio vivere di nuovo quell’esperienza.
So che prima o poi dovremo andarcene e affrontare il nemico, ma sento mancare la terra sotto i piedi al solo pensiero. Non sono pronta, non ancora.
«Siamo dentro un frigo, mi pare che di cibo ce ne sia eccome», sussurra scocciato, sbattendo la borsa a terra.
«Guardati intorno: ti sembra cibo commestibile?». Attorno a noi possiamo scorgere solamente alcune verdure (che non avevano un aspetto molto invitante) e del pesce. Scuoto la testa esasperata. Niente sembra poter avere un buon sapore.
«E allora, che problema c’è? Adesso usciamo e andiamo a rubare qualcosa». Quella sua espressione menefreghista, quel suo tono scocciato, ecco cosa mi fa davvero andare fuori di testa.
Non capisco se è solamente stupido, coraggioso o se non gli importa niente del pericolo che incombe su di noi.
«Ti rendi conto che qua eravamo finalmente al sicuro? Capisci che là fuori, ora che l’ombra sa i nostri punti deboli, potremmo morire in un batter d’occhio? Impazziremo non appena metteremo un piede fuori da questa maledetta cella!». Sto tremando, e di certo non a causa del freddo.

Rivedo Franco cadere a terra. Rivedo Ben allontanarsi lentamente dal mondo che conosce senza poter fare nulla per evitare di cadere nell’oblio. Non voglio fare la stessa fine.

«E cosa speravi, di rimanere a vivere qua per sempre? Andiamo, prima o poi saremmo dovuti uscire». Alex inizia a raccogliere le nostre cose e metterle via, mentre io non faccio altro che rimanere immobile, pensando a cosa dire. Ho così tante cose che frullano e si accavallano nella mia mente che non riesco a capire quale sia la più importante.
«Sarebbe stato meglio andarsene il più tardi possibile. Sai, giusto per sopravvivere più a lungo», dico mettendomi a braccia conserte.
«Quindi?». A questo punto non ci vedo più dalla rabbia. Possibile che non capisca? Se non gli importa salvarsi la pelle, allora perché si è alleato con me?

I suoi occhi sono arrabbiati e stanchi, ma non a causa di una notte in bianco. Sembra stufo di dover provvedere alla nostra sopravvivenza. È per questo che vuole andarsene?
A quel punto capisco. Non è così stupido, non ha finito le scorte solamente per fame. Ha finito le scorte perché vuole andarsene a tutti i costi e ha capito che sarebbe stato l’unico modo per farmi andare via dal nostro nascondiglio. Sarei stata costretta.

Probabilmente vuole andarsene perché si è stufato di nascondersi, di aspettare, di vivere nell’ansia e nella paura. Preferisce rischiare la vita, ma concludere la faccenda in una giornata. Io non sono così: sono rimasta per salvare la mia città e le persone a cui voglio bene e non mi arrenderò finché non ci sarò riuscita.
E poi ora siamo così vicini alla soluzione...

Non voglio dargliela vinta così facilmente. Dobbiamo andarcene, questo lo so, ma voglio comunque sabotare il suo piano. Non gli farò sapere che ho capito il suo trucco, sarebbe troppo facile.

«Quindi ogni tanto potresti fare quello che dico io! Potresti ascoltarmi, invece di seguire qualsiasi cosa dica il tuo cervello...», ma prima che io possa concludere la mia lista di insulti lui si volta di scatto verso di me, lasciando tutto ciò che teneva in mano. Il suo volto è rosso.
«Se non avessi seguito il mio cervello tu saresti stata uccisa da quel pazzo ieri, quindi anziché urlare dovresti ringraziarmi!». Apro la bocca, ma non esce alcun suono. Cosa posso dire? Ha ragione, mi ha salvato la vita. Se non fosse stato per lui, adesso non dovrei preoccuparmi della mia sopravvivenza perché sarei già morta. Nonostante ciò non trovo giusto che lui usi questo fatto come ricatto.

«Se avermi salvata ti pesa così tanto allora perché non hai lasciato che quell’uomo mi uccidesse?», domando sprezzante. Se lui ricorre a queste tattiche, allora anche io giocherò sporco.
Mi aspettavo una scenata, con urla e lanci di oggetti, invece Alex rimane ammutolito. Sembra confuso.
So che vorrebbe dirmi qualcosa, vorrebbe spiegarsi, ma non trova le parole. Forse non conosce nemmeno lui la risposta alla mia domanda. Avrà semplicemente seguito l’istinto, senza pensare a cosa stava facendo.
Abbassa lo sguardo e corruga le sopracciglia. È sommerso da mille pensieri, da mille emozioni. Non capisco se è arrabbiato, triste o semplicemente turbato.
Da un lato vorrei ricominciare la giornata da capo e cancellare tutto quello che è appena successo, ma so che è troppo tardi per cambiare ciò che abbiamo fatto. Rimaniamo in silenzio, incapaci di aggiungere qualsiasi cosa.
 Così, dopo esserci guardati a lungo, mi risponde:

«Allora forse è meglio continui da sola». Prende lo zaino vuoto dove prima si trovava il cibo, se lo mette in spalle, apre la porta e se ne va senza guardarsi in dietro.


Angolo Autrice_

Salve a tutti!
Sì, sono di nuovo in ritardo, non so cosa dirvi ç___ç forse dovrei essere punita per questo, chiedo nuovamente perdono! 
Non so che dirvi, la scuola mi occupa molto tempo, in più sono andata a Londra per le vacanze e quindi non ho avuto molto tempo per scrivere...
Anyway, smetto di parlare di cose inutili e mi concentro sul capitolo :D 
è più breve del solito ed è solamente di "passaggio". Kyra mette in ordine le sue idee ed elabora un piano, ma a quanto pare la pace non dura a lungo ;) 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi chiedo come sempre di lasciarmi una recensione per dirmi cosa ne pensate, perché mi aiuta davvero sentire il vostro parere! :) 
Adesso la smetto di scrivere che probabilmente avete cose più importanti da fare! :D Baci :*

DriDri_

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Capitolo 10
*** Unexpected encounter. ***


Capitolo 10





Sono sola. Sola. Lo ero anche prima, allora perché adesso sono così terrorizzata?
Sono rinchiusa qua dentro da ore, bloccata dalla paura. Giorni fa avevo intenzione di affrontare tutto questo senza l’aiuto di nessuno, eppure non mi sentivo bloccata in questo modo.
Alex sembra essersi portato via tutte le mie speranze e tutto il mio coraggio, la mia sicurezza. Vorrei poter urlare il suo nome e rimanere ad aspettarlo, ma non mi può sentire. Nessuno mi può sentire, nessuno può aiutarmi.

Faccio un respiro profondo: rinchiudermi qua dentro, al freddo e senza cibo, non aiuterà nessuno, così mi alzo, prendo le ultime cose, le infilo freneticamente nello zaino e mi avvicino alla porta.
Poso la mano sulla maniglia, ma non ho le forze per aprire. È come se fossi stata svuotata delle mie energie.
Cosa mi aspetterà là fuori ora? Le cose non possono essere molto diverse da com’erano ieri. La cosa che più mi spaventa è l’ombra: non mi ha mai ferita fisicamente, ma mi sta lacerando dentro da giorni.

Abbasso la maniglia ed esco.

Il ristorante cade a pezzi: posate, piatti, bicchieri, tovaglioli, è tutto sparso sul pavimento. I tavoli e le sedie sono completamente distrutti. Dev’essere la distruzione che l’ombra ha trascinato con sé inseguendoci fino qui. Il solo pensiero mi fa accapponare la pelle, così decido di uscire.

Alex. Devo cercare Alex. Devo trovarlo, potrebbe essere in pericolo, l’ombra potrebbe averlo già trovato. Mi guardo in giro, sperando di trovarlo, e mi incammino verso casa sua, sperando di trovarlo lì. Mi blocco immediatamente. No, non è giusto. È stato lui ad abbandonarmi, lui a decidere di spezzare la nostra alleanza, perché dovrei corrergli dietro come una cagnolina fedele? Al diavolo. Posso farcela anche da sola.
Se vorrà, mi cercherà lui. Non ho intenzione di perdere tempo.

Per prima cosa devo procurarmi cibo. Poi qualcosa che possa servirmi come difesa. In effetti all’inizio di questa “avventura” non ci avevo pensato, ma i pazzi sono pericolosi quanto l’ombra, l’evento dell’altro giorno l’ha confermato. Ora non ho nessuno che mi guardi le spalle.
Torno al supermercato e rubo le poche cose rimaste (i matti devono avere fame e Alex deve essere già passato a fare la “spesa”).

Torno al ristorante e mi procuro un coltello affilato e lo infilo in tasca, nonostante la cosa mi metta i brividi. Ho sempre odiato le armi e sono certa che se mi ritrovassi un uomo minaccioso e pericoloso davanti non sarei in grado di colpirlo. Non è nella mia natura.

Mi dirigo verso la casa di Eveline percorrendo le vie meno trafficate. Dalla piazza sento le urla, i pianti e il frastuono dei matti, non voglio avvicinarmici. Estraggo il coltello e decido di tenerlo in mano, anche se sto tremando da capo a piedi. Qualsiasi rumore mi fa sobbalzare, continuo a voltarmi per controllare che alle mie spalle non ci sia nessuno.
Per le strade ci sono dei corpi distesi, probabilmente tutti senza vita. Inciampo su uno di essi mentre sono impegnata a guardare dietro di me. Mi rialzo il più in fretta possibile e recupero il coltello, cacciando un urlo stridulo. Ho la gola secca dalla paura e non riesco a muovermi. Rimango a fissare quel volto: è un uomo sulla trentina, con la barba incolta, i capelli sporchi e spettinati, i vestiti stracciati. Doveva essere sicuramente un pazzo. Dopotutto chi non lo è ormai? Ho paura perfino io di star perdendo il senno.
Cerco di riconoscerlo, ma non riesco a capire chi possa essere.

Non riesco a fare a meno di pensare “ecco un’altra persona che non sono riuscita a salvare”. Ora capisco che Alex aveva ragione a volersene andare: stavamo penando solamente alla nostra sicurezza, mentre qua fuori la gente continuava a impazzire e morire. Siamo, anzi sono stata egoista. Ho deciso io di rimanere qua, e cosa faccio? Mi rinchiudo al sicuro senza fare niente?  Mi faccio schifo. Sono solamente una fifona che si è sopravvalutata. Persino un bulletto come Alex si è dimostrato migliore di me.

Una risata alle mie spalle interrompe i miei pensieri e mi fa gelare il sangue nelle vene. Mi volto di scatto e mi ritrovo faccia a faccia con la signora anziana che si occupava della lavanderia. Era sempre gentilissima con me, da quando ero bambina mi offriva i cioccolatini ogni volta che passavo da lei, mi faceva dei maglioni in lana e mi puliva i vestiti quando li sporcavo e non volevo essere sgridata dai miei genitori. Non riuscivo nemmeno a contare tutte le giornate estive che avevo passato a casa sua o in lavanderia.

«Anne», sussurro. Potrebbe essere pericolosa, cosa stai aspettando? Scappa! No, non ci riesco. Non riesco a dare ascolto alla ragione, non adesso. Sono così felice di vedere che è ancora viva.
«Tu...», mi dice con un sorriso, picchiettandosi la fronte con il dito ossuto.
«Sì, io sto bene. Ti salverò, vi salverò tutti, lo prometto». Le afferro una mano e la stringo tra le mie per rassicurarla. I suoi occhi saettano verso il basso: ha visto il coltello.
Urla e si allontana terrorizzata, iniziando a piangere. Si accovaccia, portando le braccia sopra la testa come difesa. Infilo il coltello in tasca mi avvicino a lei.
«No, non voglio farti del male! Guarda, non c’è più». Sbircia con un occhio e quando vede che ho detto la verità si alza di nuovo in piedi.
«Sai cosa sta succedendo qua?», domando dolcemente. Magari riesce a darmi qualche indizio astratto, come Ben.
Come risposta, Anne si indica la bocca e si massaggia la pancia. Ha fame. Chissà da quanto non mangia. Con tutte le volte che mi ha offerto lei del cibo, mi sento in dovere di aiutarla. Estraggo dalla mia borsa una confezione intera di crackers (all’interno ci sono 16 pacchetti) e glielo porgo. Lei lo scarta e inizia a mangiare, famelica.
Vorrei portarla al sicuro, ma dove? Nella cella morirebbe di freddo, è troppo anziana. Però chissà, forse nel campo...
«Ascoltami. Vuoi salvarti?». Annuisce spaventata. È come ricevere una coltellata al cuore. Mi capisce, sa cosa le sto dicendo. «Devi andare nei campi, lontana. Sarai al sicuro», continuo parlando lentamente e scandendo ogni singola parola. Annuisce di nuovo.
Vorrei poterla accompagnare, difenderla, ma il tempo passa sempre più veloce, non posso sprecarlo. Posso solamente fare una cosa. Mi tolgo lo zaino dalle spalle, estraggo solamente la coperta e un pacchetto di grissini, poi glielo porgo.
«Cibo. Vestiti», le spiego indicando il contenuto della borsa.
Anne mi sorride e mi accarezza una guancia con la mano tremante. Ha gli occhi che luccicano di lacrime.
«Buona fortuna», balbetta insicura. Poi si volta e si dirige verso la direzione che le avevo indicato. Rimango ad osservarla a bocca aperta. Sto piangendo e non me ne ero nemmeno resa conto.

Quando Anne gira l’angolo e la perdo di vista, mi decido a riprendere il cammino. Riprendo in mano il coltello, nell'altra tengo i grissini, mi allaccio la coperta sulle spalle ed inizio a correre.
Voglio scrollarmi di dosso la malinconia, la paura e la sorpresa degli ultimi istanti. So di aver compiuto una buona azione e il fatto che Anne sia riuscita a capirmi e a parlarmi dovrebbe rallegrarmi, ma al contrario mi sento più sconvolta di prima. Sembra strano, ma voglio solamente dimenticare quest’episodio.

Raggiungo la casa di Eveline in pochi minuti. Non è cambiata molto dall’ultima volta che ci sono stata, sembra solamente esserci più disordine. Non devo aprire la porta, perché è stata tolta dai cardini. Entro e per prima cosa vado a bere grandi sorsate d’acqua dal lavandino della cucina. Prima di correre non mi ero resa conto di quanta sete avessi. Quando mi sento dissetata mi dirigo verso la credenza e mangio tutto ciò che vedo: cioccolata, cereali, fette biscottate, biscotti... al diavolo, chissà per quanto ancora sopravvivrò, non ho intenzione di patire ulteriormente la fame.
Una volta a pancia piena prendo ciò che ho avanzato, vado in camera di Eveline, le rubo uno zainetto e ci ficco dentro la coperta e le mie scorte; poi mi dirigo in salotto e per terra, in un angolo, trovo il mio cellulare. È un miracolo che si accenda con i colpi che ha preso.

Ventuno messaggi. Sette chiamate perse. Tutto da parte di mio padre ed Eveline, chi altro sennò? Scorro rapidamente alcuni messaggi.

“Kyra, tutto ok? Me ne sono andato come volevi, ma ci terrei ad avere tue notizie”.

“Stai bene? Non mi rispondi, sono preoccupato. Non ti è successo niente vero?”

Seguono altri messaggi in cui mio padre sembra essere fuori di sé. È terrorizzato e mi sento in colpa per averlo tagliato fuori dalla mia vita in questo modo. Aveva il diritto di sapere se stavo bene. Dopo una decina di messaggi, leggo le sue scuse e per poco non piango di nuovo, sento un froppo in gola. 

“Scusa, ho esagerato. È ovvio che tu stai bene, sei mia figlia, te la sai cavare. Forse hai solo spento il cellulare, magari è scarico, ti succedeva sempre quando uscivi la sera... Per favore, quando puoi, dimmi come stai. So che va tutto bene e che stai facendo del tuo meglio. Credo in te”.


Prima di rispondergli leggo anche i messaggi lasciati da Eveline. In ognuno mi chiede di dirle come sto, cosa sta succedendo, com’è qua la situazione. Mi spiega che dov’è lei, da qualche parte in Svizzera, la situazione è tranquilla. La cosa strana è che nessuno sembra sapere niente della nostra situazione. Nessuno sta venendo a salvarci o almeno ad aiutarci.
Decido di chiamare mio padre, così digito il numero e premo il tasto verde. Lui risponde subito.

«Kyra! Stai bene?». Il suo tono di voce mi fa sorridere: la paura si è trasformata subito in sollievo.
«Sì, io sto bene. Tu invece?»
«Ovvio che sto bene, raccontami tu invece, com’è la situazione laggiù?». Così inizio a raccontargli di tutto: di come Alex mi aveva aiutata, cos’avevo scoperto sull’ombra, la cella frigorifera che l’aveva bloccata, la confusione che ci aveva attaccati prima di salvarci, Anne, le scorte di cibo... tutto. Gli faccio un resoconto molto dettagliato.

«Ora dove sei?».
«A casa di Eveline, sono venuta a recuperare il cellulare. A quanto pare il caos è circoscritto alla nostra area e non capisco come il resto del mondo faccia ad essere all’oscuro di tutto questo». Mio padre sospira a lungo prima di rispondermi.
«Ok Kyra, me lo sento, sei vicina a capire cosa sta succedendo, puoi trovare una soluzione, ma stai attenta. Resisti». Non ci metto molto a capire cosa vuole fare, lo conosco fin troppo bene.
«No papà, tu non verrai qua ad aiutarmi. Non puoi fare nulla».
«Ma...»
«No niente ma. L’ombra è capace di distruggere qualsiasi cosa, chiunque prenda di mira cade nell’oblio nel giro di pochi secondi. Io e Alex siamo stati attaccati e ci siamo salvati. Non è un caso. L’ombra vuole che siamo noi a combatterla, per questo ci ha risparmiati fino a questo momento. Il perché non mi è ancora chiaro, ma so una cosa: se tu venissi qua, sarebbe la tua fine». Il mio tono è deciso e mio padre non cerca di contraddirmi. Lui non può fare niente. Verrebbe qui a gettare via la sua vita e non glielo permetterò.

«Ok», sussurra dopo una lunga pausa. «Stai attenta bimba. E stai sempre con Alex, non lasciarlo mai, almeno avrai qualcuno che ti guarda le spalle. Se ti ha salvato la vita una volta può farlo ancora, così sono più tranquillo anche io. Buona fortuna». Vorrei dirglielo. Vorrei spiegargli che ora sono sola, che Alex se n’è andato, che non c’è nessuno pronto a difendermi e che posso contare solamente sulle mie forze, ma non ce la faccio. Sembra già così affranto e sapermi in compagnia di un ragazzo forte e protettivo è l’unica cosa che gli mette il cuore in pace, almeno in parte.
«Non lo lascio, prometto. Ciao». Attacco il telefono e lo spengo per evitare che la batteria si consumi troppo in fretta.

Ho il cuore a pezzi. È stata una giornata pesante, sono successe tante cose, troppe, tutte assieme. Cosa posso fare? Cosa devo fare?
Sono di nuovo confusa. So solo cosa voglio fare: trovare Alex. Ho promesso a mio padre che non sarei rimasta da sola e mi sentirei tremendamente in colpa se lo tradissi in questo modo. Devo solo pensare dove potrebbe essere, e non impiego molto tempo prima di formare una lista nella mia testa. Il posto più probabile è casa sua. Starà cercando i suoi genitori, oppure starà prendendo le sue vecchie cose, non lo so. So solo che qualcosa mi dice che si trova lì.
Infilo il cellulare in tasca ed esco di casa.

Inizia già a far buio: la giornata è passata rapidamente, e probabilmente mi sono svegliata tardi stamattina.
Faccio pochi passi ed esco dal cortile della casa, quando vedo un’ombra vicino a me. Mi volto nella sua direzione e lascio cadere il coltello a terra dalla sorpresa. Non ci credo... Non può essere, eppure... ma è assurdo, lei è morta, non è possibile che... Spalanco gli occhi e rimango a bocca aperta. Riesco a sussurrare solamente una cosa.

«Mamma».



Angolo Autrice_

Salve cari lettori :D 
Questo è il decimo capitolo (Capitano Ovvio, c'è scritto sopra u.u) e spero vi piaccia :D Ho impiegato un sacco di tempo per scriverlo perché sinceramente all'inizio mi ero bloccata... non sapevo cosa volevo che succedesse a questo punto, ma finalmente sono riuscita a finirlo :D 

Allora? Sono riuscita a stupirvi con questo finale? (Sembra una cosa sadica, ma mi piace un sacco concludere un capitolo con un po' di suspance >:D ). Spero che questo capitolo non vi deluda e ne approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno recensito o seguono silenziosamente la storia, davvero, grazie di cuore! Verrei da ognuno di voi ad abbracciarvi, ma visto che non posso... *hug* :D 
Se qualcuno di voi ha twitter io sono @wdridri, mi farebbe piacere chiaccherare con voi e magari scoprire cosa ne pensate della storia (o anche parlare di cose a caso u.u ) :D
Ok, vi lascio andare, credo di avervi annoiati già abbastanza! Baci :*

DriDri_ 

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Capitolo 11
*** Back in time. ***


Capitolo 11






Non so cosa fare, come comportarmi, cosa pensare. Come può essere lei? Lei è morta, non si può dimenticare una cosa del genere.


Avevo sette anni. Ero in classe a seguire una lezione di storia, quando avevano bussato alla porta: era entrata una bidella, aveva gli occhi lucidi.
«Può venire un attimo Kyra?», aveva chiesto titubante. Io ero uscita sorridente: insomma, una bambina non può fare altro che gioire pensando di saltare una lezione.
Quella donna mi aveva posato le mani sulle spalle e mi aveva detto di mettere via le mie cose, mettermi la giacca e prendere la cartella perché andavo a casa prima. Non avevo fatto domande, l’avevo solo ringraziata, come se fosse stato merito suo, ed ero corsa in classe a prendere la mia roba. Mancava un giorno solo al mio compleanno e insistevo da settimane sul fatto che volevo andare allo zoo, così ero convinta che quella fosse una sorpresa in anticipo.

Tutti mi chiedevano «dove vai?» e io rispondevo:
 «i miei genitori mi portano allo zoo per il mio compleanno!». Avevo salutato tutti con un sorrisone e mi ero diretta verso la porta di uscita della scuola. Mio padre mi aspettava lì, con gli occhi rossi e bagnati, le spalle basse e i capelli spettinati. Sembrava così stanco, così vecchio improvvisamente, come se il peso dell’intero mondo fosse sul suo stomaco.
Io gli ero corsa incontro e l’avevo abbracciato. Lui mi aveva stretto a sé e l’avevo sentito singhiozzare, ma ero così felice che non ci avevo dato peso.

«Andiamo allo zoo?», avevo chiesto saltellando dall’emozione. Mio padre non mi aveva risposto, aveva preso la mia cartella e l’aveva messa nel bagagliaio, poi mi aveva messa sul seggiolino. Si era seduto al posto di guida e aveva acceso il motore.
«Dov’è la mamma?». Non riusciva a tenere fermo il volante, gli tremavano le mani.
«Perché torno a casa prima oggi, papà?», domandai a quel punto. Non rispondeva, sembrava essere rimasto senza voce.
«Dov’è mamma?», avevo chiesto ancora. Non mi ero nemmeno accorta che non stavo più sorridendo. Ovviamente non ero preoccupata: come può una bambina pensare che la sua mamma sia morta? Una bambina vede la morte come una cosa lontana, impossibile e pensa che le persone a cui vuole bene siano intoccabili.
«Usciamo prima per il mio compleanno?», insistevo curiosa.
«No Kyra», aveva sussurrato lui, guardandomi con sguardo affranto dallo specchietto.
«Dove andiamo allora?», avevo chiesto delusa.
«A casa». Non era mai stato così freddo con me, e avevo paura si fosse arrabbiato. Insomma, lui non si arrabbiava mai. Cos’avevo combinato?
«Sei arrabbiato?». Mi aveva sorriso, sempre con quell’aria triste sul volto, e aveva scosso la testa. Sembrava quasi sentirsi in colpa per avermi risposto in modo così distaccato. Si era morso un labbro e aveva deglutito a fatica.

«Allora ho un’idea: andiamo da mamma a farle una sorpresa!», avevo esclamato sporgendomi in avanti, con la cintura che mi tratteneva dal cadere dal seggiolino.
«Non oggi Kyra».
«Perché no? Prendiamo una pizza, andiamo da lei in negozio e mangiamo tutti assieme!»
«No Kyra», aveva risposto scuotendo la testa e alzando la voce tremante.
«Ma io voglio andare dalla mamma!», avevo esclamato arrabbiata. Non era da lui negarmi qualcosa. E poi prima non mi aveva mai vietato di andare dalla mamma dopo scuola per mangiare tutti assieme nel suo negozio di fiori. Era a qualche chilometro di distanza dalla nostra città, ma ci piaceva arrivare da lei all’improvviso e mangiare circondati dal profumo che aleggiava nel negozio. Perché quel giorno avrebbe dovuto essere diverso?

Eravamo arrivati a casa: mio padre mi aveva fatta scendere, aveva preso la mia cartella ed eravamo entrati in casa. Io ero corsa in camera per fargli capire che ero arrabbiata. Lui mi aveva raggiunta ed era entrato.
«Vai via, sei cattivo oggi», avevo detto con il broncio, nascondendo il viso tra le coperte. Lui mi aveva tirata fuori, fatta sedere sul letto e si era accovacciato davanti a me, afferrandomi le spalle con delicatezza.
«Mi dispiace Kyra, ma oggi non possiamo andare a trovare la mamma. Non possiamo più. È difficile dirtelo, credimi, non ci sono le parole giuste, ma...», non l’avevo mai visto così preoccupato. Balbettava, la sua voce era tremante e non voleva guardarmi negli occhi, così avevo afferrato il suo viso pungente per la barba e l’avevo accarezzato, imitando ciò che faceva mamma quando piangevo. Aveva puntato gli occhi nei miei: erano così tristi e sorpresi per il mio gesto, commossi e disperati. Aveva afferrato la mia mano con la sua e l’aveva stretta forte.
«Dov’è la mamma adesso? È malata?». Mio padre aveva scosso la testa.

«Non potremo più vedere la mamma, Kyra. Lei non è più fra noi... è morta». Non ricordo cos’era successo poi. L’ultima cosa che ricordo erano gli occhi ambrati di mio padre che mi guardavano impauriti e dispiaciuti, pieni di lacrime.


Ora lei è di nuovo davanti a me, sento perfino il profumo di fiori che aveva sempre addosso. Da bambina amavo quella fragranza e volevo diventare una fioraia proprio come lei. Da quando è morta mi basta sentire quell’odore per farmi venire la nausea.
Sono così immersa nei miei pensieri che non mi sono nemmeno accorta che mia mamma mi ha raggiunta.

«Ciao Kyra», dice con quel suo sorriso dolce e materno. Io non rispondo. «Non saluti la tua mamma?», chiede mentre la felicità abbandona il suo volto.
«Cosa dovrei fare? Correre da te e abbracciarti? Pensavo tu fossi morta». Perché mi comporto così? Ho sognato un’infinità di volte di rincontrarla, di poterle parlare un’ultima volta, di poterla abbracciare. Ora non riesco a fare altro che respingerla.
Il mio cervello mi dice che dovrei essere felice, che è una delle persone a cui ho voluto più bene, che dovrei tuffarmi tra le sue braccia e godermi il momento altrimenti me ne pentirò. Il mio cuore mi fa provare rabbia, disgusto e repulsione e non capisco perché.
«L’importante è che ora sono qui, di nuovo con te, non pensi?». Quando allarga le braccia non riesco a fare altro che tuffarmi in un abbraccio caldo e affettuoso. Mi era mancata, non posso negarlo. Improvvisamente l’odore che ormai odiavo inizia a cullarmi, come faceva in passato.

«Come stai?», domanda accarezzandomi i capelli.
«Ho paura. Non so cosa devo fare». È bello poter essere di nuovo consolata da lei, non ricordo nemmeno l’ultima volta in cui era accaduto. Eppure la cosa mi mette a disagio.
«Non preoccuparti, andrà tutto bene», sussurra, e io le credo. Sono consapevole del fatto che non sto comprendendo quello che mi sta accadendo, sono totalmente sconvolta. Perché è qui? Perché non glielo chiedo ancora? «Ce la puoi fare», continua accarezzandomi la schiena.
«Ora sì, mi aiuterai tu». Mi allontano per guardarla negli occhi, e capisco che non è d’accordo. Infatti scuote la testa senza dire nulla. «Mi hai lasciata quando avevo sette anni, me lo devi». Mi sorride imbarazzata, ma scuote di nuovo il capo.
«Allora perché sei qua?», domando fredda e distaccata, allontanandomi di qualche passo.
«Per aiutarti». Torna ad avvicinarsi e mi posa la mano sulla spalla. «Sono tornata qua per parlarti. Non sai cosa stai facendo, so che sei confusa, so che trovi incredibile che l’anima di tua mamma possa parlarti, ma è così. Amy, sei sola contro un nemico più grande di te. Verrai schiacciata e annientata, non puoi farci nulla. Salvati la pelle, scappa». Mi sorride di nuovo, sicura di avermi convinta. Mi sento disgustata.

«Non vanno così le cose, mamma. Io posso farcela, l’hai detto anche tu».
«Sì, puoi sopravvivere, scappando via. Vattene e non tornare, segui il consiglio della mamma». È seria. Il suo tono è autoritario, proprio come quando mi vietava di fare qualcosa. Ora però non mi sento costretta a seguire i suoi ordini.
«Non sono una codarda, non scapperò. Non puoi impormi di fare qualcosa», rispondo pacata, cercando di voltarmi per andarmene lontana da lei, ma mi afferra il polso e mi attira a sé con una forza e una velocità incredibili.
«Sono tua madre, devi fare ciò che ti dico». Io scuoto la testa, sempre più nervosa. Non l’avevo mai vista così arrabbiata, era sempre stata una donna tranquilla e comprensiva. Cosa le è successo?
«No, tu non ci sei stata per quasi dieci anni! Ora torni e speri che io segua i tuoi consigli senza battere ciglio? Io voglio rimanere a combattere, posso farcela, io posso vincere», mi interrompe urlando ancora prima che io possa concludere la frase.
«Tu morirai! Sei debole, sei sciocca, sei sola, sei patetica. Non sei mai stata capace di proteggere nessuno! Sapevi quello che i bulletti facevano ad alcuni tuoi compagni di scuola e non hai mai fatto niente per cambiare la situazione. Non sei mai stata capace di proteggere nemmeno te stessa, come speri di salvare l’intero paese? Verrai uccisa. Deluderai le poche persone che credevano in te, come hai sempre fatto».
«No! Papà crede in me e mi conosce meglio di te. Lui c’è sempre stato». Mentre parlo sento la voce che si incrina per la rabbia. Non voglio mostrarmi debole, ma sento già la gola chiudersi e gli occhi riempirsi di lacrime.
«Certo, vuoi imitarlo in tutto. Credi di assomigliargli? Guardati. Guarda me. Noi siamo uguali. Hai i miei stessi capelli neri, i miei stessi occhi grandi e scuri, le mie stesse labbra carnose, i miei stessi lineamenti. Tu assomigli a me». Conclude battendo una mano sul suo petto. È vero, io sono come lei, papà me l’ha sempre detto e io ne ero sempre stata felice, anzi, me ne vantavo. Dicevo sempre che mia mamma era una bellissima donna e che sarei diventata identica a lei. Ora la sola idea mi spaventa. Non voglio essere una codarda, non voglio essere una che si arrende. Non voglio essere cattiva. Eppure lei non era così...

«L’ombra può fare di te quello che vuoi, potrebbe sconvolgere la tua mente in un solo secondo, potrebbe ucciderti, farti soffrire fino a spezzarti in mille pezzi. Sei sola». Non me ne ero accorta fino ad ora, ma sto tremando. La sua stretta sul mio polso fa male e le sue urla mi terrorizzano. Il suo sorriso è sadico, felice in modo perverso e malato. Sembra godere nel vedermi fallire miseramente.
«Non sono sola, io ho Alex». Scoppia a ridere. Una risata fredda e incolore. Non appartiene a niente di vivo.

«Lui non potrà aiutarti». La sua voce inizia ad echeggiare. Non sembra nemmeno uscire dalle sue labbra, non sembra poterle appartenere, perché infatti non è sua. È la voce dell’ombra.
Mi allontano di qualche passo, puntando istintivamente il coltello verso di lei.
«Pensi di potermi uccidere con un coltello?», dice sorridendo. I contorni della sua figura iniziano a tremare.

«No, non puoi farmi questo, figlia mia, io ti voglio bene!», esclama. Ora è lei, è mia madre. L’ho sentita l’ho vista. Ora però è scomparsa, al suo posto compare di nuovo l’ombra. Cosa sta succedendo?
Mia madre non c’è mai stata, non mi ha mai parlato. Era sempre stata l’ombra. Ha sfruttato la mia debolezza per poter giocare con la mia mente. Ecco perché non volevo avvicinarmi a lei, ecco perché era così malvagia, ecco perché la odiavo.

È  in ogni cosa, ma niente è adatto a lui. Se lo incontri è la fine, se lo sconfiggi è un nuovo inizio”.  Le parole che il mio vicino Ben mi aveva detto prima di impazzire mi vengono in mente all’improvviso.
L’ombra è entrata nella mia testa. Se voglio salvarmi devo scappare.
Mi volto e inizio a correre. Lei non cerca di rincorrermi, ma sento la sua voce.

È in pericolo. Potrebbe morire. Lui ti ha salvato la vita, ora devi fare lo stesso.
Non gli rimane molto tempo, devi correre. Corri.
Raggiungilo. Salvalo.
Sta morendo, non puoi fare niente. Arriverai troppo tardi.
Vedrai la vita abbandonare il suo corpo con i tuoi occhi.
È colpa tua. 

 

Angolo Autrice_

Salve salvino (?) :D 
Spero di non aver aggiornato di nuovo troppo tardi u.u Comunque eccoci finalmente con il capitolo 11 (che è il numero delle personcine magiche che seguono questa storia, LOVE <3 )
Anyway, in questo capitolo finalmente si scopre qualcosa del passato di Kyra, quindi per il resto non succede molto... Spero che vi piaccia comunque ;) 
Per la prima volta non sapevo quando interrompere un capitolo, quindi il dodicesimo è già a metà C: per una volta aggiornerò forse in anticipo :D
Ah, ovviamente ringrazio tutti quelli che seguono o recensiscono o semplicemente leggono questa storia. Grazie di cuore :*




SPOILER

Nel prossimo capitolo finalmente torna Alex, just saying. 
 

DriDri_

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Capitolo 12
*** Together again. ***


Capitolo 12






Non mi importa di nulla. Non mi importa se sta giocando con la mia mente, non mi importa se sta colpendo i miei punti deboli per ferirmi. Non posso lasciare che Alex muoia. Devo trovarlo, devo salvarlo prima che sia troppo tardi.

La testa mi gira, non so dove sto andando. Le mie gambe sembrano essere comandate da qualcun altro. Sento solamente il cuore spezzarsi ad ogni passo, sento la gola seccarsi fino a fare male, sento le mani sudare e tremare, sento la mia mente che cerca di afferrarsi a qualsiasi speranza senza riuscirci.

L’ombra sta ridendo di me.
Tutto attorno a me si contorce su se stesso. Le cose si allontanano anziché avvicinarsi.
Le mie gambe scricchiolano rischiando di spezzarsi, i miei piedi sprofondano sempre di più nel terreno, ad ogni passo.
Sangue. Urla. Fuoco.
Alex che chiede aiuto. Piange, mi supplica di salvarlo.
Ho il coltello macchiato di rosso. È colpa mia. Ho lasciato che se ne andasse.
“Sei un mostro!”, urla mia mamma con disprezzo. “Non avrei voluto rimanere in vita, saresti stata una completa delusione”. Se ne va, spingendomi a terra.

Mi scontro con qualcuno, ma anziché cadere qualcosa mi avvolge. Cerco di liberarmi, ribellandomi con tutta la forza che ho, ma ne rimane ben poca nel mio corpo. Non so nemmeno dove mi trovo. So solo che ansimo dalla fatica e sto piangendo.
«Lasciami! Devo salvarlo! È colpa mia!», urlo senza nemmeno capire cosa sto dicendo. La mia mente è così annebbiata... è come se ci fosse una  barriera tra me e i miei pensieri.
Una mano si posa sulla mia testa e mi tira verso di sé, un’altra mi accarezza la schiena. Mi rendo conto solo ora di star abbracciando la persona di fronte a me.
«Sh, tranquilla, è tutto ok», sussurra qualcuno. Stringo la maglietta di quella persona e scuoto la testa. Ho perso tempo, è troppo tardi. Non riesco nemmeno a parlare, sono senza parole. Mi sento così in colpa, come ho potuto lasciare Alex morire? Cosa farò ora? Diavolo, non riesco nemmeno a pensare. Sto tremando da capo a piedi. Sto singhiozzando senza riuscire a controllarmi. Sto piangendo così tanto che il petto mi fa male. È colpa mia, è colpa mia. Voglio combattere l’ombra ma non sono meglio di lei.
Mi faccio schifo, vorrei uscire dal mio corpo.
«Stai bene?», domanda una voce preoccupata. Delle mani mi afferrano il viso e mi allontanano. La persona vuole vedermi in viso.

È Alex. Sembra sconvolto, ha le guance bagnate di lacrime e il fiato corto. I suoi occhi verdi sono sgranati e fissati nei miei. Sbatte le palpebre svariate volte, come per cancellare un’orribile immagine.
«Alex!», urlo tuffandomi di nuovo tra le sue braccia. Lui mi stringe ancora più forte, cullandomi e alzandomi da terra, mentre io mi afferro alle sue spalle larghe per non cadere (non che serva a qualcosa, visto che la sua presa su di me è decisa e sicura).

Non ci posso credere, è lui, è vivo, sta bene. Mi afferro a lui come per controllare che sia tutto intero e soprattutto che non sia frutto della mia immaginazione. Dopo che l’ombra è entrata nella mia testa non riesco a capire cosa sia vero e cosa falso: infatti sento Alex, lo vedo, ma è come se non riuscissi davvero a percepirlo. È estremamente snervante non riuscire a mettere a fuoco la situazione.
«M-mi dispiace! Non sai quanto mi dispiace! S-sono un’idiota, lo sai», dice con voce tremante, trattenendo un sospiro. Non l’ho mai visto così spaventato, così preoccupato, così fragile. Lo sento scoppiare in lacrime, poggiando la fronte sulla mia spalla e stringendosi a me. Finalmente riesco a sentire davvero il suo corpo sotto le mie dita. Non riesco a trattenere un sorriso: è lui, è vivo, niente di tutto ciò era reale. Era solo un orribile e macabro scherzo.

Lentamente riprendo conoscenza e torno a capire cosa mi succede attorno. Strofino una mano sulla schiena di Alex per rassicurarlo. Sta farfugliando qualcosa, ma comprendo solo alcune parole, come “spaventato”, “ombra”, “morta” e forse un “paura di perderti”. Sì, è decisamente lo shock per l’ombra a parlare.
«Non dovevo lasciarti andare», dico accarezzando i suoi capelli neri. Non mi ero mai spaventata così tanto. Sono completamente sconvolta, sto provando così tante emozioni nello stesso istante che la mia mente è vuota.

«Stai bene?», chiede di nuovo e a quel punto mi allontano per guardarlo in viso, nonostante tra le sue braccia mi sentissi decisamente più protetta e tranquilla.
«Io sì! Tu piuttosto, pensavo fossi morto!», esclamo colpendolo sul petto, come per rimproverarlo. Ovviamente non è colpa sua, l’ombra voleva che ci incontrassimo, faceva tutto parte del suo piano.
«L’ombra mi aveva detto che eri in pericolo», spiega accarezzandomi un braccio. Sembra che si stia ancora accertando di avermi davanti sana e salva. Deve avere avuto delle visioni molto simili alle mie, anzi, probabilmente più forti, dato che io mi sono già ripresa. A quanto pare l’ombra si diverte a sconvolgere la sua mente.  
Alex continua a squadrare il mio corpo e toccare la mia pelle, con un’espressione concentrata, ma fin troppo confusa.
«Voleva unirci di nuovo», sussurro, troppo concentrata per parlare.

Qual è il suo piano? Prendendo le sembianze di mia madre voleva persuadermi a lasciare il paese e non essendoci riuscita cosa fa? Fa in modo che io torni dal mio unico alleato? Non ha alcun senso. È controproducente per lei...
Mi guardo attorno: non c’è più. C’è solamente molta confusione e disordine. Per fortuna come zona, questa è abbastanza tranquilla rispetto al resto del paese. L’atmosfera è tetra e inquietante: è ormai sera e l’unica luce viene prodotta dal fuoco che continua ad avvampare in diversi punti della città, producendo ombre distorte ed inquietanti sulle pareti delle case, o delle macerie.
«Tu sei riuscito a capire qualcosa?», domando. Nella mia testa c’è solamente un groviglio di dubbi e pensieri che non riesco a snodare.

«No... insomma, prima ha tentato di cacciarmi via, poi mi ha detto quelle cose su di te e... sono corso in tuo aiuto». Rimango a bocca aperta.
«Ha fatto la stessa cosa con me! Il suo piano A era allontanarci dalla città, ma visto che ha fallito ci ha riuniti... ma perché? Come spera di essere agevolata avendo i suoi unici due nemici uniti?», domando guardando in basso, come se la soluzione ai miei problemi potesse passarmi sotto il naso. Il ragionamento dell’ombra sembra non avere né capo né coda, ma sicuramente è studiato nei minimi dettagli.

«Vuole distruggerci assieme. Vuole darci speranza per poi vederci soffrire l’uno accanto all’altra. Per lei sarà divertente». Guardo Alex con gli occhi sbarrati. La sua idea è più che plausibile, ma come ha fatto a venirgli in mente? Come può sapere se è giusto o sbagliato? Eppure il suo tono di voce era sicuro, non trapelava alcun dubbio, nessuna esitazione.
«Come fai a saperlo?». Scuote la testa, come per risvegliarsi dallo stato di trance.
«Lo so e basta...», spiega, ma ora è confuso anche lui. Aggrotta le sopracciglia e abbassa lo sguardo: sembra non capire cosa gli è appena successo. Il suo sguardo vaga in giro, in cerca di risposte, poi scuote la testa e torna a fissare a terra.

«Forse dovremmo separarci di nuovo...», bisbiglio senza nemmeno pensarci. Dopotutto sarebbe l’unico modo per evitare che l’ombra avveri il suo piano, qualunque esso sia. È vero, ci siamo divisi per un giorno e la situazione ci è sfuggita di mano: da soli siamo più deboli e esposti agli attacchi del nemico. Ma se ciò che ha detto Alex è vero, allora l’ombra sarà infastidita nel vedere che pur di non dargliela vinta siamo disposti a separarci di nuovo. Anche se, probabilmente, la rabbia dell’ombra si scatenerebbe su i noi.
Prima che possa rendermi conto di aver detto ad alta voce quella frase, Alex mi afferra il polso con forza.  

«Sei impazzita? Da soli resisteremmo ancora di meno! E potrebbe approfittare delle nostre debolezze come ha appena fatto. Le basterebbe dire che uno di noi è in pericolo che l’altro accorrerebbe senza nemmeno pensarci, e cadrebbe nella sua trappola. Come hai detto tu, per lei sarebbe più facile distruggerci separatamente. Vuole divertirsi? Allora le daremo un po’ di lavoro. È convinta di poterci uccidere con troppa facilità, ma non è così. Io non mi fermerò davanti a nulla, vuole combatte? La sto aspettando. Che provi a fermarci. Io non ho intenzione di arrendermi, e tu?». Scuoto la testa. Sono totalmente rapita dalle sue parole. Non l’avevo mai visto così forte, così deciso, così combattivo e pendo dalle sue labbra. Eseguirei i suoi ordini senza battere ciglio, ora sembra davvero un guerriero.
Non mi sono mai fidata di lui come in questo momento. Lui sembra notarlo, così sorride abbassando lo sguardo, quasi imbarazzato, ma nello stesso tempo soddisfatto.
«E poi devo tenerti d’occhio», sussurra con il suo classico sorriso arrogante, avvicinandosi a me, posando una mano dietro la mia schiena e avvicinandomi a lui.
Sono senza parole, il che è strano da parte mia.

Mi sento così strana. Io lo odio, l’ho sempre odiato. È la persona che sopporto di meno sulla faccia della Terra, il suo comportamento mi dà il voltastomaco. Allora perché in questo momento il suo sorriso strafottente mi sembra così dolce e affascinante? Perché mi avvicino anche io? Perché non faccio nulla per fermarlo? Perché ero così terrorizzata all’idea di perderlo? Perché il suo comportamento sembra incantarmi anziché infastidirmi?
Il suo volto è di fronte al mio, sento il suo respiro lento e profondo. Chiudo gli occhi e mi avvicino ancora per azzerare la distanza fra di noi, portando le mani sulla sua nuca. Proprio in quel momento lo sento mugugnare. Apro gli occhi e lo vedo arricciare il labbro. Tasto con le dita la sua nuca e sento la pelle eccessivamente ruvida, liscia al centro con una piccola voragine umida.
Lo allontano da me. La magia è finita, l’ansia sta tornando ad attanagliare il mio cuore. Gli ordino di voltarsi e lui si gira, portando una mano al collo per coprirsi: la afferro e la sposto per poter osservare cosa gli ha causato questo dolore. Sgrano gli occhi e porto una mano alla bocca per trattenere un sospiro.
Non ho mai visto una cosa simile. 


Angolo Autrice_

Ciao bella gente C: 
Che dire, questo capitolo è di passaggio, non succede nulla di particolare, semplicemente Kyra e Alex si rivedono (contenti? :D), è solo che altrimenti non sapevo quando interrompere il capitolo. Così ho arricchito un po' la loro incontro, spero non vi dispiaccia C: e soprattutto spero di non avervi annoiati o delusi!


Ringrazio tutti quelli che leggono/seguono/recensiscono la storia (davvero, alcune recensioni mi fanno sputare arcobaleni :3), vi adoro e non scherzo quando dico che vi abbraccerei tutti :D
Vorrei mettere qualche spoiler, ma la verità è che spesso (ok, quasi sempre) cambio idea durante la scrittura dei capitoli, quindi evito di scrivere cavolate o mi tirate qualcosa C: Detto questo,
SHIAO BELLI :D

DriDri_

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Capitolo 13
*** It hurts. ***


Capitolo 13







Sembra un’escoriazione, o una bruciatura: la pelle viva è arrossata all’esterno, mentre nel mezzo assume una sfumatura violacea con qualche punto nero. Nel centro esatto c’è un buco scuro, ma non è macchiato di sangue. Sembra sprofondare nel vuoto.
Lo sfioro con la punta delle dita, ma appena lo tocco, Alex si allontana gemendo dal dolore.

«Che cosa ti è successo?», domando preoccupata. Pensavo non si fosse fatto male, pensavo facesse tutto parte del piano dell’ombra. Invece lui è ferito.
«N-non lo so! Io non mi ero accorto di nulla», spiega, cercando di tastare la ferita, ma ritraendo immediatamente la mano e controllando se sulle dita c’è traccia di sangue.
«È stata l’ombra, senza dubbio», concludo, cercando di toccarne i bordi senza fargli male. Come ha fatto?
«Io non l’ho sentita...», pensa ad alta voce Alex, ripercorrendo con la mente gli istanti precedenti. «Insomma, c’era solo una gran confusione...».
«Devi raccontarmi tutto quello che ti è successo», gli spiego concentrata. Qualsiasi dettaglio potrebbe essere la chiave.

«All’inizio sentivo una voce nel mio cervello che mi diceva di andarmene, di scappare, che non avevo alcuna speranza di vincere». Per lui l’ombra non ha preso le sembianze di nessuno, gli ha parlato direttamente. Già questo credo possa fare la differenza. «Ma subito dopo mi ha urlato che tu eri in pericolo, che stavi per morire, che era colpa mia perché ti avevo abbandonata e che dovevo riparare ciò che avevo fatto. Non ci ho pensato su nemmeno per un secondo: sono corso verso di te. Sempre la stessa voce mi diceva dove andare, guidava le mie gambe, mentre mi provocava...delle...visioni poco piacevoli». So che è orribile ricordarle, io le rimuovo dalla mia mente ogni volta. Sono troppo dolorose e mettono angoscia, ma è l’unico modo, così lo esorto a raccontare anche quelle.

«C’ero... io da bambino. La mia vita era così allegra e perfetta, poi di colpo crescevo. Ero solo, circondato da quegli idioti dei miei amici. Picchiavo un ragazzino, di cui non so nemmeno il nome, fino a quando non riusciva più a rialzarsi, poi tornavo a casa e i miei genitori scoprivano cos’avevo fatto. Mi sgridavano, mia mamma piangeva, piangeva sangue. A quel punto le loro facce erano... strane. Erano distorte e urlavano come non ho mai sentito urlare nessuno. Si scioglievano e io non potevo fare niente: cadevano letteralmente a pezzi! Io mi chinavo e toccavo ciò che rimaneva di loro con le mie mani. Era tutto rosso, c’era solo tanto sangue e fuoco... Io andavo a fuoco. In quel momento l’ombra mi mostrava te. Eri in pericolo, imprigionata in un vicolo buio, eri terrorizzata. Urlavi, ma nessuno ti aiutava, poi il tuo corpo si disintegrava tra le mie braccia, rimanevano solo un paio di ossa e le tue ceneri. Tornavi in vita, piangendo e strillando, e la tua morte si ripeteva. Ho avuto questa visione fino a quando non ti ho vista davanti ai miei occhi sana e salva». Ho i brividi, ho smesso di respirare senza nemmeno accorgermene. Ma il racconto non è finito.

«Questa volta però c’era qualcosa di strano. Io sentivo il dolore, quello fisico. Continuavo a sentire delle bruciature, dei tagli su tutto il mio corpo e avevo un gran mal di testa. Credimi, pensavo che l’ombra mi avrebbe ucciso, o peggio, fatto impazzire». Annuisco e spiego ciò che ho dedotto dal suo racconto.
«Probabilmente è così che ti ha provocato questo buco. La domanda è: l’ha fatto di proposito?».
«No», risponde prontamente lui, con lo sguardo perso nel nulla. Scuote la testa e sembra tornare in sé. «Sentivo una spinta, mentre cercava di impossessarsi della mia mente. Io mi opponevo, cercavo di respingerla, e così ha insistito più volte per riuscire ad entrare nella mia testa». Rimango a bocca aperta. Alex è più forte di quanto pensassi, io non pensavo nemmeno che potesse esistere un modo per opporsi all’intrusione.
«Ora si spiega! Per riuscire ad entrare nella tua mente ha dovuto usare una forza maggiore, scatenando in te delle visioni talmente forti da causarti dolore fisico. A quanto pare il buco che hai sul collo lo deve aver creato cercando di entrare nella tua testa: non riuscendoci spiritualmente ha dovuto aprire un varco». Ora è tutto chiaro, finalmente!

Sono così soddisfatta di essere riuscita a snodare almeno uno dei nostri dubbi che non mi rendo conto del fatto che, in realtà, non sappiamo niente.
Il foro potrebbe essere pericoloso. L’ombra ora potrebbe intrufolarsi nella sua testa con una facilità incredibile rispetto a quella di prima, Alex non potrà più opporsi. L’ombra potrà farlo impazzire quando vorrà, senza nemmeno sforzarsi. Dubito che non se ne sia resa conto.
La domanda da porsi ora è: potremo trarne qualche vantaggio? Guardo Alex e senza rivolgergli parola capisco che i suoi pensieri sono simili ai miei. Ha portato la mano al collo senza rendersene conto, come per coprire la ferita in modo da evitare che l’ombra ci entri. Un brivido di terrore attraversa il suo sguardo, e lo vedo deglutire a fatica.

«Cosa faremo ora?», domando spaventata. Sento il mondo sgretolarsi tra le mie dita. L’ombra potrebbe trasformare Alex nella sua marionetta, e così rimarrei completamente sola. Non so cosa fare, non so come distruggere l’ombra, non so come oppormi a lei, non conosco i suoi punti deboli (sempre che ne abbia).
Cosa farò una volta sola? Il nemico, alleato con Alex, sarà decisamente più forte.
La mia mano stringe automaticamente il coltello che avevo infilato in tasca. No. Non ucciderò Alex solamente per codardia. Mi basta pensare a tutto ciò che ho provato poco fa al pensiero della morte sua morte per farmi ritrarre la mano. Sono nauseata, dalla situazione e da me stessa. Io non sono violenta, non sono aggressiva. Eppure dovrò possedere queste caratteristiche per riuscire a sconfiggere l’ombra. Ho solamente paura di perdere di vista l’obbiettivo...
A questo punto posso proteggermi solamente in un modo.

«Dovrai insegnarmi a respingere l’ombra», sussurro, come per paura che lei possa avermi sentita.
«Hai paura che io cada sotto il suo controllo, vero?». Questa risposta non era quello che mi aspettavo. Rimango in silenzio, con la bocca socchiusa, ma non riesco a dire una parola.
Il suo sguardo è fermo e deciso, non lascia trapelare alcuna emozione, ma io la vedo, vedo la paura che si nasconde dietro la sua forza. Il pensiero di diventare pazzo è stato il primo ad attraversarlo quando ha scoperto della ferita e ora ha capito che io non ho alcuna fiducia in lui. Bel modo di supportarlo.
Non voglio litigare di nuovo con Alex, dopotutto ci siamo appena riconciliati.
Mi fido di lui? Sì. Può resistere al potere dell’ombra ora? Non ne sono sicura.
Non è colpa sua, semplicemente abbiamo di fronte a noi un nemico più forte di quanto potessimo immaginare.
Odio questa sensazione di impotenza. Come posso risolvere il problema? L’unico mezzo che ho a mia disposizione è la frase che Ben aveva sussurrato prima di impazzire:

è in ogni cosa, ma niente è adatto a lui. Se lo incontri è la fine, se lo sconfiggi è un nuovo inizio”.

Niente è adatto a lui... Alex non è a adatto a lui, quindi non potrà mai controllarlo completamente. Eppure gli altri abitanti sono impazziti.
«Cosa stai pensando?», domanda Alex, interrompendo i miei pensieri. A quanto pare non vuole sapere la mia risposta alla sua domanda precedente. Meglio Così.
Gli spiego la faccenda della frase, in modo da poter ragionare assieme a lui.
«Se niente è adatto a lui allora non può rimanere per sempre in nulla... quindi tutto questo potrebbe essere temporaneo», esclama con lo sguardo illuminato di speranza. Allargo le braccia, indicando ciò che ci circonda.
«Guardati in giro: ti sembra che tutto questo possa sparire così, all’improvviso?». La gioia abbandona il suo volto. Scuote la testa, deluso e amareggiato.
«Scusa, era solo un’idea», sussurra scocciato. Ora mi sembra essere tornato in sé. Forse preferivo la sua versione addolcita dall’ansia delle visioni.

«Che ne dici di rifugiarci da qualche parte per la notte?», propongo. In quel momento mi guarda attentamente e alza un sopracciglio.
«Sei intelligente, io pensavo di andarci a distendere in piazza davanti a tutti quei pazzi». Capisco che possa essere spaventato e sconvolto, ma il suo sarcasmo potrebbe portarmi ad estrarre il coltello dalla tasca. «Aspetta, dov’è il tuo zaino?», domanda indicando le mie spalle vuote.
«L’ho perso», mento spudoratamente, ma cos’altro posso fare? Non voglio che si arrabbi con me. «Ma ho ancora la coperta con me», dico, indicando la coperta avvolta attorno alla mia vita. Alex scoppia a ridere.
«Ah be’, allora sì che siamo al sicuro! Attenzione, Kyra ha una coperta e non ha paura di usarla! Ombra, io tremerei se fossi in te», urla alzano la testa in alto per poter essere sentito da tutti.
«Sei un idiota», ringhio tappandogli la bocca con una mano. «Vuoi che ci trovino?», domando poi spingendolo con arroganza. È in momenti come questi che mi pento di essermi alleata con lui.
«Chi, i pazzi? Non ci faranno niente, ora hai anche un coltello, e sì, ho visto che continui a stringerlo. Hai paura che io ti faccia del male?», domanda ridendo e afferrandomi con stretta decisa il mento con una mano. Allora aveva notato il mio gesto poco fa. Probabilmente ha capito che per un secondo ho pensato di ucciderlo.
Il suo sorriso non mi piace. È così amaro, arrabbiato, disgustato.
«Non ho paura di te», rispondo a denti stretti, sostenendo il suo sguardo.

Poi succede tutto velocemente. Le sue pupille diventano trasparenti per meno di un secondo e il suo sguardo si estranea, come se Alex fosse caduto in trance. Nei suoi occhi brilla una cattiva luce, assetata di potere. Poi torna sé stesso, senza nemmeno essersi reso conto di quello che gli è appena successo. Si fa più serio.
«Ricordati chi è il nemico», dice, mantenendo la stretta sul mio viso.
Mi manca il fiato. Cosa gli sta succedendo? Perché continua a cambiare personalità? Qual è il vero Alex ora, e per quanto resisterà?
Afferro il suo polso e lo allontano da me.
Alex scuote la testa. È parecchio confuso ora. Non vorrei essere in lui, dev’essere orribile sentire una presenza estranea comandare la propria mente.
«Scusa, io...», ora non mi inganna più. Dopo la fase confusa e dolce, arriva quella sarcastica e offensiva, quindi evito di dargli ascolto.

«Dove andiamo?», domando cambiando argomento. Intanto ci incamminiamo.
«Pensavo di tornare nei campi...»
«No!», esclamo io un po’ troppo in fretta. Non voglio che incontri Anne, o scoprirebbe che ho dato a lei tutte le mie provviste. «Che ne dici di andare a casa di Eveline? È abbastanza isolat...». Succede di nuovo, cade in trance.
«Andiamo nella baita», dice con lo sguardo perso nel vuoto.  Scuote la testa e porta una mano alla ferita sul collo.
«Perché?», domando incuriosita.
«Quel posto è più sicuro. Non so come faccio a saperlo... ma è così, fidati». Cosa posso fare se non riporre la mia fiducia in lui? Annuisco e mi dirigo verso la baita.

La baita è una piccola casetta confortevole che si trova in cima al monte al confine del nostro paese. Appartiene ad un’anziana coppia che spesso la affittava agli abitanti per feste o serate tra amici. Io ci ero andata spesso. Scommetto che hanno ancora la chiave “nascosta” in garage sotto un sasso.
Dopo quasi un’ora di cammino, durante il quale io e Alex siamo stati l’uno affianco all’altra guardandoci le spalle e con le orecchie tese per captare qualsiasi rumore sospetto, finalmente arriviamo a destinazione. Inizia a fare freddo e non vedo l’ora di entrare al riparo.

Come sospettavo la chiave è nascosta nel suo solito posto. La prendo e apro la porta. Noto con gioia che nessun pazzo è giunto fin quassù, tutto è ancora pulito e al proprio posto, com’era l’ultima volta.
All’interno troviamo le dispense piene di cibo, lo sgabuzzino pieno di legna per accendere il fuoco nel camino, delle coperte e qualche vecchio vestito dimenticato.
Per prima cosa mi dirigo in bagno per darmi una rinfrescata: mi mancava potermi lavare. Poi, mentre Alex si fa una doccia, io vado a bere grandi sorsate d’acqua dal rubinetto. Poi mi siedo davanti al camino, Alex ha già acceso il fuoco.

Guardo il cellulare, ma non ci sono messaggi o chiamate. Ho la tentazione di chiamare Eveline, ma quando sto per premere il pulsante verde, cambio idea. Non voglio pensare ai vecchi tempi, ne seguirebbe una terribile malinconia che in questo momento non sono pronta a sopportare.
Guardando il fuoco scoppiettare non posso fare a meno di pensare a tutte quelle volte che Eveline e io ci eravamo immaginate da vecchie, sedute davanti al camino a ricordare i vecchi tempi.
Ora di sicuro non succederà più. Lei sarà vecchia, avrà un marito, dei figli, una bella casa e un lavoro. Io non so nemmeno per quanto sarò ancora viva. Per me non c’è nessun futuro da immaginare.
Mi accorgo che i miei occhi si stanno riempiendo di lacrime, così le ricaccio indietro. Non voglio che Alex mi veda piagnucolare tra me e me. Ho sentito i suoi passi e so che ora è fermo, vicino alla porta, alle mie spalle. Chissà perché non entra, o non parla...

«A cosa pensi?», chiede dopo un po’, avvicinandosi con i capelli ancora bagnati e vestito con una tuta che non avevo mai visto.
«Niente», rispondo, facendogli spazio sul tappeto, vicino a me. Lui si siede e osserva il fuoco.
«Momento di malinconia?», lo guardo stupita. Cosa ne sa di cosa provo? Lui sembra notare la mia espressione confusa. «Anche io sono un essere umano, e ho un cuore. A me capita di pensare al passato, o al futuro, e mi rendo conto che per noi ora c’è solamente il presente», spiega con una punta di amarezza nella voce.
 «Fa male, vero?». È bello poter parlare con qualcuno che riesce a capirmi, e nonostante non pensassi lui fosse capace di provare i miei stessi sentimenti, ora non mi sento più sola. Siamo nella stessa barca, siamo solamente due ragazzi che sono stati catapultati in una situazione assurda più grande di loro.
«Sì», sussurra lui, fissando i suoi occhi nei miei. Non può essere lo stesso ragazzo che picchiava quelli più piccoli per una manciata di soldi. Quei suoi occhi verdi sono così profondi, dolci, comprensivi, maturi e... belli.

È strano: ogni giorno ci sono momenti in cui vorrei sparisse dalla faccia della terra, ma ogni giorno, lentamente, lo conosco meglio e inizio a provare sentimenti ben distanti dall’odio. 
Mi sorride, ma poi abbassa lo sguardo, imbarazzato. Vorrei davvero sapere cosa gli passa per la testa in momenti come questi. Mi rendo conto solamente ora che i nostri visi sono davvero vicini, così poso la mia testa sulla sua spalla, mentre lui mi avvolge con un braccio.
Rimaniamo in silenzio, a goderci il tepore del fuoco, fino a quando lui non mi allontana da sé.
«Aspetta. Il tuo vicino aveva detto: se lo incontri è la fine. Noi l’abbiamo incontrata, eppure stiamo bene». Ha ragione. Siamo scappati da lei più di una volta, senza riportare danni significativi. Questo può voler dire solo una cosa:

«Allora non l’abbiamo mai incontrata davvero». Rimaniamo in silenzio, ma i nostri sguardi valgono più di mille parole. 


Angolo Autrice_

Ciaaaao a tutti :D 
Come potete vedere ho aggiornato abbastanza presto (siete contenti? :D ).
Spero che il capitolo vi piaccia, non sapete quante volte l'ho modificato, non mi convinceva mai. Quindi spero non sia una schifezza o vado a scavarmi una buca in cui nascondermi C:
Se avete domande, o qualcosa non è chiaro, non esitate a domandare :) Se volete scrivermi, potete cercarmi su twitter, sono @wdridri :) 
As always ringrazio e abbraccio virtualmente tutte quelle belle personcine magiche che recensiscono/seguono/leggono la storia :D 

Vi informo che da adesso il ritmo della storia sarà più rapido, il prossimo capitolo sarà ancora abbastanza tranquillo, ma poi si entra nel vivo (e direte: ERA ORA) dell'azione :D
Ho già in mente (in linea generale), cosa succederà nei prossimi capitoli (sì, sembra strano, ma decido sul momento cosa far succedere u.u )
Secondo i miei calcoli, dovrebbero mancare circa 8 o 9 capitoli (mi mancate già ç__ç) 
Smetto di annoiarvi (e scrivere cose tra parentesi), ciao bella gente :*



SPOILER

Nel prossimo capitolo capirete nel dettaglio cosa comporta la ferita di Alex, nel bene e nel male C: 
Kyra e Alex scopriranno e impareranno qualcosa di nuovo, non dico altro C:

DriDri_

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Capitolo 14
*** Contact. ***


Capitolo 14






«Dobbiamo andare», dico alzandomi in piedi, ma Alex mi afferra il polso.
«A fare cosa? A morire? Rimaniamo qua, dormiremo finalmente una notte senza preoccupazioni, poi domani mattina penseremo a cosa fare. Sono d’accordo che dobbiamo agire subito, ma abbiamo bisogno di un piano». La sua intelligenza mi sorprende sempre di più. Ha totalmente ragione, uscire ora e andare a cercare l’ombra sarebbe un suicidio.
Ora abbiamo abbastanza informazioni per elaborare un piano.
«Allora andiamo a dormire?», domando. Mi sembra assurda l’idea di riposare proprio ora che siamo forse vicini ad una possibile soluzione, ma in effetti sono stanca da giorni e dormire qualche ora mi farebbe bene.

Mi dirigo verso la camera da letto. Finalmente siamo in una casa, non ho intenzione di dormire su un tappeto. Dopotutto la baita è piccola, il fuoco acceso in sala ha già scaldato le altre stanze.
Apro l’armadio e riesco a trovare un pigiama caldo e morbido. Vado in bagno per cambiarmi, e quando esco Alex si è già infilato sotto le coperte, occupando tutto lo spazio.
«E che cavolo Alex, è un letto matrimoniale, ci devo stare anche io!», esclamo puntando minacciosamente un dito contro di lui.
«Sì tranquilla, non mi dai fastidio», risponde invitandomi a raggiungerlo. Scuoto la testa ridendo e mi infilo sotto le coperte al suo fianco. Lui mette prontamente un braccio attorno alla mia vita, così mi allontano.
«Ok, regola uno, il lato destro è mio, quello sinistro è tuo, quindi toglimi le tue manacce di dosso».  Alex scuote la testa e si tuffa sul cuscino di faccia, mormorando qualcosa di incomprensibile.
«Buonanotte caro!», dico, imitando la voce di una vecchietta. Lo sento ridere, così sorrido a mia volta.
Questa non è di certo una delle notti migliori della mia vita, ma nemmeno la peggiore. Alex continua a scalciare e russare e più di una volta ho la tentazione di buttarlo giù dal letto, fino a quando la frustrazione ha la meglio su di me. Lo spingo con tutta la mia forza fino a farlo cadere, poi mi butto sul letto e fingo di dormire.
Non posso fare a meno di trattenere una risata, immaginando la sua faccia. Invece non si muove per un pezzo, rimane a dormire lì, per terra. Ha il sonno più pesante che io abbia mai visto, sfido l’ombra a cercare di svegliarlo.
Quando la mattina mi sveglio, lo ritrovo di nuovo affianco a me. Chissà quando si è svegliato. Una cosa è certa: senza i suoi calci dormivo decisamente meglio.
Mi siedo e stiracchio gambe e piedi.

«Buongiorno!», esclama lui, tirandomi un braccio e facendomi di nuovo distendere.
«Giorno Alex, dormito bene?», domando ironicamente. Non è ancora riuscito ad aprire gli occhi. Come risposta alla mia domanda accenna un sorriso e annuisce.
«Che ne dici di alzarti?». Come risposta alza un braccio, indica la porta e sussurra “cibo”. Scuoto la testa, ma comunque vado a prendere qualcosa da mangiare. Per me, più che altro.
Quando arrivo in cucina prendo un po’ di fette biscottate con la nutella e un succo d’arancia.
Noto un vassoio appoggiato nel lavello, così decido di essere gentile e servizievole per una volta. Magari lo renderà di buon umore ed eviterà le sue odiose battute sarcastiche.
Arrivo in camera e lo sveglio dolcemente tirandogli una sberla sulla gamba. Si alza immediatamente, ancora con gli occhi chiusi, ma mi basta questo. Poso il vassoio sulle sue gambe e vado a sedermi al mio posto, sorseggiando il succo.
«Grazie tesoro», dice, aprendo gli occhi quanto basta per vedere cos’ha davanti. Lo guardo un attimo, interdetta. È decisamente insonnolito.

«Potrei vivere così per sempre», dice godendosi la colazione.
Me lo immagino. Io e lui, sposati, che abitiamo in questa baita, isolati dal resto del mondo, senza radici, senza futuro, solamente a vivere il presente. Sarebbe... bizzarro. Decisamente bizzarro.
«Allora spera di trovare una ragazza disposta a prepararti la colazione». Sorride e abbassa lo sguardo.
Se fosse sempre stato così forse saremmo diventati amici molto tempo fa. Invece, visto ciò che abbiamo alle spalle, ancora fatico a vederlo come un bravo ragazzo. Chissà se per lui è lo stesso e continua a vedere la sfigata che vedeva prima.
«Sarebbe bello», afferma pensieroso. Ci guardiamo un attimo, poi decido di spezzare questo silenzio imbarazzante.
Diamine, sono in pigiama che faccio colazione a letto con Alex Hunt. Chi l’avrebbe mai detto? Mi sembra di star vivendo la vita di qualcun altro.

«Allora, qual è il nostro piano?», domando. Scommetto che ho le guance totalmente rosse dall’imbarazzo.
«Ehm... sappiamo che non abbiamo mai visto la vera ombra, ma solamente la sua... “ombra”». Ecco, qualcosa scatta nella mia mente. Abbiamo visto la sua ombra. L’ombra è esattamente l’ombra del nemico. E quale essere potrebbe essere così potente dal riuscire a seminare il terrore solamente con la propria ombra?
«È un demone!», esclamo, e Alex mi guarda confuso. «Non capisci? Non l’abbiamo mai visto perché non ha mai agito di prima persona», spiego, ma ancora non capisce.
«Pensa ai ragazzini che picchiavi». Lui abbassa lo sguardo e lo vedo arricciare il labbro per un secondo. Forse questa situazione gli ha fatto bene, in un certo senso. Gli ha fatto capire i suoi errori, ora non potrà fare altro che diventare una persona migliore. «Avresti mai potuto ferirli se avessi visto solamente la loro ombra?»
«Certo che no, è ovvio», sbotta quasi ringhiando. Ho toccato un argomento delicato.
«Bene, il nemico ha fatto la stessa cosa. Fa agire la sua ombra, in modo da non poter essere danneggiato». E in quel momento succede. Lo perdo. Le pupille di Alex diventano trasparenti e il suo volto più scuro e minaccioso.

Sciocca ragazzina, pensi di aver risolto il problema?
Tu non sai come sconfiggermi,
sono intoccabile,
sono indistruttibile,
non potrai mai sconfiggermi.

È il demone a parlare, ne sono certa. Quella voce non può appartenere a nessun altro. Sta usando il corpo di Alex per riuscire a comunicare con me.
Però il suo tono questa volta è più insicuro, fievole e tremolante.
«Questo è ciò che pensi tu. Tutti abbiamo dei punti deboli», rispondo, sostenendo il suo sguardo, nonostante il mio cuore tremi dalla paura.

Io no. Io non...


All’improvviso urla. Non è un urlo umano, è l’urlo di un’anima dannata. È un suono stridulo, atroce da ascoltare, che gela il sangue nelle vene. Sono costretta a tapparmi le orecchie per non impazzire. Sono terrorizzata, mi tremano le mani dall’ansia.
Poi scompare.
Alex prende una boccata d’aria e porta una mano al collo e l’altra la posa sul petto. Inizia a tossire e arranca mentre cerca di alzarsi in piedi, come per liberarsi da qualcosa di fastidioso.
Vedo i suoi occhi lacrimare. Corruga le sopracciglia e digrigna i denti, cercando di scacciare via il dolore. Poi urla e cade in ginocchio sul pavimento.
Corro immediatamente da lui, posando una mano sulla sua spalla e una sul suo cuore. Ha il battito accelerato.
Cosa gli sta succedendo?
Tira un respiro di sollievo, così lo faccio distendere a terra, sorreggendo la sua testa sulle mie ginocchia.
Dopo qualche minuto di pura agonia, in cui a stento riesce a capire chi è, torna in sé. È completamente sudato.

«Rimandiamo a domani, oggi hai bisogno di riposo». Alex aveva detto che questo posto era sicuro, allora perché l’ombra è riuscita a raggiungerlo? Lui scuote la testa.
«Non possiamo rimandare. Dobbiamo approfittarne, adesso». Non riesco a capire. Sta delirando?
«Approfittare di cosa, Alex?»
«L’ombra. È debole», sussurra a fatica. Gli accarezzo la fronte, dicendogli di rimanere in silenzio e dormire, ma lui non mi dà retta.
«No! L’ombra... l’ho letta nel pensiero... riesco a capire cosa prova».
Sospiro e mi rendo conto solamente ora di aver trattenuto il fiato troppo a lungo.
Quindi c’è un lato positivo in tutto questo. Ora possiamo per certo conoscere i punti deboli del nemico, e possiamo attaccarlo mentre è ancora debole. La situazione si è rovesciata a nostro favore.
«Come ha fatto ad indebolirsi?», domando. Alex lo sa sicuramente.
«Non l’ho capito bene. L’ho sentita impossessarsi del mio corpo, e mentre parlava sentivo la sua anima urlare dal dolore, fino a quando mi ha abbandonato, ma la scia della sua sofferenza ha continuato a lacerarmi dentro», spiega arricciando un labbro con aria disgustata. Sembra strano parlare di dolore visto da questo punto di vista, ma so che un’anima strappata può fare ben più male di una ferita corporea.

«Devi tornare in contatto con l’ombra. Devi capire cos’è stato ad indebolirla», spiego posando una mano sulla sua. I suoi occhi si fissano nei miei e diventano più scuri: riesco a leggervi il panico, il terrore puro.
Tornare in contatto con il demone significa perdere se stessi, lasciare che un estraneo si impossessi del tuo corpo, rischiare di non ritornare mai più. E nonostante noi non ne abbiamo mai parlato, sappiamo entrambi quanto sia pericoloso per lui questa relazione: l’ombra potrebbe impossessarsi della sua anima e farlo impazzire come tutti gli altri. Lo sta preservando solamente per il suo divertimento.
«Io starò qui con te, non ti lascerò solo».
«Me lo prometti?», domanda. In effetti per me è rischioso: Alex potrebbe perdere il controllo e lasciarsi impossessare dall’ombra, potrei rischiare la pelle rimanendo qua con lui. Ma come potrei abbandonarlo a se stesso in un momento così difficile?
«Promesso», sussurro, cercando di infondergli tutta la fiducia che ho io in lui.

Mi guarda per un attimo, ancora fortemente indeciso. Mi stringe la mano e chiude gli occhi. È questione di pochi istanti. Ecco, ora è andato.
La sua stretta inizia a tremare e farsi più debole, così lo afferro, come per poterlo tenere assieme a me ancora per un po’. Ma so che ormai là dentro non c’è più Alex, o almeno, non è lui a comandare il suo corpo.
All’improvviso la sua mano stringe il mio polso, cercando di tagliare la mia pelle con le unghie, ma non è un gesto davvero minaccioso: senza alcuno sforzo riesco a liberarmi dalla sua presa. Alex aveva ragione, è davvero debole.
Spero solamente che il dolore del demone non finisca con l’indebolire anche Alex, anche se penso proprio che questa sia una delle conseguenze del suo “potere”.

Il suo viaggio è breve ma intenso. Non appena si risveglia corre in bagno a vomitare, così lo seguo rapidamente, ma quando lo raggiungo mi scaccia tra un conato e l’altro. Decido di attenderlo in camera.
Quando torna il suo viso è pallido e sudato, le sue occhiaie sono profonde. Mi sento in colpa: come ho potuto chiedergli una cosa del genere? Di certo l’avrei fatto io al posto suo, ma non sono io ad avere un contatto con l’ombra. È lui ad avere la ferita sul collo. Mi dispiace che stia così male, ma era essenziale per riuscire a ideare un piano efficace contro l’ombra. Ancora mi sembra strano pensare di combattere contro il demone stesso.
Gli porto un bicchiere d’acqua e lo faccio stendere a letto, poi mi siedo accanto a lui.
Aspetto qualche minuto perché si possa riprendere.
Certo, la debolezza del nemico è un vantaggio per me, ma a che prezzo? Rischio di perdere il mio alleato ogni volta che si mette in contatto col nemico, e ho la sensazione che ciò accadrà sempre più spesso.
E se uccidendo il demone morisse anche Alex? Magari ora le loro anime sono intrecciate. Potremmo scoprirlo con un altro viaggio da parte di Alex, ma non me la sento di chiedergli un altro favore. Dopotutto, ora come ora, è a malapena in grado di parlare.

«L’ombra agisce solamente nel caos», sussurra. La sua voce è roca e debole.
«Cosa? No, è lei a creare disordine...», lui mi interrompe con voce flebile.
«È un circolo vizioso: basta una piccola scintilla di confusione perché l’ombra riesca a recuperare energie, in modo da alimentare il caos. Per questo si è indebolita: ci ha raggiunti qua, un luogo tranquillo, dove noi ci sentiamo in pace. Tutta questa armonia l’ha quasi uccisa. Ha usato tutte le forze che aveva per lasciarti un messaggio, prima di andarsene stremata»
«Aspetta: l’ombra non può ferirsi...», ragiono ad alta voce. È proprio per questo che il demone si sta servendo di lei.
«Non fisicamente. Il demone ha mandato la sua ombra, ovvero la sua anima, perché non aveva considerato il dolore spirituale». Rimango di nuovo senza parole.
«Vuoi dire che l’ombra del demone corrisponde alla sua anima?». Alex annuisce.
Sono confusa e più convinta delle mie ipotesi nello stesso momento.

«Ok, è arrivato il momento di delineare il nostro piano. Il demone non ci può ascoltare, vero?», domando. Se è davvero così debole, avrà altro a cui pensare. Alex scuote la testa ad occhi chiusi.
Immagino che in questo momento voglia solamente riposare, e provo così tanta pena per lui... ma non posso permettermi di sprecare altro tempo.
«Immagino che ora che la sua anima è debole, il demone l’abbia richiamata a sé». Alex tossisce e lo prendo come un “sì”.
«Allora tu potrai capire dove si trova». Finalmente apre gli occhi. Sono lucidi e le pupille dilatate dalla paura. Sento il mio cuore perdere un battito. Chissà cosa vede quando entra nell’ombra. Deve vivere qualcosa molto simile all’inferno.
Scuote la testa, facendo i capricci come un bambino che non vuole bere la sua medicina.
«Lo so, hai paura, è normale, ma devi farlo. Dobbiamo salvare questa città». Alex smette di ascoltarmi: si mette a braccia conserte e volta la testa da un’altra parte, con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra. Riesco a vedere i suoi occhi inumidirsi, mentre lui cerca di ricacciare indietro le lacrime.
È talmente stanco che non ha più alcun autocontrollo, fa semplicemente ciò che gli passa per la testa. È un essere umano che usa solamente il cuore, senza considerare la mente.  Forse l’unico modo per riuscirlo a convincere è farlo sentire in colpa, anche se mi sento tremendamente meschina ad usare questi trucchetti.
«Alex, non essere così egoista, ci sono delle persone che stanno morendo là fuori». Ovviamente non si trattiene dal dirmi tutto ciò che gli passa per la mente. Non ha più alcun freno, non ha più difese.

«Pensi che non lo sappia? I miei genitori sono crollati davanti ai miei occhi! Non sono egoista, sono solamente stanco! Provo così tante emozioni, voglio fare qualcosa, ma non riesco ad arrivare ad una conclusione, ogni nostro sforzo sembra inutile. E adesso riesco a sentire l’ombra, e mi sembra di fondermi con lei. Sento la sua cattiveria dentro di me. Hai la minima idea di cosa voglia dire questo?
Ho paura di morire! O di impazzire, o ancora peggio, di uccidere qualcuno! Magari te, perché no. Sei quella che mi sta più vicina ora e mi mandi in confusione. Ti ho sempre odiata e adesso cosa sento? Mi affeziono a te ogni giorno di più e tutto questo caos mi terrorizza! Sei l’ultima cosa che mi è rimasta», sussurra sedendosi e nascondendo il viso tra le mani. Le sue spalle stanno tremando.
Io non so cosa dire. Vorrei riuscire a consolarlo, vorrei dirgli che provo le sue stesse cose, ma la mia bocca non vuole aprirsi.
«Voglio salvare quella gente, ma sono tanto stanco», continua, con la voce rotta dal pianto.

Non sono mai stata brava a consolare le persone, anzi, la sofferenza altrui mi ha sempre fatta sentire a disagio. Mi devo quasi sforzare per protendermi verso di lui e abbracciarlo. Lui invece non esita un attimo: mi afferra e mi stringe a lui, lasciandosi andare al pianto.
«Andrà tutto bene, lo so, e sai perché? Perché ci siamo quasi, abbiamo la situazione in pugno. Siamo forti, lo siamo sempre stati, combatteremo e ne usciremo vincitori. Fidati di me». La stretta di Alex si fa sempre più forte, e mentre acquista energie smette di piangere. Si sta riprendendo a una velocità sorprendente.
Non impiego molto tempo a capire: è stato il dolore dell’ombra a indebolirlo. L’ombra soffre per la pace e la tranquillità, ed è stato proprio l’affetto che provo nei suoi confronti a far rifiorire la sua anima, l’anima pura di Alex che non è mai stata intaccata dalla malvagità del demone.

«Ho un piano», dice all’improvviso, staccandosi da me. Il suo sguardo è perso nel nulla.
«Dobbiamo intrappolare l’ombra finché è ancora debole, lontana dal corpo del demone sarà ancora più facile distruggerla. Riuniremo il maggior numero di pazzi possibili nello stesso luogo, in modo da scatenare un’energia invitante per il demone, che vorrà farsi un bel banchetto di caos. Quando arriverà noi saremo lì: prima che lui riesca a riprendersi, trascineremo via la sua anima in un luogo isolato e tranquillo: la intrappoleremo e sarà lì che esploderà, incapace di fuggire o di ripararsi dalla pace». È sorprendente. Sono così esaltata e felice che non riesco a fare a meno di scoppiare a ridere. Alex mi guarda perplesso e solleva un sopracciglio.

«Tornerà tutto come prima», esclamo. E ora, per la prima volta, ne sono certa.

Angolo Autrice_

Eccomi, finalmente, con un nuovo capitolo :D
Lo so, è più lungo del solito, ma così dal prossimo iniziano i capitoli finali, che saranno più rapidi e con più azione ;) 
Non so voi, ma io sono già in lutto per la fine di questa storia ç___ç Ma dopotutto non può andare avanti per sempre, no? ;)
Inoltre ho già in mente una ff su Hunger Games da scrivere, quindi prima o poi sarà il suo turno :D
As always ringrazio tutte le personcine magiche che seguono questa storia, I love you *-*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, adesso vado che mi son svegliata presto e tra poco mi addormento sul pc :D 
Shiao belli :D


SPOILER

Nel prossimo capitolo Kyra e Alex inizieranno ad attuare il loro piano e partiranno dal riunire i pazzi ;) 
Preparatevi a un po' di caos :D 

DriDri_

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Capitolo 15
*** It's coming. ***


Capitolo 15






Non sprechiamo altro tempo: ci vestiamo, prendiamo su le ultime cose (tra cui la mia coperta, il coltello e una borsa con i viveri) e nel giro di pochi minuti siamo già in cammino verso il paese.
Alex è ancora debole e arranca sulla strada, così rallento il passo e metto il suo braccio attorno alle mie spalle per aiutarlo a camminare.
«Come faremo a riunire i pazzi?», domando. Chissà se ha già pensato anche a questo.
«Non ne ho idea. Proponi qualcosa?». Rimango in silenzio a pensare.
Dopo il mio breve incontro con Anne sono fermamente convinta che i pazzi possano capirci. Magari riusciremo a convincerli senza troppa fatica.
«Credo che riescano a capire ciò che gli diciamo, se parliamo con calma. Forse riusciremo a convincerli a seguirci». Alex annuisce, ma non mi risponde.
«Se non dovesse funzionare dovremo attrarli verso di noi in un altro modo». Potresti chiedere all’ombra cosa potrebbe attirarli, penso, ma non lo dico ad alta voce. Alex è già abbastanza debole e provato dall’ultimo viaggio, è troppo presto per fargliene fare un altro.

Impieghiamo più tempo del previsto per raggiungere i confini del paese a causa del continuo zoppicare di Alex. Quando arriviamo a destinazione lo faccio sedere un attimo: nonostante la strada fosse in discesa ha già il fiatone.
Vorrei vedere dei miglioramenti in lui, così sarei sicura che non si stia indebolendo assieme al demone. Questa è la mia più grande preoccupazione per ora.
«Sei pronto?», domando dopo qualche minuto di attesa. Non voglio perdere tempo e se lui non si riprende voglio andare da sola. Rimanere qua ferma mi sta facendo innervosire, sento l’adrenalina che scorre nel mio corpo.
«Sì, andiamo», risponde, alzandosi a fatica.
Entrambi ci dirigiamo verso la piazza: là incontreremo il maggior numero di abitanti.

La situazione è più critica di quanto ci aspettassimo.
Quasi tutto ciò che conoscevo è stato distrutto: i negozi, le case, i monumenti... tutto. Niente è come me lo ricordavo.
C’è un terribile odore nauseante di bruciato e di escrementi. Molti corpi sono distesi senza vita ai bordi o al centro delle strade.
Ogni tanto il silenzio è interrotto da un urlo.
I sopravvissuti si trascinano stanchi e affaticati: devono aver quasi finito le scorte di cibo presenti in città. Sembrano solamente le ombre delle persone che erano prima. La violenza sembra essersi esaurita. Ora vagano senza una meta, confusi e preoccupati. Non hanno la minima idea di cosa gli sta succedendo.
Sono indietreggiata senza nemmeno rendermene conto. Non ho il coraggio di affrontare tutto questo, la morte, la pazzia, la distruzione...
Non mi sono mai sentita così male. Come potevo avere qualche speranza? Come ho potuto pensare che tutto sarebbe tornato come prima?

«È troppo tardi», sussurra Alex. Lo guardo e ha gli occhi sgranati, rivolti verso la piazza. Non l’ho mai visto così sconvolto.
Ci guardiamo e riusciamo a dirci tutto quello che non abbiamo il coraggio di dire ad alta voce.

È troppo tardi, abbiamo perso troppo tempo. Niente tornerà come prima, la nostra fine è segnata, non abbiamo alcuna speranza di vincere.
Il demone sarà anche debole, ma i danni che ha causato sono irreparabili.

«Dobbiamo provarci comunque». Lo penso davvero, ma il mio tono di voce suonava molto meno deciso di quanto avrei voluto.
Non perdiamo altro tempo: ci dividiamo ed è l’istinto a guidarci.
Mi avvicino ad una ragazza che era a scuola con me. Ha dei tagli profondi sulle braccia e altri sul viso. Solo dopo qualche secondo riesco a riconoscerla e ricordarmi il suo nome. Fino a pochi giorni fa era una delle ragazze più belle del paese, ora sembra quasi uno spettro, così pallida e magra, con i capelli scompigliati e delle profonde occhiaie.
«Ti posso salvare, ti posso aiutare», dico ad alta voce, gesticolando per riuscire a farmi capire.
I suoi grandi occhi neri si fissano nei miei. Annuisce disperata, aggrappandosi a me, prima di scoppiare in lacrime. Non so per quante volte riuscirò a ripetere questo processo con gli altri, sento il mio cuore spezzarsi sempre di più.
La prendo per mano e la conduco sotto quella che una volta era la statua centrale della piazza.
Nel giro di un’ora sono riuscita a radunare un piccolo gruppo di cinque persone. Spesso dopo essersi riunite scappavano, dimenticandosi del perché erano lì. Alcune non le ho più viste, sono sparite nel nulla.
I miei sforzi non rendono quanto dovrebbero. Non tutti capiscono immediatamente ciò che dico, altri mi seguono in fiducia, senza sapere il perché. Sono rari i pazzi che riescono davvero a capire ciò che sto dicendo loro.

Raggiungo Alex per confrontarmi con lui: anche il suo gruppo è a dir poco misero.
«Non ce la faremo mai in tempo». Sono esausta, mentre Alex sembra aver acquistato la forza necessaria per portare avanti la nostra missione.
Senza rispondermi si dirige verso le scale del municipio, le sale e si posiziona in modo da essere visto e sentito da tutti.
Non ho idea di cosa abbia intenzione di fare, ma mi fido di lui. Sono sicura che abbia trovato il modo di risolvere i nostri problemi, lo vedo dal suo viso improvvisamente illuminato.
Spalanca le braccia e chiude gli occhi. Prende un respiro profondo e poi parla. O meglio, urla.
Tutti si tappano le orecchie, terrorizzati, voltandosi nella sua direzione. È l’urlo dell’ombra, non è la voce di Alex.
Sono confusa. Si è messo in contatto con lei? Che cos’ha intenzione di fare? Come mai non si indebolisce?

Poi sento una voce stridula e potente rimbombare nella mia testa. Alex muove appena le labbra, come se stesse sussurrando.
Mi tappo le orecchie, infastidita da quel suono.
Non riesco a capire cosa sta dicendo: mi concentro, ma sembrano solamente parole senza senso, sembra un linguaggio inventato, così fastidioso che sembra pungermi il cervello ad ogni parola.
All’improvviso, finisce tutto.
Mi guardo intorno: nessuno sembra essere infastidito: tutti fissano affascinati Alex, pendono dalle sue labbra.
Così, quando Alex scende dal suo palco, tutti lo seguono senza esitare. Dietro di lui si crea una fila ordinata di migliaia di persone, che spuntano anche dalle vie più nascoste: l’hanno sentito davvero tutti. Lo seguono come cagnolini fedeli, è una cosa... straordinaria. 
Inizio a correre per raggiungerlo, osservando affascinata la coda di pazzi dietro di noi. Sembrano essere stati domati.

«Dove li portiamo?», domando, ma prima che Alex possa rispondermi capisco che è diretto verso la scuola.
Si ferma davanti al portone rotto e li lascia entrare, osservandoli uno a uno.
I matti entrano guardando davanti a loro, un po’ stupiti. Sono tutti improvvisamente calmi, il che ci ha permesso di condurli dove volevamo, ma ora come faremo ad attrarre l’ombra se la pazzia non produce caos, ma pace?
«Come hai fatto?», domando a quel punto.
«Mi sono messo in contatto con l’ombra, ma in modo diverso questa volta. Non so spiegarlo, semplicemente mi sono fuso con lei: ora è debole, ha lasciato che fossi io a giostrare il tutto. Così le ho fatto dire ciò che volevo, solo il demone riesce a comunicare direttamente con la loro mente contorta». Sorride soddisfatto, gonfiando il petto d’orgoglio. Non riesco a fare a meno di sorridergli di rimando, se avesse un mantello svolazzante alle spalle lo scambierei per superman.
«E allora perché io ho sentito una voce strana e fastidiosa?».
«Ho camuffato il suo linguaggio solo per te. La voce che l’ombra utilizza con i matti è proprio quella che conduce alla pazzia. Avresti rischiato di impazzire». Mi ha salvato la vita, di nuovo.
A quanto pare è un ragazzo pieno di sorprese e pregi nascosti, chi se lo sarebbe mai aspettato?

«Abbiamo solo un piccolo problema: ora sono tutti tranquilli, l’ombra non verrà mai attratta da questa atmosfera pacifica». Alex non ci aveva pensato. Ma dopotutto, come li ha tranquillizzati, riuscirà anche ad agitarli nuovamente.
Infatti entra a scuola e lo aiuto a spostare una cattedra al centro del corridoio, in modo che possa salirvi sopra.
Non appena spalanca le braccia e chiude gli occhi scatto: lo afferro per il polso e lo trascino per terra, prima che possa fare qualcosa. Una vampata di calore mi travolge a causa dell'ansia. 
«Aspetta!», esclamo a voce anche troppo alta. Tutti si voltano a guardarmi spaventati, ma nessuno osa avvicinarsi. «Non possiamo agitarli», continuo, ma come immaginavo Alex continua a fissarmi perplesso.
«Alcuni di loro sono violenti, potrebbero finire con l’uccidersi a vicenda. Non possiamo sacrificarli in questo modo. Inoltre rischieremmo noi stessi, rimanendo chiusi qua dentro». Alex annuisce pensieroso, considerano le nostre possibilità in silenzio. Sono così stanca e agitata che non riesco nemmeno a pensare lucidamente. I miei pensieri continuano ad aggrovigliarsi a causa dell'ansia, ed è una cosa che odio. In momenti come questi è essenziale mantenere la pazienza e la razionalità, e io non ci sto riuscendo. Non potrei mai perdonarmelo se dovessi sbagliare qualcosa.

«Allora cosa proponi di fare?», domanda. A questo non avevo ancora pensato. Mi guardo in giro, sperando che qualcosa mi illumini e mi aiuti a trovare una soluzione, cercando di concentrarmi.
«Ci sono!», sussurro, avvicinandomi a lui. Come se qualcuno ci potesse capire. «Li faremo entrare nelle aule, suddividendoli a seconda delle età e del sesso, poi li chiuderemo a chiave». Ok, non ho completamente risolto il problema della violenza, ma le probabilità che i pazzi si uccidano tra di loro sono più basse.
Dopotutto cos’altro possiamo fare in così poco tempo?
«Ok, mi metto al lavoro». Detto ciò sale nuovamente sulla cattedra e io mi preparo.
Parte l’urlo: tutti si tappano le orecchie, compresa me, poi si mettono all’ascolto: eseguono gli ordini di Alex senza nemmeno pensare, sembra quasi che sia lui a controllare i loro muscoli.
La sensazione fastidiosa che provo alla testa peggiora con l’avanzare del tempo: mi ritrovo distesa a terra, mentre gemo dal dolore cercando di non distrarre Alex dal suo lavoro.
Sento una presenza estranea nella mia testa che si fa spazio, mentre qualcosa cerca di respingerla con tutte le sue forze, spingendola ai limiti del mio cranio. Ho quasi paura possa esplodere da un momento all’altro, la pressione è troppa. C'è davvero qualcosa nel mio cervello, o il dolore è solamente frutto della mia immaginazione? A me sembra troppo forte per essere falso.
Nel frattempo i pazzi si dirigono ordinatamente verso le rispettive aule, poi Alex le chiude tutte a chiave. Certo, stanno un po’ stretti, ma questo era il posto più grande nelle vicinanze.

Finalmente Alex pone fine alle mie sofferenze.
Mi viene da vomitare e mi gira la testa. Prendo grandi boccate d’aria, mentre lui mi aiuta ad alzarmi da terra, afferrandomi saldamente.
Lui deve aver provato qualcosa di simile questa mattina, quando l’ombra si è messa in contatto con lui. Come ha fatto a sopportarlo? Dove ha trovato il coraggio di intraprendere un nuovo viaggio nell'ombra sapendo già cosa lo aspettava? Io non ci sarei mai riuscita. 
Mi sento morire. Voglio solamente che tutto finisca, e in fretta. Non so quanto ancora riuscirò a resistere, ma dopotutto cosa posso fare per evitare il dolore? Niente. 
Ormai le fitte sono finite, eppure non mi sento meglio. Sembra quasi che tutto questo non possa avere una fine. 
Mi tremano le mani e le spalle, e non solo per il dolore. Ho davvero paura.

«Tutto bene?», domanda preoccupato, posando una mano dietro la mia schiena. Dalla sua espressione capisco che si sente in colpa, nonostante abbia solamente fatto ciò che andava fatto.
«Kyra, scusami, io devo...», ora capisco. Deve agitarli, e per fare questo deve nuovamente mettersi in contatto con loro.
Ho paura, sono stanca, non so se riuscirò a sopportarlo di nuovo. Nonostante ciò annuisco, non ho le forze per rispondere e già questo movimento ha richiesto uno sforzo notevole. Spero solamente che impieghi meno tempo del contatto precedente. Provo ad alzarmi, per farmi forza. Chissà, magari muovendomi mi sentirò meglio.
Mi afferro al braccio di Alex e mi sollevo a fatica. Le gambe non riescono a sostenere il mio peso.
Non appena comincia, cado a terra. Ho meno energie di prima e non mi trattengo dal lamentarmi ad alta voce. Per fortuna il tutto dura meno di dieci secondi.
Alex mi raggiunge subito, ma questa volta non mi reggo più in piedi, nemmeno con il suo aiuto. Mi ha appena dato il colpo di grazia. Non avevamo considerato questo rischio, quando avevamo delineato il piano. Come farò a fronteggiare l’ombra in questo stato?

«Stai bene?», domanda, sorreggendomi cingendo i miei fianchi e facendomi posare la testa sulle sue gambe con delicatezza.
Io scuoto la testa. Non riesco nemmeno a parlare. Chissà se impazzire è stato così doloroso per gli altri.
Lo sguardo di Alex si trasforma dall’essere preoccupato al terrorizzato: non devo avere un bell'aspetto. Si guarda intorno, controllando che nessuno ci raggiunga.
Posa una mano sul mio petto e subito dopo ci posa l'orecchio. Quando solleva lo sguardo mi fissa muovendo le mani freneticamente. Vuole fare qualcosa, ma non sa cosa. Lentamente capisco: il mio battito sta rallentando, e questa volta Alex non sa come salvarmi.
Io quasi non riesco davvero a percepire ciò che mi accade attorno, ma mi concentro sui rumori, anche per distrarmi. 
Sento le grida dei pazzi, alcuni banchi vengono scaraventati nelle diverse aule, qualche finestra viene distrutta. Già, a questo non avevamo pensato. Nonostante ciò non scapperanno tutti, e sono così tanti che possiamo fare a meno di qualche piccolo gruppetto.

Mi sembra di tornare ai primi giorni di caos, quando nella piazza rimbombavano le grida e i lamenti dei pazzi.
In pochi istanti il volume della confusione aumenta, l’atmosfera si fa più tetra, sento freddo e la luce è grigia e buia. Non è qualcosa che puoi vedere, che puoi provare. È qualcosa che senti dentro, lo senti scorrere nelle vene, pulsare assieme al cuore. È una certezza.
Sento questo presentimento, questa sensazione inconfutabile, trasformarsi in panico. Il mio battito, che sembrava quasi essersi fermato, accelera all'improvviso. Il mio cuore sembra quasi uscire da petto. 
Guardo Alex, e ha capito. Abbiamo capito entrambi.
Non ci resta molto tempo. Sta arrivando.


Angolo Autrice_ 

Ciao belli :D 
Come state? 
spero siate contenti che ho aggiornato presto (SIANO BENEDETTE LE VACANZE :'D )
Sappiate che aggiornerò più spesso ora, perché i prossimi due capitoli sono già pronti :') 

Ancora circa 4 capitoli e sarà tutto finito ç__ç Si sente quanto sono disperata? D: 

Anyway, lo so, il capitolo finisce tipo BOOM! e mi odierete per questo, ma dovevo :D (no ok, non dovevo, ma mi diverto. Che ci volete fare, sono una stronzetta). 
Detto questo vi lascio a qualche spoiler, e vi saluto!

Grazie alle personcine magiche che seguono o recensiscono la storia, YOU ARE LOVELY :D *love is in the air* Ok, me ne vado :*



SPOILER 

Nel prossimo capitolo l'ombra passerà all'azione, e il rapporto tra Alex e Kyra sarà letteralmente di amore/odio :3 

DriDri_

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Capitolo 16
*** Illusion. ***


Capitolo 16






«Alzati! Corri!», urla Alex, costringendomi a scappare, nonostante io non abbia abbastanza forze.
Corro inciampandomi sui miei stessi piedi, andando avanti grazie ad una forza misteriosa. Non ho fiato nei polmoni e mi viene da vomitare dalla fatica.
«Dobbiamo affrontarla!», esclamo, cercando di fermare il mio alleato. Dopotutto avevamo progettato la trappola per questo no? Dovevamo imprigionarla e distruggerla. Invece eccoci a scappare, chissà dove.
Poi ricordo: dobbiamo trascinarla verso di noi, portarla in un luogo tranquillo, costringerla a rimanervi e distruggerla. Devo essere davvero stanca per dimenticarmi del nostro piano.
Mi volto per guardare alle mie spalle: una macchia nera e minacciosa si avvicina sempre di più. I contorni dell’ombra tremolano e ogni tanto scompare: è davvero in fin di vita ormai. Siamo ugualmente deboli, ma io, al contrario di lei, non sono sola.
Possiamo farcela. È arrivata la fine per lei. Vinceremo.

Tutto questo mi dona la forza per accelerare il passo e correre come non ho mai corso in vita mia. Alex mi sorride, sorpreso. Mi prende per mano e la stringe. Ce la possiamo fare. Tra poco sarà tutto finito.
Conduciamo l’ombra fino ai campi esterni al paese: lì regna il silenzio, la pace, la tranquillità.
Non appena arriviamo, ci voltiamo per affrontarla. È più alta e possente di noi, ma non ci fa più paura: siamo noi a giostrare il gioco ora.
L’ombra è determinata ad ucciderci, è la sua ultima chance. Sta per morire, gioca il tutto per tutto: o moriamo noi, o muore lei. E la fortuna è dalla nostra parte.

Sono stanca.
Parlo con mio padre, ma lui non mi ascolta. All’improvviso sorride amorevolmente.

Mi riprendo dalla visione e sorrido. Non ha più i poteri di prima, le visioni che provoca non fanno affatto paura.
«È tutto ciò che sei in grado di fare?», domando ridendo beffarda. I contorni dell’ombra tremano.
Non mi sono mai sentita così forte in vita mia.
Nonostante ciò la situazione è stabile: l’ombra si indebolisce a causa della tranquillità, ma non è abbastanza per farla morire, mentre la nostra forza non viene intaccata.
Nessuno dei due riuscirà a vincere in questo modo.

«Cos’altro possiamo fare?», domando ad Alex, mentre l’ombra rimane immobile davanti a noi.
Dei strani fasci scuri cadono ai nostri piedi. Ci sta attaccando in un modo del tutto nuovo. Uno dei fasci mi colpisce al braccio, e come un tentacolo mi stringe il più forte possibile.
Se l’ombra fosse al massimo della sua potenza mi avrebbe già rotto le ossa, invece mi dà a malapena fastidio.
Ben presto si arrende, ritirando le sue braccia.
«Non puoi vincere!», urlo esaltata, ridendo di lei. I contorni che fino a poco fa erano sbiaditi smettono di tremare e si scuriscono.
Ho i brividi. Che cosa sta succedendo? Perché riacquista forza?
«Pensi di spaventarmi?», domando col sorriso, ma non sono più sicura come prima. L’ombra inizia a raddrizzarsi.
Sta riacquistando forza.

«Kyra, smettila!», mi ordina Alex, afferrandomi per il polso. Che cosa ho fatto? «Ti stai agitando, vuoi la guerra, è questo che le dona forza!». È  vero, come ho fatto a non pensarci? Il mio atteggiamento agguerrito la sta rinvigorendo. Sto sprecando tutti i nostri sforzi.
«Cosa possiamo fare ora?», domando. Non appena mi tranquillizzo l’ombra torna ad ingobbirsi e sbiadirsi.
Osservandola non posso fare a meno di godere interiormente. Nonostante io non abbia parlato, l’ombra si rialza in un batter d’occhio.

Lancia uno dei suoi tentacoli e mi afferra in vita, sollevandomi da terra. Mi manca il fiato, la vista si annebbia, le urla di Alex si fanno sempre più lontane. La sua voce è ovattata. Ho paura. Sarà questa la mia fine? Verrò spezzata in due come un biscotto?
Con le mani cerco di allontanarla da me, ma non appena la tocco sento le dita scottare, così le ritraggo. Sono nel panico, nella mia testa c’è un caos tale che non riesco a pensare ad altro che alla mia paura e alla mia imminente fine.
«Pensieri felici!», riesco a sentire solo questo. È difficile, ma ci provo comunque. Devo riuscirci o morirò, non ho molte scelte.
Devo farlo prima che le visioni dell’ombra abbiano la meglio.
Lascio che la mia mente si sfoghi: mio padre che mi sorride durante il mio saggio di danza, che si alza per applaudire. Mia madre che mi spazzola i capelli cantando assieme a  me la nostra canzone preferita. Eveline che mi chiede per la prima volta di giocare con lei, dicendomi che sono la bambina più simpatica della scuola. Alex che mi salva la vita.

La stretta si fa sempre più debole e all’improvviso cado a terra. Ha funzionato. Ciononostante sono senza fiato. Questo è stato il colpo di grazia, non riesco a risollevarmi. Mi chiedo cosa mi dà la forza di continuare a combattere. Forse la speranza.
«Tutto ok?», domanda Alex aiutandomi ad alzarmi. Osservo l’ombra e inizia a tremare ancora. Non possiamo continuare così per sempre.
«Alex, qualcuno deve vincere ora», sussurro massaggiandomi i fianchi. Scommetto che mi rimarranno dei bei segni sulla pelle.
Torno a guardare l’ombra, ma controllo la mia rabbia. Pensa, Kyra, pensa. Dobbiamo sconfiggerla, ora, prima che torni al suo corpo. A quel punto avremo sprecato tutti i nostri sforzi. Già, ma cosa possiamo fare? Fisicamente è impossibile distruggere un’ombra.

«Io avrei una teoria, ma non so se...», sussurra Alex controllando che l’ombra non ci attacchi alle spalle.
«Alex, non è il momento di ipotizzare strane teorie, agisci e basta», rispondo esasperata, osservandolo e attendendo di vedere cos’ha intenzione di fare.
Accade prima che io riesca a rendermene conto. Un attimo prima mi stava guardando dubbioso, un attimo dopo le sue labbra sono sulle mie. Sento le guance avvampare, questa era l’ultima cosa che mi aspettavo in questo momento.
Appoggia le mani sui miei fianchi e quando mi sente gemere dal dolore le sposta sulle mie guance, tirandomi verso di sé, mentre io poso le mani sul suo petto.
È tutto così strano. Non mi sento arrabbiata, o spaventata, o irritata. Niente di tutto questo. Mi sento felice, potrei conquistare il mondo con l’energia che sento adesso.
Fino a pochi giorni fa lo odiavo con tutta me stessa, poi ho iniziato a provare degli strani sentimenti nei suoi confronti, e ora ho capito: mi stavo innamorando di lui. Non so quando sia successo precisamente, ma ora ne sono certa. È per questo che l’ho cercato l’altra sera, avevo paura che gli accadesse qualcosa.
Quando ci stacchiamo sorrido sulle sue labbra e non vedo l’ora di assaporarle di nuovo, ma lui mi allontana da sé per guardarmi in viso. Probabilmente pensa che io possa essermi arrabbiata.
Ci guardiamo e ora sembriamo così diversi. Siamo finalmente felici, assieme. Scoppiamo a ridere e dimentichiamo tutto ciò che ci circonda.

Quando ci voltiamo vediamo che l’ombra non c’è più.
Non riesco a crederci.
Il sole sulle nostre teste torna a splendere come non faceva da giorni. Sento le lacrime salirmi agli occhi e mi lascio andare al pianto.
Ce l’abbiamo fatta, è tutto finito, abbiamo vinto. Potrò tornare a vivere la mia vita, tornerà tutto come prima. Abbiamo vinto.
 Mi giro verso Alex e gli salto in braccio, mentre lui mi stringe forte e mi fa girare. Ridiamo spensierati, affacciandoci alla nostra nuova, anche se vecchia, vita.
Non servono parole, sappiamo già entrambi ciò che vogliamo dirci, uno sguardo ci basta.
«Perché piangi?», domanda posandomi di nuovo a terra e stringendomi tra le sue braccia.
«Perché sono felice!», esclamo, mentre lui alza lo sguardo esasperato.
«Donne!», sussurra, poi scoppiamo entrambi a ridere, mentre mi asciugo queste stupidissime lacrime insensate.
Non riesco nemmeno a ordinare tutte le sensazioni che provo e che fanno scoppiare il mio cuore. Sollievo, felicità, soddisfazione. No, non è solamente questo. È qualcosa che non posso descrivere, qualcosa di così forte che vorrei urlarlo al mondo intero.

All’improvviso qualcosa cambia.

Alex non sta più ridendo. Lo guardo e vedo che ha le pupille trasparenti. Il cielo torna a scurirsi.
Sento un tuffo al cuore. Le mani mi tremano, mentre le poso sul braccio di Alex.
No. Non può essere. Era tutto finito, noi avevamo vinto! Non può essere ancora viva! Dev’essere qualcos’altro, non può...
Evidentemente avevamo festeggiato troppo presto.

Mentre voi sciocchi umani vi dedicavate all’amore,
io ho recuperato le forze grazie al vostro banchetto di pazzi servito su un piatto d’argento.
Pensavate di potermi sconfiggere?
Non vincerete mai!

Sono vivo, più forte che mai, e sto venendo a prendervi.
 

Alex si risveglia, tossendo e arrancando.
Io mi lascio andare e cado sulle ginocchia. Era tutto falso. Non è tutto finito, dovremo ricominciare daccapo. Sono stata così stupida a pensare di poter distruggere l’anima di un demone con un semplice bacio. Come mi è saltato in mente? O meglio, com’è saltato in mente ad Alex?
Ora l’ombra sarà furibonda con me, per l’affronto di prima. Sono stata un’idiota a risponderle in quel modo. Chi mi credevo di essere?
Ho solamente peggiorato le cose.
No, noi non vinceremo. Perderemo, la nostra sorte è già stata scritta.

«No!», urla all’improvviso Alex. Il suo sguardo è perso nel nulla e le sue pupille si muovono rapidamente, come se stesse assistendo ad una scena. Arriccia le labbra e digrigna i denti come per ringhiare, poi stringe una mano a pugno e la sbatte con tutta la sua violenza a terra, abbassando la testa.
«No!», urla di nuovo, la sua voce è spezzata dal pianto. Continua a gridare come non ha mai gridato. Le sue spalle tremano dalla rabbia.
Mi avvicino a lui e poso una mano sulla sua schiena. Lui si alza, afferra il mio polso e mi allontana con cattiveria. Non appena cerco di raggiungerlo mi spinge con una forza tale che cado a terra.
Si avvicina ad un albero e sfoga tutta la sua rabbia con un pugno, poi distende il braccio lungo il fianco. Sanguina.

«Alex, per l’amor del cielo, dimmi cos’hai visto!», esclamo arrabbiata. Abbiamo paura entrambi, ma incavolarsi come sta facendo lui non ci porterà da nessuna parte. Deve collaborare se vuole avere qualche speranza di sopravvivere, anche se perfino io ho perso la fiducia che avevo in noi.
«Avevamo vinto, no?», domanda ironicamente, scoppiando a ridere. Una risata piena di rancore, talmente acida che mi sembra quasi di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
«Per favore, dimmi cos’è successo», chiedo, cercando di essere più dolce e comprensiva. Mi sto sforzando per mantenere vive le nostre poche possibilità di vincere, perché ammettiamolo, in questo momento lui non merita la mia pazienza. È stressato, esasperato ed ha appena avuto una visione, ma tutto questo non lo giustifica. Non può sfogare la sua rabbia su di me. Io mi sento uno schifo quanto lui.
«E tu con quel tuo comportamento arrogante, cosa speravi di ottenere, eh? Oh certo, è stata un’ottima idea, il demone ora è così felice di noi!». Sta delirando e non so come fermarlo. So solamente che il mio autocontrollo, in una situazione simile di stress, non è molto alto. Abbiamo già abbastanza problemi, e lui cosa fa? Ce la mette tutta per litigare con l’unica alleata che ha.
«Hey, sei stato tu che ci hai distratti e convinti di aver vinto! Pensavi davvero che un bacio sarebbe bastato? Ma fammi il piacere!», urlo. Non l’ho mai visto così arrabbiato. Mi raggiunge a falcate e grida a pieni polmoni a un centimetro dalla mia faccia.
«Almeno io ci ho provato! Cosa credi, che l’abbia fatto per divertirmi?». Oh. Questa era l’ultima cosa che volevo sentirmi dire in questo momento.
Mi ha baciata solamente perché pensava sarebbe stato utile, dietro non c’era assolutamente niente. È come se avessi appena ricevuto una pugnalata al cuore. Davanti a me ora c’è di nuovo il vecchio, bastardo Alex.
«Nessuno ti ha mai costretto a baciarmi», sussurro disgustata, spingendolo lontano da me.

«Non. Toccarmi», risponde, avvicinandosi a me con aria minacciosa.
«Cosa c’è, vuoi combattere?», domando con aria di sfida. C’è una parte di me che si chiede cosa cavolo sto combinando, e mi prega disperatamente di fermarmi finché sono in tempo, ma non riesco a darle ascolto.
«Non provocarmi, sfigata». Invece lo faccio eccome. Lo spingo di nuovo e questa volta lui non si trattiene: prende la rincorsa e mi salta addosso. Atterro con una tale violenza che sento i polmoni svuotarsi improvvisamente.

Gli tiro un calcio, in modo da distrarlo, mentre lo afferro per le spalle, in modo da ribaltare la situazione: ora sono io ad essere sopra di lui, a cavalcioni. Gli sferro un pugno in pieno viso senza pensarci due volte. Non ho mai fatto a botte e ho appena scoperto che dare pugni fa tremendamente male alle nocche.
Scuoto la mano e Alex approfitta della mia distrazione. Mi afferra il polso e ricambia il pugno. Anche questo fa male. Sento la fronte pulsare nel punto in cui ho ricevuto il colpo e la testa inizia a girare, ma mi riprendo rapidamente, appena in tempo per vederlo prepararsi a colpirmi. Ha lanciato lo zaino in modo da essere più comodo.
Tira un altro pugno, ma lo schivo, così finisce col colpire il terreno. La ferita che si era causato poco fa alla mano sanguina ancora di più, macchiando il terreno.
Mi alzo e tiro un calcio alle sue spalle per farlo cadere, ma mentre mi sto per allontanare mi fa lo sgambetto, facendomi inciampare. Così mi ritrovo proprio vicino a lui.

Ci afferriamo i polsi a vicenda per evitare che l’altro colpisca, ma lui mi tira una testata. Credo mi abbia appena tagliato un labbro, sento il sapore metallizzato del sangue sulla mia lingua, ma i miei denti devono avergli fatto male. Infatti si solleva portando una mano al capo. Per fortuna non mi ha beccato il naso, o lo avrebbe sicuramente rotto.
È fuori di sé. Mi guarda minaccioso e vedo la cattiveria nei suoi occhi, una cattiveria che non avevo mai visto. Non sembra nemmeno lui. Mi allontano freneticamente, trascinandomi sul terreno. La botta alla testa ha praticamente annullato il mio equilibrio e dimezzato i miei riflessi. Lui, invece, sembra essersi già ripreso: con un calcio mi colpisce la spalla, facendomi atterrare di nuovo.
Provo a muoverla e scopro che non ha riportato danni, fa solamente male. Non riesco a rialzarmi. Non ho più forze, ho combattuto troppo oggi. Riesco solamente a guardare Alex che si avvicina a me. Un calcio mi colpisce all’addome, così mi raggomitolo di fianco. Fa tremendamente male.
Alex sta ridendo di me. Devo essere davvero patetica.

«Gli sfigati a quanto pare fanno tutti la stessa fine», ringhia con un sorriso strano, che non sembra appartenergli. È un sorriso arrogante, ma, allo stesso tempo, triste.
Non posso rimanere qua, distesa a terra, a prenderle fino a quando non avrò più aria o sangue in corpo. Alex non si fermerà, è troppo arrabbiato.
Senza pensarci due volte scappo barcollando e raggiungo lo zaino che si trova a pochi passi da me. Lo apro rapidamente e, prima che lui mi raggiunga estraggo il coltello, puntandolo contro il suo petto. 


Angolo Autrice_ 

Ciao belli :D 
Come state? :) E voi vi chiederete: cosa ridi, dopo un finale del genere? Sì, lo so, è orribile, ma se non vi lascio con un po' di suspance non sono io ;) 
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto :D è vero, si saranno menati di brutto, ma almeno si sono baciati, no? Siete contenti? :3 *Cerca di farsi perdonare tirando fuori scuse*
Ovviamente ringrazio tutte le personcine magiche che leggono o recensiscono la storia :D E vi chiedo di lasciarmi qualche commento anche a questo capitolo (se volete anche su twitter, sono @wdridri )
Detto questo vado prima di farmi salire la malinconia, visto che sarà una delle ultime volte che scriverò l'Angolo Autrice di questa storia ç___ç 
Ciiiiiao C:




SPOILER 

(Sì, ormai che siamo quasi alla fine sono essenziali C: )

Alex e Kyra scoprono come uccidere l'ombra, ma tutto ha un prezzo... ;) 

DriDri_

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Capitolo 17
*** Sacrifice. ***


Capitolo 17






Quando mi raggiunge sono così spaventata che sono pronta a colpirlo. Ho troppa paura per ragionare. Ma quando me lo ritrovo davanti, lo vedo. Non è lui. È la scia della cattiveria dell’ombra a farlo agire in modo così violento.
Lancio via il coltello prima di colpirlo e schivo un colpo.
Alex cade di pancia, così gli salgo la schiena sopra e gli blocco le braccia.
«Alex, fermati, non sei in te», sussurro al suo orecchio. Lui si dimena sempre di meno, fino a fermarsi senza forze.

A quel punto mi alzo e lascio che lui faccia lo stesso. Il suo sguardo cade inevitabilmente sul coltello.
La sua espressione si fa confusa e dubbiosa. Poi osserva le mie mani e quando i suoi occhi raggiungono il mio viso indietreggia spaventato.
«No, non mi hai ferita col coltello», spiego, portando una mano alle mie ferite. Devo dire che Alex ne ha di esperienza in pestaggi per riuscire a tirare dei colpi del genere.
«Oddio», sussurra, raggiungendomi e posando le dita prima sulla botta che ho in fronte e poi sul taglio che ho sulle labbra. «Mi dispiace», aggiunge, e so che dice sul serio. Non aveva intenzione di farmi del male e capisco che si sente disgustato da se stesso.
«Tranquillo, non è che io sia stata ferma», ammetto, toccando il rigonfiamento che ha sulla guancia. Non se ne era ancora accorto.

Senza dire una parola ci dirigiamo verso lo zainetto, ci sediamo, e mangiamo qualcosa: picchiarci ci ha davvero tolto le nostre ultime energie, le abbiamo sprecate per aggredirci senza motivo.
«Non volevo farti del male, credimi», ripete poco dopo. Praticamente non ha mai staccato lo sguardo dalle mie ferite.
«Lo so, tranquillo, non è colpa tua», dico costringendomi a sorridergli per tranquillizzarlo. Anche se non era colpa sua, devo ammettere che un po’ arrabbiata in effetti lo sono, ma non voglio litigare per un motivo così stupido. Dopotutto non era in sé, e credo si odi già abbastanza per quello che mi ha fatto. È strano pensare a quante volte ha massacrato qualche povero ragazzino indifeso senza sentirsi in colpa, mentre adesso, guardandolo così in collera con se stesso, sembra una persona dolce, pacifica.

Finiamo di mangiare in silenzio. Son successe così tante cose nel giro di poche ore che abbiamo entrambi bisogno di un po’ di tranquillità.
Sono sicura che ora non c’è più l’ombra in giro. Il demone deve aver richiamato la sua anima a sé, dopo aver attaccato me e Alex, o meglio, me tramite Alex.
Cosa possiamo fare ora? Finalmente avevamo un piano e abbiamo mandato tutto a monte.
I contatti con l’ombra ora come ora sarebbero troppo rischiosi per Alex: a quanto pare il demone ha capito come funzionano.
Mi sento così demoralizzata. Eravamo così vicini alla soluzione, e ora siamo così lontani che non penso di avere qualche possibilità di vincere.
Alex interrompe i miei pensieri, e sono felice che l’abbia fatto.

«Dovremmo mettere del ghiaccio su quei tagli, che ne dici? Sono sicuro che al ristorante ce ne sia». Annuisco e mi alzo in piedi, ma non appena rivolgo lo sguardo verso la città sento le urla e l’ansia provenire da quella parte. Il demone è tornato all’azione.
Alex mi guarda dubbioso, indeciso su cosa sia meglio fare. Riesco a vedere la sua frustrazione, la sua delusione, la sua rabbia per aver fallito. Stringe le mani a pugno e abbassa lo sguardo, come se non potesse sopportare per un solo istante di più quella vista. Chiude gli occhi. Non sopporta nemmeno il suono che proviene dal paese: le urla, le grida, la distruzione.
Per entrambi è importante distruggere l’ombra, ma credo che per lui sia qualcosa che va oltre salvare tutta quella povera gente: significa vendicare i suoi genitori e combattere contro il suo passato, che lo tormenta da quando il demone gli ha mostrato i suoi errori per quelli che erano.
«Non credo ci convenga rischiare così tanto», ammetto, toccando le mie ferite. Dal labbro esce ancora del sangue, ma non mi sembra nulla di grave.
La pancia mi fa male, ma dopotutto del ghiaccio non servirebbe a nulla. L’unica cosa che posso fare è riposare.

Ci mancava solo questa. Come se non fossimo stati già abbastanza deboli di nostro, dopo tutta la fatica e le energie sprecate per attuare il piano che, diciamocelo, ha fallito miseramente.
Vorrei solamente scappare e non tornare mai più. Raggiungere mio padre e iniziare una nuova vita, lontano da qua, lontano da tutto questo, e dimenticare. A questo punto lo farei, ma il demone potrebbe prendere sempre più potere e diffondere l’”epidemia” in altri paesi. Non posso rischiare che la situazione si ripeta, non sappiamo fino a dove si può spingere.
Mi sento così stanca, demoralizzata, sconfitta, stupida... L’unica persona che potrebbe tirarmi su di morale è mio padre, così prendo il cellulare e mi allontano da Alex.
Senza pensare a cosa dirgli, lo chiamo.

«Pronto Kyra! Tutto bene?», mio padre è preoccupato, e mi dispiace scoprire che non ne sono affatto sorpresa.
«Ciao papi, tutto bene, tu come stai?», cerco di non far sentire la mia stanchezza, ma non so se ci sono completamente riuscita.
«Tutto ok. Hai bisogno di qualcosa?», domanda, ancora con voce tesa.
«No, volevo solo sentirti», rispondo sorridendo, come se lui potesse vedermi. Lui prende un attimo di pausa e posso immaginarlo fare la stessa cosa.
«Mi fa piacere sentirti. Come siete messi con l’ombra?», la sua voce è diversa, sembra quasi più leggera.
«Ecco, potrebbe andare meglio. Abbiamo avuto un piccolo inconveniente».
«Quanto piccolo?», chiede diffidente. Lui sì che mi conosce davvero.
«Enorme», ammetto a quel punto. Lo sento ridere e non potrei essere più felice. D’altronde non ci resta altro da fare ormai. Le cose andranno come andranno, non possiamo contare su un lieto fine sicuro.
«Cos’avete combinato?» e così gli racconto tutto: il nostro piano geniale, il rapporto tra Alex e l’ombra, la lotta sui prati e, alla fine, il fallimento. Tralascio lo scontro tra me e il mio alleato, questo lo farebbe preoccupare ulteriormente visto che, per quanto ne sa, Alex è l’unica persona su cui può contare affinché io sia protetta.

Ora ricordo che Alex, poco fa, prima che cominciassimo a lottare, si era disperato per qualcosa a me sconosciuto. Sarà una notizia orribile, mi basta rivolgergli uno sguardo per capirlo: è seduto sotto un albero, ogni tanto mi spia e ascolta la mia conversazione. Ha gli occhi lucidi e nonostante stia cercando di sembrare forte e sicuro, ogni tanto si stringe a se stesso o si asciuga una lacrima invisibile.
Mio padre intanto mi sta dicendo di essere forte e che, nel caso volessi scappare, lui sarebbe pronto a venirmi a prendere.

«Ora devo andare papà», sussurro, con lo sguardo ancora rivolto verso Alex. Mio padre sospira. È riuscito a percepire la mia tensione.
«Ok. Ci sentiamo presto, vero?», chiede insicuro, sperando in una risposta affermativa.
«Ti chiamerò il prima possibile, molto presto», rispondo cercando di essere allegra e convincente, ma davvero non ce la faccio. Ho un terribile presentimento che mi chiude la gola e mi attanaglia lo stomaco. Non mi piace l’atteggiamento di Alex. Non riesco a smettere di guardarlo: cosa può aver saputo di così orribile?
«Bene. Ciao Kyra, stai attenta», aggiunge da bravo padre premuroso.
«Come sempre. Ti voglio bene papà», rispondo, ma non riesco ad aggiungere altro: ho le lacrime agli occhi e immagino che per lui sia lo stesso. Infatti, con voce tremante, conclude la chiamata:
«Anche io, te ne vorrò sempre».

È arrivato il momento di scoprire la verità, qualunque essa sia.
Mi avvicino ad Alex e gli domando di spiegarmi cos’ha visto poco fa.
Il suo sguardo si fa buio e triste. Sembrava essersi dimenticato di ciò, o per lo meno aveva allontanato quel pensiero perché poco piacevole, per affrontarne altri, a quanto pare ancora più pesanti.
Vorrei tapparmi le orecchie per non sentire l’ennesima brutta notizia, ma non è così che troveremo una soluzione. Sempre che ce ne sia una. Così mi preparo psicologicamente e apro bene le orecchie.
«L’ombra mi ha detto come distruggerla». Il mio cuore si gonfia di felicità. Allora perché è così triste? Ce la faremo, ora abbiamo la soluzione! Come ha potuto commettere un errore così stupido come suggerirci il modo per ucciderla?
Poi capisco: se Alex era così preoccupato, vuol dire che la sua distruzione non sarà piacevole nemmeno per noi.
«E...?», domando, sentendo il nodo in gola stringersi ancora di più.

«Uno di noi deve morire, Kyra».


Angolo Autrice_

Ciaaaao :D *Saluta disinvolta schivando le pietre che le tirano*
Lo so, è un finale che immagino scateni gli insulti peggiori da parte vostra, ma sappiate che vi voglio bene :3
Dopotutto se non faccio un finale del genere non sono io, quindi... :D 
Questo capitolo è breve, me ne rendo conto, ma pensavo fosse giusto lasciare un capitolo di "tregua" per prepararvi al finale (già, ancora 3 capitoli e ciao ciao Madness ç___ç)
Dal prossimo capitolo sarà azione, azione, AZIONE, quindi volevo farlo finire con un po' di suspance senza far accadere nulla di concreto :)
Che dire, vi lascio ai miei amati spoiler (se non lo avevate notato, ci sto prendendo parecchio gusto u.u) 
Al prossimo capitolo, VI ADORO :3 


SPOILER 

Alex e Kyra tornano in baita per potersi rilassare e decidere con calma chi sarà a sacrificarsi. Il capitolo si concluderà con la decisione finale C: 

DriDri_

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Capitolo 18
*** The last day. ***


Capitolo 18







È come se avessi un coltello conficcato in gola che mi impedisce di parlare, come se una frana fosse caduta sul mio cuore seppellendolo. Come può essere?
Non c’è via d’uscita. Non possiamo vincere. Non c’è via d’uscita.
Era il nostro destino: morire. O almeno, quello di uno di noi. E quello che sopravvivrà? Come farà ad andare avanti? Come farà a convivere con il senso di colpa?
Forse morire a questo punto è la soluzione migliore. Mi toglierei da tutto questo pasticcio e non avrei più preoccupazioni.
A quale costo però... dopo aver combattuto così tanto per riuscire a vincere... ma il mio sacrificio non sarà inutile. Noi vinceremo, e la mia vita non è nulla in confronto a quella di tutte quelle persone.

«Morirò io!», esclamiamo entrambi all’unisono. Ci guardiamo sconcertati e ripetiamo di nuovo la stessa cosa.
Metterci d’accordo sarà più difficile di quanto avevo previsto.
«Kyra, davvero, tocca a me», dice posando una mano sul suo petto.
«No!», esclamo, scuotendo la testa. Non ho intenzione di arrendermi. «Tu hai già fatto così tanto... in più hai una relazione con l’ombra, potrebbe esserti utile!»
«È esattamente per questo che devo morire io! Ho un rapporto con lei che potrebbe mantenerla in vita dopo la tua morte, non possiamo correre questo rischio». Non so cosa dire, come controbattere. Ha totalmente ragione, farlo sopravvivere vorrebbe dire mantenere una via aperta all’ombra, permettendole forse di salvarsi.
«E se dovesse comunque rimanere in vita? Magari non basta un nostro suicidio, magari in seguito le servirà il colpo di grazia, e io non sarei in grado di sconfiggerla da sola». Alex si ferma un attimo a pensare sulle mie parole, prendendo in considerazione questa ipotesi. Ciononostante non si schioda dalla sua opinione.
«Ce la faresti, ne sono certo. Sei più forte di quanto immagini. E poi tu non puoi morire! Pensa a tuo padre, a Eveline... spezzeresti il loro cuore. Tu hai ancora delle persone che tengono a te! I miei amici e i miei familiari, per quanto ne so, sono morti. Non sono più legato a questa vita per nessuno», non lo lascio nemmeno terminare la frase.
«Io sono legata a te, okay? Non sopporterei l’idea di vivere al posto tuo! Vivrei per sempre con la tua vita sulla coscienza, non riuscirei a superarlo!», urlo con tutta l’aria che ho nei polmoni e solo in questo momento mi accorgo di stare piangendo a dirotto.

Non riesco a controllarmi, a fermarmi. Dopotutto abbiamo appena perso. O meglio, sicuramente vinceremo, sappiamo ormai come sconfiggere l’ombra, ma la nostra vittoria non sarà completa, non sarà vera. Anche se dovesse sacrificarsi Alex, la mia vita sarebbe distrutta per sempre.
Lui non ha ancora aperto bocca. Mi guarda con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, cercando di nascondere l’imbarazzo, ma senza riuscirci: le sue guance sono rosse.
«Io... ecco... forse dovremmo cercare un posto in cui passare la notte», balbetta alzandosi in piedi e pulendosi i pantaloni dalla terra.
Mi sento una stupida. Alex ha totalmente ignorato le mie parole, come se non avessi mai aperto bocca. Cosa pensavo, di poter essere importante per lui? Devo smetterla di costruire castelli in aria.
Devo rassegnarmi al fatto che non sono il tipo di ragazza che piace a lui, ma tutto questo non è importante. Non ora. Quando la tua vita sta per finire, non è un ragazzo che potrà cambiare le cose.

Decidiamo di tornare in baita: dopotutto quel posto è sicuro, caldo, accogliente e abbastanza vicino. Passeremo la notte lì, in modo da riposarci, ci sveglieremo la mattina presto e decideremo cosa fare. Dobbiamo entrambi dormirci su, una decisione del genere non si può prendere su due piedi. Entrambi abbiamo i nostri motivi per preferire il nostro sacrificio a quello dell’altro, chissà se arriveremo a una scelta comune, o se sarà l’ombra a  mietere la sua vittima preferita.
In poco tempo arriviamo nella baita, che in così poco tempo sembra già la nostra nuova casa. Questa atmosfera accogliente non mi piace per niente, mi sono affezionata in troppo poco tempo a cose che perderò ben presto.
Almeno ho chiamato mio padre, gli ho detto che gli voglio bene. Ora come ora non sarei in grado di dirgli altro e non voglio fargli sapere della mia decisione. Gli spezzerei il cuore. Penso sia meglio che lo sappia quando sarà tutto finito.
Prendo il cellulare e scrivo un messaggio ad Eveline. Sarebbe meglio chiamarla, ma non riesco davvero ad aprire bocca. Da quando Alex mi ha comunicato la notizia sento la gola asciutta e secca.
Non le posso dire che mi sto per sacrificare, non lo permetterebbe, e sicuramente lo farebbe sapere a mio padre.

Ciao Ev, come va?
Volevo solo dirti che io sto bene.
Ancora per poco, aggiungo mentalmente.
Stavo ripensando ai bei momenti passati assieme, sai, con tutto il casino che c’è qua mi capita di fare pensieri profondi (già, chi l’avrebbe mai detto?)
Volevo solo dirti che sei davvero l’amica migliore che potessi desiderare, anche se sembra banale come frase. Sul serio, sei stata come una sorella per me, non scherzavo quando dicevo che sei la mia sorella adottiva, lo pensavo sul serio. Nemmeno mi ricordo di quando non ci conoscevamo, abbiamo passato la vita insieme.
Ho un sacco di cose da dirti, ma non sono molto brava con le parole. Quindi ti saluto! Buona serata, ti voglio bene.


Chiudo il cellulare e lo infilo nello zaino. Non voglio leggere la sua risposta.
Io e Alex non ci rivolgiamo più la parola. Lui sarà imbarazzato per il mio comportamento, e io mi sono pentita di avergli detto tutte quelle cose. Inoltre siamo immersi nei nostri pensieri, opposti eppure così simili.
Alex accende il fuoco, mentre io preparo qualcosa da mangiare: dopo circa una settimana, per la prima volta, mangiamo qualcosa di cotto: una bella pasta. Voglio che i miei ultimi pasti siano qualcosa di più di un pacchetto di crackers.
Ci sediamo a tavola e gustiamo la nostra cena, prima di infilarci il pigiama e andare a letto.
Ci diamo le spalle e non ci diamo nemmeno la buonanotte.

Odio tutto questo. L’ombra ha informato Alex su come ucciderla solamente per rovinare i nostri ultimi giorni, o forse l’ultimo giorno. Mi viene la pelle d’oca solo a pensarci.
Dovremmo goderci appieno i nostri ultimi istanti, dovremmo dirci tutto quello che non ci siamo mai detti, conoscerci a fondo, perché non ne avremo più l’occasione, confessare quanto ci siamo odiati fino a pochi giorni fa, ricordare come lentamente siamo diventati amici, ridere assieme, perché tra poco il volto di uno di noi due sarà immobile e freddo per sempre.
Invece eccoci qua: in silenzio, tesi, imbarazzati, immersi nei nostri mondi privati, senza avere l’intenzione di condividere una sola parola con l’altro.
Vorrei cambiare la situazione, iniziare a conversare, ma non ne ho il coraggio. Ho la bocca sigillata.
Me ne pentirò forse, o forse sarò io a morire, e a quel punto non avrò più alcuna preoccupazione.
Non riesco nemmeno a capirlo davvero. Domani potrei non respirare più, non esistere più. Per me queste potrebbero essere le ultime ore.
Non ho salutato Eveline. Non ho detto davvero addio a mio padre, non gli ho mai detto quanto sia stato importante per me. Vorrei dirgli che è sempre stato il mio punto di riferimento e che è stato il genitore migliore che potessi desiderare, ma posso farlo solamente attraverso il cellulare. Non è la stessa cosa.
Domani mattina lo chiamerò e lo saluterò, perché sarò io a morire. Forse non riuscirò a parlare, ma lui capirà cosa sta succedendo.
Affondo il viso nel cuscino e mi lascio andare in un pianto triste, malinconico, rabbioso e liberatorio, fino a quando non mi addormento.

Mi sveglio non appena sorge il sole: saranno circa le sei. Sento gli occhi gonfi e la testa pesante, ma decido comunque di sollevarmi sui gomiti. Questa è la mia ultima alba, voglio godermela. Osservo il cielo fino a quando il sole non è ben visibile sopra la linea dell’orizzonte. Sento il mio cuore più leggero, questa visione mi ha dato la forza di affrontare questa giornata infernale. Questa ultima giornata.
Sono stata così stupida ieri a sprecare la mia ultima sera. Avrei dovuto parlare con Alex e ora ho così tante cose da dirgli prima di prendere la nostra decisione finale.
Mi volto verso di lui e noto che il suo lato del letto è vuoto. Le coperte sono disfatte e sul materasso c’è un biglietto.
Il mio cuore perde un colpo. Mi si è chiusa la gola dall’ansia. Non mi serve leggerlo per capire cos’ha fatto. Lo prendo in mano e lo stringo tra le dita tremanti, senza leggerlo. Mi alzo dal letto e esco dalla camera.

«Alex...?», sussurro guardandomi attorno. «Alex...?», domando ancora a voce più alta. Lo faccio fino a quando non mi metto ad urlare con tutto il fiato che ho nei polmoni mentre corro in tutte le stanze della casa, ma nessuno risponde. Mi butto in ginocchio, nascondendo il viso tra le mani, tremando.
So dov’è, so perché è lì, so quali sono le sue intenzioni. So soprattutto che se voglio salvarlo devo alzarmi in piedi e reagire, ma questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Sono stufa di reagire. Stufa di continuare a scavare dentro di me per ritrovare energia, perché ormai non ne ho più. È come se il mio corpo fosse un involucro vuoto e pulsante, il mio cuore sta per scoppiare e frantumarsi in mille pezzi. O forse è già distrutto.
Ormai cosa mi resta da fare se non leggere il biglietto che stringo tra le dita? Lo osservo e non ho il coraggio di aprirlo. So cosa c’è scritto: che è andato dall’ombra per farsi uccidere. Eppure non riesco a farmene una ragione, non riesco ad accettarlo.
Forse è già morto. Qualcosa mi trafigge il petto e mi impedisce di respirare.
E se invece fosse vivo? E se potessi ancora salvarlo? Provo ad alzarmi, ma non ci riesco, le mie ginocchia tremano troppo.
Devo agire, in fretta. Devo recuperare energie, non mi importa quanto possa costarmi questo sforzo. Non posso arrendermi proprio ora. Lui non mi avrebbe abbandonata.
Sospiro e apro il biglietto.

Buongiorno Kyra,
come avrai notato io non sono a casa. Me ne sono andato quando tu stavi ancora dormendo, ho scritto questo biglietto durante la notte, non appena hai smesso di piangere. Sì, ti ho sentita, ma non ho avuto il coraggio di chiederti il perché o di consolarti, non avrei sopportato anche la tua tristezza, la mia era già sufficiente.
Lo so, sono un codardo.
Avrei dovuto dirti queste cose a voce, ma non ce l’ho fatta.
Ieri mi hai detto che sei legata a me, che ci tieni, e non ho trovato le parole per risponderti. Avrai pensato che di te non mi importa nulla, ma non è così. Non sono più il bastardo che ero fino a qualche giorno fa. Tutta questa situazione mi ha cambiato, rischiare la vita così tante volte mi ha fatto capire cos’è giusto e cosa è sbagliato.
La verità è che è proprio perché tu sei legata a me che devo sacrificarmi io. Tu sei la cosa più importante, l’unica che mi è rimasta. Se perdessi anche te non avrei più nulla.
Ieri non ti ho baciata solamente perché pensavo fosse utile, ma perché lo volevo!
Ti odiavo, ma stando con te in questi ultimi giorni ho capito che sono sempre stato un idiota, proprio come dicevi sempre tu. Sei una ragazza forte, determinata, simpatica, bella... non avrei potuto avere compagna migliore in questa lotta contro l’ombra. Per questo mi sono innamorato di te.
Lo so, non sembra un discorso da me, così smielato, ma dopotutto ormai a cosa serve fare il duro? E pensare che prendevo sempre per il culo i ragazzini innamorati che si facevano dediche. Sarò anche cambiato, ma sappi che mi considero patetico per averti scritto questa lettera, quindi ritienilo un enorme gesto d’affetto!
Sei una tipa sveglia, credo tu abbia capito dove sono e cosa sto per fare. Non venirmi a cercare, non provare a salvarmi. Credimi, è la cosa giusta, devo sacrificarmi io.
Mi dispiace non averti salutata come avresti meritato, questo è uno dei miei rimorsi più grandi, ma non mi avresti lasciato andare.
Ora vado, o ti sveglierai e non saprò che scusa inventarmi. Non riuscirei mai a dirti tutte queste cose a voce. Lo sai, non sono coraggioso quanto te.
Quindi, addio, Kyra.

Quell’idiota di Alex Hunt.


 

Angolo Autrice_

*Colpo di tosse imbarazzato* Saaaalve. *Silenzio* 
Ok, lo so, I KNOW, dopo un finale del genere avete voglia di scoprire dove abito, venire a casa mia e prendermi a calci sui denti. E avete pure ragione D: 
Ormai mi conoscete, no? C: sono tipo ODIOSA. 
Davvero, voi dovete essere tutte personcine magicamente PAZIENTI per riuscire a sopportare i miei finali :D 
Anyway, spero che a parte questo vi sia piaciuto pure questo capitolo :) Ovviamente lasciatemi una recensione per dirmi cosa ne pensate e, perché no, insultarmi per sto finale C: 
E, cosa posso aggiungere... Buh, questo è il terzultimo capitolo *conto alla rovescia* ç__ç 

(Ogni volta penso: ok, nel prossimo "Angolo Autrice" scrivo qualcosa di intelligente e utile, e poi puntualmente lo riempio di ragionamenti senza senso. SORRY). 

Spero di vedervi tutti al prossimo capitolo (?) che sarà il penultimo (WOW , so contare) :D SCIAO BELLI!



SPOILER

Dico solo: battaglia finale. 

 

DriDri_


 

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Capitolo 19
*** Final battle. ***


Capitolo 19







Non ho più fiato nei polmoni, la mia vista si annebbia dalla fatica, i miei piedi inciampano sul terreno e le gambe non riescono a sorreggere il mio peso, ma non mi fermo. Non posso fermarmi. Continuo a correre senza sosta. Sono già stata in piazza, a casa di Alex, nelle vie più famose, ma di loro non c’è alcuna traccia.
Sto ormai perdendo ogni speranza. Sarà già morto ormai, sono stata troppo lenta, è troppo tardi. Lui si è sacrificato e io non ho fatto niente per impedirlo. Sono la peggiore alleata che sia mai esistita.
Mi fermo, accovacciandomi un attimo, cercando di controllare la mia nausea. Prendo grandi boccate d’aria, che mi bruciano i polmoni, ormai congelati.
Come speravo di risolvere la situazione? Io, quella sfigata di Kyra. Ho fallito, come sempre, ma ciò che è peggio, Alex è morto.
Provo talmente tante emozioni e sensazioni che non riesco davvero a reagire. Sono così stanca e sconvolta che è come se stessi assistendo alla scena dall’esterno, come se non appartenessi più al mio corpo. Il che è meglio, visto ciò che è successo...
Non riesco ancora a rendermene conto, per questo non piango. Non può essere vero. Non può essere vero.

E ho ragione. Vicino a me la sento, la sua voce inconfondibile, la voce che mi fa venire voglia di buttarmi a terra e tapparmi le orecchie.

Dov’è lei?


Mi sollevo con fatica e mi nascondo dietro il muro di un edificio. Eccoli. Lui è vivo, ed è davanti all’ombra. Strano che non si sia presentata come demone...
Finalmente riesco a provare qualcosa: sento il cuore alleggerirsi e contrarsi nello stesso momento. Non posso fare a meno di sorridere nel vedere Alex ancora in vita, ma poi mi rendo conto di cosa comporta tutto questo.
Cosa posso fare ora? Faccio un passo verso di loro, ma immediatamente mi fermo. 
Qualcosa mi dice di non svelarmi così presto. Rimango in ascolto, nascosta.

«Non è qui. Ci sono solo io. Era questo che volevi, no? Uno di noi due doveva morire, beh, eccomi». Nonostante pensi di essere sul punto di morte non ha perso la sua arroganza. Devo ammetterlo: in questo momento riesco ad apprezzare anche questo suo difetto.

Vuoi davvero sacrificarti al posto suo?


«Non mi sto sacrificando al posto di nessuno. Non hai mai detto che avrebbe dovuto essere lei a morire». Sembra quasi che Alex si senta offeso, troppo orgoglioso per ammettere di volersi sacrificare per salvare  la mia vita. Me lo aspettavo.

No.


L’ombra dice solo questo, ma la sua voce ha una tale forza da farmi tremare dalla paura, e vedo Alex titubare per qualche secondo.
«Volevi uccidere lei, vero? Questi trucchi sono patetici, pensavo tu non ne avessi bisogno!», esclama lui, ridendo in faccia al nemico. Errore. Ha commesso un enorme e banalissimo errore.
Improvvisamente l’ombra tende un tentacolo e lo afferra in vita. Alex urla, e so quanto sta soffrendo, l’ho vissuto io stessa, anche se probabilmente in modo meno intenso. Copro la mia bocca con la mano per soffocare un grido.

Ti senti forte, ragazzo?


Domanda, stringendo la presa. Alex urla, cercando di liberarsi con le mani, provocandosi solamente ulteriore dolore e scottature sulle dita. Nei suoi occhi si legge il panico che ormai regna su di lui. Ha le mani sospese in aria, tremanti, la bocca aperta e il viso contorto in un’espressione di disgusto e paura. Non sa cosa fare.

Sì, avrei voluto uccidere lei.
Io e te abbiamo un legame, avremmo potuto essere degli alleati invincibili.
Saresti stato il mio guerriero.


«No, sarei stato il tuo schiavo!», esclama Alex, ma la sua voce è soffocata dalla sofferenza.
Non so cosa me lo faccia sospettare, ma sembra quasi che l’ombra sorrida.
«Inoltre se tu avessi ucciso Kyra saresti morto», sussurra ormai senza forze e fiato in corpo.

Non l’hai capito? Era tutto falso.
Un vostro sacrificio non mi ucciderà, anzi
mi avvicinerà alla vittoria, al potere.
Quindi, ora, preparati a morire.

A questo punto non posso fare più niente. Esco allo scoperto. Non ho un piano, non ho un’arma, non ho niente. Sono completamente indifesa. Eppure non posso rimanere ad assistere alla scena, devo agire.
Qualcosa scatta nella mia testa: lo sta uccidendo sottoforma di ombra, non come demone. Non è ancora giunta la sua fine. Non può morire.
Alex cade a terra con un tonfo e rimane sdraiato. Non ha più energie e i suoi fianchi sono lacerati profondamente. Sono ferite peggiori di quanto mi aspettassi.
Una parte di me vorrebbe correre e gettarsi su di lui, cercando di curarlo o aiutarlo, ma sento un istinto primordiale fortissimo suggerirmi di rimanere immobile.
L’ombra è rivolta verso di me e io sostengo il suo sguardo, nonostante non veda i suoi occhi. Ho attirato la sua attenzione.

Sono felice che tu ci abbia raggiunti.
Mi chiedevo quando saresti uscita dal tuo nascondiglio. 


Rimango immobile, senza rispondere.
Sono sorpresa: come faccio a sapere come comportarmi, così, all’improvviso? Cos’è cambiato in me? Come faccio a mantenere la calma?

Finalmente posso divertirmi un po’.


Detto ciò, allunga cinque tentacoli nello stesso momento, e con enorme sorpresa notiamo entrambi che li ho schivati tutti. Mi sento inarrestabile.
I contorni dell’ombra tremano di rabbia.
I tentacoli mi inseguono ancora, alcuni mi colpiscono come frustate sulle braccia o sulla schiena, lasciandomi dei tagli, ma nessuno riesce ad afferrarmi.
Nonostante mi senta forte, so che non potrò resistere per sempre. Inizio ad essere stanca e le ferite sono aperte. Sto perdendo sangue.
Mi allontano di qualche metro, in modo da lasciare Alex da solo e allontanare l’ombra da lui.
Poi iniziano le allucinazioni.

Corro, ma i miei piedi prendono fuoco.
Le mie braccia si aprono e si sciolgono.
La mia schiena viene tagliata a pezzi lentamente.
Tutto fa tremendamente male.
A terra cadono delle armi sporche.
Gli assassini sono i miei genitori ed Eveline. Silvia ride del mio dolore.
Poi compare Alex, davanti a me. Gli chiedo aiuto, ma lui ride.
Indossa un lungo mantello nero, buio come il vuoto.
Si tira su il cappuccio e si trasforma nell’ombra.
Urlo. Urlo ancora. Le mie grida rimbombano nelle mie orecchie, ma sono invisibili.
Delle macchie nere si avvicinano a me velocemente, non riesco nemmeno ad osservarle.
Colpiscono. Poi ancora. Ancora.

Cado a terra senza forze.
Prendo grandi boccate d’aria, ma respirare non è più così facile. Il terreno sotto le mie mani trema, tutto si muove, gira. Non riesco a mantenere l’equilibrio. Chiudo gli occhi e li riapro, ma non cambia nulla.
Sto impazzendo.
Sollevo lo sguardo, e lei è lì. Si gode la scena.
Mi alzo in piedi, barcollando. Siamo nei campi. Qua sarà più debole. Stavolta è stata lei a commettere un errore.
No, mi sbaglio. Sono io che gli sto donando energie, con il mio dolore.
Mi metto davanti a lei, a testa alta.
Uccidermi non sarà così facile. Vuole giocare? Allora iniziamo.

Non ti arrendi, eh?


Scuoto la testa, cercando di non cadere di nuovo. So cosa fare. Non so come, ma sono sicura che funzionerà. Deve funzionare, altrimenti non sopravvivrò. Ne sono certa ormai: ho una sola possibilità e vincere non sarà facile. Perché sto per morire. Perché ora è arrivata la mia fine. Perché davanti a me non c’è più l’ombra. Davanti a me ora c’è il demone.
Si mostra per quello che è: alto, coperto da un mantello che proietta un ombra sul suo viso fino alla bocca, aperta in un ghigno, con due enormi zanne minacciose e grondanti di sangue. All’altezza degli occhi vedo un luccichio eccitato da tutta questa azione.
Dietro le sue spalle si aprono due ali piumate nere, lunghe più di tre metri. Le sue dita lunghe e stranamente muscolose sbucano dal buio, con lunghi e affilati artigli. La sua lingua biforcuta guizza per meno di un secondo, leccandosi le zanne. Ora è l’incarnazione del male.
Si avvicina a me e io non riesco a muovermi: sono pietrificata.
Con la sua mano avvolge il mio viso fino a graffiarmi le guance. Si china su di me e le sue zanne sfiorano il mio mento. Riesco a sentire il suo respiro, così caldo e nauseante. Sollevo lo sguardo ed è come guardare negli occhi la morte. Nonostante ciò sostengo il suo sguardo: non voglio che pensi di potermi intimorire così facilmente.
Sento la pelle sotto le sue dita bruciarsi e i miei occhi iniziano a lacrimare.
Prendo un respiro profondo e cerco di mantengo la calma e rimanere lucida. Non ho mai visto nulla di più spaventoso.
Ben aveva detto: “Se lo incontri è la fine,se lo sconfiggi è un nuovo inizio.»
Io non morirò, il demone si sbaglia di grosso. Sta per arrivare il nuovo inizio. Non ho intenzione di arrendermi.
«Tu non puoi vincere», sussurro, mentre il demone stringe la stretta su di me.

Lo sto già facendo.


Spiega con una dolcezza malvagia e sadica.
Deglutisco a fatica, mentre le sue zanne diventano ancora più affilate. Le sue grandi ali si spalancano e mi avvolgono assieme a lui.
Fa terribilmente freddo. Tutto è così buio e vuoto. Non c’è luce, non c’è rumore, non c’è nulla. Poi la sento: la musica che ha fatto impazzire tutti. Per un secondo non riesco a trattenermi dal gemere dalla paura, lasciando che le lacrime escano, mentre il mio corpo trema e il mio cuore batte forte cercando di scappare.
Era così che doveva finire? Era questo il destino scritto per me?
Sento l’aria attorno a me muoversi. Provo a guardarmi intorno, ma non vedo nulla.
Qualcosa di appuntito sfiora il mio collo.

La mia testa gira fino a staccarsi e rotolare via.
Rimango sola, senza mente. Sono spacciata.
Le zanne mi trafiggono.
Le ali mi portano via.
Divento schiava dell’ombra.
Divento un’assassina.

La canzone continua a rimbombare nella mia testa e non ragiono più lucidamente. Devo fare in fretta.
Le sue zanne stanno tastando il mio collo per capire dove conficcarsi. Le sento pungere e affondare delicatamente sulla mia nuca.
Poi si stacca. Non so cosa sta facendo, ma immagino stia prendendo la rincorsa per affondare i suoi denti. Non appena lo sento muoversi dietro di me mi accovaccio, stringendomi a me stessa e facendomi piccola.
Il demone ha colpito la sua ala e ora urla di dolore.
Finalmente torna la luce e riesco a vedere i campi attorno a me.

Non perdo altro tempo: mi allontano correndo, inoltrandomi nei campi. Il mio cuore batte forte, eppure sono così sicura di me stessa che non riesco davvero a lasciarmi prendere dal panico.
Devo solamente concentrarmi.
Quando arriva in mezzo ai campi, il demone lancia un grido disperato, così forte da far tremare il terreno. Il luccichio abbandona i suoi occhi, le grandi zanne si macchiano di sangue nero, il suo, mentre ringhia come un animale. Gli artigli di conficcano sulla sua pelle. Infine le sue grandi ali si avvolgono su di lui, e quando si aprono c’è solamente l’ombra.  
È talmente disperata e accecata dalla voglia di vincere che non si è resa conto di starsi condannando da sola. 
Il primo passo è fatto, ora mi rimane da distruggere solo la sua anima.
Ora non riesco a controllare del tutto la mia paura: ci sono quasi, devo lasciarla entrare dentro di me. O fallisco e muoio, o vinco e la sconfiggo. Siamo arrivati allo scontro finale.
Spalanco le braccia e chiudo gli occhi, come per accoglierla. Sente l’ansia scorrermi nelle vene, così si tuffa nella mia mente, senza pensarci due volte. 

È come  se un enorme masso fosse entrato nel mio cranio, sostituendo il cervello.
Non percepisco più nulla di tutto ciò che mi circonda. È il caos più totale. È tutto buio, non sono io a controllare il mio corpo, e le visioni hanno inizio.
Sento il mio corpo muoversi, senza capire dove sta andando. Poi sento dolore: dolore ovunque, soprattutto alle tempie.
Non riesco a entrare nella mia mente. Cerco di concentrarmi, ma è tutto così faticoso, difficile. Non so dov’è il mio corpo, non so dove si trova la mia anima, è come se fossi stata ormai divisa in pezzi, e ogni mio frammento fosse stato seminato dal vento. È come se non esistessi più.
Eppure la mia mente, anche se dispersa, riesce ancora a pensare. Così decido di smettere di provare a riprendere il controllo di me stessa, e lascio che i miei pensieri vaghino liberi: rivivo tutti i momenti più belli della mia vita e immediatamente mi sento più leggera  e rilassata.

Non so dove mi trovo, non so se tutto questo conta davvero qualcosa, ma mi sento così felice che non riesco a smettere di pensare alla mia famiglia, ai miei amici, ad Alex, a questa meravigliosa sensazione di pace che non provavo da troppo tempo.
Forse sto perdendo, forse tra poco tutto questo si spegnerà, forse riesco a pensare a ciò che mi rende felice perché effettivamente sto smettendo di esistere, ma non riesco davvero a preoccuparmene: riesco solamente a visualizzare gli ultimi istanti con mia madre, con mio padre, i pomeriggi passati a guardare tv con Eveline, i momenti di normalità passati con Alex, il modo in cui sono riuscita a mettere al sicuro Anne, la sensazione di potenza che sentivo quando sembrava che il nostro piano avesse funzionato...
All’improvviso, la barriera che ostacolava la  mia mente si fa più debole, riesco a percepirla: con i miei pensieri riesco a rafforzarla nuovamente, ma questa volta sono io ad avere il controllo della situazione.
Sento qualcosa che si agita dentro di me, ma riesco a tenerlo sotto controllo. L’ombra si muove freneticamente, spaventata, in trappola: la racchiudo sempre di più all’interno del mio cervello. Le sue visioni non riescono a vincermi, mentre i miei pensieri la indeboliscono sempre di più. Lentamente smette di muoversi, si contorce su se stessa fino a rimanere immobile, pulsante di rabbia e frustrazione.

La stringo ancora di più, ancora qualche millimetro e verrà polverizzata: è arrivato il momento, non ha via di scampo.
Sento un urlo lontano, antico quanto il tempo, così acuto e fragile che non sono sicura di averlo sentito davvero. Qualcosa mi dice che è la vita che sta abbandonando l’ombra, che cerca disperatamente di aggrapparsi a ciò che le rimane, ovvero la mia compassione.
Ma di compassione e pazienza, ormai, non ne ho più.

E così, finalmente, la distruggo.


Angolo Autrice_

Penultimo. Capitolo. 
E non me lo posso neanche godere (?) visto che devo andare .__.
Anyway a voi non ve ne frega niente C: 
Visto che ci sono riusciti? Visto che non sono completamente bastarda? :D Ovviamente, anche se magari siete felici e contenti, ricordate che questo NON è il finale, perché manca ancora un capitolo conclusivo. Però sì, questo è effettivamente la fine della vera storia.
Evito di commuovermi e scrivere righe e righe piene di ringraziamenti e malincionia, che rinvio al prossimo (già, non eviterete la mia rottura di scatole C: )
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Se ci sono errori mi scuso, l'ho pubblicato in fretta e furia perché altrimenti non so quando avrei trovato il tempo e volevo lasciarvi questa sorpresa :*

Spero che lo leggiate numerosi e magari lasciate qualche recensione :3 
Ok, non so che dire, scappo C: 
Vi lascio con l'ultimo spoiler (LET ME CRY, OMG) :') VI ADOROOOOO !



SPOILER 

Ci sarà il risveglio di Alex e Kyra e la vera conclusione C:

DriDri_

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Capitolo 20
*** revival ***


Capitolo 20




 

EPILOGO





Riapro lentamente gli occhi a fatica. Tutto attorno a me è bianco e sfocato, ma dopo qualche secondo riesco a capire dove mi trovo: è la stanza di un ospedale.
Mi guardo lentamente attorno: sono parecchio confusa. Perché sono qua? Come ci sono arrivata? Cos’è successo all’ombra? Ho vinto? Dov’è Alex, lui sta bene? Devo cercarlo. Magari è qui anche lui...
Solamente ora noto la presenza di Eveline, seduta sulla sedia affianco al mio lettino. Ha la bocca spalancata e sta dormendo alla grande.
Scatto sul posto e mi sporgo verso di lei per abbracciarla, ma poi mi blocco. Non so da quante ore è qua, non so quando si è addormentata, non so quanto possa essere stanca. Credo si meriti un po’ di riposo e non voglio scocciarla.
Guardo il mio corpo: sembro perfettamente normale. Non sono attaccata a nessuna macchina, non ho nessun osso rotto, la mia testa funziona perfettamente. Sulle mie braccia e sulle gambe ho diverse fasce e bende macchiate di rosso. Noto affianco a me una sacca dello stesso colore: i dottori devono aver già riparato il danno più grave.
Tasto la mia guancia e sento delle linee irregolari e sporgenti. Sembrano quasi rughe. Chissà se mi rimarrà la cicatrice per sempre. Probabilmente, però, i medici hanno fatto il possibile per guarire le mie ferite.

Un solo dubbio pizzica la mia mente. 
Chi ha saputo dove mi trovavo? Chi mi ha portata qui? Davvero non riesco a spiegarmelo.
Alex. Lui era decisamente messo peggio di me. Perdeva sangue quando l’avevo lasciato.
Come ho potuto abbandonarlo privo di sensi in un vicolo, in mezzo a dei possibili pazzi omicidi? Poi ricordo: cos’altro potevo fare? Dovevo distruggere l’ombra, se mi fossi fermata ad aiutarlo saremmo morti entrambi.
Spero solamente che se la sia cavata, che stia bene, che non abbia riportato danni irreparabili. Non posso solamente sperare: devo verificare.
Silenziosamente scosto la coperta ed esco dal lettino. Su una sedia ci sono alcuni miei vestiti, così li indosso senza nemmeno guardarli. In punta di piedi mi dirigo verso il corridoio.
Sono fuori. Nessuno sembra notare la mia presenza, ci sono ben pochi medici in giro in questo momento. Guardo un orologio: sono le sei del mattino.
Vedo solamente alcuni parenti dei pazienti. Sono tutti preoccupati, alcuni piangono. Nelle stanze affianco alla mia ci devono essere pazienti messi davvero male, forse in fin di vita. La sola idea mi mette i brividi, nonostante nell’ultima settimana abbia visto e conosciuto la morte da vicino.
Spero solamente di non incontrare qualcuno che conosco, perché in questo momento ho solamente un pensiero nella mia testa e non voglio essere intralciata.
C’è un problema: non ho idea di cosa fare. Non so come si cerca un paziente in un ospedale, soprattutto senza chiedere indicazioni alle infermiere.
Posso fare solamente una cosa: controllare ogni stanza del mio piano. Nel caso non lo trovassi, chiederò a qualcuno di aiutarmi.
Entro di soppiatto nelle stanze del corridoio, ma quando ho finito di perlustrarle tutte non c’è ancora una minima traccia di Alex.
Cosa faccio adesso?

E se fosse in pronto soccorso? In rianimazione? In coma?
Sento l’ansia crescere e attanagliarmi lo stomaco. Sto andando nel pallone. Mi guardo intorno ma non so cosa fare, dove cercare. Mi avvicino ad un’infermiera, sperando che non mi rimandi nella mia stanza.
«Mi scusi, sa dov’è Alex Hunt?», ma proprio in quel momento lo sento.
«Saprebbe dirmi qual è la stanza di Kyra Baker?». Sta parlando con un’infermiera. Lo vedo ora, anche lui ha la camicia da notte dell’ospedale, sotto la quale indossa una maglietta e dei jeans.
«Alex!», urlo, prima che l’infermiera possa bloccarmi e ricondurmi nella mia stanza. Lui si volta e il suo sguardo si illumina quando incontra il mio. Corriamo l’uno verso l’altra e poi ci abbracciamo. È un abbraccio così lungo, così carico d’affetto che vorrei non finisse mai.
Trattengo le lacrime insensate che cercano di farsi strada nei  miei occhi e lo stringo a me, mentre lui mi accarezza i capelli affettuosamente, posando un bacio di tanto in tanto.
Quando mi lascia andare lo osservo da capo a piedi: credo abbia una fasciatura sui fianchi, visto il rigonfiamento, parecchi graffi sulle braccia e sul viso, coperti da bende o cerotti. Mi accorgo solamente ora che per camminare si aiuta con una stampella. Niente di rotto, niente di irrecuperabile con un po’ di riposo.
Noto che anche lui si è appena accertato delle mie condizioni di salute, ma sto decisamente meglio di lui.
Apre la bocca, commosso, per parlarmi, ma proprio in quel momento...

«Voi due dovete tornare nelle vostre stanze», esclama una delle infermiere, avvicinandosi a noi.
Alex si volta scocciato, e finalmente riconosco il vecchio bullo che tanto odiavo.
«Ma le pare il caso di rovinare un momento del genere? Grazie per aver spezzato l’atmosfera da film commovente, davvero! Ha un sesto senso che le suggerisce quando è un buon momento per rompere i coglion...»
«Li accompagno io in camera, non si preoccupi». È lui. È la sua voce e non proviene più da un cellulare. Mi volto ed è dietro di me, sorridente, con le braccia spalancate che mi attendono. E io mi ci tuffo, senza esitare un attimo.
«Papà!», esclamo, piangendo a dirotto, senza riuscire a trattenermi. Finalmente è qui con me, finalmente sono al sicuro, siamo al sicuro, e niente e nessuno ci dividerà più. Mi sembra ancora così strano poterlo toccare di nuovo.
Con tutto quello che era successo, ero certa che non lo avrei mai più rivisto. Invece sono sopravvissuta e lui è qui con me.
«Andiamo», sussurra, baciandomi la fronte. Poi accompagna entrambi in camera mia, cercando di  non farsi notare dalle infermiere, ancora ammutolite dalla risposta di Alex.
Io mi distendo di nuovo, non perché mi senta stanca ma perché costretta dai due uomini che mi osservano preoccupati, e Alex si siede nel lettino affianco al mio.
Eveline finalmente si è svegliata: ci siamo salutate con baci e abbracci, mentre lei arrossiva davanti ad Alex e si faceva piccola dall’imbarazzo. Pensavo che dopo tutto questo il loro rapporto sarebbe cambiato, ma visto il loro passato non potevo aspettarmi che andassero improvvisamente d’amore e d’accordo. Ci vorrà del tempo.

«Allora, chi ci ha portati qua?», domando mentre mio padre si siede sul mio letto.
«L’autista che era dietro di voi. Per fortuna non vi siete rotti niente, ma Kyra, la prossima volta che esci vorrei che tu mi avvertissi... soprattutto se esci con qualcuno che ha preso da poco la patente. Al terzo tentativo», spiega mio padre, rivolgendo un’occhiata diffidente ad Alex, che, come me, è alquanto perplesso.
«L’autista... uscire...?». Non capisco. Posso avere i ricordi annebbiati, ma di una cosa sono certa: non è un incidente stradale ad averci portati qua.
«Non ricordi? Avete fatto un incidente andando al cinema. Credo». Sto per controbattere. Dopo tutta la fatica, la sofferenza, il dolore che abbiamo passato per riuscire a distruggere l’ombra nessuno si ricorda niente? Com’è possibile? Come si può dimenticare qualcosa del genere?
Ma quando apro la bocca per rispondere, Alex mi interrompe.
«Sì, andavamo al cinema a vedere un film horror. È colpa mia». È così credibile, mi chiedo come faccia a mentire così bene. Ora come giustificheremo il fatto di essere stati in auto assieme?
I nostri sguardi si incontrano: mi suggerisce di seguire il suo piano e non insistere con la storia dell’ombra, e io faccio come ha detto lui.
«Oh sì, ora ricordo. Forse lo shock per l’incidente mi ha fatto rimuovere quell’istante dalla memoria», dico, portando la mano alla fronte. Spero solamente che non mi facciano fare alcun esame sull’amnesia.
«Da quando andate al cinema assieme?», domanda evidentemente scocciata Eveline, ma poi si ritrae, cercando di nascondersi dallo sguardo di Alex.
«Beh, noi...», e ora che scusa mi invento?
«È da qualche settimana che ci sentiamo ogni tanto, avevamo legato al corso di pronto soccorso. Ironico, vero?». Geniale. È l’unico corso che seguiamo assieme e al quale Eveline non partecipa. È un genio. O forse solamente un gran bugiardo.
«Oh. Non lo sapevo», risponde Eveline rivolgendomi uno sguardo di rimprovero. So che dovrò spiegarle tutto, ma ogni cosa avrà il suo momento. Ora non posso preoccuparmi anche del suo umore. So quanto sia arrabbiata per la mia amicizia col ragazzo che le ha rovinato la vita, e per il fatto che gliel’abbia nascosta, ma non posso farci niente. Mentirle era necessario. O almeno, sarà necessario finché io e Alex non capiremo cos’è successo.
«Per fortuna non vi siete fatti  niente di grave. Ovviamente io e te ne parleremo a casa», dice mio padre con sguardo severo, gonfiando il petto e puntandomi un dito contro, ma nessuno dei due gli crede e così scoppiamo entrambi a ridere.
So che mi farà una piccola predica, ma finirà sempre nello stesso modo: capirò i miei errori, mi prenderà in giro per quello che ho fatto, rideremo e poi sarà di nuovo tutto come prima.
Non è lui che mi preoccupa ora.
«Potete lasciarci un attimo soli?», domando gentilmente. Eveline e mio padre mi sorridono ed escono.

Io e Alex ci guardiamo un attimo e prima che possa parlare lui mi ha già capita.
«Lo so, non ha senso». Mi ammutolisco immediatamente. No, non ha senso.
«E se avessero ragione loro? E se avessimo fatto un incidente e avessimo immaginato tutto?», domando spaventata. Non so perché il pensiero di essermi immaginata tutto mi spaventa ancora di più. Era tutto così reale... non può essere stato tutto finto.
E poi come avremmo potuto immaginare la stessa cosa?
Eppure qualcuno ci ha visti schiantarci con un auto, ci ha soccorsi e portati qua. Come potevamo lottare contro l’ombra e fare un incidente nello stesso istante?
Alex mi guarda perplesso. Non c’è altra spiegazione plausibile, ci siamo immaginati tutto. Dall’ombra, alla lotta, alla pazzia, al caos, alla distruzione. Non c’era niente di vero.
«Come abbiamo fatto a sognare la stessa cosa?», domanda perplesso, con lo sguardo basso e le mani congiunte.
«Non lo so. Che ne dici di vedere com’è il paese qua fuori?».
Ci sporgiamo alla finestra e guardiamo ciò che ci circonda. Non ci sono tracce di incendi, nessun edificio crollato, nessuna vetrina rotta, niente di niente. È tutto come è sempre stato: pulito e ordinato.
Le persone passeggiano tranquille, vedo anche degli abitanti che pensavo fossero morti. C’e anche Anne, la vedo salutare una donna che ero certa di aver visto stesa sul marciapiede solamente due giorni fa.
Come può essere?

Allora è vero, era tutto finto. Le persone non possono resuscitare.
Io e Alex ci guardiamo. È assurdo, mi sarei aspettata di tutto, ma non questo.
Tanta paura, dolore, fatica e per cosa? Per un sogno.
Dovrei sentirmi sollevata. Allora perché mi sento così arrabbiata, perché sento un peso aggiungersi sul mio cuore?
Voglio avere delle prove. Devono esserci delle prove che dimostrano l’esistenza del demone. Deve aver lasciato delle tracce da qualche parte... Il male non passa mai inosservato.
Alex si accorge della mia frustrazione e mi accarezza una spalla.
«Lo so, è uno shock, ma è meglio così. Dopotutto avrebbe potuto tornare, sarebbe stato pericoloso». Lo guardo e lui cerca di infondermi la sua convinzione, ma non ci riesce. Capisco che anche lui si sente come me.
Era tutto finto. Faccio fatica ad assimilare queste tre semplici parole.
«Ma noi avevamo vinto! Abbiamo sofferto così tanto...». Alex mi stringe la mano e mi rivolge uno sguardo di conforto. Mi appoggio su di lui, mentre con una mano mi accarezza la schiena. Poi balzo in piedi.
«Allora come facevamo ad essere in auto assieme? Come facciamo ad avere queste ferite?». La mia speranza non fa a tempo a radicarsi in me, che Alex la spegne.
«L’ombra deve aver creato la finta situazione perfetta prima di andarsene: ha fatto tornare tutto come prima, ci ha messi in un auto e fatti schiantare assieme per spiegare le nostre ferite».
Ha ragione. Sì, dev’essere andata così. Dopotutto che senso avrebbe avuto per l’ombra mostrare la sua esistenza, se questo comportava anche ammettere il suo fallimento? Chiunque avrebbe preferito sparire nel nulla. Questo potrebbe provare l’esistenza del demone, ma ormai nessuno dei due ne è più sicuro. Non è una prova sufficiente. Può essere solamente un’ipotesi. Perfino io percepisco i miei ricordi ingarbugliarsi e farsi sempre più sfocati... la cosa strana è che prima speravo che la mia mente rimovesse tutti quei ricordi impregnati di paura e orrore, ma ora che stanno svanendo così facilmente vorrei tendere una mano e afferrarli. Dimenticare mi fa pensare di essere impazzita.

Torno a sedermi, frustrata.
Io so quello che ho visto. Ho sofferto tanto per salvare questa città e per cosa? Perché nessuno lo sappia. È come se non avessi fatto nulla. Forse in effetti, non ho fatto nulla.
Le immagini dei giorni appena trascorsi scorrono davanti ai miei occhi e iniziano a farsi sfocati. E se davvero non fosse mai successo niente?
Un sogno. È stato tutto un sogno.
Non appena sentiamo dei passi  torno a distendermi sotto le coperte. Entra un medico con una cartellina in mano e subito ci fissa con sguardo di rimprovero.
«Le infermiere mi hanno detto che volete stare nella stessa camera, quindi parlerò direttamente ad entrambi». E così si mette a fare l’elenco delle ferite riportate da ciascuno: bruciature, lividi, tagli più o meno profondi, contusioni...
La sua voce profonda e lenta mi sta facendo venire sonno, così chiudo gli occhi, mentre Alex mi guarda e alza gli occhi al cielo esasperato, mimando con la bocca la voce del medico e tirando fuori la lingua. Non riesco a fare a meno di sorridere, mentre lentamente lascio che il mio cervello si spenga.  
Smetto di ascoltare il dottore e sto per addormentarmi, quando la mano di Alex stringe la mia così forte da farmi sobbalzare.

«Infine avete entrambi uno strano segno sul collo... Non abbiamo mai visto nulla di simile. Nessuno ha mai visto nulla di simile. Sembra una ferita quasi extraterrestre... qualcosa di... soprannaturale. E ve lo dice uno che non crede in queste baggianate. Se siete d’accordo vorremmo procedere con qualche esame più approfondito per scoprire la causa di tale marchio e trovare la cura adatta». Io e Alex ci guardiamo, sorridenti, ed entrambi scuotiamo la testa.
Perché la verità è che nessun esame potrebbe svelare la vera causa di questa ferita. Ce l’abbiamo solo io e Alex, è il nostro marchio. Il marchio che dimostra l’esistenza dell’ombra, che dimostra che la nostra sofferenza è esistita, che abbiamo davvero vinto, che la nostra fatica ha portato ad un risultato, che abbiamo salvato questa città.
Alex mi sorride, intrecciando le sue dita alle mie, mentre i suoi occhi si illuminano come non li avevo mai visti fare.
Dimostra che tutto quello che abbiamo vissuto era vero, e solamente noi possiamo saperlo. 
L'ombra è stata distrutta, abbiamo vinto. Abbiamo vinto assieme.




Angolo Autrice_ 

Ehm... okay, bene *prende respiri profondi*. Questo era l'ultimo capitolo, l'epilogo *piange disperata*
No scusate è che, capitemi, sto tipo sclerando D: scrivere è sempre stato il mio sogno (da piccola non so quante storie ho iniziato a scrivere su word che puntualmente cancellavo per vergogna, LOL ) e sapere che qualcuno ha letto questa storia (ed è pure piaciuta! :O ) mi fa sputare arcobaleni :')
Anyway, prima di passare ai ringraziamenti, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto e non vi abbia deluso (o posso prepararmi il fagotto e andare a vivere sotto un ponte) :D E spero che vi sia venuto qualche dubbio almeno all'inizio :') sì, dovevo finire lasciandovi almeno per qualche secondo con un po' di suspance, se no non ero io :D 

Ora passiamo ai ringraziamenti ç__ç *prende i fazzoletti*
Ringrazio tutte le meravigliose persone che hanno recensito o anche solamente letto la storia, davvero! VI  AMO! Senza di voi non ci sarebbe stato tutto questo (e magari pensate: MEGLIO, ma lasciatemi fangirlizzare da sola un attimo :') )
Un ringraziamento speciale va a Evangelina87 e Kijijale, le mie sorellone che da subito hanno seguito questa storia :) Se non fosse stato per voi non avrei mai preso coraggio e pubblicare qualcosa di mio (anche se in piccolo) sarebbe rimasto solamente un sogno !
A _awkward che si è affezionata così tanto alla storia e in così poco tempo :') Leggere le tue recensioni  è stato bellissimo, se non ne scrivevi una pensavo che il capitolo facesse schifo :')
E ovviamente, ultima ma assolutamente non meno importante, a quella meraviglia di IlariaJH, che ha accettato di leggere questa storia e che mi ha fatta ridere/sentire in colpa/ esultare con le sue immancabili recensioni :3 davvero, sono felicissima di averti chiesto di leggere questa storia e non sai quanto vorrei abbracciarti in questo momento :3 

Grazie ancora a tutti voi di cuore!  E' come se lasciassi andare la prima piccola parte di me e mi mente una malinconia assurda ç___ç  Sappiate che siete stati tutti il mio "motore" e che è stato un onore avervi come lettori :')

Ok, la smetto di annoiarvi con le mie scemenze da sognatrice romanticona, che vi avrò già fatto le palle quadrate (che finezza babba bia) :D
Ora me ne vado, a malincuore ç___ç spero di vedervi alla prossima storia! <3 


ps: Se volete sto scrivendo una ff su Hunger Games, per chi volesse seguirmi ancora :3 Si chiamerà Forced to be fierce,  per altre info sulla storia scrivetemi qui o so twitter (sono @wdridri ) 
pps: WAAAAAAA VI AMO.

GRAZIE 



DriDri_

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