Dream or Reality

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


*banner by in love with horan*

Cap 1

La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
con l'inquietudine vicina del color della carne.

 
Questo recitavano i versi di “Pioggia”, di F. Garcia Lorca, una delle poesie che preferivo. Amavo la pioggia perché sembrava rappresentare tutto ciò che avevo dentro. Era fredda, proprio come me; Costringeva le persone ad allontanarsi da lei, proprio come facevo io, anche se non era proprio colpa mia. A lui non piaceva che parlassi troppo con le altre persone e sapevo cosa sarebbe successo se gli avessi disubbidito. L’idea del dolore, forte e in qualche modo meritato, mi occupò la mente, portandomi ad emettere un gemito. Ma io sapevo di meritarlo, sapevo che dovevo essere punita per ogni cosa che avrebbe potuto ferire o far arrabbiare lui. Sentii la porta scricchiolare, segno che qualcuno l’aveva aperta. Un debole fascio di luce proveniente dal corridoio mi illuminò il volto, ma io non accennai minimamente a distogliere lo sguardo dalla pioggia che cadeva incessantemente sulla strada. Mi piaceva starmene lì, seduta sul davanzale a guardare ciò che succedeva in strada. Guardare le altre persone vivere le loro vite tranquillamente mi ricordava tutto quello che non potevo fare... che non avrei mai potuto fare.
“Rachel... perché non scendi di sotto? Ci sono gli zii e vorrebbero vederti”, disse mio padre rimanendo sullo stipite della porta. Non si azzardava più ad entrare, almeno non da quando aveva fatto quella scenata. Non mi piaceva che qualcuno invadesse i miei spazi o che mi toccasse, così quando una volta era entrato con la forza in camera mia avevo cominciato ad urlare e a dondolarmi seduta sul pavimento. Quella volta i miei genitori si erano davvero preoccupati. Sembrava però che si preoccupassero solo quando avevano davanti ai loro occhi la prova schiacciante che io non stessi bene.
 
Ma tu stai bene, Rachel. Non stai forse bene con me?
 
Lasua voce mi rimbombò nella testa, facendomi tremare. Annuii come per rispondere alla sua domanda e poi mi girai verso mio padre.
“No”, dissi in un sussurro prima di tornare a guardare la strada. Lo sentii sospirare, come se fosse triste. Sapevo però che la sua era solo paura. Aveva paura che la gente si rendesse conto di quanto strana fosse sua figlia. Forse pensava che così i suoi affari sarebbero falliti, e io segretamente ci speravo. Ma loro non sapevano che ormai tutti sapevano che non ero normale. Ogni volta che camminavo per strada vedevo la gente che si girava verso di me, che mi indicava, che mi giudicava. Ma a me non importava, non finché avevo lui.
 
Brava Rachel. Tu sai che puoi stare solo con me. Solo io posso capirti.
 
Mio padre uscì dalla camera ed io tirai un sospiro di sollievo. Mi piaceva stare sola, anche se non ero mai del tutto sola.
 
No Rachel, tu non sei sola. Tu hai me. Me e soltanto me.

“Lo so, Lou. Grazie”, dissi, anche se nella stanza non c’era nessuno.
Figurati piccola. Ora vieni da me
Sapevo cosa voleva dire, così mi avvicinai al letto e mi ci sdraiai. Poi mi allungai e presi la boccetta di pillole per dormire dal comodino. Ne ingerii 3, in modo che durassero a lungo e poi tornai a sdraiarmi. Il sonno mi inghiottì in pochi minuti.
 
Mi trovavo in un prato grandissimo. Il verde dell’erba era spezzato dal bianco delle margheritine appena sbocciate. Riconobbi immediatamente il luogo. Era lì che ci incontravamo la maggior parte delle volte. Ci piaceva quel posto perché eravamo soli, proprio come piaceva a noi.
“Rachel, vieni qui”, mi voltai verso la voce e lo vidi, lì, a pochi metri da me. Era seduto sull’erba, con le braccia rivolte verso di me. Gli sorrisi come facevo solo con lui e lo raggiunsi, sedendomi sulle sue gambe e avvolgendogli la vita con le braccia. Appoggiai la testa nell’incavo del suo collo e mi distrassi annusando il suo profumo. Lui si allontanò per un attimo, giusto il tempo di fissare i suoi occhi blu nei miei. Quello era il suo modo per controllare che fossi stata brava e che non gli avessi disubbidito. In realtà non avevo mai capito perché lo facesse, dopotutto lui era con me anche da sveglia, quindi lo avrebbe saputo se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Dopo qualche minuto tornò a stringermi, sorridendo soddisfatto.
“Sei stata brava oggi. Brava Rachel”. Sorrisi soddisfatta. Mi piaceva tantissimo quando mi faceva dei complimenti, anche perché era l’unico che potesse farmeli. Se qualcun altro si fosse azzardato a dirmi qualcosa di carino poi mi avrebbe punito. A quel pensiero i tagli sul mio braccio cominciarono a bruciare, come a ricordami che dovevo sempre fare attenzione.
“Ti meriti un premio”, sussurrò vicino al mio orecchio. Arrossii perché sapevo quale premio mi sarebbe toccato. Lui si staccò nuovamente da me e, lentamente, portò le nostre labbra a combaciare. Fu un bacio veloce e leggero, proprio come piaceva a noi. Tornai ad abbracciarlo e lui ricambiò la stretta.
“Grazie”, gli dissi.
“Prego piccola. Mi raccomando, fai attenzione domani. Tu non sei come tutti gli altri. Tu sei fragile, speciale... mia. Ricordalo questo: tu sei mia. Ora vai, o farai tardi”. Disse facendomi alzare...
 
Aprii gli occhi e invece del cielo azzurro che mi aspettavo di trovare mi si parò davanti il soffitto bianco della mia camera. Questo voleva dire che era tutto finito, per quel giorno e che se avessi voluto vederlo di nuovo avrei dovuto comportarmi bene.
Brava Rachel, comportati bene
Disse la sua voce nella mia testa. Annuii, proprio come la sera prima e mi alzai per prepararmi. Avevo 17 anni e quindi dovevo andare ancora a scuola. Odiavo andarci, non perché non mi piacesse studiare, ma perché era proprio lì che rischiavo di cadere nel tranello, cioè di pensare che potessi essere come tutti quei ragazzi: normale. Poi sarei stata punita. Mi lavai e vestii velocemente per poi scendere per mettere qualcosa sotto i denti. In cucina trovai mia madre, intenta a bere del caffè e a leggere il giornale del giorno.
“Buongiorno tesoro”, disse alzandosi per abbracciarmi. Spaventata da quello che quel gesto mi avrebbe portato mi tirai indietro, guardandola inorridita. Se avessi lasciato che qualcun altro mi toccasse, altre a lui, sarei stata punita ancora più duramente. E poi, come ho già detto, non mi piaceva essere toccata.
“Amore... ma cosa ti succede? Perché ti comporti così?”, chiese lei cieca, come al solito.
“Sto bene”, dissi soltanto. Le girai attorno e mi sedetti al grande tavolo della cucina per fare colazione. La sentii dietro di me ed ero quasi sicura che mi stesse guardando.

Lei non può capire. Lei non è speciale come te.

Disse Louis nella mia testa. Ed era vero. Anche se l’avessi detto a qualcuno, nessuno mi avrebbe capito. Louis era l’unico che mi conoscesse davvero ed io lo amavo. Era per questo che durante le sedute dallo psicologo alle quali i miei mi obbligavano me ne stavo perlopiù zitta e annuivo. Non volevo che qualcuno riuscisse a portarlo via da me. Lui era la mia salvezza... ma anche la mia condanna. Finita la colazione misi la tazza nel lavandino e uscii di casa senza degnare
mia madre neanche di uno sguardo. Mi incamminai verso la scuola sperando che la giornata passasse presto, così che avrei potuto rivederlo.
“Perché devo andare a scuola? Non potrei stare con te tutto il giorno?”,  gli chiesi.

Perché non puoi farlo, Rachel.

“E perché no? Le persone normali vanno a scuola, ma io non lo sono, giusto? Io sono speciale!”.

Adesso basta! Tu devi ascoltarmi, capito? Devi fare quello che ti dico io. Va’ a scuola e basta.

Lo avevo fatto arrabbiare, lo sentivo dalla voce nella mia testa. Sapevo che non avrei dovuto farlo, che poi ci sarebbero state delle conseguenze, ma era stato più forte di me. Rimase in silenzio per tutta la giornata ed io mi sentii sola. Per me era normale non parlare con nessuno e starmene sola a scuola, ma la sua mancanza si faceva sentire. Stavo pensando a quello che mi sarebbe toccato una volta arrivata a casa per colpa della mia impertinenza e non mi accorsi di un ragazzo che correva nella mia direzione. Inevitabilmente ci scontrammo ed io caddi a terra.
“Oddio scusa! Andavo di fretta e non ti avevo vista”, disse il ragazzo porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi. Era biondo, con due occhioni azzurri che mi fissavano preoccupati. Ignorai la mano e mi alzai da sola.
“Stai bene?”, chiese ancora.
“Sì”, dissi raccogliendo i libri e andandomene. Avevo parlato con qualcuno e quel qualcuno mi aveva toccata. Sarei stata sicuramente punita quella sera. Quasi mi venne da piangere per paura di quello che mi sarebbe successo, ma cercai di rimanere forte. A lui non piaceva quando piangevo. Le lezioni passarono in fretta e dopo l’ultima campanella mi preparai per tornare a casa. Stavo per uscire dal cancello della scuola quando qualcuno mi afferrò per il polso.
“Ehi!”, esclamò il ragazzo biondo di prima. Io ritrassi il polso velocemente, come se mi avesse scottata e lui mi guardò confuso.
“Quando te ne sei andata oggi, hai dimenticato di prendere questo”, disse porgendomi un libro che riconobbi come il mio libro di matematica. Lo presi e lo infilai nella mia cartella. Avrei dovuto ringraziarlo, scusarmi per essere scappata via così, ma ero già nei guai e non volevo aggiungerne altri. Lo guardai un’ultima volta, inespressiva, per poi girarmi e andarmene. Aveva anche cominciato a piovere ed io non avevo un ombrello, ma non era un problema per me. La pioggia mi aiutava a pensare, mi piaceva. In poco tempo arrivai a casa, completamente fradicia. Come al solito in casa ero sola. I miei genitori non c’erano praticamente mai, questo per colpa del loro lavoro che li obbligava a stare fuori casa quasi tutto il giorno. Questo era quello che dicevano loro, ma io ero sicura che fosse perché non volevano avere niente a che fare con me. Salii in camera mia per cambiarmi, ma appena varcai la soglia Louis parlò.

Vieni subito da me.

Era arrabbiato, il che non prometteva niente di buono.
“Devo cambiarmi...”.

No, non devi. Vieni da me e basta.

Annuii abbassando la testa e raggiunsi il letto. Presi le pillole e mi addormentai.
 
Era lì, come al solito, seduto su quel prato verde. Mi stava aspettando, ma non come la sera prima. Nel suo sguardo non c’era nessun segno di bontà. Gli occhi non erano altro che lastre di ghiaccio, duro e freddo.
“Vieni qui”, disse di nuovo. Mi mossi e lo raggiunsi, senza però sedermi vicino a lui. Senza dirmi niente mi tirò per un braccio per farmi sedere e mi afferrò il volto. Fissò di nuovo i suoi occhi nei miei e mi studiò per qualche minuto, per poi spingermi via.
“Sei stata cattiva, Rachel, e lo sai cosa succede alle ragazze cattive?”, chiese arrabbiato. Mi trattenni dal piangere e abbassai lo sguardo. Lui però mi riafferrò e portò la mia faccia vicinissima alla sua.
“Devi essere punita. Vai, ora!”, disse urlando. Sapevo che se non lo avessi fatto ci sarebbero state conseguenze peggiori, quindi mi alzai...
 
Aprii gli occhi e non riuscii a frenare una lacrima che, lentamente, mi attraversò il volto.

Piangi?! Non puoi piangere! Sei stata cattiva e non hai il diritto di piangere!

“Hai ragione”, dissi asciugandomi la lacrima. Ed era vero. Ero stata cattiva, gli avevo disubbidito. Avevo parlato con uno sconosciuto, lo avevo toccato, lo avevo fatto arrabbiare... meritavo di essere punita. Era solo colpa mia e mi serviva una bella punizione. Mi alzai dal letto e mi diressi in bagno. Chiusi la porta a chiave e aprii l’anta dell’armadietto, prendendo una scatolina. La aprii e tirai fuori quello che mi serviva. Mi portai la lametta al braccio e premetti con forza per poi trascinarla per tutto il polso. Immediatamente alcune gocce di sangue scarlatto mi imperlarono il braccio colando nel lavandino. Cercai di ignorare il dolore perché sapevo che se mi fossi lamentata sarebbe stato peggio. Ma non era colpa sua, era solo colpa mia.

Non è abbastanza. Ancora!

Ripetei lo stesso gesto, premendo ancora più forte. Di conseguenza il sangue aumentò, arrivando a colorare il lavandino.
Ecco, ora può bastare. Brava, piccola.
Sorrisi, felice che fosse tornato calmo e che mi avesse chiamata “piccola”. Ora che ero stata punita poteva tornare tutto normale. Mi fasciai il polso e pulii il lavandino per non lasciare macchie che avrebbero fatto preoccupare i miei genitori. Poi nascosi la lametta nell’armadietto e uscii dal bagno.

Brava la mia piccola. Ti amo, lo sai?

Se mi aveva fatto fare tutto quello per farmi capire che non dovevo fare quelle cose da “persone normali” era perché voleva proteggermi, e le persone proteggono coloro che amano, no?

“Sì, lo so. Ti amo anch’io”, risposi desiderando solo che la notte arrivasse presto.
 

Saaaaaaaaalve gente!
Ok, vi prego non tiratemi niente. Lo so che fa schifo, che non è il mio genere e che è un mattone,
ma mi era venuta l'ispirazione e non potevo non scrivere!
Di solito non scrivo ff di questo genere, ma non so, volevo provarci.
Allora, che ve ne pare? Il primo capitolo è un po' un macello e non ci capisce niente, ma capirete più in là.
Non aggiornerò tanto spesso perchè sono già molto impagnata con l'altra ff su Harry.
Vaaaaaaa bene, mi scuso ancora per l'orrenda cagata che mi è uscita.
No, non sono pazza, almeno credo.
Ah, il banner è stato creato da quella genia di

in love with horan
che mi sopporta tutti i giorni e che scrive delle storie favolose. Passate, dai! Vi assicuro tantissime risate.
Credo sia tutto.
Se volete lasciarmi una recensione, anche per insultarmi, io sono qui.
Se volete vi passo la scatola di pomodori (?).
Ok basta, evaporo.
Ciaoooooooo!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Cap 2

Il giorno dopo mi svegliai sul pavimento. Non era la prima volta che finivo lì, quindi per me non c’era da preoccuparsi. Ma evidentemente mia madre, che era stata la prima a trovarmi sdraiata a terra, si era spaventata, così aveva chiamato l’ambulanza senza pensare neanche per un attimo che stessi semplicemente dormendo. Beh, forse non semplicemente. A causa delle sue urla mi ero svegliata, lasciando Louis senza neanche salutarlo. Ero talmente arrabbiata che l’avrei buttata volentieri giù dalla finestra, ma mi trattenni dal farlo.
“Rachel! Stai bene? Ho chiamato l’ambulanza e sta arrivando. Tu rimani sdraiata!”, mi disse con il fiatone mentre mi sorreggeva la testa. Ma io non avevo niente che non andava.
“Mamma sto bene...”.
“No, tu non stai bene. Non è normale dormire sul pavimento! Oggi stesso ti porto dallo psicologo, forse lui può dirci qualcosa”. Ecco che rigiocava la carta dello psicologo. Ogni volta che facevo “qualcosa di strano”, come lo definiva lei, mi portava da quel vecchio che forse era messo peggio di me. Probabilmente preferiva accollare i miei problemi ad altri, pur di non ascoltarmi.

Lei non potrebbe capire, amore.

“Lo so”, risposi senza pensare.
“Cosa?!”, chiese mia madre guardandomi dubbiosa.
“Niente mamma, sto bene e non ho bisogno né di medici, né di quel vecchio”, dissi spingendola via per poi alzarmi. Senza starla a sentire entrai in bagno e chiusi la porta a chiave. Cominciai a lavarmi cercando di ignorare i suoi urli che mi dicevano di aprire la porta. Quando ebbi finito la aprii e uscii tranquillamente, con l’intento di vestirmi per andare a scuola, ma quella pazza urlante mi prese per un braccio e mi portò di fronte a lei.
“Mi vuoi ascoltare? Tu non stai bene! Sei troppo magra e pallida e in più hai delle profonde occhiaie. Sembra che tu non dorma la notte. Ascoltami, tra poco arriverà l’ambulanza e ti porterà in ospedale. Facciamo dei controlli e poi andiamo dal signor Trevor, vedrai che lui riuscirà a capire cos’hai”.
“Sì, come l’ha capito in quest’anno in cui lo avete continuato a strapagare per niente. Mamma, io non ho bisogno di ospedali o psicologi!”.

Tu hai bisogno di me.

“Esatto”.
“Cosa?!”, chiese lei di nuovo.
“Niente mamma, non stavo parlando con te”, dissi tradendomi.
“E con chi stavi parlando?”, chiese lei guardandomi tra lo spaventato e il curioso.

Non dirglielo. Sarebbe gelosa di noi. Tu sei speciale e lei non può capire.

“Con nessuno. Ora scusami, ma farò tardi a scuola”, dissi per poi vestirmi in fretta e uscire di casa senza fare colazione. Quel giorno c’era il sole e questo contribuì a peggiorare il mio umore. Mi sentivo fuori posto in una bella giornata del genere. Arrivai a scuola in largo anticipo, così mi sedetti su una panchina e aspettai il suono della campanella.

Non preoccuparti, se ne sarà già scordata.

Lo credevo anche io. Era sempre stata troppo occupata per pensare a me e la situazione non sarebbe cambiata.
“Lo so”, dissi sospirando tristemente.

Perché sei triste?

“Perché mi rendo conto che non è cambiato niente da quando ero una bambina. Continuano ad ignorarmi e si arrabbiano se io faccio lo stesso”.

Ma tu non hai bisogno di loro. Tu hai me.

“Hai ragione. Grazie amore...”.
“Parli da sola?”, chiese una vocetta stridula alle mie spalle. Mi voltai incrociando lo sguardo perfido di Margaret Rose, una ragazza della mia stessa età che non sopportavo.
“N-no”, balbettai.
“Non mentire, stavi parlando da sola. Ecco, ve l’avevo detto che era pazza”, disse rivolta alle ragazze dietro di lei che subito iniziarono a ridere.

Non reagire. Loro sono diverse.

“Magari stava parlando con il suo fidanzato immaginario”, continuò la ragazza.

Trattieniti, Rachel.

“Anche perché credo che con la testa che si ritrova possa aspirare ad avere solo quello”.
Ubbidiscimi!

Non ce la facevo, non potevo starmene zitta mentre quella mi umiliava davanti a tutti, parlando male di me. Aprii la bocca per risponderle, ma venni interrotta da due urli. Uno era dentro la mia testa, ed era di Louis.

Non ci provare!

Aveva detto. L’altro però veniva dalla massa di persone che si era formata dietro a Margaret. Il ragazzo che aveva urlato si fece spazio tra le persone per poi mettersi tra me e la ragazza.
“Basta”, ripeté. Provai un senso di gratitudine per quel ragazzo che si era azzardato a prendere le mie difese, ma cercai di reprimerlo subito. Lui era come tutti gli altri, non avrebbe capito. Lo riconobbi: era il ragazzo del giorno prima.
“Cosa c’è Horan?”, chiese Margaret infastidita.
“Smettila di darle fastidio. Se sei annoiata va’ ad importunare i tuoi tirapiedi”, rispose il biondo stringendo i pugni. La ragazza lo guardò male per poi andarsene, seguita da tutti i ragazzi che erano venuti a vedere cosa stesse succedendo. Quando si furono allontanati tutti il ragazzo si voltò verso di me, tendendomi una mano, proprio come il giorno prima. Sorrise, facendo splendere gli occhi azzurri.
“Sono Niall”, disse ancora con la mano verso di me. Ebbi l’impulso di stringerla, di parlargli, di ringraziarlo per avermi difesa, ma la voce di Louis mi ordinò di fermarmi.

Non disubbidirmi.


Ripeté. Non volevo essere punita di nuovo e non volevo farlo arrabbiare, così quando la campanella suonò mi alzai e scappai nella scuola.
Dopo le lezioni mia madre mi era passata a prendere a scuola, anche se non l’aveva mai fatto.
“Ti porto dallo psicologo, che tu lo voglia o no”, aveva detto quando ero salita in macchina. Come risposta io avevo sbuffato, ma mi ero arresa. Dopotutto, sarebbe stata la solita noiosissima ora con il solito noiosissimo uomo che provava a farmi dire qualcosa.

Tranquilla, passerà. Appena torni a casa ci risentiamo.

Cosa voleva dire? Che non sarebbe rimasto con me? Non potevo chiederglielo perché c’era mia madre lì e per quel giorno le avevo già dato troppe preoccupazioni, così aspettai di essere sola nella stanzetta bianca del signor Trevor.
“Cosa vuoi dire? Non rimani con me?”, chiesi, ma lui non c’era più. Perché se n’era andato? L’avevo fatto arrabbiare? Sperai di no perché avevo una voglia matta di stare tra le sue braccia. La porta dietro di me si aprì e una ragazza bionda con due grandi occhioni marroni fece il suo ingresso nella stanza. Era giovane, forse sui 30 anni, e aveva un sorriso stampato in faccia.
“Ciao! Tu sei Rachel, giusto?”, chiese ed io mi limitai a fissarla interrogativa.
“Beh, ecco... il dottor Trevor è stato trasferito, ed io sono qui per sostituirlo. Non ti dispiace, vero?”, chiese ancora. Io feci spallucce, tanto non avrei parlato neanche con lei. La ragazza si sedette su la poltroncina in pelle davanti a me e cominciò a parlare.
“Allora, tua madre mi ha detto che sei strana ultimamente, ma vorrei che fosse chiara una cosa: io sono qui per parlare con te, non con tua madre, perciò mi baserò solamente sulle informazioni che mi darai tu. Non le dirò niente, promesso. Allora, vuoi cominciare col dirmi se ti senti bene?”, chiese la ragazza. Io la guardai, chiedendomi perché si aspettasse che parlassi con lei.
“Io sono Lara. Dai Rachel! Parla con me”, disse sporgendosi verso di me e poggiandomi una mano sulla spalla. Io quasi automaticamente mi ritirai, infastidita da quel tocco. Però poi la guardai bene: gli occhioni marroni, la bocca aperta in un sorriso benevolo... ispirava fiducia, così le concessi una breve risposta.
“Sto benissimo, grazie”, risposi atona.
“Sicura?”, chiese fissandomi ancora più intensamente, come se mi stesse studiando. Io annuii scocciata e lei tornò a sedersi tranquilla.
“Allora dimmi, dormi bene la notte?”, chiese frugando in mezzo ad una pila di fogli. Pensai a tutto ciò che mi accadeva di notte e sorrisi.
“Sì”.
“Non ti succede mai niente di strano, qualche brutto sogno...”.
“No. Non ho mai brutti sogni”.
“E cosa sogni di solito?”. A quella domanda non avrei mai risposto, neanche sotto tortura. Volevo che tutta la storia di Lou restasse segreta, quindi non sarei mai andata a spiattellarla in faccia ad una strizzacervelli. Come risposta sprofondai ancora di più nella poltrona, senza accennare a voler rispondere.
“Ho capito, non ti piace questa domanda. Come va la scuola? Hai molti amici lì?”, mi chiese. Quella era una domanda molto più facile e a cui potevo rispondere quasi con sincerità. D'altronde, i miei problemi ad integrarmi non erano un segreto.
“Ho buoni voti ma odio la gente che c’è lì”.
“Odi proprio tutti?”. Ci pensai un attimo su e il volto del ragazzo di quella mattina mi si parò davanti agli occhi, come se fosse davvero lì. Beh, ero sicura di non odiarlo perché si era rivelato diverso dagli altri, ma non potevo dire di conoscerlo bene.
“Non è così, vero?”, mi incalzò Lara.
“No”, mi lasciai sfuggire e mi pentii subito di aver risposto. Lei non doveva sapere ciò che mi passava per la testa.
“E chi secondo te è in qualche modo diverso dagli altri? Me ne vuoi parlare? E’ un tuo amico?”, scossi la testa abbassando lo sguardo. Poi però pensai che non fosse un male parlare del ragazzo, almeno avrei portato la conversazione lontano da Louis.
“E’ biondo e ha gli occhi azzurri come il cielo. E’ gentile, ma un po’ sbadato. L’ho conosciuto perché mi è venuto addosso nel corridoio. Oggi mi ha difesa dalle accuse di una ragazza. E’ stato... carino, credo”, dissi stringendomi nelle spalle. Per me era strana quella situazione perché non mi ero mai trovata a parlare bene di un mio compagno di scuola.
“Come si chiama?”. Ripensai a quella mattina, quando mi aveva detto il suo nome.
“Niall”, risposi sicura.
“E ti piace?”. Ripetei lo stesso gesto che avevo fatto quando mi aveva chiesto dei miei sogni. Come poteva piacermi qualcuno al di fuori di lui? Non lo avrei mai tradito! Lui era la mia vita, l’unico che mi fosse rimasto accanto. E poi non lo conoscevo per niente quel ragazzo.
“Non lo conosco”, dissi infatti.
“E perché non provi a farlo? Dopotutto, non sarebbe interessante scoprire cos’è che lo differenzia dagli altri? Non è un po’ speciale...come te?”. A quelle parole la voce di Louis mi ronzò in testa, come se fosse tornato a parlarmi.

Tu sei speciale, nessuno può capirti a parte me.

No, nessuno era come me, quindi non avrebbe avuto senso provare a conoscerlo.
“Dai, pensaci un attimo. Non credi che proprio perché è diverso dagli altri sia spesso lasciato in disparte come accade a te? Non sarebbe bello se diventaste amici? L’hai detto anche tu che è gentile”. Per un attimo presi davvero in considerazione quelle parole, ma poi pensai a quello che mi era successo per averlo solo toccato e per averci scambiato due parole.
“Non posso”, sussurrai.
Perché?”. Eccolo, il nocciolo della questione. Non importava quanto cercassi di cambiare argomento, riuscivo a tornare sempre al punto di partenza: Louis. Chiusi gli occhi e scossi la testa per far capire che non avrei risposto.
“Va bene, la seduta è finita. Ci vediamo mercoledì, cioè tra due giorni. Mi raccomando, pensa a quello che ti ho detto... a quello che tu hai detto. Prova a seguire i miei consigli, vedrai che farai dei progressi”, disse mentre mi alzavo e mi rinfilavo la giacca. Non la salutai nemmeno e uscii subito dalla piccola stanzetta.
“Allora? Com’è andata?”, chiese mia madre. Io feci spallucce e continuai a camminare senza risponderle. Lei rinunciò a chiedermi altre cose per poi seguirmi e tornare alla macchina. Durante il viaggio verso casa aspettavo con ansia il momento in cui la voce di Louis sarebbe tornata ad occuparmi la mente, ma quel momento arrivò solo quando fui ormai in camera mia, sdraiata sul letto.

Ciao amore.

Disse tranquillo. Almeno non era arrabbiato.
“Ciao. Perché te ne sei andato? Avevo bisogno di te”, piagnucolai.

Non posso più venire dallo psicologo con te, mi dispiace. Quando sei lì devi cavartela da sola. Ma mi fido di te e so che non dirai niente che possa rovinarci, vero amore?
Com’è andata oggi?


“Come al solito. Ora non c’è più il Dottor Trevor ma una ragazza. Mi ha detto di chiamarsi Lara. E’... simpatica, ma non le dirò niente comunque”.

E lei? Cosa ti ha detto? Di cosa avete parlato?

Che cosa dovevo fare? Mentirgli o dirgli la verità? Se lo avessi fatto probabilmente sarei stata punita perché avevo parlato bene di un altro ragazzo. Dopotutto, se lui non poteva venire dallo psicologo con me, voleva dire che tutto ciò di cui avrei parlato con Lara sarebbe rimasto un segreto per lui. Decisi quindi di mentirgli.
“Di niente. Lei voleva sapere cosa sognassi e io le ho risposto che non sogno un bel niente”.

Brava la mia piccola. Ora dai, vieni da me.

Sorrisi posizionandomi meglio sul cuscino e, sorridendo, mi addormentai. Ma in quel momento non ero mai stata così sveglia.


Ciaooooooo!
Sì, finalmente ho deciso di aggiornare.
Allora, non so se questa storia continuerà, perché è molto diversa dal mio genere.
In più, per quanto io abbia aspettato prima di aggiornare, il primo capitolo non ha ricevuto
NESSUNA RECENSIONE.
Quindi devo dedurre che la storia non piace neanche a voi.
Boh, vediamo come va con questo capitolo.
Se vedo che nessuno se la caga la cancello, tanto ne ho altre da scrivere.
Che poi però sarebbe un peccato perchè le idee le ho, solo che se non legge nessuno non ha senso scrivere, no?
Vabbè, fatemi sapere.
Spero tanto in un vostro parere.
Un bacio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cap 3

In quella notte avevo scoperto tante cose. Quando mi ero avvicinata a Louis lui mi aveva abbracciata senza problemi e, quando mi aveva guardata negli occhi, non aveva trovato niente di strano. Mi ero aspettata che capisse che gli avevo mentito e che mi punisse, ma invece niente. Aveva continuato ad abbracciarmi e ad un certo punto mi aveva anche baciata. Ma quello era stato un bacio diverso, almeno per me. Di solito, in quei momenti, mi si mozzava il respiro, il cuore cominciava a battere velocemente e mi sentivo come se tutto dipendesse da quel piccolo contatto. Quella notte però io non avevo sentito quelle cose. Era stato un bacio come un altro, e non mi sapevo spiegare il perché. Lui però non aveva capito niente, per mia fortuna, e aveva continuato a coccolarmi. Quando poi le urla di mia madre annunciarono che era arrivato il momento che mi svegliassi, mi aveva salutato come al solito, e anche quella volta c’era stato qualcosa di strano. Di solito mi si stringeva il cuore quando dovevamo salutarci, ma in quel momento non aveva provato niente. Perché mi stava succedendo tutto questo? Era lui che mi stava allontanando come tutti gli altri?O ero io? No, era impossibile. Louis era tutto ciò che avevo, non potevo rifiutarlo così, da un momento all’altro. Pensai che fossi solo stanca. Tutta la storia della scuola e della psicologa mi aveva stancato parecchio, quindi poteva essere solo quello. La mattina dopo mi alzai normalmente e, come tutte le mattine, il suo

Buongiorno.

Risuonò nella mia testa.
“Buongiorno amore”, gli risposi. Mi preparai e scesi per fare colazione. Mia madre non era lì, segno che era andata a lavoro presto quella mattina. Senza perdere altro tempo uscii di casa per andare a scuola. Era un’altra bella giornata, ma chissà perché quello non intaccò il mio umore.

Oggi sei felice. Perché?

Mi chiese Lou. Ecco, perché? Non lo sapevo nemmeno io, ma era una sensazione strana, quasi estranea.
“Non lo so”, dissi sinceramente.

Fai attenzione a scuola, mi raccomando.

Sapevo cosa voleva dire con quel “fai attenzione”, quindi annuii. Quando arrivai la campanella non era ancora suonata, quindi decisi di sedermi un po’ sulla panchina del giorno prima a ripassare. Neanche qualche minuto dopo mi si avvicinò qualcuno. Quando alzai lo sguardo per vedere chi fosse incontrai gli occhi azzurri di Niall. Perché si ostinava a parlarmi? Perché non poteva ignorarmi come tutti gli altri? Cercai di odiarlo, proprio come facevo con le altre persone, ma un sentimento diverso mi si fece largo nel petto. Non sapevo ben dire cosa fosse, ma mi aiutò a trovare la forza di alzarmi.
“Io sono Rachel”, dissi e lui mi porse di nuovo la mano, proprio come il giorno prima. Avevo già rischiato tanto parlandogli, non potevo anche toccarlo, anche perché solo l’idea di essere toccata da qualcuno mi spaventava. Quindi ignorai la mano e lui la abbassò.
“Perché fai così? E’ un gesto normale stringersi la mano quando ci si presenta”, disse lui curioso.

Ma tu non sei normale, Rachel.

Le parole di Louis mi occuparono la mente, come se fosse lì. Un attimo, ma dov’era Louis? L’avevo sentito un attimo prima che Niall si avvicinasse!
“Se non vuoi rispondere va bene lo stesso. Ma perché stai sempre qui da sola?”, mi chiese.
“Perché io non ho amici”, risposi. Ma cosa stavo facendo? Non potevo approfittare della strana assenza di Louis per parlare con un estraneo!
“E perché no?”, continuò Niall. Non so perché risposi, credo che lo strano sentimento che mi aveva spinta ad alzarmi e presentarmi mi avesse spinta a fare anche quello.
“Perché io sono diversa”, dissi.
“In che senso diversa?”, chiese ma io avevo già parlato troppo. Per fortuna la campanella suonò ed io corsi in classe, lasciandolo di nuovo lì. Appena entrai in classe la voce di Louis tornò ad occuparmi la mente.

Rachel? Rachel?! Che è successo?

Chiese ma io non risposi. Avevo paura che si arrabbiasse, che decidesse di punirmi di nuovo.

Per un attimo non ti ho sentita più. Cosa hai fatto?

Quindi non mi aveva sentita? Non aveva visto cosa avevo fatto con Niall? Com’era possibile? Da quando mia madre mi aveva portata dallo psicologo c’erano stati dei momenti in cui era stato assente. Precisamente quando ero dallo psicologo e quando avevo parlato con Niall.
“Niente”, dissi a bassa voce per non farmi sgridare dalla professoressa.

Perché non sono riuscito a sentirti?

“Me lo sto chiedendo anch’io. Non lo so”.

E’ come se fossi stato costretto ad andarmene, capisci? Come quando sei andata dalla psicologa. Mi stai nascondendo qualcosa?

“No Louis! Io...”, risposi ma a voce troppo alta.
“Rachel! Con chi stai parlando?”, chiese la professoressa. Mi limitai a stare zitta. Intanto non avrei saputo cosa rispondere, e poi non volevo parlarle. Non c’era stato quel senso di riempimento ché mi aveva travolta quando avevo parlato con Niall.
“Sicuramente stava parlando da sola, con chi altro sennò?”, sghignazzò Margaret facendo ridere tutta la classe. La professoressa la fulminò con lo sguardo e poi tornò a guardare me.
“Che non si ripeta mai più”, disse per poi tornare a spiegare. Passai l’ora in silenzio e anche Louis evitò di parlare. Quando suonò la campanella tornò a parlarmi.

Ne riparliamo a casa.

“Ok. Ti amo”.

Ti amo picc...

“Cosa?”, chiese qualcuno vicino a me. Mi voltai e mi ritrovai davanti a Niall.
“Cosa hai detto?”, mi chiese.
“Niente. Cosa ci fai qui?”, dissi spinta dal solito senso nella mia pancia.
“Dovevo portare un foglio alla professoressa, ma credo se ne sia già andata. Comunque lo so che hai detto qualcosa, ma se non vuoi dirmelo non fa niente. Ci vediamo a ricreazione”, disse e se ne andò. Per un attimo rimasi lì, immobile, a guardarlo scomparire in mezzo alla massa di persone che affollava il corridoio, beandomi del silenzio dei miei pensieri. Un attimo, silenzio? Perché era tutto silenzioso?

Rachel? Rachel mi senti?

Ah, ecco la voce di Lou che tornava a riempirmi la testa.
“Sì, ora ti sento”, risposi in un sussurro.

Non capisco, come mai a volte non riusciamo a sentirci?

“Non lo so Lou”, risposi di nuovo. Quando vidi la professoressa di spagnolo avvicinarsi nel corridoio rientrai in classe e mi sedetti al mio banco. Mi piaceva lo spagnolo, era una lingua così musicale. La lezione cominciò tranquillamente e per un po’ Louis non disse niente. Quando mancavano solo 10 minuti alla ricreazione lo sentii di nuovo.

Non so perché accade tutto questo, ma lo scoprirò. Mi raccomando, stai sempre attenta e non disubbidirmi.

“Certo Lou, non lo farei mai”. Mi morsi a sangue il labbro inferiore per evitare di dirgli la verità. Non doveva assolutamente sapere di Niall o di quello che avevo detto alla psicologa. Se l’avesse saputo mi avrebbe punita pesantemente, ed io non volevo che accadesse. Per la prima volta in tutta la mia vita mi ritrovai a mentire alla mia unica salvezza. Seguendo la calca di gente mi recai in giardino per respirare un po’ di aria fresca. Quasi immediatamente sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Involontariamente me la scollai subito di dosso, ma quando vidi a chi apparteneva mi calmai.
“Ciao”, disse Niall sorridendomi.
“Ciao”, risposi io tentennando, sempre con la stessa sensazione alla bocca dello stomaco.
“Ti va di sederti un po’ con me?”, mi chiese indicando una panchina posta proprio sotto ad un pino che faceva un po’ di ombra. Annuii flebilmente, incerta sul da farsi. Che c’era di male nel sedersi vicino a lui e parlare un po’? Perché per una volta non potevo lasciarmi andare e fare qualcosa da persone normali? Ci sedemmo ed io cercai per quanto possibile di mantenere le distanze. Va bene lasciarsi un po’ andare ma di sicuro non avrei cambiato il mio modo di pensare. Non avrei mai tradito Lou.
“Allora, so che ti chiami Rachel, che secondo te non sei normale e che per questo non hai amici. Puoi spiegarmi perché credi di non essere normale?”, mi chiese avvicinandosi un po’ e sorridendomi benevolmente.
“Io non sono normale perché... non lo so”, confessai abbassando lo sguardo.
“Chi ti ha detto che non sei normale?”. A quella domanda sbiancai.
“N-nessuno”, balbettai.
“Andiamo, dici di non essere normale ma non sai il perché, é evidente che qualcuno ti abbia messo in testa queste cose”, disse facendo spallucce. Mi presi un momento per pensare alla risposta. Da quello che ricordavo non mi ero mai considerata una ragazza “normale” perché... c’era Louis. Nessuno avrebbe mai potuto capire l’amore che c’era tra me e Louis, quindi mi ero convinta di essere in qualche modo diversa, e poi lui non faceva altro che ripetermelo, ogni giorno, in qualsiasi situazione.
“Ho sempre saputo di essere diversa perché non mi comportavo come gli altri, nessuno mi ha messo in testa niente”, risposi timidamente.
“Ok, ti credo, ma vorrei dirti che non sempre essere “normale” è una bella cosa, a volte le persone diverse sono quelle migliori”, disse prima che suonasse la campanella. Salutandomi con un sorriso che mi fece arrossire si alzò e rientrò a scuola. Poco dopo la voce di Louis tornò a rimbombarmi nella testa.

Dobbiamo parlare.

In una circostanza normale avrei rabbrividito a questa parole, ma non sapevo perché, sembrava che mi scivolassero addosso come l’acqua sulla plastica. Stavo cambiando, non potevo mentire a me stessa, e la cosa mi piaceva.

Salve popolo di Narnia! (?)
Come promesso, l'ho continuata.
In realtà ero convintissima di aver aggiornato chissà quanto tempo fa, ma efp non mi ha messo il capitolo!
Giuro, non è da me far aspettare così tanto le persone.
Poi ho letto le recensioni e, dopo aver visto che effettivamente il capitolo non c'era, mi sono chiesta "perché non aggiornare ora?".
Ed eccoci qui.
Mi avete davvero aiutata con le recensioni e per questo vi ringrazio tutte.
UN VIRTUAL HUG! (?)
Fatemi sapere che pensate di questo capitolo.
RACHEL STA CAMBIANDOOOOOOOOOOO!
Ci sentiamo presto, promesso.
Un bacio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



Cap 4

Mi svegliai per colpa di un calore insopportabile proprio al livello del volto. Solo dopo aver aperto gli occhi mi resi conto che era per colpa del sole che era riuscito a sfuggire dalle tende e che mi puntava proprio in faccia. Sbuffando mi misi a sedere e controllai la sveglia: ero in anticipo di mezz’ora. Decisi comunque di alzarmi e di prepararmi con comodo.

Buongiorno tesoro.

Buongiorno Lou”, risposi.
Mentre mi concedevo una doccia rilassante mi tornarono in mente le parole di Louis della scorsa notte. Non era arrabbiato, era solo preoccupato che, nei momenti in cui non riusciva a sentirmi, potessi fare qualche macello. Dal canto mio sapevo che le sue paure erano fondate, perché da quando avevamo quei buchi nella comunicazione avevo cominciato a comportarmi diversamente, a disubbidirgli. Ormai mi ero fatta qualche idea sul perché di quei vuoti nella mia testa ed ero arrivata alla conclusione che mi succedesse ogni qualvolta mi trovavo in una situazione diversa dal solito, o con persone diverse. Naturalmente non ne avevo fatto parola con Louis perché poi avrei dovuto spiegare quali erano queste “situazioni diverse dal solito” e proprio non mi andava di sorbirmi i suoi rimproveri. Lo amavo, ma a volte era pesante. Scesi in cucina e, come pochi giorni prima, ci trovai mia madre.
“Come mai così presto?”, mi chiese mentre era intenta ad imburrare una fetta biscottata. Io feci spallucce prendendo uno yogurt dal frigo.
“Ricordati che oggi hai la seduta dalla psicologa. Ti vengo a prendere a scuola e ti ci porto io, va bene?”. Io annuii distratta. Una seduta dalla psicologa voleva dire che Louis non sarebbe stato in contatto con me per molto tempo. Mi fermai un momento a pensare alla mia ultima seduta. Prima di andare via mi aveva chiesto di provare a conoscere Niall ed io avevo deciso di non darle ascolto, ma ultimamente le cose erano cambiate. Avevo parlato con Niall e avevo scoperto che non era per niente male, anzi, mi stava quasi simpatico, ma sapevo che non sarebbe durata. Io non ero come gli altri e parlare con Niall non mi avrebbe aiutata in nessun modo. Di certo non ci avevo parlato per fare un favore alla psicologa. Era solo successo, e non volevo che si prendesse chissà quale merito. Sapevo comunque che mi avrebbe chiesto se avessi seguito il suo consiglio e io mi sarei trovata a dover dire di sì.
Poco dopo uscii di casa con lo zaino in spalla, pronta per una nuova giornata scolastica.

Oggi devi andare di nuovo dalla psicologa, vero?

“Sì”, dissi con la voce piatta.

Quindi non potremo parlarci per un po’.

“Già”, mi limitai a dire mentre attraversavo il cancello della scuola, ancora gremito di gente, segno che la campanella non era ancora suonata. Mi diressi verso la solita panchina per ripassare un po’ matematica, dato che alla seconda ora avrei avuto il compito. In quel momento successe qualcosa di strano. Percepii un tocco proprio sulla mia spalla, ma non fu quello a farmi sobbalzare sulla panchina, bensì quello che quella mano mi trasmise. Fu come una scossa elettrica non dolorosa che mi attraversava la spina dorsale e che mi infondeva... fiducia? Era fiducia quella che sentivo? Ormai non lo sapevo più nemmeno io.
“Ciao Rachel”, mi salutò Niall. Lo guardai solo per un attimo per poi posare lo sguardo sulla sua mano ancora posata sulla mia spalla. Lui intercettò il mio sguardo e, evidentemente imbarazzato, la tolse per poi portarla a scompigliare ancora di più i suoi capelli biondi.
“Volevo chiederti se ti andava di venire a prendere un gelato con me, oggi pomeriggio”, disse arrossendo. Sentii lo stomaco sgretolarsi e il respiro mozzarsi. Mai, in tutta la mia vita, ero stata invitata ad andare da qualche parte da nessuno. Per me quella era una situazione del tutto nuova e per questo non sapevo come comportarmi. Stavo per rispondere quando dei pensieri espressi sotto forma della voce di Lou mi riempirono la mente.

Uscire con lui questo pomeriggio è da persone normali, e tu non lo sei Rachel! Non importa quanto ci provi, non lo sei e non lo sarai mai. Ecco perché oggi devi andare dallo
psicologo, sei diversa, nessuno può capirti.


Giusto, lo psicologo, non ci avevo pensato. Ma comunque, anche se fossi stata libera, non avrei mai accettato il suo invito. E poi perché avrebbe dovuto invitarmi? Gli facevo pena? Di certo non era perché gli interessavo.
“Scusa ma... no”, risposi per poi raccattare tutte le mie cose velocemente per andarmene da lì al più presto. Mi sentii prendere per il polso e per la sorpresa i libri mi caddero di mano. Mi voltai verso Niall che sembrava incurante dei miei libri sparsi per il pavimento.
“Perché no?”, mi chiese con gli occhi puntati nei miei. Già, perché no? Chi mi impediva di andare con lui? Ero io, soltanto io a fissarmi su quelle cose. Non sarebbe stato un dramma se avessi passato del tempo con qualcuno. Rimanemmo così per un po’ di tempo, i suoi occhi puntati nei miei, che mi incatenavano in un modo che, anche se avessi voluto, mi avrebbe impedito di distogliere lo sguardo.
“Va bene”, sussurrai, sorprendendo persino me stessa. Il volto di Niall si aprì in un sorriso che fece perdere un battito al mio cuore.
“Allora ci incontriamo qui davanti e andiamo insieme, ti va?”, mi chiese sempre sorridendo. Io annuii e finalmente mi lasciò il polso. Neanche due secondi dopo il suono della campanella ci interruppe. Mi diede una mano a raccogliere i libri e, dopo un altro sguardo fugace, corremmo ognuno verso la propria classe. Non ci potevo credere, avevo accettato di uscire con un ragazzo che prima di pochi giorni fa non avevo neanche mai visto, cosa mi era successo? Appena mi fui allontanata da Niall però un’altra voce, oltre alla mia, mi occupò la testa.

E’ impossibile vivere con questi buchi! Devo capire perché a volte non riusciamo a sentirci. Stai bene tesoro?

Mi chiese Louis preoccupato.
“Sto benissimo”, risposi triste. Lo stavo facendo di nuovo: stavo tradendo la mia unica ragione di vita, ma non potevo farci niente. Ormai tutte le mie decisioni non erano spinte da... chiamiamolo un “istinto di sopravvivenza”, ma dalla voglia di vivere davvero, e avevo come la sensazione che per farlo dovessi cambiare abitudini e questo includeva anche mentire a Louis. Le lezioni passarono in fretta perché ero completamente distratta e sarebbe stato impossibile concentrarmi anche se avessi voluto con la voce di Louis nella testa che si mescolava alla voce di Niall dei miei pensieri. Quando suonò la campanella che ci avvisava della fine delle lezioni corsi nel cortile, sperando vivamente di scorgere una chioma bionda e un paio di occhi blu mare nella folla, ma niente.

Chi cerchi?

“Nessuno”, risposi sconsolata. Mi avviai a passo lento verso la macchina di mia madre parcheggiata vicino al cancello chiedendomi perché fossi stata così stupida. Perché volevo vedere Niall? Non mi seppi dare una risposta ma il mio cuore fece una specie di salto quando, proprio dopo essere salita in macchina, vidi Niall appoggiato al muro che mi salutava sorridente. Gli sorrisi, o almeno ci provai.
“Chi era quel ragazzo?”, mi chiese mia madre dopo aver messo in moto la macchina.

Quale ragazzo?

“Ehm... nessuno”, risposi ad entrambi.
“Come nessuno! Ti stava salutando. E poi sembrava carino. Come si chiama?”, continuò mia madre.

Di che sta parlando Rachel?

“Non stava salutando me, mamma”, risposi con un tono che indicava la fine della conversazione.
“Se lo dici tu... allora pronta per un’altra visita dalla psicologa? Quella donna mi sembra simpatica, vero?”, continuò a parlare. Io mi limitai a fare spallucce mentre cercavo di dare ascolto ad un’altra voce, proprio dentro alla mia testa.

E’ vero quello che le hai detto, su quel ragazzo?

“Sì”, risposi in modo da zittire anche mia madre.
“Come si chiamava? Lana... Lara...”, continuò lei.

Ci risentiamo quando torni a casa, così mi potrai spiegare tutto. Ti amo.

“Anche io”.
“Cosa?!”.
“Niente mamma. Si chiamava Lara”. Il resto della strada la percorremmo in silenzio, ma la mia mente, anche se Louis era momentaneamente assente, era tutt’altro che silenziosa. Tra meno di 2 ore avrei dovuto incontrare Niall, e ancora non ero sicura su come dovessi comportarmi. In più Louis mi aspettava tra un’ora e, notando la mia assenza, si sarebbe posto delle domande. Ecco, quello era il motivo per cui non potevo fare cose “normali”, creavo sempre dei casini. Forse perché io non c’entravo niente con quel mondo, non riuscivo a capire gli altri.
“Siamo arrivati, passo a prenderti tra un’ora”, mi salutò mia madre. Scesi dall’auto e mi avviai verso il portone che portava allo studio della psicologa. Appena entrai mi riaccolse l’ambiente tranquillo e pulito della sala d’attesa. Non feci in tempo a mettermi seduta su una delle sedie libere che il mio nome venne urlato dallo studio della dottoressa. Presi un respiro profondo e mi avviai verso la porta bianca lasciata aperta.
“Rachel! Prego, mettiti comoda”, mi accolse la psicologa.
“Ci siamo viste due giorni fa, come sono andate le cose da l’altro ieri? Hai notato qualche miglioramento? Hai seguito il mio consiglio?”, mi chiese sempre sorridente mentre prendeva posto su una grande poltrona bianca.
“Sì”, dissi solo.
“Sì... cosa?”.
“Ho seguito il suo consiglio e ho notato qualche miglioramento”.
“Benissimo! Allora, raccontami com’è andata con quel ragazzo... Niall, giusto?”. Come faceva a ricordarsi il suo nome? Doveva esserselo scritto da qualche parte, giusto per poi usarlo nelle nostre sedute.
“Ecco, ci ho parlato e si è rivelato... carino, credo”, risposi arrossendo.
“E poi?”, mi incalzò Lara. Era così evidente che ci fosse dell’altro? Decisi di dire la verità, almeno per una volta, ad una persona che non fosse Louis.
“Mi ha chiesto di uscire, oggi, ed io ho detto di sì”, dissi tutto d’un fiato. Gli occhi della psicologa si illuminarono e il suo sorriso, se possibile, si allargò ancora di più.
“E’ fantastico! Dove andrete?”.
“A prendere un gelato”, risposi atona.
“E come ti senti, a questo proposito?”. Eccola, la domanda che sapevo sarebbe arrivata e che temevo più di tutte. Non era facile capire come mi sentissi in quel momento. Da una parte mi odiavo a morte perché sapevo che stavo tradendo Louis e perché ero cosciente che uscire con un ragazzo, passare del tempo con lui... fossero cose che di norma non mi sarei neanche sognata di fare. Ma poi c’era quella strana sensazione, proprio alla bocca dello stomaco, che mi annebbiava il cervello e che non mi faceva pensare più di tanto alle conseguenze. Ogni volta che pensavo a quello che avrei fatto quel pomeriggio il sorriso di Niall mi si parava davanti agli occhi e mi infondeva un coraggio che non credevo di avere. Quel sorriso era in grado di cancellare tutte le preoccupazioni.
“Credo di essere combattuta. Da una parte sono felice, dall’altra triste”, risposi dopo aver pensato qualche secondo.
“Perché ti senti felice?”.
“Perché... non lo so, ma l’idea di passare del tempo con Niall, di fare qualcosa di diverso... mi rende felice”.
“E invece perché ti senti triste?”. Mi bloccai a quella domanda. Ed ecco che si tornava a Louis. Come faceva quella psicologa a condurmi sempre a lui?
“Perché... è come se stessi tradendo... qualcuno”. La psicologa si fece pensierosa e si sporse verso di me, fissandomi intensamente.
Chi?”. Un suono fastidioso e prolungato interruppe il silenzio che si era creato. Doveva essere la sveglia che avvisava Lara che l’ora a nostra disposizione era finita, perché se ne uscì con un:
“E’ tardi e l’ora è finita. Per la prossima volta vorrei che tu mi raccontassi come ti sei sentita a stare con Niall da soli, va bene?”.
“D’accordo”, risposi alzandomi.
“Ci vediamo tra una settimana. Ciao Rachel”, mi salutò. Ricambiai con un gesto della mano e uscii dall’edificio. Durante il tragitto ignorai le chiacchiere di mia madre e pensai solo a come fare per ingannare Louis, in modo da poter uscire con Niall. Com’era brutta quella parola: ingannare. Non avrei mai pensato di poter anche solo provare ad ingannarlo, invece ora mi stavo preparando ad uscire con un ragazzo, tutto alle sue spalle. Dopo aver salutato mia madre che doveva tornare a lavoro andai in camera mia per prepararmi ad uscire.

Dove vai?
“A... comprare della frutta”, risposi, sperando che se la bevesse.

Perché proprio ora?
“Perché ne ho voglia e...”.

No.
“Cosa?!”.

Ho detto di no. Non voglio che ti muovi da qui. Non stiamo più insieme da troppo e voglio averti qui con me. Vieni subito.
“Ma Lou...”.

No, vieni subito.
Perfetto, non avevo vie di scampo. Tra dieci minuti avrei dovuto incontrare Niall davanti alla scuola e mi trovavo bloccata con Louis. Ma non so cosa in quella situazione mi aprì la mente, facendomi capire.  
Capii quello che per 18 anni mi aveva tenuta prigioniera.
Capii quello che mi ero sempre rifiutata di capire.
Non ero io ad essere diversa, ma c’era qualcosa che mi spingeva a crederlo. Ero come tutti gli altri ragazzi, ma qualcuno mi diceva il contrario da ormai troppo tempo, tant’è che ormai avevo finito pure per crederci. Ecco perché tutti i discorsi della psicologa portavano a lui, ecco perché quando era con Niall mi sentivo diversa: lui non c’era. Capii cosa, o meglio chi, aveva distrutto la mia vita: Louis. 
“No”, dissi trai denti.

Come?!
“Non rimarrò qui. Basta, mi hai stancato! Sono 18 anni che mi dici cosa devo fare, ora è tempo che io decida per me!”, urlai.

E’ uno scherzo? Tu non saresti niente senza di me, NIENTE! E’ solo merito mio se sei diventata quello che sei ora!
“E cosa sono, Louis? Sono una ragazza che non ha amici, che non vede mai i suoi genitori e che parla solo con una persona che non è nemmeno reale! Probabilmente non lo sei mai stato!”.

Non ero reale? E la tua felicità? Non era reale nemmeno quella?
Quale felicità? Mi hai tenuta al guinzaglio per tutta la vita, facendomi credere di essere diversa, quando invece ero normalissima! Sei tu la causa di tutti i miei problemi! Ti odio!”.

Ah, tu mi odi, eh? Non sembravi odiarmi però quando ero l’unico con cui potessi parlare, però. Non mi odiavi quando ti baciavo e ti rassicuravo!

“Io ti ho sempre odiato perché nel profondo ho sempre saputo che fossi tu la causa di tutto questo!”.

ORA BASTA! Ti proibisco di parlare ancora!

“Tu non puoi dirmi cosa devo fare! Non sei nessuno, non sei nemmeno reale!”.

Ah sì? E nemmeno le tue cicatrici sono reali?

Istintivamente mi passai la mano sui segni evidenti dei tagli sul mio polso.
“Sei un mostro! Mi hai costretta ad isolarmi, a ferirmi... tutto per colpa delle tue convinzioni!”.

Amore, hai appena detto che non sono reale, non pensi allora che tutte le cose che hai fatto le hai fatte perché volevi farle?

Mi bloccai a pensare a quello che aveva detto. Era impossibile che fosse reale. Un essere senza un corpo non può essere reale, ma io lo sentivo, mi parlava da tutta la vita ormai! Che fossi pazza? No, non poteva essere...

Tutto quello che ti ho detto, anche queste parole sono solo frutto della tua mente. Sei tu che vuoi sentirtele dire perché sai che sono solo la verità.

“No...”.

TU NON SEI NORMALE, RACHEL!

“No...”.

NON SEI NORMALE!

“NOOOOOO!”, urlai e poi vidi solo buio, un buio che ti spinge giù, sempre più lontano dalla possibilità di risvegliarti.


Saaaaaaaaaaaalve.
Solo 4 parole: Cosa è questo scempio?
Scusate davvero, questo doveva essere il capitolo più importante di tutti e mi è venuto fuori una cacca che neanche le mosche vorrebbero.
Però ho aggiornato in orario, visto?
Anche se non so quanti di voi lo eggeranno adesso, perché il mio cervellino mi ha detto di aggiornare all'una di notte.
Tranquilli, sono io a prendere le mie decisioni, non c'è nessun Louis (?).
Tornando al capitolo, cosa ve ne pare?
Rachel ha trovato la forza di ribellarsi! Ha capito che Louis non le fa bene ed è pronta a combattere per avere una vita normale.
Eh, era ora figlia mia.
Niall è sempre più cuccioloso.
Un attimo, Niall! Cosa farà il nostro Niall se Rachel è bloccata a casa con Louis?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo! Ahahahahahaahha.
Vi dispiacerebbe lasciarmi una piccola recensione per farmi sapere se vi piace la storia?
So che avete ancora tanti dubbi, ma le risposte arriveranno, tranquille.
Allora vi lascio.
Siete libere di insultarmi quanto volete ahahahahaha.
Un bacio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Capitolo 5

Strano quanto a volte delle semplici convinzioni possano stravolgerti la vita, vero? Insomma, se non avessi avuto... lui la mia vita sarebbe stata quella di una normalissima ragazza con amici, una bella famiglia... avrei vissuto, non mi sarei accontentata di sopravvivere. Ma per quanto cercassi di dare tutta la colpa a lui sapevo che quei tagli me li ero procurati io, ero stata io a dargli ascolto... solo io. Lui mi aveva solo “aiutata”. Mi svegliai con quei pensieri, nel mio letto. Chi mi ci aveva portato? Ero sicurissima di essere svenuta sul pavimento, ad almeno due metri di distanza! Quasi appena ebbi aperto gli occhi mia madre fece il suo ingresso nella mia stanza.
“Oh, hai aperto gli occhi! Finalmente! Come stai? Ti fa male qualcosa? Il dottore ha detto che stai bene, che probabilmente è stata solo stanchezza”. Stanchezza, certo. Mi limitai a grugnire un “sto bene”, per poi voltarmi dall’altro lato per evitare di guardarla. Ero svenuta, lei mi aveva trovato e portato a letto. Mi aveva fatta visitare e il dottore non aveva capito il motivo di quello svenimento. Ma come avrebbe potuto? Un senso di ansia mi attorcigliò lo stomaco. Stavo dimenticando qualcosa, ne ero sicura. Perché Louis mi aveva aggredita? Stavo uscendo ma per andare dove?
“NIALL!”, urlai mettendomi a sedere.
“Niall?!”, chiese mia madre non capendo.
“Lascia stare mamma. Che ore sono?”, chiesi buttando all’aria le coperte e mettendomi alla ricerca di qualche vestito.
“Le 7 del mattino... ma perché?”, mi chiese sempre con lo stesso tono.
“Devo andare a scuola”, bisbigliai, ma probabilmente mi sentì perché si alzò dal mio letto e mi venne in contro.
“No no! Tu non devi andare da nessuna parte! Il dottore ha detto che hai bisogno di riposo, quindi tu resti a casa”, mi disse mentre mi infilavo un paio di jeans saltellando per farli entrare. Trovai una maglietta su una sedia e la infilai velocemente.
“Non posso mamma, devo andare”, le dissi bruscamente per poi infilarmi in bagno. Appena entrai in bagno la luce troppo forte mi fece girare la testa, facendomi avvertire per la prima volta i postumi dello svenimento. Mi lavai velocemente e rientrai in camera, dove mia madre mi stava ancora aspettando.
“Ma non puoi? Se ti sentissi male di nuovo? Io non permetterò che...”.
“Tu non permetterai cosa, mamma? E’ una vita che te ne freghi di me e adesso che sto cercando aggiustare la mia vita sei arrivata tu, con il tuo desiderio improvviso di darmi una mano. Be’, sai che ti dico? Io non ho bisogno di te! Sono sempre stata da sola e ormai mi sono abituata. Certo, i risultati non sono stati dei migliori, ma ora sono vicina all’essere... normale, e non voglio che tu mi ributti giù nel burrone dal quale sto cercando di uscire. Lasciami stare e torna a fare quello che facevi prima che ti rendessi conto di quanto penosa sia diventata la mia vita!”, le urlai in faccia, dicendo quello che mi tenevo dentro da ormai troppo tempo. Lei rimase immobile, ma vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime. Prima che potessi dire o fare qualcos’altro girò i tacchi e corse via. Poco dopo sentii la porta di casa sbattere.
Sotto sotto mi dispiaceva di averle urlato quelle cose, ma era davvero tutta la vita che aspettavo di liberarmi, e finalmente l’avevo fatto. Accatastai quei pensieri un angolo della mia mente e, una volta preso lo zaino, mi catapultai anch’io fuori di casa. La macchina di mia madre non c’era già più, ma non ci prestai più di tanta attenzione. Cominciai invece a correre verso la scuola, sperando di arrivare in un largo anticipo per poter parlare con Niall. Volevo dirgli tutto, volevo che mi capisse, che mi ascoltasse... volevo che per una volta qualcuno di reale si interessasse ai miei sentimenti, e Niall aveva dato segno di volerlo fare, solo poche ore prima, ma per uno strano scherzo del destino non ero riuscita a dimostrargli che ci tenevo davvero a conoscerlo meglio. Corsi fino a non avere più fiato e, proprio mentre già riuscivo a vedere i cancelli della mia scuola, una voce tanto familiare quanto estranea mi riempì la testa. Era familiare perché era una vita che ci convivevo, ma era stranamente così diversa... non mi aveva mai parlato in quel modo.

Corri dal tuo nuovo amichetto eh? Ma non ti libererai facilmente di me. Quello che è successo ieri era solo un assaggio. Non hai voluto passare il resto della tua vita con me?

Bene, mi assicurerò che tu non sopravviva abbastanza da provare qualsiasi altra cosa. Divertite piccola, finché hai tempo.

Il mal di testa di pochi minuti prima tornò e per poco non mi accasciai a terra. Riuscii a rimanere in piedi solo appoggiandomi al muretto della scuola. Aspettai un po’ che i capogiri passassero e poi continuai ad avviarmi verso l’entrata, questa volta camminando. Una volta entrata puntai immediatamente alla panchina più vicina. Non ero ancora del tutto stabile e sapevo che se non mi fossi seduta subito sarei finita come il pomeriggio prima: svenuta sul pavimento. Era strano, mi succedeva ogni volta che Louis tornava a  parlarmi. Era come se mi sforzassi talmente di respingerlo, di tenerlo fuori dalla mia testa che mi risucchiasse tutte le forze.

Oh, ma tu non puoi tenermi fuori. Io sono parte di te, vivo in te! Ahahahahah

“Basta, sta’ zitto!”, sussurrai, arrancando verso la panchina. Peccato che proprio mentre mi stavo per sedere una spinta mi spinse a terra.
“Smamma sfigata, questa è la mia panchina”, disse una voce che riconobbi come quella di Margaret Rose. La spinta non era stata forte, ma era bastata per farmi cadere a terra, in preda a capogiri degni di una donna incinta.
“Ehi ma... che ha? Oddio questa adesso muore!”, urlò quella gallina in cerca di attenzioni. Come previsto una folla di studenti le si strinsero attorno, ma non per aiutarmi. Si limitarono a fissarmi, parlottando tra loro, mentre io lottavo per rimanere sveglia. Avrei voluto urlare, dire loro di aiutarmi, ma non avevo la forza.

Lo vedi? Tu non esisti senza di me! Tu sei...

“Levatevi dai piedi! Spostatevi! Rachel... andiamo levati dai coglioni!”, urlò una voce in mezzo alla folla. La riconobbi immediatamente e nonostante l’oscurità che incombeva più pesante che mai su di me, nonostante non avessi neanche la forza per aprire gli occhi, sorrisi.
“Rachel...”, sussurrò quando, lo intuii dal tonfo provocato dalle sue ginocchia sull’asfalto duro, si inginocchiò vicino a me. In quel momento tutto cessò. I capogiri, l’oscurità... si dissolse tutto nell’aria, come se fosse solo la mia immaginazione e per quello che sapevo poteva anche essere così. Aprii gli occhi e incontrai quelli blu di Niall che mi fissavano preoccupati.
“Niall...”, gracchiai e il mio sorriso si allargò. Era qualcosa di spontaneo, semplicemente non riuscivo a trattenere il sorriso e questo lo sorprese, forse perché non avevo mai sorriso davanti a lui. Il suono della campanella fece disperdere tutti quei ficcanaso che si erano fermati a guardarci, lasciandoci completamente soli. Si alzò e mi diede una mano a fare lo stesso. Tornai a guardare il suo viso, nella disperata ricerca di incrociare ancora quello sguardo blu oceano, ma invece del sorriso che mi aspettavo di vedere trovai un muro di freddezza. In quel momento mi ricordai del perché stessi correndo come una disperata verso la scuola.
“Niall io...”, provai a dire, ma mi interruppe bruscamente.
“Lascia stare. Se non volevi uscire con me bastava dirlo”, disse triste, abbassando lo sguardo. Era ferito, e non lo biasimavo.
“No! Tu non capisci, io...”.
“Ah, ora sono io che non capisco? Mi hai dato buca, Rachel. Hai idea di quanto ti abbia aspettata prima di andarmene via sentendomi un emerito idiota?”, mi domandò arrabbiato. Mi limitai ad abbassare lo sguardo, colpita ed affondata dalle sue parole.
“Avresti potuto dire di no, sarebbe stato meglio”, disse e fece per andarsene, ma prontamente gli afferrai il polso, tirandolo indietro. Immediatamente, appena la mia pelle toccò la sua, una familiare scarica elettrica mi attraversò la schiena.
“Aspetta, fammi spiegare! Io volevo uscire con te, sul serio!”, gli dissi e lui si bloccò, voltandosi nella mia direzione.
“E allora perché non l’hai fatto? Perché non puoi dirmi quello che nascondi? Non fare quella faccia, lo so che nascondi qualcosa”, aggiunse in risposta alla mia negazione. Valutai le ipotesi: se non avessi detto niente Niall si sarebbe voltato di nuovo e se ne sarebbe andato. Non mi avrebbe più rivolto la parola e sarei stata di nuovo sola. E se invece gli avessi raccontato tutta la verità? Magari sarebbe riuscito a fare ciò che lo psicologo provava a fare da anni. Ormai non avevo nulla da perdere, o difendere. Non mi importava più di Louis, anzi, volevo allontanarlo da me il più possibile.
Fu pensando a quelle cose che mi avvicinai a lui, poggiandogli una mano sulla guancia e fissandolo intensamente negli occhi. Avrei voluto che vedesse la mia sincerità, il mio rammarico e, soprattutto, il bisogno che avevo di lui. Lo conoscevo da poco, ma dal suo arrivo nella mia vita tutto era cambiato. Stavo uscendo da quello stato di trance nel quale avevo trascorso la mia vita, e questo lo dovevo solo a lui. Mi stava cambiando, ed io non potevo essergli più riconoscente.
“Permettimi di spiegarti tutto. Ti dirò ogni cosa, ma devi farmi spiegare”, gli dissi sempre guardandolo negli occhi. Lui annuì e, prendendomi per mano, mi portò fuori dai cancelli, in direzione del parco. La scuola per quel giorno poteva aspettare. Intanto non avevo paura di altri attacchi da parte di Louis perché avevo capito che quando ero con Niall ero protetta. Ripensandoci, questo mi accadeva anche quando ero dalla psicologa. Che fosse perché...
“Parla, ti ascolto”, mi disse Niall una volta raggiunto il parco. Mi guardai intorno ed indicai un gazebo poco distante. Ci sistemammo lì sotto e cominciai a parlare.
“Promettimi che mi prenderai sul serio, che non mi giudicherai una pazza e che non penserai che sia tutto uno scherzo. Ti sto raccontando la mia vita”.
“Vai tranquilla”, mi rispose facendomi un sorriso di incoraggiamento.
“Allora, da che ricordo sono stata sempre da sola. La mia famiglia era sempre troppo impegnata per pensare a me e non avevo amici. Non so perché è successo, forse per la solitudine, o forse non è stata neanche colpa mia, ma ho cominciato a sentire una voce, che mi parlava da dentro la mia testa”. Lo vidi trattenere il respiro e per un momento temetti che sarebbe scappato urlandomi di essere pazza. Invece riprese subito il controllo e mi regalò un altro dei suoi splendidi sorrisi.
“Va’ avanti”, mi disse.
“Con il passare degli anni questa voce si è sviluppata, è cresciuta con me e... ha preso anche una forma fisica. Ogni volta che mi addormentavo vedevo questo ragazzo. Presto mi innamorai di lui e cominciai a fare di tutto per compiacerlo. Mi diceva che ero diversa, che non dovevo avere alcun contatto con nessuna persona perché poteva farmi del male. Mi rinchiuse in una bolla di vetro e se gli disubbidivo mi puniva”.
“Aspetta, come faceva a punirti se era... be’... dentro la tua testa?”, chiese. Tentennai, non trovando le parole, ma poi decisi che una dimostrazione sarebbe stata più adatta. Così, mi alzai la manica della maglietta, mostrando i numerosi tagli rossi. Niall sgranò gli occhi e spalancò la bocca, ma di nuovo non si allontanò, al contrario, si avvicinò per osservarli meglio.
“Questi sono...”.
“Sì, me li sono fatti da sola perché sentivo di dovermi punire per avergli disobbedito. E’ tutta la vita che va avanti così. Nessun contatto con qualsiasi persona, compresa la mia famiglia, e solo la sua voce nella testa a tenermi compagnia ogni giorno”.
“Ecco perché tutti dicevano che parlassi da sola...”, disse collegando finalmente i pezzi.
“Ma io non ero mai sola. Lui era sempre e costantemente con me, almeno finché non sei arrivato tu”.
“Io?”, esclamò confuso.
“Sì, tu. Ogni volta che sto vicino a te non riesce a parlarmi. Mi succede solo con te e con la psicologa. Non riesce ad entrarmi nella testa quando sto con voi. Sono stati questi momentanei istanti di libertà a farmi capire che la mia vita era sbagliata e che per aggiustarla avrei dovuto smetterla di ascoltarlo. Ci ho provato ieri, ma ha cominciato a dare di matto e sono svenuta. Ha capito che mi interessi e solo questa mattina mi ha minacciata di distruggermi la vita se continuo a stare con te, ma io non posso fare altrimenti! Non posso passare il resto della mia vita con una voce nella mia testa”, dissi mentre delle lacrime cominciavano a bagnarmi il viso.
Niall si allungò verso di me e mi strinse in un abbraccio. Lasciò che mi sfogassi, accarezzandomi la schiena e sussurrandomi parole di conforto.
“Questo ragazzo... ha un nome?”, mi chiese dopo alcuni istanti di silenzio. Io annuii.
“Si chiama Louis. Ha i capelli castani e gli occhi azzurri”, risposi. Restammo ancora un altro po’ in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Avevo fatto bene a dirgli tutto? Non sembrava averla presa male e se pensava che fosse tutto uno scherzo non lo diede a vedere. Forse avrebbe potuto aiutarmi, dato che quando ero con lui potevo vivere una vita normale. Avrei dovuto parlarne anche con la psicologa. Mi promisi di farlo presto, così da avere tutto l’aiuto possibile.
“Quindi ogni volta che sei con me lui non riesce a parlarti?”, mi chiese ed io annuii di nuovo.
“Be’, allora credo che dovrò starti appiccicato”, disse infine sorridendo. Cosa voleva dire? Mi sarebbe rimasto vicino?
“Questo vuol dire che...”.
“No, non ti abbandonerò. Ti rimarrò accanto e insieme distruggeremo questo Louis. Vedrai che andrà tutto bene”. Avrei voluto mettermi a ballare, gridare al mondo la mia felicità, ma mi limitai a stringerlo di nuovo in un abbraccio.
“Grazie”, gli sussurrai.
“No, grazie a te. Finalmente so cosa nascondi e posso aiutarti. Non ti lascerò da sola, Rachel”. Passammo così tutto il resto della mattinata, tra le domande e le confessioni.
“Quindi lo vedi tutte le notti?”, mi aveva chiesto mentre passeggiavamo tranquillamente per il parco.
“Sì. Prima aspettavo con ansia quei momenti perché potevo stare con lui, ora solo il pensiero di dovermi addormentare mi terrorizza”, confessai. Lo vidi farsi pensieroso.
“Pensi che se ti rimanessi vicino anche mentre dormissi lui non riuscirebbe ad entrarti nella testa? Cioè, dormiresti senza vederlo?”, mi chiese. Rimasi shoccata.
“Be’, io non... non lo so, ma probabilmente sì”, risposi arrossendo al pensiero di me e Niall sdraiati sullo stesso letto.
“Be’, buono a sapersi, no?”, disse sorridente, per nulla imbarazzato. Risi di cuore, seguita da Niall. Era una bellissima sensazione. Ridere, sorridere... di solito non rientravano delle cose che ero abituata a fare, invece con Niall tutto era spontaneo.
“Secondo te perché quando sei con me non lo senti?”, mi chiese.
“Non sono sicura, ma ho una teoria. La prima volta che ci siamo visti Louis riusciva a sentirmi e a parlarmi benissimo, quindi non sei proprio tu a respingerlo. Insomma, sei tu ma... oddio come te lo spiego?”, esclamai passandomi le mani trai capelli e prendendo un respiro profondo. Lui rise di cuore.
“A parole tue”, mi spronò.
“Allora, penso che abbia innalzato una specie di barriera che impediva a Louis di parlarmi quando tu eri nelle vicinanze quando ho cominciato ad interessarmi a te. Era come se l’affetto che provavo per te tenesse Louis lontano”, spiegai, arrossendo nuovamente. Gli avevo appena confessato di provare interesse per lui.
“Ma quindi perché vi succede anche con la psicologa?”, chiese ancora.
“Ho un’altra teoria. Credo che nel profondo io abbia sempre covato odio per Louis e quindi automaticamente ogni qualvolta avevo la possibilità di sconfiggerlo, di allontanarlo da me, riuscivo a scacciarlo. Non può sentirmi e parlarmi quando sono dalla psicologa perché lo voglio io”.
“Ma allora, ora che avete litigato dovrebbe sparire per sempre! Insomma, non lo vuoi più, vero?”, mi chiese. Evidentemente aveva ancora paura che potessi tornare indietro e permettere a Louis di rinchiudermi nella mia bolla di vetro.
“Non è così facile. Ho sempre vissuto con lui e, per quanto io possa odiarlo, non riesco a cacciarlo. Ed è per questo che ho bisogno del tuo aiuto”.
“E come potrei esserti utile?”. Ecco, la domanda alla quale non avrei mai voluto rispondere.
“Perché per cacciarlo ho bisogno di avere un buon motivo, devo affezionarmi a qualcos’altro e capire che questa vita è meglio di quella da schiava”, dissi. Lui si fermò e cominciò a guardarmi, sorpreso.
“E perché vuoi che sia io a farlo?”. Lo sapeva, glielo leggevo negli occhi, ma voleva sentirmelo dire a tutti i costi.
“Perché tengo a te”, risposi arrossendo, ma sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Sorrise e mi si avvicinò lentamente... forse troppo. Quando capii le sue intenzioni, cioè quando ormai le sue labbra erano a pochissimi centimetri dalle mie, mi voltai. Si allontanò immediatamente, in imbarazzo.
“Scusa io...”, farfugliò.
“Sta’ tranquillo, non è colpa tua. E’ solo che ancora non mi sento tranquilla”. Era vero. Mi piaceva Niall, e anche tanto, ma ogni volta che mi sfiorava, che mi guardava... automaticamente mi tornava in mente il modo in cui Louis mi toccava. Avevo davvero bisogno del suo aiuto e, se lui fosse rimasto con me, sapevo che sarei riuscita a sconfiggere una volta per tutte Louis.


CHIEDO PERDONOOOOOOOOOOO!
Lo so, sono in ritardo, fa cagare, vi aspettavate e meritavate di più.
Sono stata male e mi sono dovuta preparare per partire!
Domani parto e torno a fine agosto, quindi non potrò aggiornare.
Lo dico anche per chi segue l'altra storia.
Comunque, se volete io e
_ciuffano stiamo scrivendo una ff Larry rossa.
Se volete ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1997740&i=1
Aggiorneremo in giornata.
Chiedo ancora perdono per lo schifo di capitolo che vi ho scritto, ma avete visto? Rachel ha detto tutto a Niall!
Non sono sdfhghf questi due? **
Ok, smetto di scassare i maroni.
Buone vacanze a tutti.

 

 


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Cap 6

“Quindi domani passo da te e andiamo? Sicura che per te vada bene?”, mi chiese per l’ennesima volta Niall, in piedi, sulla soglia di casa mia.
“Sì Niall, va benissimo”, gli ripetei per la centesima volta. Quando avevamo visto avvicinarsi l’orario della fine delle lezioni avevamo pensato che sarebbe stato meglio tornare a casa, così se mia madre fosse tornata prima dal lavoro non si sarebbe insospettita non trovandomi lì. Intanto però avevamo deciso di organizzare un pic-nic per il giorno dopo. Dato che era domenica saremmo rimasti a casa e lui sarebbe passato verso le 11.00 a casa mia per andare insieme in un parco che conoscevo abbastanza bene.
“Allora ci vediamo domani”, mi salutò sorridendo, ma proprio mentre stavo per chiudere la porta mi richiamò.
“Cosa c’è?”, gli chiesi divertita.
“Sei sicura che starai bene? Insomma, appena me ne sarò andato lui... tornerà a parlarti, no? E sarà anche arrabbiato per come hai trascorso la tua mattinata, forse sarebbe meglio che io...”. Era impressionante quanto si era adattato velocemente alla mia condizione e come avesse compreso per filo e per segno i problemi che mi portava Louis. Ma non potevo pensare di averlo sempre vicino in modo da scacciare Louis.
“No, Niall. Non puoi vivere al mio fianco solo perché Louis non mi si avvicini. Starò bene”, dissi abbozzando un sorriso.
“Sicura?”, mi chiese riluttante e aggrottando le sopracciglia.
“Sì. Ho vissuto con lui per tutta la vita, so come prenderlo”, risposi cercando di rassicurare non solo lui, ma anche me stessa. Perché sì, c’era una parte di me che lo avrebbe tirato dentro casa e avrebbe accettato il suo invito di passare la giornata da me, ma ero consapevole di dover affrontare Louis da sola. Niall mi avrebbe aiutata, ma il grosso dovevo farlo io.
Quando fu finalmente convinto se ne andò ed io mi chiusi la porta alle spalle lentamente. Cercai di rimanere concentrata. Magari se avessi continuato a pensare a Niall, Louis non sarebbe tornato. Salii in camera mia per recuperare le materie che avevo saltato quel giorno, ma non appena ebbi dato uno sguardo alla mia stanza, valanghe di ricordi riguardanti Louis mi distrassero e, puntuale come le campane di una chiesa, la sua voce tornò.

Quindi ti sei divertita oggi eh? “Ho vissuto con lui per tutta la vita, so come prenderlo”. Voglio proprio vedere come farai ahahaha.

Non sprecai neanche tempo a rispondergli e riscesi giù, decisa a non passare neanche un secondo in più in quella stanza. Stranamente i capogiri che di solito la sua presenza portava si erano attenuati. Che stessi diventando più forte? Era merito di Niall?

Che fai, mi ignori? Sai di non poterlo fare. Sai di non poterti mettere contro di me. Ti conosco troppo bene.

Conoscermi? Quando mai aveva provato a conoscermi davvero? Mi aveva resa quella che ero per mezzo di trucchetti, ma non aveva mai provato a parlarmi sinceramente, ad aiutarmi. Io ero solo una pedina nella sua scacchiera gigante.
“Lasciami in pace”, sussurrai tentando di resistere. Non sarei svenuta, non di nuovo.

Fammi andare via allora. Sai bene di non poterlo fare.

Ed eccoli, i capogiri, il mal di testa... sentivo che tutto stava tornando. Non ero ancora immune alla forza che esercitava su di me. Non appena lo realizzai sentii qualcosa aprirsi nella mia mente e la sua voce la occupò tutta, togliendomi la capacità di pensare lucidamente.

Sarai per sempre la mia schiavetta, fattene una ragione.

La sua voce non era mai stata così forte e prepotente e automaticamente mi coprii le orecchie, come se pensassi di potermi isolare in questo modo. Ma lui era dentro di me e per farlo andare via non bastava tapparsi le orecchie.

Ma probabilmente non vivrai troppo a lungo, quindi io non me ne preoccuperei più di tanto.

Un’altra minaccia? Ora aveva intenzione di uccidermi definitivamente? Se possibile il volume della sua voce si intensificò ancora e in breve tempo mi ritrovai in ginocchio sul pavimento del soggiorno.

ARRENDITI!

Nell’esatto momento in cui urlò quella parola nella mia testa anche io urlai, ma il tutto venne interrotto da una porta che sbatteva e dei passi frettolosi. Evidentemente mia madre aveva deciso di tornare prima.
“Rachel! Ma cosa...”, mi chiese ansiosa mentre provava a farmi alzare.

Ci vediamo dopo

Disse Louis e immediatamente i capogiri e tutto ciò che la sua presenza comportava sparirono. Riuscii a mettermi in piedi con l’aiuto di mia madre e mi asciugai il sudore dalla fronte.
“... Sto bene...”, risposi flebilmente.
“No, tu non stai bene e dobbiamo porre fine a tutto questo”, affermò mia madre guardandomi seria. Aveva ragione, dovevo porre fine a tutto.
“Prendimi un appuntamento con la psicologa il prima possibile”, sussurrai sorprendendola. Mi fece un cenno d’assenso e, una volta essersi assicurata che non sarei svenuta, uscì in direzione dello studio della psicologa. Avrei raccontato tutto e mi sarei lasciata aiutare, dovevo farlo. Ma in quel momento c’era un altro problema: ero di nuovo sola. Sapevo che sarebbe tornato, magari aspettando il momento in cui mi sarei dimostrata debole e indifesa. No, non gli avrei lasciato anche questa scelta. Lo avrei affrontato io, anche se avrei sicuramente perso.
Come un automa mi diressi in camera mia, lentamente e misurando ogni passo. Spalancai la porta e il mio sguardo cadde sul letto ancora sfatto. Quante volte lo avevo guardato ansiosa di andare a dormire in modo da rivedere il ragazzo che credevo di amare? Ora per me rappresentava solo un simbolo di una vita vuota.

Non so se chiamare questa tua iniziativa coraggio o stupidità. Davvero ancora non hai capito che non riuscirai mai a cacciarmi? Io faccio parte di te.

“E tu quando capirai che in tutto questo tempo non hai mai conosciuto la vera me? Mi hai resa una tua schiava, ma io non sono così. Io sono forte, e te lo dimostrerò”, risposi spostando lo sguardo dal letto alla finestra chiusa della mia camera. La aprii in modo da far entrare un po’ d’aria, sperando che mi avere schiarito le idee.

Solo il fatto che tu voglia ancora dimostrarmi qualcosa spiega che non riuscirai mai ad eliminarmi dalla tua vita. E sentiamo, cosa vorresti dimostrarmi?

“Che sei un lurido verme e che non ho bisogno di te. Sei viscido, subdolo e mi fai schifo”, dissi e, anche se riuscii a percepire la sua ira crescere a dismisura, anche se mi sentivo morire... non me ne pentii.

Benvenuta nel tuo inferno personale, piccola.

Disse con una calma che stonava con la rabbia che sentivo provenire da lui. Ma non ebbi tempo per pensare a niente, perché rapido come un treno e forte come una frana, un urlo mi aprì la mente, annullando completamente i miei sensi. Afferrai il davanzale della finestra per tenermi in piedi mentre le gambe davano cenno di cedere ogni secondo che passava. La cosa che più mi spaventava era che quell’urlo non apparteneva a Louis. Non era la sua voce, ma la mia.

Senti? Senti le tue urla? Chi c’era a consolarti quando urlavi così, sola, mentre tutti ti ignoravano?

Le urla vennero sostituite da una frase ripetuta all’infinito dalla mia stessa voce.

Ti amo Louis.

La mia voce era disperata, come stesse riponendo quelle poche forze che le rimanevano in quelle parole. Come se pensasse che l’avrebbero aiutata.

Per me hai fatto di tutto, non te lo ricordi?

E con il finire di quelle parole anche quella frase scomparve, ma questa volta non venne seguita da altre parole, ma da un’immagine talmente vivida da sembrare vera. Nell’immagine c’ero io in bagno, davanti al lavandino. Ero in lacrime e il mio braccio era coperto di rosso. C’era rosso ovunque: nel lavandino, sullo specchio, per terra...
“...Basta...”, sussurrai sfinita mentre chiudevo e riaprivo gli occhi sperando che l’immagine sparisse. Invece rimaneva lì, vivida e terrificante.

Forse ti servirebbe di nuovo. Ti riporterebbe alla realtà.

Rabbrividii al suono di quelle parole. Non lo avrei mai fatto, non sarei più ricaduta in quel circolo vizioso a causa sua.
“Mai”, dissi, questa volta chiaramente.

Fallo.

Disse Louis con disprezzo. Le mani mi scivolarono dal davanzale e caddi a terra, sfinita.

Fallo e ti lascerò in pace.

Disse e notai che la sua voce si era in qualche modo addolcita. Mi avrebbe davvero lasciata in pace? Mai più Louis nella mia vita? Potevo pagare quel prezzo?

Certo che puoi piccola, ne vale la pena.

Forse quella volta aveva ragione. Solo un’ultima volta, a fin di bene. Mi avrebbe lasciata stare e sarei stata finalmente una ragazza normale. Quei pensieri riuscirono a fare a pezzi l’immagine che continuava a tormentarmi e riuscirono a farmi alzare e a recuperare l’appoggio al davanzale.

Brava, continua così.

Provai a muovere qualche passo e rimasi sorpresa quando notai che le gambe reggevano. Mi staccai dalla finestra e camminai lentamente verso il bagno, lo sguardo apatico e il ricordo di quell’immagine a terrorizzarmi se possibile ancora più di prima. Eppure stavo per farlo ancora, ma per l’ultima volta. Lo avrei cacciato così, sottomettendomi ancora.  Ma era davvero quello che volevo?

Non pensarci e continua a camminare.

L’accenno di rabbia che quelle parole esprimevano scacciò ogni singolo ripensamento dalla mia testa. Dovevo farlo, se non per me almeno per Niall. Si meritava di avere accanto una persona normale e non una che gli incasinasse la vita e che lo facesse preoccupare costantemente. Una persona instabile e debole come me. No, lui meritava di più.
Entrai in bagno e mi diressi vicino al lavandino dove, in uno sportellino vicino allo specchio, custodivo ancora la mia lametta. Aprii lo sportello e la cercai. Quando le mie dita si chiusero intorno al ferro freddo uno sprazzo di lucidità mi ordinò di fermarmi, di non dargliela vinta così. Decisi di non ascoltarla ed estrassi la lametta. Me la portai sul braccio, più vicino alle vene di quanto avessi mai fatto.

Brava, così. Sei stata cattiva e meriti di essere punita.

Fu un attimo e tutto cambiò. Quelle parole che mi aveva ripetuto tante, troppe volte in situazioni del genere mi ricordarono da cosa stavo cercando di scappare, cosa cercavo di cacciare via. In quel momento compresi che se avessi lasciato che mi manipolasse un’altra volta sarei stata spacciata, avrebbe vinto. No, non lo avrei lasciato riacquisire il controllo sulla mia vita. E poi mi aveva già minacciata parecchie volte, cosa mi diceva che non mi avrebbe spinta a tagliare sempre più in fondo, finché non ci sarebbe più stato niente per cui combattere?
Fu come se qualcuno mi avesse buttato un secchio d’acqua gelida addosso. Mi scrollai via quel tepore che era quasi riuscito ad ingannarmi e lasciai cadere la lametta nel lavandino. Il rumore che fece quando urtò il marmo freddo mi aiutò a svegliarmi del tutto.

Ma cos...

“Ancora non l’hai capito, vero? Tutto questo sta succedendo perché tu non ti sei mai dato il pensiero di conoscermi sul serio. Mi hai resa una schiava, mi hai sottomessa, ma adesso basta. Non importa quello che hai cercato di farmi pensare per tutto questo tempo, ma io non sono debole. Io sono forte, forte abbastanza da combatterti. No, non ti ascolterò mai più. Non ho fatto niente per cui debba punirmi, anzi, la scelta di allontanarmi da te è la cosa più intelligente che io abbia mai fatto. Stai solo sprecando il tuo tempo con me, hai chiuso, mostro”. Recuperai la lametta e la gettai nel water, per poi scaricare.

Allora puoi anche dire addio alla tua vita, dolcezza.

Uno strillo talmente familiare a quello che aveva preceduto quel susseguirsi di ricordi minacciò di farmi crollare di nuovo, ma ero stanca ormai. Stanca di farmi schiacciare come uno scarafaggio, stanca di subire: era arrivato il momento di reagire. Per un momento il mio cervello si staccò dal resto del mio corpo e tornai nel pieno delle mie facoltà mentali solo grazie al rumore di un vetro infranto e al dolore sordo che mi aveva avvolto la mano destra. La fissai e non fui così sorpresa dal trovarla completamente sporca di sangue. Non mi stupii neanche di trovare lo specchio del lavandino rotto e il lavandino pieno di vetri insanguinati. In quel momento l’urgenza di fare qualcosa riuscì a calmare anche il dolore della mano. Mi precipitai fuori dal bagno e agguantai il telefono che avevo lasciato precedentemente sul comodino. Non impiegai molto per trovare il numero e più mi distraevo, più il grido si indeboliva, fino a perdere completamente potenza quando una voce rauca e deliziosamente familiare rispose al telefono.
“Pronto?”, rispose Niall con la voce preoccupata.
“Ho bisogno di te, ti prego...”.
“Rimani lì, arrivo subito”.
 
 I'M BAAAAAAAAACK.
*schiva i pomodori, i cetrioli, un gatto... (?)*.
Come va?
Ok, sappiate che ho scritto questo capitolo con la febbre ascoltando Lana Del Rey, quindi capitemi ahahah.
Cazzo rido? Boh.
Btw, mi dispiace per la luuuuuuuunga attesa, ma avevo promesso che avrei aggiornato prima o poi, ed eccomi qui.
Ora vorrei farvi una domandina:
Siete team Niachel (?) o team Louchel (?)?
Please se avete combinazioni migliori ditemelo, fanno schifo ahahaha.
Spero vi caghiate il capitolo, anche se fa un po' defecare, per essere delicati.
Sciau beli!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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