We are infinite

di Emily Kingston
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L.A's a breeze with the palm trees swaying ***
Capitolo 2: *** Come up to meet you ***
Capitolo 3: *** I'm living a teenage dream ***
Capitolo 4: *** If you don't know the way to hold me let me show you how ***
Capitolo 5: *** Little Talks ***
Capitolo 6: *** Now you're in New York ***
Capitolo 7: *** If you really hold me tight all the way home I'll be warm ***
Capitolo 8: *** Because I'm only a crack in this castle of glass ***
Capitolo 9: *** Fifth, you see them out with someone else ***
Capitolo 10: *** When we were young and every day was how we dreamed ***
Capitolo 11: *** We're gonna celebrate ***
Capitolo 12: *** It's all about us ***



Capitolo 1
*** L.A's a breeze with the palm trees swaying ***





 
L.A’s a breeze with the palm trees swaying

 

Carly non aveva mai viaggiato molto, perché suo padre lavorava in banca e l’unico sport che aveva mai praticato era il risparmio.
Il giorno in cui i suoi genitori le dissero che stavano divorziando, Carly pensò che quello potesse essere uno dei tanti motivi. Sua madre aveva quattro anni meno di suo padre e l’animo libero di una farfalla. Per tutta la vita non aveva fatto altro che viaggiare, finché non aveva incontrato suo padre e avevano deciso di mettere su famiglia, relegando in un angolo le valige e la scoperta del mondo.
Perciò, il rumoroso via vai dell’aeroporto le fece venire subito il mal di testa.
Era seduta sulla sua valigia, con le braccia incrociate al petto, e osservava sua madre che parlava con una hostess al banco informazioni.
Caroline Walter aveva quarant’anni e una bellezza che Carly, ogni volta che si guardava allo specchio, si chiedeva in lei dove fosse andata a finire. Tutte le volte che osservava il proprio riflesso, gli occhi marroni le ricordavano quanto verdi e brillanti fossero quelli di sua madre e i capelli castani sembravano urlare a gran voce quanto quelli della donna, in compenso, fossero biondi. La cosa che faceva infuriare Carly di più, però, era il fatto che sua madre non sfoggiava la propria bellezza. Ed era bella comunque.
La donna le fece un cenno con la mano e Carly, con uno sbuffo, scese dalla valigia e, trascinandosi dietro il proprio bagaglio, la raggiunse.
“Dobbiamo ancora aspettare un po’,” le disse, con un sorriso.
Infilò i biglietti aerei nella borsa, poi, mettendosi sulla spalla un grande borsone, afferrò la propria valigia e si diresse verso alcune sedie libere. Carly la seguì.
Qualche mese prima, sua madre era tornata a casa da lavoro canticchiando e l’ultima volta che l’aveva vista così felice era stato quando era andata a trovare la sua amica May a Baltimora, nel Maryland.
Perciò, quando quel giorno era rientrata sulle note di Let it be,Carly aveva sospettato che fosse successo qualcosa. Presto, si era accorta che ci aveva visto giusto.
Quella stessa sera, a cena, invece che guardare il telegiornale con il solito piatto di maccheroni al formaggio scaldati al microonde sotto al naso, sua madre non accese la tivù affatto e ordinò una pizza – il piatto preferito di Carly. Iniziò a farle domande sulla scuola e sui suoi amici, cercando di nascondere l’euforia e la speranza che anche Carly le chiedesse qualcosa, così da poter finalmente dire ciò che la rendeva tanto felice.
“C’è qualcosa in particolare che devi dirmi, mamma?” chiese infine la ragazza, guardandola con aria sospettosa.
Il sorriso della donna si allargò e, dopo aver appoggiato il pezzo di pizza che stava mangiando sul tavolo, guardò la figlia con gli occhi che brillavano.
“Sto per sposarmi.”
Carly spalancò gli occhi e fece del suo meglio per non spalancare anche la bocca.
Da quel momento in poi, non ci fu più bisogno che Carly facesse alcuna domanda. Sua madre iniziò a parlare di come, parecchi mesi prima, il primario dell’ospedale in cui lavorava l’avesse mandata in un ospedale di Los Angeles per visitare un paziente. Si trattava di un vecchio amico del primario che era stato vittima di un grave incidente stradale, e non si sapeva se ce l’avrebbe fatta. Sua madre, in quanto cardiochirurgo, era stata chiamata per dare un parare sulla procedura che era meglio seguire. Lì, durante la pausa pranzo, aveva incontrato un collega ortopedico mentre era in fila per prendere un panino e avevano iniziato a parlare. Lui le aveva chiesto che impressione le aveva fatto Los Angeles e lei gli aveva consigliato di visitare New York in estate, quando non c’erano né la neve né il freddo.
Quando lei era tornata a New York avevano continuato a sentirsi via e-mail poi, circa un mese dopo il loro incontro, lui si era presentato nell’ospedale dove lavorava sua madre dicendo che per un po’ sarebbe stato in città. Avevano iniziato a uscire regolarmente, finché lui, appena un paio di settimane prima, le aveva chiesto di sposarla.
“Dovremmo trasferirci a Los Angeles?!” Esclamò Carly con una punta di rabbia.
Sua madre abbassò lo sguardo.
“Tesoro, devi capire che-”
Carly si alzò di scatto, facendo stridere la sedia sul pavimento.
“Mi stai chiedendo di lasciarmi la mia vita alle spalle, mamma,” disse, lo sguardo basso. “C’è poco da capire.”
Senza alzare gli occhi lasciò la cucina, chiudendosi in camera sua.
Si buttò sul letto, affondando il volto tra i cuscini, cercando disperatamente di aggrapparsi ai ricordi dei suoi amici e dei momenti vissuti a New York, come se avesse la sensazione che se ne stessero già andando via.
Rimase stesa sul materasso per parecchi minuti, le orecchie tese ad ascoltare sua madre che riordinava la tavola e lavava i piatti al piano di sotto.
Avrebbe dovuto lasciare New York, il loro appartamento da cui si vedeva il ponte di Brooklyin, la sua scuola, i suoi amici. Avrebbe dovuto lasciarsi tutto alle spalle e andare via, ricominciare da capo.
Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma le ricacciò indietro.
Era arrabbiata, terribilmente arrabbiata con sua madre e con suo padre, per non averla amata abbastanza.
Dopo essere rimasta in camera sua per un po’, Carly scese di nuovo al piano di sotto, trovando sua madre stesa davanti alla televisione. Si avvicinò silenziosamente e si mise a sedere sulla poltrona, nascondendo i piedi sotto alle gambe per scaldarli.
“Come si chiama?”
Sua madre alzò lo sguardo su di lei.
“L’uomo di cui ti sei innamorata,” specificò Carly, incontrando gli occhi della madre. Quegli occhi verdi che avrebbe tanto voluto anche lei.
La donna sorrise. “Larry,” disse. “Larry Lerman.”
Carly aggrottò le sopracciglia: quel cognome le diceva qualcosa. Arricciò le labbra e strizzò lievemente gli occhi, concentrandosi quanto più poteva e quando trovò la possibile soluzione sentì il cuore fermarsi. Non poteva essere vero. Doveva trattarsi di una coincidenza, ecco tutto. Larry Lerman non poteva essere imparentato con… solo il pensiero la fece sudare freddo.
Se c’era una persona che poteva risolvere tutti i suoi dubbi, era la sua migliore amica Lily, l’unica ragazza in tutta l’America a conoscenza della vita privata di tutti gli attori e le attrici di Hollywood.
Quando, il giorno seguente, provò a chiederle se un certo Larry Lerman era imparentato con qualcuno di famoso anche a Lily per poco non venne un colpo.
“Larry Lerman hai detto?” Le chiese, sbattendo le palpebre.
Carly annuì, chiudendo gli occhi.
“Logan Lerman,” dissero all’unisono e Carly sospirò.
Non è che Carly avesse qualcosa contro Logan Lerman in particolare, non lo conosceva neanche, ma odiava in generale le persone famose, perché avevano tutto e si lamentavano continuamente. Perché la maggior parte aveva un ego così smisurato che nessuno sarebbe mai riuscito a sgonfiarlo. Perché alcuni si comportavano come se non avessero scelta, quando invece avevano molte più scelte della gente comune.
Carly scacciò quei ricordi con uno sbuffo, concentrandosi sulle persone che camminavano all’interno dell’aeroporto e provando a immaginare perché fossero lì e dove stessero andando.
Il suo sguardo si posò su una famiglia seduta poche sedie lontano da lei. Il marito leggeva il giornale con un bambino piccolo seduto sulle spalle che si attorcigliava i capelli del padre attorno alle dita; la moglie, invece, cullava un neonato, lasciandogli qualche bacio sulla fronte di tanto in tanto. Infine, una bambina sui cinque anni, con dei lunghissimi capelli rossi, giocava con una bella bambola di pezza sul pavimento.
Carly sorrise guardandoli e pensò che, probabilmente, stavano andando a trovare qualche parente in Florida o stavano semplicemente facendo la loro prima gita tutti insieme da quando era nato il nuovo bambino.
Quando riportò lo sguardo su sua madre la trovò che sorrideva.
“Che c’è?” Chiese, osservandola.
La donna guardò oltre le spalle di Carly e la ragazza si voltò.
La sua migliore amica Lily e altri ragazzi la osservavano dal banco informazioni.
Carly sentì lo stomaco annodarsi, guardò sua madre per un secondo e poi corse verso i suoi amici.
Appena li raggiunse, Lily la strinse in un abbraccio, affondando il viso tra i suoi capelli.
“Credevi davvero che ti avremmo lasciata andare via così?”
Carly ridacchiò, sentendo gli occhi che le si inumidivano.
Si staccò da Lily e andò a salutare tutti gli altri ragazzi, rimanendo particolarmente sorpresa quando scorse Simon in mezzo al gruppo.
Simon era il suo ragazzo, perciò era piuttosto normale che fosse venuto a salutarla, ma Carly si sentiva sorpresa comunque. Forse si aspettava che l’avrebbe rinchiusa nel cassetto delle ex ragazze e basta.
“Ragazzi… Io…” Simon le sorrise, passandole un braccio attorno alle spalle.
Carly appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo, sorridendo a tutti gli altri con occhi lacrimosi.
Rimasero a chiacchierare per pochi minuti, poi la madre di Carly attirò la loro attenzione, dicendo alla figlia di sbrigarsi poiché a breve avrebbero aperto l’imbarco per il loro volo.
“Mi mancherai da morire,” le sussurrò Simon, quando fu il suo turno di essere salutato. La baciò velocemente sulle labbra e poi la guardò negli occhi. “Non mi dimenticherò di te.”
Carly annuì, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano e dirigendosi verso Lily. Quando arrivò di fronte a lei, Simon disse agli altri di allontanarsi per lasciare loro qualche minuto da sole e Carly non poté fare altro che pensare che, accettando l’invito a uscire di Simon alcuni mesi prima, avesse fatto la scelta migliore del mondo.
I ragazzi si allontanarono e Lily le appoggiò le mani sulle spalle.
“Allora, stai per incontrare l’attore dei miei sogni,” le disse, guardandola negli occhi con aria seria. “Non essere troppo dura con lui o dovrò toglierlo dalla lista dei miei potenziali futuri mariti.”
Carly ridacchiò, sentendo una lacrima solcarle il viso.
“E cerca anche di non innamorarti di lui, se ci riesci.”
“Sai che non accadrà mai,” ribatté Carly, guardandola con scetticismo. “Insomma, io sono io e lui è lui, non ci sono possibilità. Zero.”
Lily sorrise, avvicinandosi un po’ di più a Carly.
“Prometti che continueremo a sentirci.”
“Lo prometto.”
“E che mi racconterai sempre tutto, anche se sei dall’altra parte del paese.”
“Lo prometto.”
“E prometti di non dimenticarti mai di me, anche quando non ci sentiremo più perché saremo troppo adulte per fare ancora le ragazzine e avremmo due vite troppo lontane per riunirsi di nuovo.”
Carly trattenne a stento un singhiozzo, ma annuì.
“Lo… lo prometto.”
Lily sorrise tra le lacrime.
“Lo prometto anche io allora.”
La strinse forte tra le braccia e Carly appoggiò il mento sulla sua spalla, stringendo forte tra le mani la maglietta dell’amica.
“Ti voglio bene,” sussurrò Lily. “Sei la mia migliore amica.”
“Anche tu,” singhiozzò Carly, maledicendosi per aver ceduto al pianto.
Si era promessa di non versare neanche una lacrima, per non rendere tutto ancora più difficile, ma rendersi conto che non avrebbe più potuto abbracciare Lily a quel modo era stato semplicemente troppo.
Rimasero abbracciate per qualche minuto, finché la madre di Carly non la chiamò di nuovo.
“Ci rivediamo presto,” disse a Lily, abbozzando un sorriso lacrimoso.
La ragazza annuì, nascondendo le lacrime tra i lunghi capelli rossi. Le strinse velocemente la mano e poi Carly si allontanò in direzione del gate.
Sua madre le passò un braccio attorno alle spalle e le sorrise.
“Staremo bene,” le sussurrò.
Carly alzò brevemente lo sguardo su di lei, poi porse il passaporto ad una hostess e si avviò lungo il tunnel che conduceva verso l’aereo.
Si mise a sedere accanto all’oblò e spostò lo sguardo sulla pista che s’intravedeva dal vetro.
Dopo pochi minuti, sentì sua madre sedersi accanto a lei, ma non si voltò.
Appoggiò il capo sul sedile e si mise ad ascoltare i rumori attorno a lei. Ben presto il ronzio del motore e il movimento dell’aereo che decollava le appesantirono le palpebre e si addormentò.



Quando Carly riaprì gli occhi, sua madre le aveva appoggiato una mano sulla spalla e stava cercando di svegliarla.
L’aereo adesso era fermo e la maggior parte dei passeggeri aveva iniziato a prendere i propri bagagli a mano per scendere dal velivolo.
Carly si stropicciò gli occhi, chiedendosi quando si era addormentata e come aveva fatto il tempo a passare così in fretta.
Lanciò un’occhiata distratta fuori dall’oblò e il sole di Los Angeles le fece strizzare le palpebre. Dio, quanto le sarebbe mancato il freddo di New York.
Arricciando le labbra, si alzò e tirò fuori da sotto al sedile il suo zaino, poi seguì sua madre verso l’uscita.
Un’hostess magra dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri le sorrise, augurandole una buona permanenza in città e Carly rispose con un sorriso tirato.
Appena uscì il sole la colpì in pieno, facendole fare una smorfia.
A Carly era sempre piaciuto il sole, ma quel sole in particolare sarebbe stato sempre lì a ricordarle ciò che aveva lasciato a New York e ciò che avrebbe potuto ancora trovare.
Un piccolo autobus portò tutti i passeggeri appena scesi dall’aeroplano fino all’aeroporto e nel breve tragitto, Carly osservò il paesaggio che si scorgeva oltre le piste d’atterraggio.
Dovettero aspettare l’arrivo delle valige per una buona mezz’ora, poi, finalmente, riuscirono a lasciare la zona del ritiro bagagli e dirigersi verso gli arrivi, dove Larry le stava aspettando.
Quando Carly intravide il corridoio che portava verso il cuore dell’aeroporto si fermò per qualche secondo, chiuse gli occhi e inspirò lentamente.
Stava per iniziare una nuova vita in una nuova città, con un nuovo padre e un fratellastro che era certa avrebbe odiato. Sarebbe stata la nuova arrivata a scuola, la nuova arrivata in città, la nuova arrivata ovunque. Sarebbe semplicemente stata ‘quella strana che è si è trasferita qui quest’anno’.
A Carly non piaceva essere pessimista, anzi, tutt’altro, solo che era talmente abituata ad essere vista come ‘quella strana’ che non si sarebbe sorpresa se anche lì avessero detto lo stesso su di lei.
Stringendo la presa sulla valigia seguì sua madre verso la zona arrivi e, superate le porte, il suo sguardo si perse nell’immensità dell’aeroporto.
Probabilmente non era più grande di quello di New York, ma Carly ne rimase comunque affascinata. O forse era solo una scusa per non guardare i volti di tutte quelle persone in attesa, rischiando di trovare quello del fidanzato di sua madre.
Larry e sua madre volevano che, prima di sposarsi, lei e Logan ‘facessero amicizia’. Carly fece una smorfia al solo pensiero.
Sapeva che era sbagliato giudicare una persona senza conoscerla, e lei non lo faceva mai, però avrebbe scommesso tutti i suoi libri di Harry Potter sul fatto che Logan fosse il solito attore dall’ego smisurato che si sente il centro del mondo. Perché avrebbe dovuto essere il contrario?
Riabbassò lo sguardo quando sentì sua madre urlare il nome del suo compagno.
Larry Lerman si sbracciava nella loro direzione, con un sorriso largo e luminoso. Accanto a lui, con i capelli neri coperti da un capello con la tesa, un ragazzo osservava il pavimento tenendo le mani nelle tasche dei jeans. Aveva lo sguardo basso, perciò Carly non riuscì a vedergli il viso, ma non aveva bisogno di quello per capire chi fosse.
Deglutendo seguì sua madre lentamente, nella segreta speranza di non colmare mai quella distanza.
Vide sua madre abbracciare Larry con un sorriso e il ragazzino alzare finalmente il viso, guardando prima i due adulti e poi incontrando per caso il suo sguardo.
Dal vivo era esattamente come in fotografia, forse un po’ meno alto di quanto sembrava e un po’ più magro. Ma i suoi occhi blu – gli stessi che Lily passava serate intere ad osservare – le fecero tremare le gambe.
Si morse la lingua con disappunto, maledicendosi per aver ceduto così facilmente a un paio di begli occhi chiari e continuò a camminare verso di lui, ignorandolo completamente.
Quando li raggiunse, sua madre sfuggì dalle braccia di Larry e la affiancò con un sorriso.
“Ragazzi, questa è mia figlia Charlotte,” disse, indicandola.
Carly sorrise, puntando lo sguardo su Larry e evitando completamente Logan.
“Mi chiamano tutti Carly,” specificò lei.
Larry le sorrise, appoggiando una mano sulla spalla del figlio.
“È davvero un piacere conoscerti, Carly,” le disse. “Tua madre ci ha parlato tantissimo di te, vero Log?”
Il ragazzo sobbalzò, come se fosse stato appena distolto da una riflessione, e guardò Carly.
“Oh, sì,” biascicò. “Io sono Logan,” disse poi, porgendo la mano a Carly.
La ragazza la ignorò, abbozzando un semplice sorriso.
Logan inarcò le sopracciglia, poi alzò le spalle e si infilò di nuovo le mani nelle tasche dei jeans.
“Be’, direi che siamo pronti per andare, no?” Esordì Larry, prendendo il borsone di Caroline. La donna annuì e Carly seguì i due adulti con uno sbuffo, evitando accuratamente di permettere ai suoi occhi di posarsi sul profilo di Logan. 






-
Nel caso vi steste chiedendo se questa sarà una storia romantica, la risposta è sì. Lo sarà decisamente.
Spero solo che a qualcuno possa piacere e che mi facciate sapere cosa ne pensate :3
L'ispirazione mi è venuta guardando i Cesaroni, così ho ripreso una vecchia storia dimenticata in una delle tante cartelle e l'ho rielaborata, dando vita alla trama di We are infinite. 
Il titolo della storia è un chiaro riferimento a Ragazzo da Parete, libro che ho adorato e che *pubblicità occulta mode-on* vi consiglio di leggere *pubblicità occulta mode-off*
So di aver commesso una piccola imprecisione sul lavoro del padre di Logan che è un uomo d'affari e non un medico ortopedico, ma avevo bisogno di farlo essere un dottore ai fini della storia, quindi spero che non me ne vorrete. 
Spero di aggiornare presto. Se lasciate un segno del vostro passaggio non potete farmi altro che contenta :)
A presto,
Emily.

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Something about the sunshine di Anna Margaret

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Capitolo 2
*** Come up to meet you ***



 
Come up to meet you
 
Larry abitava in una graziosa villetta a Beverly Hills. Si trattava di una casa a due piani, con le pareti tinteggiate di bianco ed un grande giardino tutt’intorno.
Poco lontano da lì c’era anche la casa che la madre di Logan, Lisa, condivideva con il suo compagno.
Durante il tragitto in macchina – in cui Carly aveva dovuto condividere il sedile posteriore con Logan – Larry non aveva fatto altro che elogiare Los Angeles e, per quanto duro fosse per lei ammetterlo, Carly si rese conto che aveva ragione.
All’interno la casa di Larry era una comunissima villetta, con le tende alle finestre della cucina, un grande televisore in salotto e le camere da letto al piano di sopra.
Larry prese la valigia di Caroline e poi disse a Logan di aiutare Carly con la sua.
“Faccio da sola,” rispose la ragazza, quando Logan cercò di prendere il trolley per portarlo su per le scale.
“Allora ti porto lo zaino,” disse, cercando di toglierle dalle spalle lo zaino rosso.
Carly si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con lui.
“Faccio da sola,” ripeté, fissandolo negli occhi.
Anche Logan la guardò e, approfittando del fatto che Carly era troppo impegnata in quella lotta di sguardi, allungò una mano e afferrò il trolley, imboccando le scale prima che la ragazza potesse fermarlo.
Con uno sbuffo Carly lo osservò salire le scale poi, stringendo i denti, lo seguì.
Logan si fermò di fronte alla seconda porta bianca sulla sinistra. Appoggiò la valigia a terra e poi aprì la porta, facendosi da parte per lasciar passare Carly.
La ragazza lo guardò male, poi lo sorpassò ed entrò nella stanza.
Si guardò intorno per un po’, girando su se stessa. Quella camera era decisamente più grande di quella che aveva a New York e dalla finestra s’intravedeva uno spicchio di mare. Accanto alla scrivania c’era un’altissima libreria ancora vuota e ai lati del letto c’erano un paio di mensole di legno. Le pareti erano tinteggiate d’azzurro chiaro e vi erano state appese alcune cornici che lei avrebbe potuto riempire come voleva. Infine, proprio sopra al letto, una grande foto di New York stampata su tela faceva bella mostra di sé. A Carly venne quasi da piangere guardandola.
“Ti piace?” Le chiese Logan e solo in quel momento Carly realizzò che il ragazzo era ancora lì.
Si voltò verso di lui, arricciando le labbra.
“È stata un’idea di papà,” continuò il ragazzo, abbozzando un sorriso.
“Grazie,” biascicò Carly. “È stato un pensiero carino.”
Logan si scompigliò i capelli, appoggiando la schiena allo stipite della porta. Carly sbuffò, spostando lo sguardo fuori dalla finestra. Sicuramente faceva così con tutte le ragazze.
“Ehm, io sono nella stanza accanto sei hai bisogno di qualcosa,” esordì lui all’improvviso, arretrando nel corridoio.
“Non avrò bisogno di niente,” rispose e gli dette le spalle.
Aspettò qualche minuto, poi sentì la porta che si chiudeva e, finalmente, si lasciò andare ad un sospiro.
Si sedette sul bordo del letto, osservando il pavimento ricoperto da una morbida moquette blu. Rimase a fissarsi i piedi per diversi minuti, poi si alzò e iniziò a disfare i bagagli, sistemando i vestiti nell’armadio e i libri nella libreria e sulle mensole.
Ben presto gran parte della valigia fu svuotata, i suoi amati compagni di carta furono sistemati sugli scaffali e il suo fedele notebook Harry – sì, aveva dato un nome al computer – fu collocato sulla scrivania, in mezzo alla confusione che Carly era già riuscita a fare in poco tempo.
Stava decidendo se mettere The Perks of Being a Wallflower nel primo o nel secondo scaffale, quando sua madre la richiamò dal piano di sotto.
Con uno sbuffo, Carly appoggiò il libro sulla scrivania e aprì la porta. Sulla soglia delle scale si scontrò con Logan, ma lo superò in fretta senza degnarlo d’uno sguardo.
Quando arrivò in cucina si trovò davanti ad una tavola apparecchiata. Una vera tavola apparecchiata, con del cibo vero dentro ai piatti.
Carly non era più abituata a mangiare con piatti di coccio e tovagliette da quando i suoi si erano separati; sua madre era sempre molto impegnata con il lavoro, perciò finivano spesso per mangiare cibo d’asporto o preconfezionato e la maggior parte delle volte utilizzavano dei piatti di plastica o le confezioni stesse delle pietanze.
Alzò con incredulità lo sguardo su sua madre che, pulendosi le mani sul grembiule che teneva legato in vita, le sorrise. Sembrava davvero felice anche se erano passate solo poche ore.
Logan si mise a sedere e Carly si diresse dalla parte opposta del tavolo, ma sua madre la bloccò con un’occhiataccia e lei fu costretta a tornare sui suoi passi e sedersi accanto al ragazzo.
Larry si mise a sedere di fronte al figlio e Caroline prese posto davanti a Carly.
Appoggiò al centro del tavolo una ciotola piena di pasta al sugo e invitò gli altri con lo sguardo a servirsi.
“Siamo sicuri che sia commestibile?” Domandò Carly, riempiendo il proprio piatto.
“Carly!” Esclamò sua madre, ma Logan e Larry ridacchiarono.
“Che c’è?!” Si lamentò la ragazza, alzando le spalle. “È che è un po’ che non cucini.”
Caroline arrossì, abbassando lo sguardo.
Dopo qualche minuto, Carly allungò la mano, sfiorando quella della madre. La donna alzò lo sguardo e la figlia le sorrise.
“Non si può dire che tu sia fuori allenamento,” le disse, strizzando l’occhio.
“Cavoli!” Esclamò invece Logan, spalancando gli occhi. “È fenomenale!”
“Grazie, Logan,” rispose Caroline, nascondendo un sorriso.
La cena trascorse tranquilla e Carly pensò che, se il prezzo da pagare per vedere sua madre sorridere così tanto era lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita, forse sarebbe riuscita a sopportarlo.
Prima che tutti fuggissero dalla cucina, Caroline tirò fuori dal forno una grande torta al cioccolato, servendo una fetta a tutti i presenti – e ignorando le proteste di Carly.
Mentre mangiava il dolce, Carly sentì lo sguardo di Logan che la osservava, ma cercò di ignorarlo, concentrandosi sulle briciole marroncine che ricoprivano il suo piatto.
“Ho qualcosa che non va?” Sussurrò infine, in modo che solo lui potesse sentirla. “Mi stai fissando.”
Logan distolse lo sguardo e tornò ad occuparsi della sua fetta di torta.
Carly alzò le spalle e, dopo aver ringraziato sua madre per il dolce e aver augurato a tutti la buona notte, si avviò su per le scale.
Doveva ancora finire di mettere in ordine la sua stanza e aveva promesso di contattare Lily non appena fosse arrivata in California.
Sospirò, aprendo la porta della camera, ma, prima che potesse entrare, sentì una mano afferrare la sua.
Si voltò, sobbalzando, ritrovandosi gli occhi blu di Logan a un passo dalla faccia.
Stupidamente, arrossì.
“Cosa vuoi?” Disse, brusca.
Logan lasciò la presa sulla sua mano e fece un passo indietro.
“Mi dispiace se ti ho spaventata.”
“Non importa,” tagliò corto Carly. “Ti serve qualcosa?”
Logan scosse il capo.
“Ti ho… fatto qualcosa per caso?”
La ragazza lo guardò inarcando le sopracciglia.
“Fatto qualcosa? No, perché?”
“Perché mi eviti e sembra che tu mi odi.”
Carly arrossì, abbassando lo sguardo.
“Senti,” sospirò, incrociando le bracci al petto. “Non è che ti odio, solo… cerca di starmi alla larga, va bene?”
Logan sorrise. Il sorriso storto che Carly aveva visto così tante volte sulle pareti della camera di Lily.
“Viviamo nella stessa casa, sarà un po’ difficile starti alla larga.”
La guardò ammiccando e Carly andò su tutte le furie.
“Non guardarmi a quel modo!” Esclamò.
“A quel modo come?”
Carly puntò un dito verso i suoi occhi e provò ad articolare qualche parola. Poi sbuffò.
“Forse sei abituato ad avere stuoli di ragazze che cadono ai tuoi piedi e fan che urlano ogni volta che ti vedono, ma io non sono così. Quindi evitami, per piacere.”
Logan fece per protestare, ma Carly gli sbatté la porta in faccia senza aggiungere altro.
“Buonanotte,” sentì urlare Logan dal corridoio, ma lo ignorò, gettandosi sul letto con un sospiro.
Rimase a pancia in giù per diversi minuti, poi si voltò sulla schiena e si mise a fissare il soffitto.
Fuori dalla finestra il sole era tramontato da un pezzo, e la stanza era illuminata solo dalla luce della luna e da quella del corridoio che filtrava da sotto la porta.
Ripensò alle parole che Lily le aveva detto all’aeroporto, al suo abbraccio caldo e all’odore di fiori che emanavano i suoi capelli. Ripensò a Simon e al suo bacio leggero. Non mi dimenticherò di te, aveva detto, e Carly strinse forte tra le braccia un cuscino, chiudendo gli occhi e sperando che fosse davvero la verità. Sperando che davvero non l’avrebbe mai dimenticata, anche quando avrebbe avuto un’altra ragazza più bella e più simpatica di lei. Più normale, più che altro.
Sospirò, riaprendo gli occhi e fissando il soffitto.
Fin da quando era bambina, quando aveva un problema o era in difficoltà, si stendeva sul letto e fissava il soffitto. Come se potesse trovarci la soluzione ai suoi problemi, o le parole che le mancavano, o qualunque cosa le servisse. Era un po’ come se il soffitto potesse mostrarle ciò che stava cercando.
In quel momento, fissò il soffitto della sua nuova stanza e sperò che potesse davvero dargli ciò che cercava. Un modo per rendere felice sua madre ed essere felice anche lei; un modo per evitare Logan e non arrossire ogni volta che la guardava negli occhi; un modo per non dimenticare la vita vissuta a New York e per non far dimenticare a New York di lei.
Ma non c’erano risposte. Non c’erano cose da cercare. Lei si trovava in California, con un fratellastro che avrebbe volentieri fatto a meno di avere, e l’indomani avrebbe iniziato una nuova scuola, e sarebbe stata l’ultima arrivata. Avrebbe dovuto ricominciare da capo. Raccattare i cocci della sua vecchia vita e costruirne un’altra, sperando che, questa volta, fosse abbastanza forte da non cadere giù di nuovo.
 
 
Carly sospirò, superando lentamente la porta principale dell’istituto.
La Beverly Hills High School aveva un grande ingresso luminoso, con lo stemma della scuola stampato sul pavimento. Dall’entrata si aprivano due lunghi corridoi laterali: uno che ospitava tutti gli armadietti e l’altro dove si trovavano le aule. Di fronte a lei c’era anche una rampa di scale che saliva verso l’alto e, probabilmente, conduceva ad altre aule o sale di laboratorio.
Sospirò, evitando di prestare attenzione agli altri studenti che le camminavano intorno e tirò fuori dallo zaino un foglietto giallo tutto stropicciato.
“Ti serve una mano?”
Carly sbuffò, arricciando le labbra. Si voltò di scatto verso Logan e lo fulminò con lo sguardo.
“Ti ho detto di starmi alla larga,” disse, pungente.
Logan alzò le mani, arretrando di qualche passo.
“Volevo solo essere gentile,” si giustificò. Poi, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle, si allontanò da lei.
Carly si voltò, tornando a guardare le scale e i due corridoi. Sul retro del foglio giallo c’erano scritti il numero del suo armadietto e la combinazione, perciò penso che fosse meglio cominciare da lì.
Cercando di ignorare gli sguardi di un gruppetto di ragazze, che stavano sicuramente criticando il suo abbigliamento, e si avviò lungo il corridoio degli armadietti.
La maggior parte degli sportelli metallici era decorata con fotografie, ritagli di giornale o graffiti fatti con le bombolette spray. Carly cominciò a tenere d’occhio i vari numeri, sperando con tutto il cuore che il suo armadietto fosse il più lontano possibile da quello di Logan.
“Ventidue… Ventitré… Ventiquattro!” Esclamò, fermandosi.
Sullo sportello del suo armadietto c’erano ancora i ritagli di giornale del suo precedente proprietario. Si trattava di un paio di foto in bianco e nero di una squadra di football che aveva vinto il campionato studentesco. Probabilmente quello doveva essere stato l’armadietto di un giocatore della squadra o qualcosa del genere.
Scrollando le spalle, Carly appoggiò una mano sulla manovella ed iniziò a girare, componendo la combinazione. Dopo aver composto l’ultimo numero osservò il lucchetto, in attesa del familiare scatto della chiusura.
“Devi dargli una botta,” suggerì una voce delicata.  
Carly si voltò, incontrando lo sguardo azzurro di una ragazza.
Era magra, con lunghissimi capelli biondi e, nonostante l’aria un po’ stralunata, anche molto bella.
“Oh,” sussurrò lei, sbattendo il pugno chiuso contro lo sportello. Quando il metallo ebbe smesso di tremare, il lucchetto scattò e l’armadietto si aprì.
Carly si voltò verso la ragazza con un gran sorriso.
“Grazie.”
Lei scosse il capo, arricciando appena le labbra.
“Sei la sorella di Logan, vero?”
Carly storse il naso, ma annuì.
“Mi chiamo Shiver,” si presentò la ragazza, porgendole la mano.
Carly la strinse, pensando che quel nome le si addicesse proprio, dato il colore azzurro ghiaccio dei suoi occhi.
“Io sono Carly,” rispose.
Shiver le sorrise e, ironia della sorte, il suo erano uno di quei sorrisi caldi e luminosi che rendono le giornate brutte migliori.
“Che lezione hai alla prima ora?”
Carly sbirciò il suo foglietto giallo.
“Letteratura con la signorina Thomson.”
Shiver sorrise, afferrandole la manica della felpa.
“Vieni, ti accompagno.”
 
Come aveva Carly aveva sospettato, le aule si trovavano nel secondo corridoio. Shiver camminava spedita tra la folla, senza neanche guardare dove metteva i piedi. Fece un paio di cenni con la testa per salutare qualcuno durante il tragitto, ma non lasciò la manica di Carly neanche per un istante.
“Ecco qua!” Esclamò infine, fermandosi davanti a una delle tante porte.
Carly sbirciò all’interno dalla piccola finestrella che si apriva sul legno della porta e vide una serie di banchi disposti in file di fronte ad una cattedra vuota.
“Anche tu hai lezione qui adesso?”
Shiver scosse il capo, indicando una porta poco lontana.
“Matematica,” rispose. “Il signor X. non ammette ritardi, perciò è meglio che mi avvii.”
Carly aggrottò la fronte.
“Il signor X.?”
Shiver ridacchiò.
“Xander Enoch, ma gli piace farsi chiamare il signor X.”
La ragazza annuì e Shiver sparì tra la folla, diretta alla sua lezione di matematica.
Carly sospirò, appoggiando la schiena al muro.
Pochi minuti dopo la campanella lanciò un paio di trilli e gli studenti iniziarono a sparire all’interno delle classi. Carly si fiondò dentro all’aula di letteratura prima che tutti i posti fossero occupati dai suoi compagni.
Si sistemò in uno dei banchi vicino alla finestra, esattamente dalla parte opposta dell’aula rispetto al banco di Logan.
Da una parte le dava fastidio doverselo ritrovare anche nella stessa classe durante le lezioni, ma dall’altra era stupita che un ragazzo avesse scelto di frequentare il corso di letteratura. Di solito i maschi smettevano di sceglierla appena iniziavano il terzo anno, quando ormai le madri non riuscivano più a convincerli a metterla nell’orario.
Non riteneva che i maschi fossero troppo stupidi per capire o apprezzare la letteratura, anzi, solo che la maggior parte di loro preferiva un videogioco o una partita di football a un buon libro.
Lo osservò per qualche secondo, ma, quando anche lui si voltò a guardarla, distolse lo sguardo.
Quando anche l’eco dell’ultimo squillo della campanella si fu dissolta, la porta si aprì e la signorina Thomson fece il suo ingresso nell’aula, mentre tutti si alzavano in piedi.
La professoressa di letteratura era una ragazza giovane, sui venticinque anni, alta e magrissima. Indossava una gonna a vita alta che le arrivava alle ginocchia, una camicia bianca sotto una giacca grigia e un paio di scarpe con il tacco non molto alto. Gli occhi scuri erano protetti da un paio di occhiali dalla montatura rettangolare e portava i capelli biondi, che dovevano essere molto lunghi, raccolti attorno a una matita da disegno.
Sorrise alla classe e Carly si accorse delle lentiggini che aveva sul naso e sugli zigomi.
Istintivamente si toccò il viso.
“Sedetevi pure, ragazzi,” disse, appoggiando i libri sulla cattedra e attaccando la borsa allo schienale della sedia. “Io sono Cassandra Thomson e quest’anno dobbiamo lavorare sodo perché, se non sbaglio, siete all’ultimo anno, giusto?”
Un sacco di teste annuirono.
La signorina Thomson sorrise, appoggiandosi alla scrivania ed incrociando le braccia al petto. Si voltò per dare uno sguardo veloce al registro, poi tornò a guardare la classe.
“E, sempre se non mi sbaglio, dovrebbe esserci una certa Charlotte Harris, dico bene?”
Carly arrossì, alzando timidamente la mano.
“Ehm, sì, sono io.”
Il modo in cui la signorina Thomson la guardò la rese più tranquilla e rilassata.
“Sei nuova a Los Angeles, Charlotte?”
“Sì, ci siamo trasferiti qui di recente. Mia… Mia madre si è risposata.”
L’insegnante annuì, come se sapesse già ogni cosa. Probabilmente, sapeva davvero già ogni cosa e voleva solo che si presentasse alla classe. L’idea di doverlo fare a tutte le lezioni che avrebbe frequentato quel giorno le fece venire la nausea.
“Hai già visitato la scuola, Charlotte?”
“Se… Se per lei non è un problema, ecco, tutti mi chiamano Carly, quindi…”
La signorina Thomson sorrise.
“Ma certo, Carly,” disse. “Allora, l’hai già visitata la scuola?”
Carly scosse il capo.
“Siamo arrivati solo ieri e…”
“Bene,” la signorina Thomson batté le mani, attirando l’attenzione di tutti. “Logan, ti dispiacerebbe portarla a fare un giro? Dopotutto, sei suo fratello.”
Carly arrossì e Logan sbatté le palpebre un paio di volte.
“Sì. Cioè, voglio dire, adesso?”
L’insegnante annuì.
“Adesso non c’è nessuno, sai com’è quando c’è confusione…” Logan annuì. “Noi faremo solo due chiacchiere mentre voi non ci siete. Vi prometto che non farò lezione in vostra assenza.”
Logan ridacchiò, alzandosi in piedi.
“Se la mette così allora…” guardò Carly che, arricciando il naso, lo imitò.
Uscirono dall’aula in silenzio, incamminandosi lungo il corridoio.
“Da quale parte vuoi cominciare?”
Carly scrollò le spalle.
“Fa lo stesso, basta che ci sbrighiamo.”
Logan sospirò, avviandosi verso una grande porta verde che si trovava alla fine del corridoio.
Mentre camminavano per la scuola, Carly pensò a quanto somigliasse a quella che frequentava a New York. C’era così tanto di simile che ogni passo le sembrava di essere sempre lì, come se tutto quel viaggio a Los Angeles fosse stato solo un sogno, sua madre fosse ancora troppo impegnata per cucinare cibo vero e lei non avesse avuto né un fratellastro né un padre adottivo.
Anche gli armadietti, loro malgrado, le ricordavano quelli che aveva nella vecchia scuola, sempre difettosi e decorati con ogni sorta di cimelio. Ricordava come le ragazze pon-pon avessero riempito i loro di rossetti, ombretti e mascara, mentre i giocatori di football ci tenevano le tute di ricambio, o i nerd li avevano pieni di calcolatrici, quaderni e testi non scolastici che leggevano nel tempo libero.
A Carly non era mai piaciuta la divisione in classi che vigeva in ogni scuola, ma non aveva mai saputo cosa fare a riguardo, anche perché non c’era nessuno in particolare da incolpare. Semplicemente, un giorno, le persone si erano divise in gruppi e quei gruppi erano rimasti tali negli anni, non permettendo alla gente di fare amicizia.
I giocatori di football stavano coi giocatori di football, le ragazze pon-pon con le ragazze pon-pon, i nerd con i nerd, la gente normale con la gente normale e così via. Perfino in mensa ogni gruppo aveva una propria zona, e se quello era il tavolo delle cheerleader se non eri una di loro non potevi usarlo, neanche se era vuoto perché loro erano andate a mangiare sul prato del giardino.
“Ehi, mi stai ascoltando?”
Logan le passò una mano davanti al viso e lei si riscosse.
“Eh? Cosa?”
“Stavo parlando del cibo della mensa, ma a quanto pare dovrò ricominciare daccapo.”
“Non serve,” disse Carly, superandolo. “Andiamo avanti, così finiremo prima.”
Continuò a camminare e fece per uscire in giardino dalla porta della mensa, quando Logan le afferrò il polso, voltandola verso di sé.
Una delle signore della mensa che stava spazzando il pavimento si fermò a guardarli per qualche secondo, poi tornò al suo lavoro.
“Si può sapere che problema hai?!” Esclamò, guardandola dritto negli occhi. “E non tirare fuori le stupidate di ieri sera, perché non attacca.”
Carly boccheggiò, cercando di liberarsi dalla presa di Logan. Quando si accorse che il ragazzo non aveva assolutamente intenzione di lasciarla andare, lo trascinò fuori dalla mensa con uno sbuffo.
Il giardino della Beverly Hills High School era immenso e ben tenuto; nelle giornate di primavera doveva essere fantastico mangiare sull’erba anziché dentro alla mensa.
“Perché ce l’hai con me, Carly? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
Carly indietreggiò.
Si era fatta anche lei quella domanda, la sera precedente. Perché ce l’aveva tanto con Logan? Per pregiudizio? Eppure non sembrava poi così male. Era un tipo gentile e sembrava anche simpatico. Aveva cercato di essere carino con lei fin dal momento in cui era arrivata, non poteva essere solo una facciata. Allora, perché lo odiava così tanto?
“Non… Tu non…” lo guardò boccheggiando per qualche minuto, poi assottigliò le palpebre. “Lasciami solo in pace, okay? Non cercare di essere gentile con me, non aiutarmi, non starmi intorno! Non voglio la tua compagnia, né il tuo aiuto, né te. Va bene? Stammi alla larga!”
Non sapeva perché l’aveva detto, lui aveva solo cercato di capire cosa non andava, come qualsiasi persona normale. Non era da lei attaccare qualcuno così, senza una ragione, perché lui doveva farla sentire così arrabbiata?
Logan abbassò lo sguardo e Carly pensò che, questa volta, avesse davvero esagerato.
“Come ti pare,” rispose.
S’infilò le mani nelle tasche dei jeans e si allontanò.
“Dove stai andando?” Gli urlò dietro Carly.
Logan voltò leggermente il viso.
“Prima andiamo, prima finiamo,” disse. “È quello che vuoi, giusto?”
 
 
Carly sospirò, infilando i libri nello zaino mentre suonava la campanella. Si alzò in fretta dal banco e, dopo aver rivolto un cenno di saluto all’insegnante di scienze, lasciò l’aula in direzione dell’uscita.
Dopo il giro della scuola con Logan, quella mattina, non gli aveva rivolto la parola per tutto il giorno. Aveva perfino rifiutato l’invito a pranzo di Shiver e si era chiusa in bagno a mangiare un panino, una cosa piuttosto patetica.
Si sentiva estremamente in colpa per ciò che aveva detto a Logan e non pensava che lui avesse voglia di averla intorno. E non aveva affatto torto, neanche lei si sarebbe voluta intorno.
Aveva provato a convincersi per tutto il resto della mattina di aver fatto la cosa giusta, che allontanare il suo fratellastro dicendogli quelle cose fosse stato solo un gran bene, ma più se lo ripeteva più sentiva lo sguardo amareggiato di Logan perforarla.
Prima andiamo, prima finiamo. È quello che vuoi, giusto?
No, non era quello che voleva.
Quello che voleva era essere ancora a New York, nel suo appartamento, con i suoi vecchi a mici e la sua vecchia vita. Voleva non essersi trasferita tanto lontano da casa e non dover ricominciare da capo.
Non era con Logan che ce l’aveva, in realtà. Ce l’aveva con sua madre per essersi innamorata di un californiano anziché di un newyorkese. Ce l’aveva con sua madre perché meritava di essere felice e desiderare di non essersene mai andata da New York la faceva sentire in colpa. E ce l’aveva con suo padre, tremendamente, per essere stato l’uomo sbagliato.
Probabilmente anche a Logan non piaceva il fatto di dover vivere con lei, ma non glielo faceva pesare così tanto. Cercava di essere gentile e, in un certo senso, era come se le dicesse ‘senti, questa situazione fa schifo anche a me ed è difficile, quindi, dato che siamo sulla stessa barca, che ne pensi di remare insieme?’.
Un gruppetto di ragazzi la urtò, facendole cadere a terra il libro che teneva in mano. Si chinò per raccoglierlo e, quando alzò lo sguardo, vide Logan che si dirigeva verso l’uscita.
Deglutendo, iniziò a correre tra la folla.
Quando gli afferrò il braccio, Logan rimase piuttosto stupito.
“Non avevi detto che volevi starmi alla larga?”
Carly arrossì, abbassando lo sguardo. Lo trascinò fuori dalla scuola, nel giardino e poi oltre il cancello, imboccando la strada che li avrebbe portati a casa.
“Mi dispiace per quello che ti ho detto stamattina,” disse, dopo qualche minuto di silenzio. “Io… Io non volevo, davvero.”
Logan non rispose, si limitò a camminare di fianco a lei con le mani nascoste nelle tasche dei jeans.
“Non mi hai fatto niente di male, dico davvero, sono io che sono un’idiota,” continuò Carly. “Me la sono presa con te perché… Be’, perché…”
“Perché pensavi che fossi diverso?”
Carly alzò lo sguardo su di lui e notò un’ombra coprirgli gli occhi. Chissà quante volte nella sua vita era stato giudicato solo per il suo nome e non per chi era veramente. Questa consapevolezza fece sentire Carly un vero schifo.
“Anche,” ammise. “In realtà ce l’ho con mia madre, per avermi trascinato qui. Lo so che è giusto che lei sia felice e, credimi, tuo padre è una persona fantastica e sono davvero contenta che abbia scelto lui. Ma io ho dovuto lasciare la mia vita e mi fa male.”
Logan rimase ad ascoltarla in silenzio, guardando dritto davanti a sé.
All’improvviso si fermò e la strinse in un abbraccio.
Carly rimase immobile tra le sue braccia, gli occhi spalancati dalla sorpresa e l’alto di Logan che le soffiava sul collo.
“Scusa,” borbottò dopo un po’, lasciandola andare.
Carly si portò i capelli dietro le orecchie, scuotendo il capo.
“Non importa,” disse. “Mi dispiace di essermela presa con te, sul serio.”
Logan sorrise, riprendendo a camminare verso casa.
“Che ne dici di provare a convivere pacificamente?” propose.
Carly rise, voltandosi verso di lui.
“Non ti garantisco niente, Lerman, ma sono una a cui piacciono le sfide.”
Il sorriso di Logan si allargò e il ragazzo si avvicinò a lei, dandole una spallata giocosa.
Raggiunsero ridacchiando il cancello e Carly guardò il profilo di Logan, così delicato e ancora un po’ infantile. E pensò che forse non sarebbe stata affatto una sfida, forse sarebbe stato anche fin troppo semplice. 








-
Hola! :) Buona sera a tutti. 
Bene, bene, eccomi qua. Be', volevo ringraziare chi ha letto/recensito il primo capitolo. Davvero, mille grazie. Spero che questo non vi deluda. Siamo ancora agli inizi, ma mi farebbe davvero piacere sapere che questa storia è apprezzata da qualcuno almeno la metà di quanto a me sta piacendo scriverla. 
Comunque, non voglio importunarvi oltre, grazie di nuovo a tutti, 
Emily. 
 
PS. Nel prossimo capitolo ci sarà anche una piccola sopresa che coinvolgerà i prestavolto dei personaggi di: Lily, Simon, Shiver e Dean Collins. Spero che vi piacerà!
 
*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone The Scientist dei Coldplay. 

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Capitolo 3
*** I'm living a teenage dream ***






 I’m living a teenage dream

 
Dalle vetrine trasparenti del Sweetooth si vedevano le persone che passeggiavano sul marciapiede, avvolte nella luce calda del sole. Alcuni camminavano da soli, con le mani in tasca e lo sguardo rivolto all’orizzonte, altri portavano a spasso il cane o ridevano abbracciati a qualcun altro.
Carly sospirò, girando il suo frappé alla fragola con la cannuccia blu.
Sentì le risate degli altri ragazzi arrivare da lontano, come se non fossero seduti solo a pochi metri da lei ma molto di più.
Era passato un mese dal suo arrivo a Los Angeles e le cose erano andate meglio di come pensava. Si era integrata bene a scuola, prendeva buoni voti, aveva degli amici e Logan si era rivelato non essere poi così male. Anche se, certe volte, faceva la scontrosa con lui solo perché non voleva ammettere a se stessa che si era sbagliata completamente sul suo conto. Era un comportamento estremamente infantile, ma Carly non riusciva a farne a meno.
Girò di nuovo la cannuccia all’interno del frullato, osservando il liquido rosa che vorticava, formando un piccolo mulinello pigro.
“Mi sa che a New York oggi piove,” disse una voce alle sue spalle e Carly si voltò.
Logan la osservava con un mezzo sorriso sulle labbra e lo sguardo divertito. Dietro di lui, seduti ad un piccolo tavolo rettangolare, i loro amici sussurravano ridacchiando. Dean, il migliore amico di Logan, alzò la testa, li guardò per qualche secondo e poi tornò a confabulare con gli altri.
Il loro gruppo era formato da sei persone fisse più qualche ‘pendolare’, come si divertiva a chiamarli Dean. Lui e Logan uscivano insieme a Shiver, Thomas e Samantha dalla medie e, a parte un brutto litigio tra Shiver e suo fratello gemello Thomas che aveva lasciato il gruppo ridotto a quattro membri per settimane (quando c’era Shiver non c’era Thomas e vice versa), non si erano mai separati. Ogni tanto si univano a loro le amiche di Shiver e Samantha o i compagni di scuola di Dean (che adesso faceva l’università).
Poi era arrivata lei e tutti l’avevano accolta a braccia aperte e, per un momento, Carly aveva sentito una fitta di felicità per Logan nel cuore. Nonostante lo conoscesse da pochissimo e non fosse ancora sicura se odiarlo o meno, sapeva che poteva essere difficile per le persone come lui avere dei veri amici e lui c’era riuscito, e ne aveva trovati anche di stupendi.
Scosse il capo, guardando Logan con le sopracciglia inarcate.
“Cosa?”
Logan ridacchiò, sedendosi sullo sgabello accanto al suo.
Il Sweetooth si trovava nel centro di Los Angeles. Era una piccola caffetteria con i tavolini bianco panna e le pareti rosa confetto. Le ragazze che servivano i frappé e i gelati indossavano dei grembiuli fucsia con i merletti e dei capellini con la scritta Sweetooth di un bianco accecante. La cosa più bella del Sweetooth, a parte i buonissimi frappé, era il lungo tavolo bianco che costeggiava la vetrina e che ti permetteva di osservare il via vai della città mentre intingevi una morbida brioche in una tazza di cappuccino fumante.
“Sei cupa,” si spiegò Logan, osservando il suo viso corrucciato.
Carly cercò di distendersi, ma non dovette ottenere un buon risultato perché Logan soffocò una risatina.
“Non sono cupa,” disse, incrociando le braccia al petto.
“Però sei permalosa.”
Carly arricciò le labbra. “Non sono permalosa.”
Logan scrollò le spalle e avvicinò il viso al suo frappé, succhiandone un po’ dalla cannuccia.
“Cosa fai?!”
“Tu non lo stavi bevendo,” si giustificò il ragazzo.
“È il mio frappé!” Protestò Carly.
Logan si spazzò via una goccia di frullato dalle labbra con la punta della lingua. 
“Sei anche possessiva,” commentò. “Dovrò segnarmele tutte queste cose…”
Carly gli schiaffeggiò una spalla, guardandolo con aria imbronciata.
Logan alzò gli occhi al cielo, come se si stesse facendo un appunto mentale.
“Violenta…” sussurrò.
“Vuoi piantarla?!”
In quel mese durante il quale aveva condiviso la casa con Logan aveva imparato che poteva essere estremamente insopportabile, se voleva, e che era molto incline alla presa in giro, abitudine estremamente contrastante con il carattere permaloso di Carly. Negli anni aveva imparato a controllare il proprio livello di permalosità, ma c’erano cose che ancora la facevano imbronciare seppure insignificanti. E Logan l’aveva capito, e, ovviamente, la cosa non aveva fatto altro che aumentare il suo essere irritante. Il problema era che quell’irritazione agitava qualcosa nello stomaco di Carly, qualcosa che le mancava quando non la mandava in bestia.
“Ragazzi,” la voce di Samantha attirò la loro attenzione. “Noi andiamo a fare un giro,” annunciò.
Logan annuì e poi la guardò.
“Okay,” disse lei. “Ci vediamo domani.”
Samantha fece loro un cenno di saluto con la mano e precedette gli altri fuori dal locale. Thomas si limitò a sorridere, mentre Shiver si avvicinò per scoccare a Carly un lieve bacio sulla gota.
“Mi raccomando, voi due,” disse invece Dean, ammiccando. “Non fate deviazioni tornando a casa.”
Carly avvampò e Logan scosse il capo nascondendo un sorrisetto sconsolato.
“Ciao, Dean,” si limitò a dire e quello se ne andò salutando Carly con la mano.
Quando anche Dean fu sparito tra la folla, Logan balzò giù dallo sgabello, sgranchendosi le gambe.
“Allora, cosa ti va di fare?”
Carly lo guardò inarcando le sopracciglia.
“Ehm, non vuoi andare a casa?”
Il ragazzo arricciò il naso, guardandola con un sorriso.
“A casa non c’è nessuno e il frigo è sicuramente vuoto, ormai stiamo andando avanti a cibo take-away.”
Con una smorfia, Carly annuì.
Sua madre e il padre di Logan erano talmente impegnati con il lavoro che nessuno aveva più tempo di cucinare e lei e il suo fratellastro finivano sempre per telefonare al ristorante cinese o giapponese più vicino per ordinare qualcosa all’ultimo minuto. Non che non le piacesse il cibo esotico, senza contare che Logan andava pazzo per il sushi (la sola parola bastava per fargli illuminare gli occhi di una strana luce, cosa per cui Carly aveva iniziato a prenderlo in giro), ma se avesse visto un’altra confezione di noodles ci avrebbe vomitato dentro.
“È domenica, magari oggi mamma è tornata presto.”
Logan la guardò con scetticismo e Carly fu costretta ad ammettere quanto poco credibili fossero le sue parole.
“Be’, allora cosa proponi di fare?”
Sul viso del ragazzo si aprì un sorriso, segno che aveva avuto qualcosa in mente per tutto il tempo. Le afferrò la mano e la trascinò fuori dal Sweetooth, mescolandosi alle persone che affollavano il marciapiede.
“Logan!” Protestò lei, cercando di liberare la mano dalla presa del ragazzo. “Dove stiamo andando? Logan!”
Quando raggiunsero una zona un po’ meno affollata, Logan la lasciò andare, girandosi verso di lei con un sorriso rassicurante. E Carly si calmò.
“T’ho detto mille volte di non guardarmi in quel modo,” disse, distogliendo lo sguardo. Era lo stesso sorriso che le aveva rivolto la sera del suo arrivo, quando l’aveva seguita per la scale dopo cena per chiederle come mai ce l’avesse con lui. Lo stesso che le rivolgeva ogni tanto e, senza che lui lo sapesse, che le faceva tremare un po’ le gambe.
“In quel modo come?”
“Come… come se…” Carly prese a gesticolare, sentendosi le guance rosse come peperoni. Alla fine sospirò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. “In quel modo, punto.”
Logan alzò le spalle, lasciando perdere. Le disse di seguirlo e cominciò a camminare lungo il marciapiede, tenendosi pochi passi avanti a lei. Attraversarono parecchie strade e svoltarono parecchi angoli, finché Logan non si fermò all’incrocio tra Sunset & Vine.
Carly guardò le due strade che si diramavano dall’incrocio, osservando i numerosi ristoranti con i tavolini a vetrina come quello del Sweetooth.
“Mi stai portando a mangiare in un posto costosissimo per caso?”
Logan sorrise, scuotendo il capo.
“Forse ti sembrerà strano, ma non vengo qui poi tanto spesso. Di solito io e un amico, Jake Abel, lo usiamo come punto di ritrovo per pranzare insieme, tutto qui.”
Carly annuì. Era una cosa bella sentire un ragazzo come Logan parlare di queste cose, lo faceva sembrare più vicino alla gente comune, più normale.
“Allora perché siamo qui?”
“Perché è un luogo turistico,” spiegò il ragazzo. “Un sacco di gente viene qui per vedere i ristoranti dalla strada.”
La ragazza lo guardò, arricciando le labbra.
“È un giro turistico?” Chiese.
Logan abbassò lo sguardo e per la prima volta Carly vide un’ombra d’imbarazzo sfiorargli il viso.
“Be’, ho pensato che, dato che non hai ancora fatto un giro della città, potevo portarti io da qualche parte. Los Angeles è la città più bella del mondo.”
Carly lo guardò inarcando le sopracciglia.
“Potrei avere da ridire sull’ultima affermazione.”
“Okay, New York,” esclamò Logan, mettendo su un sorriso. “Che vinca la migliore?”
Carly appoggiò le mani sui fianchi, annuendo.
“Puoi scommetterci.”
Il ragazzo le afferrò la mano e si allontanarono da Sunset & Vine, fermandosi davanti alla paletta di un autobus. Pochi minuti dopo un bus blu si fermò e un paio di signore anziane con delle buste della spesa scesero sul marciapiede. Dopo averle fatte passare, Logan le fece cenno di seguirlo sul mezzo pubblico. Si sistemarono su due sedili in fondo e Logan le lasciò il posto accanto al finestrino.
“Guarda fuori mentre andiamo,” le sussurrò all’orecchio.
Carly obbedì, appoggiando la guancia sul sedile e puntando gli occhi sul paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino.
Passarono davanti a Venice Beach e poi a Malibu. L’autobus si fermò un sacco di volte, ma Logan non dava l’impressione di voler scendere tanto presto. Continuarono a girare per la città per una buona mezz’ora, passando davanti a marciapiedi occupati da bancarelle e palazzi occupati da negozi d’alta moda.
Quando, dopo parecchio che guardava fuori dal finestrino, Carly si voltò verso Logan, notò che aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans un piccolo iPod blu e stava ascoltando la musica con le cuffie bianche infilate nelle orecchie. Sorridendo, tirò il filo di una di esse, facendola cadere.
Logan la guardò contrariato.
Lei non disse nulla, si limitò ad infilare la cuffia al proprio orecchio, permettendo alla musica dei Green Day di cullare la sua gita in pullman.
Finalmente, quando il mezzo si fermò per la settima o ottava volta, Logan si alzò e lei lo seguì fuori.
Percorsero un piccolo tratto a piedi, sempre condividendo le cuffie dell’i-Pod del ragazzo, questa volta accompagnati dai Beatles, finché non raggiunsero la walk of fame.
Per quanto Carly non fosse particolarmente interessata a questo genere di cose, rimase affascinata dalla strada ricoperta di stelle dorate e si ritrovò perfino a cercare qualche nome.
“Tu ne hai una?” Domandò, senza staccare gli occhi da terra.
Logan rise, fermandosi sulla stella di Madonna.
“Mi fa piacere che tu abbia una così alta considerazione di me,” disse, guardandola. “Ma non sono ancora abbastanza bravo per una di quelle.”
Carly alzò lo sguardo su di lui, arrossendo lievemente.
“Oh,” sussurrò.
Continuarono a camminare lungo la walk of fame finché non raggiunsero un’altra paletta dell’autobus e saltarono sul primo mezzo che si fermò.
“Un altro tour?” Chiese, ridacchiando.
Logan scosse il capo, dicendole di non sedersi neanche, tanto sarebbero scesi presto. Infatti, dopo un paio di fermate, il ragazzo le afferrò la mano e la trascinò giù dal bus.
Camminarono per un po’ in un quartiere piuttosto tranquillo, con casette arancioni tutte uguali. Così com’erano tutte uguali le macchine lussuose parcheggiate oltre i cancelli.
Si voltò per chiedere a Logan dove fossero e lo trovò che le sorrideva.
“Guarda lassù,” le disse, indicando un punto in alto.
Là, tra le colline, la scritta Hollywood risplendeva di un bianco brillante alla luce del sole.
Carly si fermò a guardarla con la bocca spalancata. Si aspettava che prima o poi, durante quel tour improvvisato di Los Angeles, Logan l’avrebbe portata ad incontrare la famosissima scritta, ma credeva che l’avrebbero vista più da vicino. Vista da laggiù, però, la scritta era sicuramente più bella. Si stagliava sul cielo limpido confondendosi a tratti con le nuvole bianche che le passavano accanto.
“Allora?” Domandò Logan, nascondendo un sorriso.
Carly si voltò verso di lui, sbattendo le palpebre. Poi si riscosse, appoggiando le mani sui fianchi e abbandonando l’aria inebetita.
“Ma non vale!” Protestò, arricciando le labbra. “Io non ti ho fatto fare un tour di New York!”
Logan rise, passandosi una mano tra i capelli.
“Ma io a New York ci sono stato,” ribatté. “E anche più di una volta,”
“Sì, ma-”
Il ragazzo le appoggiò un dito sulle labbra, zittendola, e Carly arrossì. Fece un rapido passo indietro, allontanando la propria bocca dalla pelle del suo fratellastro.
“Ammettilo, ho vinto io!”
“Non hai vinto tu,” rispose Carly. “Los Angeles è una bellissima città, ma New York rimarrà sempre la mia preferita.”
“Vuoi dirmi che preferisci la pioggia a questo sole?” Ribatté Logan, indicando il sole che splendeva luminoso e caldo nel cielo.
Carly annuì, alzando il mento.
“E preferisco lo smog, e la confusione, e essere svegliata la domenica mattina dai clacson, e passeggiare a Central Park, e-”
“Okay, va bene,” la interruppe Logan. “Ma secondo me sei matta.”
Carly lo squadrò in silenzio per qualche secondo, soffermandosi sulla sua espressione imbronciata. Il pensiero involontario che fosse carino quando arricciava le labbra a quel modo la fece sorridere e, subito dopo, mordere la lingua.
“Sembra quasi che tu voglia farmi dire che preferisco te alla mia vecchia vita,” disse, prima di realizzare quanto stupide fossero le sue parole. Logan non poteva volere una cosa del genere, si conoscevano a malapena. “Scusa, era una cosa idiota.”
Lui non disse niente, si limitò ad infilarsi le mani in tasca e a precederla verso la fermata dell’autobus.
“Sarà meglio tornare a casa,” suggerì e Carly annuì, seguendolo.
Il tragitto in pullman fu piuttosto silenzioso e Logan non le offrì di ascoltare la musica insieme, né Carly gli chiese di farlo. Trovarono un paio di posti liberi verso la metà del mezzo e si sedettero in silenzio, ognuno con lo sguardo perso fuori dai finestrini.
Los Angeles era davvero una città bellissima e Carly si pentì di essersi impuntata a quel modo, su a Hollywood. Forse avrebbe solo dovuto spiegargli che New York non era più bella, gli era solo rimasta più nel cuore.
Quando arrivarono a casa trovarono i loro genitori intenti a rassettare la cucina.
“Avete cucinato?!” Esclamarono increduli, guardando il cibo che cuoceva nel forno.
Caroline annuì con un sorriso, pulendosi le mani sul grembiule che teneva legato in vita.
“Siamo usciti prima da lavoro, così abbiamo pensato di mangiare decentemente almeno per stasera,” spiegò.
Carly sbatté le palpebre, non credendo ai suoi occhi. Cibo vero!
“Ah, Carly, tesoro, è arrivata questa per te, l’ho trovata nella cassetta della posta,” sua madre le porse una busta rossa, piuttosto pesante per contenere solo un foglio di carta.
Quando la voltò per vedere il mittente le si illuminarono gli occhi e, dopo aver biascicato qualcosa in direzione dei suoi genitori, sfrecciò su per le scale.
Si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, non curandosi di aver fatto troppo rumore, e si gettò sul letto, aprendo la busta con mani tremanti. Spiegò il foglio di carta che si trovava all’interno e scorse la lettera con occhi affamati.
 
Cara Carly,
come vanno le cose a Los Angeles?
Lo so che ci sentiamo praticamente tutti i giorni, ma mi sono ricordata di una cosa che ci siamo dette un po’ di tempo fa. Te lo ricordi quando abbiamo fatto i biscotti al pan di zenzero per la festa di Natale e abbiamo quasi dato fuoco alla mia cucina? Be’, mia madre lo ricorda bene.
Comunque, quel pomeriggio, dopo aver carbonizzato il nostro futuro da pasticcere, siamo salite sul tetto e abbiamo parlato. E tu mi hai detto che nessuno ti ha mai spedito una lettera e che sarebbe stato bellissimo riceverne una, perché avrebbe voluto dire che qualcuno ci teneva ancora a conservare le parole.
Hai sempre pensato di essere strana a pensare certe cose, io invece ho sempre pensato che tu fossi fantastica (non dire a nessuno che te l’ho scritto, però).
Probabilmente il tuo calendario sfoggerà un grande cerchio rosso sul sabato della prossima settimana, dato che è il mio compleanno. Te ne sei ricordata, spero.
Be’, ho pensato che potresti venirmi a trovare. Mia madre non c’è a causa del lavoro e avremmo la casa tutta per noi.
Ti ho mandato una copia delle mie chiavi dato che in mattinata esco con i ragazzi e non vorrei che tu ti ritrovassi chiusa fuori quando arriverai. Non so se gli altri rimarranno con noi anche nel pomeriggio, nel caso chiederò a Simon di venire, sono certa che muori dalla voglia di vederlo.
Ti prego, regalami una tua visita.
 
Ti voglio bene,
Lily.
 
PS. Se vuoi portare anche Logan, non ci sono problemi.
 
Carly ridacchiò, richiudendo il foglio di carta e tirando fuori le chiavi dalla busta rossa. Era ovvio che non ci fossero problemi se avrebbe portato Logan, anzi, Lily sarebbe sicuramente stata al settimo cielo.
Stava riponendo la busta e le chiavi nel primo cassetto della sua scrivania, quando qualcuno bussò alla porta. Prima ancora che potesse dire avanti, il volto di Logan fece capolino dal corridoio.
“L’esperimento è pronto, servono le cavie. Ci sei?” Ridacchiò.
Carly gli fece cenno di entrare e lui superò l’uscio, fermandosi in mezzo alla stanza.
“Hai impegni per il prossimo sabato?” Gli chiese, tutto d’un fiato. Sperò che non si facesse idee strane e che non scoppiasse a ridere, e non lo fece.
“No,” rispose, osservandola. “Non ancora, come mai?”
Carly aprì e chiuse la bocca un paio di volte poi, sbuffando, tirò fuori la lettera dal cassetto e gliela porse.
Logan la lesse velocemente e lei pensò che dovesse essere proprio matta per far leggere a un quasi sconosciuto una cosa così personale.
“Penso che si possa fare,” disse infine, restituendole il foglio. “Così pareggiamo i conti, New York.”
Carly ridacchiò, voltandosi per risistemare tutto nel cassetto della scrivania, mentre Logan si avviava fuori dalla stanza.
“Logan?” lo richiamò Carly, prima che sparisse dal corridoio. Il ragazzo si voltò. “Grazie.”
Logan le sorrise, quel sorriso che Carly non voleva che le facesse. Ma, per questa volta, non disse niente, limitandosi a seguirlo verso il piano di sotto. 



-
Saaalve :)
Ecco qua il terzo capitolo. So di non essere molto veloce nell'aggiornare (di solito sono una che aggiorna una volta alla settimana), ma sto cercando di destreggiarmi tra scuola, telefilm da seguire, libri di leggere, questa storia e un altro progetto a cui sto lavorando. Be', spero solo che l'attesa sia valsa la pena. 
Questo capitolo è più un capitolo di transizione, non succede niente di particolare perché ha il solo scopo di delineare meglio il rapporto tra Logan e Carly. Spero comunque che vi sia piaciuto. 
Bene, adesso veniamo alla sorpresa di cui vi ho parlato nello scorso capitolo. Negli ultimi tempi mi sono messa a fare banner - banner orridi, ma tralasciamo - perciò ho pensato di farne altri due per questa storia con i personaggi secondari. Ora, purtroppo non ho trovato nessuna foto di Dean che fosse adatta allo scopo, perciò lui è stato escluso. Scusatemi tanto. 
Ehm, be', ecco qua i miei esperimenti:







Bene, ecco fatto. Be', fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo :)
Un bacio a tutti, 
Emily. 


*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Teenage Dream di Katy Perry.

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Capitolo 4
*** If you don't know the way to hold me let me show you how ***





If you don’t know the way to hold me let me show you how

 
Il cortile della Beverly Hills High School era affollato come al solito. Le cheerleader erano raggruppate davanti all’ingresso e ridacchiavano tra sé, guardandosi intorno con aria di superiorità, mentre i componenti della squadra di football se ne stavano poco lontano da loro. Il capitano della squadra, Nathan Smith, se ne stava con la schiena appoggiata alla parete e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. I luminosi capelli biondi gli ricadevano sugli occhi chiari e le braccia erano rigide, come se si stesse trattenendo dal mollare i suoi amici e andarsene via. Per un momento, quando Nathan alzò gli occhi, il suo sguardo incontrò quello di Carly. Lei lo ignorò, dirigendosi verso il muricciolo di pietra sul quale erano seduti i suoi amici.
Appena la vide, Shiver balzò giù, andandole incontro. L’abbracciò stretta e le schioccò un rumoroso bacio sulla guancia.
“Buongiorno!” Esclamò la ragazza, facendo sventolare nell’aria mattutina i lunghi capelli biondi. Shiver era una ragazza molto affettuosa e, anche se con Lily Carly era abituata a gentilezze e affettuosità nascoste, non le dispiaceva avere qualcuno che le dimostrasse tanto spesso che le voleva bene. Certe volte era davvero gratificante.
Istintivamente, lo sguardo di Carly si posò su Logan che batteva i talloni contro la pietra ruvida.
“Grazie per avermi aspettata,” gli disse acida.
Logan alzò lo sguardo su di lei, reprimendo un sorriso.
“Non è colpa mia se sei una dormigliona,” si giustificò il ragazzo, alzando le spalle.
“Non sono una dormigliona,” protestò Carly, riempiendo in poche falcate lo spazio che li divideva e fermandosi proprio di fronte a lui. Se si fosse avvicinata ancora un po’ i loro nasi si sarebbero sicuramente scontrati. “Smettila di prendermi in giro, sei insopportabile.”
Logan sorrise, scompigliandole i capelli prima di scendere con un balzo dal muretto.
Il suono della campanella rimbombò nel cortile e gli studenti iniziarono ad avviarsi verso l’ingresso, Logan compreso.
“E non trattarmi come se fossi la tua sorellina!”
Il ragazzo si voltò verso di lei.
“Ma tu sei la mia sorellina,” rispose. “Sbaglio o il tuo compleanno viene dopo il mio?”
“Sì, ma- ah! Non ti sopporto!”
Logan ridacchiò, afferrando Thomas per un braccio e iniziando a parlottare con lui di qualcosa che Carly non si dette pena di scoprire.
Sbuffando, si avvicinò a Shiver e Samantha, seguendole all’interno dell’istituto.
“Tu e Logan sembrate proprio fratello e sorella,” commentò Sam, mentre si avviavano verso l’aula di chimica. “State sempre a battibeccare.”
“Se lui non fosse così insopportabile forse andremmo più d’accordo…” borbottò Carly, soffocando un’imprecazione nei confronti di Logan e la sua mania di prenderla in giro.
Quand’era arrivata a Los Angeles, circa un mese prima, aveva pensato che Logan fosse una persona orribile e che non avrebbe mai voluto avere niente a che fare con lui, a parte condividere lo stesso tavolo a pranzo e cena. Alla fine, però, Logan si era rivelato essere un tipo apposto e loro due avevano stretto una specie di patto per la sopravvivenza in casa. E non era stata una cattiva idea, a parte il fatto che litigavano un giorno sì e l’altro pure.
“Non è che Logan un po’ ti piace?” Azzardò Sam, guardando Carly con le sopracciglia alzate.
Carly avvampò, stringendosi forte i libri contro il petto.
“Ma va!” Esclamò. “Io e Logan? Figuriamoci. È troppo insopportabile perché io possa mai pensare a lui in quel modo.”
Sam alzò le spalle.
“Se lo dici tu.”
Le tre ragazze entrarono nell’aula di chimica proprio poco prima che il professore arrivasse. Quando il signor Stanley si chiuse la porta alle spalle, nella classe calò il silenzio.
Carly tolse i libri dalla cartella e li appoggiò sul banco, non facendo caso al professore che tirava fuori dalla sua valigia di pelle consunta alcuni fogli. Solo quando Shiver le dette una gomitata si decise ad alzare lo sguardo.
“Bene,” iniziò l’insegnante, appoggiando il bordo dei fogli alla cattedra per farli combaciare tutti. “Vi ho riportato i test della scorsa settimana.”
Carly si sentì gelare il sangue nelle vene. La settimana precedente avevano sostenuto i test di fine mese in tutte le materie e quello di chimica era stato in assoluto il più difficile di tutti – almeno per lei. E il fatto che dai fogli che il signor Stanley teneva in mano si vedessero solo linee rosse non prometteva niente di buono.
“Non sono molto soddisfatto dei vostri voti, ragazzi,” continuò l’insegnante, iniziando a girare tra i banchi per riconsegnare i test. “Alcuni di voi hanno frequentato il mio corso anche l’anno scorso e devo dire che mi aspettavo di meglio. Comunque, si tratta pur sempre del primo test, avete tutto il tempo di recuperare.”
Si avvicinò a Carly e le appoggiò il compito sul banco, guardandola con una lieve nota di disapprovazione.
“Vorrei parlare con tua madre, signorina Harris,” le disse soltanto, procedendo verso i banchi dietro di lei.
Carly deglutì, abbassando lo sguardo sulla grande E rossa scritta a pennarello sull’angolo in alto a destra del foglio. Sbirciò il compito di Shiver: una B+.
“Dai, in fondo il signor Stanley ha detto che puoi recuperare,” la incoraggiò la ragazza.
“Sì e intanto vuole vedere mia madre,” protestò Carly.
Per il resto della lezione il signor Stanley non fece altro che ripetere quanto fosse importante capire le formule per capire la chimica. Quando uscì dall’aula, Carly aveva la testa piena di equazioni che le ronzavano nel cervello mischiandosi tra di loro.
Il resto della mattinata lo passò a pensare alla sua E e a ciò che sua madre avrebbe detto a riguardo. Probabilmente le avrebbe proibito di andare a New York per il weekend, perciò doveva trovare una motivazione abbastanza forte per farla tornare sui suoi passi in caso fosse arrivata a tanto. E ci sarebbe arrivata, Carly la conosceva bene.
“Ehi, New York, ce l’hai ancora con me per stamattina?” Domandò Logan, sedendosi accanto a lei per la pausa pranzo.
Carly alzò la testa e lo guardò facendo una smorfia.
“Voglio solo morire in pace, posso?”
Logan allontanò il vassoio con il cibo della mensa, lanciando uno sguardo ai loro amici seduti qualche tavolo più in là.
Per riflettere su come convincere sua madre a farla andare da Lily nonostante il suo brutto voto in chimica, Carly aveva deciso di sedersi ad un tavolo da sola, così nessuno l’avrebbe disturbata. Alla fine, era arrivata alla conclusione che nessuna scusa sarebbe stata abbastanza forte da convincere sua madre a mandarla a New York, così aveva sprofondato il viso tra le braccia incrociate sul tavolo, aspettando che la pausa pranzo finisse e che iniziassero le lezioni del pomeriggio.
“Ahia, la situazione è peggiore di quanto pensassi,” commentò Logan. Si avvicinò alla testa di Carly, appoggiandole una mano sulla schiena. Le dita di Logan erano fredde a contatto con la sua maglietta e Carly si sentì scuotere da un brivido. “Magari se mi dici cosa è successo posso aiutarti.”
“Non fare il carino con me, Lerman,” borbottò Carly. “Non attacca. L’autografo non lo voglio.”
Logan ridacchiò, portandole le mani ai lati del viso e cercando di sollevarle la faccia. Dopo parecchi tentativi, finalmente Carly si arrese e il ragazzo riuscì a guardarla negli occhi.
“Ho preso una E in chimica e il professore vuole incontrare mia mamma,” spiegò.
“E tu hai parlato di morte per una cosa così stupida come un brutto voto?”
“No,” ribatté. “Ho parlato di morte perché sabato dobbiamo andare a New York da Lily e mia mamma non mi ci manderà mai dopo questa bellissima notizia!”
Logan le accarezzò distrattamente una spalla e Carly si sentì arrossire. Era impossibile non arrossire quando c’era Logan nei paraggi, soprattutto se ti guardava o ti toccava. Carly ormai ci aveva fatto l’abitudine.
“E io cosa ci sto a fare?”
Carly lo guardò inarcando le sopracciglia.
“Posso provare a parlare io con Caroline,” spiegò Logan, sorridendole.
Gli occhi della ragazza si illuminarono e le sue labbra si incresparono in un sorriso.
“Davvero?” Chiese, entusiasta. “Davvero lo faresti?”
“Se iniziassi ad essere un po’ meno acida con me…”
Carly non lo ascoltò nemmeno, si slanciò in avanti e lo strinse in un abbraccio, allacciandogli le braccia attorno al collo.
“Grazie, grazie, grazie,” gli sussurrò contro la spalla.
Quando si allontanò notò che Logan aveva le guance accese di un lieve rossore, ma pensò che fosse a causa della luce del sole che gli arrivava diretta in viso.
Involontariamente, lo sguardo di Carly cadde oltre le spalle del ragazzo, sul tavolo dove i loro amici stavano mangiando. Incontrò gli occhi chiari di Sam che le sorrise in modo strano, come se sapesse qualcosa che loro non sapevano.
 

 
Carly si mordicchiò il labbro, osservando sua madre che leggeva il suo compito di chimica seduta al tavolo della cucina.
Larry e Logan erano in salotto a guardare una partita di basket e Carly poteva sentire il telecronista che faceva un resoconto della partita. La squadra di Logan, i Lakers, stava vincendo alla grande.
“Be’, credo che questo cambi alcune cose,” disse infine sua madre, alzando gli occhi dal compito di Carly. “Il tuo insegnante ha detto di volermi vedere, c’è qualcosa che devi dirmi?”
Carly scosse il capo. In realtà, non aveva la più pallida idea del perché il signor Stanley volesse parlare con sua madre.
“Vorrà vederti visto il risultato di questo compito, presumo.”
Caroline annuì, appoggiando il foglio sul tavolo e concentrando lo sguardo e l’attenzione sulla figlia.
“Lo sai che mi dispiace, Carly,” iniziò e Carly sentì le gambe farsi di gelatina. “Non puoi andare da Lily a New York questo fine settimana, sei in punizione.”
“Ma mamma!” Protestò. “Lo so che me lo merito, però non l’ho fatto apposta. Voglio dire, io mi sono preparata per il compito, e poi ho diciotto anni!”
Caroline inarcò un sopracciglio.
“So che sei un’adulta, ma è evidente che non ti sei impegnata abbastanza.”
“È il compleanno di Lily, ci tiene tantissimo e ci tengo anch’io. Non puoi mettermi in punizione la prossima settimana? Giuro che non uscirò di casa e non chiamerò nessuno. Posso darti Harry e il telefono in custodia, e anche i libri. Mamma, se mi togli i libri mi ucciderai!”
“Non è una punizione se te la scegli,” rispose sua madre. “Mi dispiace, Carly, ma la risposta è no. Odio metterti in punizione, ma è necessario. Questo finesettimana studierai chimica e recupererai questo brutto voto. Sei all’ultimo anno, Carly, non puoi più permetterti di comportarti come una ragazzina.”
Carly fece per ribattere, poi sentì un grosso groppo bloccarle le parole in gola ed ebbe voglia di piangere.
“Non sto facendo la ragazzina,” disse, con una calma che non credeva di poter sfoggiare. “Sei tu che mi hai trascinata qui, sei tu che mi hai portata via da New York. Mi hai strappato via la mia vita!”
Caroline sospirò, massaggiandosi la radice del naso con stanchezza. E dolore. Carly non era disposta a rendersene conto, ma nascosto da qualche parte c’era anche quello.
“Voglio solo rivedere la mia migliore amica, non mi sembra di chiedere la luna.”
“Forse dovresti smetterla di essere così attaccata a quello che avevi prima,” le disse sua madre, guardandola negli occhi. “Non tutte le cose ritornano, Carly, alcune dobbiamo lasciarle andare e accettare il fatto che sia per sempre.”
Quelle parole la colpirono come uno schiaffo e Carly indietreggiò.
“Io… Io… Vado a farmi un giro.”
Non si rese neanche conto di sua madre che si alzava e urlava il suo nome, sentì solo la porta d’ingresso sbattere dietro di lei e i suoi piedi camminare sull’asfalto, diretti il più lontano possibile da casa sua.
 

 
La vecchia catena rugginosa dell’altalena su cui Carly era seduta cigolò, mentre la ragazza strusciava i piedi sulla terra rossastra del parco.
Era stata fuori tutto il pomeriggio e ora il sole era quasi tramontato oltre le colline. Non sapeva dov’era di preciso, le sue gambe avevano camminato senza meta per ore finché non era arrivata in quel parco e si era messa a dondolare sull’altalena, come quand’era bambina e suo padre la spingeva tanto forte da farle sembrare di stare volando.
Probabilmente sua madre stava impazzendo di preoccupazione, ma a Carly non importava. Non le importava che forse la stavano cercando, né che non aveva la più pallida idea di come tornare a casa. Riusciva a pensare solo alla faccia che avrebbe fatto Lily quando le avrebbe detto che non poteva andare a New York per il weekend, tutto per colpa di uno stupido test di chimica e della cocciutaggine di sua madre.
Calciò un sassolino con un sospiro e quello sparì tra l’erba alta che cresceva poco più in là.
“Carly, grazie al cielo!”
Carly si voltò, incrociando lo sguardo blu di Logan. Il ragazzo era affannato e aveva le gote arrossate per la corsa. Carly si sentì subito un’idiota per averlo costretto a correre per la città.
Logan si avvicinò a lei, appoggiandole le mani sulle spalle e piegandosi leggermente sulle ginocchia per arrivare all’altezza dei suoi occhi.
“Ci hai fatto morire di paura, tua madre ha quasi chiamato la polizia. Come ci sei arrivata qui?”
Carly fece per rispondere, poi richiuse la bocca e abbassò lo sguardo, tracciando linee a casaccio sulla terra rossa con la punta delle scarpe.
“Ho camminato,” rispose dopo un po’. “E mi dispiace. Cavoli, ti ho fatto correre in giro per la città solo per cercarmi.”
Logan sorrise, allontanandosi un po’ e appoggiando la spalla contro uno dei palli che sorreggeva le altalene.
“Come mai sei sparita in questo modo? Per quello che è successo con tua madre?”
Carly annuì, rigirandosi le mani in grembo.
“Io ci devo andare a New York, capisci? Devo!
Il ragazzo sospirò, abbassando le palpebre per qualche secondo.
“Be’, vedila anche dal suo punto di vista…”
“Che fai ora, stai dalla sua parte?”
“Non è questo,” rispose Logan. “È tua madre e ogni tanto deve fare la parte della cattiva, ma questo non vuol dire che lo sia davvero.”
Carly arricciò le labbra.
“Lo so,” disse. “Ma io ho rinunciato a tutto per lei e pensavo che lei potesse rinunciare a mettermi in punizione questo fine settimana per me.”
“Non credi di essere un po’ tragica? In fondo da Lily puoi andarci quando vuoi.”
“Non sono tragica. Era una cosa importante per me.”
Logan non disse niente e Carly abbassò lo sguardo sulla punta impolverata delle proprie converse. Forse aveva davvero esagerato con sua madre e Logan aveva ragione: a volte una mamma deve fare la parte della cattiva anche se non lo è. Ma Carly aveva pianificato quel finesettimana nei minimi dettagli e Lily era stata così entusiasta quando gli aveva detto che si sarebbero incontrate per il suo compleanno che l’idea di spazzare via quella gioia dal volto della sua migliore amica le stringeva il cuore in una morsa durissima.
“Dai,” le disse Logan, afferrandole una mano. “Torniamo a casa, prima che diano per disperso anche me.”
Probabilmente aveva cercato di farla ridere, ma Carly non riuscì neanche ad abbozzare un sorriso di cortesia.
Cominciarono a camminare lungo la strada illuminata solo dai lampioni, uno accanto all’altra, ancora mano nella mano.
Quando arrivarono a casa sua madre la strinse in un abbraccio spacca costole, poi le disse che era ancora più in punizione di prima. Rimasero a discutere per alcuni minuti poi Carly, sconfitta, si trascinò fino alla sua stanza.
Harry giaceva ancora sulla scrivania, segno che sua madre aveva deciso di darle la possibilità di avvertire Lily riguardo il viaggio a New York.
Con il cuore pesante Carly si sedette di fronte al PC e lo accese, battendo le punte delle dita sul piano di legno della scrivania nell’attesa. Appena lo schermo s’illuminò di blu, Carly corse all’icona di Skype, chiamando Lily con mani tremanti. Dopo pochi minuti, il volto lentigginoso della sua migliore amica sostituì lo sfondo del suo computer.
Ehi, straniera,” esclamò, sorridendole.
Quel sorriso le fece sanguinare il cuore, così tanto che si stupì quando, dopo essersi appoggiata una mano sulla maglietta, non la trovò imbrattata di rosso.
“Ehi, come vanno le cose?”
Lily scrollò le spalle e Carly intravide alle sue spalle il poster di Logan che teneva appeso ad una delle ante dell’armadio. Per un momento pensò che le foto non rendevano la minima giustizia ai suoi occhi blu.
I ragazzi non vedono l’ora di vederti,” le disse Lily. “Simon ha perfino rinunciato ad un appuntamento  con una ragazza!
“Oh. Simon si vede con una ragazza?”
Lily si mordicchiò il labbro, rendendosi conto di aver detto la cosa sbagliata.
Be’, ci prova, ma penso che sia ancora innamorato di te.
Carly annuì, deglutendo. L’entusiasmo di Lily e dei suoi amici non faceva altro che rendere tutto più difficile.
“Sai, ho preso una E in chimica,” le disse, ridacchiando. “Mio padre mi metteva sempre in punizione quando prendevo dei brutti voti, ma la mamma non lo faceva quasi mai, te lo ricordi?”
Lily annuì, aggrottando le sopracciglia.
“Ma sono all’ultimo anno e i miei voti contano di più,” continuò, rendendosi conto che le parole le uscivano così veloci dalle labbra che, probabilmente, Lily avrebbe capito la metà di quello che lei voleva dirle. “E poi ho litigato con mia mamma e sono scappata di casa, e Logan è dovuto venire a cercarmi. Cavoli, l’ho fatto correre per mezza Los Angeles. Ovviamente, adesso sono più in punizione di prima.”
Lily rise, portandosi i capelli dietro le orecchie per scoprire il viso dalla pelle chiara e lentigginosa.
Tua madre ti avrà requisito tutti i libri che devi leggere.”
“Gliel’ho proposto,” disse Carly, abbassando lo sguardo sulla tastiera. “Ma ha detto di no. Io… Io credo non poter venire sabato. Lei mi ha… proibito di venire.”
Il sorriso sul volto di Lily si congelò e le due ragazze rimasero in silenzio per qualche minuto. Gli unici rumori erano i clacson che strimpellavano nel traffico di New York.
È il mio compleanno. Hai… Hai detto che saresti venuta,” rispose Lily. “Non puoi convincerla? Insomma, hai diciotto anni! Sei maggiorenne, puoi fare quello che ti pare!
Carly sospirò, mandandosi i capelli indietro con la mano.
“Non è così semplice,” disse. “Lo sai quanto voglio venire e quanta voglia ho di tornare a New York, ma lei è stata irremovibile, ha detto che mi avrebbe messo le sbarre alla finestra se necessario. Certe volte penso di averle fatto vedere troppe volte Harry Potter,” ridacchiò Carly, ma Lily non rise, non accennò neanche a un sorriso.
I ragazzi non vedevano l’ora. Anch’io non vedevo l’ora.
“Lo so e mi dispiace. Credimi, se potessi verrei. Non vedevo l’ora neanche io.”
Lily sospirò, allontanando la sedia dalla scrivania e diventando leggermente più piccola sullo schermo di Carly.
M’inventerò qualcosa. Spero che tu stia bene con i tuoi nuovi amici di Los Angeles. Ci sentiamo Charlotte.
“No, Lily, aspetta!” Ma lo schermo era di nuovo blu e il volto di Lily era sparito.
Avrebbe preferito che Lily le urlasse contro, che le dicesse che era una stupida perché aveva preso un brutto voto e poi era sparita per un pomeriggio, facendo diventare ancora più nero l’umore di sua madre. Avrebbe preferito che non le dicesse quante aspettative tutti riponevano in lei. Avrebbe preferito tutto al suo sguardo ferito e a quelle ultime parole fredde, distaccate, dette come se ormai loro due non facessero più parte della stessa vita. Come se la loro amicizia fosse esistita una vita fa.
Sentì le lacrime pungerle gli occhi e si gettò sul letto, stringendo forte uno dei cuscini tra le braccia e immaginando che fosse la sua migliore amica. Lentamente, iniziò a sentire i capelli di Lily solleticarle il naso e il suo odore di fresco profumare l’aria; iniziò a sentire la sensazione calda delle sue braccia esili e scoppiò a piangere, perché probabilmente non l’avrebbe abbracciata mai più e tutto quello che le rimaneva della loro amicizia erano un paio di occhi vuoti.
Qualcuno bussò delicatamente alla porta, ma Carly non rispose. Dopo pochi secondi la porta cigolò e lei intravide dei piedi che camminavano sulla moquette.
Sentì una mano appoggiarsi sulla sua schiena mentre il materasso si piegava sotto al peso di una persona.
“Di questo passo tua madre ti sentirà e sono sicuro che non vuoi che ti senta,” sussurrò la voce di Logan.
Carly alzò gli occhi su di lui, ritrovandosi quelli blu del ragazzo a un passo dai propri.
“Ti dispiace?” Chiese lui, indicando lo spazio accanto a lei e lei scosse il capo. Logan allora si stese e allargò le braccia. Senza pensarci, Carly strisciò sul materasso e gli appoggiò il capo sul petto, lasciando che lui l’avvolgesse delicatamente.
“Forse tua madre ha ragione,” disse, dopo un po’, accarezzandole la testa. “A volte dobbiamo lasciar andare via le cose e accettare che sia per sempre.”
Carly scosse il capo, strofinando il viso sulla sua maglietta. Profumava di pulito.
“Erano tutti felici all’idea di rivedermi, il mio ex ragazzo ha perfino rinunciato a un appuntamento per esserci. Un appuntamento, capisci? Con una nuova ragazza. E ha mollato tutto per me.”
Logan s’irrigidì leggermente, ma continuò ad accarezzarle la testa. Rimasero in silenzio finché i singhiozzi di Carly non furono cessati del tutto e lei si era ridotta solo a tirare su col naso di tanto in tanto.
L’abbraccio di Logan era caldo e accogliente, quasi fraterno, e Carly pensò che sarebbe volentieri rimasta così per tutta la notte.
Quando il ragazzo fece per alzarsi, Carly gli afferrò la maglietta, avvampando.
“Resta,” sussurrò, prima di perdere il coraggio. “Per favore. Rimani.”
Logan non disse nulla, si limitò a stendersi di nuovo e a riprenderla tra le braccia, arricciandole i capelli intorno alle proprie dita mentre lei si aggrappava alla sua maglietta.
“Stringimi un po’ più forte, voglio essere sicura che ci sei,” disse, poi chiuse gli occhi e l’ultima cosa di cui fu consapevole fu la stretta di Logan, salda, attorno ai suoi fianchi che le assicurava che lui era lì e ci sarebbe stato ancora il mattino seguente. 




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Buon pomeriggio a tutti :)
Prima di tutto volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito i capitoli precedenti: grazie mille, davvero!, e anche chi ha messo la storia tra seguiti/preferiti: grazie anche a voi =D Un grazie enorme va anche, ovviamente, a chi l'ha solo letta. 
Spero davvero che questo capitolo non vi deluda, ci ho messo tanto a scriverlo e ci tengo molto, è uno dei miei preferiti, perciò fatemi sapere cosa ne pensate! :D
Vi ricordo che Harry è il PC di Carly, perciò non pensate che io sia impazzita se ogni tanto leggete un 'Harry era ancora sulla scrivania' o 'chiuse Harry e...' ;) 
Niente, grazie di nuovo a tutti, 
Emily. 

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Only the Horses degli Scissors Sisters

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Capitolo 5
*** Little Talks ***





Little talks

 
Logan arrotolò l’indice attorno a una delle ciocche di capelli di Carly.
Il sole filtrava pigro dalla finestra, proiettando una chiazza luminosa sulla moquette scura che ricopriva il pavimento. Ogni tanto qualche nuvola bianca lo adombrava, riportando la stanza nella semioscurità.
Carly era ancora addormentata, con la testa appoggiata metà sul cuscino e metà sulla sua spalla. Le palpebre le tremavano leggermente e le labbra erano semidischiuse. Logan riusciva a sentire il fiato della ragazza vibrargli sulla clavicola. Sentiva il tessuto leggero della sua maglietta sotto alle dita e, oltre esso, i sui fianchi morbidi. Carly non era magra come le ragazze in biancheria che occupavano i cartelloni pubblicitari, ma la morbidezza dei suoi fianchi non faceva altro che rendere il toccarla più piacevole.
Con un mezzo sorriso continuò ad accarezzarla lentamente, giocando con i suoi capelli con l’altra mano.
Era bella, Carly, molto più bella di quanto si rendesse conto. Non era bella di una bellezza prorompente, come quella di tante ragazze che aveva conosciuto. Era una bellezza anonima, che si nascondeva tra le pagine dei libri che leggeva e tra le pieghe di quelle magliette troppo larghe che indossava sempre. Sua madre, Caroline, aveva il suo stesso tipo di bellezza.
Logan era rimasto subito colpito quando l’aveva vista la prima volta, all’aeroporto di Los Angeles, con il volto imbronciato e una grossa valigia. Aveva pensato che fosse la ragazza più normale che gli fosse mai capitato d’incontrare, una di quelle che passano inosservate tra la folla. Un’invisibile. Per la maggior parte della gente poteva essere una cosa brutta, ma Logan lo trovava fantastico. Trovava fantastico il suo essere semplice e il suo odiarlo senza una ragione particolare.
Molti pensavano che la fama fosse tutto nella vita. La verità era che la fama faceva schifo. Almeno per lui. Non sono il tipo di persona che ha fatto tutto questo solo per essere famoso, continuava a ripetere ai giornalisti, ma iniziava a pensare che nessuno ci credesse. Chissà se tutti la pensavano come Carly? Chissà se tutti credevano che essere attori alla sua età significasse essere egocentrici ed egoisti? Aveva sempre saputo che molte persone l’avevano avvicinato per il suo nome e non per chi era veramente, che molti avrebbero fatto carte false per conoscerlo solo perché era famoso e non perché era una persona interessante e qualcuno poteva avere voglia di essere amico di uno come lui. Lo sapeva e, anche se faceva male, l’aveva accettato, ma non aveva mai pensato alla probabilità di essere odiato.
Carly si mosse nel sonno, accoccolandosi contro di lui.
Logan sorrise, avvolgendole la vita con le braccia e stringendola delicatamente a sé. Stava per chinarsi e svegliarla, quando sentì dei passi rimbombare al piano di sotto. Gettò un’occhiata veloce all’orologio: le otto e mezza. Caroline sarebbe venuta a svegliare Carly a momenti.
Cercando di fare meno rumore possibile, Logan sciolse il suo abbraccio e scese dal letto, facendo cigolare lievemente il materasso. Prima di lasciare la stanza si chinò su Carly e le lasciò un bacio veloce tra i capelli. Poi, sparì nel corridoio.
 

 
Carly aprì gli occhi poco prima che sua madre facesse irruzione nella stanza, dicendole che se non si fosse alzata immediatamente avrebbe fatto tardi a scuola.
Istintivamente, la ragazza allungò una mano, trovando solo le coperte calde. A quel punto aprì gli occhi, ignorando la madre che stava lasciando la stanza sbuffando quanto un bollitore. Accanto a lei c’erano solo uno spazio vuoto e il ricordo del calore del corpo di Logan: se ne’era andato. Se n’era andato senza svegliarla.
Più offesa di quanto pensasse di aver diritto di essere, Carly si alzò e si tolse il pigiama, iniziando a radunare la sua roba.
A colazione evitò accuratamente di incontrare lo sguardo di Logan e si dette della stupida almeno cinque volte. Quando le loro mani si sfiorarono accidentalmente nel cestino dove sua madre aveva sistemato i toast, Carly si ritrasse di scatto e Logan la guardò con aria interrogativa, prendendo il suo pezzo di pane tostato.
Passarono il resto della colazione nel più assoluto silenzio, finché Larry non li spronò ad andare a scuola, dato che si erano fatte quasi le nove.
Con una certa fretta, Carly afferrò la propria borsa a tracolla e uscì, sperando di riuscire a mettere abbastanza passi tra lei e Logan.
“Carly, aspetta! Vuoi smetterla di correre?!”
Carly imprecò tra i denti, rallentando il passo. Non capiva perché stesse cercando così tanto di evitarlo, forse si sentiva ancora un po’ arrabbiata per essersi svegliata da sola quella mattina.
Come se ieri sera sia successo chissà cosa, si disse, maledicendosi.
Quando Logan la raggiunse aveva il fiatone e i capelli che schizzavano da una parte all’altra, come se avesse infilato le dita nella presa della corrente.
Continuarono a camminare in silenzio, finché Logan non le chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Carly fu sul punto di rispondergli che andava tutto bene, poi si morse la lingua, arricciando le labbra.
“Perché non mi hai svegliato stamattina?” Domandò invece, guardando dritto davanti a sé.
Logan boccheggiò, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
“Be’, non ti volevo disturbare,” rispose.
“E perché te ne sei andato?” Carly non avrebbe voluto fargli quella domanda, ma quella uscì dalla sua bocca con prepotenza, sconfiggendo la sua forza di volontà.
“Perché ho sentito tua mamma che arrivava,” spiegò Logan. “Non credo che sarebbe stata troppo felice di trovarmi nel tuo letto.”
Carly abbassò lo sguardo, arrossendo.
“Non stavamo facendo mica niente di male.”
“Non ho detto questo. Solo che siamo comunque un ragazzo e una ragazza che hanno dormito insieme, non ti sembra che per una madre possa essere un po’ sospetto?”
Carly ci pensò su. Forse se lei fosse stata al posto di sua madre qualche dubbio se lo sarebbe fatto venire. Ma non era questo il punto, e per quanto Carly cercasse di negarlo a se stessa, girava tutto intorno al fatto che lui aveva lasciato che si svegliasse da sola.
“Mi dispiace se ti ho lasciata da sola, io-”
Carly sventolò una mano in aria, abbozzando un sorriso.
“Figurati, non è quello. Affatto. Anzi, scusa se ti ho chiesto di dormire con me, non avrei dovuto.”
Logan strinse le labbra, ma non disse nulla, limitandosi ad annuire.
Continuarono a camminare in silenzio.
Si trovavano poco lontano dal cancello della scuola, quando Carly afferrò Logan per un braccio, costringendolo a fermarsi.
Il ragazzo abbassò lo sguardo su di lei, in attesa che dicesse qualcosa, ma Carly rimase in silenzio, con le labbra serrate e gli occhi fissi sul volto di Logan.
“C’è qualcosa che non va?”
Lei scosse il capo.
“Io… Che ne dici se andiamo in spiaggia?” Propose, lanciando uno sguardo alle proprie spalle.
“Adesso?” Carly annuì e Logan la guardò con un mezzo sorriso. “Vuoi marinare la scuola?”
“Be’… sì.”
“Sei già in punizione, vuoi davvero che la scuola chiami tua madre e le dica che oggi non ci siamo presentati?”
Carly alzò le spalle, guardandolo in modo strano.
“Appunto, ormai sono in punizione. Cos’altro può succedermi?”
Logan scosse lievemente il capo, però le afferrò una mano e la giudò verso la spiaggia.
“E poi, possiamo sempre raccontare che mi sono sentita male durante la strada, tu mi hai riportato a casa e poi sei rimasto con me per essere sicuro che andasse tutto bene. Io soffro di pressione bassa, ho avuto un calo di zuccheri e sono svenuta.”
“Sai che non ti crederanno mai, vero?” Le disse Logan. “Fai schifo ad inventare bugie.”
Carly sbuffò, sfilando la mano da quella di lui ed incrociando le braccia al petto.
Logan sorrise senza farsi notare, continuando a camminare verso la spiaggia.
Come c’era da aspettarsi, non c’era nessuno, solo qualche persona anziana che si faceva una passeggiata nell’aria mattutina. C’erano anche un paio di persone che portavano i cani a passeggio e alcune tate che spingevano delle carrozzine.
Logan l’aiutò a scavalcare il muricciolo che divideva la strada dalla spiaggia e poi la precedette verso un angolo appartato, nascosto tra le dune. Appoggiò a terra lo zaino e si tolse la felpa, stendendola sulla sabbia umida. Carly fece per imitarlo, ma lui le afferrò il polso e le fece capire che potevano usare entrambi la sua. Un po’ riluttante, la ragazza si sedette accanto a lui. Lo spazio era così ristretto che i loro fianchi e le loro spalle si toccavano.
“Perché sei voluta venire qui?” Le chiese Logan, guardandola.
Carly non si voltò per ricambiare il suo sguardo, mantenne gli occhi fissi sulle onde scure del mare invernale. Il rumore ritmico delle onde la fece rilassare, facendole venire voglia di riaddormentarsi. Possibilmente con le braccia di Logan che la stringevano.
Quando si rese conto di ciò che aveva pensato avvampò, dandosi della scema e scacciando via il pensiero. Lei non voleva che Logan l’abbracciasse, era stata una cosa tra fratelli quella della sera prima. Solo una cosa tra fratelli. Ecco, voleva un abbraccio fraterno da Logan, voleva che lui la consolasse come un fratello fa con una sorella. Voleva essere protetta da lui come avrebbe fatto un fratello.
“A New York non c’è la spiaggia, e anche se ci fosse il tempo non è mai abbastanza buono per andare al mare. I ricchi hanno tutti una casa agli Hamptons e ogni tanto noi ragazzi affittiamo una camera in un motel lì per un paio di giorni, tanto per sapere com’è il mare,” disse, continuando a fissare l’orizzonte. “Ma mia nonna sta in Florida, a Miami, e io il mare vero l’ho conosciuto, a differenza della maggior parte dei ragazzi di New York. Ed è stato un incontro bellissimo.”
“Tu parli sempre così?” Domandò Logan, osservandola.
Carly si voltò finalmente a guardarlo, con le sopracciglia aggrottate.
“Così come?”
“Come se tutte le cose fossero vere, reali. Adesso, per esempio, stai parlando del mare come se fosse una persona.”
Carly abbozzò un sorriso, tracciando delle linee casuali sulla sabbia. Sentì i granelli di sabbia infilarsi sotto alle unghie, ma non se ne curò.
“A me le parole piacciono un mondo,” iniziò, ma Logan la interruppe con una risatina. “Cosa c’è?”
Il ragazzo sventolò una mano in aria.
“Niente, niente,” si affrettò a rispondere. “È solo che tu parli un sacco, perciò diciamo che si vede che le parole ti piacciono.”
Carly s’imbronciò e Logan le dette una spallata giocosa, spronandola a continuare a parlare.
“Penso che le cose meritino di essere raccontate,” continuò la ragazza, prendendo tra le mani un po’ di sabbia e poi osservandola mentre le sfuggiva dalle dita. “Tutte le cose, anche quelle che non sembrano vere.”
Logan non disse nulla e rimasero entrambi in silenzio per un po’, ad ascoltare lo sciabordare del mare e lo stridio dei gabbiani che zampettavano sulla riva, giocando a rincorrersi con le onde.
“Perché leggi così tanto?” Chiese all’improvviso Logan.
“A te non piace leggere?” Domandò lei di rimando.
Il ragazzo scrollò le spalle, piegando la testa prima da un lato e poi dall’altro.
“Non è questo. Solo che tu leggi proprio tanto.”
Carly sorrise. Non era il primo che le diceva una cosa del genere. In quel momento le tornò in mente il suo primo appuntamento con Simon, quand’erano andati al cinema a vedere un film dell’orrore. Mesi più tardi, il ragazzo le aveva confessato di aver scelto quel film nella speranza che la spaventasse, così avrebbe avuto una scusa per passarle un braccio sulle spalle e stringerle la mano. Il fatto era che Carly adorava i film horror e non era ancora riuscita a trovarne uno che la terrorizzasse sul serio, perciò aveva passato tutto il film a sgranocchiare pop-corn, criticando la prevedibilità di tutta la vicenda, e lasciando Simon con un pugno di mosche. Quand’erano usciti dal cinema, lui l’aveva portata a cena da McDonald’s e avevano parlato molto, e lui le aveva chiesto perché passasse la pausa pranzo sempre con il naso infilato in qualche libro. L’aveva guardata nello stesso modo in cui la guardava Logan adesso, con un misto di confusione e stupore.
“Non credi che sia fantastico poter conoscere altre persone, visitare nuovi posti e farsi dei nuovi amici?”
“Sì, lo è, se questi posti e queste persone sono veri…”
“E chi ti dice che solo perché sono fatti di carta e parole non sono veri? Loro esistono perché qualcuno li ha inventati, il fatto che non siano fatti di carne e di ossa è tutta un’altra faccenda,” rispose, pensando ai suoi amati personaggi. A Harry, Peter, Alice e tutti gli altri. “Forse non mi capirai, ma i libri per me sono come dei gli amici che non mi abbandonano mai. Mi consolano e mi fanno felice, e sono gli unici che riescono a farlo. Con i libri puoi immaginare nuove storie, avere nuovi sogni.”
Logan la osservò in silenzio, stupito dalla fiamma che aveva acceso i suoi occhi quando aveva iniziato a parlare dei libri. Si era illuminata completamente.
“Forse non lo capisco, ma hai detto una cosa bellissima.”
Carly arrossì, nascondendo la punta delle scarpe sotto ad un sottile strato di sabbia.
“Posso chiederti una cosa io adesso?”
Logan sorrise, stendendosi sulla sabbia con le mani incrociate dietro alla testa. Annuì, dicendole che non c’era bisogno che gli chiedesse il permesso per domandare le cose, poteva domandarle e basta, e se ci fossero stati argomenti di cui non voleva parlare gliel’avrebbe detto.
“Perché vivi con tuo padre?” Chiese. “Voglio dire, di solito quando una coppia si separa i figli vanno a vivere con la madre.”
“Lo so, e in effetti avrei dovuto farlo anche io. Ma mia madre è la mia manager e tutte le volte che sono fuori per lavoro lei è sempre con me. Mio padre no. Certe volte non lo vedo per mesi. E lui è davvero fantastico, credo che non ci sia stata una volta in cui mi abbia fatto una ramanzina per una stupidaggine. Voglio dire, le stupidaggini dei genitori, tipo: perché hai fatto tardi? Con chi eri? Cos’hai fatto?. Era mia madre che si occupava di queste cose. E lo fa ancora,” ridacchiò, probabilmente ricordando qualche episodio legato a sua madre che faceva l’isterica con lui. “Una volta mi hanno lasciato a casa da solo per andare a cena insieme. Mio fratello e mia sorella erano con degli amici e io ne ho approfittato per invitare una ragazza. Non è che stessimo insieme o cose del genere, però ogni tanto ci vedevamo. Quando i miei sono tornati, mio padre ha aperto la porta e ci ha trovati che ci baciavamo. E ci stavamo proprio baciando, baciando. Allora lui ha richiuso la porta e ha bloccato mia madre fuori con non so quale scusa. È stato fantastico.”
Carly sorrise. Non faceva fatica a immaginare Logan con una ragazza, probabilmente ne aveva avute parecchie, ma per qualche ragione preferì non focalizzare la scena e lasciare che rimanesse un’immagine sfocata nella sua mente.
“Dopo è salito in camera mia e mi ha detto che la ragazza era davvero carina e che facevo bene a portarmela a casa di nascosto, dato che la mamma, se l’avesse incontrata, l’avrebbe sicuramente bombardata di domande e informazioni imbarazzanti sul mio conto.”
“Tipo quanto eri carino da piccolo?” Disse Carly, soffocando una risata.
Logan fece un verso strano e annuì.
“Esattamente.”
“Però lo eri.”
Logan si alzò di scatto a sedere, guardandola negli occhi con aria sospettosa.
“E tu come fai a saperlo?”
“A parte che girano delle tue foto su internet, tanto perché tu lo sappia. E poi tuo padre mi ha fatto vedere un album di foto,” gli disse, continuando a sorridere.
Logan sbatté le palpebre, sorpreso.
“Papà?”
Carly annuì, raccontandogli di quando Larry era salito in camera sua per parlare con lei, pochi giorni dopo il suo arrivo a Los Angeles. Erano rimasti a chiacchierare per qualche ora e lui l’aveva trattata come se avesse sempre vissuto in quella casa, dicendole quanto volesse che tutto andasse per il meglio perché ci teneva a sua madre e pensava che potessero essere davvero felici.
“E ce lo meritiamo, Carly,” le aveva detto. “Tutti ci meritiamo di essere felici.”
In quell’occasione le aveva dato un vecchio album di famiglia per mostrarle i suoi genitori e i suoi fratelli, e per caso avevano trovato delle vecchie foto di Logan da bambino.
“Oh,” sussurrò Logan, quando Carly ebbe finito di raccontare. “Be’, è piuttosto imbarazzante.”
Carly allungò una mano e gli strinse lievemente il braccio.
“Ma no,” lo rassicurò. “Te l’ho detto. Eri carino anche da bambino.”
Logan drizzò la schiena e Carly arrossì, rendendosi conto di aver implicitamente detto che era carino anche da grande.
“Perché, adesso sono carino?” Domandò il ragazzo, guardandola con interesse.
Carly si mordicchiò le labbra, non sapendo cosa rispondere. Insomma, si guardava allo specchio ogni tanto, o no?
“A quanto si dice in giro…” si limitò a dire, pensando a tutte le ragazzine che non facevano altro che ripetere quanto Logan fosse fico. Fico, non solo carino.
“E secondo te?” Chiese allora, cercando di acciuffare lo sguardo della ragazza. “Per te sono carino? Perché per me tu sei carina Carly. Molto carina.”
Carly sentì le guance in fiamme e dovette ripetersi un paio di volte che lui era il suo fratellastro prima di riuscire a guardarlo negli occhi.
“Certo che per me sei carino, idiota,” rispose, brusca, girando subito la testa.
Logan non rispose, ma lo sentì trattenere una risata.
Rimasero in silenzio per un po’, con il sole che li scaldava e il rumore del traffico mattutino che gli rimbombava nelle orecchie.
“A cosa pensi?” Le domandò Logan dopo un po’.
Carly scrollò le spalle.
“A 10 cose che odio di te,” rispose. Ed era vero, anche se se n’era resa conto solo in quel momento. “Il telefilm, lo conosci?”
Logan scosse il capo e Carly disse che se lo aspettava.
“C’è una scena, in cui Kat, una delle protagoniste, e Patrick, il ragazzo a cui piace e che le piace, ma con cui non riesce ad avere una storia, se ne vanno dalla scuola e poi raggiungono la spiaggia,” spiegò, ripensando a quanto le era piaciuto quando Kat e Patrick si erano baciati, con il vento che scompigliava i capelli della ragazza mandandoli sul viso di lui. E lui continuava a baciarla mentre parlava, interrompendola di continuo. “E questo mi fa pensare al film che ha ispirato la serie televisiva, in cui Kat legge una poesia in classe e quella poesia l’ha scritta per Patrick. È davvero una poesia bellissima.”
Logan si voltò verso di lei, guardandola con un sorriso.
“Certo che sei proprio strana,”commentò. “Cosa dice questa poesia?”
“Prima mi dici che sono strana e poi vuoi che ti dica la mia poesia?”
Logan ridacchiò, annuendo.
“Sei strana perché parli a raffica, però voglio sentire la tua poesia, perché se hai detto che è bella mi fido.”
Carly sospirò, alzando gli occhi al cielo. Quando fu certa di ricordare tutte le parole, si schiarì la gola, guardando le onde del mare che s’infrangevano sulla spiaggia.
Odio il modo in cui parli e il modo in cui ti tagli i capelli,
odio il modo in cui guidi la mia macchina,
odio quando mi fissi.
Odio i tuoi stupidi stivali anfibi
e il modo in cui mi leggi nella mente.
Ti odio così tanto che mi fa star male,
mi fa perfino scrivere poesie.
Ti odio quando hai ragione,
odio quando mi menti.
Odio quando mi fai ridere,
odio anche di più quando mi  fai piangere.
Odio quando non mi sei attorno
e il fatto che tu non mi abbia chiamato.
Ma più di tutto odio il fatto che non ti odio.
Nemmeno quasi. Nemmeno un pochino. Nemmeno niente." 

Rimasero entrambi in silenzio e le parole della poesia restarono sospese nell’aria per un po’, prima di essere portate via dal vento, lasciando solo una lieve eco.
Carly si aspettava che Logan scoppiasse a ridere o la prendesse in giro per essere così romantica, ma il ragazzo non fece nessuna delle due cose. Si voltò verso di lei e la guardò, come se fosse la prima volta che la vedeva per davvero, e Carly riuscì a vedere le sfumature azzurre che gli spruzzavano gli occhi di riflessi più chiari.
“Hai ragione, è bellissima.”
Carly sbatté le palpebre, incredula.
“Vuoi dire che non la trovi vomitevolmente romantica?” Chiese.
Logan ridacchiò, scuotendo il capo.
“Posso assicurarti che, in fondo al cuore, sono un inguaribile romantico.”
Carly lo guardò inarcando le sopracciglia.
“Certo, come no,” borbottò.
Il ragazzo la guardò in silenzio per qualche secondo, studiando il suo profilo che si stagliava sul cielo azzurro e limpido della mattina.
“Perché hai sempre così paura, Carly?”
Carly si voltò verso di lui, senza capire.
“Del fatto di apparire diversa,” si spiegò lui. “Sei quel tipo di persona che ha accettato se stessa, ma ha comunque costantemente paura del giudizio degli altri. È vero, sei diversa, ma questo ti rende solo migliore.”
Lei lo osservò in silenzio, notando per la prima volta l’accenno di barba scura che aveva sulle guance e sotto al naso.
“Non ho paura del giudizio degli altri,” gli rispose. “Ho imparato ad essere forte abbastanza da non farlo. Però, sì, sono diversa e ho paura di esserlo. E più di tutto mi fa paura l’idea di rimanere da sola. Ma adesso, qui con te, non ho paura di questo. Mi fa paura il fatto che tu mi stai accettando e che le mie stranezze non ti stupiscono.”
Logan abbozzò un sorriso a metà tra la dolcezza e lo stupore.
“Ti fa paura trovare qualcuno che ti faccia stare bene?”
Lei scrollò le spalle.
“Credo di sì,” disse. “Credo di essere una persona che più che del dolore ha paura della felicità.”
“Tu leggi un sacco di libri, dovresti essere piena di sogni,” osservò Logan e Carly sorrise, pensando a tutti i desideri inespressi che aveva nascosto nei cassetti della sua scrivania di New York, riempiendo post-it con bozze di idee per poi abbandonarli lì, tra le cartacce del cestino o tra un compito di matematica e uno di letteratura. Pensando a quante stelle aveva visto cadere e a quante candeline aveva spento negli anni. Ce li aveva dei sogni, eccome, forse era solo troppo codarda per mettersi in gioco.
“Non tutti i sogni si avverano,” rispose, con una nota amara nella voce.
Logan si stese di fianco, appoggiando un gomito sulla sabbia e reggendosi il capo con il palmo della mano. La guardava con decisione, gli occhi blu che inchiodavano i suoi.
“Ti odio quando parli così,” le disse. “I sogni si avverano se sei forte abbastanza. E fidati, io di sogni avverati ne so qualcosa.”
Carly rise, una risata un po’ cinica e irritata.
“E io odio te quando parli così,” ribatté. “Non paragonare il tuo lavoro ai sogni della gente. Voi attori siete così egocentrici!”
Le sopracciglia di Logan scattarono verso l’alto e il ragazzo si mise seduto, sostenendo lo sguardo duro di Carly. Non sapeva perché gli avesse parlato a quel modo, ogni tanto le piaceva scaricare la rabbia prendendosela con lui, anche se non era affatto giusto, e lei lo sapeva bene. Ma c’era uno strano piacere nel litigare con Logan, forse perché dopo, quando facevano pace, lui cercava sempre le dita della sua mano, per stringerle forte e farle capire che avrebbero resistito.
“E tu dovresti piantarla con questi discorsi,” rispose Logan, leggermente irritato. “Magari il mio lavoro è il mio sogno, non ci hai pensato?” Chiese, avvicinando il viso a quello di Carly.
“Sappiamo bene entrambi che vai dicendo che ancora non sai quello che stai facendo e se vuoi fare di tutto questo un lavoro serio, o no?” Ribatté lei, avvicinandosi a sua volta.
“Meno male che di me non t’importava niente!”
“È Lily che è fissata con te, mi diceva queste cose in continuazione!”
“Be’, è vero, non so ancora se voglio fare l’attore di professione e al momento lo vedo più come un gioco che come un lavoro, ma è comunque il mio sogno.”
Carly appoggiò le mani sui fianchi, facendo sfiorare la punta del proprio naso contro quella del naso di Logan.
“Quindi vuoi farmi credere che hai anche intenzione di frequentare un’università?” Cantilenò lei, come se avesse appena detto la cosa più assurda del mondo.
Logan, con sua sorpresa, annuì.
“Voglio studiare scrittura alla New York University, soddisfatta?!”
Carly fece per ribattere, ma poi si fermò, guardando gli occhi di Logan in maniera diversa. Tutta l’irritazione era scivolata via, lasciando il posto a uno strano calore.
“A-anche io,” balbettò. “Anche io voglio studiare scrittura là.”
Logan sbatté le palpebre.
“Davvero?”
“Davvero.”
Nonostante avessero smesso di litigare, i loro volti erano ancora a pochi centimetri l’uno dall’altro e Carly poteva sentire il respiro di Logan infrangersi sulle sue labbra. Avvampando, si allontanò, mettendo almeno dieci centimetri tra le loro facce. Gettò un veloce sguardo al sole alto.
“Forse dovremmo tornare a casa, credo che sia quasi mezzogiorno.”
Logan controllò l’ora e annuì, alzandosi e spolverandosi via la sabbia dai pantaloni. Offrì la propria mano a Carly per aiutarla a tirarsi su e lei l’afferrò, sentendo i granelli di sabbia che le entravano nelle scarpe e dentro i calzini, infastidendola. Ma era un fastidio piacevole. Logan raccolse la felpa e la sventolò in aria un paio di volte per scacciare via la sabbia dalle maniche e dal cappuccio, poi si avviarono entrambi verso la strada.
Quando arrivarono a casa, Logan si buttò sul frigo.
“Allora, cosa si mangia?” Domandò Carly, sbucandogli alle spalle.
Il ragazzo sospirò, tirando fuori un paio di uova.
“Il frigo è praticamente vuoto, posso provare a fare una frittata con queste due,” le disse, alzando leggermente le uova che teneva in mano per fargliele vedere.
“Non c’è altro in casa?”
Logan scrollò le spalle, accendendo il fornello e piazzandoci sopra una padella. Ruppe le uova all’interno di un contenitore di plastica ed iniziò a mescolarle, finché tutto il bianco non fu sparito. Poi versò un po’ d’olio sul fondo della padella vi rovesciò le uova. Il composto iniziò a sfrigolare e Logan lo puntellò con una forchetta, per essere sicuro che non si bruciasse.
Intanto, Carly aveva iniziato a frugare negli armadietti ed era riuscita a racimolare un paio di confezioni di carne in scatola e delle patatine fritte prefabbricate che sua madre aveva lasciato nel freezer. Dopo aver preso una ciotola, aprì il sacchetto delle patatine e ne versò un po’ al suo interno, per poi metterle nel microonde. Quando l’apparecchio annunciò che le patatine erano pronte, Logan aveva già sistemato la carne in scatola e la frittata in due piatti.
“Buon appetito!” Esclamò il ragazzo e Carly gettò una spruzzata di sale sulle patatine.
Iniziarono a mangiare in silenzio, cercando di fare finta che la carne in scatola avesse un buon sapore e che le patatine fritte non fossero mollicce.
“Come cuochi facciamo schifo,” disse la ragazza, appoggiando entrambi i piatti sul fondo del lavello.
“Dai, la mia frittata non era male,” ribatté Logan e la ragazza gli sorrise, ammettendo che, in effetti, aveva un futuro con le frittate.
Quando i loro genitori rincasarono, quella sera, stranamente si bevvero la bugia inventata da Carly e sua madre si premurò anche di misurarle la pressione, per essere sicura che non ci fossero più problemi.
Per cena ordinarono della pizza da asporto e la mangiarono nel silenzio più totale. Carly era ancora arrabbiata con sua madre per la faccenda di New York e sua madre doveva essere ancora arrabbiata con lei per la faccenda della fuga. Logan e Larry erano gli unici che ogni tanto si scambiavano qualche occhiata complice, come se avessero stipulato il tacito accordo di evitare eventuali furiose litigate.
Dopo la cena, Carly si dileguò in camera sua, buttandosi sul letto con un libro in mano. Si trattava di un piccolo tomo dalla copertina tra il giallo e il verde che Carly aveva trovato in un negozietto a New York. Aveva sentito molti ragazzi parlare di quel libro, Ragazzo da Parete, e aveva deciso di leggerlo. Ormai era quasi a metà e non poteva fare a meno di pensare che fosse un libro meraviglioso, con una storia meravigliosa e dei personaggi meravigliosi. Certe volte, segretamente, quando l’appoggiava sul comodino e spegneva la luce per andare a dormire, sperava che Charlie si materializzasse nella sua stanza ed iniziasse a parlare dei The Smiths e di tutti i libri che il suo insegnate gli dava da leggere. Voleva che le raccontasse di com’era il Rocky Horror Picture Show e del Big Boy. Voleva che Charlie fosse lì e pensasse a lei in quel modo.
Sospirò, sentendo qualcuno bussare alla porta. Non rispose e sua madre fece capolino nella stanza, chiedendo di entrare. Carly appoggiò il libro sul letto e annuì, infilando un dito tra le pagine per non perdere il segno.
Sua madre si mise a sedere sul bordo del letto.
“Il prossimo fine settimana devo andare fuori città,” le disse e Carly si chiese acidamente come questo potesse importarle. Poi si morse la lingua e rimase in silenzio. “Devo andare a visitare un paziente a New York e ho pensato che, se avrai recuperato il tuo brutto voto in chimica, potresti venire con me.”
Gli occhi di Carly s’illuminarono e tutto il rancore per la madre scivolò via, insieme alla paura di aver perso per sempre la sua migliore amica.
“Davvero?” Chiese, boccheggiando.
La donna annuì, abbozzando un sorriso, e Carly si gettò su di lei, allacciandole le braccia intorno al collo e facendola cadere distesa sul materasso a causa del suo improvviso abbraccio.
“Grazie, grazie, grazie,” iniziò a sussurrare, premendo il naso e le labbra sulla spalla della madre.
Caroline le accarezzò i capelli e poi la schiena, cullandola per qualche minuto. E per qualche minuto a Carly sembrò di essere tornata bambina, quando aveva paura del buio e sua madre accendeva il lumino accanto al suo letto e le diceva che con quello acceso non poteva succederle niente di male.
“Ma quando la signora Darling l’ha detto a Wendy poi lei è volata via,” protestava Carly, ripensando al libro che sua madre le aveva letto mille volte.
“Avresti paura a volare via con Peter, tesoro?” Le chiedeva sua madre e lei scuoteva il capo, facendo ondeggiare i disordinati capelli castani da una parte all’altra. “Allora dormi, non hai niente da temere.” E lei si addormentava, stringendo forte le coperte tra le mani e sussurrando nel sonno il nome di Peter Pan, sperando davvero che venisse a prenderla per portarla sull’Isolachenoncè.
La madre rimase a cullarla qualche minuto ancora, poi si alzò e lasciò la stanza con un sorriso.
Qualche minuto dopo, senza bussare, Logan spalancò la porta, raggiungendola sul letto.
“Non si usa più bussare?” Domandò lei, guardandolo con le sopracciglia inarcate.
“Stavi leggendo,” si giustificò il ragazzo. “E poi ho visto tua mamma uscire e volevo sapere cosa è successo.”
Carly sbuffò, richiudendo il libro per la seconda volta e appoggiandolo sul materasso, accanto ai propri piedi.
“Primo: tu non potevi essere certo che io stessi leggendo. Secondo, tieniti forte: mamma mi porta a New York!” Esclamò, ignorando il fatto che Logan era entrato nella sua stanza senza bussare e che si irritava da morire quando la gente lo faceva.
Logan la guardò sbattendo le palpebre.
“Ti lascia andare a New York per il compleanno di Lily?” Domandò.
Carly scosse il capo, dicendogli ciò che le aveva detto sua madre appena pochi minuti prima. Logan l’ascoltò in silenzio, osservando la scintilla di gioia che ardeva nei suoi occhi, illuminandoli.
“Be’, sono contento, almeno potrete chiarirvi,” le disse, sorridendo.
Si scusò per essere entrato senza bussare e poi si alzò dal letto, pronto ad uscire dalla stanza e a tornare nella propria. Prima che potesse muoversi, però, Carly gli afferrò una mano e lui abbassò lo sguardo su di lei.
“Grazie,” sussurrò Carly, arrossendo. “Per ieri sera. Non eri costretto a rimanere, cavoli io ti tratto sempre così male! Però l’hai fatto, sei rimasto. Quindi grazie.”
Logan le sorrise, chinandosi su di lei per baciarle una guancia. Le labbra di Logan erano morbide sulla sua pelle e leggermente umide, e Carly, per qualche ragione che non riuscì a spiegarsi, sperò che scivolassero verso sinistra, sulle sue.
“Buonanotte, Carly,” sussurrò, lasciando la stanza.
Carly rimase ad osservare la porta chiusa, sentendo ancora la sensazione delle labbra di Logan sulla sua guancia.
“Buonanotte, Logan,” rispose, anche se lui ormai non poteva più sentirla. 



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Salve a tutti! :) Non voglio rubarvi molto tempo, ci tenevo solo a ringraziarele dieci persone che hanno recensito i capitoli precedenti e anche tutti coloro che hanno letto questa storia. Grazie, grazie mille :D
Spero che questo capitolo non vi deluda. 
A prestissimo, 
Emily. 

PS. Mi dispiace per gli eccessivi riferimenti a Ragazzo da Parete, se non si fosse notato io amo quel libro *w*

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Little Talks dei Of Monsters and Men 


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Capitolo 6
*** Now you're in New York ***




6. Now you’re in New York

 
Ormai si era disabituata al traffico, alle ore passate in coda e ai taxi gialli che sfrecciavano per le strade e non si fermavano mai. Ma a parte questo, New York era esattamente come la ricordava. Gli alti grattacieli che toccavano le nuvole, riflettendo la luce del sole, l’Empire State Building che faceva bella mostra di sé tra di essi e Central Park, con il prato verde e il laghetto nascosto tra gli alberi.
Carly sospirò con un sorriso, appiccicando il naso al finestrino del taxi.
Sua madre si era fatta lasciare davanti all’ospedale e aveva chiesto al tassista di portare lei in centro, davanti al palazzo dove abitava Lily.
Quando intravide l’ombra familiare dell’edificio, sentì il cuore accelerare i battiti e lo stomaco annodarsi, ma disse comunque al tassista di accostare.
Allungò all’uomo un biglietto da cinquanta e poi scese. Si fermò di fronte al portone, lo sguardo fisso sul campanello con il cognome di Lily e una mano che stringeva forte la copia delle chiavi che la ragazza le aveva mandato per posta. Le teneva così strette nel pugno della mano che le nocche le erano sbiancate.
Inspirò, socchiudendo gli occhi, e poi decise di suonare.
Chi è?” La voce uscì gracchiante dal citofono, ma Carly la riconobbe subito come quella della mamma di Lily.
Si lasciò andare a un piccolo sorriso e disse il proprio nome, chiedendo se Lily fosse in casa. Sua madre sussultò quando si rese conto di chi c’era sul marciapiede e, dopo averle fatto un paio di domande (Come stai? Com’è Los Angeles?) le disse di aspettare.
Sì?” Rispose la voce di Lily pochi minuti dopo.
“Lil, sono io,” disse Carly, sperando che non le attaccasse il citofono in faccia.
Ovviamente, fu quello che fece.
Con uno sbuffo, Carly suonò il campanello un’altra volta, e poi un’altra ancora, finché la ragazza non si decise a rispondere di nuovo, probabilmente esasperata da tutto quello squillare.
Si può sapere cosa vuoi?!” Esclamò.
“Parlare con te,” rispose Carly. “E ho le chiavi di casa tua, perciò se mi attacchi di nuovo il citofono in faccia salirò comunque.”
Sentì Lily sbuffare e poi il portone aprirsi con uno scatto.
Muoviti,” mormorò la voce della ragazza, prima che il citofono venisse riagganciato.
Con un mezzo sorriso di vittoria sulle labbra, Carly entrò nel pianerottolo e si diresse verso le scale.
L’appartamento di Lily era al quinto piano e, di solito, per arrivarci utilizzava l’ascensore, questa volta però preferì fare due passi per riflettere sul da farsi. Non aveva pensato a un vero e proprio discorso, era partita con sua madre e basta, sperando che al momento giusto le sarebbe venuta l’idea giusta. Be’, non stava succedendo.
Quando arrivò di fronte alla porta dell’appartamento, Lily l’aspettava con una spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate al petto.
“Ciao,” le disse Carly, abbozzando un sorriso.
Lily non rispose, si limitò a guardarla.
“Che ci fai qui?” Domandò alla fine.
“Mia mamma aveva un impegno di lavoro e mi ha portata con sé,” rispose Carly, gettando uno sguardo veloce oltre le spalle di Lily.
Per quel che si vedeva dalla porta, l’appartamento non era cambiato affatto dall’ultima volta in cui c’era stata. Le pareti del salotto erano tinteggiate di un bel rosso porpora e sui muri dell’ingresso erano ancora appese delle foto di Lily da piccola.
“Non ti sei portata dietro nessuno dei tuoi nuovi amici?” Non fu tanto ciò che disse, ma il modo in cui lo disse a irritare Carly.
Sapeva quanto Lily tenesse a passare insieme il giorno del suo compleanno e sapeva anche di averle promesso che sarebbe tornata a New York per lei, ma non poteva farci niente se sua madre l’aveva bloccata a Los Angeles per una stupida C in chimica. Non era tutta colpa sua, non si meritava tutta quella freddezza.
“Non sono i miei ‘nuovi amici’,” rispose. “Sono solo degli ‘altri’ amici. Non hanno sostituito nessuno.”
Lily la guardò con scetticismo, come se non credesse ad una sola parola di ciò che aveva appena detto e fece per chiuderle la porta in faccia. Carly fu più veloce però e infilò un piede tra l’uscio e il muro, vedendo le stelle quando la forza dell’azione di Lily glielo schiacciò.
“Puoi smetterla di trattarmi come se avessi commesso un reato per un minuto, per piacere?” Le chiese, mordendosi le labbra per ignorare il dolore.
Lily non rispose, ma scostò leggermente la porta, lasciandola libera di ritirare il piede. Per un momento Carly esitò, poi, quando fu sicura che Lily non l’avrebbe chiusa fuori, ritirò la gamba.
“Senti,” iniziò, “mi dispiace da morire per il tuo compleanno, davvero, ma non è stata colpa mia. Non me lo merito il modo in cui mi stai trattando, Lil.”
Lily sbatté le porta e il suono rimbombò nel pianerottolo e per le scale. Carly, però, non si dette per vinta e con un sospiro si mise a sedere per terra, la schiena appoggiata alla porta.
“Sai, quando ho parlato con la mamma mi ha detto che dovevo lasciar perdere,” raccontò, ripensando alle parole di sua madre, le stesse che Logan le aveva sussurrato tra una carezza e l’altra la notte in cui avevano dormito insieme. Il ricordo la fece arrossire leggermente, ma ignorò la cosa, aveva altro a cui pensare. “Mi ha detto che dovevo lasciar perdere New York, voi, te. Mi ha chiesto di dimenticare. E io non l’ho fatto. Cavoli, non credo che lo farò mai.”
Sentì un lieve sussulto provenire dall’appartamento e appoggiò la testa sul legno freddo della porta, chiudendo gli occhi.
“Non importa quanto distante posso essere, l’affetto non si misura con i chilometri.”
La porta si aprì di scatto e lei batté la schiena contro il pavimento dell’appartamento. Soffocò un’imprecazione e quando aprì gli occhi si ritrovò quelli verdi di Lily che la guardavano.
“Mi dispiace,” sussurrò e Carly si accorse che stava cercando di non mettersi a piangere. “È che, anche se è passato poco tempo, mi sei mancata così tanto.”
Carly sorrise, allungando le braccia verso l’alto. E Lily si gettò su di lei, affondando il viso nella sua pancia, stringendole forte le braccia attorno ai fianchi.
“Ai ragazzi farebbe piacere vederti,” le disse Lily, quando si furono staccate e lei si fu rimessa in piedi. “Possiamo raggiungerli al Midnight Sun,” propose.
Carly annuì e Lily la trascinò nella sua stanza, dicendole che non poteva rivedere Simon senza prima essersi data una sistemata. La ragazza arrossì a quell’affermazione, ma permise lo stesso a Lily di metterle un po’ di trucco sugli occhi e prestarle una maglietta carina. Mentre la sua migliore amica andava avanti e indietro per la stanza, Carly si rese davvero conto di quanto fosse ansiosa all’idea di rivedere Simon e a quanto le fosse mancato.
“Sei proprio sicura di non esserti portata dietro Logan?” Chiese Lily mentre uscivano e Carly scoppiò a ridere.
“Sei sempre la solita!” Esclamò.
Lily le fece l’occhiolino, fischiando per richiamare l’attenzione di un taxi. Quando una delle tante auto gialle si fermò sul ciglio della strada, Lily si voltò verso di lei.
“Ti aspettavi che fossi cambiata?”
Carly scosse il capo con un sorriso.
“Assolutamente no.”
 

 
Un gran fragore esplose nel salotto e un’intermittente scritta rosso brillante emerse sullo schermo del televisore: Game Over.
Dean sbuffò, lanciando il joystick sul divano.
“Ti ho fatto nero,” disse Logan, guardandolo con un ghigno.
Il suo migliore amico lo guardò di traverso, incrociando le braccia al petto e affondando tra i cuscini morbidi.
“Com’è che oggi sei così allegro?”
Logan scrollò le spalle, appoggiando il suo joystick sul tavolino. Allegro? Sul serio sembrava allegro? Bah.
Quella mattina, quando si era guardato allo specchio, aveva visto il solito riflesso assonnato, con i capelli in disordine e gli occhi velati dal sonno. La prima cosa che aveva fatto dopo essere uscito dal bagno era stata entrare in camera di Carly per darle fastidio, come faceva sempre, ma il suo letto era vuoto. C’era solo un libro aperto dimenticato sul comò a testimoniare che quella stanza era stata utilizzata da qualcuno di recente. 
“Sarà perché non c’è Carly che mi rompe le scatole,” rispose distrattamente.
Dean lo guardò inarcando le sopracciglia.
“Di solito ti piace che Carly ti rompa le scatole,” gli disse e Logan pensò, per l’ennesima volta, che a Dean non la si poteva fare. Almeno, lui non poteva fargliela di certo, lo conosceva troppo bene.
“Questo è il momento in cui tu dovresti dirmi che la vedi come una sorella,” continuò Dean. “Così io potrò dirti che non sei per niente bravo a dire balle.”
Logan lo guardò, cercando di fare finta che non avesse affatto centrato il punto.
“Ma io la vedo davvero come una sorella,” ribatté.
“Certo. La sorellina che immagini nuda mentre dormi.”
Logan per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Spinse il busto in avanti e iniziò a tossire, guardando Dean con gli occhi sgranati.
“Ecco, questo si chiama senso di colpa,” disse Dean.
“No, questo si chiama tu che dici scemenze così sceme che mi fai strozzare.”
“Non sono scemenze,” ribatté il ragazzo, sistemandosi i capelli biondi sulla fronte. “È il tuo ‘io’ perverso.”
“Io non ho un ‘io’ perverso!” Protestò Logan, arrossendo sugli zigomi.
“Certo, come no.” Dean sospirò, allungandosi e appoggiando una mano sulla spalla di Logan. “Tutti i maschi hanno un ‘io’ perverso.”
Logan lo guardò aggrottando la fronte.
“Parli come se tu non fossi un maschio.”
“Perché queste non sono parole mie,” spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“E di chi sono allora?”
“Tua sorella.”
Logan e Dean si guardarono come se quelle due parole bastassero a spiegare tutto, e lo facevano. Lindsey, la sorella maggiore di Logan, aveva odiato a morte i maschi fino all’età di dodici anni, poi aveva scoperto l’esistenza di Johnny Depp.
“Cosa credi che stia facendo?” Domandò Dean, dopo un po’.
Logan lo guardò ma rimase in silenzio. Cosa stava facendo Carly in quel momento? Be’, probabilmente si era riappacificata con la sua migliore amica e adesso erano insieme ai suoi vecchi amici, in un locale, a mangiare qualcosa tutti insieme come se nulla fosse cambiato. Come se la sua vita a Los Angeles fosse stata solo un brutto sogno. Probabilmente Simon, l’ex ragazzo di Carly, sarebbe stato con loro e le avrebbe detto quanto le ere mancata e lei sarebbe caduta di nuovo ai suoi piedi.
“Non lo so,” rispose, ignorando il corso dei suoi pensieri. “Spero solo che si stia divertendo.”
 

 
Carly scoppiò a ridere, riuscendo per miracolo a non sputare il suo milkshake sulla faccia di Anne.
Quando Lily l’aveva portata al Midnight Sun, tutti i suoi vecchi amici erano lì per mangiare qualcosa e fare due chiacchiere. All’inizio aveva pensato che sarebbero stati arrabbiati con lei, perciò in taxi si era preparata un discorso per chiedere scusa ma, con sua sorpresa, le si erano subito buttati addosso, abbracciandola e riempiendola di domande.
Il Midnight Sun era un bar nel centro di Manhattan, incassato nel seminterrato di un palazzo vecchio stampo. Una soffusa luce blu illuminava i piccoli tavoli di legno sparsi per la sala e il lungo bancone che occupava tutto l’angolo sinistro. Alle pareti erano appese le fotografie dei più famosi gruppi e cantanti rock, e ogni tanto potevi trovare alcune piastrine di metallo con incisi modi di dire irlandesi e inglesi.
“Com’è vivere a Los Angeles?” Le chiese Marcus, rubando un po’ di glassa dal cupcake di Anne.
Carly scrollò le spalle.
“Diverso,” rispose.
“Be’, sicuramente ci sono più ragazzi carini,” commentò Lily, facendole l’occhiolino.
Carly arrossì.
“Già,” le fece eco Anne. “I surfisti,” aggiunse solo e lei e Lily si scambiarono uno sguardo complice, sospirando.
“Anche a New York ci sono i ragazzi carini,” disse Carly, guardando Marcus con solidarietà. Il ragazzo le sorrise, leccandosi il polpastrello imbrattato di glassa rosa.
“Perché, qualcuno l’ha messo in dubbio?”
I ragazzi si voltarono e Carly sentì il cuore sprofondarle nello stomaco. Anche se, dopo aver incontrato gli occhi di Simon, non era più così sicura di sapere dove fosse il suo stomaco. Deglutì, osservando il ragazzo che si avvicinava e sentendo il proprio cuore accelerare un poco ad ogni suo passo.
Simon si fermò di fronte ad Anne, le rubò un po’ di glassa dal dolcetto e poi raggiunse Carly. La guardò per qualche secondo, studiandola, poi le sorrise.
“È bello vederti,” disse solo e Carly annuì.
“Anche per me.”
Con la coda dell’occhio vide Lily dare di gomito ad Anne e, dopo essersi scambiate qualche breve parola, guardare Marcus in modo significativo. Quando se ne andarono tutti e tre con una scusa, Carly non ne fu troppo stupita. A fare le cose con discrezione erano proprio delle frane.
“Allora,” Simon si mise a sedere accanto a lei ed ordinò una coca-cola con ghiaccio. “Come vanno le cose a Los Angeles?”
Invece di rispondere, Carly lo guardò con aria confusa.
“Non… non sei arrabbiato?”
“Arrabbiato per cosa?”
La ragazza si arricciò una ciocca di capelli attorno all’indice e abbassò lo sguardo.
“Per quel che è successo la scorsa settimana,” disse. “Lily mi aveva detto che… avevi rinunciato ad un impegno importante per vedermi. E io non sono venuta.”
Simon sventolò una mano in aria, ringraziando la cameriera che gli aveva portato la bibita.
“Non era una cosa importante,” rispose. Alzò lo sguardo su di lei e Carly si sentì inchiodata alla sedia dai suoi occhi. Ci si era persa tantissime volte negli occhi di Simon, eppure ogni volta era come la prima. Sentiva l’elettricità scorrerle nelle vene e i brividi scuoterla, facendole desiderare di annullare la distanza che c’era tra loro. Facendole odiare che ci fosse una distanza tra loro. “Non più importante di te, comunque.”
Carly arrossì, bevendo un po’ del suo milkshake.
“Va bene,” disse lei, riferendosi alla domanda che il ragazzo le aveva fatto. “Los Angeles è bella. Davvero molto bella.”
Simon ridacchiò.
“Ehi, non è che ci stai tradendo per il sole?”
Settimane prima, quella domanda le sarebbe sembrata sciocca e insensata. Ma adesso non era poi così sicura che la risposta sarebbe stata ‘no’. Avrebbe sempre portato New York dentro al suo cuore e una parte di lei si sarebbe sentita a casa solo tra lo smog e i rumori del traffico, ma l’altra parte di lei, una parte che fino a poco tempo prima non credeva ci fosse, si sentiva legata a Los Angeles molto più di quanto Carly era disposta ad ammettere. Una parte di lei che era stata inchiodata in California non appena vi aveva messo piede.
“Ma figurati,” rispose, scacciando via quei pensieri. “Il mio fratellastro mi chiama ‘New York’ ogni tanto.”
Le sopracciglia di Simon schizzarono verso l’alto, stupite.
“Addirittura?”
“Eh già.”
“Ti… trovi bene con loro?” Chiese il ragazzo. “La tua nuova famiglia dico.”
Carly alzò le spalle. Avrebbe voluto dire di no, che sarebbe volentieri scappata via per tornare lì a New York, ma sarebbe stata un bugia.
“Sono apposto,” rispose.
“Mi sei mancata tanto, C.,” confessò Simon e Cary si sentì arrossire.
Lui era l’unico a chiamarla C. Aveva iniziato a farlo qualche mese dopo che avevano iniziato ad uscire. Erano al cinema e lui voleva che gli passasse i pop-corn, ma era talmente preso dal film che dire il suo nome l’avrebbe distratto troppo. Così, l’aveva chiamata C. Carly gli aveva detto che l’idea le piaceva, soprattutto il fatto che fosse una cosa solo sua, che solo lui poteva fare, e lui aveva sorriso.
“Anche tu mi sei mancato.”
Non avrebbe saputo dire come le cose andarono di preciso, ma Simon si sporse oltre il tavolino e un attimo dopo le sue labbra erano su quelle di Carly, come se in quelle settimane non fosse successo niente. Le mani di Simon strisciarono sul tavolino fino a incontrare quelle della ragazza per stringerle forte, mentre lui continuava a baciarla e a baciarla e a baciarla. E Carly sentiva il cuore martellarle nelle orecchie, mentre con la mente ritornava alla prima volta in cui Simon l’aveva baciata in quel modo, come se avesse aspettato tutta la vita solo per fare quello.
Quando si allontanò, Carly aprì un poco gli occhi.
“Anche questo mi è mancato,” sussurrò, senza fiato.
Vide le labbra di Simon inarcarsi in un sorrisetto compiaciuto, ma non gli dette tempo di fare altro. L’afferrò per il colletto della maglietta e l’attirò di nuovo a sé, baciandolo con tutta la mancanza che aveva sentito in quei mesi; con tutte le lacrime che avevano bagnato il suo cuscino; con tutto il vuoto che aveva sentito accanto a sé, quando la mattina si svegliava da sola consapevole che lui non ci sarebbe stato mai più.
Si baciarono per quelle che a Carly sembrarono ore, finché il rumore di una voce che si schiariva non attirò la loro attenzione. Tentarono di ricomporsi, anche se ormai era troppo tardi, e gli occhi di Carly si posarono su Lily.
“Tua madre ti cercava,” le disse. “Sta arrivando in taxi.”
Carly annuì, portandosi i capelli dietro alle orecchie.
“Già te ne vai?” Domandò Simon.
“Vorrei rimanere di più,” rispose. “Sul serio. Ma mia mamma deve tornare all’ospedale domattina e…”
Lily le appoggiò una mano sulla spalla e le sorrise con fare rassicurante.
“Ci rivediamo presto,” le sorrise. “E questa volta sarò io a venire da te, lo prometto.”
Carly annuì, stringendo la mano che Lily teneva sulla sua spalla.
“Ti aspetto fuori,” aggiunse dopo qualche secondo. “E non fate schifezze mentre non ci sono.”
Carly e Simon ridacchiarono, imbarazzati, e Lily fece loro un buffo occhiolino prima di sparire fuori dal locale.
“È stato bello rivederti,” le disse Simon mentre radunava la sua roba.
La ragazza annuì, infilandosi il cappotto e sistemandosi la borsa a tracolla sulla spalla.
“Anche per me.”
Si avvicinò a Simon e si chinò sul suo viso, fermandosi a baciarlo per qualche secondo.
“Ci vediamo,” lo salutò Carly e poi, senza voltarsi indietro, sparì anche lei fuori dal locale.
 

 
Logan sospirò, voltandosi per fronteggiare Dean.
Dopo un altro paio di partite avevano deciso di farsi un panino, ma tutto quello che erano riusciti a racimolare erano un pacchetto di patatine e dei vecchi tramezzini preconfezionati – che Logan aveva guardato con una smorfia prima di gettarli nel secchio della spazzatura.
Erano seduti davanti alla televisione a guardare MTV quando Logan si era alzato per andare in bagno. Non sapeva perché ma era salito al piano di sopra ed era entrato in camera di Carly (che era proprio di fronte al bagno). Si era guardato un po’ intorno, soffermando lo sguardo sulla grande foto su tela di New York che troneggiava sul letto e su tutti i libri che occupavano gli scaffali della libreria. Scorse i titoli con lo sguardo e si stupì di quanti libri avesse letto sua sorella.
Mentre era lì che osservava la libreria, notò che, tra le numerose costole colorate, faceva bella mostra di sé anche quella opaca e consunta della sua copia del Giovane Holden.
Con un mezzo sorriso si avvicinò e la sfilò delicatamente, sfogliando le pagine un po’ ingiallite. Quella copia gliel’aveva regalata sua madre quando a scuola l’insegnante di letteratura aveva voluto che lo leggessero. Poi aveva dovuto rileggerlo quand’aveva girato My One and Only e aveva finito per rileggerlo un’altra volta ancora qualche tempo dopo, nonostante nessuno gli avesse detto di farlo.
Era stato in quel momento, mentre rifletteva sul fatto che Carly doveva essere sgattaiolata in camera sua per prendergli il libro, che Dean era entrato.
“Ma non dovevi andare in bagno, tu?” Cantilenò, alzando un sopracciglio.
Logan non rispose, limitandosi a mostrargli il libro con un mezzo sorriso prima di rimetterlo al suo posto.
“Amico, non ti ho mai visto comportarti in modo così strano.”
“Non mi comporto in modo strano,” ribatté Logan, attraversando la stanza a grandi passi e poi superandolo.
Dean si voltò, dando le spalle alla camera di Carly.
“Oh, sì invece!” Esclamò, seguendo Logan per le scale e poi in salotto. “È perché ti tratta male, vero?”
Logan lo guardò con aria confusa.
“Come?”
Dean sospirò, lasciandosi cadere tra i morbidi cuscini del divano. Logan lo osservò in silenzio.
“Lo sappiamo che effetto  fai alle ragazze.”
“Io non faccio nessun effetto alle-”
“Stai zitto un minuto e fammi parlare,” lo zittì Dean e Logan ammutolì all’improvviso. C’era qualcosa negli occhi del suo migliore amico che gli fece perdere la voce. “Dicevo, lo sappiamo che effetto fai alle ragazze, ma lei è diversa. Lei non vuole il tuo autografo e non gliene importa niente di chi sei. È per questo che ti piace.”
Logan aprì bocca per ribattere, ma alla fine rimase in silenzio.
Spostò lo sguardo fuori dalla finestra, dove il cielo iniziava a tingersi d’arancio e di rosa e i raggi intensi del sole iniziavano ad irradiarsi nel salotto. Strizzò un occhio quando la luce lo colpì sul viso.
“Lei non mi piace,”disse dopo un po’.
Dean mosse qualche passo verso di lui e gli appoggiò una mano sulla spalla, guardandolo dritto negli occhi.
Lui e Dean si conoscevano da quando avevano undici anni. Si erano incontrati sul set di un telefilm e poi non avevano mai smesso di essere amici, nonostante i loro impegni stessero diventando via via sempre più diversi e iniziassero a tenerli sempre più lontani. Voleva bene a Dean come aveva voluto bene a poche altre persone nella sua vita e sapeva che, qualsiasi cosa fosse successa, lui sarebbe stato sempre il suo amico; quello con cui aveva girato stupidi video amatoriali che poi erano finiti su youtube e quello che aveva sempre un momento per guardarlo negli occhi e capire tutto quello che lui non voleva dire. Dean aveva questa capacità straordinaria: quella di trasformare in parole i suoi pensieri non detti.
“Non sono un idiota, okay?” Disse. “Sei il mio migliore amico, me ne accorgo che stai lottando con tutto te stesso per negare questa cosa. E mi accorgo anche che ti fa male.”
Logan fece per ribattere, ma Dean non glielo permise. Si avvicinò di pochi passi e lo strinse in un ‘abbraccio da maschi’.
“Ehm,” una voce ridacchiò alle loro spalle e i due ragazzi si allontanarono, voltandosi. Il volto sorridente di Carly li osservava dalla soglia del salotto. “Ho interrotto qualcosa per caso?”
“Fantastico!” Esclamò Dean, guardando Logan con aria grave. “Ci ha scoperti. E adesso come facciamo a dirlo a tua madre?”
Logan e Carly scoppiarono a ridere e anche Dean abbozzò un sorriso, facendo un mezzo inchino compiaciuto.
Rimase qualche altro minuto poi, dopo aver salutato Logan con una pacca sulla spalla e Carly con qualche parola sussurrata all’orecchio, se n’andò.
“Cosa ti ha detto?” Domandò Logan, quando lui e Carly si sedettero sul divano.
Carly scollò le spalle.
“Di andarci piano con te.”
Logan la guardò alzando un sopracciglio, poi scrollò le spalle.
“Se mai sono io che dovrei andarci piano con te,” ribatté, raddrizzando la schiena.
“Sei davvero così sicuro di te?” Domandò Carly guardandolo con scetticismo e una punta di superiorità.
Logan sorrise. “Scommettiamo?”
La ragazza non annuì neanche, si gettò su di lui, cercando di immobilizzarlo. Logan rise, afferrandole i polsi. Quando tentò di ribaltare le posizioni finirono inevitabilmente entrambi a terra, stesi sul tappeto morbido che ricopriva il pavimento.
Si guardarono per un secondo e poi scoppiarono a ridere, ignorando il fatto di essere uno sopra l’altra e che i loro genitori sarebbero potuti rientrare da un momento all’altro.
La prima a prendere coscienza della situazione fu Carly la cui risata, all’improvviso, iniziò a svanire. Alzò gli occhi, ritrovandosi quelli di Logan a pochi centimetri dalla faccia. Visti così da vicino erano ancora più blu. Il ragazzo era sospeso sopra di lei, con le mani strette attorno ai suoi polsi, le gambe intrecciate alle sue e si reggeva sui gomiti, appoggiati ai lati del suo busto.
“Com’è andata a New York?” Le chiese e Carly cercò di mettersi seduta.
Logan si spostò da sopra di lei e si sedette sul pavimento, osservandola mentre si sistemava i capelli disordinati. Non si era accorto di esserle finito addosso a quel modo. O, almeno, aveva fatto finta di non farlo per non doversi alzare.
“Io e Lily abbiamo parlato,” disse la ragazza e gli raccontò tutto quello che era successo in quelle poche ore passate nella sua vecchia città. Le raccontò anche di un certo bacio che si erano dati lei e Simon e che secondo lei era stato più un bacio d’addio che altro, e lui aveva abbozzato un sorriso, cercando di sembrare partecipe.
“Perché Dean ti abbracciava, prima?”
Logan la guardò.
“Ma come, non credi alla nostra storia?”
Carly scoppiò a ridere, portandosi i capelli dietro le orecchie. Carly aveva sia i capelli che gli occhi marroni ed era una cosa che odiava, diceva di sentirsi troppo anonima. Logan, al contrario, trovava che il suo essere così semplice fosse ciò che la rendeva una persona speciale.
“Senza offesa, ma come gay sei poco credibile,” ribatté lei, divertita.
“Perché, solo certe persone possono essere gay?”
Carly scosse il capo, ancora ridacchiante. Forse erano le risate ad averle annebbiato un po’ il cervello, o forse era un effetto collaterale della caduta dal divano. Abbassò gli occhi verso le proprie scarpe e continuò a sorridere tra sé.
“No, no,” disse, con una nota divertita nella voce. “È solo che se tu fossi gay sarebbe proprio uno spreco!”
Logan strabuzzò gli occhi, guardandola con stupore.
Lei avvampò, tappandosi la bocca con la mano e alzò di scatto lo sguardo su di lui, stupita e imbarazzata.
“Io… Mi dispiace,” balbettò.   
Logan scosse il capo.
“No, hai… hai detto una cosa carina, in fondo,” la rassicurò il ragazzo, nascondendo un sorrisetto.
“Molto in fondo,” replicò Carly e per un momento Logan pensò che si sarebbe presa a schiaffi o, peggio, che avrebbe preso lui a schiaffi. Era una cosa che faceva abbastanza spesso. Picchiarlo quand’era nervosa. “È stato un commento molto idiota. Voglio dire, credo che tu sia piuttosto consapevole del tuo aspetto, però a me di queste cose non m’importa niente. Intendo-”
Logan le mise una mano sulla bocca, zittendola.
“Mi ha fatto piacere che tu l’abbia detto, okay?”
Carly arrossì, ma annuì.
Logan le liberò la bocca e si alzò in piedi, guardandola dall’alto con un sorriso.
“È bello riaverti qui, New York,” le disse.
“Che c’è, avevi paura che non sarei tornata più?” Lo prese in giro lei, alzandosi per fronteggiarlo.
Logan poté dire con certezza che non si aspettava affatto la risposta che gli dette.
“Per un attimo ci ho pensato,” ammise. “E mi sono accorto che, anche se sei una rompiscatole, mi mancheresti.”
Carly lo guardò sbattendo le palpebre. Allungò timidamente una mano e afferrò quella di Logan abbozzando un sorriso.
“Per il momento non ho intenzione di andare da nessuna parte,” disse.
Logan le scompigliò i capelli, dirigendosi verso la cucina.
“Fantastico, sorellina.”
“Non sono la tua sorellina!” Protestò Carly e Logan, senza voltarsi a guardarla, si lasciò sfuggire un sorriso. 




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Non voglio rubarvi molto tempo. Mi farebbe solo piacere ringraziare tutti quelli che stanno seguendo questa storia, perché per me è un progetto davvero importante e il vostro supporto non può altro che motiarmi e spingermi a fare sempre meglio per non deludervi. 
Spero di riuscire a postare il capitolo natalizio (ebbene sì, c'è anche un capitolo natalizio :3) nella prossima settimana e vi antemprimo (?) che sarà un capitolo davvero interessante (if you know what I mean... )
Be', niente. Se non dovessi riuscire a postare entro Natale faccio gli auguri a tutti adesso. Altrimenti, alla prossima puntata! :) 

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Empire State of Mind di Jay-Z e Alicia Keys 

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Capitolo 7
*** If you really hold me tight all the way home I'll be warm ***


Ehilà :)
Oggi i saluti arrivano prima del capitolo. Vi avevo promesso che questa settimana avrei postato il capitolo natalizio ed eccolo qua! ;)
Spero davvero che vi piaccia, dato che la storia è nata dalla scena finale, quindi ho passato sei capitoli con le mani che prudevano per scriverla (il che è stato quasi una tortura, credetemi!). 
Colgo l'occasione per ringraziare tutti del vostro supporto, siete davvero dei tesori, grazie *-*
Buon Natale a tutti, 
Emily. 

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone natalizia Let it Snow 







7. If you really hold me tight all the way I’ll be warm

 
Carly adorava il Natale e il fatto che si stesse avvicinando la rendeva estremamente iperattiva.
Ormai era passato più di un mese da quando era stata a New York e aveva rivisto tutti i suoi amici, ma lei e Lily avevano continuato a sentirsi quasi tutti i giorni e, ogni tanto, perfino Simon le mandava qualche e-mail per chiederle come stava.
Le vacanze di Natale sarebbero iniziate quel fine settimana e, dopo aver passato la vigilia e il venticinque a casa con sua madre, Larry e Logan, lei e suo fratello sarebbero partiti per la montagna insieme ai loro amici. Dean aveva una casetta a Breckenridge, in Colorado, e li aveva invitati a passare qualche giorno insieme a lui tra la neve. Per quel che la riguardava, Carly non era mai stata in montagna, ma la neve la conosceva bene; a New York nevicava ogni inverno.
Una cosa che l’aveva lasciata molto sorpresa, infatti, era stata svegliarsi i primi giorni di Dicembre e non trovare il giardino ricoperto di bianco e gli spazzaneve che passavano per le strade. Poi, passata la prima settimana di Dicembre si era rassegnata al fatto che, quell’anno, non avrebbe visto neanche un fiocco di neve. Per questo il suo cuore aveva fatto un guizzo quando aveva ricevuto l’invito di Dean.
Con un sorriso, Carly posò lo sguardo sulle scatole di cartone che Larry aveva tirato fuori dal garage.
Si avvicinò ad esse a piccoli passi, impaziente e impaurita al tempo stesso. Adorava aprire le scatole con gli addobbi e fare l’albero, era una delle tradizioni natalizie che più l’affascinavano.
“Vuoi una mano?” Chiese una voce alle sue spalle e Carly sorrise tra sé, riconoscendola.
Senza voltarsi annuì e, pochi secondi dopo, vide le mani di Logan accompagnare le sue all’interno delle scatole, alla ricerca di qualche bella pallina colorata.
Insieme montarono l’albero (un bell’abete verde dai rami di plastica) e poi iniziarono a scegliere gli addobbi.
“Ti piace questa?” Le chiese il ragazzo, mostrandole una pallina a forma di omino di pan di zenzero. Sembrava fatta a mano, visto che aveva la bocca un po’ storta e gli occhi che quasi si fondevano tra loro.
“È tenera,” rispose lei con un sorriso.
“L’ho fatta in… terza elementare credo.”
Carly ridacchiò, afferrando la pallina e appendendola ad uno dei rami dell’albero.
“Sei proprio tutto un talento…” commentò con l’eco di una risata.
Logan la fulminò con lo sguardo, incrociando le braccia al petto.
“Anche tu avrai fatto qualcosa d’imbarazzante in terza elementare,” disse, sfidandola con lo sguardo a dire il contrario.
Carly scrollò le spalle.
“La cosa più imbarazzante che ho fatto in terza elementare è stato scrivere una lettera a Babbo Natale.” Logan la guardò con aria confusa, probabilmente non capendo cosa ci fosse d’imbarazzante nel scrivere una lettera a Babbo Natale a otto anni. Carly, invece, rise al ricordo. “E gli ho chiesto di portarmi… Oddio…”
Logan le dette una spallata giocosa.
“Di portarti cosa?” Chiese, curioso. “Dai, non può essere così terribile.”
“Okay, ma non ridere.”
Il ragazzo promise e Carly inspirò per non mettersi a ridere.
“Daniel Radcliffe.”
Logan si voltò verso di lei e Carly si accorse che stava facendo del suo meglio per mantenere la promessa che le aveva fatto.
“Da-Daniel Radcliffe?”
Lei annuì, prendendo un paio di palline dallo scatolone e appendendole sull’albero.
“Ti piacciono i tipi come lui?”
“Di solito no, ma all’epoca stravedevo per lui. Stravedevo per Harry, più che altro.”
Logan non disse nulla, si limitò a sorridere e a nascondere la faccia in una delle scatole piene di decorazioni.
“Tu l’hai incontrato?” Gli chiese Carly dopo un po’, mentre cercava una pallina non troppo grande da piazzare in un angolo vuoto dell’albero.
“No, ma mi piacerebbe,” confessò il ragazzo, porgendole una decorazione a forma di fiocco di neve. Carly lo ringraziò con un sorriso. “Non sei l’unica che tiene Harry Potter in camera sua.”
“Però le mie copie sono più belle,” commentò Carly.
Logan si voltò a guardarla.
“E tu che ne sai di come sono le mie di copie?”
La ragazza arrossì e non rispose, tornando a frugare tra gli addobbi.
Logan scosse leggermente il capo e l’affiancò, portando la testa accanto a quella di lei.
“Guarda che lo so che hai frugato in camera mia,” le sussurrò. “Quand’eri a New York ho trovato la mia copia del Giovane Holden nella tua libreria.”
Carly voltò la testa così di scatto che per poco non si baciarono. Arrossì, però mantenne comunque uno sguardo di rimprovero.
“E come mai sei entrato in camera mia mentre non c’ero?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Carly fece per ribattere, ma la porta si aprì con uno scatto e sua madre e Larry fecero il loro ingresso in casa.
Caroline si strofinò le mani sulle braccia, rabbrividendo, mentre Larry si tolse il giaccone e l’attaccò all’appendiabiti che era nell’ingresso. Pochi secondo dopo anche la madre di Carly fece lo stesso.
“Oh,” disse, quando il suo sguardo cadde su Carly e Logan che addobbavano l’albero. “State facendo l’albero. Che cosa carina.”
Carly la guardò con un sopracciglio inarcato.
“Da quando fare l’albero è una cosa carina?” Chiese, allontanandosi di scatto da Logan per sistemare meglio una pallina sopra a un ramo.
“È una cosa carina che lo facciate insieme,” specificò sua madre e Carly si sentì arrossire.
Larry batté le mani, sfregandole un poco.
“Allora!” Esclamò. “Possiamo unirci a voi o è una cosa tra fratelli?” Chiese, facendo un impercettibile occhiolino a Carly che gli rispose con un mezzo sorriso.
“No, no,” rispose. “Almeno potete aiutarmi a evitare che Logan faccia disastri.”
Logan si voltò di scatto verso di lei.
“Ehi, io non faccio disastri!” Protestò.
“Hai ragione, non è colpa tua se non hai senso estetico,” gli disse, battendogli una pacca sulla spalla. “Comunque quell’omino di pan di zenzero era davvero tenero, Log.”
Larry ridacchiò e Caroline lo prese sottobraccio, conducendolo verso l’albero.
“Sei adorabile, New York,” le sussurrò il ragazzo tra i denti, mentre Carly rideva accompagnata dall’eco della risata di Larry.
 

 
La porta d’ingresso si aprì con un cigolio e una folata di vento freddo entrò nella casa insieme alla figura imbacuccata di Logan. Il ragazzo aveva un capello di lana blu in testa ed una sciarpa dello stesso colore che gli copriva il mento e la bocca. Le mani, sicuramente ricoperte dai guanti, erano nascoste nelle tasche del giubbotto.
Dopo essersi richiuso la porta dietro le spalle, si srotolò la sciarpa dal collo e si sfilò i guanti, appendendo il giacchetto all’appendiabiti e lanciando il resto sulla poltrona.
Fece vagare lo sguardo per la stanza alla ricerca di Carly – di solito se ne stava seduta sul pavimento con lo sguardo puntato verso l’albero di Natale, per osservare le luci che cambiavano colore – e, solo dopo aver controllato per la terza volta, si accorse di un paio di gambe che spuntavano da sotto l’albero.
“Carly?” Chiamò, osservando l’albero di Natale.
“Qua sotto!” Gridò la ragazza, muovendo i piedi.
Incredulo, Logan raggiunse l’albero e si stese a pancia in giù sul pavimento.
“Che stai facendo esattamente?” Chiese, cercando gli occhi della ragazza.
Lei abbassò lo sguardo e gli sorrise.
“Guardo le luci,” disse, come se fosse una cosa normalissima. “Vieni.”
Logan sospirò, stendendosi accanto a lei sotto all’albero. Alzò lo sguardo e gli si mozzò il fiato. Le luci illuminavano i rami dall’interno, irradiando bagliori di mille colori che poi si riflettevano sulle superfici lucide delle palline. Ogni tanto sbucavano l’azzurro o l’argento di qualche ghirlanda e Logan dovette spazzolarsi via dal naso i brillantini che erano caduti da alcuni addobbi un paio di volte.
“Quand’ero piccola lo facevo sempre insieme a mio padre,” spiegò lei. “Ci mettevamo qua sotto e iniziavamo a dire tutte le cose che avremmo voluto per Natale quell’anno. Una volta gli dissi che volevo un unicorno,” confessò ridacchiando.
Anche Logan ridacchiò, tenendo sempre lo sguardo alto.
“Be’, ai tuoi sarà venuto un colpo,” disse. “Voglio dire, hai chiesto una cosa da femmina!”
“Ah, ah, ah,” rispose Carly, pizzicandogli una gamba. “Stai insinuando che sono un maschiaccio?!”
Logan alzò le mani e la discussione finì lì.
Rimasero in silenzio per diversi minuti, entrambi con lo sguardo perso tra le lucine natalizie, finché Carly non sospirò.
“Da quando i miei hanno divorziato è la prima volta che torno qua sotto. Il primo anno dopo il divorzio ho provato a farlo da sola, ma non era la stessa cosa.”
Logan si voltò a guardarla. Dopo averci rimuginato sopra per quelli che gli parvero secoli, allungò una mano e afferrò quella di Carly.
“Ti va di dirmi cosa vuoi quest’anno per Natale, C.?”
Carly sussultò.
“C’è qualcosa che non va?”
Lei scosse il capo.
“No… Io… Come mi hai chiamata?”
“C.,” rispose Logan. “Ti ha dato fastidio?”
“No, no,” lo rassicurò lei. “È solo che… be’, Simon era l’unico a farlo.”
Logan le strinse la mano un po’ più forte.
“Allora lasciamolo a Simon,” disse. “New York era carino, sarà il mio soprannome, ti va?”
“Hai appena detto una cosa da coppietta sdolcinata,” gli fece notare Carly con una risatina.
“Te l’avevo detto che in fondo sono un gran romantico.”
Carly rise, appoggiandogli inconsciamente la testa sulla spalla.
“Allora, New York, cosa vuoi per Natale quest’anno?”
“Niente,” rispose Carly, accomodando meglio la testa sulla spalla di Logan. “Credo di avere già tutto quello che volevo.”
Logan non rispose, si limitò ad appoggiare la guancia sul capo di Carly e a passarle un braccio attorno alle spalle, stringendola un po’ di più a sé.
 

 
Carly era abituata alla neve, perciò fu praticamente l’unica a non scivolare sul vialetto ghiacciato che attraversava il giardino della casa di Dean. Dean stesso per poco non cadde a terra.
Erano partiti per Breckenridge quella mattina e sua madre era stata tutta carezze e raccomandazioni. Larry aveva cercato di limitare i danni assicurandole che Dean era un bravo ragazzo e che si sarebbe preso la responsabilità per tutti loro, ma sua mamma era riuscita lo stesso a farsi scappare un paio di lacrime.
“Chiama,” le aveva detto, dandole un buffetto sulla guancia.
Carly aveva grugnito un ‘sì’ e poi Logan l’aveva trascinata fuori di casa, verso la macchina di Dean.
La sera della vigilia avevano fatto una cena solo loro quattro. Sua madre aveva sistemato la tavola in salotto, accanto all’albero di Natale, e lei l’aveva aiutata ad addobbarla, come facevano quando era piccola. Logan e Larry avevano contribuito allo spostamento dei mobili e avevano perfino dato una mano in cucina, anche se sua madre aveva insistito per preparare il dolce da sola. Come ogni anno, il pudding di Natale le venne benissimo. Anche dopo il divorzio, nonostante avessero smesso di festeggiare il Natale come si deve, sua madre aveva continuato a fare il pudding la sera della vigilia; diceva che le ricordava le sue vere origini, l’Inghilterra.
Il venticinque, invece, erano andati a pranzo a casa della madre di Logan, Lisa. C’erano anche il suo compagno e i fratelli di Logan, Lindsey e Lucas.
Quando Lisa aveva aperto loro la porta, Carly si era sentita terribilmente fuori posto, come un infiltrato in una foto di gruppo. La mamma di Logan si era rivelata una donna adorabile e anche i suoi fratelli avevano fatto di tutto per metterla a suo agio, chiedendole come si trovava in California e prendendo in giro Logan. Le raccontarono anche della prima volta in cui Logan aveva baciato una ragazza, fuori dalla porta di casa, e tutta la famiglia l’aveva spiato da dietro le tende.
Stando lì, in mezzo alla famiglia di Logan, Carly si rese conto di quanto il ragazzo fosse fortunato. I suoi genitori andavano d’accordo, talmente d’accordo da non sembrare ex compagni, ma amici di vecchia data. Lei non aveva un Natale così da anni, Logan poteva averlo sempre.
Una parte remota di lei pensò che non fosse giusto. Che non fosse giusto che lei dovesse passare ogni Natale con il Grinch, una fetta di pudding e una tazza di cioccolata calda. Che suo padre le mandasse solo un biglietto d’auguri, senza preoccuparsi neanche di andarla a trovare.
Quando sua madre gli aveva detto che si sarebbero trasferite in California non aveva mosso un dito, non aveva neanche tentato di impedirle di portarla via. Forse era stato anche per questo che Carly aveva acconsentito ad andare. Che senso ha stare dove non si è desiderati?
Breckenridge era un piccolo paese sulla montagna, con strade costeggiate da casette di mattoni a due piani e circondate da piccoli giardini ben tenuti. Così ricoperto di neve ricordava i villaggi di cui si parla nei libri di favole.
L’interno della casa di Dean era molto accogliente, nonostante nessuno ci mettesse piede da anni. Nel salotto c’era un caminetto e il mobilio in legno la faceva sembrare una vera e propria baita di montagna.
“Ragazze, voi tre potete sistemarvi nella camera accanto al bagno,” disse Dean, mentre li guidava al piano di sopra. “Mentre noi ragazzi staremo di là,” continuò, indicando la porta in fondo al corridoio. Poi sorrise e alzò le spalle. “Be’, fate come se foste a casa vostra.”
Dopo averlo ringraziato, le ragazze si chiusero nella loro stanza.
La camera che Dean gli aveva dato non era molto grande, forse perché in principio doveva essere stata una camera singola mentre adesso era occupata da tre letti, ma loro riuscirono lo stesso a sistemare le loro cose.
“Io prendo il letto sotto alla finestra!” Annunciò Carly, buttando le sue cose sopra al materasso.
Sam e Shiver la guardarono e annuirono.
“Fai pure,” disse Sam. “Io odio gli spifferi.”
Carly le sorrise, iniziando a disfare i bagagli.
“A New York nevica spesso?” Domandò Shiver.
“Praticamente ogni anni,” rispose Carly. “È bellissimo. Montano sempre la pista di pattinaggio sul ghiaccio e poi addobbano un grandissimo albero proprio lì vicino. Il Natale di New York è sempre stato magico.”
“Io non ci sono mai stata,” disse Sam. “Magari un giorno mi ci puoi portare.”
A Carly brillarono gli occhi e annuì vigorosamente.
“Sicuro! Non esiste che tu non sia mai stata a New York!”
Sam e Shiver ridacchiarono, e le ragazze tornarono a sistemare le loro cose in silenzio.
Quando scesero di nuovo al piano di sotto trovarono i ragazzi che cercavano di accendere il caminetto, apparentemente senza successo.
“Qui c’è scritto che devi prima buttarci questi cosi dentro,” diceva Thomas, leggendo delle informazioni da una pagina internet.
Le ragazze li guardarono ridacchiando, poi Carly si fece avanti scuotendo leggermente il capo. Chiuse il PC di Thomas e allontanò Logan e Dean.
“Si vede che siete abituati al caldo,” disse.
Prese dei legnetti piccoli e dei pezzi di carta di giornale, poi li sistemò all’interno del camino  e dette loro fuoco. Continuò ad aggiungere carta di giornale e piccoli legnetti finché il fuoco non smise di tremolare, poi infilò nel camino un paio di grossi ciocchi e, dopo essersi accertata che il fuoco avesse attecchito, chiuse lo sportello di vetro.
“Ogni tanto dovete ravvivarlo e spostare i legni. Mi raccomando, quando aggiungete ciocchi non soffocate il fuoco,” gli disse. Poi, dopo essersi pulita le mani sui jeans, si allontanò, tornando dalle ragazze.
“Ci ha fregati,” commentò Dean, guardandola andare via.
“Che vuoi farci, è newyorkese,” gli disse Logan.
Carly si voltò, appoggiandosi le mani sui fianchi.
“E con questo cosa vorresti dire?”
“Voglio dire che tu sei abituata ai camini e noi no,” spiegò il ragazzo, abbozzando un sorriso.
Carly lo scrutò. Conosceva Logan, gli piaceva prenderla in giro e litigare con lei, sembrava quasi che per lui fosse una specie di sport, perciò non diceva cose del genere così, tanto per fare.
“Intendi dire che sei voi foste stati abituati ai camini l’avreste fatto meglio di me perché sono una femmina?”
Logan alzò le mani.
“Non ho detto questo,” ribatté. “Lo so che sei in grado di fare le cose che fanno i maschi, anzi, forse anche troppo.”
“Quindi mi stai dando del maschiaccio,” continuò Carly.
“Be’, un po’ maschiaccio lo sei,” intervenne Thomas. “Senza offesa.”
“Nessuna offesa, Tommy,” rispose Carly, abbozzando un sorriso. “Ti va una scommessa, Log?”
Logan la guardò con un sorriso storto.
“Sai che adoro le scommesse, New York.”
Carly lo guardò. Non era mai stata tipo da scommesse, ma sarebbe stato divertente.
“Farò la ragazza,” disse. “Per stasera, farò la ragazza.”
Sam e Shiver lanciarono un basso fischio e i ragazzi ridacchiarono.
“Ehi, è così assurdo?!” Esclamò Carly, guardandoli. “Se riesco a… a essere…”
“Sexy,” le venne in aiuto Sam. “Se riesce a essere sexy ha vinto. E non barate voi tre!”
“Va bene, ci sto. Facciamo che se vinco io mi dici perché se sgattaiolata in camera mia di nascosto,” propose Logan con un sorriso.
Carly lo guardò assottigliando le palpebre.
“E se vinco io mi dici perché tu sei sgattaiolato in camera mia di nascosto.”
Logan la raggiunse, allungando una mano. Carly guardò prima lui e dopo la mano, poi la stinse.
I ragazzi esultarono e le ragazze afferrarono Carly per le braccia, trascinandola su per le scale in tutta fretta.
“Forza, forza!” Esclamò Sam. “Abbiamo molto lavoro da fare!”
 
Carly soffocò un lamento, mentre Sam le pettinava i capelli con poca grazia.
Forse, in fondo in fondo, la sua idea non era stata poi così geniale.
Appena erano arrivate in camera, Shiver e Sam l’avevano fatta sedere sul letto e avevano iniziato a ronzarle intorno tutte eccitate. Sam aveva tirato fuori spazzole e pettini, mentre Shiver aveva deciso di dare fondo ai suoi trucchi.
Nessuna delle due ragazze era una patita della moda o del trucco, ma si prendevano lo stesso abbastanza cura di loro stesse. Sicuramente più di Carly.
A lei non era mai piaciuto dare troppo peso all’aspetto estetico. Molti dicono che le persone che si comportano così lo fanno perché non sono abbastanza belle e certe volte, guardandosi allo specchio, Carly aveva pensato che avessero ragione. Lei non era bella, non si sentiva bella e l’unico che le avesse mai detto qualcosa di carino in quel senso era stato Simon, che non era andato oltre un ‘sei molto carina’. Ma a Carly non piaceva andare in giro a dire che non era bella abbastanza, non le piaceva struggersi per una stupidaggine del genere, né le interessava apparire meglio di così. Lei viveva nella convinzione che se avesse incontrato qualcuno a cui piacere l’avrebbe accettata così. Ed era successo, con Simon.
“Stai ferma,” le disse Sam, tirandole varie ciocche di capelli con la spazzola. “Cavoli, Carl, hai litigato con i pettini, per caso?”
Carly arrossì, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, appoggiate sulle ginocchia.
“Se li pettinano poi vengono uno schifo. Di solito rimedio con il balsamo quando faccio la doccia,” spiegò, leggermente in imbarazzo.
In quel momento Shiver riemerse dalle valige e alzò due vestiti in modo che entrambe potessero vederli. Si trattava di un corto vestitino verde smeraldo che arrivava sì e no a metà coscia e di un vestito a quadretti rossi e neri un po’ più lungo con la gonna a balze.
“Quale pensate che sia meglio?” Chiese.
Carly ebbe voglia di vomitare. Lei e i vestiti avevano un rapporto di avversione totale da quando, al suo quarto compleanno, la gonna le si era impigliata ai rametti di un cespuglio e lei era rimasta in mutande nel bel mezzo del giardino. C’era da dire che gli unici presenti erano i suoi parenti e un paio di bambine della sua età, ma la cosa l’aveva traumatizzata abbastanza per farle odiare gonne e vestiti.
“Io quelli non me li metto!” Disse, categorica.
“Dean ha detto che andiamo in un locale,” spiegò Shiver. “Prima quando sono scesa mi ha detto di dirvelo.”
Carly strabuzzò gli occhi.
“Un locale? E perché!?”
“Be’, è Capodanno,” le rispose Sam. “Non sei mai stata a una festa di Capodanno?”
Carly arrossì. Non è che a New York passasse il Capodanno da sola, ma di solito andava con i suoi amici a Times Square e poi passavano il resto della notte a casa di qualcuno. Non era tipo da feste, diciamo.
“Io… Certo.”
Sam le sorrise, poi indicò il vestito a quadretti.
“S’intona ai tuoi capelli,” disse solo, poi tornò al suo ruolo di parrucchiera.
Dopo che Sam le ebbe spazzolato per bene i capelli, Shiver le truccò il viso. Carly si raccomandò di non esagerare, anche perché era abituata a stropicciarsi gli occhi senza problemi, perciò avrebbe sicuramente rovinato tutto.
Quando si guardò allo specchio, dopo essersi messa il vestito e aver lasciato che Sam le sistemasse di nuovo i capelli, dando un verso ai ricci con un po’ di schiuma, quasi non si riconobbe.
“Se fossi bionda e avessi gli occhi verdi somiglierei a mia mamma,” disse, osservando il proprio riflesso.
Il vestito a quadretti non le stava male, a parte il fatto che lasciava troppe gambe scoperte per i suoi gusti. Però Sam aveva ragione, i ricci marroni facevano un bel contrasto con il rosso e il nero della stoffa. Dopo qualche minuto di discussioni, Carly l’aveva avuta vinta sulle scarpe e aveva potuto indossare le sue inseparabili e un po’ consunte converse nere. Almeno, ogni volta che avrebbe guardato in basso, si sarebbe sentita un po’ meno a disagio.
Come promesso il trucco di Shiver era quasi invisibile; una spolverata di fard sulle guance, del mascara e un ombretto bianco sulle palpebre, per illuminarle lo sguardo.
“Sei brava,” le disse Carly, mentre si osservava. “Cioè, siete entrambe brave. Io tutte queste cose non le so neanche fare.”
Sam ridacchiò, infilandosi il vestito verde che avevano scartato per Carly.
“Le sai fare,” ribatté. “Tutte le ragazze le sanno fare. È solo che non ci hai mai provato.”
“Credo di aver visto troppo Dawson’s Creek da piccola.” Shiver e Sam la guardarono inarcando le sopracciglia. “Per Joy. Lei non si truccava praticamente mai.”
“E la prima volta che l’ha fatto Dawson è caduto ai suoi piedi,” ricordò Sam, facendole l’occhiolino.
Carly arrossì e Shiver ridacchiò.
“Cosa vuoi dire?” Balbettò la ragazza, imbarazzata.
Sam alzò le spalle.
“Niente in particolare.”
“Ragazze!” La voce di Dean arrivò forte e impaziente dal piano di sotto, probabilmente i ragazzi erano già pronti da un pezzo.
Carly s’infilò di corsa il giacchetto di pelle e, quand’anche Shiver e Sam furono pronte, scese al piano di sotto.
I ragazzi le aspettavano sulla soglia delle scale, impazienti e annoiati. Erano vestiti praticamente tutti e tre nello stesso modo: un paio di jeans, una maglietta con delle scritte e una giacca elegante.
A nessuno cadde la mascella sul pavimento o si illuminarono gli occhi quando videro Carly, come succedeva nei telefilm per teenager in cui la ragazza con il sex appeal di un libro di matematica decideva di mettersi in tiro e veniva fuori che era la più bella della scuola. I ragazzi sembrarono piuttosto stupiti di vederle indossare un vestito, ma nessuno ebbe particolari reazioni; non che Carly se le fosse aspettate.
“Allora fai sul serio,” le disse Logan, mentre uscivano di casa.
Carly si voltò verso di lui e lo guardò con aria di sfida.
“Dubitavi?”
“Se devo essere sincero, sì,” ammise il ragazzo. “Credevo che fossi troppo anticonformista.”
“Io sono anticonformista. Anticonformista è il mio secondo nome,” rispose lei e Logan ridacchiò.
“Comunque non farlo più,” aggiunse dopo un po’, mentre camminavano per la strada. Dean aveva detto che il locale non era lontano, perciò invece di prendere i mezzi pubblici avevano deciso di andare a piedi.
Carly si voltò a guardarlo, inarcando le sopracciglia. Il fiato le usciva dalla bocca in piccole nuvolette di fumo e il freddo iniziava a farsi sentire sotto al giacchetto di pelle.
“Cosa?” Chiese.
“Vestirti così.”
La ragazza abbassò lo sguardo, lisciandosi le pieghe della gonna. Se fosse stato un altro ragazzo a dirle una cosa del genere si sarebbe messa ad urlargli quanto fosse stato insensibile quel commento, ma il fatto che si trattasse di Logan rendeva tutto diverso. Quando c’era di mezzo Logan per lei era sempre tutto diverso.
“È così terribile?”
Logan scosse il capo.
“No,” rispose, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
Dean si fermò di fronte all’insegna blu di un locale. Si chiamava Icy e sembrava molto piccolo e affollato.
“Eccoci qua!” Esclamò il ragazzo.
Carly continuava a fissare Logan, in attesa che dicesse qualcos’altro oltre a quel ‘no’ secco e insignificante.
Mentre entravano dentro al locale il ragazzo si avvicinò a lei.
“Non sei terribile,” le disse. “È che sei più bella quando sei te stessa.”
La superò senza aggiungere altro né aspettare che dicesse qualcosa e Carly rimase a fissarlo mentre spariva tra la folla, immobile sulla soglia del locale. Sentiva il cuore martellarle nel petto e lo stomaco pieno di farfalle.
Le aveva detto che era bella.
Logan Lerman, il fratellastro che credeva di non sopportare e con cui litigava un giorno sì e l’altro pure, le aveva appena detto che era bella.
 

 
Carly scoppiò a ridere, mentre Dean e Thomas cantavano una vecchia canzone per la strada, tenendosi le braccia attorno alle spalle l’un l’altro.
Ormai non mancava molto alla mezzanotte e al locale i due ragazzi avevano alzato un po’ troppo il gomito. Logan e Shiver avevano cercato di tenerli a bada, ma appena uno dei due spostava lo sguardo, i ragazzi ordinavano un altro bicchiere di qualcosa.
Carly e Shiver non avevano bevuto niente, mentre Sam e Logan erano solo un po’ più divertenti del solito.
L’Icy si era rivelato un bel posto per passare la serata. Era davvero piccolo come sembrava, ma facevano buona musica e sulla pista non c’era troppa confusione, perciò non eri costretto a ballare con il sedere appiccicato a quello di uno sconosciuto. Carly si era fatta trascinare in pista solo una volta da Sam e Shiver e poi, mentre ballavano, non sapeva come era finita tra le braccia di Logan. Avevano ballato insieme per un paio di canzoni, poi lei aveva detto di avere sete e si era dileguata.
Anche il locale, per il mobilio di legno, ricordava un po’ una baita di montagna adibita a discoteca. Sulla desta c’era il piano bar e una rampa di scale nascosta dietro ad esso portava al piano superiore, mentre tutto il resto del locale era adibito a pista da ballo. La postazione del dj era in fondo alla stanza, su una specie di palchetto improvvisato.
Il percorso fino a casa sembrò a Carly più corto dell’andata, forse per tutte le risate o forse perché era stanca e non vedeva l’ora di buttarsi sul suo letto.
Logan dovette prendere le chiavi dalle tasche di Dean e aprire al posto suo, perché il ragazzo era troppo ubriaco per infilare la chiave nella toppa. Avevano anche fatto una prova e Dean aveva affermato di vedere tre buchi e non sapere quale fosse quello giusto.
Una volta entrati Dean si fiondò verso lo stereo e accese la musica ad alto volume, iniziando a ballare nel bel mezzo del salotto, sopra al tavolo.
Nonostante non venissero lì da anni, Carly pensò che sua madre non sarebbe stata troppo contenta di sapere che il figlio aveva usato il suo tavolino da fumo come cubo da discoteca.
Poco dopo Thomas si unì a lui e anche Shiver e Sam si fecero trascinare dalla musica.
“Io vado di sopra a fare una telefonata,” disse Carly a Logan, l’unico che non si era ancora messo a ballare.
Il ragazzo annuì e Dean richiamò la sua presenza in salotto. Logan e Carly ridacchiarono e la ragazza salì le scale, diretta verso la propria stanza.
Quando si richiuse la porta alle spalle, chiudendo fuori la musica che veniva dal salotto, compose velocemente il numero di Lily, andando a sedersi sul suo letto.
Pronto?” Urlò Lily dall’altro capo del telefono.
“Lil, sono io!”
Carly!” Esclamò la ragazza. “Scusa, c’è confusione,” si giustificò. “Dove sei? A festeggiare da qualche parte?
Carly annuì, poi si ricordò che Lily non poteva vederla.
“Siamo in montagna, a casa del migliore amico di Logan. E tu?”
Siamo tornati da poco da Times Square. Quest’anno stiamo da Anne,” spiegò. “Pensavo che voi sareste rimasti a Los Angeles, ho sentito dire che i fuochi di Capodanno lì sono meravigliosi.
Carly sorrise. Le faceva piacere poter sentire la voce di Lily, anche se vederla e poterle raccontare tutte le cose che le succedevano di persona sarebbe stato dieci volte meglio.
“Lo so, ma Dean ha questa casa in Colorado e… be’, la neve mi mancava,” spiegò Carly. “Gli altri come stanno? Si divertono?”
Lily le urlò di sì e poi le passò alcuni dei suoi vecchi amici di New York. Sembravano tutti estremamente felici e le chiesero se si stesse divertendo. Un paio di loro le dissero anche che sentivano la sua mancanza e a Carly si strinse un po’ il cuore.
Ti passerei anche Simon, ma è da qualche parte con la sua nuova-” Lily si zittì all’improvviso e Carly sentì qualcosa colpirle il petto.
Tutta la felicità che aveva provato qualche ora prima, quando Logan le aveva detto che era bella, era svanita. Anche se Lily non aveva finito la frase, Carly sapeva benissimo che cosa stava per dire e, a regola, non avrebbe dovuto importarle.
Lei e Simon avevano rotto e non si vedevano da un po’, ormai, non c’era niente di sbagliato se lui si era trovato un’altra ragazza. Era giusto così.
Mi dispiace. Cavoli, non tengo mai la bocca chiusa. Io… Scusami tanto,” si scusò Lily, sinceramente preoccupata che ciò che aveva detto potesse averla ferita.
“Non importa,” si affrettò a rispondere Carly. Non importa. Invece sì. Importava eccome. Importava al suo stupido cuore che soffriva per cose inutili. “Sono contenta che stiate tutti bene.”
Sei sicura che vada tutto bene? Gesù, sono una tale idiota…
“Non sei un’idiota,” la rassicurò Carly con un sorriso. “Davvero, sto bene. Adesso devo tornare di sotto dagli altri. Ti auguro di passare una bella serata. Salutami tutti e fai gli auguri a tua madre da parte mia.”
Okay, ma giura che stai bene,” le disse Lily.
Carly ridacchiò.
“Lo giuro sui miei libri di Harry Potter.”
Sentì Lily ridere all’altro capo del telefono.
Va bene, ti credo. Passa una buona serata anche tu. Ti voglio bene.”
Carly sospirò.
“Ti voglio bene anch’io.” Poi chiuse il telefono.
Appoggiò il cellulare sul comodino e si mosse fino alla finestra, sedendosi sulla piccola sporgenza di legno. Piegò le ginocchia e le avvolse con le braccia, stringendosele al petto, e spostò lo sguardo fuori dalla finestra.
La strada di fronte a casa di Dean era vuota e ricoperta di neve. Un paio di lampioni proiettavano la loro luce tremolante sull’asfalto e le case vicine sembravano vuote.
Simon è da qualche parte con la sua nuova…
“Ragazza,” sussurrò Carly a se stessa. “La sua nuova ragazza.”
Sentiva la musica e le risate provenire dal piano di sotto, ma non aveva alcuna voglia di scendere e divertirsi. Sapeva di essere un’idiota a comportarsi così, perché Simon aveva tutto il diritto di andare avanti e anche lei avrebbe dovuto farlo.
Certe cose devi lasciarle andare e accettare che sia per sempre.
Avevano ragione sua madre e Logan, ma non era Lily che lei avrebbe dovuto lasciare andare. Doveva lasciare andare Simon.
Sentì la porta cigolare lentamente e la faccia di Logan fece capolino nella stanza.
“Sono venuto a vedere cosa-” si fermò all’improvviso, guardandola. Poi spalancò la porta e si avvicinò a lei. “Ehi, che cosa è successo?” Allungò una mano e le accarezzò una guancia, e solo in quel momento Carly si rese conto di stare piangendo.
Spostò velocemente il viso, allontanandolo dalle sue dita, e si strofinò le guance con le mani, scacciando via le lacrime.
“Sto bene,” disse, secca. “Non ho voglia di scendere.”
“Cosa ti ha detto Lily?” Le domandò Logan.
Carly riportò lo sguardo fuori dalla finestra.
“Niente,” rispose. “Non mi ha detto niente.”
Logan allungò di nuovo la mani, afferrandole il mento e obbligandola a guardarlo.
“So che è successo qualcosa, ti conosco,” le disse, guardandola con aria seria. “Ehi, lo sai che con me puoi parlare.”
Carly lo guardò, poi sfuggì rabbiosamente dalla sua presa, balzando in piedi con occhi fiammeggianti d’ira.
“Smettila di fare l’eroe!” Gridò, sentendo altre lacrime che le bagnavano le guance. “Io non voglio essere salvata!”
Il ragazzo si lanciò in avanti, stringendola tra le braccia. Carly cercò di divincolarsi, battendogli i pugni sul petto.
“Sì, invece,” le sussurrò Logan. “Quando stiamo male non ci servono persone che abbiano pietà di noi o persone che ci dicano che le cose andranno meglio. Quando stiamo male vogliamo solo qualcuno che ci salvi. E tu vuoi essere salvata, come tutti gli altri.”
Carly si fermò, abbandonando i pugni chiusi sul petto di Logan. Aveva il fiato corto e gli occhi offuscati dalle lacrime. Le parole di Logan le penetrarono sotto la pelle lentamente e, altrettanto lentamente, i suoi pugni si dischiusero per afferrare la maglietta del ragazzo.
“Sono una cretina,” disse Carly, abbandonandosi tra le braccia di Logan. “Una grandissima cretina.”
Il ragazzo le accarezzò i capelli.
“Non è vero,” la rassicurò. “Sei solo un po’ più stupida della media.”
Carly gli piantò un pugno sul petto e alzò lo sguardo su di lui, imbronciata. Logan invece rise, stringendo un po’ di più le braccia attorno a lei.
Quando i loro sguardi s’incontrarono, Carly si rese conto di quanto effettivamente fossero vicini ma, a differenza di quand’erano caduti sul tappeto qualche settimana prima, non aveva nessuna voglia di mettere dei centimetri in più tra i loro volti. Se mai le sarebbe piaciuto fare il contrario.
“Chiudi gli occhi,” le sussurrò il ragazzo, appoggiandole le man sulle spalle.
Carly non avrebbe dovuto farlo, ma lo fece. E non si stupì quando sentì le labbra di Logan sulle sue, delicate.
Rispose al suo bacio, aprendo le mani e facendole scorrere dal petto del ragazzo al suo collo e poi sulle sue guance, mentre lui le accarezzava le braccia e le spalle.
Quando dischiuse le labbra, Carly perse la cognizione dello spazio e del tempo. In quel momento sarebbe potuta esplodere la casa e lei non se ne sarebbe accorta.
Sentì il materasso toccare la sua schiena e le gambe di Logan allacciarsi alle sue, mentre il corpo del ragazzo le si avvicinava.
“Presumo di aver vinto,” sussurrò, quando le labbra di Logan si allontanarono dalle sue per scendere sul suo collo. “Perché sei sgattaiolato in camera mia?”
Logan sollevò leggermente la bocca dalla pelle di Carly.
“Perché mi mancavi,” soffiò e lei rabbrividì. “Mi mancavi e ancora non lo sapevo.”
Le mani del ragazzo le sfilarono il vestito delicatamente e lei tirò la sua maglietta verso l’alto, lasciandolo a petto nudo.
Logan non aveva un fisico particolarmente atletico, più che muscoloso poteva dirsi magro, ma Carly pensava comunque che andasse bene così. Le andava sicuramente bene così.
Gli passò le mani sulla schiena e poi sulle spalle, mentre lui continuava a baciarla. Avrebbe dovuto dirgli di fermarsi e ci sarebbero stati almeno tre buoni motivi per farlo, e tutti conoscono la regola dei tre buoni motivi. Però Carly non aveva messo in conto il suo cuore martellante, l’adrenalina che le faceva prudere le mani e il desiderio che i suoi baci gli provocavano.
Quando tutti i vestiti finirono sul pavimento, Carly non esitò neanche per un secondo. Alzò gli occhi verso il soffitto e incontrò quelli di Logan. Visti da quella posizione sembravano due palline blu che fluttuavano nel buio, pronte a rassicurarla se avesse avuto paura.
Sentì le mani di Logan accarezzarla, risalendole le gambe per raggiungere i fianchi.  Riusciva a percepire la presa del ragazzo, le sue dita che la stringevano, la sfioravano, eppure l’unica cosa di cui era realmente conscia erano i suoi occhi che la osservavano quasi con curiosità.
Si abbassò per baciarle prima le guance e il mento, per poi scendere sul collo, mentre le sue mani la sfioravano ovunque. Erano grandi, le mani di Logan, e calde, e la facevano sentire come se niente potesse succederle finché si trovava tra le sue braccia.
Portò le mani sulla schiena di Logan, percorrendogli la spina dorsale con la punta delle dita, mentre lui affondava il viso nell’incavo del suo collo, morendole delicatamente la pelle della spalla.
Tremò quando il ragazzo si sistemò tra le sue gambe, avvicinando il corpo al suo e sentendo i suoi fianchi sporgenti a contatto coi propri. E in quell’esatto momento, una scossa d’elettricità le percorse la schiena, facendola inarcare in avanti.
Ansimò, aggrappandosi alle spalle di Logan mentre lui iniziava a muoversi lentamente, allontanando le mani dal corpo di Carly per appoggiarle sul materasso, ai lati delle sue spalle.
Da quel momento in poi, fu solo calore ed elettricità. Tutto ciò che Carly riusciva a percepire erano il respiro di Logan sulla pelle, le gocce di sudore che gli imperlavano la schiena e i suoi occhi, adesso più scuri, che la guardavano come nessuno l’aveva mai guardata. E lei non ebbe paura a lasciarsi andare del tutto in quel mare di emozioni e lenzuola, perché solo in quel momento si rese conto che Logan era l’unico che avrebbe mai potuto salvarla. 

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Capitolo 8
*** Because I'm only a crack in this castle of glass ***


A Greenfields
per strapparle un arrabbiato
sorriso. 

 

8. Because I’m only a crack in this castle of glass

 
La luce del sole entrava nella stanza dalla finestra aperta, illuminando il letto di Carly.
Lei arricciò il naso, rigirandosi tra le coperte per sfuggire al sole del mattino. Si voltò alla ricerca di calore finché non trovò qualcosa di abbastanza caldo alla sua sinistra.
Si lasciò cullare dal dormiveglia per qualche minuto, appoggiando la testa sulla fonte di calore e accoccolandosi contro di essa.
Sperava di poter continuare il sogno che stava facendo e c’era quasi riuscita quando realizzò dove era e cosa era successo.
Aprì gli occhi di scatto e balzò a sedere, rimanendo mezza nuda al centro del letto. Logan stava riposando proprio accanto a lei, con i capelli scompigliati e le labbra semiaperte. Il piumone lo copriva solo dalla vita in giù, lasciandogli scoperti il petto e le braccia, sui quali si rifletteva la luce del sole, facendo sembrare la sua pelle meno pallida.
Carly si soffermò a guardarlo, afferrando un lembo del lenzuolo per coprirsi. Si strinse le mani contro il petto e fece scorrere lo sguardo sul ragazzo. Sembrava tranquillo e, con i capelli in disordine, meno perfetto del solito.
Con un mezzo sorriso si stese di nuovo sul letto, allungando una mano verso i capelli di Logan per scostarglieli dal viso. Quando le sue dita gli sfiorarono la fronte, il ragazzo aprì gli occhi.
Per qualche minuto rimasero a guardarsi in silenzio, contemplandosi l’un l’altra, poi Logan girò il capo verso il soffitto e si stropicciò gli occhi con una smorfia.
Carly lo osservò, mordicchiandosi le labbra.
La sera precedente si era lasciata andare, senza pensare alle conseguenze. Era arrabbiata e triste per ciò che Lily le aveva detto e lui era stato così carino con lei che..
“Ciao.” La voce di Logan interruppe il filo dei suoi pensieri e Carly notò che era aveva di nuovo il viso rivolto verso di lei.
“Ciao,” sussurrò, arrossendo e stringendo più forte il lenzuolo contro il petto - per quanto tutta quella pudicizia fosse ormai inutile, dato che non c’era niente che Logan non avesse già visto.
“Ehm, dormito bene?” Domandò il ragazzo e Carly annuì, affondando la guancia nel cuscino morbido.
Logan abbozzò un sorriso imbarazzato.
Carly ricordò improvvisamente che non erano soli in casa e si chiese come mai le ragazze non fossero tornate a dormire in camera.
“Gli altri dove…?”
“Probabilmente si sono addormentati di sotto,” rispose il ragazzo. “Quando me ne sono andato, ieri sera, erano tutti piuttosto allegri,” spiegò.
Carly annuì, sperando che nessuno avesse tentato di entrare in quella stanza la notte precedente. La situazione era già piuttosto imbarazzante e non era in cima alla sua lista dei desideri essere beccata a letto con Logan.
I due ragazzi rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Carly sospirò e si mise a fissare il soffitto.
“Riguardo a quello che è successo..” iniziò Logan. Carly non disse nulla e lui non continuò la frase, lasciandola sospesa nel silenzio.
Il fatto era che né lui né lei sapevano cosa dire riguardo ciò che era successo. Avevano fatto sesso, e questo era piuttosto chiaro ad entrambi, ma nessuno dei due avrebbe saputo dire come mai. E, soprattutto, nessuno dei due aveva il coraggio di dire le parole che entrambi conoscevano.
“È stato uno sbaglio,” disse infine Carly, dopo aver preso un bel respiro profondo. Lo era stato davvero. Non sarebbe dovuto succedere, tutto qui. “Io… Mi dispiace se mi sono lasciata andare, ecco.”
Logan la guardò sbattendo le palpebre.
“Certo, uno sbaglio,” le fece eco. “Non devi scusarti. Non è solo colpa tua.”
Carly annuì, mettendosi a sedere sul letto. Iniziò a cercare la sua roba per la stanza con lo sguardo, riuscendo a raggiungere la biancheria. Tra la sua canottiera, il reggiseno e le mutande trovò anche i boxer di Logan.
Con il viso che andava in fiamme, si voltò verso di lui e glieli porse.
“Ehm, credo che questi siano tuoi,” disse e il ragazzo li afferrò sussurrando un ‘grazie’.
Si rivestirono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Mentre s’infilava una vecchia felpa tirata fuori dalla valigia in quel momento, Carly spostò lo sguardo fuori dalla finestra, dove si vedeva la strada innevata illuminata dal sole. In qualche modo, seppure quel posto fosse estremamente diverso da New York, pensò a casa sua.
Dopo essersi rivestiti, lei e Logan scesero al piano di sotto. Come il ragazzo aveva ipotizzato, gli altri erano malamente sdraiati sui divani, uno sopra l’altro.
“Ci penso io a svegliarli,” disse Logan, avviandosi verso Dean e Sam che si erano addormentati vicini.
Carly annuì, facendo qualche passo indietro verso la cucina.
“Io preparo la colazione.”
Non aspettò neanche che Logan annuisse, fece dietrofront e sparì oltre le porte a vetri. Quando se le chiuse alle spalle vi si appoggiò contro con un sospiro. Le immagini della notte prima ancora le vorticavano in testa ed era difficile stare con Logan, parlargli o anche solo guardarlo mentre pensava a quelle cose.
Scosse la testa e poi si sistemò i capelli dietro le orecchie, dirigendosi verso il piano cucina. Dopo aver frugato un po’ negli scaffali trovò finalmente una busta di pancake da scaldare. Non sarebbero stati buoni come quelli appena fatti, ma almeno erano qualcosa.
Carly, allora, si rimboccò le maniche della felpa e tirò fuori una padella, buttandovi un piccolo cubetto di burro che si sciolse all’istante. Mentre i pancake si doravano sul fuoco azionò la macchinetta del caffè. Quando l’odore dei dolci superò la barriera delle porte scorrevoli, i ragazzi fecero irruzione in cucina, spossati e affamati.
“Buongiorno!” Esclamò lei, mettendo nel piatto l’ultimo pancake. Tirò fuori una boccetta di sciroppo d’acero dalla credenza e poi mise tutto sul tavolo.
Dean si passò una mano tra i capelli scompigliati e strizzò gli occhi.
“Non urlare,” le disse, stravaccandosi su una delle sedie.
Carly ridacchiò, prendendo anche lei posto a tavola.
Mangiarono in relativo silenzio, con Dean e Thomas che ogni tanto si lamentavano per il mal di testa e Sam e Shiver che le chiedevano come mai non fosse scesa la sera precedente. E Logan continuava a guardarla. In silenzio, senza dare l’impressione che fosse successo qualcosa di particolare, ma la guardava.
Appena finì il suo caffè appoggiò sia la tazza che il piatto nel lavandino e poi si dileguò con la scusa di dover fare una telefonata importante.
L’aria fresca del mattino le sferzò subito il viso quando uscì in giardino, e il freddo pungente dell’inverno le pizzicò la pelle coperta solo dalla felpa e un paio di jeans. Per la fretta di fuggire si era dimenticata di mettersi i guanti e la sciarpa.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e osservò lo schermo luminoso per qualche minuto prima di comporre il numero di Lily.
La ragazza rispose al terzo squillo ridacchiando.
“Lil, sono stata a letto con Logan,” disse Carly tutto d’un fiato, senza neanche darle il tempo di dire qualcosa.
Le risate di Lily cessarono immediatamente e ci fu un momento di silenzio in cui Carly pensò che la ragazza le avesse attaccato il telefono in faccia.
Tu che cosa?!” Esclamò alla fine, probabilmente allontanandosi da dove si trovava perché la confusione che si sentiva in sottofondo diminuì.
“Io… Non lo so com’è successo,” spiegò Carly. “Voglio dire, io ero giù di morale e lui era lì e poi…”
Cacchio,” imprecò Lily, stupita. “Hai fatto sesso con Logan Lerman. Lo sai quante ragazze si taglierebbero un braccio per essere al posto tuo?
In altre circostanze Carly avrebbe riso, ma in quel momento era troppo confusa e preoccupata per pensare alle battute di Lily.
“Non è questo il punto!” Ribatté. “Adesso non so più cosa fare!”
Be’, in quanto a fare credo che tu abbia già dato…” commentò Lily e Carly avvampò, guardandosi alle spalle, come se qualcuno potesse averla raggiunta in giardino e potesse aver sentito ciò che aveva detto la sua migliore amica. “Senti,” riprese, “com’è  stato?
Carly avvampò di nuovo.
“Lily! Non mi sembra il momento di parlare di questo!” Protestò la ragazza, sempre più imbarazzata.
Tu rispondimi,” insisté Lily.
Carly sbuffò, alzando gli occhi verso il cielo.
“Be’, è stato bello,” ammise.
Quindi ti è piaciuto?” Continuò Lily.
“Sì, mi è piaciuto. Ma questo che c’entra?” Domandò Carly, confusa. Si aspettava che Lily le avrebbe fatto quelle domande, ma credeva che avrebbe avuto il buon senso di dare la precedenza alle cose importanti.
C’entra perché se ti è piaciuto, allora dovresti provare ad uscire con lui,” rispose, come se fosse la cosa più semplice e ovvia del mondo.
Carly sbatté le palpebre. Era vero, il sesso con Logan le era piaciuto – molto, per essere precisi – però questo non voleva mica dire che…
“Uscire con lui? Ma sei matta?!” Esclamò la ragazza. “Solo perché mi è piaciuto non vuol dire che mi piaccia lui. Io… Sono attratta da lui perché è un bel ragazzo, tutto qui.”
Ne sei sicura?” Domandò Lily, scettica, e Carly immaginò che stesse inarcando il sopracciglio com’era solita fare quando qualcosa non la convinceva del tutto.
“Sì,” rispose Carly. “Io…be’, credo di provare ancora qualcosa per Simon,” ammise.
Hai parlato con lui stamattina?”
“Mh, mh.”
E?” la incalzò.
Carly sbuffò, arricciandosi una ciocca di capelli attorno all’indice con nervosismo. Controllò di nuovo che non ci fosse nessuno alle sue spalle e poi tornò a concentrarsi sulla conversazione.
“Siamo stati d’accordo nel dire che non ha significato niente,” rispose.
Siete stati d’accordo o tu hai detto che non ha significato niente e lui ti ha dato ragione per non fare la figura dell’idiota che, invece, ha provato qualcosa?
Carly sbatté le palpebre.
“Cosa? No! Lui era d’accordo!”
Be’, allora dovresti comportarti normalmente. Fingi che non sia successo niente. D’altronde è stato un errore, no?
La ragazza aprì e chiuse la bocca un paio di volte per ribattere, poi annuì, dicendo a Lily che aveva pienamente ragione e che non c’era niente di cui preoccuparsi.
Ah, a questo punto devo davvero depennarlo dalla lista dei miei futuri mariti, mannaggia a te!” Esclamò prima di attaccare e a Carly sfuggì un sorriso.
 

 
Logan sospirò, sistemando i cuscini del divano.
Subito dopo la colazione, Samantha e Shiver si erano chiuse nella loro stanza per dormire e anche Thomas aveva deciso di recuperare il sonno perduto quella notte su un letto vero. Quando se n’erano andati, Logan aveva lasciato Dean in cucina a finire il suo gommoso pancake ed era fuggito in salotto con la scusa di voler riordinare. Di sicuro Dean doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava perché lui non metteva mai in ordine. La sua camera era un disastro e presto nessuno sarebbe stato più in grado di vederne il pavimento.
Per questo l’aveva seguito appena aveva sentito la parola ‘mettere in ordine’ e, adesso, se ne stava seduto sul tavolo con le braccia incrociate.
“Allora, devo legarti ad una sedia e minacciarti con una scarpa puzzolente?” Disse, guardando Logan con le sopraciglia inarcate.
Il ragazzo sapeva che il suo migliore amico era capacissimo di fare una cosa del genere, perciò decise di vuotare il sacco. Anche se non sapeva esattamente da dove cominciare e come spiegare cos’era successo. In realtà, non lo sapeva neanche lui cos’era successo.
“Ehm, il fatto è che-”
“Hai rotto uno dei vecchi vasi di mia madre?” Lo interruppe Dean, tirando a indovinare.
Logan scosse il capo.
“No. Ieri sera è successo che-”
“Ti senti in colpa perché ci hai abbandonato nel momento del bisogno, cioè quand’eravamo ubriachi e ci serviva una giuda per arrivare al letto?”
Logan scosse il capo un’altra volta.
“Io e Carly abbiamo-”
“Siete usciti di nuovo per festeggiare e non ci avete chiamato?” Tentò ancora Dean e Logan rilasciò uno sbuffo esasperato. “Allora avete-”
“Fatto sesso,” esclamò. Dean strabuzzò gli occhi. “Io e Carly abbiamo fatto sesso.”
Dean lo guardò sbattendo le palpebre, con la mascella che sfiorava il pavimento.
Rimasero in silenzio per un po’, finché Logan non lo guardò con aria supplicante.
“E dai, dì qualcosa,” disse.
“Oh, cazzo.”
“Be’, non era esattamente ciò che mi aspettavo,” commentò Logan, sbuffando e tornando a sistemare i cuscini del divano.
“Lo so, scusa, è che… Oh, cazzo,” rispose Dean.
“L’hai già detto,” gli fece notare Logan.
Dean annuì, strofinandosi le mani sulle gambe. Glielo si leggeva in faccia che anche lui pensava fosse un gran problema, anche se non l’avrebbe detto. Ma Logan non gliene faceva una colpa, anzi, il fatto di avere il coraggio di non fargli credere che le cose andavano bene era il motivo per cui era il suo migliore amico.
“Com’è successo esattamente?” Chiese, dopo qualche minuto di silenzio. “Voglio dire… tu e Carly! Cioè, non che io non me lo aspettassi…”
Logan lo fulminò con lo sguardo, poi si mise a sedere su uno dei braccioli del divano e sospirò. Si passò una mano tra i capelli e spostò per qualche secondo lo sguardo fuori dalla finestra, scorgendo il profilo di Carly che parlava al telefono in giardino.
“È complicato,” disse. “Io ho solo… A un certo punto volevo baciarla e poi…”
Dean gli appoggiò una mano sulla spalla e la strinse lievemente.
“Già, è complicato.”
“No, Dean,” sospirò il ragazzo, guardando Carly con la coda dell’occhio. “È un casino. Io… Che devo fare con lei?”
Dean ridacchiò, lasciando la spalla di Logan e riportando la mano sulle gambe.
“Se non sbaglio sai sempre cosa fare con le ragazze…”
“Ma lei è diversa,” ribatté Logan. “Voglio dire, lei…”
“Ti piace,” disse Dean per lui, sfidandolo con lo sguardo a dire il contrario.
Logan non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo e a passarsi una mano tra i capelli, coprendosi gli occhi con qualche ciuffo scuro.
“No che non mi piace,” rispose infine, guardandolo come se avesse detto la cosa più assurda del mondo. “È solo che siamo come fratelli, viviamo nella stessa casa e… be’, è imbarazzante.”
Dean alzò le spalle.
“Se è stato solo un errore allora devi comportarti come se niente fosse,” disse.
“Certo, ovviamente,” ribatté Logan, riprendendo a riordinare. “Ero solo preoccupato che ci potesse essere dell’imbarazzo tra noi, tutto qui.”
Dean lo guardò inarcando un sopracciglio.
“Certo, come no,” sbuffò. “Ma pensi che io sia idiota?”
“Ehm, sì,” ridacchiò Logan e Dean gli tirò un cuscino.
In risposta, il ragazzo afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro – una ciabatta finita in salotto chissà come – e la lanciò in direzione di Dean, che la schivò per un pelo. Ridendo come due bambini iniziarono a tirarsi tutto ciò che trovavano, compreso un vecchio portafoto vuoto che rischiò di colpire Logan diritto sul naso. Quando esaurirono le ‘munizioni’ si stesero ridenti sul pavimento, spalla contro spalla, come facevano quando avevano tredici anni e si prendevano in giro a vicenda.
“Mi mancavano i nostri momenti da tredicenni,” confessò Dean, soffocando una risata.
“Te lo ricordi, tanto per rimanere in tema, quando ci mettevamo a parlare di ragazze?”
Logan annuì, continuando a sorridere. Quando avevano tredici anni – anche se tecnicamente lui ne aveva tredici e Dean quindici – si mettevano a sedere sul pavimento di camera sua, con la porta chiusa a chiave, e iniziavano a parlare di ragazze. Di quanto a lui sarebbe piaciuto conoscere delle ragazze delle superiori e di quanto a Dean mancassero i tempi facili delle medie, quando l’unica cosa di cui dovevi preoccuparti era non esserti messo le scarpe di due colori diversi. Ogni tanto, durante le loro chiacchierate, Dean si atteggiava anche un po’ a ‘adolescente’, facendo discorsi da ragazzo delle superiori, come se lui fosse a un livello più alto. Ma a Logan non aveva mai dato fastidio, anche perché adorava prenderlo in giro quando si comportava a quel modo e così finivano per pareggiare i conti.
“Mi ricordo di quando ho dato quel CD a quella ragazza e lei mi ha detto che ero strano,” ricordò Logan, con un sorriso divertito. All’epoca si era preso una cotta per Amanda Whyte e aveva deciso di farle un CD con alcune delle sue canzoni preferite. Gli ci erano volute settimane per trovare il coraggio di darglielo e, alla fine, aveva ottenuto solo un ‘sei proprio strano’ come risposta. Non il massimo per un ragazzino di tredici anni alle prese con la sua prima cotta.
“Carly non ti direbbe che sei strano se le facessi un CD,” osservò Dean.
“Io non farò un CD per Carly,” ribatté Logan. “È fuori discussione.”
Dean scrollò le spalle, giocherellando con l’orlo della maglietta.
“Poteva essere una cosa carina,” commentò il ragazzo. “Potevamo registrarle qualcosa…”
Logan si voltò di scatto verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
“Non se ne parla, è fuori discussione! Toglitelo dalla testa!”
Dean scoppiò a ridere, iniziando a cantare in falsetto le parole di una delle tante canzoni romantiche che passavano in radio in quel periodo.
“Forse dovrei solo starle alla larga per un po’,” disse infine Logan, sospirando.
“E perché dovresti?” Domandò Dean, smettendo di ridere.
Logan lo guardò, alzando le spalle.
“Be’, per mettere ordine nel…” il suo migliore amico lo guardò, in attesa di sentire la parolina magica, ma Logan la ingoiò. “Per mettere ordine, punto.”
“Ecco, questa era un classica frase alla Carly!” Notò Dean con un sorriso.
Logan gli dette una spallata, imbronciandosi.
“Non parlo come Carly,” protestò e Dean ridacchiò.
“Oh, e questo era un classico comportamento alla Carly!” Continuò, ridendo sempre più forte. Continuò a prenderlo in giro per altri dieci minuti, finché entrambi non scoppiarono a ridere e lasciarono che la spensieratezza di quel momento li facesse sentire leggeri, allontanandoli da ogni pensiero o preoccupazione. C’erano solo loro due, stesi sul pavimento del salotto, a ridere come due bambini, cullati dai ricordi di quei tempi in cui la cosa più importante di cui dovevi preoccuparti era se c’erano abbastanza coperte a casa per improvvisare un letto in più.
 

 
Dean li aveva riaccompagnati a casa in macchina dall’aeroporto alcune ore prima e, da allora, Carly non aveva fatto altro che andare in su e in giù per la stanza, sistemando gli abiti che aveva in valigia.
Dopo Capodanno avevano passato un altro paio di giorno in Colorado e poi erano tornati a Los Angeles, pronti per la fine delle vacanze di Natale e l’inizio del semestre. Nei giorni successivi a quella cosa – Carly preferiva chiamarla così piuttosto che il sesso. Dato che chiamarla il sesso rendeva ancora più reale il fatto che ci fosse stato del sesso, non so se mi spiego -.  Comunque, dopo quella cosa lei e Logan non si erano quasi più parlati. Lei aveva cercato di comportarsi come se niente fosse, prendendolo un po’ in giro e cercando di rimanere da sola con lui per fare due chiacchiere, come facevano sempre, ma lui trovava sempre una scusa per andarsene. In due giorni non l’aveva presa in giro neanche una volta ed era un fatto epico, dato che, di solito, non riusciva a resistere due ore senza dirle qualcosa che la mandasse su tutte le furie. Ma, nonostante tutto, le sue prese di giro le mancavano; il fatto che non ci fossero più la facevano sentire come se le mancasse qualcosa di fondamentale, anche se si trattava di un fratellastro irritante incapace di essere gentile.
Sbuffò, cambiando posto ai calzini per la terza volta.
Le mancava, ecco tutto. Per quanto dura fosse ammetterlo, le mancava Logan più di ogni altra cosa. Le mancava parlare con lui, litigarci, scherzare; le mancava perfino quando la trattava come se fosse la sua sorellina.
Ne aveva parlato con Shiver e Sam -  omettendo ciò che era accaduto tra loro la notte di Capodanno – e loro le avevano semplicemente detto di parlagli e chiedergli cosa ci fosse che non andava, o se avesse fatto qualcosa di male. Il punto era che lei sapeva perfettamente cosa c’era che non andava e non sapeva come fare a fingere che non fosse successo quando ci pensava quasi ogni secondo.
Aveva provato a ripetersi che era successo tutto perché lei era ancora innamorata di Simon e, dopo aver saputo che si era messo con un’altra, era stata così devastata dentro da permettere a Logan di curare almeno un po’ tutte quelle ferite. Ma la verità… be’, la verità è che era sempre stata attratta da Logan, in un certo senso.
Lo sguardo le cadde sulla parete che confinava con la camera del ragazzo e, con uno sbuffo esasperato, lasciò cadere i calzini a terra e si precipitò verso la porta a grandi passi, spalancandola e raggiungendo la stanza di Logan.
Bussò e, dopo un paio di secondi, il ragazzo venne ad aprire la porta. Quando se la vide davanti non riuscì a nascondere il proprio stupore.
“Ciao,” disse. “Ti serve qualcosa?”
Carly decise di ignorare le buone maniere per un minuto e fece un passo verso di lui, fronteggiandolo con occhi fiammeggianti.
“Sì, mi serve sapere perché sono due giorni che mi eviti,” rispose, appoggiando le mani sui fianchi e guardandolo con aria perentoria.
“Io non ti ho evitato,” rispose.
Carly lo guardò inarcando un sopracciglio. Non si sarebbe accontentata né di una scusa né di un tentativo di evitare il discorso. Sapeva che ciò che era accaduto tra loro non si poteva dimenticare e basta, ma dovevano almeno provarci, e dovevano farlo entrambi.
“Sì, invece,” ribatté. “Mi hai evitato eccome. E voglio sapere perché.”
Logan sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
“Perché era imbarazzante, okay?” Rispose. Lo sguardo stanco che Carly scorse nei suoi occhi la fece vacillare. Ci aveva davvero pensato così tanto? “Era imbarazzante, e tu hai deciso subito che dovevamo fare finta di niente, e io non sapevo più come comportarmi con te, e-”
Non sapeva perché l’aveva fatto, ma era stato estremamente facile sporgersi in avanti e tappargli la bocca con un bacio. Non appena le sue labbra toccarono quelle di Logan il ragazzo la strinse tra le braccia, girandosi e facendole appoggiare la schiena allo stipite della porta. Non ci fu spazio né per l’esitazione né per la sorpresa. Con gentilezza la bocca di Logan dischiuse la sua, mentre le mani del ragazzo le afferravano le gambe, premendola sempre di più tra il suo corpo e il muro. Giudò le gambe di Carly attorno alla propria vita e continuò a baciarla stringendole le cosce, coperte da un paio di spesse calze nere di lana.
All’improvviso, quando una delle mani del ragazzo iniziò a salire verso il suo fianco, Carly lo spinse via, ritornando coi piedi per terra.
Logan la guardò con aria confusa e lei si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Fantastico, adesso non aveva la più pallida idea di cosa dirgli.
“Immagino che dovremo cancellare anche questo,” commentò lui, umettandosi le labbra.
“Io… Mi dispiace… Volevo solo…” balbettò la ragazza, avvampando.
Logan scosse il capo, appoggiandole una mano sulla spalla.
“Facciamo finta che non sia successo assolutamente niente, né questo né il resto,” disse, ma non la stava guardando negli occhi. “Saremo fratello e sorella. Solo fratello e sorella.”
Carly sentì qualcosa colpirle il petto, ma lo ignorò, anche se il dolore la fece quasi piegare in due. Solo fratello e sorella. Aveva ragione lui.
“Giusto,” sorrise Carly. “Saremo solo una famiglia.”
Logan ricambiò il suo sorriso.
“Fantastico.”
Se era giusto, però, perché sembrava tutto così sbagliato? Perché quei sorrisi, quelle parole, sembravano solo una grandissima finzione? Perché sembravano il più grande ‘facciamo finta’ di tutti?
Carly salutò Logan con un cenno della mano e si richiuse in camera sua.
Dimenticò la valigia mezza sfatta sul letto e si gettò su Harry1. Aprì word e iniziò a scrivere. Scrisse finché non ebbe più parole da usare; finché non ebbe più emozioni di cui liberarsi; finché non ebbe più ricordi da dimenticare.
Solo fratello e sorella….
Presumo di aver vinto…
È stato uno sbaglio…
Mi mancavi e ancora non lo sapevo…
Be’, è stato bello…
Chiudi gli occhi…
Mi dispiace…
Sospirò, chiudendo la pagina di word senza salvare il documento. Ogni tanto lo faceva, scriveva per ore con l’unico scopo di svuotarsi di tutte le cose che le erano successe.
Dopo aver chiuso il PC si alzò, facendo stridere la sedia sul pavimento, e si avvicinò alla parete. Alzò una mano per toccare la superficie ruvida e, mentre lo faceva, nella stanza accanto, separato da lei solo da quella sottile striscia di muro, Logan stava facendo esattamente la stessa cosa. 





-
Vi prego, non picchiatemi troppo forte, ed evitate il naso, se potete (quello di botte ne ha già prese troppe!)
*Ehm, ehm* Be', dopo essere scomparsa per una cosa come due settimane, eccomi qua!
In realtà questo capitolo volevo pubblicarlo ieri, però internet si è messo contro di me e non c'è stato niente da fare (è troppo potente e le mie capacità magiche ancora troppo poco Hermionesche). 
Lo so che adesso mi odierete, perché loro due si amano e si vede lontano un chilometro e bla, bla, bla, e, fidatevi, mi odio anche io! Però ne vale la pena, ve lo posso garantire! E' un'offerta soddisfatti o rimborsati, perciò, se le cose non dovessero andare come promesso, vi do l'indirizzo di casa mia...
Spero che stiate passando tutti delle buone vacanze e che, nonostante tutto, il capitolo vi piaccia almeno un po' :)
Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la storia, quelli che hanno recensito i capitoli precedenti e quelli che recensiranno questo. Davvero, mille grazie!
Un bacione a tutti, 
Emily. 


*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Castle of Glass dei Linkin Park 

1 volevo ricordare a tutti che Harry è il PC di Carly :) 

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Capitolo 9
*** Fifth, you see them out with someone else ***





9. Fifth, you see them out with someone else
 

Ricominciare la scuola dopo le vacanze di Natale fu una vera tortura.
Carly e lo studio non erano mai andati troppo d’accordo, ma, bene o male, cercava sempre di dare il meglio di sé per ottenere voti nella media, anche stare sui libri invece di leggere una bella storia era quasi una tortura. Ogni tanto, quando faceva gli esercizi di matematica, metteva su un po’ di musica a basso volume e, spesso, Logan la raggiungeva in camera per studiare insieme a lei.
Da Capodanno, però, alcune cose erano cambiate. Anche se lei e Logan avevano deciso che niente era successo, c’era ancora una storta di teso imbarazzo tra di loro che gli impediva di comportarsi come al solito. E quando ci provavano uno dei due faceva o diceva sempre qualcosa di troppo imbarazzante e se ne andava.
Ormai erano passate parecchie settimane da quello che non era successo e Lily aveva esaurito i consigli, così come Carly aveva quasi esaurito la sopportazione.
Sbuffò, addentando quasi con violenza il suo tramezzino.
“Lui non ti ha fatto niente, sai?” Le disse Shiver ridacchiando.
Anche Sam si lasciò andare ad una piccola risata, nascondendo la bocca dietro al suo panino ripieno.
Carly non gli aveva ancora raccontato cosa non era successo con Logan durante il weekend in Colorado, ma le due avevano capito che c’era qualcosa che non andava già da un pezzo. In realtà, quello l’avevano capito tutti, perfino i loro genitori. Il fatto era che, se i suoi si erano completamente disinteressati della cosa, Sam e Shiver non facevano altro che farle domande, sperando che, con la tecnica dell’esasperazione, prima o poi avrebbe sputato il rospo. E, forse, avrebbe davvero voluto farlo.
Fin’ora ne aveva parlato solo con Lily la quale aveva fatto del suo meglio per aiutala, nonostante i chilometri che le dividevano, e di questo Carly le era estremamente grata. Ma forse aveva bisogno anche di amiche che non abitassero dall’altra parte del paese.
“Quel panino sta pagando le conseguenze del tuo problema?” Domandò Sam.
Carly la guardò con le sopracciglia inarcate, togliendo con il dito un po’ di maionese che stava per cadere dal panino.
“Quale problema?” Ribatté. “Io non ho un problema.”
Sam la guardò con le sopracciglia inarcate, segno che non le credeva affatto. E, in effetti, Carly doveva ammettere che neanche lei si sarebbe creduta. Era sempre stata una pessima bugiarda.
“Oh, sì che ce l’hai,” rispose Shiver. Di solito lei era quella meno agguerrita delle due, probabilmente preferiva che Carly si confidasse da sola, senza metterle pressione. Quindi, se Shiver era arrivata a farsi coinvolgere, forse significava che era proprio ora di dire la verità. “Il tuo problema si chiama Logan Lerman.”
Carly abbassò lo sguardo, sfuggendo dalla presa degli occhi azzurro ghiaccio di Shiver.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e, quando rialzò gli occhi, Sam abbozzò un sorriso.
“Senti, lo so che non siamo proprio amiche per la pelle, okay?” Le disse. “Tu hai una migliore amica e va bene, davvero.”
“Però puoi contare anche su di noi, sai?” Continuò Shiver con un sorriso. Adesso era più rilassata. “Non devi pensare di essere da sola. Siamo tue amiche anche noi.”
Carly le guardò e sentì il cuore stringersi in una morsa. Abbozzò un sorriso e, dopo aver controllato che non nessuno potesse sentirla, raccontò loro cos’era successo da Dean; di come si fosse sentita un po’ triste quando aveva parlato con Lily e di come si fosse sentita devastata dopo, quando aveva saputo di Simon e della sua nuova ragazza. Poi Logan era entrato in camera sua e, come sempre, aveva cercato di salvarla. E poi il letto, e i baci, e le lenzuola, e tutto il mondo che girava intorno ai suoi occhi blu. La mattina dopo che aveva ancora il sapore del sesso e decidere che tutto era sbagliato, non parlarsi per giorni, baciarsi sulla soglia di camera sua e cancellare tutto un’altra volta.
“Diciamo che non ci parliamo da allora,” concluse. “O meglio, ci parliamo, ma non è più Logan il ragazzo che mi sta davanti.”
Sam e Shiver inarcarono le sopracciglia e Carly sospirò, scorgendo il ragazzo in questione che, in un angolo del prato, rideva e scherzava insieme ai suoi amici. Eccolo, quello era Logan.
“No,” riprese la ragazza. “Il ragazzo che vedo io ogni mattina non è più il mio amico Logan. È Logan Lerman, l’attore di successo che ogni tanto finisce sulle copertine dei giornali e sta nelle stanze delle ragazzine, appeso alle pareti.”
Le due ragazze la guardarono in silenzio. In un certo senso, sembrava quasi che non fossero poi così sorprese per ciò che era successo in Colorado, quasi come se se l’aspettassero. La prima a interrompere il silenzio fu Shiver.
“Non hai pensato che, magari, lui prova qualcosa per te?”
Carly strabuzzò gli occhi, riportando lo sguardo su Logan per una frazione di secondo. Poi tornò a guardare le due ragazze, scuotendo il capo.
“È impossibile,” disse, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Ridacchiò, come se la cosa fosse troppo assurda. “È fuori discussione. Lui non potrebbe mai-”
“Perché?” La interruppe Sam, guardandola con decisione.
Carly boccheggiò. Non si era mai soffermata a pensare al perché lei e Logan non avrebbero mai potuto essere niente più che amici, l’aveva sempre pensata a quel modo e basta. Non era possibile che le cose andassero altrimenti, punto.
“Non lo so,” ammise. “Non ci ho mai pensato. Forse perché non sono il suo tipo?” Ipotizzò.
Sam si legò i capelli in una coda, sbuffando, mentre Shiver allungava una mano per stringere il ginocchio di Carly con sguardo solidale.
“Se davvero quello che vuoi è dimenticarti di quello che è successo tra di voi, l’unico modo è uscire con un altro ragazzo,” le disse Shiver e Sam annuì.
“Così lui capirà che ci sei passata sopra completamente e l’imbarazzo sparirà,” spiegò. “Funziona, è testato,” le assicurò con un sorriso.
Carly ricambiò.
“Testato da chi?” Cantilenò, guardandola con aria ammiccante.
Sam arrossì leggermente e Shiver scoppiò a ridere.
“L’importante è che tu sia sicura,” riprese Samantha. “Al cento per cento.”
Carly si mordicchiò un labbro e arricciò il naso.
“Non è quello,” disse. “Non voglio usare un ragazzo per sistemare le cose con altri due,” spiegò.
Shiver e Sam la guardarono con l’aria di essersi perse qualcosa e Carly sussultò. Si portò le mani gelate sulle guance bollenti e poi guardò altrove, incontrando per sbaglio lo sguardo di Logan. Si guardarono per qualche minuto, finché Dean non richiamò la sua attenzione e lui si voltò.
“Il fatto è che io penso di essere sempre innamorata di Simon, il mio ex,” spiegò.
La confusione scivolò immediatamente via dai volti di Sam e Shiver che la guardarono. A disagio, Carly mosse i piedi sull’erba, sporcandosi di terra la punta delle scarpe da tennis.
“Ma?” La incalzò Shiver dopo qualche minuto di silenzio.
Carly la guardò, stupita. Si conoscevano da così poco tempo, eppure era già in grado di leggere nei suoi occhi abbastanza da capire tutti i suoi ‘ma’. E non è che fosse una cosa facile, soprattutto quando si aveva a che fare con persone come lei, che vivevano più di ‘ma’ che di punteggiatura.
Sospirò, incontrando gli occhi limpidi di Shiver e poi quelli scuri di Sam.
“Niente,” sorrise. “Non c’è nessun ‘ma’.”
Le due ragazze non sembravano essere convinte, ma non replicarono. La guardarono in silenzio, probabilmente cercando di leggere al di sotto del velo di mezze verità sotto al quale si era nascosta. E per un momento desiderò alzarne un lembo per permettergli di vedere la vera lei.
Sorrise, spazzolandosi via le briciole del panino dai jeans e si alzò, rimettendosi la borsa a tracolla sulla spalla.
“La campanella suona tra poco,” spiegò.
Shiver annuì, accartocciando il pezzo di carta che avvolgeva il suo panino.
“Ci vediamo all’uscita,” le disse e Carly sorrise, prima di dare loro le spalle e avviarsi verso l’aula di letteratura inglese.
La campanella suonò proprio mentre lei entrava in aula e, approfittando di quei pochi minuti di solitudine, si sistemò in uno dei banchi sotto alle finestre. Appoggiò la borsa  a terra e tirò fuori i libri e un blocco di fogli a quadretti.
Dopo pochi minuti i suoi compagni di corso riempirono la stanza, spintonandosi per evitare i banchi in prima fila e raggiungere per primi quelli in fondo. Nel gruppo, Carly vide la testa corvina di Logan che si muoveva in mezzo alle altre. Nonostante tutto, pregò che non si sedesse vicino a lei.
“Ti dispiace?”
Carly sobbalzò, alzando lo sguardo. I suoi occhi incontrarono un paio di iridi azzurre, adombrate da alcune ciocche bionde. Il ragazzo le sorrise, scoprendo una fila di denti bianchissimi.
“Eh?”
Il ragazzo ridacchiò, indicando il banco accanto al suo. Aveva i capelli biondi abbastanza lunghi da poterli legare in un piccolo codino, le sopracciglia curate, le labbra fine, che s’increspavano quando sorrideva, e la mascella squadrata.
“Questo posto,” ripeté. “Ti dispiace se mi siedo qui?”
Carly si affrettò a scuotere la testa, abbassando lo sguardo.
Il ragazzo sorrise, sedendosi. Carly lo sentì mentre spostava la sedia delicatamente, per non farla stridere contro il pavimento, e poi mentre frugava nella cartella alla ricerca dei libri. Si azzardò a voltarsi per osservare il suo profilo e lo trovò che la stava guardando. Non come la guardava Logan, in maniera timida, quasi fosse qualcosa che non andava fatto. La guardava spudoratamente, con la guancia appoggiata al palmo della mano e lo sguardo deciso fisso su di lei.
“Scusami,” disse, mentre la professoressa entrava in aula. “Non volevo metterti in imbarazzo.” Allungò una mano verso di lei e sorrise di nuovo. “Mi chiamo Nathan.”
Carly la strinse, guardando con la coda dell’occhio la signorina Thomson.
“Carly,” rispose, abbozzando un sorriso.
“Ti sembrerà strano ma…” iniziò e per la prima volta in quei dieci minuti Carly lo vide in difficoltà. Ma durò solo un momento. “È un po’ che ti ho notata.”
Carly si sentì arrossire e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ignorando la sensazione che qualcuno la stesse guardando. Sentì in lontananza la voce della signorina Thomson che iniziava a parlare di un nuovo testo, ma non si voltò per prestare attenzione. C’era qualcosa nello sguardo di Nathan che le impediva di guardare altrove.
“Pensavo di essere piuttosto invisibile,” ammise con una mezza risata.
Nathan tirò fuori una matita dal suo astuccio ed iniziò a giocherellarci, tracciando linee disordinate sul suo blocco degli appunti.
Lei si fermò ad osservarlo, e si accorse che c’era qualcosa di familiare nel suo sguardo e nei tratti del suo viso. 
“Fidati, non lo sei affatto,” le assicurò Nathan, passandosi una mano tra i capelli.
“Tu sei Nathan Smith,” disse infine Carly, ricordando le poche volte in cui l’aveva incontrato per i corridoi. “Il capitano della squadra di football.”
Nathan sorrise.
“Beccato.”
Carly non s’interessava di football e non era mai stata a nessuna delle partite del campionato scolastico, né le interessava sapere chi stesse in cima alla piramide della popolarità. Sapeva solo che lei stava in fondo, e questo le bastava.
“Come mai oggi non sei andato a sederti con i tuoi amici?” Non voleva essere né scortese né prevenuta, ma conosceva i tipi come lui e li aveva visti ferire le persone così tante volte che aveva sviluppato un istinto di autodifesa nei loro confronti.
“Senti, non devi trattarmi come se fossi uno stronzo per definizione,” disse e Carly si sentì un po’ in colpa per averlo fatto. “Facciamo così, se alla fine dovesse uscire fuori che non avevo buone intenzioni puoi darmi un pugno in faccia, non opporrò resistenza.”
Carly ridacchiò, annuendo, mentre il gesso strideva contro la lavagna, mosso dalla mano della signorina Thomson.
Come loro due, molti altri studenti stavano chiacchierando tra loro sottovoce e un basso ronzio aleggiava nella stanza, riempiendo il silenzio e facendo da sottofondo alle parole dell’insegnante di letteratura.
“Attento, potrei farti male,” lo minacciò, inarcando un sopracciglio.
Nathan alzò le spalle, sorridendole.
“Correrò il rischio,” disse.
“Quindi non sono un fantasma, eh?” Riprese Carly, leggermente imbarazzata.
“No,” rispose il ragazzo. “Decisamente.” Allungò una mano per accarezzarle il viso, ma, ricordandosi che erano a lezione, la ritirò subito, appoggiandosela sul ginocchio.
“Mi hai chiesto perché non mi sono seduto con i miei amici oggi e, be’, il motivo è che volevo chiedere a Casper se vuole uscire con me sabato sera.”
Carly lo guardò inarcando le sopracciglia. Quando riuscì a cogliere l’occhiata eloquente di Nathan sbatté le palpebre, esalando un debole ‘oh’.
“Ecco… Io… Mi farebbe davvero piacere,” balbettò, sentendosi arrossire. “Ma non credo che sia una buona idea,” concluse infine.
Lo sguardo di Nathan si rabbuiò leggermente.
“Come mai?” Chiese.
“Be’, tu sei tu e io sono io,” rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Nathan le sorrise, scuotendo il capo con divertimento.
“È la scusa peggiore del mondo,” le disse. “Sei pessima a raccontare balle.”
Carly sbuffò e nella sua mente risuonò la voce di Logan che le diceva la stessa cosa, appena qualche mese prima, sulla spiaggia di Los Angeles. Scosse la testa per scacciarla via e tornò a concentrarsi su Nathan.
“Chi è l’altro ragazzo? Quello a causa del quale non possiamo uscire insieme?”
La ragazza arrossì e il suo sguardo si spostò istintivamente su Logan, seduto pochi banchi lontano da Nathan, mentre la sua mente volava a Simon, così lontano da lei eppure ancora così vicino.
“Sai, almeno posso dirgli di lasciarti stare…”
Carly sorrise, sentendo la professoressa Thomson che terminava la spiegazione. Probabilmente l’ora era quasi finita.
“Non credo che siano esattamente affari tuoi,” ribatté Carly, ma stava ancora sorridendo. “Magari un’altra volta, eh, Nathan?”
Nathan annuì con un sospiro.
“Nate,” disse poi.
“Nate,” ripeté Carly e la campanella squillò, mettendo fine alla loro conversazione.
Carly rinfilò nella borsa a tracolla i suoi libri e si alzò, abbassando lo sguardo su Nate che stava ancora mettendo apposto le sue cose.
“Ci vediamo,” gli disse, stringendo le dita attorno al laccio della sua borsa con nervosismo.
Nate le sorrise.
“Ci vediamo, Carly.”
La ragazza gli fece un timido cenno di saluto con le dita e poi si girò. Quando il suo sguardo si posò sul resto dell’aula incontrò quello di Logan che, ancora seduto al suo posto, la stava osservando.
 


 

Per tutto il resto della giornata non fece altro che pensare a Nathan.
Quand’era arrivata a Los Angeles aveva guardato lui e i suoi compagni di squadra dall’alto in basso, appiccicando loro un’etichetta addosso come succedeva sempre al liceo. Incontri una persona per i corridoi, capisci qual è il suo ruolo all’interno della scuola e, bam!, ecco che hai già deciso come quella persona deve essere. Il fatto è che non tutto è ciò che sembra e non sempre siamo ciò che vogliamo. Questo Carly l’aveva sempre pensato, però non era mai riuscita ad essere abbastanza forte per metterlo in pratica; o meglio, non si comportava come tutte quelle persone che, dopo aver deciso che qualcuno era un in certo modo, non gli davano neanche la possibilità di dimostrare il contrario, però non riusciva a non farsi condizionare almeno un po’.
Nathan, quella mattina, le aveva dimostrato quanto le etichette fossero una cosa stupida – e lei già lo pensava. Le aveva dimostrato che indossare la maglietta della squadra di football, avere le spalle larghe e la capo cheerleader che ti fa gli occhi dolci, non vuol dire avere l’ego di Draco Malfoy. Che poi, alla fine, Draco Malfoy era solo un ragazzo intrappolato nel ruolo che doveva interpretare.
Carly sospirò, arrotolandosi una ciocca di capelli attorno alla matita, mentre l’insegnante di matematica parlava di formule e diagrammi.
Fuori il cielo si era oscurato e una leggera pioggerellina batteva contro i vetri, producendo un timido ticchettio, che faceva da sottofondo alla voce del professore. Mentre tutti i suoi compagni guardavano fuori dalla finestra con aria contrariata, Carly si sentiva perfettamente a suo agio in giornate come quelle. In un certo senso le sembrava di essere tornata nella sua vecchia scuola, a New York, in una delle tante grigie giornate invernali. Per un momento, dopo aver socchiuso le palpebre, le sembrò perfino di sentire il vento pungerle il naso.
Lo squillo della campanella la tirò fuori dalle sue fantasie, facendola sobbalzare. Quando la campana trillò, il professore alzò lo sguardo verso l’orologio, come se non credesse che l’ora fosse passata davvero così in fretta. Scrollò leggermente la testa e si sistemò gli occhiali sul naso, poi iniziò a dettare le pagine che contenevano gli argomenti di cui aveva parlato durante la lezione, raccomandandosi che i ragazzi li studiassero accuratamente visto che sarebbero stati nel test di fine mese.
Carly non ci teneva affatto a prendere un altro brutto voto, l’esperienza con l’insufficienza in chimica le era bastata per il resto della vita, però, nonostante questo, non si appuntò sul blocco le pagine che l’insegnante aveva dettato e uscì dall’aula in tutta fretta, rivolgendo un saluto frettoloso al professore che non la degnò neanche di uno sguardo.
Quando fu finalmente nel cortile sentì le gocce di pioggia inumidirle i capelli, ma non si preoccupò del fatto che, se non si fosse coperta al più presto, entro pochi minuti si sarebbero trasformati in una vaporosa criniera. Teneva lo sguardo puntato sulla porta e osservava gli altri studenti uscire; chi da solo, chi con un gruppo di amici. Cercò lo sguardo chiaro di Nathan tra tutti i visi che le passarono davanti, ma non riuscì a trovarlo.
Forse sarebbe solo dovuta andare via. Uscire con Nathan l’avrebbe messa nei casini, in casini enormi. Prima di tutto, Margaret, la capo cheerleader che aspettava un invito a uscire da parte del ragazzo da anni, le avrebbe reso la vita impossibile; secondo, lei non era certa di fidarsi al cento per cento di Nathan; terzo…be’, terzo, non sapeva cosa avrebbe pensato Logan.
Rifletté sulle cose a cui aveva appena pensato e si dette dell’idiota tre volte, perché di ciò che avrebbe potuto fare o non fare Margaret non le importava niente, perché lei voleva fidarsi di Nathan, e perché Logan era solo il suo fratellastro, quindi non avrebbe pensato niente e anche se avesse pensato qualcosa a lei non importava. Giusto? Non le poteva importare.
Se davvero quello che vuoi è dimenticarti di quello che è successo tra di voi, l’unico modo è uscire con un altro ragazzo.
Carly si mordicchiò un labbro. Voleva dimenticarlo? Voleva dimenticare com’era avere le mani di Logan che la toccavano, le sue labbra che la baciavano e lui che respirava sulla sua pelle? Voleva farlo?
Spostò lo sguardo e incontrò gli occhi di Nathan che le sorrise. Lei ricambiò il sorriso e si avviò verso di lui. Il suo cuore e il suo cervello erano praticamente coinvolti in un incontro di lotta libera, perciò lei decise di ignorarli entrambi e di seguire gli occhi del ragazzo.
“Ciao,” disse, quando fu abbastanza vicina perché lui potesse sentirla.
Nathan si passò una mano tra i capelli e Carly pensò che, probabilmente, lo faceva ogni volta che voleva fare colpo su una ragazza.
“Ehi,” le rispose.
Carly arrossì, abbassando lo sguardo sulle proprie mani giunte.
“Ti va di accompagnarmi a casa?” chiese tutto d’un fiato, e per un momento pensò che lui non l’avesse sentita. Quando però vide le sue labbra incresparsi in un sorriso compiaciuto si rese conto che aveva capito benissimo.
“Certo,” disse, stringendole le dita attorno al braccio per guidarla fuori dalla folla.
Si incamminarono verso casa di Carly e iniziarono a chiacchierare del più e del meno. Mentre passeggiavano, la ragazza pensò di essersi proprio sbagliata sul conto di Nathan e che, forse, avrebbe davvero potuto dargli una possibilità.
Certe cose devi lasciarle andare ed accettare che sia per sempre.
Sì, avrebbe lasciato andare Simon e quella notte con Logan e se ne sarebbe tenuta solo il ricordo e non più il rimpianto.
“Sai,” iniziò, nascondendo le mani nelle maniche della felpa. “Per me va bene.”
Nathan la guardò inarcando le sopracciglia, confuso.
“Voglio dire, uscire con te,” precisò. “Se l’invito è ancora valido.”
“E l’altro ragazzo?” Chiese.
Carly arrossì, gettando una veloce occhiata alle proprie spalle per controllare che Logan non fosse nei paraggi. Come c’era da aspettarsi in una giornata come quella la strada era deserta, fatta eccezione per una coppia di ragazzi che camminava condividendo lo stesso ombrello.
“Non importa più,” rispose in un sussurro, tornando a guardare verso di lui.
I due si fermarono di fronte al cancello di casa e Nathan si soffermò a guardarla. Carly avvampò, cercando di non incrociare il suo sguardo, ma lui le afferrò il mento con le dita e le fece alzare il viso, obbligandola a incontrare i suoi occhi.
“Sai, è un po’ che lo conservo quell’invito,” confessò il ragazzo. “Non credo che si sia rovinato in qualche ora, tu non pensi?”
Carly scosse il capo, sentendo le proprie labbra incurvarsi in un sorriso.
“Io credo di no,” rispose.
“Già, sono d’accordo.”
Il viso di Nathan si avvicinò lentamente e Carly sentì la propria schiena appoggiarsi alla colonna umida del muretto. Vide gli occhi del ragazzo diventare più scuri e le sue labbra schiudersi lentamente. Era a un passo dal baciarla quando lei gli appoggiò le mani sul petto, aumentando la distanza tra i loro volti.
“Ancora no,” disse, in imbarazzo. “Scusa.”
Nathan scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli da una parte all’altra.
In lontananza, nascosto sotto al cappuccio scuro della giacca a vento, Logan si stava avvicinando. Teneva le mani nelle tasche e lo sguardo basso, e l’ultima cosa che Carly voleva era che la trovasse a sbaciucchiarsi con un ragazzo sulla soglia di casa. Non sapeva perché, ma voleva a tutti i costi evitare a Logan di trovarla in una situazione del genere. E poi, per la verità, lei non se la sentiva di essere baciata da Nathan, non ancora.
“Non fa niente,” la rassicurò il ragazzo, sfiorandole la guancia con il dorso delle dita. “Sarà per la prossima volta.”
Carly incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio.
“Non contarci troppo.”
“Passo da te alle otto sabato sera?” Domandò invece Nathan.
Carly sorrise e annuì, aprendo il cancello ed entrando nel giardino.
Il ragazzo le fece un cenno con la mano e se ne andò, percorrendo la strada che avevano fatto a ritroso.
Carly rimase in giardino per qualche minuto ancora, poi Logan si fermò di fronte a casa e guardò prima lei e poi la figura di Nathan con aria perplessa.
“Che ci faceva qui Nathan Smith?” Chiese, entrando anch’egli in giardino e dirigendosi con lei verso la porta.
Carly scrollò le spalle, entrando in casa.
“Mi ha riaccompagnata a casa,” rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Logan si sfregò le mani infreddolite e poi si tirò giù il cappuccio dalla testa, coprendo di piccole goccioline il pavimento.
Solo in quel momento Carly si accorse di avere i capelli umidi e le guance gelate. Rabbrividì per il cambio di temperatura e poi si appoggiò le mani sul viso, anche se non servì a nulla, perché erano fredde anche quelle.
Logan sospirò e le coprì le guance con i propri palmi, decisamente più caldi delle mani infreddolite di Carly. La ragazza arrossì, ma lo lasciò fare.
“Lui… Io e lui usciamo insieme sabato,” spiegò, alzando lo sguardo per incontrare gli occhi di Logan.
“Mi fa piacere,” rispose, abbozzando un sorriso e, per qualche assurda ragione, Carly sentì delusa, da cosa non lo sapeva neanche lei. “Ti ho mai detto che Lucas mi ha insegnato a tirare dei pugni niente male?”
Carly scoppiò a ridere, appoggiando le mani su quelle di Logan e stringendole delicatamente.
“Grazie,” gli disse, sorridendo. “Lo terrò a mente.”
Logan le fece l’occhiolino, poi le lasciò il viso e sparì su per le scale.
Carly rimase ad osservare il punto dov’era sparito per qualche secondo, sentendo le proprie labbra rilassarsi, lasciando che il sorriso cadesse da qualche parte sul pavimento. Rimase in silenzio a fissare le scale per pochi attimi ancora, poi si costrinse a sorridere di nuovo e si disse che magari, questa volta, le cose sarebbero davvero andate per il verso giusto. 



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Eccomi qua! :)
Spero di non avervi fatto patire troppo per questo capitolo, ho cercato di essere il più veloce possibile. Be', nonostante immagino non stiano succedendo le cose che vorreste stessero succedendo (sì, pure io se fossi voi non vorrei che queste cose stessero succedendo), spero che il capitolo vi piaccia comunque. E ricordate: abbiate fede! ;)
Spero che abbiate passato delle buone vacanze e che il rientro a scuola/lavoro/università non sia stato poi così traumatico (il mio sì, e percolpa sua mi è uscito un herpes -.-) 
Grazie a tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente, 
Emily. 

*Il tiolo del capitolo è tratto dalla canzone Six degrees of separation dei The Script

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Capitolo 10
*** When we were young and every day was how we dreamed ***





10.When we were young and every day was how we dreamed

 
Il campanello trillò con insistenza, rompendo il silenzio della casa.
Suo padre e Caroline avevano deciso di cenare fuori quel sabato sera e, dato che anche Carly sarebbe uscita, Logan aveva deciso di invitare Dean per una pizza e una partita ai videogiochi. Era divertente stracciarlo giocando con una mano sola perché l’altra era impegnata a prendere i pezzi di pizza, e poi la sua compagnia l’avrebbe fatto stare meglio.
Erano passate diverse settimane dal week-end in montagna, ma non riusciva comunque a smettere di pensare a quello che era successo con Carly, nonostante le avesse detto che era tutto cancellato. Come se certe cose si potessero dimenticare e basta. Gli ci era voluto davvero tutto quel tempo per capire che Dean aveva ragione e, quindi, che lui si era preso una bella cotta per sua sorella. Non era proprio sua sorella, è vero, però la cosa gli sembrava comunque assurda. Poi lei era saltata fuori con la storia dell’appuntamento con Nathan Smith, il capitano della squadra di football e allora lui era stato troppo impegnato a cercare di non prendere a pugni nulla per pensare a quanto fosse assurda tutta quella situazione.
Sbuffò, mettendo in pausa il videogioco, e si diresse verso la porta. Dean lo guardò dal divano, con il joystick ancora stretto tra le mani e lo sguardo leggermente preoccupato.
“Non guardarmi come se avessi paura che lo prenda a pugni,” gli disse, appoggiando la mano sulla maniglia della porta.
“Ma io ho paura che tu lo prenda a pugni,” precisò Dean con una risatina e Logan gli lanciò un’occhiataccia, aprendo la porta.
Nathan era in piedi fuori dalla porta, indossava una camicia blu su un paio di jeans scuri , una giacca nera per ripararsi dal freddo e a completare il tutto c’era un mazzo di fiori colorati. Chissà se a Carly i fiori piacevano, non gliene aveva mai parlato.
“Ciao,” disse Logan, cercando di non suonare brusco e abbozzando un sorriso.
Nathan ricambiò e il ragazzo gli fece cenno di entrare in casa.
“Ciao,” rispose Nathan. “Tu sei Logan, giusto?”
Logan annuì e gli chiuse la porta alle spalle, guidandolo fino al salotto e invitandolo a sedersi su una delle poltrone. Gli presentò Dean e il suo amico lo salutò con un cenno della mano.
Rimasero seduti in silenzio per diversi minuti, Nathan a giocherellare con il mazzo di fiori, Dean a muovere le dita sui tasti del joystick e Logan a guardarsi la punta delle scarpe; finché dal piano di sopra non sentirono i passi frettolosi di Carly che si avvicinava alle scale.
Scese in tutta fretta e arrivò sul pavimento del salotto con un balzo, saltando gli ultimi due scalini.
“Eccomi!” Esclamò, affannata. “Ci sono!”
I ragazzi si voltarono a guardarla e Logan si sentì mozzare il fiato in gola. Carly non era mai stata una ragazza bellissima, di quelle che fanno voltare la testa di tutti quando passeggiano per strada. Aveva una bellezza anonima, nascosta sotto ai maglioni e alle scarpe da tennis bucherellate che portava sempre. Ma in quel momento non c’erano maglioni o scarpe da tennis che potessero nascondere qualcosa.
Indossava un paio di pantaloncini di jeans sotto ai quali aveva messo un paio di spesse calze di lana. Sopra ai pantaloni aveva una canottiera nera coperta da una larga camicia di flanella a quadri, e ai piedi portava un paio di anfibi scuri. I capelli castani le cadevano disordinati sulle spalle, probabilmente scompigliatisi durante la corsa giù per le scale, e non era truccata. Neanche un filo di trucco eppure era lo stesso carina da morire.
Dean ridacchiò e Logan pensò che lui e Nathan dovessero avere più o meno la stessa faccia intontita.
Carly arrossì sotto al loro sguardo e si portò i capelli dietro le orecchie, guardandosi le punte dei piedi con fare imbarazzato.
“Forse avrei dovuto mettermi un vestito…” commentò.
Nathan e Logan scossero il capo.
“Sei bellissima,” dissero all’unisono e Carly alzò la testa, sbattendo le palpebre, mentre i due ragazzi fingevano di non aver detto proprio quelle parole, e proprio nello stesso momento, e proprio alla stessa ragazza.
Probabilmente Dean dovette ficcarsi un pugno in bocca per non scoppiare a ridere.
“Be’, divertitevi,” gli augurò Logan, mentre Carly s’infilava la giacca.
Lei e Nathan si voltarono a guardarlo e la ragazza gli sorrise con riconoscenza. Chiuse la zip della giacca e poi, dopo aver rivolto a Dean e Logan un cenno di saluto con la mano, aprì la porta e sparì nell’oscurità della sera.
Logan sospirò, andandosi a sedere accanto a Dean sul divano.
“Avrei dovuto farvi una foto,” commentò il suo amico, appoggiandosi il joystick sulle gambe. “I posteri meritavano di vedere le vostre facce.”
Logan lo fulminò con lo sguardo, appoggiando la testa sui cuscini morbidi.
“Lo so che ormai l’hai ammesso a te stesso,” gli disse. “Ma potresti dirlo anche a me? Sai, per la soddisfazione…”
Probabilmente Dean si aspettava un pugno o qualcosa del genere, perché quando Logan rise lo guardò con aria confusa, sbattendo le palpebre.
“Avevi ragione,” ammise, poi afferrò il proprio joystick e guardò Dean con aria di sfida. “E ora fatti stracciare!”
Dean annuì con una risata e si preparò a giocare.
Logan guardò per un ultima volta la porta d’ingresso e poi dette di nuovo via al gioco, deciso a non pensare a Carly e a cosa stesse facendo con un ragazzo che non era lui.
 

 
Quando Nathan le aveva chiesto di uscire, Carly si era immaginata che, probabilmente, l’avrebbe portata in un posto elegante, magari il ristorante dove portava tutte le ragazze con cui usciva. Per questo rimase particolarmente sorpresa quando il ragazzo parcheggiò davanti a uno dei tanti McDonald’s della città.
“Molto romantico,” commentò con una risatina, alzando lo sguardo sulla grande emme gialla che faceva bella mostra di sé all’entrata del fast-food.
“Era meglio un ristorante vero?” Domandò Nathan, chiudendo la macchina.
Carly scosse il capo e si voltò verso di lui.
“Non sono adatta ai ristoranti veri,” rispose con un sorriso. “E poi, ho sempre desiderato che un ragazzo mi portasse a mangiare al McDonald.”
Nathan sbatté le palpebre.
“Sul serio?”
“No,” ammise la ragazza. “Era una scusa per non ammettere che vado matta per le schifezze.”
Nathan rise e, dopo averle afferrato la mano, la condusse all’interno del locale.
Ordinarono un paio di Mc Menù con due panini giganteschi e un sacco di patatine, e poi si misero a sedere ad uno dei pochi tavoli liberi.
“Allora,” iniziò Carly, prendendo una patatina. “Parlami di te.”
Nathan prese un sorso della sua coca-cola e poi si schiarì la voce.
“Vuoi che ti racconti del mio piano segreto per conquistarti e poi ridicolizzarti davanti a tutta la scuola perché la mia fidanzata segreta ce l’ha con te?”
Carly ridacchiò, aprendo la scatola con il suo megapanino e guardandolo con aria un po’ sconvolta.
“Nah, non vorrei annoiarmi, sai…”
“Bene,” Nathan addentò un pezzo del suo panino. “Sono nato a Seattle, ho due cani, mi piace giocare a football-”
“Frena, frena!” Ridacchiò Carly, ingoiando un pezzo di patatina. “Non devi farmi una lista. Cavoli, di solito quando esci con una ragazza che non ti consce che fai?”
Nathan si passò una mano tra i capelli e arrossì.
“Be’…”
Carly scosse il capo, sospirando.
“Facciamo così, allora. Raccontami perché te ne sei andato da Seattle,” disse, sorridendogli.
Nathan ricambiò, prendendo un altro pezzo del suo panino.
“Mio padre lavora nella polizia e quando io avevo cinque anni l’hanno trasferito in California,” spiegò. “Per un paio d’anni abbiamo vissuto a San Francisco, poi ci siamo trasferiti a Los Angeles.”
“E come mai?”
“L’hanno congedato e allora la mamma ha proposto di andarcene,” disse. “Nessuno di noi voleva tornare a Seattle e dato che lei aveva ricevuto una proposta di lavoro a Los Angeles siamo venuti qui.”
Carly annuì, pescando un paio di patatine dal contenitore rosso.
“Quando ha smesso di lavorare ha iniziato ad insegnarmi a giocare a football e quando ho iniziato il liceo ha insistito perché entrassi nella squadra,” raccontò. Sembrava molto più tranquillo, adesso, e Carly capì che, forse, non era abituato a parlare della sua vita con le persone, perché la gente pensava di sapere già tutto su di lui. “Il football mi piace, sul serio, però non è tutta la mia vita. Lui vorrebbe che io andassi al college alla Penn State, perché lì hanno un’ottima squadra di football.”
Carly aspettò che continuasse, ma Nathan non aggiunse altro e abbassò lo sguardo sul suo panino.
“E tu cosa vuoi?”
“Voglio studiare,” rispose semplicemente. “Laurearmi e poi trovare un lavoro, non giocare a football. Il football è il suo sogno, non il mio.”
La ragazza allungò una mano sul tavolo e afferrò quella di Nathan, guardandolo con un sorriso.
“Allora credo che dovresti dirglielo,” gli disse.
Nathan sospirò, scuotendo leggermente il capo.
“Anche lui giocava a football alla mia età e da quando l’hanno congedato non fa altro che ripetere che, forse, avrebbe dovuto scegliere di giocare invece che di inseguire i cattivi per metterli dietro le sbarre. Dice sempre che, forse, adesso le cose sarebbero diverse.” Gli tremò leggermente la voce mentre parlava e Carly intensificò la stretta sulla sua mano.
Lo guardò in silenzio per qualche minuto, poi si schiarì la voce.
“Io credo che i nostri genitori abbiano avuto le loro occasioni, adesso è il nostro turno,” disse. “Non penso che noi siamo venuti al mondo per realizzare i loro sogni mancati.”
Nathan la guardò sbattendo le palpebre, in silenzio. Sotto il suo sguardo concentrato Carly si sentì arrossire e abbassò il proprio.
“Ti posso fare una domanda strana?” Chiese Nathan e Carly annuì. “Ma tu dove ti sei nascosta tutto questo tempo?”
La ragazza ridacchiò, pensando che quella fosse decisamente una frase da film, una di quelle che quando le senti pensi che nessuno nella vita vera le direbbe mai. Invece eccola lì, quella frase, sospesa nell’aria tra di loro.
“Da nessuna parte,” rispose timidamente Carly. “Ma non usare più queste frasi da film, le frasi vere mi vanno più che bene.”
Nathan sorrise e si alzò, prendendo in mano il proprio vassoio, pieno di contenitori vuoti e fazzolettini di carta sporchi di sale e unto. Gettò tutto nel secchio della spazzatura e Carly lo imitò, liberandosi di ciò che restava della sua cena.
Quand’ebbe appoggiato il vassoio insieme agli altri, Nathan la prese per mano e i due si avviarono fuori dal McDonald, diretti di nuovo verso la macchina.
“E adesso dove andiamo?” Chiese la ragazza, incuriosita.
Nathan le aprì la portiera, permettendole di entrare, e, prima di richiuderla, disse con un sorriso: “Lo vedrai.”
Fece velocemente il giro dell’auto e si mise al volante. Dopo aver fatto retromarcia ed essere uscito dal parcheggio, s’immise in strada, iniziando a percorrere le vie trafficate di Los Angeles.
Carly sorrise e si voltò verso il finestrino, iniziando a osservare ciò che c’era fuori. Vedere tutte quelle luci e tutte quelle macchine che sfrecciavano accanto a loro le fece pensare al traffico di New York. Alle serate che passava con i suoi amici, in giro per la città a prendere in giro tutti i pazzi che avevano deciso di prendere la macchina il sabato sera e che, adesso, erano imbottigliati nel traffico, costretti a muoversi a passo d’uomo o a non muoversi proprio. Pensò a Lily e a tutti gli altri, e pensò a Simon, ma il cuore non accelerò neanche un battito. Da una parte la cosa la rese felice, perché doveva davvero smetterla di stare male per un ragazzo che abitava a chilometri da lei, ma dall’altra provò un senso di nostalgia, come se dimenticare Simon volesse dire, inevitabilmente, dimenticare tutte le cose belle che avevano fatto insieme.
A distrarla dai suoi pensieri fu l’auto che si fermò. Nathan aveva parcheggiato di fronte ad un cinema di quelli un po’ vecchio stile, praticamente deserto, fatta eccezione per il ragazzo che stava alla biglietteria.
Carly scese dalla macchina e guardò Nathan non aria interrogativa. Lui le sorrise e, dopo aver intrecciato le dita con le sue, si avviò dalla parte opposta del cinema, guidandola oltre la recinzione di un parco pubblico, illuminato solo dalla luce pallida dei lampioni.
“Pensavo che andassimo al cinema,” disse Carly, seguendolo lungo il sentiero che si diramava all’interno del parco, tra gli alberi.
Lui non rispose, continuò a farla camminare finché non raggiunsero una zona con un paio di altalene e uno scivolo. Dopo averla guardata attentamente, Carly si accorse che era lo stesso posto dove era finita quando aveva litigato con sua madre e Logan aveva girato la città per cercarla.
“Un parco giochi?” Ridacchiò la ragazza, andandosi a sedere su una delle altalene. Fece strusciare i piedi a terra e iniziò a dondolarsi lentamente, avvolgendo le dita attorno alle catene fredde e un po’ arrugginite.
“So che è una cosa stupida,” ammise il ragazzo, “però-”
“Va bene,” lo rassicurò Carly con un sorriso, dondolando un po’ più forte.
Nathan ricambiò, sistemandosi sull’altalena accanto alla sua e iniziando anche lui ad oscillare lentamente avanti e indietro.
“Perché non mi parli un po’ di te, adesso?” Propose, guardandola.
“Chiedimi qualcosa,” ribatté lei, spingendosi più forte. Sentì l’aria sferzarle il viso e sorrise.
“Cosa?”
“Quello che vuoi.”
Nathan rimase in silenzio, probabilmente a riflettere sulla domanda, poi abbozzò un sorriso e si dette una spinta forte anche lui, arrivando alla sua altezza.
“A te piace leggere, vero?”
Carly annuì, sentendo il vento che le passava tra i capelli, rinfrescandole la pelle del collo ed entrandole nella maglietta.
“Se potessi non farei altro,” confessò la ragazza.
“E come mai?” Un’altra spinta forte.
“Be’, perché i libri non mi lasciano mai da sola. Nei libri trovo sempre tutto quello che mi serve per essere felice. I libri mi aiutano a sognare di più,” spiegò, chiudendo gli occhi e andando più in alto che poteva. “Non mi aspetto che tu lo capisca.”
Nathan annuì, fermandosi. Allungò una mano e afferrò la catena dell’altalena di Carly, facendo fermare anche lei.
“Non lo capisco, hai ragione,” disse. “Però è una cosa bellissima, questo riesco a capirlo.”
Carly arrossì, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con imbarazzo.
“Sul serio?” Domandò timidamente. “Non lo trovi strano?”
Nathan scosse il capo con un sorriso e spostò la mano dalla catena dell’altalena per appoggiarla sulla guancia fredda di Carly.
“Trovo che le persone strane siano le migliori.”
Carly sentì le proprie labbra aprirsi in un sorriso enorme, mentre Nathan afferrava con la mano libera la catena della sua altalena e la spingeva verso di sé.
I loro nasi si sfiorarono e Carly abbassò lo sguardo sulle labbra semidischiuse del ragazzo. Non c’era motivo per allontanarsi, questa volta.
Nathan appoggiò la fronte a quella di Carly e inspirò, stringendo lievemente la presa sulla sua guancia. La guardò negli occhi, chiedendole il permesso con lo sguardo e lei annuì. Le labbra di Nathan arrivarono sulle sue quasi all’improvviso, ma fu un improvviso meraviglioso. Sentì la mano del ragazzo scendere sul suo collo e accarezzarla delicatamente, mentre la sua bocca si muoveva lentamente.
Si allontanarono per riprendere fiato, ma un attimo dopo le mani di Carly erano sulle guance del ragazzo e le loro labbra di nuovo una sopra l’altra. Stava baciando un ragazzo che conosceva da una settimana. Stava baciando un ragazzo che poteva benissimo non avere buone intenzioni. Almeno una cosa i film per teenager la insegnavano: nella maggior parte del casi il capitano della squadra di football è solo uno stronzo. Però lei aveva sempre pensato che fossero solo spazzatura.
Dopo qualche secondo si allontanarono e Carly sorrise, appoggiando le mani sulle spalle del ragazzo.
“Wow,” commentò Nathan, sbattendo le palpebre.
“Sono addirittura da ‘wow’?” Ridacchiò Carly, sentendosi arrossire.
Nathan le accarezzò i capelli.
“Sei da molto più che un semplice ‘wow’.”
Carly rise e si alzò, sfuggendo dalle carezze di Nathan.
“Piantala di fare troppo il romantico, altrimenti poi non ci credo che sei reale,” disse e poi gli tese la mano, per aiutarlo ad alzarsi.
Insieme s’incamminarono verso la macchina e poi, dopo essere saliti, Nathan giudò fino a casa di Carly.
Durante il tragitto parlarono del più e del meno, raccontandosi tutte quelle stupidaggini che non si erano detti durante la cena e al parco. In un certo senso, parlare con Nathan dava a Carly la sensazione di averlo sempre conosciuto e di aver sempre avuto una sorta di cotta per lui.
Circa a metà strada, dopo aver scoperto di avere più o meno gli stessi gusti in fatto di musica, iniziarono a fare un gioco. Nathan diceva una band e Carly nominava la sua canzone preferita, e vice versa. Una cosa idiota, insomma, ma Carly pensò di non essersi mai sentita così bene o, se anche era successo, Nathan gliel’aveva fatto dimenticare.
Green Day,” disse Nathan, girando a sinistra dopo un incrocio.
“Facile,” ridacchiò Carly. “Boulevard of broken dreams.” Il ragazzo le sorrise e lei alzò gli occhi al cielo e arricciò le labbra. “Mhhh… Kings of Leon.”
Nathan ci pensò su per qualche secondo, poi sorrise.
Sex on fire.”
“Ci avrei scommesso!” Esclamò Carly, puntandogli un dito contro. “A tutti i ragazzi che conosco piace quella canzone.”
Nathan inarcò un sopracciglio.
“Perché, a te no?”
La ragazza sbuffò, nascondendo un sorriso.
“Sì. Però penso che Use Somebody sia molto più bella.”
Nathan non replicò e sparò un altro paio di band, tra cui 30 Second to Mars, Linkin Park e Arctic Monkeys.
Coldplay,” disse il ragazzo, fermandosi di fronte alla villetta dove abitava Carly.
La ragazza sorrise, sussurrando a mezza voce la melodia di una canzone.
Fix you,” rispose. “La mia canzone preferita in assoluto.”
“Addirittura!” Commentò Nathan con un sorriso e Carly annuì. “Perché è la tua preferita in assoluto?”
“Be’, il testo e la melodia sono stupendi. Chris ha una voce magnifica. E poi…poi…non te lo so spiegare. È una di quelle cose che ti arrivano dritte dentro, non c’è un perché.”
Nathan non rispose, si limitò ad annuire con un sorriso e poi a scendere dalla macchina. Le aprì la portiera e poi le tese la mano, aiutandola ad uscire.
Carly aprì il cancello e camminarono insieme fino al portone principale. Rimasero in silenzio per un po’ e Carly si chiese che cosa si fa in questi casi. Quand’era uscita con Simon per la prima volta già si conoscevano, perciò non era stato imbarazzante salutarsi a fine serata. Ma Nathan… Nathan era quasi uno sconosciuto per lei. Uno sconosciuto con cui si era sbaciucchiata in un parco deserto per più di dieci minuti.
“Non sto per trasformarmi in un lupo mannaro o qualcosa del genere,” ridacchiò, notando lo sguardo preoccupato sul volto della ragazza. “Se mi dici che ti sei divertita e che ti ho fatto dimenticare quell’altro tizio io sono apposto.”
Carly sorrise, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Mi sono divertita, davvero,” disse.
“Ma non ti ho fatto dimenticare quell’altro, giusto?”
Lei aprì e chiuse la bocca un paio di volte. Poi gli appoggiò le braccia sulle spalle e lo baciò, probabilmente sorprendendolo perché ci mise un po’ per rispondere al bacio.
“Sì, invece,” sussurrò, quando si allontanarono.
Nathan sorrise, scendendo gli scalini che conducevano al portone. Si girò a guardarla e si passò una mano tra i capelli.
“Pensi che ti farebbe voglia di uscire ancora con me?” Chiese.
“Iniziavo a pensare che non me l’avresti chiesto,” confessò Carly con una risata.
Il sorriso del ragazzo si allargò e lui le fece un cenno di saluto con la mano.
“Buonanotte, Carly,” disse.
“Buonanotte, Nate.”
Carly rientrò, mentre Nathan si avviava verso il cancello. Quando chiuse il portone l’ultima cosa che vide fu il ragazzo che entrava in macchina e metteva in moto.
Carly sospirò, appoggiando la schiena al legno freddo della porta.
“Com’è andata la serata?”
La voce di Logan la fece sobbalzare e si portò una mano sul petto. Solo in quel momento si accorse del ragazzo che, con in mano un bicchier d’acqua, stava uscendo dalla cucina.
“Vuoi davvero uccidermi tu, eh?” Gli disse e lui ridacchiò, mettendosi a sedere sulle scale e portandosi il bicchiere alle labbra. “Mi sono divertita, grazie per averlo chiesto,” rispose poi con un sorriso.
“Sono contento.”
“Tu sei stato qui tutta la sera?”
Logan annuì, buttando giù un altro sorso d’acqua.
“Dean è andato via poco fa,” disse. “Abbiamo fatto due chiacchiere.”
“E immagino che io non possa saperne niente perché si tratta di chiacchiere da uomini, giusto?”
Il ragazzo non rispose, si limitò a scrollare le spalle.
“Carly tu sei mia sorella e la mia migliore amica,” iniziò dopo qualche secondo di silenzio. “Puoi sapere tutto quello che vuoi su di me. Ma le stronzate che ci diciamo io e Dean peggiorerebbero solo l’opinione che hai di noi.”
“Wow, pensavo che non ci fosse modo di peggiorarla,” commentò lei con una risata.
Logan si alzò all’improvviso e l’avvolse con le braccia. Lì per lì Carly si chiese cosa diavolo gli fosse passato per la testa, fu quando sentì le dita del ragazzo andare in cerca dei suoi fianchi che capì cosa stava per succedere.
“No! Logan, per favore!”
Ma era troppo tardi, le mani di Logan iniziarono a solleticarle la pelle, facendola contorcere per il solletico. Carly si dimenò, cercando di sfuggire alla sua presa mentre rideva come una matta.
“Smettila! Smettila!”
Quando smise di farle il solletico, Carly si ritrovò con la schiena appoggiata al muro e le braccia di Logan che la intrappolavano. Il ragazzo teneva gli avambracci appoggiati alla parete, perciò i loro volti erano a pochi centimetri l’uno dall’altro; talmente vicini che Carly poteva sentire il respiro di Logan sulle labbra.
“Sarà meglio andare a dormire adesso,” sussurrò il ragazzo. “Buonanotte, Carly.” Si avvicinò di qualche altro centimetro e, per un momento, la ragazze pensò che volesse baciarla, poi, però, Logan alzò il viso e le appoggiò le labbra sulla fronte. Rimase con la bocca premuta sulla sua pelle per qualche minuto, poi si allontanò e sparì su per le scale.
Carly lo guardò salire e poi sparire alla sua vista, con il fiato ancora corto per le risate e il cuore che batteva a mille.
Socchiuse le palpebre e rivide la scena di pochi attimi prima e, istintivamente, si toccò le labbra. C’era qualcosa che le mancava, sulla bocca. Qualcosa che, proprio pochi minuti prima, era andato accidentalmente a finire sulla sua fronte.






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Et voilà! Sono sicura che qualcuno sperava in qualcosa di diverso, e invece... 
Be', ormai ci stiamo davvero avvicinando alla fine, un'altro paio di capitoli ed è fatta. Spero davvero che anche questo non vi deluda e colgo l'occasione per ringraziare tutti del supporto che mi date :) Grazie davvero!
Niente, spero di aggiornare al più presto. 
Buon fine settimana a tutti, 
Emily. 

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone When We Where Young dei Take That

 

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Capitolo 11
*** We're gonna celebrate ***




11. We’re gonna celebrate

 
Carly stava facendo un sogno strano quando Logan la svegliò. Non lo ricordava nel dettaglio, ma era sicura che si trattasse di un sogno strano; se lo sentiva. E sentiva anche che suo fratello era arrivato ad aprire la finestra e a toglierle le coperte di dosso proprio sul più bello, cioè mentre lei faceva qualcosa di epico.
Quando la luce le colpì gli occhi, Carly strizzò forte le palpebre, infastidita quanto lo sarebbe stato un vampiro, e si sfilò il cuscino da sotto la testa per metterselo sulla faccia.
“Sei una rottura, Log!” Si lamentò.
“Sei tu che mi hai chiesto di svegliarti presto perché dovevi uscire con Nathan,” si giustificò il ragazzo, sedendosi sul bordo del letto, mentre da sotto al cuscino la bocca di Carly produceva dei mugolii di protesta. “E io l’ho fatto. In realtà ci ho provato parecchie volte. Ma adesso Nathan è di sotto e allora sono dovuto ricorrere alle maniere forti.”
Il cuscino volò in aria e per poco non colpì Logan in testa. Carly scattò a sedere come una molla, i capelli sparati in ogni direzione e gli occhi ancora assonati spalancati.
“Di sotto? Adesso?!
Logan annuì. “Mh,mh.”
Carly tentò di appiattirsi i capelli.
“Se non ci credi posso chiamarlo,” disse allora il ragazzo, voltandosi verso la porta. “Nat-”
Carly si slanciò in avanti e gli coprì la bocca con entrambe le mani, fulminandolo con lo sguardo.
Logan alzò le mani e lei mollò la presa, tornando a sedersi sul materasso con le gambe incrociate. Ormai erano quasi tre mesi che lei e Nathan uscivano insieme, le cose tra lei e Logan erano tornate alla normalità e il suo quasi ragazzo aveva spazzato via qualsiasi ricordo legato a Simon. Stava bene con lui, si divertivano e Nate la trattava bene, dicendole continuamente cose carine.
“Cavoli, cosa mi metto?” Esclamò, isterica, balzando giù dal letto e iniziando a rovistare tra i vestiti.
Logan era ancora seduto sul letto e la osservava mentre si muoveva da una parte all’altra, lanciando abiti sul pavimento e prendendo le scarpe a calci per non inciamparci.
La ragazza si sfilò velocemente il pigiama, appoggiandolo distrattamente sulla spalliera della sedia che teneva di fronte alla scrivania e si voltò verso Logan con una maglietta classica dell’Hard Rock di New York in una mano ed una con il marchio di Starbucks nell’altra.
“Allora, quale?” Chiese, mostrandogliele.
Logan sbatté le palpebre, indugiando con lo sguardo sul corpo seminudo della ragazza.
“Che c’è?” Chiese lei, guardandosi. “Non dirmi che fai il timido con me,” aggiunse poi con un sorriso.
“No, no,” si affrettò a rispondere, inchiodando lo sguardo su una delle due magliette.
“Se ti mette a disagio posso infilarmi una maglietta,” disse Carly, rendendosi conto che la cosa era effettivamente imbarazzante. “Insomma, pensavo fosse okay. Voglio dire, sei mio fratello. E poi… be’, non è che ci sia molto da nascondere ormai…”
Lui sventolò le mani in aria, continuando a tenere lo sguardo puntato sulla maglia.
“Sul serio, va bene,” le assicurò, abbozzando un sorriso. “Devo solo abituarmici.”
Carly ridacchiò, alzando prima una maglietta e poi l’altra.
“Allora, questa o questa?”
Logan le scrutò per qualche secondo, poi indicò la maglietta dell’Hard Rock. Carly annuì e se la infilò di corsa, afferrando poi un paio di jeans scuri e iniziando a saltellare per la stanza mentre se li metteva.
Dopo essersi lisciata le pieghe della maglia si fiondò davanti allo specchio e Logan si alzò dal letto, avviandosi verso la porta.
“Vado a dirgli che arrivi,” le disse e lei annuì.
Quando Logan se ne fu andato, Carly smise di andare avanti e indietro e si mise a sedere sul letto con un sospiro.
Come le era venuto in mente di farsi vedere mezza nuda da lui? E si era pure comportata come se fosse una cosa normale! Aveva sicuramente fatto la figura dell’idiota. E poi, insomma, avevano deciso di cancellare tutto e non cancelli tutto se uno dei due si presenta quasi nudo davanti all’altro e dice frasi tipo: “Tanto ormai non c’è molto da nascondere”.
Si maledì un paio di volte mentre si rialzava e tornava allo specchio.
Il fatto era che ciò che era successo tra lei e Logan lei non lo poteva dimenticare. Ci aveva provato. Sul serio. In quei mesi ci aveva provato con tutta se stessa, ma neanche uscire con Nathan era servito a qualcosa. Non riusciva a dimenticare il modo in cui Logan l’aveva amata quella notte e, probabilmente, aveva aspettato per tutta la vita di essere amata così.
Nate era un ragazzo fantastico. Era divertente e la faceva stare bene, rendendo reali tutte quelle cose che lei credeva fossero esclusiva di romanzi e film romantici. C’erano dei momenti in cui si mollava qualche pizzicotto per essere sicura di non stare sognando. Eppure, nonostante avesse tutto quello che aveva sempre voluto, quando Nate la baciava lei pensava a Logan e ai loro baci mancati. Quando Nate la toccava, lei pensava a Logan e alle carezze per le quali sospirava mentre si rigirava tra le lenzuola nel sonno. Quando Nate le sussurrava qualcosa all’orecchio, lei pensava alla voce roca di Logan e tutti i brividi che le scuotevano il corpo quand’era lui a sussurrare parole nelle sue orecchie.
Era sbagliato e, soprattutto, era puro autolesionismo, ma Carly non riusciva a scacciare quei pensieri. Quelli arrivavano, silenziosi, e poi esplodevano nella sua mente, facendole desiderare che quelle labbra, quelle mani e quei sussurri fossero del ragazzo dagli occhi blu che dormiva nella stanza accanto alla sua. Lo stesso che aveva deciso di essere solo un fratello per lei.
Carly sospirò, dette un’ultima ravversata ai capelli e poi scese di corsa le scale, trovando Nate e Logan che chiacchieravano in salotto.
Nate teneva una mano appoggiata sulla spalla di suo fratello e gli sorrideva con fare incoraggiante.
“Allora ci conto, eh?” Disse, strizzando l’occhio.
Logan alzò le sopracciglia e abbozzò un sorriso.
“Cercherò di venire,” rispose e poi i due si accorsero dell’arrivo di Carly.
La ragazza sorrise, avvicinandosi a loro.
“Di cosa parlavate?” Chiese.
Nate le passò un braccio attorno alle spalle e l’attirò a sé, stampandole un bacio leggero sulle labbra.
“Ho invitato Logan alla partita di sabato,” spiegò il ragazzo.
Carly si voltò verso il suo fratellastro con un gran sorriso.
“Ci possiamo andare insieme!” Propose, entusiasta. “Tanto io ci sarei andata comunque. Dai!”
L’ultima partita del campionato di football di quell’anno si sarebbe tenuta quel finesettimana e dopo i giocatori e le cheerleader avevano organizzato una festa in piscina a casa del capitano delle ragazze pon-pon che aveva una bellissima villa proprio a Beverly Hills. Poi per loro ci sarebbe stata un’altra settimana di scuola e, infine, la cerimonia dei diplomi e il ballo dei diplomati.
Lei non aveva intenzione di andare alla festa post-partita di quel sabato, ma aveva promesso a Nate che sarebbe almeno andata a vedere il match, dato che non era mai riuscito a trascinarla a nessuna delle loro partite di football. Non le faceva molta voglia di stare lì a guardare un branco di ragazzi in divisa gialla che si montavano addosso e si rotolavano nell’erba e nel fango, tutto per prendere una palla, ma la presenza di Logan avrebbe sicuramente reso tutto più piacevole. Almeno avrebbe avuto qualcuno con cui parlare. Aveva già provato a chiedere a Shiver e Sam, ma erano entrambe impegnate con in parenti in arrivo dai vari stati d’America in vista del diploma.
“Va bene,” acconsentì Logan. “Però ti avverto: non sono affatto esperto di football, perciò non avrò idea di cosa sta succedendo la metà del tempo,” disse.
Carly ridacchiò, rassicurandolo che anche lei non capiva un’acca di sport in generale e che non era mai stata a una partita di football in vita sua.
“Fantastico allora!” Esclamò Nate con un gran sorriso. “Andiamo?” Disse poi, abbassando lo sguardo su Carly. La ragazza annuì e lui si voltò verso Logan. “Tranquillo, te la riporto per pranzo.”
Logan scrollò le spalle, osservandoli mentre si avviavano alla porta.
“Per me puoi anche non riportarmela,” disse, guardando Carly con aria beffarda. “Almeno potrò usare anche la sua stanza.”
Carly lo fulminò con lo sguardo mentre Nate ridacchiava sotto ai baffi.
“Sei insopportabile!” Si lamentò, facendogli una linguaccia prima di sbattergli la porta in faccia.
Quando furono fuori l’aria calda le accarezzò il viso, portandole al naso il profumo dell’estate.
“Perché il fratello rompipalle è dovuto capitare proprio a me?” Si chiese, mentre lei e Nate camminavano lungo la strada che conduceva verso la scuola. “Voglio dire, su eBay non c’erano offerte migliori?”
Nate rise, stringendola leggermente contro il suo fianco.
Il giorno precedente non le aveva detto dove sarebbero andati, le aveva solo chiesto di fare due passi insieme prima che lo studio e l’ansia pre-diploma occupassero le loro giornate ventiquattrore su ventiquattro. Probabilmente non aveva una meta precisa, voleva solo passare del tempo insieme a lei.
Camminarono in tranquillità, chiacchierando del più e del meno, fino ad un chiosco che vendeva pancake e waffle davanti alla spiaggia.
“Scommetto che non hai fatto colazione,” disse il ragazzo e, prima che lei potesse rispondere, sorrise alla donna dai capelli scuri che si affacciò dal chiosco. Ordinò due waffle con cioccolata e poi ne porse uno a Carly. Lei lo afferrò con entrambe le mani, beandosi del calore dolciastro emanato dal piccolo vassoio di cartone.
“Ma tu sei sicuro di essere vero?” Domandò, mentre cercava di addentare un pezzo del dolce senza scottarsi la lingua. “Non è che hanno comprato anche te su eBay?”
Nate ridacchiò, tagliando un pezzettino di waffle con la forchetta di plastica e portandoselo alla bocca. Ci soffiò sopra un paio di volte e poi lo mangiò.
“A meno che i miei non abbiano nascosto davvero bene la ricevuta, penso proprio di essere vero,” le rispose con un gran sorriso.
I loro occhi s’incontrarono e, per una frazione di secondo, Carly si stupì di trovarli azzurri e non blu. Poi scosse il capo e scacciò via quel pensiero, ripetendosi quanto sbagliato fosse pensare quelle cose. Sbagliato per tutti.
Il resto della mattina trascorse nella calma più assoluta. Lei e Nate fecero una passeggiata sulla spiaggia e parlarono delle università alle quali avevano fatto domanda, quali avevano risposto e com’era andata. Chiacchierarono sul futuro come se fosse una cosa facile, che capitava e basta.
Carly non la pensava così.
C’erano molte persone che credevano nel destino; che credevano che se le cose succedevano non era colpa di nessuno, succedevano e basta. Secondo Carly, invece, il destino non c’entrava niente, mai. Il futuro era nelle mani di chi doveva viverlo e potevi scegliertelo se eri abbastanza forte da lottare per prenderti ciò che volevi. Per questo lei si era impegnata al massimo per essere accettata alla New York University. Perché quello era il futuro che lei si era scelta. E al diavolo il destino.
Quando Nate la riaccompagnò a casa si fece promettere di nuovo che sabato sarebbe andata alla partita e lei glielo ripeté con una risatina. Poi Nate la baciò e lei gli affondò le mani tra i capelli. Quando aprì gli occhi, guardà la ciocca di capelli che teneva tra le dita.
Biondi. Non neri. Biondi.
Scosse forte il capo, strizzando gli occhi, e gli piazzò un altro bacio veloce sulle labbra, abbastanza veloce da non permettere alla sua testa di pensare.
“Ci vediamo sabato, allora,” gli disse, salutandolo con la mano mentre con l’altra apriva la porta dietro di sé.
“A sabato,” ripeté lui e se ne andò, regalandole un ultimo sorriso.
Carly entrò di corsa in casa e si chiuse la porta alle spalle.
I suo non c’erano e Logan o era uscito o si era chiuso nella sua stanza per suonare un po’ la chitarra. Comunque, lei non si preoccupò di andare a controllare. Salì gli scalini a due a due e si chiuse il camera sua, gettandosi sul portatile appoggiato sulla scrivania. L’accese velocemente, imprecando quando ci mise troppo a caricare, e poi video chiamò Lily, senza preoccuparsi che potesse essere impegnata.
La ragazza apparve sullo schermo di Harry con aria un po’ infastidita.
“Scusa,” si affrettò a dire Carly, senza lasciarla neanche parlare. “Lo so che probabilmente hai un diavolo per capello per via degli esami oppure che, nel peggiore dei casi, ho interrotto una sessione di sbaciucchiamenti. E credimi, mi dispiace! Ma non ti ho disturbata senza motivo, giuro.”
Lily la guardò, sistemandosi i capelli rossi dietro le orecchie.
Spara,” le disse abbozzando un sorriso. “Stavo solo cercando di capire cosa c’è scritto sul mio libro di matematica. Ma tanto è una battaglia persa.”
Carly ridacchiò, appoggiando i gomiti sulla scrivania e avvicinandosi di più allo schermo del PC.
“Ti ricordi Nate, il ragazzo di cui ti ho parlato e con il quale sto uscendo?” Disse.
Lily annuì.
Ti ha finalmente chiesto di essere la sua ragazza?” Domandò la ragazza con un misto di curiosità ed eccitazione.
Carly scosse il capo e l’espressione emozionata di Lily svanì.
“E ti ricordi Logan,” iniziò, poi scosse il capo. “È ovvio che ti ricordi Logan. Quello che voglio dire è: ti ricordi quello che è successo con Logan a Capodanno?”
Quando siete finiti a letto insieme?”
Carly arrossì, ma annuì.
“Io gli avevo detto di fare finta di niente e ho iniziato ad uscire con Nate perché Sam e Shiver mi hanno consigliato di uscire con un altro ragazzo per far tornare le cose alla normalità con Logan, ma non riesco a smettere di pensare a quello che è successo tra noi e, anche se con Nate ci sto davvero bene, Logan è-”
Alt!” La interruppe Lily, fermando il suo fiume di parole. Aveva parlato tutto d’un fiato, senza respirare tra una parola e l’altra e, probabilmente, permettendo a Lily di capire solo la metà delle frasi che erano uscite dalla sua bocca. “Riavvolgi il nastro e ricomincia.”
Carly si mordicchiò le labbra con imbarazzo.
“Il punto è che penso a Logan quando sto con Nate. Però Nate mi piace e io e Logan siamo solo amici, e io non ho la più pallida idea di cosa fare!”
Lily rimase in silenzio, arricciando le labbra con fare pensieroso. Guardò Carly per qualche minuto, come se studiare la forma del suo viso potesse farle venire in mente un modo per mettere ordine nella confusione della sua testa.
Non ammetterai mai che ti piace Logan, vero?” Sbuffò alla fine, nascondendo un sorriso.
Carly arrossì ed iniziò a tracciare linee immaginarie sul legno levigato della scrivania con la punta delle dita.
“Tu dici che è per questo che stanno succedendo tutte queste cose?” Chiese timidamente, sinceramente confusa. “Credi che lui mi piaccia?”
Lily sospirò, guardandola con affetto fraterno.
Credo che l’unica persona che può rispondere a questa domanda sei tu,” le disse. “E credo che tu debba rompere con Nate, perché mi sembra chiaro che non ti piace davvero.
La ragazza deglutì. Effettivamente aveva pensato di farlo più di una volta, poi però si era detta che, in realtà, a lei Nate piaceva sul serio e che si stava inventando problemi che non c’erano.
“Ma io con lui ci sto bene,” rispose, ma nel momento stesso in cui lo disse s’accorse di quanto stupide fossero le sue parole; di quanto poco bastassero per giustificare dei sentimenti.
Tu vorresti che un ragazzo ti frequentasse perché sta bene con te o perché prova qualcosa per te?” Le chiese Lily e lei seppe la risposta ancor prima che la sua amica finisse di formulare la domanda.
“Io… Grazie, Lily,” disse, abbozzando un sorriso. “Ci penserò su.”
La sua migliore amica ricambiò il sorriso con calore.
Farai la cosa giusta, ne sono sicura.”
Carly la ringraziò di nuovo e poi, dopo essersi salutate, chiuse la chiamata.
Rimase a fissare lo schermo blu del computer per qualche minuto prima di chiudere tutto e gettarsi sul letto, con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
Vorresti che un ragazzo ti frequentasse perché sta bene con te o perché prova qualcosa per te?
Chiuse gli occhi. Sapeva esattamente cosa fare.
 

 
Gli spalti erano affollatissimi e tutti continuavano a spostarsi da una parte all’altra, urlando e sventolando le braccia in aria.
Carly infilò la mano in quella di Logan e la strinse, guidandolo in mezzo alla folla verso un paio di posti liberi che aveva intravisto nella confusione.
Quando finalmente riuscirono a mettersi seduti la ragazza sospirò, allontanandosi i capelli dal viso e legandoli con un elastico nero.
“Mi dispiace di averti trascinato in questa cosa,” disse a Logan, girandosi verso di lui.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso.
“Non importa,” la rassicurò. “Tanto non avevo niente di meglio da fare.”
Carly ridacchiò lievemente con una nota di sarcasmo nella voce.
“Niente di meglio che andare ad una partita di football con la tua sorellastra rompiscatole?”
Le labbra di Logan si arricciarono in un ghigno.
“Finalmente l’hai ammesso!” La prese in giro e lei gli dette una spallata, sbuffando.
“Guarda che dicevo sul serio,” disse. “Mi dispiace davvero che tu debba passare la serata con me.”
Il ragazzo allungò una mano e la appoggiò su quella di Carly che arrossì.
“A me fa piacere stare con te.”
Nella sua semplicità, quella frase fece avvampare Carly che, per non farsi vedere da Logan, dovette abbassare il viso e poi voltarsi casualmente dall’altra parte.
“Grazie, Log,” sussurrò poi, un attimo prima che il cronista presentasse le due squadre che avrebbero giocato, chiamando per nome tutti i giocatori.
Quando la squadra della Beverly Hills High School entrò in campo un sacco di gente si alzò in piedi e tutti cominciarono ad urlare, incitando i giocatori chiamandoli per nome a gran voce. Il primo ad entrare, in quanto capitano, fu Nathan, che alzò subito lo sguardo per cercarla tra la folla. Lei gli fece un cenno di saluto con la mano e il ragazzo le sorrise radiosamente, tornando poi a guardare il capitano della squadra avversaria. Quando tutti i giocatori furono in campo i due capitani si strinsero la mano e poi i ragazzi si sistemarono nelle loro postazioni, pronti a cominciare il gioco.
“Loro devono prendere quella palla ovale, giusto?” Chiese Carly all’orecchio di Logan. “E poi portarla oltre quella linea bianca laggiù,” continuò, indicando una linea alla fine del campo.
Logan annuì, seguendo il dito di Carly.
“Lo sai che non riusciremo a seguire il gioco comunque, vero?”
Carly ridacchiò, annuendo.
L’arbitro entrò in campo e dette inizio al gioco lanciando un fischio acuto col suo fischietto. In meno di cinque minuti la palla era scomparsa e i ragazzi avevano iniziato a correre come pazzi per il campo, saltandosi addosso e cercando di acchiapparsi a vicenda.
Carly cercò in vano di capire chi avesse la palla e riuscì a scoprirlo solo quando un grande uno rosso apparve sul tabellone del punteggio sotto al nome della sua scuola.
Per tutto il resto della partita lei e Logan chiacchierarono del più e del meno, senza neanche preoccuparsi di cercare di seguire il gioco, tanto tutto ciò che avrebbero visto sarebbero stati una dozzina di ragazzoni in divisa gialla che si saltavano addosso.
A metà partita i giocatori fecero una pausa di una ventina di minuti e le cheerleader intrattennero gli spettatori con alcune coreografie. Erano molto brave, fu costretta ad ammettere Carly, e Margaret, la ragazza che aveva una cotta per Nate, non fece altro che guardarla male per tutto il tempo.
Alla fine vinse la squadra della Beverly Hills High School e più della metà delle persone che erano sugli spalti si riversò in campo, portando in trionfo Nate e gli altri giocatori, abbracciandosi tra loro e gridando come matti.
Quando Nate la guardò, Carly chiese a Logan di aspettarla all’entrata del campo e scese, andando in contro al suo quasi-ragazzo. Appena lo raggiunse lui la prese tra le braccia, facendola volteggiare in aria.
“Ti adoro!” Esclamò, riportandola alla sua altezza e stampandole un bacio sulla bocca.
Carly si allontanò con un sorriso.
“Ma io non ho fatto niente,” protestò lei. “Sei tu che hai vinto.”
Nate scosse il capo, accarezzandole la testa con dolcezza.
“Ho vinto perché c’eri tu che mi guardavi.”
Carly sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi mentre vedeva gli occhi del ragazzo accendersi e il sorriso illuminargli il volto.
Vorresti che un ragazzo ti frequentasse perché sta bene con te o perché prova qualcosa per te?
Aveva deciso cosa fare giorni prima, ma adesso che lui era davanti a lei, così felice ed euforico si rivelò più difficile di quello che aveva pensato.
Sentì la mano di Nate scendere sulla sua guancia e pensò che, magari, avrebbe potuto chiedergli di essere il suo ragazzo; magari le cose, in quel modo, sarebbero cambiate in meglio. Magari avrebbe potuto provarci ancora un po’.
Sorrise con una nota malinconica e ricambiò la sua carezza, appoggiando la propria mano su quella di lui e sfiorandone il dorso con il pollice.
“Io…” iniziò, abbassando lo sguardo. Avrebbe potuto cercare di convincersi all’infinito, ma sapeva perfettamente che non sarebbe cambiato nulla. Non aveva senso continuare a mentire a Nate e a se stessa. Soprattutto a se stessa. Perché Nate era Nate e, per quanto meraviglioso fosse, non era il ragazzo a cui lei pensava di continuo. “Ecco, possiamo parlare? Da soli,” disse e lui annuì.
Nathan le prese la mano e la condusse in un angolo appartato del campo, quasi sotto agli spalti, lontano dal vociare allegro e vittorioso degli studenti della Beverly.
“Lo so che non è un buon momento,” cominciò, giocherellando con le proprie dita. “Anzi, è un momento pessimo. Però dobbiamo davvero parlare di questa cosa.”
Lo sguardo di Nate si fece preoccupato e il ragazzo le prese il viso tra le mani, stringendolo delicatamente.
“C’è qualcosa che non va? È…successo qualcosa?”
Carly scosse il capo, stringendo le labbra. Le veniva da piangere. Il che era molto stupido, dato che era Nate quello che stava per essere mollato.
“Io sono una grandissima stronza,” disse. “Però non ci posso fare niente.”
“Non sei una stronza,” ribatté lui, sorridendole con dolcezza, ma Carly annuì con decisione, guardandolo dritto negli occhi.
“Quel…quel ragazzo,” sussurrò, deglutendo. “Quello per cui non volevo uscire con te. Lui… Ecco… Lui è sempre un problema. Lo è sempre stato, solo che non me ne sono accorta, e mi dispiace da morire, perché per tutto questo tempo siamo usciti insieme e io…io sono una stronza.”
Nate allontanò le mani dal suo viso, ma non si spostò. Continuò ad osservarla per qualche silenzioso minuto, poi sorrise amaramente.
“Non puoi scegliere per chi provare dei sentimenti, Carly,” le disse, con lo stesso tono di un adulto che spiega qualcosa a un bambino. “Né puoi evitare di provare dei sentimenti per qualcuno. Però sono contento che tu abbia provato a farlo uscendo con me.”
Carly annuì, sentendo gli occhi pizzicarle per via delle lacrime. Non aveva idea del perché avesse voglia di piangere; forse perché stava facendo soffrire una persona a cui voleva bene, o forse perché, in fondo, aveva sempre saputo di provare quel che provava per Logan.
“Mi dispiace,” sussurrò.
Nate le appoggiò una mano sulla spalla.
“Anche a me.”
Quando Carly rialzò lo sguardo se n’era già andato e lei lo vide che raggiungeva i suoi compagni e si sforzava di sorridere e condividere la gioia generale.
Sospirò, asciugandosi gli angoli degli occhi con un gesto frettoloso delle dita e poi camminò frettolosamente fino all’uscita del campo di football, individuando la figura di Logan con le spalle appoggiate al muro.
“Ehi,” esclamò il ragazzo quando la vide. “Che è successo?”
Carly si toccò istintivamente le guance, pensando di aver pianto senza essersene accorta, ma erano perfettamente asciutte.
Alzò lo sguardo su Logan e capì che era così che lui aveva capito che c’era qualcosa che non andava, semplicemente guardandola.
“Ho rotto con Nate,” disse, secca.
Gli afferrò la mano e poi iniziò a camminare verso casa.
Logan non disse niente, né le chiese come mai fosse successo quello che era successo. Questa era una delle cose che Carly amava più di lui. Riusciva a leggere nei suoi occhi, trovando risposte senza dover porre domande. E ogni volta la guardava come lei aveva bisogno di essere guardata: con occhi che dicevano ‘io sono con te, fino alla fine del mondo’.
 

 
L’ultima settimana di scuola era stata la più difficile da affrontare. Lei e Logan avevano passato praticamente ventiquattrore su ventiquattro con il naso tra libri di matematica e letteratura, entrambi con un diavolo per capello. Sua madre e Larry ancora gli chiedevano come facevano a passare il pomeriggio studiando nella stessa stanza con un tasso di irritabilità tanto elevato e la loro inclinazione a litigare. Il più delle volte lei e Logan gli urlavano contro, ovviamente, dicendogli che non potevano capire perché ormai era passato troppo tempo da quando si erano diplomati loro.
Una volta, addirittura, questa risposta aveva fatto scattare una polemica con sua madre, che l’aveva accusata di averle dato della vecchia, quando lei non era vecchia affatto e, soprattutto, non ci si sentiva. Era dovuto intervenire Larry per calmarle e, alla fine, sua madre se n’era andata sbuffando e lei era tornata a studiare chimica insieme a Logan.
I test finali erano stati i più complicati che avesse mai sostenuto, ma, alla fine, era perfino riuscita ad ottenere il secondo miglior risultato di tutta la scuola, segno che le sessioni frantuma nervi di studio che aveva fatto erano servite a qualcosa. Lo stesso non si era potuto dire per Logan che era centesimo in classifica, o qualcosa del genere.
Il primo nella classifica scolastica era stato Henry Still, il ragazzo più secchione che Carly avesse mai conosciuto. Aveva preso A+ in tutti i test ed era pieno di crediti extra accumulati negli anni passati.
Ovviamente, come da tradizione, il discorso nel giorno del diploma sarebbe stato tenuto dal primo in classifica, e Henry si portava in giro un foglietto scarabocchiato praticamente da quando era entrato al liceo. Girava voce che negli anni ne avesse cambiato solo qualche frase, il che significava che aveva preparato il suo discorso del diploma dalle medie, in pratica. Una cosa un po’ agghiacciante, in effetti.
Il fatto era che, per qualche assurdo allineamento planetario, Henry si era preso un bel febbrone da cavallo e non sarebbe potuto essere presente alla cerimonia dei diplomi e il suo attestato sarebbe stato ritirato dalla madre. L’assenza del primo in classifica, perciò, implicava che a tenere il discorso sarebbe stato il secondo della graduatoria.
“Che cosa?!” Urlò Carly, quando il vicepreside Hopkins le comunicò cos’era successo. “No, non se ne parla!” Protestò.
Il vicepreside si sistemò gli occhiali sul naso, allargandosi il colletto della camicia. Il signor Hopkins era un uomo un po’ strano, con gli occhi da talpa sempre pronti a cogliere uno studente mentre infrangeva le regole e con un imbarazzante problema di sudorazione.
“Signorina Harris, questo è un dovere che lei ha verso la scuola e verso i suoi compagni,” insisté l’uomo, guardandola con severità.
“Ma io non ne sono in grado!” Si giustificò la ragazza. “E poi non ce la farò mai a scrivere un discorso in così poco tempo! La cerimonia si svolgerà tra due giorni!”
Gli occhiali gli scivolarono di nuovo sul naso e il vicepreside li risistemò con un movimento veloce.
“Mi raccomando,” disse, iniziando già ad allontanarsi. “Non parli della fame nel mondo né della guerra!” Concluse e poi scomparve dietro la porta del suo ufficio.
Carly sbuffò, imprecando tra i denti, e raggiunse Logan al cancello della scuola.
Dopo quello che era successo tra lei e Nate alla partita di football, Logan non aveva fatto alcuna domanda, fingendo che nulla fosse successo, e di questo Carly gli era molto grata. Anche perché sarebbe stato un po’ complicato dirgli la verità, dato che il motivo per cui aveva rotto con Nathan era proprio lui.
“Henry Still è malato,” disse, con aria funerea mentre camminavano verso casa. “Quel tizio progetta di dire il discorso del diploma praticamente quand’è nato e si ammala proprio due giorni prima della cerimonia! È pazzesco!”
Logan alzò le spalle.
“Quindi toccherà a te parlare davanti a tutti?” Ridacchiò, guardandola con la coda dell’occhio. “Ah, i vantaggi di essere novantottesimo in classifica…”
Carly gli dette un pugno sulla spalla, imbronciandosi.
“Piantala!” Gli disse. “Sono perfettamente in grado di farlo,” continuò poi, mordendosi la lingua subito dopo. Odiava quel ragazzo, oh quanto lo odiava.
“Basta che non ti metti a parlare della pace nel mondo e della-”
“Guerra,” sbuffò, fermandosi di fronte al cancello. “Lo so, lo so.”
Logan la guardò e le fece l’occhiolino, cosa che la fece arrossire.
“Allora andrai alla grande!” Le assicurò, precedendola in casa e lasciandola impalata nel bel mezzo della strada, con il cuore che le martellava nel petto.
Per i due giorni seguenti Carly si chiuse in camera sua e dette il tormento al suo povero portatile, consumando i tasti con la propria ansia. Cancello centinaia e centinaia di bozze, non riuscendo a trovare le parole giuste da dire.
Per il giorno della cerimonia riuscì ad ottenere solo pochissime righe piene di luoghi comuni e frasi fatte. Una cosa patetica, insomma.
Quella domenica sua madre svegliò lei e Logan presto e gli stette col fiato sul collo finché non si vestirono. Logan indossò un completo elegante di quelli che metteva di solito per andare alle premiere, mentre lei mise un leggero abito bianco lungo fino al ginocchio, con dei piccoli nontiscordardime ricamati sull’orlo e sullo scollo.
Quando scese le scale per raggiungere i suoi e Logan in salotto sua madre si mise quasi a piangere vedendola indossare un vestito e un paio di scarpe con il tacco alto.
“Sei bellissima tesoro,” disse, appoggiandosi le mani sulle guance umide.
Carly le sorrise, stringendola forte tra le braccia. Rimasero abbracciate per qualche minuto, poi Carly si scostò e andò ad abbracciare Larry, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto per lei da quand’era arrivata a Los Angeles.
Dopo si avvicinò a Logan e gli passò un braccio attorno ai fianchi, mentre lui le avvolgeva le spalle e i loro genitori scattavano un paio di foto ricordo.
Carly sentì il volto di Logan avvicinarsi al suo e le labbra del ragazzo sfiorare il suo orecchio.
“Andrà tutto bene, New York,” le sussurrò. “Sarai fantastica.”
Carly sentì il cuore sprofondarle nello stomaco e si disse che qualcuno avrebbe dovuto arrestare quel ragazzo per furto di cuore, decisamente. Poi si rese conto di quanto idioti fossero quei pensieri e li scacciò via con un movimento della testa.
Quando sua madre smise di piagnucolare, si avviarono tutti e quattro verso la scuola e, una volta arrivati, lei e Logan si separarono dai loro genitori per andare a mettersi le toghe e riunirsi con i loro compagni all’interno della palestra.
Sam, Thomas e Shiver erano già arrivati e stavano chiacchierando tra loro in un angolino.
“Dean veniva?” Domandò Carly a Logan mentre li raggiungevano.
Il ragazzo annuì, spiegandole che sarebbe venuto insieme a sua madre e i suoi fratelli, dato che lui e Lucas frequentavano la stessa università.
Quando raggiunsero i loro amici le ragazze si gettarono su Carly, chiedendole di far loro vedere cosa indossava sotto alla toga bianca e mostrando a loro volta i propri abiti.
“Hanno accettato la mia domanda alla Brown,” le disse Shiver con un gran sorriso.
“Sul serio?” Domandò Carly sbattendo le palpebre. “È fantastico!” Esclamò poi, abbracciandola forte. Poco dopo anche Sam si unì all’abbraccio e Carly la sentì tirare su col naso.
Anche a lei veniva un po’ da piangere, ma preferiva conservare le lacrime per il giorno della sua partenza per New York. Alcuni giorni prima la New York University aveva mandato una lettera a casa sua dicendo che l’avevano accettata, perciò ad Agosto sarebbe tornata nella sua grigia e fumosa città. Sarebbe stato in quel momento, quando tutti sarebbero partiti per i vari stati del paese, che ci sarebbe stato davvero da piangere e lei non voleva farsi trovare a corto di lacrime.
Stavano ancora chiacchierando delle università quando il vicepreside richiamò l’attenzione di tutti e li invitò a seguirlo fuori dalla palestra, verso la zona dove si sarebbe svolta la cerimonia (cioè il campo di football).
Quando arrivarono Carly si sentì mancare. Gli spalti erano pieni zeppi di gente e presto anche tutte le sedie bianche posizionate sul prato sarebbero state occupate dagli studenti del suo anno.
Inaspettatamente, sentì una mano stringere la sua e, quando si voltò, trovò Logan che le sorrideva. Non le disse nulla, ma continuò a stringerle la mano finché non si misero a sedere.
Il preside fece il suo discorso di commiato, dicendo probabilmente le stesse cose che diceva ogni anno, poi fu il turno del vicepreside e, infine, chiamarono sul palco Carly.
Logan le strinse la mano un’ultima volta e poi lei si alzò, dirigendosi con passo incerto verso il palco.
Quando fu davanti a tutti cercò di non guardare nessuno in particolare ed appoggiò i foglietti che aveva scritto sul leggio, anche se sapeva che non le sarebbero serviti a niente.
“Salve a tutti,” cominciò, schiarendosi la voce. “Non dovrei esserci io qui, in realtà,” disse, “il ragazzo che doveva fare il discorso, Henry Still, si è ammalato, così… be’, ecco come sono finita su questo palco.” Sorrise, ma nessuno la imitò e lei sentì il cuore batterle all’impazzata. Era sempre stata brava con le parole, ma in quel momento non sarebbe stata neanche capace di dire il suo nome. “Ho passato solo un anno in questa scuola,” riprese dopo alcuni minuti di silenzio, passati a fissare i propri appunti alla ricerca di un’illuminazione. “Perciò non credo di essere la persona più adatta per questo discorso. Quindi, ecco, non parlerò come studente di questa scuola, ma come studente e basta.”
Lo sguardo le cadde accidentalmente su Logan che le sorrideva con fare incoraggiante, e poi scivolò su Shiver e su Sam e su Thomas. E, all’improvviso, negli occhi brillanti dei suoi amici, trovò le parole che stava cercando.
“Domani saremo tutti lontani da casa, in viaggio per realizzare i nostri sogni, ognuno per la propria strada. Ma oggi siamo qui. Siamo qui e siamo tutti uguali. Oggi noi siamo ragazzi che hanno chiuso un capitolo della loro vita, ragazzi che diventano adulti oggi. È oggi che è davvero importante,” le parole iniziarono ad uscire da sole, libere come l’aria, mentre lei faceva vagare lo sguardo sui visi di tutti, dai suoi compagni ai genitori radunati sugli spalti. “Non perché ci diplomiamo o perché finalmente le nostre famiglie hanno una scusa per riunirsi dopo secoli,” ridacchiò e sentì alcune voci fare eco alla sua. “Oggi è importante perché siamo per la prima volta consapevoli di cosa vogliamo fare del nostro futuro. Ragazzi, è oggi che comincia il resto della nostra vita!” Sentì alcuni applausi e riconobbe la voce di Logan gridare il suo nome. Presto la maggior parte delle persone stava applaudendo, ma a Carly non importava un gran che di essere riuscita a non rendersi ridicola davanti a tutti. Lei in quelle cose ci credeva. “Quindi saluto con piacere la classe del 2010 e auguro a tutti voi che oggi sia un bel giorno. Il primo fantastico giorno della vostra vita.”
Il preside e il vicepreside le strinsero la mano e lei tornò al suo posto, sentendo l’ansia scivolare via per far posto all’emozione e a un pizzico di adrenalina.
Quando si fu seduta il preside iniziò a chiamare tutti gli studenti in ordine alfabetico per consegnargli il proprio diploma e dagli spalti si udirono molti nomi urlati, applausi e grida di giubilo.
Quando fu il suo turno e poi quello di Logan i loro genitori si alzarono in piedi applaudendo e Dean lanciò un paio di urli di cui nessuno capì il contenuto.
Finita la cerimonia tutti gli studenti si riunirono nel parcheggio con le loro famiglie, scambiandosi baci e abbracci.
Caroline strinse Carly in un altro paio di abbracci lacrimosi, mentre Logan veniva sballottato di qua e di là da sua madre a sua sorella. Sua fratello Lucas gli strinse la spalla e Larry si concesse un abbraccio veloce. Inaspettatamente, Lisa e Lindsey abbracciarono anche lei, complimentandosi per il discorso.
“Io gliel’avevo detto che sarebbe stata fantastica!” Disse Logan, facendole l’occhiolino.
Quando Dean li raggiunse strinse entrambi in un abbraccio a tre, scompigliando i capelli di Logan con fare fraterno.
“Che carini,” commentò, asciugandosi una lacrima inesistente. “I miei bambini crescono.”
Logan gli dette una giocosa botta in testa e storse il naso, mentre Carly ridacchiò.
“Ma tu ti comporterai mai come un adulto?” disse Lindsey, guardando Dean.
Il ragazzo alzò il mento e la guardò con decisione.
“Rifiuto l’offerta e vado avanti,” rispose e tutti scoppiarono in una risata.
Rimasero a chiacchierare nel parcheggio per parecchi minuti, finché qualcuno – probabilmente Dean – non iniziò a lamentarsi per la fame e un paio di stomaci gorgogliarono.
Tornarono a casa a piedi continuando a parlare del più e del meno lungo il tragitto. Si fermarono a casa di Larry per prendere alcune cose che aveva cucinato la mamma di Carly e poi raggiunsero gli altri da Lisa.
In tutta la sua vita Carly non aveva mai passato un pranzo tanto bello. Nessuno litigò neppure una volta e tutti si comportavano come se facessero parte della stessa grande famiglia. E un po’ era così, in un certo senso.
Dopo pranzo Carly, Logan e Dean si defilarono silenziosamente e tornarono alla villetta di Larry. I due ragazzi si fiondarono subito sui videogiochi, mentre Carly andò a prendere un libro e si mise a leggerlo in salotto con loro, seduta sulla poltrona.
Passarono così tutto il pomeriggio, anche se ogni tanto Dean e Logan si divertivano a infastidirla per interrompere la sua lettura.
Erano quasi le sei quando qualcuno suonò il campanello.
“Aspettate qualcuno?” Chiese Carly guardando i ragazzi. I due scossero il capo e lei si alzò, infilando un dito tra le pagine del libro per tenere il segno, e si avviò alla porta.
Quando l’aprì per poco il cuore non le scoppiò nel petto.
Il volto lentigginoso di Lily le sorrideva dall’ingresso, con gli occhi verdi che brillavano. Dietro di lei facevano capolino di le facce di Marcus, Anne e Simon.
“Sorpresa!” Esclamò la sua migliore amica.
Carly la guardò, pizzicandosi di nascosto la mano per essere sicura di non stare sognando e, quando una scossa pigra di dolore le attraversò la pelle, pensò che, questa volta, non sarebbe riuscita in nessun modo a fermare le lacrime. 




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No, non sono morta, sono solo terribilmente in ritardo. Caspiterina, è passato quasi un mese dall'ultimo aggiornamento! Sono imperdonabile! Picchiatemi pure, ne avete tutto il diritto ç.ç
Be', spero però che l'attesa sia valsa la pena. Questo capitolo è il penultimo, lo seguiranno un altro capitolo e poi un piccolo epilogo. Vi giuro che non tarderò come questa volta ad aggiornare di nuovo (l'ultimo capitolo è pronto da una vita, sto incontrando qualche piccola difficoltà solo nell'epilogo). 
Ci tengo a ringraziare di cuore tutti quelli che in questo quasi mese mi hanno pazientemente aspettata. Grazie, grazie, grazie!!
Spero il capitolo vi sia piaciuto, un bacione grande a tutti,
Emily. 

*Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Birthday dei Kings of Leon

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Capitolo 12
*** It's all about us ***


 It’s all about us

 
Lily si slanciò in avanti, allacciando le braccia attorno al collo di Carly che barcollò leggermente, facendo un passo indietro. Avvolse la vita di Lily con un braccio, mentre con l’altro le stringeva le spalle, affondando il viso tra i suoi capelli rossi.
“Mi sei mancata da morire,” le sussurrò Lily, stringendola forte.
Carly sentì le lacrime bagnarle le guance e ricambiò la stretta, premendo la bocca sulla spala di Lily per non singhiozzare.
Una persona normale sarebbe stata felice, ma l’arrivo di Lily aveva portato a galla tutta la tristezza che Carly aveva nascosto in quei mesi, facendole rendere conto di quanto davvero le fosse mancata la sua migliore amica.
“Anche tu,” rispose.
Intanto, Logan e Dean avevano abbandonato il loro videogioco per vedere cos’aveva creato tutto quel trambusto e adesso se ne stavano a qualche centimetro dalla porta, ad osservare i tre ragazzi dietro alle spalle di Lily. Gli occhi di Simon e Logan s’incontrarono casualmente per un attimo.
“Scusatemi,” disse Carly, liberando Lily e asciugandosi le guance umide. Si voltò a guardare Dean e Logan e quest’ultimo le fece un sorriso. “Loro sono i miei amici di New York,” disse, indicando il gruppetto sulla porta. “E loro sono Logan e Dean,” continuò, rivolgendosi adesso a Marcus, Anne, Simon e Lily.
Anche Lily si asciugò gli occhi e si dette una rassettata ai capelli, poi si avvicinò ai due ragazzi e strinse loro la mano, non senza arrossire quando le sue dita s’intrecciarono con quelle di Logan.
“Finalmente!” Esclamò Dean, quando fu il suo turno di stringere la mano di Lily. “Carly ci parla di te in continuazione,” le disse, facendole l’occhiolino.
Lily sorrise e dopo di lei anche gli altri strinsero la mano ai due ragazzi.
Poi, finite le presentazioni, Logan accompagnò tutti in salotto, mentre Carly sparì in cucina per prendere qualcosa da bere.
Quando tornò trovò i ragazzi impegnati in una discussione sul football, mentre Lily scambiava due parole con Logan (che doveva essersi defilato appena i ragazzi avevano iniziato a parlare di sport).
“Guarda che il suo autografo è uno scarabocchio,” disse Carly, sbucando alle spalle di Lily e Logan. “Non ne vale la pena.”
La ragazza ridacchiò, mentre Logan le fece una smorfia.
“Ma è sempre stata così antipatica o lo fa solo per darmi fastidio?” Chiese il ragazzo a Lily, mentre Carly si metteva a sedere sul bracciolo della poltrona, accanto alla sua migliore amica.
Lily alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di Carly. Le due ragazze si sorrisero.
“Ignoralo,” le disse Carly. “È un cretino.”
“Spero che non ti abbia sempre parlato così bene di me,” ridacchiò Logan e Carly gli schiaffeggiò il capo, guardandolo male.
Continuarono a chiacchierare ancora un po’, poi i ragazzi smisero di parlare di sport e si unirono a loro.
“Ancora non mi avete detto cosa ci fate qui,” disse Carly dopo un po’, guardando prima Lily e poi spostando lo sguardo sugli altri tre.
Fu Lily a prendere la parola, schiarendosi la voce e arricciando le labbra in un sorriso.
“Abbiamo pensato di stare un po’ insieme prima di partire per il college,” spiegò. “Ci mancavi, Carl, per questo siamo venuti.”
“Ma così vi perderete il ballo!” Protestò Carly, guardandoli.
Lily si strinse nelle spalle.
“Non importa,” rispose.
Carly fece per ribattere, ma Logan la interruppe.
“Possono partecipare a quello della nostra scuola,” disse.
“È vero,” confermò Dean. “Tanto non c’è nessuno che controlla la lista degli studenti, non si accorgeranno mai che sono di un’altra scuola.”
La ragazza li guardò speranzosa.
“Sul serio?!” Chiese con un gran sorriso e Logan annuì.
Lily allungò la mano e strinse quella di Carly.
“Adesso non hai più scuse per rispedirci a New York,” le disse.
Carly le sorrise e poi guardò anche gli altri, rivolgendo un sorriso anche a loro. Solo in quel momento si rese conto che non aveva ancora rivolto la parola a Simon. Non è che volesse evitarlo, era sicura di non provare più niente per lui, al cento per cento, il fatto era che si sentiva imbarazzata, forse perché l’ultima volta che si erano visti si erano baciati e da quella volta erano successe una marea di cose.
Rimasero a parlare ancora un po’, poi Lily e gli altri decisero di tornare in albergo. Carly provò a convincerli a stare lì da loro, ma non vollero sentire ragioni, continuando a ripetere che non volevano disturbare,  e neanche l’intervento di Logan, che gli assicurò che non davano assolutamente alcun fastidio, servì a nulla.
“Domani andiamo ad affittare i vestiti,” le disse Lily prima di andare via. “E non voglio scuse. Tu ti metterai un bel vestito, dimenticati i jeans e la felpa.”
Carly rise, annuendo.
“Va bene,” acconsentì. “Ma non riuscirai mai a convincermi a fare la foto!” Disse, categorica.
Lily ridacchiò.
“Lo vedremo,” rispose, poi le dette un veloce abbraccio e se ne andò insieme agli altri.
Carly li guardò avviarsi a piedi verso la fermata del pullman dalla finestra, con una mano appoggiata sul vetro, in corrispondenza della figura di Lily.
 

 
Tulle & Tight sarebbe stato un negozio enorme, se la maggior parte dello spazio non fosse stata occupata da abiti da sposa ed eleganti vestiti da cerimonia.
Il bianco era decisamente il colore predominante. Perfino il bancone, che si trovava subito alla sinistra rispetto all’ingresso, era ricoperto da una laccatura bianco lucido.
Di fronte ai camerini – tre piccole stanzette rettangolari chiuse da tende grigio perla – c’era una pedana ricoperta di stoffa bianca, che ricadeva sul pavimento con un gonnellino, e ai lati di essa erano state posizionate due poltrone color panna.
Quando Lily era arrivata a casa sua quella mattina, Sam e Shiver erano già lì da un pezzo e, finalmente, Carly aveva potuto fare le presentazioni. Le tre ragazze si erano subito prese per il verso giusto, tanto da fare comunella tra di loro come se si conoscessero da sempre. Anche Anne sarebbe dovuta andare con loro, ma aveva preferito farsi un giro per Los Angeles con Marcus e Simon, dicendo che, tanto, si era portata un abito per il ballo da New York.
Erano in quel negozio a provare vestiti da qualche ora ormai e lei era rimasta l’unica a non averne trovato uno che le piacesse abbastanza.
Mentre lei entrava e usciva dal camerino, Lily, Sam e Shiver avevano iniziato a parlare del ballo e di chi sarebbero stati i loro accompagnatori.
Carly sapeva che Dean aveva chiesto a Sam se poteva accompagnarla e che Shiver aveva ricevuto un invito da parte di Charlie Martins, un ragazzo che frequentava il suo corso di matematica. Era un tipo piuttosto timido e Shiver aveva raccontato loro che ci erano volute settimane prima che si decidesse a chiederglielo, ma lei aveva una cotta per lui più o meno da quando era al secondo anno, perciò era valsa la pena aspettare.
“E tu, Carly?” Le chiesero, mentre si provava un vestito verde menta che le arrivava al ginocchio.
“Io che cosa?” Rispose lei, uscendo per mostrare alle ragazze l’abito. Lily storse il naso, bocciando il vestito.
Carly sbuffò e la proprietaria del negozio le mise tra le braccia altri tre abiti da sera.
“Aspetti che Logan ti chieda di andare con lui o glielo chiedi tu?” Domandò Sam ridacchiando e, probabilmente, scambiandosi occhiate complici con Lily e Shiver.
Carly spalancò la tenda del camerino, fulminandole tutte e tre con lo sguardo.
“Perché io e Logan dovremmo andare al ballo insieme?” Disse, mettendosi le mani sui fianchi, ma le ragazze non le risposero. Rimasero a fissare il vestito che stava indossando con gli occhi illuminati. Si trattava di un abito bianco lungo fino ai piedi, con un intreccio di stoffa dorata che le stringeva la stoffa attorno alla vita, increspandola un po’. Una spalla era lasciata nuda, mentre sull’altra poggiava un anello di stoffa che univa due lembi di tessuto, formando una spallina.
Carly, notando i loro sguardi rapiti, si voltò verso il grande specchio rettangolare appoggiato alla sinistra della pedana e si specchiò. L’abito che stava indossando somigliava ad una toga femminile greca, con le increspature della stoffa e il taglio che lasciava una spalla completamente scoperta.
La ragazza si lisciò la gonna distrattamente, affascinata da come quel vestito le calzasse stranamente bene, come se fosse stato fatto apposta per lei.
“È bellissimo,” commentò Shiver, guardandola con un sorriso.
Lily e Sam annuirono, insistendo perché lo prendesse.
“Logan ci rimarrà secco,” commentò la sua migliore amica, ammiccando.
Carly si voltò di scatto verso di lei.
“La vogliamo smettere con questa stupidaggine di me e Logan?” Esclamò, avvampando e dandosi della stupida, perché quando si era guardata allo specchio la prima cosa che aveva fatto era stato chiedersi cosa avrebbe pensato il suo fratellastro vedendola con quel vestito.
Sospirò, ritornando nel camerino. Si sfilò il vestito delicatamente, stando molto attenta a non rovinarlo e poi, dopo essersi rimessa i suoi amati jeans e la maglia larga, si avviò alla cassa con le sue amiche.
Solo affittare quegli abiti costò loro quasi cento dollari a testa e, mentre tornavano a casa, Carly si chiese quanto avrebbero speso se li avessero comprati. Da una parte le dispiaceva non potersi tenere quel vestito per sempre. Si sentì strana a pensare una cosa del genere, dato che lei e i vestiti erano sempre stati in pessimi rapporti, ma quel vestito, in un certo senso, l’aveva catturata.
“Dovresti davvero chiedere a Logan di accompagnarti, secondo me,” le disse Lily, mentre venivano sballottate in qua e là dai movimenti bruschi dell’autobus.
Carly sbuffò, stringendo la presa sulla busta che conteneva il vestito.
“Perché siete tutte così convinte che tra me e Logan ci sia qualcosa?” Chiese. Non capiva perché si ostinava ancora a negarlo. Il fatto era che tra lei e Logan c’era qualcosa, solo che non aveva ancora capito bene cosa.
“Non so, forse perché sembra che possiate saltarvi addosso da un momento all’altro?” Ipotizzò Sam, unendosi alla conversazione.
“Io credo che, più che altro, si veda nel modo in cui vi guardate,” disse invece Shiver.
Carly sospirò, esasperata, reggendosi al palo giallo mentre il bus curvava.
“E com’è che ci guardiamo?” Domandò, chiedendosi se fosse davvero così evidente che lei e suo fratello avevano una piccola questione irrisolta.
Be’, non poi così piccola, ricordò a se stessa Carly, ripensando immediatamente alla casa in montagna di Dean e al bacio che si erano scambiati sulla porta di camera di Logan una volta tornati, e poi anche a tutte le altre volte in cui si erano quasi baciati ma non se l’erano permesso. Forse, alla fin fine, tutte le cose di cui parlavano le sue amiche, e che si era chiesta anche lei negli ultimi tempi, erano sempre state lì.
“Come se ci fossero mille cose che volete dirvi, ma non potete,” rispose Shiver con semplicità.
L’autobus si fermò e le ragazze scesero di fronte alla scuola, continuando a piedi la strada verso casa.
“E poi tu hai lasciato Nate,” aggiunse Sam.
“E questo cosa c’entra?” Ribatté Carly.
Sam la guardò con sguardo penetrante.
C’entra, Carly. C’entra eccome. Scosse il capo, sperando che la sua voce interiore una volta tanto la smettesse di blaterare, dandole tregua.
“Be’,” esordì Lily, quando tutt’e quattro si fermarono di fronte al cancello di casa di Carly. E lei le fu estremamente grata per aver attirato l’attenzione su di sé prima che Sam potesse ribattere. “Penso sia ora di andare, si è fatta quasi ora di pranzo.”
Samantha e Shiver annuirono e l’argomento ‘Logan’ fu completamente dimenticato.
“Già,” disse Shiver. “Avevo promesso a Tom che l’avrei aiutato a scegliere tra lo smoking di papà e quello di zio Frank.”
Sam tirò fuori dalla tasca dei jeans le chiavi della macchina e lei e Shiver si avviarono verso il veicolo.
“Ci vediamo domani?” Disse, guardando Lily e Carly con un sorriso.
Le due ragazze annuirono e Shiver e Sam entrarono in macchina.
Quando la macchina di Sam era ormai lontana, Lily era ancora lì.
“Grazie,” le disse Carly, senza guardarla ma sorridendole.
Lily scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli rossi.
“Sono qui apposta,” rispose, sorridendo.
Carly si voltò verso di lei e la strinse tra le braccia, affondando il viso tra i suoi capelli.
“Non lo so come ho fatto ad andare avanti senza di te tutti questi mesi,” confessò, anche se Lily odiava le smancerie.
Nonostante questo, però, la ragazza non disse niente. Le appoggiò una mano sulla spalla mentre con l’altra iniziò ad accarezzarle i capelli, cullandola un po’.
“Adesso sarà meglio che vada,” disse Carly, allontanandosi con un sorriso.
Lily annuì, sporgendosi in avanti per baciarla sulla guancia.
“Ci vediamo domani,” le disse, iniziando ad allontanarsi, diretta di nuovo alla fermata dell’autobus.
Carly sventolò la mano nella sua direzione finché la figura di Lily non fu sparita oltre una curva, poi, con un sospiro, si convinse a rientrare in casa.
 

 
Il centro commerciale era pieno zeppo di gente. Principalmente si trattava di adolescenti alla ricerca di abiti per i balli scolastici di fine anno e di bambini che trascinavano le madri da un negozio di giocattoli all’altro.
Logan girò la cannuccia all’interno del proprio bicchiere, osservando il ghiaccio che si muoveva immerso nella coca-cola.
“Allora,” esordì Dean, bevendo un sorso della sua bibita. “Hai intenzione di invitare Carly o cosa?”
Logan non rispose. Spostò lo sguardo oltre la vetrata, fermandosi ad osservare due ragazzi della sua età che, fermi davanti alla vetrina di un negozio che affittava abiti da cerimonia, guardavano gli smoking indossati dai manichini con aria critica.
Lui, per fortuna, non aveva avuto il problema dell’abito, dato che avrebbe indossato uno dei tanti vestiti eleganti che metteva per andare alle premiere, mentre Dean avrebbe riciclato lo smoking di suo padre.
“Non credo che la inviterò,” rispose, dopo diversi minuti di silenzio.
Dean lo guardò come se avesse detto la cavolata del secolo.
“Lei ti piace e non la inviterai al ballo,” disse. “Spiegami la logica di questa cosa.”
 “Simon,” rispose semplicemente Logan, come se quel nome bastasse per spiegare ogni cosa.
Dean finì la sua coca e poi gettò il bicchiere nel cestino che si trovava dietro alla sua sedia.
“Il suo ex ragazzo?” Chiese, tornando a concentrarsi su Logan.
Il ragazzo annuì, ripensando a quando, il giorno prima, Simon era spuntato fuori casa sua, insieme a Lily e agli amici che Carly frequentava a New York.
“Non ha mai smesso di essere innamorata di lui,” spiegò. “Adesso che è qui immagino non stia aspettando altro che un suo invito per il ballo. E io non voglio chiederle di venire con me perché so che dirà di no.”
Dean scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli biondi.
“E quello che c’è stato tra di voi?” Gli disse, guardandolo dritto negli occhi. “Quello non conta niente?”
Logan sospirò.
“È stato un errore,” rispose. “È successo per caso. Noi… noi l’abbiamo superato.”
“Io dico di no,” ribatté Dean. “Secondo me dovresti-”
“Smettila,” lo interruppe Logan, secco. Dean lo guardò con una punta di preoccupazione nello sguardo. Non l’aveva mai visto così combattuto, come se fosse in piena lotta con se stesso per costringersi a non combattere. “Fa già abbastanza male così.”
Logan non aveva avuto molte ragazze, sicuramente meno di quanto ci aspetterebbe da un attore adolescente con la sua bellezza, ma nessuna di loro l’aveva mai ridotto a brandelli così tanto come stava facendo Carly. Forse nessuna di loro gli era piaciuta così tanto, ma se il prezzo dell’amore era quello avrebbe preferito non pagarlo mai.
Uscirono dal locale pochi minuti dopo ed iniziarono a gironzolare per il centro commerciale, fermandosi in un paio di negozi di CD e in un negozio di videogiochi.
Stavano uscendo da un negozio di vestiti dove Dean aveva insistito per entrare dopo aver visto una maglietta a maniche corte in vetrina, quando lui si avvicinò a Logan, tenendo lo sguardo puntato verso una pianta.
“Per caso la conosci?” Gli chiese, indicando la ragazza che s’intravedeva dalle foglie. “Ci segue da un pezzo ormai.”
Logan seguì lo sguardo del suo migliore amico, scorgendo una ragazzina minuta, sicuramente più piccola di lui, con lunghi capelli biondi e brillanti occhi verdi che lo sbirciava insieme ad un’amica.
“È Eileen Westwood,” disse, riconoscendo nella ragazza una ragazzina del terzo anno che frequentava la sua scuola. “Credo che abbia…una cotta per me.”
Dean si girò verso di lui con le sopracciglia alzate.
“Ti pedina e arrossisce ogni volta che ti guarda,” gli fece notare. “Tu credi?”
Logan ridacchiò, coprendosi la bocca con il dorso della mano.
Si soffermò ad osservarla per qualche minuto, ma lei non sembrò accorgersi che la stava guardando, probabilmente perché la sua visuale era coperta dalla testa di Dean.
“Però è carina,” notò Logan, “non trovi?”
Dean si strinse nelle spalle.
“Forse potrei chiedere a lei di venire al ballo,” disse, nel momento stesso in cui l’idea gli attraversò la mente. Non gli piaceva trattare le persone come delle seconde scelte, ma, in realtà, lui non aveva chiesto a Carly di andare al ballo con lui ed era stato rifiutato, perciò, tecnicamente, sarebbe stata solo una seconda idea.
“Io credo che dovresti prima parlare con Carly,” ribatté Dean, chiaramente intenzionato a dissuaderlo. “Non sono sicuro che lei sia sempre così innamorata di quel Simon…”
Logan sventolò una mano in aria per farlo tacere e, ignorando i suoi tentativi di trattenerlo, e raggiunse Eileen e la sua amica.
Quando le due ragazze alzarono lo sguardo e si ritrovarono davanti gli occhi di Logan sobbalzarono, indietreggiando e arrossendo.
“Logan,” esclamò Eileen, con voce innaturalmente acuta.
Logan le sorrise e l’altra ragazza si dileguò con una scusa, lasciandoli da soli.
“Ciao Leen,” rispose il ragazzo.
“Mi dispiace, io…” Eileen abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Logan la rassicurò, dicendole che non aveva fatto assolutamente niente di male. Lei lo ringraziò, poi rialzò lo sguardo su di lui.
“Come mai sei venuto?” Chiese, perdendo un po’ di rossore e acquistando sicurezza.
Lei e Logan si erano incontrati la prima volta a casa di Thomas e Shiver, durante la festa per il loro compleanno. Eileen era la loro cugina di secondo grado e, sapendo che era una grande fan di Logan, i due ragazzi avevano deciso di presentaglielo.
A scuola non si parlavano molto, perlopiù s’incrociavano per i corridoi e si limitavano a scambiarsi due parole, ma Logan era sempre gentile con lei, nonostante fosse solo una ragazzina con una mega cotta per lui.
“Pensavo… Sì, insomma, sabato c’è il ballo,” iniziò il ragazzo, ripetendosi di non pensare a Carly e ai propri sentimenti e solo ad Eileen, la ragazza carina che gli avevano presentato i suoi amici.
“Oddio,” Eileen si portò le mani alla bocca, spalancando gli occhi. “Fai sul serio?”
A Logan venne da ridere, ma cercò di trattenersi, distorcendo le labbra in una smorfia. Annuì, vedendo gli occhi verdi della ragazza che si illuminavano e la sua bocca che si apriva in un enorme sorriso scintillante.
“Ti prego, dammi un pizzicotto,” disse, chiudendo gli occhi. “È una cosa stupida, lo so, ma tu fallo e basta.”
Logan obbedì, allungando una mano e pizzicandole delicatamente la pelle del polso.
La ragazza aprì di scatto gli occhi, osservandosi il punto in cui le dita di Logan l’avevano toccata.
“Okay,” inspirò, guardandolo in viso. “Adesso che so che non sto dormendo, possiamo andare avanti.”
Logan sorrise, scuotendo leggermente il capo.
“Ci verresti al ballo con me, sabato sera?”
Eileen annuì così forte che Logan pensò le si sarebbe staccata la testa dal collo.
Rimasero a chiacchierare per qualche minuto, poi Dean richiamò l’attenzione di Logan, dicendogli che si stava facendo tardi e che sarebbero dovuti tornare a casa.
“Passo a prenderti alle otto, allora,” disse, salutando Eileen con un gesto della mano.
La ragazza annuì e Logan le dette le spalle, raggiungendo Dean che lo aspettava di fronte al negozio di vestiti.
“È andata,” gli disse con un sorriso.
Dean lo guardò male e i due s’incamminarono verso l’uscita del centro commerciale.
“Hai intenzione di dirlo a Carly o lo scoprirà la sera del ballo?” Gli chiese.
Logan scrollò le spalle, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
“Io… Io glielo dirò,” rispose. “In fondo non c’è niente di male, giusto?”
“Se lo dici tu,” commentò Dean, aprendo la macchina.
I due salirono all’interno della mustang nera di Dean e poi sfrecciarono per le strade di Los Angeles, diretti a Beverly Hills.
 

 
Aveva invitato al ballo un’altra.
Il sole batteva forte, irradiando un fascio di luce calda sul corpo di Carly che, stesa su una vecchia sdraio, stava cercando di prendere un po’ di abbronzatura in giardino.
Mancavano solo due giorni al ballo e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che Logan ci sarebbe andato insieme ad Eileen Westwood, una ragazzina del terzo anno.
Non era tanto Eileen il problema – l’aveva conosciuta ed era davvero una ragazza adorabile – quanto il fatto che ci sarebbe andato con qualcuno che non era lei.
Carly sospirò, calandosi gli occhiali da sole sugli occhi e infilandosi le cuffie nelle orecchie.
Il sound graffiante dei Green Day le riempì le orecchie in meno di un secondo, cullandola mentre picchettava le dita sui braccioli di plastica bianca della sdraio e con la mente tornava al momento in cui Logan le aveva annunciato la ‘grande notizia’.
Aveva introdotto l’argomento con nonchalance e per un misero istante Carly si era illusa che volesse chiederle di andare insieme. Ma poi se n’era uscito con un: “Io ci vado con Eileen, la cugina di Tom e Shiver” e Carly aveva pensato che il mondo si fosse appena distrutto sotto ai suoi piedi, prima di accorgersi di averli ancora ben saldi al pavimento del salotto.
“Sono contenta,” gli aveva risposto, abbozzando un sorriso. E da quel momento non aveva fatto altro che darsi dell’idiota per averci sperato tanto da crederci.
“Sei sempre in fase di depressione?” Domandò Lily, sbucando al suo fianco.
Carly si tolse gli occhiali e si girò a guardarla.
“Non sono depressa,” ribatté, arricciando le labbra.
Lily non disse nulla, si limitò a stendersi accanto a lei su un’altra sdraio.
Rimasero in silenzio per un po’, con il sole a baciargli gentilmente la pelle e il vento caldo a scompigliare loro i capelli.
“Non sono depressa,” ripeté Carly. “Il problema è che non ci capisco più niente.” Lily non rispose, si limitò ad ascoltare e Carly le fu estremamente grata, perché sapeva quando ascoltarla e come capirla, senza sbagliare mai. “Non sono stupida, me ne sono accorta che c’era qualcosa, ma lui ha rovinato tutto,” disse, sospirando. “Il punto è che io non sono fatta per lui e lui non è assolutamente fatto per me, però mi piace comunque così tanto…”
Lily sorrise, allungando una mano per appoggiarla su quella di Carly.
“I sentimenti fanno schifo,” iniziò e le due ridacchiarono. “E forse sono solo una perdita di tempo. Però sono sicura di una cosa: i sentimenti non hanno senso, quindi non perdere tempo cercando di dargliene uno.”
Carly la guardò in silenzio, rendendosi conto di quanto vere fossero le sue parole.
Rimase in silenzio per un po’, poi le sorrise e annuì, calandosi di nuovo gli occhiali sugli occhi e tornando a volgere il viso verso il sole.
Lei e Lily continuarono a chiacchierare e Lily le raccontò che Thomas si era offerto di accompagnarla al ballo, dato che non c’era una ragazza in particolare che voleva invitare e lei aveva bisogno di un accompagnatore.
“Secondo me ha una cotta per te,” le disse Carly, ridacchiando.
“Ma se mi conosce da una settimana!” Esclamò Lily, sottolineando l’assurdità della cosa.
Carly alzò le spalle, borbottando un ‘non si sa mai’.
In quel momento Simon le raggiunse in giardino, con in mano due bicchieri pieni d’aranciata.
“Pensavo aveste sete,” si giustificò, porgendoli alle ragazze. “Con tutto questo sole.”
Le due lo ringraziarono con un sorriso e lui prese una sedia e si mise a sedere accanto a Carly.
Rimasero tutti in silenzio, le due ragazze a bere l’aranciata e Simon a guardarsi la punta delle scarpe.
Quando Carly ebbe svuotato il suo bicchiere lo appoggiò sull’erba del prato e poi si voltò a guardare Simon. Non era cambiato per niente in quei mesi in cui non si erano visti. Aveva sempre i capelli castani lunghi fino al collo e gli occhi verde nocciola che ogni tanto brillavano di luce propria.
“Che c’è?” Domandò il ragazzo con un sorriso. “Ho qualcosa in faccia?”
Carly scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli a destra e a sinistra.
“Pensavo che non sei cambiato affatto,” gli disse.
Simon la guardò negli occhi e il suo sorriso si estinse, lasciando spazio a un’espressione seria.
“Anche tu sei uguale,” rispose. “Uguale alla ragazza che mi piaceva.”
Carly arrossì, fuggendo il suo sguardo per fissare la fantasia del costume. Accanto a lei, Lily si era messa le cuffie nelle orecchie e stava facendo finta di non esistere.
“Mi dispiace,” si affrettò a dire Simon, grattandosi il collo con imbarazzo. “Non avrei dovuto dirlo.”
“Non fa niente,” lo rassicurò lei con un mezzo sorriso un po’ imbarazzato. “Hai detto una cosa carina.”
Lui rimase in silenzio e Carly notò che gli si erano imporporate le guance. Sorrise dolcemente e, mentre lo osservava, un’idea le esplose nella mente. Un’idea sciocca e forse sorta per le ragioni sbagliate, ma che poteva diventare la soluzione giusta.
“Io… Eccco,” iniziò, torcendosi le mani in grembo. “Mi chiedevo se… se… se ti va di accompagnarmi sabato,” disse, tutto d’un fiato.
Simon la guardò sbattendo le palpebre, probabilmente confuso da quella richiesta.
“Certo,” rispose infine con un gran sorriso. “Certo che mi va.”
Carly si sentì arrossire e ricambiò il suo sorriso.
Il ragazzo rimase con lei qualche altro minuto ancora, poi Marcus lo richiamò dall’interno della casa, dicendogli che era il suo turno per giocare a un qualche videogioco che Logan e Dean avevano comprato quand’erano andati al centro commerciale.
“Allora, ci vediamo sabato?” Disse, mentre si alzava.
Lei annuì, salutandolo con un cenno della mano mentre si allontanava.
Quando fu sparito oltre la porta, Lily si tolse le cuffie dalle orecchie si voltò verso Carly.
“Sei sicura che sia la cosa giusta da fare?” Le chiese.
“Non lo so se è la cosa giusta da fare,” rispose lei. “Quando uno sta male, c’è mai una cosa giusta da fare?”
 

 
Lily le stava sistemando i capelli, mentre al piano di sotto tutti le stavano aspettando.
Logan era andato a prendere Eileen e l’aveva portata lì, mentre Shiver si era fatta accompagnare da Charlie quand’era andato a prenderla.
“Ragazze, sbrigatevi o faremo tardi!” Urlò Sam dal salotto.
“Un secondo!” Gridò Lily in risposta mentre finiva di intrecciare i capelli di Carly. Dato l’abito alla greca, Lily aveva insistito per legarle i capelli in una larga treccia complicata, facendo passare alcuni nastri dorati tra un intreccio e l’altro.
Con la spazzola in una mano e alcune mollette strette tra le labbra, le legò l’estremità della treccia con un elastico, aggiungendo poi le mollette per renderla più stabile.
“Fatto,” disse, permettendole di alzarsi.
Carly si mise in piedi di corsa, afferrando la borsa e la giacca, precipitandosi poi con Lily al piano di sotto.
Sua madre e Larry gli fecero fare una foto di gruppo in salotto e ci vollero secoli prima che Caroline la lasciasse andare via. Aveva iniziato ad accarezzarle le guance e i capelli, ripetendole che era bellissima con quel vestito e che era felice che fosse finalmente arrivato il momento del suo ballo.
Alla fine, grazie alla collaborazione di Lily e Larry, sua madre la lasciò libera di andare e i ragazzi uscirono in giardino.
Logan era riuscito a recuperare una limousine gratis grazie alle sue conoscenze. La scuola era a due passi da casa, perciò avrebbero potuto benissimo raggiungerla a piedi, ma Shiver e Sam avevano insistito per poter andare in limousine come tutti gli altri.
Arrivarono a scuola in un batter d’occhio e nessuno disse nulla per la presenza di Lily, Simon, Marcus e Anne.
Quando entrarono nella palestra Carly la riconobbe a stento. Il pavimento era ricoperto da palloncini blu e argentati e dai soffitti pendevano ghirlande luccicanti. Le pareti e il tavolo con le bevande e il cibo erano ricoperti di porporina argentata, e una soffusa luce blu illuminava tutta la stanza.
“Il tema era polvere di stelle,” disse Shiver, guardandosi intorno con altrettanto stupore.
Se fosse stato per lei sarebbe rimasta con il naso in aria per tutta la sera. Ma Simon le prese la mano e la trascinò sulla pista da ballo, avvolgendola con le proprie braccia e iniziando a volteggiare lentamente.
“Non so se te l’ho già detto,” le sussurrò all’orecchio, facendola rabbrividire.
“Cosa?” Chiese, appoggiando una mano sulla spalla di Simon e lasciando che lui stringesse l’altra nella sua.
“Che sei bellissima.”
Carly avvampò e sentì il cuore aumentare i battiti. Alzò lo sguardo e, incidentalmente, incontrò gli occhi blu di Logan che ballava con Eileen poco lontano da lei. Non sapendo neanche lei perché, Carly si strinse di più a Simon fino a sfiorargli la guancia con la propria.
Ballarono per un paio di canzoni, chiacchierando ogni tanto del più e del meno, poi Simon si allontanò per andare a prendere da bere.
“Come sta andando la serata?” Logan le sbucò alle spalle, facendola sobbalzare.
Carly si voltò verso di lui, notando che era da solo.
“Bene,” rispose, con una punta d’acidità nella voce. “Dove hai lasciato Leen?”
Logan indicò un gruppetto di ragazzine che chiacchieravano in un angolo e avevano l’aria di essere un po’ su di giri.
“Ti sta bene questo vestito,” aggiunse il ragazzo dopo un po’, abbassando lo sguardo sull’abito di Carly.
Lei si lisciò la gonna con imbarazzo, cercando di non guardarlo degli occhi.
“Sei molto bella stasera,” continuò lui, sorridendole.
Carly alzò di scatto lo sguardo, incontrando i suoi occhi, e sentì il cuore fare un paio di capriole prima di sprofondarle nello stomaco. Non era come guardare gli occhi di Simon, così particolari e timidi. Guardare gli occhi di Logan era come Carly immaginava sarebbe stato fluttuare nello spazio, senza confini e senza la forza di gravità a tenerti ancorato a terra.
“Ecco qua!” Esclamò Simon, apparendo al fianco di Carly. Le porse un bicchiere pieno di punch e lei lo ringraziò con un sorriso.
“Be’, sarà meglio che torni da Leen,” disse Logan, salutando Simon con un’alzata delle sopracciglia. “Ci vediamo in giro.”
I due ragazzi annuirono e lui sparì tra la folla.
La musica ritmata che aveva riempito la palestra fino a pochi minuti prima fu sostituita da una melodia lenta e delicata.
“Ti va di ballare?” Le chiese Simon e lei annuì.
Appoggiarono i bicchieri su uno dei tanti tavolini sparsi per la sala e poi iniziarono a ballare lentamente, a ritmo della musica.
“Cos’è successo tra te e Logan?” Domandò Simon dopo diversi minuti.
Carly, presa alla sprovvista da quella domanda, sobbalzò, alzando di scatto il viso verso di lui.
“Niente,” si affrettò a rispondere.
“Solo un idiota non si accorgerebbe che c’è qualcosa che non va,” ribatté lui, stringendo la presa sui suoi fianchi mentre giravano.
“È complicato,” rispose Carly con un sospiro.
“Prova a spiegarmelo,” insisté Simon. “Magari lo capisco.”
Lo sguardo di Carly si spostò su Logan ed Eileen che chiacchieravano in un angolo della palestra, i visi così vicini che avrebbero potuto baciarsi da un momento all’altro. Sentì la vista offuscarsi e il cuore rimpiccolirsi talmente tanto che dubitò di averne più uno.
“Io ti voglio bene, Simon,” disse, distogliendo lo sguardo.
“Lo so,” rispose il ragazzo, accarezzandole una guancia. “Non dobbiamo per forza stare insieme o niente, possiamo anche essere amici, Carl.”
Lai annuì.
“A-A te va bene?” Gli chiese, sbattendo le palpebre per non piangere.
Non voleva prendere in giro nessuno, voleva solo essere felice. È davvero chiedere troppo voler stare bene?
“Sì,” le rispose, sorridendole dolcemente. “Se a te va bene va bene anche a me.”
“Io… Mi dispiace tanto.” Si allontanò, togliendo le mani dalle sue spalle. “Vado a fare due passi fuori.”
“Vuoi che venga con te?”
Carly scosse il capo, rassicurandolo con un sorriso storto, poi gli voltò le spalle ed iniziò a farsi strada tra la folla. Andò a sbattere contro qualche coppia che ballava, finché una mano non le afferrò il polso, tentando di fermarla.
Per un momento Carly pensò si trattasse di Simon. Si voltò per dirgli che stava bene, ma si ritrovò davanti il volto di Logan. Alle sue spalle Eileen li guardava con aria confusa. Per quanto volesse avercela con lei, Carly non riusciva ad odiarla.
“Dove vai?” Le chiese Logan, ignorando la sua compagna. “È successo qualcosa?”
Carly sfilò il polso dalla presa di Logan, indietreggiando.
“Sto bene,” rispose brusca. “E dove vado sono affari miei, non devo per forza dirti tutto.”
Detto questo cominciò a correre verso la porta, senza dargli la possibilità di ribattere. Fece leva sul maniglione antipanico e uscì nel giardino.
L’aria fresca della notte le accarezzò il viso e solo in quel momento Carly si accorse di quanto caldo fosse nella palestra. Aveva le guance che le andavano a fuoco e i piedi che le facevano male per le danze.
Camminò fino al campo da football e poi salì le gradinate, andandosi a sedere sugli spalti. Il vento fresco le aveva raffreddato il viso e le spalle nude iniziavano a infreddolirsi.
“Carly!” Sentì urlare e abbassò lo sguardo sul campo da football. Vide Logan che correva verso di lei e fece per alzarsi, ma il ragazzo la pregò di non andare via.
“Cosa vuoi?” Gli chiese quando la raggiunse.
Lui si mise a sedere al suo fianco, con il fiato corto a causa della corsa.
“Mi sembrava di averti fatto capire che dovevi lasciarmi stare,” disse ancora Carly, evitando di guardarlo in faccia.
“Ero preoccupato per te,” le rispose, allungando una mano per appoggiarla su quella di lei, ma la ragazza ritrasse la propria.
“Non sei mio fratello, Logan!” Esclamò, stringendo i pugni. “Non devi per forza preoccuparti per me!” Non devi preoccuparti per me e poi uscire con un’altra ragazza. Non devi preoccuparti per me se mi consideri solo una sorella, perché non riesco più a sopportarlo.
“Cavoli, Carly, sei insopportabile!” Rispose lui, con una punta di rabbia nella voce. “È da quando sei arrivata qui a Los Angeles che cerco di aiutarti e starti accanto, ma tu me lo impedisci sempre!”
“Be’, io non voglio essere aiutata da te! Posso benissimo badare a me stessa!”
Logan quasi ringhiò, passandosi una mano nervosamente tra i capelli.
“Ci sono dei momenti in cui vorrei non averti mai conosciuto.”
Carly sentì qualcosa colpirle il petto; un pugno forte sullo sterno che le fece perdere il fiato. Annaspò per qualche minuto, gli occhi spalancati e le orecchie piene dell’eco di quelle parole.
“Be’, allora perché non mi tagli fuori dalla tua vita e basta?” Ribatté con sarcastica acidità.
Accadde tutto in un battito di ciglia. Logan le afferrò le mani e la fece alzare in piedi, l’avvicinò a sé con uno strattone e Carly si trovò con le mani premute contro il suo petto e le braccia strette tra le sue dita.
“Perché mi sono innamorato di te!” Urlò.
La notizia colpì Carly come uno schiaffo. Guardò Logan sbattendo le palpebre, chiedendosi se fosse successo davvero o se lo fosse solo immaginato.
Il ragazzo, probabilmente essendosi reso conto di ciò che aveva detto, abbassò lo sguardo e si buttò a sedere sulla panca. Non tentò di rimangiarsi le proprie parole, né disse nulla, rimase semplicemente seduto con lo sguardo basso.
Carly, dopo essersi data un paio di pizzicotti, si sedette accanto a lui. Allungò una mano e gli afferrò il mento, alzandogli il viso e portandolo alla sua altezza.
Lo guardò con severità e arricciò le labbra.
“Se è una bugia ti ammazzo,” disse.
Gli appoggiò le mani sulle spalle e si avvicinò, sentendo le proprie labbra aprirsi in un sorriso prima di appoggiarsi su quelle di lui. In un certo senso fu come tornare a casa dopo un lungo viaggio, come se fosse quello il posto in cui la sua bocca doveva essere.
Logan le avvolse i fianchi con le braccia e la strinse a sé, rispondendo al bacio.
Mentre si baciavano, Carly si chiese come potesse essergli venuto in mente di dire che tutto quello fosse sbagliato. L’aveva desiderato così tanto senza saperlo che le venne quasi da piangere. Era una cosa stupida, una cosa che fanno le persone nei film strappalacrime per far piangere le ragazzine, ma era così che si sentiva in quel momento. Come se fosse stata svuotata di tutta se stessa e Logan le avesse riportato indietro i pezzi già riaggiustati.
“Era quello che penso?” Domandò il ragazzo quando si staccarono.
Carly ridacchiò, spostandogli i capelli dal viso per guardarlo bene negli occhi.
“Devo farti un disegnino?” Ridacchiò lei e Logan arricciò le labbra con disappunto.
“Piantala!” Ribatté il ragazzo, impermalito.
Carly cercò di soffocare le risate e si alzò in piedi, lisciandosi la gonna del vestito.
“Be’, se la metti così io me ne torno da Simon.”
Fece per allontanarsi, ma le braccia di Logan le afferrarono i fianchi, trascinandola sulle sue ginocchia.
“Scordatelo,” le disse, stringendola forte. “Adesso devo fartela pagare per avermi tenuto sulle spine per tutto questo tempo.”
Carly si girò verso di lui, facendo scontrare i loro nasi.
“Potrei dire lo stesso di te, sai?” Ribatté. “Anche io credo di essermi innamorata.”
Logan la guardò inarcando un sopracciglio.
“Tu credi?” Carly arrossì e lui sorrise. “Be’, allora dovrò proprio fare qualcosa a riguardo.”
“Non credere che ti renderò le cose facili,” lo mise in guardia lei, sentendo il fiato del ragazzo che le accarezzava le labbra.
“E quanto pensi che mi farai impazzire, allora?”
Carly alzò gli occhi al cielo e arricciò le labbra, intenta nel riflettere.
“Mah, io inizierei da per sempre.”
Logan sorrise.
“Sì, per sempre mi sembra un tempo abbastanza ragionevole.”
La ragazza rise, poi gli afferrò la cravatta e lo tirò verso di sé, facendo scontrare di nuovo le loro labbra.
 

- Epilogo

 
Quando Carly era arrivata a Los Angeles l’estate era quasi giunta al termine, perciò il caldo sole di quella mattina la colse del tutto alla sprovvista.
Nonostante la casa fosse piena di condizionatori accesi e quasi tutte le porte fossero aperte, Carly si sentiva quasi soffocare.
Stanca e accaldata era andata a sedersi sul muretto del giardino, all’ombra di uno degli alberi. Sospirò, passandosi una mano sui capelli disordinati e sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla.
Quando alzò lo sguardo la prima cosa che vide fu il sorriso dolce di Logan, solo dopo diversi secondi si accorse che il ragazzo le stava porgendo una bottiglietta di acqua ghiacciata.
Logan si mise a sedere accanto a lei e Carly stappò la bottiglietta, iniziando a bere avidamente.
“Ci siamo,” commentò lui. La ragazza si pulì la bocca dai residui di acqua e annuì, appoggiando la bottiglia sul muretto vicino a lei.
“Già,” gli fece eco, “ci siamo.”
Entrambi portarono lo sguardo verso il parcheggio, dove Larry e Caroline stavano caricando degli scatoloni su un nuovissimo pick-up blu cobalto.
Logan passò un braccio attorno alle spalle di Carly e la ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla, cercando di non scoppiare a piangere.
Fin da quando era bambina aveva sempre sognato di frequentare la New York University, aveva sempre immaginato come sarebbe stata la sua stanza al college, come sarebbe stata la sua compagna di stanza, quanto sarebbero stati entusiasmanti i corsi di scrittura e quanto sarebbe diventata brava una volta uscita da lì. Sarebbe stata una scrittrice, avrebbe realizzato il suo sogno. Aveva già pianificato tutto e aveva contato i giorni che la dividevano da quel momento per anni, eppure adesso era terrorizzata. Sentiva la malinconia stritolarle il cuore e la paura aggrovigliarle lo stomaco.
“Tu non hai paura neanche un pochino?” Domandò a Logan.
“Certo che ho paura,” confessò il ragazzo accarezzandole i capelli. “Ma sarà un’avventura. La nostra avventura, New York. Stiamo iniziando a vivere la nostra vita, no?”
Carly alzò lo sguardo su di lui e sentì il cuore riempirsi di gioia, e in quel momento si rese conto di quanto fosse stata stupida a non aver capito prima quanto Logan fosse speciale per lei.
Sorridendo alzò il mento e gli sfiorò le labbra, appoggiando poi una mano sul collo del ragazzo per avvicinarlo di più a lei.
“Ragazzi!” Il richiamo di Larry li interruppe e i due si voltarono verso i loro genitori. “Se non vi sbrigate troverete traffico!”
Logan annuì e scese dal muretto con un balzo, porgendo poi una mano a Carly per aiutarla a fare lo stesso.
Quando la ragazza fu al suo fianco le passò un braccio attorno alle spalle e insieme raggiunsero il parcheggio.
“Scrivimi,” si raccomandò Caroline stringendo forte Carly. “E chiama almeno una volta alla settimana.”
“Sì, mamma,” sorrise la ragazza, accarezzandole la schiena con la mano. “Mi mancherai,” le sussurrò e la donna si lasciò sfuggire un leggero singhiozzo.
“Anche tu tesoro,” rispose, accarezzandole il viso con entrambe le mani. Poi si asciugò gli occhi e fece un passo indietro, tirando su col naso. “Ora andate, su.”
Carly salutò Larry con un braccio, mentre Logan stampò un bacio sulla guancia di Caroline che per poco non scoppiò a piangere come una fontana.
I due ragazzi salirono sul pick-up e Logan mise in moto, puntando il muso dell’auto verso il cancello. Fecero un cenno di saluto con la mano ai loro genitori e poi il cancello si aprì, e il pick-up s’immise in strada, lasciandosi alle spalle l’elegante casa di Beverly Hills.
Carly puntò lo sguardo dritto davanti a sé, sospirando.
Logan intanto aveva chiuso i finestrini, azionato l’aria condizionata e acceso la radio. Il tono frizzante di Forever di Matt Hires riempì l’abitacolo e Carly si lasciò cullare dalle parole della canzone.
“Siamo solo noi adesso,” commentò la ragazza, chiudendo gli occhi.
Logan sorrise, girandosi a guardarla per qualche secondo. Poi riportò lo sguardo sulla strada.
“Sì, adesso siamo solo noi.”



-
Bene, prima che sfoderiate i forconi, lasciate che vi spieghi. Lo so, non aggiorno da mesi e mi sento uno schifo per questo, credetemi, mi ero sempre ripromessa di non farlo e invece... Il fatto è che mi sono capitarte delle cose negli ultimi tempi, cose belle, belle davvero, e quindi mi sono lasciata assorbire dalla felicità, potete perdonarmi?
Questo capitolo era pronto da un pezzo, mancavano solo l'epilogo e una piccola revisione, perciò, dato il mio imperdonabile e deplorevole ritardo, l'ho postato subitissimo per cercare di rientrare almeno un pochino nelle vostre grazie =D 
Spero davvero che vi piaccia perché io mi sono divertita a scriverlo e ci ho messo tutta l'anima, quindi vorrei davvero essere riuscita a comunicarvi qualcosa. 
Adesso vi lascio i link per le foto dei vestiti del ballo delle ragazze e poi passiamo ai ringraziamenti :3

Carly
http://img856.imageshack.us/img856/6521/spromdress.jpg

Lily
http://img716.imageshack.us/img716/8926/spromdressv.jpg

Sam
http://img839.imageshack.us/img839/2540/spromdressa.jpg

Shiver 
http://img694.imageshack.us/img694/6521/spromdress.jpg

Anche se i vestiti di Sam, Shiver e Lily non li ho descritti ho immaginato come volevo che fossero, quindi mi sembrava carino rendervi partecipi di come le ho immaginate vestite io, anche per vedere se le mie idee combaciano con le vostre :)

Bene, ormai siamo arrivati alla fine. Lo so che vi ho fatto penare, che Carly e Logan vi hanno fatto penare, però questa storia per me è stato un progetto importante, sul quale ho lavorato molto e nel quale mi sono impegnata al massimo, per questo per me è molto importante che qualcuno l'abbia apprezzato. 
Perciò ringrazio di cuore tutte le persone che hanno recensito, ringraziandomi, facendomi complimenti, elogiando questa storia e dicendomi quanto gli piacesse. Per me le vostre parole sono state la cosa più bella, la parte migliore di questo progetto. Quindi grazie, grazie davvero tantissimo. 
Ringrazio anche chi mi ha seguita in questi mesi di assenza, senza perdere la speranza che avrei aggiornato, continuando a controllare e a confidare in me. Anche a voi va un grazie superspeciale. 
Grazie a chi a messo la storia tra i seguiti o preferiti, anche voi siete dannatamente importanti e da ringraziare all'infinito. 
E infine grazie a chi è passato silenziosamente e ha letto il mio lavoro, magari apprezzandolo magari no :)
Grazie a tutti voi, per ogni cosa che avete fatto per me. Grazie <3 
Spero di tornare presto con un nuovo progetto, lo spero davvero tanto. 
Ciao a tutti, un bacione grandissimo, 
Emily. 

*Il titolo della canzone è tratto dalla canzone All about us di He is We ft. Owl City 

 

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