Oggi come ieri

di Rubus idaeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Salve. Mi chiamo Oscar François de Jarjayes. Pronti per lo shock? Sono una donna. Ebbene sì, sono una donna, malgrado il mio nome sembri smentirlo. No, non sono lesbica. Mio nonno, nel testamento, ha lasciato scritto di desiderare con tutto il cuore che, se fosse morto prima di veder nascere un nipotino, i miei genitori dessero alla creatura il suo nome, alias, Oscar François. Dato che a mia madre, per una serie di complicazioni dovute al parto e diverse operazioni subite in seguito, è stato detto che non avrebbe più potuto avere figli, i miei hanno deciso di chiamare me con il nome del nonno.

Ho ventisette anni compiuti lo scorso dicembre e sono fieramente single. Beh, con il lavoro che faccio non ho certo il tempo di stare dietro agli uomini o di intraprendere relazioni sentimentali di una certa importanza. Sposarsi? Non se ne parla neppure!

Io sono una guardia del corpo. Sono la guardia del corpo della ventenne Maria Antonietta de Asburgh, altrimenti nota come Mary Anty A (classico nomignolo banale stile americano). Per chi non l'avesse mai sentita nominare, lei è una delle più rinomate attrici di Hollywood. Vincitrice di ben due premi Oscar alla migliore attrice e quattro come la miglior attrice non protagonista. Dovete sapere che la sua intera esistenza è una recita, sempre, costantemente, anche quando non è sotto le luci dello studio cinematografico; la vita, per lei, è tutta una recita di cui lei si rende sempre l'indiscussa protagonista. Sembra che per quella donna tutto il mondo sia un palcoscenico e a mio parere recita meglio nella realtà che nei film. È la persona più subdola, falsa e superflua che io abbia mai conosciuto. Sempre ad indossare una maschera. Sempre a fingere. Sempre a voler volgere ogni cosa a proprio favore. Sempre a illudere e illudersi che la vita è bella e facile. Ma negli ultimi tempi anche lei ha dovuto aprire gli occhi e accorgersi che non tutti la amano come credeva, ma che ha anche dei nemici. Dopo aver ricevuto una considerevole serie di minacce telefoniche, ha chiesto espressamente alla mia agenzia un'agente donna efficiente che la seguisse costantemente e in ogni dove. Chi meglio di me?

Sono entrata in servizio ufficialmente il 3 ottobre di sei anni fa. Da allora sono la sua ombra. Presidio a tutte le feste, banchetti, ricevimenti, rinfreschi, balli e party a cui è invitata standomene in disparte.

La donna ha deciso un anno e due mesi fa di trasferirsi definitivamente a vivere nell'albergo gestito dal marito, il signor Luigi Borbone, e io ho dovuto seguirla. Sono tenuta a perquisire tutti coloro che entrano nella sua stanza, amici, giornalisti o ammiratori. Devo essere sempre disponibile se ha bisogno di me. Devo accertarmi ogni giorno che le misure di sicurezza funzionino correttamente, gli allarmi e i pulsanti di richiesta di aiuto. Ma soprattutto devo sempre stare cauta e in allerta, dopotutto prevenire è meglio di curare.

Da quando alloggia in questo posto, mi sono resa conto che non devo proteggerla solo da pazzi assassini e violenti maniaci, ma anche dai suoi avversari invidiosi e soprattutto da sé stessa. Non conosce proprio il valore dei soldi e li sperpera in cose estremamente futili e sciocche. Tutto per viziosità. E la sua vanità e arroganza la stanno lentamente portando a crearsi un circolo di falsi amici che non sono altro che un pericolo. Lei, da persona superficiale quale è, vede e sente solo quello che vuole vedere e sentire.

 

Io ogni caso, se non riuscissi ad adempiere correttamente e del tutto al mio compito, l'agenzia è tenuta a licenziarmi di punto in bianco.

Per questo non posso permettermi di innamorarmi: un minimo errore e la mia carriera è finita. Amore sarebbe solo sinonimo di distrazione e la distrazione è l'ultima cosa che mi serve.

...Fino a che non è arrivato lui: un metro e ottantatre di puro fascino. Modello fotografico di una nota rivista di moda maschile svedese, con una faccia così perfetta che sembra stata scolpita dai cherubini, biondo e con due occhi di ghiaccio capaci di scalfire il cuore di una donna con una sola occhiata. Alloggia al secondo piano, corridoio due, stanza 116. Non so neppure il suo nome! Solo rare volte mi è capitato di incrociare il suo sguardo, ma potrei giurare di non aver mai visto un azzurro più bello di quello che circonda le sue pupille.

Ma no. Io non posso permettermi di pensare all'amore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Ecco qui il secondo capitolo, sono stata veloce? Dunque, è stata richiesta a gran voce e al più presto la presenza del beniamino di tutte, Andrè, e voilà, vi ho accontentate..


 

-Oscar! Oscar!

-Madame, tutto bene?

-Oh no, niente va bene qui!

-Cosa è successo?

Il tono di Mary Anty A è seccato e un po' mi allarma.

-Vuoi vedere?

E mi sbatte in faccia un mazzo di profumatissimi fiori gialli.

-Io odio il giallo!

Strilla con le braccia tese lungo il corpo e i pugni stetti. Faccio appello a tutto il mio sangue freddo per tenermi calma per non risbatterglieli in faccia e non picchiarla.

-Madame, non sono io che me ne occupo, ma vedrò di rimediare.

-Rose! Io avevo chiesto delle rose! Potrali via, Oscar, se vedrò ancora un solo fiorellino giallo in questa camera, giuro che chiamo a raccolta tutti gli avvocati della città e questa questione la porto in tribunale!
-Certo, madame.

Mi volto di spalle. Sento che sbuffa e farfuglia con rabbia parole incomprensibili. Me ne vado prima di cedere al nervosismo.

Cercherò il mio amico Andrè, il cameriere che serve ai tavoli in sala da pranzo, lui saprà dirmi chi ha portato i fiori gialli a Mary Anty A.

Oggi l'albergo è insolitamente pieno di gente. Entrambi gli ascensori sono occupati, così mi vedo costretta a prendere le scale. Sono circondata dall'alta società. Tutti personaggi ricchi e famosi, vestiti di firme da testa a piedi. Camminano alti tre metri da terra e mi squadrano da testa a piedi analizzando il mio portamento, i miei vestiti, il mio fisico, poi si voltano altezzosi dall'altra parte quando io passo loro vicino. Che schifo di gente. L'albergo Versailles è un vero e proprio centro di ritrovo di nobili tutto oro fuori e niente personalità dentro.

-Andrè! Scusami se ti disturbo, devo chiederti una cosa.

-Oscar! Che bello vederti! In questi giorni non ti sei fatta viva, sempre dietro a quella frignona?

-Si.

-Cosa c'è di nuovo?

Andrè appoggia sul tavolo lo straccio con cui stava lucidando i bicchieri e mi sorride benevolo.

-Fiori gialli.

-Oh.

-Sai chi ha portato i fiori nelle camere del sesto piano oggi?

-Credo Alain.

-Immaginavo, sai? Quanto è distratto!

-Si è arrabbiata molto?

-Altrochè!

Ride divertito e continua il suo lavoro di lucidatura.

-Non è mai contenta.

-Quello che più mi infastidisce è che crede che io sia la sua serva. Non ha ancora capito che il mio compito è solamente quello di proteggerla, non quello di accontentare i suoi capricci.

-Allora perchè non glielo dici?

-Credi che con lei si possa ragionare?

-Un giorno che magari è di buon umore...

Faccio una smorfia. Andrè è un gran diplomatico, l'esatto contrario di me, e spesso mi da validi consigli su come contenere i miei attacchi abituadinali d'ira. Sono una persona d'azione io, ma lui mi ha insegnato che a volte basta parlare per risolvere i problemi, senza necessariamente il bisogno di passare ai fatti. Ma con Mary Anty A non si può parlare, quella è capace di farmi licenziare di punto in bianco se osassi disobbedire ai suoi “ordini”, era meglio far buon viso a cattivo gioco, stare zitti e sopportare.

-Almeno mi pagano bene.

Dico sospirando dopo un attimo di riflessione. Andrè mi guarda con quei suoi grandi occhioni verdi e sospira con me. Lui ha molti problemi finanziari, perchè il suo stipendio miserrimo gli basta a mala pena per (soprav)vivere e per pagare le visite e le medicine della nonna con la quale abita. Lavora come un matto per racimolare qualche soldo in più, ma con i tempi che corrono è sempre più difficile guadagnare bene. Vorrei poterlo aiutare, ma non vuole. Ha una grande forza d'animo questo ragazzo, non si arrende davanti a niente e malgrado la sua situazione difficile e la sua vita infelice, non rinuncia mai a sorridere. “Un giorno tutti i miei problemi si risolveranno e allora anche io potrò farmi una vita decente.” spesso dice speranzoso.

-Andrè, domani la mia protetta è ad una premiazione cinematografica e la mia presenza non è richiesta. Che ne dici se andiamo a pranzo insieme da qualche parte?

-Mi piacerebbe moltissimo, Oscar, ma non posso permettermi di spendere soldi in pranzi fuori casa.

-Offro io.

-No, davvero, non vorrei mai che tu...

-Non aggiungere una sola parola. Le mie tasche non ne risentiranno di certo. Infondo che me ne faccio di tutti questi soldi? Vivo qui gratis, mangio qui gratis, non ho il tempo di sperperare in shopping o altre sciocchezze del genere, perciò...

-Sei molto gentile.

-È un sì?

-Sì.

Sorrido. Ho proprio voglia di passare un po' di tempo con il mio fratellone.

Lo conosco dalle superiori. Ha un anno in più di me, ma me lo ero ritrovata in classe perchè era stato bocciato. È nato un feeling meraviglioso tra noi, fin dal primo momento. Ci capiamo perfettamente, condividiamo moltissimi interessi e ci aiutiamo a vicenda nei nostri problemi. È una bella amicizia la nostra e gli voglio molto bene. So che di lui mi posso sempre fidare.

-Va bene allora ti trovo qui domani mattina alle undici, come al solito?

-Naturalmente.

-Perfetto, ciao Andrè.

Faccio per andarmene quando sento che mi afferra per un braccio.

-Aspetta. È venuto prima un uomo alto, magretto, con i capelli color nocciola e gli occhiali che chiedeva di te.

-Victor Girodelle?

-Non mi ha detto come si chiamava, mi ha solo detto di essere un tuo collega.

-Sì, deve essere lui. Ha detto perchè mi voleva?

-No, appena gli ho detto che non sapevo dov'eri se n'è andato.

-Ah ok, grazie.

Quel rompiscatole di Victor! Non mi lascia un attimo in pace, mi pedina come fossi una delinquente. È innamorato pazzo di me, ma non ha ancora afferrato che non me ne importa proprio niente di lui. Agli inizi della carriera mi ha aiutato a far confidenza con il mio lavoro e da allora si illude di piacermi.

Mi dirigo spavalda nella hall dell'albergo per chiedere a Lassalle, il ragazzo che lavora alla reception, dov'è Alain.

-È andato a portare la pillola dimangrante a madame Du Barry.

-Pillola dimagrante? Ma se quella donna è un fuscellino?!

Si stringe nelle spalle e sorride.

-Lo raggiungo, grazie Lassalle.

-Prego, Oscar.

 

-Alain!

-Oh, ma guarda chi si vede! La nostra Oscar! Tutto bene, cara?

Domanda appoggiandosi al muro del corridoio con un gomito e sorridendomi malizioso.

-Sei tu che hai portato i fiori nelle stanze del sesto piano oggi?
-Certo, tesoro, perchè?

-Perchè Mary Anty A si è ritrovata fiori gialli in camera.

-E allora?

-E allora?! Odia i fiori gialli e mi ha fatto una testa così con i suoi strilli.

-Che marmocchia viziata! Il caffèlatte le fa venire l'emicrania, le coperte di lana le fanno allergia, la saponetta al tè verde ha un odore troppo aspro, la vasca da bagno è troppo stretta e l'idro massaggio non è sufficientemente potente, l'ascensore è troppo lento, lo specchio è deformante e adesso anche i fiori non le vanno bene?

Sbuffa stizzito incrociando le braccia sull'ampio petto.

-Cosa vuoi che ti dica, Alain?! Aveva chiesto espressamente delle rose e tu le hai portato narcisi e mimose! E poi se la prende con me come se fosse colpa mia, invece sei tu!

-Quanti problemi, dolcezza!

-Non sono io che mi faccio problemi, è lei che me li crea!

Ride sprezzante. Lo odio quando fa così.

-Smettila, Alain! Sai con chi hai a che fare, comportati conseguentemente e la prossima volta fa più attenzione!

Gli volto le spalle e alzo i tacchi prima di tirargli una sberla su quella sua faccia da schiaffi. È un bravo ragazzo infondo, ma prende le cose troppo alla leggera e scherza sempre. Non lo si può mai prendere sul serio.

Salgo rapidamente le scale e ritorno al sesto piano. Ho il fiato corto per la corsa, gonfio i polmoni per ristebilizzare il respiro. Poi mi dirigo verso la camera dell'attrice.

-Madame, tutto bene?

Chiedo dopo aver bussato un paio di volte.

-Si, non preoccuparti.

Risponde lei da dentro.

Bene, bene, benissimo. Posso concedermi un momento per me stessa finalmente e mi ritiro nella mia stanza, la camera adiacente a quella della “regina” delle scene holliwoodiane, con l'intenzione di buttarmi sotto la doccia.

L'acqua rigorosamente bollente scivola carezzevole sulla mia pelle. Il freddo di questa giornata di tardo autunno mi ha irrigidito le membra e congelato le ossa, ma questa rilassante doccia mi avvolge in un dolce torpore, sciogliendo e donando lentamente ristoro ai miei muscoli stanchi. Mi cingo il petto con le braccia e stringo me stessa in un forte abbraccio. Se c'è una cosa che nella mia vita mi è mancata tanto quella sono gli abbracci. Non ho mai ricevuto un abbraccio amorevole e affettuoso da nessuno, nemmeno quando ero bambina dai miei genitori. Mio padre, ricco e rinomato generale del reparto aviazione dell'esercito attualmente in pensione, è sempre stato una statua di ghiaccio. Quante volte ho tentato la vana impresa di farmi abbracciare o di strappargli un bacio. Quanto ho desiderato negli anni teneri dell'infanzia il tanto decantato bacio della buonanotte, non l'ho mai ricevuto, né da lui né da mia madre. Lei è stata un'ottima madre, attenta e premurosa, ma tremendamente devota al marito, tanto che lo imitava in tutto, persino nel comportamento da tenere con me. E così sono cresciuta in assenza quasi totale di affetto. Non so se sia stato un bene. Da una parte mi sono formata un carattere di ferro e sono venuta in possesso di un'autoritarietà considerevole, dall'altra non riesco ad essere dolce e amichevole con le persone e di conseguenza la gente non fa la fila per essere mia amica. A volte desidero essere estroversa e popolare, ma non è nel mio stile. L'unico mio vero grande amico è Andrè. Gli altri non so se poterli considerare prorpriamente amici.

Chiudo gli occhi e immagino per un momento che le braccia che mi stanno stringendo siano quelle muscolose di un uomo. Mi stringo più forte. Se fossero quelle del mondello svedese? … Ma cosa vado a pensare? Che stupida che sei, Oscar. Non ti degnerà mai di una parola, figuriamoci altro! Non puoi innamorarti di lui, farai la stessa fine di una dodicenne che si innamora di un idolo televisivo: saresti consapevole che non può essere tuo e ne soffriresti soltanto. Sei una stupida! Penso lasciando che le mie braccia mollino la presa e ricadano pesantemente lungo i fianchi. Spengo l'acqua ed esco dalla doccia rinchiudendo il mio corpo bagnato nell'accappatoio. Esco a piedi nudi dal bagno e mi butto sul morbido lettone lasciando sfuggire dalle labbra un sonoro sospiro. Rimango immobile qualche minuto, a pensare, riflettendo su tutto e su niente, svuotando la testa e riempendola al tempo stesso di immagini, ricordi, quesiti, perplessità. E così spossata e sovrappensiero abbasso le palpebre e mi addormento.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Nuovo capitolo: inizia a strutturarsi la storia con i suoi intrighi e altri personaggi fanno la loro comparsa in scena. Susu ragazze (e ragazzi) aspetto i vostri pareri.



Sono le undici e mezza ed io passeggio avanti e indietro nella hall in attesa che Andrè finisca il suo turno di lavoro.

-Scusami dolcezza, sai dirmi il numero della stanza dell'attrice Mary Anty A?

Sento questa soavissima voce maschile risuonare limpida dietro di me, dopo aver avvertito un leggero tocco sulla spalla destra. Mi volto a rallentatore, come il protagonista di un horror hollywoodiano si volta quando sente la porta cigolare alle sue spalle. Lo guardo sgranando gli occhi e schiudendo le labbra.

-Sono un suo accanito fan, sono venuto fino a Parigi per poterla incontrare. Tu sai dirmi in che stanza alloggia?

Balbetto un “sì” poco sicura.

-Bene, mi puoi dire il numero?

Un leggero accento svedese lo tradisce malgrado parli un perfetto francese.

-Qua-quattrocentodi-diciannove...

Sbiascico cominciando ad arrossire sulle guance. Mi sento un'idiota, ma il mio cervello è totalmente fuso e il battito cardiaco è a mille.

-Grazie, bellissima!

Mi strizza l'occhio e mi lancia un sorriso complice prima di voltarsi e dirigersi con passo sicuro e leggero verso l'ascensore. Lo fisso con sguardo attento come se non ci fosse null'altro intorno a me da guardare. Lo seguo con gli occhi mentre entra nell'ascensore; avendo visto che lo osservo mi saluta con un lieve movimento delle dita della mano e sollevando per un attimo le sopracciglia. Quel gesto lo interpreto come una specie di ringraziamento muto per l'informazione che gli ho dato. Mio Dio, mio Dio, mi sento svenire. Mi ha parlato, mi ha toccato, mi ha guardato, mi ha chiamato dolcezza e bellissima. Mi porto una mano alla fronte. Le sensazioni e le emozioni di quei pochi attimi fanno sfociare un sorriso distratto e sorpreso sulle mie labbra.

-Aaah!

Mi volto si scatto e il mio patetico sorriso evapora. Alain lavando i pavimenti e, distratto da una bella ragazza appena entrata, è scivolato sul pavimento che lui stesso a aveva bagnato. Che idiota!

-Alain! Ti sei fatto male?

-No, sto benone... Sono caduto proprio sul...

Lassalle abbandona la reseption correndo con quel suo strano modo goffo e dondolante e si precipita per aiutare Alain, ma, più idiota di lui, scivola precipitando sul maldestro cameriere che emette un gemito soffocato. Lassalle è piuttosto robusto e paciocco come personaggio, perciò Alain, schiacciato contro il pavimento di marmo con lui sopra e già abbastanza umiliato per l'accaduto, si mette ad urlare e ad imprecare scatenando l'indignazione dei raffinati clienti.

Sopraggiunge Andrè con il cappotto su una spalla che guarda, inizialmente sgomento, la scena. Poi sorride e sospira, mi vede e fa per raggiungermi.

-Lascia perdere questi idioti, Oscar.

Dice rivolto a me, ma fissando beffardo loro, in tono di evidente presa in giro.

-Ah! Ma stai zitto Andrè!

Sbraita Alain mentre Lassalle cerca di rialzarsi invano continuando a scivolare sul pavimento bagnato. Andrè mi prende per un braccio e mi trascina via. Si è creato un piccolo pubblico curioso e sghignazzante intorno ai due dipendenti dell'albergo ed Andrè si fa largo tra la gente protendendo un braccio avanti e chiedendo permesso con la sua solita cortesia.

Il ristorante dove voglio andare è vicino perciò ci incamminiamo a piedi per le vie trafficate di Parigi. Andrè è taciturno, mi sembra pensieroso, è strano. Arriviamo, entriamo e ci accomodiamo ad un tavolo dopo aver lasciato le giacche sull'appendiabiti.

-Oscar.

Mi sussurra appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita sotto il mento.

-Cosa?

Chiedo disinvolta. Lui ha un'aria seria e possente, mi fa quasi paura.

-Devo dirti una cosa.

Lo esorto con lo sguardo a parlare. Apre lentamente la bocca ma le parole gli muoiono in gola all'arrivo del cameriere.

-Ordinate?

Chiede questi sorridente. Io scruto rapidamente il menù pur avendo già le idee chiare sul cosa prendere e ordino. Andrè indugia sulla lista dei piatti per diverso tempo tanto che il cameriere lo richiama.

-Signore, se non ha deciso, torno dopo.

-No, ho deciso, un piatto di spaghetti.

-Molto bene.

Aspetto che il cameriere si allontani poi mi sporgo verso di lui sul tavolo e gli sussurro:

-Allora?

Fa un profondo sospiro e si sporge anche lui più verso di me.

-Riguarda Mary Anty A.

-Continua.

-Sai chi è la contessa di Polignaç?

-Certo, come potrei non saperlo.

-Ha legato molto con Maria, vero?

-Da quando è all'albergo Versailles sembrano essere diventate molto amiche.

-Si, è questo il problema. Insomma, Madame de Polignaç non è quella che dice di essere.

-In che senso?

Esclamo rizzando la schiena e fissandolo sconcertata.

-E' stata proclamata unica erede del grande patrimonio della zia poiché il vero e proprio testamento non è mai stato trovato, ma so per certo che dietro tutto ciò c'è un inganno, infatti la contessa de Polignaç, sua zia, avev...

-Ecco i piatti!

Cinguetta il cameriere appoggiando i piatti sul tavolo e augurandoci gentilmente buon appetito.

-Sua zia aveva nascosto una copia del testamento in una specie di cripta nella propria camera da letto ed è stato rinvenuto per caso da una cameriera.

-E quindi?

-Quindi, madame de Polignaç non è nemmeno citata nel testamento! I veri eredi sono altri nipoti delle contessa. Madame si è dovuta indebitare fino al collo per riuscire a restituire tutto i patrimonio della zia e si può dire che ora non abbia nemmeno un soldo in tasca.

-E allora come può permettersi tutti i lussi che sfoggia?

-Ottima domanda...

Incrocia le braccia sul petto e mi guarda complice aspettandosi un mio commento. Io sono confusa.

-Come sai tutto questo?

-Ai nobili piace molto parlare e spettegolare quando sono a tavola.

Dice riprendendo in mano la forchetta. Io guardo incerta e pensierosa il mio piatto, meditando sulle parole di Andrè.

I ricchi dell'albergo Versailles sono tutti terribilmente odiabili e Madame Polignaç non è certo da meno, anzi. Fin da quando è arrivata l'ho trovata insolita, ma non sono mai riuscita a capire cosa ci fosse in lei di diverso e più oscuro dagli altri ricchi. Lei e Mary Anty A hanno iniziato a scambiarsi qualche parola al club del thè delle cinque, a cui naturalmente sono costretta a partecipare tutti i giorni anche io. Mi sento come un pesce fuor d'acqua, circondata da donne ricoperte da abiti di Armani e impregnate di Chanel n° 5 che cinguettano e gracchiano a seconda dell'argomento e si lanciano frecciatine a vicenda tramite battutine e doppi sensi ben mirati. A questo circolo del tè Mary Anty A e Madame Polignaç si sono conosciute e hanno presto scoperto di avere molto in comune. Da qui la decisione di cominciare a frequentarsi ufficialmente. Si rinchiudono di consueto in camera dell'una o dell'altra e parlano di tutto e di più. Per fortuna non sono tenuta a rimanere con loro, altrimenti credo che mi sparerei, è già abbastanza torturante il club del tè. Ho sempre ritenuto Madame Polignaç una gran dama ricca e rispettabile, ma ora, dopo aver udito il discorso del mio amico sono abbastanza allarmata. Cosa vuole quella donna da Mary Anty A? Se ciò che Andrè afferma è la verità, madame non è la miglior compagnia da lasciar frequentare all'attrice. Sarà bene farle allontanare al più presto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

Quando ritorno all'albergo da sola noto una massa brulicante di ragazzine strillanti appostate fuori e bloccate da alcune guardie. Una volta dentro mi ritrovo circondata dal putiferio più totale. Giornalisti, fotografi e reporter con telecamere e microfoni si ammassano l'uno sull'altro per riuscire ad intervistare il famoso cantante Eddie Roger che stretto nella sua giacca non rivolge la parola a nessuno e si fa largo tra la folla tramite le sue possenti guardie del corpo. Non è una scena che mi è nuova, dopotutto.

Mi fiondo nell'ascensore prima di venire travolta e guardo l'orologio impallidendo. Sono in ritardo, Mary Anty A probabilmente è già tornata.

-Presto presto al sesto piano, Pierre!

Esclamo sudando freddo. Poi una voce:

-Aspettate!

Vedo un braccio bloccare le porte dell'ascensore ed ecco un giovanotto morettino che si getta dentro. Sbuffo agitata per il piccolo contrattempo.

-Sbrigati Pierre!

Supplico fissando continuamente l'orologio. Quando le porte si chiudono il ragazzo si gira verso di me, mi squadra da testa a piedi pensoso, poi si volta verso la porta dell'ascensore e riflette. Io mi morsico le unghie nervosa e fisso insistentemente il pannello sul quale si illuminano uno dopo l'altro i numeri dei piani. Maledetto ascensore lento. Poi senza rivolgermi lo sguardo il moro inizia a chiedermi se so a che piano alloggia il Duca D'Orleans.

-Al quinto.

Un “ding” e la porta dell'ascensore si spalanca sul 5° piano. Lui scende e dopo aver compiuto pochi passi si ferma e volta il viso lentamente.

-Grazie...

Sorride. La porta si chiude troppo in fretta perchè io riesca a percepire i tratti del suo viso. Eppure uno strano presentimento si impadronisce di me. Appena raggiungo il sesto piano tale sensazione svanisce automaticamente e con essa anche il ricordo del morettino. Ho altri, troppi pensieri per la testa per potermi concedere di dar retta ai miei presentimenti.

 

 

Con passo veloce attraverso il corridoio del sesto piano. Cammino a testa bassa, riflettendo su quello che mi ha detto Andrè riguardo alla Polignaç. È un attimo e mi ritrovo spiattellata contro qualcuno. Mi ritraggo immediatamente ricomponendomi e chiedendo scusa senza nemmeno guardare in faccia colui che avevo distrattamente tamponato.

-Figurati, dolcezza.

Quella voce mi fa irrigidire e con uno scatto sollevo la testa puntando i miei occhi su quel viso angelico e perfetto. Lui mi scivola accanto dirigendosi con il tipico passo da modello in passerella verso l'ascensore che io ho appena abbandonato e vi scompare all'interno. Rimango per qualche secondo senza respirare fissando stupidamente il corridoio vuoto, poi scrollo la testa dandomi della rimbambita e procedo verso la suite della mia protetta.

Girodelle passeggia nervoso davanti alla porta dell'alloggio e appena mi vede tira un lungo sospiro di sollievo.

-Oscar! Finalmente sei arrivata, accidenti a te!

Mi rimprovera a bassa voce venendomi in contro. Non gli rispondo né lo guardo e faccio per entrare nella stanza, ma lui mi blocca per un braccio. Non posso fare a meno di rivolgergli lo sguardo, incontrando le sue iridi grigie puntate su di me.

-Ti ho cercata ieri mattina, dov'eri?

-A fare il mio solito dovere, Victor.

Maledizione, ma vuole o no mollarmi il braccio? Non si rende conto che sono già abbastanza in ritardo?

-Oscar...

-Cosa?

-Ho chiesto a Mary Anty A di lasciarti libera venerdì.

-Perchè mai?

-Spero che ti possa far piacere venire a cena con me.

-Sei davvero gentile, ti farò sapere.

Sfoggio un sorriso tirato e mi scollo a forza dalla sua presa d'acciaio. Da una parte mi dispiace trattarlo così freddamente, ma non posso farne a meno, è dannatamente fastidioso.

 

-Ah eccoti Oscar! Dunque, mio fratello viene a Parigi, ma non ho alcuna intenzione di andare a trovarlo, telefonagli e digli che sono ammalata. Va' a dire alla contessa Polignaç che il nostro appuntamento domani al club del tè non è rimandato. Ah e.. Oscar, mi serve un abito da sera per il party che dà questa sera la Du Barry. E manda via quello scocciatore di Girodelle.

L'attrice sentenziò i miei compiti della giornata mentre si pettinava con energia i capelli. Mi girai per uscire quando udii un ruggito e un suono sordo di legno rotto: spazientita per un nodo che non aveva intenzione di districarsi aveva amabilmente spezzato la sua spazzola di mogano della bisnonna.

-E prenotami al più presto una parrucchiera!

Grida pestando i suoi piedini a terra, rossa in viso come un pomodoro.

Appena esco mi ritrovo avvolta nella fastidiosa sensazione che qualcosa non vada, la stessa di pochi minuti prima. Sento un vociferare acuto al piano sottostante e mossa dalla curiosità decido di andare a vedere cosa sia successo.



Ecco il nuovo capitolo. Un'altra veloce apparizione di Fersen il modello svedese, un'altra crisi isterica di Maria Antonietta, la comparsa di ulteriori personaggi...Ma chi è il giovanotto moro sull'ascensore?
Credo che non pubblicherò nuovi capitoli per un po' di tempo perchè in questo periodo sono abbastanza impegnata, ma mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e se avete delle idee e dei consigli a riguardo. Alla prossima

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Trovo in 5° piano in subbuglio: tutti i nobili signori del corridoio sono affacciati alle loro porte e tengono gli occhi puntati sulla stanza 332, mentre tre camerieri, Lasalle e il signor Borbone confabulano preoccupati tra di loro.

-Alain! Che diavolo è successo qui?

Domando al mio sbadato amico appoggiato al muro come suo solito.

-Pare che il nostro Duca abbia avuto qualche problemuccio.

E si stampa in faccia quel suo solito sorrisetto strafottente.

-Che genere di problemuccio?

-Va' a constatare tu stessa.

Con un braccio mi invita ad andare verso la stanza in questione. Mi dirigo circospetta verso la camera, accenno un saluto verso Lasalle e il direttore e sbircio all'interno. Spalanco gli occhi: davanti a me il duca è seduto su una sedia pallido e tremante, sventagliato e coccolato da due cameriere, mentre intorno a lui la stanza sembra essere stata ribaltata da un uragano. La mano di Lasalle si appoggia sulla mia spalla destra ed io mi volto chiedendogli spiegazioni col lo sguardo. Lui solleva le spalle e sospira:

-Un ladro, pare.

-Un ladro?

-Si.

Un ladro. Un ladro nell'albergo più controllato e protetto della città. Un ladro che è passato, ha causato un simile putiferio, ha rubato chissà quale somma o oggetto prezioso e se l'è svignata tranquillamente. Rimango attonita dalla notizia e perplessa mi massaggio la fronte. Assurdo. Sconvolgente.

Mi rivolgo al signor Luigi chiedendogli maggiori informazioni.

-Non sappiamo come sia potuto succedere. I fatti si sono svolti pressapoco così: il signor duca ha ordinato per telefono un cocktail e non avendolo ricevuto è sceso nel reparto ristorazione. Lì vi è rimasto per poco più di dieci minuti e quando è tornato ha trovato il disastro. Sembra che siano scomparsi un migliaio di euro e un orologio d'oro da taschino. Oscar, tu saresti in grado di indagare?

Come può chiedermi una cosa simile? Sa bene che sono già abbastanza occupata a assecondare i capricci della moglie ed a proteggerla.

Sostengo con durezza il supplichevole sguardo del signor Borbone cercando di far intendere che non ho alcuna intenzione di accettare, ma alla fine mi ritrovo costretta a cedere.

-E va bene, lo farò.

 

Entro nella stanza e mi avvicino al Duca con fare professionale domandandogli:

-Se la sente di rispondere a qualche domanda?

Mi rivolge uno sguardo tra il disperato e lo sconvolto, poi annuisce sommessamente abbassando il capo.

-Ha chiesto un cocktail giusto?

Non gli lascio il tempo di confermare e proseguo nell'interrogatorio.

-E siccome non le arrivava è sceso al ristorante lasciando la porta aperta, giusto?

-Giusto.

Mormora.

-Mentre attraversava il corridoio ha incrociato qualcuno?

-Si, diverse persone, ma non ho prestato loro caso, ero troppo stizzito in quel momento per curarmene.

-Quanto si è trattenuto al piano di sotto?

-Circa un quarto d'ora credo, forse una decina di minuti...

-Con chi ha parlato?

-Con il responsabile.

Rimane muto qualche istante, forse incerto su quello che sta per dire.

-Mi sono lamentato con lui per il ritardo della consegna, ma quando mi ha assicurato che il cameriere era appena salito a portarmi l'ordinazione mi sono subito tranquillizzato, l'ho ringraziato e mi sono diretto immediatamente verso le scale. Nella hall però un giovanotto, un giornalista suppongo, mi ha fermato e mi ha rivolto alcune domande per un sondaggio riguardo al cibo negli alberghi.

-Ricorda il ragazzo?

Lo interrompo.

-Si, sono rimasto in sua compagnia diversi minuti. Aveva i capelli lisci e lunghi tanto da coprirgli le orecchie, di un biondo scuro, più tendente al castano ripensandoci. Aveva gli occhi chiari, grigi se non erro. Magretto e piuttosto alto. Indossava un cappotto blu scuro.

-E quando è tornato in camera ha trovato questo disastro.

Constato guardandomi intorno.

-Cosa è sparito?

Continuo.

-Denaro e un orologio d'oro.

-Dove teneva i soldi e l'orologio?

-I soldi rubati erano su quel mobile rovesciato, mentre l'orologio era sul comodino.

-Interessante...

Commento prendendomi il mento tra il pollice e l'indice.

-Ha avvisato subito dell'accaduto?

-Prima ho controllato cosa fosse stato rubato.

Scuote il capo e per un momento mi pare che stia per piangere.

-Non capisco..

Mugola sconsolato.

-Non capisco perchè sia capitato proprio a me.

-Anche io non capisco, non capisco diverse cose: non capisco perchè un ladro che ruba degli oggetti già in vista abbia bisogno di rivoltare questa stanza e non capisco come sia stato possibile in poco più di dieci minuti.

Davvero molte cose non quadrano. Troppe. Sospetto che sia soltanto una messa in scena e se così fosse devo scoprire il motivo di questa clamorosa farsa. Che il tutto sia per screditare i leggendari sistemi di sicurezza dell'albergo? O c'è un movente più profondo?

Temo che i capricci di Mary Anty A debbano aspettare, io ho un mistero da risolvere.

Dunque, capisco perfettamente che questi primi capitoli possano sembrare noiosi, ma fidatevi che il bello sta giusto per arrivare, parola dell'autrice. Qualcuno ha già intuito qualcosa riguardo al furto nella stanza del duca? Chi è stato secondo voi? Ci tengo a sapere il vostro parere e che ne pensate della storia nel suo complesso, grazie e a presto. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

CAPITOLO 6

Ecco a voi il nuovo capitolo. Chiedo scusa a coloro che leggendo il capitolo precedente l'hanno trovato interrotto, ho avuto dei problemi che però ora ho sistemato.

Bene, bene, questo capitolo è un po' noiosetto forse ma è il preambolo al vero cambiamento (so che sto annunciando questa famosa svolta da un po' ma abbiate pazienza).

Chiedo scusa alle accanite fan di Andrè per la sua scarsa presenza, non temete, presto assumerà il suo ruolo da co-protagonista nel vero senso della parola. Grazie a tutti quelli che hanno recensito, mi fa sempre piacere ricevere un vostro parere, alla prossima.

 

Mentre cammino avanti e indietro nella mia stanza, d'improvviso mi affiora nella mente l'immagine di quel giovane moro sull'ascensore. Un'illuminazione. Avendomi chiesto a che stanza risiede il duca, sicuramente centra qualcosa in tutta questa faccenda. Devo rintracciarlo.

Mi siedo sul letto e mi prendo la testa tra le mani sforzandomi di ricordare il suo volto. Effettivamente in quel momento ero troppo preoccupata di essere in ritardo per darmi disturbo ad osservarlo. Non rammento quasi per niente le sue fattezze, ma mi pare di aver notato in lui una spaventosa somiglianza con Andrè. Mi lascio cadere di peso all'indietro incontrando la morbidezza elastica del comodissimo materasso. Che si tratti di un parente di Andrè? Dubito che sia così, conosco Andrè da tanto, so per certo che non ha né fratelli, né cugini. Però più ci penso più mi sembra di ricordare una somiglianza spropositata tra i due. L'altezza, il fisico, il colore e perfino il taglio dei capelli accomunavano il tipo con Andrè.

Sbuffo maledicendomi per aver accettato di indagare.

-Accidenti a Luigi. Cosa gli costava assumere un investigatore privato e lasciarmi l'anima il pace? Che poi in pace non è comunque, causa la sua adorabile mogliettina.

Brontolo tra me e me alzandomi e dirigendomi verso il mobiletto dei miei liquori personali. La giusta quantità di un buon brandy mi ha sempre aiutato a stimolare l'intelletto e in questo momento ne ho bisogno, anche e soprattutto per rilassare i nervi. Guardo l'orologio, sono le quattro e mezza: Mary Anty A probabilmente si sta preparando per andare al club del thè con la Polignaç. A tale pensiero sospiro pesantemente alzando gli occhi al cielo. Devo occuparmi anche di questa faccenda. Dopo aver sentito le parole di Andrè su di lei il fatto che Maria Antonietta la frequenti non mi va giù, devo impedirlo. Come? Bella domanda. Sono quasi inseparabili ormai e ovviamente l'attrice non presterebbe mai ascolto ad una mia singola parola contro la sua nuova amica, testarda com'è.

-Cosa ho fatto di male?

Chiedo spazientita a me stessa.

Il brandy oggi mi ha deluso, ne ho bevuto un bicchiere e mezzo eppure non mi sento per niente più rilassata. Ho bisogno di qualcuno con sui sfogarmi, ma chi? Andrè è andato a casa e non voglio disturbarlo, Alain no, fuori discussione, non mi prenderebbe sul serio, Lassalle è impegnato con il direttore per riordinare la stanza del duca. Non mi rimane che la mia amica Rosalie. Prendo il cappotto ed esco, passo davanti alla stanza dell'attrice per accertarmi che stia bene e mi dirigo verso l'uscita.

Rosalie lavora in un piccolo bar sulla Rive Gauche, non troppo lontano dall'albergo, sicchè non ho bisogno di prendere né la metro, né l'autobus.

Io e lei ci siamo conosciute all'università. Non siamo diventate subito amiche, anzi, all'inizio ci odiavamo a morte. Eravamo e siamo tutt'ora due caratteri completamente differenti: lei è una romanticona smielata, adora i romanzi rosa, le riviste di gossip, le canzoni d'amore più sdolcinate e ha una passione snaturata per la moda, io no. Mi capitò di dover condividere la mia stanza con lei, così imparammo prima a sopportarci e poi a convivere, e fu così che diventammo praticamente inseparabili.

Prima di svoltare l'angolo butto un'ultima occhiata verso l'albergo: una limousine parcheggia davanti all'ingresso, lo sportello si apre ed ecco vedo uscire, seguita dalle sue sguattere, Madame Du Barry avvolta in una sontuosa pelliccia di volpe di ritorno da una faticosa giornata di shopping.

Il cielo è coperto da un fitto strato di nuvole e un vento tipicamente invernale soffia con vigore da nord.

Entro nel bar e mi siedo al bancone. Rosalie è impegnata a fare dei caffè e mi da le spalle; non si è accorta di me. Così in tono scherzoso mi faccio riconoscere:

-Mi fa un caffè espresso per cortesia, Signorina Rosalie?

Lei sussulta e si volta di scatto. Uno smagliante sorriso si apre sul suo volto angelico.

-Oscar! Che bello, sei venuta a trovarmi! È una giornata così noiosa, sono felicissima di vederti!

Ricambio il sorriso poi sospiro.

-Avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi ascolti, Rosalie.

-Vuota il sacco.

Canterella lei con voce armoniosa, mentre prende una tazza per il mio caffè. Io appoggiò un gomito sul bancone e mi strofino il viso con la mano, quindi comincio a raccontare con calma tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni. Lei mi ascolta in silenzio annuendo e qualche volta anche ridacchiando. Infine mi serve il caffè e sorridendo benevola mi si avvicina col viso.

-Ti reputano tanto dura e “cuore-di-pietra” ma in fondo sei perfino troppo buona, il tuo problema è che non sai dire di no a nessuno.

Aggrotto le sopracciglia e apro la bocca con l'intenzione di ribattere, ma mi blocco e abbasso la testa sconfitta. Forse è davvero così, forse sono davvero troppo buona, eppure faccio fatica a crederlo, mi sono sempre ritenuta così ferrea. Invece evidentemente mi sono sbagliata. È talmente triste da ammettere, ma è così: Oscar François de Jarjayes è una donna debole che si fa mettere i piedi in testa da tutti.

-Già...

Mormoro dunque, sconsolata, assaggiando il caffè fumante.

-Suvvia Oscar!

Mi rianima Rosalie agitando in aria le sue manine delicate.

-Non abbatterti. Non è così tragico essere buoni, sai?

Per qualche strano motivo, forse per causa di qualche massima impartitami da mio padre quand'ero bambina, mi viene spontaneo equiparare la bontà alla debolezza, pur sapendo bene che sono due cose perfettamente distinte.

 

Mentre torno verso l'albergo assorta nei miei pensieri di auto-rivalutazione, mi capita di passare davanti ad un noto negozio di moda e la mia attenzione viene magicamente catturata da un meraviglioso abito blu, lungo, tutto di seta, incrociato sul seno esposto in vetrina. Non ho mai visto un vestito più bello. Rimango diversi minuti in ammirazione, poi, sorprendendomi io stessa della mia spavalderia, prendo la coraggiosa decisione di entrare e chiedere di provarlo.

Quando esco dal camerino, l'assillante commessa dai lunghi capelli palesemente tinti di biondo-platino mi ricopre di complimenti frivoli. Io non do retta alle sue parole, sono troppo concentrata nel guardarmi allo specchio; mi metto prima di profilo poi di schiena e poi di fronte e poi di nuovo di profilo, più volte. Valuto attentamente ogni particolare: l'abito è comodo, ha un bellissimo taglio, è scollato ma non per questo volgare, è molto elegante e il colore si riflette con i miei occhi. Insomma, è perfetto.

-Mi piace. Lo prendo.

La mia sentenza così improvvisa coglie di sorpresa la commessa, che, dopo un momento di smarrimento, entusiasta mi strizza l'occhio e mi fa riaccomodare nel camerino, mentre annuncia alla collega alla cassa la vendita.

 

Non ho mai speso tanti soldi per un vestito. Non so nemmeno io perchè l'ho comprato, forse non lo userò neanche. Comincio già a pentirmi del mio acquisto avventato quando mi affiora alla mente un'idea a dir poco folle: avrei partecipato al party della Du Barry questa sera. Nessuno degli altezzosi partecipanti mi avrebbe riconosciuta, perchè nessuno di loro si è mai preoccupato di notarmi. Il problema era infiltrarsi, data la presenza di alcuni miei colleghi. Ripensandoci quello non sarebbe stato quasi affatto un impiccio. Prendo il cellulare e digito il numero. Mi basta attendere il tempo di tre squilli che..

-Pronto?

-Ciao, Victor, sono Oscar.

Sento la sua voce accendersi di euforia.

-Oscar! Dimmi tutto!

-Accetto il tuo invito per venerdì.

Lo immagino sorridere entusiasta al di là della cornetta.

-Ah e...

Continuo.

-Mi servirebbe un favoruccio.

-Qualunque cosa per te.

Lo sapevo” sghignazzo nella mente. A quel punto gli espongo il mio progetto, non ne sembra convinto, ma so che si sente obbligato ad assecondarmi ormai, so che non rifiuterà. Ed infatti...

-Va bene, Oscar, ti copro, ma se ti fai beccare, nei guai ci andiamo entrambi.

Lui è troppo “Yes-man” per anche solo pensare di infrangere le regole, ci è fin troppo devoto, ma un mio schiocco di dita riesce facilmente a plagiarlo, dopotutto per me farebbe qualsiasi cosa, l'ha detto lui stesso.

Ora mi serve solo un alleato interno. Chi meglio del mio migliore amico? Farò in modo che Andrè riesca a trattenere Mary Anty A nella sua camera affinchè arrivi in ritardo al ballo, abbastanza in ritardo perchè io possa andarmene prima che ella mi smascheri.

Il piano è impeccabile, metterlo in pratica sarà un gioco da ragazzi.

Mi sento in fibrillazione come una sedicenne che mente ai genitori per andare ad una festa che le è stata proibita, cosa che data la mia educazione, non mi sono mai permessa di fare.

Sono esausta di questa vita. Ora basta sottomettersi sempre e umilmente ai comandi degli altri. Dite addio alla Oscar che si fa mettere i piedi in testa, la nuova Oscar ha bisogno di dare una svolta alla sua miserabile vita. Voglio divertirmi. 



Immagino che sia abbastanza chiaro per voi chi è il morettino dell'ascensore, non è invece affatto chiaro per la nostra Oscar che si scervella. La ragazza ha voglia di cambiamenti, è certa che andrà tutto liscio, ma temo che qualcosa andrà storto. Non preannuncio niente, mi sono già sbilanciata abbastanza. Ciao ciao.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

Capitolo breve, insomma, transitorio, ancora una volta, voglio tenervi sulle spine. Dunque, abbiamo una sbirciatina veloce al club del tè: inizialmente pensavo di scrivere molto di più a riguardo, poi ho constatato che avrebbe potuto annoiarvi, così ho ridotto notevolmente. E poi c'è Oscar che organizza il suo geniale piano, degno di un agente 007. Alla prossima e ancora grazie a chi legge, segue e recensisce. 
 

Lungo la strada di ritorno non faccio che riflettere sulla rapina nell'alloggio del duca D'Orleans. Mille pensieri e mille domande mi si accavallano disordinatamente nel cervello con tra loro un nesso logico netto che però io non riesco a cogliere malgrado mi sforzi di capire che cosa non mi quadra.

Ogni tanto lancio un'occhiatina al mio vestito ben piegato nella busta che reco in mano e sorrido. La serata si prospetta interessante. Decido per tanto di lasciarmi almeno per il momento alle spalle quei contorti ragionamenti senza capo né coda e concentrarmi sulla mia missione: partecipare alla festa.

Dopo aver avvertito telefonicamente Mary Anty A che non potrò accompagnarla al club del tè, ma che la raggiungerò al più presto direttamente lì, mi dirigo nella mia stanza per nascondere nell'armadio l'abito.

Prima di andare al club del tè, passo nel reparto ristorazione e non trovando Andrè, gli lascio detto di passare nella mia stanza alle sei e mezza.

 

Arrivo al club del tè. Le signore si sono già accomodate sui divanetti di raso rosa e stanno versando nelle rispettive tazze la bevanda calda. Mi siedo su una sedia, poco distante dalla mia protetta, e incrocio le braccia porgendo senza troppo entusiasmo l'orecchio ai loro discorsi.

-Maria, ho saputo che tuo fratello è venuto qui a Parigi. Mi dicesti che me l'avresti fatto conoscere appena si fosse presentata l'occasione. Da come racconti di lui, sembra essere una persona squisita.

Cinguetta allegramente madame de Boulainvilliers aggiustandosi il colletto di pizzo della camicetta.

-Temo sia troppo impegnato, cara Marie-Madeleine, per venire a trovarmi. Tanto meglio, le sue chiacchiere mi annoiano sempre a morte e sono sicura che ti annoieresti anche tu.

Risponde altezzosa Mary Anty A sorseggiando con eleganza nobiliare il suo tè.

-Oh no! Io invece sono sicura che sarebbe un vero diletto ascoltarlo parlare, tu stessa dicesti che è estremamente intelligente.

-Intelligente non significa di compagnia. Ahgh, questo tè è amarissimo.

Non finisce neppure di pronunciare la frase che le sue civettose amiche si sono già scannate per offrirle una zolletta di zucchero. Ovviamente la Polignaç prevale.

-Grazie mille, Yolande.

La ringrazia sorridente Maria Antonietta.

L'ora scorre, lentamente e pesantemente, i minuti per me non passano mai.

-Superba la tua pelliccia, Jeanne.

Si complimenta ad un tratto l'attrice rivolgendosi a madame Du Barry. Quasi mi sorprende sentire quelle parole scivolare con aria così cortese dalla bocca di Maria Antonietta, sapendo che alla mia protetta madame Du Barry non è mai andata troppo a genio.

-Grazie, Maria, sei davvero gentilissima. A proposito, spero che non mancherai questa sera.

Mary Anty A storce un po' la bocca e alza gli occhi al cielo pensosa.

-Si, credo proprio di esserci. Oscar! Non ho altri impegni questa sera vero?

So bene che è tutta una recita la sua, progetta di andare a questo party da più di una settimana.

-No, madame.

Rispondo paziente.

-Sentito Jeanne? Verrò di sicuro.

L'aura di falsità che aleggia senza tregua sulle smorfiosette che mi ritrovo davanti mi da il voltastomaco. La loro superficialità, la loro frivolezza mi infondono un senso di disgusto e di amarezza. Finalmente l'imponente orologio a pendolo settecentesco rintocca le sei e le donne si salutano.

 

È giunta l'ora di cominciare a prepararmi per la festa. Gli ascensori perennemente occupati mi obbligano a prendere le scale, non è la prima volta che mi capita, ma essendo di fretta, avrei preferito non dover correre per sei rampe di scale. Giunta nella mia stanza mi spoglio immediatamente e mi immergo nell'immensa vasca da bagno. Sprofondo nell'acqua tiepida bagnandomi i capelli. Chiudo gli occhi e sorrido divertita pensando a ciò che mi aspetta. Poi un lieve bussare mi distrae. Sento la voce lontana e ovattata di Andrè chiedere il permesso dal corridoio. Per un momento non so se uscire dalla vasca di corsa e coprirmi o non rispondergli affatto facendo finta di non esserci o di non averlo sentito.

Stupida, infantile Oscar. Maledizione. Anche se entrasse non si permetterebbe mai di irrompere nel bagno. E comunque di che mi vergogno? È più di un fratello per me quel ragazzo, perchè dovrei scandalizzarmi? E poi sono ricoperta da uno strato impenetrabile di schiuma.

-Entra Andrè.

Grido infine. Sento il rumore della maniglia che si abbassa e i cardini che cigolano leggermente.

-Oscar? Dove sei?

-Sono in bagno Andrè.

Sento i suoi passi bloccasi ed egli con un filo di voce mi chiede:
-Ti disturbo? Devo andarmene?

-No, figurati, non c'è alcun problema, tre minuti e sono lì.

Mi sciacquo rapidamente ed esco dalla vasca, posso immaginare il velo di imbarazzo che lo ricopre, non posso torturarlo trattenendomi a lungo.

-Eccomi.

Annuncio mentre esco dal bagno stringendo la cintura dell'accappatoio. È seduto sul mio letto che scruta il panorama oltre le ampie vetrate che danno sulla Senna.

-Cos'è successo di così importante da farmi convocare qui?

-Ho bisogno del tuo aiuto.

Gli rispondo mentre tiro fuori dall'armadio l'abito. Vedo i suoi occhi brillare alla vista di un simile capolavoro di moda e incredulo mi chiede conferma della proprietà dell'abito.

-Si, Andrè, è proprio mio. E ho intenzione di indossarlo stasera al party di madame Du Barry.

Esplode in una fragorosa risata.

-Scusami, Oscar, ma davvero non riesco ad immaginarti in simili vesti.

-Dico sul serio.

La mia voce non ammette repliche e lui tace.

-Andrè, devi far sì che Mary Anty A resti nel suo alloggio finchè non sarò tornata, solo allora la lascerai libera di venire al party.

-E come accidenti faccio? Non da retta a te, figurati se la da a me.

-Ti dirò io tutto ciò che dovrai fare, segui le mie istruzioni e non ti sarà difficile. Dunque: Maria Antonietta sta aspettando in questo momento che l'abito che mi ha fatto mandare in tintoria le venga riconsegnato. Quell'abito non deve arrivarle prima delle dieci di questa sera e finchè non lo avrà si può star certi che non parteciperà alla festa. Generalmente è Diane a portare gli abiti alle gran dame dell'albergo. Distrai Diane e il gioco è fatto.

-Come?

-Col tuo fascino, ovviamente.

Un leggero rossore gli tinge le guance.

-Andrè, andiamo, Diane è innamorata pazza di te, se ne sono accorti tutti, non ti sarà difficile trattenerla un'oretta in tua compagnia. Poi offriti di portare tu a Mary Anty A il suo vestito. Quando l'avrai ottenuto, rifugiati da qualche parte, in bagno o in uno sgabuzzino, insomma sparisci dalla circolazione e non consegnarglielo finchè non sarà il momento, mi fido di te.

Non mi risponde. Da persona leale quale è, so bene che trova ingiusto dover ingannare qualcuno in questo modo. Forse gli sto chiedendo troppo.

-Va bene Oscar, farò il possibile.

-Grazie! Oh Andrè, grazie, grazie!

Gli brutto le braccia al collo e lo stringo a me come mai ho fatto prima. Ricambia il mio abbraccio, poi si alza.

-Ti lascio, hai ancora poco tempo per finire di prepararti. Divertiti, ma stai attenta.

Detto questo si dirige verso la porta.

-Ah e...

Volta il viso sorridendo.

-Non fare la cattiva bambina.  

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

CAPITOLO 8

Premetto che questo capitolo non mi convince affatto, ma non riesco a renderlo perfetto come lo vorrei perciò temo dobbiate accontentarvi. Mi è uscito un po' lunghetto, mi sa, chiedo scusa. Ah! Vi pregerei di segnalarmi eventuali errori di qualsiasi genere anche negli altri capitoli che avete riscontrato leggendo e che a me sono sfuggiti, ve ne sarei grata. Detto questo vi lascio alla storia.

 

 

Opera completata. Ed eccomi qua, di fronte allo specchio, che mi rigiro su me stessa osservando con un sorriso soddisfatto il risultato di ben due ore di duro lavoro. I capelli biondi ben piastrati cadono sciolti sulle spalle e sulla schiena nuda e danno così l'idea di essere più lunghi, mentre gli occhi incorniciati da un velo di ombretto blu-notte, mi appaiono più azzurri del solito. Passo una mano sulla soffice stoffa d'organza: l'abito è semplicemente meraviglioso, bellissimo e comodo, lo adoro.

Butto uno sguardo al mio orologio da polso, sono le otto e mezza, è giunto il momento di andare.

 

Apro lentamente la porta e scruto il corridoio prima verso destra, poi verso sinistra. Nessuno all'orizzonte. Esco quindi a piedi nudi, con le scarpe dal tacco vertiginoso in mano, per non far rumore mentre corro verso l'ascensore. È sempre vuoto a quell'ora, non ho nulla da temere.

Pierre, l'uomo-dell'ascensore, come lo chiamano, anzianotto e già mezzo cieco, non mi riconosce quando entro. Sorrido e mi mordo il labbro inferiore per l'eccitazione mentre sento l'ascensore percorrere verticalmente la sua tromba, non mi sono mai sentita così agitata e emozionata. In tre minuti arriviamo al piano terra e la porta dell'ascensore si spalanca su una fila quasi interminabile di partecipanti alla festa che attendono di entrare. Victor è all'ingresso e li fa passare uno alla volta dopo averne controllato il nome su un taccuino. Mi avvicino e mi metto in fila anche io. Non sto nella pelle, la mia schiena è costantemente percorsa da brividi di gioia, non riesco a non sorridere.

Quando arriva il mio turno di entrare, Girodelle sogghigna squadrandomi da testa a piedi con la coda dell'occhio.

-Prego.

Con un cenno della mano mi invita gentilmente ad entrare. Gli strizzo l'occhio, in questo momento potrei bacialo da quanto gli sono grata.

Il salone in cui mi ritrovo è addobbato da mozzare il fiato. Solo qualche luce azzurrina soffusa illumina l'ampia stanza facendo sberluccicare come diamanti i decori in cristallo che pendono dal muro. Dei drappi di seta bianca incorniciano i finestroni dai quali penetra una tenue luce lunare e dai quali si può ammirare uno scorcio di cielo stellato.

Un uomo in frack è seduto al pianoforte, un meraviglioso pianoforte a coda bianco come il latte con incastonati dei brillanti luminosi, e suona jazz. Le sue dita danzano rapide e inarrestabili sulla tastiera, mi sorprendo dalla naturalezza dei suoi movimenti. Chiudo gli occhi e assaporo quella musica così suadente con le orecchie lasciando che quella melodia mi entri nelle ossa. Poi il suono di una voce che mi invoca spezza quella magia.

-Niente cavaliere, mademoiselle?

Sollevo le palpebre e davanti a me appare una meravigliosa visione. Lui, proprio lui, in aderente camicia bianca, con quegli occhi di ghiaccio che mi fissano dolcissimi. Il mio cuore si scioglie, mi sento le gambe cedere. Un sorriso seducente gli illumina il volto, mi manca la voce per rispondergli, mi manca il respiro. Muove un passo verso di me, lo sento vicino, posso avvertire il suo profumo, Ugo Boss, sovrastare il profumo di fiori che aleggia nella stanza. Mi prende per mano e mi trascina sulla pista da ballo, io mi lascio condurre inerme da lui. La musica jazz prende una piega più blues, mentre egli mi attira verso di sé poggiando una mano audacemente sulla mia schiena.

-Ci conosciamo?

Mi domanda analizzando il mio volto. Abbasso gli occhi.

-Non mi pare.

Mento arrossendo. I nostri passi coordinati seguono il ritmo lento della musica, giriamo su noi stessi, mi sembra di volare. Dimentico il dolore che i tacchi a spillo mi provocano, dimentico l'orario, dimentico dove mi trovo. Il pianista intona alcune parole in inglese, la sua voce rauca e possente mi ricorda vagamente quella di Louis Armstrong.

-Come si chiama?

Gli domando, devo sapere il suo nome.

-Hans Axel, lei?

Rimango spiazzata da quella domanda, eppure me la sarei dovuta aspettare. Penso rapidamente ad un nome qualsiasi da attribuirmi, ma proprio mentre sto per rispondergli le note cessano, ci fermiamo e un applauso riempe l'atmosfera.

-Hans!

Una donna morettina gli si avvicina e, senza degnarmi di uno sguardo, prendendolo per un braccio lo allontana da me. Lui si divincola leggermente, ma la donna non molla la presa e così me lo porta via.

Delusa e ancora stordita dall'influsso di forti emozioni di quei minuti mi siedo su uno dei divanetti stile orientale. Incrocio le dita appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Ora è la musica delicata di un violino a dare spettacolo. Sospiro. Forse è stato meglio che se ne sia andato prima che io gli mentissi riguardo al mio nome, avrei potuto tradirmi in seguito.

-Champagne?

Mi domanda allegramente un cameriere porgendomi uno dei bicchieri che reca su un vassoio argentato.

-Grazie.

 

I miei occhi improvvisamente cadono su uno degli invitati. È appoggiato ad una colonna, da solo, con lo sguardo fisso su qualcuno di indefinito in mezzo alla folla. Assottiglio gli occhi per aguzzare la vista. Andrè? No.

Avverto un tuffo al cuore. Non può essere! È il giovanotto moro di quel giorno in ascensore. Forse è una mia impressione, forse mi hanno messo qualche allucinogeno nello Champagne, o forse è un gioco di luci.

Mi alzo e mi avvicino a lui di soppiatto e, senza che si accorga di me, lo fisso finchè non mi rendo conto che è proprio lui. Non posso lasciarmelo sfuggire. Gli sfilo davanti con aria distratta fingendo di essere interessata al violinista in azione, poi simulo una storta ed ecco che il rimanente Champagne del mio bicchiere finisce “accidentalmente” sul suo smoking.

-Oh Santo Cielo!

Esclamo portandomi una mano alla bocca tutta mortificata. Wow, sono un'attrice provetta, potrei pensare di fare qualche provino.

-Non si preoccupi.

Risponde egli alle mie innumerevoli scuse sforzandosi di sfoggiare un sorriso rassicurante per mascherare l'espressione seccata.

-Lasci che la accompagni a cambiarsi d'abito.

-Non è necessario.

-Insisto.

E presolo per un braccio lo forzo a seguirmi.

 

-Dove mi porta?

Mi domanda sorpreso quando si accorge che non stiamo andando verso il guardaroba. Non gli rispondo.

Appena svoltiamo l'angolo del corridoio con un abile mossa di judo lo blocco faccia al muro con le braccia dietro la schiena.

-Ma cosa?

Borbotta mentre lo faccio rivoltare verso di me.

-Che cosa sai della rapina nella stanza del Duca D'Orleans?

Mi fissa sconvolto e a me sembra di cogliere una nota impaurita nel suo sguardo, ma non mi da risposta.

-Dunque?

Chiedo ringhiante stingendo la mia presa sulle sue braccia e facendolo gemere di dolore.

-Non so niente.

Aggrotto le sopracciglia assumendo la mia rinomata espressione glaciale. Sento che è agitato, il suo respiro si fa pesante e le labbra gli tremano visibilmente. Lo minaccio con gli occhi e egli sembra aver afferrato il concetto, perchè un brivido lo scuote. Cavolo, non credevo di essere così temibile.

D'un tratto un rumore di passi riecheggia nel corridoio. Arriva qualcuno, maledizione. Non posso scappare, né voglio darne a lui la possibilità. Che fare? Mi guardo intorno convulsamente per trovare un modo di non farci notare. È inutile, siamo troppo esposti. Egli apre la bocca, forse vuole chiedere aiuto. Non posso permetterglielo. Con un movimento repentino e senza pensarci troppo su, sbilancio il viso su di lui catturando le sue labbra tra le mie in un bacio violento. Stingo gli occhi. Inizialmente avverto il suo irrigidimento, poi sento che si abbandona arrendevole a quel gesto tanto inaspettato quanto falso. La persona di passaggio nel corridoio continua il suo cammino accelerando il passo dopo esserci passata davanti. Quando non percepisco più il suono delle scarpe sul tappeto e capisco che sono fuori pericolo, mi stacco da lui. La mia azione mi ha sconvolta, ma non posso abbassare la guardia e abbandonarmi all'imbarazzo, così, senza dar troppo peso all'avvenimento, continuo il mio interrogatorio feroce.

-Dimmi quello che sai e non ti farò del male. La mia è un'ammonizione: sono un agente dell'FBI e posso chiamare i miei colleghi che accorrerebbero e non avrebbero pietà di te. So che centri qualcosa, è inutile che neghi.

Le mie sono solo bugie, effettivamente non sono un agente dell'FBI né potrei chiamare qualcuno in mio aiuto. Le mie parole però sembra gli abbiano sciolto la lingua.

-A lei non fanno schifo tutti questi spocchiosi nobili con la puzza al naso?

Quanto vorrei assentire.

-E va bene, si, sono stato io. Mi porti in gattabuia avanti, non è quello che vuole?

Nel suo tono di sfida colgo una nota di menzogna.

-Stai mentendo.

Sbotto. I nostri sguardi si incatenano l'uno all'altro, siamo entrambi determinati a non mollare. Alla fine gli lascio andare le braccia, ma sorprendentemente non fugge, così mormoro:

-Ascolta, non voglio farti niente, davvero, e so anche che non sei stato tu. Io credo che quella rapina al duca sia solo una messa in scena, ma voglio capire perchè l'ha fatto, tu, tu l'hai aiutato, non è così?

Con la voce pacata e calma riesco finalmente a guadagnare la verità.

-Sì, è così. Ma il motivo non posso dirlo. Non posso.

Ci scambiamo un fugace sguardo, poi egli si avvia in gran fretta, lasciandomi, se possibile, più confusa di prima. Non mi resta che godermi l'ultima mezz'ora di party.



Ricordo che il party non è finito, questo è solo l'inizio, cari lettori...

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

 

-Dove ti eri cacciata?

Mi chiede allegramente Hans apparendo improvvisamente da un gruppetto di persone e appoggiando una mano sulla mia spalla. Rimango attonita nel sentirlo darmi così confidenzialmente del tu. Non gli do risposta e riempo i polmoni del suo profumo squisito, vederlo mi rincuora e mi fa dimenticare il dialogo tra me e il moro.

-Mi dispiace esserme andato così maleducatamente prima. Ti va un cocktail?

Mi domanda cortesemente. Annuisco sorridendo timida e lo seguo oltre il muro di persone che accerchia il bancone dei cocktail. Resto dietro di lui, non posso farmi riconoscere da Alaste, il barista.

Ci sediamo sugli sgabelli del bar e cominciamo a parlare del più e del meno come buoni amici.

-Come hai detto che ti chiami, cherie?

-Ehm.. Josefine.

Afferma più volte con convinzione di avermi già vista, ma io nego sempre prontamente. Colgo l'occasione per chiedergli di lui e della sua vita, voglio sapere ogni cosa ed inoltre ascoltarlo parlare mi allieta. Tengo sul vago la mia identità, non mi sbilancio nel raccontare nei particolari la mia vita e mento dicendo di non essere di Parigi. Il tempo passa, ma io non me ne accorgo minimamente, mi sento come se mi avessero drogata, sono stordita e su di giri e mi piace. Ma l'incanto del momento viene spezzato bruscamente dal grido acuto di donna. Mi scaravento giù dallo sgabello e mi precipito allarmata verso il punto da cui è provenuto l'urlo. Hans mi segue a ruota. Una cinta di persone agitate accerchia una giovane donna che, col respiro affannato e le lacrime agli occhi, indica tremante il bagno delle signore. Io spavalda mi dirigo subito verso il bagno in questione e apro cautamente la porta. Ciò che vedo mi spaventa a tal punto che faccio un balzo indietro senza riuscire a trattenere un gridolino di orrore. Il bagno è totalmente imbrattato di sangue: c'è sangue sui muri, sul pavimento, sui lavandini, persino qualche goccia sul soffitto. Un uomo giace tremante tra un lavandino e l'altro con la schiena appoggiata al muro: è stato accoltellato più volte al petto, uno scempio inguardabile, una scena degna di un film horror.

-Chiamate un'ambulanza!

Grido a squarciagola verso la sala del party prima di gettarmi in mezzo a quella laguna di sangue per soccorrere il ferito. Il mio lungo e costoso vestito si impregna di rosso mentre mi chino su di lui, ma in questo momento è l'ultima cosa che mi preoccupa.

-Non temere, l'ambulanza sta...

Non riesco a terminare la frase perchè mi accorgo di un particolare sconvolgente. Lo riconosco solo ora, è...è il morettino di prima! In quello stato, con la faccia deformata da una smorfia di dolore, i capelli scompigliati e i vestiti sfracellati sembra davvero un altro. Ancora più scossa e agitata cerco di fermare il sangue premendo le mie mani sul suo petto.

-Resisti!

Lo supplico. Egli chiude gli occhi e appoggia la testa su una spalla singhiozzando e sputando sangue.

Rimango accanto a lui per i due interminabili minuti successivi, premendo sulla sua ferita nel tentativo di evitare un'emorragia. Non può morire, è l'unica persona che mi può fornire informazioni sulla rapina nella stanza del duca. Finalmente sento una sirena in lontananza, mentre nella sala, i curiosi rimasti esclamano:
-Nel bagno, presto!

-C'è un uomo ferito!

-Fate presto!

Vedo allora due uomini in divisa arancione fluorescente precipitarsi su di noi con una branda portatile intimandomi di far loro spazio. Mi allontano e resto immobile premuta contro il muro a fissarli con il cuore impazzito mentre raccolgono il giovane da terra e lo portano via correndo. Hans mi raggiunge e cingendomi la vita con un braccio mi accompagna fuori, lontano da quella baraonda infernale.

Mi fa sedere su un divanetto; sono sconvolta, sento che mi parla ma non riesco a comprendere ciò che dice. Il mio respiro è ancora affannato, ma i battiti del mio cuore lentamente si placano, riprendo progressivamente possesso delle mie facoltà mentali e guardo Hans negli occhi.

-Sei stata coraggiosa.

Mi dice stringendomi rassicurante la mano. C'è trambusto intorno a noi e confusione. Tutti corrono avanti e indietro parlando a voce alta e la frenesia che ci circonda è ben percettibile. I miei occhi ritornano sul viso di Hans che mi sta sorridendo. Dio, quanto è bello. Poi improvvisamente realizzo che devono essere passate le dieci e da tanto pure, e ne trovo conferma guardando il mio orologio.

-Devo andare.

Dico alzandomi all'istante.

-Ti accompagno. Afferma sicuro.

 

 

-Buonanotte dunque, Josefine. Sei sicura di sentirti bene?

-Si, Hans, grazie.

Mi sforzo di sorridergli, ma mi è difficile. Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi, mi sento costretta a tenere lo sguardo basso. Fa per andarsene, ma ecco che qualcosa mi spinge a richiamarlo.

-Hans..

Torna immediatamente indietro.

-Hans io...

Appoggia un dito con delicatezza sulle mie labbra e mi si avvicina col viso. Esita a qualche centimetro dalla mia pelle scrutandomi serio negli occhi, poi accade l'inaspettato. Mi bacia. Un semplice bacio casto ed innocente. Gli getto le braccia al collo accarezzandogli i morbidissimi capelli biondi e tirandolo verso di me in un silenzioso invito ad entrare nella mia stanza. Ma egli non mi asseconda, le sue calde labbra si allontanano dalle mie e se ne va, così, senza nemmeno rivolgermi un'ultima parola o un ultimo sguardo. Scompare ben presto dietro l'angolo, lasciandomi sola. Terribilmente sola.

Entro in camera mia e chiusa la porta mi ci appoggio lasciandomi scivolare a terra finchè non mi ritrovo seduta sul pavimento. Lancio lontano da me quelle trappole di tortura che chiamano comunemente scarpe e non posso fare a meno di ripensare a tutti gli avvenimenti di quella movimentata serata. Non ho visto né Diane, né Andrè, né Mary Anty A, ma spero che il mio amico sia riuscito nell'impresa che gli avevo affidato. Abbasso gli occhi: il mio meraviglioso vestito è irrimediabilmente rovinato dal sangue. Sospiro sconsolata e mi lecco le labbra per carpire il tenue sapore di quelle del modello svedese che ancora vi sento impresso. Che bacio insulso, privo di sentimento, solo ora capisco che è stato più un bacio di cortesia da parte sua. Erano diversi anni che non ricevevo un bacio e ora in una sola sera due bocche differenti, in situazioni altrettanto differenti, avevano incontrato la mia. I miei pensieri si rivolsero a quel giovane moro. Che fine avrà fatto? Sarà morto? Probabilmente sì, data la gravità delle ferite. E chi può essere stato a fargli una cosa del genere? Mi prendo il viso tra le mani. Forse mi sono cacciata in un grandissimo pasticcio. Meglio cercare di dimenticare e cancellare tutto o per lo meno tentare di riparare ai danni commessi. Il vestito lo butterò tanto non è più riutilizzabile, riguardo ad Hans gli spiegherò chi sono in realtà e gli chiederò di mantenere il silenzio con chiunque, poi parlerò con il signor Borbone e spero mi conceda di abbandonare il caso della rapina, in ultimo chiederò scusa ad Andrè, sono stata insensibile nei suoi riguardi.

Sono stanca, troppo stanca, stanca di tutto e di tutti. Rimpiango la mia sconsiderata decisione di partecipare a quel party, prego che nessuno degli invitati abbia capito chi sono. È andato tutto storto. Deve essere una maledizione la mia.

Già, dimenticare. E quale modo migliore di dimenticare se non bere? Prendo il cellulare e chiamo Andrè.

-Oscar! Come stai? Ho sentito che è successo un macello alla festa.

-Si, Andrè... Ti prego, vieni nella mia stanza.

-Va bene, arrivo.

Mi alzo da terra e mentre lo aspetto mi cambio d'abito. Pantaloni e camicia, il mio outfit abituale, mi si addicono di più. Mi lavo le mani e le braccia finchè il sangue rimastovi non se n'è andato del tutto, poi ecco, sento la pacata voce di Andrè chiedere il permesso di entrare. Vado ad aprirgli io stessa e lo faccio accomodare. Non servono parole, uno sguardo e capisce subito perchè l'ho chiamato, e sospira.

Ci mettiamo a sedere e gli porgo il bicchiere. Ho l'aria triste e gli occhi lucidi, ma lui non mi chiede il motivo, sa bene che non mi piace quando le persone si intromettono nei miei sentimenti, nemmeno se si tratta del mio migliore amico. In ogni caso è comunque perfettamente consapevole che appena inizierò ad essere un po' brilla gli spiattellerò tutto e lo so anche io, è per questo che voglio ubriacarmi, perchè voglio che lui lo sappia, perchè solo lui è capace di capirmi e consolarmi, e perchè in questo momento, da sobria, non ho il coraggio di rivelargli tutto il casino che ho combinato.

Tre bicchieri di Cognac sono sufficienti per farmi vuotare il sacco. Parlare con Andrè è un po' come andare ad una seduta psichiatrica: lui mi ascolta, chiede chiarimenti, mi fa ragionare sul mio comportamento ed infine io riesco a comprendere cosa ho fatto di sbagliato e cosa posso fare per aggiustarlo. L'unica differenza tra lui ed uno psicologo, è che Andrè non mi chiede nulla in cambio.

Sento le lacrime scorrermi incontrollate sulle guance, non era mia intenzione piangere, accidenti. Con lui però posso permettermi questi momenti di debolezza, e così mi sfogo tramite il pianto da tutta la delusione che mi grava addosso e mi sento finalmente liberata. Gli sorrido infine e lui capisce che il suo lavoro qui è giunto al termine, si alza e mi augura la buonanotte. Barcollando si dirige verso la porta. Se ne va e con lui se ne va anche quella flebile sensazione di benessere di cui ero riuscita negli ultimi attimi ad impossessarmi. Sono ancora sola.


Che bel party, nè? Mmh, forse ho esagerato... chiedo scusa per la crudezza di una delle scene, ma dovevo movimentare il tutto, è stato assolutamente necessario. Insomma, per chi non l'avesse capito, questo party è la rivisitazione moderna del famoso ballo dell'anime e ovviamente non potevo permettere che Oscar ne uscisse soddisfatta. Su col morale, Oscar, quando si chiudono delle porte si aprono dei portoni, giusto?
Spero di essere riuscita ormai a dare un profilo preciso al carattere docile di Andrè, mi chiedo solo se sono stata sufficientemente fedele all'originale. Mi auguro con tutto il cuore che la mia storia piaccia, grazie a tutti.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10

 

È la mattina seguente. La notte è stata inaspettatamente tranquilla, tutto quel alcool mi ha fatto da eccellente sonnifero. Vengo bruscamente svegliata dal rimbombo assordante di un tuono e quando apro gli occhi vedo oltre i vetri un inquietante cielo terso di nuvole nere come la pece. Piove a dirotto, le grosse goccie tintinnano, o meglio, tamburellano con violenza sulle vetrate e non mi consentono di riprendere il sonno, così decido si alzarmi. Non ho intenzione di uscire dalla mia stanza oggi, se non per estrema necessità, anche perchè quando sollevo la il capo dal cuscino scopro di avere un terrificante mal di testa.

Sospiro e mi passo una mano sul viso per poi stropicciarmi gli occhi sbadigliando. Scosto le coperte rabbrividendo al contatto brusco con l'aria fredda sulla pelle. Mi dirigo quindi verso il bagno e specchiandomi inorridisco notando due cupe occhiaie sotto i miei bulbi oculari. Mi osservo meglio mettendo a fuoco la vista. No, non sono occhiaie, devono essere i residui del trucco della sera prima che ho scordato di togliere, vi passo un dito sopra e quella striscia nerastra scompare.

Sto per aprire il rubinetto per sciacquarmi il viso con acqua gelida nel tentativo di risvegliare le membra assonnate, quando nel silenzio del primo mattino odo qualcosa che sembrerebbe un gridolino soffocato. Chiudo l'acqua e tendo meglio l'orecchio, ma tutto tace. Scambio uno sguardo perplesso con il mio stesso riflesso e alzo le spalle riprendendo ciò che avevo interrotto. Nel medesimo istante in cui giro la maniglia del rubinetto, ancora una volta, al rumore dell'acqua che scorre si sovrappone un suono abbastanza simile a quello che avevo percepito prima; la mia attenzione viene deviata verso il condotto d'aria che congiunge il mio bagno con la camera di Maria Antonietta e che sovente mi è comodo per spiarla. Salgo sul bordo della vasca a piedi nudi per raggiungere la grata del condotto con il viso e getto lo sguardo al di là. È tutto immerso nel buio più totale eppure quegli stranissimi suoni vocali che mi giungono all'orecchio provengono senza ombra di dubbio da lì dentro. Per un momento temo che le sia successo qualcosa, poi quando i miei occhi stanchi si abituano all'oscurità noto del movimento nel suo letto. Increspo le sopracciglia e tento con curiosità e apprensione di vedere meglio, il buio mio malgrado me lo impedisce. Ma ecco che il bagliore improvviso e rapido di un fulmine illumina per un millesimo di secondo l'alloggio e ciò che vedo mi fa cadere dal bordo della vasca. Mi salvo per miracolo dal battere la testa. In un istante mi ritrovo distesa per terra, tutta dolorante per la forte botta, e ancora scossa per la visione che ho colto in quel minimo lasso di tempo. Mi alzo tremante aggrappandomi al lavandino e comincio a buttarmi freneticamente sulla faccia manciate d'acqua fredda.

-Sto sognando. Sto sognando.

Mi ripeto quasi sotto shock. Non resisto, devo essere sicura di ciò che mi è parso di vedere, mi ri-appollaio sulla vasca, cercando di prestare più attenzione a non scivolare. Mi metto in osservazione mentre mi accorgo che il cielo al di là dei vetri sembra stare aprendosi. Un raggio di tenue luce solare penetra dalle finestre e mi da modo di confermare il mio sospetto. Ancora di più la voce roca di Maria Antonietta che pronuncia il suo nome tra i sospiri.

-Hans...

È un pugno dritto allo stomaco per me, una pugnalata al cuore. Sto per perdere ancora una volta l'equilibrio, ma riesco a reggermi, mentre seguo con lo sguardo quella loro disgustosa danza tra le lenzuola. Lei, lui, avvinghiati, stretti, abbracciati, amanti! Ho visto abbastanza.

Cinque minuti dopo mi ritrovo a piangere come una ragazzina, abbracciata al mio cuscino di piume d'oca. Molte cose ora mi sono finalmente chiare. Non so perchè sto piangendo in questo modo, che cosa mi aspettavo? Che un avvenente modello svedese si accorgesse di me, una semplice guardia del corpo? Cosa ho voluto dimostrare a quel party? Che anche io tirata a lucido valevo tanto quanto loro? Ho tradito la mia coerenza, ho sempre detto di detestare il loro modo di fare, mentre invece partecipando a quella festa mi sono smentita da sola. Forse in realtà il mio odio nei confronti del loro mondo è scaturito dal fatto che io non ne faccio parte e non ne posso far parte. No, questo no. Non potrei mai desiderare di trasformarmi in una bambolina giocattolo.

Per il resto della giornata non faccio altro che pensare e ripensare a quella “deliziosa scenetta” che mi sono goduta di prima mattina e l'appetito mi scarseggia.

 

Ad un'ora imprecisata del pomeriggio mi spingo coraggiosamente fuori dalla mia stanza e vado a bussare alla porta dell'attrice. Non ho per niente voglia di vederla, ma il dovere mi obbliga. Toc toc.

-Si?

-Sono Oscar.

-Oh, entra!

Abbasso la maniglia e do una leggera spinta alla porta. Mary Anty A è seduta al tavolo e sta leggendo alcune riviste mentre si lima le lunghissime unghie. Sembra quieta e calma. Fingo di credere che sia andata al party e con aria apprensiva le domando:
-Madame, so che c'è stata un'aggressione al party ieri sera, lei sta bene?
Alza gli occhi dalle pagine e mi guarda con indifferenza:
-Non sono andata.

Dice infine molto tranquillamente. Riporta gli occhioni sulla sua rivista di moda, ma continua col chiedermi con aria flemmatica:

-E tu dove sei stata?

-Ad indagare riguardo alla rapina nella stanza del duca. Se avessi saputo che era rimasta in camera io non mi sarei mai allontanata.

Mento.

-Anche se io fossi andata al party, saresti dovuta essere al mio fianco.

-La mia presenza non era richiesta in quel caso data la sorveglianza che c'era all'ingresso.

-Eppure,

Il suo tono di voce diventa più forte e aggressivo.

-Eppure c'è stato un tentato omicidio.

Tentato? Quindi, il morettino è vivo?

-Lo so, sono spiacente.

Abbasso il capo in segno di sottomissione ed aspetto in silenzio che mi rimproveri, ma non lo fa, anzi, si alza e mi viene incontro in silenzio. Quando arriva di fronte a me mi abbraccia. Io mi irrigidisco all'istante, un gesto così non me lo sarei mai e poi mai potuto aspettare da una come lei. Mentre mi stringe a sé mi sussurra all'orecchio con dolcezza:
-Sei una cara amica, Oscar.

Non so davvero cosa rispondere o come reagire, decido pertanto di ricambiare semplicemente l'abbraccio. Per una ragione che ho spiegato qualche capitolo fa, io adoro gli abbracci.

Quando si allontana da me ci scambiamo un benevolo sorriso e uno sguardo complice. Per un momento mi domando se quella sia una delle sue innumerevoli recite. Improvvisamente, però, guardandola mi rendo conto che in fondo è una ragazza proprio come me e ho pietà di lei perchè nel ambiente in cui vive non può non comportarsi da arpia. In ogni caso, resto dubbiosa riguardo all'autenticità del suo apparentemente amorevole gesto.

 

Quando torno nella mia camera mi inchiodo davanti alle ampie finestre ammirando la meravigliosa visuale di Parigi. Le acque della Senna riflettono il cielo grigio e scuro e sembrano quasi inquinate, mentre un battello taglia in due il corso d'acqua contro corrente. Scrollo la testa sbuffando. Che cosa sta succedendo in questo albergo? Troppe cose tutte assieme. Il mio cervello sta scoppiando. La Polignaç, il tipo morettino dell'ascensore, la rapina, il party, Hans, Maria Antonietta, Hans E Maria Antonietta,Victor. Oh già! Victor! Piagnucolo tra me e me ricordando con rammarico di avergli promesso di uscire con lui venerdì, ovvero, tra due giorni. Non è la prima volta che esco con lui, in passato gli diedi già un'altra possibilità. Inutile dire che fu un fiasco totale. Quella sera mi portò al cinema a vedere un bellissimo film drammatico, e, Santo Cielo, si mise a piangere alla fine e mi rovesciò i pop corn addosso maldestramente. Dopo quell'appuntamento lo esortai con il massimo tatto possibile a dimenticarsi di uscire ancora con me, farsene una ragione e metterci una pietra sopra. Ovviamente non ha mai nemmeno preso in considerazione i miei consigli. È da, vediamo, sette anni (?) che mi assilla con i suoi inviti. E va beh, magari accontentandolo la smette una volta per tutte di rompermi. Spero solo che non mi porti al cinema. 



Siamo già al decimo capitolo, caspita, non avrei mai pensato di raggiungere questo traguardo così rapidamente. Essendo una scrittrice in erba, mi fa molto piacere leggere tutte le vostre gentilissime recensioni. Spero che questi lunghi capitoli non annoino troppo, ma ahimè per lo svolgimento sono alquanto indispensabili. 
Riguardo al capitolo: per Oscar si sta facendo tutto terribilmente complicato e questi nuovi colpi di scena la sorprendono. Peccato che siamo solo all'inizio. Cosa la aspetterà?

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11

Undici giorni di non-aggiornamento, chiedo venia. Bene, abbiamo varcato la soglia della prima decina di capitoli e ci addentriamo nella seconda. Avverto i lettori che la storia non mi convince affatto, non so, credo che le manchi qualcosa, ma non riesco a trovare quel piccolo particolare. Non aggiornerò per un po', merito anch'io un po' di relax e di mare. Buona estate a tutti e grazie ancora di leggermi :)

 

È dunque giunto venerdì. Negli ultimi due giorni ho evitato di farmi vedere in giro anche perchè non mi sono sentita per niente bene. L'unica persona con cui ho interagito durante questo breve periodo di distacco dal mondo è stata Andrè, che mi portava adorabilmente in camera grosse tazze ricolme di profumatissima cioccolata calda per risollevarmi il morale. Ho passato il mio tempo a leggere noiosi romanzi settecenteschi illuministi e a guardare video online su come truccarsi e con mio immenso disappunto ho scoperto di non essere capace a mettermi l'eye-liner, malgrado l'allenamento quotidiano davanti al computer.

Oggi non ho potuto far a meno di uscire dalla tana.

Per prima cosa voglio andare a parlare con il direttore, Borbone senior, per farmi togliere l'incarico dell'indagine, poi cercherò Hans e con un po' di coraggio gli dirò la verità sulla mia grande menzogna.

 

Entrando nell'ufficio di Luigi vengo investita da una folata di profumo floreale nauseante. Sul rotondo viso del boss si disegna un timido sorrisino quando si accorge della mia presenza.

-Buongiorno Oscar, accomodati.

È seduto dietro l'imponente e antica scrivania in mogano e leggiucchia con disinteresse le sue scartoffie.

-Grazie, Luigi, ma sono di fretta, volevo solo comunicarti che abbandono il caso della rapina nella stanza del duca D'Orleans.

-Ma come?

Faccio spallucce e sospiro.

-Mi dispiace.

Mi limito a dire.

-Va bene, Oscar, capisco.

Il suo tono è sconsolato, so che tirchio com'è non gli va ben giù l'idea di dover pagare un investigatore privato, ma non ha scelta, ne va della reputazione del suo albergo e soprattutto so che non ha intenzione di tirar fuori migliaia di bigliettoni per rimborsare il duca per il danno subito.

Quindi lo saluto cordialmente ringraziandolo per la sua cortesia e per la comprensione offertami e mi avvio. Ma prima che io apra la porta vengo fermata dalla sua voce che esclama:
-Aspetta!

Si alza di scatto dalla scrivania e mi viene incontro correndo goffamente. Quando mi arriva vicino alza i suoi piccoli occhietti in su, verso di me (perchè sì, la mia è una rispettabile altezza di un metro e settanta cinque, mentre lui beh a occhio e croce misura poco più di un metro e quaranta) e mi domanda arrossendo:

-Oscar, mia moglie mi tradisce, non è così?

Spalanco gli occhi, non so davvero cosa rispondere. Lo guardo in faccia in silenzio, il suo sguardo è così ingenuo e innocente che fa tenerezza. Ho sempre provato simpatia e pietà nei confronti di Luigi, è un uomo d'affari palesemente costretto a svolgere questo lavoro, lo vedo un po' come un bambino che si ostina a fare l'adulto, anzi, un bambino a cui e stato imposto di comportarsi da adulto. È un brav'uomo, davvero, si è sempre dimostrato gentile e disponibile, non solo con me. Di contro, sua moglie non la sopporto, ma mi sovviene in mente il suo abbraccio e le sue parole Sei una cara amica, Oscar. Che devo fare? Mentire per coprire Mary Anty A o svelare ciò che i miei stessi occhi hanno visto? Opto per la prima opzione e assumo una posizione neutrale, anche perchè così rischio di non ferire i sentimenti del povero Luigi.

-Non ne so niente Luigi, cosa te lo fa pensare?

-I pettegolezzi che girano. Ho sentito che qualcuno ha notato una certa simpatia tra lei e uno dei miei clienti, uno svedese pare.

Scuoto la testa.

-Ti ripeto che non ne so niente.

Detto questo me ne vado. Ricordare Hans insieme a Maria Antonietta mi fa male.

 

 

Ed eccomi qui, davanti alla sua stanza al secondo piano, immobile a fissare la porta con il pugno sollevato, già pronto per bussare. Sono arrivata qui perfettamente convinta di ciò che stavo facendo, invece ora, nel momento decisivo, la mia insicurezza prende il sopravvento. Non riesco a trovare la forza dentro di me. Prendo un grande respiro, riempendo i polmoni finchè i nervi non si distendono un poco e avvicino le nocche al legno della porta. Sto per bussare. Ci sono quasi... Ma inaspettatamente la porta si apre ed Hans si affaccia sorridente. Non sembra stupito nel trovarmi qui, di fronte a lui ed io sento una perfetta idiota.

-Ciao, Oscar.

Mi saluta marcando con sarcasmo il mio nome. La mascella mi si indebolisce all'istante e non posso far a meno di aprire la bocca per la sorpresa. Mi ha freddato, con due sole parole.

-Eri venuta a parlarmi di questo, non è così? Entra.

Titubante varco la soglia della sua stanza tenendo gli occhi bassi come un cagnolino.

-Come hai saputo che...?

Mormoro impacciata.

-Ero sicuro di averti già vista, infatti poi mi sono ricordato che sei la guardia del corpo di Mary Anty A, alla quale ho chiesto e che mi ha detto come ti chiami in realtà. Mi chiedo solo il motivo di tutto questo.

Il mio cuore perde un battito e gli domando preoccupata:

-Non le hai detto che ero al party, vero?

-No, certo che no, ho immaginato che Maria non ne sapesse niente. Vuoi del Whisky?

Tiro un grande sospiro di sollievo e faccio di no con la testa, mentre egli si lascia cadere a peso morto sul divanetto in pelle nero.

-Riguardo a quello che è successo l'altra sera, al party, ti va se rimaniamo amici?

Mi domanda sorseggiando con eleganza il liquore. Io mugolo un suono di affermazione mentre mi ridirigo verso la porta.

-Oscar,

Mi giro.

-Tu sai di me e Maria Anotonietta, vero?

Nella sua voce colgo una nota di amarezza.

-Cosa intendi?

Non mi guarda, i suoi occhi si sono fatti improvvisamente affranti e sono volti al bicchiere che tiene tra le dita.

-Non fingere di cadere dalle nuvole. Io so che lo sai. Ascolta, facciamo un patto, io non dirò che sei stata a quel party, ma tu non dirai di noi, va bene?

Non rispondo subito. Mentre mi stringo la coda di cavallo lascio che il mio cervello elabori quella richiesta e resto qualche istante in attesa che la mia mente mi fornisca la risposta più adeguata.

-Va bene, Hans.

Sussurro infine appena prima di chiudermi la porta della sua camera alle spalle.

 

 

-Sei bellissima Oscar.

Mormora con un sorriso impacciato Victor passandosi una mano tra i suoi voluminosi capelli da rockettaro anni settanta.

Sono rimasta pietrificata, due minuti fa, quando l'ho visto venirmi incontro correndo nella hall, anzi, quando ho visto un mazzo enorme di fiori con le gambe venirmi incontro correndo nella hall. Dopo avermi scaricato addosso quella esagerata composizione floreale si è complimentato con me e poi mi ha chiesto che ne pensavo del suo abito. Avrei preferito avvalermi della facoltà di non rispondere, ma mi sono limitata a sorridergli, con non poco sforzo. Poi ho lasciato a Lassalle i fiori e ci siamo avviati.

Ed eccomi qui, a girare per Parigi con un tizio che sembra appena uscito da una discoteca del 1960. Parla allegro mentre andiamo verso il ristorante in cui mi vuole portare, mentre io taccio e con la coda dell'occhio lo osservo camminare al mio fianco. Indossa pantaloni rossi, a zampa d'elefante, una camicia gialla canarino, sbiadita per di più, e una vecchia giacca blu. È assolutamente inguardabile. Spero di non incontrare nessuno di mia conoscenza sulla strada o la mia reputazione è irrimediabilmente rovinata. Effettivamente mi ricorda un qualche personaggio di un fumetto o forse di un cartone animato.

 

Lo guardo con noncuranza, mentre lo “ascolto” parlarmi. Ha iniziato raccontandomi di quando era bambino, analizzando, per mia sfortuna dettagliatamente, ogni fase della sua esistenza. Poi, circa un'ora e mezza fa, ho iniziato a non seguirlo più, e mi sembra che ora stia narrando del periodo universitario. Io non ho ancora aperto bocca, escluso quando ho ordinato il mio piatto, da quando siamo entrati in questo locale ed è da quando ho finito di mangiare che ho i gomiti appoggiati sul tavolo poco educatamente e la testa sorretta dalle mani. Sto dormendo ad occhi aperti.

Improvvisamente la mia attenzione viene magneticamente attratta su una giovane coppietta che passeggia per strada al di là delle vetrate della veranda in cui ci troviamo. Aguzzo la vista, quei capelli corvini... Andrè! Andrè che passeggia sorridendo con una ragazza. Possibile che sia André? Si, è lui, quella che indossa è la sciarpa che gli ho regalato io due Natali fa. E lei chi sarebbe? Capelli castani, decisamente bassa in confronto a lui, magretta come uno stuzzicadenti. Molto probabilmente non la conosco e la cosa, devo ammettere, mi irrita un po'.

Li seguo con lo sguardo finchè non escono dal mio campo visivo ed io torno a puntare le pupille su Victor, il quale aveva ininterrottamente continuato a parlare pur vedendomi distratta.

Un distinto signore seduto da solo al tavolo accanto al nostro ogni tanto ci lancia un occhiatina furtiva e sghignazza tra sé e sè. Deve essersi accorto della mia espressione inebetita.

Poi improvvisamente accade un miracolo: mi squilla il cellulare. Non avrei potuto chiedere pretesto migliore per alzarmi e allontanarmi per almeno cinque minuti da lui. Guardo lo schermo, è Rosalie. Alzo la mano in aria per fermare la sua parlantina poi indico il cellulare.

-Scusami, torno subito.

Mi alzo di scatto e mi dirigo all'ingresso del ristorante per rispondere.

-Rosalie! Grazie al Cielo, mi hai salvata da...

Interrompo la frase avvertendo che nella insolita confusione che sento al di là della cornetta la mia amica sta piangendo.

-Dio, Rosalie, che succede?

La sua voce disperata, rotta dai singhiozzi mi spaventa terribilmente.

-Oscar, Oscar, vieni all'ospedale. Ti prego.

Stringo il cellulare tra le dita e grido agitata nel microfono:

-Che cosa è successo?

-Mia madre, è stata investita, Oscar. È grave, non so se ce la farà.

Chiudo la chiamata e ritorno al tavolo correndo.

-Scusa Victor, ma la mamma di una mia amica ha avuto un incidente, devo andare. Grazie della serata comunque.

E senza nemmeno lasciargli il tempo di afferrare il concetto, agguanto la mia borsetta ed esco. Il mio cuore batte forte, l'ansia mi assilla. Chiamo un taxi ed esorto il conducente a darsi una mossa. Prima arriverò all'ospedale e abbraccerò Rosalie, prima mi sentirò sollevata. Guardo fuori dal finestrino e vedo una Parigi luminosa e sfavillante, traboccante di gioia, vedo camminare coppie tenendosi teneramente per mano, gruppi di adolescenti che schiamazzano ridendo. Non ricordo da quanto non esco la sera con i miei amici. Anni, secoli. I miei pensieri si rivolgono alla sfortunata Nicole, la madre di Rosalie. Non è la prima volta che viene investita da un maniaco della strada, capitò ancora quando io e Rosalie eravamo all'università e da quel momento la sua salute è sempre stata instabile, ma ora pare che la cosa sia davvero grave. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12

 

 

Torno all'albergo all'una e mezza, esausta e affranta. I medici dell'ospedale non mi hanno permesso di entrare nel reparto di rianimazione perchè non sono una parente di Nicole, ho solo avuto modo di abbracciare fugacemente Rosalie nel tentativo di consolarla, prima che un dottore ci confidasse in tono di rammarico che la sfortunata poteva non superare la nottata. Allora Rosalie è voluta andare da lei, mentre io sono dovuta rimanere fuori. Alcune giovani infermiere mi hanno consigliato, anzi, quasi obbligato ad andarmene, anche perchè la mia presenza lì era tanto inutile quanto ingombrante. E così eccomi qua.

Due righe di lacrime scivolano silenziose sulle mie guance, gli occhi mi bruciano. Lassalle, che stanotte è di turno, quando mi vede entrare mi viene incontro sorridente con il mazzo di fiori che gli ho affidato prima di uscire, ma il suo entusiasmo iniziale sfuma quando i nostri occhi si incontrano. Lascia cadere le braccia lungo il corpo e mi domanda con lo sguardo cos'è successo. Immaginerà probabilmente che la mia tristezza dipenda dal tizio con cui sono uscita. Si sbaglia. Trattengo un singhiozzo e, presi in mano i fiori, mi avvio lentamente verso l'ascensore. Strascico i piedi come se avessi delle palle di piombo incatenate alle caviglie. Non vedo l'ora di arrivare nella mia camera, buttarmi sul mio letto, dormire se mi sarà possibile, piangere magari e riflettere.

Metto i fiori nel primo vaso che trovo e li osservo. L'oscurità della notte ha catturato i colori vivaci dei petali, sembra che siano tristi anche loro, come me. Butto alla bell'e meglio i vestiti per terra man mano che mi spoglio e infilatami sotto le lenzuola mi stringo al cuscino, immergendovi il viso. È proprio un brutto periodo questo, ma trovo una flebile consolazione ripensando a ciò che mi disse una volta Andrè quando eravamo ragazzi: Tutto passa. Mi sovviene il ricordo del suo sorriso dopo avermi detto quelle parole, un bellissimo sorriso, fresco e giovane, ingenuo direi, lo stesso che conserva tutt'oggi. E sorrido debolmente anche io. Vorrei che fosse qui con me in questo istante, il mio migliore amico, vorrei sentire la sua voce calda dirmi ancora una volta che tutto passerà. Ho bisogno di sentirmelo dire, non mi basta cercare di auto-convincermi da sola. Fisso il telefono con incertezza. Sono dannatamente tentata di telefonargli, so che non esiterebbe a venire immediatamente da me, ma è notte fonda, non posso disturbarlo a quest'ora, devo aspettare che venga la mattina. Il solo pensiero di dover restare sola con la mia angoscia fino all'alba mi sconsola tanto da farmi ricadere nel pianto più disperato. Quanto odio piangere. “Non devi piangere, Oscar, solo i deboli piangono.” mi ha sempre ammonito il mio vecchio le rare volte che ha scorto del luccichio agli angoli dei miei occhi. E allora io ho imparato a trattenere le lacrime ed a sfogare il dolore con la rabbia invece che col pianto.

Poi ho conosciuto Andrè ed è stata una svolta per la mia vita. La prima volta che ci parlammo fu diversi giorni dopo l'inizio della scuola, a principio non lo consideravo particolarmente essendo un nuovo arrivato in classe. Accadde che un giorno mio padre mi mandò a scuola con la febbre a quaranta ed io eseguii la prova di inglese quasi del tutto sbagliata. Presi tre, non avevo il coraggio di tornare a casa con quel misero voto, mio padre mi avrebbe picchiata a sangue. Andrè probabilmente si accorse della mia malinconia, mi si avvicinò a ricreazione e mi sorrise, mi sorrise semplicemente. Non so quale influenza straordinaria fosse riuscito ad infondere in me con quel gesto così banalmente normale, ma so che mi venne una terribile voglia di piangere. E fu bellissimo perchè non mi ero mai sentita così liberata in tutta la mia vita, ricordo che mi abbracciò come un vecchio amico e mi ascoltò in silenzio mentre maledicevo la febbre, l'inglese, la scuola e la severità di papà. Mi diede perfino la forza di tornare a casa a testa alta e di affrontare i miei genitori.

Ora lo penso insieme a quella ragazza con cui l'ho visto camminare per strada e non riesco a concepire l'immagine di Andrè innamorato. In ogni caso mi chiedo perchè non me ne abbia mai parlato. Mi giro verso le finestre. Forse è a causa mia, lui c'è sempre per ascoltarmi ed invece io per lui non ci sono mai. Mi mancano i tempi in cui eravamo ventenni, quando non c'erano né segreti né silenzi tra noi, quando ci dicevamo tutto, quando non c'era ragazzata o stupidaggine che non facessimo insieme. Mi manca Andrè.

 

Spalanco gli occhi d'improvviso, ancora scossa a causa di un incubo. È già mattina, un raggio di sole squarcia le enormi nuvole e illumina la mia bajoure di cristallo che riflette immagini colorate sulla parete candida. Una leggera foschia aleggia su Parigi, la nitidezza della visuale oltre le finestre infatti non arriva molto oltre la Senna. È una normalissima mattina come tante altre e, non solo la mia città, ma anche la mia mente è annebbiata tanto che non rammento, o meglio non mi curo, di tutte le disgrazie successe negli ultimi tempi. Sollevo la schiena dal materasso e mi metto seduta. Come per incanto il mio cervello si ripopola di pensieri. Afferro il cellulare e controllo se Rosalie mi ha contattato, ma non c'è nessuna chiamata senza risposta né messaggio in arrivo. Mi rilasso per un momento respirando a pieni polmoni l'aria mattutina che entra dalla ribaltina delle finestre, mi alzo con calma e mi vesto svogliatamente.

Driin, driin. Mi volto verso il mio telefonino e mi ci fiondo addosso preoccupata.

-Dimmi Rosalie.

-Oscar! Va tutto bene, mia madre si è ripresa. Si è ripresa!

La voce della mia amica era rotta da singhiozzi di gioia.

-Vieni all'ospedale, Oscar, c'è una persona che deve parlarti.

 

 

Per tutto il tragitto dall'albergo all'ospedale mi sono domandata chi mai avrebbe voluto parlare con me, di cosa poi.

Entro a passo di marcia del reparto rianimazione dov'è ancora ricoverata Nicole e scorgo in fondo al corridoio la folta capigliatura bionda di Rosalie e accanto a lei la sagoma di un uomo che sembra star parlando con la mia amica. Mi basta avanzare verso di loro di qualche metro per riconoscere in lui il famoso morettino dell'ascensore. Sorpresa e agitata continuo a camminare aumentando il ritmo dei passi.

-Oscar!

Rosalie mi accoglie con un sorriso smagliante e con un abbraccio. Poi, indicandomi lui, me lo presenta con la sua voce cinguettante:

-Lui è Bernard, è stato dimesso questa mattina e ci siamo incontrati al bar. Gli hanno sparato, e anche lui, come la mamma, è vivo per miracolo e dice che deve a te la vita.

Lui mi fissa con freddezza e indifferenza, poi mi si avvicina e stringendo le mascelle mi porge la mano. Gliela stringo con un accenno di insicurezza e titubanza; il suo comportamento insolito un po' mi sorprende. Lui mi guarda, con due grandi occhi verdi, davvero simili a quelli di Andrè, e con voce roca e solenne mi dice:

-Ti devo davvero molto, moltissimo. Grazie a te ora sono qui. E per questo ho deciso che ti dirò tutto quello che so.




Sono tornata, più forte che mai (?). Ok, allora, bando alle ciance. Ho lasciato molto indietro un po' tutte le mie storielle, ma recupererò al più presto, intanto posto questo breve (più o meno) capitolo. Ripeto che la storia non mi fa impazzire, spero che l'idea bomba che sto cercando mi venga in mente al più presto, o rischio di trasformare questa storia in un mattone noioso.. ahh il mio cervello è ancora in vacanza... Comunque, non esitate a darmi delle idee vostre, altri pareri sono sempre ben eccetti. Alla prossima.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Rimango muta e attonita fissandolo con espressione perplessa. Prima di tutto non mi sarei mai aspettata di trovarmelo di fronte vivo e vegeto, in più mi sorprende che si sia offerto spontaneamente di darmi le informazioni che cercavo riguardo al caso della rapina. Comunque, se vuole rivelare qualcosa a qualcuno deve farlo a chi di competenza, io ormai ho abbandonato l'incarico. Alzo una mano appena in tempo, giusto prima che cominci a parlare, per interromperlo da principio.

-Non me ne occupo più. Non è a me che devi parlare.

Gli annuncio. Lui mi guarda piuttosto interdetto e aggrotta le sopracciglia con fare superbo.

-Non ho intenzione di dire ciò che so ad altri. Volevo solo riscattarmi. Ti ripeto che ti devo molto più di quanto tu possa immaginare.

Nel silenzio che piomba sul corridoio si leva d'improvviso la innocente risatina di Rosalie. La guardo mentre con tre dita appoggiate sulle labbra ridacchia divertita.

-Sai Oscar...

Canterella allegra.

-Io e Bernard, beh, siamo stati insieme qualche tempo fa. Non ti ho mai detto niente perchè lui non voleva che si sapesse. Ci lasciammo a malincuore quando lui si trovò costretto a partire per l'Australia e sapevamo che non ci saremmo mai più potuti rivedere. E invece ci siamo incontrati di nuovo...

-In realtà...

La interrompe bruscamente lui senza mutare la sua espressione seria:
-In realtà non me ne sono mai andato. Sono sempre stato a Parigi, ma sono stato costretto a celare la mia identità e a sottostare agli ordini di...

Si blocca per creare più suspance. Credo sia palese sul mio viso un espressione tutt'altro che disinteressata, anzi, so che si è reso conto che ardo di curiosità. Così mi sorride spavaldo e sarcastico.

-Vuoi che ti racconti tutta la storia, Oscar François, o preferisci che non fiati sia con te che con tutti gli alti?

-Va bene, va bene.

Rispondo molto rapidamente agitando le mani in aria come per eludere al più presto la questione.

-Va avanti, racconta.

Prende un grande respiro e comincia:
-Il duca d'Orleans è un uomo avido e prepotente, per arricchirsi ha compiuto molte frodi e evasioni fiscali. Vuole l'albergo Versailles. Per arricchirsi di più, immagino, o forse per vedere Luigi Borbone sconfitto e umiliato, non ne conosco esattamente il motivo, in ogni caso mi ingaggiò, insieme ad un mio collega giornalista di nome Louis Saint-Just, conoscendo il nostro odio per la nobiltà mondana. Louis è un ex soldato marine, ha disertato dall'esercito americano ed è fuggito qui in Francia dove lo stesso Duca l'ha preso sotto la sua ala per proteggerlo, in cambio della copertura Louis è dovuto diventare il suo sicario personale. Ma questo l'ho scoperto solo la sera della festa, quando hanno deciso di farmi fuori, ma questa è un'altra questione più personale. Il mio compito era quello di aiutare il Duca a simulare una rapina nella sua stanza. Così Orleans ha prima disordinato la camera, poi mi ha dato i soldi e un paio di oggetti di valore da portare via. So che ha pagato un cameriere affinchè portasse il cocktail ordinato nella sua stanza solo quando lui si fosse trovato nella zona ristorante, così che avrebbe avuto il pretesto per ritornare nel proprio alloggio. Da lì in poi la storia la conosci, Oscar.

-Chi è questo cameriere?

-Un certo Andrè, mi pare.

-Come? Andrè?

Non posso crederci, Andrè ha collaborato con il duca D'Orleans e non mi ha detto niente? Perchè?

Non pronuncio nemmeno una parola, semplicemente fisso Bernard negli occhi come a chiedere conferma al suo sguardo delle sue sue parole e trovo che sia stato sincero. Abbasso gli occhi, mormoro un arrivederci e alzo i tacchi.

Ora ho un più che valido pretesto per parlare con Andrè di tutti i segreti che sta tenendo con me.

Mentre esco dall'ospedale avverto una fitta al cuore. Sento che il mio migliore amico si sta allontanando da me, sento che non siamo più amici come prima. E questo mi ferisce come una spada rovente nel petto.

Il vento è particolarmente forte oggi, ma soprattutto gelido ed io mi stringo nel cappotto tentando invano di proteggermi dal freddo mentre a passi rapidi e ritmici raggiungo il parcheggio. Salgo in macchina richiudendo subito lo sportello e appoggio con un sospiro la fronte al volante. Mi sento più sola che mai.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Entro nella sala ristorante e lo cerco con lo sguardo tra le decine di camerieri che preparano i tavoli per la cena.

-Andrè!

Lo chiamo appena lo avvisto. È in fondo alla stanza e sta apparecchiando il tavolo di madame Du Barry; lo colgo mentre traffica con le posate.

-Ciao Oscar!

Risponde sorridente alzando lo sguardo dopo aver sistemato le forchette accanto ai piatti.

-Dobbiamo parlare.

Gli annuncio in tono imperioso e con la voce rauca a causa del mal di gola che il vento freddo mi ha fatto venire.

-Ti aspetto nella mia camera appena sei libero.

La mia espressione è fredda e dura come il marmo, voglio che capisca fin da ora che ciò di cui voglio discutere con lui è un affare serio. Infatti il suo sorriso si indebolisce fino a scomparire lentamente.

-Va bene.

Mormora infine, quasi timidamente.

 

Mentre torno in camera incrocio nel corridoio il duca. La mia immaginazione, un istante prima che mi scivolasse accanto, mi da l'impressione che egli mi abbia sorriso con aria di sfida. Mi volto senza smettere di camminare e lo osservo darmi le spalle mentre si dirige verso l'ascensore. Digrigno i denti; non mi è mai piaciuto quell'uomo come tutti gli altri gran signori di quell'albergo, eppure mi ha sempre dato l'idea di uomo ricco ma onesto. Le apparenze ingannano.

Passo davanti alla camera di Maria Antonietta e, dopo essermi sistemata il colletto della camicia, busso due colpi leggeri. La sua voce cristallina da dentro mi invita ad entrare così apro la porta e mi fermo sulla soglia. Lei e la Polignaç sono sedute comodamente ma in modo composto sul letto di Mary Anty A e stanno sfogliando delle riviste di moda con un cocktail tra le dita.

-Tutto bene, Oscar.

Canterella serena l'attrice sorridendo prima a me e poi alla contessa. Esco e mi avvio nella mia camera ad aspettare l'arrivo di Andrè, preparandomi intanto mentalmente il discorso che gli avrei fatto.

 

-Oscar?

Non ho chiuso a chiave la porta perchè lui potesse entrare senza problemi.

-Vieni, Andrè. E chiudi, per favore.

Sento la chiave girare nella serratura e inizio a sentirmi nervosa. Che mi prende? È successo molte altre volte che io sia rimasta da sola con lui in una stanza, perchè ora ho questa sgradevole sensazione di disagio?

-Siediti. Vuoi qualcosa da bere? Rhum. Che ne dici?

-No, grazie, non posso bere prima di lavorare.

-D'accordo..

Mi siedo di fronte a lui e incrocio le braccia sul tavolo.

-Andrè, perchè non mi hai mai detto niente?

Comincia a sudare freddo.

-C-cosa avrei dovuto dirti?

Balbetta insicuro battendo in modo agitato le dita sul legno.

-Hai collaborato con il duca D'Orleans. Perchè? Ma soprattutto voglio sapere perchè non me ne hai parlato.

Mi guarda stralunato, come se non avesse compreso una sola parola di ciò che gli ho detto, poi ingoia tutta la saliva che ha in bocca e abbassa gli occhi con un sospiro.

-Per proteggerti.

Sussurra.

-Proteggermi? Andrè, maledizione, spiegati!

-Non ti è chiaro?

Ringhia improvvisamente lui sollevando fulmineo gli occhi e aggrottando le sopracciglia.

-Ricordi quando ti ho avvertito sul conto della Polignaç? Lei è l'amante del duca, Oscar, e vuole i soldi di Maria Antonietta per curare la figlia Charlotte che attualmente è ricoverata in Svizzera. Ma fin tanto che ci sarai tu a proteggere Mary Anty A loro non potranno toccarla con un dito, capisci? Prima devono mettere te fuori gioco. E io non posso permetterlo, per questo ho fatto finta di sostenere la loro causa, per controllarli da vicino e fare in modo che non ti facciano nulla.

Scatto in piedi fissandolo sconvolta in silenzio per pochi interminabili secondi.

-L'hai fatto per me...? Perchè?

Chiedo con un filo di voce. Poi abbassando la testa e deviando lo sguardo verso la finestra attendo una sua risposta, anche se nel mio subconscio credo di saperla già. Si alza anche lui e mi si avvicina. Non posso che riportare gli occhi sulla sua figura, ma improvvisamente vengo scossa da un brivido. Quella vicinanza mi fa sentire quasi in imbarazzo.

-Perchè ci tengo troppo a te.

Il suo tono non mi piace, è troppo caldo, troppo languido. Cosa gli succede? Mi allontano di un passo, la sua presenza, per la prima volta, mi da timore.

-Lo sai cosa c'è, Oscar? Tu sei così impegnata a proteggere gli altri che non ti rendi conto che sei la prima che ha bisogno di protezione. Non accetti che qualcuno possa aiutarti, vuoi sempre e solo fare le cose da sola, credi di essere auto sufficiente, ma non è così, sai.

-Andrè, sei strano. Mi... mi fai paura... Che ti prende?

Mi sento come una gazzella che attende inerme di essere sbranata dal leone. Mi guarda feroce, vedo dolore, strazio, afflizione nei suoi occhi attraversati da lampi di rabbia. Tremo.

-Oscar,

Mi afferra per le spalle mutando tutt'a un tratto espressione, ora ha preso lui la parte della vittima.

-Cosa c'è in me che non va?

-Perchè mi chiedi questo?

Stringe le mascelle a voler trattenere le lacrime.

-Cosa devo fare per farti innamorare di me?

-Andrè, cosa dici...?

La sua presa si fa più stretta mentre avvicina il suo viso al mio. “Non farlo, Andrè, non rovinare la nostra amicizia così, ti prego.” Penso appena prima che egli mi catturi le labbra tra le sue in un bacio violento e appassionato. Chiudo gli occhi, ma non ricambio. “Fermati, ti supplico.” Lo prego con la mente tentando di indietreggiare per allontanarlo da me. Lui mi lascia, improvvisamente come mi aveva presa. Si allontana da me e torna verso la porta sparendo nel corridoio. Non uno sguardo, non una parola di più. Come aveva fatto lo svedese, ma quel bacio aveva avuto un gusto diverso. Quel bacio mi aveva spiegato tutto quello che non sono riuscita a capire che non andava in lui negli ultimi tempi.

Amore.

No, non può essere, non l'amore.

“Amore è solo sinonimo di distrazione e la distrazione è l'ultima cosa che mi serve.”

Io stessa mi sono imposta anni addietro questa regola che ho trasgredito per la prima e ultima volta con Hans, non voglio ricadere nello stesso errore.

Eppure quel gesto folle del mio migliore amico (posso ancora definirlo tale?) mi ha lasciato qualcosa. Qualcosa che mi è entrato dentro e mi ha scheggiato il cuore.

Uomo e donna non possono essere amici, diceva Wilde. Non gli ho mai creduto, io e Andrè ne siamo stati un esempio fino a pochi minuti fa. Allora è vero. Che cosa triste.

Mi siedo sul letto, mi sento profondamente scossa. Come posso non essermene accorta per tutti questi anni? Lui mi ama, è evidente. Mi sento un'egoista. Sensi di colpa senza logica mi ingarbugliano lo stomaco, mi ha ribaltata. Fin nel profondo. Ma io che provo per lui? Può essere il mio “volergli bene” equivalente ad “amarlo”.

Mi sciolgo i capelli e vi affondo le dita dentro stringendo forte un paio di ciocche. Forse è vero, forse mi sono sentita così lontana da lui ultimamente perchè ne ho abbastanza della nostra amicizia, perchè ho bisogno che ci sia qualcosa di più tra noi. Eppure non riesco ad immaginare me e lui, insieme, uniti, no, non ce la faccio. Solo provare a pensarci mi fa sentire empia nei confronti della nostra amicizia. Ma quel rapporto è decaduto, lui stesso ha avuto il coraggio di distruggerlo e gli è bastato un solo breve bacio per farlo. Tocca a me, dunque, abbattere quel muro che ci impedisce di innamorarci? Non capisco. Non capisco se è amore che voglio da lui.

Mi distendo sul letto e fisso pensosa il lampadario di cristalli che emana luccicanti bagliori. Poi mi rimetto seduta e stringo i pugni. Amore o meno, devo mettere da parte la questione almeno per un po'. Devo concentrarmi su Maria Antonietta, la Polignaç e il Duca D'Orleans se non voglio essere licenziata dalla mia agenzia. Se quello che mi hanno detto Andrè e Bernard è vero, mi basta trovare un paio di prove, un testimone e il duca e la contessa possono già considerarsi dietro le sbarre.



Avvertenza: Siamo sulla linea del traguardo, alias, mancano ormai pochi capitoli alla fine. Spero che la mia storia sia piaciuta e non abbia annoiato troppo :) Alla prossima, gente

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Ho un po' paura di incontrare Andrè mentre mi aggiro furtiva come una ladra nei corridoi. Non ho voglia di affrontarlo dopo l'accaduto in camera mia, ma penso che anche lui vorrà evitare di incontrarmi almeno per il momento, quindi non ho nulla da temere.

Comunque ho una sgradevole sensazione addosso da quando Bernard mi ha confidato i suoi segreti. Mi sento continuamente e costantemente seguita, osservata, spiata. La cosa è diventata perfino ossessiva.

 

Sono appena andata a parlare con Luigi informandolo che riprendo in mano il caso della rapina. Lui né è rimasto prevedibilmente entusiasta, ma non è stupido e si è accorto che c'è qualcosa che mi preoccupa. Ho evitato di dirgli ciò che so per non allarmarlo, anche se non sono sicura di aver fatto bene a mantenere il silenzio.

Mi chiudo la porta della mia camera alle spalle e mi concedo un bel respiro a pieni polmoni, poi mi butto sul letto e accendo la televisione nel tentativo di distrarmi. Soap opera smielate, telegiornali con notizie raccapriccianti, film depressi sulla vita delle adolescenti e cartoni animati da neonati non sono il genere di programmi che in questo momento mi sento di guardare, giro pertanto su un canale di documentari e mi lascio incantare dalla magia delle immagini sulle cascate del Niagara. Ho sempre adorato le cascate, hanno un non so chè di straordinariamente magico con i loro schizzi e spruzzi e gli arcobaleni che si formano tra essi. Sospiro. Mi ci vorrebbe una bella cioccolata calda.

Mi giro sulla schiena staccando lo sguardo dallo schermo del televisore e rifletto. Decido di concentrarmi sulla questione “Duca-Polignaç”. Dunque, Andrè mi ha detto che la contessa è l'amante del duca, cosa che personalmente non mi sorprende. Ho notato spesso sguardi complici tra i due, o minimi gesti, insomma dei dettagli, che ad un'agente scelto come me non possono sfuggire, che potrebbero rimandare facilmente ad un rapporto, diciamo, intimo, tra i due. Andrè affermò anche che la Polignaç avesse urgente bisogno di soldi per la figlia. Non sapevo che avesse figli. Comunque, il fatto che abbia bisogno di soldi è allarmante, immagino che non abbia intenzione di fermarsi davanti a niente.

Ripenso alle parole di Bernard: egli mi ha parlato di un sicario al servizio di Orleans, un certo Saint-Just, un suo collega.

Storto le labbra sovrappensiero.

L'ho già sentito nominare in passato, mi pare. Si, certo, è un giornalista, un giornalista di cronaca nera, per giunta piuttosto famoso. So che è stato implicato in un paio di processi per delitti che egli stesso aveva trattato nei suoi articoli. Sempre assolto per assenza e/o insufficienza di prove.

Era un marine mi ha detto Bernard, quindi poi un disertore costretto (?) a tramutarsi in un sicario. La cosa è intrigante. Mi sembra di vivere in una spy-story.

Mi distraggo posando un istante gli occhi sui fiori che mi ha portato due sere fa Girodelle: si sono tutti irrimediabilmente ammosciati, eppure li ho annaffiati diligentemente. È inutile, penso con un sospiro rassegnato, non ho mai avuto il pollice verde, anzi. Andrè spesso mi ha soprannominata scherzosamente “Attila” per questa mia particolare non-attitudine.

Squoto la testa e riporto a forza i pensieri su questo Saint-Just. Magari è lui l'importunatore che telefonava a Mary Anty A minacciandola brutalmente ancora prima che io entrassi in servizio. In ogni caso, se così fosse, Maria Antonietta è in stato di pericolo, soprattutto se è vero che la Polignaç è in combutta con lui e il duca.

Improvvisamente avverto il bisogno di spiare nella sua stanza per accertarmi che stia bene. Vado in bagno e mi affaccio sulla piccola grata che da sulla sua stanza e sbircio al di là. Lei e la Polignaç sono distese l'una accanto all'altra sul letto ridendo come due adolescenti, posso sentire quello che dicono.

-Io credo che dovresti fuggire con lui.

Canterellava la contessa giochicchiando con i propri riccioli biondi.

-Luigi è ricco, è vero, ma è lui che ami.

Lui?

Maria ridacchia poi sospira e chiude gli occhi come sopraffatta da un piacere immenso.

-Hai sempre ragione, Yolande. Lo sai cosa ti dico? Me ne andrò domani mattina stessa, all'alba, quando Luigi è impegnato ad organizzare lo svolgimento della giornata lavorativa.

Entrambe sghignazzano entusiaste il progetto e alzandosi vanno ad aprire l'armadio per poi lanciare sul letto tutti gli abiti. Mi porto una mano alla bocca. Se ho capito davvero le intenzioni della Polignaç forse posso ancora fare qualcosa prima che sia troppo tardi.






Oh wow! 15° capitolo ragazzi! Chiedo scusa per la sua "brevità", ma non potevo fare altrimenti, questi sono i ragionamenti di Oscar e meritavano un capitolo tutto per loro, dal prossimo capitolo la nostra eroina inizierà ad attuare la sua strategia di difesa e contrattacco. Ripeto che siamo sulla strada della conclusione il chè mi mette un po' d'ansia e allo stesso tempo mi entusiasma. Non immaginate nemmeno lontanamente quanto mi stia a cuore che questa modesta storia vi stia piacendo... Siete gentilissimi a leggerla fedelmente, grazie davvero.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Sto facendo avanti e indietro nella mia stanza da almeno un'ora abbondante. Mi sento sola e penso di non potermi più fidare di nessuno a parte che di me stessa e pochi altri, come Bernard e Rosalie. Persino su Andrè mi sorgono dubbi.

Sono intrappolata irrimediabilmente in una spessa ragnatela di inganni e menzogne, in cui, mio malgrado, mi sono immischiata con le mie stesse mani.

Mary Anty A lascierà clandestinamente Luigi fuggendo con lo svedese sotto consiglio dell' “amica” e così la Polignaç sarà libera di infilare le ben curate manine nel contocorrente dell'attrice senza troppi problemi; Luigi verrà costretto a ripagare il duca per i danni subiti da quest'ultimo cadendo irrimediabilmente in banca rotta. Così il duca potrà raggiungere con successo i suoi scopi, qualunque essi siano. Piano semplice e lineare, forse perfino patetico, ma assolutamente impeccabile.

Improvvisamente un toc toc sospetto fa perdere un battito al mio cuore.

-Oscar! Sono Hans. Ti prego apri, voglio parlarti, devi aiutarmi.

La sua voce è rauca, ansimante, come se avesse corso. Rimango a fissare la porta con occhi scettici. Come ho già ribadito, mi trovo in una posizione in cui non mi fiderei nemmeno di mio padre.

Penso inizialmente di non dare segni di vita, ma constato subito dopo che fingere di non esserci sia una scusa che non regge. Così mi avvicino piano e sospettosa alla porta e abbasso con morbidezza la maniglia. Apro.

Il volto di Hans è pallido come quello di un cadavere e due righe di lacrime gli solcano il volto. I suoi occhi sgranati e sconvolti sono gonfi e arrossati. Insomma, non ha affatto un bell'aspetto.

-Che ti succede?

Tento di rimanere fredda e distaccata, anche se quella visione mi ha scosso. Lui tira su col naso e si guarda intorno impaurito per poi sussurrare:

-Possiamo parlarne dove non rischiamo di essere interecettati?

-Certo.

Rispondo insicura dopo un momento di riluttanza.

Prendo il cappotto e insieme a lui ci dirigiamo nella zona di servizio e usciamo dal retro. Penso che sarebbe più saggio andare in un posto per me sicuro, in questo caso, senza ombra di dubbio, al bar da Rosalie.

Le mando un messaggio: “Rosalie, sto venendo al bar, ma non sono sola, fingi di non conoscermi.”. Hans è così provato e sconvolto che non si rende conto che ho utilizzato il cellulare. Comincio a credere che la sua non sia una farsa, ma è anche vero che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

Arrivamo sulla Rive Gauche ed entriamo nel bar. Rosalie mi vede e mi saluta indiscretamente con lo sguardo accennando ad un impercettibile occhiolino. Ci sediamo al bancone.

-La cosa più forte che hai.

Mormora Hans a Rosalie appoggiando i gomiti sul bancone e prendendosi la testa tra le mani.

-Un caffè.

Ordino invece io.

-Ebbene?

Incalzò tamburellando con le dita sul legno del bancone.

-Mi vogliono incastrare, ma ciò che è peggio è che vogliono incastrare Maria Antonietta.

-Continua.

-Ero nello studio fotografico di un mio conoscente stamattina e quando sono uscito un uomo con i capelli color caramello mi ha preso in un angolo e mi ha puntato un coltellino svizzero allo stomaco.

A quel ricordo ingurgita quanta più saliva gli è possibile poi continua più lentamente.

-Mi ha minacciato: mi ha detto che sarei dovuto andarmene dalla Francia con Maria Antonietta. Poi ha aggiunto: “Ovunque, basta che la tieni lontana da Parigi e da suo marito.”

Corrugo la fonte pensierosa e lo lascio proseguire senza interromperlo con inutili domande.

-Quell'uomo mi ha detto che avrei dovuto farle credere che si trattasse di una fuga d'amore e di fare in modo che lei non avesse il tempo materiale per organizzare i suoi estratti conto in banca, così che rimanessero aperti.

-E...?

Lo esorto girando con voga il caffè nella mia tazzina.

-Mi ha detto che mi avrebbe ammazzato come un cane se non avessi fatto come mi ordinava o se qualcosa fosse andato storto. Mi ha anche avvertito di non dire niente a nessuno. Sono disperato, Oscar. Non o idea di che cosa vogliano questi tizi da me e da Maria Antonietta, ma ho paura che si tratti di questioni massicce. Aiutami, fa' qualcosa, ti imploro.

I suoi occhi chiarissimi si velano di lacrime sincere, ma io mi ostino a non mostrargli fiducia.

-Come faccio a sapere se mi stai dicendo la verità?

Domando sorseggiando placidamente il mio caffè. Lui mi guarda con occhi da cerbiatto e sporge come un bambino capriccioso il labbro inferiore.

-Te lo giuro.

Sussurra infine prima che una lacrimona gli coli lungo la guancia. Lancio uno sguardo a Rosalie chiedendole con gli occhi cosa avrei dovuto fare. Lei stira le labbra senza sorridere e mi invita con un cenno della testolina bionda ad aiutare quel poveretto.

-Va bene, Hans.

Concludo con un bel respiro, poi mi volto verso Rosalie.

-Rosalie, contatta Bernard e digli di venire qui stasera, ci sarò anche io.

Dunque mi rivolgo ad Hans appoggiandogli una mano sulla spalla.

-Ti aiuterò, ma sappi che se scopro che mi stai ingannando ti ammazzo io.

Lui sorride rassicurato e mi si lancia addosso stringendomi in un abbraccio grato e soffocante.

-Nel frattempo,

Gli intimo.

-Stai in guardia e proponi a Maria Antonietta quella romantica fuga.

Mi alzo serrando i pugni come un guerriero che espone una strategia di guerra.

-Scopri i codici dei suoi conti in banca, scrivili su un foglio e portalo qui a Rosalie prima di partire con Maria Antonietta.

Riempo i polmoni sollevando il petto con fierezza.

-Al resto,

Aggiungo in un sospiro.

-Ci penso io.









Oscar ha già un piano... Ma riuscirà a metterlo in atto con successo?

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Sono le sette e sette esatte.
Entro furtivamente nel bar dopo essermi tirata su la sciarpa fin sopra il naso. Mi guardo attorno cercando Rosalie che stranamente non è al bancone. 
L'atmosfera che mi circonda, questa lieve foschia di fumo di sigarette che aleggia semitrasparente nell'atrio, mi ricorda fortemente un film di cui non mi sovviene il titolo. Ah già... C'era una volta l'America. Sì, sono immersa in un clima decisamente simile al quello del film. Mi voltò verso una doppietta di fidanzati che ridacchiano guardando un tablet. La loro aura di tenerezza stona con l'atmosfera tesa e malinconica del bar. 
Una mano mi afferra di colpo con forza il braccio.
-Nel retro, Oscar.
Mi intima in un sussurro irrequieto Rosalie indicandomi una porta semi nascosta dagli scaffali dei liquori, proprio dietro alla cassa.
Varco quella soglia con estrema cautela misurando i passi e perfino il respiro. Non mi sento sicura da quando sono uscita dall'Albergo. In ogni caso, procedo a passo felpato verso l'unica porta a cui il corridoio conduce: l'uscita secondaria.
Esco al freddo nella stradina cieca di proprietà del bar, lasciandomi investire da una raffica di vento così gelido da mozzam i il fiato. Davanti a me Bernard si allontana una Marlboro dalle labbra e mi scruta indagatore come se non fosse sicura che io sia davvero io.
-Oscar....
La prendo come una domanda e rispondo decisa:
-Si.
Lui, con calma, getta la sigaretta a terra anche se ancora non l'ha consumata dal tutto e la schiaccia delicatamente con la scarpa.
-Cosa hai in mente? Come posso aiutarti?
Mi aggiusto nervosamente il colletto del cappotto, lanciando delle occhiate scrutatrici intorno a me.
-Ti travestirai da cameriere, prendendo il nome di André Grandier. La contessa Polignac ogni sera ordina la cena in camera; sarai tu a portargliela. Poi ti ordinerà dello Champagne: tu portale questa bottiglia.
Apro la giacca e porgo con decisione la bottiglia a Bernard, poi continuo più sicura:
-Se tutto andrà bene, lei sarà con un uomo.
-Come fai a sapere che ordinerà lo Champagne?
Aggancia immediatamente appena io concludo la mia frase. Giusta osservazione, penso sorridendo.
-Vedi, Bernard,
Comincio fissandomi incerta le punte delle scarpe e facendo ruotare la caviglia del piede destro sul tacco.
-La Polignac ha un debole incontrastabile per lo Champagne dell'Albergo Versailles, perchè è uno Champagne particolare: è prodotto dalla famiglia Borbone ed è riservato esclusivamente e senza eccezioni all'Albergo. Se la Polignac ha intenzione domani di tagliare la corda, non potrebbe mai rinunciare a brindare la sua ultima sera all'Albergo con il suo amato Champange.
-E se non lo ordinasse?
Non rispondo, so bene che lo ordinerà, è una certezza per me.
Sospira poi mi sorride rassicurante. Ci guardiamo a lungo, senza parlare, eppure non ci pesa questo silenzioso scambio di sguardi. Mi chiedo a cosa stia pensando guardandomi, quali pensieri gli attraversano la mente. I suoi occhi sono vividi, inquisitori e curiosi, proprio come quelli di Andrè, e altrettanto impenetrabili.
-I tuoi occhi parlano, Oscar, lo sai?
Devio lo sguardo da lui immediatamente a quelle parole, sentendomi il sangue defluire bollente sulle gote.
La stessa, identica frase me l'aveva detta Andrè anni addietro. All'epoca non ci avevo creduto, ci avevo riso sopra e me ne ero dimenticata, ma col tempo mi sono resa conto che André riusciva davvero a leggere i miei pensieri semplicemente immergendo le sue pupille nelle mie. E forse è per questo che ci siamo così tanto allontanati ultimamente, perchè io non sopportavo l'idea di essere capita , non volevo condividere le mie emozioni con nessuno all'infuori di me stessa.
Tiro su col naso.
Accidenti, non dirmi che mi sta venendo il raffreddore!
-Beh,
Incalza.
-Meglio che tu torni all'Albergo ora, giusto?
Gli rivolgo nuovamente gli occhi stranita. 
-Come? Ah si, certo.
Incespico un po', poi mi riprendo.
-Grazie Bernard.
Gli regalo un sorriso riconoscente, sforzandomi di essere più dolce che posso.
Lui contraccambia con gentilezza e in quel momento non posso fare a meno di pensare che, se fino a quel preciso istante mi era seriamente sembrato di avere André davanti agli occhi,  loro due non si assomigliano per niente. Il sorriso di Andrè è la cosa più bella del mondo.
Oddio.
L'ho pensato davvero.
Che mi prende?

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Sono all'incirca le otto, ma non posso dirlo con sicurezza. Sfortunatamente, mentre correvo lungo la strada per raggiungere al più presto l'albergo, ho urtato un uomo e il citurino si è sganciato, così l'orologio è caduto e il vetro del quadrante si è infranto. Pazienza, tanto era vecchio.

Entro nell'albergo e mi faccio largo con arroganza attraverso il fiume di vips che di dirigono in massa verso la mensa per consumare la loro sofisticatissima cena. Mi affaccio sulla sala da pranzo. Tra lo stuolo infinito di camerieri che si preparano per accogliere la “corte” cerco disperatamente Andrè con lo sguardo. Ma non riesco a vederlo. Sono tutti così dannatamente agitati. Spingono, si accalcano... Quando c'è in ballo il cibo anche il più raffinato di loro si trasforma in un cafone.

Sbuffo irritata.

È inutile, non c'è. L'avrei riconosciuto subito se ci fosse stato.

Lo mando mentalmente al diavolo e spero che non ci sia per tutta la serata così che Bernard abbia modo di rimpiazzarlo.

Certo, mi sarebbe servito il suo aiuto, ma vedrò di trovare qualcun altro disposto a fare ciò che il mio piano richiede. Mi fiondo sulle scale -pensare di prendere l'ascensore con tutta questa folla che va e viene è inconcepibile- e con una velocità a dir poco supersonica arrivo al quinto piano.

Mi concedo una manciata di secondi per riprendere fiato. Riempo i polmoni una, due, tre volte finchè non mi sento un po' meglio. Mi aggiusto il colletto del cappotto e a passo marziale mi addentro nel corridoio.

Lascio scivolare sotto la porta della camera del duca un bigliettino e senza mai fermarmi continuo ad attraversare il corridoio imperterrita. Quando giro l'angolo posso finalmente lasciare che le mie labbra si incurivino in un sorrisetto di trionfo.

Tutto sembra andare bene, ma è anche vero che siamo solamente al principio. Potrebbero sopraggiungere diversi inconvenienti, ma io sono pronta a tenere la situazione sotto controllo, non posso permettermi altrimenti.

Non è solo una questione di proteggere Mary Anty A, ma anche di ammanettare due delinquenti belli e buoni.

 

 

-Alain, devi trasferirti al piano di sotto.

Il gigante appoggia la scopa al muro del corridoio e incrocia le braccia.

-Da quando sei diventata il capo, Oscar, tesoro?

-Da quando in questo albergo ci sono due persone che cospirano contro la mia protetta.

Rispondo prontamente senza batter ciglio. L'uomo mi guarda e per un secondo penso che non abbia afferrato quello che ho detto, poi, con molta naturalezza, prende la scopa e se la trascina rassegnato verso le scale.

-Mi servirà il tuo aiuto, più tardi, rimani su quel piano e vedi di non scoparire.

Gli intimo prima che scomaia.

Bene, anche questa è fatta. Ora devo solamente aspettare.

 

 

Sono contenta che tutto stia andando per il verso giusto, il mio verso, eppure mi sembra troppo strano che non sia successo ancora nulla di negativo. Oh beh, tanto meglio! La Fortuna per una volta ha deciso di stare dalla mia parte!

 

Mi dirigo spedita verso la mia stanza, ho bisogno di un goccio di Brandy per darmi un po' di carica.

Dopo di ché mi apposterò al quinto piano in attesa che i miei complici eseguano il mio disegno.

Una mano, d'improvviso, mi afferra la spalla e con una forza incredibile mi costringe a voltarmi.

Capelli color nocciola, occhi chiari, viso giovane...

Ecco il mio uomo, penso rabbrividendo sotto il suo sguardo malefico.

Saint-Just mi sorride quasi benevolo e io ricambio a fatica, non devo mostrarmi troppo agitata o la copertura salta.

-Lei è la guardia del corpo di Mary Anty A? Io sono Saint-Just.

Annuisco lentamente. Non credo di avere abbastanza voce per parlare e non ci tengo a scoprirlo in questo momento.

-Può dirmi in che stanza alloggia l'attrice?

Ingoio un po' di saliva poi mormoro con tutta la sicurezza che riesco ad esercitare:

-Certo, le faccio strada.

Non ho intenzione alcuna di condurlo da Maria Antonietta, infatti lo porto davanti alla stanza appena prima: la mia.

Aprò la porta- perchè non è chiusa a chiave?- e lo prego di attendere fuori mentre io lo annuncio all'attrice. Una volta dentro mi fiondo senza indugio sulla mia splendida e lucidissima revolver quando...

-Oscar...

Con uno scatto felino le do la carica mentre la punto dritta verso l'angolo scuro da cui proviene la voce.

-Sono io, calmati.

È Andrè. Che accidenti ci fa qui?

Mi viene incontro con le mani sollevate in segno di pace, ma io, senza rendermene conto, continuo a puntargli la canna contro.

-Che ci fai qui?

Poi mi viene in mente che la sua presenza non mi dispiace affatto, anzi.

-Andrè, prendi questa. Non sparare, solo colpiscilo alla testa.

Gli mormoro rapidamente e senza lasciargli il tempo di fare domande torno alla porta. Lui prende dalle mie mani la pistola e la guarda perplesso per qualche breve istante, poi torna a nascondersi nell'ombra. Ha capito le mie intenzioni, non mi tradirà.

 

 

Saint-Just cade come un allocco nella mia banalissima trappola e appena entra Andrè lo mette KO con un colpo così preciso che io non avrei saputo fare di meglio. Ma appena dopo il suo gesto, mi guarda sconvolto.

-Chi è quest'uomo?

-Saint-Just!

I suoi occhi smeraldini si tingono di sconcerto.

-No, Oscar, io l'ho visto Saint-Just. E questo qui non è lui!






Dopo secoli ho aggiornato anche questa storia, mi sono impegnata, ma non quanto avrei voluto. Il piano di Oscar sembra procedere per il meglio, ma alla fine Oscar prende un bel granchio. Dov'è il vero Saint-Just? Questo è un bel problema per la bionda. Preannuncio che il prossimo sarà l'ultimo capitolo, dopo di chè metterò una bella pietra sopra questa storia. Era partita in modo molto diverso e ha perso molto del suo charme iniziale, ma spero di ritrovane almeno un po' alla fine. Grazie a tutti per seguire la mia storia. Grazie davvero. Oh e BUON ANNO!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Rimango attonita e irrigidita a fissare confusa André e lui ricambia lo sguardo con altrettanta preoccupazione.
Saint-Just mi ha preceduto. Quel maledetto assassino, pendaglio da forca, lurido bastardo mi ha preceduto. Dov'è ora?
Vieni fuori, Saint-Just, vieni fuori!
Vorrei urlare. Devo trovarlo prima che mandi a monte tutto. Ci sono troppe cose in ballo non posso permettermi neppure il minimo sgarro. Al diavolo la mia carriera, ciò che più mi sta a cuore è proteggere persone innocenti dalle losche trame di questi criminali.
Ci sono dentro fino al collo e forse André tanto quanto me, se non di più.
L'unico modo è trovare Saint-Just, prima che lui trovi Bernard o noi.
Afferro la manica della camicia di André e lo trascino fuori senza curarmi dell'uomo disteso in terra. Il mio amico (posso ancora definirlo tale?) non oppone resistenza, ha capito benissimo cosa ho intenzione di fare.
Improvvisamente mi arresto.
Un pensiero avvelenato mi ha irrigidito i muscoli.
Che ci faceva André nella mia camera? Perché è immischiato in queste faccende? È stato lui a mettermi la pulce nell'orecchio riguardo alla contessa di Polignac un lontano giorno mentre pranzavamo insieme, Bernard stesso mi aveva accennato di aver saputo di un certo cameriere che aveva collaborato strettamente con il duca nella simulazione della rapina. In un modo o nell'altro centrava sempre nei casini che sono successi in questo albergo. Un groviglio confuso di coincidenze o c'è qualcosa sotto?È una vittima o uno dei carnefici? 
Per la prima volta da quando conosco questo ragazzo sto seriamente dubitando di lui e della sua lealtà.
-Sei tu che manovri tutto vero?
Sibilo assottigliando gli occhi come un felino. Lui aggrotta sconvolto le sopracciglia.
-Io mi fidavo di te.
Ringhio lasciandogli il braccio e mettendomi a correre a perdifiato attraverso il corridoio.
Andrè è uno scagnozzo del Duca. O forse addirittura il Duca è un suo scagnozzo! E quando Saint-Just ha quasi ucciso Bernard, in realtà voleva uccidere Andrè. Forse. 
Forse, forse, forse!
È tutto un gigantesco punto di domanda.
Una fortissima fitta alla testa mi trapana le meningi e mi costringe a stringere forte gli occhi per sopportare il dolore lancinante.
-Porca puttana!
Esclamo fuori di me imboccando le scale con agilità. Immergo le dita tra i capelli mentre scendo rapidamente gli scalini e stringo forte le ciocche fino a farmi male. Che incubo, quanto vorrei svegliarmi e tirare un sospiro di sollievo.
Mi rendo conto solo in un momento di lucidità che ho qualcuno alle calcagna che mi insegue.
Aumento il passo, ma inciampo e sono costretta ad aggrapparmi al corrimano per non ruzzolare a terra. 
-Oscar, ascoltami.
Due mani mi afferrano e mi strattonano con una certa dolcezza.
-L'ho fatto per proteggerti, te lo giuro, solo per proteggerti. Se ti metti in mezzo ci rimetterai la pelle. È una roba troppo grande per te, per me, per noi, maledizione! Non puoi risolvere tutto, non ci riuscirai da sola. Lascia perdere, ti prego, lascia che me ne occupi io, è il mio lavoro.
-Che accidenti stai dicendo Andrè?
Sbotto stringendo i pugni. Ma proprio mentre dalle sue labbra sta per uscire una spiegazione, ecco che udiamo uno sparo e un grido di donna.  
Accorriamo nuovamente al piano di sopra mentre l'allarme anti incendio inizia a dare di matto con la sua sirena assordante. I corridoi si riempiono di gente allarmata, dalla stanza di Maria Antonietta esce Saint-Just tenendo in ostaggio Maria Antonietta con un coltello sotto la gola. 
-Ha ucciso Hans!
Grida in preda al panico l'attrice lasciandosi rovinare il trucco da fossi lacrimoni di disperazione.
Saint-Just smania ridendo come un pazzo, i suoi occhi lanciano saette da ogni parte. Dalla sua pistola ancora fumante esplode una pallottola che va a colpire la parete a poco meno di un metro da me. Sobbalzo spaventata, ma in men che non si dica mi si parà davanti André e con una mossa eccezionalmente agile sfodera dai pantaloni la mia revolver nera e lucida e la punta dritta verso una donna che, avvolta in una pelliccia, sta tentando di scivolare tra la folla e svignarsela.
-Louis, lascia Maria Antonietta o ammazzo la Polignac.
Saint-Just tentenna lasciando che il coltello gli tremi tra le dita. Ma subito riprende il controllo e spinge la lama più a fondo nella delicata pelle del collo di Maria Antonietta. La donna geme chiudendo terrorizzata gli occhi mentre una sottile goccia di sangue cola dalla lieve ferita.
Istintivamente avanzo di un passo verso di lei, ma la schiena di Andrè non mi permette di raggiungerla.
Il mio respiro è affannato, non so che fare. Mi ritrovo inerme e senza idee. Ho paura, lo ammetto, ma non ho paura per me.
Andrè, non ho bisogno della tua protezione, non voglio che tu rischi per me.
La Polignac si è spiaccicata contro il muro fissando sconvolta la canna della revolver in mano ad Andrè e ansima senza sosta.
La situazione rimane immobile per diversi interminabili istanti, finché alle spalle di Saint-Just non appare Bernard che assalta l'uomo disarmandolo. Maria Antonietta gli scivola via dalle braccia correndo verso di me in cerca di riparo e Saint-Just, ormai a terra, tenta invano di riprendere in mano la propria arma, ma André gli spara un colpo alla spalla impedendogli di reagire.
Nel frattempo io mi fiondo sulla contessa, afferrandole i polsi e portandole le mani dietro la schiena.
E il Duca?
Mi guardo convulsamente attorno cercando di vederlo, ma è inutile. C'è troppa confusione.




Tutto si è risolto. Gli agenti speciali della polizia sono accorsi nel giro di pochi minuti chiamati dal boss Luigi e la Polignac e Saint-Just sono stati portati via in manette. Il Duca invece è riuscito a farla franca, ma probabilmente non andrà molto lontano.
Hans è stato gravemente ferito, grazie a Dio non è morto, ma rischia parecchio. Per il momento è sotto i ferri all'ospedale e i medici non sanno se dirsi ottimisti o pessimisti. Mi hanno assicurato tuttavia che verrò informata della sorte dell'uomo appena ne fossero stati certi. Mary Anty A l'ha seguito romanticamente tenendogli la mano fino a che non è stato caricato sull'ambulanza e il povero Luigi ha dovuto far finta di non vedere.
Bernard è fiero di essere riuscito a vendicarsi su Saint-Just, ma si è ripromesso di trovare il Duca e di regolare definitivamente i conti. Prima però ha intenzione di chiedere a Rosalie di sposarlo.
Alain è stato promosso a maître (non so per quale suo eccezionale merito).
E così ognuno ha avuto la sua fetta di lieto fine, chi più chi meno.

Trascino le mie valigie nella hall dell'albergo e mi guardo intorno consapevole che, per quanto io abbia odiato gli altezzosi clienti dell'albergo e tutti gli intrallazzi che mi hanno scombussolato la vita, credo che il suo raffinato luccichio mi mancherà.
Già, me ne vado. Sono stata sollevata dall'incarico di guardia del corpo. No, non mi hanno licenziato.
La mia agenzia si è complimentata con me per il mio sangue freddo e ha provveduto ad affidarmi incarichi e mansioni degni di un agente segreto.
Avete capito bene: agente segreto!
È una vita dura, mi hanno detto, ma io vivo di pericolo e di adrenalina e così ho accettato.
Non è nulla di simile a quegli agenti 007 super fighi che si vedono al cinema. L'unica cosa che abbiamo in comune io è James Bond ora è la licenza per uccidere. Niente macchine super accessoriste, niente armi nucleari, niente gadget altamente tecnologici.
Mi attende una missione in Sud America, tra mezz'ora ho l'appuntamento con il mio compagno di missine che mi elencherà i dettagli.
Esco dall'albergo dopo aver salutato calorosamente Alain e Lassalle. Che freddo, spero che in Sud America faccia più caldo. 
Mi stringo nel cappotto.
Beh, questa promozione la devo ad Andrè. 
Dopo che la Polignac e Saint-Just sono stati arrestati, gli ho chiesto spiegazioni precise.
Ebbene è un agente anche lui. Un agente in incognito, come lo sono io ora, mandato dalla mia agenzia stessa perchè sorvegliasse il mio lavoro e mi proteggesse.
È stato compagno d'armi per un anno con Saint-Just e a causa di una sorta di scommessa -evito di riportare la lunga storia che mi ha raccontato- si sono odiati per tutti quei 365 giorni.
E così il mio migliore amico è stato la mia guardia del corpo.
Infine ci siamo scambiati reciproche scuse e ci siamo ripromessi di non tenersi più segreto nulla.
Eppure io qualcosa da dirgli e che non ho il coraggio di spiattellare ce l'ho. 
Ho passata un paio di notti in bianco a chiedermi come sia stato possibile non essersi mai accorta dei sentimenti che provavo per lui. Ora stargli vicino mi provoca emozioni molto diverse a quelle che provavo prima. Emozioni travolgenti.
Ma con che faccia tosta posso dirgli " Ehi, Andrè, sai che, anche se ti ho rifiutato e non ho creduto in te, ti amo?".
Probabilmente lui si ha cambiato idea riguardo a me, meglio anche per me dimenticarlo, romanticamente parlando. Amici come prima, insomma. Ma sono sicura di riuscire a guarire da questa bizzarra malattia?
Attraverso la strada e salgo sull'autobus. Sono curiosa di conoscere colui che mi accompagnerà in Sud America, chissà che sia un tipo interessante, intelligente, intrigante.
Scendo alla mia fermata e mi condendo un momento per riempire i polmoni e ossigenarmi le idee. Pochi passi e mi ritrovo di fronte al bar in cui incontrerò il mio potenziale partner. Sbircio attraverso il vetro e analizzo le teste di tutti i presenti domandandomi curiosa chi sarà Lui.
Poi lo vedo. Eccolo, sono sicura. Le sue spalle larghe e i capelli neri e mossi.
Entro nel bar e l'aprirsi della porta aziona un campanellino annunciando a tutti il mio arrivo. Una scarica incredibile di sguardi mi colpisce. Eppure Lui non si è voltato. Sa che sono io, ma non si è voltato. Lo sento sorridere mentre mi da le spalle. Mi aspetta.
Il mio cuore batte, batte a mille. Mi avvicino sempre più agitata.
So chi è.
E questo mi spaventa più di quanto non possa farlo il sapere di andare incontro ad uno sconosciuto.
Perché lui è...
-Andrè..
Non mi aspettavo di trovarti qui.
Avrei voluto dirgli. Tuttavia lo speravo.
-Devo proteggerti.
Fu la sua materna risposta e sorrise invitandomi a sedermi accanto a lui.
-Forse avresti preferito qualcun altro, ma non me la sentivo di lasciarti nelle mani di chissà chi.
-Sono felice di sapere che sei tu, Andrè.
Devio lo sguardo sulle mie mani incrociate nervosamente.
-Mi fa sempre piacere stare con te.
Silenzio. Questo silenzio mi imbarazza. Basta, rompiamo il ghiaccio, Oscar! Alzò il viso e appoggiata una mano sul suo collo mi sporgo verso di lui baciandogli le sottili labbra con passione. Sorprendentemente mi lascia fare, anzi, mi asseconda. Non credo di aver mai ricevuto un bacio più bello. Niente lingua, solo un tenero gioco di labbra. Il mio cervello iniziò a mandare scariche elettriche in tutto il corpo finché non fui tutta un brivido. 
-Penso che cambieranno molte cose d'ora in poi.
Sussurro ancora con gli occhi chiusi. Lui sorride.
-Lo penso anche io.

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