I don't wanna be just another name.

di porcelain heart
(/viewuser.php?uid=72494)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Coincidenze. ***
Capitolo 3: *** Click. ***
Capitolo 4: *** In bilico. ***
Capitolo 5: *** Vagamente. ***
Capitolo 6: *** Salvami. ***
Capitolo 7: *** Non posso dire di no. ***
Capitolo 8: *** Prendi un respiro. ***
Capitolo 9: *** Tendimi la mano. ***
Capitolo 10: *** E se..? ***
Capitolo 11: *** Un piccolo aiuto. ***
Capitolo 12: *** Cambiamenti. ***
Capitolo 13: *** Sempre. ***
Capitolo 14: *** For me, for you. ***
Capitolo 15: *** Perchè lei? ***
Capitolo 16: *** Lentamente. ***
Capitolo 17: *** Distrazioni. ***
Capitolo 18: *** Wide Awake. ***
Capitolo 19: *** Tempo. ***
Capitolo 20: *** Progressi. ***
Capitolo 21: *** Ricordami. ***
Capitolo 22: *** Non sempre. ***
Capitolo 23: *** Abitudine. ***
Capitolo 24: *** Regali speciali. ***
Capitolo 25: *** Caffè. ***
Capitolo 26: *** Lontano. ***
Capitolo 27: *** Errori. ***
Capitolo 28: *** party&bullshit. ***
Capitolo 29: *** Soluzioni. ***
Capitolo 30: *** Ritorno. ***
Capitolo 31: *** Inchiostro. ***
Capitolo 32: *** Ancora una volta. ***
Capitolo 33: *** Addio. ***
Capitolo 34: *** La città che non dorme mai. ***
Capitolo 35: *** Flash. ***
Capitolo 36: *** Autodistruzione. ***
Capitolo 37: *** Prospettive. ***
Capitolo 38: *** pelle. ***
Capitolo 39: *** parole. ***
Capitolo 40: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Alla ragazza che ha ispirato tutto questo,
nella speranza che le mie parole
riescano ancora una volta
a darti la forza per evadere, e volare.


 



Avevo quindici anni quando vidi Harry Styles per la prima volta; non dimenticherò mai, mai quel giorno. Era il ballo di primavera della Holmes Chapel High School, ed io mi ero lasciata trascinare lì da una mia compagna di classe che in realtà mi aveva chiesto di andare con lei solamente perchè aveva bisogno di una copertura per i suoi. Fosse stato per me ovviamente non avrei neanche pensato di andarci: non avevo mai amato particolarmente le feste e, sinceramente, infilare il mio vestito abbandonato sul fondo dell’armadio era stato già abbastanza. Come nel più banale dei film, me ne stavo seduta nell’angolo più buio e sperduto della sala con aria annoiata e le cuffie nelle orecchie per estraniarmi da quello che mi accadeva intorno; stavo piuttosto attenta ad avere un’espressione abbastanza apatica da riuscire a distogliere qualunque essere umano dall’idea di avvicinarsi. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a non accorgermi di quel ragazzo che si fermò in piedi di fronte a me; mi tese la mano, esclamando un « piacere, io sono Harry » che riuscì a percepire solamente facendo una ricostruzione successiva dell’accaduto: la musica che proveniva dal mio iPod era troppo forte perché potessi sentire altro. Così, mi limitai ad alzare appena il capo dopo aver messo in pausa di malavoglia una delle mie canzoni preferite e lo fissai con sguardo piuttosto interrogativo. Vidi un lampo di incertezza in lui, ma non pensò mai realmente di demordere; tese la mano con più foga e sorrise – Dio, non avevo mai visto uno spettacolo del genere prima di quel momento - « piacere, Harry. Harry Styles.»  Avevo solamente due scelte: ignorarlo deliberatamente e tornare nel mio isolamento, oppure provare almeno per una volta a sostenere una conversazione. Ora, io non sono mai stata quel genere di ragazza che solitamente viene avvicinata durante le feste: ho sempre avuto un mondo tutto mio, composto dalla musica, dai libri e da tutto ciò che mi faceva stare bene.. quel genere di attività non era contemplata. Ma decisi di lasciarmi andare, sapendo che in fin dei conti non avevo nulla da perdere; risposi al saluto in maniera vagamente timida, e rimasi momentameamente senza parole quando, come se niente fosse, lui mi disse « oh sì, so chi sei: frequentiamo insieme il corso di inglese » e si sedette di fianco a me, respirando profondamente. Si tolse la giacca nera poggiandola sul tavolino accanto a noi e sbottonò i primi due bottoni della camicia bianca che indossava, subito dopo aver sciolto il papillon. Fu così che cominciammo a chiacchierare come se ci conoscessimo da una vita, e che lui rimase seduto accanto a me per tutto il resto della serata.. sembrava assurdo che non si annoiasse: era una fonte instancabile di energia, eppure non mi propose neanche una volta di andare a ballare o cose di quel genere; in un primo momento pensai scioccamente che fosse perché non voleva farsi vedere troppo in giro con me, ma fui costretta a ricredermi quando il fotografo del giornalino della scuola si avvicinò a noi chiedendoci se volessimo una foto ricordo e lui mi passò un braccio intorno alle spalle esibendo un sorrisone che gli illuminò il volto.  Dopo quella sera, capitò spesso che ci muovessimo insieme per la scuola e più di una volta andai a casa sua per aiutarlo con la matematica – Dio, quel ragazzo era veramente uno zero in quella materia. Fondamentalmente eravamo in ottimi rapporti, e toccò a me fargli da supporto morale quando si esibì per la prima volta in una competizione scolastica con la sua pseudo-band chiamata ‘White Eskimo’: erano abbastanza ridicoli, se ci penso adesso.. tutti vestiti uguali, con quelle orribili cravatte annodate intorno al capo ed una canzone che più della metà dei presenti non aveva mai sentito; ma lui aveva l’indole del leader, ed era perfino riuscito a portarli dritti fino alla vittoria. Parlavamo spesso di quando sarebbero diventati famosi, e più di una volta mi disse che avrei dovuto lasciare gli studi per seguirli nel tour mondiale che un giorno avrebbero fatto: voleva che fossi la loro groupie, e che stessi con loro ogni singolo giorno.. diceva che un giorno avrei potuto dire che li conoscevo fin da quando non erano nessuno, e che sarei stata la ragazza più invidiata della storia. Avevamo tanti sogni nel cassetto, tante cose da fare e tanti posti dove andare.. insieme. Cosa accadde dopo? Oh, sono sicura che è una parte della storia che conoscete fin troppo bene. Un giorno semplicemente scomparve nel nulla, ed ogni volta che tentavo di fargli domande mi rispondeva che non poteva rispondermi ma che presto avrei capito e sarei stata orgogliosa di lui. Scoprii dalla televisione che era stato selezionato per partecipare ad X-Factor, e che adesso faceva parte di una specie di boy-band chiamata One Direction; ero felice per lui, ma mi sentivo doppiamente tradita. Non mi aveva detto niente, ed in pochi giorni aveva praticamente distrutto tutti i progetti che avevamo fatto.. non potevo fargliene una colpa, e sicuramente non mi sarei mai perdonata se fossi stata la causa del suo insuccesso. Votai per lui ogni singola settimana, anche se una piccola parte di me mi diceva che mi stavo scavando da sola la fossa: lo stavo aiutando a diventare famoso, e si sarebbe presto dimenticato di me. Seguì i vari risvolti senza reale interesse, mentre mi rendevo sempre più conto che quel ragazzo che mi aveva salvato dall’essere la povera sfigata del ballo di primavera, adesso si era totalmente dimenticato di me.
La mia vita andò avanti come se niente fosse, e terminai la scuola senza avere intenzione di proseguire negli studi: mi sono trasferita a Londra ormai da un po’ e sono una normalissima adolescente in cerca del suo posto del mondo; per tutti questo tempo ho sempre evitato di trovarmi negli stessi posti in cui sapevo che avrei potuto incontrarlo, e non mi sono mai realmente interessata al mondo di cui ha cominciato a far parte. Un paio di volte ho perfino pensato di andare da lui, ma poi mi sono resa conto che l’unica cosa di cui ho paura è che mi scambi per una delle migliaia di ragazze che gli muoiono dietro: io ho bisogno che lui mi riconosca, non credo che potrei vivere nella certezza di essere caduta nell’oblio dei suoi ricordi. Così, ancora una volta, non ho il coraggio di fare il primo passo e mi limito a star lontana da qualunque cosa possa riguardarlo. Sono arrabbiata con lui, ma un po’ mi manca.
Sono July White – non Juliet, non Juls,
e questa è una storia per tutti i cuori spezzati.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Coincidenze. ***




Erano le 6:45 quando il suono della radio cominciò a diffondersi in tutta la stanza: non avrebbe sopportato il classico allarme della sveglia, e di certo svegliarsi con l’oroscopo giornaliero l’avrebbe messa mille volte più di buonumore. Proprio mentre gli occhi scuri della ragazza si aprivano ad un nuovo giorno, l’uomo dalla voce suadente quanto fastidiosa arrivò proprio al punto tanto atteso: “Capricorno. Per i nati sotto questo segno, si preannuncia una giornata piena di sorprese e stravolgimenti inattesi. Con la luna in avvicinamento, avrete molto di che pensare: no alle decisioni affrettate, calcolate con attenzione ogni singola mossa o ve ne pentirete.”
July si limitò a mugugnare appena nel sentire quelle parole e si rigettò nuovamente sul letto, affondando il volto nel cuscino ed occupando tutto lo spazio possibile assumendo una specie di posizione a stella: pancia in giù, gambe divaricate e braccia ben stese. Poteva prendersi altri dieci minuti prima di alzarsi, no? Oddio, in realtà avrebbe anche potuto prendersi un giorno di riposo dal lavoro e semplicemente restarsene tutto il giorno a non far niente.. ottima idea, mi sembra. Si era proprio voltata su un fianco per riprendere sonno, quando dalla radio rimasta accesa cominciarono le prime note di una canzone che non aveva mai sentito prima: sembrava piuttosto orecchiabile e decisamente carina, anche se non aveva la benchè minima idea di cosa fosse. Per poco non cadde dal letto quando riconobbe, tra le altre, una voce che ben conosceva; non aveva mai ascoltato una canzone dei One Direction prima di quel momento: cambiava stazione radio ogni volta che li annunciavano, e non aveva mai neanche pensato di cercarne una su youtube. Rifiuto psicologico? Schifo cosmico, direi. Scattò a sedere, i lunghi capelli scuri arruffati in maniera vagamente disordinata e gli arti ancora tutti indolenziti dal sonno; allungò il braccio destro, e spense la radio con un colpo secco. “Se la giornata comincia così, mi sa che sono veramente fregata.” Sibilò vagamente innervosita, prendendo gli occhiali da vista poggiati sul comodino ed inforcandoli.
Si alzò in piedi stiracchiandosi ed aprendo immediatamente la finestra principale della camera, in modo da far entrare un po’ d’aria fresca: ora, non che a Londra esistesse veramente aria pulita ma tutto era sempre meglio di quella chiusa, no? Si diresse in bagno a piedi scalzi, mentre una leggera pelle d’oca affiorava sulle gambe nude che soffrivano leggermente a causa del cambio di temperatura. Si infilò sotto la doccia canticchiando un motivetto qualunque, obbligandosi a non riprodurre quello sentito pochi minuti fa alla radio: le era entrato in testa, e questo non andava assolutamente bene. Si ritrovò a fare il suo piccolo concertino privato davanti allo specchio mentre si asciugava i capelli, con tanto di spazzola come microfono e piccola quanto meravigliosa coreografia che la faceva sentire come fosse su un palco internazionale; poco importava che fosse solamente il bagno del suo monolocale nella periferia di Londra, lì dentro lei era una superstar indiscussa. Maledisse se stessa quando fu ora di dare una forma decente alla frangetta scura e pesante che le ricadeva sugli occhi, e si chiese perché al contrario di quella del resto del mondo, la sua dovesse sembrare la coda di un procione morto messa lì per caso. Mordendosi il labbro inferiore si armò di pazienza e sangue freddo e, con l’aiuto della piastra e di una meravigliosa spazzola comprata proprio per l’occasione, alla fine dei giochi riuscì a darle un aspetto quantomeno accettabile. Spudoratamente soddisfatta di sé, tornò nella camera dove dormiva ed attaccò il suo iPod alle casse che erano sul comodino: ci vollero solamente pochi istanti perché le prime note si diffondessero nell’aria, e lei cominciasse ad accompagnare ogni spostamento con un piccolo balletto. Dopo una piroetta, riuscì ad afferrare un paio di jeans scuri dall’armadio che abbinò immediatamente ad un’ampia maglietta color fucsia caramella molto morbida, che lasciava praticamente scoperta la spalla sinistra; indossò le Nike blazer grigio chiaro ed una borsa che era stata abbandonata sulla sedia accanto alla finestra proprio la sera prima. Bastò un po’ di mascara e del fard per non sembrare proprio appena sveglia, ed ecco che già chiuse alle spalle la porta di casa dandovi due giri di chiave.
Seduta da sola sulla metro, aspettava che la ‘red line’ la conducesse da Hanger Lane – dove abitava – alla fermata di St. Paul’s dove si trovava lo studio per il quale lavorava. Se ne stava lì, con il capo poggiato al finestrino alla sua destra e gli occhi completamente immersi nelle pagine di un libro che aveva letto almeno dodici volte solamente negli ultimi due mesi, ma che ogni volta riusciva a rapirla come fosse la prima: la gente le passava accanto nella fretta della mattina senza fermarsi neanche per un solo istante, ed il chiacchiericcio dei bambini si mescolava a quello delle persone che parlavano al telefono con aria arrabbiata ma lei era semplicemente da un’altra parte. In un mondo che non comprendeva tutto quel caos, nella dimensione mentale del suo benessere: era lì, ma si sentiva come se da un momento all’altro il protagonista di quel racconto l’avrebbe presa per mano e l’avrebbe portata via con sé, lontana dal resto. Le sue fantasie dovettero brutalmente interrompersi quando la voce metallica annunciò che si trovavano ad Holborn, ovvero a due fermate dalla sua: alzò lo sguardo, lasciando che vagasse per il vagone della metropolitana; le piaceva da morire guardare i volti delle persone, i loro atteggiamenti, il loro modo di porsi: certe volte passava il tempo ad immaginare per ognuna di loro una storia diversa, fatta di amori finiti e sogni più o meno realizzati. C’era la signora con le buste della spesa che diventava la madre di due bambini che somigliavano al padre impegnato in guerra, e la ragazzina dallo stile dark che in realtà sognava l’invito al ballo scolastico dal capitano della squadra di nuoto dai capelli biondi e gli occhi chiari.. c’era l’uomo d’affari che da giovane aveva sognato di girare il mondo con uno zaino e poche sterline – mentre alla fine si era ritrovato a prendere il posto del padre in una multinazionale, e l’anziana che non aveva un posto dove andare ma semplicemente si alzava ogni mattina ed usciva per non rimanere a casa da sola. July non sapeva se ciò che immaginava per loro corrispondesse alla realtà, ma si divertiva a diventare per pochi minuti artefice del destino degli sconosciuti: molti non li avrebbe più rivisti, ma lei non li avrebbe mai dimenticati. Aveva una strana abitudine, quella di aggrapparsi con tutte le sue forze agli occhi di persone che condividevano con lei solamente millesimi di secondo della loro esistenza; sapeva che negli occhi di uno sconosciuto avrebbe trovato la salvezza, solo che non aveva più tempo di aspettare. Così, ogni giorno, prendeva la Tube nella speranza di perdersi e non ritrovarsi più.. ma ogni singola volta, veniva annunciata la sua fermata e finiva per mettere un elastico per capelli tra le pagine del libro per tenere il segno, e scendere con una piccola speranza infranta nel cuore.
Quando la luce del sole colpì il suo volto, si maledisse per il suo rifiuto di indossare le lenti a contatto e dovette coprirsi gli occhi con la mano destra. Guardando il display del cellulare che aveva appena estratto dalla tasca, si rese conto di essere quasi in ritardo e dovette cominciare a correre a perdifiato per non peggiorare la situazione; di malincuore, passò davanti allo Starbucks davanti la Cattedrale di St. Paul senza potersi fermare per prendere neanche mezzo caffè e si ritrovò davanti la porta principale del suo luogo di lavoro. Era troppo giovane per avere davvero un impiego a tempo pieno, e così faceva da assistente per un noto fotografo del mondo della moda. Fin da piccola aveva avuto una passione per la fotografia, ma se credete davvero che fosse riuscita a realizzare il suo sogno, vi sbagliate di grosso: tutto quello che doveva fare era portare caffè a destra e a manca, fare fotocopie ed occuparsi della post-produzione degli scatti.
“Sei in ritardo.” L’accolse Emily, seduta all’ingresso.
“Cinque minuti!” Protestò.
“Comunque è tardi..” Rispose, secca. “Mark ti aspetta nello studio, sta facendo delle foto piuttosto importanti oggi e vuole che tu vada lì. Non farlo aspettare, e portagli il caffè o non ti perdonerà mai.”
L’ambiente era praticamente immenso, ed organizzato secondo canoni precisi: da un lato gli uffici dei dipendenti e delle segretarie, dall’altro la zona dove si facevano i servizi fotografici. July dovette uscire nuovamente da lì per tornare indietro, ed entrando da Starbucks ordinò un caffè nero triplo senza zucchero, che si affrettò a portare al suo capo; bussò un paio di volte alla porta che segnava l’accesso allo studio fotografico in sé per sé ma, non udendo risposta, la aprì con un movimento del bacino stando ben attenta che la bevanda che teneva tra le mani non cadesse. Subito, incontrò un’altra delle assistenti, Liz, che la guardò con un gran sorriso sul volto.
“Finalmente sei qui! Oggi si preannuncia una giornata infernale, figurati che Mark è già al lavoro da più di un’ora; abbiamo degli ospiti importanti, a quanto pare.”
July riflettè, e si domandò quale modella fosse arrivata lì a distruggere l’autostima delle presenti ma più ci pensava, e meno le veniva in mente. “Per che giornale deve farle?” Domandò.
“Non è per un giornale.. è un servizio fotografico per il lancio di un cd, o qualcosa del genere; non ho ben capito.”
“Ma lui non fa mai questo genere di cose!” Esclamò. Il capo era un tipo molto strano, e solitamente lavorava solamente per le riviste e nulla più.
“Ma allora non mi ascolti, July!” L’altra alzò gli occhi al cielo. “Abbiamo degli ospiti importanti.”
“Ovvero?”
“One Direction, ti dicono niente?”
La ragazza si fermò, immobile, sgranando i grandi occhi scuri e dischiudendo appena le labbra. “Dimmi che è uno scherzo.”
“Assolutamente no!” L’altra sorrise. “Dovresti vedere quanto sono fighi.. mille volte di più di quel che pensavo, sai? Vai a rifarti gli occhi, vai!”
In quel preciso istante, July pensò di mollare tutto nelle mani dell’altra e di scappare via per rintanarsi sotto le coperte del suo letto e non uscirne più. Ma proprio mentre stava per prendere seriamente in considerazione l’idea, “Tesoro, Mark si è accorto di te: ti sta facendo segno di raggiungerlo, e visto che è isterico quanto te quando hai il ciclo.. direi che sarebbe meglio se andassi.”
Si voltò, incrociando lo sguardo dell’uomo ed udendo le voci di quei cinque ragazzi provenire da dietro i riflettori e, nel trambusto, si rese conto che non poteva certo perdere il lavoro per una cosa del genere! Sarebbe durato al massimo un’oretta, e poi ognuno sarebbe andato per la sua strada; senza considerare che probabilmente Harry non si sarebbe neanche ricordato il suo volto, e questo avrebbe reso le cose molto più facili.
“Oroscopo, questa me la paghi.” Sibilò tra i denti, prima di respirare a fondo e cominciare a camminare.










Angolo Scrittrice.
Eccoci qui! Allooooooora, questo capitolo mi è servito innanzitutto per introdurvi come si deve il personaggio di July.. so che praticamente non si parla dei ragazzi, ma avremo talmente tanto spazio per farlo che non c’è motivo di preoccuparsi. Spero che vi piaccia, e spero che la storia vi intrighi ancora di più.
Grazie a tutte le ragazze che hanno recensito, siete splendide.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Click. ***



Ricordarsi di respirare, intanto, poteva essere un buon inizio. Per quanto fosse realmente intenzionata ad andar via, si fece forza e semplicemente avanzò come se niente fosse; si obbligò a pensare che si trattava solamente di cinque adolescenti che erano riusciti a sfondare nel mondo nella musica, e che a fine di quel servizio sarebbe tornata alla sua vita senza interferenze. Mark era un uomo piuttosto eccentrico ma molto preciso per quel che riguardava il lavoro: aveva preso July sotto la sua ala perché era un vecchio amico dei suoi genitori, ma non era solito avere dei tirocinanti; alla fine si era comunque reso conto del fatto che una mano in più non guastava mai, ed aveva comincato ad accettare di buon grado quella nuova presenza.
“Il tuo caffè.” Annunciò la ragazza, porgendogli la tazza in cartone di Starbucks e cercando di mantenere lo sguardo piuttosto basso.
“Oggi mi darai una mano: mettiti al computer, controlla gli scatti.”
July indietreggiò di un passo: aspettava da tre mesi la possibilità di essere la diretta assistente del suo capo durante un servizio fotografico, ma le sembrava davvero incredibile che questa proposta fosse arrivata proprio quando c’erano i One Direction. Sapeva che non poteva in alcun modo rifiutare, e si diresse verso la piccola scrivania posta di fronte alla zona dove quei ragazzi si stavano facendo scattare le foto; si sedette con aria impegnata, puntando gli occhi su Photoshop già aperto davanti a lei ed in attesa che arrivassero gli scatti. Davanti a lei c’era infatti Mark con la sua macchina fotografica, ed ogni volta che avrebbe scattato una foto, questa sarebbe arrivata in tempo reale sullo schermo del pc che aveva davanti July – a lei il compito di dire se andava bene o meno, e di suggerire qualche correzione in fatto di posa o scenografia. Mai, neanche per un solo istante, si era concessa di guardare verso di loro: aveva mantenuto il capo basso, ed aveva evitato qualunque genere di contatto anche solo visivo.. vederli dietro uno schermo sarebbe stato molto più facile da accettare.
Quando le prime foto arrivarono, alla ragazza fu immediatamente chiaro che tipo di persone fossero; non c’è verità più grande di quella filtrata attraverso l’obbiettivo di una macchina fotografica. C’era un ragazzo dai capelli neri tirati in su e grandi occhi color cioccolato che riusciva sempre a mettersi in posa ed a colpire in pieno con degli sguardi carichi di significati e profondità; ce n’era un altro dal sorriso buono ed una capigliatura un po’ dubbia che faceva il suo meglio e riusciva a dare sempre un tocco molto personale alle pose che venivano richieste. Accanto a loro, la curiosa figura di un ragazzo dai capelli biondi e dagli occhi color del mare non poteva fare a meno di ridere in continuazione, e dava agli scatti quel tocco di naturalità che li contraddistingueva da quelli di alta moda; infine, quello con la maglia a righe faceva decine di smorfie causando l’ilarità del quinto ed ultimo membro del gruppo. July ebbe un colpo al cuore quando il suono cristallino di quella risata arrivò alle sue orecchie: era esattamente come se la ricordava, non era cambiata per niente – l’avrebbe riconosciuta in mezzo a centinaia. Non poteva obbligarsi ancora a far finta di niente, si sentiva scoppiare dentro.. così, semplicemente, distolse lo sguardo dal pc e lo alzò verso i cinque ragazzi che stavano poco lontani da lei. Era così sciocco che tutta la sua attenzione venisse calamitata unicamente verso il ragazzo con i capelli ricci, che quasi dovette obbligarsi ad osservare anche gli altri per non rischiare di essere, per così dire, scoperta. Ma accadde una cosa strana, una cosa che non si aspettava: quando portò il suo sguardo su di lui, si accorse che Harry Styles la stava guardando in silenzio, in un modo che nessuno sarebbe stato in grado di spiegare. Quando gli occhi scuri di lei incontrarono quelli chiari di lui, fu come se il mondo si fosse fermato per degli istanti che parvero eterni: tutto il resto scomparve, perfino la luce accecante dei flash e le risate del biondo. Per una piccola frazione di secondo, tornarono ad essere due semplici studenti che studiavano nella cucina di casa del ragazzo ad Holmes Chapel condividendo i sogni e le aspettative della loro età.. July si sentì piccola, si sentì di nuovo sotto il potere di quel ragazzo che Dio solo sapeva quanto aveva amato. Non era ancora sicura che lui l’avesse davvero riconosciuta, ma sapeva che il suo cuore l’aveva chiamata.. e lei, dannazione, non aveva potuto fare a meno di rispondere. Quello strazianete contatto visivo venne bruscamente interrotto quando il ragazzo con la maglia a righe di cui lei non sapeva il nome finì addosso ad Harry, facendolo spostare di almeno mezzo metro; finirono entrambi a terra, tra i lievi lamenti di dolore del ragazzo che si era ritrovato in quella situazione senza neanche rendersene conto.
“June?” Scuotendo appena il capo, si voltò verso Mark che stava a suo modo tentando di chiamarla: in teoria aveva urlato, considerando che aveva raggiunto i ragazzi e si trovava più vicino a loro che alla sua assistente. “Juuune?” La ragazza si era talmente rassegnata al fatto che in quell’ufficio non avrebbero mai imparato il suo nome, che quasi se lo stava dimenticando lei stessa: June, April, May.. un mese valeva l’altro, no? Quando ne sentiva uno, lei si girava e basta. Aveva smesso di farsi domande al riguardo, ed era stato meglio così.
“July.” Si intromise la voce profonda e seria di Harry, che si stava alzando proprio in quel momento con l’aiuto di due dei ragazzi. “Si chiama July.” Aggiunse, dopo aver notato gli sguardi interrogativi puntarsi su di lui.
La ragazza si paralizzò con il braccio a mezz’aria, spalancando appena la bocca e sgranando gli occhi; sentì la gola secca, e quasi dovette credere di aver sentito male.
“Si è presentata appena entrata!” Protestò il ragazzo, scrollando le spalle.
“No, non l’ha fatto!” Esclamò quello con la maglia a righe.
“Sì che l’ha fatto, se siete sempre distratti non è colpa mia.”
Eppure July era assolutamente sicura di non aver neanche aperto bocca appena entrata lì dentro.. agrottò appena le sopracciglia, tentando di ricordare com’era andate le cose.
“Oh bhè, sì..” Rispose Mark. “July, vanno bene gli scatti?”
Obbligò i propri occhi a controllare di nuovo la panoramica delle foto che aveva davanti e, mordendosi appena il labbro inferiore, si rese conto di dover fare un appunto. “Il riflettore destro puntalo un po’ più in alto, e.. che ne dici di qualche posa più naturale? Quando sono loro stessi le foto hanno qualcosa in più.” Suggerì, risoluta.
 
Quando perfino quel photoshoot finì, July tirò un grosso sospiro di sollievo; organizzò le foto in delle apposite cartelle sistemate secondo rigidi ordini pre-impostati e di nuovo, anni dopo la prima volta, non si accorse del fatto che un ragazzo si era fermato in piedi di fronte a lei, in attesa che si accorgesse della sua presenza.
“Hey!” Esclamò, per distrarla.
“Hey..” Rispose lei, obbligandosi a mantenere un certo autocontrollo.
“Continuiamo a fare finta di niente, oppure..?”
Ci fu uno strano silenzio tra i due.
“Allora July White, quand’è che potrò avere l’onore di uscire con te?”
“Uscire.. con me? Tu?”
“E chi sennò?! Potrei presentarti Liam, ma è già impegnato.”
La ragazza non aveva idea di cosa stesse farneticando, ma decise di demordere dalla sua impresa appena pochi istanti dopo.
“Insomma?”
“Mai ti sembra un tempo accettabile?” Rispose.
“Come siamo simpatiche oggi, ci siamo svegliate con il piede giusto vedo.”
“Io sì, non so tu.”
“Perché sembra quasi che tu sia arrabbiata con me?”
“Forse perchè, ehm, sei sempre il solito egocentrico?”
Inaspettatamente, un sorriso colorò il volto del ragazzo. “Ah, ma allora ti ricordi di me! Mi chiedevo per quanto avresti continuato questa farsa.”
July si alzò in piedi, raccogliendo le proprie cose ed infilandole alla rinfusa dentro la borsa che era stata abbandonata accanto la sedia. “Scusami Styles, ma avrei delle cose da fare. E’ stato un piacere tutto tuo rivederci.”
“A presto.”
“Sì, a mai più possibilmente.” Sussurrò, uscendo da lì dentro a passo praticamente di marcia e dirigendosi al volo verso la fermata della metropolitana.
Louis, intanto, aveva affiancato l’amico; curioso com’era, non aveva potuto fare in modo di ascoltare la conversazione.
“Ma chi era?” Domandò, con una strana luce negli occhi.
“Una vecchia amica, che non è cambiata neanche di una virgola.” Rispose Harry, prendendo dal tavolo davanti a lui un iPhone, palesemente dimenticato dalla ragazza che era uscita talmente di corsa da non prestare neanche attenzione alle sue cose. “Una vecchia amica che rivedrò presto, a quanto pare.” Disse, mostrando l’oggetto all’amico.




Angolo Scrittrice.
Il fatidico incontro è finalmente avvenuto. Taaaadaaan! Come andranno le cose? Oh vedrete, ci sarà da divertirsi. Spero di intrigarvi, e spero che si vada lentamente formando il Team Haly! Un bacio a tutte le ragazze che hanno recensito. Spero vi piaccia, :)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** In bilico. ***




Quando suonarono al campanello, la ragazza dormiva già profondamente da almeno un paio di ore; se ne stava rannicchiata su una piccola poltrona in pelle scura, con un libro aperto sulle gambe ed il capo completamente gettato all'indietro. Quell'orribile suono dovette insistere, perchè questa sbattesse le palpebre un paio di volte ed aprisse i grandi occhi scuri alla flebile luce irradiata dall'abat-jour proprio lì accanto. Già vagamente di pessimo umore per il modo in cui era stata svegliata, July si alzò in piedi grattandosi il capo e si diresse dritta alla porta che aprì senza neanche guardare dallo spioncino.
"Hey, cia.." Il ragazzo si interruppe nel vederla; aveva aspettato lì fuori per almeno dieci minuti, ma non si aspettava certo di trovarla così. "Bel pigiama!" Esclamò, sgranando gli occhi. Entrambi portarono lo sguardo sull'imbarazzantissima camicia da notte azzurra con i pois che la ragazza indossava ed Harry Edward Styles approfittò di quella distrazione per intrufolarsi nell'appartamento passando sotto il braccio con cui la ragazza teneva aperta la porta d'ingresso.
"Ti sei messo a seguirmi, Styles?" Domandò questa, voltandosi.
"In realtà dovresti ringraziarmi: con la testa che ti ritrovi, stamattina hai lasciato il telefono allo studio." Spiegò, estraendolo dalla tasca e mostrandolo come un trofeo.
"Oh.." Sibilò. "..ma questo non spiega il perchè tu sia qui, adesso. Non mi sembra di averti detto dove abito." Non si ammorbidiva neanche un po', no.
"Quando sei me, puoi fare ciò che vuoi. Trovare il tuo indirizzo è stato un gioco da ragazzi." Fece un occhiolino.
"Oh bhè, se c'è riuscito un cretino come te immagino debba essere stato davvero facile." Il ragazzo la fulminò con lo sguardo. "Comunque sia, poggia quel telefono sul tavolo ed esci da qui." Commentò acida: non aveva ancora chiuso la porta, ma se ne stava lì immobile.
"Te lo scordi nanerottola, mi devi un appuntamento."
"Non ti devo proprio niente."
Scosse la testa, rendendosi conto di avere davvero a che fare con un osso duro. Ma più lei resisteva, più lui aveva intenzione di insistere.
“Dolcezza, potresti chiudere? Entra una certa corrente, e non vorrei prendere freddo.” Asserì, con un gran sorrisone sul volto. Arresa e fondamentalmente sconfortata, July fu obbligata a chiudere la porta di ingresso con un gesto secco ed il tonfo sordo che si diffuse nell’aria fece momentaneamente sobbalzare il povero ragazzo.
“Potresti spiegarmi in poche parole cosa vorresti, esattamente?”
“Mangiare, mi sembra un’ottima alternativa.”
“Sai che non ho intenzione di cucinare, vero? Per quel che mi riguarda puoi chiamare qualche ristorante da asporto.”
“Non vedo il problema: cucino io!”
“Tu?” La ragazza dovette trattenersi dal ridere.
“Guarda che sono un cuoco provetto! Sono stato costretto ad imparare, più che altro.. quando Nialler ha fame, è assolutamente necessario che qualcuno gli porti qualcosa da mangiare.”
“Oh, e immagino che con tutti i soldi che avete non avete le possibilità economiche per farvi portare una pizza, giusto?”
“Le cose fatte con amore sono le migliori!” Si limitò a rispondere lui, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il frigo; lo aprì, e si chinò fino ad infilarsi praticamente dentro per cercare qualcosa da mangiare che potesse fondamentalmente essere commestibile.
“Dubito che troverai qualcosa lì dentro.. mangio sempre fuori, ed il massimo che c’è in questa cucina sono dei corn flakes e, forse, dei biscotti.”
Harry la guardò vagamente perplesso, ma poi scrollò semplicemente le spalle. “Vorrà dire che stasera ceneremo con latte e cereali.” Disse, prendendo il latte dal frigo e guardandosi intorno con aria dubbiosa.
“Lì a destra.” Indicò la ragazza.
Harry si voltò ed aprì lo stipetto che gli era stato indicando, estraendone due tazze verde smeraldo e la famosa confezione di Special K al cioccolato. Imbastì alla bell’e meglio un pasto che fosse degno di questo nome, e si sedette accanto a July con aria piuttosto soddisfatta. Entrambi cominciarono a mangiare, ed il silenzio veniva a tratti interrotto dal suono croccante dei cereali che venivano sgretolati. Non fece in tempo a distrarsi, che si ritrovò il cucchiaio di Harold nella sua tazza: Dio mio, le stava rubando i suoi cereali!
“Hey coso ascolta.. fai di nuovo una cosa del genere e ti farò pentire del giorno in cui sei nato.”
“Mh, terrificante!”
“In che punto della frase hai sentito le parole ‘sto scherzando’? No, perché non è così.”
Si guardarono dritti negli occhi per istanti che parvero anni, mentre i cucchiai erano puntati l’uno contro l’altro come se da un momento all’altro dovessero cominciare una specie di battaglia. Se li avesse visti Liam, li avrebbe schiaffeggiati e, diciamocelo, avrebbe anche fatto bene.
 
Le tazze giacevano sul piano della cucina, mentre i ragazzi che da lì avevano mangiato adesso si erano spostati nel piccolo soggiorno; Harry si guardava intorno con aria curiosa, mentre July se ne stava seduta sulla poltrona a braccia incrociate, guardandolo e chiedendosi quando si sarebbe tolto dalle scatole.
“Dov’è la tua Reflex?” Domandò, ricordandosi della passione che aveva sempre avuto per la fotografia.
“Oh, io..” Abbassò lo sguardo. “L’ho dovuta vendere. Quando mi sono trasferita qui non avevo molti soldi, e prima di trovare un lavoro avevo comunque bisogno di mangiare. Non per tutti la vita è stata rose e fiori, sai?”
“Ma quella macchina fotografica era tutto per te”
“Certe volte bisogna fare dei sacrifici; sto mettendo da parte dei soldi, e me la ricomprerò non appena ne avrò la possibilità.”
“Che strano..”
“Le cose cambiano, mi sorprende che proprio tu non lo sappia.”
“Sei proprio lunatica, eh?”
“Wooo, facciamo progressi: siamo addirittura arrivati alle parole difficili con la lettera L! Cos’è, hai letto il dizionario oggi?”
“Sei simpatica quanto un calcio nei reni.”
“Bell’immagine, vogliamo provare?”
Il ragazzo scoppiò a ridere, gettando indietro il capo. “Credo che tu sia l’unica ragazza al mondo capace di trattarmi così: c’è chi pagherebbe per uscire con me anche solo una volta, mentre tu non vedi l’ora che me ne vada.”
“Forse perché so chi sei veramente?”
“Cioè?”
“Il leader dei White Eskimo, altro che One Direction.”
“Sapevo che avresti tirato fuori questa storia.”
“E chi se la dimentica? Eri proprio uno sfigato.”
“Vuol dire che ora non lo sono più?”
“Non mi sembra.”
“Menomale!”
“Ti preferivo prima.” Sussurrò la ragazza, portando la propria attenzione sul libro che era caduto sul pavimento; lo raccolse e mettendo nuovamente il segno lo posò sul tavolino di fianco a lei.
“Dov’è il bagno?”
“Questa casa è un buco, non è che ti puoi confondere..” Rispose July arricciando appena le labbra. “Gira l’angolo, la porta a destra.” Disse, prima di vederlo scomparire lì dietro.
Ora, dal punto in cui si trovava la ragazza non era possibile vedere le porte né del bagno né della sua camera.. ecco perché dieci minuti dopo che Harry si era allontato, ebbe veramente il dubbio che potesse essersi perso. Certo, se aveva bisogno di un navigatore per muoversi dentro un monolocale era più stupido di quel che credeva. Si alzò in piedi sbuffando, e domandandosi perché toccasse a lei fargli da baby-sitter, di nuovo: pensava di aver superato quella fase. Quando raggiunse la porta del bagno si rese conto che questa era completamente spalancata e che dentro non c’era nessuno.. il sangue le si gelò nelle vene quando, voltandosi, si rese conto che anche la porta della sua camera era aperta e che la luce era accesa. Non poteva credere che avesse davvero fatto una cosa di quel genere! Vagamente furiosa, entrò anche lei lì dentro con uno sguardo severo che dovette calmarsi quando incrociò la figura del ragazzo immobile al centro della stanza, con le labbra dischiuse e gli occhi sgranati.
“Cos’è questo?” Domandò, indicando la parete su cui poggiava la testiera del letto. Quel muro era infatti completamente riempito da post-it gialli con sopra le sue citazioni preferite: ogni volta che ne leggeva una che la colpiva particolarmente, tirava fuori quei foglietti dalla borsa e le trascriveva.. era automatico, poi, che finisserò in giro per casa.
“Niente di che.”
“E’ splendido!”
Harry sembrava davvero molto colpito, e non potè fare a meno di accorgersi dell’unica foto presente: una polaroid istantanea risalente all’ultimo anno di liceo. C’erano proprio loro due, abbracciati. In primo piano c’era una July un po’ più piccola e con i capelli più corti, niente frangia ma sempre i soliti occhiali scuri: rideva, rideva a più non posso mentre aveva le braccia allungate per tenere la macchina fotografica rivolta verso di sé; dalla sua spalla, si affacciava il volto di un ragazzo dai capelli ricci e gli occhi verdi, con un grandissimo sorrisone sul volto ed il naso arricciato. Non c’era posto per altro nella foto, tantochè non vi erano entrati neanche i due soggetti per intero ma.. era forse lo scatto più bello in assoluto. La ragazza si accorse del sorriso che colorò il volto del ragazzo ed avvicinandosi alla parete, tolse un paio di post-it dalla destra, lasciando che venisse alla luce un’altra foto che era stata momentaneamente coperta; ancora una volta loro due, ma al ballo di primavera in cui si erano incontrati. A guardare adesso quella foto sembrava davvero che fossero due persone diverse, ma bastava guardare gli occhi su quella sintetica che subito ci si rendeva conto di quanto spudoratamente felici fossero.
“Quella sì che fu una bella serata!”
“Già.” Rispose lei, mordendosi appena il labbro.
“Ricordo ancora quando ti ho vista lì, da sola. Non ho potuto fare a meno di avvicinarmi: il ballo è l’esperienza più bella della vita di ogni adolescente, ed era così ingiusto che tu dovessi passarlo da sola semplicemente perché eri troppo impegnata ad odiare il mondo!”
“Non odiavo il mondo.”
“L’hai odiato finchè non hai conosciuto me.”
Calò uno strano silenzio.
“Comunque sia, non pensavo che avessi conservato queste foto! Insomma, da quel che dimostri sembra quasi che adesso mi odi.”
“Sono le foto di una persona che mi manca, tutto qui.”
“Ma io sono qui.”
“A me manca il vecchio Harry, non quello che sei diventato.”
“Sono la stessa persona.”
“Non credo.”
“Te lo dimostrerò.”
“Non ce n’è bisogno.”
Dopo quello scmabio di battutine, Harry sorrise. “Me lo porteresti un bicchiere d’acqua?”
“Un.. cosa? Per quel che mi riguarda poi andare giù e bere dalle pozzanghere.”
“Potrei prendere sputo.. ma ti giuro che se non me lo porti, non me ne vado più. Questo letto sembra terribilmente comodo, potrei anche decidere di dormire qui.”
“Oh mio Dio, non sia mai!” Rispose la ragazza alzando le braccia al cielo e tornando in cucina. Una volta lì, prese un bicchiere trasparente pulito dalla lavastoviglie e lo riempìì di acqua fredda che versò da una bottiglia appena uscita dal frigo; si spaventò quando, voltandosi, si accorse che il ragazzo era proprio alle sue spalle. Gli tese il bicchiere con un’espressione buffa sul viso.
“Grazie.”
“Ma ti pare!” Rispose, ironica. Quando poi si accorse che aveva finito di bere, si avvicinò a lui e lo prese per un braccio; lo fece alzare e con tutte le sue forze lo spinse verso la porta di ingresso, che aprì prima di obbligarlo ad uscire.
“Ho il tuo numero di telefono, e so dove abiti. Ricordati che quando vuoi il bis, basta uno squillo: ovviamente ti ho salvato anche il mio, di numero. Non si sa mai avessi bisogno di me.”
“Quando non saprò chi prendere a calci, stai pur certo che lo farò.”
“E’ pur sempre un inizio!” Rispose Harry con un sorrisone, prima di vedersi chiudere la porta in faccia.
A quel punto July prese l’iPhone che era stato abbandonato sul tavolo del soggiorno e si diresse in camera, sdraiandosi sul letto e preparandosi a prendere sonno; ma proprio prima di farlo, si accorse che la foto del ballo era scomparsa ed al suo posto era comparso un post-it che non era stato scritto da lei. ‘Dimenticati l’inizio, così dimenticherai anche la fine.’ Rimase in silenzio a pensare e ripensare a quella frase, e si rese conto che il ragazzo non aveva dimenticato neanche un particolare di tutto quello che avevano passato insieme. Prese il telefono che aveva messo sotto il cuscino, e cominciando una nuova conversazione scrisse solamente ‘fanculo, Styles’. Poi cercò tra i contatti, e si accorse che il ragazzo si era salvato sotto il nome di ‘Riccio sexy’. Lo selezionò, e premette invio; poco prima di abbandonarsi finalmente al sonno, lesse sullo schermo un semplice ‘accompagnami’, di risposta. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Vagamente. ***




Posò sbadatamente la borsa sulla scrivania, senza neanche perdere tempo a guardarsi intorno; legò i lunghi capelli in un’alta coda di cavallo maledicendo la frangia che le faceva sentire un caldo atroce ma non potè fare a meno di sentirsi osservata. Era una stranissima sensazione, che trovò culmine nel momento in cui si volto verso gli altri presenti e li trovò tutti con gli occhi spudoratamente puntati sopra di lei. Cos’è, aveva qualcosa che non andava? Abbassò lo sguardo per controllare che tutto fosse apposto: non era uscita in pigiama, ed aveva le solite scarpe da ginnastica; qual era il problema? Stava anche vagamente cominciando ad innervosirsi visto che, oltretutto, aveva passato la notte insonne: non aveva potuto far altro che pensare e ripensare a quello che era successo la sera precedente, e più ci pensava più aveva voglia di urlare. Harry Styles non è una di quelle persone che può entrare nella tua vita senza sconvolgerla, semplicemente non è da lui.
July sospirò profondamente e, voltandosi verso Liz, le gettò uno sguardo piuttosto interrogativo; questa, in tutta risposa, esibì un sorrisone e si limitò ad indicare con il cenno del capo un qualcosa che doveva trovarsi proprio sulla scrivania. In quel momento, la ragazza si accorse della presenza di qualcosa che prima aveva completamente ignorato e si domandò come diamine avesse fatto a non vederlo prima: era talmente sovrappensiero che aveva perso perfino contatto con la realtà. Adesso, comunque, era decisamente molto più ovvio il motivo di tutti quegli sguardi: sotto ai suoi occhi, c’era infatti una specie di pacco regalo bianco con copra un grosso fiocco rosso. Poggiata sopra una piccola busta da lettere con il nome ‘July’, che la ragazza aprì con mani quasi tremanti. ‘Così la prossima volta sarai un po’ più preparata. xx, H.’ Sbiancò leggermente, chiedendosi cosa fosse passato per la testa del ragazzo: sapeva benissimo dove abitava, se proprio aveva intenzione di fare un gesto di quel genere avrebbe anche potuto approfittarne.
Proprio non ce la faceva a passare inosservato, eh?
“Dai, aprilo!” Trillò Liz, che non si era spostata di un solo millimetro.
July si spaventò e sobbalzò, visto che aveva totalmente ignorato la presenza della ragazza dai capelli biondi; si morse appena il labbro inferiore, chiedendosi cosa fosse meglio fare: non voleva dare a tutti la soddisfazione di farsi gli affari suoi, ma la curiosità la stava praticamente mangiando viva. Tamburellò nervosamente le dita sul coperchio in cartone rigido della confezione e sbuffò, alzando poi le braccia al cielo in segno di resa. Sciolse l’ampio fiocco cremisi ordinando a se stessa di mantenere la calma, sebbene si sentisse come una bambina in un negozio di caramelle; quando aprì il tutto, non potè fare a meno di rimanere sorpresa per circa dieci secondi. Estrasse innanzitutto una confezione di Special K al cioccolato e, subito dopo, si accorse che sul fondo vi era qualcos’altro di cui riusciva a distinguere solamente il colore. Infilò entrambe le mani, e tirò fuori un capo d’abbigliamento color rosa pallido che, più che altro, sembrava trasparente: ci mise più o meno due secondi a rendersi conto che si trattava di una camicia da notte comprata direttamente alla Juicy Couture. Dovette assicurarsi di guardare l’etichetta per esser sicura che si trattasse della taglia giusta: era talmente corta che forse avrebbe potuto usarla come sopra del costume, ma niente di più. Non potè comunque negare che il ragazzo avesse gusto: l’orlo superiore era in pizzo finissimo, mentre il resto si allargava per creare una specie di effetto vedo/non vedo realmente eccezionale; July si rese conto del fatto che più che altro era un effetto “vedo tutto” quando mise una mano dall’altra parte del tessuto per capirne la trasparenza.
“Ma chi te l’ha regalato?!”
“Oh, io non.. non lo so!”
“Ma come non lo sai?! Cosa c’era scritto sul bigliettino?”
“Niente di che, non era firmato.” Bugiarda.
“Dà un po’ qua, fammi vedere.”
“No! Non ce n’è bisogno.” Ora, non credeva veramente che la bionda potesse ricollegare quella semplice H al nome di Harry, ma non voleva in alcun modo correre il rischio.
 
Quando anche quell’interminabile giornata di lavoro terminò, la ragazza uscì dallo studio vagamente sollevata: voleva solamente andare a casa, farsi una doccia eterna e poi dormire fino al giorno dopo per recupare le ore perdute. Il viaggio in metro sembrò durare più del solito, ma non appena mise piede nella piccola stazione di Hanger Lane, tirò fuori dalla tasca del giubbottino di pelle il suo iPhone e scorrendo la rubrica, si soffermò alla lettera R; selezionò quel numero e, trattenendo appena il fiato, fece partire quella telefonata. Non ci fu nemmeno il tempo di fare uno squillo, che dall’altra parte subito risposero.
“Senza di me proprio non puoi stare, eh?”
“Tappati quella bocca.”
“Aah, mi era un po’ mancata la tua infinita dolcezza.”
Alzò gli occhi al cielo, mentre aspettava che qualcuno si fermasse per farla attraversare la strada. “Devi dirmi qualcosa?”
“Che sei il mio raggio di sole e non posso vivere senza di te?”
“No, non questo.” Rispose laconica.
“Ed allora cosa?”
“Fai anche il finto tonto? Il pacco che mi è arrivato stamattina!”
“Oh, quello!”
“Sì, questo.” Disse, guardando la scatola che teneva in equilibrio su una mano: l’altra era infatti occupata a tenere su il cellulare, e stava davvero tentando di fare il possibile per non farla cadere; la borsa poggiata sull’interno gomito di certo non aiutava, comunque. “Cosa dovrebbe significare?”
“Se hai letto il biglietto dovresti saperlo!”
“Certo che l’ho fatto, ma spero di aver frainteso: lì parli di un’altra volta, che non ci sarà mai.” Sentì il ragazzo scoppiare sonoramente a ridere, e dovette trattenersi dall’insultarlo; piuttosto, infilò la chiave nella porta d’ingresso subito dopo aver poggiato a terra tutto ciò che aveva nella mano destra, ed entrò in casa abbandonando il superfluo sul pavimento. “Quando hai finito vedi di farmelo sapere.” Aggiunse, rendendosi conto del fatto che non accennava a smettere di divertirsi.
“No okay, scusami! Piaciuto il pigiama?”
“Ah perché, è un pigiama? Non sembrava.” Si tolse la sciarpa, abbandonandola sul divano. “Comunque, se pensi che possa mettermi una cosa di quel genere sei proprio fuori di testa.. lasciatelo dire.”
“Ma è carino!”
“Non è carino, è inesistente.” Precisò, andando ad aprire la finestra per far cambiare l’aria.
“Oh, allora se la prossima volta vorrai aprirmi direttamente senza nulla indosso potrebbe essere anche meglio: risparmiamo tempo.”
“Ma sei ubriaco, Styles?” Aggrottò le sopracciglia. “Innanzitutto non ci sarà una prossima volta e non so più come ripetertelo; poi, in secondo luogo, se mai dovesse succedere, vedrò di farmi trovare coperta fino alla punta dei capelli.”
“Tsk.” Sussultò. “Come se già non sapessi quello che c’è lì sotto.”
July si fermò, presa in contropiede. “Non tirare fuori questa storia.”
“Che c’è di male? Non dirmi che te ne sei pentita.”
“Questo mai.” Rispose, portandosi una mano sulla fronte. “Ma è successo solo una volta, e direi che potremmo anche dimenticarcene.”
“Perché dovremmo?”
“Harry, basta.” Non scherzava più, in alcun modo.
“Scusa.” Rimasero così, in sospeso.
“E’ meglio che vada, grazie dei regali.”
“A presto.”
“Non credo.”
“Avevi detto anche che non mi avresti mai telefonato, ed invece guarda un po’.. sono sicuro che ci sentiremo prima di quanto immagini.”
“Sembra una minaccia.”
“Se proprio vuoi prenderla così!”
Misero giù contemporaneamente: da una parte, July più confusa di prima mentre dall’altra un’Harry sempre più risoluto.
“Ti stai proprio fissando, eh?” Domandò la voce serena di Liam.
“Si vede?”
“Non pensi ad altro.” Rispose Zayn.
“Però non ci hai mai parlato di lei..” Appuntò Louis.
“Pensavo che non l’avrei più incontrata.”
“E invece..”
“E invece il destino, certe volte, gioca degli strani scherzi.”
“Non dirlo a me.” Convenne Niall, prendendo il telecomando ed accendendo la televisione. “Ora un po’ di silenzio, c’è la partita.”
I cinque ragazzi si guardarono con un vago sorriso sul volto.
“E insomma, il nostro Harry Styles è innamorato.. di nuovo!”
“Non sono innamorato.”
“Sì che lo sei.”
“No, non lo sono.”
“Ti dico che lo sei!” Insistette Tommo. “E tu mi ascolti sempre quando dico qualcosa, no? Non sono tipo il tuo guru dell’amore?”
“Bhè, sì.”
“Ecco, allora ti dico che sei innamorato.” Era proprio soddisfatto. “E non ribattere, prima che Nialler ci prenda a colpi di telecomando in testa: tanto carino e tenero, ma non sia mai che gli facciamo perdere la telecronaca.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Salvami. ***



Un paio di pantaloni neri ed una semplice camicia ciano a maniche corte, delle ballerine dello stesso colore ed i lunghi capelli lasciati cadere liberi sulle morbide spalle. Una serata tra colleghe, in un locale a Green Park dove l’unico obbiettivo era stato quello di divertirsi; July non era stata particolarmente felice di partecipare, a dire il vero, ma aveva bisogno di distrarsi e quell’occasione era arrivata un po’ al momento giusto. Il problema, più che altro, era stato che le altre ragazze non avevano fatto altro che proporre brindisi di qua e brindisi di là.. volevano vedere la piccola White sciogliersi un po’, ma avevano perso il controllo della situazione ed adesso la ragazza se ne stava abbandonata su una poltroncina con il capo abbassato e lo sguardo completamente perso. Non sentiva niente di tutto quello che accadeva intorno e mentre le labbra se ne stavano dischiuse, i suoi movimenti erano rallentati e pesanti. Con lei era rimasta solamente Liz visto che l’ora si era fatta tarda ma, ovviamente, lei aveva una famiglia da cui tornare e non poteva riaccompagnarla a casa; di cuore, non se la sentiva di lasciarla lì da sola e così camminava nervosamente avanti e indietro chiedendosi cosa fare. Malediceva le altre per averla lasciata in quella situazione e dovette richiamare a sé tutta la lucidità possibile per capire cosa fare.. decise allora di tentare il tutto per tutto, e prese il telefono della ragazza dalla sua borsa e, andando nel registro delle chiamate, chiamò il numero dell’ultima chiamata effettuata. Non aveva idea di chi fosse, ma aveva bisogno che qualcuno venisse a prendere July e la portasse a casa, immediatamente.
 
Premette lo schermo del suo iPhone con un’espressione dubbiosa sul volto, guardandosi intorno senza sapere poi bene cosa fare. Nella sua mente vagavano le confuse parole che aveva appena sentito: July ubriaca, un indirizzo, ed il bisogno di aiuto. Gli era stato chiaramente spiegato che era stato un caso che avessero chiamato proprio lui, ma non potè fare a meno di pensare che forse anche stavolta il destino ci avesse messo un po’ del suo. In pieno stato confusionale, Harry si alzò in piedi: era a casa di Niall, ed i ragazzi avevano organizzato un ritrovo serale per guardare un film tutti insieme; Zayn era tornato a Bradford il giorno precedente e Liam era con Danielle, ragion per cui quei due alla fine erano stati assenti. Peccato, perché in quel momento avrebbe veramente avuto bisogno del consiglio razionale di almeno uno dei due.. segnò l’indirizzo che gli era stato detto su un pezzo di carta trovato in cucina ed indossando il cappotto nero, controllò che avesse le chiavi della macchina prima di dirigersi verso la porta d’ingresso.
“Dove vai?” Una voce lo interruppe.
“Potrei farti la stessa domanda!” Rispose lui.
“Stavo andando a comprare qualcosa da mangiare a Niall: si è appena addormentato e vorrei fargli avere un bel risveglio.”
“A quest’ora?”
“Che male c’è? Insomma, non ho sonno e conosco un paio di posti che a quest’ora sfornano cibo caldo quindi..”
“Oh, capisco.” Harry aggrottò le sopracciglia. “Io devo.. c’è una persona che ha bisogno di me.” Spiegò, prima di mettere la mano sulla maniglia.
“E ci vai così?”
“Così come?” Domandò, guardandosi.
“Così, così.”
“Perché non dovrei?”
“Perché sei Harry Styles, e ti riconoscerebbero subito: quindi, a meno che tu non voglia essere perseguitato dai fotografi, direi che dovresti darti una sistemata.” Sbuffò. “Aspetta solo un secondo.” Aggiunse, prima di scomparire di nuovo. Tornò circa tre minuti dopo con una felpa che porse al ragazzo. “E’ di Niall, mettila.”
“Con questo caldo io dovrei mettere una felpa?”
“Harold, per piacere: ha un cappuccio, che puoi usare per coprirti quei capelli ed almeno metà del volto. Mettila.” La risoluzione nella sua voce era piuttosto palese. Forse fu proprio per questo che il ragazzo tolse il cappotto ed infilò la felpa con la cerniera, ringraziando il cielo che bene o male il biondo avesse la sua stessa taglia.
“E poi.. dammi le chiavi della macchina.”
“Cosa?”
“Tesoro, la tua macchina sembra la batmobile e direi che non è il massimo per passare inosservato.. ecco perché ti do le chiavi della mia: non sarà un granchè, ma almeno non è così riconoscibile.” Spiegò, lanciandogli al volo le chiavi della sua utilitaria.
“Giusto, giusto.. perfetto.”
“Sei ancora qui?” Domandò. “Vai!”
“Hai ragione.” Disse, aprendo la porta con un gesto veloce. “Ah..” Disse, voltandosi. “Grazie, D.” aggiunse, prima di uscire definitivamente da quella casa. La ragazza sorrise, scuotendo appena il capo; guardò le chiavi della macchina di Harry che teneva tra le mani, ed alzò un sopracciglio con aria soddisfatta. “Ed ora che la batmobile è mia, posso finalmente essere batgirl.”
“Credo che la versione femminile di batman sia catwoman, sai?” Intervenne la voce assonnata di Niall, che era appena entrato nel soggiorno e che guardava la ragazza con sguardo dolce, ma vagamente divertito. Poi si avvicinò a Daphne, e la abbracciò teneramente. “Grazie.”
“Di cosa?” Domandò lei, sgranando appena gli occhi.
“Di tutto Daph, di tutto.” Si limitò a rispondere lui.
Nel frattempo, Harry Styles guidava nella notte con sguardo serio e calma apparente mentre la strada scorreva accanto a lui rapida. Era in macchina già da una buona mezz’oretta quando arrivò davanti al locale che gli era stato indicato.. ‘57, Jermyn Street’. Si tirò il cappuccio sul capo, abbastanza da coprire il volto fino a metà degli occhi; fece particolare attenzione ad infilare il ciondolo dorato della collana sotto la maglia bianca con lo scollo tondo e poi, semplicemente, si diresse all’ingresso. Sapeva che era un club privato, ma gli bastò guardare negli occhi il tizio all’entrata e favorirgli la carta d’identità perché avesse libero accesso: ancora una volta, essere Harry Styles era davvero servito a qualcosa. Si mosse lì dentro con sguardo piuttosto basso e si rese perfettamente conto del fatto che bastava non dare troppo nell’occhio perché nessuno si accorgesse di lui: gli mancava essere una persona normale a volte, ma non avrebbe mai fatto a cambio con la sua vita.
Notò la figura di July appoggiata su uno dei divanetti rasenti al muro e vi si avvicinò con aria preoccupata; una ragazza dai capelli biondi era accanto a lei e guardava tra la folla nell’attesa di trovare la persona che aveva chiamato e che, soprattutto, avrebbe portato via la sua amica. Quando si accorse della figura incappucciata rimase un po’ perplessa. Fu a quel punto che il ragazzo dovette alzarsi un po’ il cappuccio per fare in modo di farsi riconoscere unicamente da lei.. questa trattenne il respiro per circa dieci secondi e poi sgranò gli occhi, trattenendosi dall’urlare.
“Non ci posso credere!”
“Ti prego, questa cosa deve rimanere qui dentro.” Disse, determinato.
L’altra annuì seria, ed insieme presero la povera July in spalla per portarla fuori da lì; la sistemarono sul sedile posteriore della macchina, facendola mettere distesa, e poi l’altra guardò quella supercelebrità mettersi alla guida e sfrecciare via tra le strade di Londra.
Aveva provato ad accendere la radio per trovare qualcosa che lo distraesse, ma si era ritrovato costretto a spegnerla dopo appena trenta secondi perché qualunque cosa ci fosse, lo rendeva immensamente nervoso; stava infrangendo tutti i limiti di velocità possibili ed ogni tanto guardava nello specchietto retrovisore per controllare che la ragazza stesse bene: se ne stava distesa supina lì, farneticando parole sconnesse ed insensate, gli occhi chiusi e le mani tremanti. Quando arrivarono sotto casa di quest’ultima, Harry aprì lo sportello posteriore e prese la ragazza di peso. Fu piuttosto complicato trovare le chiavi: dovette far sedere July sul gradino davanti la porta, per poterne aprire la borsa e cercarle in tutto quel caos. La prese, allora, nuovamente in braccio prima di entrare nell’appartamento non senza qualche difficoltà.
“Adesso tu vomiti.” Disse, con voce ferma.
“No, no, no.. io non..” Tentò vagamente di protestare; ma non ne ebbe tempo perché in men che non si dica si ritrovò inginocchiata davanti il water, con i capelli tirati indietro e fermati da un elastico scuro che fino a poco prima era stato sulla mensola davanti lo specchio. Non potè aggiungere altro, perché si trovò due dita del ragazzo praticamente in gola e l’ultima cosa che riuscì a sentire fu “vedrai che dopo starai meglio.”
Dopo essersi lavato le mani almeno venti volte, fece sedere July sul bordo della vasca e, prendendo un paio di salviettine umidificate, ne struccò gli occhi scuri reggendo il capo; poi, la fece avvicinare al lavandino e la rinfrescò, pulendole con attenzione ogni centimetro del volto pallido per cercare di farla riprendere. “Ma che diamine ti hanno dato da bere?” Domandò, retorico; poi la fece alzare e la accompagnò fino al letto, facendo ben attenzione a non farla cadere né a sballottarla troppo. La adagiò sul letto, ed esitò un secondo prima di compiere il passo successivo.. si diresse verso la cassettiera e dovette aprire ben tre cassetti prima di trovare ciò che cercava: frugò, in cerca di qualcosa di adatto. “Possibile che a quest’età tu non abbia un pigiama serio?” Poi, sospirando e sorridendo allo stesso tempo, ne tirò fuori uno con delle specie di nuvolette e cercò di essere il più delicato possibile nel sbottonare la camicetta e sfilarle i pantaloni. Non voleva farle male, né indurla a pensare che avesse dei secondi fini. Si concesse un minuto di pausa per poggiare gli occhi su quel corpo coperto unicamente dalla biancheria intima: non era una supermodella, e non ne aveva ovviamente in fisico; ma era perfetta nella sua assoluta normalità: nel modo in cui indossava quel semplice reggiseno senza pizzo né trasparenze, nella posizione strategica di quei piccoli neri, nella scelta di un paio di coulotte invece di qualcosa di provocante. Scosse appena il capo prima di tirarla su ed infilarle il sopra del pigiama largo e morbido; la sistemò bene tra le coperte, prima di fermarsi in piedi al bordo del letto e cercare le chiavi dell’auto nella tasca dei jeans.
“Harry..” La sentì sussurrare, mentre prendeva sonno.
“Sì?” Domandò.
“Non voglio stare da sola, rimani qui con me.”
Il ragazzo si fermò, con la bocca leggermente spalancata: si sapeva che sotto l’effetto degli alcolici  tutti siamo un po’ più sinceri ma davvero non pensava che avrebbe sentito seriamente una frase del genere da lei. “Tu, July White, sarai la mia rovina: non si era mai sentito di un Harry Styles che sta nel letto di una ragazza per dormire, e nient’altro.” Alzò le braccia al cielo. “Forza, fatti più in là.” Disse, prima di togliersi le scarpe e la felpa, e di infilarsi a sua volta sotto le coperte. Accarezzò i capelli scuri della ragazza e poi, semplicemente, si addormentò.



Angolo scrittrice.
Daphne è il personaggio dell'altra ff che ho scritto sui ragazzi, scusate se l'ho inserita ma.. sono molto affezionata a lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Non posso dire di no. ***




Capricorno: oggi sarà necessaria una rivalutazione delle ultime posizioni prese; ricordatevi che non è tutto può sempre andare come dite voi.. ma questo, non vuol dire che non possa addirittura superare ogni aspettativa.”
Sbadigliò ampiamente, portando in alto le braccia e stiracchiandosi a dovere mentre i suoi sensi vagamente rallentati cominciavano ad avvertire un leggero dolore alla testa che si nadava intensificando ogni istante di più; emise dei rumori piuttosto buffi con la bocca mentre sentiva le ossa scricchiolare lentamente e sbattè le palpebre un paio di volte prima di aprire gli occhi e di fissare il soffitto bianco della sua camera da letto. Si grattò appena la guancia destra, e si tirò il lenzuolo fino al naso così da poter stare ancora un po’ nel tepore piacevole del suo letto; piegò le gambe, sollevò appena il bacino così da rimettere in sesto anche la colonna vertebrale leggermente indolezita e, soddisfatta, decise che forse con un antidolorifico avrebbe superato quel fastidio non indifferente alle tempie.
“Buongiorno dolcezza!” Esclamò una voce alla sua destra, prendendola totalmente alla sprovvista. La povera July sobbalzò ampiamente e, senza riuscire a farne a meno, si ritrovò praticamente a terra,  essendo caduta a causa della sorpresa e dello spavento. Si portò una mano sulla testa, considerato che l’aveva perfino sbattuta sul comodino, e sgranò gli occhi quando vide metà del volto di Harry Styles affacciarsi dal bordo laterale del letto ed osservarla con un sopracciglio alzato. “Tutto.. tutto bene?” Domandò, cercando di trattenere le risate.
La ragazza scattò in piedi senza pensarci sopra due volte, cercando di capire la situazione: l’ultimo ricordo che aveva era un bicchiere di gin tra le sue mani e poi, il vuoto. “Tu!” Esclamò; il riccio disse “io?”, puntando l’indice sul proprio petto. “Tu, proprio tu! Che cosa ci fai nel mio letto? Scendi immediatamente o ti faccio sputare sangue a forza di calci.” Urlava, vagamente isterica.
“Questo è il ringraziamento per averti portata in salvo?”
“Per avermi cosa?”
“Chi credi che ti sia venuto a prendere ieri? E chi è che ti ha portata a casa, dopo aver raccolto il tuo vomito ed aver sopportato le tue farneticazioni?”
Rimase un secondo in silenzio, senza poter credere a ciò che stava sentendo. “Di sicuro avrai avuto un doppio fine, figurati!”
“Diffidente, mamma mia.”
“Te lo chiedo per l’ultima volta: che ci facevi nel mio letto?”
“Guarda che io volevo tornarmene a casa, ma tu mi hai pregato di rimanere.”
“Non ci credo neanche se lo vedessi: perché dovrei pensare una tale assurdità?” Domandò, raccogliendo da terra un paio di cuscini e gettandoli nuovamente sul letto.
“Perché non puoi fare a meno di me, July.. è così ovvio.”
“Ovvio quanto il fatto che sei un idiota integrale?”
Si scambiarono uno sguardo, e fecero la stessa smorfia nello stesso istante.
“Comunque so cosa ti preoccupa e no, non è successo niente.” Aggiunse con disinteresse il ragazzo, gettandosi nuovamente tra le lenzuola supino e con le braccia dietro il capo.
“Hai dormito nel mio letto con i vestiti sporchi?”
“Ma..” Harry rimase un attimo perplesso: adesso era quello il problema? “Scusami, vorrà dire che d’ora in poi mi metterò nudo.” Rispose, e fece correre immediatamente la mani alla cintura che cominciò ad aprire.
“Fermo lì Styles, non ci provare nemmeno.”
“Un tempo ti piaceva quello che c’era qui sotto, eh!” Disse, facendole l’occhiolino.
“Ancora con questa storia? Ti ho detto mille volte che non ne voglio sentir parlare, chiaro?”
“La smetterò, quando tu finirai di mentire.”
“Mentire?”
“Hai detto che è successo solo una volta.”
La ragazza lo guardò con sguardo accusatorio. “Non ha importanza.”
“Sì che la ha.”
“Se la avesse davvero, non mi avresti abbandonata senza neanche degnarti di salutarmi, okay? Se davvero tutto quello che è successo tra me e te avesse significato qualcosa, tu saresti rimasto con me ad Holmes Chapel o mi avresti portata con te.”
“Non potevo, insomma.. X-Factor e..”
“X-Factor è finito, ad un certo punto.” Aprì la porta della camera, voltandosi. “Saresti potuto tornare a prendermi subito dopo, ma non l’hai fatto.. ed è questo che conta.” Si passò una mano sulla fronte. “Quindi lasciami.. lasciami credere che quello che c’è stato tra di noi sia stato solamente un errore di percorso, e nulla più.” Uscì dalla camera. “Vado a farmi la doccia, raccogli le tue cose e vattene; quando torno, non voglio più trovarti qui.” Poi andò in bagno, e vi si chiuse a chiave. Si tolse il pigiama e si infilò sotto la doccia, insaponandosi a dovere i capelli e cercando di non pensare a ciò che era appena accaduto.. Harry aveva sempre avuto il bisogno di salvarla, anche quando non ce n’era bisogno; l’aveva fatto mille volte, quando in realtà sarebbe bastato riuscirci una volta e rimanerle accanto fino alla fine. I pensieri le si confondevano nella mente senza riuscire a trovar pace, e si stava trattenendo dal prendersi a schiaffi per aver perso il controllo la sera prima; si domandò come avesse fatto a trovarla, ma forse c’erano domande a cui sarebbe stato meglio non rispondere. Avvolse il corpo in un’asciugamano bianca che fermò con un leggero nodo sopra il seno, e lasciò i lunghi capelli lisci e bagnati caderle ai lati del volto e sulla schiena. Aprì la porta, camminando a piedi scalzi e con sua somma sorpresa trovò il ragazzo comodamente seduto sul divano con le braccia incrociate, voltato nella sua direzione.
“Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara.”
“Cristallina, credimi.”
“E allora che ci fai ancora qui?”
“Ho intenzione di recuperare il tempo perso, e farmi perdonare.”
“Ma sei impazzito? Scordatelo.” Si stava innervosendo. A quel punto Harry si alzò in piedi e si avvicinò a lei a passo lento, fermandosi proprio di fronte alla ragazza che lo guardava con i grandi occhi scuri spalancati. Poi la abbracciò, stringendola forte a sé e facendole poggiare la fronte sulla sua scapola ed avvolgendone l’esile corpo con le braccia temprate dalle ore di palestra che aveva cominciato a fare; July si dimenò cercando di liberarsi in ogni modo, ma non aveva neanche la metà della forza necessaria per farlo, così cominciò a prendere a tempestare di pugni il petto del ragazzo che veniva leggermente spostato ogni volta ma che non fiatava neanche per mezzo secondo. “Lasciami andare!” Urlò, soffocando quelle parole nel petto di Harry; lui le accarezzò i capelli, dandole un bacio sul capo. Fu proprio in quel preciso istante che il corpo della ragazza cominciò ad essere scosso da violenti singhiozzi e che si accasciò praticamente a terra, sorretto sempre da colui che non aveva intenzione di lasciarla neanche per scherzo; pianse, disperatamente ed incessantemente come una bambina, mentre sentiva solamente dirsi “va tutto bene, va tutto bene” e più ci pensava e più si sfogava: non aveva pianto per lui neanche una volta, e tutto l’amore che aveva provato si era lentamente trasformato in rifiuto e disprezzo. Doveva liberarsene, prima che quei sentimenti le impedissero di avere un futuro: era talmente legata al passato che non riusciva neanche a vedere il presente.
 
“Vai a vestirti July, oggi ti porto fuori con me.”
“Perché fai questo, perché?”
“Perché mi dispiace, da morire.”
“Non basta! Tu non puoi tornare nella mia vita dopo tutto questo tempo e pretendere che sia tutto apposto, semplicemente non puoi.”
“Non lo sto facendo.. non sarà facile, ma vorrei che tornassimo ad essere almeno amici.”
“Non lo siamo mai stati.”
“Lo so, ma non credo di poter pretendere altro da te.”
July si allontanò appena da lui con lo sguardo basso, poi si voltò e tornò per l’ennesima volta nella camera da letto. “Sarà bene che tu abbia un bell’itinerario in mente, perché sto sprecando il mio giorno libero per uscire con te.”
“Prima di tutto dobbiamo passare da casa mia: non pretenderai che esca con gli stessi vestiti di ieri, spero.”
“Casa.. casa tua?”
“Tranquilla, non c’è nessuno.”
“Che intendi?”
“So che hai paura di incontrare i ragazzi, visto che ogni volta che li nomino sembri quasi.. intimorita.”
“Non ho paura, è solo che non voglio che si facciano strane idee.”
“Vedrai, non te ne pentirai.”
“Vedremo superstar, vedremo.”

 



Angolo Scrittrice.
Vedo che questa coppia vi fa a dir poco impazzire, e devo dire che il Team Haly sta prendendo il sopravvento: compare in diverse bio su twitter, e la cosa mi manda fuori di testa. Grazie di tutte le recensioni, e scusate se ci ho messo un paio di giorni ad aggiornare. 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Prendi un respiro. ***




Chi è amato non conosce morte,
perchè l'amore è immortalità,
o meglio, è sostanza divina.”
Quelle parole eccheggiavano nella stanza rimbalzando sulle pareti e colpendo i presenti in maniera netta e precisa; la voce della donna che leggeva da un piccolo libro rilegato in pelle nera era leggermente intenerita e vagamente sognante, sebbene non si trattasse di una persona che si potesse definire in qualcuno di quei due modi. Il tutto si univa al suono rigoroso dei tacchi che colpivano ritmicamente il pavimento linoleum, mentre gli occhi non si scostavano neanche per un istante dalle pagine leggermente ingiallite e dai bordi un po’ consumati. Nessuno osava fiatare, più che altro per paura di quella professoressa severa che sarebbe stata in grado di ucciderli anche solo con uno sguardo.. solamente un’alunna si teneva il capo con la mano, mentre il gomito se ne stava puntato sul piccolo banco che aveva davanti: la bocca era leggermente dischiusa, e gli occhiali le erano leggermente scivolati fino a giungere a metà del naso; era totalmente rapita da ciò che stava udendo, non riusciva a smettere di dissetarsi di quelle parole che la stavano facendo totalmente estraniare da ciò che aveva intorno.
“Chi ama non conosce morte,
perchè l'amore fa rinascere la vita
nella divinità.”
Un ragazzo dai capelli ricci e vispi occhi verdi se ne stava seduto un paio di file dietro, e non poteva fare a meno di giocare con un foglio che teneva tra le mani: lo piegava decine e decine di volte, fino a ridurne le dimensioni e poi semplicemente lo apriva e ricominciava da capo. Odiava quelle ore: i suoi compagni avevano sempre avuto il terrore di quell’insegnate dai capelli rossastri e l’aria autoritaria, e non volevano aprire la bocca neanche per respirare.. ecco perché lui, abituato com’era a fare lunghissime conversazioni, si trovava assolutamente spiazzato. Si passò una mano tra i capelli, sbuffando appena e facendo una smorfia piuttosto contrariata: fondamentalmente amava quella materia, ma quel giorno faceva troppo caldo per riuscire a concentrarsi su un qualcosa che non fosse uscire da un’aula afosa. Si morse appena il labbro inferiore grattandosi il naso e poi, semplicemente ebbe l’idea; prese dallo zaino una penna bic nera, poi aggrottò le sopracciglia e sorrise ampiamente.
“Emily Dickinson, la poetessa migliore di sempre. Volete sapere qual è la cosa forse più folle e geniale, di questa donna? Che si è chiusa nella sua camera per tutta la vita, e lì ha scritto le sue poesie, senza mai uscire.. ha parlato dell’amore, senza mai conoscerlo.” Commentò la Simmons, fermandosi in piedi di fronte alla cattedra e poggiandosi ad essa.
“Ahia!” Esclamò ad un certo punto, inaspettatamente, una voce femminile dal secondo banco della terza fila. Tutti si voltarono nella sua direzione, mentre questa arrossiva fino alla punta di capelli e cercava qualcosa da dire che potesse giustificare quel leggero urlo che aveva interrotto la lezione.
“Signorina White, c’è qualcosa di cui vorrebbe renderci partecipi?”
“Mh no, mi scusi..”
“Forse la letteratura inglese non le interessa, e se così fosse è gentilmente pregata di non venire più alle mie lezioni.”
Questa, si sentì assolutamente spiazzata: non le capitava spesso di essere richiamata e non sopportava quel genere di attenzioni indesiderate. “Mi scusi.”
“O forse c’è qualcuno che le ha dato fastidio?” Domandò poi, rendendosi conto che un’alunna come July White non era della categoria delle disturbatrici.
“No, assolutamente. Credo di.. di essermi involontariamente colpita con la penna che avevo in mano.”
“Fai in modo che non succeda più.”
Tutto parve tornare alla normalità, e la ragazza approfittò del fatto che la professoressa si stesse impegnando nella compilazione del registro per voltarsi verso Harry con un’espressione assolutamente furiosa. “Ma sei deficiente?” Mormorò, scandendo bene il labiale. Questo, infatti, aveva preso l’involucro trasparente della penna e l’aveva usato come cerbottana per sparare sulla povera July dei pallini di carta che aveva creato strappando gli angoli di quel foglio con cui si era divertito fino a poco prima. “Scusa!” Rispose lui, sempre sottovoce; sapeva che con lei ce l’avrebbe avuta sempre vinta: lo copriva sempre, e si faceva in quattro per non farlo mai incastrare dai professori. Gli faceva i compiti se era in difficoltà,  ed era davvero disposta a tutto per lui.. non se ne approfittava, certo, ma non tentava proprio di renderle la vita facile. Proprio in quel momento la campanella suonò, e la ragazza dai capelli scuri lunghi fino alle spalle e senza frangia si alzò in piedi infilando le cose nella borsa a tracolla ed immettendosi nel corridoio della scuola con le braccia incrociate al petto e passo rapido. Non era permalosa, ma detestava quando Harry doveva esagerare per forza: senza considerare che una ramanzina dalla Simmons poteva essere piuttosto pesante, soprattutto se per tutto il semestre si era mantenuto un atteggiamento impeccabile.
 
“Che ci fai qui?” Domandò, aggrottando le sopracciglia e guardando il ragazzo che se ne stava fuori dalla porta di casa sua con un gran sorriso sul volto.
“Eddai, fammi entrare!” Rispose lui, stringendosi nel giubbotto che indossava.
“No, te lo scordi.”
“Non puoi essere arrabbiata!”
“Ah no?”
“E’ sera, fa freddo ed io sono solo un povero ragazzo venuto a chiederti di perdonarlo.” Supplicò, arricciando il labbro inferiore e sgranando gli occhi per assumere un’espressione densa di infinita tenerezza. “E poi, tadaaaaan!” Esclamò, tirando fuori dalla tasca una confezione di Haribo ancora da aprire.
July alzò gli occhi al cielo e, spostandosi, lasciò che Harry entrasse in casa e si dirigesse direttamente al piano di sopra dopo aver salutato la madre che se ne stava seduta sul divano a gaurdare la televisione: era talmente abituata ad averlo in casa, che non si preoccupava più del fatto che stesse in camera della figlia per ore intere.
“Ma questo pigiama non te l’ho regalato io per il compleanno?” Domandò, chiudendosi la porta della camera alle spalle e buttandosi senza ritegno sul letto ad una piazza e mezzo dell’amica. Lei annuì, guardando la camicia da notte a righe sottili rosa e bianche che indossava e facendo segno al ragazzo si spostarsi un po’, prima di prendere posto accanto a lui. Entrambi sapevano che se poteva esserci stato un minimo di rancore, adesso era decisamente passato: non riuscivano ad essere arrabbiati l’una con l’altro per più di dieci secondi e, anche se ci provavano, finivano per cercarsi e far sfumare tutto in un semplice sorriso.
“Allora, che ci guardiamo stasera?” Domandò il riccio, afferrando il telecomando dal comodino ed accendendo la tv cominciando a fare zapping tra i canali.
“Oh, non lo so..” Rispose lei, allungando il braccio destro ed infilandolo nella tasca del giubbotto che il ragazzo ancora indossava e che ci sarebbe tolto di lì a poco. “Ma mentre tu scegli, io mangio queste!” Disse, sventolando le Haribo davanti al suo naso prima di aprire il pacco e prendere la prima.
A quel punto, il ragazzo lasciò cadere il telecomando per terra e si voltò verso l’amica, cominciando a fare di tutto per riprendere quelle delizie ed averle finalmente per sé; conosceva talmente tanto i suoi punti deboli che cominciò a farle il solletico per distrarla e questa si raggomitolò su se stessa ridendo come una pazza. “Har.. non.. non riesco a respir..” Cercava disperatamente di dire, per farlo smettere; ma lui non aveva intenzione di demordere, prima di desiderare ciò che otteneva. Involontariamente, la mano destra del ragazzo superò il cotone dell’indumento indossato da July e quel calore si mescolò a quello della pelle della ragazza; si fermarono entrambi in un religioso silenzio, guardandosi negli occhi e trattenendo il respiro mentre lei riprendeva fiato. Lui si chinò appena su di lei, e le loro labbra si sfiorarono prima di perdersi in un bacio più intenso.. le mani di Harry corsero ad accarezzarne le gambe, quelle di July si posarono sulla sua schiena.
“Se vuoi ci fermiamo.” Sussurrò lui; lei si limitò a scuotere appena il capo, sebbene tremasse come una foglia. Il ragazzo dai capelli ricci sorrise appena, stringendole la mano e stendendosi sopra di lei prima di puntare i gomiti sul materasso e far leva su di essi così da non pesare troppo. Sfiorò la linea morbida del suo corpo, sfilandole la camicia da notte così da farla ricadere poco più in là, e rimase un attimo a fissare la biancheria che indossava. “Questa, bhè.. io non..” Tentò di giustificarsi lei, vagamente imbarazzata: non aveva niente di provocante, e forse avrebbe dovuto tenere qualcosa di riserva.. non che pensava che sarebbe arrivata un’occasione del genere. “La adoro.” Sussurrò lui, facendole l’occhiolino e lasciandosi togliere i jeans e la maglia che indossava. Quello che accadde dopo fu semplice, fu bello, fu genuino, fu tenero e vagamente doloroso; c’erano le parole di rassicurazione di lui, ed i gemiti sfiorati di lei. C’erano carezze, ed abbracci, e occhi socchiusi, e attimi di paradiso, e pelle, e silenzio, e voci soffocate, e tepore. C’era tutto quello che ci deve essere quando hai meno di sedici anni - nel momento in cui Harry si stese accanto a lei respirando profondamente e guardandone gli occhi scuri disse “Hai gli occhi di una persona che mi ha aspettato per tutta la vita.” 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Tendimi la mano. ***



 “Te l’avevo promesso che ti ci avrei portata, no?”
La ragazza rimase immobile, fissando lo spettacolo che aveva davanti con sguardo attonito; non sapeva esattamente cosa dire e cosa fare e, sebbene avesse voluto dire qualcosa di terribilmente ironico per smontare la sorpresa che le era stata fatta, non riusciva a trovare le parole per farlo.
“Non pensavo te ne ricordassi ancora..”
“Perché non avrei dovuto?”
“Harry, è passato così tanto tempo che quasi me n’ero dimenticata anche io.”
“La vecchiaia comincia a farti brutti scherzi White.” Asserì lui, sospirando e scrollando le spalle. “Comunque, si dà il caso che sia finalmente riuscito a lasciarti senza fiato.. te l’avevo detto di prepararti ad una bella giornata, no?”
“Ora datti una calmata, non ti allargare.” Si affrettò a rispondere, arricciando appena il naso e guardando il ragazzo dai capelli ricci fermo accanto a lei: fino a quel momento non avevano fatto altro che guardare fisso lo stesso punto.
“Adesso che siamo qui, che vuoi fare?” Domandò lui.
July non rispose: fece semplicemente un paio di passi avanti fino a raggiungere la statua di Peter Pan poco distante; mise un piede su una piccola sporgenza e si tirò su, fino a sfiorare la mano di quel bambino che era riuscito davvero a non crescere mai. Era stata proprio lei a leggere per la prima volta quella storia ad Harry, e lui ad averle promesso che avrebbe esaudito il suo desiderio di vedere di persona quel monumento che era stato creato ad Hyde Park, nel bel mezzo di Londra; ovviamente, perfino quel buon proposito aveva finito per infrangersi come tutti gli altri ma sembrava proprio che il tempo fosse tornato indietro per un secondo, proprio lì.
“Sai, credevo davvero che io e te fossimo un po’ come Peter e Wendy, e che Holmes Chapel fosse la nostra Isola Che Non C’è.” Sussurrò lei, ridendo quasi di se stessa mentre non interrompeva neanche per un istante il contatto che aveva creato con quel materiale freddo e durevole.
“In fondo, se ci pensi, lo siamo davvero: ci siamo separati, per un mio errore.. forse perché avevo paura, forse perché non volevo crescere; guardami: sono ancora un bambino, mentre tu sei quasi una donna.”
“E’ qui che ti sbagli.” Si limitò a rispondere lei, facendo leva con entrambe le braccia e riuscendo a sedersi sulla base rialzata su cui poggiavano i piedi di Peter. “Lui ha rinunciato a Wendy per tornare sull’Isola Che Non C’è e rimanere giovane per sempre.” Abbassò lo sguardo. “Tu invece sei cresciuto, eccome se sei cresciuto.. solo che hai deciso di farlo senza di me.”
Rimasero entrambi in silenzio, rimuginando su quelle parole. “Scusami, per tutte le promesse che non sono stato in grado di mantenere.” Si guardarono negli occhi.
“Non.. non farlo.” Rispose. “Pretendevo troppo da te: volevo tutte quelle cose che avevo sempre sognato, volevo una vita che non avresti potuto darmi senza rinunciare ai tuoi, di sogni.” Il suo tono era vagamente amareggiato. “Sono stata un’egoista, e mi dispiace. Ma devo dire che me l’hai fatta pagare come si deve.”
“Ti stai forse ammorbidendo?” Domandò lui. “Questo vuol dire che non rischio di essere preso a parolacce ogni volta che ti rivolgo la parola e che, magari, potrei anche avere un appuntamento come si deve con te?”
“Attento a quello che dici: mordo ancora.”
“Ahia..”
“Voglio solo essere sincera con te, e mettere le cose in chiaro una volta per tutte. Non vuol dire che ti stia dando una seconda possibilità o cose simili, ma solo che ho bisogno di chiudere con il passato una volta per tutte.”
“Quindi direi che siamo pari. Nessun rancore?”
“Nessun rancore Styles.”
Si sorrisero; poi il ragazzo alzò lo sguardo verso Peter. “Cosa sta facendo, secondo te?”
“Sta cercando di riprendersi Wendy. Vedi? Con quello stumento che sta suonando, sta provando a chiamarla di nuovo a sé.. solo che lei non ha mai risposto, e lui ha deciso di passare il resto della sua eterna giovinezza qui, ad aspettarla.”
Rimase un po’ sorpreso lui, stavolta, e guardò negli occhi di quell’eterno bambino per istanti che trascorsero lunghi come anni; poi si avvicinò a July, mettendosi lì e tendendo una mano verso di lei. “Non lasciarmi qui con lui: dimostriamogli che forse la sua attesa servirà a qualcosa.”
“Credo che la sua Wendy non tornerà più.”
“E la mia?”
July stava per rispondere, ma proprio in quel momento si accorse di alcune ragazze che si erano fermate alla loro destra e che fissavano Harry con gli occhi spalancati: ovviamente l’avevano riconosciuto, ma prima di fiondarsi su di lui stavano aspettando di capire per quale ragione stesse porgendo la propria mano ad una sconosciuta. Erano appena arrivate, e per fortuna non potevano potuto sentire neanche una minima parte dei discorsi che c’erano stati tra loro. Elaborò mentalmente un paio di ipotesi, poi afferrò la sua mano e fece finta di farsi aiutare dal ragazzo per scendere dalla statua. Quando raggiunse il suolo con un leggero salto, esibì un gran sorriso.
“Grazie Harry, ero un po’ terrorizzata: non riuscivo più a scendere!” Esclamò, estraendo il suo iPhone dalla tasca. “Ed ora.. ci facciamo una foto? Sono una tua grande fan!” Sorrise, mimando alla perfezione l’euforia di una Directioner che aveva avuto la fortuna di incontrare il proprio idolo; lui ci mise circa un minuto prima di capire cosa stesse succedendo e fu necessario che la ragazza gli tirasse una gomitata sul fianco perché si mettesse in posa accanto a lei e guardasse nell’obbiettivo della macchina fotografica del telefono. “Sorridi Styles, ti ho salvato il culo per l’ennesima volta.” Sibilò a denti stretti July, proprio mentre un sonoro ‘click’ riempiva l’aria e quelle ragazzine si avvicinavano a lui per avere la propria foto.



 
Angolo Scrittrice.
Vedo che le recensioni sono praticamente calate a picco, e la cosa un po’ mi spiace.. ma le visualizzazioni superano sempre il numero cento, e questo vuol dire che comunque continuate a leggere: la cosa mi solleva un po’. In realtà dopo un capitolo come il precedente, non avrei dovuto postare questo considerato il poco tempo trascorso ma.. domani andrò a casa al mare dove non ho la connessione, ed avrei dovuto farvi aspettare fino a lunedì. Quindi, ho pensato di accellerare i tempi!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** E se..? ***




Quando Harry riuscì finalmente ad allontanarsi dalle fans che si erano radunate, si guardò intorno con aria vagamente perplessa per poi rendersi conto del fatto che July non era da nessuna parte: semplicemente, se n’era andata. Rimase piuttosto colpito da quel fatto, e si maledisse per non averla tenuta d’occhio come avrebbe dovuto fare.
“Ma cosa devo fare per rimettere a posto le cose?!” Domandò retorico, alzando lo sguardo come per rivolgersi all’immobile Peter Pan che aveva assistito a tutta la scena come era solito fare con i passanti. “Dice che non prova rancore, ma ogni cosa che fa sembra mirata a ricordarmi quanto le ho fatto male.. non riesco a slegarla dal passato, Peter.” Poi indietreggiò di un passo, scuotendo il capo e sentendosi terribilmente stupido a starsene lì impalato a parlare con una statua che non avrebbe mai potuto rispondergli. “Ma che lo dico a fare a te, che sei qui da secoli ad aspettarla?” Si voltò e fece per dirigersi verso il cancello di uscita di Hyde Park, quando sentì l’iPhone vibrargli nella tasca posteriore dei jeans scuri che indossava; lo tirò fuori aggrottando appena le sopracciglia e pensando che probabilmente si trattasse di Lou, ma fu costretto a spalancare la bocca quando sullo schermo lesse il nome di ‘J.’: rispose alla chiamata senza pensarci due volte, ma non ebbe il tempo di dire nulla perché la voce dall’altra parte stava già sentenziando “ti aspetto all’entrata della Underground. Vedi di arrivare prima che faccia notte, perché se cammini alla stessa velocità in cui parli, rischio di invecchiare”. Si ritrovò a fissare il display leggermente confuso, prima di sorridere e voltarsi verso il giovane lì dietro.
“Grazie eh, vedrò di renderti il favore..” Disse. “Posso provare a parlare con Simon, e vedere se riesco a procurarti un contratto discografico o qualcosa del genere, o magari posso presentarti qualche valida alternativa a Wendy che a quest’ora potrebbe anche essere tua nonna o giù di lì!” Vide che la statua rimaneva impassibile, e scrollò le spalle. “No eh? Vabè Peter insomma, fammi sapere di cosa hai bisogno.. sono Harry Styles, se chiedi in giro ce la fai a trovarmi.”
Corse via, sui sentieri rigorosi e curati del parco, passando accanto a decine di persone che non facevano in tempo a voltarsi per riconoscerlo e dovette rendersi conto di non avere più l’età quando raggiunse l’uscita principale e voltò a destra per scendere il piccolo scivolo che consentiva l’accesso alla fermata della Tube. Percorse il lungo corridoio con sopra le varie pubblicità senza prestarvi neanche attenzione, e si ritrovò davanti ai tornanti per i quali era richiesto il biglietto che lui, ovviamente, non aveva. Si guardò intorno un paio di secondi, per vedere se riusciva a trovare la biglietteria ma, prima di individuarla, vide un ticket arancione che gli veniva sventolato davanti al naso da una July terribilmente divertita appena comparsa al suo fianco.
“Cos’è, siamo diventati troppo importanti per ricordarsi come essere un comune mortale?” Domandò, ma non ricevette risposta: Harry si limitò infatti a strapparle il biglietto dalle mani e a farlo passare nell’apparecchio apposito, sorpassando la barriera nel momento in cui le piccole porte si aprirono per consentire l’accesso; la ragazza fece lo stesso, e quando furono entrambi dall’altra parte si guardarono in maniera piuttosto interrogativa. “Ed ora dove andiamo?” Domandò lui.
“Sei così inutile che non riesci neanche ad organizzare una giornata fuori come si deve?” Sospirò. “Tocca sempre fare tutto a me!” Esclamò.
“Bhè non sempre, tipo quando..” Cominciò.
“Chiudi quella bocca Harry, ogni riferimento sessuale verrà punito con un calcio nelle parti basse che potrebbe mutare per sempre la tua tonalità di voce.”
Bastò questo a farlo zittire del tutto.
“Allora, vediamo..” Gettò uno sguardo verso la mappa della Tube appesa su un muro alle loro spalle, e cominciò ad esaminarla con attenzione. “Potremmo prendere la Piccadilly Line, fare cambio e prendere la Northern Line a Leicester Square per poi fermarsi alla prima, e prendere la Central Line fino ad Oxford Circus.. se vogliamo stare in quella zona lì.”
“Sei confusa.” E non era una domanda.
“No che non sono confusa!”
“Sì invece, e si vede.”
“Da cosa, scusa?”
“Quando sei confusa ti gratti sempre il naso, esattamente come stai facendo in questo esatto momento.” Spiegò semplicemente il ragazzo, nello stesso istante in cui la mano di July scattava verso il basso pur di non dargli ragione.
“Puoi per favore concentrarti un secondo?” Sviò lei. “Ti va bene come proposta?”
“Non ho capito una sola parola di tutto quello che hai detto: credo di aver preso la Tube tipo due volte, e sempre in compagnia dei ragazzi; sai com’è, io ho una macchina.”
“Mi scusi Mr. SonoFigoSoloIo!” Si spazientì, alzando gli occhi al cielo. “Potrei anche spiegarti che ogni linea corrisponde ad un colore, ma visto che mi ascolteresti solamente per i primi dieci secondi direi che sarebbe un’impresa persa in partenza.” Si soffermò ancora una volta su quell’intreccio di linee e colori stampati sulla carta lucida e patinata, piegando il capo di lato. “E’ anche vero che forse dovremmo evitare le zone troppo centrali: troppa gente che ti riconosce, non vorrei destare la gelosia di qualche fan dalla fervida immaginazione.”
“E’ in momenti come questi che vorrei un mantello dell’invisibilità.”
“Eh, raggio di sole: sei Harry Styles, non Harry Potter.”
“Mi hai chiamato..”
“Harry Styles? Bhè sì, sai com’è: è il tuo nome.”
“Non mi interrompere!”
“Se parlassi ad una velocità degna di questo nome, riuscirei a capire quando finisci di dire la frase o quando stai semplicemente pensando.”
“Simpatica, veramente!” Rispose, scuotendo il capo. “Intendevo: mi hai chiamato ‘raggio di sole’!” Esibì un sorrisone.
“Il mio tono forse non era abbastanza esplicativo del fatto che stessi scherzando?” Domandò lei, vagamente accigliata. “Vorrà dire che mi preparerò un cartello con scritto ‘ironia’ o ‘sarcasmo’, da tirar fuori nei momenti opportuni.” Tamburellò con le dita sulle mattonelle begioline di cui era rivestito il muro cui erano di fronte, e poi ebbe l’illuminazione. “So dove andare: Covent Garden! Non dobbiamo fare neanche cambio di linea, arriviamo in cinque minuti e potremmo anche non essere fermati ogni quattro secondi.” Esclamò, felice.
“Adoro quel posto, ci abbiamo girato anche un pezzo del video di One Thing.” Non ricevendo risposta, cominciò a sospettare che July non avesse la benchè minima idea di cosa fosse quella canzone, ma non ebbe tempo di domandarlo che già la vide correre rapida in mezzo alla folla, con la borsa che le sbatteva contro la gamba ed i capelli scuri che si confondevano tra le persone. “Cavolo!” Esclamò, prima di mettersi a sua volta all’inseguimento della ragazza, e riuscire a salire al volo sulla metro prima che questa chiudesse gli sportelli automatici dello scompartimento. Con un gran fiatone, prese posto accanto a lei e poggiò il capo all’indietro per riprendere un po’ di respiro.
“Mi spieghi per quale oscuro motivo indossi un cappello di lana quando fuori c’è un caldo allucinante, e quando tu stesso hai una semplice t-shirt a maniche corte?” Domandò lei. In tutta risposta ricevette uno sguardo molto esplicativo, che sembrava esprimere al meglio le parole ‘stai zitta che è meglio’ e dovette alzare le braccia. “Scusa se le mie domande sensate illuminano l’idiozia delle tue azioni.” Si limitò a giusitificare, prima di accorgersi di aver appena superato Piccadilly e di essere diretti ormai a Leicester Square. “Secondo te quella ragazza chi è?” Diede una gomitata ad Harry, indicandole con il capo una che se ne stava in piedi in attesa di scendere.
“Che intendi?” Domandò lui.
“Secondo me ha un nome tipo Elizabeth, ma si fa chiamare Liz.. avrà sì e no sedici anni, e sta raggiungendo il ragazzo che le piace da almeno tre mesi e con cui è finalmente riuscita ad avere un appuntamento.” Disse July.
“Si vedranno ad Oxford Street, e faranno una passeggiata insieme prima di mangiare qualcosa da McDonald; lei oggi doveva studiare per un test importante, ma ha preferito cogliere al volo l’occasione e le toccherà passare la nottata in bianco per recuperare il tempo perso.”
“Sua madre ovviamente sa che sta raggiungendo la sua amica..”
“Jenny.”
“..la sua amica Jenny, per studiare insieme.”
“Stasera Liz ed il ragazzo si saluteranno con la promessa di uscire di nuovo insieme, e domani quando si incontreranno a scuola si sorrideranno, e decideranno di fare il bis questo fine settimana ed andranno a..”
“..a St. James Park!”
“Alla fine si metteranno insieme.”
“Secondo me no, lui non si presenterà al secondo appuntamento.” Concluse July, prima di afferrare il braccio del ragazzo e catapultarsi fuori dalla metro appena in tempo: non si erano accorti di essere a destinazione.
Uno accanto all’altra, si incamminarono salendo alcuni gradini e prendendo le scale mobili: osservarono le piccole pubblicità appese al muro, e rimasero un po’ sorpresi quando ne videro una proprio dei One Direction. ‘New album coming out next Christmas!’ recitava a caratteri cubitali, sopra uno scatto che ritraeva i cinque ragazzi sorridenti e terribilmente belli, come sempre. Entrambi fecero finta di niente, ed una volta fuori attraversarono la strada prima di ritrovarsi proprio davanti al punto in cui era stato girato il videoclip di cui il riccio aveva parlato; non si fermarono, ma continuarono fino ad addentrarsi nel mercato che si apriva davanti a loro.
“Ho fame, quindi prima di qualunque altra cosa andiamo a fare un pranzo come si deve.” Disse lei, dirigendosi verso un piccolo ristorantino nella zona inferiore: si sedettero nei tavoli all’aperto, e cominciarono a sfogliare i menù con aria piuttosto impegnata. La gente lì intorno li guardava, riconoscendo il ragazzo, e July ebbe la sensazione che qualcuno stesse perfino scattando delle foto ma si costrinse a mantenere una certa calma. La camiera che arrivò aveva lunghi capelli biondo cenere ed occhi verdi di gatta, e prese le ordinazioni con fare pratico anche se non passò inosservato il modo in cui questa posava gli occhi sul ragazzo; July non potè soffocare il magone che avvertì allo stomaco, ma lo classificò come semplice ‘fame’ piuttosto che come ‘gelosia’: non l’avrebbe mai ammesso, neanche a se stessa.
“Settimana prossima c’è la festa per l’anniversario della nostra casa discografica.”
“Sono felice per voi.”
“La domanda sottintesa era: ‘vieni?’”
“No.” Rispose. “La risposta sottintesa era ‘no’.”
Lui non si scompose più di tanto, ma semplicemente compose rapidamente un numero con il suo iPhone e si mise in attesa che qualcuno rispondesse. “Hey Simon, ciao. Disturbo? Oh perfetto. Volevo chiederti se avevi già ingaggiato i fotografi per la festa.. come dici? Non ancora? Meraviglioso! Che ne pensi di assumere lo studio con cui abbiamo fatto l’ultimo servizio fotografico? No, non ho nessun secondo fine. È solo.. un piacere che ti chiedo.” Un secondo di silenzio. “Grazie, veramente.” Chiuse la telefonata, poggiando il telefono sul tavolo e guardando la ragazza con un gran sorriso sul volto. “Sembra proprio che, invece, dovrai venire: a meno che tu non voglia essere licenziata.”
“Sei uno stronzo.”
“E’ un piacere.”
July si portò una mano sulla fronte, cercando di mantenersi calma. “Io non posso venire!” Esclamò. “Non ho un vestito adatto, né le scarpe, né le possibilità economiche di comprarmeli.”
“A quello posso pensarci io!”
“No, assolutamente no: non mi devi mantenere.”
“Allora troveremo un modo.”
“Anche se, non posso ugualmente: io non ho nulla a che fare con quell’ambiente, né con la celebrità o la fama!” Spiegò. “Dico, guardami: sono solo una comune ragazza che ti conosceva prima che diventassi una star; ho un lavoro, un monolocale, giro in metro e vengo da Holmes Chapel.” Sbuffò. “Non posso venire alla festa della tua casa discografica Harry, sarei un pesce fuor d’acqua.”
“Allora è questo il problema, è sempre stato questo.”
“Scusa?”
“Tu hai paura di non essere abbastanza.” Schioccò le dita. “Ma certo! È una cosa che hai sempre temuto, perfino quando eravamo due ragazzini.. come ho potuto non capirlo prima?” Domandò retorico. “No, non dire niente: so che troveresti ottime spiegazioni.” Verso dell’acqua fredda nel bicchiere.
“Sì, e.. quindi?”
“Quindi subito dopo pranzo ho una sign-in dall’altra parte della città, ma ti prometto che risolverò tutto: so già esattamente come fare.”
“Non facendomi venire alla festa.”
“Oh no, tu ci sarai: eccome se ci sarai.”
“Harry..”
“July, fidati di me. So che puoi ancora farlo.”






Angolo scrittrice.
Sono tornata con qualche ora di anticipo, e non ho potuto resistere. Ci ho messo una vita a scrivere questo capitolo, e sono stata sommersa da cartine di Londra e da mappe della Tube che per fortuna ho preso ad aprile, quando sono andata lì.
Non ho risposto singolarmente a chi ha recensito perché volevo concentrarmi sulla scrittura di questo decimo, e non volevo perdere tempo: sappiate che ho letto ogni singola parola, e sono quasi scoppiata a piangere. Grazie, grazie, grazie.. a chi c’è fin dall’inizio, ed a chi è appena arrivato. Chiedo scusa come sempre per gli errori di battitura!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un piccolo aiuto. ***



Una settimana dopo.
July se ne stava seduta su una piccola poltroncina davanti la scrivania del suo capo, in attesa che questo prendesse finalmente parola: erano passati cinque giorni da quando lo studio era stato ingaggiato per fare le foto ufficiali alla festa che la Sony aveva organizzato per celebrare il proprio anniversario, ed in tutto quel tempo Mark aveva tenuto un corso avanzato di fotografia ai suoi assistenti con qualche vago talento in fatto di fotografia, perfettamente consapevole del fatto che non avrebbe potuto farcela da solo. Erano tutti piuttosto ferrati in materia, ma lui aveva bisogno di testare in prima persona le loro abilità e così li aveva messi alla prova uno ad uno; adesso, era ora di dare i resoconti per annunciare chi avrebbe portato con sé ad una serata così importante.
Accanto alla ragazza vi erano altri dodici apprendisti più o meno adulti: c’era chi tamburellava le dita sulla sedia, chi sbatteva ritmicamente il piede, chi si mangiucchiava nervosamente le dita. Un’occasione di quel genere non capitava tutti i giorni, e non c’era uno di loro che non si stesse maledicendo per non aver dato di più.
“Non posso permettermi errori, ed è per questo che porterò con me solamente tre di voi.” Interruppe quel silenzio l’uomo, con fare sbrigativo e piuttosto impegnato. “Liz, Thomas e July.” Disse, puntando gli occhi sui tre che aveva nominato. “Alle 16:30 dovrete essere già lì, dovremo sistemare un bel po’ di cose sul luogo: ovviamente, userete l’attrezzatura dello studio.” Li congedò, prima di far loro cenno di uscire dalla stanza. Quando si ritrovarono tutti fuori, coloro che non erano stati scelti cominciarono a dir poco ad impazzire: qualcuno pianse, qualcuno cominciò a sfogarsi, altri si allontanarono; Thomas e Liz si abbracciarono, tra un salto di gioia ed un altro, ma quando entrambi notarono l’espressione della loro collega si fermarono.
“July, sei stata scelta! Non sei felice?”
Lei si limitò a scuotere il capo, componendo un sms al cellulare ed allontanandosi, prima di prendere la borsa dalla sua scrivania e trovarsi tra le strade di Londra. Era piuttosto turbata, se proprio dobbiamo dirla tutta: aveva sperato fino all’ultimo di non essere tra le persone scelte così da non dover partecipare a quell’evento mondano, e rendersi di conto di essere ormai praticamente obbligata a farlo la rendeva piuttosto nervosa; senza considerare che dopo quel pranzo a Covent Garden, non aveva più sentito Harry. Non l’aveva più chiamata, né cercata con un sms.. una volta aveva provato lei a farlo, ma non avendo ricevuto risposta aveva deciso di lasciar perdere. Le sembrava quasi di rivivere di nuovo quella vecchia storia, e le saliva quasi la bile se pensava che tutto stava andando verso il baratro. Piuttosto, si domandava adesso cosa dovesse fare.. inviò un sms al ragazzo, scrivendo un semplice ‘Domani sera ci sarò; avevi detto che avresti sistemato le cose, ed allora fallo.’ ed attendendo una risposta che forse non sarebbe arrivata.
Salì sulla metro, diretta a casa, ed infilò le cuffie dell’iPod chiudendo gli occhi e poggiando il capo al finestrino – come era solita fare. Non aveva voglia di osservare la gente intorno a lei, e così si limitò a scrutare il paesaggio che si intravedeva a tratti scorrere al di là di quel vetro, nell’attesa di cominciare a riconoscere la propria zona; quando fu annunciata la fermata di Hanger Lane, scese con fare sbrigativo ed uscì dalla piccola stazione circolare con il capo basso, e le dita concentrate sulla scelta di una canzone adatta al momento. Proprio in quel momento sentì il cellulare che aveva tra le mani vibrare, e non potè trattenere il sospiro che esalò quando lesse quel nome sul display.
“July?”
“Sì, dimmi.”
“Scusa se sono scomparso.”
“Tranquillo!” Rispose. “Va tutto bene?” Domandò.
“Sì, sono solo un po’ stanco.”
“Sembri.. triste.”
“Sarà solo un’impressione.”
“Harry, ti prego..”
Ci fu un secondo di silenzio. “Oggi non posso accompagnarti a comprare il vestito, ma conosco una persona che può farlo.”
“Scherzi? No, non esiste proprio!”
“Avevi detto che ti saresti fidata di me, e comunque sia non hai alternative; passa a prenderti a casa di pomeriggio, verso le 4 circa. Fatti trovare pronta.”
“Ti odio, te lo giuro.”
“Mi ringrazierai! Adesso scusa, ma devo andare: divertitevi.”
 
Quando una piccola utilitaria si fermò davanti a lei, in piedi davanti al cancello in ferro battuto che dava l’accesso al vialetto che conduceva fino a casa, July White si aspettava di tutto, meno che il volto sorridente di una ragazza che abbassava il finestrino e le faceva cenno di salire. Non aveva la benchè minima idea di chi fosse, ma era ovvio che si trattasse della persona che Harry aveva mandato per accompagnarla nello shopping di quel pomeriggio; un po’ nervosa, aprì lo sportello e prese posto, guardando la figura che era alla guida.
“Daphne!” Esclamò questa, porgendogli la mano.
“July.” Rispose un po’ intimidita, stringendogliela.
“Harry è davvero mortificato di non poter essere qui, ma purtroppo i ragazzi hanno tantissimi impegni considerando che siamo vicini all’uscita del nuovo singolo e non hanno molto tempo per la vita privata.” Spiegò, mettendosi la cintura e girando la chiave nel quadrante per poter mettere in moto. “Ma per fortuna, si è ricordato del fatto che ci sono anche io ed ha pensato che avremmo potuto sbrigare insieme questa faccenda che ti riguarda.” Aggiunse, sorridente.
Partirono, immettendosi nel folle traffico londinese, e Daphne accese la radio, sintonizzandosi su una delle poche frequenze che trasmetteva musica con poca interruzione di pubblicità.
“Tu fai parte del loro staff?” Domandò July, curiosa.
“Oh, ma certo: non hai idea di chi io sia!” Sorrise. “No, affatto.. io sono la ragazza di Niall.” Rispose, mentre la sua voce aveva una lieve inflessione dolce nel pronunciare quel nome.
“Non so quale degli altri quattro sia.. sai, io non ho mai seguito i One Direction; quando erano ad X-Factor votavo per loro, ma non ho mai seguito una puntata.” Si sentiva un po’ in imbarazzo a confessare una cosa di quel genere, ma era inutile mentire: meglio mettere subito le cose in chiaro. Si sorprese, nel rendersi conto che l’altra non la guardò come se fosse pazza o qualcosa di quel genere, ma anzi fu molto diplomatica e disponibile nel dirle “l’irlandese biondo con gli occhi azzurri, quello che durante il servizio fotografico aveva la polo color crema.” Spiegò, pazientemente. Era ovvio che seguisse i ragazzi in ogni loro mossa e che fosse talmente vicina a loro da sapere cosa indossavano per gli eventi ufficiali o promozionali.
“Ah sì, ora capisco! Siete una coppia ufficiale?”
“Non ancora.. abbiamo avuto una serie di problemi a dire il vero, ma domani sera ne approfitteremo per svelare il tutto davanti ai fotografi ed ai giornalisti.”
“E da quant’è che state insieme?”
“Ormai direi almeno sei mesi.. sono stata anche con loro per una parte del tour inglese, e per qualche tappa di quello europeo. Ma sai, è una cosa piuttosto complicata.”
“Perché?” Lei stessa si sorprendeva di essere così curiosa.
“Non sono una ragazza che viene dal mondo dello spettacolo: ero una semplice fan, e lui mi ha notata durante un concerto. I pettegolezzi girano fin troppo velocemente nel loro mondo, figurati che per un periodo il mondo intero pensava che frequentassi Harry – cosa ovviamente mai successa.” Sembrava passata una vita, a pensarci adesso. “Le fans sono molto protettive nei loro confronti, ed anche molto gelose.”
“Questo non è affatto incoraggiante..” Sospirò la ragazza dai capelli neri, sistemandosi la frangia che si era un po’ spostata. “Vivete insieme, tu e Niall?”
“No, non direi..” Aprì il finestrino, poggiandovi un gomito ed inforcando i Wayfarer neri per schermare gli occhi dai raggi di sole che passavano attraverso il parabrezza. “Io sto a Bristol, considerando soprattutto che i ragazzi spesso stanno fuori dall’Inghilterra per mesi per colpa dei tour.. però ogni volta che tornano a Londra, mi trasferisco da Niall e sto da lui. Sai, i ragazzi abitano tutti nello stesso complesso, anche se in appartamenti diversi.”
“Che bella cosa!”
“Sì.. sono molto uniti, per fortuna.” Poi, si accorse che alla radio erano cominciate le prime note di una canzone che ben conosceva, ed alzò il volume quasi al massimo. “Spero non ti dia fastidio, ma questa canzone mi fa impazzire: si chiama What Makes You Beautiful, ed è il primo singolo che hanno fatto uscire lo scorso settembre.”
July si zittì, e si ritrovò per la prima volta ad ascoltare una canzone dei One Direction: incredibile come riuscisse a distinguere la voce di Harry dalle altre, dopo tutto questo tempo! Ed era ancora più incredibile il modo in cui l’altra ragazza cantava e si muoveva, come se fosse una semplice fan che aveva trovato la canzone del suo gruppo preferito alla radio: non importava che stesse con loro ogni giorno, non importava che fosse loro amica e che fosse perfino al ragazza di uno di loro.. ma in fin dei conti, quel brano era davvero molto orecchiabile e metteva addosso parecchia allegria, ed ecco perché perfino lei si ritrovò involontariamente a canticchiare il “nanana” finale accompagnandolo con dei movimenti della testa.
“Bella, vero?” Domandò Daphne, nel momento successivo alla chiusura di Styles.
“Devo dire che mi piace!”
“Sembri sorpresa, sai?”
“Non pensavo che avrei mai ascoltato una loro canzone.”
“Lo so, Harry mi ha raccontato un po’ la vostra storia.”
“E cosa ti ha detto?”
“Che eravate molto legati, ma che poi la sua vita è stata stravolta e..”
“..e si è dimenticato di me.”
“Non ha usato proprio queste parole, ma credo che il concetto fosse quello.”
Ci furono alcuni istanti di silenzio.
“Credo che gli dispiaccia veramente.”
“Lo so, solo che non riesco ancora a fidarmi di lui. Anche in questa settimana, è totalmente scomparso nel nulla.. io lo so che è molto impegnato, ma credo che almeno il tempo di scrivere un sms possa trovarlo.”
“Non è sempre così facile; a volte non riescono neanche a chiamare i loro genitori, sai? Certo, capisco perfettamente il tuo punto di vista.. ma sta facendo di tutto per sistemare le cose e credo che te lo dimostrerà presto.”
“Sai qualcosa che io non so?”
“No, non direi.. ma lo conosciamo entrambe abbastanza bene da sapere che il suo invito per domani sera non è stato fatto a caso, giusto?” Quella domanda retorica aleggiò nell’aria. “Ti vedo preoccupata.”
“No, è solo che.. non so assolutamente niente di loro, né del loro mondo e domani devo partecipare ad uno degli eventi più importanti della vita mondana londinese.”
“Posso immaginare.. penso di poterti essere d’aiuto, se vuoi. Cosa vuoi sapere?”
July si fermò a riflettere, rielaborando le informazioni che Daphne le aveva già dato in quel primo quarto d’ora di viaggio e cercando i pezzi mancanti.
“Facciamo una cosa, ti dico tutto quello di cui dovresti essere a conoscenza almeno per sapere come muoverti domani.” La salvò l’altra.
“Ottima idea.”
“Memorizza i nomi, poi ti spiegherò chi è chi quando li avremo davanti.” Scrollò le spalle, fermandosi ad un semaforo rosso. “Louis è fidanzato da circa una decina di mesi con Eleanor Calder, mentre Liam sta con Danielle Peazer, una ballerina di X-Factor.. Zayn ha appena cominciato una relazione con una cantante di nome Perrie Edwards che personalmente non conosco.” Ripartì, svoltando a destra. “Oltre a loro cinque, probabilmente ci saranno Josh, Jon, Sandy e Dan: loro sono i ragazzi della band; in più, probabilmente conoscerai Paul, Preston e gli altri della sicurezza insieme a Lou, la loro make up artist, e la piccola Lux.. più il resto dello staff.”
July pensò che avrebbe dimenticato tutto in tempo dieci minuti, ma doveva impegnarsi per sapere chi avrebbe avuto davanti. “Ho paura che ci saranno anche un paio di ex di Harry, però..” Aggiunse Daph, mordendosi il labbro. “Caroline, Emma, Madison sicuramente.” Quella, non fu una bella notizia.
Entrambe scesero dalla macchina dopo averla messa in un parcheggio a pagamento sotterraneo, e misero piede sul marciapiede davanti ad Harrods; entrarono, e fu Daphne a fare strada in quel labirinto di scale e corridoi, con gli occhiali da sole sulla testa: era bassina, aveva capelli lunghi e scuri ed il volto spruzzato di qualche lentiggine. Salirono sulle scale mobili, prima di entrare in una zona piena di vestiti delle più svariate marche: cominciarono a guardarsi intorno, in cerca di qualcosa che potesse attirare la loro attenzione.
“Non potrei permettermi neanche un quarto di uno di questi vestiti.” Ammise July, prendendo tra le mani il cartellino di un abito alla sua destra.
“Harry non ha pensato neanche per un momento di farti pagare: mi ha dato la sua carta di credito.”
“Scherzi? Non voglio farmi regalare niente da lui.”
“Siamo in una situazione in cui entrambe abbiamo bisogno di abiti di alta moda, purtroppo, e nel tuo caso il nostro caro riccioli d’oro si è offerto di semplificarti la vita: fai uno strappo alla regola.” Gli consigliò, prima di adocchiare un semplice abitino color crema sulla parete di fronte a lei. Si diresse in quella direzione, prima di cercare la sua taglia e prenderne uno anche di un color rosso scarlatto. “Se vuoi un consiglio, vai per colori.” Suggerì, vedendola in difficoltà.
July allora si diresse verso uno stand in cui stavano i vestiti sulle tonalità del nero e si ritrovò totalmente innamorata di uno color grigio fumo. Insieme, si diressero verso i camerini e li provarono, per rendersi conto di essere miracolosamente riuscite a trovare il vestito giusto al primo colpo: impossibile? Non per loro.
“Credo proprio che gli piacerà.” Esordì Daphne, mettendosi alle spalle dell’altra ragazza che fissava la propria immagine riflessa nello specchio con fare dubbioso.
“Sei sicura?”
“Assolutamente.”
 
Mezz’ora, due paia di scarpe, due abiti e decine di accessori dopo, Daphne e July se ne stavano comodamente sedute ad un tavolino di Starbucks sorseggiando una la crema di cioccolato e l’altra quella di caramello. Avevano chiacchierato molto, e si erano trovate molto vicine, per quanto totalmente diverse l’una dall’altra: forse era questo che semplificava le cose, come il fatto che fossero entrambe due ragazze assolutamente normali.
“Posso chiederti una cosa?”
“Certo, dimmi.”
“Cos’ha Harry? Oggi mi è sembrato.. strano.”
Daphne sospirò, passandosi una mano sulla fronte. “A dire il vero, non lo so.. ma l’ho notato anche io; dice che è solamente stanchezza, ma ultimamente è molto giù.”
“Non dirmi così..”
“Stai tranquilla: ha i ragazzi accanto, e si prenderanno loro cura di lui.” Il suo tono era talmente speranzoso che July non potè fare a meno di crederle. “Anche se non lo faranno come potresti farlo tu.” Aggiunse. “Si vede che ci tieni molto.”
July arrossì. “Bhè, io non..”
“Si vede lontano un miglio che sei innamorata, sai? Non ho intenzione di andarglielo a dire, credimi, anche se sospetto che in fondo lo sappia meglio di noi.”
“E’ una cosa che non potrebbe avere futuro.”
“Perché?”
“E’ la tipica storia in cui lui ha tutto, e lei non è altro che una banalissima ragazza che non potrebbe dargli quello di cui ha bisogno.”
“Credo invece che sia un altro genere di storia.”
“Ovvero?”
“Quella in cui entrambi sono troppo orgogliosi per ammettere di aver bisogno l’uno dell’altra, ed allora si rincorrono in attesa di un cedimento.”





Angolo scrittrice.
Ripeto anche qui che Daphne è il personaggio dell’altra fanfiction che ho scritto sui ragazzi: mi spiace per chi non ha idea di chi sia, ma mi serviva per immettere la nostra July nell’ottica giusta. Ne ho anche approfittato per dare al team Naphne qualche notizia in più su ciò che è accaduto dopo l’ultimo capitolo, lo ammetto.
Questo è stato comunque un capitolo di transizione, ma comunque fondamentale.. grazie a tutte quelle che continuano a recensire, vi adoro. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cambiamenti. ***




Aveva passato la notte completamente insonne: l’ansia ed il nervosismo non le avevano permesso di chiudere occhio neanche per un istante, e così aveva finito per accendere il computer e cominciare a vagare su twitter in cerca di qualcosa da fare. Non c’era niente che potesse realmente distrarla, e le parole di Daphne le risuonavano ancora in testa senza darle pace; aveva più che altro paura di una frase che aveva sentito, quella che riguardava le ex ragazze di Harry. Non aveva la benchè minima idea di chi fossero: non voleva essere cordiale con loro, nel caso in cui avesse dovuto avere a che fare! Conosceva un solo posto dove avrebbe potuto sapere tutti i gossip sulla vita privata di una star, e quando Sugarscape si aprì davanti ai suoi occhi, si ritrovò una serie infinita di articoli; non sapeva molto da dove cominciare, ma in un paio di ore era riuscita ad aggiornarsi non solo sul ragazzo che la interessava, ma anche sugli altri quattro: certo che la loro vita era movimentata, eh? Era riuscita perfino a trovare quell’articolo che parlava della relazione di Daphne con il riccio, ma non se ne preoccupò più di tanto considerando che aveva già avuto relazioni in merito. Era turbata invece dalle tre che avevano costituito le relazioni più importanti: Caroline, Madison ed Emma.. era probabile che ci sarebbero state, il che avrebbe complicato le cose. In men che non si dica, il sole era già sorto e visto che Morfeo non aveva alcuna intenzione di raggiungerla, July si era alzata e si era infilata sotto la doccia per cominciare la giornata in modo piuttosto tranquillo. Subito dopo, si era seduta al tavolo della cucina con sguardo piuttosto impegnato ed aveva aperto una piccola busta bianca che teneva in borsa e ne estrasse le sterline che vi erano contenute: era andata a prelevare quei soldi in banca, subito dopo l’arrivo dello stipendio, ed ora avrebbe dovuto pagare l’affitto mensile. Aveva contato una ad una le spesse banconote, rendendosi conto che ancora una volta ce l’avrebbe fatta solamente per un pelo: per mangiare, fare shopping e tutto il resto le restavano solamente centoquarantasei sterline.. per un mese intero. Sospirando appena, aveva deciso di programmare la spesa per il giorno dopo, nella speranza di riuscire a non spendere tutti quei soldi così da poterne mettere un po’ da parte per ricomprare la sua Reflex, un giorno. Aveva poche speranze di farcela, ma non si sarebbe arresa.
Adesso, comunque, se ne stava nella stanza che era stata concessa allo staff per sistemare le proprie cose: era ormai ora di cena, e dopo un pomeriggio passato a regolare e sistemare le macchine fotografiche ed a parlare con gli organizzatori, potevano finalmente cambiarsi. Erano andati infatti lì in jeans, ma avebbero dovuto cambiarsi per indossare i vestiti che si erano portati in dei borsoni che se ne stavano stipati contro la parete. Liz stava salendo sui suoi vertiginosi tacchi, mentre Thomas lì dietro era praticamente pronto ed aspettava solamente che le sue due colleghe lo fossero altrettanto; con un certo imbarazzo, July si cambiò con lo sguardo basso ed indossò lo splendido abito grigio comprato il giorno prima, chiedendo l’aiuto dell’amica per tirare su la zip a cui lei non arrivava. Fece finta di non accorgersi dello sguardo assolutamente stupefatto che le venne rivolto quando la bionda vide la marca di quell’indumento, e si spostò i capelli sulla spalla così che questi non rimanessero impigliati nella chisura, canticchiando appena.
“Liz, ho visto che hai portato i trucchi: non è che potresti..?” Azzardò, mordendosi il labbro inferiore.
“Oh mio Dio, scherzi?” Battè un paio di volte le mani, dall’emozione. “E’ una vita che aspetto questo momento!” Esclamò, prendendola per il braccio ed obbligandola a sedersi su una sedia proprio lì accanto. “Chiudi gli occhi!”
Ci vollero circa diciassette minuti prima che July avesse il benestare dell’altra ragazza per guardarsi nel piccolo specchio tondo che aveva con sé, e quando lo fece rimase quasi senza parole: era così diversa dal solito! Era bastato un po’ di trucco, e già sembrava una donna e non più una ragazzina. Si alzò in piedi, aprendo il borsone e tirando fuori un pacchetto di lenti a contatto giornaliere che indossò non senza un po’ di fatica: aveva sempre preferito occhiali e stile acqua e sapone, ma quella era una serata particolare e per un volta non voleva essere una ragazza normale.
“Gli ospiti stanno arrivando!” Esclamò uno dei ragazzi del catering, spalancando la porta con il volto misto tra eccitato e terrorizzato. I tre addetti alla fotografia si guardarono negli occhi, prima di dire un ‘buona fortuna’ che rimase sospeso nell’aria; a quel punto, infilarono al collo il laccio con in fondo attaccato un cartellino che li identificava, e li smistava nella zona staff. Afferrarono le macchine fotografiche montandovi sopra i flash esterni, ed uscirono da quella stanza per immettersi in un corridoio che li avrebbe portati direttamente all’immensa porta finestra che dava accesso alla piscina, ed al giardino. Da quel che aveva capito, era casa di uno dei produttori, ma una cosa del genere lei l’aveva vista solamente sui programmi di Mtv mirati proprio a far sembrare la tua vita uno schifo.
 
“Ma quella è Katy Perry!” Sussurrò ad un certo punto Liz, che sembrava in preda ad una crisi epilettica.
“Capelli blu, figaggine instrinseca.. sì, direi che è proprio lei.” Rispose July, mentre fissava l’entrata in attesa dell’arrivo di qualcun altro: comunque, era lì per lavoro e per questo le due ragazze si divisero e cominciarono ad immortalare le celebrità che erano già arrivate nelle tipiche foto di rito. Alcuni di loro erano arrivati addirittura dall’America proprio per quell’evento, e questo alzava di gran lunga il livello della serata.
Ad un certo punto, la ragazza vide arrivare Sandy e Jon (ormai li riconosceva, aveva trovato un paio di foto anche della band) e sentì un nodo alla gola nel rendersi conto che a breve sarebbero arrivati anche i ragazzi; nel giro di dieci minuti, infatti, i One Direction apparvero uno accanto all’altro, con un’ingresso degno di un film. Circa metà dei presenti si voltò per guardarli, e sembrava assurdo il modo in cui riuscissero a concentrare su di loro tutta l’attenzione semplicemente camminando, come in decine avevano fatto fino a pochi istanti prima. Indossavano tutti un abito nero con camicia bianca, anche se vi erano dei dettagli che li distinguevano: Liam indossava un gilet sotto la giacca, Zayn una cravatta sottile al contrario di Niall che ne aveva di dimensioni piuttosto comuni, Harry un papillon, e Louis non aveva messo nulla intorno al collo, lasciando così la visuale sul tessuto inamidato. Immediatamente le due ragazze si avvicinarono a loro, scattando delle foto soprattutto nei momenti in cui Nicole Scherzinger ed un paio di altre celebrità si soffermarono a chiacchierare. July ebbe la strana sensazione di essere diventata totalmente invisibile, considerando soprattutto il fatto che non era stata degnata di uno sguardo: ma riflettè sul fatto che in fondo fosse normale, e che lei era lì solamente per lavoro e non per avere tutte le attenzioni; anche se diciamocelo, a lei sarebbero bastate quelle del ragazzo che adesso stava prendendo un bicchiere di champagne offertogli da Conor Maynard. Sembrava così adulto e sicuro di sé che July ebbe i brividi nel rendersi davvero conto di tutta la strada che aveva fatto, da Holmes Chapel alle vette delle classifiche mondiali: era profondamente orgogliosa di lui, ma allo stesso tempo avvertiva una certa sensazione di fastidio.. mai, mai l’aveva sentito così lontano.
“I maschi sono proprio tutti uguali!” Liz era magicamente riapparsa al suo fianco, con un’espressione contrariata sul volto. “Potrebbe almeno salutarti.”
“Ma tu come lo sai?”
“Chi pensi che l’abbia chiamato per venirti a riprendere, quella sera?” Domandò, come se fosse ovvio. “Non guardarmi così, era solo l’ultima chiamata nei contatti recenti.. neanche sapevo che mi sarei trovata davanti quel gran figo di Harry Styles!”
July aggrottò appena le sopracciglia, gettando uno sguardo di rimprovero all’amica. Stava per rispondere, quando si accorse dell’arrivo di altre due persone, una accanto all’altra: Danielle Peazer ed Eleanor Calder; rimase piuttosto basita per la loro bellezza: la prima aveva un fisico degno di una modella, mentre l’altra era a dir poco perfetta. Liam e Louis si accorsero immediatamente di loro, e le fecero avvicinare, mentre toccò proprio a lei scattare quella foto, che sarebbe sicuramente finita almeno su un paio di giornali: le fans sembravano aver ormai accettato di buon grado quelle relazioni, per quanto strano potesse sembrare. Zayn si era intanto allontanato per raggiungere le Little Mix che erano in compagnia di Simon, e Niall guardava nervosamente verso l’entrata domandandosi probabilmente per quale motivo Daphne tardasse ad arrivare; quando però fu il momento, il ragazzo non si accorse di lei: si era infatti spostato verso i tavoli del catering, per intrattenersi in un’amabile chiacchierata con Demi Lovato – July non sapeva che ci sarebbe stata anche lei, ma in fonto non aveva idea del fatto che la cantante fosse momentaneamente in tour in Inghilterra; qualcosa le suggeriva che quella non era una cosa che avrebbe fatto piacere alla fidanzata del biondo, che aveva appena messo piede sul prato all’inglese perfettamente tagliato: era a dir poco incantevole, in un vestito scarlatto e con i lunghi capelli scuri tirati all’indietro così da mettere in risalto i lineamenti dolci del volto pallido spruzzato qua e là dalle lentiggini; il sorriso sul suo volto sparì completamente nel momento in cui posò gli occhi su quei due, ma con una certa determinazione si obbligò a mantenere un certo contegno. La fotografa avrebbe voluto avvicinarsi, ma proprio in quel momento si rese conto del fatto che un ragazzo le si era affiancato, sfiorandole il braccio e tranquillizzandola: ci volle qualche istante perché, da lontano, lo identificasse come Josh Devine.
Sospirando appena, controllò il numero degli scatti fatti e si rese conto che doveva a dir poco darsi da fare se non voleva deludere il suo capo: si aggirò tra gli ospiti con fare cortese e nessuno di loro si rifiutò di fare una foto, ma anzi ne facilitarono il compito mettendosi in posa e sorridendo proprio come se fossero sul tappeto rosso; c’erano circa un duecento invitati tra star e staff, ma non c’era confusione: tutto sembrava svolgersi per il meglio, nella calma e nella tranquillità di un evento durante il quale la minima caduta di stile avrebbe immediatamente fatto il giro del mondo.
“Allora, come va?” La voce calda di Harry proveniva dalla sue spalle, ma non ebbe certo bisogno di voltarsi per riconoscerla: rimase infatti nella sua posizione, sebbene sentisse il suo respiro sulla pelle.
“Direi bene, considerando che tutte queste persone le avevo viste solamente sulle copertine dei miei cd.”
“Ti stai trattenendo dall’urlare e dal saltargli addosso in cerca di un autografo?”
“Si nota tanto?”
“Giusto un po’, soprattutto dal modo in cui guardi Conor.”
“Geloso?” Lo stuzzicò.
“Dovrei?”
“Vedi tu.”
La sfida era stata lanciata, e nessuno dei due aveva intenzione di tirarsi indietro. Il ragazzo si allontanò, mentre lei veniva salutata con un gesto della mano da Daphne che si era finalmente riunita a Niall: sembrava un po’ tesa e probabilmente la gelosia la stava divorando, ma non voleva dimostrarlo a nessuno.. quella era la sera dell’ufficializzazione del loro rapporto, non poteva rovinare tutto con una scenata.
“July!” Sentì esclamare; voltandosi vide Thomas che le faceva segno di seguirlo verso il centro nevralgico della festa, a bordo piscina. Fu proprio lì che la ragazza fu costretta ad immortalare Harry insieme a Emma Ostilly, quella sera più bella del solito in un vestito che le lasciava scoperta la schiena e la faceva sembrare una specie di sirena. Non battè ciglio, ma esibì un ampio sorriso nel momento in cui cliccò il tasto della Canon che aveva tra le mani: non gliel’avrebbe mai data vinta dimostrando di essere infastidita, mai. Subito dopo fu il turno anche di Caroline Flack – diciamo che in realtà quella foto fu particolarmente forzata, considerando le recenti dichiarazioni della donna in merito alla relazione avuta con Harry – e dopo qualche istante anche di Madison, che si avvicinò al ragazzo abbracciandolo non appena la bionda conduttrice di Xtra-Factor si fu allontanata. Era ovvio che glielo stesse facendo apposta, e purtroppo July si rese conto di non riuscire a contenere la propria gelosia; stava per scattare una foto a Olly Murs insieme a Simon, quando l’attenzione di tutti si concentrò sul bacio che Niall e Daphne si stavano dando un bacio davanti a tutti quanti.
“Ma no, poco fa avevo fatto una foto a lui e Demi convinto di avere lo scoop!” Esclamò Thomas raggiungendo la collega dopo essere andato a bere un paio di bicchieri d’acqua, assolutamente deluso.
“E invece, abbiamo una notizia trenta volte migliore.” Rispose July, scattando almeno dodici foto alla coppia a pochi metri di distanza da lei.
 
Ormai non vi era più nessuno lì, e l’alba cominciava a rischiarare il cielo londinese: la festa era durata ore, ed erano state annunciate alcune importanti news sulla casa discografica subito dopo un piccolo buffet. July chiuse il borsone mettendoselo in spalla appena prima di togliersi le scarpe e di camminare scalza: aveva consegnato macchina fotografica e memory card direttamente a Mark che aveva avuto il ruolo di referente ed aveva passato la serata a fare le foto sul tappeto rosso appena lì fuori, ed ora voleva solamente tornarsene a casa. Era talmente stanca che non aveva neanche la forza di cambiarsi, ed avrebbe perfino preso la metro con quel costosissimo vestito addosso; uscì dalla porta sul retro ma non fece in tempo a cominciare a camminare verso l’entrata della subway che subito venne affiancata da una macchina che si fermò davanti a lei.
“Che ci fai ancora qui?” Domandò, sorpresa.
“Ti aspettavo!” Esclamò Harry, sorridente.
“E com’è che non sei circondato da paparazzi?”
“Oh bhè, loro pensano che sia a casa: in effetti sono andato via con gli altri, ma poi sono uscito di nascosto per tornare a prenderti.”
“Non ne vedo il motivo, so prendere una metropolitana al contrario di qualcuno che conosco.”
“Vuoi dire che vorresti prendere un mezzo pubblico a quest’ora?”
“Non mordono, sai?”
“E se incontrassi uno stupratore o un ladro?”
“Non è mai successo..” Rispose lei, accigliandosi. “Ma vuoi vedere che mi hai portato sfiga?”
“Non era mia intenzione!”
“Adesso, darmi un passaggio è effettivamente il minimo che puoi fare.” Convenne, salendo in macchina e mettendosi la cintura. “Devo dire, un’auto che passa inosservata eh.”
“Daphne la chiama la bat-mobile.”
“Non ha tutti i torti.. è perfino nuova, ma guarda un po’!”
“Mi tratto bene, lo sai.” Concluse il discorso lui, mettendo in moto e sfrecciando a tutta velocità in direzione di Hanger Lane. La radio era spenta, ed il ragazzo indossava ancora i vestiti della serata sebbene avesse tolto il papillon ed avesse la camicia sbottonata: per un vago istante, July ebbe la sensazione di essere stata catapultata indietro nel tempo, a quel ballo che aveva dato inizio a tutto.
“Sei bellissima così, sai?”
La ragazza arrossì fino alla punta dei capelli, guardando fuori dal finestrino per dissimulare l’imbarazzo. “Magari lo ero qualche ora fa, di sicuro non adesso con il trucco sbavato ed i capelli arruffati: devo sembrare qualcosa tipo un panda, credo.”
“Un bel panda, sì.” Rise. Poi si beccò un cazzotto sul braccio, e tornò serio esclamando un “ahia!”
“Comunque, questa non sono io: il trucco, i tacchi, il vestito.. dai, sembravo una bambola!”
“Ogni tanto puoi concederti un po’ di pausa da te stessa, non muore nessuno.”
“Smettila di fare il poetico Styles, non sei credibile.” Sbuffò. “Piuttosto, non mi hai ancora detto perché hai insistito tanto per farmi venire a questa festa.” Disse, proprio mentre l’auto si fermava davanti a casa sua, in una via totalmente immersa nel silenzio.
“Volevo farti vedere com’è la mia vita, adesso.”
“O forse volevi solamente sbattermi in faccia la bellezza delle tue ex?”
“Cosa?” Si voltò verso di lei. “Quello l’ho fatto solamente perché sai che non mi tiro indietro, ma non era assolutamente mia intenzione.”
“Non è stato comunque carino.” Rispose July; poi, vide il volto di Harry farsi sempre più vicino a rimase totalmente immobile mentre osservava le labbra del ragazzo quasi sfiorare le sue: sentiva il suo profumo così vicino che quasi aveva perso la cognizione di sé, ed i suoi occhi verdi erano ancora un cielo in cui aveva il coraggio di perdersi. Appena prima che i loro nasi si sfiorassero, però, si riprese da quello stato di semi shock e fece uno scatto indietro, respingendo ed allontanandolo con le mani.
“Ma sei impazzito?!”
“Perché no July?! Non capisco!”
“Io non.. non voglio essere solamente un altro nome.”
“Che intendi?”
“Ti attribuiscono almeno quattro relazioni al giorno, e tutto quello che fai finisce sui giornali: io non potrei mai sopportare una cosa del genere!” Si spostò i capelli dal collo.
“Tu c’eri prima di tutte loro, e se adesso sono qui con te ci sarà un motivo no?”
“Non dirmi che avevi bisogno di capire cosa la vita poteva offrirti, perché mi fai sentire uno scarto.”
“Sei il contrario, invece.”
Respirò profondamente. “Harry, io non.. non posso.” Scosse il capo. “Non voglio che la gente mi riconosca per strada, non voglio che le tue fans mi odino, non voglio che i paparazzi comincino a nutrire curiosità per me: io sono una persona come le altre, e non voglio essere la ‘ragazza di Harry Styles, quello dei One Direction.’”
“E’ proprio questo il punto.” Il ragazzo poggiò il capo al sedile della macchina, guardando un punto indefinito dritto di fronte a lui. “Tutte quelle che vogliono stare con me lo fanno per la fama, perché vogliono che si parli di loro, perché pensano di potermi usare per diventare famoso.” La cosa colpì molto July. “Ma poi ecco che torni tu nella mia vita nel momento in cui perdo la speranza: a te non interessa nulla di tutto questo, non vuoi neanche uscire con me, non vuoi che la gente ci veda..” Non potè fare a meno di sorridere. “Tu non sei la regola, e non sei l’eccezione: tu sei la variabile impazzita della mia vita, ed io non voglio fare a meno di te.”
July aprì lo sportello e scese dalla macchina, totalmente frastornata da quelle parole. Harry fece lo stesso e corse, per bloccarla e guardarla dritta negli occhi.
“Ci ho messo più di due anni ad abituarmi alla tua assenza, e non posso permettermi di rimettere tutto in discussione perché tu oggi dici di aver bisogno di me: cosa succederà quando dovrai andare in tour, o quando semplicemente ti stancherai? Mollerai tutto? o peggio, ti obbligherai a rimanere con me?” Domandò. “Non posso chiederti questo.”
“Non me lo stai chiedendo, sono io che lo sto facendo.”
“No..”
“Guardami negli occhi July!” Esclamò, quasi esasperato; la prese per le spalle. “Sembra quasi che tu stia aspettando quel ragazzo di Holmes Chapel con cui studiavi nel parco, ma io non riesco a farti capire che.. sono sempre io, sono ancora io!”
“Non è vero!”
“Sì che è vero, lo sai che è così. So che è difficile abituarsi a tutte queste novità, ma non posso fare altro.. ti prego July.”
“No, no, no.”
“Mi spieghi qual è il problema?”
“Il problema è che mi sentivo meno sola quando non sapevo neanche come stavi, che adesso che ti ho davanti.”

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sempre. ***



Erano passati ormai quattro giorni da quella sera che aveva nuovamente messo in discussione il rapporto tra July ed Harry, e si erano lasciati andare con la promessa di darsi del tempo per pensare; da un lato c’era il ragazzo, che sapeva perfettamente cosa voleva e non era minimamente intenzionato a lasciar perdere, e dall’altro c’era lei, talmente confusa da non sapere neanche più come gestire la situazione. Entrambi avevano rispettato il patto, e non si erano minimamente sentiti: né un sms, né una telefonata, e forse era stato più facile riuscire a fare chiarezza. Non avevano idea di quanto sarebbe durata quella specie di armistizio, ma per il momento entrambi si godevano quella situazione di calma apparente.
La ragazza se ne stava comodamente seduta sul letto con le gambe stese e la schiena poggiata al cuscino, i lunghi capelli scuri costretti in un morbido chignon e la frangia portata indietro e fermata da un cerchietto e da un paio di forcine, così da essere praticamente inesistente; indossava una tuta adidas ed una felpa abercrombie: nonostante fosse ormai estate, faceva un freddo a dir poco incredibile.. cose che capitavano vivendo in una città dove d’improvviso comincia la pioggia torrenziale – come quella fuori dalla finestra quella sera, per inciso. Si era concessa una serata di puro relax, così aveva deciso di metter su il dvd di Dear John, il suo film preferito, e di goderselo in santa pace: accanto a lei due pacchi di fazzoletti, una coperta ed un pacchetto di pop corn.
Quando sentì il telefono cominciare a squillare per poco non saltò in aria, considerando che non se l’aspettava, ma quando lesse il nome di Harry sul display semplicemente lo gettò sul materasso senza alcuna intenzione di rispondere. Il problema, fondamentalmente, era che questo non smetteva di vibrare e di fare casino neanche per un secondo e le stava facendo perdere i punti chiave del film; così, alla quinta telefonata, rispose, intenzionata a dirgliene quattro. Ma nel momento in cui sentì “sono qui fuori, apri.” non riuscì a dire niente di sensato; e così, questo era quello che Harry Styles intendeva per dare del tempo per riflettere? Evidentemente non aveva capito proprio un bel niente, e la cosa la faceva infuriare.
Si alzò a malincuore dal letto, toccando il pavimento con i piedi nudi e dirigendosi verso la porta principale, passando dal soggiorno; infilò la chiave nella serratura e diede i due giri togliendo anche il blocco superiore, prima di aprire e trovarsi davanti un ragazzo completamente bagnato.
“Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara!” Tuonò lei; ma in quell’esatto momento Harry alzò lo sguardo, e July si rese conto della situazione: aveva profonde occhiaie, un volto stanco, sembrava senza forze ed era sotto al pioggia da diverso tempo. “Entra.” Si limitò a dire, mettendogli una mano sulla spalla ed accompagnandolo dentro.
Gli fece strada fino al divano, facendolo sedere, ed una volta lì gli tolse il berretto di lana che indossava e gli passò la mano tra i capelli che grondavano. “Sei completamente fradicio!” Esclamò, squadrandolo da capo a piedi. “Come sei arrivato fin qui? Non in macchina a quanto pare.”
“Ho preso la metro.”
“Tu hai fatto cosa?” Domandò incredula; si accorse poi del labbro inferiore del ragazzo completamente viola e si rese conto che non era il momento per discussioni di quel genere. Corse in camera, prendendo la coperta che aveva poggiato sul letto e tornando da lui gliela poggiò sulle spalle, avvolgendolo e riscaldandolo come meglio poteva. Manteneva un certo autocontrollo non indifferente anche se, nel momento in cui raggiunse la cucina chiudendosi la porta alle spalle, tirò un pugno al muro maledicendosi per non essere in grado di gestire quella situazione come avrebbe dovuto: era nervosa, e si sentiva assolutamente impotente. Non aveva idea di quello che era successo, e non sapeva come aiutarlo. Accese uno dei fuochi del piano cottura, e preparò una cioccolata calda che versò in una tazza presa dallo stipetto sulla destra; mise anche un cucchiaino di zucchero, e quando tornò da Harry si tranquillizzò un po’ rendendosi conto che non tremava più. July teneva quella tazza tra le mani e ci soffiava dentro senza tregua: “Tieni, adesso non è più bollente.” Disse, porgendogliela. Ancora una volta le toccava prendersi cura di lui, ancora una volta si era ritrovata a farlo con tutto l’amore e la compresione del mondo. Si sedette sul tavolino di fronte a lui, poggiando i gomiti sulle gambe e protaendosi in avanti così che il suo volto fosse a poca distanza dal suo.
“Vuoi dirmi che è successo?” Domandò, dissimulando la profonda preoccupazione che provava: aveva bisogno di tranquillità ed equilibrio, non di isteria.
Passarono diversi secondi prima che ricevette risposta, ma  non gli mise fretta: lo osservava sorseggiare quella bevanda calda con mani ancora tremanti e gli occhi bassi, e si chiedeva ogni quanto avesse momenti di quel genere. Sospirando, attese con pazienza che posasse la tazza e poi gli scostò la coperta facendogli alzare le braccia: gli sfilò la maglia azzurro polvere completamente bagnata che indossava, e la mise da parte per ricordarsi di stenderla fuori non appena avesse smesso di piovere. “Non fare quella faccia, lo sto facendo solo per non farti prendere la febbre.” Asserì, accorgendosi del modo in cui il ragazzo aveva alzato lo sguardo, sorpreso e divertito dal fatto che in fin dei conti lo stesse spogliando; ci mise comunque dieci secondi a coprirlo di nuovo con la coperta, sebbene agli occhi di July non sfuggì il modo in cui il fisico di Harry era cambiato: adesso era muscoloso, adulto, perfetto. Scuotendo il capo si distolse da quei pensieri, e per fortuna la voce del ragazzo la aiutò nel suo intento.
“Io non.. non ce la faccio più.” Sussurrò. “Tutti pretendono tanto da noi: le fans vogliono nuove date e continui tour, i manager pretendono che registriamo praticamente ogni giorno.. senza considerare le decine di interviste e servizi fotografici che facciamo ogni settimana.” Spiegò, portandosi le mani tra i capelli. “Amo tutto questo, amo la mia vita, amo il mio lavoro..” Aggiunse. “Ma non sono una macchina! Sono un essere umano, e vorrei solamente potermi riposare un po’.” Scrollò le spalle. “Non riesco neanche più a dormire, sai? Senza considerare il fatto che le mie corde vocali sono arrivate al limite, ed i pettegolezzi mi stanno facendo impazzire.” Sospirò. “Di solito ho i ragazzi accanto a farmi forza, ma io vorrei solo..” Abbassò lo sguardo. “Poter tornare ad essere un semplice ragazzo come tanti altri, anche solo per un giorno: mi manca mamma, mi manca Gemma, mi manca Holmes Chapel, mi mancano i miei amici.” Si vedeva lontano un miglio che lo stress lo stava facendo a dir poco impazzire, e July in quel momento capì cosa c’era stato che non andava in tutto quel tempo: era troppo, troppo per un ragazzo come lui. Tutti erano sempre stati convinti che Harry Styles fosse una persona piena di energie e dalla forza incredibile, ma nessuno di loro sapeva quanto fragile fosse in realtà e di quanto aiuto avesse bisogno in certi momenti.
“Scusa se sono venuto qui, ma non sapevo dove andare e cosa fare.. dovevo solo fuggire per un po’ da tutto.” Si giustificò.
July non riuscì a resistere ed, alzandosi in piedi, si chinò su di lui per poi stringerlo in un forte abbraccio: affondò il volto nel suo petto, mentre sentiva quell’odore di pelle bagnata misto al suo profumo. “Andrà tutto bene Harry, te lo prometto.” Sussurrò al suo orecchio, le braccia ancora intorno al suo collo e le punte dei ricci bagnati che la sfioravano facendole venire dei leggeri brividi lungo la schiena. Entrambi avevano aspettato quel momento per mesi, ed ora che finalmente stavano avendo quel contatto sembrava impossibile essere riusciti a farne a meno per tutto quel tempo. Lei cercava di trasmettergli tutto l’affetto e la vicinanza possibile, mentre lui si riprendeva lentamente e si riscaldava sia fisicamente che emotivamente.
“Ed ora dai, andiamo a vivere una vita da persone normali.” Si affrettò ad aggiungere, sciogliendo da quell’abbraccio ed assumendo un tono di voce assolutamente autoritario, le mani sui fianchi ed un’espressione severa. Lo condusse in camera sua ed il ragazzo non perse neanche un secondo a buttarsi sul letto e prendere il telecomando. “Sai, sembra di essere tornati indietro nel tempo: tv, letto, tu senza frangia, io senza maglietta.. bei ricordi, eh?” Domandò. July non potè fare a meno di ridere, sollevata: sapeva che gli attimi di tristezza del ragazzo si esaurivano sempre in fretta; non che gli passassero, ma semplicemente si nascondevano per venir fuori nel successivo momento di panico. Decise fondamentalmente di fare finta di niente, visto che il suo scopo principale era quello di vederlo tranquillo e prese posto accanto a lui.
“Hai già cambiato? Guarda che mi stavo guardando un film!”
“Conoscendoti l’avrai già visto almeno trenta volte.. vediamo cos’altro c’è.” Perché, c’era modo di discutere con Harry?
Ad un certo punto, si soffermò su un canale di cartoni animati e gli occhi cominciarono a brillargli.
“Non ci posso credere: i fantagenitori!” Esclamò la ragazza, ridendo.
“Ti ricordi quando a Carnevale ci siamo vestiti da Cosmo e Wanda?” Domandò lui. “Era la festa di quella biondina del terzo anno, se non sbaglio: tutti avevano i costumi dei personaggi di Arancia Meccanica o Donnie Darko, e poi ci siamo presentati noi due con quelle parrucche improponibili e le bacchette di cartoncino!”
Scoppiarono a ridere nello stesso istante, sebbene la ragazza ricordasse quella festa come una delle ultime prima della partenza del riccio; non voleva tirar fuori quel discorso, e si limitò a far finta di niente. “Perché, tua madre che ci ha accompagnati ma non riusciva a smettere di prenderci in giro?” Aggiunse. Già, Anne: mancava ad entrambi.
Guardarono quel cartone animato con un po’ troppo interesse a dire il vero: lo facevano sempre, era il loro programma preferito. Il ragazzo si era praticamente disteso ed a tratti ripeteva perfino le battute di quella puntata vista e stravista almeno dieci volte, mentre lei non poteva fare a meno di ridere come una pazza, stringendo a sé il cuscino con la federa bianca sopra.
“Ti ricordi cosa facevi quando ero triste?” Domandò lui inaspettatamente. “Mi portavi un pacchetto fatto con un tovagliolo e chiuso con un nastro rosso: dentro c’erano sempre tre Haribo.” Sorrisero entrambi. “Una per far passare la tristezza, una per non pensarci più..”
“..ed una per sorridere.” Concluse lei. Come avrebbe potuto dimenticare?
Erano arrivati in quella fase in cui certe cose da dolorose, avevano cominciato ad essere semplicemente ricordi.. piacevoli, ma pur sempre ricordi; era come se entrambi si stessero arrendendo al fatto che il passato, per quanto vivo, era pur sempre passato e che certe cose non sarebbero potute cambiare.
July si voltò verso Harry per cominciare un nuovo discorso, ma quando poggiò gli occhi su di lui, si rese conto che si era appena addormentato: aveva un volto tenerissimo, sembrava quasi un bambino. Sorridendo, la ragazza si alzò dal letto e tornò in soggiorno, mettendo la tazza in lavastoviglie e stendendo berretto e maglia fuori visto che aveva finito di piovere.. alzò lo sguardo al cielo, e scosse appena il capo. Poi decise di andare di nuovo in camera da letto e si chinò sul ragazzo, lasciandogli un leggero bacio sulle labbra. “Ricominciamo, Harry.” Sussurrò.
Infine, prese posto su una poltroncina proprio lì vicino a si rannicchiò su stessa, le ginocchia strette al petto e le braccia che le avvolgevano, e rimase tutta la notte sveglia per guardarlo dormire beatamente nel suo letto, come non faceva ormai da anni.




Angolo Scrittrice.
Sono piuttosto desolata nel dirvi che questo sarà l’ultimo capitolo per un po’ di tempo: dopdomani all’alba, infatti, parto e vado in Irlanda due settimane; da lì non potrò aggiornare, ma prometto di pubblicare un capitolo non appena torno.
mi mancherete.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** For me, for you. ***




Quando Harry Styles aprì nuovamente gli occhi, la luce del sole filtrata dalla tenda colpì il suo volto con vaga convinzione, aiutandolo forse in quell’impresa che si stava rivelando il risveglio. Si guardò intorno incuriosito, rendendosi immediatamente conto del fatto che fosse solo e spostò il lenzuolo dal suo corpo in modo da potersi finalmente alzare; l’orologio accanto a lui segnava quasi mezzogiorno ma non si sorprese granchè considerando che aveva talmente tanto sonno arretrato che non sarebbe bastato il letargo per farglielo recuperare. Raggiunse la cucina con passo piuttosto incerto, alternando sbadigli a stiracchiamenti e, quando finalmente si ritrovò davanti al tavolo dove aveva mangiato i cereali con July, notò la presenza di un sacchetto in carta che sembrava proprio attendere lui; aprendolo, ne estrasse un cupcake al triplo cioccolato che divorò in pochi secondi, leggendo un post-it giallo poco lontano: “non fare come se fossi a casa tua, limita i danni e tutto andrà bene. Ps: sono a lavoro, torno dopo pranzo. J.” Era incredibile come la ragazza avesse comunque trovato modo di prendersi cura di lui, sebbene non fosse in casa! Sorridendo, il riccio decise di dar sfogo a tutta la sua curiosità e cominciò a frugare molto poco educatamente in giro per la casa fin quando non trovò un paio di moleskine nere abbandonate sul fondo di un cassetto in camera da letto, ben nascoste dalla biancheria intima – non chiedetevi per quale ragione stesse esplorando proprio quel reparto del vestirario della ragazza.
Si sedette nuovamente sul letto dal quale si era alzato appena una decina di minuti prima e cominciò a sfogliarne uno, con aria piuttosto interessata; un’espressione di incredibile sorpresa colorò il suo volto nell’esatto istante in cui si rese conto di aver proprio trovato i due diari che la ragazza aveva scritto quando era poco più piccola.. uno, del periodo in cui si erano conosciuti e che avevano trascorso insieme, l’altro invece, del tempo intercorso tra la scomparsa del ragazzo ed appena un mesetto prima. Una parte di lui gli diceva chiaramente di metter giù tutto e fare finta di niente, ma ce n’era un’altra troppo ingombrante che gli stava imponendo di appropriarsi di tutti quei momenti che erano sempre stati suoi, anche se non l’aveva mai saputo. Si immerse nella lettura stendendosi supino sul letto, mentre i suoi occhi chiari divoravano quelle pagine ad una velocità sempre maggiore: era incredibile il numero di volte in cui compariva il suo nome, ed era ancora più assurdo il fatto che con quell’inchiostro erano stati imprigionati tutti quei ricordi così importanti, passo dopo passo. Con un sorriso si ritrovò a rivivere le giornate al mare nonostante il freddo, i pomeriggi di studio, la vacanza fatta insieme a Natale, i momenti trascorsi fuori dal mondo, le nottate ad esplorare le vecchie fabbriche abbandonate di Holmes Chapel, le albe viste da una terrazza in campagna.. tutto, c’era semplicemente tutto. sentì uno strano groppo in gola: era come tornare indietro, come se quel diario non fosse altro che una porta che l’avrebbe condotto direttamente tra le braccia di quella quindicenne da cui lui stesso si era allontanato. Quindici interi mesi in una sola agenda, tra date confuse e polaroid infilate tra le pagine, tra quei sedicesimi compleanni e quegli esami scolastici; voltare l’ultima fu come andarsene di nuovo, con la consapevolezza di poter tornare indietro ogni volta semplicemente grazie a quelle parole.
Il momento peggiore, però, arrivò quando aprì l’altra moleskine.. lì c’era tutto quello che non aveva vissuto, tutto quello a cui non era stato presente; ma non era esattamente una cronaca di ciò che accadeva, era più che altro una lunghissima lettera aggiornata giornalmente. Sbigottito, rilesse più volte le prime tre righe della prima pagina che così recitavano: “Caro Harry, quando leggerai queste parole vorrà dire solamente che la vita è stata troppo forte per noi e che, giunti ad un bivio, abbiamo deciso insieme di perderci per sempre.” Decise allora di non addentrarvisi oltre, ma semplicemente di chiudere quel piccolo quadernetto per illudersi che tutto quello non sarebbe accaduto mai. 
Un rumore di chiavi lo distrasse dal rimuginare ancora su quanto aveva appreso, e fu costretto ad alzarsi di colpo per nascondere quel piccolo segreto in fondo a quello stesso cassetto, che chiuse senza far rumore. Uscì per la seconda volta dalla camera da letto fingendosi ancora assonato così da non destare sospetto, ed incontrò gli occhi scuri e vivaci della ragazza che era appena tornata dal lavoro con in mano due cartoni di pizza che reggeva in un equilibrio piuttosto precario; si avvicinò a lei prontamente, salvando la situazione e poggiando il cibo sul tavolo.
“Sono andata via un’oretta prima.. ho pensato che magari avremmo potuto pranzare insieme.” Asserì lei, abbassando appena il capo.
“Splendida idea!” Rispose lui, sorridendo.
Si sedettero a tavola uno accanto all’altra, gustando senza fretta quella delizia che July aveva avuto cura di prendere per entrambi nella migliore pizzeria della città; d’improvviso, il cellulare della ragazza squillò facendoli sobbalzare entrambi e, prendendolo tra le mani, apparve sotto i loro occhi il nome di Daphne.
“Pronto?”
“Dimmi che Harold è con te!”
“Bhè, in effetti è proprio qui.”
Il sospiro di sollievo che si udì fu collettivo, più che altro. “Oddio July, non sai che notiziona ci hai dato.. potresti mettere un secondo in vivavoce? I ragazzi qui vorrebbero dire due parole al tuo amico.” Fece come le era stato detto, sotto lo sguardo palesemente terrorizzato di colui che era stato chiamato in causa.
“Ti sembra modo di fare, questo?” La voce di Liam era piuttosto arrabbiata, a dire il vero. “Sei totalmente scomparso nel nulla, ed il tuo cellulare squilla a vuoto da ieri notte: ci hai fatto prendere un colpo, non farlo mai più!” Era raro sentirlo in quel modo, ma era chiaro che si comportasse così solamente perché si era veramente preoccupato.
“Scusami.. è solo che..”
“Non dire niente, lo sappiamo.” Intervenne Zayn, leggermente più calmo. “Adesso è meglio che andiamo a tranquillizzare Paul: se non gli è venuto un infarto stanotte, non gli verrà mai più.”
“Digli che più tardi mi farò vedere.”
“Tranquillo.” Niall ebbe una lieve inflessione nella voce.
“Torna presto.” Concluse Lou, prima che la telefonata si chiudesse.
Era successo tutto talmente in fretta che la povera ragazza dai capelli scuri rimase interminabili secondi a fissare lo schermo del telefono senza riuscire a capire cosa fosse realmente successo: per chi non era abituato ad avere a che fare con quei cinque ragazzi, risultava piuttosto difficile riuscire a stargli dietro. “Siete sempre.. così?”
“Non sempre.. quando dormiamo siamo tutti più calmi.” Confortante, davvero. “Oh, tranne Niall: lui parla perfino quando dorme quindi per lui questa regola non vale poi granchè.” Harry scrollò le spalle, addentando un triangolo di pizza ancora fumante e gustando senza ritegno la mozzarella filante.
“Si vede che ti vogliono bene.”
“Siamo una famiglia.. noi, e le fans.” Un sorriso colorò il suo volto. “E’ difficile da spiegare a dire il vero, ma un giorno capirai.”
“Dici?”
“Ne sono sicuro.” Si versò dell’acqua in un bicchiere di vetro che aveva afferrato al volo protaendosi verso il ripiano in marmo della cucina. “Comunque sì, ci vogliamo molto bene: a volte mi sento come se avessi a che fare con quattro July White che mi tengono d’occhio, non so se hai presente la sensazione.”
“Non so se tu l’abbia detta come una cosa carina, ma ti giuro che aveva un non so cosa di terribilmente inquietante.”
“In effetti, lo è.” Asserì con vago disinteresse, estraendo finalmente dalla tasca dei jeans il suo iPhone; come immaginava, vi erano almeno una ventina di chiamate perse ed innumerevoli sms da leggere che vennero immediatamente gettati nel dimenticatoio. Quando il ragazzo alzò nuovamente lo sguardo, notò July accanto a lui che sembrava proprio intenta a scattare una foto al pranzo ancora a metà.
“Che stai facendo?”
“La metto su Instagram!” Esclamò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Oggi non ho ancora pubblicato niente, devo rimediare.”
Harry sgranò gli occhi, rimanendo praticamente a bocca aperta e cercando di mettere a fuoco la scena più volte possibile.
“Che c’è?” Domandò allora la ragazza, notando lo sbigottimento.
Lo vide alzarsi in piedi ed avvicinarsi; poi si accorse che si abbassò, mettendosi in ginocchio davanti a lei e prendendo la mano destra della ragazza tra le sue.
“Tu, July White, in onore di Instagram, vuoi diventare mia moglie?”
“Ma che problemi hai?!” Asserì in tutta risposta lei, arrossendo fino alla punta dei capelli e dissimulando l’imbarazzo.
“Tu usi Instagram..” Spiegò, scrollando le spalle. “Non puoi che essere la donna della mia vita.” Detta in quel modo sembrava seriamente la cosa più semplice e naturale del mondo, ma a pensarci bene era in realtà qualcosa di piuttosto psicopatico. Con un leggero saltellino, il ragazzo tornò in piedi e si voltò, approfittando di un secondo di distrazione per scattarle una foto a cui applicò un semplice effetto e che pubblicò su twitter ed instagram in meno di tre secondi. Nello stesso istante in cui July se ne accorse, si sbilanciò in avanti fino a strappargli il telefono dalle mani e si rese conto di ciò che stava per accadere.
“Cancellala, immediatamente!”
“Per quale motivo?”
“Per.. per quale motivo?!” Si stava alterando. “Ma stai scherzando?!”
“Non ti si vede neanche in viso: sei leggermente girata ed i capelli ti coprono abbastanza perché tu sia irriconoscibile.. poi si vedono le braccia e la maglietta, ma credo che tu non sia l’unica ragazza al mondo ad avere degli indumenti azzurri.”
Ma July, non lo stava minimamente ascoltando: si era alzata in piedi, ed era andata ad afferrare il portatile che giaceva spento sul divano. Una volta entrata su twitter, cercò immediatamente ‘Harry Styles’ nella barra in alto a destra e ne aprì l’account.
“Tu non mi segui?”
“E perché dovrei?” Rispose lei, di rimando. “E se mi rispondi con ‘perché io sono Harry Styles’, giuro che ti faccio sbattere la testa contro il tavolo talmente forte da farti perdere i sensi per almeno una settimana.”
“Oh..” Pausa. “Allora sto zitto.”
“Per una volta, hai preso la decisione migliore.”
Cliccò sul link, ed aprì la foto appena pubblicata: in effetti non si capiva di chi si trattasse, a meno che non si conoscesse July in prima persona.. ma la cosa che più la colpì, furono i commenti sotto la foto: la disperazione che si leggeva in quei tweet, di tutte quelle fans che cercavano di capire chi fosse la misteriosa ragazza in compagnia del loro idolo. Scuotendo appena il capo, cliccò sulla propria icon così da poter entrare nel proprio profilo: Harry, nel frattempo, aveva mentalmente appuntato il nickname così da poterle dare il follow non appena arrivato a casa.
“Ci sono un sacco di ragazze perdutamente innamorate di te.” Sibilò. “Almeno cinque milioni, da quel che ho visto.”
“Bhè, sì.. ma in fondo loro sanno solamente chi sono.”
“O forse ti conoscono più di quanto pensi.”
Seguì un vago istante di pausa.
“Di certo non quanto te.”
“E’ diverso..”
“Perché dovrebbe?” Domandò lui, aggrottando appena le sopracciglia. “Dici sempre che non posso capire, che le cose cambiano, ma..” Non riuscì realmente a finire la frase perché prima che se ne rendesse conto, la mano destra di July si era soffermata sulla sua nuca e le labbra si erano poggiate sulle sue. C’era disperazione in quel bacio, c’era rimorso e vendetta, c’era dolore e c’erano ricordi.. c’era passione, c’era dolcezza ed interesse, c’era necessità e solitudine; c’era amore, un amore che aveva imprigionato silenziosamente i loro cuori per tutto quel tempo, e che adesso gridava per potersi liberare di nuovo, e per poter tornare a volare. Harry si alzò in piedi, avvicinandosi alla ragazza e prendendole il volto tra le mani: piegarono il capo così da potersi sfiorare alla perfezione, e July increspò il naso nel momento in cui sentì quei ricci farle il solletico. Si sbilanciò leggermente in avanti, poggiando una mano sul suo petto e lasciando che l’altra sfiorasse quel viso praticamente perfetto.. gli morse appena il labbro inferiore senza fargli male, prima di perdersi ancora una volta in quel rapido e costante contatto , in quel gioco che stavano facendo ormai da diversi secondi. “Mi sei mancato.” Sussurrò, prima di sentire le labbra del ragazzo incurvarsi in un lieve sorriso che provocò la comparsa di quelle due piccole fossette. “Lo so.” Rispose lui; in tutta risposta ricevette un lieve schiaffo sul braccio, che lo fece sorridere ancora una volta e gli fece scuotere appena il capo. Quando lei provò a scostarsi appena per interrompere il bacio, lui le mise una mano tra i lunghi capelli neri e la fece avvicinare a sé, per godersi ancora un po’ quello che per tanto tempo era mancato. Harry Styles di donne ne aveva avute a decine, ma si rese conto che niente sarebbe mai stato paragonabile a quello che voleva dire baciare quella che amava: tutto andava al proprio posto, tutte le preoccupazioni sparivano per lasciar spazio ad una sensazione di quiete e pace imparagonabile, tutto ciò che era inquadrato entro schemi precisi impazziva per perdersi tra luci e colori, il mondo esterno spariva senza che importasse poi realmente; sentire quel brivido lungo la schiena, così diverso da quelli che si avevano quando si provava una semplice attrazione fisica.. tutto, tutto era perfetto.
E July, così forte dei suoi ricordi, aveva abbattuto quel muro di orgoglio che si era costruita, ed aveva lasciato che il passato annegasse in quegli occhi verdi che non aveva smesso di aspettare neanche per un istante. Quante volte aveva creduto che le cose sarebbero state diverse, quante volte aveva pensato che non ci sarebbe più stata quell’intesa.. ed adesso, adesso che tutto era come doveva essere, si sentiva una stupida per aver creduto di poter fare a meno di lui e ringraziò il cielo di non essere riuscita ad allontanarlo, come aveva cercato di fare per tutto quel tempo.
Ci fu solamente silenzio, quando lui  poggiò delicatamente la proria fronte su quella della ragazza e socchiuse appena gli occhi respirando a fondo.
“Non andartene, non farlo mai più.”
“Te lo prometto July.” Prese la sua mano, facendo in modo che le dita si incastrassero alla perfezione e la portò sopra il suo cuore che batteva all’impazzata. “Possibile che tu sia l’unica in grado di farmi stare così?” Domandò retorico, sorridendo; poi scosse il capo.
La ragazza lo guardò per lunghi istanti, appropriandosi di tutti quei piccoli movimenti, di tutte quelle espressioni, di ogni millimetro di quella pelle pallida, di ogni emozione che passava da quegl’occhi, di quel sorriso, di quella voce profonda.. appropriandosi dell’unica persona che era sempre stata sua, e che sempre lo sarebbe stata.
Poi, semplicemente, si alzò in piedi e raccolse le cose del pranzo per gettarle nella pattumiera, prima di andare a lavarsi le mani e sciacquarsi appena il viso per riacquistare un po’ di lucidità. Quando fu di nuovo di fronte al ragazzo, gli passò una mano tra i ricci con un vago sorrisetto.
“Voglio conoscere i ragazzi.” Disse, seria.
Harry alzò lo sguardo senza tentare neanche minimamente di nascondere il suo stupore. “Ma..”
“Lo so che è una cosa importante, e credo di essere pronta. Se voglio avere te, devo lasciare che loro entrino nella mia vita..” Rispose. “Non voglio più dover aspettare.”
Lui annuì, poi si mise a sua volta in piedi e la baciò di nuovo, stringendola a sé come per non lasciarla davvero più andare.

 
 


Angolo scrittrice.
Mi scuso con ognuna di voi per l’attesa, ma purtroppo mi sono trasferita al mare e lì non ho una connessione internet; capite bene, dunque, che per me è molto difficile riuscire a mettere i capitoli anche se proverò a fare qualcosa per accellerare i tempi, d’ora in poi.
Questo è stato molto difficile perché ho l’ansia di aver deluso le aspettative ed avrò paura quando aprirò le recensioni.. dal prossimo, le cose cambieranno ancora quindi godetevi questi momenti di pace.
Vi voglio bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Perchè lei? ***



“Trenta secondi.” Suggerì in fretta uno degli addetti al backstage passando davanti ai ragazzi con lo sguardo fisso su alcuni fogli che stringeva nelle mani, ben attento alle comunicazioni che gli venivano fatte grazie ad un piccolo auricolare che teneva nell’orecchio. Era suo preciso compito aver cura che tutto andasse per il meglio durante quegli spettacoli, ed una semplice e piccola distrazione avrebbe potuto compromettere giorni di preparativi.
“Ci siamo!” Esclamò Liam, saltellando appena sul posto come per riscaldarsi. Sorridendo, tutti e cinque si strinsero in un forte abbraccio che era ormai diventato una specie di rito propiziatorio: l’avevano fatto trenta secondi prima dell’inizio del loro primissimo concerto, e non avevano mai smesso. Rimasero così, in silenzio,gli occhi socchiusi e le urla della folla lì fuori già nelle orecchie.
“Dieci secondi.” Li avvisarono, mentre si disponevano ai lati della scala che li avrebbe condotti direttamente sul palco; un ragazzo con la maglia dello staff li raggiunse passando i cinque microfoni, ed ognuno di loro lo impugnò con risoluzione, mentre il cuore mancava ancora qualche battito. D’improvviso Harry ruppe la tradizione e, correndo, scese quei quattro scalini sui quali era appena salito e raggiunse una ragazza dai lunghi capelli scuri che era rimasta poggiata lì al muro ad aspettarli; la strinse forte a sé dandole un bacio, e sorrise nel momento in cui sentì quel “buona fortuna, Harry Styles”. Poi il conto alla rovescia finale cominciò, e furono costretti a cominciare a correre così da poter fare la loro solita entrata sul palco.
July rimase lì, ferma nell’esatto punto in cui Harry l’aveva raggiunta poco prima, ed osservava distrattamente tutto quello che aveva intorno; solamente il giorno prima aveva detto al riccio di voler conoscere i ragazzi ed adesso eccola lì: avevano approfittato del fatto che proprio quella sera ci sarebbe stato un concerto a Londra, e lei si era praticamente intrufolata nel backstage. Lì aveva davvero conosciuto personalmente i One Direction e, superato un primo momento di disagio, aveva dovuto ammettere che la loro compagnia era piuttosto piacevole.. a rompere il ghiaccio era stato proprio Styles che aveva esordito con un ‘vi presento la mia ragazza’ che aveva lasciato tutti a bocca aperta per vari secondi, la diretta interessata in primis. Aveva assistito innanzitutto al soundcheck, si era divertita come una pazza guardandoli sul palco, e poi li aveva accompagnati ad una rapida intervista radiofonica appena prima di tornare alla venue; incredibilmente, Harry aveva passato tutto il tempo prima di salire sul palco in compagnia di July: erano stati accoccolati teneramente su un divanetto nel camerino in silenzio mentre lui faceva qualche esercizio vocale e lei gli accarezzava i capelli, si erano tenuti la mano mentre veniva truccato ed infine l’aveva accompagnato fino a dietro il palco. Gli altri quattro ragazzi avevano preso di buon grado quello che stava accadendo: era difficile vedere Harry così devoto verso una ragazza, e non potevano che essere felici di quella nuova aria che si respirava; senza considerare che a tutti loro July era piaciuta particolarmente, soprattutto a Liam e Niall – che avevano subito tentato di fare di tutto per farla sentire a suo agio.. figuriamoci che il biondo le aveva anche offerto il suo ultimo taco e, diciamocelo, quella non era una cosa che accadeva tutti i giorni! Purtroppo non aveva avuto modo di approfondire la conoscenza perché il ritmo era piuttosto frenetico e non c’era neanche tempo per respirare, ma sapeva che ci sarebbero state altre occasioni per farlo.
“July!” Si sentì chiamare; voltandosi, riconobbe Lou – la truccatrice dei ragazzi, nonché madre della piccola Lux. “Vieni.” Le fece cenno.
La seguì, fino a trovarsi in uno spazio piuttosto ampio: c’erano delle panche con sopra cinque diversi cambi di abbigliamento sistemati l’uno accanto all’altro e che aspettavano solamente i ragazzi, mentre alcuni membri dello staff erano lì in attesa del loro arrivo.
“Tra poco verranno qui.” Le spiegò, sorridendo. Si spostò, andando a prendere la trousse che portava sempre con sé, ed aprendo alcune confezioni, mentre con la mano sinistra sistemava i pennelli sul tavolo. “Hanno circa un minuto per cambiarsi ed essere truccati, è assolutamente necessaria la coordinazione.”  Indicò le persone che si muovevano in fretta intorno a loro, e scrollò appena le spalle. “Ad un certo punto ci si abitua.”
“Lo spero..” Rispose July, vagamente confusa.
“Me la togli una curiosità?” Domandò; si vedeva che era quel genere di persona che non si faceva molti problemi.
“Certo!”
“Come mai non sei tra il pubblico?” Aggrottò appena le sopracciglia. “Intendo.. di solito Eleanor si mette nella prima fila del parterre, e lo stesso fa Danielle.” Era capitato infatti che anche quelle due ragazze assistessero a dei concerti. “Ma tu, a quanto pare, hai esplicitamente chiesto di rimanere nel backstage.. dove nessuno può vederti.” Piuttosto diretta, insomma.
“Non voglio che il mio nome venga associato a quello di Harry, non ancora.” Rispose. “L’attenzione dei giornali e delle fans creerebbe solamente un caos che porterebbe una serie di immensi problemi e non è il momento: ci abbiamo messo praticamente due anni per ritrovarci, non voglio che le cose vadano male.”
“Ci tieni davvero tanto, eh?”
Abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente.  Non ebbe tempo di rispondere perché d’improvviso tutti cominciarono a correre in qua e in là, prima di prendere la propria postazione e puntare lo sguardo verso il punto esatto in cui nel giro di quindici secondi sarebbero spuntati i ragazzi. Quando arrivarono, una decina di persone si fiondò su di loro cominciando a spogliarsi ed aiutandoli ad indossare il cambio; Lou si destreggiò alla perfezione in quel groviglio di braccia e riuscì ad aggiustare il trucco di ognuno di loro. Scapparono praticamente subito ma, passando davanti a July, Harry trovò il tempo di sfiorarle la mano; quel poco bastò, più di qualunque altro gesto plateale.
 
“Sicura di non voler venire con noi?” Domandò Zayn.
“Sì.” Rispose lei. “Se c’è un modo alternativo per allontanarmi da qui, sinceramente, lo preferisco: attirerei troppo l’attenzione se salissi sul vostro bus, e non mi sembra il caso.” Spiegò.
“Non vedo il problema: voi ragazzi ve ne andate come al solito, poi lei esce e viene via con noi; o ci ritroviamo direttamente a Manchester, o alla prima occasione ci fermiamo e lei vi raggiunge cambiando bus e salendo sul vostro.” Intervenne tranquillo Josh, infilando le bacchette nello zaino che aveva già in spalla: quella notte stessa avrebbero dovuto raggiungere Manchester, dove la sera seguente avrebbero avuto un’esibizione per beneficienza prima di tornare di nuovo a Londra; July, ovviamente, li avrebbe seguiti. Tutti si voltarono verso Paul che rimase a pensarci su per qualche istante, prima di voltarsi verso Preston ed annuire con il capo.
I cinque ragazzi (che si erano cambiati ed avevano indossato degli indumenti più comodi rispetto agli smoking con cui chiudevano i concerti) respirarono profondamente prima di aprire la porta e ritrovarsi nel freddo della notte, per percorrere quel breve tratto che li separava dal mezzo di trasporto che li attendeva; Paul stava all’erta, cercando di gestire come meglio poteva la situazione e si sorprese molto del fatto che le fans sembrassero stranamente più calme del solito; era davvero un sollievo non doversi creare un varco tra la folla per far passare indenni quei cinque adolescenti di cui era ormai il baby-sitter! Salendo sull’autobus, ognuno si sistemò al proprio posto e si rilassò, prima che l’autista mettesse in moto e si allontanasse con tutta la tranquillità possibile, pronto ad immettersi nell’autostrada.
“Allora ragazzi, che ve ne sembra?” Domandò a quel punto Harry, voltandosi verso gli altri che stavano proprio aspettando che quel discorso venisse fuori.
“E’ molto dolce, si vede.” Rispose subito Liam, togliendosi la felpa grigia che indossava e stendendosi comodamente.
“Ed è perdutamente innamorata di te.” Aggiunse Niall.
“Dici?”
“Ma dico, hai visto il modo in cui ti guarda? Fa venire i brividi da quanto è intenso, e bello.” Spiegò subito Zayn che, tra tutti, era sempre stato quello che faceva più attenzione a questo genere di cose.
“Sì, lo so.” Si limitò a dire Harry, sorridendo e sistemandosi il berretto in lana azzurro cenere che indossava.
“E insomma, sembra proprio che il nostro latin lover abbia messo la testa a posto!” Esclamò ridendo Louis. “Eri rimasto l’unico single, direi che era ora che ti dessi una mossa.” Tirò fuori dalla tasca il suo iPhone bianco e cominciò a scrivere un sms che avrebbe mandato ad Eleanor: lo faceva ogni sera, ma quella sera era particolarmente felice visto che lei lo stava proprio aspettando a Manchester.
“Certo che anche tu sei piuttosto cotto di lei, eh?” Intervenne di nuovo il biondo. “Sembri un quindicenne.” Non c’era alcuna cattiveria in quella frase e tutti, il riccio per primo, cominciarono a ridere.
Harry prese il telefono tra le mani e compose il numero della ragazza, così da poterle chiedere a che punto fossero e mettersi d’accordo su dove fermarsi per farle fare il cambio di autobus; ma squillava a vuoto, e convincendosi che nel rumore non dovesse riuscire a sentirlo, si ripromise di farlo dopo. “Paul?” Lo chiamò, facendolo avvicinare a loro. “Preston è sul bus della band, giusto?” Domandò, una volta che il bodyguard fu vicino a loro. “Puoi metterti in contatto con lui? Voglio sapere se sono usciti dalla venue e sono già per strada, oppure no.”
“Nessun problema.” Disse l’uomo, prendendo il telefono e componendo in fretta il numero del collega. “Pronto Preston? … Tutto okay?” Vari secondi di silenzio. “Stai scherzando?” Il tono della sua voce si fece allarmante. “Spiegami esattamente cos’è successo.” Dovette sedersi. “Chi è?” Silenzio. “Avete chiamato l’ambulanza?” A quel punto, i ragazzi drizzarono le orecchie e si misero in ascolto. “Prendo un taxi e torno indietro: non posso far cambiare strada ai ragazzi o non arriveranno prima di domani mattina.” Annuì. “Il tempo della strada, ed arrivo.” Disse alzandosi in piedi e raggiungendo l’autista; gli diede precise disposizioni di uscire dall’autostrada appena possibile e di lasciarlo in un luogo che avrebbe potuto indicare ad un taxi che sarebbe venuto a prenderlo: per fortuna non erano ancora usciti da Londra, ma si trovavano all’altezza della periferia.
“Cos’è successo?” Domandò subito Liam, quando l’uomo tornò da loro.
“C’è stato troppo movimento quando la band è uscita, e le fans sono a dir poco impazzite: sono diventate assolutamente incontenibili.” Spiegò, serio. “Una ragazza è caduta a terra ed ha sbattuto la testa.. ha perso i sensi, e non li ha ancora riacquistati.”
Seguirono vaghi istanti di silenzio.
“Una fan?” Domandò Louis.
“No.” Rispose Paul, abbassando lo sguardo.
Ci vollero alcuni istanti perché i ragazzi riuscissero a ricollegare i fatti ma, quando la realtà apparve sotto i loro occhi, fu a dir poco raccapricciante. Il telefono di Harry cadde dalle sue mani, raggiungendo il suolo con un tonfo sordo; Niall si alzò immediatamente in piedi, seguito dagli altri, ed insieme raggiunsero il ragazzo dai capelli ricci che fissava un punto nel vuoto scuotendo il capo con forza.
“No, no, no..” Sussurrava, gli occhi spalancati. “Non lei, non.. non lei..” I ragazzi tentavano di tranquillizzarlo come meglio potevano, ma ad un certo punto Harry si alzò in piedi con rabbia e si diresse verso Paul. “Portami da lei.” Lui scosse il capo. “Portami da lei adesso, Paul!” Non era una domanda, ed i suoi occhi erano praticamente inniettati di sangue: stava per impazzire, non poteva credere a ciò che aveva sentito.. sicuramente stavano scherzando, o c’era stato un errore: sarebbero tornati indietro ed avrebbero trovato July seduta su uno scalino con in mano una cioccolata calda, che li avrebbe aspettati e sarebbe scoppiata a ridere nel vedere i loro volti spaventati.
Fu proprio mentre il ragazzo di ripeteva che tutto sarebbe andato bene, che riuscirono ad immettersi nella corsia opposta dell’autostrada ed, infrangendo qualunque limite di velocità, tornarono alla venue e raggiunsero l’altro bus, ancora fermo dove l’avevano lasciato. Harry fu il primo a scendere; l’unica cosa che voleva era vederla, vederla ancora sorridere, vedere ancora i suoi occhi chiari... ma le fans erano ancora lì, e non era sfuggito a nessuno il ritorno dei ragazzi. Era bastato semplicemente che una di loro urlasse il loro nome, ed ecco che la notizia della ragazza a terra era passata in secondo piano: i One Direction erano di nuovo lì, ed ogni occasione era buona per tentare di parlare con loro. Così, il ragazzo dai capelli ricci era stato in pochi istanti accerchiato e bloccato da quelle ragazzine urlanti che cercavano irrispettosamente di atirare la sua attenzione; qualche flash lo accecava, qualcuna lo tirava per un braccio e più lui tentava di farsi largo per raggiungere ciò che gli interessava, più queste aumentavano chiedendo attenzioni. Perché non capivano? Perché, se dicevano tanto di amarlo, non lo lasciavano andare via? Era solamente a cinque passi, ma la distanza sembrava infinita. Gli altri quattro avevano a loro volta raggiunto la strada e cercavano di fare tutto il possibile per far largo ad Harry, ma la situazione, invece di migliorare, aveva finito per complicarsi ancora di più; neanche l’intervento di Preston, Paul e dell’intero corpo dei bodyguard stava davvero servendo a qualcosa. Intravedeva gli occhiali da vista di July a terra, probabilmente volati via dal suo volto dopo la caduta, e riusciva a distinguere le scarpe rosse senza poter vedere oltre.. era così frustrante.
“Ragazze, vi prego!” Supplicò ad un certo punto, mentre le lacrime gli riempivano gli occhi chiari e cominciavano a sgorgargli sulle guance. “Fatemi solo passare.”
Cercare di farsi largo con la forza non serviva a niente, e le sue parole cadevano nel dimenticatoio tra tutte quelle voci che si perdevano nell’aria. Si coprì il volto con le mani, e cominciò a singhiozzare disperatamente per la rabbia, e per l’impotenza che sentiva. Chiedeva forse troppo? Due minuti, solo due.
Tutti si fermarono nel vedere un Harry Styles così dannatamente fragile, e si sorpresero molto di quelle scoperta: abituate com’erano ad avere di lui l’immagine dello spezzacuori, sembrava assurdo che potesse davvero avere dei sentimenti. E tutto questo solamente per una semplice fan che si era fatta male? Era incredibile.
Il suono della sirena dell’ambulanza interruppe il caos, ed i paramedici scesero in fretta con la barella; vi sistemarono sopra la ragazza, facendole indossare subito il collare per tener ferma la testa così da evitare un’aggravarsi della sua situazione. Uno di loro si fece spiegare le dinamiche dell’accaduto, mentre altri due tentavano disperatamente un massaggio cardiaco.
“Dobbiamo portarla in ospedale, adesso.”
Proprio mentre si stavano muovendo per riportare la barella sul retro della vettura, Harry approfittò di quei momenti di distrazione per spingere un paio di ragazze e riuscire a raggiungerla. I capelli arruffati si confondevano tra di loro in morbidi nodi che si erano creati, e dalle labbra dischiuse non usciva neanche un filo di fiato.. il braccio destro era steso e la mano aperta ed immobile con il palmo all’insù, mentre le dita venivano sfiorate dal vento ma non riuscivano a reagire. Sembrava addormentata, come se fosse semplicemente troppo stanca per riuscire a muoversi ed avesse deciso di riposarsi; non l’aveva mai, mai vista così bella in tutta la sua vita. Si chinò su di lei, sfiorandole il volto con la mano tremante, piegando leggermente il capo di lato ed osservandola per degli istanti che parvero eterni; cercò disperatamente di ricordare, disperatamente di farcela, disperatamente di riuscire. Le passò un dito sulle labbra rosee, prima di lasciarvi un leggero e delicato bacio: ebbe un tuffo al cuore quando si accorse del fatto che fossero praticamente di ghiaccio. Perché non si svegliava? Avevano finalmente avuto il lieto fine dopo tutto quel tempo, non poteva davvero finire in quel modo. La prese per le spalle, cominciando a scuoterla prima piano e poi sempre con forza maggiore, mentre sussurrava il suo nome a ripetizione continua e la vista era totalmente offuscata dalle lacrime che ormai avevano inondato senza ritegno il suo volto. Lo stava solo prendendo in giro, non poteva davvero essere in quel modo.. era uno scherzo, uno dei tanti. Perse il controllo di sé, quando il medico si avvicinò e gli bloccò le mani.
“Potrebbe avere un trauma cranico ed è assolutamente necessario che la testa rimanga ferma, altrimenti l’ematoma potrebbe peggiorare.” Era comprensivo, ma deciso.
Il ragazzo crollò sulle ginocchia, portandosi le mani sul volto e cominciando a piangere inconsolabilmente: si sentiva impotente, e debole. Quando Louis gli mise una mano sulla spalla, lui se la scrollò con forza, quasi urlando: non voleva nessuno accanto, non voleva che nessuno cercasse di consolarlo.. voleva solamente capire cosa diamine fosse successo.
 
Le luci della città scorrevano rapide fuori da quel finestrino che sembrava più che altro una feritoia; le strade scivolavano, i semafori cambiavano colore, qualche clacson suonava adirato. Tutto andava troppo veloce, mentre gli occhi smeraldo del ragazzo rimanevano puntati su di lei, con l’ago di quella flebo che le bucava la pelle delicata; quel viaggio sembrava non finire mai, quell’ospedale sembrava sempre più lontano. L’infermiere si era immediatamente avvicinato alla ragazza e, dopo aver ricevuto delle istruzioni dal medico e dal soccorritore, le aveva messo una mascherina per l’ossigeno e controllava regolarmente alcuni valori, così da poter mantenere sott’occhio la situaizone.
“July..” Sussurrava ripetutamente Harry che, seduto lì accanto, le stringeva la mano. “Perché mi fai questo?” Domandò, aggrottando appena le sopracciglia. “Ti ho promesso che non me ne sarei più andato, ma non credevo che questo volesse dire che te ne saresti andata tu..” Gli occhi erano praticamente spalancati, ed arrossati: le labbra erano quasi violacee e tremavano violentemente. Era straziante vederlo lì, in quello stato di semi trans, mentre parlava con quella ragazza che non poteva rispondergli neanche volendo. “Tu non puoi abbandonarmi, okay?” Era risoluto. “Semplicemente non puoi.” Scosse il capo. “Perché io ti amo, July Elizabeth White. Ti amo da quando ti ho vista seduta da sola, in quel vestito nero che ti veniva un po’ grande sui fianchi mentre ascoltavi il tuo iPod.” Le carezzò il dorso della mano. “Ti amo da quando mi hai baciato, subito dopo averti detto che quell’esercizio di trigonometria proprio non mi era riuscito.” Sorrise. “Ti amo da quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta, e ti ho amato ogni singola volta che mi hai accarezzato la schiena prima di tremare appena.” Abbassò il capo. “Ti amo, e ci ho messo troppo a capirlo ma non puoi punirmi, non più.” Disse.
“Abbiamo un problema.” La voce dell’autista interruppe improvvisamente quel discorso, ed il silenzio che vi si era creato intorno. “Non possiamo raggiungere l’ospedale, il parcheggio è occupato.”
“Occupato?” Domandò il medico, alzandosi in piedi.
Tutti si voltarono in quell’esatto momento, e lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu tutto, meno che piacevole: decine e decine di fans avevano letto ciò che erano accaduto e, capito immediatamente che Harry Edward Styles avrebbe raggiunto quel preciso ospedale, si erano catapultate lì.. senza rendersi conto dell’emergenza che era in corso, ovviamente. La loro presenza impediva infatti all’ambulanza di raggiungere l’entrata principale e questo comportò una cosa piuttosto scomoda: la barella venne fatta scendere a circa cinquecento metri rispetto a dove avrebbe dovuto, seguita dal medico, dal soccorritore e dall’infermiere; a piedi, raggiunsero un’altra entrata e trovarono altro staff medico ad aspettarli, così da poter condurre la ragazza fino al reparto di traumatologia.
Harry rimase sull’ambulanza con l’autista, che sembrava leggermente confuso ma comunque non del tutto spiazzato. D’improvviso rimise infatti in moto, facendo ben attenzione che la folla si accorgesse di quel particolare e, facendosi largo, raggiunse l’autorimessa dell’ospedale in fretta e furia: quando le fans raggiunsero quel luogo, si trovarono davanti una decina di ambulanze tutte uguali, e non avevano la benchè minima idea di quale fosse quella in cui si trovava il loro idolo. Era palese che fossero riusciti a farcela.
 
“Bel modo di passare inosservati, comunque.” Asserì Niall incrociando le braccia al petto e guardando Louis che, accanto a lui, stava guidando ormai da una decina di minuti. Loro due, Zayn, Liam e Daphne erano a bordo dell’auto di quest’ultima che li aveva raggiunti subito dopo aver ricevuto una chiamata dal suo ragazzo che la avvisava dell’accaduto: fortunatamente si trovava fuori, e non ci aveva messo più di un quarto d’ora a raggiungerli. Quel piccolo diversivo era stato utile per riuscire ad allontanarsi dalla venue passando inosservati, ma quando la polizia era stata avvisata di quei movimenti, aveva mandato due volanti per scortare l’auto con i ragazzi fino all’ospedale.. tantovaleva muoverso con una delle auto di Harry, a quel punto. Un’auto con le sirene spiegate era davanti a loro, mentre un’altra la seguiva da dietro e, nel momento in cui raggiunsero l’entrata, sembrava piuttosto che fosse arrivato un qualche Presidente.. le fans ancora disorientate dalla scomparsa di Harry si ripresero immediatamente quando videro arrivare gli altri, ma non furono abbastanza veloci e la polizia con tanto di rinforzi riuscì a disperdere la folla mentre i cinque entravano da un’entrata laterale dell’edificio, pronti a raggiungere il loro amico.
Questo era seduto in sala d’attesa con la mano tra i capelli e la testa bassa, dondolandosi avanti e indietro senza tregua; si sedettero tutti silenziosamente accanto a lui, senza intenzione di dire alcunchè.
“Non vogliono dirmi niente, non so neanche se sia ancora viva.” Sussurrò lui, quasi senza voce.
“Vedrai che andrà tutto bene.”
“Perché lei, perché proprio lei?” Domandò.
“Non lo so Harry, non lo so.”

 
 
Angolo Scrittrice.
Un ringraziemento speciale a mio padre, che ha lavorato in ambulanza per tanti anni e mi ha aiutato tantissimo nello scrivere questo capitolo; insieme abbiamo deciso gli sviluppi anche successivi.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Lentamente. ***


“...senza considerare che Niall stava andando a sbattere contro la porta a vetri, proprio mentre i fotografi ci avevano accerchiati!” Non potè trattenere un sorriso. “Louis è dovuto uscire correndo, per non scoppiargli a ridere in faccia – non che di solito si faccia molti scrupoli al riguardo, in ogni caso.”
Le accarezzò il dorso della mano che stringeva tra le sue, con movimenti leggeri e regolari che erano diventati più che altro un modo per sentirla vicino; gli era stato detto chiaramente che July avrebbe sentito tutto ciò che le veniva detto, ed avrebbe perfino percepito il contatto fisico.. anche se non sarebbe stata in grado di rispondere o di aprire gli occhi. Ecco perché, ogni singolo giorno di quelle sei settimane, Harry Styles era stato seduto su una sedia accanto quel letto d’ospedale, parlando instancabilmente a quella ragazza che se ne stava distesa con una massa di capelli scuri che le incorniciavano il volto – gli occhi perennemente chiusi, e solamente il rumore dell’elettrocardiogramma a dimostrazione che fosse ancora viva.
Il ragazzo si destreggiava come meglio poteva tra gli impegni lavorativi, ma non appena trovava anche solo un’ora libera correva da lei: non voleva abbandonarla in un momento come quello, non se lo sarebbe mai perdonato. Lui lo sapeva – sapeva che prima o poi si sarebbe svegliata ed avrebbe sorriso, che lo avrebbe guardato con quei grandi occhi scuri e l’avrebbe rimproverato per non essersi fatto la barba o per essersi schiacciato i ricci indossando quello sciocco cappello di lana; ne era talmente sicuro che non aveva voluto neanche ascoltare i consigli dei ragazzi, che gli avevano più volte detto di prendersi un po’ di pausa.. tornava a casa solamente un paio di ore a notte, lasciando che fosse la madre della ragazza – che era corsa da Holmes Chapel non appena era venuta a conoscenza della notizia - a dargli il cambio.  
Spesso, semplicemente, le accarezzava la guancia destra spostandole qualche ciocca di capelli dal volto e le canticchiava qualche canzone che sapeva poterle piacere; altre volte le leggeva qualche pagina dei libri che aveva trovato in casa della ragazza, appassionandosi anche alle storie in cui si era ritrovato coinvolto. Sapeva che stava ascoltando ogni singola parola, e stava ben attento a non commettere neanche un minimo errore: chi l’avrebbe sentita, se avesse dovuto sbagliare l’intonazione di un dialogo tra i due protagonisti di quella storia d’amore che conosceva ormai a memoria?! Non gli importava minimamente del fatto che gli fosse stato chiaramente spiegato che c’erano il 98% di possibilità che, al suo risveglio, July avrebbe avuto difficoltà a ricordarsi perfino chi fosse: quelle cifre valevano per le persone normali, ma lei era straordinaria.. lo era sempre stata.
Abbassò appena il capo, coprendosi il volto con le mani. Non era facile per lui, non lo era stato il primo giorno e non lo era neanche adesso, dopo tutto quel tempo; era talmente stanco che gli era perfino capitato di addormentarsi mentre registravano o di avere degli impressionanti cali di attenzione che si riflettevano soprattutto sulla sua voce. Aveva spesso dei momenti di terribile sconforto in cui l’unica cosa che desiderava era scoppiare a piangere fino a non avere più lacrime e perdere la speranza, ma ogni volta che sentiva che tutto stava andando sempre più verso il fondo, ecco che la porta di quella camera d’ospedale s’apriva, ed entrava uno dei ragazzi che era venuto a fargli compagnia con qualcosa da mangiare, e tanta buona volontà; Liam era senza dubbio quello che si era più spesso ritrovato con lui tra quelle quattro mura, mettendo da parte perfino la sua vita privata pur di non lasciare solo il suo amico in un momento di quel genere.. gli altri seguivano a ruota come meglio potevano, ma la vita che conducevano aveva dei ritmi troppo ferrati per potersi concedere un po’ di tempo libero. In quel momento, comunque, riuscì solamente a sospirare profondamente per controllare i nervi ma, rendendosi conto di aver bisogno di prendere un po’ d’aria, si alzò in piedi e si diresse verso la porta, oltrepassandola e chiudendosela alle spalle; incontrò, proprio in quel momento, Kathrine – la madre di July – che stava per andare a dargli il cambio.
“Harry, tesoro, come va?” Domandò. Conosceva quel ragazzo da anni ormai: l’aveva avuto spesso in giro per casa, fino a considerando praticamente un secondo figlio che non aveva mai avuto.
“Come sempre..” Si limitò a rispondere lui, scrollando appena le spalle.
“Hai l’aria terribilmente stanca.. credo che dovresti cominciare a riposare di più, o ne andrà della tua salute.”
“Non è della mia salute che dovresti preoccuparti Kathrine, davvero.” Sorrise. “Sto molto meglio di quel che sembra.”
La donna lo esaminò attentamente: indossava una maglietta nera con il classico scollo tondo, un paio di jeans e delle scarpe chiare, ma si vedeva lontano un miglio che aveva perso molto peso nell’ultimo periodo. Senza considerare il volto sciupato, solcato da profonde occhiaie praticamente nere, e gli occhi verde smeraldo che sua figlia tanto amava, ormai opachi e spenti, privati della loro vitalità. Sembrava che quella sera, oltre a July, qualcun altro se ne fosse andato.
“Va’ a casa, per favore.”
“No, io non.. non posso.”
“Perché?”
“Non voglio lasciarla sola!”
“Ma non sarà sola, ci sono io.”
“Sì, ma..” Tentò di dire qualcosa, ma poi si interruppe e scosse appena il capo; fece per andarsene seguendo il consiglio della donna.
“Harry!” Lo chiamò questa, alzando appena la voce visto che il ragazzo stava praticamente per uscire dal corridoio del reparto.
“Sì?”
“Grazie.”
“Di cosa?”
“Di quello che stai facendo per lei, per me.. stai pagando tutte le spese extra delle cure mediche, hai fatto sì che avesse una stanza privata e le cure dei migliori medici in circolazione; senza considerare che hai fatto in modo che non valessero i turni di visita, cosicchè potessimo venire a farle compagnia in ogni istante della giornata.” Difatti il ragazzo aveva insistito per sistemare le cose come meglio poteva, pagando perfino l’albergo alla signora White che tanto adorava.
“Non dovresti ringraziarmi, lo sai.”
“Sì che devo, invece.”
Harry sorrise vagamente, prima di aprire la porta con la maniglia a spinta che aveva davanti; appena prima di chiuderla, sentì la voce di quella donna che gli chiedeva di rimanere un altro istante. La guardò, e nei suoi occhi notò una tristezza che non aveva mai visto prima: era una donna forte come la figlia, che non si era lasciata scoraggiare dalla situazione, ma era sempre riuscita ad essere ottimista riguardo ciò che sarebbe accaduto.. somigliava così tanto a July, che a volte il ragazzo non riusciva a parlarle senza scoppiare in lacrime come un bambino.
“Non è colpa tua, Harry.”
Non rispose, e si allontanò voltandole le spalle con il capo basso. Non c’era stato un solo istante, in tutto quel tempo, in cui aveva creduto che si fosse trattato solamente di un incidente: si riteneva responsabile di ciò che era successo alla ragazza, e nessuno sarebbe stato in grado di fargli cambiare idea.
Si diresse a passo spedito verso la sua macchina, parcheggiata in modo che nessuno potesse vederla, e quando vi salì, accese immediatamente la radio e mise in moto, poggiando la fronte sul volante e respirando a fondo con gli occhi chiusi. Non voleva tornare a casa, non aveva niente da fare lì.. ma aveva bisogno di andarsene il più in fretta possibile e di cambiare aria. Così, ingranando la retromarcia, si immise immediatamente nel traffico della capitale, senza sapere bene cosa fare: non aveva assolutamente la lucidità necessaria per guidare e se i ragazzi fossero venuti a saperlo, l’avrebbero preso pubblicamente a schiaffi. Ma nessuno di loro era lì in quel momento, e questa era un’ottima motivazione per far finta di niente. Il caos della strada lo mandava in confusione e lo infastidiva a tal punto che quasi si pentì di non essere rimasto nella sala d’attesa dell’ospedale, ma improvvisamente si fermò e, voltandosi verso destra, si rese conto di essere praticamente arrivato davanti casa di July; non sapeva come aveva fatto, ed era quasi sicuro di essersi lasciato alle spalle Trafalgar Square appena dieci secondi prima, ma evidentemente così non era: aveva attraversato quasi tutta la città come se niente fosse, nelle orecchie una canzone del suo amico Ed Sheeran che veniva trasmessa da una stazione radio non meglio identificata – si convinse che in fondo fosse stato proprio lui a condurlo lì e, guardando il lucchetto che aveva tatuato sul braccio, sorrise; avrebbe dovuto ringraziarlo per quello, e l’avrebbe sicuramente fatto.
Davanti la porta, estrasse dalla tasca dei jeans il mazzo di chiavi che aveva preso dalla borsa della ragazza e che portava sempre con sé in caso di necessità, ed entrò in quell’appartamento in pochi secondi. In quelle settimane, c’era sempre stato per pochi minuti – giusto il tempo di prendere qualcosa da leggere per July, qualche indumento in caso si fosse svegliata, dei documenti e l’assicurazione sanitaria – ma non si era mai fermato come avrebbe desiderato; quello, sembrava decisamente il momento giusto. Sul divano, i cuscini erano gettati scompostamente l’uno sopra l’altro, mentre lo sgabello in cucina era fuori posto; un paio di scarpe se ne stavano accanto il tavolino, e la guida tv aperta su una pagina con il palinsesto della sera prima del concerto. Sembrava che la ragazza fosse uscita da lì solamente da poche ore, ed Harry ebbe una fitta al cuore nel rendersi conto che contava di tornarci presto. Vagò un po’, accorgendosi di tanti piccoli dettagli che non aveva mai notato prima.. uno su tutti, una busta infilata distrattamente nella tasca di un cappotto nero appoggiato sullo schienale del divano. Non era mai stato curioso, ma qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto aprirla: in ogni caso, che cos’aveva da perdere? La sfilò, accorgendosi che era già aperta, e quando dispiegò il foglio che vi era dentro si trovò davanti gli occhi un estratto conto della banca: sbiancò del tutto, rendendosi conto che si trovava in rosso di diverse centinaia di sterline, e che lo stipendio non le bastava affatto. Come diamine aveva fatto per tutto quel tempo? Eppure non si era mai lamentata di niente, non aveva mai fatto parola con lui del fatto che si trovasse in ristrettezze economiche: sapeva perfettamente che ormai il ragazzo aveva un reddito da capogiro, ma.. Harry era stupefatto. Si sentì in colpa per non essersi mai accorto di niente, e si domandò quante altre cose lei gli stesse nascondendo: se solo fosse rimasto con lei in quegli anni, allora non sarebbe stata costretta a vivere in un appartamento nella periferia di Londra, non avrebbe dovuto vendere la sua Reflex e di sicuro non avrebbe lavorato con uno stipendo davvero minimo. Aveva messo da parte i suoi sogni per cosa? Non capiva.
Furioso, lasciò che il foglio cadesse per terra, prima di dirigersi verso la camera da letto; una volta lì, sapeva perfettamente cos’avrebbe dovuto fare: aprì la cassettiera, e ne estrasse quei due diari di cui si era accorto una mattina di tanto tempo prima. In realtà aveva letto solo il primo, ma aveva immediatamente chiuso il secondo – inorridito dal fatto che quello fosse stato scritto nell’eventualità che i due non si sarebbero incontrati mai più. Appena qualche settimana fa gli era sembrata una possibilità assolutamente inverificabile ma, adesso, c’era quell’assillante vocina che gli ripeteva che lei non sarebbe mai tornata o che, se così fosse stato, non sarebbe stata più quella di una volta; per la seconda volta in pochi minuti, la curiosità fu più forte di lui: si ritrovò a sfogliare la moleskine ma, a parte la dedica che aveva già letto, si accorse che tutte le pagine erano completamente bianche. Aggrottò le sopracciglia e si chiese che cosa mai volesse dire, appena prima di scorgere qualche filo d’inchiostro sul fondo dell’ultima pagina: “Finiscila di raccontare tu, la nostra storia. Canta per me, Harry.. ti amo. Tua, per sempre.” Rimase profondamente sconcertato da quelle semplici parole, che fissò per un tempo indefinito.
“E così pensi di esserti già liberato di me, eh?” Una voce femminile lo fece voltare, e strabuzzò gli occhi quando incrociò la figura di July in piedi appena dietro di lui: era vestita come la sera dell’incidente, e sorrideva.
Il ragazzo balzò indietro, spaventato.
“Okay che sei sempre stato un fifone, ma addirittura spaventarti di me...”
“Ma.. ma.. ma tu sei..”
“In coma da 46 giorni, sì.” Rispose lei, come se niente fosse. “Ma mi ero stancata di starmene sdraiata lì come se niente fosse ed allora ho pensato che fosse meglio venirti a fare una visita..”
“Non capisco..”
“Piantala di frugare tra le mie cose, Styles.” Gli scoccò un’occhiata severa. “Ringrazia che al momento non posso prenderti a calci, altrimenti lo farei.”
“Sei tipo.. una specie di fantasma?”
“Per Dio, no!” Fece una buffa espressione. “Credo che se fossi davvero morta non sentirei quest’infernale dolore alla testa: devo aver preso una bella botta.” Si avvicinò al ragazzo, sedendosi a sua volta sul letto e guardandolo da vicino. “Potresti avere un’espressione più intelligente, per favore? Mi distrai.”
“July, io..”
“Mi hai fatto davvero una bellissima dichiarazione d’amore sull’ambulanza, sai? Ma era necessario che avessi un trauma cranico per sentirti dire qualcosa di carino?” Rise, di gusto. “Voglio solo.. solo dirti che non ho intenzione di arrendermi.” Lo guardò negli occhi. “Sto combattendo, e tu sei la mia forza: sei la mia ragione per tornare in questo mondo, la mia ragione per farcela ancora una volta.” Piegò leggermente il capo di lato. “Non voglio vederti triste, perché io sono lì.. so che non devo essere proprio il massimo della compagnia, ma credo che potrai accontentarti.” Aveva un’espressione pacifica sul volto, sembrava serena come non era mai stata. “Peter aspetta ancora Wendy, credo che tu potrai aspettarmi ancora per un po’.” Sorrise. “Saremo più forti del destino, ancora una volta. Ma ho bisogno di te.. quindi non lasciarti andare, ti prego.” Lui continuava a guardarla, ma si vedeva che la stava ascoltando. “Ma adesso..” Fece per dargli un bacio sulle labbra, ma appena prima di raggiungerle si fermò, sorrise, ed esclamò: “..svegliati!”
Come fosse appena uscito da un’apnea, Harry aprì gli occhi respirando a pieni polmoni mentre il cuore gli batteva all’impazzata: dovette tirarsi su a sedere ed impiegò almeno una decina di minuti buoni prima di riuscire a recuperare il controllo. Si guardò intorno: era da solo, e sul copriletto non c’era alcuna piega fatta da altre persone.. portandosi una mano sulla fronte, si rese conto di essersi addormentato ed aver solamente fatto un sogno vagamente più reale del solito. Avrebbe potuto giurare che lei fosse stata lì appena dieci secondi prima, talmente vicina da poterla toccare.. ma guardando il display del suo iPhone si rese conto che non c’era nessuna chiamata persa e che, quindi, la situazione non era minimamente cambiata dal momento in cui era andato via dall’ospedale. Che la sua mente cominciasse a giocargli brutti scherzi? Razionalmente, si convinse che fosse tutta colpa della stanchezza.. dentro di sé, ebbe la certezza che quella ragazza fosse davvero la più straordinaria creatura che avesse mai messo piede sulla Terra.

 




Angolo Scrittrice.
Perdonatemi se sono stata assente, ma purtroppo gli esami di riparazione hanno convinto i miei a tenermi lontana dal pc.. ma adesso, comunque, sono tornata. Spero ci siate ancora tutte, perché io e la mia storia siamo di nuovo qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Distrazioni. ***



“Si tratta solo di una settimana..”
“Lo so.”
“Credi che cambierà qualcosa?”
“Sinceramente lo spero, ma non è quello il punto: l’ho già abbandonata una volta, per colpa della musica, ed adesso che ha più bisogno di me io me ne dovrei andare come se niente fosse?”
Calò un interminabile silenzio tra i due, e gli occhi chiari di Harry si posarono su quelli del ragazzo in piedi davanti a lui. Quella discussione andava avanti ormai da quasi un quarto d’ora, ma più tentavano di avvicinarsi ad una soluzione e più si ritrovavano a sbattere contro un muro.. entrambi.
“Harry io.. se su quel letto ci fosse Eleanor non so cos’avrei fatto, credimi. Probabilmente non avrei avuto neanche la metà delle forza che stai dimostrando tu; per questo non me la sento di rimproverarti per la scelta che hai preso. Però, ti chiedo di rifletterci con attenzione: sai che è importante che tu ci sia, visto che i tempi dell’uscita dell’album si avvicinano sempre di più.” Sospirò. “In ogni caso, se rimarrai fermo sulla tua decisione, sappi che troveremo il modo: non sentirti obbligato a fare niente – è l’ultima cosa di cui hai bisogno, ora come ora.” Concluse, prendendo il giubbotto di jeans che aveva poggiato sullo schienale della sedia ed apprestandosi ad uscire da quel corridoio d’ospedale nel quale era stato per far compagnia all’amico. “Ci sentiamo allora, okay?” Sorrise appena, facendogli l’occhiolino.
“Ciao Boo Bear.”
“Ciao riccioli d’oro!”
Una volta rimasto solo, concentrò la propria attenzione su un punto non meglio indefinito del muro che aveva di fronte: aveva passato così tanto tempo in quel posto, che ormai avrebbe potuto descrivere alla perfezione ogni singolo millimetro di tutto ciò che aveva intorno. Quella sala d’attesa era diventata un po’ la sua prigione, ed al contempo l’unico luogo in cui non si sentisse oppresso: sapeva che fuori dalla porta anti-panico di quell’ospedale avrebbe trovato la sua vita di sempre, il caos delle sue giornate passate tra la sala prove e le feste nei locali più chic della città, la voce delle fans che richiedevano di nuovo la sua presenza agli eventi che riguardavano la band. Ma lui non aveva questa forza che gli altri ragazzi gli attribuivano, e non aveva neanche voglia di essere di nuovo Harry Styles: in quel corridoio, lui era solamente un ragazzo preoccupato per la salute dell’unica persona che era stata in grado di spingerlo alla vita come non era mai stato in grado di fare da solo.
Adesso che si trovava nuovamente davanti ad un bivio, però, mise in dubbio quello stato di realtà parallela in cui si era crogiolato per quel mese e mezzo; sapeva perfettamente che non avrebbe potuto mettere da parte la band per sempre, ma al contempo si chiedeva se avrebbe dovuto sfidare il destino lasciando sola July per un’intera settimana. Da quando aveva fatto quello strano ed assurdo sogno, gli capitava più spesso di immaginare cos’avrebbe potuto dire lei riguardo al suo comportamento; in quello specifico caso, gli parve quasi di sentire la ragazza sbraitargli contro qualcosa tipo: “non usarmi come scusa per fuggire dalle tue responsabilità, brutto idiota”, e per un attimo ebbe paura che potesse vederla alzarsi dal letto cui era costretta per prenderlo a calci fino a farlo salire su quell’aereo. Si sorprese a sorridere a quel pensiero, poi abbassò colpevolmente lo sguardo pensando che, quello, non sarebbe mai accaduto.
 
Nessuno di loro aveva potuto credere ai propri occhi quando, al terminal 8 dell’aeroporto di Heathrow, era comparso Harry Styles – trascinando la propria valigia con fare distratto; solamente Louis aveva sorriso, scuotendo la testa e l’aveva abbracciato senza dire neanche una parola: sapeva che il suo amico non l’avrebbe deluso, lo sapeva. Immediatamente tutti avevano sentito una sensazione di leggerezza, come se essere di nuovo tutti insieme avesse tolto loro un peso dall’anima: quando si ha una famiglia formata da cinque elementi abituati a condividere ogni singolo istante, la mancanza di uno – seppur momentanea – può lacerarti il cuore. Si sentivano di nuovo invincibili, di nuovo felici, di nuovo come se avessero una sola direzione: era stato difficile per loro dover fare a meno del più piccolo della band, ma ancora di più li aveva fatti soffrire la consapevolezza che avevano rischiato di perderlo per sempre. Evidentemente, però, la promessa che avevano fatto due anni prima alle fans non era stata dimenticata: sarebbero rimasti insieme fino alla fine. Già, le stesse fans che erano esplose in un boato di isteria mista a gioia nel vedere il proprio idolo varcare quella soglia: avevano perso le speranze e, non sapendo ciò che stava realmente accadendo, avevano pensato di essere state definitivamente abbandonate da quel ragazzo che tanto amavano – a niente erano servite le rassicurazioni degli altri componenti del gruppo.
Con incredibile disponibilità, ed un gran sorrisone stampato sul volto, il riccio si era fermato a firmare autografi ed a scattare foto con chiunque glielo chiedesse; aveva giustificato la sua assenza come dovuta a problemi di salute, ed aveva rassicurato ognuna di loro con parole dolci ed abbracci più caldi del solito. Sembravano assurde quelle notti insonni a vegliare su una ragazza di cui adesso il volto sembrava talmente lontano da divenire irreale.. era come se, semplicemente, fossero tornati a quelle settimane in cui il nome di July non era sulle labbra di Harry, ma solo nei suoi vulnerabili ricordi. Ebbero tutti e quattro quella tremenda sensazione, ma lo sguardo di Liam fu quello che si velò di una tristezza più profonda: si era reso conto di aver sbagliato - ma ne ebbe la certezza solamente quando, una volta da soli sull’aereo diretto a Stoccolma, vide quello stesso sorriso spegnersi per lasciar spazio solamente ad un paio di occhi verde smeraldo puntati nel vuoto; l’allegro e scherzoso Harry Edward Styles, era diventato soltanto un ragazzino schiacciato dal peso degli eventi, che fissava un monotono paesaggio che si protaeva esponenzialmente fuori dal finestrino. Niente sarebbe più stato come prima, e quella felicità che fingeva quando si trovava in mezzo alle sue ammiratrici era solamente un modo che aveva per non farle preoccupare più del dovuto – e scompariva come fumo non appena si trovava solo con se stesso, le sue paure e le sue colpe che lo tormentavano come fantasmi.
Al terzo giorno passato in Svezia, era piuttosto palese che le cose non potevano andare avanti così: il ragazzo non dormiva e mangiava solamente quel minimo per potersi reggere in piedi; non scherzava, non rideva, subiva passivamente le giornate.. neanche la compagnia dei ragazzi riusciva a tirarlo su, sebbene facessero di tutto per tentare di distrarlo: scherzi esilaranti ai ragazzi della band ed a Paul, tornei alla play station, partecipazione a feste e quant’altro. Era così impegnato a pensare a lei, che non faceva altro che passare il tempo a telefono con Daphne – che gli aveva promesso di passare quell’intera settimana senza muoversi dall’ospedale. Ma Zayn, Niall, Louis e Liam capirono che in quel modo non si poteva andare avanti solamente quando Harry li guardò uno ad uno e sillabò un semplice “portatemi a casa”; così, avevano cambiato decisamente i programmi ed avevano deciso di tornare a Londra con quattro giorni di anticipo: non l’avrebbero lasciato da solo in un momento del genere. Ecco perché, ad aspettarli allo stesso aeroporto da cui erano partiti da poco più di 80 ore, c’era una delle persone più care al ragazzo: Ed. Tutti insieme, avevano deciso di andare direttamente a trovare la piccola White, lasciando che i manager si occupassero di far arrivare i bagagli nel loro comprensorio.
Sembrava non si fossero mai davvero allontanati da quel luogo, e percorsero quei corridoi in religioso silenzio e metodica attenzione: stavano tutti accanto, come una squadra di football pronta ad entrare in campo per la partita più importante dell’anno. Quando giunsero davanti la camera 237, Harry mise una mano sulla maniglia e tirò un grosso respiro prima di aprirla: era pronto a vederla di nuovo, pronto a scusarsi per esser stato via così tanto.. pronto ad accarezzarle la mano e darle un bacio leggero sulle labbra, ed a cantare per lei come gli era stato chiesto in quel diario.
Ma, quando la stanza apparve davanti ai loro occhi, trovarono solamente un letto vuoto perfettamente rifatto e le finestre chiuse: l’orrore riempì la bocca dei sei ragazzi, mentre il riccio indietreggiava appena di qualche passo – confuso.




Angolo Scrittrice.
Capitolo abbastanza deludente, lo so.. ma necessario per il prossimo - che, ve lo dico già da ora, pubblicherò domani sera per farmi perdonare. Spero, inoltre, che mi passerete il chiaro riferimento al nuovo album dei ragazzi pronunciato proprio dal nostro Styles, **
Su facebook, comunque, ho creato un gruppo in cui pubblico le news inerenti la fanfiction ed avverto riguardo la data di pubblicazione dei capitoli: 
http://www.facebook.com/groups/104290023060742/ se volete iscrivervi, vi ringrazierei a vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Wide Awake. ***




Non aveva detto una parola, non aveva neanche guardato gli altri in faccia, ma subito si era voltato ed era corso fuori da quella stanza: attraversato il corridoio, aveva cercato qualcuno a cui poter chiedere per quale ragione July non fosse esattamente dove avrebbe dovuto stare; in giro sembrava non esserci nessuno,ma proprio nel momento in cui i peggiori pensieri stavano attraversando la sua mente ecco che scorse la figura di un’infermiera che aveva più volte visto prendersi cura della ragazza. Vi si avvicinò, agitato, e chiese informazioni; questa non ebbe bisogno di aprire la bocca, perché semplicemente alzò la mano ed indicò un punto alle spalle di Harry. Nell’esatto momento in cui si voltò, trovo davanti a sé il corridoio sul quale si affacciavano le stanze e, cosa più importante, vide un’altra infermiera guidare una sedia a rotelle sulla quale era seduta proprio July White: era molto più magra di quanto l’avesse mai vista, i capelli erano lasciati cadere scompostamente sulle spalle e sembravano decisamente più lunghi dell’ultima volta.. la pelle era talmente pallida da esser quasi diafana, ed indossava un camice d’ospedale che la faceva apparire come una specie di fantasma. Ma, la cosa più importante erano gli occhi: quei grandi occhi scuri finalmente aperti dopo sette settimane.. quegl’occhi che, seppur da lontano, sembravano quasi urlare una vita che sembrava esser sfuggita loro per troppo tempo.
Una parte di Harry avrebbe voluto correre immediatamente da lei per abbracciarla, per stringerla a sé e piangere dalla gioia come non aveva mai fatto; voleva dirle quanto le era mancata, quanto sciocca ed insignificante la sua vita fosse stata senza di lei e quanto avesse pregato per averla di nuovo con sè. Purtroppo, però, c’era un’altra piccola parte di lui che stava gridando, che strideva nella sua testa: quella che lo stava obbligando a starsene lì, fermo ed immobile, con i piedi piantati per terra e la bocca leggermente spalancata.. senza sapere cosa fare. Fu proprio quell’indecisione che lo portò ad aspettare che la ragazza fosse tornata di nuovo in quella camera in cui per tanto tempo era stata costretta a stare, ed a raggiungerla solamente nel momento in cui era stato certo che non si accorgesse di lui: si fermò infatti accanto la porta, poggiando la schiena al muro così da poter sentire ciò che accadeva lì dentro ma senza esser visto, senza essere poi realmente lì.
“Oh mio Dio, July!” Esclamò la voce esagitata di Niall.
“Ragazzi!” Rispose questa, sorridendo.
Seguirono vari istanti di silenzio, in cui nessuno riusciva a trovare il coraggio di fare quella domanda che vagava nelle loro teste e picchiava fin troppo forte.
“Tu.. ti ricordi di noi?” Ruppe allora il ghiaccio Louis, che era sempre stato quello ad avere un briciolo in più di coraggio – o forse semplicemente il più impaziente.
“Certo che mi ricordo, perché non dovrei?!” Domandò allora, vagamente indispettita perché quei cinque avevano pensato davvero che così non fosse; ma, fermi un minuto! Come diamine facevano ad essere cinque, se la chioma riccioluta di Harry non era con loro? “Non ci posso credere..” Sgranò gli occhi, battendo le mani in un moto di pura euforia. “Ed Sheeran!” Esclamò.
Questo la salutò con un gesto della mano e le fece l’occhiolino; poi si avvicinò a lei, e le mise un braccio dietro le spalle ed una sotto le ginocchia: così, la sollevò dalla sedia a rotelle e la depositò delicatamente sul letto – venendo in aiuto alla povera infermiera che stava cercando un modo per compiere quell’azione ormai da almeno dieci minuti. “Questo dev’essere il giorno più bello della mia vita!” Sussurrò, guardando quel ragazzo dai capelli rossi con aria che sembrava quasi vagamente innamorata: quello era infatti uno dei suoi idoli, ed averlo realmente lì al suo fianco era una sensazione a dir poco incredibile.
“I medici ci avevano detto che avresti perso la memoria..”
“Che avrei potuto perderla, non che sarebbe accaduto sicuramente.” Asserì, sorridendo e lasciando che le venissero sistemati i cuscini dietro la schiena così da poter stare seduta. “Per fortuna, ricordo ogni minimo particolare.” E ne era davvero felice, così come i ragazzi. “Anche se, in compenso, non riesco a muovere le gambe.. e posso solo battere le mani, avendo difficoltà ad articolare i movimenti delle dita ed a piegare le braccia.” Aggiunse, abbassando appena lo sguardo: era inutile far finta che andasse tutto bene. Quando si era svegliata aveva subito provato una serie di piccole azioni per rendersi conto di essere davvero viva, ed era assolutamente inorridita nel rendersi conto di non esserne più capace.. era poi stata rassicurata, ed aveva capito che la cosa importante era essere viva.
I volti dei ragazzi si rabbuiarono improvvisamente, profondamente colpiti da ciò che stavano sentendo: ciò che le era successo era molto grave, ed in fin dei conti sarebbe stato piuttosto sciocco da parte loro che si sarebbe ripresa senza alcuna conseguenza.. anche se l’avevano sperato.
“Ma non preoccupatevi: sono facoltà che riacquisterò con il tempo!” Si rallegrò, piegando appena il capo. “Il mio corpo deve.. solo riabituarsi a fare quei piccoli gesti di cui ho potuto fare a meno in questi due mesi.”  Era un giorno di festa, non voleva vedere delle espressioni tristi.
“Ma sì dai, dobbiamo festeggiare!” Esclamò Liam, rasserenato.
“Propongo un brindisi!” Aggiunse Louis.
“In ospedale?”
“E perché no?”
“Perché non abbiamo niente con cui brindare..”
“Scusi, signora infermiera..” Si rivolse alla donna che aveva alzato lo sguardo verso di loro, vagamente frastornata da tutto quel baccano. “..non è che potrebbe portarci sei calici di morfina, per favore?”
“Che non sappia di tappo, possibilmente.”
“Mi dissocio da tutto questo!” Esclamò Liam ridendo ed abbassando il capo, prima di portarsi una mano sulla fronte e far segno di no.
“Allora cinque.” Rettificò Lou, alzando le spalle.
Scoppiarono tutti a ridere, sollevati da ciò che era accaduto e dal fatto che i problemi andassero lentamente risolvendosi: il risveglio di July segnava un passo fondamentale ed una svolta assolutamente positiva nella vita di Harry, ed un po’ di tutti loro.
“Quindi July, hai fisioterapia ogni giorno prima di pranzo e prima di cena.. in tutto fanno quattro ore al giorno.” Una voce femminile si intromise, e proprio in quel momento fece l’ingresso nella stanza la piccola Daphne che stringeva tra le mani un foglio che le era stato consegnato dalla fisioterapista: si stava prendendo lei cura dell’altra, al meglio delle proprie possibilità. “Dovr..” Si interruppe bruscamente, alzando lo sguardo da quella tabella in inchiostro nero e portandolo sui ragazzi che avevano riempito la stanza con la loro presenza: se solo entrando si fosse guardata intorno, avrebbe distinto perfino Harry ancora fermo lì fuori.. ma si era ritrovata impegnata nella lettura di quel documento, e si era distratta.
“Hey, D.!” Esclamarono quasi in coro, perfettamente consapevoli di essere riusciti a prenderla alla sprovvista; la ragazza gettò a terra tutto ciò che le occupava le mani, e praticamente saltò addosso a quei quattro che adesso la stavano stringendo in un abbraccio.
“Che cosa ci fate qui?” Domandò, ricomponendosi.
“Siamo venuti a trovare July.”
“Intendevo.. cosa ci fate in questa parte dell’Europa? Non dovreste essere in Svezia?”
“Oh bhè sì, solo che..” Non sapevano se fosse il caso nominare o meno Harry: era palese che July avesse notato la sua assenza, ma evitare di parlarne sembrava l’unico modo per evitare di renderlo vero. “Piuttosto tu, perché non ci hai detto che si era svegliata?”
“E’ successo il giorno stesso in cui siete partiti, proprio mentre Harry stava uscendo dall’ospedale: è stato incredibile.” Le brillavano gli occhi. “Solo che..”
“Che non volevo che tornaste: so quanto sia importante il vostro lavoro, ed ho pensato che un paio di giorni in più non avrebbero cambiato le cose.” La tolse dall’imbarazzo July. “Piuttosto, se vuoi siete qui.. Harry dov’è?”
“Oh, lui..” Si guardarono, senza sapere cosa dire.
“..arriverà!” Disse semplicemente Zayn, tranquillo.
In realtà non capivano se fosse andato via o se avesse saputo cos’era successo, e non sapevano cos’aveva intenzione di fare: certo era che vedere quell’espressione rasserenata sul volto della ragazza seduta su quel letto con quell’aria dolorante era abbastanza per dirle una bugia a fin di bene. Daphne aveva colto perfettamente quale fosse la verità, ma aveva deciso di fare finta di niente.. così si avvicinò al letto e si mise  a fianco di July: le tirò su i capelli, legandoglieli in un’alta coda di cavallo così che non sentisse caldo.. era l’unico modo che aveva per non doverla guardare in faccia con quella consapevolezza.
E mentre lì dentro si respirava quell’aria di pura ed estenuante gioia, lì fuori Harry aveva poggiato la testa al muro, mentre una lacrima che bruciava come fuoco gli attraversava il volto.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Tempo. ***




 
« Ho mentito.
No, non è la prima volta che lo faccio ma non so perché, in questa precisa situazione mi sento talmente in colpa da esser vicina alla follia. Non ho mai creduto alle bugie a fin di bene, e nel momento in cui mi sono trovata costretta dagli eventi a dirne una.. è stato come appassire dentro, lentamente. Ma loro erano così speranzosi che mi sono chiesta chi mai fossi io per dargli una notizia che avrebbe potuto farli soffrire.
Io non ricordo.
O meglio, non sempre. Ci sono momenti in cui riuscirei a raccontare dettagli ed avvenimenti della mia vita che non riuscivo a rammentare neanche prima dell’incidente, con una metodicità ed una lucidità che sembra quasi sovraumana – ed altri in cui la mia mente va in un totale black-out e mi trovo in difficoltà perfino nel rispondere a qualcuno che mi chiede il mio nome. Devo solo ringraziare il cielo perché, quando mi sono trovata quei cinque davanti, mi trovavo fortunatamente nella prima condizione e sono stata in grado di riconoscerli – se fossi stata nell’altra fase, probabilmente mi sarei limitata ad osservarli con sguardo vacuo senza sapere di chi fossero quei lineamenti, quegl’occhi, quei sorrisi.. ho dovuto dir loro che nella mia testa tutto funziona come dovrebbe: ne ho voluto approfittare, ho voluto far finta che fosse sempre tutto in quel modo. La verità fa paura perfino a me, soprattutto nel momento in cui finisco per ricordare tutto e tutto insieme.. in quel momento mi sento un peso opprimermi l’anima, come se il mio passato tentasse disperatamente di non fuggire via da me ma io lo respingessi inconsapevolmente. Sono costretta in un letto, ed il mio corpo è diventato la mia prigione; gli unici momenti in cui posso evadere un po’ da tutto questo, è quando vado alle sedute di fisioterapia: lì mi è permesso concentrarmi su qualcosa che non sia totalmente negativo.. faccio piccoli progressi, ma ancora non sono riuscita a farcela. Onestamente mi chiedo se riuscirò a tornare quella di una volta e, sebbene i medici non smettano di incoraggiarmi neanche per un secondo, comincio ad avere le mie perplessità: loro non sanno cosa vuol dire non essere padroni neanche del corpo in cui si è ospitati, è qualcosa di tremendo. Non posso neanche impugnare una penna o digitare sulla tastiera di un computer; ecco perché in questo momento è Daphne che sta avendo cura di riportare per iscritto tutto ciò che sto dicendo. Lei è l’unica persona al mondo a sapere la verità, e soprattutto l’unica che ogni singola volta si siede accanto a me e mi racconta per filo e per segno tutto quello che ritiene io debba sapere – fino al momento in cui tutto mi torna lucido e posso riuscire da sola a ricostruire la mia vita. L’idea di scrivere questo piccolo diario è stata sua.. dice che vuole che sia io a raccontare a me stessa chi sono, perfino nei momenti in cui mi perdo nei meandri del nulla che mi cinge e tenta di trascinarmi verso sé con forza sempre maggiore.
Harry non tornerà.
Non tornerà perché mi ama. E lui non sa amare scendendo a compromessi: ama in un modo talmente forte e prepotente da privarsi perfino della facoltà di scegliere quale sia la cosa giusta. Sa perfettamente che amore e morte sono talmente vicini, da divenire quasi un’unica cosa – con me, ne ha avuto la dimostrazione. Non riesco a fargliene una colpa, ma mi sento come se qualcuno avesse poggiato la propria mano sul mio petto per poi spingere, e strapparmi via un cuore palpitante che urla il suo nome. Non lo vedrò entrare da quella porta con un sorriso, né sentirò il suo calore riscaldarmi un po’ l’anima.. è una consapevolezza che devo affrontare giorno per giorno, ma illudermi che le cose possano cambiare sarebbe come rinnegare ciò che è accaduto. La storia si ripete.
Ho paura. 
»

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Progressi. ***




Seduta su quel letto - la schiena poggiata ai cuscini e gli occhi spalancati nella penombra della stanza - gettò uno sguardo a Daphne, che si era addormentata seduta su una sedia proprio lì accanto, e sorrise teneramente: era a conoscenza del fatto che July soffrisse di insonnia ed ogni sera si riprometteva di farle compagnia - ma finiva per crollare nei posti e nei modi più strani; una volta, avrebbe potuto giurare di averla vista dormire poggiata al muro, in piedi. La verità era che faceva talmente tante cose, che finiva per non avere neanche la forza per tenere gli occhi aperti: dentro e fuori dall’ospedale, la accompagnava a fisioterapia, la aiutava a lavarsi, le portava i vestiti in lavanderia, la intratteneva leggendo e guardando con lei la tv, la spronava a migliorare i suoi movimenti, vedeva Niall per poche ore al giorno e sempre di corsa, e studiava per alcuni test che avrebbe dovuto fare una volta tornata a Bristol. Sembrava strano che quella ragazzina alta solamente un metro e sessanta potesse essere un uragano di energia di quella portata, eppure era l’unica presenza fissa e costante della sua vita, da quando aveva avuto quel maledetto incidente; sua madre, infatti, era dovuta tornare ad Holmes Chapel: era stato compito proprio di July spiegarle che avrebbe dovuto tornare ed aprire il piccolo alimentari di loro proprietà, perché senza lo stipendio della donna sarebbe stato impossibile vivere. Non era stato facile, e per un momento non aveva creduto di farcela ma – alla fine – era riuscita a convincerla.
Le cose, comunque, miglioravano lentamente: dopo quasi due settimane era riuscita a ritrovare la sensibilità agli arti sia superiori che inferiori; riusciva a piegare i gomiti ed alzare le braccia – mentre, per quel che riguardava le gambe, riusciva quantomeno a spostare le lenzuola quando faceva troppo caldo. I medici erano molto soddisfatti di quel risultato ed avevano capito di non aver mai conosciuto una ragazza più motivata della piccola July White che, ogni giorno, metteva da parte tutto il resto pur di concentrarsi sul suo corpo; la verità era che aveva seriamente bisogno di tornare quella che era un tempo: la sua vita era andata fin troppo alla deriva, e non aveva il tempo materiale per aspettare che il destino facesse il suo corso. Era suo preciso compito tornare a camminare ed a correre, a scrivere ed a lavarsi i denti da sola, a sfogliare le pagine di un libro ed a premere i tasti del telecomando.. era costretta lontana dalle cose che più amava, la fotografia in primis: sapeva che aveva perso il lavoro, e già si domandava cos’avrebbe potuto fare una volta che le cose sarebbero tornate come un tempo. Al momento, era Harry a mantenerla ed anche se Daphne lo negava, era palese che il ragazzo mandasse i soldi per privarla di ogni qualsivoglia genere di preoccupazione; Dio solo sapeva quanto July avrebbe preferito un suo abbraccio, piuttosto che le sue sterline.
Sbuffò appena, portandosi un po’ più su gli occhiali con un semplice movimento del naso: la televisione era spenta ormai da un po’, e nella stanza si udiva solamente il rumore dell’orologio che ticchettava quieto. Accanto al suo letto c’era tutto il necessario per intervenire in caso di crisi e, tra il suo libro preferito ed un mazzo di fiori che le aveva portato Thomas quando era andato a trovarlo, si poteva benissimo intravedere l’ago della flebo pronto ad essere nuovamente infilato nella sua carne. Accanto la sedia cui era seduta Daphne, c’era un borsone con dentro il cambio che avrebbe indossato il giorno dopo, appena prelevato da casa sua: poteva vedere un paio di jeans, una t-shirt bianca a maniche corte, le sue Nike ed una felpa; dedusse, naturalmente, che fuori dovesse fare piuttosto freddo: vedeva spesso arrivare le persone che la andavano a trovare avvolti nei cappotti e con il volto quasi totalmente coperto da una sciarpa. Vedere quegli indumenti pesanti che attendevano solamente lei, quasi la spaventò: sapeva che presto sarebbe stato necessario uscire da quella stanza e tornare al mondo reale, ma lei non sapeva se sarebbe stata in grado; più di due mesi in un luogo totalmente estraniato dalla realtà erano stati forse troppi.
Quante cose avrebbe dovuto affrontare?
Gettò indietro la testa, fissando il soffitto con aria piuttosto interessata: sembrava un’eternità che non vedeva direttamente la luce del sole, né che il vento le sferzava il viso.. le mancava la sensazione di sentirsi viva, in fin dei conti. Per un secondo si domandò se lo fosse davvero; poi, stringendo i denti a causa dello sforzo, si portò la mano destra – della quale non riusciva ancora a muovere le dita, tra parentesi – sul cuore palpitante: lei era viva, e non lo era mai stata così tanto.
 
“Direi che l’album è finalmente finito..” Savan si passò una mano sulla fronte. “Dovremmo rivedere alcuni dettagli, ma per oggi credo proprio che abbiamo fatto abbbastanza.” Era una persona che amava scherzare ma era molto dedito al suo lavoro e quello veniva sempre prima di qualunque altra cosa. “Detto questo.. ho una ceretta da andare a fare quindi, levatevi dalle scatole!” Eclamò, alzandosi in piedi.
Tutti i presenti si voltarono verso di lui con aria piuttosto dubbiosa e vagamente sconvolta, e dovettero guardarlo con un’espressione da superstiti ad una catastrofe naturale perché questo decidesse di aprire nuovamente la bocca. “State perdendo il vostro humor inglese ragazzi, questa cosa non va bene..” Si disperò quasi.
“Hai un senso dell’ironia troppo raffinato ultimamente, si vede che hai frequentato le migliori bettole di Londra!” Ribattè Louis, scivolando un po’ sulla sedia così da poter poggiare le spalle allo schienale.
“Siete voi che non siete abituati a stare così lontani da me!”
“Sei la nostra anima gemella..”
“Parla per te, Zayn!”
“Ma io parlavo per voi!”
“Chi-faceva-cosa-per-chi?” Liam li guardò, sorridendo.
“Stiamo delirando, forse dovreste davvero togliervi dai piedi.”
“Sempre gentile!”
“Quanto un calcio nelle gengive, mie piccole e deliziose direzioni.”
Tommo stava per ribattere per l’ennesima volta, ma proprio in quel preciso istante il telefono di Niall prese a squillare con doverosa insistenza. Solitamente nessuno di loro lo teneva acceso durante le sessioni di registrazione, ma quello smemorato dell’irlandese – quella volta – se l’era proprio dimenticato.. fortunatamente. Gli altri quattro, più i produttori, lo fissarono con aria di rimprovero ma lui si limitò ad alzare le spalle e prese la chiamata, allontanandosi di qualche passo e chiudendosi in un’altra stanza così da non essere disturbato dal chiacchiericcio.
“Scusa, scusa, scusa, scusa.. so che stai registrando e non ti avrei chiamato se non fosse stata un’emergenza!”
“Hey D., tranquilla.. avevamo appena finito.” Sorrise: come ci si poteva arrabbiare con una ragazza come lei? Era praticamente impossibile. “Comunque sia.. cos’è successo?”
Daphne, dall’altro capo del telefono, trattenne il respiro. “July.”
“Mio Dio.. no..”
“Non è niente di quello che pensi, Niall.” Si affrettò ad aggiungere, rendendosi conto del fatto che le sue parole sarebbero potute essere travisate. “La stanno dimettendo.”
Rimasero entrambi in silenzio per istanti che parvero millenni, ed il biondo si grattò il capo con aria dubbiosa. C’era un interrogativo nell’aria, sospeso sulle loro teste; nessuno di due aveva il coraggio di formulare apertamente quella domanda, ma era ovvio che non ce ne fosse bisogno.
“Ho bisogno di aiuto per portarla a casa.” Riprese a parlare la ragazza.
“Vedrò cosa posso fare..”
Entrambi rimasero con un telefono muto in mano, che fissarono con un’atroce certezza nel cuore dalla quale non trovavano scampo. Poi, il ragazzo si voltò ed a passi lenti – come quelli di un condannato a morte mentre si dirige verso la sedia elettrica – si ritrovò davanti alle persone con cui aveva passato il pomeriggio e li guardò uno ad uno, prima di soffermare il suo sguardo su Harry che, ridendo, stava facendo vedere un video dal proprio iPhone a Liam.
“Niall, tutto okay?” Domandò Carl Falk.
“Si..” Rispose, infilandosi il telefono in tasca ed afferrando la felpa che aveva distrattamente abbandonato su un divanetto nero non appena aveva fatto il proprio ingresso, quella stessa mattina. Non trovava le parole giuste per dire ciò che doveva, e non sapeva se sarebbe stato giusto rivolgersi direttamente al ragazzo che sembrava non prestargli nemmeno attenzione – oppure dare semplicemente la notizia.
“E’ stata dimessa, Daphne la sta portando a casa.”
Poi, lentamente, gli occhi verdi di Harry si alzarono dallo schermo rettangolare del dispositivo che teneva tra le mani e si puntarono in quelli color oceano dell’amico; il sorriso che aveva sul volto si trasmutò in una linea perfettamente orizzontale ed il colorito divenne praticamente cinereo. Le sue mani tremarono per un istante, e fu costretto a non aprir bocca per non crollare del tutto; sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma aveva sempre preferito non pensarci. Era felice, dannatamente felice, ma..
Calò uno stranissimo silenzio nella stanza solitamente caotica proprio perché luogo di decisione riguardo i nuovi progetti del gruppo, che fu interrotto solamente dal rumore della sedia di Louis che si spostava; questo, infatti,si alzò in piedi di scatto ed estrasse dalla tasca dei pantaloni le chiavi della macchina. “Vengo con te.” Disse.
Successivamente, uno ad uno, anche gli altri due si alzarono e presero i propri giubbotti; solamente uno rimase seduto, quasi pietrificato.
“Che hai intenzione di fare?”
“Io non..”
“Harry, ti prego!”
“Ma non capite!” Esclamò, quasi risvegliandosi. “Sono la causa di tutti i suoi problemi, e non posso permettermi di farle del male.. non più di quanto non abbia già fatto fino ad ora.”
“Quindi pensi di non vederla mai più?”
“No, se non sarà strettamente necessario.”
“Credo che il caso di oggi rientri in quella categoria.”
“Ci siete voi..”
“Sei tu quello che la ama.”
“Non.. non posso permettermi altri errori..”
“Credo che standole lontano farai il suo bene?” Domandò a quel punto Liam, spazientito. “Non pensi al dolore che le farà provare la tua assenza?”
Lo guardò negli occhi.
“Prendetevi cura di lei.” Sentenziò infine; poi si alzò a sua volta da quel tavolo, ed uscì prima degli altri, sbattendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo. I quattro che rimasero si guardarono con aria interrogativa poi, scuotendo la testa, decisero che ci sarebbe sicuramente stata occasione di parlarne, in seguito: adesso July aveva bisogno di loro.
 
Entrarono dalla porta principale dell’ospedale come nel migliore dei film, e molte persone si voltarono riconoscendo il loro volto; se non fosse stato un luogo di quel genere, probabilmente avrebbero chiesto loro almeno un autografo – ma quei quattro sembravano davvero di fretta, e non sembrava il caso di infastidirli.
Quando raggiunsero la stanza in cui tante volte erano stati ed aprirono la porta, trovarono July seduta sul letto e con le gambe penzoloni ben lontane dal pavimento; era già vestita con i suoi vestiti, ed i capelli profumavano di fiori ed erano lasciati sciolti. Fissava con aria piuttosto dispiaciuta un’altra ragazza che si stava impegnando per raccogliere tutto ciò che c’era in giro e sistemarlo dentro i borsoni e la valigia che aveva a disposizione; Daphne era a sua volta dimagrita ed il suo volto recava i segni dello stress: sembrava però immensamente felice, ed un sorriso radioso tradiva perfino il suo essere così indaffarata. Si vedeva perfettamente quanto la prima volesse disperatamente darle una mano, ma le braccia poggiate scompostamente sulla coscia destra erano un chiaro segnale di quanto fosse ancora impossibilitata nel farlo.
“Gli indomiti cavalieri sono qui per aiutarla, damigella in pericolo!” Esclamò Louis, facendo una delle sue solite entrate.
Entrambe le ragazze voltarono la testa di scatto, ed un sorriso colmo di gioia colorò i loro volti. La mente di July non elaborò il fatto che Harry non fosse presente, perché fondamentalmente era davvero molto felice del fatto che quei quattro fossero lì – proprio cinque minuti prima, Daphne le aveva fatto il solito resoconto perché quella mattina si era svegliata senza sapere chi fosse ed aveva avuto una crisi nel rendersi conto che ricordare era sembrato più difficile del solito; adesso che tutto era normale, però, sembrava il giorno più bello della sua vita.
Liam corse immediatamente a raccogliere alcuni vestiti che erano riposti sulla sedia e, dopo averli piegati, li sistemò con cura uno sopra l’altro. Daphne, allora, si avvicinò a Niall e, dopo avergli dato un fugace bacio sulle labbra, gli rivolse uno sguardo piuttosto esplicativo.
“Ho fatto il possibile come ti avevo detto, ma non è bastato.” Sussurrò il biondo in tutta risposta.
Sospirò. “Non fatene parola.”
Zayn si fece forza, ed avanzò fino a raggiungere il letto; poi, prese July – che era diventata incredibilmente leggera – e la adagiò con delicatezza sulla sedia a rotelle proprio lì accanto.
“Hey, ma che hai fatto ai capelli?” Domandò.
“Era ora di cambiare un po’, ti piacciono?” Domandò, passandovi una mano.
“Sono una figata!” Rispose, estasiata.
Si sorrisero. Poi il ragazzo cominciò a spingere la carrozzella e la fece uscire dalla stanza; insieme, passeggiarono per tutto il corridoio mentre Malik si perdeva nei racconti di tutto quello che era successo: voleva distrarla. Così, si ritrovò a parlarle di Perrie, del nuovo album, dei progetti, di quanto gli mancassero le sue sorelle, di Bradford, e di tutte quelle cose che ultimamente gli sembravano sempre più lontane. July ascoltava rispettosamente, ed a tratti annuiva con aria davvero interessata: era sempre stato quello che aveva sentito più lontano, ma adesso le cose sembravano diverse.
“Vieni qui.” Sussurrò.
Lui le si mise di fronte e si abbassò, così da poter essere al livello della ragazza; questa, facendo appello a tutta la sua forza di volontà, portò goffamente le mani sul suo volto e lo guardo dritto negli occhi. “Hai un gran cuore Zayn, ma devi dargli un po’ di pace.”
Si guardarono, dolcemente.
In quel momento, Zayn Malik decise che non avrebbe permesso ad Harry di abbandonarla; in quel momento, July White decise che non avrebbe mai lasciato i ragazzi, indipendentemente dal quinto componente del gruppo.
Quando anche gli altri li raggiunsero, c’era una strana energia nell’aria: canticchiavano allegramente, attraversando quell’edificio come non avevano mai fatto prima; ridevano, scherzavano, si spintonavano, tutto davanti agli occhi divertiti di una ragazza che era costretta a starsene seduta e ad essere guidata proprio da loro che si davano il cambio. ‘Ci penso io!’ ‘No, voglio portarla io!’ ‘Hey, tu l’hai fatto prima!’, erano le frasi che si scambiavano: tutti sembravano volersi prendere cura di lei.
“Ma se prendessimo di nascosto un’altra di queste e facessimo le gare nei corridoi?” Domandò d’improvviso Louis, indicando la sedia a rotelle; per sua immensa sfortuna, comunque, un’infermiera passò loro accanto proprio in quel momento ed il loro progetto dovette essere momentaneamente messo da parte.
Varcata la soglia dell’ospedale, un raggio di timido sole colpì gli occhi scuri della ragazza che, non essendoci più abituata, perse la facoltà di vedere nitidamente per qualche istante. Si guardò poi intorno con aria emozionata, cogliendo tutti quei particolari che aveva sempre dato per scontato: il verde dei prati, il grigio del cielo nuvoloso, l’opale dell’asfalto, la leggerezza ed il suono del vento.. sembrava non aver mai vissuto il mondo prima di quel momento.
E proprio mentre i ragazzi discutevano su come portarla a casa e lei si perdeva in quell’accurata ammirazione dell’ambiente circostante, i suoi occhi si posarono su un volto al di là di un finestrino chiuso: avrebbe riconosciuto quello sguardo tra mille, quei lineamenti in una folla affollata.. come una calamita, era stata attratta verso quel preciso punto ed aveva trovato ciò che voleva. Non aveva fatto in tempo ad aprir bocca, che quella macchina era subito sfrecciata via nel caos della città; tutti se n’erano accorti, ma nessuno aveva avuto il coraggio di dire niente.
Hrry, intanto, guidava come un pazzo senza neanche respirare. Perché l’aveva fatto? perché era andato lì? Cosa credeva, che sarebbe stato più facile? Tirò un pugno al volante, senza rendersi conto che la verità era semplice: aveva avuto solo bisogno di vederla sorridere, di nuovo.
Per l’ultima volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Ricordami. ***




Ci aveva messo sette minuti e cinquantadue secondi per riuscire a poggiarsi con la schiena contro il muro e tenersi su abbastanza da non ingoiare ancora la polvere che giaceva sul pavimento. Quella mattina si era svegliata vagamente più presto del solito e, guardandosi intorno, si era ritrovata completamente sola in una stanza che non conosceva: un letto ad una piazza e mezzo con sopra delle lenzuola candide con stampate delle piccolissime micro-roselline ed una finestra con delle persiane chiuse da cui entravano solamente tenui raggi di un pallido sole; questi colpivano una bassa cassettiera con sopra un portatile spento attaccato comunque alla presa grazie ad un caricabatterie che si stendeva per un breve tratto sul pavimento come un serpente - un armadio con le ante bianche e dettagli in metallo semi-aperto, dal quale si intravedevano i colori di alcuni indumenti appesi ordinatamente a seconda del tipo e due paia di scarpe abbandonate dietro la porta, disordinatamente. Una pila di libri partiva praticamente da terra fino a raggiungere il soffitto in una composizione che sembrava più che altro un’opera d’arte contemporanea, ed un telecomando accanto ad una televisione spenta tradiva il fatto che dovesse averla guardata proprio la sera prima. Al soffitto nessun lampadario, ma una piantana accanto al comodino che diffondeva una luce calda e non opprimente in sostituzione a quella del sole; un pacco di biscotti finito proprio lì accanto, e nulla più. Avrebbe dovuto sapere che quella era in realtà la sua camera da letto, avrebbe dovuto tenere a mente di non essere affatto sola: proprio la sera prima Daphne le aveva spiegato che quel giorno sarebbe arrivata ad ora di pranzo perché sarebbe dovuta passare da Bristol a prendere alcuni libri che le servivano per studiare. Ma lei, al suo risveglio, non sapeva neanche dell’esistenza di quella che lentamente stava diventando quasi una sorella.
Quando aveva aperto gli occhi al nuovo giorno, si era guardata intorno con aria dubbiosa e, subito dopo aver focalizzato la situazione, si era resa conto di non avere la benchè minima idea di dove fosse o, specialmente, di chi fosse. Era rimasta immobile, fissando il soffitto con un’espressione imperturbabile sul volto: cercava di ricordare con particolare attenzione, tentando di carpire dalla sua mente qualche vago barlume di un passato che sembrava non avere. C’erano immagini confuse che si rincorrevano con acido distacco senza esser messe a fuoco, volti che si sovrapponevano tra di loro e voci che stridevano in un brusio crescente – c’erano occhi di persone che era certa di aver amato ad un certo punto, e luoghi di una felicità che non riteneva quasi più sua. Niente era però abbastanza per riuscire a rispondere agli interrogativi di una persona che non riusciva nemmeno a sapere quale fosse il suo nome; così, non ricordando nemmeno dell’incidente e delle complicazioni che aveva avuto, si era voltata con difficoltà per mettersi seduta sul bordo del letto e poi si era alzata come avrebbe fatto in un qualunque momento di normalità. Soltanto che le sue gambe non l’avevano affatto retta come avrebbe desiderato, e così si era ritrovata a terra con le deboli braccia che non avevano reagito abbastanza in tempo per attutire la caduta; si era fatta piuttosto male ed era assolutamente certa che avrebbe avuto anche un paio di lividi in seguito. Per quanto avesse provato a rialzarsi, poi, non era riuscita a far nulla se non muoversi di qualche centimetro: era palese che non sarebbe riuscita a star su e così aveva semplicemente optato per adagiarsi contro il muro in attesa che accadesse qualcosa – qualunque cosa. Dedusse di essere una persona piuttosto sfortunata per ritrovarsi in una situazione di quel genere e cominciò così a fantasticare su cosa mai potesse esserle accaduto: immaginò per un momento di essere una studentessa in vacanza, poi un’orfana abbandonata a se stessa, o magari anche una persona piuttosto famosa – ma si ritrovò a scartare quest’ipotesi per una semplice questione di realtà. Il tempo scorreva talmente lento che riuscì a creare per sé passati talmente alternativi e reali da dimenticarsi quasi di averne davvero uno che era momentaneamente stato messo da parte; non seppe mai per quanto tempo rimase lì, ma il rumore di un paio di chiavi che girarono nella serratura la distolsero dal complicato filo dei suoi pensieri.
“Juuuuly, sono tornata!” Sentì urlare. E così, questo doveva essere il suo nome. Riuscì tranquillamente a distinguere il rumore dei passi nel resto della casa e fu piuttosto pronta quando scorse la figura della ragazza entrare nella camera; questa la cercò percorrendo l’ambiente con lo sguardo e solamente alla fine si rese conto di dove fosse realmente. “Per l’amor di Dio, che ci fai lì a terra in quell’angolino?”
“Io..” Balbettò in tutta risposta.
Daphne lasciò cadere la borsa che raggiunse il pavimento con un tonfo sordo; poi si avvicinò rapidamente, chinandosi così da poter essere alla sua stessa altezza. “Tu sai chi sono, vero?”
“N-no.”
La ragazza con indosso una tuta adidas nera la aiutò a tirarsi su e la sorresse, aiutandola così a tornare a letto; una volta che vi si adagiò con cura, si sedette al suo fianco e con metodica attenzione le spostò i capelli dal volto.
“Ti sei fatta male?”
“Un po’, ma niente di che.”
“Sicura?”
“Credo di sì.”
I sensi di colpa le attanagliarono lo stomaco: era raro che la lasciasse sola, ma dopo vari giorni che July non aveva quei vuoti di memoria, si era convinta di potersi concedere una breve fuga nella casa dei suoi genitori. Evidentemente, non era così.. aveva promesso che si sarebbe presa cura di lei, e poi aveva perfino permesso che si facesse del male. Era assolutamente inaccettabile, ed era talmente arrabbiata con se stessa che aveva un’infinita voglia di piangere di rabbia; ma davanti a lei, non era proprio il caso.
“Tu chi sei?”
“Sono Daphne..” Sorrise. “Sono tua amica.” Aggiunse, guardandola negli occhi.
“Ed io chi sono?”
“A questo, credo che tu debba rispondere da sola.”
“Ma come faccio? Io non.. non riesco proprio a..”
Se c’era una cosa che aveva capito, era che per far sì che July ricordasse davvero era assolutamente importante che riuscisse a farcela da sola. Ultimamente aveva perso solamente qualche pezzo del suo passato ma, a quanto pareva, quella volta era avvenuto un resettamento pressochè totale; non bisognava perdersi d’animo, perché in quel momento era l’una la forza dell’altra.
“Respira profondamente, okay?” Suggerì, carezzandole appena il volto. “Qualcosa devi necessariamente ricordare: ti aiuterò a ricostruire tutto, tu devi solo dirmi fin dove puoi arrivare.” La guardò teneramente negli occhi, poi si alzò in piedi e si tolse la felpa che poggiò ai piedi del letto; sfilò le vans che indossava e si sedette nuovamente accanto all’altra ragazza, con le gambe incrociate.
“Non riesco a visualizzare niente.”
“Non mentire..”
July abbassò gli occhi, colpevole. Era sempre stata una ragazza piuttosto diffidente, ma realizzò immediatamente che non era nelle condizioni di dubitare di chi aveva intorno – considerando poi che non aveva molte alternative.
“Ho degli occhi, fissi nella mia mente..” Arrossì brutalmente.
“Vai avanti..” La incoraggiò.
“..sono di un verde smeraldo molto intenso, ed hanno una luce che li illumina di ogni sfumatura di bellezza esistente. Quegli occhi mi parlano, cercano di dirmi qualcosa; credo non possa esistere qualcosa di più devastante di quello sguardo. In ogni singolo e piccolo ricordo che ho, ad un certo punto mi ritrovo ad incontrarlo – come se fosse stato sempre presente, come se li avessi portati dentro di me perfino nella tempesta.” Si passò una mano sulla fronte. “E’ come se sentissi di non averli mai visti davvero: sono così lontani e così vicini che non so neanche se conosco la persona a cui appartengono. Eppure, sebbene non ricordi il suo aspetto fisico o il suo carattere, io so di amarlo con ogni singola parte di me stessa perché sono l’unica cosa che mi è rimasta.”
“C’è altro?”
“Una voce, maschile.” Tremò quasi. “Canta, canta sempre.. canta per me, credo.” Quel pensiero la fece sentire immediatamente sciocca. “Ma forse è solo frutto della mia immaginazione, forse non..”
“Sei la sua musa.”
July alzò lo sguardo, poggiandolo in quello di Daphne.
“Chi è?” Domandò, allora.
L’altra si alzò nuovamente, allungandosi fino ad arrivare a prendere il computer non troppo distante. Lo accese rapidamente, e le bastò andare su youtube per trovare esattamente ciò che cercava: il video era una semplice raccolta dei momenti migliori Harry Styles, un fan video come tanti di quelli che giravano su internet. Voltò lo schermo verso la ragazza che continuava a guardarla in maniera piuttosto dubbiosa; poi, si concentrò su quel breve filmato che durava appena un paio di minuti e raccoglieva probabilmente il meglio di quel ragazzo. D’improvviso, July sgranò gli occhi e sobbalzò all’indietro; si portò una mano sul cuore con quella delicatezza che può avere solamente un’adolescente innamorata, e subito le sue labbra si incresparono in un sorriso che quasi stravolse l’intera fisionomia del suo volto. Come l’onda di un mare in burrasca, la vita si riappriopriò di quegli occhi scuri, come un boato nella notte riempì la sua mente semi-desolata. Adesso era chiaro, era tutto chiaro.
“Harry.”
Entrambe sorrisero: lui era la causa, ma era soprattutto la soluzione.

“Credo di aver frequentato insieme a lui almeno un paio di anni nella stessa classe di letteratura inglese; ovviamente, ero perfettamente a conoscenza di chi fosse: era uno dei ragazzi con la soglia dell’attenzione più bassa in tutto l’universo. Non si impegnava particolarmente a scuola, ma era sempre puntuale nella consegna dei compiti indipendentemente dalla loro qualità o difficoltà, e questo gli ha decisamente semplificato le cose. Ai tempi, ricordo, non ero quel genere di ragazza interessata a ciò che riguardava la sfera sociale o sentimentale: i miei piani consistevano unicamente nel prendere i massimi voti per uscire in fretta dalla scuola e potermene andare da Holmes Chapel – se ci penso adesso è stata una grave mancanza da parte mia credere di poter vivere meglio lontana da quel posto.” Sorrise malinconicamente. “I ragazzi non rientravano neanche minimamente nella mia sfera di giudizio: li consideravo unicamente una distrazione e non mi sorprende pensare a come non mi fossi mai resa conto che quel ragazzo rumoroso seduto in fondo alla classe avrebbe potuto essere qualcosa di più di un semplice compagno di corso. Mi prese così alla sprovvista quando si sedette accanto a me durante il Ballo che non riuscii a trovare neanche il sarcasmo necessario per farlo scappare da me; in fondo sembrava quasi che per una sera non dovessi essere soltanto.. July, ma qualcosa di più.” Gettò uno sguardo fuori dalla finestra chiusa, osservando la striscia di asfalto che si stendeva lungo una serie di case. “Ero talmente convinta di averlo annoiato, che quando il giorno dopo si sedette accanto a me durante la lezione per poco non caddi dalla sedia: aveva deciso di avvicinarsi di nuovo a me – ed era forse la prima volta che non spaventavo qualcuno talmente tanto da arrivare a perderlo. Cominciò tutto così: io gli passavo i compiti, e lui rendeva meno noiose le mie lezioni. Ci rendemmo presto conto che la compagnia dell’altro ci rendeva di ottimo umore, e quando si accorse che avevo i massimi voti perfino in matematica, fui quasi felice che mi avesse chiesto di dargli una mano con quella materia che proprio non sopportava; nonostante fossimo in due corsi diversi ero sicura di poterlo aiutare, per il semplice fatto che io ero in quello avanzato e lui in quello base. Me lo trovai davanti casa un tardo pomeriggio di una giornata fredda.. aveva un’ampia sciarpa grigia ed un berretto che gli coprivano praticamente tutto il volto. Ma inutile dirti che già allora, mi bastò scorgere i suoi occhi in un misero stralcio di libertà dalla lana per rendermi conto che si trattava proprio di lui: non aveva perso tempo, ed io ancora non sapevo che era esattamente nella sua indole. Si intrufolò nella mia cucina senza che gli dessi neanche il permesso di entrare, e si sedette al tavolo scaraventandovi su i suoi libri – poi, mi guardò quasi supplicandomi ed esibì uno dei suoi sorrisoni a tutto viso.. come avrei potuto dirgli di no? Passammo quasi quattro ore tra cioccolata calda ed algebra, e riuscii perfino a resistere alla tentazione di fargli ingoiare quei fogli nella speranza che imparasse qualcosa con un metodo che mi avrebbe risparmiato la fatica. Il giorno dopo, incredibilmente, fece un compito in classe che gli procurò un voto più alto del solito di ben due punti. Ricordo che corse da me sventolando quel pezzo di carta, inseguendomi per i corridoi di mezza scuola, e mi abbracciò sollevandomi da terra – mi fece fare praticamente mezzo giro e mi informò della grande notizia: non sapevo se ero più contenta per il voto in sé o perché sapevo che Harry avrebbe avuto nuovamente bisogno di me. Studiammo insieme un pomeriggio sì ed uno no.. poi, semplicemente, una volta rimase a cena e conobbe la mia famiglia: in meno di mezz’ora quel ragazzo aveva praticamente conquistato non solo mia madre, ma anche mio padre. La sua presenza in casa era diventata motivo di gioia ed allegria per ognuno di noi, ed aspettavamo quei momenti con tanta impazienza, sebbene mi obbligassi a non ammetterlo neanche a me stessa. Finimmo per studiare meno di mezz’ora al giorno: il resto del tempo lo passavamo chiacchierando, ridendo, scherzando.. eravamo amici, e sembrava non ci potesse essere niente di più bello. Fu quasi naturale che a volte si intrattenesse da me fino a notte fonda: i miei genitori si fidavano talmente tanto di quel faccino angelico che ci permettevano perfino di andare in camera al piano di sopra e di chiudere la porta.. adesso mi viene da ridere pensando a quanto le apparenze li avessero ingannati!” Si passò una mano sulla fronte. “Conobbi Anne e Gemma circa un mesetto dopo quella fantomatica serata in cui mi aveva rivolto la parola per la prima volta: rimasi immediatamente colpita dalla loro devastante bellezza, accompagnata da quella sorta di gentilezza genuina che mi fece sentire accolta in famiglia. Casa Styles era accogliente e festosa, non troppo grande ma stracolma di ricordi di un passato non sempre facile ma che li rendeva comunque orgogliosi di essere ciò che erano; Anne ed Harry mi avevano preparato dei biscotti al cioccolato che erano usciti fuori un po’ storti e senza una forma precisa.. ma erano i più buoni che avessi mai mangiato. Passai una serata incredibile a chiacchierare con tutti loro ed in poco tempo mi sembrava di conoscerli da una vita.. ogni tanto mi accorgevo dei suoi silenziosi occhi poggiati su di me che mi osservavano come se non mi avessero mai vista prima, e di quanto questo non mi mettesse a disagio neanche un po’.” Si sfiorò il braccio. “Cominciai ad andare alle prove dei White Eskimo ed a passare con Harry praticamente ogni singolo istante della mia giornata: ci dividevamo solamente per frequentare le lezioni e per dormire quel paio di ore a notte che ci concedevamo. Lo ricordo ancora come fosse ieri: ballava, ballava dovunque! Un paio di volte mi è capitato di attraversare il corridoio e di vederlo vicino agli armadietti mentre si esibiva sulla coregrafia di thriller come se niente fosse.. aveva sempre il cellulare in mano e non si vergognava quasi di niente, sebbene avessi ormai capito che si trattasse di un ragazzo molto più vulnerabile di quel che volesse dimostrare. A volte scompariva per ore, e solo in seguito ho scoperto che semplicemente si allontanava da tutti per andare in dei luoghi che aveva bisogno di assaporare nella solitudine in cui si rinchiudeva.. forse, se l’avessi capito a quel tempo, le cose sarebbero andate diversamente.”
“Non credo.”
“No, forse neanche io..” Aggrottò le sopracciglia. “Comunque sia passavamo il nostro tempo nei modi più inutili: guardavamo moltissimi film horror, sebbene lui ne passasse la durata con la coperta tirata su fino al naso per la paura ed usasse la scusa del bagno nelle scene peggiori. Non è mai stato un cuor di leone, e mi divertivo come una pazza a spaventarlo: me le inventavo tutte pur di fargli perdere un po’ di colorito ed un paio di volte ho perfino rischiato di fargli venire un infarto.. non che fosse poi difficile, considerando che quando ci furono i festeggiamenti per San Patrizio si chiuse a casa senza alcuna intenzione di andare a vedere i fuochi d’artificio che avevano richiamato in strada tutta la nostra cittadina – ovviamente, rimasi con lui a fargli compagnia.”
Si chinò, stendendosi sul letto: poi poggiò il capo sul grembo di Daphne che era seduta e la osservava. Questa, cominciò ad accarezzarle i capelli e la incoraggiò ad andare avanti: era la prima volta che le raccontava la storia in maniera così dettagliata, ed ormai era piuttosto incuriosita.
“Un anno passò così, tra passeggiate nei giardini pubblici, film, treni fino al mare e tramonti sui tetti di vecchie fabbriche abbandonate: non facevamo niente di esagerato, ma Dio solo sa quanto eravamo felici. Dopo l’estate mia madre mi regalò la Reflex, e concentrai tutti i miei scatti su quel volto: li ho ancora, nel computer che ho lasciato a casa. La nostra amicizia all’inizio non era vista molto bene, perché ai tempi giravano strane voci su di me a scuola ma.. a lui non importò mai cosa gli altri pensassero, perché lui mi vedeva come nessuno aveva fatto mai. Con lui, ero libera di essere solo me stessa: qualunque maschera sbiadiva per lasciar spazio ad un sorriso. Eravamo pazzi, credimi: facevamo una stupidaggine dopo l’altra e siamo stati capaci di percorrere dieci miglia in bicicletta solo per andarci a prendere un gelato che lui adorava perdutamente.. il tempo scorreva in maniera diversa dal normale, e Natale arrivò in ben poco tempo: quando gli diedi il regalo che avevo appositamente scelto per lui, vidi i suoi occhi illuminarsi – e quando, nello istante, lui mi diede ciò che aveva comprato per me, credetti di sognare.” Alzò il polso destro, al quale brillava una semplice catenina argentata. “Non l’ho mai, mai tolto.. da quando ho aperto quella scatola fino ad oggi.” Abbassò lo sguardo. “Ma sembrava quasi impossibile che potessimo essere solamente amici, che.. fu naturale. Eravamo a casa mia, una sera come tante, e lui per me fu quel primo amore che a lungo avevo sognato – mi sembrava impossibile pensare che quel ruolo avrebbe potuto essere di qualcun altro e più che dolore provai solamente.. amore. Infinito. Le cose da quel giorno cambiarono: cominciò ad esserci molta più intimità ma più distacco in una serie di cose che vedevamo con occhio diverso. Non c’è stato un momento in cui abbiamo deciso di metterci insieme, ma ormai ogni volta che rimanevamo soli anche in un angolo buio della scuola ci attraevamo l’un l’altra come una calamita e finivamo per mescolarci in quel gioco di pelle che ci rendeva quasi schiavi.. sì, forse sbagliammo. Ma lui mi promise che un giorno mi avrebbe portata con sé in giro per il mondo insieme ai White Eskimo, e mi disse che per nessuna ragione al mondo mi avrebbe abbandonata: facevamo progetti sul futuro come se niente fosse e rideva, rideva sempre quando gli dicevo che nel frattempo ci saremmo anche potuti lasciare. Cantava, questo lo ricordo bene.. cantava sempre. Quando eravamo soli, qualunque cosa facessimo, lui cantava: a bassa voce, ma non importava. C’era una canzone che adorava, che avevamo ballato insieme a quel fantomatico ballo: ‘Isn’t she lovely’, non so se la conosci.. diceva sempre che quella era la nostra canzone e che ogni volta che l’avrebbe ascoltata, sarebbe stato per me. Cosa accadde poi, non lo so; da un giorno all’altro semplicemente sparì nel nulla e neanche Anne mi dava risposte: credetti di impazzire, credetti di non farcela. Venne fuori che era stato ammesso ad X-Factor ed io, da quel momento, ho perso qualunque contatto con lui: non ho mai voluto sapere come gli andassero le cose; quando si mise in coda per fare quel provino, lui si dimenticò di me: ne sono sicura.”
Daphne trattenne il fiato.
“July… tu quel provino l’hai mai guardato?”
“Assolutamente no. Perché avrei dovuto?”
“Sai cos’ha cantato?”
“No, dimmi.”
In silenzio, si guardarono.
Poi una lacrima rigò il volto pallido della ragazza distesa.



Angolo scrittrice.
TEAM HALY, ISCRIVETEVI QUI: 
http://www.facebook.com/groups/104290023060742/

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Non sempre. ***




“Non lanciare le chiavi così, che graffi il mobile!” Rimbrottò Liam, guardando verso Zayn che era appena entrato a casa. Questo, infatti, aveva distrattamente poggiato le chiavi della macchina su un mobile bianco di design a cui il padrone di casa era particolarmente affezionato.
Il ragazzo non rispose, ma si limitò a poggiare i sacchetti della spesa sul tavolo, controllando rapidamente che avesse preso tutto ciò che serviva; in quel momento, Harry si alzò dal divano cui era seduto: stava infatti facendo una partita a Call of Duty con Liam ma, visto che qualcuno si era degnato di portare del cibo, gli sembrava particolarmente scortese non cercare di appropriarsene.
“Dov’è Niall?”
“E’ venuto suo fratello Greg a Londra, stanno andando allo stadio per una qualche partita che aspettavano da un bel po’!” Rispose Zayn, che aveva sentito il biondo appena una mezz’oretta prima. Nel frattempo, si tolse il giubbotto di pelle che indossava e lo poggiò piuttosto ordinatamente sullo schienale della sedia, prima di estrarre il telefono dalla tasca e comporre un sms che avrebbe poi deciso le sorti della giornata.
Liam mise in pausa il gioco, appena in tempo per accorgersi del fatto che il ragazzo dai capelli ricci stava praticamente scavando tra le cose appena comprate, in cerca di qualcosa da mangiare: ogni volta che si trovavano a passare insieme pomeriggi di relax finivano per divorare tutto ciò che passava davanti ai loro occhi.
“No Harry, quelle cose non sono per noi!” Si affrettò ad esclamare, senza rendersi conto che quell’affermazione avrebbe richiesto ulteriori spiegazioni: possibile che non riuscisse mai a mentire? O, quantomeno, ad inventarsi una qualche scusa plausibile.
L’altro fu totalmente colto alla sprovvista ed alzò lo sguardo prima verso di lui e poi verso Zayn che si era quasi immobilizzato ma non osava proferire parola. Bastarono pochi secondi perché Harry tirasse fuori da una delle buste un pacco di cookies con le gocce di cioccolato, e se la rigirasse tra le mani; poi, controllò più a fondo e notò alimenti che conosceva fin troppo bene ma che non erano mai circolati molto tra i ragazzi.
“Queste sono tutte le sue cose preferite.” Sussurrò quasi a se stesso, la voce spezzata.
Ci fu un istante di silenzio in cui nessuno seppe cose fare: non parlavano spesso di ciò che era accaduto e, nonostante fossero passati diversi giorni da quando la ragazza era stata dimessa dall’ospedale, tutti sapevano che le cose tra quei due non erano affatto cambiate.
“Sì, io.. sto per portargliele.” Rispose Zayn, rendendosi conto che far finta di niente non sarebbe servito a molto. Spesso, infatti, uno di loro andava a trovarla per dare il cambio a Daphne: le facevano la spesa, le compravano dei regali, e poi glieli portavano.. quello era il massimo che potessero fare ma, per quanto si sforzassero, non riuscivano a vederla sorridere. “Perché non vieni con me?” Azzardò, sotto lo sguardo pietrificato di Liam.
Harry posò i biscotti dentro la busta, avendo ben cura che non si rompessero. “No, io non.. ho delle cose da fare oggi.”
Ennesima scusa: ormai c’erano quasi abituati. Onestamente non avevano più provato a fargli cambiare idea perché sembrava di andare sempre a sbattere contro un muro, anche se nutrivano tutti a muta speranza che un giorno avrebbe varcato quella soglia ed avrebbe portato lui le cose di cui aveva bisogno a July.
“Una volta.. una volta mi ha fatto arrivare fino a Londra perché voleva questi muffin al cioccolato bianco ed al cioccolato fondente.” Disse inaspettatamente, osservando una busta contentente proprio quel meraviglioso dolciume. “Quando si metteva in testa una cosa, non c’era niente che la facesse demordere: era una forza della natura, inarrestabile.”
“Lo è ancora.”
“Pensi che non lo sappia? Non c’è nessuno al mondo che la conosca come faccio io.”
“Non lo mettiamo in dubbio..”
Il ragazzo dai capelli ricci e dagli occhi color smeraldo tornò a sedersi sul divano, poggiando i gomiti sulle ginocchia e tenendo il capo basso.
“Sembra ieri che l’ho vista a quel ballo, sapete?” Non tradiva un sorriso. “Era seduta da sola in un angolino, con un vestito che non metteva in evidenza le sue forme e che la faceva sembrava più che altro una della famiglia Addams: si vedeva che non c’entrava niente con quel luogo, e l’espressione infastidita quasi faceva a pugni con i tacchi che indossava e l’acconciatura che le imprigionava i capelli. Mi sedetti accanto a lei perché avevo bisogno di qualcosa di diverso di quelle pseudo-bambole vestite come delle caramelle e lei sembrava davvero l’eccezione perfetta a quella fiera delle vanità.” Alzò un sopracciglio. “Quando, nei giorni seguenti, mi resi conto del fatto che lei credeva che non avremmo avuto più  niente a che fare, mi sentii piuttosto preso in giro: insomma, io ero amico di tutti in fin dei conti! Ero talmente deciso a farle cambiare idea che finii per passare con lei più tempo di quel che avevo programmato all’inizio; mi resi conto di quanto fosse bella solamente vedendola a scuola ogni mattina e prestandole attenzione: mai, mai un filo di trucco o vestiti che andassero oltre le scarpe da ginnastica e le felpe con il cappuccio. Il volto con i lineamenti dolci da bambina era quasi stravolto dallo sguardo che già tradiva il suo essere una donna, dentro.” Si passò una mano tra i capelli, confuso. “Abbiamo fatto un sacco di stupidaggini: scappavamo di continuo dai nostri genitori, rubavamo le loro macchine e le guidavamo senza avere neanche uno straccio di patente, attraversavamo mezzo Regno Unito solo per andare a prenderci un gelato in riva al mare o comprare delle scarpe che erano uscite in alcuni negozi particolari. Credo che mi abbia quasi fatto impazzire, ad un certo punto.. ma ridevamo in continuazione, e credevamo davvero che il tempo si sarebbe fermato per darci la possibilità di vivere insieme per sempre. Ho talmente tanti ricordi da non riuscire a raccontarli in maniera precisa, e mi sento quasi male se penso che sono passati solamente due anni e mezzo da quando le ho dovuto dire addio.. sono quattro anni che fa parte della mia vita, ed ha ricoperto tutti i ruoli possibili: confidente, migliore amica, avventuriera, sorella, fidanzata.” Stavolta sì, che sorrise. “Pensavo, onestamente, che non l’avrei più rivista: sapevo che non mi avrebbe perdonato, e non credevo abbastanza nel destino per credere che me la sarei davvero ritrovata davanti senza aver programmato niente. Quando l’ho vista in quello studio, pensavo che qualcuno volesse prendermi in giro: era esattamente come la ricordavo e, nonostante fosse cresciuta, sentivo che non era cambiata di una virgola. Avevo deciso di fare finta di niente come stava facendo lei, ma poi qualcosa è stata più forte della mia indifferenza e sapevo che non mi sarei dato pace se non l’avessi almeno salutata.”
“Poi ti sei un po’ lasciato andare, eh?”
“Come sempre.”
“Ma io non.. non capisco!” Liam stava seguendo quella storia con attenzione. “Se tenevi tanto a lei, perché l’hai lasciata quando sei entrato ad X-Factor? Non sarebbe stato facile ma in fondo non avete mai smesso di aspettarvi, no?”
“Saremmo finiti come Louis ed Hannah.”
“Non è vero, lo sai che non è così!”
“Non avevo il coraggio di guardarla in faccia.”
“E per quale motivo?”
“Io l’ho tradita Zayn, io l’ho tradita.. prima dei provini.”
“Tu cosa?”
“Non è che fosse proprio programmato solo che.. è successo, e basta. Lei l’ha scoperto ed io, invece di affrontarla, ho usato quell’opportunità come scusa per allontanarmi definitivamente.”
“Questo spiega molte cose..”
“Tutte le mie promesse si sono improvvisamente spezzate..”
“..come il suo cuore!”
“Zayn!” Esclamò Liam, rendendosi conto che anche l’amico si era immedesimato tanto nella storia da perdere quasi la cognizione di se stesso.
“Oh, scusate..”
“Che hai intenzione di fare adesso?”
“Mi farò odiare, di nuovo. Ma stavolta in maniera talmente profonda da non poter più tornare indietro. Così, neanche tutto l’impegno del destino mi permetterà di farle ancora del male.”
“Ti ama troppo, per poterti odiare..”
“Il confine tra amore ed odio è molto sottile.”
“Ma non pensi che sia..”
“Ingiusto? Assolutamente. Per me lo è.” Si alzò di nuovo in piedi. “Ma preferisco questo, al vederla di nuovo in un letto d’ospedale perché la mia popolarità è un rischio.” Questo, era comprensibile. “Lei è la mia vita, ed anche se non ne posso fare a meno.. devo fare un sacrificio.”
“Non sempre il sacrificio è parte integrante dell’amore.”
“In questo caso, sì.” Era fermissimo nelle sue convinzioni. “Merita qualcuno migliore di me: qualcuno che possa prendersene cura, qualcuno che sappia amarla senza distruggerla.”
“La distruggerai tu, facendo così..”
“Credi che sia facile per me?”
“No, ma..”
“Nessun ma, purtroppo.”
“Cos’hai intenzione di fare?”
“Diventare proprio come mi dipingono i giornali.”
“Harry..”
“Non c’è altra soluzione!”
“Deve esserci!”
“Non sempre le cose sono facili, okay?”
Se ci fosse stato Niall, li avrebbe guardati ed avrebbe detto che se si vuole tanto una cosa si trova sempre il modo di ottenerla e, di sicuro, avrebbe fatto riflettere Styles. Ma si dava il caso che l’irlandese fosse via, in quel momento, e che la vita ne avesse approfittato per giocare le proprie carte.
“Certe volte penso che avrei preferito che perdesse la memoria, con quell’incidente.”
Zayn si alzò in piedi, afferrò giubbotto, chiavi e spesa ed uscì da quella casa sbattendosi la porta alle spalle, con rabbia; Liam si passò una mano sul volto, scuotendo appena il capo.
Harry, infine, prese il telefono dal tavolino lì di fronte ed aprì un sms che gli era arrivato: “Cammina! E le manchi, idiota”.
Mittente: Daphne. 


Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Abitudine. ***




Due mesi dopo.
Seduta sul piccolo divano scuro nel soggiorno, se ne stava leggermente chinata in avanti mentre le dita affusolate stavano avendo cura di allacciare il cinturino sulla caviglia delle scarpe appena calzate; avvolta in un abito scarlatto comprato proprio per l’occasione appena un paio di giorni prima, attendeva pazientemente che il ragazzo con cui aveva appuntamento l’andasse a prendere a casa.
I giorni dell’incidente e della convalescenza sembravano ormai talmente lontani da essere quasi svaniti nella memoria, ed a pensarci adesso sembrava quasi impossibile che tutto quello fosse successo veramente a lei. In quei due mesi ormai trascorsi, July White era andata alle sedute di fisioterapia ogni giorno della sua vita fin quando il suo corpo non si era totalmente arreso alla volontà di ferro: le gambe erano tornate a reggerla, le dita a compiere i movimenti più piccoli e complicati, i piedi a poter indossare perfino dei tacchi vertiginosi. Aveva ricominciato a camminare con lentezza ed impaccio, fin quando non era riuscita a non aver più bisogno di un supporto e, attraversare la casa reggendosi in perfetto equilibrio, non era tornata ad essere una cosa assolutamente normale; adesso, riusciva a scrivere con la sua perfetta calligrafia tondeggiante ed a tratti confusa senza avvertire dolore alle giunture delle dita, e correva per la città quasi come una gazzella. Era stato piuttosto desolante non ottenere i risultati desiderati fin da subito, ma alla fine stringere i denti ed impegnarsi fino alle lacrime era stato sufficiente per potersi riappropriare di se stessa.
Quella sera, July era terribilmente entusiasta all’idea di poter uscire: finalmente, avrebbe rivisto Daphne – questa, infatti, era tornata a Bristol da quasi cinque settimane a causa degli studi che ancora la tenevano incatenata alla città natìa. Non era stato facile per quelle due riuscire a separarsi ed a vivere lontane, soprattutto considerando il bisogno oggettivo che l’una aveva dell’altra, ma forse era stato anche questo a dare alla prima la forza di tornare in fretta alla sua vecchia vita.
Niente, comunque, sembrava averla aspettata: alzarsi da quella sedia a rotelle aveva voluto dire affrontare una realtà che era mutata piuttosto in fretta. Aveva perso il lavoro a cui aveva dedicato l’anima per più di un anno, e si era ritrovata a dover cercare un impiego alternativo per poter non solo pagare l’affitto, ma anche sopravvivere contando solo sul suo stipendio senza dover dipendere da altri. Non era stato facile, considerando la sua condizione fisica ancora piuttosto incerta, ma quando era stata assunta da Hamley’s – il negozio di giocattoli più famoso di tutta l’Inghilterra, in Oxford Street – non aveva potuto che fare i salti di gioia; lavorare lì era un po’ come stare in una specie di Paese delle Meraviglie: c’erano bambini dovunque, ed era circondata da una quantità infinita di qualunque genere di oggetto ludico-ricreativo possibile ed immaginabile. Era terribilmente divertente sistemarsi quel cartellino sul maglioncino rosso e poi cominciare a trottare in qua e in là per i vari piani di quel luogo incantevole così da poter soddisfare i desideri di quei piccoli clienti. Ogni tanto le mancava il suo vecchio impiego come assistente di un fotografo professionista, ma piano piano si era resa conto che non sempre era possibile realizzare i propri sogni – non per questo, comunque, bisognava arrendersi.. a volte era sufficiente, semplicemente, trovare un sogno diverso.
Ogni sera, su skype, faceva una videochiamata con suo padre – che lavorava nell’Ambasciata Inglese nello stato dell’Ohio, in America; era stato proprio quell’assurdo impegno ad impedire all’uomo di raggiungere la sua unica ed adorata figlia quando aveva avuto bisogno di lui: non se lo sarebbe mai perdonato, ma si rendeva conto che quel lavoro era l’unica cosa che gli permetteva di mantenere la famiglia. Immediatamente dopo, era il turno della madre: una seconda videochiamata li metteva tutti e tre in collegamento nonostante si trovassero in luoghi più o meno distanti uno dall’altro. Era difficile vivere separati, ma nella vita a volte è necessario prendere la propria strada lasciando indietro le cose che più amiamo, solo per poter trovare se stessi nei futuri ricordi degli sconosciuti. July si era ripromessa di tornare ad Holmes Chapel per qualche giorno non appena suo padre avesse ottenuto le ferie, così da poter stare di nuovo con la sua famiglia.
Era proprio assorta in quei caldi pensieri, quando il suono del campanello le fece alzare la testa con un rapido scatto; si alzò in piedi, raggiungendo la porta principale con passo piuttosto rapido – per quanto i tacchi che indossava glielo permettessero – e guardò attraverso lo spioncino solamente per una questione di abitudine. Un radioso sorriso le colorò il volto appena ricoperto da un velato strato di trucco, e fece scattare la chiusura così da poterla aprire.
“Ma.. sei bellissima!”
“Sei sempre il solito esagerato..” Rispose lei. “La verità è che hai proprio un cuore d’oro, sì.”
“Aaah, smettila!” Il ragazzo quasi arrossì. “Sto solo dicendo la verità.”
“In tal caso, allora, grazie.”
“Dai, fatti vedere!” Le prese la mano, facendole compiere una rotazione completa così da poterla guardare per intero. “Stai veramente bene, sai?”
“Okay, adesso smettila: mi stai mettendo in imbarazzo!” Rise.
Si guardarono, con un sorriso sul volto.
“Adesso andiamo, o rischiamo di fare tardi.”
 
Quando entrarono insieme nel locale, in molti si voltarono verso di lei; il posto era piuttosto grande, ma evidentemente affollato. Qualcuno fece per andare verso il ragazzo per poter chiedere una foto o un autografo, ma questo fece un rapido cenno ed insieme si defilarono, dirigendosi a passo svelto uno dei privè che raggiunsero tramite una scala in vetro - che mise piuttosto in crisi la povera July: questa, infatti, indossava un abito e temeva una visuale un po’ esagerata della sua biancheria intima.
Divertiti dalla scena, gli altri li aspettavano impazienti; se ne stavano comodamente seduti su dei divanetti in pelle bianca sistemati intorno ad un paio di tavolini bassi che già fioccavano di drink vari. La prima ad alzarsi in piedi fu Daphne che la strinse forte a sé sollevandola praticamente da terra, con le lacrime agli occhi: non fu necessario parlare, perché tutto ciò che provavano l’una per l’altra era racchiuso in quel naturale gesto che fece ammutolire tutti i presenti; subito dopo, il ragazzo che era andato a prendere la piccola White a casa si avvicinò, e diede un tenero bacio sulle labbra all’altra ragazza: la relazione tra i due sembrava non riscontrare più alcun genere di ostacolo, e perfino le fans non avevano più molto da ridire.
“Non posso credere che tu sia davvero qui!” Gioì Louis andando incontro alla nuova arrivata e stringendola rapidamente a sé. “Dovremmo essere noi quelli super impegnati, e invece sei tu quella che non ha mai tempo per noi.” Scherzò.
July scuotè la testa, e dopo aver dolcemente sorriso, si avviò a salutare gli altri: Zayn, seduto accanto a Perrie, Liam che era impegnato in un racconto con altre due delle Little Mix, Eleanor che si intratteneva dolcemente con la quarta componente del gruppo ed Andy – il migliore amico di Liam –  , un altro paio di amici che personalmente non conosceva, i JLS e Darren – migliore amico di Niall.
Si sedette proprio accanto a quest’ultimo, che aveva avuto occasione di conoscere appena un paio di settimane prima, assolutamente decisa a godersi la serata. Aveva sentito quei quattro ragazzi praticamente ogni giorno, sebbene con ritmi e modalità differenti, ma non era mai riuscita a trovare tempo per poter trascorrere una serata in loro compagnia; finalmente, in quell’occasione assolutamente speciale, aveva deciso di mettere da parte tutto il resto.
“Il programma della serata, più o meno, è questo: stiamo qui ancora un’oretta, e poi ci muoviamo verso il Tamigi. Da quel che ci hanno detto, anche quest’anno hanno organizzato dei festeggiamenti incredibili.” Si affrettò, diligentemente, a spiegare Payne. July sapeva che la sua storia con Danielle era finita ormai da un po’, ma non aveva mai trovato il coraggio di domandargli alcunchè: aveva sempre paura di ferire quel ragazzo dagli occhi buoni, sempre paura di dire qualcosa di sbagliato.
D’improvviso, uno strano ed imbarazzato silenzio calò in quella solitamente allegra combriccola: non ci voleva certo un esperto per rendersi conto di ciò che era appena accaduto, ma la ragazza si impose di fingere che tutto fosse normale. Li aveva, infatti, appena raggiunti il quinto componente del gruppo, che come al solito era in ritardo; quando Harry Styles si tolse il cappotto, gli occhi di July sfuggirono al suo controllo, e si legarono alla figura che tanto era loro mancata. Nello stesso modo, lo sguardo smeraldo del ragazzo l’aveva trovata.
Era stato sciocco da parte loro pensare che sarebbero stati in grado di controllarsi a tal punto: come due calamite, erano scattati l’uno verso l’altra. Perfino in una stanza affollata, in mezzo a migliaia di altre persone, quei due si sarebbero riconosciuti; forse la chiave di tutto stava proprio lì, nel fatto che riuscissero a trovarsi senza neanche cercarsi, in quel semplice ed invisibile contatto che li univa senza bisogno di sfiorarsi. Si erano sempre giustificati dicendo che si trattava della forza dell’abitudine, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di ammettere di avere, invece, a che fare con l’appartenenza reciproca.
Freddamente, il ragazzo salutò tutti con un semplice bacio sulla guancia, che riservò anche per July.. la quale, ovviamente, non si era aspettata certo niente di più. Sarebbe stata una lunga serata, questo era poco ma sicuro; in quei due mesi, le notizie sulle presunte relazioni di Harry erano a dir poco quadruplicate: non passava giorno senza che apparisse una sua foto in compagnia di qualche modella bella da far girare la testa – aveva pensato che questo potesse fare la differenza ma, purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con il fatto che la ragazza che aveva cercato di allontanare non si era mai curato tanta di quei dettagli.. senza considerare, che aveva scoperto il suo piano ben prima che lui stesso lo mettesse in atto. Era un errore comune da parte del riccio: sottovalutare il legame che lo incatenava alla ragazza dai capelli scuri, convincendosi del fatto che il tempo ne avesse logorato la stabilità. Al contrario, erano stati proprio il tempo e la distanza ad impedire all’uno di allontanarsi dall’altra, e viceversa.

Io vorrei, lo giuro. Lei mi guarda e non mi implora di avvicinarmi; lei mi guarda e mi domanda silenziosamente quando tutto questo finirà. È troppo orgogliosa per tentare di annullare questa distanza, ed è proprio su questo che giocherò: averla così vicina mi fa mettere in dubbio le mie decisioni.. non posso tornare indietro, l’immagine di lei su quel letto d’ospedale mi impedisce ancora di dormire. Solo che.. stasera è così bella, ed io non la vedevo da mesi ormai. Mi chiedo se sarò abbastanza forte da resistere, da non cedere al richiamo di quei capelli neri che stasera ha dolcemente mosso con un arricciacapelli.. abbastanza da non correre ad offrirle il mio braccio come sostegno quando deve camminare con quelle scarpe.. abbastanza da non andare lì e sbavarle tutto il rossetto.
È una notte strana, questa.
Una notte da una volta sola in tutto l’anno.. stasera niente sarà lo stesso.”

La neve cadeva soffice e delicata su una Londra illuminata a festa, dove i colori si perdevano nel cielo nuvoloso che nascondeva una distesa di stelle. Per le strade si riversavano masse gioiose, ed il clima di festa si respirava nell’aria: non c’era giorno più bello in quella città, giorno che richiamasse più turisti. Quel gruppo stranamente assortito di superstar e persone assolutamente normali si muoveva sui marciapiedi che seguivano il percorso del fiume: avvolti tutti nei cappotti, con tanto di sciarpe e cappelli, quasi non venivano riconosciuti in mezzo a tutto quel trambusto e quel viavai. Canticchiavano allegramente, un po’ brilli ed un po’ semplicemente felici di aver passato una serata piacevole tutti insieme senza incombenze contrattuali, e si dirigevano a passo piuttosto rapido verso la London Eye – spronati unicamente da Liam che aveva avuto il buonsenso di tenere d’occhio l’orologio e non era assolutamente intenzionato a far tardi.
July ed Harry camminavano lontani, senza neanche guardarsi; non si erano parlati, si erano avvicinati il meno possibile e facevano quasi finta che l’altro non esistesse. Gli altri avevano provato in tutti i modi a farli interagire, ma la proverbiale e reciproca testardaggine aveva impedito qualunque genere di accostamento. Adesso, la ragazza camminava in compagnia di Liam ed Andy, mentre Styles ogni tanto scompariva e si arrampicava sugli alberi, sulle ringhiere e sui palazzi con il suo iPhone per poter scattare le solite artistiche foto di cui ormai non poteva fare a meno; in condizioni normali, July l’avrebbe preso per un orecchio e l’avrebbe trascinato senza pietà impedendogli qualunque ribellione, ma viste come stavano le cose toccava a Daphne e Niall tentare di fargli recuperare il lume della ragione – senza successo, ovviamente.
Quando giunsero nel luogo desiderato, mancavano solamente un paio di minuti all’ora tanto attesa, e l’eccitazione nell’aria era palpabile. Si ritrovarono in mezzo a decine, se non centinaia, di persone che tenevano il naso verso l’alto ed attendevano con pazienza ed emozione: non era quello il punto principale dei festeggiamenti, ma era quello dove si rischiava meno di essere coinvolti in qualche possibile casino.
Quando il conto alla rovescia cominciò, tutti trattenero il fiato ed ognuno si mise al fianco della persona con cui avrebbe voluto passare lo scoccare di quell’incantevole secondo; allo scadere di quel breve tempo, July si voltò senza rendersene conto ed incontrò per l’ennesima volta gli occhi verdi di Harry che aveva trovato il modo di allontanarsi il più possibile, probabilmente per resistere a qualunque genere di tentazione.

Meno cinque.
E July si arrese a se stessa, cominciando a camminare in direzione del ragazzo.
Meno cinque.
E July cominciò a farsi largo tra la folla.
Meno cinque.
Ed Harry se ne accorse.
Meno cinque.
Ed Harry non riuscì a dire no.
Meno cinque.
Ed in quel momento capirono.
Meno quattro.
Ed il cappello di July cadde a terra.
Meno quattro.
E lei riusciva a vedere solo quel volto.
Meno quattro.
E qualuno riconobbe Harry.
Meno quattro.
E lui cominciò a sua volta a muoversi tra quegli sconosciuti.
Meno tre.
E il chiasso aumentava.
Meno tre.
E le persone si facevano sempre più impazienti.
Meno tre.
E tutti tentavano di allontanarli.
Meno due.
E July era solo ad un passo da lui.
Meno due.
Ed Harry sorrise.
Meno uno.
Le loro mani si sfiorarono.
Zero.
La neve aveva aumentato la sua intensità.
Zero.
I fuochi d’artificio illuminavano il cielo di Londra.
Zero.
La folla esplose in un boato.
Zero.
Lui la tirò a sé, mettendole una mano dietro la nuca.
Zero.
Si guardarono negli occhi.
Zero.
Si baciarono, stringendosi con forza.
Zero.
La ragazza scoppiò in lacrime.
Zero.
Scomparì tutto ciò che avevano intorno.
Zero.
E non era un sogno.
Più uno.
Aprirono gli occhi, entrmabi.
Più due.
“Io non.. non posso.”
Più due.
“Perché?”
Più tre.
“Perché ti amo.”
Più tre.
“Ti amo anche io, Harry.”
Più tre.
“Non basta.”
Più quattro.
“Invece sì.”
Più quattro.
“Perdonami.”
Più quattro.
“Non sarò mai più felice, senza di te.”
Più quattro.
“Perdonami, perdonami, perdonami..”

Un nuovo anno, era appena cominciato.

Infine Harry scomparve tra la folla, perdendosi in quel caos che lo avvolse.
Infine July rimase lì immobile, portandosi una mano tremante sulle labbra.
Infine non ci sarebbe mai stata una fine.


Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Regali speciali. ***




Hamley’s non era quel tipo di negozio che chiudeva durante le festività, neanche quando si trattava di quelle più importanti. Era proprio in quelle occasioni, infatti, che le famiglie si ritagliavano del tempo per andare a fare acquisti più o meno dispendiosi, ma che comunque risultavano fonte di profitto.
Era solamente il 2 gennaio, ma almeno una quindicina di commessi si affrettavano nel percorrere le scale che conducevano ai vari piani di quel grande magazzino dedicato unicamente ai giocattoli che, come la Fabbrica di Cioccolato di Willy Wonka, rappresentava una specie di paradiso per i bambini di tutte le età. Tra questi ragazzi infagottati nelle divise lavorative, ce n’era una che non aveva proprio alcuna voglia di farsi tutte quelle rampe solamente per farsi vedere dai propri capi; in piedi al centro esatto di un reparto al momento quasi deserto, July sistemava distrattamente dei peluche in una piramide piuttosto perfetta sorretta da alcuni scaffali - ma neanche tentava di concentrarsi davvero su ciò che stava facendo: meno di 24 ore dopo quel bacio sotto la neve, era pressochè impossibile evitare di pensarci. Mille domande le affollavano la mente e più tentava di trovare una risposta, più la voglia di cominciare a prendere a testate il muro più vicino diventava forte. Avrebbe sicuramente preferito adottare quel procedimento usando come bersaglio Harry ma, per ovvie ragioni, le era al momento piuttosto difficile; senza considerare che avrebbero potuto arrestarla, e questo non rientrava nelle sue priorità. Rifletteva senza sosta, rivivendo quegli istanti in bilico tra fantasia e realtà, chiedendosi quanto di quello che rimembrava fosse successo davvero; le sembrava di sentire ancora il sapore di quelle labbra fredde, ed il tocco delle sue mani sul collo ma.. lui non era lì, e niente avrebbe potuto cambiare quel fatto.
Sbuffando appena, fece in modo che uno Stitch peloso stesse nella posizione desiderata anche contro la sua volontà e si decise a scendere a piano terra per chiedere se avessero bisogno di aiuto alle casse. Proprio mentre stava per allontanarsi, però, si sentì tirare il maglioncino rosso con vaga insistenza e si chiese chi mai potesse esserci; voltandosi, dovette abbassare lo sguardo per incrociare la figura di una bambina che la guardava con grandi occhioni color mare. Aveva lunghissimi capelli biondi lasciati liberi e selvaggi che sembravano non andare molto d’accordo con la spazzola, ed una pelle d’avorio che metteva in risalto i lineamenti dolci e colmi di tenerezza.
“Posso chiederti una cosa?”
“Sì, dimmi!”
“Ho bisogno di un favore, ma se mi scopre mamma poi dice che è una cosa da bambini.”
July pensò che una bambina non potesse far altro che cose da bambini, ma evitò di dirlo. “Proverò ad aiutarti..”
Si indicò, voltando un pupazzo in fondo alla parete destra. “Ho bisogno che lo porti ad una persona, da parte mia.”
“Oh, bhè.. io non posso, sono solo una commessa!”
“Sì ma sei grande!” La guardò con quegli occhi chiari, pieni di speranza. “Io non lo posso fare!”
La ragazza si abbassò fino ad arrivare alla stessa altezza di quella dolcezza, e la guardò; era così risoluta che le sembrava davvero una cattiveria non ascoltarla.
“A chi devi regalarlo?”
“A Liam Payne.” Per poco, July non cadde a terra. “Mamma dice che sono troppo piccola per andare a un concerto e così non posso mai incontrarlo!” Abbassò lo sguardo.
“Ma io non lo conosco!”
“Ma puoi conoscerlo! Per Natale non ho potuto fargli un regalo, ma forse gli piacerà anche se arriverà in ritardo.”
“Sai che lui è molto più grande di te, giusto?”
“Io voglio solo abbracciarlo forte forte!”
Era incredibile il modo in cui quella bambina parlava di Liam: gli occhi che brillavano, la sua convinzione, l’aria sognante.. chi era lei per infrangere i suoi sogni? E poi, diciamocelo, lei Liam lo conosceva ed avrebbe potuto portargli davvero quel regalo.. in un modo o nell’altro.
“Ci proverò, allora.”
“Grazie, grazie davvero!” Esclamò la bimba, battendo le mani. “Puoi dirgli anche che è da parte della sua fidanzata?”
“Ma lui non ha una fidanzata..” Riflettè ad alta voce.
“Certo che ce l’ha! Io sono qui, proprio qui!” E certo, come aveva fatto a non pensarci prima? “Solo che ancora non mi conosce perché ho 8 anni! Ma aspetta che ne faccia 10, e poi le cose cambieranno.”
“Ne sei proprio sicura, eh?”
“Mamma mi ha detto che quando due persone si vogliono bene si sposano e passano tutta la vita insieme..” Alzò le spalle. “Ed io voglio tanto, tanto, tanto bene a Liam quindi.. sarò sua moglie, un giorno.”
July rimase spiazzata dalla semplicità di quel discorso, dalla linearità e dall’assoluta inconfutabilità. In effetti, questo era quello che spiegavano un po’ a tutti i bambini.. solo che era strano sentirlo dire con una convinzione così grande.
“Come ti chiami?”
“Marie Bloomsbury..”
Si guardarono.
“Marie, vieni qui!” Una terza voce si intromise; una donna dai capelli a caschetto dello stesso colore di quello della figlia ed una camminata che non mostrava debolezze si avvicinò.
“Sì mamma scusa, stavo solo parlando con lei!”
Le guardò entrambe. “Oh mi scusi.. mia figlia è così..”
“Adorabile!” Esclamò July, sorridendo. “Non si preoccupi: lavorando in un negozio di giocattoli è più che normale avere a che fare con dei bambini.”
“Mi spiace se l’ha disturbata mentre lavorava.”
“Ma no, anzi.. è stata una chiacchierata piacevole.”
La signora Bloomsbury sembrava piuttosto confusa al riguardo, ma si limitò a prendere per mano la figlia ed a congedarsi da quella strana commessa tenendo sottobraccio un paio di tazze mug ed una pista di macchinine.
Rimasta nuovamente sola, la piccola White si ritrovò a guardare l’oggetto che Marie le aveva indicato poco prima; si avvicinò, mentre un sorrisone le colorava il volto: si trattava di un pupazzo di Woody a grandezza praticamente reale – alto circa 190 cm.
In quel momento, si rese conto che non sempre è necessario trovare un “sogno diverso”: certe volte, basta incontrare il destino.. possibilmente, vestito da commessa di Hamley’s.
 
Seduta sulla metropolitana, guardava il paesaggio che si snodava rapidamente fuori dal finestrino e ringraziò silenziosamente il cielo che quella fosse una delle poche linee che percorreva la città senza scendere sottoterra. La luce entrava diretta, colpendo il volto dei passeggeri che parevano aver concentrato la propria attenzione sulla figura di quella ragazza dai lunghi capelli scuri e con indosso un paio di occhiali da vista scuri, intenta ad ascoltare il suo iPod. July, che non era certo abituata a quel genere di attenzioni, si limitava a starsene con lo sguardo basso lasciando che la voce di Demi Lovato la accompagnasse in quel viaggio che sarebbe durato ancora qualche minuto.
“Certo che sei proprio di compagnia, eh?!” Sbottò ad un certo punto, voltandosi verso il sedile alla sua destra: lì, con le braccia lasciate cadere sulle gambe e la testa poggiata allo schienale, se ne stava seduto compostamente Woody. “Dai, voglio fare la persona educata: vuoi una cuffia?” Disse, porgendogli gentilmente l’auricolare destro. “Se non ti piace Demi posso anche cambiare, non è un problema..” Suggerì, sorridendo. Poi, vedendo che quello – per ovvissime ragioni – non si muoveva, sbuffò. “Credo che dovresti collaborare, sai? Così, non andiamo da nessuna parte.” Tamburellò le dita sul poggia-gomito e poi, perse le speranze. Infine, stremata da quel dialogo con un interlocutore inanimato, poggiò la testa sulla sua spalla di pezza e decise di ignorare il resto dei presenti. “Però, lo devo ammettere, sei comodissimo.”
Fecero così il resto del tragitto, e July si sorprese del fatto che quel pupazzo fosse decisamente molto più simpatico della maggior parte delle persone con cui aveva a che fare ogni giorno. Solo quella mattina, Marie le aveva chiesto quel piccolo favore, e lei aveva deciso di accontentarla.. ecco perché quel giorno, ad ora di cena, se ne stava seduta su uno dei treni della subway londinese, con accanto quel personaggio di Toy Story che aveva tanto amato anche lei, un tempo.
“Oddio, la nostra fermata!” Si alzò di scatto, prendendo la borsa. “Dai, andiamo.” Esclamò, prendendolo per mano.. ma questo, invece di alzarsi, si accasciò lungo entrambi i sedili. “Sei pigro, lasciatelo dire.” Allora, se lo prese in spalla; le braccia a sfiorare quasi il suolo, il cappello e la testa che sbattevano contro la schiena della ragazza, e le ginocchia tenute ferme come punto di sostegno.
Così, July White attraversò la stazione della metro con aria assolutamente impassibile, come se fosse normale andare in giro con un pupazzo di quasi due metri addosso. Proprio un paio d’ore prima aveva mandato un sms a Daphne chiedendole quale fosse l’indirizzo di Payne e, dopo esserselo segnato su uno degli immancabili post-it gialli, aveva deciso di raggiungerlo visto che si trovava sulla strada per tornare a casa.
Londra, quella sera, era particolarmente fredda e si pentì immediatamente di aver lasciato il cappello nella borsa: le era impossibile prenderlo senza posare Woody da qualche parte, ed aveva troppa paura di sporcarlo o rovinarlo per azzardarsi a fare una cosa del genere. Si mise allora a correre, fin quando i suoi occhi non si soffermarono sulla strada giusta che imboccò, con determinazione; una volta trovato il plesso in cui doveva trovarsi casa di Liam, seguì le istruzioni aggiuntive che le aveva dato l’amica, e riuscì ad arrivare quasi miracolosamente dietro la sua porta.
Suonò il campanello un paio di volte, e mise il suo amico davanti lo spioncino cosicchè chiunque avesse tentato di capire chi mai avesse bussato, avrebbe visto il suo volto. Quando la porta si aprì, July entro dentro l’appartamento senza neanche salutare il padrone di casa e continuando a tenere sottobraccio Woody; poggiò la borsa su uno splendido mobile nell’ingresso (“Possibile che tutti lo scambino per un poggia oggetti?”) e si diresse verso il divano. Lì, lo mise a sedere e lo guardò negli occhi. “Stai seduto qui e non fare il maleducato!” Gli disse, con tono serio; Woody, in tutta risposta, mantenne il suo sorriso pacifico.
“J-July..?” Domandò vagamente spaventato il ragazzo, che non riusciva a capire cosa fosse successo.
“E’ stata Daphne a dirmi dove abitavi, e cosa dire al portiere per farmi salire su.” Si giustificò. “Spero non ti dispiaccia..”
“Non è quello che mi turba, onestamente.” Disse, indicando il pupazzo.
“Oh, già.. lui è Woody, credo che tu lo conosca!” Asserì. “E’ un regalo da parte di una fan.”
“Vuoi dire che le fans sanno di te..?”
“No, assolutamente! Non credo si aspettasse nemmeno che lo ricevessi davvero, ma le ho fatto una promessa e l’ho voluta mantenere.”
“Oh.. di solito non accettiamo regali per non creare disparità.”
“Lo so, ma questo è speciale.” Sorrise. “La persona che te lo manda è speciale: si chiama Marie, e credo sia la persona che tiene a te più di chiunque altro al mondo.”
Si guardarono, sorridendo. Non c’era bisogno di dare altre spiegazioni.
“Ti terrà compagnia dai, non preoccuparti!” Aggiunse, vedendo l’espressione del ragazzo.
“July, io.. credo che dovremmo parlare. Ho aspettato che fosse Harry stesso a farlo, ma dopo quello che è successo credo non accadrà.”
Il suo volto si fece serio.
“Ti ascolto.”
“Harry si è..”
“Sì?”
“Harry ha una fidanzata.”
In quel momento, il mondo crollò su di lei. Liam dovette correrle incontro e riuscì a raggiungerla appena in tempo, prima che questa perdesse i sensi, e si accasciasse tra le sue braccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Caffè. ***




Quando il campanello suonò, colse totalmente alla sprovvista il padrone di casa che se ne stava seduto sul divano con aria preoccupata, accanto alla ragazza dai capelli scuri che si era praticamente rannicchiata con le gambe al petto e teneva tra le mani un bicchiere in vetro con dentro dell’acqua; non aveva saputo cosa fare, ed una volta dopo averla fatta riprendere non aveva avuto il coraggio di domandarle alcunchè, ma solamente di tentare di farle mangiare e bere qualcosa onde evitare cali di pressione ulteriore – se di quello si era trattatato. Era dunque ovvio che fosse regnato il silenzio per circa una quarantina di minuti, fin quando quel suono insistente non si era frapposto tra loro. Preoccupato, pensò che non aveva appuntamento con nessuno dei ragazzi e si domandò chi potesse essere: quando nella sua mente figurò il volto di Harry, si rese conto che sarebbe potuta essere una vera e propria catastrofe. Il tragitto verso la porta parve infinito, ed era talmente in tensione che per una volta si pentì di essere quello più sensibile ai problemi altrui; infine, osservando dallo spioncino, riuscì a trarre uno dei sospiri di sollievo più sentiti della sua vita ed aprì con un mezzo sorriso sul volto.
Radiosa, fece il proprio ingresso una Daphne di un’immensa felicità, che si catapultò all’interno dell’appartamento con tutta la sua coinvolgente e stravolgente energia.
“Ho saputo che July era qui, ed ho pensato di venirvi a salutare!” Esclamò, dopo aver abbracciato Liam. Diede un rapido sguardo alla stanza e, soffermandosi nella zona del divano, si trovò quasi costretta ad aggrottare le sopracciglia.
“Chi dei due è il pupazzo?” Domandò, indicando prima July e poi Woody che se ne stava lì accanto. “No, perché al momento non so chi sia più espressivo.” Aggiunse, alludendo alla ragazza che fissava un punto non meglio identificato del vuoto, nascondendo metà del volto tra le braccia ed il bicchiere.
“Daph..” Tentò di cominciare il disccorso Payne; avrebbe voluto dirle cos’era successo, ma non sapeva come l’avrebbe presa July: sentirlo dire un’altra volta, di sicuro, non avrebbe fatto bene a nessuno.
“Che diamine è successo?” Domandò, facendosi improvvisamente seria: qualunque cosa fosse successa, stava rendendo la sua migliore amica triste e, questo, non era assolutamente un dato trascurabile.
“Bhè, ecco..”
“Harry si è fidanzato.” Intervenne a quel punto la ragazza con gli occhiali, alzando appena il mento e pronunciando quelle parole senza allentare neanche per un istante quello stato di assenza in cui si trovava.
Seguirono vaghi istanti di silenzio; Daphne dovette analizzare bene quelle parole: era assolutamente convinta che quando avrebbe sentito quelle parole, July sarebbe stata la persona più felice del mondo visto che sarebbe stata proprio lei la fidanzata del ragazzo dai capelli ricci. Ma se c’era quell’atmosfera così pesante, vuol dire che era stato scambiato qualche tassello. Nello stesso momento in cui realizzò quello che doveva essere successo, sentì montare dentro di sé una rabbia che aveva provato poche volte in vita.
“Non ci posso credere, allora dev’essere un vizio di questa band!” Esclamò, livida; vide July alzare lo sguardo, dubbiosa. “E’ una vecchia storia, lascia stare.” Aggiunse immediatamente dopo: non aveva mai raccontato alla ragazza quello che era successo tra lei e Niall prima che si mettessero insieme. “No, ma non la passerà liscia!” Il tono della sua voce rasentava quasi l’isteria: non poteva credere a quello che era successo, e non avrebbe permesso ad Harry di spezzare il cuore della ragazza, non di nuovo.
Allora, si diresse a passò rapido verso la porta.
“Che vuoi fare?” Domandò Liam, che faticava a tenere il filo.
“Gliene vado a dire quattro, se lo scorda che mi sto zitta! Sono o non sono la sua migliore amica? Bene, lo faccio diventare biondo stavolta.”
Quandò sentì quelle parole, il ragazzo scattò verso Daphne e la bloccò prendendola praticamente di peso e sollevandola mezzo metro sopra il suolo.
“Lasciami andare, ho una rissa da cominciare!”
“Daphne, fermati un secondo: non ti lascio uscire da qui!”
I due si guardarono in maniera piuttosto esplicita, ma una cosa era certa: Liam non avrebbe permesso a Daphne di intromettersi in quella situazione per ben due motivi. Per prima cosa, July ed Harry avrebbero dovuto imparare da soli a risolvere i propri problemi e, poi, avrebbe finito per litigare con il ragazzo e tutti sapevano quanto la fidanzata di Niall fosse un punto di riferimento per ognuno di loro.
Proprio mentre si decideva a rimetterla giù, ecco che era stata July ad alzarsi in piedi: stava indossando il cappotto poggiato sullo schienale del divano cui era seduta e, senza dire neanche una parola, si era voltata per andarsene.
“Dove vai?” Domandarono gli altri due quasi in coro.
“A mettere un punto a tutto questo.” Si limitò a rispondere. “Daph, mi accompagni?”
Bastò uno sguardo perché quest’ultima afferrasse le chiavi della macchina dalla tasca dei jeans che indossava, e le facesse un cenno con il capo. Appena prima di varcare la soglia di casa, si voltarono verso il povero Liam che le guardava con aria triste: non avrebbe voluto essere lui a dare questa notizia alle ragazze, ma non era riuscito a far finta di niente quando aveva visto la piccola White davanti ai suoi occhi. Le promesse che si facevano tra di loro quei cinque ragazzi erano assolutamente sacre, ed a nessuno di loro era mai passato per la testa di infrangerne anche solo una.. ma, in quel caso, Harry aveva semplicemente comunicato quella notizia ai suoi amici, senza specificare di mantenere il silenzio al riguardo. E se il ragazzo avesse proprio voluto che quella relazione arrivasse alle orecchie di July? Daphne in quel momento lo guardò, e capirono di aver avuto lo stesso pensiero.
Sconsolato, le guardò andare via chiedendosi perché a volte le cose dovessero essere così difficili: perché quei due non si arrendevano semplicemente all’idea di vivere quel genere di relazione in cui non sono concessi attimi di respiro? Avrebbero dovuto impegnarsi, ed invece finivano per allontanarsi e perdersi di continuo.. come se non fossero in grado di tenere l’altro a sé, come se non concepissero l’idea di appartenere a qualcun altro. Se c’era una cosa di cui tutti erano fermamente convinti, comunque, era che quella storia non avrebbe mai avuto un punto, mai.

La radio allentava un po’ la tensione all’interno di quell’auto che sfrecciava per le strade di Londra come una saetta; sedute una accanto all’altra, le ragazze stavano in religioso silenzio: una pensava al momento che si stava avvicinando, l’altra non sapeva bene cosa dire.
July stringeva tra le mani l’iPhone di Daphne, che appena un paio di minuti prima aveva mandato un sms ad Harry dicendogli che doveva chiedergli un immenso favore e chiedendogli dove si trovasse; adesso, proprio in quell’istante, era arrivata la risposta: “c’è mia madre qui per un paio di giorni. Sono in albergo, quello dove sei stata tu nel primo periodo.” Era ovvio che non potesse essere più specifico tramite un sms, ma Daphne sembrò capirne abbastanza per aumentare ancora la velocità e dirigersi verso il luogo indicatole. Ci misero circa una ventina di minuti per raggiungere quell’hotel che sembrava più che altro un angolo di paradiso, e parcheggiarono l’auto poco lontano. Poco prima che raggiungessero l’ingresso, July si accorse del fatto che proprio lì fuori c’erano un paio di ragazze che stavano probabilmente aspettando l’uscita di Harry: riconobbero infatti Daphne e scattarono una foto con i telefoni che tenevano pronti nell’evenienza di vedere uno dei loro idoli. Preferì non dire niente all’amica, consapevole del fatto che non dovesse essere la prima volta che succedeva una cosa del genere, ma piuttosto imitò il suo atteggiamento assolutamente indifferente al riguardo.
La hall le accolse tranquillamente: non c’era molta gente in giro, se non qualche ospite dell’albergo che si affrettava ad uscire armato della propria macchina fotografica e parlando qualche lingua europea non meglio identificata. Senza dubitare, si diressero verso la reception con passo tranquillo.
“Il signor Styles vi sta aspettando nella camera 193.” Disse l’uomo che le aveva viste entrare e che stava dall’altra parte del bancone: aveva appena ricevuto infatti una telefonata interna da parte di quella celebrità che gli comunicava che presto sarebbe arrivata una ragazza che avrebbe chiesto di lui e che avrebbe dovuto indirizzarla verso la sua stanza. Non si chiese chi fosse la ragazza dai lunghi capelli sciolti che stava accanto a lei, proprio perché aveva riconosciuto il volto dell’altra visto che era stata loro ospite per qualche settimana appena l’anno prima: faceva quel lavoro da almeno 30 anni e non aveva mai dimenticato le fattezze di uno solo degli ospiti. Forse era per questo che era così bravo!
Insieme, arrivarono fino agli ascensori.
“Ti aspetto al bar.” Si limitò a dire Daphne, fermandosi davanti a lei. Poi, la guardò allontanarsi e si diresse verso uno di quei tavolini, pronta ad ordinare una cioccolata calda: sarebbe stata una cosa lunga, ed era meglio addolcire l’attesa.
Nel frattempo, July White aveva deciso di salire al piano superiore avvalendosi dell’utilizzo delle scale: prendere l’ascensore avrebbe voluto dire solamente perdere altro tempo, e lei voleva risolvere quella situazione il più in fretta possibile.
Si ritrovò davanti quella porta con una risoluzione che poche volte aveva provato nella sua vita, che aveva visto solamente negli occhi di Marie proprio quella mattina; ripensò a lei, in quel momento. Ripensò a quello che sarebbe stata disposta a fare per Liam, e si rese conto di quello che Harry non aveva mai rischiato per lei; una relazione doveva essere fatta d’altro, non solo di ricordi e parole.
Proprio mentre stava per bussare, la porta si aprì e davanti gli occhi scuri della ragazza apparve una figura fin troppo conosciuta: Anne era lì, che la guardava stupita.
“Mio Dio, che.. che sorpresa vederti!” Esclamò, non capacitandosene ancora. “Non sapevo che tu ed Harry foste rimasti in contatto!”
Era strano essere di nuovo una di fronte all’altra: July era cambiata tanto, era diventata quasi una donna, ed Anne la madre di uno dei ragazzi più famosi al mondo. Due anni dopo, non essere ad Holmes Chapel gravava sui loro cuori per ragioni diverse.. le persone che erano state erano ormai ben lontane da loro, eppure sentivano sempre che c’era quel legame che aveva fatto sì che la signora Cox accogliesse in casa quella ragazzina come fosse una figlia quasi ogni giorno: era l’amore che entrambe provavano per Harry.. per quello che era a sedici anni, e per quello che era ancora.
“Oh bhè, non proprio..” Si limitò a rispondere July, spaesata.
“Credo che abbiate delle cose da chiarire. Forse, è meglio che vada a prendermi un caffè al piano di sotto; vienimi a trovare quando torni ad Holmes Chapel, sai che la mia porta è sempre aperta per te.” Si congedò la donna, accarezzandole il viso con un gesto materno ed amorevole.
Quell’incontro durato appena pochi istanti l’aveva confusa più di quanto pensasse, e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per varcare quella soglia e trovarsi davanti ad Harry; quando lo fece, si trovò davanti una camera arredata secondo un gusto moderno e lineare, in perfetto stile londinese. Era una camera singola, e su quell’unico letto presente era spaparanzato Harry: una mano a tener su la testa, e l’altra che stringeva il telecomando con il quale stava cercando qualcosa da guardare in televisione. Vederlo così gli ricordò quelle volte che era stata in camera sua a guardare film nelle giornate d’inverno fredde come quella, ma non per questo la sua rabbia diminuì.
“Hey Daph, ti aspett..” Esordì, prima di voltarsi e riconoscere qualcuno di diverso dalla sua migliore amica. Sbiancò, tirandosi su e mettendosi a sedere sul bordo del letto: non si aspettava di rivederla ancora per molto. “Ciao, July.”
“Harry.”
“Che.. che ci fai qui?”
“Volevo congratularmi con te: ho saputo delle bella notizia, ed ho pensato che fosse mio preciso dovere venir qui a farti le mie più sincere felicitazioni.”
Il ragazzo rimase molto colpito: la July che conosceva un tempo, sarebbe forse caduta in depressione ma non avrebbe mai avuto il coraggio di andare da lui. Invece, adesso era lì che la guardava con un rancore che non conosceva e questo, un po’, lo spaventava.
“Io non.. non so cosa dire..”
“Non mi sembra tu debba aggiungere altro; quando dovevi parlare non l’hai fatto, adesso è troppo tardi.”
“Che avrei dovuto dirti?”
“Avresti potuto provare con un ‘sai July, ho una ragazza.’ O forse, più semplicemente, avresti potuto evitare di baciarmi l’altroieri.”
“Sai come si dice, no? A Capodanno, fai quello che vorresti fare tutto l’anno.”
“Oh no, non provare a fare il poetico con me: stai tentando di giustificare la follia dei tuoi ormoni da adolescente in post-pubertà.”
“Hai ragione, ho sbagliato.”
“E certo che hai sbagliato, c’erano dubbi?”
“Però..” Tentò di aggiungere.
“Non peggiorare la situazione, Harry.”
Rimasero in silenzio; July ancora in piedi, e lui seduto.
“Cosa sei venuta a fare?”
“A dirti che sei uno stronzo.”
“Ma.. July!”
“Non mi dire che ti scandalizzi per una parolaccia!” Asserì lei, sospendendo un attimo il litigio. “Ma che, hai dodici anni?”
“Non ho dodici anni!”
“Sembrerebbe di sì!”
“Ma..”
“Comunque sei uno stronzo.”
“Avevo intuito..”
Si guardarono negli occhi.
“Dov’eri quando avevo bisogno di te?” Domandò lei.
Lui non rispose.
“Che facevi mentre io passavo le mie giornate senza potermi muovere sul letto della mia stanza?”
Lui non rispose.
“In cosa eri impegnato mentre Daphne si faceva in quattro per non lasciarmi mai sola?”
Lui non rispose.
“Ti sei preoccupato del fatto che questo avrebbe potuto rovinare il rapporto tra lei ed uno dei tuoi migliori amici?”
Lui non rispose.
“Hai mai pensato che questo potesse far male a me?”
Lui non rispose.
“Hai capito che avrei solamente avuto bisogno di te?”
Lui non rispose.
Lei si spazientì, e scrollando le spalle si rese conto che non avrebbe avuto neanche il coraggio di aprire di nuovo bocca.
“Ti stavi scopando un’altra, ecco che cazzo facevi. Non hai pensato a nessun altro, non ti sei minimamente preoccupato delle conseguenze delle tue azioni; non mi conosci, non sai cosa gira nella mia testa. Sei diventato quello che il mondo si aspettava, ed io questo Harry Styles lo odio dal profondo del cuore.”
Lo stesso cuore che l’aveva amato.
Si voltò, pronta ad andarsene.
“Credo che dovremmo rimanere amici. I ragazzi si sono affezionati a te.” Rispose.
Ma che voleva dire? In quel momento, July avrebbe voluto prendere la scrivania e tirargliela addosso con tutta la forza che aveva.. ma, sempre per la solita storia, era troppo orgogliosa per ammettere di desiderare altro.
Non ho bisogno di amici, ho bisogno di qualcuno da amare.” Avrebbe voluto dire.
“Vedremo.” Disse.
Poi, si diresse verso l’uscita. Chiuse gli occhi, desiderando che Harry si alzasse da quel letto e la raggiungesse: che la fermasse e la stringesse tra le braccia impedendole di andarsene. Ma quello, quello non era un film e non ci sarebbe stato nessun lieto fine.
Lui non l’avrebbe fermata, non l’aveva mai fatto.
Lui l’avrebbe lasciata andare via, di nuovo. 





Angolo Scrittrice.
La storia NON è finita, tranquille.
ps, recensite se vi va. (:

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Lontano. ***



L’ombra di una vecchia fabbrica abbandonata si stagliava minacciosa su un paesaggio apparentemente tranquillo: un cielo nero come la pece trapuntato da una fitta distesa di stelle luminosissime, una moltitudine di campi che si rincorrevano l’un altro fino a perdersi lungo la linea dell’orizzonte, e le luci di Holmes Chapel che si potevano appena scorgere in lontananza. Una vecchia bicicletta era appoggiata ad uno dei muri ancora miracolosamente in piedi, ed una ragazza dai lunghi capelli scuri se ne stava seduta sul tetto di quell’edificio ormai lasciato a se stesso, in attesa. Per arrivare fin lassù aveva dovuto fare appello a delle funi che calavano dal soffito e ad alcuni vecchi macchinari che erano stati lasciati lì, così da potersi issare il più possibile fino a raggiungere un’apertura sulla copertura superiore della stanza principale, e riuscire a stare in piedi su quel laminato d’acciaio.
Ultimamente era diventata un’abitudine rifugiarsi in quel luogo fuori dal mondo per trovare un po’ di pace, ed era il nascondiglio preferito di July ed Harry: capitava sempre più spesso che decidessero di non entrare a scuola per fuggire lì, oppure si dessero appuntamenti agli orari più improbabili. Quella sera, infatti, la ragazza era stata totalmente colta alla sprovvista da un sms che le era arrivato e che le aveva dato delle indicazioni ben precise: mezzanotte, al solito posto.
Adesso, la mezzanotte passata da sedici minuti, scrutava il paesaggio sottostante con poca attenzione, nell’attesa di veder arrivare colui che aspettava; si accorse, così, della luce emessa dai fari di una macchina in avvicinamento. Si rannicchiò su se stessa, tentando di farsi più piccola possibile: non aveva idea di chi potesse recarsi in quel luogo a quell’ora, e di certo non era raccomandabile per una ragazza starsene lì da sola. Mentalmente maledisse Harry almeno una ventina di volte, fin quando una vecchia Ford rossa non si fermò proprio sotto ai suoi piedi; sforzando la vista in maniera non indifferente, per niente aiutata dal buio incalzante, appurò che qualcuno stava scendendo dal lato dei passeggeri: riconobbe così proprio la figura di Styles con indosso un cappotto scuro ed un cappello di lana che lo proteggeva dal freddo. Questo fece il giro, avvicinandosi al finestrino e salutando l’amico che l’aveva condotto fin lì; questo alzò lo sguardo assolutamente sicuro di trovare July, che salutò a sua volta con un gesto della mano ricambiato vivacemente. Infine si allontanò, con la musica dello stereo a massimo volume ed un passeggero in mano di quanto era partito da casa.
Nel frattempo, July prestò particolare attenzione ai rumori che udiva così da poter identificare i movimenti del ragazzo al piano di sotto: un tonfo sordo alle sue spalle la avvertì del fatto che fosse finalmente arrivato, e si domandò perché non riuscisse a salire senza fare tutto quel chiasso.
“Scusa il ritardo, ma ero alle prove e Will mi ha detto che mi avrebbe accompagnato lui se fossi rimasto un po’ di più.” Spiegò, avvicinandosi e dandole un leggero bacio sulle labbra.
“Da quando in qua Will ha la patente?”
“No, infatti non ce l’ha..” Rispose, sedendosi al suo fianco. “Solo che sua madre si era addormentata, ed ha pensato che non sarebbe stato un problema se avesse preso le chiavi della macchina.” Scrollò le spalle. “Senza considerare che ci teneva particolarmente a salutarti, visto che oggi non sei venuta.”
Will Sweeny – batterista e fondatore dei White Eskimo, nonché migliore amico di July.
“Dovevo studiare per il test di storia di domani, altrimenti non ce l’avrei fatta: non avevo neanche in programma di uscire stasera.”
“E invece..”
“E invece eccomi qui!”
“Che scusa hai inventato ai tuoi?”
“Ho pensato di uscire dalla finestra e farmi un salto dal primo piano, ma poi ho realizzato che non viviamo in Dawson’s Creek ed allora sono semplicemente uscita in fretta e furia dando spiegazioni poco chiare.”
“Confonderli è sempre un’ottima tattica.” Approvò Harry.
“In linea di massima funziona sempre!” I genitori di July in realtà si erano abituati al fatto che quando c’era in mezzo quel ragazzo, loro figlia perdeva completamente il contatto con la realtà: era inutile tentare di fermarla o di farla ragionare, perché si finiva solamente per peggiorare la situazione. “Comunque, come sono andate oggi le prove?”
“Non male, direi.. Hayd ha un paio di problemi con degli accordi visto che si è comprato la chitarra nuova e non ha avuto tempo di allenarsi da solo, ma penso che risolverà tutto entro qualche giorno.. o almeno lo spero.”
“Cominciate a prendere le cose seriamente, eh?”
“Sai che non vogliamo rimanere ad Holmes Chapel..”
“Già.”
July tirò fuori dallo zaino che si era portata una coperta in lana con cui coprì se stessa ed Harry, accoccolandosi a lui che le passò un braccio intorno alle spalle. Il ragazzo affondò il naso nei capelli scuri di lei, socchiudendo appena gli occhi e godendosi quel profumo leggero e naturale che tanto amava.
“E’ quasi un anno che ci conosciamo, ci pensi?” Esordì nuovamente July.
“A volte sembra ieri, altre che ti abbia con me da una vita intera.”
“Ah, ma figurati! Non riusciresti a sopportarmi per così tanto tempo!”
“Ma che dici? Un giorno ci sposeremo e vivremo in una piccola casa in riva al mare, con un paio di figli in giro, un minivan, la spesa ogni settimana ed un lavoro in un ufficio.”
“E questi programmi quando li avresti fatti, scusa?” Domandò lei, ridendo. “Sai che non sarà così! Tu diventerai famoso, tutto il mondo conoscerà il tuo nome: riempirai arene, firmerai autografi, avrai milioni di fans, collaborerai con artisti importanti e ti esibirai su palchi come.. come il Madison Square Garden!”
“Il Madison Square Garden? Ma per favore!” Stavolta toccò a lui scoppiare a ridere.
“Un giorno ripenserai alle mie parole e capirai che avevo ragione, come sempre.”
“Non capisco come fai ad esserne sicura!”
“Hai talento, Harry.. e so che non ti fermerai fin quando non avrai raggiunto i tuoi obbiettivi: ci sono grandi cose che ti aspettano, e lo sai anche tu.”
“Lo spero, davvero.”
“Tu devi farcela, per me.”
La guardò, poi rimase in silenzio stringendola ancora più forte a sé.
“Vorrei che tutto questo potesse durare per sempre.”
"ma durerà per sempre, July!"
"no, perchè tu diventerai famoso.. ed io rimarrò qui."
"ti porterò con me, se succederà."
"sarei solo d'intralcio, e lo sai."
"allora mettiamola così: me ne andrò come dici tu, così da diventare famoso in tutto il mondo. poi tornerò da te, e ti verrò a riprendere."
"me lo prometti?"
"te lo giuro."
Lei trattenne il fiato.
“Tu però devi promettermi che mi aspetterai.”
“Ti aspetterei anche se tu non tornassi, Harry.”
“Ti ho detto che tornerò.”
Sospirò. “Devi promettermi anche che non ti dimenticherai di me.. che ricorderai questa notte e tutto quello che abbiamo passato insieme, che saprai che avrai sempre un posto dove tornare e qualcuno che ti aspetta. Promettimi che sarai sempre Harry, e che io sarò sempre la tua July; promettimi che litigheremo ancora come facciamo adesso, e che faremo di nuovo l’amore piano, con la pioggia che batte fuori dalla finestra ed una tazza di thè a raffreddare sul comodino. Promettimi che dovunque il futuro ti porti, tu conserverai i sentimenti che provi adesso.”
“Perché sembri convinta del fatto che non tornerò?”
“Perché la vita a volte porta in luoghi sconosciuti e direzioni lontane, e ci fa perdere la strada per tornare indietro, per tornare a casa.”
“Esiste solo una direzione: quella che mi riporterà da te.”
“Solo.. non farmi aspettare troppo.”
“Farò più in fretta possibile.”
“Spero che tu ci metta più tempo a dirlo, che a farlo.”
“Rovini sempre i momenti romantici prendendomi in giro!”
“Non è colpa mia se parli lentamente: si sciolgono i ghiacciai, nel frattempo.. ma per la noia, mica per il surriscaldamento globale.”
“Simpatica!”
“Moltissimo, come sempre.”
Si scostò da lui, per poi stendersi poggiando la testa sulle sue gambe.
“Le cose stanno per cambiare, me lo sento.”
“Non dire così, è solo suggestione.”
“No, Harry. Il futuro è più vicino di quello che sembra.”
“Quando siamo quassù non esiste futuro.”
“Ma c’è un mondo che ci aspetta..”
“Non stanotte.”
“Non stanotte.” Ripetè lei.
Il ragazzo cominciò ad accarezzarle il volto, tracciandone i lineamenti con l’indice della mano destra. Le tolse gli occhiali, poggiandoli accuratamente lì accanto e si tolse la felpa per mettergliela sopra, così da coprirla.
“Ma.. prendi freddo, così!”
“Tu stai bene?”
“Sì, ma..”
“Allora non importa.”
Si sorrisero, lasciando perdere l’orizzonte in cui si confondeva il cielo; ce n’era un altro molto più bello, ed infinito: quello che ognuno dei due vedeva negli occhi dell’altro.. quegli occhi che non avrebbero dimenticato.
“Harry, io lo so che mi hai tradita..” Disse improvvisamente. “..ma non fa niente, io ti perdono.” Sorrise appena, prima di chiudere gli occhi e di abbandonarsi ad un sonno profondo che le fece dischiudere appena le labbra.
Era successo appena una settimana prima, durante una festa che aveva delle dinamiche tutt’ora poco chiare: aveva cercato mille volte di dirglielo, ma la paura di farle del male l’aveva sempre bloccato. Non sapeva certo che, invece, era tutto già piuttosto chiaro agli occhi di tutti. I sensi di colpa gli attanagliarono lo stomaco, e si chiese per quale ragione non riuscisse a dimostrarle ciò che provava: per lei avrebbe fatto follie, cose che non sono neanche descrivibili a parole.. e invece si ritrovava a commettere errori grossolani ed imperdonabili, che minavano un rapporto altrimenti perfetto. Si ripromise che le cose sarebbero cambiate, che non avrebbe più dato alcun motivo di tristezza a quella ragazza che continuava a provare per lui un qualcosa di talmente forte da far passare in secondo piano qualunque altra cosa.
“Perché questa nottata è suonata come un addio?” Domandò, alzando lo sguardo verso il cielo.. in cerca di risposte che non avrebbe avuto.
Harry non sapeva che July aveva ragione; non sapeva che il futuro stava arrivando, e che il numero 165998 l’avrebbe portato lontano, all’apice di una fama inaspettata e tra le braccia di donne sconosciute che non l’avrebbero amato quanto meritava. Harry non poteva sapere che le cose stavano per cambiare – era ancora febbraio, ed “addio” sembrava una parola fin troppo lontana.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Errori. ***




Era passata circa una settimana dall’ultima volta che July aveva visto Harry; non era ancora chiara la situazione che si era venuta a creare dopo il litigio che aveva aperto un divario forse insuperabile, ma nessuno dei due aveva cercato l’altro ed entrambi avevano la convinzione che le cose andassero bene così. Teoricamente avevano impostato il loro rapporto in chiave di amicizia, ma era davvero buffo poter pensare a loro due come nulla di più: si sa, una volta superato quel sottilissimo limite è praticamente impossibile tornare indietro. Non era la prima volta che si perdevano di vista – senza considerare il lampante esempio dei due anni passati lontani, c’erano state anche tutte quelle piccole pause giornaliere causate dalle incomprensioni o dal pressante lavoro del ragazzo; stavolta, però, la differenza era palese: July non accettava il muro che si era creato. July non faceva che pensare ad altro. July non si dava pace. Non era disperata, o triste, o depressa; semplicemente, era furiosa. Aveva passato quei 7 giorni in edicola, comprando qualunque genere di giornale in cui figurassero Harry e la sua nuova fidanzata; una volta arrivata a casa aveva strappato le pagine con i suddetti articoli o con le foto, e li aveva disposti ordinatamente l’una accanto all’altra sul tavolino del soggiorno, per poi guardarli con aria infastidita. Se n’era stata lì a braccia conserte per ore,  nell’attesa che arrivasse il giorno seguente per andare a prenderne di nuovi.. tutto questo, per un’intera settimana, nelle ore che le rimanevano libere dopo il lavoro. Ormai sapeva tutto su quei due: ogni gossip, ogni curiosità, ogni singolo dettaglio di quella cosiddetta storia d’amore che personalmente riteneva a dir poco terribile.
Aveva covato dentro di sé quel disgusto a lungo fin quando, appena tre giorni prima, non aveva ricevuto una telefonata che era riuscita a distrarla almeno parzialmente: Zayn l’aveva invitata al suo compleanno, che si sarebbe tenuto a Bradford; l’aveva avvisata che ci sarebbero stati anche Harry e la sua ragazza, e si era assicurato di farle capire che non avrebbe serbato rancore per lei se non se la fosse sentita di partecipare. July però, che in primo luogo era molto orgogliosa e nutriva un profondo e sincero affetto nei suoi confronti, aveva risposto in tutta tranquillità che non avrebbe avuto alcun problema e che non si sarebbe lasciata sfuggire quell’occasione per nessuna ragione al mondo. Si era poi preoccupata di mettersi in contatto con Daphne, rendendosi conto che Bradford non era esattamente dietro l’angolo e che, per ovvie ragioni, avrebbe avuto bisogno di un passaggio; in tutta risposta, le era stato detto che non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente e che sarebbe stata l’amica a pensare ai piccoli dettagli.
 
Così, in quel momento, se ne stava affacciata dalla finestra della cucina in attesa di vederla arrivare: le era arrivato un sms che le diceva di farsi trovare pronta, perché la stavano venendo a prendere. July aveva interpretato quel plurale nei modi più disparati possibile, ma nulla era stato abbastanza vicino alla realtà da impedirle di impallidire come quando vide la Range Rover di Harry Styles fermarsi sotto casa sua. Pensò si trattasse di uno scherzo, ed immaginò che uno dei ragazzi si fosse fatto prestare l’auto ma i suoi dubbi vennero spazzati via nel momento in cui due portiere si aprirono contemporaneamente e ne scesero proprio il ragazzo, e poi Daphne.
Tentando di mantenere il più possibile l’autocontrollo, July si affrettò a chiudere le imposte e, afferrando la borsa che aveva lasciato sopra il piano della cucina, ebbe cura di mettere i fermi alla porta. Si ritrovò per strada in pochi istanti, e si stampò un bel sorriso sereno sul viso: nessuno avrebbe dovuto rendersi conto di quanto fosse a disagio, neanche Daphne stessa. Educatamente, raggiunse la macchina e salutò con un tenero abbraccio la sua migliore amica – rendendosi conto che il ragazzo era nuovamente salito, senza aspettare che lei arrivasse e lo salutasse. Imponendosi di non prenderlo a schiaffi, prese posto sul sedile posteriore insieme alla ragazza dal volto spruzzato di lentiggini, e per poco non ebbe un infarto quando vide la figura di una quarta persona seduta nel posto anteriore adibito ai passeggeri: lunghissimi capelli biondi, occhi verdi incorniciati da lunghissime ciglia incurvate, lineamenti aristocratici ed un abito giallo che le copriva a malapena le gambe degne di una modella.
“Claire.” Si presentò questa, voltandosi e porgendole la mano.
“July.” Rispose al saluto stringendole le dita affusolate, ma di non certo non avrebbe avuto bisogno di quella presentazione per sapere di chi si trattasse.
Lei ed Harry, invece, si salutarono con un mezzo sorriso ed un cenno del capo; poi, già sfinita in partenza, si abbandonò allo schienale del sedile voltandosi verso il finestrino nella speranza di trovare una distrazione. Le vibrò il cellulare che aveva nella tasca del cappottino che indossava, ed aggrottando le sopracciglia trovò un sms di Daphne.
Scusa, scusa, scusa.. Niall, Louis, Zayn e Liam sono già a Bradford da stamattina ed io avevo un esame ad ora di pranzo. Non ho trovato alternative, sono arrivata da Bristol solo un’ora fa!
Tenendo l’iPhone tra le mani, si voltò verso l’amica che la guardava con sguardo supplicante; ritenne inutile risponderle per sms, ma si rese conto che non potevano prendere quell’argomento a voce alta, così si limitò a rassicurarla con uno sguardo. Subito dopo, Daphne si sfilò le scarpe in raso nero e si sedette a gambe incrociate sul sedile in pelle chiara, stando ben attenta a non sgualcire il meraviglioso abito che indossava; Harry, intento a guardare dietro dallo specchietto retrovisore, non perse tempo.
“Hey D., guarda che così mi rovini la macchina.”
“Scusa, Harold? Temo di non averti sentito.. sai com’è, sono sempre stata un po’ sorda ma invece di regalarmi un apparecchio acustico ho comprato i tuoi cd e ti ho permesso di collezionare tutte e cinque le auto che tieni in garage.” Rispose, con un adorabile sorriso sul volto. “Potresti ripetere?”
“Ma..”
“Se volessi potrei ballare nuda sul tetto, quindi taci.”
July non potè fare a meno di scoppiare a ridere, ma nel momento in cui lo fece udì il suono della risata di Claire e così, decise di tornare immediatamente seria. Si avvicinò a Daphne, annullando del tutto la distanza che intercorreva tra loro.
“Ride come un’oca in calore.” Commentò sottovoce. “E poi da come è vestita sembra una banana gigante.. senza considerare che si vede lontano un miglio che i capelli sono tinti: credo di aver visto perfino la ricrescita nera, figurati.” Per fortuna la musica emessa dalla radio faceva in modo che quelle parole rimanessero tra le due passeggere sedute dietro. “Che secondo me neanche si chiama davvero Claire, sembra il nome di un negozio!”
“Non ti piace molto, vero?”
“Tu che dici?”
Entrambe guardarono la ragazza, che stava collegando il proprio telefono alle casse della macchina grazie ad un cavetto: non stava facendo assolutamente niente di male, ed in tempo di pace avrebbe sicuramente suscitato la simpatia di entrambe le ragazze.. ma era tempo di guerra, e quelle due sapevano essere spietate.
“Harry, devi prendere l’autostrada da Finchley Road.” Suggerì la bionda.
“Forse è il navigatore satellitare e noi l’abbiamo scambiata per una bambola fatta male.” Suggerì July, a denti stretti. Ricevette una gomitata sul fianco, dovuta probabilmente al fatto che Claire si stava voltando verso di loro.
“E allora, com’è che conoscete Harry?” Domandò, sorridendo.
‘Sta cercando di fare amicizia?’ Pensò July, ringhiando.
“Oh bhè, io sono la fidanzata di Niall e July..”
“July è la sua migliore amica.” Si affrettò a concludere il ragazzo, che stava svoltando a destra ed aveva finalmente imboccato l’autostrada, seguendo le indicazioni per Manchester.
Onestamente, nessuno aveva mai pensato a come si sarebbe dovuta definire July: ex ragazza, amica, conoscente? Non era niente di tutto ciò. Ma certo, passare ad essere identificata unicamente come la migliore amica di Daphne non era un bel modo per sistemare le cose.
“Pensavo fossi la ragazza di uno di loro, o comunque di qualche amico!” Esclamò, sorridendo.
“Oh no, July ha una cotta per Conor Maynard!” Si intromise nuovamente Harry, ridendo senza farsi vedere. Non era ben chiaro cosa stesse cercando di fare, ma era piuttosto palese che stava rendendo l’atmosfera molto più tesa di quanto non fosse già.
“Conor? Ma è un mio amico!” Esclamò Claire, battendo appena le mani: la ragazza era infatti una modella che aveva molti amici all’interno del mondo della musica, dalle Little Mix, a Rita Ora, a Conor. “Potrei anche presentartelo, se vuoi!”
In realtà la piccola White aveva già conosciuto quel ragazzo durante la festa della Sony a cui aveva partecipato mesi prima ma, visto che sapeva rispondere molto bene alle provocazioni, colse la palla al balzo. “Oddio sì, sarebbe incredibile! Potresti farlo davvero?” Domandò fingendo un profondo entusiasmo.
“Ma assolutamente sì!” Estasiata. “Potremmo organizzare qualcosa con lui ed i ragazzi, che ne dici?” Domandò poi voltandosi verso Harry che aveva finalmente chiuso la bocca.
“Vedremo.” Si limitò a rispondere, asciutto.
Daphne, nel frattempo, era impegnata in un fitto scambio di sms con Niall e ne stava approfittando per tenere lo sguardo fermo sullo schermo del telefono: non voleva litigare con Harry, e si rendeva conto che tutte quelle frecciatine erano frustranti, oltre che assolutamente inutili. Stava proprio per tentare di cambiare argomento, quando nella macchina si diffuse una canzone che tutti conoscevano: Want U Back, di Cher Lloyd. Claire, nella totale ingenuità in cui si ritrovava, alzò il volume e nessuno dei presenti potè fare a meno di ascoltare quel pezzo: era incredibile come si adattasse perfettamente alla situazione, e quanto a pieno esprimesse ciò che July provava.
no one else can have you, I want you back.’
Gli occhi di Harry e July si incrociarono mentre lui guardava ancora una volta dallo specchietto retrovisore. Sarebbe stato un lungo, lunghissimo viaggio.
 
Poco più di 3 ore (più di 300 km, 40 sterline di carburante) dopo, ecco che finalmente Bradford si apriva davanti a loro: una cittadina in pieno stile inglese, composta da bassi caseggiati dai colori tendenti al marrone con porte ed ingressi sgargianti, qualche negozio in qua e in là ed un traffico decisamente più sopportabile di quello della capitale. Il cielo era scuro a causa dell’ora tarda, ed i lampioni ai bordi della strada permettevano di avere una visuale piuttosto parziale di ciò che si snodava accanto all’auto nera che praticamente predominava sulle altre; fortunatamente non era la prima volta che Harry si muoveva tra quelle vie, ed aveva avuto indicazioni piuttosto precise su dove andare. Raggiunsero così un locale un po’ fuori mano, che pareva segnare quasi la totalità della vita notturna; quando Harry parcheggiò l’auto su un terreno piuttosto sterrato, ebbe cura di scendere in fretta per poter fare il giro della vettura, aprire la portiera di Claire e porgerle una mano per aiutarla a scendere.
July, in precario equilibrio su un paio di tacchi leggermente più bassi, osservò la scena senza neanche tentare di mascherare il profondo ribrezzo che le aveva suscitato; Daphne la affiancò in fretta, obbligandola a distogliere lo sguardo ed insieme si avviarono verso le luci che fiancheggiavano un vialetto in ciottoli che non era proprio l’ideale per loro. Fortunatamente, Zayn se ne stava all’esterno del locale a causa del vizio del fumo ed in compagnia di Niall che stava aspettando impazientemente la sua dama; quando le videro, non persero neanche un istante: il festeggiato gettà a terra la sigaretta ancora praticamente intera e si avviò verso le sue ospiti. Porse il braccio a July, che lo afferrò con un gran sorriso e lo stesso fece Daphne quando in suo soccorso arrivò il biondo.
Quando giunsero all’interno, la ragazza dai capelli lunghi e la frangia abbracciò forte Malik, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. “Tanti auguri Zayn, cominci a diventare davvero vecchio eh.. tra un po’ il ciuffo diventerà bianco, altro che biondo!”
Lui rise, scuotendo appena il capo; indossava un paio di pantaloni scuri ed una camicia bianca. “Grazie dolcezza, sono felice che tu abbia deciso di venire.. mi rendo conto che sia stato un po’ complicato arrivare fino a Bradford ma ci tenevo a festeggiare anche con la mia famiglia, e volevo avere intorno tutte le persone a cui voglio bene.” Sempre il solito dolce, devoto, e meravigliosamente fuori dagli schemi Zayn: sapeva sempre come farti sentire a tuo agio, aveva quella strana abilità di mostrare un lato di sé che nascondeva dietro l’immagine da cattivo ragazzo.
“Te l’avevo detto che non sarei mancata per niente al mondo, no?” Sorrise. “Dove sono gli altri?” Domandò poi, rendendosi conto che era molto tempo che non vedeva anche i ragazzi.
Li riconobbe vicino all’angolo dedicato all’open bar e si diresse verso di loro quasi impaziente di poterli finalmente rivedere. Furono tutti molto sorpresi di vederla, e non riuscirono a contenere l’entusiasmo: volarono abbracci, baci schioccanti sulla guancia, complimenti e quant’altro. Vennero interrotti solamente nel momento in cui Harry e Claire li raggiunsero – lui con un braccio intorno ai fianchi di lei, che aveva il portamento di una principessa; fu il loro turno di salutare i ragazzi, che sembravano conoscere già la nuova fidanzata del loro amico.
Poi, molto poco carinamente, i due si baciarono davanti a tutti e July non potè fare a meno di rimanere lì immobile a fissarli, con le lacrime che le affioravano agli occhi ed il pugno talmente stretto da far divenire quasi le nocche bianche; stava per scoppiare, quando Liam la prese per un braccio e la condusse fino al bancone.
“E’ arrivato il momento di bere!”
“Ma.. tu non puoi!”
“Io no, ma tu sì.” Le fece l’occhiolino. “Una tequila sunrise, per iniziare.” Asserì rivolgendosi al barista.
Tutti lì dentro sapevano che July non reggeva minimamente l’alcol, ma a nessuno passò per la testa di fermare Payne: quella, sarebbe stata la serata della svolta e non aspettavano altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** party&bullshit. ***




La festa era cominciata ormai da un paio di ore, e tutto sembrava procedere per il meglio: Liam stava facendo il limbo con due delle sorelle Malik in un angolo del locale, Harry se ne stava seduto su dei sofà in pelle e non sembrava contemplare altro che perdersi in effusioni con Claire,  Zayn si intratteneva con alcuni degli invitati, Niall faceva volteggiare in qua e in là Daphne a ritmo di musica e Louis aveva preso il posto di Liam con gran piacere, ed ora continuava ad offrire bicchieri su bicchieri alla povera July che stava comunque continuando a mantenere un autocontrollo piuttosto proverbiale.
“Oh no, Leigh!” Esclamò Jade voltandosi verso la componente delle Little Mix che, in piena ed assoluta lucidità, si stava facendo aiutare da Josh Devine per salire sul bancone dell’angolo bar.
Perrie scoppiò a ridere e, stringendo tra le mani la Nikon che si era fatta prestare da Daphne proprio per l’occasione, non potè fare a meno di un urlare un ‘Go Leigh!’ che fece voltare tutto il resto dei presenti. La ragazza, così in alto, non si fece impaurire dagli occhi che si puntarono improvvisamente su di lei, ma anzi ne approfittò per cominciare a ballare come suo solito; lì sotto se ne stava una sprovveduta July - i riflessi troppo rallentati per rendersi conto che, d’un tratto, Tomlinson la sollevò da terra senza fare poi un grande sforzo e la depositò su quella superficie che un tempo era servita per le consumazioni, ed ora era stata adibita a pista da ballo.
Normalmente, una ragazza come July White non avrebbe neanche potuto pensare di fare una cosa come alzarsi in piedi ed affiancarsi alla cantante.. ma si dava il caso che l’alcol le circolasse nelle vene ormai da troppo tempo per renderla capace di intendere e di volere lucidamente. Edwards lasciò la macchina fotografica su uno dei tavoli accanto ai divanetti, e le raggiunse con un’atleticità non indifferente nonostante le scarpe che indossava. Quello strano trio dominava la scena: più che ballare, si divertivano, facendo mosse ed espressioni buffe che smorzavano un po’ la serietà e l’imbarazzo che si sarebbero creati altrimenti.
“Sembra una puntata di Jersey Shore!” Esclamò Niall, prendendo posto poco lontano da Harry e Claire; Daphne, accanto a lui, cominciò a roteare in aria il pugno, agitandolo a tempo di musica e lasciando che i capelli ondeggiassero per accompagnare il movimento.
“E che puntata!” Si limitò a commentare il ragazzo dai capelli ricci, che non riusciva a capire cos’avesse in testa July.
Leigh fece fare una giravolta alla ragazza con i capelli scuri e la pesante frangia che  si fermò solamente qualche istante dopo, confusa e piuttosto stordita.
“Vuoi scendere?” Domandò allora Liam, corso in soccorso vista la poca stabilità della ragazza; questa si abbassò fino a raggiungere il suo livello e, con grandi occhi scuri, annuì con il capo. Lui allora si voltò, e le fece un piccolo cenno: questo bastò perché July salisse sulle sue spalle e lui cominciasse a portarsela in giro in quel modo, un po’ come i padri con le figlie piccole.
“Tieniti forte!” Esclamò, vagamente impaurito dal fatto che potesse cadere; lui teneva le mani sulle sue gambe così da non farla sbilanciare all’indietro, e lei aveva poggiato le sue sulla testa del ragazzo, usandola come punto di appoggio. Insieme erano alti più di tre metri e sovrastavano il paesaggio con vaga indifferenza, trotterellando da un punto all’altro del locale mentre le Little Mix avevano ormai preso pieno possesso del piano bar insieme ad un altro paio di invitate.
“We wanna party and bullshit, party and bullshit..” Canticchiò Payne, ondeggiando appena con le spalle e facendo muovere la piccola White appena un po’ così da spaventarla; quella, invece di aumentare la presa come avrebbe dovuto fare, portò in alto le braccia e cominciò ad agitarle con gli occhi chiusi, urlando “and party and bullshit, and party and bullshit!” In quell’esatto momento, Daphne si alzò in piedi e corse in loro soccorso, sfilando le scarpe dai piedi dell’amica che erano attorcigliati sulla schiena del ragazzo così da avere una presa salda e da controbilanciare la spinta in avanti che avrebbe potuto farle raggiungere il suolo in pochi istanti.
Fortunatamente il soffitto del locale era più alto del normale, altrimenti le braccia tese in alto della ragazza l’avrebbero sfiorato e chissà cosa non sarebbe successo; continuavano a vagare per il locale e chiunque incontrassero sulla loro strada offriva un bicchiere con qualche liquido strano alla povera July che si chinava completamente sulla testa di Liam e lo afferrava, vuotandone il contenuto in pochi istanti. Ballavano contemporaneamente nonostante non potessero vedersi in faccia, inventando piccole mosse stile anni ’70 che li faceva sembrare usciti da un film come la Febbre del Sabato Sera, o Pulp Fiction; quando si trovarono all’angolo del club opposto a quello di Zayn, July lo chiamò a gran voce facendolo voltare.. poi, gli lanciò una specie di corda invisibile che prima fece roteare in aria e, questo, fece finta di afferrarla prima di attraversare l’intera sala come se fosse tirato (un braccio in alto, e piccoli saltelli in avanti). Nel momento in cui li raggiunse, la ragazza ebbe la cattiva idea di spostare lo sguardo verso i divanetti, cui erano sedute le due coppie sopra citate: incontrò lo sguardo di Harry che, divertito, la osservava senza distrarsi neanche per un istante. Claire, piuttosto innervosita da quella situazione, non si contenne dal lanciare un’occhiata di disapprovazione verso July che, in preda ai fumi dell’alcol, rispose alzando un dito medio in maniera anche piuttosto evidente; la bionda, allora, con un mezzo sorriso, afferrò il colletto della camicia di Styles e lo tirò a sé, baciandolo con passione e senza ritegno alcuno. Il ragazzo spostò quasi automaticamente una mano sul fianco di questa, che si avvicinò ancora di più annullando la distanza che intercorreva tra loro.
“Mettimi giù Liam, mettimi immediatamente giù!” Quasi urlò July, sovrastata dal rumore della musica; al suo interlocutore, però, non sfuggì l’accaduto e si rifiuto categoricamente di assecondarla. Questa, allora, cominciò a tirargli le orecchie ed a dargli dei piccoli colpetti in testa per confonderlo, fin quando non fu costretto ad abbassarsi ed a depositarla sul suolo.
“Che fai?”
“La faccio diventare bionda naturale, quella sgualdrina!”
Senza lasciare a nessuno il tempo di ribattere attraversò la stanza con passo di marcia, aiutata probabilmente dal fatto che, non avendo le scarpe, fosse sottoposta ad alcun problema di equilibrio. Nessuno fece caso a quella figura minacciosa, troppo presi dall’alto volume della musica e dalla festa che continuava a procedere per il meglio.
“Scusa!” Esclamò, chinandosi appena e tamburellando le dita sulle spalla di Claire. “Potresti togliere le mani dal mio ragazzo?” Domandò, seria.
“Dal tuo.. cosa?”
“Si dà il caso che Harry sia mio! Sono qui da più di tre anni, prendi il numero e mettiti in fila, chiaro?”
La modella quasi rise, e ne approfittò per baciare di nuovo il ragazzo davanti agli occhi di colei che stava rivendicando il suo diritto di proprietà. Totalmente presa da ciò che stava accadendo, July non ci penso due volte a prenderla per il lunghi capelli biondi ed a staccarla con forza da Harry: era talmente furiosa che non riusciva neanche a rendersi conto di cosa questo avrebbe significato.
Quasi gridando dal dolore, Claire fu costretta ad alzarsi in piedi e dovette torcere il braccio della sua aguzzina per riuscire a liberarsi dalla sua presa; si massaggiò la testa con espressione sofferente, prima di scattare senza controllo ed avventarsi su di lei mettendole una mano sul collo e spingendola praticamente a muro.
In quel momento tutti gli invitati si voltarono, senza sapere bene cosa fare: avevano tutti voglia di vedere un bel po’ di movimento, considerando che nel mondo dello spettacolo una cosa come quella avrebbe potuto significare anche la fine di una carriera… perché non guardare altri, allora?
Per liberarsi dalla morsa soffocante, la mora dovette cominciare a graffiare il braccio esile e longilineo dell’altra con le poche unghie affilate che aveva, fin quasi a crearle delle escoreazioni; poi, le diede uno schiaffo in pieno viso, facendole rotare completamente di lato la testa e facendo sì che i lunghissimi capelli dorati che ricadessero in avanti. Approfittando di quella distrazione momentanea, fece per avvicinarsi, ma Claire ne sapeva molto più di lei e riuscì a tirarle un potentissimo destro che raggiunse la povera July in pieno naso.
Harry allora si alzò in piedi e, da dietro, prese la piccola White sollevandola da terra di almeno mezzo metro mentre quella si dimenava e gli graffiava le braccia perché la mettesse giù; Claire, sconvolta da quella visuale, si immobilizzò sgranando gli occhi.
“Calmati July, sono io.. sono Harry!”
“Toglimi le mani di dosso perchè ti giuro che se ti prendo faccio nuovo anche te, è colpa tua se è successo tutto questo!” Urlò, agitandosi come una forsennata. “Devi sempre fare di testa tua, sei sempre il solito!”
“Calma..”
“Non dirmi di stare calma!” Ringhiò, passando dai graffi ai pizzicotti.
“Guarda che non ti lascio, quindi se vuoi continuare a farmi del male fai pure.. ma non cambierà la situazione.”
July, colpita in pieno dalla consapevolezza di provocargli del dolore fisico, si fermò immediatamente, con i capelli che quasi le coprivano il volto ed il semplice vestito scuro strappato all’orlo. Allora, Harry la depositò dolcemente al suolo e, prendendole la mano, si avviò con lei verso il bagno per tentare di fermare il sangue che le continuava a colare dal naso e che le aveva impiastricciato il viso.
“Ti sei messa contro la persona sbagliata, bella!” Esclamò allora Daphne, interrompendo il glaciale silenzio che era calato tra i presenti.
“Ma che vuoi? E poi non so neanche chi sei!” Digrignò i denti Claire.
“Io sono il destino!” Asserì, schioccandole un paio di volte le dita davanti al viso.
“Aaah, è proprio la mia ragazza..” Sospirò trasognato Niall poco dietro.
Questa stava proprio per allontanarsi, quando Louis la fermò.
“L’uscita scenica, baby!” Consigliò. “Dissolvenza a stella.” Quasi proverbialmente, battè un paio di volte le mani che poi mise a rettangolo, ponendovi al centro la ragazza.
“Un bad birthday per un bad boy.” Sussurrò poi Daphne avvicinandosi a Zayn e dandogli un leggero bacio sulla guancia.
“Lo rifacciamo?” Domandò lui, estremamente divertito.
“Quando vuoi!”
“La prossima volta però, nel fango.” Suggerì Louis, ancora preso dalle manie da regista cinematografico.
Una risata isterica si sparse tra i presenti, ancora vagamente sconvolti dall’accaduto: la musica si era fermata, le luci erano ormai completamente accese e tutti si guardavano intorno con aria sperduta.
“Ed ora, la torta?” Propose Perrie, sorridendo. 


Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Soluzioni. ***



Lunghi capelli scuri che si adagiavano comodamente sulle spalle, una felpa verde scuro stile baseball con dietro scritto "Horan", occhi scuri leggermente truccati con l'eyeliner nero attenti alla strada che aveva davanti;  bloccata nell'infernale traffico di una delle città più caotiche del mondo, l'espressione annoiata sul viso ed il labbro superiore morso nervosamente, attendeva che la tremenda coda di auto che si era venuta a formare accellerasse un po' il passo così da poter lasciare il centro di Londra in cui si trovava per raggiungere il luogo dell'appuntamento senza far tardi. Si era pressochè abituata al ritmo che quella vita le imponeva, ma ancora non riusciva a sopportare il fatto di dover uscire di casa con almeno un'ora di anticipo per essere sicura di arrivare in tempo:  casa di Niall, fortunatamente, non era nè in periferia nè esageratamente lontana da dove i ragazzi lavoravano - ragion per cui Daphne, che soggiornava lì durante i periodi che passava nella capitale, poteva muoversi senza poi troppi problemi.
Non tornava a Bristol ormai da quasi due settimane, ma nessuno si era fermato a riflettere sul perchè di questo cambiamento: era solita fare la spola tra le due città, non soffermandosi più di due giorni in nessuna delle due; non era facile, o economico, ma questo era ciò che stare con un ragazzo che abitava lontano (e studiare da un'altra parte) voleva significare. Tutti avevano pensato che si trovasse in un periodo di pausa dagli impegni scolastici e che la prossima sessione d'esami era abbastanza lontana da permetterle di prendere un attimo di pausa da quella logorante routine.. no, la ragazza non aveva avuto il coraggio di dire a nessuno che aveva lasciato la sua carriera di studi ormai da più di un mese, e che tornava a casa solamente quando sua zia aveva bisogno di aiuto con le figlie piccole: quel quasi insignificante lavoretto le permetteva di guadagnare qualche spicciolo, con cui poi comprava magari qualche regalo per il suo fidanzato, o magari qualche vestito per sè.
Tutto era cominciato quando July era stata male: una volta uscita dall'ospedale aveva avuto bisogno di un'assistenza costante, e nessuno sembrava potersi occupare di lei; Harry aveva allora chiesto alla sua migliore amica di pensarci, perchè non c'era persona al mondo di cui si fidasse di più: le aveva fatto promettere che si sarebbe presa cura della ragazza come meglio poteva, garantendole quelle meticolose cure necessarie per la riabilitazione. Inizialmente non era stato molto facile per lei, considerando soprattutto che non la conosceva abbastanza bene da sentirsi a suo agio nel vivere praticamente a casa sua; andando avanti col tempo, starle accanto era diventato più importante che mantenere il giuramento fatto al ragazzo. L'aveva fatto con attenzione, devozione ed affetto, senza mai chiedere niente in cambio: l'aveva portata alle sedute di fisioterapia, le aveva comprato i medicinali necessari ed aveva vegliato su di lei giorno e notte senza mai chiudere occhio. Aveva raccontato la stessa
storia decina di volte, senza mai spazientirsi; le aveva tenuto la mano quando si era alzata in piedi la prima volta, e l'aveva aiutata a stringere la penna quando aveva voluto provare a scrivere di nuovo. Aveva parallelamente vissuto due vite, di cui non gliene apparteneva praticamente neanche una; era riuscita a rimandare un paio d'esami di qualche settimana così, a inizio dicembre, tornata a frequentare sarebbe riuscita a recuperare: vedendosi bocciare in entrambi i test, il mondo le era crollato addosso.
Aveva capito che non avrebbe mai potuto mettersi nuovamente in pari, e che avrebbe dovuto scegliere tra mettere in pausa la sua relazione con Niall, oppure lasciar perdere la scuola. Non aveva preso la decisione migliore o più matura, ma aveva seguito il cuore: i suoi genitori non erano stati particolarmente felici, ed avevano notevolmente ridimensionato i soldi che avevano sempre dato mensilmente alla figlia. 
Si sentiva in colpa verso Niall, per il semplice fatto che aveva nascosto questa situazione per mesi senza mai fargli sospettare niente; aveva pensato di tornare più volte a frequentare e semplicemente di rallentare il ritmo, ma man mano che la carriera dei One Direction andava avanti tutto sembrava inutile: i pensieri che affollavano la sua testa si accavallavano come onde impetuose, infrangendosi contro di lei con una forza che quasi le toglieva il respiro; aveva sempre paura che succedesse loro qualcosa, viveva nell'ansia di trovare un qualche catastrofico articolo di giornale ogni qualvolta non riceveva risposta ad un sms, cercava di viaggiare con loro così da potersi mettere il cuore in pace. Quel ritmo di vita non le lasciava spazio per altro; ma si sa, difficilmente l'amore concede una tregua dal suo folle incatenamento. Vivere nella menzogna le costava sacrificio, e fatica, e quel giorno aveva deciso che non sarebbe più stata disposta a mettere da parte la verità: le era stato detto di raggiungere il gruppo nella sala prove
londinese in cui si trovavano per definire alcuni dettagli riguardo alcuni pezzi extra - per lo più cover - che stavano riservando per il tour ormai in arrivo, così da poter andare a cena tutti insieme non appena finito. 
Il cielo era ormai scuro e minacciava ancora una volta pioggia; Londra appariva più bella che mai, vestita di luci e colori sempre nuovi. Era un curioso paesaggio come sottofondo all'evento che stava per verificarsi: Daphne non sapeva come la notizia sarebbe stata presa ed aveva talmente paura che non riusciva neanche a distrarsi per qualche istante. Non c'era pensiero che non la riconducesse alle ultime settimane, ricordo che non le mordesse il cuore.. non era solita lasciarsi abbattere dagli eventi, o almeno non più, a quella volta essi sembravano davvero sovrastarla. Si sporse leggermente per aprire il cruscotto ed estrarne un oggetto piatto, e rettangolare. Lo aprì, appurando che non ci sarebbe stato bisogno di tenere le mani sul volante vista e considerata la situazione di stallo in cui il traffico giaceva, e ne estrasse un cd rivestito
in rosso che ben conosceva. Essere la fidanzata di uno dei membri della band, non la esonerava dal comprare i dischi come tutti gli altri, dal fare la fila fuori dai negozi come HMV il giorno dell'uscita; lo infilò nel lettore, impostando la riproduzione su "cd" e lasciando che la musica colmasse il silenzio di quell'abitacolo. Con l'indice premette lo skip, così da arrivare in fretta a quella che forse era la sua traccia preferita: la 14 dell'yearbook, "She's not afraid." Quelle note la misero subito di ottimo umore, e si ritrovò a cantarla tutta come suo solito senza preoccuparsi del volume della sua voce e si rese conto di quanto in fondo le mancassero i tempi in cui tutto era molto più facile... non sarebbe tornata indietro, queston era ovvio. Si soffermò un attimo su quel testo ascoltato e cantato decine di volte, mentre un leggero dubbio si insinuava in lei: le sembrava quasi di conoscere la ragazza di cui stavano parlando, ma convincendosi che fosse solamente un'impressione decise di passare a "Still The One"; ancora una volta, però, qualcosa non andava e quei testi sembravano essere fin troppo vicini. Più si sforzava, e meno arrivava ad una conclusione che fosse papabile; si domandava se ancora una volta non fosse la sua fantasia a correre un po' troppo veloce, e si convinse a concentrarsi sui pochi metri di asfalto che si erano liberati davanti a lei. 
Guardò fuori dal finestrino, osservando distrattamente le poche persone che passeggiavano avvolte nei loro cappotti e nelle loro sciarpe, e si domandò quanto strano dovesse essere avere una vita che si poteva definire ancora 'normale'. Impostò la riproduzione casuale, e trovò incredibile il modo in cui quel lettore sembrò rendersi conto di quale fosse la canzone adatta al momento: Daphne, questo, questo, l'avrebbe capito solo più tardi. 
'We were together summer ‘09
wanna roll back like pressing rewind..
you were mine and we never said goodbye.
I used to think that I was better alone,
why did I ever wanna let you go?
Under the moonlight as we stared at the sea,
the words you whispered I will always believe.'
Sgranò appena gli occhi. Quelle parole coincidevano con qualcosa che conosceva fin troppo bene: July le aveva raccontato la sua storia con Harry per filo e per segno, in quelle serate in cui la memoria tornava con tutta la sua forza.. perchè quei versi erano così dannatamente simili ad un episodio di un agosto di qualche anno prima; perchè non riusciva a ricordare il dettaglio che le mancava? E perchè, allora, Take Me Home sembrava un album interamente scritto per la ragazza dagli occhi scuri che adesso
lavorava quasi 8 ore al giorno in un negozio di giocattoli?
Afferrò l'iPhone che aveva lasciato sul sedile accanto al suo, ed aprendo la seconda conversazione in ordine di tempo, scrisse 
'Qual è l'estate che tu ed Harry avete passato insieme?'. Trattenne il fiato, nell'aspettare una risposta che arrivò in un tempo quasi fuori dall'ordinario. '2009', lesse. 
"Lo sapevo, lo sapevo!" Urlò.
'Sei a casa?'
'Yep!'
'Fatti trovare pronta tra una decina di minuti, ti sto venendo a prendere.'
'?'
'Andiamo a riprenderci il tuo ragazzo, July.'
Gettò nuovamente il cellulare in una parte non meglio definita del veicolo, cambiando rapidamente la marcia e facendo una terribile inversione ad U, approfittando dell'avanzamento dell'Opel che aveva davanti ed immettendosi così nella corsia opposta - decisamente più libera di quella dove si era trovata fino ad ora. Le macchine che già si trovavano lì cominciarono a suonare il clacson all'impazzata, domandandosi per quale motivo quella ragazzina avesse fatto una manovra di quel genere e perdendosi in una serie di insulti davvero poco ortodossi. Daphne, spazientita, abbassò il finestrino rapidamente e, poggiando le mani sullo sportello, si fece leva così da sporgersi fino ai fianchi.
"Ho una relazione da salvare, io!" Esclamò, urlando, voltandosi verso i conducenti delle auto che aveva dietro: era probabilmente una delle cose più pericolose che avrebbe potuto fare, ma in quel momento sembrava davvero la più indicata; tornò a sedersi con un leggero tonfo, sistemandosi i capelli che il vento londinese aveva scompigliato in quel folle e sconsiderato affacciarsi. "L'avevo detto che sono il destino, l'avevo detto!"
 
"Io comunque non ho un ragazzo." Asserì July aprendo la portiera e prendendo posto sul sedile.
"Ed Harry che cos'è?" 
"Un conoscente."
"Andiamo a riprenderci il tuo conoscente, allora."
Le due si guardarono: Daphne era ostinata, July ancora di più.
Era strano, perchè proprio in quella macchina e proprio sotto casa della ragazza le due si erano conosciute mesi prima; nessuna delle due sapeva davvero chi fosse l'altra, ed erano state legate dall'acquisto di un semplice vestito. Chi avrebbe mai detto che sarebbero arrivate a quel punto? Sembrava ad entrambe di conoscersi da una vita, ed adesso si trovavano quasi al punto di partenza.
Daphne mise in moto, con un mezzo sorriso sul volto.
"Davvero non riuscivo a capire cos'avesse quel cretino per la testa: le ho pensate tutte, ma non sono mai arrivata ad una conclusione. Eppure è strano perchè la soluzione era davanti ai miei occhi, ed era chiara!"
"Daphne, ma che stai dicendo?"
"Ascolta qui."
Lasciò che le canzoni principali di Take Me Home venissero ascoltate dalla ragazza che se ne stava seduta con le mani in grembo, avvolta in una pesante felpa e con la frangia che quasi le copriva gli occhi; non disse niente, non osò nemmeno commentare fin quando l'ultima nota non si esaurì, sfumando nel silenzio.
"Allora?"
"Non ha senso."
"Perchè?"
"Perchè queste canzoni sono.."
"Sono state scritte per te, sì."
"Ma.."
"Ma niente. Lui ti ama, July White."
"Non si sarebbe comportato così."
"Invece è proprio questo che dovrebbe farti capire cosa prova per te: ti ricordi cosa ti ha sempre detto? 'Non voglio farti del male!'.. pensa a come dev'essersi sentito quando si è reso conto che ciò che era diventato ti aveva quasi uccisa."
"E quindi.. quindi avrebbe usato le relazioni avute fino ad ora come metodo per allontanarmi da lui.. sa di non essere abbastanza forte da decidere autonomamente di fare a meno di me, ed ha preferito che fossi io a voler chiudere con lui."
"Bingo!"
"Ma.. come ci sei arrivata, scusa?"
"Non me lo chiedere, era tutto in quel cd."
July prese la custodia tra le mani, e lo rigirò un paio di volte.
"E' ora che tu esaudisca il suo desiderio." Sussurrò Daphne.
Allo sguardo interrogativo, rispose tamburellando sulla copertina.
"Portami a casa." Lesse July.
Riavviandosi i capelli all'indietro, Daphne si guardò intorno.
"Piccola J, siamo arrivate; è assurdo che ci abbiamo messo quasi un'ora, credo che dovrai trasferirti in un quartiere più vicino a quello dei ragazzi.. lo dico per te, eh."
"Dove siamo?"
"Studio di registrazione."
Scesero quasi contemporaneamente, lasciando che le portiere sbattessero senza farci neanche troppo caso e si incamminarono una accanto all'altra verso quella che sembrava essere davvero la svolta: ce l'avrebbero fatta stavolta? Era l'ultima opportunità.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Ritorno. ***


 
Quando la porta si aprì, una sottile e lunga striscia di luce esterna invase parte della stanza facendo voltare i presenti con aria piuttosto sorpresa: un paio di ragazzi dai capelli tendenzialmente chiari, vestiti con delle magliette Drop Dead e con scarpe da ginnastica piuttosto distrutte. Daphne li salutò appena con un gesto della mano e questi, sorridendo, ricambiarono con un cenno del capo: dovevano conoscerla abbastanza bene da non fare troppe domande al riguardo. Non era difficile rendersi conto che si trattava di due che lavoravano lì praticamente ogni giorno, e che al momento erano stati nominati addetti alla 'sicurezza' vista la presenza di ospiti importanti come quelli che si trovavano lì in quel momento.
"Sono di là, nella sala registrazioni: sono quasi a fine lavoro, siete arrivate appena in tempo!" Esclamò uno di loro, rivolgendosi alla ragazza che aveva visto anche altre volte.
Questa sorrise appena, avviandosi immediatamente verso la direzione che le era stata indicata e si fermò dopo appena un paio di passi, rendendosi conto che July non la stava seguendo: questa infatti si era paralizzata, guardandosi intorno con aria piuttosto confusa e scuotendo appena il capo. Daphne alzò appena gli occhi al cielo e tornò sui suoi passi, con un'espressione risoluta che lasciava ben poco spazio ai ripensamenti; la prese per la meno e cercò di trascinarla. "Questi due ragazzi sono disposti a prenderti di peso e trascinarti di là urlante: suppongo che tu non voglia farti vedere così da Harry in uno stato come quello, no? Quindi vedi di muovere quei piedi abbastanza da fare un'ingresso dignitoso." Non l'aveva detto con cattiveria, ma si era resa conto che l'unico modo per far tornare le cose apposto era intervenire con tutte le proprie forze lasciando da parte i momentanei capricci di quei due.
A quel punto, mise un po' più di forza e riuscì a portarla con sè fino ad una porta socchiusa da cui provenivano delle voci, impegnate in una discussione sommessa. 
"Adesso prendi un bel respiro, è arrivato il momento." Le suggerì, avvicinandosi al suo orecchio. Poi sorrise appena, ed entrò con July al suo fianco.
Il primo ad accorgersi di loro fu Niall, che stava aspettando la sua ragazza ormai da più di un'ora e le aveva mandato diversi sms che non avevano ricevuto risposta: era piuttosto infastidito, ma non appena si rese conto di chi era al suo fianco, si rese conto della situazione e non potè fare a meno di scuotere la testa. Uno alla volta, tutti alzarono il capo dal proprio lavoro e puntarono gli occhi sulle due nuove arrivate: una sorrideva, indossando la sua felpa ed i suoi jeans scuri con aria vagamente spavalda e soddisfatta; l'altra non sapeva bene dove guardare o cosa fare, ed aveva a malapena la forza di muoversi.
"Questo cambia tutto." Ruppe il ghiaccio Louis, aggrottando appena le sopracciglia. "Certo, io avrei fatto un'entrata un po' più scenica e con qualche effetto speciale ma.. non c'è dubbio che questa sia una svolta inaspettata nella storia dei nostri cinque fantastici eroi."
"Quale storia, Louis?" Domandò Liam voltandosi verso di lui, dubbioso.
"La sto scrivendo, doveva essere una sorpresa." Si grattò il capo. 
I ragazzi stavano per l'appunto cominciando un'interessante discussione a proposito dell'ultima frase di Louis, ma appena prima che che ci riuscissero vennero fulminati da uno sguardo davvero poco carino di Daphne.
"Credo che sia arrivato il momento per noi di andare, vero ragazzi?" 
"No, io me la voglio vedere tutta!" Esclamò Niall, incrociando le braccia al petto.
"Niall, ho detto andiamo."
"Ma io.."
"Niall James Horan!"
"Non sembra Maura quando fa così?" Sussurrò Zayn nell'orecchio di Liam.
"Zayn, ti faccio tornare il ciuffo biondo a modo mio."
"Era un periodo che non ci minacciava, vero? Ci avevo quasi fatto l'abitudine."
Quattro di quei cinque si alzarono in piedi, seguiti da Savan, Carl e Rami che non aspettavano altro: era una giornata intera che erano lì, ed avevano seriamente bisogno di andare a casa. Fortunatamente, Harry ebbe la buona idea di non provare neanche a muoversi: sapeva che quel momento sarebbe arrivato presto, e l'attesa era stata ben più sfibrante di qualunque altra cosa.. senza considerare, che essere picchiato dalla propria migliore amica non sarebbe certo stato carino.
Rimasti improvvisamente soli, Harry e July non si guardavano neanche in faccia: cercavano le parole giuste da dire per cominciare quel discorso, cercavano scuse e compromessi, indecisi sul da farsi. Erano arrivati al punto in cui ogni sillaba era capace di ferire a morte, in bilico tra il perdersi ed il tornare come una volta.
"July.."
"Mh?"
"Perdonami."
"Per cosa?"
"Per tutto."
"Potremmo litigare senza usare frasi fatte?"
"Dobbiamo litigare?"
"E' un'ipotesi."
Si guardarono negli occhi. Poi July riuscì a muoversi verso di lui, raggiungendo il tavolo cui era seduto e fermandosi in piedi a pochi centimentri di distanza.
"Harry, io voglio uscire da questa stanza con una certezza: voglio sapere che cosa siamo, e cosa dobbiamo fare esattamente. Non sopporto più questa situazione, questo continuo perderci e ritrovarci, quest'angoscia di non sapere cosa fai o dove sei.."
"Vuoi da me risposte che non sono sicuro di poterti dare."
"Sono quattro anni che non sei in grado di prendere una decisione, ed io sono stanca di continuare a rincorrerti senza ottenere nulla in cambio." In cambio ottenne solamente silenzio. "Voglio essere la tua ragazza, lo voglio davvero: voglio ricevere una telefonata quando finisci il concerto o quando il tuo volo atterra, voglio essere quella che ti aspetta a casa e ti dà il bacio della buonanotte.. voglio prepararti il thè quando hai mal di gola, o girare mezza Londra per trovare un regalo da farti trovare sotto l'albero di Natale. Voglio che tu sia mio almeno la metà di quanto io sono tua." Si sedette sul tavolo, incrociando le gambe. "Se non sei disposto a farmi essere questo, basta solamente dirmelo.. ma devi farlo una volta per tutte."
Il ragazzo giocherellava nervosamente con una penna ed un foglio che erano stati lasciati lì, e vi disegnava sopra forme geometriche non meglio identificate.
"July.." Sussurrò, portando lo sguardo sulla mano sinistra della ragazza. "Perchè tremi?"
Questa dovette intercettare la traiettoria di quegl'occhi verdi, per capire davvero di cosa stesse parlando; a quel punto strinse le dita in un piccolo pugno che nascose in grembo, con leggero imbarazzo.
"Ogni tanto succede, i medici dicono che è assolutamente normale... è il modo che il mio corpo ha per manifestare lo stess post-traumatico, ma niente di preoccupante."
"Come?" Domandò, alzandosi in piedi di scatto e facendo la sedia. "Come.. come posso anche solo pensare di chiederti di stare con me, quando la mia vicinanza ti causa una cosa del genere? Sono sicuro che ci sono tanti altri piccoli sintomi che ti porti dietro da dopo il coma, anche se non lo ammetterai mai." Si portò le mani tra i capelli. "Finirò per ucciderti, ne sono sicuro."
"Lo stai già facendo, Harry! Mi stai strappando il cuore, e lo stai distruggendo.. muoio da quando ho incrociato i tuoi occhi per la prima volta e continuo a farlo ogni giorno! Ogni volta che sei in un fuso orario terribilmente diverso dal mio, ogni volta che il tuo telefono è irraggiungibile, ogni volta che ti vedo con qualcun'altra." Quasi urlava. "Io ricordo tutto quello che mi hai detto in ospedale, lo sai vero? Lo sai che sentivo ogni parola, ogni lacrima, ogni canzone?"
"Lo temevo, in effetti."
July abbassò il capo, portandosi le mani sulla fronte. "Non andremo da nessuna parte, di questo passo." Sbuffò. "Dimmi solo una cosa.." Le tremava anche la voce, adesso. "Le ragazze con cui esci, sanno almeno qual è il tuo colore preferito? Sanno che non riesci a stare lontano dal telefono quando sei ubriaco e che invii messaggi incomprensibili a dieci numeri a caso della tua rubrica? Hanno la minima idea del fatto che compri lo stesso dopobarba da anni e che lo usavi fin da prima di farti la barba, solo perchè pensavi che te l'avrebbe fatta crescere prima? Quelle ragazze tanto brave a sorridere durante le foto conoscono la tua ossessione per il succo di mela? E, dimmi Harry, sanno che hai cominciato a bere il caffè solamente perchè ogni volta che andavi al bar non sapevi cosa ordinare e per evitare di sbagliare prendevi quello che prendevano gli altri?" Lo guardò, decisa. "Hanno mai pensato di comprarsi l'Alien solo perchè è il tuo profumo femminile preferito, come ho fatto io?"
L'altro abbassò lo sguardo.
"No sai, perchè io ne ho comprato quantità industriali negli ultimi anni.. solo nella speranza di incontrarti per caso, e di salutarti con un bacio sulla guancia."
"Perchè non mi sei mai venuta a cercare?"
"Perchè cosa.. cos'avrei dovuto dirti? Non volevo essere un peso, era ovvio che tu sapessi che per te la mia porta sarebbe sempre stata aperta e credevo davvero che un giorno saresti tornato."
"Ma io non l'ho fatto.."
"No, mai."
"Mi dispiace, davvero, e so che l'ho già detto ma.. non finirò mai di sentirmi in colpa per tutto quello che ti ho fatto e che, evidentemente, continuo a farti. Mi dispiace per Claire e le ragazze con cui sono stato in questi ultimi due mesi, e mi dispiace per le volte in cui mi sono trattenuto dal chiamarti e dal venirti a cercare." Poggiò la schiena al muro, stando in piedi e guardando la ragazza. "Non ho mai voluto questo, neanche per un solo secondo." Lo sapevano entrambi. "Non hai idea di quanto vorrei che tu fossi davvero la mia ragazza, ma.. i giornali, e.."
"Loro non sanno di noi, e non devono saperlo." Intervenne July. "So che rovinerebbero tutto, ed è l'ultima cosa che voglio: a me interessa stare con te, non che lo sappia il mondo. Non ho bisogno di stare al centro dell'attenzione o di finire sulle prime pagine, nè di raggiungere i migliaia di followers su twitter solo perchè ho a che fare con te. Ti hanno usato tutte solamente per questo, e non posso credere che tu stia respingendo l'unica persona davvero in grado di amarti."
"Che cosa vuoi da me?"
"Voglio che tu la smetta, e mi venga a prendere."
"Saresti davvero disposta a mettere in pericolo te stessa?"
"Non sono niente senza di te, e preferisco poter vivere anche solo pochi giorni con la consapevolezza di poter stare con la persona che amo piuttosto che dovermi arrendere ad una vita persa nel ricordo del tuo sorriso."
Allora, Harry si staccò dal muro dandosi una leggera spinta con il piede e camminò con passo lento verso la ragazza che lo guardava avvicinarsi con aria un po' impaurita.
"Harry?"
"Ti sto venendo a prendere, July."
Poi si chinò appena su di lei, poggiando delicatamente le mani sul suo collo e poggiando la fronte sulla sua.
"Non capisco Harry, che cos.."
"July."
"Si?"
"Chiudi quella dannata bocca, e baciami."
Lei si sporse in avanti, mettendosi quasi in ginocchio su quel tavolo ed abbracciando le spalle del ragazzo con le braccia; poi, si lasciò quasi sollevare a mezz'aria circondando i fianchi di lui con le gambe e facendo leva su se stessa per poter stare in equilibrio. Si allontanarono appena, fin quando Harry non fece poggiare la schiena della ragazza che teneva quasi in braccio contro il muro e potè sentire il suo respiro sul viso; a quel punto, fece una leggera pressione contro di lei e la resse in maniera ancora più accurata, stringendo maggiormente le braccia sotto le sue gambe. 
Il respiro di entrambi si fece sempre più sconnesso, fin quando le labbra dolci e pressochè perfette dell'uno non si poggiarono su quelle tremanti dell'altra: le gambe della ragazza raggiunsero il suolo in pochi istanti, così che potesse nuovamente stare in piedi, e la mano destra raggiunse il petto di Harry in contrazione.
Fu un bacio diverso da quelli che si erano dati prima, un bacio che non racchiudeva più disperazione o abbandono; era uno di quelli che segna un nuovo inizio, uno di quelli appassionati ma mai invasivi, profumati di un amore talmente profondo da togliere quasi la necessità di respirare. Forse, quella era la prima volta che si baciavano davvero e si chiesero entrambi se era stato davvero necessario arrivare a tanto per potercela fare.
"Ce ne hai messo di tempo." Sussurrò.
"Ne è valsa la pena, no?"
"Abbassa la cresta, Styles."


Angolo Scrittrice.
ovviamente, la fanfiction NON è finita.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Inchiostro. ***


 
 
Lei guardava fuori dal finestrino, la testa poggiata sul vetro ed i capelli a tratti elettrizzati da quel contatto; la città si rifletteva sulle lenti dei suoi occhiali, le dita della mano destra che tamburellavano nervosamente sulla gamba, in attesa di arrivare. Spazientita e vagamente a disagio, premette il tasto di accensione della radio e cominciò a saltellare in qua e in là tra le varie stazioni, cercando qualcosa che potesse piacerle.
Lui guidava senza pensarci poi molto, un'espressione serena sul volto ed un mezzo sorriso che faceva appena comparire le fossette alla fioca luce della luna che entrava obliqua dal parabrezza. Raramente distoglieva lo sguardo dalla strada, e se lo faceva era solo per osservare con la coda dell'occhio la figura della ragazza seduta accanto a lui; lo faceva con amore ed un po' di divertimento, perchè era raro riuscire a vedere July in quella specie di stato confusionario. Cominciò ad ondeggiare la testa a ritmo della musica, domandandosi come mai non le andasse bene niente nonostante alcuni pezzi davvero non trascurabili; si sorprese, infine, quando la vide fermarsi sulle note di una canzone che non credeva rientrare nei suoi gusti. 
"Niall va pazzo per lei, è andato a vederla perfino in concerto lo scorso autunno."
July si voltò verso di lui, sorridendo.
"Piace moltissimo anche a me."
Lana Del Rey cantava il suo amore maledetto, mentre loro avevano paura perfino di sfiorarsi; erano usciti di corsa dallo studio, salendo nella macchina del ragazzo parcheggiata proprio lì fuori e si erano gettati nel traffico di Londra senza neanche precisare una vera e propria destinazione. Si erano ritrovati da neanche mezz'ora, ed avevano già paura di perdersi di nuovo.. perchè si sa, le cose belle non durano mai fino all'alba. 
Non avevano programmato di raggiungere gli altri che si erano allontanati proprio per lasciare che chiarissero la situazione, e non l'avrebbero di certo fatto; sembrava ci fosse un implicito accordo tra i due, un accordo che li avrebbe condotti nell'unico posto in cui sarebbero stati al sicuro perfino da loro stessi. 
Casa di July era lì, silenziosa ed al buio, e loro stavano in piedi di fronte alla porta mentre le mani tremanti dal freddo della padrona di casa tentavano di infilare le chiavi nella serratura; dovette intervenire Harry, con gentilezza ed un degno autocontrollo, che ormai aveva imparato la funzione di ogni singola chiave di quel mazzo non indifferente e sarebbe potuto entrare in quell'appartamento anche ad occhi chiusi. Le prese la mano, conducendola senza neanche pensarci verso la camera da letto, mentre il resto della casa si perdeva intorno a loro, in quell'atmosfera domestica ed accogliente che aveva sempre caratterizzato quel bilocale in periferia. 
July rimase in piedi, ferma, sulla soglia della porta mentre Harry andò a sedersi sul bordo del letto con un'espressione che entrambi conoscevano fin troppo bene; lei si poggiò al muro lì accanto, passando una mano tra i capelli come faceva ogni volta che era nervosa, e si perde per qualche istante negli occhi verdi di quel ragazzo che continuava a guardarla silenziosamente, senza metterle fretta. Allora si sfilò le scarpe che indossava alzandosi appena sulle punte, e poi raggiunse la moquette calda con i calzini neri a righe rosse che aveva messo quella mattina per andare a lavoro; si incamminò verso di lui, mentre mille domande le affollavano la testa ed il suono del suo cuore sembrava pronto a farle esplodere le tempie. Quando fu abbastanza vicina, Harry le prese nuovamente le mani e la tirò a sè, facendola chinare; la baciò con dolcezza, ed entrambi sorrisero nello stesso istante nonostante gli occhi socchiusi. La fece stendere sul letto - i capelli che si persero d'improvviso tra le lenzuola e gli occhiali abbandonati lì accanto - guardandola dall'alto con un'espressione che mai, mai aveva avuto prima. Le sbottonò con cura la camicia che indossava, non perdendosi neanche un minimo centimetro di pelle che veniva scoperto e sfiorandola appena, ogni volta senza lasciarsi sfuggire i brividi che le causava quel semplice contatto; si lasciò sfilare la t-shirt bianca con lo scollo a v senza opporre la minima resistenza, ed abbassò quasi il capo.
"Che cos'è questa roba che hai addosso?" Domandò d'improvviso July, tirandosi appena su e reggendosi sui gomiti. Dovette indicare i tatuaggi con un rapido cenno del mento, perchè l'altro capisse.
"Sono solo.. dei tatuaggi!"
"No, questi non sono dei tatuaggi.." Aggrottò le sopracciglia. "Harry, sembra che tu sia stato rapito da una banda di undicenni armati di.. timbrini!" La sua espressione era vagamente sconvolta, oltre che assolutamente contrariata.
"Uno è dedicato a te."
"Quale?"
"Non te lo dirò mai."
"Ma.."
"Ti sembra il momento di fare polemica, White?"
Lei gli fece una smorfia, e lui rise. Poi, abbassò la cerniera dei jeans e glieli sfilò lasciandoli cadere a terra; una volta che entrambi furono unicamente in intimo, fu lei ad essere a cavalcioni sopra di lui. Le mani poggiate sul suo viso, i lunghi capelli neri che scendevano su di lui, gli occhi perfettamente incastrati in quel verde che ben conosceva; con le dita cominciò a sfiorargli le labbra, tracciandone il perfetto contorno che si perse quasi immediatamente nel collo, su quelle vene che si gonfiavano durante gli acuti o gli assoli, e poi giù sul petto, tra quei muscoli che lei non ricordava, su quell'inchiostro che ne aveva inondato i tessuti, su quei nuovi contorni, nuovi progetti, nuove prospettive. July non poteva non pensare a quanto Harry fosse cambiato, a quanto quel corpo che tanto aveva amato stava cominciando ad assumere le fattezze di quelle di un uomo; quanto tempo era passato? Due anni avevano davvero segnato un confine così profondo? Ed allora, era giusto essersi ritrovati se non erano più loro?
"Quante mani ti hanno sfiorato, e quante donne hai amato.." Sussurrò lei, in quella che aveva smesso di essere una domanda nel momento stesso in cui era stata formulata.
"Sono qui July, sono qui con te." Asserì immediatamente lui, facendole alzare lo sguardo. Si tirò su a sedere, trascinandola con sè; le gambe della ragazza circondarono il suo bacino, le braccia strette intorno al collo, i capelli che quasi gli facevano il solletico. La strinse forte a sè, lasciando che affondasse il viso sull'ormai muscoloso incavo del collo scoperto.
"Quanti hanno avuto te, invece?" Domandò allora.
"Nessuno." Soffocò la risposta sulla sua pelle. "Ti avevo detto che ti avrei aspettato, e l'ho fatto."
"Quanto avresti aspettato?"
"Fino alla morte, Harry."
La prese per le spalle, scostandola un attimo da sè; poi la guardò di nuovo negli occhi, e non vi vide neanche l'ombra di una bugia. Non sapeva che sarebbe morta di dolore senza di lui, non aveva idea di quanto sarebbe stata seduta lì ad aspettare il suo ritorno.
Le diede un bacio sotto il collo, lasciando che gettasse indietro il capo; ne accarezzò la linea, percepì i leggeri brividi che la percorrevano e si arrese alla consapevolezza che certe sensazioni non sarebbero mai cambiate, neanche con il passare di una vita intera. 
 
A piedi scalzi, con indosso una canottiera ed un paio di pantaloncini miracolosamente recuperati dal fondo di un cassetto, se ne stava in piedi davanti al frigorifero aperto; il capo leggermente piegato di lato, nell'indecisione di chi sembra dover prendere una decisione d'importanza vitale. Canticchiava a voce bassa, prendendo una confezione di succo d'arancia aperta appena il giorno prima e versando un po' del contenuto in un bicchiere in vetro colorato che tirò fuori dalla credenza; lo poggiò poi su un vassoio su cui già stava un caffè bollente ed un piatto con sopra un po' di cookies al cioccolato. 
Facendo ben attenzione a non combinare un disastro facendo cadere quanto avesse tra le mani, portò la colazione al ragazzo che ancora si rotolava in qua e in là tra le lenzuola che ormai stavano sul letto quasi per figura; si sedette accanto a lui, con un mezzo sorriso sul volto. Gli scostò i ricci dal volto con meticolosa cura, e gli accarezzò appena la fronte con un gesto delicato indirizzato proprio al non svegliarlo: voleva egoisticamente osservarlo un po' mentre lui non se ne accorgeva, scrutare con attenzione quell'espressione da bambino che nel tempo non era cambiata. Era di una bellezza tale da lasciare senza parole, e di certo non c'era da sorprendersi di quello  stuolo di milioni di ragazzine che bramava il suo cuore come se non potesse esserci altro da desiderare al mondo; la paura di perderlo c'era sempre stata e di certo, adesso che lui era diventato ciò che era,  le cose sarebbero addirittura peggiorate.. ma era davvero disposta a tutto pur di averlo con sè, pur di poter essere la sua compagna di vita. 
Si alzò nuovamente in piedi, dirigendosi con passo veloce fino allo stereo proprio dall'altra parte della stanza; rimase indecisa davanti ai cd che aveva di fronte a sè e poi, come se non ci potesse essere altra opzione possibile, vi infilò + di Ed Sheeran. Selezionò la traccia cinque, trovandola la più indicata per quel genere di situazione e, sorridendo appena, si chinò su Harry. 
"Buongiorno.." Sussurrò, dandogli un leggero bacio sulle labbra. Questo si lamentò un po', mugugnando appena e voltandosi un paio di volte dall'altra parte ma, alla fine, dischiuse appena gli occhi con un sonoro sbadiglio. 
"Mhhh!" Rispose, tirandosi su a sedere.
July gli mise davanti il vassoio con la colazione, mentre le note di Ed colmavano quel silenzio che si era venuto a creare; il ragazzo allora sorrise, sorpreso da quell'eccesso di dolcezza che ormai riceveva unicamente dagli altri membri della band ma raramente da una ragazza.
Addentò un biscotto con aria ancora assonnata, guardandosi intorno; in fin dei conti non ci mise più di dieci minuti a divorare tutto ciò che aveva di fronte, per poi buttarsi nuovamente tra le lenzuola con un'espressione beata sul viso.. fece un cenno alla ragazza con un dito, ed allargò un braccio così che questa potesse accoccolarsi sul suo petto.
"Sai, ieri pensavo.."
"Perchè tu pensi?"
"July!"
"Oh, scusa Harry.. vai avanti."
"Perchè non ti trasferisci da me?"
La ragazza rimase senza parole, senza sapere bene cosa rispondere.
"Voglio dire.. sarebbe più facile per noi vederci, no? Senza considerare che saresti anche più vicina al lavoro, ed avresti un sacco di comodità in più."
"Credi che sia il caso? Litigheremmo in continuazione, lo sai."
"Hey, la mia è solo una proposta. Magari non adesso, non subito.. ma tienila in considerazione per il futuro."
"Lo farò."
"Ci tengo davvero che stavolta funzioni.."
"Sì, anche io."
Harry respirò a fondo, accarezzando i capelli della ragazza. 
"Andrà tutto bene July."
"Devo ricordarti cos'è successo l'ultima volta che l'ha detto?"
"No. Ma stavolta ci credo davvero."
"Dillo, ma agisci di conseguenza."
"Lo farò."
"Prometti."
"Promesso."

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Ancora una volta. ***


 
"Non pensi che sia un passo troppo importante?" Domandò il ragazzo, comodamente seduto su uno dei due divani presenti in quel salone. "Non metto in dubbio i vostri sentimenti, ma la convivenza è difficile da affrontare."
"Sembra che lei non ti piaccia.."
"Sai che non è così, io adoro July! Solo che questa storia ha già fatto abbastanza male ad entrambi, e non ho intenzione di vedervi di nuovo a pezzi."
"Liam, stai tranquillo! Sono sicuro che sia davvero la cosa giusta da fare." 
"Se lo dici tu, mi fido. Però mi raccomando.."
"..non spezzarle il cuore?"
"No." Aggrottò le sopracciglia. "Smettila di lasciare in giro i tuoi calzini sporchi, metti i piatti in lavastoviglie e non buttare i vestiti appallottolati qua e là come se niente fosse." Lo indicò, socchiudendo appena gli occhi. "Sono quasi sicuro che ti farebbe mangiare tutto - calzini in primis. Senza considerare che ti trascinerebbe per un orecchio e ti rimprovererebbe come mai nessun altro ha fatto!"
"E' raccapricciante.."
"E' July."
"Ho i brividi!" Esclamò il ragazzo dai capelli ricci, prima di alzarsi in piedi e salire sulla poltrona per esultare: aveva finalmente fatto goal, e tutti sapevano quanto era difficile battere Liam a Fifa. "Comunque sia, non ha ancora accettato e non sono sicuro che lo farà." Disse, respirando a fondo e sedendosi, nonostante continuasse a fare gesti che schernivano il povero Payne che lo guardava in maniera davvero poco comprensiva o amorevole.
"Non ne avete più parlato?"
"Non proprio.. da quel che so, in settimana dovrebbe venire qui solamente con un borsone ed un paio di cambi; proviamo a sperimentare come sarebbe una possibile convivenza, e vedremo cosa fare."
"Scommetto che è stata un'idea sua!"
"Co-come fai a saperlo?"
"Perchè tu sei razionale come un cavolfiore, Harry."
"Da quando in qua i cavolfiori sono razionali?"
"Oh dai, dici sul serio?" Disse, lasciandosi cadere di mano il joystick.
Prima che Harry potesse rispondere, qualcuno suonò il campanello. Liam sorrise appena, poggiando la schiena al divano - pronto a godersi la scena; la verità, era che non aveva preso casualmente quel discorso: proprio la sera prima aveva parlato con Daphne, ed era venuto a conoscenza della piccola novità che si sarebbe verificata nel giro di poche ore.. così, aveva approfittato del pomeriggio libero (dovuto al fatto che Danielle avesse delle prove) e si era fiondato a casa del suo amico. 
Styles, intanto, si era diretto con passo piuttosto svelto verso la porta che aveva aperto con aria piuttosto disinteressata.. almeno fin quando non si era trovato davanti la sua ragazza, quasi sepolta da delle valigie che aveva evidentemente portato con sè.
"Aspetta, credo di non capire."
"E quando mai capisci qualcosa, Harry?" Sbuffò July. "Piuttosto, fammi entrare.. ah, c'è Daphne che aspetta giù: in macchina ha un altro paio di borsoni, muoviti ad andarli a prendere che ha fretta."
"Ma cos'è tutta questa roba?"
"Ti avevo detto che mi sarei trasferita qui per un paio di giorni, no?"
"Veramente sembra che tu stia traslocando."
"Si chiama 'stretto indispendabile'!"
"Oh.. ma saranno almeno dieci valigie!"
"Carino, hai imparato a contare?"
Li raggiunse allora Liam, cominciando a portar dentro parte dei bagagli; July varcò la soglia con un mezzo sorriso, guardandosi intorno: non era la prima volta che entrava in quella casa, ma era talmente bella che si concedeva sempre un paio di minuti per ammirarla. Pensare che quella sarebbe stata casa sua, la rendeva al contempo dubbiosa ed entusiasta.
 
Liam era andato via appena da dieci minuti, con una scusa piuttosto vaga che comprendeva Zayn e chissà cos'altro; Harry e July si guadavano silenziosamente, un po' in imbarazzo e decisamente indecisi sul da farsi.
"Prima che comincio a sistemare le mie cose in giro, voglio porre alcune condizioni."
"Stai già facendo la dittatrice?"
"E' il mio ruolo, lo sai."
Harry rise. "Dai, ti ascolto."
"Ho intenzione di darti mensilmente dei soldi; non posso dirti di dividere a metà le spese perchè non oso immaginare quanto costi mantenere una casa come questa.."
"Non voglio soldi da te!"
"So che non ne hai bisogno, ma è una questione di principio: non voglio dipendere da te o fare la vita da diva, non mi si addice. Non guadagno un granchè, ma sarà sufficiente."
"Se ti serve per metterti la coscienza a posto, allora va bene."
"La spesa la dividiamo a metà, e la andiamo a fare una volta l'uno.. non voglio favoritismi, nè niente del genere: trattami come una coinquilina."
"Ho solo un dubbio.."
"Dimmi."
"Con le coinquiline si possono avere rapporti sessuali?"
"Sì Harry, non preoccuparti." In realtà avrebbe voluto dargli un colpo di libro in testa, ma l'esperienza le aveva insegnato che, a volte, l'unica cosa da fare era essere terribilmente accondiscendenti. 
"Allora non c'è problema!" Sorrise. "Adesso pensi che potremmo mettere in ordine le cose che hai portato? Finiranno per risucchiarci, ho quest'impressione."
Così, Harry trascinò verso la camera da letto due valigie; poi, aprì l'armadio ed insieme cominciarono a sistemare diversamente gli indumenti già presenti, creando uno spazio non indifferente che avrebbe potuto perfettamente ospitare i capi della ragazza. 
"Mi spieghi perchè hai un armadio di queste dimensioni? Ci entrerebbero le cose di una famiglia intera!"
"Forse aspettavo proprio un'occasione come questa.."
"Touchè." Rispose lei, sorridendo.
La ragazza si sorprese molto nel constatare l'impegno che Harry stava mettendo nell'aiutarla: aveva cura nel piegare i vestiti e trovare una sistemazione adatta, ponderava anche diversi istanti prima di depositare i capi così da non doverli poi spostare rischiando di sgualcirli, e sembrava davvero determinato nel portare a termine quel lavoro nel miglior modo possibile. Non commentò, godendosi quei momenti così colmi di normalità da farle quasi venir voglia di piangere, e si morse appena il labbro nel momento in cui il ragazzo cominciò a canticchiare sottovoce. 
Harry, intanto, aveva abbandonato il settore "abbigliamento" per dedicarsi ad altre piccole cose che provenivano direttamente dalla vecchia camera di July; raccolse tutti i cd e li mise insieme ai suoi, accorgendosi con una punta di soddisfazione che alcuni erano addirittura uguali. Sistemò una boccetta di profumo, un piccolo cofanetto che doveva contenere dei bracciali visto il rumore che faceva, un paio di cuffie, qualche smalto e poi.. tra le mani, si ritrovò quei diari che aveva già letto una volta ma a cui non aveva più pensato. Non sapeva bene cosa fare, se fingere di non sapere cosa fossero oppure portarli all'attenzione della ragazza; così, li fissò per un po', indeciso.
"So che li hai letti."
"Io non.."
"L'ho saputo fin dal giorno stesso in cui l'hai fatto: diciamo che li ho trovati aperti e buttati a caso nel cassetto, subito dopo che sei uscito dalla mia camera." Scrollò le spalle. "Non ci vuole proprio un genio, sai?"
"Mi spiace.."
"Non sono arrabbiata." Sorrise appena. "In fondo li ho scritti sperando che un giorno li avresti letti. Avrei dovuto nasconderli meglio, tutto qui."
Il ragazzo rimase piuttosto sorpreso da quella reazione, considerando che normalmente avrebbe dato fuori di testa - nel vero senso della parola.
"Piuttosto, perchè nel cassetto del comodino c'è una busta con il mio nome?" Domandò allora July, che stava solamente sistemando la custodia dei propri occhiali nell'unico mobile nei paraggi del letto. Si voltò verso di lui, stringendo quella che sembrava una lettera ed aspettando una risposta.
"Me n'ero completamente dimenticato!" Esclamò Harry, portandosi una mano sulla fronte. "Sarebbe il tuo regalo di compleanno, in teoria.."
"Quanto tempo fa l'hai comprato?"
"Il giorno di Natale."
"Ma.. non stavi con Claire, a Natale?"
"Non mi è mai sembrata una buona motivazione per non farti un regalo."
"Pensi che potrei aprirlo adesso, anche se in ritardo di quasi un mese?" Domandò la ragazza, dopo aver controllato la data sulla piccola sveglia lì vicino.
"Fai pure.." Asserì, avvicinandosi a lei.
Le dita affusolate della ragazza strapparono appena la carta che segnava la chiusura della busta, ed estrasse così due piccoli rettangoli in cartoncino semi-rigido con sopra delle scritte, stampate. "30th january 2013, Ed Sheeran live at Radio City Music Hall - New York City."
Lei stessa aveva provato in tutti modi ad andare almeno ad una delle date di quello che si poteva tranquillamente definire il suo cantante preferito, ma si era imbattuta in una sconvolgente serie di sold out che l'avevano demoralizzata; sapere che Harry aveva già pensato a tutto, ed aveva comprato due biglietti così da poterci andare insieme superara davvero ogni aspettativa. 
"Il volo è, ovviamente, già prenotato."
"Q-Quando dovremmo partire?" Sibilò, riprendendo fiato.
"Domani sera."
"E me lo dici così?!" Esclamò, quasi urlando. Salì sopra il letto così da poter raggiungere l'altra parte della stanza in un tempo decisamente inferiore, e tirò a sè una delle valigie che aveva appena finito di svuotare; afferrò alcuni indumenti a caso, appallottolandoli e gettandoveli dentro alla rinfusa.
"July, ma che stai facendo?"
"Faccio i bagagli, no? Domani andiamo a New York City!" Esclamò. "E ti prego, lascia che sia io a fare il tuo; sembra che tu non abbia la benchè minima idea di cosa voglia dire escursione termica: vai in giro a maniche corte perfino quando c'è la neve, e non sia mai che ti prendi una broncopolmonite e mi tocca stare in albergo per tutto il tempo!" Poi, lentamente, si voltò guardandolo negli occhi. "Perchè hai prenotato un albergo, vero?"
"Sapevo di essermi dimenticato qualcosa!" Esclamò a sua volta, sgranando gli occhi.
"Ecco, allora prendi il telefono e fai in modo che la tua fama serva a qualcosa." Asserì, prima di concentrarsi nuovamente nella preparazione pre-partenza.
Harry uscì dalla stanza sorridendo, ed afferrando il suo iPhone ormai praticamente distrutto nonostante avesse appena due mesi.
"Sorpresa perfettamente riuscita, sei un genio in queste cose! Devo ricambiarti il favore, ci vediamo nei prossimi giorni!" Poi, inviò quell'sms proprio a Ed, il suo migliore amico.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Addio. ***



 
Seduta, osservava con espressione attonita lo schermo del suo cellulare sul quale spiccavano poche e precise parole che, in pochi secondi, erano riuscite a creare il panico nella sua mente. Aveva riletto quel messaggio almeno dieci volte, ma ogni volta le sembrava fosse la prima: sperava ardentemente che ricominciando da capo, il contenuto potesse mutare in qualcosa di diverso, in qualcosa di più facilmente accettabile... ma più lo faceva, più si sentiva sprofondare nella consapevolezza che niente avrebbe mai potuto modificare quell'assurda realtà.
"Mi trasferisco a Londra per un po'; vorrei salutarti il prima possibile, visto che non so quando torno: potrebbe essere domani, o tra qualche mese. Sono sicuro che un giorno capirai."
Si domandava cos'avrebbe dovuto capire, e quando questo sarebbe avvenuto; non poteva credere che stesse accadendo davvero, non poteva davvero concepire l'idea che Harry avesse deciso di punto in bianco di prendere e lasciare tutto.. lasciare lei, in primo luogo. Era vero, le cose non andavano bene ormai da un po', ma non pensava davvero che tra di loro si fosse creato un divario così insuperabile. 
Sperava che fosse uno scherzo, una scusa come un altra per cercarla dopo il litigio che avevano avuto due giorni fa; non sapeva quanto invece fosse vera quella circostanza, e quanto questo avrebbe influito sulla vita di entrambi. 
La verità era che voleva solamente illudersi di essere il problema, così da potersi convincere di essere talmente importante da comportare una decisione drastica come quella: aveva letto così tanti libri, così tante storie, che pensava davvero che un amore potesse stravolgere la vita di chi lo viveva. Si poneva al centro della vita di quel ragazzo dai capelli ricci perchè spesso sentiva quasi di non appartenervi come avrebbe dovuto; litigarci le scaldava il cuore, perchè avvertiva quanto ancora ci tenesse. Le cose tra di loro funzionavano solamente quando si trovavano faccia a faccia: si conoscevano talmente bene che non si sarebbero potuti mentire, se si fossero guardati negli occhi... ma lontani, tutto sarebbe stato diverso.
In fondo aveva sempre saputo che Harry era un tesoro troppo prezioso per poter essere custodito gelosamente: il mondo intero avrebbe dovuto conoscerlo, ammirare la sua luce, rimanere incantato da una perfezione che lasciava sempre senza fiato. July aveva aspettato con pazienza il momento in cui quel suo piccolo angolo di paradiso le sarebbe stato strappato via, e si era mille volte ripromessa che non sarebbe certamente stata lei a mettergli i bastoni tra le ruote: quando davvero si ama qualcuno, si è anche disposti a lasciarlo andare... anche senza credere che un giorno possa tornare indietro. Adesso che quel giorno era arrivato, si sentiva tradita, e presa alla sprovvista. Si sentiva come se qualcuno la stesse davvero privando della sua unica fonte di felicità, e si domandava quanto davvero avrebbe potuto vivere senza di lui. 
Non credeva in quel ritorno di cui parlava neanche un minimo, perchè qualcosa dentro di lei urlava dicendole che l'avrebbe perso per sempre: se anche si fosse trasferito nuovamente ad Holmes Chapel, sicuramente non sarebbe stato lo stesso di quando se n'era andato. Qualunque cosa glielo stesse portando via, avrebbe dovuto cambiare la sua vita: se il sacrificio era il prezzo da pagare, l'obbiettivo da raggiungere doveva essere al di fuori di ogni comprensione umana. 
 
 
La porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo piuttosto potente, seguito da un silenzio quasi surreale; il ragazzo sbattè lo zaino per terra senza prestarvi attenzione, dirigendosi poi verso il frigorifero dal quale prese una bottiglia d'acqua naturale.
"Non è venuta, vero?" Domandò la voce pacata di Gemma, intenta ad osservare il suo caffè riscaldarsi nel forno a microonde.
"Come fai a saperlo?" 
"Era piuttosto ovvio..."
Per quattro giorni, ogni singola mattina, Harry aveva aspettato July davanti la scuola come aveva sempre fatto; aveva fissato il suo banco vuoto, la casella dei messaggi in arrivo con quello zero accanto, il tetto della fabbrica senza nessuno sopra, la finestra della sua camera nel buio più totale... aveva cercato in ogni modo di mettersi in contatto con lei, scontrandosi sempre e solo contro il silenzio. Da quando le aveva comunicato che sarebbe partito, July era completamente scomparsa dalla circolazione; il ragazzo non sapeva se fosse arrabbiata, delusa, triste o cos'altro... l'unica certezza era che il giorno della sua partenza andava avvicinandosi, e non riusciva a trovare l'occasione giusta per salutarla. 
Quel pomeriggio, così, le aveva dato appuntamento subito dopo scuola scrivendole chiaramente che se ne sarebbe andato da lì al mattino dopo; fiducioso, l'aveva aspettata fissando la strada senza mai pensare che non sarebbe arrivata ma, dopo quasi due ore, si era dovuto ricredere. Era tornato così a casa, amareggiato e profondamente scosso dal comportamento di quella che ancora era la sua ragazza. 
Voleva almeno fare pace con lei prima di dover lasciare Holmes Chapel, rimettere le cose al proprio posto così da poter partire con la coscienza apposto... ma, evidentemente, non sarebbe stato possibile.
"Le hai detto perchè stai partendo?"
"No.."
Nessuno sapeva ancora che stava per entrare a far parte del programma di X-Factor: aveva fatto diverse assenze a scuola che aveva giustificato nei modi più svariato, era stato quasi sempre nella dependance del suo patrigno in compagnia di quei quattro ragazzi che, insieme a lui, formavano la band ed aveva mantenuto il segreto di stato. Aveva visto July raramente, poco più di una volta ogni venti giorni, e questo aveva quasi mandato a quel paese la loro relazione; durante una festa, poi, aveva baciato un'altra ragazza e la voce era immediatamente giunta alle sue orecchie. In realtà l'aveva fatto per un motivo ben preciso: non aveva il coraggio di lasciare July, non aveva la forza di privarsi di lei come avrebbe dovuto; sapeva che avrebbe dovuto farlo in vista di ciò che stava per accadere, ma era stato un codardo ed aveva cercato una scusa abbastanza plausibile per far sì che fosse lei a porre fine alla loro relazione. Adesso, però, si rendeva conto di aver fatto un immenso errore di calcolo e, soprattutto, che avrebbe almeno dovuto dirle addio.
Sarebbe partito così, senza un ultimo bacio o delle lacrime ad accompagnarlo: avrebbe custodito le loro foto ed i ricordi di giorni in cui erano stati felici, domandandosi sempre cosa sarebbe accaduto se non avesse fatto quei provini e fosse rimasto con lei. Il suo futuro era lontano da lì, lontano da lei e da quel mare di possibilità: a sedici anni tutto è diverso da com'è in realtà, in fondo lo sapevano tutti.
"Ed ora che pensi di fare?"
"Finire di preparare la valigia, andare a letto presto e cercare di non arrivare in ritardo."
"Parlavo di July..."
"Non lo so, Gemma."
"Ricordati che se due persone sono davvero fatte per stare insieme, non esiste distanza o circostanza che le possa dividere: sono sicura che troverete il modo di farla funzionare."
"Perchè ne sei così sicura?"
"Perchè ho visto il modo in cui la guardi."
"Ovvero?"
"Come se l'aspettassi da una vita intera."
Il bicchiere che Harry stringeva nella mano destra cadde: quella frase, lui la conosceva. In un rapido flash gli tornò in mente quella prima volta in cui avevano fatto l'amore, e lui aveva visto in lei quello sguardo... che fosse lo stesso, come diceva sua sorella?
"Sei sempre il solito combinaguai!" Esclamò la ragazza, osservando i pezzi di vetro sparsi sul pavimento. "Ora tocca a te pulire: starai anche per diventare famoso, ma qui dentro ognuno è responsabile delle proprie azioni."
Poi si allontanò, lasciando il fratello in balìa di una scopa ed una paletta.
"Harry.." Disse appena prima di uscire dalla cucina.
"Sì?"
"Un giorno vi incontrerete di nuovo, non ho dubbi."
 
 
La mattina dopo, Harry Styles abbandonò una Holmes Chapel rischiarata appena da un tiepido sole, portando con sè una valigia ed il suo talento; quella stessa mattina, July White si nascose appena dall'altra parte della strada, per guardare il ragazzo che tanto aveva amato andarsene via da lei per sempre.
I loro sguardi si incrociarono troppo tardi, per quella che credevano sarebbe stata l'ultima volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** La città che non dorme mai. ***




La portiera si chiuse con violenza, e la macchina venne immediatamente messa in moto  da un uomo sulla trentina che li aveva aspettati proprio all'uscita dell'aeroporto; era stato molto discreto, e sembrava conoscere Harry abbastanza bene perchè questo lo seguisse senza che ci fosse bisogno di ulteriori presentazioni. Lui e July erano infatti atterrati da nemmeno una decina di minuti all'aeroporto JFK di New York, dopo un volo che si era rivelato piuttosto estenuante, ma già sfrecciavano per le strade di quella città diretti verso l'albergo in cui avrebbero alloggiato; erano partiti da Londra in fretta e furia senza neanche avvisare gli altri ragazzi di quel piccolo viaggio onde evitare che tutti venissero a conoscenza di quella notizia. Avevano lasciato la casa in cui avevano appena cominciato a convivere a bordo di un taxi, portando con loro solamente una valigia ed un borsone, ed avevano celato i loro volti da sguardi indiscreti grazie ai cappucci delle felpe che avevano prontamente indossato. Nell'attesa per l'accesso al gate, qualcuno sembrò notare quella strana coppia che si aggirava guardinga cercando di non farsi notare, ma solamente una ragazza riconobbe Harry e scattò una foto - che, per fortuna, era venuta fuori abbastanza sfocata perchè potessero esserci parecchi dubbi riguardo all'identità del soggetto immortalato. Certo, i due erano perfettamente a conoscenza del fatto che presto si sarebbe ugualmente venuto a sapere della loro fuga nel bel mezzo della notte, ma avevano comunque preferito non essere accerchiati dai fotografi di news.com o da una moltitudine di fans curiose.  
Adesso che erano finalmente arrivati negli Stati Uniti, erano un po' più rilassati e concentrati su quei tre giorni che avrebbero passato in un posto così lontano da casa; a nessuno dei due importava davvero il luogo, quanto il fatto di essere lì insieme. Quella città dove niente era uguale a se stesso ed il tempo poteva perdere forma ad ogni battito di ciglia, sarebbe potuta essere la loro Isola Che Non C'è.. lontani da tutto ciò che conoscevano a da ciò che erano diventati, erano davvero liberi. 
"Per domani sera avete bisogno che qualcuno vi accompagni?" Domandò ad un certo punto quell'uomo, osservandoli dallo specchietto retrovisore. 
"Prenderemo un taxi, sono sicuro che non sarà affatto un problema!" Rispose allora Harry, sorridendo e scrollando le spalle.
"Mi dispiace di non potervi essere d'aiuto in prima persona, ma dovrò occuparmi della sicurezza di Ed.."
"Ma certo, è il tuo lavoro! Non preoccuparti, sul serio!"
In quel momento July ricordò dove aveva già visto quell'espressione seria e concentrata, e diede finalmente un volto alla figura che si intravedeva spesso dietro Ed Sheeran: era il capo della sicurezza, ed ecco perchè Harry lo conosceva così bene; era ovvio che fosse stato mandato dal rosso in persona per assicurarsi che il suo amico e la ragazza arrivassero sani e salvi in albergo e fossero protetti in caso a qualcuno fosse venuto in mente qualche gesto sconsiderato. 
Conclusero quel discorso in un altro paio di battute, proprio mentre il profilo illuminato dell'albergo appariva davanti ai loro occhi; la ragazza quasi non riuscì a credere ai suoi occhi: l'edificio in cui misero piede in una decina di minuti era a dir poco fuori dall'ordinario e non avrebbe mai creduto che un posto di quel genere potesse esistere anche al di fuori delle riviste patinate. Lasciò che fosse Harry a parlare con l'uomo alla reception, e che pensasse lui a sbrigare le faccende burocratiche: dal suo canto, riusciva solamente a guardarsi intorno con aria estasiata, rendendosi conto che quel tenore di vita era praticamente normale per il suo ragazzo. Era un mondo completamente diverso da quello in cui aveva sempre vissuto, ma era sicura che non ci avrebbe poi messo molto a farci l'abitudine.
"Mi vuole porgere i bagagli, signorina?" Domandò con un mezzo sorriso un ragazzo con indosso l'uniforme che lo identificava come dipendente dell'albergo.
"Oh, certo.." Borbottò appena, lasciando che fosse lui a prendersi cura della valigia ai suoi piedi e del borsone che ancora stringeva a sè. Poi fece un passo verso Harry e lui le prese la mano, prima di avviarsi verso l'ascensore; vi salirono, compiacendosi appena del fatto che non ci fosse nessuno insieme a loro, ed attesero con pazienza di arrivare al piano attico nonostante l'incessante agonia che dava loro la musichetta che si sentiva lì dentro. Quando finalmente udirono il leggero e squillante suono che segnava il loro arrivo, percorsero il corridoio senza sciogliere le dita dall'intrecchio che quelle dell'uno avevano formato con quelle dell'altro; aprirono la porta della camera che era loro riservata, dando un'occhiata ai loro oggetti personali che li attendevano già all'interno. 
July cominciò a girovagare per quella stanza che sembrava essere perfino più grande del suo vecchio appartamento, e non contenne neanche un po' lo stupore che provava: in confronto, il resto del mondo sembrava quasi sciatto. Ogni dettaglio era curato fino ai minimi termini, non mancava neanche il più piccolo dei comfort: dalle lenzuola in seta ai televisori al plasma, dall'accesso diretto alla piscina sopra il tetto alla vasca idromassaggio nel bagno privato, dai fiori freschi dentro un vaso di cristallo sul tavolo all'incredibile panorama che si poteva osservare dalla vetrata che ricopriva un'intera parete. 
"Questo dev'essere il paradiso!" Esclamò, estasiata. 
"E' solo un'albergo, July.."
"Oh, bhè.." La ragazza si sentì in imbarazzo per la sua reazione simile a quella di una bambina in un negozio di caramelle, così nettamente in contrasto con l'affermazione di Harry.
"Hey, stavo solo scherzando!" La interruppe immediatamente lui. "Ho reagito saltando per almeno sei mesi in ogni albergo in cui andavo, prima di abituarmi.. anzi mi sorprendo di come tu non sia svenuta." Rise.
Sorridendo appena, la ragazza si diresse verso il letto e vi si gettò sopra con un gemito di puro piacere: sebbene fossero stati in prima classe, i sedili dell'aereo non erano proprio stati il posto più comodo del mondo.
"Hai intenzione di passare la tua prima sera a New York chiusa in albergo?"
"Assolutamente sì, Harry!" Rispose, con il volto completamente affondato nel cuscino. "Anzi, chiama il servizio in camera e passami il pigiama.. è nella valigia." Poi si voltò, ed afferrò il telecomando sopra il comodino.
Qualunque altra ragazza avesse avuto prima, non aveva fatto altro che trascinarlo in qua e in là tra serate mondane ed eventi da prima pagina; l'unica cosa che July voleva fare, invece, era riposarsi e poter stare un po' con lui. Ancora una volta, quelle piccole differenze lo rendevano felice ed orgoglioso della sua scelta; così, sorridendo, raggiunse anche lui il letto e si buttò a peso morto al suo fianco.
"E il pigiama? Non l'hai preso?"
"Che senso avrebbe farti cambiare, se comunque poi finirei per toglierti tutto?"
"Ma.. che vuoi dire?"
"Davvero non te lo immagini?" Domandò retorico, accarezzandole il viso e guardandola con uno sguardo difficilmente fraintendibile.
"Ah, intendi.."
"Sì, intendo."
"Manca un complemento oggetto, Harry. Il verbo 'intendo' non può stare lì da solo come se prendesse il sole, sai?"
"Puoi smettere di pensare ai complementi oggetti solo per un secondo? Abbiamo qualcosa di più importante da fare."
 
 
La mattina dopo si erano alzati appena dopo mezzogiorno, ancora indecisi a causa del fuso orario e titubanti vista l'assenza di un programma predefinito; ci avevano messo circa un'ora prima di uscire dall'albergo, ed Harry l'aveva accompagnata a fare un po' di shopping. Aveva ovviato al problema economico della ragazza, giustificando ogni indumento o oggetto che le regalava con un "oh, fai finta che te l'abbia comprato per il Natale di tre anni fa" e così via; certo, come scusa non attaccava, ma sembrava così felice di poter fare quegli acquisti per lei che July non ebbe il coraggio di fare alcuna obbiezione.. neanche sceglieva, lasciava che fosse lui a considerare quale capo d'abbigliamento fosse adatto o meno. Si erano presi una pausa in uno Starbucks, dove avevano sorseggiato un caffè bollente ed avevano fatto un piano su come organizzare il resto della giornata. Avevano deciso di ritornare in albergo appena prima di cena, così da poter sfruttare nuovamente il servizio in camera prima di fare una doccia veloce e cambiarsi; lui aveva indossato una t-shirt con lo scollo a v ed una giacca, la collana ad aeroplano bene in vista ed i capelli arruffati come al solito - lei un semplice abitino sopra il ginocchio con uno scollo incrociato sulla schiena ed un paio di ballerine abbinate. Avevano poi chiamato un taxi, e si erano diretti verso il Radio City Music Hall con un piccolo e piacevole peso sul cuore; per tutto il giorno non avevano fatto altro che parlare, e raccontare, e chiacchierare, e ridere, e scherzare come se avessero di nuovo quindici anni. Quella giornata non sarebbe potuta essere migliore.
Quando furono davanti la venue osservarono la lunga fila di fans che aspettavano di poter entrare, emozionati ed euforici all'idea di poter vedere quel cantante che tanto amavano; Harry le fece cenno di seguirlo per non attirare troppo l'attenzione su di loro, e presero un'entrata laterale; due uomini li lasciarono entrare senza bisogno che mostrassero i loro biglietti e, così, si ritrovarono da soli in quell'immenso teatro completamente vuoto: sul palco dei tecnici si assicuravano che tutto fosse al proprio posto, ma le centinaia di posti a sedere in platea e nelle gallerie erano completamente deserti. Camminarono l'uno accanto all'altra, fin quando il ragazzo non si fermò e le indicò i posti che erano loro riservati in platea.
"Che ne pensi?"
"Mh, esiste sempre la prima fila." Asserì July alzando appena un sopracciglio, quasi infastidita dal fatto che fossero due file dietro quella migliore.
"Oh bhè, scusami ma.."
"Harry, stavo scherando." Scoppiò a ridere lei, stavolta. "Sono posti eccezionali, non potrei essere più contenta!"
Tirò un sospiro di sollievo. "Comunque, se vuoi, possiamo anche seguircelo dal backstage.." 
"No, assolutamente. Adesso ti prego, sediamoci.. credo che potrebbe venirmi un infarto."
"Non vuoi andare a salutare Ed?"
"Meglio lasciarlo in pace, no? Dovrà pur prepararsi.. aspettiamo, magari ci andiamo dopo!"
In poco più di dieci minuti, nel frattempo, tutte le file si riempirono di persone vocianti e forse più emozionate di loro: il sold out era davvero più che confermato e, da quello che si diceva, c'erano ancora persone fuori che speravano in un miracolo.
 
Quasi un'ora dopo, l'amore che July provava per quel cantante dai capelli rossi ed il sorriso più dolce del mondo era quasi triplicato; aveva cantato a squarciagola ogni canzone, aveva applaudito ed urlato il suo nome.. aveva pianto, riso, scattato foto e fatto tutto ciò che la rendeva una fan come le altre lì dentro. Harry l'aveva osservata con un piccolo sorriso, domndandosi quanto altro ancora ci fosse da scoprire in lei: la sua devastante normalità lo faceva sentire fuori dal suo asse, equilibrava la follia della sua vita dando un senso di calma e tranquillità che lo faceva sentire appagato. Perfino una cosa ormai normale come un concerto era una nuova scoperta, con lei; ne aveva visti altri di Ed ma mai era riuscito a viverlo con tanta intensità.. adesso capiva cosa provavano le sue fans durante i loro concerti, e si chiedeva come avesse fatto a dimenticarsene prima. In fondo era stato anche lui un ragazzo normale, no?
"Adesso, vorrei chiedervi un momento di silenzio.." La voce di Ed risuonò austera, senza che ci fosse alcuna melodia sotto. "..la prossima canzone è molto speciale per me, ma lo sarà ancora di più stasera." Sorrise, timido. "Voglio dedicarla a due persone che si sono appena ritrovate, che hanno superato gli ostacoli del tempo e della vita senza mai arrendersi. Perchè è questo che dovrebbe fare l'amore, sapete? Dovrebbe vincere su tutto. Ed io voglio ringraziarli per aver dato ad un inguaribile romantico come me ancora un po' di speranza; vi faccio i miei migliori auguri, con questa canzone e con tutto il mio cuore. Che possiate sempre farcela, Harry e July." Un silenzio ancora più glaciale calò tra i presenti che si ritrovavano spaesati, e confusi. Non ebbero tempo di scoppiare in un boato, perchè le prima note di Give me Love cominciarono ad assorbire il silenzio, con malinconia e disperazione.
I destinatari della canzone sorrisero nello stesso istante, lasciando da parte il fatto che nessuno sapesse della loro relazione; poi si baciarono, mentre Ed Sheeran cantava per loro, e di loro. Neanche se ne accorsero, ma questo era appena sceso dal palco ed aveva cominciato a camminare tra il pubblico mentre una luce dall'alto lo seguiva portando su di lui il centro dell'attenzione; quando si fermò davanti a loro due sorrise, tra i flash che si confondevano tra di loro. Si inchinò, indicandoli e lanciando loro un bacio; poi, sussurrò un "buona fortuna" tra il rossore del viso di July e la risata di Harry. 
Adesso, il mondo avebbe saputo di loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Flash. ***




“Ti-ti posso abbracciare?”
“Se puoi? Tu devi farlo, altrochè!”
“Non sapevo che foste così in confidenza!”
“Credo di essere stato uno dei primi a prenderla in braccio mentre era in ospedale, è normale che mi sia affezionato a lei.”

 “Credo di doverti ringraziare, allora..”
“Il fatto che siate venuti qui vale più di qualunque altro ringraziamento!”
“Oddio Harry, ma perché non puoi essere così carino anche tu?”
“Ah, le cose stanno così quindi?”
 
“Quando iniziate il tour?”
“Fine febbraio, da Londra.”
“Ci vediamo lì.”

 
 
 
“Sei pronta a tornare a casa?”
“Vorrei rimanere qui per sempre..” Rispose la ragazza, guardando quella fredda mattinata new yorkese attraverso la finestra della loro camera d’albergo.
“Facciamolo, allora! Perché dobbiamo andarcene?”
“Sei sempre il solito, Harry!” Rise appena. “Tu devi cominciare le prove per il tour, e le mie ferie finiscono domani; senza considerare, poi, che dobbiamo ancora sistemare casa: abbiamo lasciato fin troppi scatoloni in giro, e vorrei riuscire ad organizzare il tutto entro il fine settimana.”
“Mi piace quello che hai appena detto..” Asserì Harry, disteso comodamente sul letto con le braccia dietro la testa. “La cosa di sistemare casa, intendo: vuol dire che la situazione si sta facendo sempre più seria, mi dà l’impressione di avere una famiglia.”
July si immobilizzò, guardandolo con aria improvvisamente attenta. “I ragazzi sono la tua famiglia.” Rispose, seria.
Tu ed i ragazzi.. voi siete la mia famiglia.” Precisò, voltandosi su un fianco così da poterla guardare.
Lei, nel frattempo, stava al centro della stanza con aria indaffarata: cercava di fare i bagagli, maledicendo se stessa per aver comprato oggetti che non entravano nella valigia. Non aveva intenzione di lasciare nulla lì, e si stava seriamente mettendo d’impegno per incastrare al meglio possibile tutto ciò che avrebbero dovuto riportare a casa.. fortunatamente, la vecchia tecnica del buttare tutto dentro alla rinfusa sembrava funzionare nella migliore maniera possibile; prese una delle magliette con lo scollo a v di Harry, piegandola con attenzione – cosa che aveva fatto solamente con gli indumenti del ragazzo, per poi riporla con cura sopra le altre. “Adesso, direi che mancano solamente le cose del bagno!” Esclamò, vagamente soddisfatta di sé.
Si diresse verso quell’ultimo ambiente; poi, raccolse gli spazzolini e tutti gli altri oggetti sparpagliati sul piano in marmo, così da poterli sistemare all’interno del beauty case: chiuse con attenzione il tubetto del dentrificio, infilò nella confezione la crema che si era comprata il giorno prima da Macy’s e tolse i capelli che erano rimasti impigliati nelle setole della spazzola. Canticchiava sottovoce, con un’espressione serena sul volto che aveva ormai da qualche giorno: non sentiva la fretta, o la fatica; semplicemente cercava di organizzare le cose nel miglior modo possibile, senza neanche lamentarsi del fatto che dovesse occuparsi anche di Harry: in fondo le piaceva piacere prendersi quei piccoli istanti in cui poteva sfiorare i suoi indumenti, respirare il suo profumo o sentire il calore che aveva lasciato nel cappello di lana. Non se ne rendeva conto, ma erano piccole rassicurazioni che voleva dare a se stessa, per convincersi che si trattasse veramente del ragazzo in carne ed ossa; era una sensazione strana, ma prendersi cura di lui sembrava tutto ciò che voleva fare in quel momento.
“Se mi porto via le saponette si offendono, secondo te?” Domandò ad alta voce, mentre tornava nuovamente in prossimità del ragazzo con le mani occupate dagli oggetti che erano al centro della sua attenzione. “Fanno un profumo incredibile, credo che diano perfino assuefazione da quanto sono buone!” Esclamò, quasi in estasi.
Quando alzò lo sguardo, incrociò gli occhi verde smeraldo del ragazzo che celavano malamente una preoccupazione improvvisa.
“Non.. non pensavo fosse un’idea così brutta, se vuoi le vado a posare subito..” Balbettò July, senza capire cosa potesse essere successo in quel brevissimo lasso di tempo: quando si era allontanata aveva lasciato un Harry sorridente e sereno, che passava il tempo guardando il soffitto della camera, mentre adesso ce n’era uno che sembrava aver appena ricevuto la notizia peggiore della sua vita.
“Non è per le saponette..” Gettò rapidamente uno sguardo all’iPhone che ancora stringeva tra le mani e da cui, evidentemente, doveva essere scaturito il frutto di un malumore così insistente; lo passò alla ragazza, che non sapeva se essere più preoccupata o terrorizzata da quello che avrebbe potuto vedere.
Loro lo sanno. Non hai idea di quello che sta succedendo, Harry.. dovete tornare immediatamente a Londra, anticipate il volo di stanotte e prendetene uno il prima possibile: Paul e Preston vi verranno a prendere ad Heathrow, tentate di mettervi d’accordo con loro.’
La ragazza non capì, neanche quando lesse il destinatario e riconobbe il nome di Daphne; cosa poteva essere successo di così terribile da obbligarli a tornare prima a casa? Guardò Harry con sguardo interrogativo.
“Sanno di noi, July.” Spiegò; poi si alzò in piedi, dando una sommaria sistemata ai ricci che avevano preso la piega del cuscino, ed afferrò il telefono della camera componendo un numero di cinque cifre. Si rese conto che stava chiamando un taxi solamente quando pronunciò l’indirizzo dell’albergo con voce sottile ed asciutta: a quanto pareva, avevano al massimo dieci minuti per lasciare la stanza e, consecutivamente, New York. Non osò fare domande per non peggiorare ulteriormente la situazione, così si limitò a darsi una rapida occhiata intorno per essere ben certa di non aver dimenticato niente; poi indossò le Converse che aveva lasciato vicino l’armadio, e si infilò il cappottino appeso dietro la porta. Ebbe cura di chiudere valigia e borsone appena prima che un ragazzo bussasse alla loro porta offrendosi di portargli fino al piano terra; spense le luci gettando un ultimo sguardo nostalgico alla stanza che aveva amato profondamente per quei due giorni che vi aveva passato, e dovette affrettare il passo per raggiungere Harry che, pensieroso, stava già attraversando il corridoio per raggiungere l’ascensore. Nell’attesa che esso arrivasse, sfiorò con lo sguardo il volto del ragazzo che aveva assunto un’espressione concentrata: teneva il capo basso ed un paio di ricci gli ricadevano davanti agli occhi a causa del capello che ne modificava l’andamento; giocherellava nervosamente con il cellulare che si rigirava tra le mani senza sosta, e sbatteva impazientemente il piede a terra nell’attesa che quelle porte automatiche si aprissero davanti a loro.
La musichetta che riempiva il silenzio non aiutava certo a stemperare un po’ la tensione che si avvertiva, ed entrambi guardavano le piccole luci che si accendevano in prossimità del numero del piano raggiunto, trattendo appena il fiato quando finalmente il suono di fece più profondo, e si ritrovarono nella hall dell’albergo.
“Il taxi vi attende qui fuori.” Comunicò educatamente l’uomo alla reception, a cui era stato comunicato che il signor Styles aveva molta fretta.
“Sali in macchina.” Sentenziò deciso Harry, rivolgendosi a July. Questa non potè fare a meno di fare come le era stato detto, trattanendo con tutta la forza possibile la voglia di prenderlo a schiaffi in pubblico: non sopportava il fatto che non dovesse spiegarle cosa stesse accadendo, e che dovesse comportarsi in quel modo così autoritario; si sedette su uno dei sedili posteriori di quel taxi rispondendo con un semplice cenno al saluto che l’uomo alla guida le aveva fatto, e si ritrovò ad attendere che il ragazzo pagasse il conto dell’albergo così da poter prendere posto accanto a lei.  “All’aeroporto, il più in fretta possibile.” Disse allora lui, sbattendo la portiera con violenza mascherata da semplice fretta.
Se ne stavano seduti accanto, in un religioso silenzio che stava facendo esplodere i nervi della ragazza, mentre quella piccola macchina gialla tentava come poteva di districarsi nel folle quanto insano traffico americano: ogni minuto che perdevano a causa del traffico o di qualche semaforo sembrava divenire eterno e, quando il JFK apparve davanti ai loro occhi, non riuscirono a fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Harry diede una banconota al conducente del taxi senza neanche preoccuparsi di domandare il resto, e prese in prima persona i bagagli: teneva il borsone in spalla e trascinava la valigia come se non ne sentisse il peso, preoccupandosi unicamente di raggiungere in fretta l’imbarco; gli bastò gettare una rapida occhiata all’immenso tabellone luminoso delle partenze, per dirigersi con aria decisa fino al check-in stranamente vuoto.
“Abbiamo bisogno di raggiungere Londra, e dobbiamo partire immediatamente.”
“Il primo volo disponibile è stanotte..” Rispose l’hostess guardando il ragazzo e domandandosi dove l’avesse già visto.
“Ce n’è uno che parte tra dieci minuti, è scritto lì.”
“Come può vedere il terminal ed il check-in sono chiusi: i passeggeri sono a bordo, e tra un paio di minuti cominceranno le fasi di preparazione al decollo.”
“Sono certo che potrà fare un’eccezione.” Insistette il ragazzo, estraendo dalla tasca interna del giubbotto un passaporto, che porse alla donna; questa lesse il nome, e cominciò a digitare rapidamente sulla tastiera del computer che aveva davanti.
“Avete due posti prenotati per stanotte, ma..” Era indecisa, non sapeva se andare contro il regolamento oppure continuare a seguire la linea rigida che la compagnia adottava solitamente.
“Sono disposto a pagare tutti gli extra necessari, prelevate pure dal mio conto.” Aggiunse. “E’ una cosa davvero importante, non possiamo aspettare un’ora di più.”
La hostess dai capelli biondi legati in un alto chignon sembrò infine arrendersi davanti ad argomentazioni così solide, e prese il telefono di servizio bisbigliando qualcosa di incomprensibile ad i suoi colleghi che stavano al gate e che avevano appena terminato le procedure per l’accesso dei passeggeri. Quando mise giù la cornetta, guardò con aria seria i due ragazzi che aveva davanti.
“Gate 14B, al piano di sopra.” Comunicò. “Avete dieci minuti al massimo, fossi in voi comincerei a correre.”
Poi, fece cenno ad Harry di darle i bagagli, che avrebbe fatto in modo di far imbarcare nonostante spudoratamente in ritardo.
A quel punto, i due si voltarono e cominciarono a correre a perdifiato in mezzo alla folla, superando famiglie e scolaresche, uomini d’affari e viaggiatori solitari; tentavano disperatamente di evitare il contatto con le persone, scusandosi quando possibile: percorsero un immenso corridoio che sembrava destinato a non finire mai, fin quando non videro le scale con sopra le indicazioni per raggiungere il gate che era loro stato indicato. Rischiarono entrambi di cadere almeno tre volte, fin quando gli occhi di tre addetti all’imbarco non li distinsero in mezzo all’incredibile quantità di gente che riempiva la zona. Gli fecero un cenno con la mano, aprendo davanti a loro il cordone con cui avevano chiuso l’accesso appena pochi minuti prima, e li fecero passare senza aggiungere niente: una specie di passaggio sopraelevato li condusse direttamente all’interno dell’aereo, il cui portello di sicurezza era appena stato aperto per permettere loro di entrare. Le due hostess di bordo indicarono loro due posti liberi in prima classe ma non ebbero neanche il tempo di sedersi che subito il veivolo cominciò a muoversi, per dirigersi verso la pista di decollo.
 
“Stai zitto da ore, mi stai facendo impazzire!” Commentò esasperata July, nel momento in cui la voce del co-pilota annunciò a tutti i passeggeri che sarebbero atterrati ad Heathrow nel giro di una decina di minuti al massimo, con una temperatura di 4°C.
Avevano passato l’intero viaggio cercando di distrarsi in ogni modo: il ragazzo aveva tentato di guardare uno dei film che veniva loro proposti, aveva giocato con il telefono ed aveva ascoltato la musica senza riuscire a concentrarsi su una di queste attività per più di cinque minuti; July aveva fatto finta di dormire, per tentare di calmare il nervosismo di cui era ormai preda.
“Cosa dovrei dire?”
“Dovresti spiegarmi cos’è successo, perché ti giuro che l’unico ricordo messo decentemente a fuoco riguarda le mie adorate saponette!” Gli mise una mano sotto il mento, costringendolo a ruotare il capo così da poterlo guardare negli occhi.
“Non capisci, July?” Sospirò. “E’ successo quello che temevo: i giornali hanno fatto uscire in prima pagina la notizia della nostra relazione, ricamando sopra la nostra romantica fuga americana! Ieri sera Ed ha puntato l’attenzione su di noi, ma c’erano centinaia di persone presenti che non hanno perso tempo..” Sembrava disperato.
“Ma c’è bisogno di farne una tragedia?”
“Probabilmente ci avrebbero aspettati all’aeroporto, visto che le nostre fans riescono a scoprire perfino quante volte andiamo in bagno: a volte riescono ad essere spaventose, credimi.”
July abbassò appena lo sguardo.
“Sembri impaurito, Harry.”
“Lo sono!” Esclamò. “Hai idea della piega che prenderanno adesso le cose?”
“Avremo gli occhi puntati addosso per un po’!”
“Fosse solo questo, lo potrei sopportare..” Fece una pausa. “Sai come mi dipingono i giornali, vero?”
“Come un puttaniere senza cuore che pensa unicamente a farsi qualunque cosa respiri e gli passi davanti?”
Aggrottò le sopracciglia. “Non avrei saputo dirlo in un modo migliore!”
“Dono della sintesi, quello che tu non hai..” Convenne.
“Comunque sia.. le cose si complicheranno: tutti diventano ossessivi ogni volta che ho una relazione.. per te sarà una tortura, la curiosità verso di te diventerà morbosa, così come l’odio di tutte quelle ragazze nei tuoi confronti.” Si grattò il capo. “Tu non sai cos’è successo quando Niall si è messo con Daphne, è stato l’inferno!” Ricordò, lugubre. “Non voglio che la storia si ripeta: tu non hai niente a che fare con questo mondo, con questi scandali, con questi giochi di potere.”
“Ma ho a che fare con te..”
“Pensavo che sarei riuscito a mantenere segreta la nostra relazione.”
“Per cosa?” Sbottò July d’improvviso. “Per lasciare che i giornali continuassero ad immaginare per te storie di una notte con ogni singola ragazza che saluti quando vai in un locale? Perché la tua fama negativa prendesse ancora più consistenza?”
“Per proteggerti da tutto questo.”
“E’ finito il tempo di proteggermi.” Asserì.
Lui scosse il capo.
Lei gli tese la mano.
“Affronteremo tutto questo, insieme.” Si addolcì, tentando di convincerlo. “Non possiamo cambiare ciò che è successo, possiamo solo tentare di gestire le cose nel miglior modo possibile: mi odieranno? Non importa, mi basterà il tuo amore. Parleranno male di me? Non mi è mai importato il giudizio di persone che non conosco. Tenteranno di farci lasciare? Sono sicura di ciò che provo per te, non basterebbero tutti i gossip di questo mondo.” Spiegò. “Adesso ti prego, smetti di preoccuparti e promettimi solo che affronterai tutto questo con me.”
Harry le prese la mano.
“Ho sempre saputo che non sarebbe stato facile essere la tua ragazza, ma ho accettato la scommessa e sono pronta a correre il rischio; chi se ne importa se il mondo sa di noi? Cosa ce ne importa del mondo, in fondo?” Concluse lei, guardandolo.
Si sorrisero, proprio nel momento in cui l’aereo li sballottolò in qua e in là a causa del contatto con l’asfalto della pista.
 
“Sei pronta?” Domandò Harry guardandola, appena prima che le porte scorrevoli si aprissero davanti a loro: una volta superate quelle, sarebbero state in mezzo a coloro che aspettavano i passeggeri appena scesi dall’aereo.
“Sì.” Sussurrò lei.
Si diedero la mano, nel momento in cui il vetro opaco davanti a loro scomparve e cominciarono ad udirsi delle piccola urla isteriche: era evidente che non era stato sufficiente cambiare all’ultimo minuto l’orario della partenza, perché le fans avevano scoperto perfino quel particolare ed ora affollavano l’uscita dell’aeroporto. Qualcuno urlò il nome del ragazzo, mentre qualcun altro cercava di raggiungerlo o chiedeva un autografo; intanto, i flash dei telefoni e delle macchine fotografiche rendevano quasi impossibile il mantenimento della calma. L’unica preoccupazione di Harry era quella che potesse accadere qualcosa a July, così le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé così da potersi aprire insieme un varco tra quella piccola folla; improvvisamente, Preston e Paul apparverò come un miraggio facendosi largo tra quelle ragazzine alte quasi la metà di loro, e subito si misero al fianco di quei due facendo allontanare chiunque tentasse di avvicinarsi un po’ troppo. July teneva gli occhi quasi chiusi, confusa e spaventata come poche volte era stata nella sua vita, rivivendo inconsciamente l’incubo della sera prima del coma, quella in cui era finita a terra praticamente schiacciata dalle fans di Harry; stavolta, però, sentiva il calore del petto del ragazzo che faceva ben attenzione a non lasciarla andare, e si sentiva confortata.
Quando uscirono, la fredda aria di Londra li colpì in pieno viso, creando uno sbalzo di temperatura non indifferente. Vennero loro indicate due macchine che stavano evidentemente aspettando loro: una l’avrebbe guidata Paul, mentre al volante dell’altra c’era Louis che si nascondeva dagli sguardi altrui rannicchiandosi su se stesso e coprendosi con il cappuccio della felpa.
“Forse sarebbe meglio che vi divideste..” Azzardò Preston.
“No.” Sillabò Harry, prendendo la mano di July e salendo sulla macchina in cui li aspettava l’altro ragazzo; questo, poi, mise in moto e si allontanò dal parcheggio prima che quel gruppo di ragazzine riuscisse a raggiungerli.
“Ci mancherebbe solo una bella sparatoria, e poi mi sentirei in un film.” Esordì Louis, sgommando.
I ragazzi seduti sul sedile posteriore avevano appena ricominciato a prendere fiato, prima di scoppiare a ridere in modo quasi isterico.
In fondo, era bello essere tornati a casa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Autodistruzione. ***




Il telefono squillava, incessantemente, da ore. Lei lo guardava senza avere il coraggio di rispondere, fissandolo con lo sguardo di chi avrebbe preferito scappare via piuttosto che affrontare ciò che stava per accadere; portava nel cuore un peso insostenibile, un brutto presentimento che aveva preso la consistenza di un macigno e le impediva quasi di respirare.
Aveva udito il primo squillo proprio mentre rifaceva il letto, e si era immobilizzata: sapeva che rispondere avrebbe voluto dire venire a conoscenza di qualcosa che avrebbe potuto cambiare la sua vita; era come se stesse vivendo quel lasso di tempo perfettamente consapevole di ciò che sarebbe accaduto in futuro ma, invece di trarre forza da ciò, si ostinasse ad esserne vittima. Se ne stava così, adesso, seduta sul bordo del letto dove la notte prima aveva dormito con Harry: aveva le mani raccolte in grembo, indossava le scarpe rosse della sera dell’incidente, e non riusciva a vedere altro se non la luce ad intermittenza del display dell’iPhone, poggiato proprio lì accanto a lei. C’era un numero anonimo, assolutamente deciso a rimanere fin quando non avesse ottenuto una risposta, e le labbra di July tremevano appena; avvertiva una specie di lungo fischio dentro la sua testa, che ovattava i rumori provenienti dall’esterno per calarla in una dimensione di quasi estraniamento dal mondo.. se non fosse stato per quella maledetta suoneria, che non riusciva più a sopportare.
Prese in mano il telefono, cliccando con il pollice su ‘rispondi’; poi, lo avvicinò abbastanza all’orecchio per poter udire una voce  dirle “tu sei pazza, sei completamente fuori di testa”. Chiuse immediatamente, scaraventandolo a terra; una parte di lei sapeva che quello sconosciuto aveva ragione, che ciò che aveva fatto ad Harry l’avrebbe probabilmente fatta bruciare all’inferno per il resto dell’eternità – l’altra, cercava di convincersi che nulla fosse davvero accaduto, e che fosse la sua mente a produrre ricordi in realtà inesistenti.
“July.” Sì udì chiamare; si voltò, di scatto, chiedendosi come quell’uomo fosse entrato in quella camera.
“Chi sei?”
“Ma.. non mi riconosci?” Domandò quello. “Sono Zayn.”
Lei lo guardò, alzandosi in piedi ed indietreggiando appena. “No, io non ti riconosco.. non so chi sei.. io..”
Rise. “Pensavo che i tuoi black out fossero finiti, ma a quanto pare perdi ancora la memoria come quando sei uscita dal coma.”
“Io ricordo tutto, io non..”
“E allora dimmi, che ci fai nel mio appartamento?”
“Io sono nella casa in cui convivo con Harry, non sono nel tuo appartamento!”
“Guardati intorno, J.”
Si voltò, e le pareti non erano bianche come quelle che conosceva; il letto aveva sopra una coperta troppo scura, le finestre erano disposte nella maniera diversa, e perfino la forma della stanza era sbagliata.
Si portò le mani sulla testa, confusa. “Io non capisco.”
“Cosa ci fai qui, July?”
“Io.. non.. non lo so..”
“Dov’è Harry?”
Sgranò gli occhi, spaesata. “Harry.. Harry..” Ripetè, confusa.
Sentiva di essere completamente impazzita: non sapeva dove fosse, non riconosceva la persona con cui stava parlando, non aveva ricordi di ciò che era successo fino a quel momento. Non si sentiva in quel modo da settimane ormai, ed aveva creduto che non avrebbe mai più provato una sensazione come quella.
“Che cosa gli hai fatto?”
La ragazza si sedette sul pavimento, rannicchiandosi su se stessa: cominciò a dondolare avanti e indietro, gli occhi gonfi e colmi di lacrime che non trovavano la forza per sgorgare e rigarle il volto, le mani tremanti e la testa talmente leggera da sembrarle quasi vuota. Quelle parole le risuonavano nella mente in continuazione, e niente riusciva a distrarla da ciò che aveva appena saputo: cominciò a mangiucchiarsi le unghia istericamente, fin quando non affiorò il sangue. Si mise, poi, le mani tra i capelli e cominciò a tirarseli senza neanche rendersene conto: in pochi istanti, ciocche e ciocche di capelli se ne stavano impigliate tra le dita affusolate della ragazza. “Harry..” Sussurrava, gli occhi vitrei puntati verso un punto indefinito del pavimento. “Harry..” Implorava. “Harry..” Le venne in mente il sorriso del ragazzo, con quelle due piccole fossette ai lati della bocca; ripensò a quegli occhi verdi che l’avevano guardata perfino mentre dormiva, ed a quei capelli ricci. Udì la sua voce, in qualche anfratto lontano della sua mente; “Harry..” Urlò.
Si alzò in piedi, e puntò dritto verso la porta; cominciò a correre, senza guardarsi intorno o sapere dove andare. Aveva le dita sanguinanti con i capelli scuri ancora aggrovigliati ad esse, occhi completamente offuscati e quelle scarpe rosse che avanzavano verso un posto che non conosceva; non udiva rumori, non vedeva nessuno intorno a lei, non distingueva alcun essere umano.. sentiva solo quel bisogno di scappare, di fuggire via da quello che era appena successo. Portava dentro di sé un dolore che non avrebbe mai imparato a gesire, e sapeva che non vi era modo di riuscire a scappare da esso.
Le parve di vedere i campi intorno ad Holmes Chapel, e si chiese se la sua mente non stesse tentando di tranquillizzarla creando intorno a lei una dimensione familiare illusoria; era una cosa che succedeva spesso, prima.. un attimo era in ospedale, e quello dopo se ne stava seduta sul tetto di quella vecchia fabbrica in cui aveva trascorso i momenti più belli della sua vita.
“No, io voglio essere qui, ora.” Urlò al vento, contro se stessa.
All’improvviso inciampò, e cadde a terra, senza avere il tempo di attutire il colpo con le braccia: vide i capelli sfiorare l’asfalto un attimo prima dell’impatto, e poi sentì un intenso dolore appena sopra l’orecchio. Avvertì un sapore metallico in bocca, ed una scia di calore lungo la guancia causato dal sangue che aveva comiciato a strisciarle sulle labbra per poi diffondersi lungo metà del viso; non riusciva a muovere nessuna parte del corpo, e sbatteva unicamente le palpebre abbastanza da capire di essere distesa con il volto piegato su di un lato.
Era così, dunque, che sarebbe finita? Stava morendo, in quel buffo quanto poco originale modo?
Avrebbe riso, se avesse potuto: quanto poteva essere ironico il destino, a volte? Era sfuggita a quella strana sorte già una volte, ma si sa: la morte non perdona e pretende di avere ciò che gli spetta. Sì, avrebbe davvero riso tantissimo se non avesse avuto la bocca piena di sangue e la mandibola fratturata: si sarebbe piegata in due dalle risate, avrebbe fatto i complimenti alla vita per essere stata così fantasiosa e macabra, e poi le avrebbe stretto la mano. Avrebbe fatto un inchino, se si fosse potuta alzare in piedi: si sarebbe presa i suoi applausi ed avrebbe guardato le persone piangere al suo funerale, così come avrebbe dovuto essere già mesi prima.
Non era arrabbiata, o preoccupata: era così tanto divertita da ciò che era appena accaduto che non prese affatto in considerazione l’idea che morire non sarebbe stata una bella cosa cosa.. questo, fin quando ancora una volta gli occhi di Harry non si intromisero. A quel punto, sentì il sangue soffocarla. Sarebbe morta così, senza aver rivisto per l’ultima volta quel ragazzo? Sarebbe morta senza un lamento, un grido, un pianto? Sarebbe morta con un sorriso ad incresparle le labbra scarlatte?
Nessuno l’avrebbe salvata, quella volta.
 

D’improvviso, avvertì del calore sul volto; aprì gli occhi sbattendo un paio di volte le palpebre, per poi soffermarsi ad osservare i piccoli granelli di polvere fluttuanti che si potevano intravedere osservando quel tenue raggio di sole. La stanza era avvolta in un silenzio quasi religioso, ed una sensazione di calma ed assoluta pace pregnava l’ambiente.
July era confusa, e spaventata. Con l’indice della mano destra si sfiorò l’angolo della bocca ma, con sua immensa sorpresa, non trovò neanche il più piccolo rivolo di sangue; si guardò le dita, e le unghie erano ancora della perfetta forma a mandorla, con uno strato di smalto nero sopra. La testa le faceva male, sì, ma era un fastidio che avvertiva ogni mattina dopo essersi svegliata da un sonno profondo: non era un dolore acuto o una sofferenza insopportabile; i capelli, poi, sembravano essere tutti al loro posto – cosa che constatò sfiorandosi appena la chioma corvina.
Si voltò su un fianco, ancora confusa, ed un impeto di violenta gioia le riempì il cuore quando si accorse che Harry era disteso lì accanto a lei e la guardava silenziosamente; il ragazzo allungò una mano verso di lei, e raccolse delicatamente una lacrima che stava per scivolarle dalle ciglia.
“Che cosa hai sognato, July?” Domandò, con un tono di voce piuttosto rauco.
“I-io.. niente.. non.. non ti devi preoccupare..”
“E’ per questo che urli il mio nome da almeno venti minuti? E che piangi, in preda alla disperazione?”
“Cosa? Oh mio Dio, io..” Adesso, finalmente, capiva: era stato tutto un terribile incubo che l’aveva tenuta prigioniera per gran parte della mattina; si trovava in quello stato di semi coscienza in cui le risultava ancora difficile distinguere il sogno dalla realtà, ma stava facendo appello a tutto il suo autocontrollo per mettere a posto i suoi ricordi.
“Ero spaventatissimo, non sapevo cosa fare..” Confessò il ragazzo, che era stato svegliato proprio dalla voce di July che chiamava il suo nome; l’aveva osservata muoversi e piangere, chiedendosi se dovesse svegliarla o lasciarla dormire.
Lei si avvicinò un po’, prendendogli il volto tra le mani.
“Va tutto bene, stai tranquillo.” Lo rassicurò. “E’ solo che l’inizio del tour è sempre più vicino, ed io sono preoccupata che possa succedere qualcosa.” Almeno, giustificava in quel modo la spaventosa serie di incubi ricorrenti che le faceva avere paura di addormentarsi, ogni singola notte. Odiava il fatto che ogni volta dovesse figurarsi atroci destini per Harry, o una morte in sofferenza e solitudine per se stessa.
Harry mise le mani sopra le sue, socchiudendo appena gli occhi. “Non sarà facile, ma vedrai che andrà tutto bene..” Sorrise. “E poi se vuoi puoi venire con noi, Daphne l’anno scorso l’ha fatto; perfino Perrie ed Eleanor a volte si uniscono a noi per qualche giorno.”
July scosse il capo. “Devo lavorare, ricordi?”
“Non ne hai bisogno.”
“Avevamo fatto un patto: non voglio dover dipendere da nessuno, voglio illudermi di essere in grado di mantenermi da sola.” Spiegò. “E poi non voglio fare troppo affidamento su di te; devo portare avanti la mia vita: se un giorno dovessimo lasciarci di nuovo, non vorrei dovermi ritrovare senza un lavoro, senza un futuro, senza un presente.”
“Non ci lasceremo.”
“Non dirlo, non credo a queste promesse.” Sussurrò. “Non sempre l’andare delle cose dipende da noi, e lo sai..”
“Te l’ho già detto che farò di tutto perché funzioni, vero?”
“Mille volte, ma è sempre bello sentirtelo ripetere.”
Risero.
“Che farai mentre non ci sarò?” Domandò.
“Devo ancora pensarci, ma suppongo che mi divertirò come una pazza..”
“Tipo?”
“L’idea di mangiare gelato guardando quella tv grande quanto lo schermo di un cinema mi ispira incredibilmente!”
“Ma starò via per mesi!”
“Dovrò farmi la tessera per affittare i dvd, allora..”
Harry scosse il capo, divertito.
“Mesi..” Ripetè July, voltandosi e fissando il soffitto.
“Mesi.” Confermò il ragazzo.
“E se non dovessimo resistere tutto questo tempo?”
“Abbiamo resistito molto di più..”
“Sì, ma.. se tu dovessi innamorarti di un’altra?”
“July, questo non succederà mai. A volte credo che io sia in grado di amare solo te, e sono sicuro che non mi convincerò del contrario girando il mondo per un tour.”
“Ami me, perché fino ad ora non hai trovato nessun altro compatibile. Ma nel mondo esisteranno sicuramente altre mille ragazze con questa dote, e potresti anche incontrarle.”
“Se così fosse, mi assicurerò di dire che ho già qualcuno che mi aspetta a casa.”
“Non ti perdonerei mai se mi tradissi, non più.”
“Non ho intenzione di farlo.”
July sospirò.
Harry le accarezzò la guancia.
“Promettimi che ogni volta che ti sentirai sola ascolterai ‘back for you’.”
“Prometto.”
“Promettimi che ogni volta che non ce la farai, me lo dirai.”
“Prometto.”
“Promettimi che aspetterai ogni notte la mia chiamata.”
“Prometto.”
“Promettimi che quando ne sentirai il bisogno, mi chiederai di comprarti un biglietto aereo per raggiungermi.”
“Io..”
“Promettimelo, July.”
“Prometto.”
“Promettimi che mi amerai per sempre, ti prego.”
“Te lo giuro, sulla mia vita.”

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Prospettive. ***



 
Camminava per Hyde Park - al collo il ciondolo a forma di aeroplano che era appartenuto ad Harry fin quando lui stesso non aveva deciso di regalarglielo, e nelle orecchie le piccole cuffiette bianche che portava sempre con sè arrotolate nella tasca destra del giubbotto. Lì intorno la vita sembrava scorrere veloce, tra adolescenti in equilibrio sui loro skate e donne in carriera alle prese con un jogging pomeridiano ritagliato tra i tanti impegni quotidiani; decine di sconosciuti si susseguivano al suo fianco, scompigliandole un po’ i capelli con il loro passeggio e l’anima con i loro volti silenziosi. Aveva ancora quello strano vizio di fantasticare su coloro che non conosceva, per donare a quelle persone vite alternative che avrebbe voluto vedergli vivere anche se, da qualche tempo, nella sua mente, il confine tra sogno e realtà era diventato talmente sottile da essere praticamente invisibile. Qualcuno alzava lo sguardo su di lei, che si muoveva quasi a ritmo delle note che ascoltava, forse troppo lente per la frenesia di una città come quella in cui si trovava, dove perfino i momenti di svago viaggiavano su una lunghezza d’onda quasi eccessiva; nessuno poteva immaginare chi fosse, perché aveva mutato le sue fattezze in quelle di una persona felice, che non aveva bisogno di rifugiarsi nell’irreale per increspare le proprie labbra in un sorriso.
Era andata lì per un motivo ben preciso: era tornata a trovare Peter, ultimamente lo faceva con una certa frequenza; si era seduta di fronte a quella statua ed aveva parlato con lui, quasi come fosse un vecchio amico. Ricordava ancora la prima volta che era stata lì, un paio di anni prima: si era appena trasferita a Londra e non era neanche andata a fare la spesa, che subito aveva voluto sfiorare la pelle bronzea di quell’eterno bambino. Aveva pianto, quando finalmente ce l’aveva fatta; aveva pianto perché la promessa che le era stata fatta si era distrutta in pochi istanti: era lì da sola, con un cellulare muto tra le mani e neanche una speranza a scaldarle il cuore.. sapeva che se fosse stato un film, si sarebbe voltata ed Harry sarebbe improvvisamente comparso al suo fianco, ma si dava il caso che quella fosse la vita reale ed i miracoli non esistessero. Quella volta, tornare a casa era stata una sofferenza fisica forse troppo grande per lei, ed aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai più messo piede in quel piccolo piazzale ordinato e tenuto pulito dalle foglie. Poi, era stato davvero Harry a portarcela, tempo dopo.
Adesso, lei era di nuovo sola nella capitale ed era voluta tornare indietro alle origini; l’aveva ringraziato, e gli aveva raccontato di quanto fosse stata difficile quella settimana lontana dal ragazzo: il tour era cominciato, ed aveva momentaneamente portato i ragazzi in Irlanda.. July aveva continuato a lavorare, tornando a casa la sera tardi per poi far compagnia a Daphne che, suo malgrado, era nella stessa situazione; avevano l’un l’altra, e questa era l’unica cosa che le faceva sorridere ancora un po’. Lei, comunque, non si era ancora abitiuata alla nuova situazione, ragion per cui le risultava difficile credere che Harry sarebbe davvero tornato da lei: faceva il conto alla rovescia, ed ogni sera prima di chiudere gli occhi si ripeteva che quella tortura avrebbe trovato sollievo a breve; il telefono squillava, e dall’altra parte sentiva la sua voce che la tranquillizzava abbastanza per farla cadere in uno stato di sonno senza incubi, né sogni. Stavano ore a parlare, a raccontarsi ogni dettaglio di tutto quello che avevano fatto, illudendosi forse che in quel modo si sarebbero sentiti più vicini; certo, non era un granchè, ma di certo era un piccolo sollievo a tutte le ore di silenziosa assenza che li separavano.
Raggiunse l’uscita del parco senza neanche rendersene conto, e scese le scale della metropolitana a due a due fino a raggiungere il treno che stava praticamente per partire; vi salì all’ultimo secondo, prendendo posto subito alla sua destra in attesa di arrivare in fretta a destinazione. Controllò in fretta l’orologio, dando un’occhiata al percorso che avrebbe dovuto compiere nonostante lo sapesse pressochè a memoria, ed inviò un breve sms a Daphne; quando finalmente arrivò davanti casa, si innervosì un po’ per non essere riuscita a trovare la chiave giusta al primo colpo, così gettò a terra la borsa e corse verso la camera da letto. Si rese immediatamente conto che qualcuno era stato lì e, notando i bagagli ai piedi del letto, si rese conto che Harry era tornato. Chiamò il suo nome un paio di volte ma, non ricevendo risposta, arrivò alla conclusione che dovesse essere uscito e si maledisse per non essere riuscita a rientrare in tempo: dopo più o meno una settimana che non si vedevano, non riusciva a credere di essere stata così stupida da perdere tempo in giro per la città. Sospirò, togliendosi il giubbotto e poggiandolo sopra il letto: adesso doveva solamente pensare a prepararsi, visto che la sua migliore amica la sarebbe passata a prendere nel giro di un’ora; si fece una doccia rapida, indossò un paio di jeans scuri, una canottiera bianca con sopra una felpa aperta azzurra e le blazer alte. Perse diverso tempo per pettinarsi i capelli, ritenendolo un rituale piuttosto calmante, e si impose di mantenere una calma che al momento davvero non aveva.. 
Il campanello suonò appena dieci minuti dopo, facendola sobbalzare; si diresse verso la porta con passo rapido, sorridendo alla vista di Daphne che sembrava emozionata almeno quanto lei. Si salutarono con un semplice abbraccio, prima che la padrona di casa avesse il tempo di raccogliere un paio di cose e di seguirla fino alla macchina.
“Hai incontrato Harry?” Domandò, proprio mentre l’altra chiudeva la portiera dell’auto.
“Credo di averlo mancato per meno di dieci minuti..” Sospirò.
“Meglio così, vorrà dire che stasera per te sarà una doppia emozione.” Asserì, mettendo finalmente in moto.
 
Si rigirò un paio di volte tra le mani quel piccolo laminato appeso ad un cordoncino che le girava intorno al collo, chiedendosi se davvero stesse leggendo bene ciò che c’era scritto: “Styles.” Si voltò verso Daphne, e gettò una rapida occhiata a quello che aveva lei al collo: “Horan”; era forse un sogno avere quei pass per il backstage che le identificavano come parte della famiglia dei ragazzi?
Erano in prima fila, alle spalle migliaia di fans che cantavano ed urlavano scoordinatamente in attesa dell’inizio del concerto: la O2 Arena era piena fino all’ultimo posto, e l’atmosfera che si respirava lì dentro era a dir poco incredibile. Qualcuna già piangeva, altre se ne stavano sedute ed in silenzio come se non si rendessero conto di dove fossero ed altre ancora tentavano di fare di tutto per avanzare anche se la security sembrava molto attenta a ciò che accadeva. In mezzo a tutto questo c’erano loro due che non sapevano bene come comportarsi, che avevano quel ruolo da privilegiate ma si sentivano in ansia come fossero una qualunque di quelle ragazze; guardandosi intorno, July riconobbe il volto di Eleanor seduta una decina di sedie più in là rispetto a loro accanto ad un’amica che non aveva mai visto prima. Si diceva che sarebbero arrivate anche Perrie e Danielle, e certamente sarebbe stato strano se fossero state tutte lì, contemporaneamente.
“E quello che sarebbe?” Domandò ad un certo punto, attirando l’attenzione di Daphne con una leggera gomitata; le indicò un cartellone rosso (uno dei tanti) con sopra scritto ‘im mrs. Styles’, ed assunse un’espressione piuttosto alterata. 
“Oh, credo che dovrai abituarti..” Le rispose, ma prima che potesse finire la frase vide già la piccola ed innocente July White dirigersi con passo di marcia verso quella sfortunata spasimante del ragazzo dai capelli ricci; fortunatamente riuscì ad intercettarla in tempo, sollevandola quasi da terra. “Non puoi picchiare tutte quelle che urleranno ‘ti amo’ al tuo ragazzo, July.”
“Loro urlano che cosa?”
Daphne scoppiò a ridere, prendendola per mano e riconducendola verso i loro posti. “Fai finta di non sentirle, okay? So che vorresti prenderle a pugni, ma ricordati che Harry adesso è una delle celebrità più famose del mondo, ed ha quasi 13 milioni di ragazze che farebbero carte false anche solo per abbracciarlo.”
“Era già difficile dover combattere contro quelle quattro ragazzette di Holmes Chapel – ed intendo dire che in quel periodo Harry girava con scarpe improponibili e sciarpe piuttosto dubbie, oltre che con cravatte annodate attorno alla testa; non oso immaginare come sarà adesso.. credo che dovrò comprarmi un carro armato, o qualcosa del genere.” Alzò gli occhi al cielo.
Poi le luci si abbassarono.
 
Quando i ragazzi erano finalmente saliti sul palco, la folla era esplosa in un assordante ed isterico boato che si era diffuso in ogni angolo dell’arena; loro si erano alzate in piedi, ma neanche un filo di voce era uscito dalle loro labbra.. si erano strette forte la mano fin quando le nocche non erano diventate bianche, e gli occhi di entrambe si erano riempiti di lacrime. 
Da una parte c'era July, che non aveva mai vissuto un'esperienza come quella in prima persona e capiva quanto fosse diverso vedere il concerto dal backstage piuttosto che dalla platea: si domandava perchè sentisse quella strana sensazione di vuoto proprio all'altezza del cuore, considerando che dormiva con Harry ormai ogni notte; dall'altra c'era Daphne, che stava immobile con le labbra appena dischiuse e gli occhi fissi sul palco: ricordava quando non era stata altro che una semplice fan, poteva ancora sentire il sapore delle lacrime che le avevano solcato il volto quando era inaspettatamente riuscita a prendere i biglietti per il concerto che le avrebbe poi cambiato la vita. L'una strinse forte il piccolo ciondolo a forma di aeroplano, l'altra si portò una mano al cuore.
Adesso che lo show andava avanti da qualche decina di minuti, si erano rilassate ed avevano cominciato a sentirsi un po' più a loro agio: saltavano e cantavano a più non posso, ridevano per quello che quei cinque facevano sul palco e non perdevano occasione di scattare foto con qualunque apparecchio avessero a portata di mano. Chi le aveva riconosciute, le guardava con aria piuttosto sorpresa: nessuna delle altre fidanzate si comportava così, e questo le faceva sentire un po’ meno distanti dai ragazzi stessi. 
Improvvisamente, July sgranò gli occhi, immobilizzandosi: riconobbe delle note, un attacco, un giro che forse conosceva fin troppo bene; fu la voce di Liam la prima a cominciare, ma l’attenzione di tutti i presenti fu calamitata da Harry che, inaspettatamente, scese dal palco con un salto non indifferente e raggiunse proprio la ragazza dai lunghi capelli scuri. In quel momento, lei perse completamente la cognizione di se stessa e dimenticò dove si trovava, o cosa stesse accadendo: quegli occhi verdi erano di fronte ai suoi, e quella voce stava cantando solo e solamente per lei.
Lui le sfiorò la guancia destra, lei sussultò.
Lui le sorrise, lei abbassò il capo.
Lui le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, lei si coprì il volto.
Lui le diede un bacio sul capo, lei scoppiò a piangere.
"Tornerò sempre da te, e per te." Le sussurrò all'orecchio, prima di tornare sul palco.
 
Quando il concerto finì, due uomini della sicurezza si avvicinarono, conducendole poi nel backstage dove i ragazzi le stavano aspettando: erano tutti seduti, con in mano delle bottigliette d'acqua e gli auricolari che ricadevano loro sulle scapole. Nei loro volti si poteva leggere la stanchezza, ma anche l'eccitazione di aver condotto l'ennesimo show in cui si erano divertiti ed avevano fatto ciò che più amavano al mondo. Daphne e July si sedettero accanto ai rispettivi ragazzi: la prima poggiò la testa sulla spalla di Niall socchiudendo appena gli occhi, mentre l'altra si dilettò nel sistemare un po' i capelli di Harry che avevano vagamente perso la loro forma originaria per aggrovigliarsi in un modo piuttosto strano. 
Dopo qualche minuto, arrivò Paul con la solita aria impegnata. "L'uscita sul retro è piuttosto libera: Preston e gli altri stanno facendo in modo di crearvi un passaggio piuttosto sicuro tra le fans che si sono appostate fuori dai cancelli.." Spiegò. "Possiamo andare." Concluse.
Quasi contemporaneamente, i ragazzi si alzarono ed indossarono i giubbotti che erano loro stati portati da Lou; lo staff sarebbe rimasto per raccogliere i vari cambi e sistemare l'attrezzatura, ma adesso la cosa fondamentale era far uscire i cantanti e successivamente la band.
Si incamminarono insieme verso l'uscita verso cui erano scortati dal capo della sicurezza.
"Harry!" Chiamò Niall, voltandosi verso il ragazzo dai capelli ricci. Poi, gli lanciò un oggetto non meglio identificato che l'altro afferrò con la mano sinistra; Harry, a quel punto, prese la mano di July e cominciò a correre a perdifiato trascinandosi dietro la povera sventurata che non capiva cosa diamine stesse accadendo.  Attraversarono il parcheggio tra le urla delle fans che li avevano visti, illuminati dai lampioni che proiettavano sulla strada coni di luce biancastra; raggiunsero una Range Rover nera, ed il ragazzo le fece segno di salire.
"Mi spieghi che ti prende?!" Domandò July non appena si sedette sul sedile anteriore beige, cercando disperatamente di riprendere fiato dopo l'estenuante corsa. "Stavi per farmi venire un infarto: non si fa così, avresti anche potuto avvisarmi!"
"Non lamentarti, non sei una a cui piace la suspance?"
"Oh certo, quando guardo un film ed è qualcun altro che deve correre!"
"Non sarai mica stanca, vero?"
"Certo che lo sono, non faccio duecento ore di tapis roulant come te.."
"Preferisci ingozzarti di cioccolato?"
"Sono domande da fare?"
Harry rise, prima di infilare la chiave e mettere in moto la macchina. "Mi sei mancata."
July si zittì, e dovette cedere. "Anche tu." Si mise la cintura, così da poter distogliere lo sguardo da lui e mantenere ancora quel po' di arrabbiatura che le era rimasto.
Passarono accanto ai ragazzi, e July si accorse che Niall e Daphne stavano salendo sulla macchina di Louis; in quel momento, si rese conto che si trovavano proprio sulla Range Rover dell'irlandese, e capì che poco prima questo aveva lanciato ad Harry proprio le chiavi.
"Perchè non hai preso la tua?" 
"Niall l'ha comprata da poco, ed è più facile passare inosservati con questa piuttosto che con una delle mie.."
July annuì, accendendo la radio ma abbassando il volume.
"Dove stiamo andando?"
"Shh, non fare domande.. ricordi? Devi lasciarti andare."
 
Dopo aver lasciato la macchina in un parcheggio notturno, quei due cominciarono a passeggiare mano nella mano per il centro della città: era strano, ma sembrava non ci fosse nessuno in giro quella notte. Non parlavano, perchè quel semplice contatto fisico raccontava più di quanto avrebbero potuto dire a parole.. il vento freddo sferzava i loro volti, mentre Londra era illuminata di una bellezza assolutamente fuori dal comune. July non amava molto uscire la sera, soprattutto considerando il fatto che spesso passava a lavoro quasi tutto il giorno, ed aveva solamente voglia di riposarsi; quando era con Harry, invece, si sentiva in grado di fare tutto.. diventava instancabile, insaziabile, quasi imprendibile. Non aveva mai pensato che quella città fosse così bella come faceva nei momenti in cui erano insieme: lui rendeva qualunque cosa migliore, faceva apparire il mondo un po' meno cattivo e le giornate un po' meno faticose. 
Canticchiava sottovoce, i capelli ricci imprigionati nel solito cappello di lana e quelle leggere fossette che comparivano a tratti ai lati della sua bocca: sembrava bello più che mai, così terribilmente umano da far domandare a July se non fosse tutto un sogno. Le stringeva la mano come se avesse paura che potesse fuggir via, ma aveva un'espressione serena sul volto; si spostò i capelli dalla fronte, passandosi rapidamente la lingua sulle labbra e poi si fermò. In quel momento July alzò lo sguardo, e sopra di lei riconobbe la London Eye; si rese conto di star guardando nel punto sbagliato solamente quando fu Harry ad indicarle la giusta direzione. 
Scesero degli scalini, e si ritrovarono in un leggero piano sotterraneo di cui la ragazza non sapeva neanche l'esistenza: uno spiazzo piuttosto ampio e quasi completamente vuoto, fatta eccezione per dei massicci pilastri e delle panchine in cemento.. il tutto, era ricoperto da graffiti più simili a vere e proprie opere d'arte piuttosto che a quelli che venivano definiti atti vandalici. Osservando a terra, scorse delle leggere rigature che le fecero pensare che solitamente quel luogo fosse frequentato da skater. Harry si sedette su un blocco di cemento, le mani in tasca e la schiena leggermente piegata in avanti; July rimase in piedi, guardandosi intorno con aria stupefatta.
"Sapevo che questo posto ti sarebbe piaciuto.." Convenne, sorridendo.
"Non avevo neanche idea che potesse esistere!"
"Vengo qui ogni volta che voglio svagarmi un po', ormai conosco i ragazzi che lo frequentano e nessuno mi infastidisce." Si guardò intorno.
"Quando la smetterai di sorprendermi, Harry?"
"Spero mai."
July lo guardò.
"Ami le cose fin quando ti fanno battere il cuore, finchè riescono a toglierti il respiro e sanno farti sentire al di fuori del mondo che frequenti quotidianamente." Spiegò. "Quando tutto diventa banale, ti stanchi." Nel frattempo la ragazza si sedette accanto a lui. "Nel momento in cui smetterò di sorprenderti, ne avrai abbastanza di me."
"Questo spiega tutto.. il concerto di Ed a New York, i regali, le proposte, le sorprese, le corse, il non dirmi mai dove andiamo, le chiamate inaspettate."
Harry scrollò le spalle.
"Sei proprio uno stupido." Aggiunse lei. "Non c'è bisogno di tutto questo, Harry: l'unica cosa che a me importa è stare con te. Tu non sei come il resto delle persone che ho intorno, non potrei mai stancarmi di noi.. neanche volendo, probabilmente."
"Non voglio correre il rischio."
Si sorrisero.
"Sei tutto quello che ho, July.." La voce del ragazzo si spezzò. "..non posso perderti."
"Non mi perderai."
"Mai?"
"Mai."
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** pelle. ***


 
'..nel pieno rispetto del Nostro accordo..'
La sua mano tremava.
'..ottima conduzione e gestione della situazione..'
La testa le girava.
'..credibilità eccellente..'
Avvertiva un profondo senso di nausea.
'..confidiamo che tutto ciò che venga portato avanti..'
Il suo volto divenne pallido.
'Modest! Managment
- Artist Managment Company.'
Si abbandonò completamente alla sedia, la bocca leggermente dischiusa e quelle parole davanti agli occhi che sembravano incidere la sua pelle come coltelli. Non ebbe bisogno di rileggere quella e-mail, perchè il contenuto sembrava impresso a fuoco nella sua mente; era senza forze, senza nulla da dire o da pensare, senza speranze, senza certezze, incredula e talmente confusa da domandarsi se ancora una volta non stesse confondendo sogno con realtà. 
Era stato un puro caso che, quella mattina, July White trovasse tra le mail del suo fidanzato una proveniente dalla Modest: non l'avrebbe mai, mai letta se nell'oggetto non avesse scorto il suo nome. La curiosità l'aveva vinta, e si era trovata ad aprire quel file con un piccolo senso di colpa ad attanagliarle lo stomaco. Si parlava di un accordo fatto tra Harry ed i suoi manager, un accordo che a quanto pare la riguardava più del previsto: sembrava che al ragazzo fosse stato chiesto esplicitamente di instaurare una falsa relazione con una ragazza così da poter mettere a tacere i giornali ed il fandom, in cui impazzavano notizie sulla cosiddetta questione 'Larry Stylinson'; adesso, tutti sembravano piuttosto soddisfatti della comparsa di July, che incarnava alla perfezione lo stereotipo di fidanzata per uno come Styles: non famosa, umile, piuttosto normale, e maledettamente credibile. 
Nella mente della piccola White cominciavano a crearsi strane congetture e fili invisibili che giustificavano nei modi più spregevoli tutti i gesti eclatanti che Harry aveva fatto per lei, dal concerto di Ed Sheeran ai posti in prima fila per la data di Londra del Take Me Home Tour. Che avesse davvero fatto tutto quello solamente per rispettare un contratto? Aveva davvero inventato e finto sentimenti che non provava, giocandosi del suo fragile e già ferito cuore? Avrebbe davvero voluto non crederci e fingere di non aver mai letto quelle poche ma significative righe, eppure adesso tutto trovava senso.
Una lacrima le rigò il volto, per poi cadere sulla parte iniziale dell'avambraccio sinistro - poco sotto l'interno del gomito - su cui brillavano delle parole; appena un mese prima, infatti, i due erano andati insieme a farsi un tatuaggio che li avrebbe legati per sempre. La goccia d'acqua salata si infranse sull'inchiostro nero che si stendeva scrivendo 'I'll be the wings that keep your heart in the clouds' mentre, dall'altra parte del continente, gli occhi verde smeraldo del ragazzo dai capelli ricci incrociavano per caso lo stesso inchiostro scuro che si dispiegava componendo 'you be the anchor that keeps my feet on the ground'. Quei due tatuaggi erano la loro promessa, il titolo di una canzone diviso a metà che sarebbe rimasto impresso sulla loro pelle per il resto della vita: adesso, che valore poteva avere? 
Prese tra le mani il telefono, e compose un numero che ormai sapeva a memoria.
'Sto andando via, D.'
'Come? July, che ti prende?'
'Non posso più rimanere qui, questo non è il mio posto.'
'Che succede? Mi stai facendo preoccupare..'
'Sei a Londra?'
'No, sono a Bristol.. vuoi che torni indietro?'
'Voglio solo che tu impedisca a me di tornare indietro.'
'Io.. non capisco..'
'Forse è meglio così.'
'Dimmi almeno dove stai andando..'
'No, perchè mi cercheresti ed al momento non voglio essere trovata.'
'Stai dicendo addio ad Harry?'
'Sto dicendo addio a te, a me, e ad Harry.'
Attaccò, senza aspettare che l'altra le rispondesse. 
Si alzò in piedi, guardando la stanza che aveva intorno con aria smarrita; dove doveva andare? Con Daphne lontana da Londra e la sua casa ormai in affitto ad altri, non aveva un luogo a cui appartenere. Quella città si era appena trasformata nel suo peggiore incubo, nella distruzione di tutte le speranze che aveva gelosamente custodito per una vita intera. 
Si portò le mani tra i capelli, cercando di mantenere la calma per capire esattamente cosa avrebbe dovuto fare e dove sarebbe dovuta andare.. aveva fatto per l'ennesima volta lo stesso errore: si era affidata a lui, aveva messo la sua intera vita nelle mani dell'unica persona che avrebbe potuto distruggerla. Non le era bastato sbagliare una volta, aveva voluto perseverare.. ora, doveva solamente pagare le conseguenze. Si maledisse per essere stata così stupida, per aver creduto alle favole quando l'unica cosa che avrebbe dovuto fare sarebbe stata quella di scappare tempo prima; quella storia l'aveva ormai privata di ogni aspettativa per il futuro, e la cosa la spaventata ad un punto tale da farle desiderare di morire.
Erano tre settimane che la band si era allontanata dall'Inghilterra a causa del tour, e non c'era stata una sola sera in cui July non avesse atteso con impazienza la telefonata di Harry: aveva sentito la sua voce, visto il suo volto attraverso uno schermo, sfiorato la proiezione di quei pixel illudendosi di poter avvertire il calore della sua pelle per poi sentirsi una stupida.. come lui le aveva chiesto, l'aveva aspettato. Aveva ascoltato quella canzone fino quasi alla follia, vivendo intere giornate che trovavano il proprio culmine unicamente nel momento in cui quel telefono squillava; non si era mai lamentata, non aveva mai chiesto di più: si era sentita incredibilmente fortunata per avere quel privilegio. Per la prima volta in vita sua, aveva davvero creduto di essere la ragazza da cui lui sarebbe tornato alla fine dei giochi; si era sentita l'unica, la sola, la fortunata che presto avrebbe potuto baciare quelle labbra nel terminal di un aeroporto che l'avrebbe riportato indietro. Il pensiero che potesse essere tutta una montatura non le aveva sfiorato la mente neanche una sola volta, aveva sempre creduto i reciproci sentimentimenti talmente veri da diventare devastanti. Adesso, sentiva come se avesse immaginato tutto, come se avesse costruito una vita che in realtà non era mai esistita, vivendo in funzione di qualcuno che in fin dei conti di lei non sapeva niente di più del suo nome.. in pochi istanti, Harry era passato da essere la sua ragione di esistere, ad essere nulla più di un estraneo che aveva tentato di prendersi gioco di lei. Avrebbe voluto provare odio, ma invece avvertiva unicamente una sensazione di libertà proprio al posto del cuore: aveva appena lasciato andare il passato, ormai completamente sepolto da quelle notizie che non avevano fatto altro che far spazio ad un futuro che non avrebbe concepito la presenza di una persona come lui. La tristezza le appesantiva le palpebre, ma il vuoto che avvertiva eliminava quasi del tutto qualunque altra emozione. 
Se solo avesse capito tutto questo solamente un paio di anni prima, adesso le cose sarebbero state diverse: in quel momento, decise che era arrivato il momento di tornare indietro e ricominciare tutto da capo.. ricominciare dal momento in cui aveva deciso di lasciare aperto quel capitolo. Tornare ancora più indietro, all'istante in cui era rimasta immobile sul ciglio della strada per guardare Harry andare incontro all'opportunità che gli avrebbe cambiato la vita; forse ancora prima, alla prima volta che avevano fatto l'amore - o, perfino, a quando lui si era avvicinato a lei durante un ballo di primavera e le aveva tenuto compagnia. Distruggere e demolire tutto, per ricostruire se stessa.
Ed improvvisamente, il futuro si confuse con il passato.

 
'Torna a casa, Harry. Torna immediatamente a casa.'
Un sms, una pausa dal tour non preannunciata, un biglietto aereo trovato all'ultimo minuto, una spiegazione poco plausibile.
Harry aveva abbandonato praticamente tutto, aveva seguito il consiglio della sua più cara amica senza pensarci neanche per un istante; non era stato facile convincere i manager e tutti gli altri, ma sarebbe stato disposto perfino a scappare nel bel mezzo della notte: quando si trattava di July, non c'era una sola cosa che venisse prima al mondo. Paradossalmente, quella lontananza li aveva legati ancora di più: quella chiamata prima di andare a dormire gli cambiava l'umore, lo tranquillizzare e gli faceva completamente dimenticare la stanchezza: quella ragazza sembrava la cura a tutti i mali del mondo, l'unica cosa che l'avrebbe davvero potuto salvare. Scendeva dal palco, si toglieva gli auricolari, saliva sul pullman e subito le mandava un sms per vedere se era sveglia: lei gli rispondeva, e lui quasi impazziva nell'attesa di poterla chiamare.. poi la sua voce dolce lo salutava, e tutto sembrava finalmente andare al posto giusto. Pensare che le cose sarebbero potute cambiare, era terribile.
Guidava nel traffico di Londra, spaventato da ciò che avrebbe potuto trovare: pensava ad una depressione di July, ad una ricaduta nei traumi del post coma, ad una situazione che richiedeva necessariamente il suo aiuto. Il pensiero di poter rivedere il suo sorriso era l'unica cosa che lo spingeva a toccare le note più alte durante i concerti ed impugnare quel microfono, e pensare che sarebbe potuto scomparire gli toglieva quasi il fiato. Era voluto tornare da solo, sentiva che quello che avrebbe dovuto affrontare sarebbe stato difficile da affrontare con qualcun altro; si ripeteva di non preoccuparsi, di affrontare il tutto con calma per non rischiare di perdere il controllo ma nel momento in cui arrivò sotto casa per poco non si dimenticò di chiudere la portiera della sua auto. Ogni passo che faceva rendeva il suo cuore più pesante, con un'aurea di paura che lo opprimeva al punto tale da togliergli la lucidità.
Aprì la porta, facendo un passo.
'July?' chiamò. 
Nessuno rispondeva.
'July?' provò di nuovo, con voce più alta.
Qualcosa dentro di lui, in quel momento, capì; forse è vero che quando la persona che ami fugge via, si porta via una parte di te.. peccato solo che si finisca per accorgersene quando è già troppo tardi.
 Scosse il capo, cercando di convincere se stesso di essersi sbagliato. Attraversò tutto l'appartamento, controllando in ogni singola stanza, nella speranza di scorgere la figura della ragazza intenta in qualche passatempo: una parte di lui pregava di trovarla addormentata sul divano dopo aver visto un film che l'aveva fatta piangere talmente tanto da privarla di ogni forza, o magari seduta al tavolo della cucina mentre sceglieva cosa ordinare al take away. Più andava avanti, però, e meno la sua presenza si avvertiva tra quelle mura; rimaneva solamente la camera da letto, nella quale entrò per trovare un letto perfettamente rifatto, le finestre chiuse e tutto in perfetto ordine.. un ordine assolutamente irreale. 
Guidato quasi da una forza e da un istinto che non conosceva, aprì un'anta dell'armadio: vuoto. Provò con i cassetti: vuoti. Il comodino: vuoto. Le mensole del bagno: vuote. 
Avvertì in bocca il sapore della bile, e cercò di capire cosa fosse successo; solo una cosa era certa: July se n'era andata, almeno da un paio di giorni. 
Cosa poteva essere successo in sua assenza? 
I suoi occhi, improvvisamente, intravidero una busta con dentro una lettera poggiata sopra un maglione color del mare, ed accanto i due diari che la ragazza non aveva mai lasciato incustoditi neanche una volta nella sua vita. Si avvicinò, con mani tremanti, strappando i bordi di quel sottile pacchetto ed estraendone un foglio piegato tre volte su se stesso: riconobbe la calligrafia tonda e leggermente tremante di July, così come le sbavature di quelle che dovevano essere lacrime.
La lesse una, due, tre volte, prima di sedersi sul letto.
July non sarebbe più tornata,
l'aveva persa per sempre.





Angolo Scrittrice.
Ovviamente, non è finita qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** parole. ***


 
"Ciao Harry,
immagino che a quest'ora tu sia tornato a casa, e l'abbia trovata vuota. 
Mi spiace non aver avuto la possibilità di salutarti, ma il mio tempo con te era finito e non potevo aspettare un secondo di più; siediti Harry, perchè mentre scrivo ti vedo accanto alla finestra della camera da letto, con l'espressione concentrata e le dita a stringere il ciondolo a forma di aeroplano che ti ho lasciato sulla scrivania. Un raggio di sole attraversa i tuoi capelli ricci, e le sopracciglia aggrottate.. stai cercando di capire, lo so. Ti starai chiedendo cos'è successo, forse maledicendo te stesso per avermi lasciata sola. Ho un animo mutevole, ed un senso di libertà che mi impedisce di rimanere ancora legata a te; non sono fatta per questo, per la tua gloria e la tua fama. Ho altri sogni nella vita, sogni che vanno oltre l'essere la tua ragazza per i paparazzi, oltre la brava fidanzata che ti aspetta dietro le quinte facendo finta di nascondersi dai flash. Sono una persona vera, troppo lontana da quello che sei.. così, ho deciso di andare via prima che Harry Styles potesse rovinare ciò che mi è rimasto di Harry, del mio dolce ed amato Harry. Non voglio darti dei perchè, o dei come, ma solamente un ricordo che custodisco gelosamente da anni.
Era inizio maggio, esattamente tre anni fa.
Ero arrabbiata con te, perchè quel giorno avevi preferito andare alle prove piuttosto che passare la giornata insieme - cosa che in quel periodo facevamo di rado. Avevamo litigato tutta la mattina tra una lezione ed un'altra, e ti avevo perfino fatto volontariamente sbattere contro il mio armadietto.. questo, sono sicura che te lo ricordi: hai ancora una piccolissima cicatrice, che saprei riconoscere solo io. Non ti avevo aiutato nel test di inglese, ed ero tornata a casa furiosa. 
 
"July, puoi andare ad aprire? Hanno suonato alla porta."
"Mamma, sto guardando un film!"
"Sei sul divano da quando sei tornata a casa, e stai finendo le scorte di gelato di una famiglia intera."
Facendole il verso di nascosto, la ragazza si alzò controvoglia e si diresse fino all'ingresso; guardò dallo spioncino, e riconobbe il volto di Harry. Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. 
"Chi è?" Domandò sua madre, dall'altra stanza.
Ci pensò un secondo. "Nessuno di importante."
"Oh su, apri a quel povero ragazzo!"
"Chi te lo dice che è lui?"
"E' sempre lui!" Oh, ovvio.
Fu seriamente tentata di tornarsene sul divano e lasciare Harry lì fuori da solo, ma poi si maledisse per essere così terribilmente buona ed aprì la porta con un'espressione gelida sul volto.
 
Non so come, ma alla fine eri davvero riuscito a farti perdonare. Mi avevi convinta ad uscire, nonostante mi fossi ripromessa poco prima di non rivolgerti la parola almeno per qualche ora.. ma, come sempre, i miei buoni propositi nei tuoi confronti erano falliti miseramente. 
Camminavamo senza sosta, in quello strano silenzio che ci accomunava: tutti pensavano sempre che non avessimo molto di cui parlare, ma nessuno sapeva che in realtà non avevamo mai avuto bisogno di molte parole. Tu avevi quegl'occhi verdi, ed io un cuore abbastanza forte per poterli sostenere: tu sorridevi, ed il mondo si fermava. Mi prendevi la mano, e sapevo che mi amavi. Ogni discorso diventava superfluo, ecco perchè cantavi: cantavi solo per me, non potrei mai dimenticarlo. Ed io racchiudevo in quella voce i secondi più intensi e belli di giornate faticose, pregando Dio che non fosse proprio quel tuo dono a portarti via da me.. ma si sa, il cielo non mi ha mai ascoltata. 
 
Harry si fermò d'improvviso, guardandola con la coda dell'occhio: July faceva ancora la sostenuta, anche se tratteneva a stento le lacrime. Sapeva che il problema non era stata l'idea del passare il pomeriggio separati, quanto più che ultimamente le litigate e le assenze erano diventate sempre più frequenti. 
"Pace?" Propose, tendendo la mano verso di lei.
Lei lo guardò; poi, intrecciò le proprie dita nelle sue. "Pace."
A quel punto, il ragazzo la tirò a sè con dolcezza, facendole affondare il volto sulla sua spalla e dandole un bacio sul capo con infinita tenerezza. "Scusa." Sussurrò.
Rimase in silenzio, poggiando le dita affusolate sull'addome di Harry. "Ho solo paura che tra noi possa finire." Confessò a mezza voce.
 
Ti ricordi cosa ci eravamo detti, dopo? Che un giorno ci saremmo sposati; che magari prima ci saremmo lasciati ed avremmo condotto separatamente le nostre vite, ma che ad un certo punto ci saremmo incontrati di nuovo ed allora avremmo capito che non aveva senso vivere lontani. Eravamo piccoli, e così stupidi.. peccato che io in quella piccola fantasticheria ci ho sempre creduto troppo, forse più di quanto avrei dovuto. Non tanto sulla storia del matrimonio, per carità, quanto più su quella del destino; ero sicura che fossi tu la mia anima gemella, che il mio destino fosse quello di essere al tuo fianco. Oh, come sono melodrammatica! Me l'hai sempre detto, vivo tutto come se fossi in un libro. Per questo ho collezionato e selezionato illusioni per anni, per questo adesso mi rendo conto che potrei essermi immaginata tutto.. non ho mai amato la realtà, ma chiudendomi nei miei mondi ho finito per diventare cieca perfino davanti all'evidenza: tu non mi ami, non più. L'hai fatto, in un modo in cui io non sarò mai in grado di fare, ma era solamente il passato - il presente è ben diverso, ed io non posso continuare a vivere in una dimensione che non sia quella attuale. Le tue parole sono sempre state incredibili, ma io non ho più la forza di crederci: hai sempre lasciato che fosse quel ragazzo di Holmes Chapel a parlare, ma siamo cambiati entrambi ed ormai non è rimasto niente di quello che eri.. neanche i sentimenti. Dove hai lasciato il tuo cuore? Pensavo mi appartenesse, in cambio di cosa l'hai venduto? Dei riflettori? Di top model? Quale prezzo ha, per te, la mia felicità? 
 
"Scappiamo!"
"Come, scusa?"
"Ma sì, andiamo via.. insieme!" 
"Guardi troppi film, Harry."
"No ascolta, è un piano perfetto: prendiamo un treno, andiamo in un posto che non conosciamo e cominciamo una vita completamente a caso. Io potrei farmi chiamare Jack.."
"Perchè proprio Jack?"
"Non lo so, è il primo nome che mi è venuto in mente."
"Oh, okay.."
"..quindi, io potrei farmi chiamare Jack, e tu Sally.."
"Hai visto Nightmare before Christmas ieri, vero?"
"Sì, ma non mi interrompere.." Sbuffò. "Allora, io potrei dire di essere il figlio di un pirata e tu una corsara.."
"Non hai la faccia da figlio di pirata.."
Stavano attraversando una zona residenziale, una via alberata costellata di piccole casette di mattoni con porte tendenti al rossastro. Si tenevano le mani, ed entrambi sorridevano: in quel momento avrebbero davvero potuto essere chiunque, figli di pirati o semplici adolescenti. Erano innamorati, ed avevano il mondo tra le mani.
"Oh, io ci ho provato.. hai rovinato mesi e mesi di fantasie, sei una brutta persona."
"Grazie Harry, è sempre carino distruggere i suoi sogni."
Il ragazzo si chinò improvvisamente verso il braccio di July, e le diede un piccolo morso.
"Ahia!" Esclamò questa, ritraendosi in fretta e massaggiandosi la zona di pelle dolorante. 
 
Tornassi indietro, non ci penserei su neanche un secondo: lo prenderei quel treno Harry, te lo giuro. Mi fingerei una corsara, una fata, un alieno.. mi fingerei qualunque cosa, stringerei la tua mano e comincerei una vita completamente nuova. Soprattutto adesso, farei tabula rasa e smetterei di essere July White, per essere solamente tua. Fino all'ultimo sguardo, all'ultimo istante, all'ultimo giorno della mia vita. 
Sai perchè amo quel giorno? Perchè sono state poche ore, passeggiando mano per la mano. Il modo in cui mi guardavi, come se non ci fosse stato nient'altro di importante al mondo.. avevamo sedici anni, eppure sembravamo aver già capito tutto ciò di cui avevamo bisogno. Cos'è cambiato? Perchè non riusciamo più ad essere così semplici, e sinceri? Davvero siamo arrivati al punto di non essere più in grado di dirci la verità? E' buffo, perchè tra tutte le persone io credevo davvero che tu saresti stato l'unico che non mi avrebbe mai mentito.. forse ho fatto affidamento su certezze sbagliate, rendendo vane delle speranze che si sono rivelate solamente utopie.
Ho bisogno di andare, e che tu mi lasci andare. Ho bisogno di prendere questa decisione, per essere sicura di non tornare indietro. Troppe volte ho messo una virgola dove avrei dovuto mettere un punto, ragion per cui adesso questa pagina voglio strapparla, e buttarla in fondo ad un cassetto che non aprirò mai più. Perchè, per quanto impossibile possa sembrare, io ti sto dicendo addio. 
Lo faccio con la consapevolezza che non potrò mai più guardare qualcuno negli occhi senza avvertire il senso di vertigine, nè sfiorare un sorriso senza aver voglia di piangere.. tutto ciò che vivrò porterà il tuo nome, perchè sulla mia pelle non è rimasto indelebile solamente un tatuaggio. Lo sai che, per quanto detesti tutto ciò, non riuscirò mai a cancellarti.. mi ferisce il solo pensiero, ma sono fatta così.  
Spero solo che tu possa avere tutto quello che desideri, che la fortuna non ti abbandoni mai e che potrai continuare ad avere l'amore di milioni di persone che non hanno neanche idea di chi tu sia in realtà.. hai una vita, una vita che non comprenderà mai più me. Chiunque tu diventerai, e dovunque ti porterà la vita, io ti chiedo solamente di ricordarti della persona che più di chiunque altro ti ha amato, in ogni singolo giorno della sua vita. 
Addio Harry,
con tutto il cuore.
                                                                                                                             July."







Angolo Scrittrice.
Il prossimo, sarà l'ultimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Epilogo. ***




 
Ai piedi del letto una valigia ancora fatta, ed uno zaino che non era neanche stato aperto; l'armadio era vuoto, la scrivania completamente vuota. 
July era tornata a casa da dieci giorni, ma era come se non avesse mai varcato quella soglia: la sua presenza non si avvertiva minimamente, così come nessuno aveva ancora udito la sua voce - nè una risata, nè il suono di un telefono che potesse colmare quel silenzio. Si era completamente estraniata da se stessa, ritrovandosi solamente per quei brevi istanti che servivano per muoversi da una stanza all'altra; cuffie nelle orecchie, volto pallido, labbra costantemente serrate. Una leggera ombra violacea sotto gli occhi, e neanche la voglia di prendere una penna per potersi sfogare. Non si sentiva vuota, quanto esausta. 
Tutto quello che aveva sempre creduto di amare aveva finito per distruggerla, e non aveva più la forza di credere che un giorno le cose sarebero cambiate; aveva perso se stessa negli occhi di una persona che non l'aveva salvata come aveva sperato, bensì l'aveva condannata. 
Se n'era stata seduta su un piccolo dondolo posto nel portico che segnava l'inizio del piccolo giardino sul retro della casa dei suoi genitori, le mani ad avvolgere tazze colme di un caffè nero che finiva per raffreddarsi senza essere mai bevuto. Il telefono accanto a lei, che si illuminava a tratti senza essere degnato d'attenzione; di rapportarsi al mondo, non ne aveva ancora voglia. L'unica cosa che desiderava era rimanere lì, ad aspettare di metabolizzare, nella speranza che il dolore un giorno avrebbe deciso di lasciarla stare. Non era la prima volta che si trovava a vivere quella situazione, ma stavolta sembrava che fosse lei stessa ad impedirsi di star bene: la sua mente che si distraeva a tratti, perdendosi in brevi e luminosissimi ricordi di una felicità che esisteva unicamente in quel piccoli flash, le sue dita che durante la notte correvano ad accarezzare lo spazio vuoto al suo fianco nella speranza di trovare la pelle calda di quel ragazzo di cui nessuno pronunciava il nome; nessuno osava parlarne: perfino July, ad un tratto, pensò di averlo dimenticato. A volte capitava che, involontariamente, i suoi occhi si abbassassero fino ad incontrare la frase che aveva tatuata sull'avambraccio, ed allora avvertiva delle vertigini che le offuscavano la mente per intensi istanti. Piangeva raramente, solo di notte. Piangeva fino ad addormentarsi, soffocando nel cuscino i singhiozzi e stringendo a sè le coperte con mani tremanti. 
Daphne continuava a non darsi pace, le telefonava in continuazione; sapeva che l'amica non le avrebbe risposto, ma non aveva intenzione di arrendersi. Le avrebbe dato un altra settimana, poi sarebbe andata a prendersela.. e se non ci fosse riuscita, sarebbe rimasta con lei. Harry non parlava più con nessuno; si limitava a salire sul palco, fare quei sorrisi di cortesia, fingere di divertirsi durante le interviste.. nessuno sapeva se davvero quella storia gli stesse facendo del male, o meno. Il coraggio di chiederglielo mancava a tutti, ed ogni volta che tentavano di prendere l'argomento, lui rispondeva che era stanco ed aveva bisogno di riposare prima del prossimo viaggio. Erano passati pochi giorni, ma sembrava un'eternità; l'assenza di July si faceva sentire in ogni singolo angolo della casa: in quella televisione spenta, in quelle lenzuola perfettamente intatte, nei vestiti gettati alla rinfusa per la camera da letto.. Harry non stava ormai praticamente più in quell'appartamento. Aveva cominciato ad uscire ogni notte, girando per locali e club, ritirandosi solamente all'alba del mattino seguente; lentamente, si stava trasformando nel cattivo ragazzo di cui tutti i giornali parlavano fin dall'inizio della sua carriera. A lungo andare, quella situazione avrebbe danneggiato non solo la sua persona, ma anche la sua immagine. 
 
Era giovedì pomeriggio, uno di quelli in cui il clima non è più invernale ma il vento non si è ancora arreso all'inesorabile giungere dell'estate, e ad Holmes Chapel l'atmosfera era particolarmente elettrica. Tutti sapevano che il giorno dopo si sarebbe tenuto il Ballo di Primavera della scuola superiore, ed ognuno cercava di collaborare al meglio delle proprie possibilità pur di dare una mano: il signor Flynn che gestiva il negozio di addobbi per le feste in fondo ad Alumbrook Avenue aveva donato alle organizzatrici alcune lanterne da esterno per adornare il vialetto che avrebbe condotto all'ingresso della palestra, la signora McGloin aveva fatto un paio di turni extra nella boutique di sua proprietà per permettere anche alle ritardatarie di comprare il proprio vestito, la ditta di autonoleggi aveva messo a disposizione un numero superiore di limousine ad un prezzo leggermente ridotto.. insomma, l'intera comunità si stava muovendo, come ogni anno. Da qui, l'idea della signora White; aveva proposto a July di aiutare le ragazze del Comitato Studentesco con la preparazione di quella che sarebbe stata la sala principale in cui si sarebbe svolto l'evento. La voglia di dirle di no era stata davvero forte, ma alla fine dei conti convenne che sarebbe stato meglio fare almeno finta di aver intenzione di ricominciare a vivere; glielo doveva, soprattutto alla sua famiglia.
Era andata in camera sua, sedendosi con le gambe incrociate davanti ai bagagli che aveva quasi completamente abbandonato; dalla tasca esterna dello zaino aveva estratto il portafogli, e da lì la chiave del lucchetto della valigia. Aveva cominciato ad estrarne i vestiti con lentezza, poggiandoli sul letto in pile ordinate - poi si era alzata dal pavimento, ed aveva osservato con attenzione ogni indumento, cercando di decidere cosa mettersi: non aveva voglia di essere carina, proprio non ne sentiva il bisogno. Optò per una canottiera nera, ma proprio nel momento in cui la sollevò, si accorse della presenza di qualcosa che non aveva notato prima: una semplice maglietta bianca con lo scollo a v. La prese, portandosela vicina al volto.. l'odore di Harry la prese quasi alla sprovvista, forte e violento come poche volte era stato perfino nella realtà. Non ricordava di aver preso volontariamente quell'indumento, e si lasciò sfuggire un mite sorriso ripensando alle mille volte in cui si era arrabbiata con lui per il suo disordine cronico. Sospirò, confusa. Infine, decise di indossarla, con dei semplici jeans scuri e delle Converse basse: non era ancora abbastanza forte per potersi opporre al destino. Guardandosi allo specchio, pensò che quella maglietta stesse molto meglio a lui, e che un giorno gliel'avrebbe fatta riavere in qualche modo. 
Scese le scale in fretta, e subito fuori dalla porta trovò la sua vecchia bicicletta ad attenderla: aveva chiesto al padre di darle una sistemata, per poterla usare e muoversi senza dover dipendere da loro. Cominciò ad attraversare la piccola cittadina, le cuffie nelle orecchie, la voce di Demi ad accompagnarla ed il vento a scompigliarle i lunghi capelli scuri..quando arrivò finalmente davanti la scuola che aveva frequentato fino a pochi anni prima, non potè fare a meno di fermarsi ed osservarla. Se doveva essere sincera, non era cambiata quasi per niente: gli alberi intorno perfettamente curati, l'edificio in mattoncini, il cartello che ne segnava la denominazione.. insomma, per qualche secondo pensò davvero di essere tornata indietro nel tempo, a quei sedici anni che ricordava ancora con vivida intensità. 
Poggiò la bici nello spazio apposito, e cominciò a camminare fino a scorgere l'edificio della palestra appena dietro l'angolo; vi entrò, stando ben attenta a non pensare troppo a ciò che stava facendo, ed una volta oltrepassato l'uscio si guardò intorno. 
Un gruppo di ragazze se ne stava raccolto intorno a quello che sarebbe stato il tavolo dei drink, e gli addobbi erano raggruppati tutti in degli scatoloni aperti e disposti lungo il piccolo palco che era stato montato per l'occasione. July si prese di coraggio, ripetendosi che era più grande di tutte le persone lì dentro messe insieme e che, in quanto tale, non avrebbe dovuto esitare neanche un solo secondo; si avvicinò al gruppetto del Comitato Studentesco, riuscendo a cogliere degli stralci di una conversazione riguardante la disposizione dei tavoli.
"July!" Esclamò ad un tratto una di queste, che aveva casualmente sollevato lo sguardo per incontrare quello della nuova arrivata.
"Oddio, Phoebe.." Incredula, la piccola White riconobbe una sua vecchia compagna del corso di matematica che a quanto pare stava a sua volta aiutando i nuovi ragazzi dell'ultimo anno.
Le due si abbracciarono, considerando anche che non si vedevano da quando la scuola era finita e che erano state discretamente legate in passato; gli occhi dei presenti - scorse anche un paio di ragazzi poco più in là - si puntarono tutti su di lei, e si sentì piuttosto a disagio per istanti che le sembrarono quasi ore. Phoebe la presentò a tutti, spendendo giusto un paio di parole per non sembrare scortese ma subito dopo richiamò immediatamente l'attenzione sul motivo per cui si trovavano lì.
"Pensate che convenga assegnare i posti all'ingresso?" Domandò una ragazzina dai capelli scuri, scorrendo rapidamente la lista di coloro che avevano già comprato il biglietto per partecipare.
"Potrebbe essere una buona idea.."
"Farebbe perdere troppo tempo, e creerebbe una fila all'ingresso che metterebbe di cattivo umore tutti i presenti.." Intervenne July, che tempo prima aveva dovuto assistere ad una scena di quel genere. "..sarebbe opportuno riservare i tavoli unicamente per i professori e le varie squadre sportive, considerando che sono le categorie più interessate a trascorrere la serata insieme." 
Ci rifletterono, per annuire subito dopo.
"La postazione del fotografo verrà sistemata fuori, giusto? Insomma, abbiamo fatto spostare il ballo da febbraio a maggio proprio per poter approfittare anche degli spazi esterni.."
In quell'esatto istante, fece il proprio ingresso un ragazzo a cui venne indicata una postazione sul fondo della palestra: quello che doveva essere il dj, raggiunse quindi il suo angolo di lavoro cominciando a sistemare i vari cavi e l'attrezzatura che si era portato dietro. 
A poco più di 24 ore dall'evento dell'anno, tutto cominciava a prendere forma: un paio di matricole erano state mandate a sistemare le luci ed a provarle per tenerne d'occhio il funzionamento, i ragazzi della squadra di calcio che erano arrivati da un paio di minuti avevano cominciato a portare dentro i tavoli ed a disporli secondo una precisa organizzazione, una professoressa era arrivata per controllare che non ci fossero problemi.. July e Phoebe, dal loro canto, avevano deciso di occuparsi dei vari festoni, nastri di raso, fiori e palloncini vari; ecco perchè, dieci minuti dopo, si trovavano già in piedi su delle sedie tentando di agganciare un immenso striscione con sopra scritto "Spring prom, 2012/2013."
"Cosa hai fatto in tutto questo tempo?" Attaccò la ragazza.
"Ho vissuto a Londra, cambiato un paio di lavori.. insomma, non ho trovato la stabilità che cercavo!" Rispose July aprendo un piccolo squarcio sull'angolo superiore della tela.
"E sei stata con Harry Styles!" 
Abbassò appena lo sguardo. "Sì.." Sibilò, sottovoce.
"Oddio, scusami.. non pensavo che.." Phoebe era mortificata. "Su un paio di giornali avevo letto che eri stata tu a lasciare lui, altrimenti non ne avrei parlato."
"Non è stato così facile, diciamo che ci siamo lasciati entrambi - anche se non sembra avere molto senso." Rispose. "Non preoccuparti, era ovvio che qualcuno me l'avrebbe chiesto prima o poi.." Sospirò. "Anzi, è strano: mi aspettavo che fossero le altre ragazze ad avvicinarmi, non so perchè."
"Diciamo che le ho intimidite a sufficienza: sono stata io a telefonare a tua madre proponendole di suggerirti di raggiungerci.. quando mi ha detto che avevi accettato, ho specificato che non avrebbero dovuto prendere l'argomento."
"Ti ringrazio, allora.." July sorrise, facendo passare per quella piccola apertura uno dei fili che avrebbe tenuto su l'intero striscione. "Tu invece, che hai combinato?"
L'altra sistemò a sua volta lo striscione, scendendo dalla sedia ed osservando il lavoro con aria impegnata. "Sono rimasta qui, in realtà.. a settembre, però, mi trasferirò vicino Manchester per cominciare finalmente il college." Sorrise. "Tira un po' più su il tuo lato.." Osservò con un occhio chiuso. "..okay, adesso è perfettamente dritto!" Esclamò infine, soddisfatta.
Anche July mise piede sul pavimento della palestra. "Cosa studierai?"
"Chimica!" 
Si diressero insieme verso il palco, trascinando giù uno degli scatoloni e cominciando ad estrarne i vari addobbi; aprirono i pacchi dei palloncini e cominciarono a gonfiarli con l'aiuto di un paio di ragazzi che le raggiunsero, e subito dopo li sistemarono a gruppi di tre fermandoli con del nastro di tulle e dei fiocchi: avrebbero sistemato quelle composizioni lungo il perimetro della stanza, ed ai lati del palco. 
"Ricordi il ballo del nostro anno?" Esordì la ragazza, intenta a scegliere alcune combinazioni di colore per le ultime composizioni con degli splendidi fiori finti che alla fine sarebbero serviti come centrotavola. "Ero l'organizzatrice principale, ho passato in questa palestra almeno tre giorni per far sì che tutto fosse perfetto." Ricordò, mentre il dj fece partire la prima canzone.
"A me invece non importava quasi niente: pensavo solamente a studiare, studiare e studiare.." Sospirò July, alzando esponenzialmente il volume della voce per contrastare i decibel provenienti dalle casse che erano state disposte ai quattro angoli della palestra. "Stano addirittura cominciando a provare adesso?" Si distrasse, voltandosi verso la postazione, leggermente accigliata.
"Ci tengono parecchio che tutto vada bene.. certo, provare la musica il giorno prima forse è un tantino esagerato.." Sospirò Phoebe, nel momento stesso in cui le luci si abbassarono per diventare soffuse. "..ed anche le luci."
"Così sembra di essere già al ballo!" Ma in fondo a July non dispiaceva: certo, bisognava metterci il doppio dell'impegno per riuscire a vedere poco più in là del proprio naso e per sentire le persone nelle vicinanze, ma l'atmosfera era davvero bella.
"Con 24 ore di anticipo.."
"..o tre anni di ritardo!" Si sistemò gli occhiali, che le erano leggermente scivolati lungo il naso.
Intanto, i tavoli erano stati sistemati praticamente alla perfezione lasciando uno spazio piuttosto ampio che sarebbe stato adibito a pista da ballo, i microfoni erano stati portati sul palco ed ogni cosa veniva controllava nei più piccoli dettagli; la stessa ragazza che aveva proposto l'idea di assegnare i posti, adesso girava tra i vari gruppi di lavoro chiedendo se avessero bisogno di qualcosa ed a che punto fosse il loro lavoro. 
"Abbiamo finito praticamente tutto, dovremmo spostarci fuori per sistemare le lant.." Phoebe si voltò, sgranando appenagli occhi. 
July, che era intenta a prendere un paio di forbici ed il nastro adesivo che aveva poggiato poco prima per terra, non capì immediatamente cosa fosse accaduto; in un primo momento pensò di non aver sentito la conclusione della frase a causa della musica che ancora non accennava ad abbassarsi, ma dovette ricredersi quando si accorse che il tempo sembrava essersi fermato. Si voltò a sua volta in direzione degli sguardi di tutti i presenti, e per poco non ebbe un giramento di testa: lì, in piedi davanti l'ingresso, c'era Harry - jeans scuri, t-shirt grigia, camicia aperta blu a quadri, converse bianche. 
Vederlo lì, in quella palestra, dopo tutto quello che era successo sembrava incredibile; la ragazza si convinse che fosse la sua mente a giocarle brutti scherzi, che niente di quello che aveve davanti agli occhi fosse vero. Che cosa ci faceva lì? 
Qualcuno tentò di avvicinarsi a lui, ma il buonsenso generale mantenne gli animi abbastanza calmi: Phoebe si allontanò, e così fecero anche alcune ragazze che decisero di uscire. In un paio di minuti, la palestra era vuota - fatta eccezione per Harry, e July. Il ragazzo avanzò di qualche passo, mentre l'unica cosa che lei riusciva a fare era starsenne immobile; dentro, avvertiva una tempesta di emozioni contrastanti ed in conflitto tra loro.. da un lato aveva voglia di dargli uno schiaffo ed andar via, ma c'era una piccola parte di lei che avrebbe semplicemente voluto gettare a terra ciò che teneva tra le mani e correre da lui, per stringerlo a sè e dirgli quanto gli era mancato. 
"Non farlo mai più.." Esordì il ragazzo.
"Fare cosa?"
"Andartene."
July distolse lo sguardo, ma le dita affusolate di Harry raggiunsero il suo mento e le fecero alzare il viso.
"Me l'avevi promesso, July."
"E tu mi avevi promesso che non mi avresti più mentito." Rispose, con voce ferma. "Ma evidentemente non siamo molto bravi."
"Non l'ho fatto." Aggiunse, secco.
"Harry.." Scosse il capo, allontanandosi. 
"Hai letto quella mail, vero?"
"L'hai lasciata lì perchè lo facessi, o sbaglio?"
Non rispose, e July gli diede un colpo alla spalla destra.
"Che cosa volevi ottenere? Stavi cercando di farmi vedere come alla fine l'abbia vinta sempre tu?" Aggrottò le sopracciglia. "Lo sapevo già, non ce n'era bisogno."
"Possibile che tu fraintenda sempre tutto?" La guardò, leggermente esasperato. "Volevo solo dimostrarti che saremmo potuti stare insieme, che non saresti stata d'intralcio alla mia carriera come hai sempre pensato.. volevo che vedessi con i tuoi occhi che non avremmo avuto più ostacoli."
"E per fare questo hai avuto bisogno di farmi sentire come fossi solamente un oggetto?"
Il ragazzo sospirò. "Hai ragione, ho sbagliato."
"Certo che l'hai fatto, non hai nessuna attenuante stavolta."
Si guardarono negli occhi, sostenendo lo sguardo l'uno dell'altra senza nessuna esitazione.
"Che cosa sei venuto a fare, Harry?"
"A mettere a posto le cose."
Trattenne una risata. "Credi che sia così facile? Ci sono caduta già una volta: il tuo ritorno scenografico, l'effetto sorpresa, le mille scuse e giustificazioni.. ma non sono più così stupida." Ridusse gli occhi a due fessure. "Adesso so chi sei davvero, e non voglio avere a che fare con te." Fece per voltarsi, ma il ragazzo le afferrò un braccio con dolcezza ma vaga forza. Applicò una leggera torsione, così da poter avere sotto gli occhi il tatuaggio della ragazza; con la mano libera, alzò la propria manica e venne allo scoperto anche il suo - l'altra metà della stessa frase, la sua conclusione, il suo senso. 
"Che tu lo voglia o no, sarò sempre con te." Sibilò, alzando gli occhi verdi nei suoi.
July ritrasse il braccio, con un gesto deciso. "Ti sto supplicando Harry, dammi un po' di pace.."
"Non tornerò a Londra senza di te."
Rimasero entrambi in silenzio.
Nello stesso istante in cui i loro occhi si incrociarono di nuovo, giocando ancora a quello sciocco nascondino, l'intera palestra venne riempita dalle prima note di 'Give me Love' - la ragazza non si era accorta che il dj era rimasto lì.
"Ricordi, July? 'Dimentica l'inizio, così dimenticherai anche la fine'.' Ripetè Harry; a July tornarono in mente i primi giorni che avevano trascorso insieme a Londra, quel post-it che lui le aveva lasciato, quella foto del ballo che era scomparsa.. non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso.
Notò, poi, la mano del ragazzo tesa verso di lei; lo guardò con sguardo interrogativo, prima di sentire la sua voce dire "Piacere, Harry. Harry Styles." 
Dimenticare l'inizio, dimenticare la fine, tornare esattamente al punto di partenza per poter ricominciare ancora una volta e non fare gli stessi errori. Il labbro inferiore le tremò appena, in bilico tra passato e presente. 
Afferrò la mano del ragazzo, e si lasciò trasportare fino al centro della pista. Lui le accarezzò i capelli, spostandone una ciocca dietro l'orecchio destro; le sfiorò le labbra con l'indice, osservando con particolare attenzione ogni dettaglio del suo viso. 
"Mi dispiace, sul serio.."
"Va bene, va bene lo stesso." Sussurrò.
"Riuscirò mai ad amarti senza farti del male?"
"Se vuoi, puoi provarci."
"Non scherzavo quando dicevo che sei tutto quello che ho.."
"Hai molto più di me."
"Niente per cui valga davvero la pena tornare a casa dopo un concerto."
Lei lo guardò, prima di poggiare il capo sulla sua spalla, e chiudere gli occhi. 
 
Avevo quindici anni quando vidi Harry Styles per la prima volta; non dimenticherò mai, mai quel giorno.
Adesso di anni ne ho quasi venti, ma le cose non sono ancora cambiate.
Sono July White – non Juliet, non Juls,
e questa è una storia per tutti i cuori che hanno ricominciato a battere.
 
 
Fine.




 
Ringraziamenti.
A July White  ─ per tutto quello che ti ho fatto passare e perchè, nonostante tutto, hai continuato a provare un amore più forte della mia fantasia. Ho scritto per te la vostra storia, e ti ho lasciata a questo punto perchè voglio che adesso sia tu a decidere del tuo destino.. prendi la decisione giusta, e dammi ancora un amore da raccontare.
Ad Harry  ─ ho voluto regalarti la persona che hai sempre cercato, e che non sei riuscito a trovare. L'ho fatto, perchè meriti di essere felice al di là della tua carriera e dei giornali.. trova il coraggio di guardarti intorno, lasciati sorprendere, e lasciati amare da qualcuno che per quegli occhi morirebbe.
A Daphne  ─ ancora una volta sei stata il mio destino.
 
« E invece eccovi qua, Peter Pan e Wendy, destinati a vivere una favola insieme, la vostra favola. E io crederò sempre in voi, perché qualsiasi problema abbiate avuto o possiate avere in futuro, io so che vi amerete, sempre. »
 
Alla mia July  ─ sei la mia persona, quella con cui condividere i sogni ed i progetti di una vita. Ti ho donato tutto questo, perchè tu possa credere che ciò che speri possa realizzarsi e possa non arrenderti mai davanti a nessuna difficoltà. Mi hai regalato la felicità di avere una migliore amica, il calore di una promessa, il tremore di un conto alla rovescia; per questo, io ti ringrazio. Per essere stata la mia musa, ed avermi tenuto la mano in ogni singolo capitolo.
A Fabrizia  ─ la mia piccina, la ragazza che più è riuscita a darmi quel silenzioso affetto di cui avevo bisogno. Sei una creatura meravigliosa, neanche ti rendi conto di quanto tu sia speciale e di quanto io possa volerti bene, dal profondo del mio cuore.
A Claudia, la mia Bucks  ─ la mia adorabile Bucks, aggiungerei. Sai perchè questo è per te, lo sai forse dal primo momento in cui la nostra chat si è aperta: sei tra queste pagine, più di quanto non lo sia io.
A Sara  ─ forse nessuno ha creduto in Haly quanto l'hai fatto tu, con fiducia, amore, speranza. Sei stata il mio faro nella notte, mi hai fatto credere in questa storia perfino quando non avevo neanche la forza di scrivere.. so quanto loro siano importanti per te, e voglio che tu possa sempre ricordarti che Harry e July vivranno sempre, nel tuo cuore.
A Diletta  ─ mille volte ti ho detto quanto le tue recensioni siano state fondamentali per me, ma non credo di aver mai reso l'idea. Sei stata accanto a me in ogni singola parola, in ogni più piccola lacrima.. credo che questa storia ti appartenga più che a chiunque altro.
 
« A questa storia devo molte cose, ma soprattutto devo tanto a Harry e July.
Per avermi fatto un po' capire che in qualche parte del mondo, forse,l'amore vero non è solo un'utopia. Per avermi fatto compagnia in questi mesi e non avermi mai lasciata da sola. Per avermi fatto conoscere persone magnifiche e per avermi dato la voglia di ricominciare a sognare un po', dopo un periodo brutto. »
 
A Gaspare  ─ hai letto e commentato ogni capitolo stando al telefono con me, aiutandomi nello scrivere quando davvero avrei avuto voglia di prendermi a schiaffi. Hai corretto gli errori, e mi hai sopportata dandomi anche mille idee per poter andare avanti. Ti amo.
A Emma, Valeria D., Martina, Claudia C., Sharon, Marcella, Alessia B., Alessia P., Gaia, Alberta, Benedetta, Cecilia, Angela, Laura, Giorgia, Caterina  ─  per aver trovato sempre il tempo di fermare un secondo le vostre vite e leggere ciò che avevo da dire; per avermi incoraggiata ad arrivare fino alla fine. Avete appoggiato le mie scelte senza criticarmi mai, senza dubitare per un secondo che potessi deludervi.. non mi avete abbandonata nonostante le assenze protatte quasi all'infinito, ed i capitoli non sempre all'altezza delle vostre aspettative. 
A tutto il team, ragazze sopra citate comprese  ─ non so come avrei fatto senza di voi, mi sarei sentita persa. E invece guardatevi.. siete la mia famiglia, la cosa più preziosa che io possa avere; mi fate sentire a casa, protetta, apprezzata, mi avete dato qualcuno per cui scrivere, qualcuno per cui essere me stessa. Le mie storie esistono grazie a voi, grazie al fatto che avete creduto in me in ogni singolo istante; non sarei niente senza di voi, davvero.
 
« Questa storia mi ha cambiato la vita. »
 
Ad ogni ragazza che ha recensito ─ avete aspettato con pazienza, e mi avete sempre dedicato più dell'attenzione che meritavo. Per questo, io vi dedico la mia storia ed il mio infinito amore.
A chiunque sia rimasto nell'anonimato  ─ se siete arrivati fin qui, grazie.
 
Anche quest'avventura insieme è finita,
sono sicura che ci rivedremo alla prossima.
 ♥
 
Grazie.
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1105439