Burning Fire

di EllieMarsRose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1: Lo Zippo ***
Capitolo 2: *** Quando il whisky salva la vita ***
Capitolo 3: *** Una Scoperta Scioccante ***
Capitolo 4: *** Fred, L'Angelo Dell'Inferno ***
Capitolo 5: *** Una Margarita Alla Fragola ***
Capitolo 6: *** Mighty Wings ***
Capitolo 7: *** Spoons And Needles ***
Capitolo 8: *** Un Pomeriggio Con Amy ***
Capitolo 9: *** Nobody's Fool ***
Capitolo 10: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 11: *** La Festa Di Compleanno ***
Capitolo 12: *** Pensieri Speculari ***
Capitolo 13: *** Xmas In Hell ***
Capitolo 14: *** Minaccia All'Orizzonte ***
Capitolo 15: *** Just Another Psycho ***
Capitolo 16: *** Madness, Heart And Love = Wild Side ***
Capitolo 17: *** Chi La Fa, L'Aspetti ***
Capitolo 18: *** Sure Feels Right ***
Capitolo 19: *** Sleeping In The Fire ***
Capitolo 20: *** Pistoni Caramellati ***
Capitolo 21: *** Cold Turkey ***
Capitolo 22: *** Through The Fire... To the Unexpected ***
Capitolo 23: *** The Crüe Wants You ***



Capitolo 1
*** #1: Lo Zippo ***


01

L'aria fresca le sfiorava il volto inumidito dalle lacrime che, timidamente, le solcavano la pelle liscia; guardava verso occidente, verso la luce. Los Angeles giaceva ai suoi piedi come un tappeto intessuto di pietre preziose di ogni tipo: i topazi delle finestre degli edifici e delle case dove la gente ormai stava già cenando; i rubini delle punte dei grattacieli; i diamanti dei fari anabbaglianti delle macchine in corsa sul Sunset Boulevard; le insegne al neon di zaffiri e ametisti. La vista di Rea si appannò, batté le palpebre e nuove lacrime le rigarono il volto; con un nodo che le chiudeva la gola, l'unica parola che riuscì a sibilare fu: «Nonno...»; la pietra più preziosa di tutta la città, di tutto lo stato della California, suo nonno, si era irrimediabilmente sgretolata quella stessa mattina per colpa di un cancro. Solamente due giorni prima lei aveva festeggiato con lui il suo ventesimo compleanno; un compleanno strano...

Il nonno ormai era a letto infermo per colpa di un tumore al lobo frontale del cervello; inizialmente si era manifestato solo come un leggero ma continuo mal di testa. Poi, con il passare del tempo, aveva perso la capacità di potersi muovere e, alla fine, si era ritrovato immobilizzato a letto in preda alla confusione più completa. Rea vegliava giorno e notte per potergli dare il massimo delle cure, perfino quando i medici avevano detto che non c'era più nulla da fare. Quel dolce omino con la testa sferica delirava, ma niente, nemmeno il tumore, era riuscito a fargli dimenticare che il 17 aprile era il compleanno della sua cara “nipotina”.


Giovedì 17 aprile 1986, ore 1 pm

Oggi il nonno mi ha davvero stupita; mi ha fatto il regalo più assurdo che mi potessi aspettare. Stamattina, come di consueto, mi sono recata nella sua stanza con la colazione e lui era lì, sul letto, che mi aspettava giulivo; rideva, smetteva per un attimo, e poi ricominciava. Ero davvero stupita di questo suo comportamento, pensavo avesse combinato qualche guaio; invece, come gli ho appoggiato il vassoio della colazione sul comodino, lui mi ha preso la mano e mi ha detto: «Buon compleanno bambina mia». Aveva un sorriso stupendo nonostante la malattia l'abbia debilitato parecchio. L'ho ringraziato ma lui mi ha stretto la mano più forte e ha aggiunto: «Fiamma mia, aspetta un attimo... ho un regalino per te»

«Un regalo? Ma nonno, non è possibile! Non puoi nemmeno alzarti dal letto, come puoi avermi comprato qualcosa?».

Il nonno ha sorriso e ha tirato fuori qualcosa avvolto in un fazzoletto; dopo un attimo di esitazione me l'ha messo in mano. Sempre più sbigottita ho aperto il “pacchettino” e... «Il tuo Zippo?»

«Sì cara!»

«Ma nonno, lo sai che non fumo! Perchè mi hai regalato il tuo accendino?»

«Rea, quello non è un accendino! Quello è il sacro fuoco portatile!».

Ero sbigottita; “Sta delirando” pensai. Ma dovetti ricredermi: «Tesoro mio, io fra qualche tempo non ci sarò più e tu dovrai vivere la tua vita; non potrai sempre stare in casa, passerai sicuramente più tempo all'università. Quel piccolo fuoco portatile ti aiuterà quando non sarai qui nel momento in cui avrai bisogno di un consiglio».

Mi sono commossa a quelle parole; non stava delirando, in quel momento era la persona più lucida di tutto il pianeta. Lo abbracciai forte e lo ringraziai dal profondo del cuore.

«Grazie nonno... grazie davvero»

«Di nulla cara... ora, però, vai a prendermi le chiavi del carrarmato». Il senno che sembrava aver recuperato era durato solo due minuti; ecco che era di nuovo subentrato il caos. Ho chinato il capo tristemente e, dopo aver annuito, mi sono infilata lo Zippo nella tasca dei jeans.


Il timido vento che spirava dal Pacifico le rubò due lacrime che stavano per caderle sulle guance. Rea sospirò: “Mi sento così sola... ho quasi vissuto come un'eremita per quest'ultimo anno. Ero sempre in compagnia del nonno. Ho frequentato a fatica l'università e ho visto sempre meno le mie care amiche, anche se mai mi hanno abbandonata; a turno venivano da me ad aiutarmi con il nonno. Specialmente Amy e Bunny. Ho telefonato ad entrambe oggi e ho riferito loro del triste evento; sono subito venute da me e mi hanno consolata tutto il giorno. Poco dopo sono state raggiunte da Morea e Marta che erano impegnate con lo studio. Ma mi manca tanto il nonno... era come mio padre”. Padre... proprio non ce la faceva a chiamarlo papà, era più forte di lei. Strinse il pugno pensando a quella persona che mai le era stata vicina: “Il mio vero padre mi dà solo i soldi per vivere... non è mai stato capace di donarmi l'affetto che mi ha dato il nonno”. Chiuse gli occhi e digrignò i denti per frenare un singhiozzo; mise la mano in tasca in cerca di un fazzoletto con cui asciugarsi le lacrime quando le dita accarezzarono qualcosa di freddo e metallico. Lo Zippo. Lo estrasse dalla tasca e lo aprì; ricordandosi delle parole del nonno accese la fiamma e pregò: “Sacro fuoco, dammi la forza, dammi lucidità; indicami la via per poter continuare”. Come Rea finì di recitare questa frase nei suoi pensieri, la fiamma dello Zippo si ingrandì e divenne più vivida; incredula, sgranò gli occhi. «No... non ci posso credere» le lacrime avevano smesso di cadere sul terreno polveroso; fissava la fiamma con la bocca aperta. «Nonno, sei tu?» lo sguardo era fisso sull'accendino, bisognoso di spiegazioni

«Fiamma mia, ma che fai? Piangi per me? Rea, non devi!» il nonno le parlava attraverso il fuoco. Rea fece per ribattere, ma l'omino dalla testa rotonda la bloccò: «Hai già passato parte della tua vita a soffrire insieme a me; non voglio che tu continui a farlo. Promettimi che da domani ti dedicherai allo studio, alle tue amiche e al tuo sogno più grande. Sei nella città giusta, è da stupidi non approfittarne!». Il nonno aveva sempre incoraggiato Rea, sia per le piccole cose, che per i suoi sogni più grandi. Il nonno sapeva che lei voleva fare la cantante e Los Angeles era la città giusta per coronare quel sogno.

«Sì nonno, lo prometto» Rea si fece più vicina alla fiamma, quasi volesse sussurrarglielo all'orecchio

«Sei una cara ragazza... abbi cura di te». La fiamma si spense. Rea era ancora incredula; “Non è possibile... eppure ho parlato con il nonno. Farò come mi dice” e senza che se ne accorgesse un piccolo sorriso le riportò la luce sul viso. Ormai la sera era calata sul Pacifico. Rea fece un respiro profondo e si diresse verso casa più serena. Il nonno non l'aveva abbandonata, sarebbe stato sempre con lei; in quel sacro fuoco portatile. Si diresse verso casa, a Bel Air, e prese una decisione: “Le ragazze vivono tutte in affitto negli appartamentini dell'università... la mia casa è grande e sono sola. Chiederò a tutte se hanno voglia di venire a vivere da me”. Appena entrata in casa, prese in mano il telefono e chiamò il loro numero; rispose Bunny: «Rea, come stai?»

«Sembra strano da dire, ma sto meglio... comunque, mi piacerebbe che voi tutte veniste a cena da me questa sera»

«Ma certo, aspettaci. Arriviamo in un batter d'occhio».


* * *


La cena di Morea era semplicemente divina; frequentare la scuola di arte culinaria di Bel Air aveva affinato ancora di più le sue ricette. Anche se non frequentava l'università con il resto del gruppo, le ragazze non l'avevano mai persa di vista perchè il suo istituto era adiacente al complesso della UCLA dove Bunny, Amy, Rea e Marta seguivano i loro corsi; Amy era iscritta a medicina, Bunny e Marta a sociologia ed infine Rea ad arte e architettura. Ogni piatto di Morea era una poesia, anche se le torte continuavano ad essere il suo cavallo di battaglia. Le ragazze mangiarono volentieri ogni cosa e durante la cena e spettegolarono su quel ragazzo e sull'altro ragazzo, anche se Bunny sosteneva fermamente che nessuno dei ragazzi che conoscevano era paragonabile a Marzio, nemmeno il tanto gettonato Seiya, il cantante dei Three Lights, la band più popolare di tutta la UCLA. Seiya piaceva moltissimo a Marta ma, purtroppo, la cosa non era corrisposta; tuttavia, la bionda più tenace di tutta LA non demordeva: era convinta che, un giorno o l'altro, avrebbe conquistato il suo cuore. Amy era invece interessata a Taiki; era colpita dal suo acume, diceva che nessun ragazzo era in grado di ragionare come lui. Infine Morea aveva un debole per Yaten ma l'uomo che davvero le faceva vedere le stelle era Moran, il ragazzo della caffetteria proprio di fronte al suo istituto. Dopo aver terminato la cena a base di pesce, Rea chiese l'attenzione di tutte le sue amiche; tutte la guardarono con curiosità. Sentendosi inizialmente in imbarazzo per la domanda che stava per porre, divenne tutta rossa; Bunny intervenne: «Non è che ci stai dicendo che ti sei trovata il ragazzo vero?»

«No, no...» l'imbarazzo di Rea continuava a crescere

«Guarda che non sarebbe una cosa brutta, tutt'altro!» aggiunse Amy

«No, aspettate...»

«Beh Rea, da quando ti sei lasciata con Yuri, non hai mai più avuto un ragazzo» le fece notare Morea e Marta concluse ridacchiando: «Sarebbe anche ora che tu iniziassi a guardarti intorno, sai, tutti pensano che tu te la tiri un po' troppo... o dicono anche che ti piacciono le ragazze»

«PER FAVORE!» la conversazione stava diventando ingestibile. Calò il silenzio nella sala da pranzo, si udiva solo il colare della cera delle candele messe sul tavolo; dopo pochi secondi Rea riprese schiarendosi la voce: «I ragazzi non centrano nulla con quello che sto per chiedervi... solo che mi sento un po' in difficoltà. Per farla breve... la mia casa è grande e voi tutte vivete in quell'appartamentino schiacciate come sardine. Io ormai sono sola e sapete che a me non bastano la radio o Nina Blackwood per tenermi compagnia; dunque volevo chiedervi se vi sarebbe piaciuto venire a vivere qui con me...»

Bunny non le fece terminare la frase: «Fiamma, tu non puoi andare in crisi per farci una proposta simile! Sai che noi per la nostra amica Rea siamo disposte a fare tutto!»

«Sul serio?» gli occhi di Rea brillavano come acquamarina

«Ma certo! Gli amici si vedono nel momento del bisogno e non solo!» Amy le rivolse uno dei suoi sorrisi più dolci

«Tranquilla, tempo di sbrigare due pratiche con l'ufficio e firmare un paio di documenti e saremo qui da te» le disse Marta con un sorriso. Rea fece per ringraziarle ma non riuscì a dire nulla; solo due lacrime di felicità le brillarono sulle ciglia per poi scivolarle lungo le guance. Morea l'abbracciò seguita da tutte le altre; Rea si asciugò le lacrime col dorso della mano e disse sotto voce: «Grazie amiche mie, siete insostituibili»

«Ma ti pare!» esclamò Bunny, carica di energia «Da domani si cominciano a fare gli scatoloni!»


Domenica 20 aprile 1986, ore 2 am

Sono sola... in questa grande casa. Guardo fuori dalla finestra e vedo tutte le luci delle insegne dei locali del Sunset Strip... come mi piacerebbe andare in uno di quei locali! In quest'anno di reclusione non sono mai uscita la sera. È forse anche questo il motivo per cui non ho un ragazzo... come mi piacerebbe avere qualcuno qui con me adesso... lo ammetto, ho paura. Ho paura che possa entrare qualcuno senza che io me ne accorga e che mi faccia male. Ho paura che torni Yuri. Già... forse è anche colpa sua se io ho paura di affrontare nuovamente una storia con un ragazzo. La mia fronte si corruga e i miei occhi si chiudono per non rivedere le immagini che la mia mente mi propone di lui; mai avrei pensato che sarebbe andata a finire così. Ancora ora mi si irrigidiscono le gambe e sudo freddo; ricordo nitidamente quel dolore. Non si può confondere con altri. Dolore fisico e dolore dell'anima. Sono diventata donna senza volerlo; non ho mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Troppa vergogna. Come vorrei che le mie amiche si fossero fermate qui anche per dormire.


Rea posò la penna e chiuse il suo quaderno. L'unica luce che entrava nella casa era quella che proveniva da fuori; lunghe ombre si stagliavano lungo il parquet del salotto. Il cuore le batteva forte per la paura; le pareva di sentire scricchiolii e cigolii in ogni angolo della casa. In quel momento si ricordò dello Zippo; si avvicinò al camino del salotto, mise dentro della legna e prese un paio di pagine dell'LA Times per fare sì che il fuoco bruciasse meglio. Si guardò intorno per accertarsi che nessuno la stesse per cogliere di sorpresa alle spalle ed aprì il coperchio di metallo dell'accendino; con il pollice bagnato dalla paura, premette sulla levetta e la fiamma si accese. “Sacro fuoco, dei, spiriti, vegliate su di me e portatemi consiglio”. Con la mano destra avvicinò lo Zippo ad una pagina di giornale e in un attimo la camera si rischiarò; Rea si mise in ginocchio e cominciò a pregare perchè potesse passare una notte tranquilla. Ma al termine della preghiera successe qualcosa di inaspettato; quando Rea aprì gli occhi dopo aver terminato il suo momento di meditazione, uno dei legni scoppiò ed un'immagine si creò poco al di sotto dell'imbocco della canna fumaria. La ragazza aggrottò le sopracciglia: era un viso maschile. Aveva i capelli neri cotonati, una frangia lunghissima che quasi gli copriva gli occhi ed un sorriso beffardo. Il suo cuore riprese a battere più velocemente; ma non per paura. “Quel ragazzo emana una strana energia...” respirò profondamente annusando il profumo dei tizzoni ardenti “... un'energia piacevole”.


25 gennaio 2011: Questa è la mia prima fan fiction; sicuramente si noterà che sono parecchio inesperta, dunque aspetto tutte le vostre critiche costruttive al fine di poter migliorare il mio racconto. Vi anticipo che sarà una ff molto particolare perchè mischierà personaggi di Sailor Moon con persone reali quali musicisti e tutto il mondo che vi ruota intorno. Ho preso questa decisione perchè mi piaceva l'idea di combinare insieme due elementi che amo particolarmente: Sailor Moon appunto e la scena glam metal degli anni 80 di Los Angeles. Spero di riuscire nel mio intento. Grazie per la vostra attenzione e a presto .


25 gennaio 2012: Rileggere a distanza di un anno questo primo capitolo fa veramente un effetto stranissimo; ammetto che il mio stile sia cambiato (mi auguro di essere migliorata) e che avrei voluto riscrivere completamente delle parti. Ma è anche vero che avrei perso una certa “ingenuità” che avrebbe dovuto trasparire da questo mio primo esperimento serio di scrittura. Ad ogni modo, ne approfitto per ringraziare tutti voi che in un anno avete letto questo mio delirio; so che la storia è ormai ferma da mesi ma: abbiate fiducia; terminata la tesi tornerò a scriverla e spero anche di riprendere il ritmo che tenevo i primi tempi (pubblicare un capitolo alla settimana). Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, grazie a chi l'ha messa nei preferiti, nelle ricordate o nelle seguite. Grazie per tutti i vostri consigli e grazie anche per i like alla pagina di Facebook. Se, dopo un anno, il fuoco brucia ancora è solamente merito vostro :)

Ellie

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Capitolo 2
*** Quando il whisky salva la vita ***


02

Rea fu svegliata alle undici della mattina seguente dal campanello che suonava; ancora insonnolita si avviò verso la porta d'ingresso. «Chi è?» chiese con voce cavernosa

«Sono Bunny! Aprimi per favore!». Sbadigliando Rea girò la maniglia e si trovò davanti la sua amica dai chilometrici codini biondi con in mano uno scatolone. «Ti ho portato il primo carico della mia roba» disse sorridendo

«Maledizione Bunny! Mi hai svegliata!» si imbestialì Rea

«Oh, andiamo, non prendertela! Tanto tra poco arriveranno anche le altre... ti avremo svegliata lo stesso». Rea sospirò scuotendo la testa e richiuse l'uscio; si avviò in cucina per cercare qualcosa con cui fare colazione. Nel frattempo Bunny appoggiò lo scatolone vicino al divano nel salotto: «Ma hai dormito sul tappeto stanotte?» le chiese; Rea annuì con la bocca piena di cereali. In quel momento si ricordò della visione che le aveva dato il fuoco; fu così piacevolmente traumatico rivedere il viso di quel ragazzo misterioso che le andò a finire tutto di traverso. Iniziò a tossire violentemente; «Oh no, Rea!» urlò Bunny «Ti prego... non morire!» ed iniziò a fare la cosa che sapeva fare meglio di chiunque altra: piangere come una disperata. Rea, ansimando, riuscì a trovare dell'acqua ed i cereali scesero dalla parte giusta; «Bunny?» la chiamò dopo aver deglutito

«Rea, resisti! Aspetta a soffocare, aspetta almeno che arrivino le altre!»

«Coniglietta, bastava darmi un bicchiere d'acqua, per la miseria!» le sbraitò Rea nell'orecchio; Bunny si calmò, tirò su col naso e si girò verso l'amica che la stava guardando con la rassegnazione dipinta in viso. «Stai meglio adesso?» le chiese preoccupata. Rea annuii e subito Bunny riprese a piangere: «Come sono felice!». Rea sospirò e iniziò a ridere: «Bunny, sei un caso perso».


Rea fece appena in tempo a bere un bicchiere di latte che il campanello suonò di nuovo; anche le altre erano arrivate con i loro primi scatoloni. La padrona di casa indicò loro dove poggiarli ed insieme decisero di sistemare il tutto nel pomeriggio; Morea preparò degli stuzzichini e tutte si misero in ginocchio intorno al tavolino vicino al divano. «Non mi hai ancora detto come mai hai dormito sul tappeto stanotte» esordì Bunny sputacchiando in faccia a Marta le briciole del tramezzino che stava letteralmente divorando. «Dannazione, attenta a dove sputi! Il mio viso non deve essere minimamente deturpato!» la sgridò Marta mentre si toglieva col dorso della mano il pan carrè masticato. «Beh... ecco, stanotte ho meditato davanti al fuoco e mi sono addormentata qui. Fine.» bofonchiò Rea mentre masticava dei salatini. «C'è dell'altro?» le chiese Bunny aggrottando le sopracciglia «Ti leggo come un libro aperto lo sai, vero?»

«Bunny! Andiamo, non essere così invadente.» l'apostrofò Amy

«No, no... Bunny ha ragione, c'è dell'altro» ammise Rea. Silenzio. Le ragazze tennero il fiato sospeso e spalancarono gli occhi. Dopo un attimo di esitazione, Rea riprese: «Ho avuto una visione. Ho visto nel fuoco... un viso maschile»

«Chi è, chi è?» domandò immediatamente Marta

«Diavolo, come sei curiosa! Magari non ce lo vuole dire perchè vuole tenere un segreto!» le disse Morea tirandole un orecchio

«No ti prego Morea, non farle male!» le chiese Rea «La verità è che... non so chi sia»

«COOOOSAAAAA???» fu il coro generale che rimbombò per il soggiorno

«Sono spiacente... non so chi sia» ripetè Rea

«Ma se è apparso nel fuoco, significa che avrà un ruolo importante per te» dedusse Amy

«Idea! Io so come trovarlo!» esclamò Marta. Mise le mani nella borsa che teneva accanto a sè e ne tirò fuori dei volantini stampati su carta fucsia: «Stasera suonano i Guns'n'Roses al Whisky à Go-Go, sicuramente il tuo uomo sarà lì!»

«Scusa, ma come fai ad esserne sicura? Magari non frequenta nemmeno un locale simile» le disse Morea allibita. Marta replicò: «Beh, che c'entra? Tanto io andrò con Seiya al Whisky! Ci sarà mezzo mondo stasera in quel locale! Dai, venite anche voi!». Era euforica; Rea scosse la testa rassegnata. Bevve un sorso di succo d'arancia e poi disse: «Ragazze, penso che non vi accompagnerò al Whisky stasera»

«No, Rea!» le disse Bunny in tono supplichevole «E perchè?»

«Non...» Rea fece una pausa durante la quale arrossì «non mi sembra il caso. Insomma, il nonno è appena morto e mi sembra di mancargli di rispetto». Tutte abbassarono la testa tristi; «Che peccato» sospirò Bunny e Morea aggiunse: «Però se cambi idea diccelo». Rea si sentì in colpa; non che avesse fatto qualcosa di male, ma ci teneva davvero molto ad uscire con le sue amiche dopo tanto tempo. Sapeva che, in qualche modo, stava rovinando loro la serata. I suoi sensi di colpa vennero interrotti bruscamente da Marta che, dopo essersi girata verso il camino disse: «E questo Zippo da che parte spunta?»

«Rea!» urlò inorridita Amy «Non avrai iniziato a fumare!»

«Per carità, no!» esclamò Rea «Quello è solo l'ultimo regalo di compleanno che mi ha fatto il nonno» e dicendo queste parole tolse l'accendino dalle mani di Marta.

«E perchè mai tuo nonno ti avrebbe regalato un accendino?» chiese sospettosa Bunny

«Perchè... perchè questo è il sacro fuoco portatile» rispose Rea con titubanza. Amy prese in mano lo Zippo, se lo rigirò sul palmo e constatò: «Mi sembra uno Zippo di serie»

«Cos'è, non mi credete?» chiese Rea indispettita

«Beh Rea, non è che non ti crediamo» esitò Morea «solo che tuo nonno nell'ultimo periodo non c'era di testa dunque...». Rea non le fece terminare la frase e si alzò irritata; aprì il coperchio dello Zippo, strofinò la pietra focaia e la fiamma si accese. «Nonno?» sussurrò Rea fissando la piccola fiammella «Riesci a sentirmi?». In un attimo il piccolo fuoco magico si ingrandì e la voce del vecchietto arrivò alle orecchie ancora incredule delle amiche che, sedute intorno al tavolino, guardavano senza parole quel piccolo accendino prodigioso. «Buongiorno tesoro mio! Hai un aspetto migliore oggi sai?»

«Oddio, ma è il nonno!» urlò Bunny schizzando in piedi e correndo verso Rea

«Ciao Bunny» la salutò il nonno dalla fiamma «Allora Rea, cosa c'è che ti turba?»

«Ecco nonno, io ho un po' vergogna a chiedertelo ma...»; il vecchietto non le fece terminare la frase: «Fiamma mia, se tu stasera vuoi uscire, sappi che io sono solo felice per te. Hai patito così tanto insieme a me, è giunto il momento che tu ti diverta un po'». A Rea si illuminarono gli occhi: «Dici sul serio?»

«Ma certo cara! Non voglio che tu stia in lutto per me. Tu sei già in lutto da un anno a questa parte. Non mi importa che domani ci sarà il mio funerale, perchè tu sai che per te sarò sempre vivo; dunque, ti prego bambina mia, vai a divertirti stasera». Sul viso di Rea apparve un largo sorriso, uno dei sorrisi più belli e sinceri; «Grazie nonno» disse sottovoce. L'accendino si spense.


Domenica 20 aprile 1986, 4 pm

Stasera tornerò al Whisky dopo un anno... sinceramente non vedo l'ora! Chissà se è cambiato, chissà chi incontrerò! Fortunatamente Yuri non lo frequenta, dunque posso stare tranquilla... ho tanta voglia di uscire. Chissà se la previsione di Marta mi porterà fortuna; inizialmente ero scettica, ma in fondo potrebbe avere ragione. Spero davvero almeno di intravedere quel ragazzo che ho visto nel fuoco sacro stanotte... mi batte forte il cuore e non riesco nemmeno a capire il perchè. Non lo conosco nemmeno ma fremo all'idea di poterlo incrociare; mi sto rimbambendo?


Il pomeriggio scivolò via veloce; nonostante la disgrazia del giorno prima, in quella grande casa a Bel Air aleggiava un clima sereno ed euforico. Le ragazze disfarono gli scatoloni ed iniziarono a sistemare le prime cose del trasloco; verso le cinque e mezzo tutti gli oggetti erano stati riposti ordinatamente sugli scaffali. «Si comincia con i preparativi allora!» esclamarono Bunny e Marta euforiche alzando al cielo le mani. Tutte le ragazze urlarono contente ed iniziarono a fare congetture sull'abbigliamento ed il trucco che avrebbero indossato al locale. Amy decise che avrebbe indossato il suo top azzurro perchè sapeva che era il preferito di Taiki che, quella sera, avrebbe fatto coppia con lei al Whisky; Marta indossò la gonna preferita da Seiya, Bunny il vestito rosa di pvc che le aveva regalato Marzio e Morea la canotta che le aveva regalato Moran al suo compleanno. Rea, intanto, era ancora imbambolata di fronte al suo armadio. «Non sai cosa scegliere?» le disse Morea avvicinandosi da dietro «Mettiti qualcosa che possa piacere a Yaten»

«Yaten? Scusa, perchè proprio lui?» domandò Rea curiosa

«Io stasera sono lì con Moran; Yaten è libero, dunque è tutto tuo Fiamma»

«Ma chi lo vuole!» esclamò Rea inorridendo «Preferisco che tu esca con due uomini piuttosto che io con lui... bleah!». Il tipico ragazzo che Rea odiava era incarnato perfettamente da Yaten: precisino, impeccabile... insomma, il solito bravo ragazzo. "Sa che mi piacciono i cosiddetti bad boys" pensò fra sè Rea. «Beh, vorrà dire che questa sera ballerai da sola» le disse Morea con un sorriso «a meno che non spunti dal nulla il ragazzo misterioso». Rea guardò la sua immagine riflessa nell'anta dell'armadio; iniziò a rimuginare: "A giudicare da come mi è apparso nel fuoco, di sicuro è uno di quei rockettari seri che non guardano in faccia nessuno. Mi serve qualcosa di estremo". Senza pensarci due volte prese il suo top di pelle, gli hot pants zebrati e le calze a rete; poi corse a prendere i suoi stivali alti fin sopra il ginocchio di pelle nera con uno stiletto di tredici centimetri. Si chiuse in bagno, si vestì, si truccò e poi prese la lacca e il pettine a denti stretti: "Chissà se sono ancora capace di cotonarmi i capelli" pensò fra sè. Dopo mezz'ora, Rea uscì dal bagno accompagnata da una nuvoletta di lacca; le sue amiche, che fino ad un attimo prima stavano litigando per i trucchi, si zittirono e si fissarono su di lei. «Come vi sembro?» chiese Rea aspettandosi degli atroci commenti

«Wow, Rea!» esclamò Bunny «Era un anno che non ti vedevo vestita così! Stai benissimo!»

«Sei perfetta per stasera» le disse Amy con un sorriso

«La divisa ti dona parecchio Fiamma» disse Marta

«Quei capelli Rea, mi sembrano quelli di una rockstar» concluse Morea. Ci fu una risata generale poi le ragazze finirono di prepararsi.


* * *


L'atmosfera dentro al Whisky era carica di elettricità; la potevi sentire, la potevi respirare. Il sudore colava dalle pareti e nell'aria aleggiava il profumo delle varie lacche. Teste dai capelli ingombranti correvano verso il palco per riuscire a vedere meglio questa band prodigio che aveva un cantante a dir poco esuberante ed un chitarrista che se ne andava in giro con un cilindro in testa a qualsiasi ora del giorno. I Guns'n'Roses erano belli e cattivi; erano come un lupo seducente che, sculettando come una modella ad una sfilata, inghiottivano Cappuccetto Rosso a ritmo di Glam Metal. Il cantante, Axl Rose, ammiccava a qualsiasi ragazza che, in preda all'eccitazione, si levava il reggiseno e lo lanciava sul palco urlando come una pazza. «Marzio, non guardare» diceva Bunny mettendo una mano davanti agli occhi del ragazzo ogni volta che succedeva un episodio simile; il bel moro scoppiava a ridere e le diceva con una dolcezza impregnata di sensualità: «Amore, ma sai che io guardo solo te... poi con quel vestitino, sei proprio sexy». Bunny rideva maliziosamente e lo baciava sulle labbra. Rea sorrideva a vedere così tanta tenerezza ed affiatamento fra i due; "Sono così belli insieme" pensava fra sè "come mi piacerebbe avere un ragazzo così". E mentre questi pensieri le affollavano la mente, i suoi occhi squadravano il locale in cerca del ragazzo del fuoco; ma dopo un'ora di ricerche, Rea ci rinunciò. Provò una stretta al cuore; sospirò: "Beh, nemmeno lo conoscevo, non capisco perchè la cosa debba dispiacermi così tanto". Un boato interruppe i suoi pensieri: i Guns avevano appena terminato il concerto e stavano scendendo dal palco; contemporaneamente, il dj iniziò a mettere su i dischi più forti del momento. «Questo ci è arrivato dal Troubadour ed è un brano inedito di una band emergente chiamata Poison, questa è "Talk Dirty To Me"!». La chitarra ruggì prepotente dalle casse seguita da colpi secchi di batteria; «Rea dai! Andiamo a ballare!» le urlò Marta all'orecchio e Morea le trascinò in mezzo alla pista. "Al diavolo!" pensò Rea ed iniziò a scatenarsi. Sentimenti quasi dimenticati riaffiorarono alla sua mente: gioia, spensieratezza, forza e divertimento; sensazioni andate in letargo e risvegliate in un solo istante dalle sue amiche e dalla musica che più amava. Si lasciò andare, si lasciò trasportare dal fiume in piena di quegli accordi; chiuse gli occhi e lanciò un urlo liberatorio. Le sue amiche la guardarono con un sorriso pensando che finalmente Rea poteva vivere la sua vita di ragazza come tutte loro. Mentre ballavano Bret Michaels cantava di lui, che non vedeva l'ora di sentire la voce della sua ragazza che gli sussurrava piano all'orecchio frasi sconce. Rea era completamente immersa nel fiume della musica quando una mano le toccò la natica destra; si girò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con Axl Rose. «Bella mora» le disse poggiandosi pesantemente a lei «vieni in bagno con me? Ho tanta voglia di sbatterti contro la parete». Rea strabuzzò gli occhi sentendo la protuberanza dei suoi genitali gonfi di ormoni premuti contro il suo bacino; Marta e Morea erano ferme alle sue spalle incredule. Rea non sapeva cosa fare quando improvvisamente la furia si impadronì della sue membra e mollò un sonoro ceffone al cantante che cadde rovinosamente a terra. «Senti un po' biondino, io non faccio la carità a nessuno, è chiaro?» gli urlò Rea imbestialita; poi si girò verso le due amiche e disse: «Me ne vado al Roxy». Uscì dal locale come un tornado con le sopracciglia aggrottate per la rabbia; se c'era una cosa che odiava erano i pervertiti. Con le orecchie che le fischiavano leggermente si diresse verso ovest, verso il Roxy, quando una mano l'afferrò brutalmente per la spalla destra facendole quasi perdere l'equilibrio. «Dove credi di andare stronza?» era la voce di Axl. Rea afferrò il polso del ragazzo ma lui era ben più forte e la spinse con ferocia nel vicolo accanto al Whisky; Rea cadde per terra e si rialzò tenendo la schiena poggiata ai bidoni della spazzatura.


Lunedì 21 aprile 1986, 1 am

Axl sembrava un avvoltoio; a me si gelava il sudore sulla nuca. In quel momento mi sono pentita amaramente di essere uscita sola dal locale. Avevo paura, molta paura; anzi terrore. Lo sguardo di Axl era identico a quello di Yuri; non riuscivo nemmeno ad urlare per farmi soccorrere. "Ecco, sta per succedere di nuovo" ho pensato dentro di me "Mai saprò cosa vuol dire fare veramente l'amore".


«Nessuna, mai, si rifiuta di scopare con me» disse Axl avvicinandosi lentamente e pesantemente verso Rea «perchè io sono Axl Rose. E mi sta sui coglioni che tu ti rifiuti di scopare con me». Rea era terrorizzata; dalla paura quasi non riusciva a respirare, solo dei sibili le uscivano dalla bocca. «Sei tanto figa quanto stronza» le disse Axl avvicinandosi al suo viso «ma io ti insegnerò a non esserlo più». Il suo alito sapeva di birra, troppa birra; era ubriaco. Ma nonostante questo, Rea non riusciva a muoversi; Axl stava per strapparle di dosso gli hot pants quando, improvvisamente, qualcuno gli fracassò una bottiglia di vetro in testa. Il biondo cadde a terra tenendosi la testa sanguinante fra le mani; Rea lo vide accasciarsi e gemere per il dolore. "Cos'è successo?" pensò smarrita quand'ecco che notò appena dietro Axl un'altra figura maschile. Le si fermò il cuore; nella penombra del vicolo c'era lui, il ragazzo del fuoco. Aveva i capelli neri cotonati ed ingombranti, la frangia lunga che gli nascondeva gli occhi ed indossava una giacca nera lucida; nella mano destra stringeva il collo di una bottiglia di vetro rotta. Era stato lui a salvarla; senza dirle nulla era arrivato e le aveva salvato la vita. I loro sguardi si incrociarono per un secondo: «Tutto bene?» le chiese con la sua voce baritonale; dalla bocca di Rea non uscì nessun suono, riuscì a malapena ad annuire. Lui si chinò su Axl che si lamentava per il dolore e gli disse: «Sei un figlio di puttana sai? Mi hai appena fatto sbattere nel cesso una bottiglia di Jack... sei una merda». In un attimo Rea riprese il possesso delle sue membra e, colma di paura, scappò via, verso casa, lasciando i due ragazzi nel vicolo.


NOTE:

Guns'n'Roses: band di Los Angeles formatasi dalla fusione degli L.A. Guns e degli Hollywood Rose nel 1985. Ai tempi (1986) Axl Rose ne era il cantante, Slash il chitarrista solista, Izzy Stradlin il chitarrista ritmico, Duff McKagan il bassista e Steven Adler il batterista.

Whisky à Go Go: uno dei locali più importanti del Sunset Strip; ospita e ospitava dei concerti importantissimi.

Divisa: in questo caso si intende l'outfit tipico da rocker

Glam Metal: sottogenere del Metal nato all'inizio degli anni 80 a Los Angeles. In origine chiamato Teeth Metal, è caratterizzato da melodie ritmate e di facile presa sul pubblico, molte volte intrise di carattere blues. Grandi esponenti del genere furono band come i Mötley Crüe, i Poison, Van Halen e i Cinderella.

Troubadour: altro locale molto importante del Sunset Strip; nel 1985 i Poison firmarono un contratto con quel locale per poter suonarci il più frequentemente possibile.

Talk Dirty To Me: brano contenuto nel disco di debutto dei Poison "Look What The Cat Dragged In"

Bret Michaels: cantante dei Poison

Roxy: altro locale molto famoso del Sunset Strip non molto distante dal Whisky à Go Go

Jack: si intende Jack Daniel's


Dopo qualche giorno di studio intenso, torno con il secondo capitolo di "Burning Fire" sperando che sia di vostro gradimento. Non mi aspettavo un'accoglienza così calorosa per mia fan fiction e devo ringraziare tutte le persone che si sono fermate per leggere e lasciare la loro recensione; in particolare:

grazie a Demy84 per i suoi preziosi consigli sulla formattazione del testo e per la sua preziosissima recensione.

Grazie a SailorMercury84, alemagica88, star86, key17 e LadyMars per le loro recensioni.

Grazie di nuovo a key17 per aver inserito questa storia fra le preferite e grazie ancora a SailorMercury84, Demy84 e star86 per aver inserito "Burning Fire" fra le seguite.

Senza il vostro supporto, di certo, non avrei continuato a scrivere; siete state tutte preziosissime. So che questo capitolo è un po' lungo ma è servito per introdurre il mondo reale; come avete visto, il misterioso ragazzo è comparso ma, ancora, non si sa chi è.

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Capitolo 3
*** Una Scoperta Scioccante ***


03 Una Scoperta Scioccante

Lunedì 21 aprile 1986, 1 am

Ho corso finchè sono riuscita, ma alla fine non ce l'ho più fatta; l'importante era aver lasciato Axl con la testa rotta nel vicolo. Sono riuscita a fermare al volo un taxi e a farmi riportare a casa; le altre torneranno da un momento all'altro con la macchina di Marzio. Sto ancora ripensando a lui... perchè l'ha fatto? Voglio dire, nemmeno ci conosciamo. Forse ha un innato senso di giustizia; qualità assai rara da ritrovare in un rocker così. Ma io sono stata così stupida! Una persona normale gli avrebbe detto: «Grazie di cuore per avermi tolto dai piedi quel porco, come posso sdebitarmi?». Invece no, no! Io come una cretina che corro via a gambe levate. Non l'ho nemmeno ringraziato; non so nemmeno come si chiama. Chi lo rintraccia più adesso? Anche se, ripensando bene al suo viso, credo di averlo già visto; dove non lo so... eppure poi così sconosciuto quel ragazzo non è. Nella penombra del vicolo, quel viso quasi famigliare mi ha fatto sentire protetta. Devo assolutamente trovarlo.


Quel pomeriggio splendeva un tiepido sole primaverile; Rea indossava un lungo vestito bianco mentre accompagnava il corpo del nonno verso il suo letto eterno. Purtroppo le sue amiche non erano potute intervenire a causa delle lezioni. Provava sensazioni miste in quel momento: una grande tristezza ed insieme una segreta gioia. Sapeva che il corpo del nonno non le sarebbe stato più accanto ma continuava a sentire il suo cuore battere vicino al suo; la sua anima aveva deciso di riposare accanto alla nipote nascondendosi in un accendino. Mentre Rea stringeva a sè la borsetta in cuoio bianco che conteneva lo Zippo vide suo padre avvicinarsi; erano mesi che non si incontravano. La ragazza inorridì: "Da quando abita a Malibu non fa altro che partecipare a feste dove scorrono fiumi di alcol". Il suo fegato si era ingrossato a dismisura ed era ingrassato di parecchi chili. «Salve Rea»

«Padre» disse lei chinando il capo; dopo un attimo di silenzio lui le chiese: «Hai ancora intenzione di studiare?»

«Certo, voglio laurearmi in arte»

«Allora vedi di darci dentro che per un anno quasi non hai fatto nulla»

«Avevo i miei buoni motivi» gli rispose Rea cercando di nascondere l'amarezza che provava nei confronti di quell'uomo. Lui, prima di andarsene via, le disse che avrebbe comunque continuato a pagare le spese della casa almeno finchè lei non avesse trovato un lavoro ben retribuito; la salutò con freddezza e si diresse verso la sua Corvette nera dove dentro lo aspettava una bionda. "Ogni mese ne cambia una" sospirò Rea; disprezzava suo padre. Mai si era preso davvero cura di lei, mai le aveva dedicato del tempo; si rese conto, in quel momento, di avere bisogno di una figura maschile di riferimento. Le tornò in mente il suo salvatore; aspettò che le poche persone che erano intervenute al funerale si allontanassero dalla tomba ed accese l'accendino. «Nonno, mi è successa una cosa strana ieri sera» gli raccontò tutto, sia della vicenda che di ciò che aveva provato in quel momento; quando finì, la fiammella le rispose: «Tesoro mio, io più di tanto non posso fare... ma credo che in università c'è qualcuno che ti può aiutare».


* * *


Il giorno dopo tornò in università; non era cambiato nulla, quasi come se il tempo non fosse mai passato. Amy accompagnò Rea fino all'aula dove era prevista la lezione di architettura: «Ci credi che mi sento come un pesce fuor d'acqua? La gente fa fatica a salutarmi» confessò Rea all'amica dai capelli blu; Amy le sorrise e le disse: «Ma no, vedrai che è solo l'imbarazzo iniziale; è passato tanto tempo e la gente magari fatica a riconoscerti e...». Purtroppo non fece in tempo a finire la frase che arrivò Seiya e salutò Rea ad alta voce: «Ma guarda un po' chi si rivede! Ragazzi, è tornata Rea!»

«Seiya, ti prego...» imprecò Rea a denti stretti «stavo giusto dicendo che mi sento quasi in imbarazzo e arrivi tu e fai tutto questo dannato casino»

«Ma sì, che male c'è!» le rispose mollandole una pacca sulla spalla «Ti aspetto dentro, ti tengo il posto!». Rea ringhiò come un pitbull: «Lo detesto! Solo perchè è il più popolare non significa che debba comportarsi così!»

«Beh, sappiamo tutti com'è fatto» disse Amy imboccando il corridoio «vado alla lezione di anatomia, ci ritroviamo tutte insieme a pranzo sull'erba vicino al campo di football!». Rea entrò nell'aula e andò a sedersi vicino a Seiya; per fortuna, il pupillo di Marta non ebbe occasione di fare domande perchè il docente iniziò la spiegazione. Ma la ragazza dai capelli corvini aveva la testa da tutt'altra parte; cercò un foglio bianco dentro la sua cartelletta, prese la sua HB ed iniziò a disegnare il volto del ragazzo del fuoco. Seiya, intanto, la guardava incuriosito: «Che fai?» le bisbigliò all'orecchio destro

«Niente» rispose Rea sottovoce nascondendo i tratti con la mano

«Stai facendo un ritratto?»

«Seiya, perchè non impari a farti i cazzi tuoi?». Il ragazzo dal fine codino si ritirò abbassando lo sguardo: «Perdonami, è solo che... mi sei mancata molto in questo periodo». Rea sospirò e scosse la testa: "Con tutta la gente che c'è in questo campus, proprio lui doveva prendersi una cotta per me? Se Marta lo sa, mi uccide". Intanto che pensava queste cose, si accertò che Seiya stesse prendendo appunti così da poter continuare il disegno in pace; i tratti si susseguivano freneticamente, nessuna sbavatura, nessuna cancellatura, era come se Rea avesse il ragazzo davanti ai suoi occhi e gli stesse facendo un ritratto. Quando terminò, guardò il volto e pensò: "Manca qualcosa"; poi, come se il suo cervello non stesse controllando minimamente la sua mano, con la matita disegnò due righe nere sugli zigomi. Diede una nuova occhiata al disegno ed in quel momento realizzò chi era quel rocker che le aveva salvato la vita; spalancò gli occhi e le si mozzò il fiato: "... Nikki Sixx?".


Erano tutte lì, che la fissavano esterefatte mentre analizzavano il disegno; «Ne sei sicura?» le chiese Amy «Certe volte il cervello gioca brutti scherzi»

«Amy, ne sono certa. Al cento per cento»

«E perchè non l'hai riconosciuto subito?» domandò Marta con tono incredulo

«Allora: era buio, ero impaurita e poi non aveva quelle dannate strisce nere disegnate sugli zigomi! E' da quando esistono i Mötley Crüe che se le disegna... o quasi. Quando sei abituata a vedere una persona in un certo modo fai fatica a riconoscerla poi quando cambia qualcosa!». Rea era ancora incredula, sbalordita che una persona come Nikki Sixx avesse spaccato in testa ad un cantante la sua bottiglia di Jack Daniel's per evitare che la violentasse; dopo una breve pausa di silenzio intervenne Bunny: «E tu nemmeno l'hai ringraziato? Sei un completo disastro!»

«Senti chi parla!» incalzò Rea «Ha parlato quella che non sbaglia mai»

«Cosa intendi dire?» ruggì Bunny. L'atmosfera si stava surriscaldando quando arrivò Marzio, puntuale come un temporale estivo: «Ciao a tutte, scusate il ritardo, oggi il docente di aerodinamica non la smetteva più di parlare... cosa avete da litigare voi due?»

«Ha cominciato lei tesoro mio» si difese Bunny attaccandosi al braccio del suo ragazzo «è sempre così aggressiva con me!». Rea fece per ribattere ma Marzio la precedette: «Cos'è quel foglio che hai in mano?». La ragazza dai capelli corvini arrossì e gli porse il disegno guardando l'erba in cui crescevano margherite; il bel moro analizzò il ritratto e disse: «Complimenti, bel disegno Rea; non capisco cosa tu abbia da vergognarti»

«Ma Marzio!» urlò Marta alzandosi di colpo «Questo è il ragazzo che ha salvato la vita a Rea!». Rea si mise le mani nei capelli sempre più imbarazzata; Marzio fissò nuovamente il disegno e disse: «Ma com'è possibile che uno stronzo colossale come questo qui ti abbia salvato la vita!»

«Non lo so, non so che dirti» disse Rea abbassando gli occhi; la fama che circondava il personaggio di Nikki Sixx, di certo, non era delle migliori. Era il classico musicista tutto sesso, droga e rock and roll senza nessun rispetto per le persone e le cose che lo circondavano; ma allora perchè aveva compiuto quel gesto? «Comunque ora, la questione è un'altra» disse Rea «io voglio rintracciarlo per ringraziarlo ma non so come fare»

«Sogna, amica mia» la consolò Marta «la vedo grigia!»

«Grazie per il tuo supporto» rispose in tono sarcastico Rea. In quel momento suonarono le due del pomeriggio ed Amy e le altre dovettero scappare per andare a frequentare gli ultimi corsi della giornata; Rea e Marzio rimasero invece sul prato. Dopo una pausa di silenzio, Marzio guardò Rea e disse: «Eppure, credo che ci sia un modo per trovarlo». Gli occhi della ragazza si illuminarono: «Quale sarebbe Marzio?». Il ragazzo si guardò intorno e le disse: «Vieni con me, prima che Bunny ci veda uscire dal campus insieme» e prendendola per un braccio, la trascinò in strada. Fecero qualche metro a piedi, svoltarono l'angolo e si fermarono di fronte ad un officina: «Burning Fire Choppers, assistenza e ricambi Harley Davidson» lesse Rea ad alta voce; dopo una piccola pausa espresse tutto il suo disappunto: «Dunque?»

«Vedi Rea» le spiegò Marzio «questa è la mia officina di fiducia, conosco molto bene il proprietario; è stato lui a vendermi la moto e siamo buoni amici. Lui mi ha detto che quella è l'officina di fiducia degli Hells Angels i quali, guarda caso, molto spesso fanno i gorilla ai vari concerti»; fece una pausa per deglutire ma Rea era così impaziente che gli disse: «Beh, allora? Continua!». Marzio riprese: «Quindi il piano è questo: ti faccio assumere come apprendista ed intanto spiego a William la situazione; conoscendolo, di sicuro non mi farà storie e tu inizierai a lavorare nel mondo dei motori. Un giorno, di sicuro, entrerà un Hells Angel che farà il gorilla per i Mötley Crüe, tu gli farai un lavoro e lui in cambio ti porterà nel backstage, così potrai ringraziare Nikki».


Martedì 22 aprile 1986, 6 pm

Non ci posso credere, è troppo bello per essere vero! Mi auguro solo che questo gorillone arrivi il più presto possibile in officina; prima gli faccio il lavoro, e prima potrò incontrare di nuovo Nikki. Non hai nemmeno idea di quanto sia felice in questo momento; il mondo è più piccolo di quello che si pensa.


Rea abbracciò Marzio: «Grazie, grazie mille! Sei un amico!» poi si staccò imbarazzata da lui e diventò color peperone; pensò che se Bunny l'avesse vista in quel momento avrebbe fabbricato in due secondi un bazooka e l'avrebbe ammazzata. «Solo una cosa» disse Rea guardando Marzio che rideva sotto i baffi nel vedere il suo comportamento: «Io non ho mai smontato un motore in vita mia, come farai a convincere il tuo amico?»

«Di questo non ti devi preoccupare» rispose Marzio «è sempre pronto ad accogliere apprendisti nel suo negozio. Andiamo che te lo faccio conoscere». Attraversarono la strada ed entrarono nell'officina; nell'aria aleggiava un puzzo di olio misto a benzina e vernice e c'era un frastuono infernale. «William!» gridò Marzio mentre Rea si tappava le orecchie per il troppo baccano; in un attimo il rumore finì e da dietro un macchinario per tagliare il metallo comparve un omino paffuto con in testa un berretto che indossava una tuta da meccanico grigia. «Marzio! Che piacere rivederti, come stai?» lo salutò William

«Bene grazie» rispose il ragazzo con un sorriso; William si girò verso Rea e bisbigliò nell'orecchio di Marzio: «Dov'è finita la ragazza con i codini biondi?»

«Oh no, tranquillo, lei è solo una mia cara amica, anzi, dovrei chiederti un favore per lei». I due si allontanarono nel retro dell'officina e Rea rimase sola al centro del piccolo capannone; «Un'altra aspirante modella? O una nuova popstar?» chiese una voce che arrivava dalla sua sinistra. Rea si girò di scatto e si trovò di fronte una ragazza dai tratti molto mascolini con le mani ed il viso sporchi di grasso: «William è troppo buono per questo genere di cose. Ti assumerà sicuramente. Ma ti avverto, se lavorerai con me dovrai sudare; perchè questo non è un lavoro da fighette, mettitelo bene in testa»

«Beh, se avessi voluto fare la soubrette, di certo non sarei venuta qui a sporcarmi le mani; avrei fatto provini in giro per la città. E poi, tu come fai a sapere che sono venuta qui in cerca di agganci con le celebrità?» le domandò Rea alquanto infastidita. La ragazza dai corti capelli biondi si pulì le mani in un panno e le rispose: «Semplice, hai l'aria da artista. E gli artisti non lavorano in officina». Rea stava per risponderle per le rime quando tornarono Marzio e William dal retrobottega; il meccanico aveva accettato di assumerla nella sua officina a patto che cominciasse a lavorare dal giorno successivo e che fosse stata sempre disponibile dalle 2 del pomeriggio alle 7 di sera. «Vedrai che prima o poi troverai la persona che ti condurrà dal tuo amico» le disse con un sorriso; poi si girò verso la ragazza bionda ed aggiunse: «Heles ti darà una mano a capire come funzionano le motociclette; ti insegnerà a fare lavoretti spiccioli da meccanico e, se sarai abbastanza brava, allora potrai anche fare riparazioni e, perchè no, progettare dei piccoli custom». Sul viso di Rea apparve un sorriso smagliante, quasi non riusciva a credere alle sue orecchie; Heles, invece, arricciò il naso e si allontanò dicendole: «Ci vediamo domani» in malomodo.


Martedì 22 aprile 1986, 6 pm

E' vero, non ho mai smontato un motore in vita mia; e devo dire che quella Heles non mi ispira per niente. Ma credo che se riuscirò a prenderla per il verso giusto, riusciremo a collaborare come si deve. Devo impegnarmi, devo dare il massimo di me stessa; così quando arriverà il "mio" Hells Angel sarò in grado di fargli un lavoro più che soddisfacente e così riuscirò ad incontrare Nikki... sospiro, Nikki... è così piacevole pronunciare il suo nome.


NOTE:

Malibu: piccola cittadina ad ovest di Los Angeles, famosa perchè vi vivono molte celebrità

HB: sigla per indicare la matita dalla mina semi morbida

Nikki Sixx: bassista dei Mötley Crüe fin dalla fondazione del gruppo (1980/1981); Rea non riesce a riconoscerlo immediatamente poichè, ai tempi, era solito disegnarsi due strisce nere sugli zigomi (stile giocatore di football). Le strisce nere iniziò a disegnarsele sul viso poco dopo dall'uscita del primo disco dei Crüe "Too Fast For Love" (1981) fino alla fine del tour di "Theater Of Pain" (1985/1986, marzo). Personalità assolutamente poliedrica ed emblematica; con l'avanzare della storia, si scoprirà che ha diversi tratti in comune con la protagonista.

Mötley Crüe: band esponente del genere Glam Metal fondata a Los Angeles intorno al 1981 circa; oggi, come allora, è composta da Nikki Sixx al basso, Vince Neil alla voce, Tommy Lee alla batteria e Mick Mars alla chitarra.

Aerodinamica: non avendo avuto modo di precisarlo prima, Marzio studia ingegneria aerospaziale.

Hells Angels: gang di motociclisti diffusa in tutto il mondo famosa per avere diversi problemi con la legge in quanto anche intesa come organizzazione a delinquere


Capitolo di passaggio questo: a quanto pare la strada per raggiungere Nikki è più tortuosa del previsto. Spero di non avervi annoiato con discussioni varie su moto e motori; al contrario, mi auguro di aver mantenuto viva in voi la voglia di voler continuare a saperne di più. Mi scuso per le note chilometriche, ma vorrei evitare di non dare nulla per scontato. Come sempre, ringrazio Demy84 e SailorMercury84 per i loro incoraggiamenti; grazie nuovamente a Demy84, SailorMercury84, star86, LadyMars e key17 per le loro preziosissime recensioni. Grazie per la terza volta a Demy84 per aver inserito "Burning Fire" fra le storie preferite e grazie a LadyMars e pianistadellaluna per aver inserito questa fan fiction fra le seguite. Fatemi sapere se anche questo capitolo è stato di vostro gradimento e non esitate a farmi notare errori, sviste o semplicemente a dirmi che è scritto male. Grazie a tutti.

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Capitolo 4
*** Fred, L'Angelo Dell'Inferno ***


04 Fred L'Angelo Infernale

Mercoledì 18 giugno 1986, 9 pm

Sembrerà strano da dire, ma mi sto divertendo un mondo a fare il meccanico. Non pensavo che sporcarsi le mani di olio fosse così soddisfacente; insomma, arrivano motociclette quasi distrutte ed io riesco a rimetterle a nuovo! Cambio candele, fusibili, riparo i radiatori... mi sento un po' come Alex di "Flashdance". E quando il cliente viene a riprendersi il mezzo... devi vedere le facce! I sorrisi più smaglianti che tu possa immaginare! Mi guardano e dicono: «Hey grazie! Chi si aspettava che un meccanico novello riuscisse a far rombare così bene la mia Harley!». Piano piano mi sto facendo strada nel mondo dei motori. Perfino Heles, la mia collega, è rimasta esterefatta da questa mia "innata" capacità di mettere le mani su un motore e farlo ripartire; ci è rimasta davvero di stucco. Tant'è vero che, dopo un paio di settimane che lavoravo da William, ha iniziato a parlarmi e siamo diventate buone amiche; lo sapevo che, in fondo, era una ragazza d'oro. È pronta a spaccarsi in quattro per me, se ho dei problemi mi dà una mano... insomma, fra di noi è nato un bel legame di collaborazione. Per tre settimane ho fatto solo riparazioni, ma Heles, vedendo come me la sto cavando, ha deciso di insegnarmi anche a verniciare i pezzi di carrozzeria e ha detto, che se vado avanti così, settimana prossima iniza a farmi usare la macchina per tagliare le lamine di metallo così posso cominciare a fare qualche piccola modifica alle moto che arrivano! La cosa brutta, però, è che questo lavoro mi porta via parecchio tempo; con le altre riesco ad uscire insieme solo il weekend. In settimana stacco alle sette e, quando torno a casa, devo mettermi sotto a studiare; mi spiace che stia diventando un fantasma per loro. Ho persino dato loro buca alla prima di "Top Gun" il 16 maggio; Marzio aveva i biglietti gratis ma io ho dovuto rifiutare. Dovevo ancora iniziare a preparare la relazione di storia dell'arte moderna per il lunedì successivo; Bunny mi ha guardata e mi ha detto: «Uffa Rea, non ci sei mai però!». Ha ragione, mi sono sentita mortificata; poi lei ha aggiunto subito con la sua dolcezza: «Però sappi che, anche se il lavoro ti sta tenendo davvero occupata, io ed anche le altre siamo contente per te; ti vediamo particolarmente serena in questo periodo. Mi auguro che il tuo aggancio arrivi presto». Mi commossi a tali parole, l'abbracciai e la ringraziai; Bunny è un'amica unica.


Era un caldo pomeriggio di luglio e nell'officina si pativa ancora di più a causa dei gas di scarico delle motociclette. «Dai gas Rea!» urlò Heles ma come Rea girò la manopola il motore si ingolfò, fece un rumore orribile e si spense. Heles sbuffò, si scostò i capelli dalla fronte e guardando Rea le chiese: «Che ne pensi?»

«Penso che questo idiota, quando ha fatto rifornimento l'ultima volta, era talmente ubriaco che ha fatto il diesel invece della benzina!». Scoppiarono a ridere entrambe e si scambiarono un vittorioso cinque. Avevano individuato il problema, di nuovo. Ormai i motori per Rea non avevano quasi più segreti grazie a Heles; inizialmente inaccessibile, quella ragazza dai comportamenti maschili si aprì lentamente a Rea notando la sua abilità a maneggiare gli attrezzi e a individuare i problemi. Alla quinta Harley riparata da Rea, Heles si recò da lei con un sorriso smagliante e le porse le sue più umili scuse per come si era comportata con lei fino a quel momento; Rea ricambiò la sua espressione, le mise una mano sulla spalla e le disse: «Sapevo che, in fondo, eri una collega speciale» e da quella frase era nata la loro amicizia. Certamente, non era paragonabile a quella che Rea condivideva con le amiche che abitavano in casa con lei, ma era pur sempre un rapporto splendido basato sul reciproco rispetto e sulla collaborazione. Heles era forte e decisa ed era in grado di tenere per le palle qualsiasi cliente troppo sfacciato e rompi scatole che entrasse nell'officina; ma era anche capace di una grande dolcezza. Rea, quando usciva dal lavoro, spesso notava che una ragazza molto bella e particolarmente garbata negli atteggiamenti aspettava Heles appoggiata al palo della luce davanti all'entrata; quando la ragazza usciva dal capannone si avvicinava a quel gioiello di giovane donna, le due si abbracciavano e si scambiavano un tenero bacio sulle labbra. Rea sorrideva e pensava: "Devono davvero provare un amore sincero... guardarle mi fa sentire un grande calore all'interno dell'anima. È la stessa sensazione che provo quando vedo insieme Bunny e Marzio; quanto mi piacerebbe provarla in prima persona". E in quel momento la sua mente volava a Nikki; se lo immaginava circondato da ragazze di ogni tipo, tutte disposte a dividerselo in un unico letto matrimoniale, chi per una performance, chi per un'altra. "Levatelo dalla testa!" pensava fra sè e sè con tono di rimprovero "E' un dannato pervertito dedito al sesso mercenario, come ti può venire in mente che possa provare interesse per una ragazza comune come te?"; ma allora perchè nel vicolo aveva compiuto quel gesto? Quella sera tornò a casa in balia di questi pensieri; appena varcò la soglia, Marta le si attaccò al collo: «Allora, come è andata la giornata?»

«Normale, come al solito» rispose distrattamente Rea; in quel momento Bunny si affacciò dalla cucina: «Cos'hai che non va, Fiamma?»

«Assolutamente niente!» le rispose sgarbatamente la ragazza dai capelli corvini ma Bunny incalzò: «Vorrei ricordarti che per me non hai segreti, cara, ti leggo come un libro aperto!»

«Non vorrei interrompere il vostro battibecco» si intromise Morea «ma la cena è pronta! Stasera carne alla griglia!». Si sedettero al tavolo e durante tutta la cena Rea non aprì bocca; Morea stava per portare la torta al cioccolato quando Bunny andò a sedersi vicino alla sua cara amica e le bisbigliò nell'orecchio: «Ancora niente?»

«Già...» sospirò Rea

«Non mi dirai che ti sei arresa!» le chiese in tono stupito Bunny; Rea non le rispose, tenne solo il capo chino e decise di andare in camera sua. Prima però, con voce grave, chiese a Morea di tenerle da parte un pezzo di dolce per la colazione della mattina successiva e di nasconderlo dalle grinfie di Bunny. Le ragazze al tavolo scoppiarono a ridere ma Rea non si unì a loro; si girò e salì le scale. Chiuse la porta della sua stanza e si abbandonò ad un pianto silenzioso e solitario; per la prima volta nella sua vita aveva perso davvero le speranze. E non aveva il coraggio di ammetterlo; più che altro, si rifiutava di crederci. Si mise le mani in tasca ed estrasse lo Zippo; un lieve baluginio ed ecco che l'omino dalla testa rotonda fece irruzione nella stanza: «Tesoro, ma cosa sono quei lacrimoni che ti scorrono sulle guance?» chiese il nonno con tono comprensivo vedendo la nipote piangere

«Nonno, sono triste... credo che non rivedrò mai più quel ragazzo» rispose Rea frenando i singhiozzi che le chiudevano la gola

«Fiamma mia, non piangere! Non hai motivo di essere triste; hai delle amiche preziose intorno, hai ripreso a studiare e hai anche scoperto che ti piace lavorare! E ti ricordi quello che ti dicevo sempre?»

«Sì nonno» Rea si passò il dorso della mano sulle guance «chi lavora sodo viene ricompensato prima o poi»

«Dunque non avere paura, vedrai che molto prima di quanto te l'aspetti il tuo aggancio arriverà. Devi solo avere fiducia»

«Ma non è possibile che dopo tre mesi non sia ancora arrivato nessuno!» protestò la ragazza ma il nonno le ripetè di avere fiducia. Rea spense l'accendino; il nonno aveva ragione, era necessario avere fiducia. Ma perchè in quel momento le risultava così difficile averne? Aveva perfino paura che il nonno potesse sbagliarsi; si sdraiò supina sul letto, abbracciò il suo orsetto di peluche e si addormentò.


* * *


Il giorno successivo in officina c'erano solo lei ed Heles; William, insieme con un altro ragazzo che lavorava con loro, era andato a San Diego per recuperare dei pezzi di ricambio. Il pomeriggio stava trascorrendo tranquillo, solo una riparazione da fare; intanto fuori il sole era così caldo da far sciogliere le pietre. Rea sbuffò per spostarsi una ciocca di capelli dagli occhi: "Chissà cosa staranno facendo le mie amiche... di sicuro saranno in spiaggia a prendere il sole. Come vorrei essere anch'io con loro, ridere, scherzare, prendere in giro i surfisti e bere un tè freddo". Heles le si avvicinò da dietro: «Ti vedo fiacca oggi, c'è qualcosa che non va?». Rea arrossì: «Oh no, ma che dici! Sono solo accaldata»

«Non mi sembri al top della felicità oggi; hai litigato con qualcuno?». Heles abbozzò un mezzo sorriso vedendo che Rea abbassava gli occhi. «Litigato no, però vedi...». La frase di Rea fu interrotta da un rombo di motocicletta assordante; un cliente era appena entrato in officina. «William! Dove sei brutta testa di cazzo!» gridò una voce maschile che subito dopo scoppiò in una fragorosa risata. Heles afferrò Rea per un polso e la trascinò via dal retrobottega; appena giunsero davanti al cliente, la ragazza dai capelli biondi sorrise e subito salutò l'uomo: «Ma guarda chi si vede! Ciao Fred

«Ciao Heles! Stavo proprio cercando te! Tutto bene?». I due iniziarono a chiacchierare mentre Rea, da dietro le spalle di Heles, osservava quel colosso: un uomo grande come un armadio a tre ante, con i capelli castani lunghi fino alle spalle, la barba folta e le braccia enormi completamente tatuate. Era così grosso che le faceva impressione. Improvvisamente Fred spostò il suo sguardo su di lei e disse a Heles: «Avete fatto nuovi acquisti? Che bel bocconcino che avete preso!»

«Piano Fred, questo non è uno strip club» gli disse Heles «lei è qui per lavorare. Si chiama Rea»

«Tanto piacere» le disse Fred porgendole la mano; Rea, imbarazzata, gli porse la sua e lui gliela strinse così forte da farle male.


Giovedì 10 luglio 1986, 10 pm

Penso di non aver mai visto un uomo così enorme; sembrava un orso grizzly. Grosso e peloso uguale. Senza contare che mi ha distrutto la mano con quella stretta, sembrava quasi che me la fossi chiusa in un cassetto (mi fa ancora male adesso!). Questo Fred è entrato in officina e si è messo a parlare con Heles di un progetto custom per la sua Softail; niente di strano fin qui. Ma la cosa più inquietante era che Heles continuava a guardarmi e a farmi l'occhiolino... perchè?


«L'idea è questa: ho solo bisogno che mi sistemi il parafango dietro; me lo fai un po' più appuntito verso l'alto. Se necessario mi cambi anche il fanalino dietro. Poi ecco, quello che mi interessa è che mi alzi di cinque centimetri il manubrio, me lo fai un attimino di più stile chopper. Per il resto la moto è ok, nel caso, guarda se ci sono sfregature e ammaccature sulla carrozzeria, se ne trovi me le ripari». Heles si appuntò tutto su un foglietto; poi chiese a Fred: «Entro quando ce l'hai bisogno?»

«Io il 26 luglio ho un raduno, quindi cerca di farmela trovare pronta entro il giorno prima»

«Sarà fatto» gli disse Heles con un sorriso «Nient'altro?». Fred scosse la testa, poi salutò le due ragazze dicendo: «Heles, è tutto nelle tue mani» ed uscì dall'officina. «Rea, vieni qui» disse Heles con un sorriso; Rea si avvicinò titubante a lei che ancora teneva in mano il foglietto su cui aveva scritto tutte le direttive di Fred. «Questo lavoro è per te» le disse la ragazza bionda sventolandole il blocchetto sotto il naso. Rea era incredula: «Mio? E perchè? Non ho mai customizzato una moto! E se combino qualche casino? Poi scusa, l'ha commissionato a te il lavoro». Heles rise: «Tranquilla, guarda che è più facile di quello che sembra; nel caso, posso sempre darti una mano» fece una breve pausa e poi aggiunse: «E soprattutto è necessario che tu faccia questo lavoro»

«Necessario? Cosa significa?» domandò Rea sempre più allibita. Heles non rispose, si girò verso di lei e scoppiò a ridere; in un attimo, tutto divenne più chiaro nella mente di Rea.


Giovedì 10 luglio 1986, 10 pm

Ma come avevo fatto a non capirlo immediatamente? Heles non faceva altro che sorridermi mentre Fred era in officina perchè era contenta per me; finalmente è arrivato il mio dannato aggancio! Heles mi ha spiegato che quel Fred Saunders è un ex Hells Angel che fa da guardia del corpo ai Mötley Crüe; sarà lui che mi porterà da Nikki! Sono così felice che quasi non ci credo! Il nonno aveva ragione, come ho potuto dubitare delle sue parole? Ora, l'unica cosa che devo fare è lavorare sodo in modo da soddisfare quell'energumeno e avere così accesso a quel ragazzo irraggiungibile. Farò del mio meglio anche se, per certe cose, avrò bisogno dei saggi consigli della mia collega. Stasera, quando l'ho detto alle ragazze, c'è stata una specie di esplosione e Marta ha voluto improvvisare una festicciola per brindare all'avvenimento; mi hanno incoraggiata tutte ed Amy mi ha detto che se ho qualche problema per quanto riguarda la fisica della motocicletta posso chiedere a lei. Che carina!


* * *


Era il giorno della verità; Rea ed Heles erano in piedi davanti alla Softail di Fred. «Noti qualche imprecisione?» chiese Rea visibilmente tesa. La ragazza bionda girò intorno alla moto, si allontanò e disse: «E' fantastica, hai lavorato davvero bene»

«Dici sul serio? Oppure lo stai dicendo per tirarmi su il morale perchè pensi che sia una schifezza?»

«Non ti sopporto quando fai così!» la rimproverò Heles «Se ti dico che è fatta bene, devi fidarti! Vedrai la faccia di Fred quando arriva a prendersela. E poi, anche William ha detto che sembra che l'abbia fatta io. Rilassati!»

«Fosse facile» rispose Rea. Non era mai stata così tesa in vita sua, nemmeno prima di un esame; le mancava l'aria e sudava freddo. Era convinta di aver fatto un lavoro mediocre. Verso le cinque del pomeriggio Fred entrò in officina: «Allora, è pronta la mia bambina?» gridò mentre faceva il suo ingresso; Rea deglutì a fatica e poi gli disse: «Venga con me signor Saunders». Lo condusse davanti a Heles che stava in piedi davanti alla moto coperta da un telo nero; la ragazza bionda lo scostò e la Softail apparve davanti agli occhi di Fred in tutta la sua bellezza. «Porca vacca, strabiliante!» esclamò l'omone con la voce intrisa di una gioia indescrivibile; girava intorno alla moto e ne rimirava ogni minimo particolare come un bimbo di fronte ad un nuovo giocattolo. «Gran bel lavoro Heles, bravissima» si congratulò Fred ma la ragazza bionda lo fermò: «Guarda che non sono stata io a farti il lavoro, ma quella bella signorina dai capelli neri». Il viso di Fred cambiò completamente espressione; spalancò gli occhi incredulo mentre si girava verso Rea: «Tu hai fatto questo?» chiese in tono quasi accusatorio. Rea, impaurita, annuii senza proferire parola; Fred tornò a fissare Heles che gli disse: «Lavora bene eh?»

«Cazzo se lavora bene! Si vede da chi ha preso!». L'ex angelo infernale si diresse verso Rea, le prese la mano e ne baciò il dorso: «I miei complimenti, gran bel lavoro». Rea si sentì sollevata a quelle parole, arrossì e ringraziò timidamente l'uomo; era contentissima che il lavoro gli fosse piaciuto. «Ora però Fred» intervenne Heles «Rea ti dovrebbe chiedere una cosa»; Fred scoppiò a ridere: «Sapevo che c'era sotto qualcosa, generalmente Heles è molto gelosa dei suoi lavori, mi sembrava strano che avesse ceduto un tale progetto a te; però, dato che hai fatto un lavoro a dir poco strepitoso, sono a tua disposizione per qualsiasi richiesta». Heles le fece l'occhiolino; Rea prese fiato e chiese: «Signor Saunders...»

«Ma quale signor Saunders! Mi fa sentire vecchio, dammi del tu e chiamami Fred, cara Rea» le disse l'uomo con un sorriso smagliante

«Ok Fred» riprese Rea «volevo chiederti, se possibile, se potevi farmi entrare nel backstage del prossimo concerto dei Mötley Crüe. Io devo... devo restituire una cosa a Nikki Sixx». Ci fu qualche secondo di silenzio durante il quale Rea temette il peggio, poi Fred chiese: «Cosa di preciso?»; la ragazza dai capelli corvini impallidì ed annaspando rispose: «Una cosa personale... mi spiace non poter essere più chiara».


Venerdì 25 luglio 1986, 11 pm

Adesso mi dice di no, adesso mi dice di no, adesso mi dice di no... stavo per esplodere. Era la frase che il mio cervello continuava a ripropormi in quel momento.


«Beh, nessun problema! Era già più problematico se mi chiedevi se potevo fartelo avere per una notte di sesso sfrenato; ma dato che devi restituirgli qualcosa... non c'è alcun problema». Heles, da dietro le spalle di Fred, alzò il pollice a Rea e sottovoce le disse: «Ce l'hai fatta». Rea in un lampo si sentì più leggera, la felicità si impadronì delle sue membra; si sentiva come una farfalla pronta per spiccare il suo primo volo. Fred aggiunse: «Il prossimo concerto del gruppo prima della pausa per il nuovo disco è il 22 agosto al Roxy; quella sera passerò a prenderti io a casa verso le cinque. Fatti trovare pronta, mi raccomando»

«Puoi giurarci» gli rispose Rea facendogli l'occhiolino; poi prese un foglietto e scrisse sopra il suo indirizzo. Fred lo prese e se lo infilò nella tasca dei pantaloni in pelle: «Ci vediamo fra un mese gioiello» e sparì nel traffico con la sua Softail.


NOTE:

Alex di "Flashdance": la protagonista del film faceva il saldatore, un lavoro "da uomini"; di certo, il meccanico non si può definire come una professione tipicamente femminile.

Fred: o meglio, Fred Saunders; ex Hells Angel, e capo della security durante numerosi tour dei Mötley Crüe. Occasionalmente era anche il pusher della band.

Custom: termine per indicare le moto modificate.

Softail: modello di Harley Davidson caratterizzato dalla sospensione della ruota posteriore nascosta per dare l'impressione di un telaio rigido simile a quello di un chopper (moto fortemente modificata, stile copertina di "Easy Rider").


Rieccomi; finalmente è comparso l'aggancio, questo motociclista allegro ed enorme che fa il capo della security ai concerti. Siamo a un passo dall'incontro vero e proprio che si svolgerà nel prossimo capitolo; spero di avervi incuriosito a sufficienza e di non avervi annoiato con questo capitolo. So che non è un capitolo particolarmente avvincente, ma è necessario; come sempre, le vostre recensioni sono ben gradite, sia che siano positive, sia che siano negative. Vorrei ringraziare le mie fidatissime lettrici: Demy84, SailorMercury84, star86, LadyFire, alemagica88, key17, pianistadellaluna e anche i membri del Sailor Moon Italian Forum (Miroku 88 e Kayla-XY); grazie per il vostro tempo speso per leggere la mia storia e grazie infinite per i vostri commenti e recensioni. Un abbraccio forte a tutti, Ellie


P.S. Se dovesse mancare qualcosa nelle note, non esitate a chiedere spiegazioni

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Capitolo 5
*** Una Margarita Alla Fragola ***


05 Una Margarita Alla Fragola

Venerdì 22 agosto 1986, All Star Jam al Roxy.


Rea stringeva più forte che poteva Fred mentre il biker si divincolava in mezzo al traffico di Sunset Boulevard; aveva dovuto indossare gli occhiali da sole perchè l'aria gonfia di gas di scarico le faceva piangere gli occhi neri e profondi. Fred strepitava e mandava gentilmente a fanculo tutti quelli che osavano in qualche modo intralciargli il cammino, pedoni o camionisti che fossero; più che le strade di una grande città, quelle di Los Angeles sembrano sentieri che si snodano all'interno di una giungla fatta di traffico, clacson, pedoni incoscienti e pirati della strada. «Guarda dove cazzo ti piazzi, brutto figlio di puttana! Chi cazzo te l'ha data la patente?» urlava Fred in preda alla rabbia «Si può sapere per quale cazzo di motivo alle sei di pomeriggio tutti i coglioni che vivono a Los Angeles devono mettersi per strada e guidare, porca di quella puttana!»; era livido. Tutto quel traffico li stava facendo arrivare tardi; erano le sei e venticinque ed erano ancora a diversi chilometri dal Roxy Theater e da lì a cinque minuti avrebbero aperto le porte del backstage per fare entrare la security. Alle sei e quaranta, dopo aver fuso il clacson della Softail, Fred e Rea parcheggiarono la moto a pochi metri dalla porta posteriore del Roxy. Rea smontò dal mezzo e provò una stretta allo stomaco nel vedere davanti ai suoi occhi la porta con scritto "Personnel only"; era davvero a pochi metri da Nikki. Fred abbassò il cavalletto, si tolse il casco e, tirando fuori una tessera plastificata con un laccio dalla tasca della giacca in jeans, disse a Rea: «Ecco qui tesoro, questo è il tuo pass; goditelo e, mi raccomando, non perderlo». La ragazza se lo rigirò fra le mani; era uno di quei pass che avrebbe fatto gola a chiunque ad un concerto perchè c'era scritto a lettere cubitali fucsia: ACCESS: ALL AREAS. Rea se lo mise al collo ed entrò insieme a Fred nel backstage.


Sabato 23 agosto 1986, 4 am

Varcare la soglia del backstage è come entrare in un universo parallelo: fumo di sigaretta (e non solo) aleggia nell'aria quasi come se fosse nebbia. Ma soprattutto c'è un sacco di gente: chi corre con in mano cavi, chi sorregge dei fogli e controlla con nervosismo l'orologio, chi passa a bussare alle porte dei camerini urlando: "Siete i primi a salire sul palco" oppure: "Fra dieci minuti tocca a voi!". Frenesia totale. E in mezzo a questa frenesia trovi ragazze che si atteggiano come se fossero le regine del mondo e squittiscono fra loro: "Spero di essere la prima ad entrare, così potrò godere al massimo dei suoi genitali"... schifoso. Semplicemente da vomito. Alcuni guardano alle rockstar come dei credendo che siano scesi dall'olimpo della musica per illuminarci con il loro sapere e la loro ispirazione; ed io rientro fra questa schiera di individui. Ma per tante altre persone, essi sono solo carne e ossa pronte per essere mandate al macello, persone buone solo per essere usate per scopi bassi; per loro il mondo è come il banco di un macellaio: scegli il pezzo, lo strappi coi denti e poi lo getti.


Fred la teneva per mano per evitare che qualcuno prendesse dentro di lei e la facesse cadere per terra; dopo aver tirato un paio di gomitate, finalmente, arrivarono davanti ad una porta sulla quale c'era scritto con un pennarello nero: "NIKKI SIXX". Alla vista di quelle lettere indelebili il cuore di Rea iniziò a battere come un tamburo; Fred si girò verso di lei, le mise le mani sulle spalle e disse: «Lui è lì dietro, però, se posso darti un consiglio, è meglio che vi vediate dopo il concerto. Prima tende ad essere sempre un po' nervoso»; la ragazza annuì trattenendo il fiato. Le sembrava già un sogno essere arrivata alla porta del suo camerino. Fred, dopo aver deglutito, aggiunse: «Non che dopo lo spettacolo sia molto più tranquillo, però cercherò di farti entrare e, soprattutto, farti trattare come si deve». Detto questo scattò via, verso la porta con scritto "Stage"; Rea rimase sola nel bel mezzo del corridoio davanti alla soglia del camerino. Si sentiva magneticamente attratta da quelle lettere ma doveva assolutamente resistere: "Fred ha detto che mi farà passare davanti a tutti, dunque non devo nemmeno preoccuparmi... sicuramente lo vedrò. Ma riuscirò a parlargli? Cosa ci diremo? E, soprattutto, si ricorderà di me?". Questi dubbi iniziarono ad affollarle la mente mentre sul palco iniziò a suonare il primo gruppo; più i minuti scorrevano, più il nervosismo cresceva in lei. Si mordeva le labbra, camminava avanti e indietro, giocava con i suoi capelli neri e sentiva il suo cuore esploderle nel petto. Ogni tanto fissava chi passava per quel corridoio stretto dalle pareti bianche: tecnici del suono, manager, groupies, batteristi che facevano girare le bacchette fra le dita, ammiratrici impazzite e cantanti già ubriachi prima di salire sul palco. Senza che nemmeno se ne accorgesse, passò davanti a lei un uomo di piccola statura con indosso una t-shirt nera che portava al collo delle cuffie; bussò violentemente sulla porta di Nikki gridando: "Cinque minuti!". Rea sobbalzò, non si era nemmeno resa conto che erano già passate due ore e mezza da quando aveva varcato la porta del backstage insieme a Fred. L'omino si allontanò dalla porta di Nikki. Dopo pochi secondi la maniglia di abbassò e la porta di legno bianco iniziò ad aprirsi cigolando; Rea si paralizzò e si attaccò al muro con gli occhi sgranati. Nikki uscì a capo chino con la sua nerissima capigliatura enorme stringendo nella mano destra il suo Thunderbird; come alzò la testa ed i suoi occhi verdi si incrociarono con quelli color notte di Rea si bloccò per un istante, quasi come se fosse spaventato.


Sabato 23 agosto 1986, 4 am

Giuro di averlo visto: un lampo che gli passò per quelle iridi color smeraldo. Quel lampo di consapevolezza che ti fa pensare: "Allora vedi che si ricorda di me?". Solo che il tempo a disposizione era veramente poco, anche solo per potersi scambiare un cenno; infatti, come lui stava per immobilizarsi davanti a me, una voce lo chiamò gridando: «Sixx, muovi il culo!». Forse era Tommy Lee; e lui scappò, avvolto nel suo completo di lycra a righe bianche e nere.



Rea li vide sparire uno dopo l'altro dietro la porta che portava al palco; dopo qualche secondo sentì la folla esplodere in un boato paragonabile ad un terremoto. Era iniziato il concerto dei Crüe: «Good evening Roxy!» urlò acidamente Vince scatenando un putiferio indescrivibile tra la folla. Suonarono tutta la scaletta del tour di "Theater Of Pain"; durante la durata della performance, Rea dal backstage si immaginava il suo salvatore che suonava il basso nel suo angolino di palco dimenando il capo e saltellando nel suo completino aderente e scintillante. Stavano suonando veramente bene, ma non vedeva l'ora che smettessero; mai nella sua vita aveva desiderato così fortemente che un concerto finisse. Voleva parlare con Nikki; esigeva scambiare due parole con lui. D'altra parte, si era comportata come una stupida con lui e adesso aveva la possibilità di riparare al suo errore. L'aprirsi violento della porta del palco la riportò coi piedi per terra; la band stava tornando ai camerini. Vince precedeva tutti sculettando come una prostituta di Hollywood Boulevard fasciato in un paio di fuseaux fucsia con sopra un reggicalze in pizzo bianco; dietro quell'esserino biondo platino, ecco arrivare i tre mori del gruppo tutti scortati da Fred. Il biker fece l'occhiolino a Rea che, di riflesso, arrossì violentemente. Nikki le passò nuovamente di fianco fissandola impaurito per qualche istante per poi rifugiarsi nel suo stanzino. Fred si mise davanti alla porta e prese per mano Rea mentre una fiumana di ragazze correva verso di lui urlando: «Dai, facci entrare! Dobbiamo vedere Nikki!»

«Calma dolcezze» disse il gorilla in modo carino ma anche autoritario «Nikki sarà disponibile fra poco, abbiate pazienza. Fatelo cambiare»; poi abbassò lo sguardo verso Rea e le sussurrò aprendole la porta: «Vai, entra. Non avere paura». La ragazza varcò a fatica la soglia con le gambe che le tremavano violentemente; Fred la chiuse dentro. Il camerino era spoglio, con un armadietto di metallo, un tavolino quadrato al centro e delle luci al neon; più che il rifugio di una rockstar sembrava parte di una caserma militare. Nikki era di spalle davanti al tavolo ancora con indosso i costumi di scena; stava trafficando con qualcosa che sembrava un cucchiaio. Rea prese fiato, si concentrò e disse: «Ciao Nikki»; lui si girò con il trucco che gli colava dalla faccia. Aveva ancora quell'espressione a metà fra il timore e la felicità; Rea proseguì: «Non so se tu ti ricordi di me...». Lui la interruppe con la sua voce baritonale: «Tu sei quella del vicolo. Quella che mi ha fatto spaccare una bottiglia di Jack»

«Già» sospirò Rea arrossendo dalla felicità «Sono io quella che è scappata da quel vicolo senza nemmeno dirti grazie per...»; lui la interruppe di nuovo: «Beh, ora l'hai fatto. C'è dell'altro?». Rea rimase stupita dal modo scorbutico con cui Nikki pronunciò quelle parole; timidamente scosse la testa. «Allora direi che te ne puoi anche andare» disse lui girandosi verso il tavolo e continuando a trafficare con il suo cucchiaio. Rea non riusciva a credere alle sue orecchie: la stava cacciando via? Rimase incollata all'uscio senza riuscire a dire nulla e senza riuscire a muovere un muscolo. Nikki fece il giro del tavolo lasciando in bella vista una siringa e una pipa di vetro; la guardò di nuovo con gli occhi iniettati di sangue e le urlò puntandole addosso il cucchiaio: «Cos'è? Non capisci quello che dico? Vattene fuori di qui!».


Sabato 23 agosto 1986, 4 am

«Vattene fuori di qui!» mi ha ululato in faccia. Quel bastardo non se ne faceva proprio niente delle mie scuse. Tutto l'affetto e l'ammirazione che avevo provato per lui fino a quel momento si era trasformato in un'ira cieca che mi fece urlare: «E tu vattene a fanculo, brutto stronzo!» e sono uscita sbattendo violentemente la porta del camerino. In quel momento ho pensato: "Quella fottuta bottiglia di Jack, che se la spaccasse lui contro la testa, così magari si rende conto che non esce nemmeno un po' di sangue perchè è maledettamente vuota, porca troia!". Fred ha scosso la testa e si è passato una mano fra i capelli, rassegnato: «Non è andata bene...» l'ho sentito bisbigliare. Stavo per uscire dal backstage quando una voce dietro di me ha iniziato a urlare...


«Aspetta, aspetta un attimo!» qualcuno l'afferrò per il polso destro; Rea si girò con sguardo torvo e si ritrovò davanti Nikki, ancora truccato. «Si può sapere che cazzo vuoi adesso?» ruggì lei con tutta la rabbia che aveva in corpo; tutte le persone che erano in corridoio si voltarono per assistere alla scena con gli occhi sbarrati. Nikki abbassò il capo visibilmente imbarazzato e le sussurrò: «Vorrei parlarti...» ma Rea lo interruppe nuovamente urlando: «Oh, ora vuoi parlare eh?»

«Ti prego, non urlare» le disse lui e poi la trascinò nuovamente nel suo camerino scatenando la gelosia di tutte le ragazze che aspettavano impazienti davanti alla porta. Una volta dentro, Nikki, continuando a guardarsi le punte dei mocassini a righe, le disse: «Ora sono io che devo chiederti scusa, mi sono comportato come un deficiente poco fa». Rea spalancò gli occhi; non credeva alle sue orecchie. Conoscendo la personalità di Nikki era davvero strano che una persona come lui si abbassasse a chiedere scusa; ma se lo faceva, significava che davvero credeva nelle parole che stava dicendo. Significava che era sincero. Rea si chinò per cercare di guardarlo negli occhi e quello che vide fu una cosa inaspettata: invece che lo sguardo di un uomo sicuro pronto a far svenire il mondo ai propri piedi, vide quello di un ragazzo insicuro, in imbarazzo e questo scatenò in lei un moto di tenerezza. Gli toccò il braccio sinistro e gli disse in tono rassicurante: «Beh, anch'io non sono esente da scuse. Ho urlato come una pazza in corridoio». Lui alzò lo sguardo ed abbozzò un sorriso; poi, in un attimo, riacquistò tutta la sicurezza. Si diresse verso il suo armadietto, lo aprì ed iniziò a spogliarsi dicendole: «Voglio farmi perdonare, sono stato uno stronzo e su questo non ci piove. Il minimo che posso fare è offrirti qualcosa da bere» e, mentre pronunciava queste parole, si calò i pantaloni e si tolse la casacca rimanendo in boxer. Rea arrossì ed iniziò a fissare le piastrelle del pavimento; Nikki, notando il suo imbarazzo, la prese in giro: «Non mi dire che non hai mai visto un ragazzo nudo!». La ragazza, sentitasi punta sul vivo, gli rispose un po' scocciata: «Ma certo che l'ho visto... solo che» deglutì cercando di reprimere l'imbarazzo che l'aveva fatta diventare rossa «mai nessuno si è spogliato così davanti i miei occhi la prima volta che ho avuto a che farci». Lui scoppiò a ridere: «Allora non sei una frequentatrice assidua di musicisti! Adesso mi spiego perchè hai rifiutato Axl quella sera... sei una personcina per bene». La carnagione di Rea da rossa diventò bianca nel giro di pochi attimi: "Ma come diavolo ha fatto a capire queste cose di me in modo così... spontaneo?". Nel frattempo lui si era infilato una semplice t-shirt nera ed un paio di pantaloni di pelle ed aveva iniziato a struccarsi: «Ti piace la margarita?» le chiese passandosi lo struccante sul viso per togliersi le righe nere dagli zigomi; Rea rispose timidamente: «A dire la verità, non sono una ragazza che apprezza i cocktail, preferisco la birra». Nikki si voltò verso di lei gettando a terra il batuffolo di cotone intriso di struccante, si avvicinò e le sussurrò in pieno viso: «Da stasera amplierò la tua visione dell'alcol. C'è un localino qua vicino che fa delle margarita alla fragola spettacolari, vogliamo andare?». Con la mano destra le indicò la porta del camerino e con la sinistra la prese per il dito medio; Rea, quasi come se fosse ipnotizzata, si fece guidare da quel ragazzo verso l'uscita del backstage fino alla sua Corvette nera con i vetri oscurati.


* * *


Nikki diede un lungo sorso alla sua margarita dalla cannuccia: «Queste sono le fragole più buone di tutto il circondario!»

«Sicuro che non sia sciroppo?» gli chiese Rea rigirandosi fra le mani il bicchiere pieno di liquido rosso «E' un po' troppo poco denso per i miei gusti»

«No, il proprietario coltiva le fragole nella sua serra e poi le porta qui al locale» Nikki diede un altro sorso alla bevanda «Spettacolare!». Rea stava ancora fissando scettica il bicchiere, pieno fino all'orlo; Nikki la esortò: «Dai, provala!». La ragazza avvicinò la bocca alla cannuccia e prese una grossa boccata di margarita; deglutì a fatica: «Oh cacchio, la tequila è terribile! Saranno anche buone le fragole, che poi quelle che ho in giardino io sono ancora migliori, ma la tequila la odio» e dicendo queste parole una lacrima le scivolò lungo la guancia. Nikki scoppiò a ridere, fin troppo divertito: «Dio mio, sembri un bambino a cui danno da assaggiare un limone!»; diede un altro sorso al cocktail e poi disse: «Ma dove vivi per avere in giardino degli arbusti con delle fragole?»

«Vivo in una casa a Bel Air con le mie quattro amiche; a dire la verità non sono proprio io che mi occupo degli arbusti ma la mia amica Morea che è anche quella che si occupa della cucina. Credimi, se le curassi io farebbero una bruttissima fine». Nikki annuì e poi aggiunse: «Anch'io, tempo fa, ho avuto un'esperienza di condivisione dell'appartamento con Vince e Tommy» trattenne una risata «Ma devo ammettere che fu a dir poco disastrosa! La casa era conciata come una discarica, era piena di scarafaggi e usavamo la lacca e gli accendini per sterminarli... così facendo, una volta, ho dato fuoco al tappeto». Scoppiarono a ridere di gusto entrambi, poi Nikki continuò: «Noi siamo fuori a bere insieme, ma non ti ho ancora chiesto cosa fai nella vita Rea, a parte non scopare con i musicisti del Sunset Strip». La ragazza sorrise: «Studio arte e architettura alla UCLA»

«Sul serio?» sembrava stupito «E qual è la cosa che più di tutti ami raffigurare?». Rea temporeggiò un attimo ma poi rispose: «Mi piace tutto quello che vola, specialmente le aquile e le farfalle»; lui sembrava sempre più interessato: «E perchè proprio quelle cose che volano?»

«Hai mai sognato di volare, Nikki?»; il ragazzo rimase fermo, a fissarla negli occhi, quasi volesse sollecitarla a continuare a parlare. Rea proseguì: «Deve essere fantastico volare; tutte le volte che ho sognato di farlo mi sentivo libera dal peso di tutte le cose ti obbligano a tenere i piedi per terra. Molli le tue zavorre e vai, su in alto, leggero. Guardi sotto e... domini; il mondo è ai tuoi piedi. Tutta la libertà che sogni è lassù, nell'aria... e l'unico modo che abbiamo per alzarci davvero da terra è prendere un dannato aereo. Mi chiedo perchè certe volte non ci abbiano creato con le ali». Nikki la fissava, in silenzio, senza battere ciglio. «Ho detto per caso un mare di stronzate?» chiese Rea, quasi come se volesse scusarsi ma lui rispose: «No, affatto! È interessante questa tua... "prospettiva". Quindi, dato che hai detto che l'unico modo per alzarsi da terra è l'aereo, di sicuro avrai visto tutti i film del genere»; a quell'affermazione Rea provò un senso di colpevolezza. Si ricordò di non essere andata con le sue amiche alla prima di "Top Gun" ed anche che Bunny ci era rimasta parecchio male. «Proprio tutti no, mi manca l'ultimo» ammise con un certo rammarico; poi aggiunse: «A te che film piacciono Nikki?»

«Mi piacciono i film dell'orrore e tutto ciò che ha a che fare con la sfera più oscura della mente umana, è affascinante come argomento...». Rea si stupì di questa passione di Nikki per il lato oscuro dell'uomo; davvero non si aspettava che una persona apparentemente così superficiale e sessista potesse avere un lato profondamente intellettuale. Lo ascoltava incantata mentre diceva di aver letto diversi libri sull'argomento e che, proprio da questi, si lasciava influenzare per scrivere alcuni testi. Quando terminò il discorso, la ragazza, completamente ammalliata dal suo modo di parlare, gli chiese: «Hai già in cantiere qualcosina per il nuovo album dei Crüe, magari proprio su quest'argomento? Sai, mi piacerebbe leggere in anteprima qualche testo». Lui, di tutta risposta, guardò il suo orologio da polso e schizzò in piedi: «Cazzo, è tardissimo! Scusa se ti lascio qui sola»; tirò fuori il portafogli di tasca e le diede cinquanta dollari: «Tieni, pagati il taxi per tornare a casa con questi, purtroppo non riesco ad accompagnarti... ecco, poi» con una penna presa dalla tasca dei pantaloni scrisse qualcosa su un tovagliolino di carta «questo è il mio numero di telefono, chiamami quando vuoi, cercherò di risponderti sempre. Spero di rivederti presto, ciao!» e scappò via, come una saetta. Rea rimase sola al tavolo stringendo nella mano destra il tovagliolino: «Merda!».


Sabato 23 agosto 1986, 4 am

Mi ha fatto davvero piacere che mi abbia lasciato il suo numero di telefono, ma devo resistere... non devo chiamarlo! La migliore arma per far sì che l'uomo si interessi ad una donna è farlo penare; se davvero è interessato a me, troverà il modo di contattarmi come io ho fatto con lui... sono curiosa di vedere cosa farà anche se, come mi ha detto il nonno, non devo farmi troppe illusioni.


NOTE:

Groupie: ragazza che segue una band precisa durante il suoi spostamenti e dona il suo corpo ai membri del gruppo.

Thunderbird: basso prodotto dalla Gibson, uno dei primi ad essere neck-through (un pezzo unico da cui ricavare manico e corpo senza incollamenti o avvitamenti lungo lo sviluppo del pezzo di legno).

Tommy Lee: batterista dei Mötley Crüe; famoso anche per la sua tormentata relazione con Pamela Anderson.

Vince Neil: cantante dei Mötley Crüe.

Theater Of Pain: terzo album dei Mötley Crüe pubblicato nel 1985; sulla copertina compaiono due maschere che si rifanno alla commedia dell'arte.

I tre mori del gruppo: a differenza di Vince Neil che porta i capelli biondo platino, Nikki Sixx, Tommy Lee e Mick Mars hanno tutti i capelli neri.


Eccomi qui, dopo un piccolo periodo di assenza; questo è un capitolo estramente denso e carico di avvenimenti. Finalmente i nostri due personaggi hanno parlato e sono usciti insieme; ma perchè Nikki si mostra dapprima ostile mentre poi è in imbarazzo, chiede scusa e la invita ad uscire? E cosa se ne faceva di un cucchiaio? Ma, soprattutto, si rivedranno i due? Queste cose le scoprirete tutte con l'avanzare della storia, io ora vi lascio il beneficio del dubbio. Come sempre, i più sentiti ringraziamenti a Demy84, SailorMercury84, Lady Mars, alemagica88, star86, key17, Cri cri e tutti quelli del Sailor Moon forum che seguono la mia fan fiction. Inutile dire che sono ben accette tutte le recensioni, positive o negative che siano; ringrazio tutti in anticipo, bacioni,

EllieMarsRose

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Capitolo 6
*** Mighty Wings ***


06 Mighty Wings

Il sabato dopo l'All Star Jam splendeva su Los Angeles un sole meraviglioso e caldo. Le ragazze avevano passato il pomeriggio sguazzando nella piscina della grande casa con lo stereo del soggiorno alzato al massimo; mentre la puntina del giradischi solcava "Panama" dei Van Halen, Rea riemerse dall'acqua dopo aver tentato di affogare Bunny per l'ennesima volta. La ragazza dai lunghi codini le sputò in faccia tutta l'acqua che teneva in bocca. «Che schifo Bunny!» si arrabbiò Rea

«Così impari a tenermi sotto» le rispose l'amica facendole la linguaccia. Nel frattempo a bordo piscina Marta prendeva il sole nascondendo il suo bel viso dietro un paio di Wayfarer; Amy le passò di fianco e, mentre si asciugava i capelli con un asciugamano, le chiese: «Marta, ti sei messa la crema protettiva?»

«No dottore, non l'ho messa» le rispose sbuffando

«Mettila, maledizione! Io non ho intenzione di fare come il mese scorso che dovuto passare due settimane a farti impacchi di crema per ustioni, non ci penso nemmeno! Questa volta ti arrangi» la sgridò Amy sistemandosi il bikini azzurro. Marta alzò gli occhiali da sole, fece il broncio ed esclamò: «Uffa, che stress che sei!». L'unica che non era a bordo piscina era Morea, intenta a raccogliere le ultime fragole della stagione dagli arbusti del giardino; aveva intenzione di preparare l'ultima crostata di fragole dell'anno. Nel frattempo Rea uscì dalla piscina e, prendendo un asciugamano, disse che sarebbe entrata in casa a fare la doccia.


Sabato 23 agosto 1986, 6 pm

Oggi sono davvero felice; sarà che da ieri sera sono in brodo di giuggiole. Finalmente, dopo tanto tempo, sono riuscita a fare due cose a cui tenevo particolarmente: la prima era stare un pomeriggio intero a divertirmi con le mie amiche e la seconda era parlare con Nikki. Sì, perchè non mi bastava vederlo. Se penso a lui avverto come una fitta allo stomaco... dire che me ne sono innamorata mi sembra davvero eccessivo, però l'uscita di ieri sera è stata a dir poco fantastica. Anche se alla fine mi ha lasciata sola al tavolo. Ho nascosto il suo numero di telefono nella tasca della mia giacca in pelle, così Bunny non potrà mai trovarlo (so che ama chiamare le persone con cui esco... anche solo per metterci una buona parola, ma non vorrei che combinasse qualche casino con Nikki). Appena sono rientrata in casa per farmi la doccia, mi sono chiusa in bagno ed ho acceso lo Zippo per parlare con il nonno. Lui mi ha detto che è felice di vedermi così solare ed energica, ma di non farmi troppe illusioni: «Sai, i rockettari sono quasi tutti dei villani di prima categoria!» mi ha detto con il suo tono da predica ed ho dovuto ammettere che non aveva tutti i torti. In quel momento mi è ritornato in mente Yuri, di quanto io sia stata innamorata di lui ma di quanto mi abbia fatto male ed anche tutta la sofferenza che ne è seguita. Così, guardando la fiammella, ho chiesto al nonno se poteva dirmi cosa mi aspetta in futuro con Nikki, se posso fidarmi di lui oppure no; e lui mi ha risposto: «Io so già cosa succederà tesoro mio, ma non voglio dirtelo. La vita è meravigliosa perchè è una continua scoperta; sia che tu scopra cose belle o brutte. Non voglio dirti cosa succederà perchè non gusteresti appieno le tue esperienze, perchè sono proprio quelle che ti permettono di crescere e maturare. Io mi sono letto il futuro per tutta la vita da quando mi sono convertito allo shintoismo e non ho fatto altro che rovinarmi tutto; la tua nascita e la morte di tua madre, perfino la mia malattia. Ho vissuto nel terrore aspettando il giorno della mia morte e non voglio che questo succeda anche a te. Ti prego Fiamma mia, vivi come se ogni giorno fosse l'ultimo. Gustati appieno ogni secondo, sia con le giuste esperienze che con i tuoi sbagli. Non fare il mio stesso errore». Ho sorriso. «Sei saggio nonno» gli ho detto.


Bunny era uscita dalla piscina e si era diretta verso Morea per aiutarla a raccogliere le fragole: «Guarda come sono invitanti! Meno male che hai comprato una nuova piantina il mese scorso, così già da aprile dell'anno prossimo potremo mangiare delle ottime macedonie» e così dicendo allungò la mano verso il cesto che la bella mora teneva in grembo; Morea, prontamente, le diede un buffetto: «Tieni giù quelle zampacce Bunny, o non rimarranno fragole per la torta». La biondina stava per sbuffare quando si udì il sopraggiungere di una motocicletta; tutte le ragazze si voltarono curiose verso la strada e videro fermarsi davanti al cancello, a cavallo di una Honda Shadow, un ragazzo a petto nudo, con indosso un paio di jeans aderenti, degli occhiali da sole enormi ed i capelli neri lunghi fino alle spalle che si erano aperti come la criniera di un leone. Rimasero tutte a bocca aperta. «Ma chi è?» bisbigliò Bunny nell'orecchio di Morea

«Non lo so» rispose l'amica imbambolata «ma assomiglia tantissimo al mio ex ragazzo». Bunny aggottò le sopracciglia: «Ma perchè tutti quelli che vedi assomigliano al tuo ragazzo?» le domandò con disappunto

«Bunny, che bel tatuaggio che ha sul pettorale destro, guarda!» le fece notare Morea stringendo a sè il cesto delle fragole

«Mi sa che hai preso un po' troppo sole» rispose Bunny sconcertata. Nel frattempo il giovane era smontato dalla moto e si era avvicinato al cancello: «Ehi tu con la coda di cavallo!» disse puntando il dito contro Morea che diventò paonazza «Dimmi un po', Rea abita qui?».

«Hai visto? Non gli interessi» sghignazzò Bunny e, di tutta risposta, si prese una gomitata in pancia dall'amica che la fece rotolare sull'erba. Morea si alzò e si avvicinò alla staccionata dicendo imbarazzata: «Sì, questa... questa è casa sua»

«Lei non c'è?» chiese il ragazzo guardandola fissa dietro le lenti scure

«Sta... sta facendo la doccia» balbettò Morea. Il ragazzo si allontanò leggermente dalla recinzione biascicando qualcosa a metà fra "cazzo" e "merda"; poi prese dalla sua moto una busta e la porse a Morea dicendole: «Io non posso fermarmi perchè non ho tempo. Dalle tu questa cosa». La cuoca di casa si rigirò fra le mani l'involucro di carta cercando di indovinare cosa contenesse; il biker fece per andarsene quando, improvvisamente, si voltò nuovamente verso Morea e chiese, indicando il cestino: «Quelle sono fragole?». La sprovveduta non fece nemmeno in tempo a rispondere che lui, come un fulmine, prese una manciata di frutti e se li mise in bocca; Morea rimase a dir poco sbalordita. «Umpf... sono assolutamente deliziose, sono davvero le più buone del circondario!» e, così dicendo, il ragazzo rimise in moto il mezzo e sparì. Morea rimase immobile davanti alla staccionata guardando il cesto. «Mi hai fatto male sai?» disse Bunny sopraggiungendo da dietro; ma l'amica non rispose alla sua domanda: «Ma... ma... quel cafone mi ha rubato le fragole!»

«Oh no... addio crostata» sentenziò Bunny con un groppo alla gola ma l'amica la rassicurò dicendole che la frutta che aveva ancora nel cesto era abbastanza per il loro dolce. Nel frattempo Marta saltellò verso le due ragazze chiedendo curiosa chi fosse quel fustacchione che si era appena fermato. «E chi lo sa! Sta di fatto che è maleducato» le disse Morea irritata «mi ha rubato le fragole»

«Cos'hai in mano?» domandò Marta vedendo la busta nelle mani dell'amica mora

«E' per Rea» rispose Morea facendo spallucce. Bunny, come un siluro, le rubò la busta di mano: «Dato che sono la migliore amica di Rea è compito mio aprirla!»

«Non ci pensare nemmeno!» le urlarono le altre due che subito si precipitarono su di lei; Bunny, per sfuggire alle loro grinfie, corse dentro casa e raggiunse Amy nel corridoio davanti al bagno, proprio mentre l'amica stava per salire a prendere le cose per farsi la doccia. Il futuro medico, sentendole gridare e bisticciare, si voltò e chiese: «Si può sapere cosa avete in ballo voi tre?»

«Amy!» gridò Bunny «Morea e Marta non mi fanno aprire la busta di Rea!»

«Perchè la devi aprire solo tu?» la rimproverò Marta

«Questo lavoro possiamo farlo anche tutte insieme» aggiunse Morea con un sorrisino diabolico. Ma Amy frenò tutte: «Non è corretto aprire la posta altrui!» sentenziò «Sapete benissimo che Rea è gelosa delle sue cose»

«Dai, non fare la guastafeste come il tuo solito!» disse Bunny e, proprio mentre stava per iniziare il discorso per convincere l'amica dai capelli blu ad aprire la busta, Rea uscì dal bagno. Le quattro ragazze si pietrificarono vedendola arrivare con l'asciugamano avvolto in testa: «Cosa state tramando?» chiese fiutando il complotto delle amiche

«Chiedilo a Bunny» disse Amy indicandola con la mano sinistra

«Ma dai!» esclamò la ragazza dai lunghi codini «Sei sempre la solita». Rea si avvicinò a Bunny con le braccia incrociate e, porgendole la mano destra, sentenziò: «Dammi». La biondina chinò il capo e le diede la busta; Rea se la rigirò fra le mani incuriosita: era una busta di dimensioni leggermente più grandi di quelle standard e conteneva qualcosa di ingombrante e rettangolare e non aveva nè timbri, nè francobolli e nemmeno un mittente. «Chi te l'ha data?» domandò la bruna e Morea rispose: «Un maledetto cafone che si è permesso di rubarmi le fragole... e si è pure allontantato dicendo che erano le più buone del circondario». A quelle parole Rea trasalì; strinse la busta al petto ed un sorriso incantevole le spuntò in viso. «Ti senti bene?» le domandò Marta aggrottando le sopracciglia; di tutta risposta Rea cacciò un urlo di trionfo e disse: «Venite su tutte in camera con me, voglio aprirla insieme a voi». Dopo pochi secondi erano tutte raccolte intorno alla scrivania dove Rea armeggiava con un tagliacarte per aprire la busta; una volta strappato il bordo, la ragazza tirò fuori una musicassetta ed un bigliettino di modeste dimensioni. Con le mani che tremavano per l'emozione, Rea lo aprì e lesse a voce alta quella calligrafia nera ed ordinata:


"Fra una settimana esatta passo a prenderti alle sei del pomeriggio. Ho deciso di farti una sorpresa che, spero, non dimenticherai tanto facilmente. Ho potuto noleggiare una sala cinematografica solo per noi e ti porterò a vedere un film che, sono sicuro, ti piacerà parecchio. Ci vediamo sabato prossimo, Nikki.

P.S. Su quel nastro ho registrato una canzone della colonna sonora del film".


Un boato di trionfo colmò l'aria della stanza dove si trovavano le ragazze. «Che bello! Sono felicissima per te!» esclamò Bunny rivolgendo all'amica un sorriso «Secondo me ti porterà a vedere una commedia romantica. E proprio durante la scena clue, anche lui ti stringerà e ti bacerà appassionatamente!»

«Oh no, non è vero» le disse Rea arrossendo

«Invece secondo me» si intromise Morea «ti porterà a vedere un film comico. Dato che è la prima volta che uscite così in intimità, la commedia romantica è troppo impegnativa»

«Balle Morea!» gridò Marta picchiando il pugno sul tavolo «Rea, secondo me, il tuo Nikki ti porterà a vedere un film dell'orrore. Vuole che tu gli salti in braccio mentre il mostro divora la gente e ti aggrappi a lui dicendo "Ho paura"». Rea ridacchiò vergognosa; le congetture delle sue amiche erano divertenti ma si sentiva leggermente imbarazzata a pensare a lei e Nikki seduti in una sala di un cinema dove c'erano solo loro due. Ad interrompere questi pensieri ci pensò Amy: «Ferme tutte, non avete considerato la variante più ovvia»; le risa si interruppero in un millesimo di secondo ed un silenzio quasi glaciale calò mentre le orecchie di tutte attendevano il responso del futuro medico. Amy riprese: «Secondo me non sarà di nessuno di questi generi il film che ti porterà a vedere. Considera la sua persona Rea, e considera anche i suoi comportamenti... ti porterà a vedere un porno». Dopo un attimo di silenzio tombale Bunny scoppiò in una fragorosa risata: «Non sono d'accordo Amy, secondo me il ragazzo sta mettendo la testa a posto». Ascoltando le parole della sua migliore amica Rea sorrise, ma dovette ammettere che anche quel genio di Amy non aveva tutti i torti: "La verità starà nel nastro... dopo me lo ascolterò in solitudine. E se fosse un indizio fuorviante? Oh, maledizione!". Le sue amiche la lasciarono sola nella sua camera; Rea si tolse l'accappatoio, si infilò la biancheria intima nera con le cuciture rosse e prese la cassetta.


Sabato 23 agosto 1986, 6 pm

Anche il nastro non ha etichette, esattamente come la lettera. Mi stavano tremando le mani dall'emozione quando l'ho messa dentro nel piccolo mangianastri che siamo solite portare in spiaggia (insomma, è il primo regalo di Nikki!). Ho chiuso lo sportellino ed ho schiacciato play; fruscii, rumorini di superficie vari... molto probabilmente l'ha registrata da un vinile. Ho stretto i pugni sperando di non sentire mugolii ed imprecazioni; Amy mi aveva impressionata anche fin troppo con la storia del film porno. Poi, improvvisamente, due colpi secchi di rullante e una chitarra ed una tastiera iniziano a suonare un ritmo serrato ed una voce maschile famigliare inizia a cantare. Durante il ritornello dice "Take me on your mighty wings"... che tutte le mie amiche abbiano sbagliato le loro congetture?


* * *


«Rea, spicciati! Sono quasi le sei!» le urlò Amy dal piano di sotto

«Lo so, lo so!» rispose la ragazza dai capelli corvini in preda al panico più totale mentre Bunny le svuotava l'armadio proponendole qualsiasi abbinamento possibile; il letto era interamente ricoperto di vestiti. «Allora, hai deciso o no?» sbottò Bunny guardando Rea paralizzata davanti a tutti quei capi; spazientitasi, la biondina lanciò all'amica un paio di jeans aderenti rossi ed un tubino nero di lycra: «Mettiti questa roba e abbinaci i texani neri. Svelta!». Rea eseguì come un robot: era talmente presa dall'idea che Nikki l'avrebbe portata al cinema che non riusciva nemmeno a pensare a cosa indossare. Meccanicamente si vestì, poi l'amica la trascinò in bagno dove l'attendeva Marta che la pettinò e la truccò in tempo record: «Stasera look abbastanza sobrio, niente cotone in testa» le disse la bella bionda spazzolandole i lunghi capelli neri lisci come la seta. Mentre le stava spruzzando il profumo, qualcuno suonò il campanello; Morea, dal piano di sotto, sbraitò: «E' lui, è arrivato!»

«Oddio, e adesso che faccio?» chiese Rea stringendo i pugni

«Comportati normalmente, vedrai che sarà fantastico» la rassicurò Bunny mettendole una mano sulla spalla e porgendole la giacca in pelle

«Adesso però sbrigati, non vorrai farlo aspettare!» le disse Amy trascinandola giù per le scale. Rea salutò in fretta e furia le sue amiche dopodichè Amy la spinse letteralmente sul vialetto e richiuse rumorosamente la porta. La bruna alzò gli occhi: lui era lì, con la sua criniera perfettamente cotonata, una camicia nera con un cravattino texano, dei jeans aderentissimi che lasciavano poco spazio all'immaginazione e degli stivali texani in pitone; l'aspettava, braccia conserte, seduto sulla moto con una gamba a penzoloni. Il suo viso era nascosto in gran parte dalla lunga frangia ma Rea vide che stava sorridendo; la guardava e sorrideva. Quell'espressione sul viso di lui le fece tremare l'anima, la scosse dall'interno come un terremoto; le sembrava impossibile che lui, uno dei ragazzi più desiderati del mondo, stesse uscendo con lei, una normalissima universitaria. Il primo impulso fu quello di corrergli incontro e buttargli le braccia al collo per poter dare una boccata del suo profumo e fargli sentire quanto fosse felice; ma Rea decise di avvicinarsi in modo più composto. Mai gli avrebbe fatto sospettare che le faceva quell'effetto; aveva paura che lui avesse cambiato opinione su di lei ed avrebbe iniziato a considerarla esattamente come tutte le altre ragazze del Sunset Strip e non più come una "personcina per bene". Rea attraversò il cancelletto e lo richiuse dietro di sè: «Buonasera» lo salutò mentre il suo cuore faceva una capriola «sei stato puntuale»

«E non va bene?» le chiese lui facendole la linguaccia

«Va benissimo. Anzi, sarò sincera, mi aspettavo un ritardo di un paio d'ore da parte tua» gli rispose Rea fingendosi disinteressata. Lui rise avvertendo nel suo tono di voce una forzatura: «Oh su, guarda che lo so che mi aspettavi. Non mi piace fare tardi al primo appuntamento» e mentre diceva queste parole prese la sua bandana e la legò alla testa di Rea, bendandole gli occhi.


Domenica 31 agosto 1986, 3 am

Quando mi ha bendata una secchiata di sentimenti mi ha investita facendomi tremare violentemente le gambe; la mia mente già volava, il mio cuore palpitava... pensavo che mi avrebbe baciata proprio davanti a casa. Ma lui, invece, mi ha presa per mano e mi ha detto...


«Ho dovuto litigare un pochino con il gestore del cinema sia per avere la pellicola, sia per avere un'intera sala a nostra disposizione... ma spero davvero che ti piaccia quello che ho organizzato». L'accompagnò delicatamente facendola sedere sul sellino del passeggero; poi montò anche lui e le disse: «Reggiti forte a me, dobbiamo fare un bel po' di strada». Le prese i polsi e se li portò ai suoi fianchi; poi accese la moto e partirono mentre il sole calava sul Pacifico.


Domenica 31 agosto 1986, 3 am

Lo stringevo per i fianchi, quasi riuscivo a sentire le ossa del suo bacino sotto i miei palmi; in quel momento le mie mani erano gli unici occhi che avevo. L'aria fresca della sera saliva dal mare e mi annodava i capelli mentre Nikki attraversava gli incroci e si fermava ai semafori; quell'aria mi portava alle narici l'odore del suo dopobarba. Odore di uomo, odore di sicurezza; mi sarebbe piaciuto avvolgerlo di più con le mie braccia, fargli sentire quanto gli fossi grata cingendolo interamente, ma non volevo espormi. Dopo una bella mezz'ora di tragitto, finalmente Nikki ha accostato e mi ha aiutata a scendere dalla moto; poi mi ha sbendata e...


«PUSSYCAT THEATRE?» esclamò Rea sdegnata vedendo l'insegna del cinema; "Per la miseria, Amy aveva ragione... e la canzone era completamente fuorviante!". «Non è come sembra...» tentò di difendersi Nikki ma Rea lo aggredì: «Tu mi porti a vedere un film pornografico?»

«INSOMMA, MI VUOI ASCOLTARE?» le urlò Nikki; Rea capì che lui le doveva delle spiegazioni. Il ragazzo proseguì: «E' questo l'unico posto dove mi facevano affittare un'intera sala. E ti garantisco che la pellicola che vedrai non è un porno»; detto questo la prese per mano e la portò dentro, non prima però di averle detto: «E se vuoi un consiglio, impara ad ascoltare la gente». Rea si rese conto del grande sbaglio che aveva fatto e pensò: "Vedrai, adesso mi lascia sola e lui se ne va"; ma proprio mentre formulava questa frase nella sua mente, Nikki le prese il mento e la fissò dritto negli occhi: «Non è niente, dai! Anch'io sono come te». Sorrisero in modo complice ed entrarono in sala.


Domenica 31 agosto 1986, 3 am

La sala non era esageratamente grande, con le poltrone rosse disposte su file rialzate come in un teatro greco. Un sipario di pesante tessuto bordeaux circondava lo schermo e le luci erano soffuse e giallognole; Nikki mi ha detto: «E' tutta tua, siediti dove vuoi». Così mi sono accomodata su una poltroncina in terz'ultima fila in uno dei posti centrali; Nikki mi ha seguita e prima di sedersi ha alzato il pollice al proiezionista che ha provveduto a spegnere le luci e a far partire la pellicola. Nikki si è seduto alla mia sinistra e il suo profumo, di nuovo, mi ha inebriata ed ipnotizzata; mi sono incantata a guardarlo, a fissare i suoi capelli, il suo profilo... Sentendosi osservato, lui si è voltato verso di me e mi ha detto: «Guarda che lo schermo è dall'altra parte» sempre con quel sorriso da demone tatuato in volto. Come i miei occhi hanno incrociato il telo di proiezione, è apparso il logo della Paramount accompagnato da una musica di sottofondo fatta di colpi di cimbali, gong ed accordi di tastiera; dopo una didascalia esplicativa è apparsa la schermata del titolo. Nel vedere quelle lettere il cuore mi si è colmato di gioia: "TOP GUN"; Nikki aveva colto il messaggio. Mi sono girata nuovamente verso di lui per ringraziarlo e Nikki era lì, che mi guardava divertito: «Ne va della tua arte Rea. So quanto ti piace volare»; con quelle poche parole riuscì a commuovermi: «Grazie di cuore»

«Figurati, ora però guarda il film». E proprio quando lui finì quella frase, Kenny Loggins iniziò a cantare "Highway To The Danger Zone".


Rea seguì tutto il film con gli occhi che brillavano; un misto di emozioni si erano impossessate delle sue membra: adrenalina e libertà da un lato e felicità e gratitudine dall'altra. Vedere Maverick solcare i cieli con il suo aereo la faceva sentire come un'aquila, un uccello dallo spirito libero, con la differenza che Rea aveva il cuore pieno di affetto e ammirazione per la persona che sedeva di fianco a lei. Durante la scena d'amore guardò Nikki con la coda dell'occhio: lui fece una smorfia di disgusto e bisbigliò: «Patetico»; Rea ridacchiò sottovoce. La proiezione durò poco più di un'ora e mezza; la ragazza era quasi dispiaciuta che il film fosse finito ma, soprattutto, si stava chiedendo cosa centrava la canzone che Nikki le aveva registrato sul nastro. Il suo dubbio fu immediatamente risolto con l'iniziare dei titoli di coda. "It's just a a ball of dust" Nikki si alzò in piedi "underneath my feet" e, guardandola dall'altro del suo metro e ottantacinque, "It rolls around the sun" le fece una domanda tanto sensata quanto idiota “Doesn't mean that much to me”: «Balliamo?». “Take a chance on the edge of life” Rea lo guardava con gli occhi sbarrati “Just like all the rest”; «Allora?» la incitò lui “I look inside and dig it out” ed in quel momento la ragazza capì che doveva davvero far spuntare le ali che nascondeva dentro “Cause there's no points to second best” e lasciarsi andare in quel ballo all'interno del cinema.


There's a raging fire in my heart tonight
Growing higher and higher in my soul
There's a raging fire in the sky tonight
I want to ride on the silver dove
Far into the night
Till I make you take me
On your mighty wings
Make you take me
On your mighty wings across the sky
Take me on your mighty wings
Take me on your mighty wings tonight


Rea si alzò in piedi e lasciò libere le sue emozioni, sentendosi libera come una farfalla su un prato, come un'aquila che domina il canyon. E Nikki le ballava di fronte, avvicinandosi e allontanandosi dal suo corpo, prendendola per le mani e trascinandola verso il corridoio laterale della sala. La faceva adagiare a sé, sensualmente, per poi scagliarla via, facendola roteare come una fata intorno ad un fiore; Rea si ritrovò a metà del corridoio mentre Nikki l'aspettava a braccia aperte alla fine della piccola salita. “There's a raging fire in the sky tonight” il ragazzo la guardò e le urlò: «Corri Rea, corri! Posso farti volare». Il suo cuore sobbalzò ed in quel momento capì che doveva seguire l'istinto “Take me on your mighty wings, take me on your mighty wings tonight!”. Rea corse verso Nikki e spiccò il volo; lui la prese per i fianchi ed iniziò a girare su se stesso. Le note dell'assolo riempivano la sala donando energia alla loro danza. La ragazza sentiva i suoi capelli liberi nell'aria mentre Nikki continuava a girare come un aereo in caduta libera, finchè non cadde sul serio sulla moquette tirandosi addosso Rea. I due si ritrovarono a pochi centimetri e potevano sentire i loro respiri affaticati sulla pelle dei loro visi; Nikki abbozzò un timido sorriso e si fece lievemente più vicino. Rea sentì il suo cuore fermarsi; fremeva dal desiderio di poter toccare le sue labbra dolcemente, per potergli trasmettere tutta la gratitudine e l'alchimia che fra loro si era creata. Iniziò a socchiudere le palpebre quando qualcuno tuonò dal fondo sala: «Che ci fai ancora qui dentro? Esci immediatamente che ho un'altra proiezione da fare!»; il proiezionista li squadrava con le braccia flaccide appoggiate lungo i fianchi. Nikki prese Rea per la mano e, come un razzo, corse fuori dalla sala; appena arrivato davanti alla moto, iniziò a ridere con il fiato mozzato dallo sforzo. Rea si unì a lui, per la prima volta guardandolo con occhi diversi; capì che, davvero, quel ragazzo poteva donarle qualcosa di importante. Dopo la proiezione andarono a cenare in un ristorante a Beverly Hills e chiacchierarono piacevolmente del più e del meno; fra i due iniziava a crearsi un legame davvero particolare. «Quando ci possiamo rivedere adesso?» le chiese Nikki mangiando una cucchiaiata del dessert

«Beh, io fra due giorni ricomincio le lezioni in università e anche il lavoro in officina; non avrò più molto tempo libero» rispose Rea triste

«Anch'io da lunedì sarò impegnato con i ragazzi... dobbiamo iniziare a trovarci in sala per scrivere il materiale per il nuovo disco. Credo che il tempo a nostra disposizione scarseggerà» fece una pausa «ma se tu mi lascerai il tuo numero di telefono cercherò di chiamarti tutte le sere». Il viso di Rea si illuminò e gli scrisse il suo recapito su un tovagliolino di carta: «Non perderlo, ok?» gli raccomandò

«Non preoccuparti» rispose lui «anche perchè un giorno, quando avrai tempo, mi piacerebbe invitarti da me. Ho appena comprato casa ed ho bisogno di alcuni consigli per l'arredamento»

«Ed io verrò con piacere» gli disse Rea sorridendo dolcemente.


NOTE:

Il titolo del capitolo “Mighty Wings” è ripreso dal brano omonimo dei Cheap Trick.

Panama: brano dell'album “1984” dei Van Halen.

Van Halen: gruppo californiano fondato nel 1974 dai due fratelli Van Halen di origine olandese; famosi per lo stile di chitarra molto innovativo di Eddie Van Halen e per le doti canore di David Lee Roth.

Wayfarer: modello di occhiali della Ray Ban.

Honda Shadow: motocicletta della Honda realmente posseduta dall'individuo in questione (che a questo punto non posso dirvi chi è perchè non si è ancora rivelato).

Texani: paio di stivali texani, tipici dell'abbigliamento glam metal.

Pussycat Theatre: catena di sale cinematografiche che fra gli anni 60 e la fine degli anni 80 erano diffuse in America e proiettavano esclusivamente pellicole pornografiche. Il suo logo era quello di una ragazza vestita da gatta.

Highway to the danger zone: brano della colonna sonora di “Top Gun”.

Maverick: nome di battaglia del luogotenente Pete Mitchell, protagonista del film, interpretato da Tom Cruise.

Il testo scritto in corsivo è quello di “Mighty Wings” dei Cheap Trick.


E rieccomi dopo aver scritto questo capitolo lunghissimo; è stato un parto ma spero che possiate apprezzarlo appieno. Come sempre ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono la mia storia: Demy84, SailorMercury84, Lady Mars, key17, star86, alemagica88, Cri cri, Moon 91, Alison_95, kay89 e anche tutti gli interessati non menzionati del Sailor Moon Italian Forum. Grazie anche ad ellephedre per la recensione al primo capitolo di questa fan fiction. Inutile dire che le vostre recensioni sono preziosissime, di qualunque natura esse siano, e non esitate a contattarmi se manca qualcosa nelle note.

EllieMarsRose

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Capitolo 7
*** Spoons And Needles ***


07 Spoons And Needles

Venerdì 3 ottobre 1986, 9 pm

Nikki ha mantenuto la parola e a sere alterne mi ha sempre telefonato, anche se solo per due minuti. Siamo molto occupati entrambi: lui è in sala prove con la band ed io mi divido fra l'università e l'officina. Le nostre conversazioni telefoniche sono brevi, non abbiamo nemmeno tanto tempo per poter scambiare due parole, giusto un «Come va?» oppure «Incasinata la giornata?». Mi piacerebbe sapere cosa è riuscito a comporre, come sta andando la preproduzione dell'album... se è possibile avere un nastro in anteprima, cose simili. Ma il tempo non è dalla nostra parte... esattamente come al cinema... ogni tanto ci ripenso; ma credo che sia stato meglio così, che non sia scappato nessun bacio. In questo momento starei soffrendo troppo se lui l'avesse fatto; l'idea di non poterlo vedere per troppo tempo mi avrebbe corrosa dall'interno come acido muriatico. Comunque, lui continua a chiedermi se riesco ad andare a casa sua un sabato pomeriggio per potergli dare qualche consiglio sull'arredamento; gli ho detto che quello non è proprio il mio ambito, però ha inisistito, dice che ha bisogno di qualche quadro o di qualche piccola scultura. Solo che per tutto il mese di settembre sono stata impegnata in officina tutti i weekend perchè c'erano diversi chopper da preparare per un raduno a San Francisco, quindi io ed Heles abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e lavorare sodo; morale della storia, ho dovuto bidonarlo ogni volta a malincuore (a quanto pare, però, non se l'è presa... anzi, sembra contento del mio lavoro). Ma dal momento che, a partire da ottobre, il lavoro si dimezza (perchè arriva l'inverno) ho deciso che domani andrò da lui. Mi sono fatta dare l'indirizzo: abita sul Valley Vista Boulevard a Van Nuys. Sono circa quindici o venti minuti in macchina da qui; domani faccio benzina alla mia Ford e poi vado, sono quasi a secco.


Quel sabato il sole giocava a nascondino dietro le nuvole, apparendo per qualche minuto e scomparendo successivamente per lunghi quarti d'ora; nonostante questo, quella mattina Rea si svegliò con un sorriso meraviglioso ed un'energia positiva che le fluiva per tutto il corpo. Appena dopo pranzo iniziò a prepararsi cercando di scegliere dei vestiti carini ma non troppo vistosi; d'altra parte non era un incontro galante: "Vedila di più come una proposta lavorativa" si diceva mentre si truccava guardando la sua immagine nello specchio del bagno. Aveva optato per un maglioncino nero con i polsini rossi e dei jeans normalissimi; trucco non pesante, giusto dell'eyeliner per evidenziarle quegli occhi color ebano dalle sfumature indaco, un velo di fard magenta ed un rossetto non invadente. Uscì di casa verso le tre salutando le sue amiche e dicendo a Morea che, se non fosse tornata per cena, l'avrebbe avvisata in tempo. «Evvai Rea!» le disse Bunny alzando il pollice della mano destra «In bocca al lupo»

«Crepi» rispose la ragazza dai capelli corvini con un sorriso «comunque sappi che sarà una cosa molto tranquilla»

«Tranquilla?» si intromise Marta con uno sguardo che lasciava presagire pensieri maliziosi

«Sì bella bionda, tranquilla... non farti strane idee!» le rispose Rea prendendo le chiavi dell'auto e chiudendo la porta dietro di sè mentre Amy la salutava facendole l'occhiolino. Si era dimostrata tranquilla davanti agli sguardi delle amiche ma, in cuor suo, era più agitata delle fiamme di un incendio che divorano la vegetazione secca; si recò nel garage per prendere la macchina. Prima di riuscire ad uscire dal cancello spense il motore per ben tre volte; le gambe le tremavano talmente tanto che continuava a scapparle il piede dalla frizione. "Diamine! Devo calmarmi" pensò la ragazza; fece un respiro profondo cercando di frenare il tremore delle sue membra e finalmente riuscì a portare fuori la macchina dal cancello; si fermò a fare il pieno in Bellagio Road e poi imboccò il Beverly Glen Boulevard in direzione nord, verso Van Nuys. Appena svoltò in Valley Vista Boulevard rimase piacevolmente colpita dalla simmetria delle palme che costeggiavano il lungo viale dove piccole e numerose salite portavano ai cancelli di grandi e lussuose ville; tutti i vip che non avevano trovato sistemazione a Beverly Hills andavano a cercarsi la casa a Van Nuys. Rea posteggiò la sua Ford vicino ad una salita dove, in cima, si scorgeva un cancello dalle grate alte almeno due metri e mezzo; tutti i listelli d'acciaio terminavano con punte accuminate ed i pilastri più grossi avevano dei teschi incastonati sopra. Di sicuro, quella era casa sua; "Solo un idiota come lui può farsi una recinzione così gotica" pensò Rea con un sorriso chiudendo la macchina ed imboccando il vialetto. Giunta davanti al cancello suonò il campanello ma, stranamente, non ricevette nessuna risposta; "Strano, non può essere uscito" rimuginò la ragazza fra sè "sapeva che dovevo venire qui". Premette nuovamente il pulsante del citofono ma, ancora, nessuno le rispose; la rabbia iniziava a ribollire dentro di lei quando, appoggiandosi al cancello, notò che la porta era socchiusa. Alla rabbia, immediatamente, subentrò la paura.


Sabato 4 ottobre 1986, 11 pm

Perchè il cancelletto era aperto? Mi si è gelato il sangue quando l'ho notato; ho avvertito una strana energia. Anzi, ad esser più precisi, nel momento in cui ho toccato l'acciaio del cancelletto per aprirlo ho sentito dell'energia negativa provenire dalla casa; in quell'istante ho pregato con tutta me stessa di non trovare nè ladri, nè assassini, nè tanto meno stupratori. Però quella forza oscura mi attraeva a sè... era come se ne fossi ammaliata, come se la sua sublime bruttezza mi attirasse facendola diventare affascinante... e come un automa ho imboccato il vialetto augurandomi di non trovare strisce di sangue per terra.


«Nikki?» chiamò Rea dopo essersi chiusa dietro le spalle il cancello; lo scattare della serratura le fece venire un brivido: se le sue congetture erano esatte, quella sarebbe diventata una prigione e sarebbe stata un'impresa uscirne. E mentre la sua mente pensava queste cose, dal giardino ben curato non arrivò nessuna risposta; silenzio, solo il frusciare delle foglie mosse dal leggero vento autunnale. Quasi in punta di piedi la ragazza si avviò verso la porta d'ingresso di quell'enorme casa dalle pareti esterne color panna; si guardò di nuovo intorno con fare circospetto e suonò il campanello. Nessuna risposta. "Ma che cosa sta sucedendo qui?" si chiese mentre l'adrenalina iniziava a fluire copiosa nelle sue vene "Avverto dell'energia negativa... perchè Nikki non risponde?". Lo chiamò di nuovo per nome a gran voce ma la risposta fu il silenzio dell'ambiente circostante.


Sabato 4 ottobre 1986, 11 pm

Mi sono appoggiata alla porta d'ingresso sperando di avere fortuna come con il cancello ma, purtroppo, era chiusa a chiave. Iniziavo a sentirmi sempre più agitata; lui mi aveva promesso che sarebbe rimasto in casa ad aspettarmi ma, ancora, non si era fatto vivo. Il cuore mi batteva come un tamburo sia perchè avevo voglia di vederlo, sia perchè tutto quell'insieme di cose e quella strana energia che percepivo non mi piacevano per nulla. Quindi ho iniziato a girare intorno alla casa sperando di trovare un punto in qualche finestra per poter guardare dentro ed accertarmi che tutto fosse ok; ma tutte le tende erano tirate e non c'era modo di sbirciare. Nel frattempo guardavo anche a terra, augurandomi di non trovare macchie di sangue o cose simili. Bussai alla porta sul retro ma, ancora, non arrivò nessuna risposta dall'interno. A quel punto mi rassegnai.


Le lacrime le inondarono gli occhi ma Rea le cacciò brutalmente indietro; non voleva crederci che Nikki si fosse dimenticato di lei. Inoltre, quel senso di oppressione e timore non accennava a diminuire nel suo animo; prima di imboccare il vialetto per tornare alla sua Ford (scavalcando la recinzione come una ladra per uscire), decise di fare un ultimo tentativo. Tornò davanti alla porta d'ingresso, suonò nuovamente il campanello ed attese. Dopo dieci secondi ancora nessuno era venuto ad aprirle l'uscio; con un nodo alla gola chiamò Nikki per nome più forte che potè sperando di ricevere un segno. Ed in quell'istante uno dei vetri del piano terra della casa si ruppe in mille pezzi con un fragoroso botto, probabilmente quello di un'arma da fuoco; Rea si voltò di scatto e si buttò a terra davanti alla porta d'ingresso. "Che cazzo sta succedendo qui?" pensò ansimando dalla paura "Devo assolutamente chiamare la polizia"; «Nikki!» urlò dando sfogo al terrore che si era impossessato di lei. Ci fu qualche breve attimo di quiete, dopodichè la serratura scattò e la porta d'ingresso si aprì di qualche centimetro; Rea seguì quel movimento con gli occhi sgranati e trattenendo il fiato, non sapendo cosa aspettarsi. «Rea?» chiese una voce dall'interno «Sei tu?»

«S-sì...» sibilò lei con un filo di voce «Nikki, sei tu vero?». Una mano si sporse da dietro la porta e le fece cenno di entrare. Rea si rialzò lentamente e varcò la soglia. Dentro era buio e la poca luce che entrava filtrava da tende in velluto color cremisi; tutto quello che c'era dentro quella casa aveva dei profili inquietanti, oscuri, quasi malati. Solo una cosa riuscì a distinguere nitidamente: un tappeto persiano ricoperto da mozziconi di sigarette, aghi e cucchiai. La porta si richiuse scattando sordamente dietro le sue spalle. Rea avvertiva un accumulo di energia negativa proprio dietro di sè; si voltò lentamente, sperando di non vedere spiriti maligni o entità affini, ed il suo sguardo si fermò sulla persona che l'aveva fatta entrare. Nikki era appoggiato alla porta, completamente nudo; teneva in mano un fucile ed il suo avambraccio sinistro era solcato da un rivolo di sangue quasi coagulato. Aveva i capelli spettinati e gli occhi vuoti, spalancati, con le pupille completamente dilatate; respirava affannosamente e tremava come se fosse scosso da un terremoto interiore. Rea inorridì: «Oddio, ma che ti è successo?» gli chiese con un filo di voce portandosi la mano destra alla bocca. Lui non rispose, cadde semplicemente in ginocchio davanti a lei seguito dal fucile; lui emise un grugnito e picchiò il pugno contro il pavimento. Rea si chinò sul ragazzo, preoccupata; cercò di articolare una frase ma dalla sua bocca non uscì nulla. Era esterefatta, completamente senza parole. Nikki continuava a tremare violentemente e a picchiare il pugno destro contro le piastrelle. Rea tentò di calmarlo mettendogli una mano sulla spalla, ma Nikki si scostò violentemente scattando in piedi: «No, ti prego, non guardarmi!»; si incamminò barcollando verso il divano di pelle nera al centro del salotto. Guardandolo attraverso quella luce grigiastra che filtrava dalle finestre chiuse, Rea lo vide come uno scheletro intento a dirigersi verso la sua tomba; le si strinse il cuore a quella visione: un morto che camminava. Riusciva a vedergli le ossa; rispetto a quando lo aveva visto per la prima volta ad aprile, Nikki era dimagrito paurosamente. Il ragazzo si accasciò sul divano e si coprì le nudità con la mano sinistra mentre la destra nascondeva qualcosa sull'avambraccio sinistro. Rea si alzò e andò verso di lui, stando attenta a non pestare nessun ago o cucchiaio riverso sul pavimento; lui continuava a tremare e ad evitare il suo sguardo. «Ti porto qualcosa con cui coprirti?» gli chiese lei timidamente, arrossendo di fronte alla sua pelle scoperta

«L'accappatoio, nel bagno» rispose lui continuando a tenere il capo chino.


Sabato 4 ottobre 1986, 11 pm

La camminata verso il bagno non era stata agevole; gargoyles spuntavano da ogni dove: dalla libreria, dagli scaffali, erano perfino appesi ai muri. In più, a terra, c'erano tonnellate di mozziconi e cucchiai sporchi; mi sono chiesta cosa se ne faceva e perchè li abbandonasse lì. Quando sono arrivata in bagno mi si è presentato davanti agli occhi uno spettacolo raccapricciante: il pavimento era macchiato di sangue. Ma non una semplice striscia, no... una macchia larga un paio di dita partiva dall'armadietto dei medicinali e scendeva fino a terra. Mi sono avvicinata alla cassetta del pronto soccorso per vedere di cosa Nikki avesse bisogno; forse del paracetamolo, del cortisone o dell'antidolorifico... ma quello che trovai fu molto più di un antidolorifico. Appoggiata sullo scaffale più alto e circondata da un set di siringhe ancora incartate c'erano diverse once di eroina. In quel momento ho realizzato a cosa servissero tutti quei cucchiai: quelli erano i suoi pentolini dove cuocere la droga per poi iniettarsela direttamente in vena.


In quel momento le emozioni più disparate vennero a galla nell'animo di Rea: sgomento, rabbia, tristezza, panico. "Perchè lo fa?" si chiese rimanendo immobilizzata davanti all'armadietto; strinse i pugni per cercare di reprimere le amare lacrime della delusione che volevano sgorgarle fuori dagli occhi. Non voleva crederci. Si voltò per prendere l'accappatoio ed uscì dal bagno: "Pensavo che lui fosse diverso, credevo che di queste cose non se ne faceva proprio niente... invece..."; gli porse l'accappatoio con gli occhi lucidi. Nikki continuò a non guardarla in volto mentre si infilava l'indumento. Trascorsero alcuni istanti interminabili, attimi di silenzio insostenibile dove l'unico suono che riecheggiava nell'ambiente era il respiro affaticato del bassista; erano uno davanti all'altra in piedi vicino al divano, l'uno con la testa china pieno di vergogna, l'altra che stentava a trattenere le lacrime nel vedere il ragazzo a cui si stava affezionando schiavo di una diabolica mistress.

«Nikki» lo chiamò Rea cercando di impostare la voce di modo che lui non sentisse che il pianto le stava uccidendo le corde vocali. Il ragazzo alzò la testa e disse: «Ce l'hai fatta alla fine... a vedere la vera parte di me»; si sedette sul divano e si prese la testa fra le mani: «Vieni vicino a me?» le chiese con voce supplichevole. Lentamente Rea si sedette vicino a Nikki; ci fu silenzio per qualche istante, dopodichè lui iniziò a parlarle: «Non volevo mostrarti questa parte di me, credimi. Sei l'ultima persona dalla quale voglio farmi vedere ridotto così». Ansimava violentemente e non riusciva a rimanere fermo: «Non chiedermi perchè... so solo che tu non devi vedermi così» cercò di deglutire ma aveva la bocca completamente impastata «L'ho sempre saputo che tu non dovevi vedermi in compagnia dell'eroina... fin da quando ti ho addocchiata al Whisky quella sera». Rea rimase esterefatta: «Allora è per quello che hai evitato che finissi nelle grinfie di Axl?» gli chiese debolmente

«Sì... ed anche quando ti ho cacciata fuori dal camerino era perchè non volevo farmi vedere che armeggiavo con tutto il mio arsenale. Non è stato piacevole buttarti fuori così in malomodo; ma ho dovuto. L'ho fatto perchè... perchè emani un'energia alla quale non sono indifferente». Alzò gli occhi e la guardò, con le iridi verdi appena visibili; poi serrò le palpebre ed appoggiò la sua testa sulla spalla di Rea. «So che tu puoi aiutarmi» disse mentre le convulsioni gli scuotevano i muscoli del corpo «sin da quando ti ho vista, io so che tu hai il potere di liberarmi di lei... aiutami, ti prego, aiutami». A quelle parole Rea non fu più capace di trattenere le lacrime; non sapeva cosa dirgli, non aveva mai avuto a che fare in vita sua con un tossicodipendente. Tutto quello che poteva fare era trasmettergli il suo calore; sapeva che lui lo voleva, le aveva detto proprio questo. Lo abbracciò, stringendo i denti e strozzando i singhiozzi, per evitare di mostrargli la sua debolezza; in quel momento Nikki aveva bisogno di un appiglio di marmo e non di un gancino di ferro arrugginito. Lo cinse con le sue braccia e poggiò la sua mano destra sul costato di lui; il cuore stava per esplodergli ed il diaframma era sconquassato da movimenti troppo veloci: «Calmati Nikki» gli disse Rea nell'orecchio mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia «ci sono qui io, la tua Fiamma... sii forte». Il ragazzo cercò di controllare la sua respirazione e, lentamente, riuscì a ritornare ad un ritmo più normale; anche il suo cuore decelerò. «Stare con te mi fa bene» le sussurrò Nikki «se tu sei con me io non voglio farmi... non voglio che tu veda che animale sono. Perchè è proprio quello che divento». Il ragazzo alzò la sua mano sinistra e le prese la mano destra, quella che teneva poggiata sul suo petto; la strinse e giocò con le sue dita per un momento. Poi si rimise a sedere e, guardandola negli occhi, le disse: «Ho bisogno del tuo aiuto, della tua energia positiva; solo tu puoi aiutarmi ad uscire dal tunnel... ti prego Rea, vuoi diventare la mia ragazza?». Rea impallidì: «La tua cosa?» gli chiese flebilmente passandosi il dorso della mano sinistra sul volto per asciugarsi le lacrime; non poteva crederci. Era felicissima ed impanicata allo stesso tempo. Nikki continuò: «Se diventi la mia ragazza io avrò sempre meno motivazione... userò sempre meno l'eroina e tutto quello che ci ruota intorno» fece una pausa di silenzio «Io ti voglio bene Rea... e so che anche tu ne vuoi a me. Altrimenti perchè stare qui e non scappare a gambe levate nel vedere il mio fantasma con un fucile in mano?». Accennò un leggero sorriso e tirò su col naso: «So che sarà una relazione atipica, ti ho a malapena presa per mano...» ed in quel momento una lacrima scivolò via dalle ciglia di Nikki «ma, ti scongiuro, stai con me. Ne ho bisogno». Davanti agli occhi di Rea si era materializzata una persona completamente diversa da quella che pensava di conoscere.


Sabato 4 ottobre 1986, 11 pm

Avevo di fronte il vero Dottor Jekyll; Mister Hyde se ne sta in superfice, è la sua maschera per la sopravvivenza. Ma Dottor Jekyll è tutto il contrario: è fragile, sensibile, ma soprattutto bisognoso d'aiuto. Ammetto di aver avuto paura quando Nikki mi ha chiesto di diventare la sua ragazza; non sapevo cosa aspettarmi. Ma lui vuole che io lo aiuti... ed io per lui farei di tutto; voglio tirarlo fuori da quella nera spirale che lo sta risucchiando. Perchè ci tengo a lui... perchè lo amo. Sì. Sarà da idioti, sarà da scemi, ma c'è qualcosa in quel ragazzo che mi ha stregata... c'è qualcosa che ci lega; ed io voglio aiutarlo a ritrovare se stesso.


Quello che aveva davanti non era più il Nikki Sixx ribelle e cafone, il classico rocker bello e dannato che faceva morire tutte le ragazze che gli passavano di fianco; quello era Frank Carlton Serafino Feranna, quell'identità che il ragazzo tanto aveva faticato per cancellare e che, in qualche modo, riusciva sempre a ritornare a galla in momenti delicati come quelli. Era la sua parte dolce ed indifesa, quella di un bambino distrutto moralmente ma che ancora crede di poter rivedere la luce. Tutta quell'improvvisa innocenza che apparve sul volto di Nikki travolse Rea come una valanga; la ragazza si lasciò trasportare dalle sue emozioni ed abbracciò il ragazzo... il suo ragazzo. Lui ricambiò la sua coccola con un velo di imbarazzo, quasi come se fosse la prima che riceveva in vita sua. «Sono in difficoltà sai? Non riesco più a comporre, non ho buone idee... in tutte queste settimane di sala prove ho combinato ben poco» iniziò a sfogarsi Nikki «Prima per me, la musica era come se fosse mia madre, tutto quello per cui potevo vivere. Ma anche lei mi sta abbandonando ora; siamo solo io e quella calda coperta. Anche con gli altri del gruppo non c'è più il legame di prima: Mick è sempre sulle sue, Vince è sempre in bagno a scopare e Tommy... beh, da quando c'è Heather, non è più quello di prima. Ho paura Rea, paura che mi venga a mancare l'unica famiglia stabile che abbia mai avuto in tutta la vita». La ragazza dai lunghi capelli neri avrebbe voluto fargli tante domande per capire meglio il motivo del suo malessere, ma aveva accumulato troppa tensione in un arco di tempo veramente piccolo e l'unica cosa che riusciva a fare era continuare a donargli il proprio calore, stringendolo a sè. Nikki sospirò, prese la sua mano destra e se la portò al cuore: «Ti supplico, fa' che non smetta mai di pulsare. Ho paura di morire Rea... prega per me». La bruna annuì silenziosamente; avrebbe pregato il fuoco ogni sera per fare in modo che i sacri spiriti avrebbero vegliato su di lui e gli avrebbero portato consiglio. Ed anche il nonno le avrebbe dato una mano. «E per quanto riguarda l'arredamento» concluse Nikki «a quello penseremo un'altra volta».


NOTE:

Il titolo del capitolo si traduce come "Cucchiai ed aghi"

Valley Vista Boulevard: strada di Los Angeles dove, in quel periodo, Nikki Sixx aveva la sua casa.

Van Nuys: distretto della regione di San Fernando Valley all'interno della città di Los Angeles.

Tappeto persiano ricoperto da mozziconi di sigarette, aghi e cucchiai: il tappeto in questione appare realmente nella casa di Nikki; ne parla nel suo libro "The Heroin Diaries".

Frank Carlton Serafino Feranna: nome di battesimo di Nikki Sixx; il nome viene poi cambiato il 7 novembre 1980 tramite procedure burocratiche in Nikki Sixx (quindi non è solo il suo nome d'arte, è anche quello che si ritrova nei documenti).

Calda coperta: con questo termine in "The Heroin Diaries" Nikki Sixx intende l'eroina.

Mick Mars: chitarrista della band.

Vince Neil: cantante della band (noto per le sue performance con le fan).

Tommy Lee: batterista della band legato a Nikki da una profonda amicizia; Nikki afferma che Tommy è il fratello che non ha mai avuto (da "The Heroin Diaries").

Heather Locklear: prima moglie di Tommy Lee.

Prega per me: riferimento alla canzone "Pray For Me" dei Sixx:A.M.


Ammetto che scrivere questo capitolo è stato davvero difficile; la drammaticità della storia sta proprio nel fatto che si è di fronte ad un tossicodipendente che ha delle serie difficoltà a rinunciare alla sua droga ma vuole essere una persona migliore perchè quella ragazza si sta impossessando della sua mente. Avete finalmente scoperto a cosa serviva il cucchiaio del quinto capitolo ed avete visto un Nikki Sixx debilitato, fuori di sè e chimicamente sbilanciato. Ora, ce la farà Rea con il sacro fuoco ed il nonno ad aiutare quello scapestrato di bassista a rimettersi in carreggiata? Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni commento vostro è sempre bene accetto, di qualunque sfumatura esso sia; personalmente, credo che questo non sia di certo il capitolo migliore che ho scritto, quindi non esitate a farmi notare errori o semplicemente a dirmi che è dannatamente noioso. Grazie come sempre a Demy84, SailorMercury84, alemagica88, Cri cri, key17, kay89, LadyMars, Moon 91, marziolina86, Alison_95 e pianistadellaluna per il loro supporto; e grazie anche a tutti coloro che spendono anche solo dieci minuti del loro tempo per leggere la mia storia.

Ellie

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Capitolo 8
*** Un Pomeriggio Con Amy ***


08 Un Pomeriggio Con Amy

Quella sera era ritornata a casa tardi; verso le sei aveva telefonato a Morea dal cordless di Nikki dicendole di non calcolarla per cena. I due avevano passato il pomeriggio quasi completamente in silenzio; avevano comunicato con i loro corpi, con i loro occhi e con le loro mani, perchè non c'erano parole per parlare della situazione in cui Nikki aveva trascinato Rea. Il ragazzo era rimasto sdraiato sul divano, in fissa sul parquet, avvolto nell'accappatoio che aveva indossato all'arrivo della ragazza; lei cercava di occuparsi di lui nel modo migliore. Aveva preparato dei panini con quel poco che aveva trovato nel frigorifero ma Nikki si rifiutò di mangiare. «Fai uno sforzo» lo supplicò Rea «sei a corto di energie»; lui si mise a sedere ma tutto ciò che riuscì a mandar giù furono due morsi del sandwich e nulla di più. Con grande fatica Rea lo portò in camera sua e lo fece vestire; Nikki sentava a stare in piedi, continuava a perdere l'equilibrio e ad aggrapparsi alla sua ragazza. Con uno sforzo immane lei lo poggiò sul letto e gli rimboccò le coperte; Rea guardò la sveglia sul comodino e vide che erano già le dieci di sera. «Vai... vai a casa» biascicò Nikki in dormiveglia

«Non mi sento tranquilla a lasciarti qui così» gli disse Rea preoccupata scostandogli una ciocca di capelli dal viso

«Umpf... sei la prima persona che si prende cura di me in questo modo» le disse con un mezzo sorriso; tentò di alzarsi su un gomito ma scivolò e ritornò a posare la testa sul cuscino «Prendi le chiavi che sono nella tasca della mia giacca... te le affido, chiudi pure tu». Rea, a malincuore, indossò la sua giacca in pelle; stava male al solo pensiero che Nikki avrebbe trascorso la notte da solo ridotto in quello stato. «Ti prego, domani telefonami quando ti svegli» lo salutò Rea agitata; lui annuì con gli occhi chiusi.


* * *


Era rincasata circa mezz'ora dopo; in macchina non aveva acceso lo stereo, non aveva nemmeno canticchiato un po'. Era troppo assorta nei suoi pensieri. Entrò senza far rumore e salì in camera sua dove iniziò a girovagare senza meta per tutto il perimetro; aveva già versato troppe lacrime in silenzio di spalle a Nikki quel pomeriggio. Non voleva farsi vedere debole da lui; aveva bisogno di aiuto e lei doveva fornirglielo. "Ma come, dio, come?". Camminava a piedi nudi disegnando motivi concentrici sul pavimento mentre la lampada da tavolo della scrivania illuminava l'ambiente circostante. "C'è troppo silenzio" pensò nervosamente la ragazza, quindi accese la radio a basso volume sui 95,5 fm, KLOS Southern California's #1 Classic Rock Station. Il dj di turno spese due parole e lanciò un singolo dal nuovo album dei Bon Jovi, "You Give Love A Bad Name"


Sabato 4 ottobre 1986, 11 pm

Certe volte ho un particolare feeling con gli elettrodomestici, con MTV o con la radio... perchè mi mettono davanti all'evidenza.


"Shot through the heart, and you're to blame, darling you give love a bad name" Rea annuì in silenzio dando un occhio alla spia rossa della radio; non poteva non dare torto a Jon. "An angel's smile is what you sell, you promise me heaven then put me through hell" niente di più vero; il sorriso di Nikki poteva essere definito come quello del ragazzo della porta accanto. Un sorriso dolce e piacevole per il quale Rea aveva perso la testa; ed era finita all'inferno. "Chains of love got a hold on me, when passion's a prison you can't break free... oh, you're a loaded gun" altrochè! Era più che una pistola carica quel ragazzo... era una dannata ghigliottina. "Oh, there's nowhere to run, no one can save me, the damage is done!" non c'era modo di nascondersi, e Rea lo sapeva bene. Il danno era fatto; ora tutto quello che c'era da fare era riparare. Ad un tratto la ragazza di voltò di scatto verso la porta che aveva sentito scricchiolare lievemente; Amy fece capolino: «Ciao Fiamma, che faccina sconvolta che hai». In quel momento le si accese una lampadina: «Amy, posso chiederti se hai del tempo per chiacchierare un po'?»

«Ma certo» sorrise la ragazza dai capelli blu «ho appena finito di studiare biochimica, posso anche rimanere sveglia tutta la notte ad ascoltarti». Chiuse la porta e Rea la invitò a sedersi sul letto di fianco a lei: «C'è qualcosa che ti turba amica mia?» le domandò Amy vedendo che Rea teneva gli occhi bassi. La ragazza dai capelli corvini fece un lungo sospiro: «Si tratta di Nikki...»; le disse tutto, le raccontò ogni cosa che era successa nel pomeriggio e di come aveva vissuto quell'esperienza. Amy l'ascoltava con attenzione sorreggendosi il mento con la mano destra chiusa a pugno; quando Rea finì di parlare, Amy la prese per le mani e le disse: «Da come me ne parli, la cosa sembra piuttosto grave» fece una pausa e poi riprese: «Io non ho ancora le competenze necessarie, ma se tu riesci a portarlo qui a casa quando non c'è nessuno, cercherò di farlo parlare, di farmi dire perchè lo fa. Alla base dell'uso di droghe c'è, generalmente, un malessere, fisico o psicologico che sia... se lui me ne parla, magari riusciamo a scoprire qualcosa»

«E magari anche a farlo smettere» aggiunse Rea

«Beh...» esitò Amy «quella è la parte più difficile. Ora però vai a dormire e vedrai che domani ti telefona»; un sorriso di conforto apparve sulle sue labbra. Rea si sentì leggermente rincuorata e si mise sotto le coperte; prima di addormentarsi, però, prese lo Zippo e chiamò il nonno. «Fiamma mia, la preghiera può aiutare» le disse il vecchietto «ma ricordati che anche la persona per cui preghi deve collaborare. Manderò gli spiriti del fuoco a vegliare su di lui»

«Grazie nonno, di meglio non potevi fare» sorrise la ragazza

«Già... nulla è più salutare per un sagittario che avere gli spiriti del fuoco che vegliano su di lui. Stai pure tranquilla bambina mia; ora dormi dolce fuoco mio». La mattina seguente si svegliò verso le nove con il cuore in gola; tutta la notte aveva dormito un sonno agitato per paura di non ricevere la telefonata di Nikki. Le sue amiche cercavano di farle forza, dicendole che sicuramente in giornata l'avrebbe chiamata, ma anche loro avevano dei seri dubbi; finalmente all'una e un quarto il telefono squillò. Rea si precipitò a rispondere: «Sono vivo» disse la voce di Nikki dall'altro capo del filo; la ragazza tirò un sospiro di sollievo e si sentì leggera come una piuma: «Come ti senti?»

«Come al solito... una merda» e fece una risatina; sentirlo ridere era bello, significava che stava bene in qualche modo. Le sue amiche, intanto, si scambiavano cinque e Bunny e Marta improvvisavano danze tribali per festeggiare la telefonata. Rea sorrise silenziosamente al telefono: «Nikki, devo parlarti... posso passare da te questo pomeriggio?»

«E' una cosa bella o brutta quella che mi devi dire?» chiese sospettoso il ragazzo

«Credo che sia una cosa bella» lo rassicurò Rea «se arrivo fra un paio d'ore va bene?». Il ragazzo le rispose affermativamente; poi si salutarono. «Evvai!» urlò Bunny saltando sul divano «Morea, tira fuori lo champagne che bisogna festeggiare!»; tutte esplosero in una fragorosa risata liberatoria. Amy mise una mano sulla spalla a Rea e le disse: «Fatti bella per lui e, mi raccomando, parlagli di quello che ti ho detto stanotte... mi metto io d'accordo con le ragazze per il giorno in cui avere la casa tutta per noi». Rea annuì e corse a prepararsi.


Domenica 5 ottobre 1986, 10 pm

Quando sono arrivata da lui l'ho trovato sul divano; stava leggendo un libro. Mi sono avvicinata e gli ho sventolato le chiavi sotto il naso; in quel momento ha sfornato uno dei sorrisi più belli che gli abbia mai visto fare. Si è alzato dal divano, mi ha abbracciata per un secondo ma è bastato a mandarmi l'animo in subbuglio; profumava di bagnoschiuma al muschio... potente aroma maschile. «Tienile pure le chiavi» mi ha detto quando mi ha guardata nuovamente in viso, poi ha aggiunto «Allora, cosa mi devi dire di tanto importante?». Ci siamo seduti sul divano ed ho iniziato a raccontargli cosa ho fatto ieri sera quando sono tornata a casa, a partire dal momento in cui sono salita in macchina fino alla chiacchierata con Amy. Ha aggrottato le sopracciglia e mi ha detto: «Vuoi portarmi in clinica? Col cazzo, non ci vengo»; ho provato a rassicurarlo, a spiegargli che non doveva sentirsi minimamente obbligato a parlare con la mia amica ma lui ha continuato: «So benissimo come si finisce in questi casi: metadone. Che poi non serve nemmeno a un cazzo». Si è alzato di botto dal divano ed è andato in cucina; l'ho seguito, parlandogli, cercando di spiegargli che non volevo portarlo da nessuna parte, volevo solo che scaricasse le sue tensioni su qualcuno.


«La tua amica crede di potermi curare con il transfert freudiano? Stronzate!» e detto questo si attaccò alla bottiglia del Jack. Rea stava iniziando ad innervosirsi: «La mia amica sta ancora studiando medicina, non è un medico a tutti gli effetti. Credimi, è una persona meravigliosa, senza pregiudizi e con un carattere speciale; sono convinta che se ci parli puoi fare un passo avanti»

«Passo avanti verso cosa? Verso una vita senza niente?» sbottò lui appoggiando rumorosamente la bottiglia vuota vicino al lavandino. Rea vide nero per un secondo; la sua mano partì, dritta e precisa, sulla guancia sinistra di Nikki. Lui rimase esterefatto: «... ahi...»

«Io sarei niente? Sono stata qui tutto il pomeriggio fino alle dieci di sera a curarti e non sono niente? La tua ragazza non è niente?» ruggì Rea in preda all'ira «Vaffanculo Sixx, e tieniti le tue cazzo di chiavi!»; fece per andarsene ma lui la prese per il braccio: «No... non andare»

«E invece dovrei, pezzo di merda che non sei altro!». Rea era in escandescenza; gli voleva un bene dell'anima, ma in quel momento avrebbe voluto gonfiarlo di botte perchè non riusciva a capire che lei si stava sbragando per dargli una mano. «Sei sicura che la cosa possa funzionare?» le chiese Nikki con gli occhi bassi

«Se tu lo vuoi funziona per forza» gli disse Rea liberandosi malamente dalla sua presa; lui la cinse con le sue braccia: «Per favore... rimani. Sono un coglione, dovevo ascoltarti fin da subito». La strinse forte a sè abbracciandole il busto: «Mi sono comportato come hai fatto tu con me al cinema... è una caratteristica che abbiamo in comune»; lo sentì sorridere. L'aria uscì come un soffio dai polmoni del ragazzo ed il suo battito accelerò leggermente; Rea chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quel ritmo primordiale che le giungeva dal petto di Nikki. Si sentiva al sicuro. Dopo qualche istante l'abbraccio si sciolse; lei lo guardò negli occhi e lo sollecitò: «Dunque?»

«Credo che verrò a conoscere Amy».


* * *


Domenica 19 ottobre 1986, 2 pm

Finalmente oggi è il giorno della verità. Nikki è stato parecchio titubante, ma alla fine si è fatto convincere a venire; gli ho detto di non prenderla come una seduta medico-paziente, bensì come una chiacchierata con davanti qualche biscotto. Settimana scorsa non abbiamo potuto organizzare nulla perchè era impegnato in studio ed il produttore gli ha detto che non poteva stare a casa a far niente; ecco perchè è slittato tutto. Bunny, Marta e Morea hanno deciso di andare a fare un giro a Beverly Hills e non saranno di ritorno fino alle sette di questa sera. Morea è stata davvero carina, ha preparato un sacco di biscotti e pasticcini per il nostro pomeriggio... più che uno studio di un futuro medico, il salotto di casa mia sembrerà una sala da tè!


Alle tre in punto Nikki posteggiò la sua Corvette davanti alla casa della sua ragazza; Rea lo stava aspettando alla finestra. Quando lo vide scendere dall'auto gli andò incontro e lo abbracciò. Lui abbozzò un sorriso da dietro la sua lunga frangia: «Mi sento un po' a disagio»

«Non ti preoccupare» lo rassicurò lei «vedrai, Amy ti piacerà». Rea gli fece strada e lo fece entrare; Nikki poggiò la sua giacca sull'appendiabiti all'ingresso, avanzò di qualche passò ed osservò: «Non mi dire che mantieni da sola questa casa con lo stipendio dell'officina»

«Con lo stipendio dell'officina finanzio i miei sogni»

«Quali sogni?» domandò lui passandosi una mano fra i capelli «La tua arte?»

«Quella e non solo» arrossì Rea «vorrei anche fare la cantante»

«Interessante» bofonchiò Nikki «prima o poi dovrai farmi sentire qualcosa»; a quelle parole il viso di Rea diventò porpora. «Comunque» riprese il ragazzo «non mi hai ancora detto come fai ad avere una casa così bella»

«L'unica cosa buona che mi ha lasciato mio padre» disse Rea alzando le spalle; a quelle parole, un lampo attraversò gli occhi di Nikki. La ragazza notò questa cosa ma fece finta di nulla: «Vieni, Amy ci starà aspettando». I due entrarono nel salotto dove Amy aveva già disposto sul tavolino basso tre tazze da tè ed un vassoio pieno di biscotti: «Ciao Nikki, vieni pure» lo incoraggiò Amy con un sorriso «siediti e serviti pure, qui ci sono biscotti per un reggimento». In quel momento il ragazzo decise di indossare la maschera dello spavaldo: si stampò in viso il suo solito ghigno diabolico, avanzò verso il tavolino e si mise in bocca un biscotto. «Ti piacciono?» domandò Amy

«Cazzo, buoni... dove li avete comprati?»

«Testa di rapa, quelli li fa la mia amica, la ragazza con la coda di cavallo» lo riprese Rea scuotendo la testa. Nikki si sedette su uno dei grossi cuscini vicino al tavolino mentre Rea ed Amy si accomodarono di fronte a lui; «Stiamo giocando all'inquisizione? Vieni di qui Rea» le disse facendole segno con una mano mentre con l'altra si infilava in bocca il quarto biscotto. Amy era colpita dalla voracità con cui il ragazzo ingurgitava i dolci; a giudicare dal suo aspetto fisico non aveva mangiato molto nell'ultimo periodo: era sciupato in viso ed i vestiti che indossava gli stavano larghi. "Gli si alzerà un sacco la glicemia" pensò il futuro medico "però è sempre meglio che non rimanga a digiuno". Rea versò il tè nelle tazze di tutti ed iniziò: «Come va in studio?»

«Alla grande» rispose Nikki sicuro di sè «le canzoni sono una bomba». Era una bugia; nelle ultime settimane era entrato in conflitto sia con il produttore Tom Werman che con gli altri membri del gruppo perchè ciò che componeva lasciava parecchio a desiderare. L'unico pezzo che era degno di attenzione era "Girls, Girls, Girls". Avrebbe voluto farlo sentire a Rea, ma provava quasi vergogna a sottoporle il nastro a causa delle lyrics un po' troppo spinte; nonostante questo, contava sul suo giudizio artistico, e quella era una canzone che faceva crollare i muri. «Dovrai portarmi qualcosa prima o poi» gli fece l'occhiolino Rea dando un morso al suo biscotto al cioccolato

«Certo...» sorrise falsamente Nikki mentre pensava: "Se solo sa che ho tutto lo studio contro mi uccide". «Nikki, quanto tempo è che non mangi un pasto per intero?» si intromise Amy; il ragazzo aggrottò le sopracciglia, fagocitò un altro biscotto e rispose: «Di preciso non me lo ricordo»

«Perchè ti vedo sciupato... mi sembri dimagrito» disse Amy

«Sarà che sono stato male parecchio di stomaco nelle ultime settimane» si giustificò il rocker. Amy bevve un sorso di tè: «E' la droga che non ti fa mangiare?». Scese il silenzio nel salotto; Rea guardava Nikki sperando che non avesse uno scatto dei suoi. Avrebbe rovinato tutto se avesse sbottato, lei ed Amy stavano cercando di aiutarlo e se lui si fosse rifiutato sarebbe stato un casino. Invece lui ammise: «Sì... l'eroina fa questo effetto»

«Cosa succede quando ti fai?» chiese Rea con un filo di voce ricordando lo stato in cui l'aveva trovato quel sabato di due settimane prima. Nikki alzò le spalle: «La prima volta che provi l'eroina è devastante. Come ti entra in circolo corri in bagno e vomiti tutto quello che hai mangiato nei tre giorni precedenti. Una volta che hai esaurito le tue riserve, ti trascini sui gomiti finchè non sbrocchi; cadi a terra e non sei in grado di fare nulla perchè sei debilitato. In quel momento pensi che sia la droga più stupida di sempre... poi però provi una sensazione fantastica. È come se ogni parte del tuo corpo avesse un orgasmo». Rea aveva gli occhi spalancati e rischiò di far cadere la tazzina che teneva in mano; al contrario, Amy non si scompose: «E quando finisce l'effetto?»

«Non si può certo dire che sia confortevole... ma tanto posso avere tutta la droga che voglio. Diciamo che il cocktail perfetto è, per iniziare, una bella sniffata di coca; quando sto per arrivare al degenero mi inietto la mia dose di eroina e mi calmo lentamente» disse lui, quasi come se dovesse vantarsi. Amy sapeva che cocaina ed eroina avevano effetti quasi opposti: la prima rendeva euforici e portava al degenero, la seconda funzionava come analgesico e calmante; la caratteristica che le accomunava era quella di dare una forte dipendenza. «So che posso sembrare indiscreta» disse Amy prendendo un biscotto «ma posso chiederti da quanto tempo usi l'eroina?»

«Da quando ho sfasciato la mia Porsche... dio, che incidente devastante! Mi sono schiantato a 90 miglia all'ora su un palo del telefono!» Nikki scoppiò a ridere; Rea gli mollò una gomitata: «C'è poco da ridere, ringrazia il tuo dio, chiunque egli sia, del fatto che tu sia ancora vivo»

«Sono io il mio dio» la canzonò il ragazzo poi riprese: «ero a una festa e volevo tornare a casa. Non riuscivo a trovare i vestiti così ho scavalcato la recinzione completamente nudo; la sfiga ha voluto che in quel momento due ragazze mi abbiano visto e hanno iniziato ad inseguirmi sulla loro macchina. Io ho sgasato più che ho potuto e, quando ho guardato il retrovisore per assicurarmi di averle seminate, mi sono fracassato contro il palo. Il pilone si è piegato ed è caduto sul sedile del passeggero ed io sono finito in ospedale completamente nudo e con la spalla dislocata. Faceva un male fottuto e così il medico ha deciso di darmi il Percodan per sedare il dolore. Inutile dire che non faceva un cazzo... e così ho iniziato ad automedicarmi fumando eroina. Come ho detto prima, può sembrare la droga più stupida in assoluto, ma quando imapari ad amarla non torni più indietro; la faccio in tutti i modi possibili: me la inietto, me la sniffo, me la fumo...». Pareva soddifatto di ciò che stava raccontando; Rea ed Amy erano fortemente allarmate da questo suo comportamento. La ragazza dai capelli blu gli domandò: «Tutto qui? È questo il motivo per cui tu trovi soddisfazione nella droga?»; in un attimo dal viso di Nikki il sorriso diabolico sparì e negli occhi ricomparve quel lampo che Rea aveva notato all'ingresso. «Sì, basta»; le due ragazze capirono che il rocker stava nascondendo qualcosa, un affare ben più profondo e complesso dell'incidente. Rea stava per intervenire ma Amy fu più veloce: «Ok, va bene così... senti Nikki, penso che tu sappia che non è una buona cosa essere dipendenti da droghe, per tutta una serie di motivi». Il ragazzo era in fissa su Amy, imbambolato a guardarle le sopracciglia; lei continuò: «Tutto quello che posso dirti è che, dalla mia analisi spicciola, ti trovo chimicamente sbilanciato. Per cercare di riparare il danno, il metodo più efficace è la somministrazione per via orale del metadone». Nikki la fermò: «Ho già provato ma non è servito a nulla: è solo una dipendenza da aggiungere ad altre dipendenze»; detto questo si alzò e si diresse all'ingresso. Amy rimase abbattuta sul divano pensando di aver fallito miseramente il suo tentativo di transfert; Rea, invece, lo seguì fino all'ingresso dove il ragazzo stava riprendendo la sua giacca. «Proprio non vuoi provarci?» gli chiese in tono supplichevole la ragazza

«So già come andrà a finire. Scusa se ti ho fatto perdere tempo» e, mentre diceva queste parole, Nikki aprì la porta. Rea si appoggiò pesantemente all'uscio richiudendolo: «Nikki ascoltami: hai detto che volevi smettere... fatti la cura di metadone»

«Non servirà a nulla» insistette lui cercando di girare la maniglia

«Ti prego Nikki» gli occhi di Rea erano lucidi «mi hai detto che hai paura di morire... io non voglio venire a portare fiori sulla tua tomba. Ti prego...». Parlava con un filo di voce. Lui si guardò le punte degli stivali e sospirò: «Va bene... lo faccio perchè tengo a te e al rapporto che si sta creando fra di noi, anche se non sono molto fiducioso». Rea sorrise, un sorriso che le partì dal profondo dell'animo e sbocciò sulle sue labbra; lo abbracciò dolcemente per non fargli male e gli sussurrò: «Ce la farai, vedrai». Ci fu un attimo di titubanza, poi anche Nikki la cinse e le disse: «Grazie per le tue preoccupazioni. Nessuno si è mai occupato di me così»; poi la prese per mano e tornò con lei nel salotto dove Amy era rimasta seduta sul divano amareggiata a guardare il fondo della sua tazza di tè. Nikki la chiamò e le disse: «Ho deciso, mi iscriverò ad un programma di recupero... tu riesci a mettermi in lista dall'università? Sai, io sono molto impegnato in studio e non ho molto tempo da perdere in faccende burocratiche...». Amy sorrise e realizzò che, dopotutto, quel suo tentativo non era stato inutile. Ormai erano quasi le sei, quindi Nikki decise di fare ritono a casa; Rea lo accompagnò all'auto. «Sai» cominciò la ragazza «parlare con Amy fa davvero bene»

«Sì, è una persona che ispira fiducia» ammise lui

«Già» sospirò Rea «sai quante volte io mi sono sfogata con lei! Specie quando...» e lì si interruppe. Nikki rimase a guardarla: «Hai perso la lingua? Non finisci la frase?». Rea si morse il labbro nervosamente: «Non so se è il momento di raccontarti questo...»


Domenica 19 ottobre 1986, 9.30 pm

Nikki era disposto ad ascoltarmi in quel momento, aspettava solo che io cominciassi il discorso. E così sono partita: gli ho raccontato di quel pomeriggio di tre anni fa; era luglio e faceva caldo. Ero andata a casa di Yuri pensando solo di berci insieme qualcosa di fresco e chiacchierarci un po'; invece la cosa aveva preso una piega del tutto inaspettata. Lui aveva iniziato a diventare insistente con i suoi baci, mi aveva tolto la maglia ed aveva iniziato a sfilarmi i pantaloni; stava iniziando a diventare prepotente. Continuava a ripetere: «Dio, che voglia che ho!»; io iniziavo ad avere paura. Nonostante avessi avuto diciassette anni, proprio non volevo compiere il grande passo; quella era una storiella senza impegno e non volevo perdere la verginità con lui. Nel giro di dieci minuti mi ritrovai completamente nuda sul suo divano mentre sui si sfilava i boxer; la vista del suo membro eretto mi fece impallidire. «Yuri» gli dissi con voce tremante «scusami, ma non mi sento pronta». Non avessi mai aperto bocca; in un istante diventò un drago, una belva dalla furia incontenibile. Iniziò a urlare: «Mi hai fatto spogliare pensando di volermi, e adesso hai cambiato idea? Io non ci sto!» e violentemente entrò dentro di me. Un dolore lancinante. Chiusi gli occhi e vidi una striscia rossa attraversarmi la retina. Mi mancava il fiato. Strizzai gli occhi e strinsi i denti per evitare di urlare mentre grossi lacrimoni scivolavano sulle mie guance mentre lui, menefreghista, imprecava e continuava a spingere sempre di più. Mi aveva lacerata sia fisicamente che psicologicamente.


Rea guardava il marciapiede rossa in viso, non sapendo se aveva fatto bene o no a riferire quei fatti strettamente personali a Nikki. Trascorsero alcuni attimi di completa immobilità, dopo i quali lui le prese il mento e la guardò in volto: «Se lo trovo, lo sai che è morto? Conosco certe persone che potrebbero mandarlo all'altro mondo solo con uno sguardo». Erano parole cattive, velate di violenza, ma servirono a Rea per sentirsi meglio: Nikki aveva capito la gravità della cosa e, soprattutto, da come aveva risposto, si capiva che teneva a lei. «Nikki, ho paura di non essere più in grado di fare l'amore dopo questa esperienza» gli disse Rea sottovoce; lui rispose: «Un giorno, quando lo vorrai succederà... e sarà con chi vuoi tu. Con la persona che desideri». Le prese il viso e le baciò la fronte. Poi se ne andò, con un sorriso; accese la Corvette e tornò a Van Nuys.


NOTE:

Bon Jovi: gruppo originario del New Jersey fondato nel 1983 e formato ai tempi da Jon Bon Jovi (voce), Richie Sambora (chitarra), Tico Torres (batteria), David Bryan (tastiera) e Alec John Such (basso); il bassista è stato sostituito a partire dal 1994 da Hugh McDonald.

You Give Love A Bad Name: primo singolo estratto dall'album dei Bon Jovi "Slippery When Wet" del 1986.

Sagittario: Nikki Sixx è nato l'11 dicembre 1958, dunque il suo segno zodiacale è il sagittario, un segno di fuoco.

Metadone: conosciuto anche come Dolophine, è usato in medicina come analgesico e per il trattamento delle dipendenze da oppioidi.

Transfert freudiano: terapia basata sulla "talking cure" mediante la quale il paziente parla e si sfoga con il medico e trasferisce su di lui tutti i suoi mali (perdonatemi per la spiegazione molto grossolana... purtroppo non studio medicina).

Tom Werman: produttore dell'album "Girls, Girls, Girls".

Girls, Girls, Girls: titolo del quarto album di studio dei Mötley Crüe edito nel 1987.

Percodan: medicinale a base di acido acetilsalicilico (principio attivo dell'aspirina) ed oxycodone (un oppiaceo).


Ho dovuto interrompere questo capitolo perchè mi sono resa conto che stava raggiungendo lunghezze insostenibili. Bisogna ammettere che sono emerse tutta una serie di cose: andando in ordine, il fatto che Nikki voglia e non voglia smettere di drogarsi; essendo chimicamente sbilanciato sente il continuo bisogno della droga ma si rende conto che non ne trae giovamento. Adesso verrà iscritto da Amy ad una terapia a base di metadone e vedremo come andrà a finire; non voglio smontare le vostre aspettative, però tenete presente che, da come parla Nikki, lui non è molto propenso a sottoporsi ad una terapia del genere, lo fa solo per fare un piacere alla sua ragazza. Non mi ero di certo dimenticata della passione di Rea per il canto, tant'è vero che la confessa a Nikki; questo sarà un elemento fondamentale nella seconda parte della storia. È emerso che il gruppo è in studio ed ha appena iniziato le registrazioni del quarto album; e, finalmente, Rea è riuscita a raccontare cosa è successo fra lei e Yuri di così brutto (so che alcune di voi volevano saperlo). Ma la cosa più misteriosa è il fatto che l'espressione spavalda di Nikki viene smontata per ben due volte... perchè? Vedrete, gli altarini si scopriranno con l'avanzare della storia. Come sempre, ne approfitto per ringraziare le mie fidatissime lettrici: Demy84, SailorMercuty84, LadyMars, key17, marziolina86, alemagica88, Alison_95, Cri cri, Moon 91, pianistadellaluna e tutti quelli che leggono la mia fan fiction, anche senza lasciare una recensione. Grazie anche a ellephedre per aver recensito il secondo capitolo della mia storia; ed un ringraziamento speciale va al mio ragazzo che si è preso la briga di leggere questa storiella quasi senza dirmi nulla. Al prossimo capitolo, sperando di non avervi deluse; come sempre, tutte le vostre recensioni, di qualunque sfumatura esse siano, sono sempre molto bene accette.

Ellie

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Capitolo 9
*** Nobody's Fool ***


09 Nobody's Fool

L'indomani mattina Amy bussò alla porta del dottor McDwight, il docente della UCLA che insegnava tossicologia clinica. Entrò lentamente ma determinata e si diresse verso la scrivania dove il medico stava sfogliando una rivista scientifica. «Come mai qui signorina Anderson?» chiese immergendo ancor di più il naso nelle pagine; Amy si schiarì la voce: «Ho bisogno che lei mi faccia un favore». Finalmente il medico abbassò la rivista e la guardò con sguardo interrogativo; Amy continuò: «Devo iscrivere un mio amico ad un programma di disintossicazione da oppiacei, lei può darmi una mano?». Il professore si alzò lentamente spingendo all'indietro la sedia in pelle nera, fece il giro della scrivania e si posizionò proprio di fronte alla ragazza: «Anderson, da quanto tempo è che lei frequenta gente del calibro dei drogati?»; Amy ci rimase male a quella domanda: «Sto solo facendo un piacere al ragazzo di una mia cara amica e poi» si interruppe per un istante «non mi sembra corretto da parte sua giudicare i pazienti, anche se non li ha mai visti in faccia». Erano parole forti, che scottavano come olio bollente; il dottor McDwight sbuffò e disse: «Non volevo esprimere nessun giudizio in quanto chi utilizza oppiacei è drogato sempre e comunque, signorina Anderson, però devo ammettere che il suo modo di ragionare mi piace parecchio». Amy, che si era già preparata psicologicamente per ricevere un netto rifiuto dopo ciò che gli aveva appena detto, rimase sbalordita; il medico continuò: «Sa qualcosa della persona in questione?». Amy raccontò a grandi linee la conversazione del giorno precedente avuta con Nikki; il professore annuì e disse: «Va bene, lo metto in lista. Da domattina inizierà il trattamento: trenta giorni, ogni giorno, tutte le mattine alle otto in punto al Drug Detox Center su Santa Monica Boulevard; ogni giorno avrà la sua dose di metadone»

«La ringrazio professore» disse compostamente Amy mentre dentro di sé avrebbe voluto fare salti di gioia; il dottor McDwight sorrise di rimando. Amy stava per uscire dal suo studio quando il medico richiamò la sua attenzione: «Signorina Anderson?»; la ragazza si voltò incuriosita. Il docente continuò: «Ha mai pensato di iscriversi ad un tirocinio di tossicologia? Mi sembra molto portata»

«A dire il vero, vorrei tanto fare neurologia io» ammise Amy

«Beh, nel caso dovesse ripensarci, sappia che la porta è sempre aperta».


* * *


Il mattino dopo Amy e Nikki si incontrarono fuori dal Drug Detox Center alle otto spaccate; lui indossava un berretto con la visiera che contribuiva insieme alla frangia lunghissima a coprirgli tre quarti del viso. Barcollava e saliva le scale un gradino alla volta; appena raggiunse la ragazza, Amy gli mise una mano sulla spalla e gli disse: «Starò con te finchè non tornerai a casa»

«Come mai Rea non è potuta venire?» chiese Nikki dispiaciuto

«Aveva la relazione di storia dell'arte moderna da consegnare oggi... e così ha deciso che dovessi essere io a farti compagnia». Nikki alzò le sopracciglia e si fece guidare da Amy all'interno dell'edificio; si mise in coda, ottenne la sua pastiglia di Dolophine e la ingurgitò con un sorso d'acqua. Scosse il capo come se fosse un cavallo e disse: «Grazie per il tuo sostegno morale, ora possiamo andare»; Amy scosse il capo accennando una piccola risata: «Affatto, c'è bisogno che tu rimanga qui un'oretta circa, per evitare che ti succeda qualcosa»

«E cosa mai dovrà succedermi?» domandò Nikki scocciato

«Non è il momento di sbuffare Nikki, siediti qui con me» gli sorrise Amy. Nikki si accomodò sulla sedia accanto alla ragazza di malavoglia e chiese: «Vuoi dirmi o no cosa rischio?»

«Beh» temporeggiò la ragazza dai capelli blu portandosi l'indice alle labbra «tutta una serie di cose: nausea, vomito, secchezza delle fauci...»

«Quelle le ho già normalmente» le fece notare Nikki sistemandosi il cappellino, ma Amy continuò imperterrita: «... disfunzione urinaria, amnesia, anemia, dolore alle articolazioni...»

«Non sono mica vecchio, eh!» puntualizzò Nikki. Ma Amy continuava a sfornare effetti collaterali a raffica: «... orticaria, pallore, ipotensione, allucinazioni, sincope, tremori, palpitazioni, coma, arresto respiratorio e cardiaco...»

«BASTA!» urlò Nikki toccandosi le palle per allontanare la sfiga; Amy si fermò di botto, lo guardò in viso, poi fece scivolare gli occhi blu sulle mani di Nikki che stringevano i suoi genitali e disse: «... e anche disfunzione erettile. Ma penso che tu lo sappia». “Cazzo” pensò lui stringendo i denti. «Avresti anche potuto evitare di terrorizzarmi» le fece notare il rocker «se fra qualche minuto avrò le palpitazioni sarà solamente colpa tua»; detto questo levò la mano dai testicoli e si voltò dall'altra parte. «Scusa, mi sono fatta prendere la mano» ammise Amy imbarazzata «è solo che volevo metterti al corrente di tutti i rischi che corri». Fortunatamente durante quell'ora non successe nulla di catastrofico, solo una leggera nausea e male alle gambe. Verso le 9.05 i due uscirono dalla clinica; Nikki ringraziò Amy per averlo accompagnato e la ragazza gli raccomandò di chiamarla nel pomeriggio per dirle che andava tutto ok; «Lo farò, ciao!» la salutò il ragazzo e partì a tutta velocità sulla sua Corvette.


Martedì 21 ottobre 1986, 5 pm

Questa mattina ero agitata, avrei tanto voluto accompagnare Nikki ma avevo quella dannata relazione sulle serigrafie di Andy Wahrol da consegnare... quindi ho chiesto gentilmente ad Amy se lo faceva al mio posto. Il martedì sono quella che finisce prima di tutte, quindi sono tornata a casa dall'università alle 2 pm circa e mi sono messa a leggere; devo ammettere che, però, non ero sufficientemente concentrata, continuavo a pensare a lui... finchè non è suonato il telefono. Sono andata a rispondere: «Pronto?»

«Rea che bello sentire la tua voce» ha sospirato Nikki dall'altro capo del filo

«Cos'è successo? Com'è andata stamattina?»

«Appunto» ha deglutito «non voglio più andarci con Amy»

«Avete litigato?» gli ho domandato continuando a non capire nulla

«No! È solo che...»

«Che?» l'ho esortato io

«Mi mette ansia! Lei e i suoi cazzo di effetti collaterali!». Alla fine ha sputato il rospo. Sono rimasta per un attimo con la cornetta in mano, dopodichè sono scoppiata a ridere di gusto. «Non c'è un cazzo da ridere! Fa spavento!» continuava a ripetere lui; io mi sono immaginata la scena, con Amy che enumerava tutte le cose più sgradevoli aiutandosi con le dita e Nikki che sprofondava sempre di più nella sedia con le mani nelle balle. «Piantala di ridere!» mi ha rimproverata lui

«Sì sì, scusami» gli ho detto io riprendendo fiato e massaggiandomi gli addominali dolenti

«Puoi accompagnarmi tu gli altri giorni?» mi ha chiesto lui; come facevo a non dirgli di no?

«Ma certo! Stasera mi faccio dire la strada da Amy così domattina ci troviamo davanti alla clinica»

«Grazie» l'ho sentito sorridere; in quel momento ho sentito caldo, caldo in viso, nel petto e anche un pochino più giù. «Ti voglio bene Nikki» gli sussurrai con un tremito

«Anche io, dolce fuoco, te ne voglio... a domani». Che carino... ma la cosa che non mi spiego è il fatto di quel calore alle parti basse che ho provato... non è possibile. Non me ne capacito ancora adesso; come è possibile che nel mio cervello possa essere anche solo passato per un momento il desiderio di voler fare l'amore con lui? Lui? Che può avere tutte le ragazze del mondo! Perchè... perchè deve voler fare l'amore con me? E, soprattutto, come posso io volerlo? Insomma... fa male; ho paura. E allora perchè ho sentito caldo?


A partire dalla mattina seguente Rea e Nikki si incontravano puntuali alle otto davanti al Drug Detox Center, entravano chiacchierando, il ragazzo prendeva la sua dose di metadone e rimanevano lì per l'ora seguente, seduti sulle seggioline della sala d'aspetto a parlare di qualcosa. Più il tempo passava, più Nikki iniziava ad accusare gli effetti collaterali del medicinale: iniziava a sentire dolori da tutte le parti, come se gli fosse passata sopra una mietitrebbia; «Porca puttana» bisbigliò portandosi le mani al volto il venerdì mattina «ci credi che in questo momento la parola “fragile” non arriva a descrivere nemmeno lontanamente come mi sento fisicamente? Mi fa male ovunque». Rea gli scostò leggermente i capelli per potergli vedere mezzo viso; Nikki aprì il medio e anulare per poterci guardare attraverso con l'occhio sinistro. Vide la sua ragazza sorridere, bella come una rosa appena colta; non potè fare a meno di ricambiare e poi le sussurrò: «Rimetti i capelli com'erano adesso, non vorrei mai che qualcuno mi riconoscesse». Rea gli fece la linguaccia e gli risistemò la frangia. Poco dopo le nove uscirono dal centro di disintossicazione: «Se non avessi avuto la macchina» disse Nikki guardando la Ford di Rea parcheggiata un paio di posti davanti la sua Corvette «ti avrei portata io in università»; fece una pausa durante la quale guardò i suoi stivali, poi riprese timido: «Sai, mi piacerebbe passare del tempo con te... senza fare nulla di particolare, anche solo parlare come abbiamo fatto queste mattine». A quelle parole Rea sentì di nuovo caldo all'interno di sé, caldo al viso, caldo al cuore e anche più in basso; provò un velo di vergogna quando avvertì l'ultimo “calore”. Nikki sorrise: «Come sei bella quando diventi rossa»; Rea gli diede le spalle: «Se vai avanti così divento viola». Un'altra fiamma l'avvolse quando lui le si avvicinò da dietro e la cinse con le sue braccia da uomo proprio all'altezza del seno; “Se si accorge di quanto forte mi sta battendo il cuore sono fregata!” pensò Rea. Effettivamente Nikki percepì il palpitare del cuore della ragazza e, segretamente, ne gioì; nel profondo del suo animo, in qualche angolino nascosto, la cosa gli procurò un immenso piacere. Mentre erano entrambi avvolti in questo fuoco invisibile alle altre persone che passeggiavano su quello stesso marciapiede, il ragazzo le sussurrò all'orecchio: «Domani stiamo insieme tutto il giorno? Vieni da me, pranziamo insieme, se vuoi porta delle videocassette...»

«Va bene Sixx» rispose lei, liberandosi quasi malamente da quella piacevole stretta. Nikki aprì leggermente la bocca per lo stupore. Passarono alcuni attimi di silenzio completo fra i due poi lui le disse: «A... a domani allora» e quasi a capo chino salì in macchina e sparì nel traffico.


Venerdì 24 ottobre 1986, 10 pm

Ogni volta che ci ripenso mi si stringe lo stomaco e ogni volta mi ripeto: “Scema! Più asettica di così non potevi essere”. «Va bene Sixx» gli ho detto... frase peggiore non poteva uscirmi di bocca: fredda come il ghiaccio, come una bufera al Polo Nord. Ma vaffanculo! Quando imparerò a lasciarmi andare un po' di più? Sempre questa paura fottuta di esporsi e poi, puntualmente, me ne pento. In occasioni come queste vorrei essere di più come Bunny: più spontanea, anche più sincera in un certo senso... invece no, la glaciale ragazza di fuoco. «Va bene Sixx»... l'ho chiamato per cognome! Ma neanche fossi la sua professoressa di qualcosa... Rea, sei idiota! E non poco (fra l'altro). L'hai fatto rimanere male... lui che voleva calore e tu che bruciavi con lui... e gli hai detto: «Va bene Sixx»??? IMBECILLE!


La mattina dopo Morea l'accompagnò al Drug Detox Center: «Sicura che posso tenere la macchina per oggi?»

«Ma certo» la rassicurò Rea «oggi Nikki mi farà da tassista». Aveva un sorriso raggiante che contrastava pienamente con quella giornata uggiosa autunnale; il cielo minacciava pioggia e l'aria era umida. «Allora buon divertimento e... non fare la furba!» la salutò l'amica ingranando la prima; Rea arrossì violentemente: «Ma che diavolo dici!». Morea le fece l'occhiolino e se ne andò; nel giro di trenta secondi Nikki parcheggiò la Corvette facendo fischiare le pastiglie dei freni. Scese dall'auto lamentandosi perchè gli faceva male dappertutto: «Vuoi un bastone?» lo prese in giro la ragazza; lui non disse nulla, semplicemente le fece la linguaccia e alzò il dito medio. Entrarono, Nikki ingurgitò la sua compressa di Dolophine e si sedette, sentendo tutte le ossa sbriciolarsi all'interno del suo corpo: «Porca troia che male!»; faceva fatica a muoversi, sembrava che fosse sopravvissuto ad una frana. Eppure c'era qualcosa che faceva sorridere in tutto questo: non per scherzo, non per sfottere; semplicemente guardando il suo viso si vedeva che stava meglio. Sembravano cazzate apparentemente, ma cinque giorni senza eroina facevano la differenza. Davvero. «Cosa vorresti fare oggi?» gli chiese Rea

«Ti dirò, nulla di impegnativo e faticoso» rispose Nikki facendo scricchiolare le vertebre cervicali «mi sento veramente un rottame... un relitto». La ragazza sorrise mettendogli una mano sulla gamba per tranquillizzarlo: «Se vuoi oggi posso cucinare per te... certo, non sono brava come la mia amica Morea, ma non posso nemmeno dire di essere imbranata come Bunny; ti preparerò qualcosa di goloso ma non troppo impegnativo. Poi, nel pomeriggio possiamo fare quello che vuoi tu: uscire, bere qualcosa insieme...»

«E se rimanessimo da me a chiacchierare davanti ad un buon libro e della birra?» domandò Nikki. Rea gli rispose con un sorriso e, di nuovo, si sentì avvolgere da quel fuoco che la bruciava dall'interno; voleva passare la giornata con lui, assaporando ogni momento, ma aveva paura che, trovandosi soli, Nikki avrebbe voluto “approfondire” la conoscenza fra di loro e il tutto si sarebbe trasformato in un incubo come a casa di Yuri. Cercò di scacciare quel pensiero andando a recuperare con la memoria il giorno in cui le aveva chiesto di diventare la sua ragazza: “So che sarà una relazione atipica, ti ho a malapena presa per mano. Ma ti scongiuro, stai con me” le aveva detto; “Forse, non ha nemmeno l'intenzione di volermi baciare... si limita solo ad abbracciarmi. Ma come devo interpretare questo segno? Un grande affetto e niente di più, oppure qualcosa di ben celato ed in qualche modo frenato per motivi che mi sono sconosciuti?”. «A cosa pensi?» con la sua domanda Nikki interruppe il fluire dei pensieri di Rea

«Nulla, tranquillo, ero solo un po' sovrappensiero, ripensavo a...» e lì si bloccò; diventò paonazza e pensò: “E adesso che cazzo gli dico?”. Lui in qualche modo intuì il suo disagio e chiese: «Ripensavi a quando mi sono spogliato davanti a te nel camerino?». Rea gli mollò un pizzicotto sulla mano: «No, egocentrico che non sei altro, ripensavo alla relazione che ho consegnato martedì. Volevo evitare di annoiarti con le mie paturnie universitarie». Nikki si massaggiò il dorso della mano dolente: «Fai piano cazzo, già mi sto sbriciolando come un biscotto, ci manchi solo tu che mi spacchi le mani»; Rea gli prese la mano e se la portò alle labbra sfiorandola delicatamente: «Passata la bua?»

«Shi mamma» rispose lui assottigliando la voce e atteggiandosi come un bambino. Scoppiarono entrambi a ridere, poi si alzarono e si diressero verso l'uscita tenendosi per mano; appena usciti dallo stabile Nikki disse: «Il mio frigorifero è praticamente vuoto, bisogna andare da qualche parte a comprare qualcosina»

«Allora cerchiamoci un supermarket dove fare rifornimento, possibilmente vicino a casa tua, così se compriamo qualcosa di fresco lo mettiamo subito in frigo» aggiunse la ragazza prendendo posto sul sedile del passeggero. Nikki girò la chiave ed il motore si accese; si avvicinò all'orecchio sinistro di Rea e le sussurrò: «Tieniti forte, adesso ti faccio vedere come si guida in mezzo al traffico». La ragazza non fece nemmeno in tempo a dirgli di non fare stronzate che lui premette pesantemente sull'acceleratore e partì sgasando, lasciando buona parte delle gomme sull'asfalto. Accese lo stereo e dalle casse la voce di Blackie Lawless uscì dura e tagliente come la lama di una sega circolare: “I'm a wild child, come and love me, I want you! My heart's in exile, I need you to touch me, 'cause I want what you do! I want you!”. «Fuck yeah!» urlò Nikki ingranando la terza; Rea intanto era sprofondata nel suo sedile: «Guarda Nikki, ho voglia di arrivare a casa tua intera non... MERDA!». Si coprì il volto con entrambe le mani per non vedere il furgone che stava per entrarle nella portiera. Nikki era in preda all'euforia: «Non ti preoccupare, l'ho fatto un sacco di volte! Ah, a proposito, lo sai che Wild Child l'ho scritta io? Era una delle prime canzoni dei Crüe, ma Vince aveva difficoltà a cantarla, così l'ho regalata agli W.A.S.P.. Io e Blackie siamo amici»

«Figo, però... POTRESTI RALLENTARE? VORREI ARRIVARE VIVA A CASA TUA!» urlò Rea notando che lui continuava a cantacchiare ignorando i suoi scongiuri. Dopo venti minuti, Nikki aveva inchiodato davanti ad un negozio di alimentari nei pressi di casa sua; aprì il portafogli e diede a Rea la sua carta di credito: «Compra quello che ti serve, non farti problemi. Scusami se non scendo, ma se mi beccano in un posto simile potrei morire per un bagno di folla». La ragazza gli fece l'occhiolino e scese dall'auto. Lui rimase solo nell'abitacolo, con il volume dello stereo altissimo; girò quasi del tutto la manopolina per abbassare i decibel delle casse e stette lì, solo e in silenzio. Guardò Rea entrare nel negozio con la coda dell'occhio, con i capelli che ondeggiavano in quel vento da pioggia e le gambe avvolte in quegli splendidi fuseaux neri. “Se avesse i capelli biondi potrei dire che è un angelo... che poi Sixx, chi cazzo te l'ha detto che gli angeli sono biondi? Non sta scritto da nessuna parte. Di nuovo con queste stronzate... con questi stereotipi di merda. Proprio come quello che ti è uscito dalla bocca poco fa: «Ho paura di fare il bagno di folla»; vai a cagare, coglione! Lo sai benissimo che non hai voglia di relazionarti con la gente, punto e basta. Stranamente lo stai facendo con lei, eh? Ti sei mai chiesto il perchè? Ti piace vero?”. Nikki scosse la testa per smentire, come se il suo cervello fosse una persona reale che stesse parlando con lui e potesse vedere la sua reazione; ma quell'ammasso di neuroni bruciati continuò: “Di' la verità! Quanto tempo è che non scopi? C'è il tuo amico in mezzo alle gambe che è parecchio indolenzito... da quando l'eroina è diventata la tua partner non te n'è più fregato di scoparti le fan. Una sega ogni tanto non ti farebbe male sai? Così, giusto per tenerlo in movimento... per liberare i figli che non avrai mai. Perchè tu sei così incapace di intrattenere una relazione con qualcuno... sei un casinista che, in tempo zero, manda a puttane tutto quello che è stato capace di costruire. Se vai avanti così non avrai mai nessuno. Rea ha un cuore grande e proprio per questo te ne stai innamorando...”. COSA CAZZO AVEVA DETTO? “Hai capito bene imbecille, innamorato... ma se non ti dai una svegliata e non cambi abitudini la perdi, stanne certo. Si stancherà di te. E tu non vuoi che questo accada, vero?”. A questo pensiero rabbrividì, spalancò gli occhi ed urlò: «NO, NON VOGLIO!»

«Non vuoi che cosa?» Rea aveva appena riaperto la portiera del passeggero per chiedergli se le apriva il portellone del bagagliaio con la levetta sotto il sedile. Nikki, sentendosi colto con le mani nel sacco, mentì spudoratamente: «Non ho aperto bocca, sarà stato qualche passante. Io stavo pensando ad un pezzo da scrivere». Rea fece finta di nulla; pensò che fosse solo uno scatto dovuto alla terapia al metadone. Finalmente arrivarono alla villa di Nikki verso le undici del mattino; il ragazzo parcheggiò la macchina nel garage e spense il motore. «Arrivati» disse levando le chiavi dalla toppa d'accensione; Rea sorrise: «Finalmente una giornata tutta per noi... se vuoi posso darti quei consigli d'arredamento che tanto volevi»

«Perchè no? Magari dopo pranzo». Si fermò per un momento a guardarla e solo in quel momento si accorse di quanto fosse bella. Esteriormente l'aveva già notato la prima volta che l'aveva incrociata fuori dal Whisky, ma in quel momento le guardò dentro gli occhi, quegli occhi così neri e profondi dalle sfumature indaco: vide un sentimento sincero che non era in grado di definire. Forse perchè nessuna ragazza o nessuna donna si era mai dimostrata così nei suoi confronti; era tutto così bello e nuovo che ne fu felice. Sentì caldo dentro di sé: “Sixx, non fare in modo che debba prendere l'estintore per spegnere i tuoi bollenti spiriti. È troppo preziosa, non fare il cazzone. Stai buono e lavoratela. Lei è un'artista; plasmala come se fosse argilla. Fai in modo che i vostri caratteri si incastrino perfettamente... chissà mai che è la volta buona che metti la testa a posto e sbatti nel cesso definitivamente l'eroina!”. «Nikki, ti sei imbambolato?» gli chiese Rea sventolandogli la mano destra davanti agli occhi; il ragazzo scosse il capo: «Scusa, mi sono menato via un momento». Presero le buste ed entrarono in casa. Come Nikki aprì la porta di servizio che permetteva di entrare in cucina si bloccò: piatti e bicchieri scaraventati a terra e rotti in mille pezzi, ante dei mobili aperte ed il vasetto della maionese rovesciato sul tavolo. «Oh Cristo» bisbigliò Nikki poggiando la busta sul lavandino e sentendo puzza di guai

«Ma... è passato un uragano qui dentro?» chiese Rea allibita. In quell'istante sulla soglia della cucina si materializzò una figura femminile: aveva i capelli mori in disordine che le coprivano parzialmente il viso; la sua carnagione era color caffè ed aveva gli occhi iniettati di sangue. Le sopracciglia corrugate facevano intuire che era arrabbiata. Molto. «Vanity, si può sapere perchè cazzo sei venuta qui?» le domandò Nikki con calma ostentata e poi aggiunse: «Maledetto il giorno in cui ti ho lasciato il doppione delle chiavi di casa mia»

«Bastardo!» strillò lei e gli si scagliò addosso graffiandolo sulle braccia «Dov'eri? Dove diavolo eri?». Nikki la prese per i polsi cercando di fermare la sua furia; la ragazza saltò e gli diede un bacio a stampo sulle labbra. Il cuore di Rea perse un battito e le si gelò il sangue. «Amore mio, dolce anima gemella, ma dov'eri andato?» disse Vanity facendo le fusa «Ti stavo aspettando, ti ho portato della roba sensazionale». A quelle parole Rea recuperò il senno; appoggiò violentemente la busta che teneva in mano nel lavandino e disse fermamente: «Della roba lui non se ne fa più niente, sta smettendo; e soprattutto: tu chi cazzo sei?». Nikki era come immobilizzato, quasi non riusciva a respirare; la puzza di guai che aveva sentito entrando si stava tramutando in un tanfo insopportabile. Vanity disse: «Tesoro, sono la sua ragazza. Io e Nikki abbiamo tanto da condividere sai?». Scese il silenzio. Rea rimase immobile vicino alla porta di servizio, incredula; Vanity aveva un sorrisetto stronzo stampato in faccia e gioiva visibilmente nel vederla così spiazzata. Nikki si rese conto in quel momento che si trovava in un mare di merda; cercò di prendere la parola: «Rea, ascoltami...»

«No» lo interruppe lei freddamente portandosi l'indice della mano destra alle labbra «non dire nulla. Dovevo immaginarlo che avessi un'altra oltre a me. Beh, spero che...» un nodo alla gola le chiuse le corde vocali; deglutì a fatica: «Spero che possiate stare bene insieme». E con il capo chino uscì dalla casa di Nikki proprio mentre iniziava a piovere.


Sabato 25 ottobre 1986, 11 pm

Come ho fatto ad essere così cieca? Era così anormale che una rockstar come lui avesse solo me come “compagna”. Sì, “compagna” scritto fra virgolette perchè il nostro non era proprio un rapporto di effusioni amorose; quindi non dovrei prendermela. Non avrei dovuto prendermela. Ma io lo amo; e non accetto che lui abbia un altra. E così l'ho lasciato lì, in cucina con la sua donna uragano...


Camminava lentamente verso il cancello della grande casa per poter uscire mentre la pioggia le picchiettava sulla testa; afferrò una delle barre e lo aprì. Chiuse gli occhi pensando che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe compiuto quell'azione, in quel posto; “I count the falling tears, they fall before my eyes”.


Nikki corse alla finestra e fece appena in tempo a vederla uscire, con la testa bassa e gli occhi chiusi, quasi come se si fosse addormentata e non volesse più svegliarsi da quel sogno che stavano iniziando a vivere insieme; “Seems like a thousand years, since we broke the ties”. In quel momento si accorse che l'aveva persa. Già vedeva tutto quello che sarebbe successo più avanti: “I call you on the phone, but never get a rise”.


Rea sentiva freddo e non capiva se era il vento che aveva iniziato a farsi più insistente, oppure se sentiva la mancanza di Nikki. Come la sua mente le pronunciò quel nome, si accasciò vicino ad una palma che costeggiava la strada, quasi come se avesse avuto un mancamento: “So sit there all alone, it's time you realize I'm not your fool”


Nobody's fool, nobody's fool...


La scema di nessuno. Si era fatta prendere in giro benissimo; ed aveva pure avuto il coraggio di affezionarsi a Nikki. Un sentimento intriso di rabbia e delusione si impadronì delle sue gambe e la fece scattare via, il più lontano possibile da lui: “You take your road, I'll take mine, the paths have both been beaten”.


Nikki avrebbe voluto spaccare la testa a Vanity, aprirle il cranio in due e vedere quanta demenza nascondesse all'interno. Quella stronza gli aveva rovinato tutto. Tutto il bello che aveva avuto fino a quel momento se n'era andato via con un battito d'ali quasi impercettibile; la sua aquila aveva sciolto i lacci ed aveva preso il volo. Aveva bisogno di lei, e lo sapeva. Aveva bisogno di riaddolcire il loro rapporto: “Searching for a change of pace, love needs to be sweetened”. In un secondo una furia cieca si sostituì al senno: “I scream my heart out”; prese Vanity per i capelli e la trascinò fuori di casa, mentre quella urlava e imprecava come un'anima dannata all'inferno: “Just to make a dime”. Ripensò a come l'aveva conosciuta: con un video su MTV. Era carina, su questo non c'erano dubbi. Si era messo in contatto con lei e con i suoi soldi aveva comprato il suo amore... soprattutto la droga con cui si facevano: “And with that dime I bought your love, but now I changed my mind, I'm not your fool”. «Fuori da casa mia troia!» gridò lui dopo averle ripreso le chiavi che le erano cadute dalla tasca a causa dell'impatto sul marciapiede «e non farti più vedere!»


Nobody's fool, nobody's fool...


Andò nel giardino sul retro, mentre la pioggia gli abbassava i capelli intrisi di lacca; pensò alla sua Fiamma, al suo dolce fuoco. Chissà dov'era e cosa stava pensando. Inspirò profondamente ed uno strano odore gli entrò nelle narici: “Sì Sixx, è proprio il tuo odore. Puzzi di merda. Sei un fottuto stronzo”. Dolore. Dolore ovunque: alle ossa, ai muscoli, alle dita, alle braccia, alle gambe. Al cuore. Le gambe gli cedettero e Nikki cadde sul prato mentre la pioggia aveva iniziato a bagnargli il viso insieme alle sue lacrime: “I count the falling tears, they fall before my eyes, seems like a thousand years, since we broke the ties”. Iniziò a singhiozzare e ad abbracciare l'aria di fronte a sé; in quel momento desiderò ardentemente di poterla stringere. Ma non era così sicuro che, dopo quell'episodio, lei avrebbe tanto voluto ritornare fra le sue braccia. “Siete di nuovo tu e lei Sixx... tu e la tua eroina”. Eroina... eroina... EROINA. Quel nome riecheggiava nella mente ormai vuota di Nikki. “Ora non ho più nulla a cui aggrapparmi... lei non c'è più. Ho bisogno della mia coperta”. Entrò e si diresse verso l'armadietto delle medicine, prese una stringa e se la strinse intorno al braccio sinistro. Prese della droga, la diluì con del succo di limone e la scaldò in uno dei tanti cucchiai che aveva trovato riversi sul pavimento. Aspirò con lo stantuffo il liquido giallo bruno che si era creato; in quel momento si ricordò dei versi di una canzone che aveva scritto anni prima: You gotta stick to your guns, what's right for you ain't right for everyone”. Ma allora perchè continuava a piangere? E mentre due lacrime gli rigavano gli zigomi fece entrare l'ago in vena.


NOTE:

Il titolo è ripreso dalla canzone dei Cinderella “Nobody's Fool”; all'interno del capitolo se ne ritrovano le lyrics spezzettate fra un'azione e l'altra.

Anderson: tutti si staranno chiedendo “Ma Amy di cognome non faceva Mizuno?”; sì. Però nella versione americana dell'anime si chiama Amy Anderson e dato che ci troviamo in un contesto pienamente americano (e soprattutto anglofono) le nostre protagoniste non hanno gli occhietti a mandorla, bensì sono di etnia caucasica.

Dolophine: nome commerciale del metadone.

La parola “fragile” non arriva a descrivere nemmeno lontanamente come mi sento fisicamente?: battuta ripresa dalla canzone “Girl With Golden Eyes” dei Sixx: A.M.

Blackie Lawless: cantante e chitarrista (in un primo periodo cantante e bassista) degli W.A.S.P.; le parole in inglese scritte in corsivo una riga più in basso sono le lyrics del ritornello di “Wild Child”.

Vanity: ex ragazza di Prince, in quel periodo era la donna di Nikki; ad essere sinceri, più che la donna, era la sua compagna di droga.

You gotta stick to your guns, what's right for you ain't right for everyone: ritornello di “Stick To Your Guns”, una delle prime canzoni dei Mötley Crüe.


E il nostro amico ci è ricaduto di nuovo. Fortunatamente, a quanto pare, Vanity non si farà più rivedere; ma quello che è peggio è che Rea ora ce l'ha a morte con Nikki. Secondo voi si rimetteranno a posto? Come faranno? Cosa succederà? Vi lascio ipotizzare, io taccio...

Vorrei ringraziare tantissimo le mie fidatissime lettrici: Demy84, SailorMercury84, key 17, kay89, alemagica88, Cri cri, LadyMars, marziolina86, Moon 91, Alison_95 e pianistadellaluna. Ringraziamenti tutti speciali vanno a Lau_McKagan che si è presa la briga di leggersi la mia storia e, grazie a lei, scrittrici della sezione Mötley Crüe, Guns'n'Roses... (insomma, quelle zone lì) hanno letto e addirittura Mars from the stars l'ha inserita fra le preferite! Grazie davvero tanto. Ed un ultimo ringraziamento va al mio ragazzo che continua a leggersi queste pagine di follia. Come sempre, tutti i vostri commenti e recensioni sono ben accetti.

Ellie

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Capitolo 10
*** Fraintendimenti ***


10 Fraintendimenti

Nikki aveva gli occhi socchiusi e guardava il fratello che non aveva mai avuto seduto dalla parte opposta del tavolo del salotto mentre dava una boccata dalla sua sigaretta; Tommy espirò il fumo e spense il mozzicone in un angolino del posacenere stracolmo. «Va bene che anch'io non sono il dio dell'ordine, ma devi davvero dare una sistemata qui dentro bro» disse Tommy guardandosi in giro e facendo saltare gli occhi da un angolo all'altro di quella casa caotica. «Non mi rompere il cazzo T-Bone» disse Nikki dopo aver cercato di deglutire anche se non aveva nemmeno una goccia di saliva in bocca. «Ascoltami bene Sixx» disse il batterista sporgendosi verso di lui facendo leva sui gomiti «sei conciato una merda e non puoi andare avanti così. Abbiamo un cazzo di disco da finire e se tu non componi siamo nella merda più totale. Io posso darti una mano ma sai che quelle canzoni devono avere la tua impronta sennò... non suonano Crüe, cazzo! In studio sei sempre fottutamente sedato e stai portando dei pezzi orribili»

«Vaffanculo...» cercò di ribattere Nikki

«Vaffanculo un cazzo!» Tommy si alzò di scatto e picchiò violentemente il pugno sul tavolo «datti una svegliata porca di quella puttana! Abbiamo bisogno di te bro, non puoi sprofondare così!». Nikki non aveva mai visto Tommy così incazzato, faceva paura; sembrava l'orco cattivo delle favole che ti raccontano da bambino. I lunghi capelli mossi gli scendevano ribelli sulle spalle e aveva le sopracciglia aggrottate in un'espressione di disgusto; istintivamente Nikki si ritrasse come le antennine di una chiocciola quando vengono toccate da un dito dispettoso. Tommy si accorse di avere alzato un po' troppo il tono di voce e, sentendosi un po' in colpa, fece il giro del tavolo e si mise in piedi vicino all'amico: «Bro, scusa, non volevo ferirti. Però sappi che siamo davvero nei guai; Werman è incazzato da morire con te e non sa come farti lavorare». Nikki sbuffò e lasciò cadere la testa sul tavolo: «Non sono ispirato Tommy, cosa devo fare?»

«Fattelo venire il lampo di genio, semplice!» cercò di semplificare la cosa T-Bone e mentre pronunciava queste parole si accese un'altra sigaretta. Diede la prima boccata, espirò il fumo e mise una mano sulla spalla dell'amico: «Cosa c'è che ti turba? Tua madre? Tua sorella Ceci? O magari tuo padre è rispuntato dal nulla...». “Madre... sorella... Padre...” queste parole rimbombarono per un attimo nella testa del ragazzo; «No... stavolta è una ragazza»

«Ma vai a cagare, idiota!» lo schiaffeggiò Tommy prendendo una sedia per sedersi vicino a lui «Ti fai tutte queste seghe mentali per una ragazza quando puoi avere tutto il Sunset Strip ai tuoi piedi?». Nikki rialzò la testa e guardò l'amico negli occhi: «No, Tommy... con questa è diverso». Tommy rimase immobile, esterrefatto, con la sigaretta sospesa a metà strada dalla bocca aperta: «Scusa?» riuscì a dire dopo un momento di esitazione. «Lei... lei...» il solo pensare a Rea gli mandava in tilt il cervello «lei è un angelo Tommy. È fantastica e... sono due settimane che non la sento». Nikki guardava nel vuoto, disegnando con la mente il profilo di Rea, il movimento morbido e sinuoso dei suoi capelli corvini, i suoi occhi svegli e neri, il suo naso fine, le sue labbra carnose, i suoi seni naturalmente tondi, le sue mani affusolate che amava stringere nelle sue, le sue gambe lunghe e slanciate; Tommy interruppe questo dipinto immaginario: «E tu rintracciala, no? Se ti piace così tanto fai in modo di metterti in contatto con lei»

«Tommy, ho combinato un casino con quella ragazza! Sono due settimane che non la sento semplicemente perchè non mi risponde al telefono» gli disse Nikki rassegnato. «Allora è il momento di cercarsi un'altra persona» cercò di esortarlo T-Bone, ma questa frase scatenò l'ira del bassista: «No, Cristo, no! Io ho bisogno di lei! Voglio lei perchè nessuna è in grado di sostituirla, come quando tu ti sei trovato Heather

«Ahia» sibilò Tommy «qua è grave... che cavolo hai combinato?»

«Vanity» ammise Nikki prendendosi il viso fra le mani e nascondendosi per la vergogna

«Bro, te l'ho sempre detto che quel cioccolatino non valeva un cazzo. Però dai, adesso almeno con lei hai troncato e di problemi non ce ne sono più»

«Rea ora è il mio problema» sentenziò il ragazzo da dietro i palmi

«Va bene, ok bro...» disse Tommy scuotendo la testa «ma cos'ha di così particolare questa Rea?». Nikki abbassò le mani chiudendole a pugno sotto il suo mento; sospirò, chiuse per qualche secondo gli occhi verdi e poi disse: «E' l'unica che davvero mi ha guardato dentro, dietro la fottuta maschera da rocker che sono costretto a portare. È stata l'unica che ha trovato del bello dentro di me e si è fatta in quattro per rimettermi in pista; ed io l'ho allontanata come un coglione facendole trovare involontariamente Vanity in casa... cazzo»

«Cazzo sì» gli fece notare Tommy annuendo, poi aggiunse: «Sai, se fossi anch'io la tua ragazza sarei incazzata nera con te»

«Se tu fossi la mia ragazza ti prenderei a bottigliate tutto il tempo. Sei insopportabile quando ti fissi su qualcosa» lo prese in giro Nikki. I due risero sommessamente per cercare di sdrammatizzare, ma il ragazzo sentiva che dentro la sua gola si stava formando un nodo: «T-Bone...» chiamò il “fratello” con un filo di voce «se tu fossi al mio posto, come ti comporteresti?»

«Beh bro, se questa Rea davvero ti fa sentire bene devi chiamarla. Insisti e vedrai che parlerà con te al telefono»; detto questo, Tommy si alzò, andò al tavolino vicino al divano, prese il cordless e lo pose all'amico con un sorriso: «Starò qui con te mentre la chiami... e metti la cornetta in mezzo così posso sentire anch'io»

«Che vecchietta zotica che sei...»

* * *


Rea sedeva con le palpebre semi abbassate al tavolo della cucina e guardava gli spaghetti alla carbonara che Morea le aveva preparato con tanto amore; le sue amiche erano tutte in piedi di fronte a lei. «Assaggia, sono favolosi!». Sì, era vero, l'odore era buonissimo, eppure non aveva fame: «Non me la sento di mangiare» gemette Rea scatenando l'ira di Amy: «Non ti riconosco Rea, si può sapere che cavolo hai? Sono due settimane che sei in stato quasi vegetativo, mangi poco, dormi sempre...»

«Lo so, hai ragione... è solo che... mi manca» gli occhi le si velarono di lacrime. Sbatté le palpebre per permetter loro di scorrerle sulle guance; fissò gli spaghetti arricciati fra di loro, proprio come i capelli cotonati di Nikki in disordine.


Sabato 8 novembre 1986, 2 pm

Ogni cosa che guardo mi ricorda qualcosa di lui. Non riesco davvero a levarmelo dalla testa. Devo esser scema, dopo quello che mi ha fatto... la sua ragazza. Giuro, se la vedo in giro la uccido a mani nude. Sono due settimane esatte che non faccio altro che piangere e dormire; ininterrottamente. Non studio più, non ascolto più radio, non vado in università... e tutto per colpa sua! O forse... forse un pochino è anche colpa mia? Lui ha continuato a chiamarmi tutti i giorni per cercare di parlarmi ma io non ce la faccio, non riesco a sentire la sua voce senza scoppiare in lacrime. Merda, MERDA! La prima telefonata che mi ha fatto la domenica successiva al casino è stata devastante; ho risposto al telefono e, come ho sentito la sua voce chiamarmi per nome, mi si sono velati gli occhi e grosse lacrime mi hanno corroso le guance. Lui parlava da solo, io non gli rispondevo; mi ha detto: «So che non vuoi sentirmi, ma ti prego, credi alle parole che sto per dirti»

«Scusami ma non ci riesco» ho sospirato ed ho messo giù. Da quel momento non ho mai più risposto al telefono in queste due settimane; Nikki ha continuato a chiamare tutti i giorni almeno due volte per cercare di mettersi in contatto con me ma le altre gli hanno sempre detto che stavo studiando oppure che non ero in casa. Ed io, chiusa nella mia stanza, ascoltavo i loro commenti: “Che stronzo” dice sempre Marta oppure Morea ha sfornato quello più cattivo: “Che puttaniere del cazzo”. L'unica che non partecipa a questa “cerimonia” è Bunny, l'unica che cerca di calarsi nella situazione e di trovare una soluzione. Lei che cerca sempre di trovare del buono in tutti. Io non so proprio che cosa fare: vorrei tanto rivederlo, fare finta che non sia successo nulla e riprendere tutto da dove ci eravamo fermati. Ma una cosa del genere non si può fare dopo due settimane di silenzio forzato. Ho parlato moltissimo con il nonno in questi giorni e, proprio poco fa, mi ha detto questo: «Rea, so che tu stai soffrendo molto e so anche che lui è tutt'altro che un santo... ma perchè devi essere sempre così orgogliosa? Perchè non vuoi mai cedere? Certo, lui ha sbagliato, ma anche tu hai fatto un grosso errore. Sei stata così impulsiva che non gli hai mai dato la possibilità di parlarti e di spiegarti la situazione; non ti è mai venuto il dubbio che possa essere solo un malinteso? Non hai mai ceduto in questi giorni e mai gli hai telefonato per cercare di scambiarci due parole... non credi che questa situazione sia dovuta anche ai tuoi sbagli? So che fra odio e amore c'è una linea sottilissima... e so anche che tu ci stai camminando sopra; però sei in bilico. Dovresti contattarlo». Non so che fare, dovrò trovare il coraggio di farlo... ma non so, boh! Ho paura di non riuscirci. E proprio mentre ti sto scrivendo queste parole, in soggiorno sta squillando il telefono.


Aveva le mani sudate ed il fiato corto; T-Bone lo guardava agitarsi sul divano mentre attendeva una risposta dall'altro capo del filo.


«Oh, che palle! Sarà Nikki sicuramente» si lamentò Amy «chi risponde dato che io l'ho già fatto ieri?». Marta stava per avventarsi sul ricevitore ma Bunny fu più veloce di lei: «Pronto?». Marta scrollò le spalle e se ne andò dal soggiorno, lasciando l'amica sola sul divano. La solita voce sconsolata disse dall'altro capo del filo: «Posso parlare con Rea, per favore?»; Bunny, che per due settimane era stata al gioco, decise di dirgli la verità: «Nikki, sono Bunny... ascolta, Rea non se la sente di parlare con te»; un gemito di rassegnazione arrivò al suo orecchio ma lei si affrettò a dire: «No, aspetta! Non riattaccare e ascoltami bene»


Nikki e Tommy si guardarono per un istante mentre una flebile fiamma di speranza si accendeva nel profondo del bassista: «Dimmi»


Bunny abbassò il tono di voce di modo che le altre nella stanza adiacente non fossero in grado di distinguere ciò che stava dicendo; si era stancata di vedere Rea in quello stato “comatoso” e voleva aiutarla a tutti i costi. Sapeva che stava andando contro quello che le altre stavano cercando di inculcarle in testa, specie per quanto riguardava il fatto che Nikki l'avesse sfruttata dandole l'illusione di renderla davvero felice. Eppure Bunny non ne era convinta, sapeva che sotto sotto c'era un malinteso che andava sistemato; insomma, Nikki non si sarebbe mai preso la briga di portarla al cinema ed uscire con lei per due mesi e mezzo se non si fosse interessato veramente Rea. Bunny parlò per dieci minuti buoni, spiegando al bassista come l'amica stava vivendo la situazione e di quanto avesse bisogno di lui: «So che lei è estremamente orgogliosa, ma sappi che le piacerebbe mettere le cose a posto. È solo che non vuole piegarsi e venire a chiederti personalmente scusa; è un suo difetto». Dall'altro capo del filo Nikki gioì in silenzio e chiese: «Devo vederla il prima possibile, come posso fare?»

«Beh, tu ricordati che lei il martedì stacca alle due in università... potresti inventarti qualcosa e farle una sorpresa. Ti garantisco la mia collaborazione Nikki, martedì la trascinerò in ateneo anche se lei vorrà rimanere a letto tutto il giorno»

«Grazie Bunny» disse Nikki sentendosi immensamente più leggero mentre chiudeva la chiamata; dopo aver appoggiato il cordless sul tavolino basso guardò Tommy e sentenziò: «Martedì pomeriggio niente prove»

«E perchè mai?» domandò il batterista facendo finta di non capire. Il silenzio di Nikki fu eloquente: «Eh no Sixx, no cazzo!» sbraitò Tommy

«E invece sì T-Bone, tu mi devi ancora un favore da quando ti ho accompagnato al primo appuntamento con Heather perchè avevi la macchina dal meccanico... questa è l'occasione giusta per ripagarmi»

«Scordatelo» fu la secca risposta del batterista ma Nikki gli puntò il dito contro: «Non osare obiettare. Martedì mezzogiorno pranziamo insieme e poi ce ne andiamo alla UCLA». Tommy sbuffò rassegnato: quando Sixx si metteva in testa una cosa, non c'era essere vivente in grado di fargli cambiare idea.


* * *


Aveva una promessa da mantenere e sarebbe stata disposta a fare qualsiasi cosa pur di rivedere l'amica sorridere; Bunny si alzò più determinata che mai la mattina di martedì 11 novembre. Doveva fare in modo di sistemare la situazione, quel giorno Rea e Nikki avrebbero dovuto parlarsi a qualunque costo, fosse venuto il terremoto più rovinoso di sempre in quel preciso istante. Aprì la porta della camera da letto dell'amica e, con grande sorpresa, la trovò già sveglia che si stava vestendo: «Rea?» la chiamò Bunny incredula; la ragazza si girò. Ancora non sorrideva ma sul suo viso era riapparsa una cosa che mancava da quasi tre settimane: determinazione; la bella bruna le disse: «Oggi voglio cercare di riprendere la mia vita normale»

«Oh, che bello» sorrise Bunny sollevata «dunque verrai in università con noi?». Rea le si avvicinò e le parlò all'orecchio: «Sì... e dopo le lezioni devo fare una cosa molto importante»; la ragazza dai lunghi codini si pietrificò per un secondo: se Nikki non fosse stato puntuale oppure se Rea fosse uscita leggermente prima dall'ultima lezione, l'incontro riparatore non sarebbe mai avvenuto. «Cosa vorresti fare?» le domandò Bunny timorosa della risposta

«Voglio andare a casa di Nikki e chiarire. Ho capito che sono sempre stata eccessivamente orgogliosa e me ne pento; e se lui non vorrà accettare le mie scuse... avrà tutte le sue buone ragioni per farlo. Ma io devo cercare di farmi perdonare». Bunny si stupì di come l'amica ed il suo ragazzo fossero in sintonia; sorrise e le mise le mani sulle spalle: «Vedrai, andrà tutto bene... anzi, oggi quando esci guardati bene intorno, non vorrei che lo incontrassi proprio lì fuori»

«Non credo, sai?» le confessò Rea dubbiosa. La ragazza dai chilometrici capelli biondi uscì dalla stanza della sua migliore amica con un'espressione vittoriosa. La giornata di Rea scivolò via come acqua sulle rocce fra seminari di architettura e studio di opere contemporanee; cercò di concentrarsi il più possibile sui corsi ma il pensiero di Nikki le affollava prepotentemente il cervello. L'idea che l'avrebbe rivisto in giornata anche solo per un secondo la scuoteva dall'interno e l'agitava; era infastidita dal fatto che la sua ragazza Vanity si fosse fatta trovare in casa da lui ma, in quelle quasi tre settimane di distacco, mai aveva smesso di pensare a lui, non aveva mai smesso di volergli bene e di amarlo. Era ben decisa a mettere le cose in chiaro, anche a costo di rimetterci la faccia; lui l'aveva stregata con il suo sguardo di smeraldo, con la sua voce roca e profonda, con il suo calore e con la sua virilità. E sapeva che anche lui, in qualche strano modo, era rimasto colpito da lei.


All'una e mezza spaccata Tommy parcheggiò l'auto proprio davanti all'ingresso della facoltà di arte ed architettura; Nikki era seduto sul sedile del passeggero visibilmente nervoso. “Sixx, calmo. Hai ripassato il discorso un sacco di volte, non puoi sbagliare. Mi raccomando, sii gentile e non precipitoso; ma soprattutto sii chiaro. Vedrai che andrà tutto bene... te l'ha detto anche la sua amica”. Ma il bassista non ne era per nulla convinto, non si fidava del suo cervello; aveva paura di combinare qualche casino e perdere per sempre il suo Fuoco. Forse incespicando con le parole, forse gesticolando in modo sbagliato.

«Allora, si può sapere quando cazzo esce?» domandò spazientito T-Bone «Non ho voglia di perdere tutto il pomeriggio»; Nikki guardò l'orologio dell'auto che segnava l'1.45 pm: «Manca un quarto d'ora esatto». Si fermò per un secondo sentendo l'adrenalina scorrergli per le vene, sospirò e poi disse: «T-Bone, hai della coca dietro?»

«Bro, non fare il coglione. Sei già abbastanza agitato, ci manca solo la coca»

«Non fare l'egoista, tirala fuori e facciamoci una sniffata in compagnia prima del momento della verità» lo esortò Nikki

«Io me la faccio, ma tu proprio no» sentenziò Tommy «in questo momento sei teso come il pene di Vince durante un'orgia». Ma il bassista non gli diede ascolto e, in un lampo, prese la cocaina dalla tasca della giacca dell'amico; poi tirò fuori dell'eroina dai suoi jeans ed in pochi secondi si preparò uno speedball. «Ma sei pazzo? Non puoi farti un cocktail così pericoloso in un momento come questo!» gli urlò Tommy nell'orecchio, ma Nikki sembrava sordo; si fece la sua striscia e... BAM! Eccola che entrava in circolo, eccola che si insinuava nelle sue cellule; sentiva la pressione sanguigna aumentare vertiginosamente mentre le tempie si irroravano di sangue ed il cuore si dimenava sempre più velocemente. Ottanta... novanta... centoventi... centrotrenta battiti al minuto; proprio in quel momento Rea apparve sulla soglia dell'edificio. «Eccola... io vado» disse Nikki fiondandosi fuori dall'auto

«Bro, ma perchè ti sei fatto?» gli chiese inutilmente Tommy dall'abitacolo mentre la portiera si richiudeva con un tonfo sordo; le prime parole che passarono per la sua mente furono: “Prevedo una tragedia”. Nikki andò come un siluro incontro a Rea sbattendo contro tutti quelli che erano nel suo raggio d'azione; si muoveva come le fiamme di un incendio, incurante di tutto ciò che gli stava intorno. Rea, nel trovarselo dinanzi, si portò la mano davanti alla bocca meravigliata: “Non posso crederci... è lui? Qui? Oddio, Bunny aveva ragione” fu l'unica cosa che riuscì a pensare. «Ciao» la salutò Nikki con un sorriso malato «ho bisogno di parlare con te» disse andando subito al nocciolo

«Ad essere sincera, anch'io vorrei parlarti» riuscì a balbettare la ragazza dopo qualche istante di silenzio cercando di apparire il più calma possibile; era felicissima nel vederlo davanti a sé ma non doveva dargli l'idea che fosse al settimo cielo, aveva paura di farlo arrabbiare dopo tutto quello che era successo fra di loro. «Ci cerchiamo un posticino tranquillo?» lo esortò Rea; Nikki annuì in preda agli effetti della cocaina. Quando la prese per mano, Rea smise di respirare per un momento; non si aspettava un gesto del genere dopo quasi tre settimane di distacco e silenzio. “Non mi sembra vero... allora... allora le ragazze avevano torto... ci tiene veramente a me”. Nikki incrociò le dita della sua mano sinistra con quelle della mano destra di Rea per portarla verso la macchina dove Tommy li aspettava, quando tutto iniziò a girare vorticosamente; il bassista si portò una mano alla fronte per cercare di frenare quel movimento, ma senza riuscirci.


Martedì 11 novembre 1986, 9 pm

Ero così felice di averlo davanti a me, di poterlo toccare di nuovo, di potergli parlare, di poter chiarire tutto il casino che si era creato... e lui sviene. Cade a terra come un sacco vuoto e rimane lì, sul marciapiede.


«Merda, lo sapevo! Se scommettevo vincevo!» si disse Tommy precipitandosi fuori dall'abitacolo; Rea intanto si era accovacciata di fianco a Nikki che era svenuto come un coglione e cercava di risvegliarlo schiaffeggiandolo. «Ma che cazzo hai, avanti, apri gli occhi!» urlava la ragazza nervosamente. “Ancora non ha smesso di drogarsi... ma perchè, diavolo, perchè!”; in quel momento felicità e delusione animavano il cuore della ragazza.

«Bro, dovrebbero darti la laurea ad honorem in “Idiozia e coglionaggine”» lo rimproverò T-Bone chinandosi per prenderlo per le caviglie; poi guardò Rea e le ordinò di prenderlo per le spalle perchè l'avrebbero caricato in macchina. Nikki pesava tanto nonostante avesse perso peso nell'ultimo periodo; almeno, per Rea era pesante, e la cosa era aggravata dal fatto che non collaborava minimamente nel farsi trasportare. Tommy caricò l'amico sul sedile posteriore della sua auto e Rea si sedette dietro con lui; il batterista ingranò la prima e partì sgasando rumorosamente. «Ma che cosa gli è successo?» chiese Rea preoccupata

«Speedball» rispose T-Bone zigzagando fra le auto


Martedì 11 novembre 1986, 9 pm

Speedball... Nikki non si smentisce mai... e io che continuo a sperare ogni volta che lo vedo che lui abbia smesso... niente da fare. La cosa è davvero tragica. Che delusione...


Rea scosse la testa sconsolata: «Portiamolo in ospedale prima che ci rimanga secco»

«No» sentenziò Tommy «Sixx non si farebbe curare, meglio portarlo a casa»

«Ma... è in overdose!» sbraitò la ragazza guardando gli occhi di Nikki che fissavano inespressivi il tettuccio della macchina. Il batterista ridacchiò: «Tu non hai minimamente idea di cosa sia un'overdose... Sixx ha solo uno svarione, vero amico?». Rea guardò Nikki con il cuore in gola, timorosa di non ricevere nessun segnale di vita; fortunatamente il bassista grugnì: «Visto? Sta più o meno bene» disse trionfante T-Bone.


Martedì 11 novembre 1986, 9 pm

Tommy guidava in modo spericolato per i viali di L.A. rischiando ogni quarto di miglio di fare un incidente. Ma io non ci facevo caso, avevo lo sguardo puntato su Nikki che, nel frattempo, aveva chiuso gli occhi; avevo troppa paura che mi rimanesse esanime sulle gambe. Non volevo che succedesse, io e lui dovevamo parlare, dovevamo mettere in chiaro tutti i nostri malintesi; e mai avrei sopportato l'idea di vederlo morire sotto i miei occhi. Gli ho posato una mano sul petto e ho sentito una gioia immensa pervadermi il corpo nel percepire il lento movimento del suo diaframma: “Respira ancora...”


Dopo un arco di tempo che sembrò interminabile, Tommy parcheggiò la macchina davanti al cancello della casa di Nikki; Rea prese le chiavi dalla tasca della giacca del bassista e scese per andare ad aprire. Poi lei e T-Bone lo presero l'una per le spalle e l'altro per le caviglie e lo portarono in casa faticando, sudando ed inciampando diverse volte rischiando anche di farlo cadere. «Piano, piano» sibilò Tommy a denti stretti poggiando l'amico sul letto matrimoniale; poi sbuffò, si scostò la frangia che, per il sudore, aveva aderito alla fronte, si girò verso Rea che ansimava per la fatica e disse: «Comunque, tra parentesi, io sono Tommy Lee»

«Piacere, sono Rea» gli rispose con fatica la ragazza. I due iniziarono a sistemare Nikki per metterlo sotto le coperte; Tommy ruppe il silenzio: «Sai, il mio bro mi ha parlato tanto di te». Rea rimase esterrefatta a quelle parole, chissà cosa aveva detto Nikki sul suo conto; il batterista proseguì: «Era distrutto in questi giorni... non faceva altro che ripetermi che dovevate parlare, che doveva mettere in chiaro delle cose...»


Martedì 11 novembre 1986, 9 pm

Un vuoto allo stomaco, proprio come quello che ti viene quando inizi la discesa sull'ottovolante, il diaframma che per un attimo si immobilizza ed un tuffo al cuore. Quando Tommy ha detto quelle parole non volevo credere alle mie orecchie... in un istante mi sono sentita una merda. Ho capito che per tutte quelle settimane quella che aveva sbagliato veramente ero io, e non lui; Vanity era stata solo un brutto incidente di percorso e nulla più. Se solo gli avessi dato modo di parlare subito non l'avrei ficcato (sì, perchè essenzialmente la colpa è mia) in una situazione simile ed io avrei potuto stare di più con lui ed aiutarlo a disintossicarsi. Io, orgogliosa, ho pensato che la colpa fosse sua, che avesse fatto “apposta” a farmi trovare un'altra ragazza in casa... ed invece era solo un dannato malinteso. E lui che mai ha mollato, mai si è scoraggiato, e tutti i giorni cercava di parlarmi per spiegarmelo. E io che non gliene davo la possibilità... dopo questa esperienza, credo di avere imparato la lezione.


«Già» sospirò Rea ed i tratti del suo viso si indurirono. T-Bone avvertì il suo disagio, fece il giro del letto e le si fermò davanti: «Fai in modo di chiarire tutto, anche la stronzata più stronzata di tutte; ti posso garantire che Nikki stravede per te, non si è mai comportato così con nessuna delle donne che ha frequentato. Pensa che mai lui chiede scusa per qualcosa! Lo stai proprio tirando scemo». Rea sentì un altro vuoto allo stomaco; Tommy continuò: «Mi ha detto che» piegò l'indice ed il medio di entrambe le mani per simulare le virgolette «sei la sua “ragazza”, anche se non c'è una vera e propria relazione fra di voi. Ti giuro, è la prima volta che è fuori così per una pollastra... ops, scusa, ragazza». La finezza non era il forte di T-Bone. Il batterista si bloccò sentendo Nikki bofonchiare qualcosa dal letto; si stava riprendendo e quindi decise di lasciare i due soli: «Vado in cucina a farmi una birra». Uscì chiudendo dolcemente la porta. Nikki aprì un occhio e vide che la ragazza gli si era seduta di fianco; tirò su la coperta fino a coprirsi il viso: «Dimmelo»

«Cosa?» domandò Rea dolcemente andando a scostargli il lenzuolo dal viso

«Che sono un coglione» disse lui guardandola con le sue iridi verdi. Era bella. No, bellissima. Era così bella che sembrava un'illusione; soprattutto non poteva credere che lei fosse con lui nella sua stanza, seduta sul suo letto e che gli rivolgeva la parola. «Potevo evitare di svenire in quel momento» disse lui cercando di farla ridere; la ragazza sorrise. Rea gli scostò un ciuffo ribelle dagli occhi, poi lo prese per mano: «Come ti senti ora?»

«Umpf, potrei stare meglio... però sono contentissimo di vederti» Nikki si interruppe un attimo e poi aggiunse: «Ascoltami, io volevo chiederti scusa...»

«No Nikki» lo bloccò Rea «io devo chiederti scusa per il mio comportamento. Ho sbagliato tutto fin dall'inizio; avrei dovuto darti la possibilità di parlare, di spiegarmi la situazione e soprattutto di chiarire chi fosse Vanity, ma come una sciocca precipitosa non l'ho fatto»

«Non devi preoccuparti per Vanity» la rassicurò Nikki stringendole la mano «l'ho lasciata, fa parte del passato»

«Ma quello che è peggio» si fermò un attimo sentendo il senso di colpa gravare su di lei «è che sono stata così orgogliosa che, anche quando ho capito di chi era veramente la colpa... cioè mia... insomma, non mi sono nemmeno fatta avanti per chiederti scusa» una grossa lacrima le scivolò sulla guancia destra «Sono io che devo chiedere il tuo perdono». Nikki le sorrise e le accarezzò il viso bagnandosi la mano dei suoi sensi di colpa; le disse: «Io avrei dovuto scaricare Vanity appena ti ho conosciuta, anch'io ho fatto un errore... spero tu possa scusarmi perchè io non voglio più stare lontano da te». Il sole rispuntò sul viso di entrambi, un sorriso scintillante illuminò i volti dei due ragazzi ed il grosso peso se ne andò, permettendo loro di poter prendere di nuovo il volo. Nikki tirò delicatamente Rea verso di sé e se la strinse al petto più forte che poté; la ragazza sorrise di nuovo e gli buttò le braccia intorno al collo. «Sei così bella quando sorridi» le sussurrò lui all'orecchio e poi le diede un bacio sulla guancia. La strinse ancora, continuò a stringerla per lungo tempo, respirando il profumo dei suoi capelli e sentendo le sue mani morbide accarezzargli le spalle. Dopo tanto tempo il fuoco si impossessò nuovamente di loro, scaldando le loro membra ed i loro animi; l'abbraccio si dissolse per un attimo ed i due si ritrovarono a pochi centimetri l'uno dall'altra. I nasi si sfioravano, gli occhi di lui si perdevano in quelli di lei; Nikki respirava sulla pelle di Rea, Rea respirava sulla pelle di Nikki. Il battito del cuore di entrambi aumentò il ritmo. Nikki aprì leggermente le labbra, avvicinandosi al viso di lei; Rea chiuse gli occhi pronta a sentire il suo sapore sulla sua lingua. Mentre entrambi stavano per chiudere le palpebre per guardare l'uno all'interno del cuore dell'altro, la porta della camera si aprì di botto: «Bro, dove cazzo hai messo l'apribottiglie? Non...» Tommy si interruppe nel vedere la scena; dopo un attimo di smarrimento esclamò: «Ah, ma qui si...» chiuse la mano destra a pugno e mosse il braccio avanti e indietro. Rea diventò rossa come un peperone mentre Nikki schizzò in piedi per rincorrere l'amico che nel frattempo era scappato e rideva come una iena.


NOTE:

Tommy: Tommy Lee, il batterista dei Mötley Crüe famoso per avere avuto una tormentata relazione con Pamela Anderson.

Bro: abbreviazione di brother; vocabolo molto usato da questa persona, in particolare per rivolgersi a Nikki.

T-Bone: soprannome dato da Nikki Sixx a Tommy Lee perchè è alto e magro.

Heather: si intende Heather Locklear, la prima moglie di Tommy Lee.

Speedball: cocktail di eroina e cocaina; è uno dei cocktail di droghe più pericolo in quanto due droghe dall'effetto opposto vengono assunte contemporaneamente. I rischi di overdose sono molto alti.


Capitolo sudatissimo questo; l'ho trovato parecchio difficoltoso e, mi auguro come sempre, che non deluda le vostre aspettative. Ho introdotto qui un personaggio molto vicino a Nikki che è Tommy, il “fratello che non ha mai avuto” (cit. da “The Heroin Diaries”); sarà molto importante anche con l'avanzare della storia perchè, con il nostro protagonista maschile, forma il duo chiamato “Terror Twins” (più avanti capirete poi perchè). La coppia si è sistemata e, come era già successo precedentemente al cinema, viene interrotta proprio mentre stanno per baciarsi. Chissà, forse non si baceranno mai! Io taccio e non vi anticipo nulla. Grazie alle mie fidatissime lettrici: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Cri cri, kay89, key17, LadyMars, Mars From The Stars, marziolina86, Moon 91, Alison_95 e pianistadellaluna; grazie anche a tutti quelli che leggono senza recensire (il mio ragazzo compreso). Ovviamente, le raccomandazioni sono sempre quelle: se il capitolo è scritto male o non vi piace non abbiate paura di scrivermelo nelle recensioni e se manca qualcosa nelle note non esitate a chiedere. Baci, Ellie

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Capitolo 11
*** La Festa Di Compleanno ***


11 La Festa Di Compleanno

Quando Rea tornò a casa era l'ora di cena; entrò in cucina e, come sempre, trovò Morea intenta a creare qualcosa ai fornelli e le altre tre che apparecchiavano la tavola. La ragazza salutò le amiche un po' più pimpante rispetto all'ultimo periodo; Bunny alzò gli occhi dalla tovaglia e le rivolse un sorriso complice. La cuoca di casa, intanto, aveva appena messo nei piatti il pesce alla griglia: «Rea, corri a lavarti le mani che è pronta la cena!». La ragazza dai capelli corvini non se lo fece dire due volte, il pomeriggio che aveva passato a Van Nuys era stato particolarmente intenso ed aveva un gran bisogno di ricaricarsi. Si sedette a tavola e si avventò come un condor sul branzino: «Che buono!» disse Rea mettendo il pesce masticato in un lato della bocca; le ragazze rimasero con le loro forchette ed i loro coltelli sospesi sopra i piatti e fissavano l'amica che divorava la pietanza. «Per la miseria Rea, ti è ritornato l'appetito» disse Amy stupefatta

«Già, sorprendente» la sostenne Marta, poi aggiunse: «Ti sei trovata un altro ragazzo?». Rea sorrise con la bocca piena e scosse la testa; a quel punto intervenne Bunny: «Hai fatto pace, vero amica mia?». Morea fissò dapprima Bunny con gli occhi sgranati poi rivolse il suo sguardo interrogativo verso Rea che, felice, annuiva mentre deglutiva l'ultimo boccone di pesce: «Sì, abbiamo sistemato»

«SEI PAZZA?» urlò Marta scattando in piedi «Quello ti ha presa in giro per due settimane e tu hai il coraggio di fare pace con lui?». Amy la tirò per la manica del maglione: «Non saltare a conclusioni affrettate, siediti e mangia. Credo che Rea voglia raccontarci tutto» e, mentre pronunciava questa frase, si girò verso la ragazza dai capelli corvini e le fece l'occhiolino. Rea arrossì imbarazzata sentendo tutti gli occhi puntati su di lei; Bunny la esortò con un sorriso: «Avanti, racconta». La ragazza fece un respiro profondo e spiegò: «Sapete, in questi giorni ho ripensato più e più volte agli attimi in cui io e Nikki ci siamo divisi e devo dire che non mi ero resa conto che gran parte della colpa era mia. Semplicemente perchè non gli ho dato l'opportunità di fornirmi delle spiegazioni su Vanity... insomma, sono stata troppo orgogliosa. Sono convinta che se lui avesse parlato subito, tutto questo malinteso non si sarebbe creato. Ecco perchè questa mattina, quando mi sono svegliata, ero decisa ad andare da lui per mettere in chiaro le cose; volevo che tutto fra noi fosse nitido e cristallino, anche se ero pronta a ricevere un'accoglienza glaciale da parte sua... poi, ironia della sorte, me lo sono ritrovato davanti all'ingresso della facoltà...»

«Cosa cosa?» la bloccò Marta mettendosi la mano a coppa vicino all'orecchio destro «Ho sentito bene?»

«Lui che si presenta in università? SOLO PER TE?» esclamò Morea scandendo le ultime parole

«Ciò significa che...» Amy fece una pausa per ragionare «a giudicare dal suo comportamento, lui ci tiene davvero a te! Mai avrei pensato che un rocker cafone del suo calibro potesse compiere un atto simile!»

«Beh, Amy, ricordati che lui ha fermato Axl Rose; se non fosse stato per Nikki, Rea se la sarebbe vista brutta» precisò Bunny.

«Insomma, alla fine abbiamo parlato per tutto il pomeriggio, ci siamo chiariti e posso dire di essere...» Rea esitò «... quasi felice»

«Cosa significa quasi felice? O si è felici oppure non lo si è!» disse Bunny sbigottita; la ragazza dai capelli corvini stava per spiegare il motivo della sua affermazione quando Amy si intromise dicendo: «Non ha finito la terapia del metadone, vero?». Rea annuì in silenzio; Marta scosse la testa: «Non ce n'è, queste rockstar sono davvero delle teste di rapa! Persone da evitare come la peste!». A queste parole scoppiò una fragorosa risata generale; la bionda guardava le amiche quasi arrabbiata chiedendo: «Che cosa avete da ridere?»

«Marta...» disse Bunny cercando di frenare il moto convulso dei suoi addominali «...tu eviteresti Seiya come la peste?»

«SEIYA E' UN CASO A SE'!» urlò la ragazza sentendosi punta sul vivo; le ragazze ridevano sempre più forte e Bunny rischiò addirittura di cadere dalla sedia. Dopo circa due minuti Amy riuscì a riprendere il controllo di se stessa e disse: «Sapevo che Nikki non ne era convinto fin dall'inizio, però sai, la speranza è l'ultima a morire. Secondo me, prima o poi lo farà, l'importante è che ora tu rimanga al suo fianco il più possibile»

«Infatti» aggiunse Morea «Nikki dice che, se tu sei con lui, non vuole farsi perchè se ne vergogna»


Martedì 11 novembre 1986, 9 pm

Spero con tutta me stessa che le mie amiche abbiano ragione. Voglio che Nikki si senta motivato a smettere perchè io sono al suo fianco... però non posso essere onnipresente; ci sarà un modo per mettergli sempre “soggezione”...


Mercoledì 12 novembre 1986, 3.30 am

Il nonno mi ha parlato nel sonno... mi ha detto di avere sempre un occhio su di lui; come se fossi il Big Brother di “1984”. So cosa fare.


* * *


Quel giorno, appena terminate le lezioni, Rea era andata dal suo fornitore preferito ed aveva fatto una gran scorta di colori ad olio, medio essiccante e pennelli lunghi ed aveva comprato una tela di cinquanta per settanta centimetri. Le uniche due volte che era stata a casa di Nikki aveva cercato di individuare degli spazi possibili sul muro per poterci appendere delle stampe o dei quadri e l'area di quella tela era perfetta per il pezzo di muro sopra il camino. Rincasò verso le sei e subito si mise all'opera; prese tutto il suo arsenale di tubetti e si recò nel suo studio, la stanza a nord della casa che aveva una parete fatta di solo vetro dalla quale si poteva ammirare il verde del giardino sul retro. Non era particolarmente calda, ma era perfetta per dipingere; era tranquilla e aveva un che di mistico. La ragazza preparò il cavalletto e si infilò il camice ormai non più bianco ma macchiato delle più svariate sfumature di colore; ogni volta che lo guardava, c'era sempre qualcosa che le ricordava le sue amiche. Quella macchiolina a forma di pesciolino turchese non poteva non essere che Amy... l'altra macchia verde di cadmio, un po' più grande, a forma di foglia, le ricordava tanto Morea... poi uno strano cuoricino arancio le faceva pensare a Marta e quello schizzo rosa sul polsino che somigliava alla faccia di un coniglio altro non era che Bunny. Poi c'era lei, sulla manica destra, una pennellata irregolare scarlatta che correva giù dalla spalla fino al gomito; era stato il nonno a farla sporcare quella volta. La sua mente volò a circa due anni prima quando non era ancora immobilizzato a letto e la malattia era ai primi stadi; lei stava dipingendo una natura morta fatta di rose rosse e violini quando il nonno le fece prendere uno spavento toccandole la schiena e cogliendola completamente alla sprovvista. Il pennello le era scappato di mano e le aveva accarezzato dolcemente il camice finendo poi per terra; lui era scoppiato a ridere mentre lei, indispettita, l'aveva sgridato: «Sai che non amo essere disturbata quando dipingo!». Rea sorrise quando si ricordò di quell'episodio; era vero, il nonno non l'aveva mai abbandonata, ma il fatto di non averlo più in giro per casa le dispiaceva un sacco. Lui e le sue battutine, lui e i suoi ruzzoloni per le scale, lui e i suoi saggi consigli... più che il nonno, quell'uomo era stato suo padre. “Padre...” in un lampo, nella mente di Rea, il sorriso del nonno fu rimpiazzato dall'espressione cupa di suo padre, quell'uomo che mai le aveva dato le attenzioni necessarie, quell'uomo che nemmeno era degno di portare quell'appellativo. “Nessuno direbbe mai che mio padre è figlio di mio nonno...” pensò digrignando i denti; strinse i pugni istintivamente mentre una rabbia cieca si impossessava di lei, ma in pochi secondi riprese il controllo di sé: “Devo fare quel dipinto... per Nikki... per il suo compleanno. Per farlo smettere. Avrò anche a disposizione un mese ma devo concentrarmi”. Prese lo sgabello e si sedette a fissare la tela bianca: “Michelangelo diceva che, quando scolpiva, dentro al blocco di marmo la statua c'era già; lui doveva solo togliere il materiale in eccesso per farla apparire...”; Rea focalizzò la tela, chiuse gli occhi per qualche istante e poi li riaprì e, per un secondo, vide materializzarsi sulla tela dei sottili tratti scuri. Eccolo: era un dipinto caldo ed incandescente; un viso, il viso di Nikki, del quale si vedevano solo gli occhi e la frangia, era nascosto da una fiamma che il soggetto del quadro teneva fra le mani ed illuminava tutto lo sfondo. “Ricorda: si dipinge con il cervello e non con le mani”. Quel quadro doveva essere vivo, così vivo da suggestionare il suo ragazzo; ogni colore doveva essere intriso di sentimento e passione, in modo da trasmettergli tutto il calore e l'amore che lei provava per lui. Quel quadro avrebbe dovuto motivare Nikki; doveva aiutarlo a smettere di drogarsi. Prese la tavolozza ed aprì il tubetto del giallo primario; lo mischiò con l'olio di lino e l'essiccante ed iniziò a stendere le prime pennellate di colore. Erano pennellate vorticose e decise, eppure erano diverse da quelle che caratterizzavano i quadri di Van Gogh; era diverso il colore. Quello di Rea era corposo ma non troppo denso, deciso ma non violento; insomma, era terribilmente vero. Ogni giorno aggiungeva una sfumatura diversa al quadro e l'immagine assumeva sempre più solidità e forma; il fuoco vermiglione dall'essenza giallo-arancio pareva quasi muoversi nelle mani di quel Nikki fotografato su tela. Ma la cosa più sorprendente di quella fotografia dipinta erano gli occhi, terribilmente fedeli alla realtà; avevano lo stesso verde smeraldo delle iridi del ragazzo, con la differenza che erano più “accese”. Non erano gli occhi di un tossicodipendente velati di qualche schifezza chimica, erano occhi sani, gli occhi che Nikki avrebbe dovuto avere se non si fosse fatto di eroina.


Mercoledì 10 dicembre 1986, 10 pm

Diciamo che il quadro si è dipinto da solo; è stato come se il disegno fosse già racchiuso nella tela. Dovevo solo farlo emergere e dargli vita. Ogni giorno ho aggiunto un colore diverso e quel dipinto... ha preso vita sempre più; in particolare gli occhi. Sono così veri che fanno paura. Nel giro di dieci giorni ho ultimato la mia opera e, soddisfatta, l'ho mostrata alle mie amiche che sono rimaste tutte estremamente colpite. Mi hanno detto che è una delle opere, se non l'opera migliore, che sia mai scaturita dal moto dei miei pennelli; tutte mi hanno detto che Nikki è reale in una maniera quasi sconcertante e quel fuoco che tiene fra le mani sono io. Sarò sincera, non avevo mai pensato al fatto che quel fuoco potesse essere una mia raffigurazione; io volevo solo infondere calore al quadro in modo che Nikki, ogni volta che lo guarda, possa percepirlo ed assorbirlo dentro sé. Dato che non posso essere sempre presente (e sapendo che lui ha orari ben diversi dai miei in questo periodo di composizione), desidero che lui possa sentire il bene che gli voglio solo fissando quel quadro. Ripensando al fuoco... sì, è vero, sono io; quel fuoco che brucia sono io. Oggi ho sentito Nikki per telefono; mi ha detto che domani sera festeggerà a casa sua insieme a tutti i suoi amici ed ha insistito sul fatto che dovessi esserci anch'io. La cosa mi ha fatto abbastanza ridere: mi sono immaginata in mezzo a celebrità del mondo del rock completamente spaesata, seduta sul divano a sorseggiare un bicchiere di Budweiser; e soprattutto l'imbarazzo che prende il sopravvento nel momento in cui il mio ragazzo scarta il mio regalo. I commenti poco discreti che partono dalla folla circostante... gli ho detto: «Nikki, non so se è una buona idea. Insomma, c'entro come i cavoli a merenda» ma lui ha insistito: «Guarda che se non vieni mi offendo, ci tengo davvero un sacco. Devi esserci!»

«Ma non si può fare un altro giorno, con calma, noi due soli...»

«Non cercare scuse. Vieni domani» mi ha detto fermamente. Ho sospirato; quando si inzucca su qualcosa, non c'è divinità o spirito che possa persuaderlo nel cambiare idea: «Va bene, ci sarò... però prometti che il mio regalo lo apri quando se ne saranno andati tutti»

«Perchè, cosa mi hai comprato di così compromettente?»

«Non ho comprato nulla... ho... prodotto»

«... interessante...» ha detto con la sua voce baritonale. Il suo timbro così profondo mi fa impazzire.


Marta l'aveva aiutata ad incartare la tela ed aveva circondato il pacco di carta rossa con un nastro di velluto nero. Marta era quella dei fiocchi, ne aveva a centinaia e di ogni tipo e colore; mentre con maestria faceva il nodo al nastro, disse a Rea: «Penso proprio che questo abbinamento di colori sia il massimo per questo regalo». Aveva sorriso incrociando le dita e stringendo l'asola, poi aveva alzato lo sguardo ed aveva guardato l'amica dritta negli occhi neri: «Sai, mi è spiaciuto per quello che ti ho detto la sera che sei tornata a casa dopo che sei stata da Nikki tutto il pomeriggio... in fondo, sono contenta per te. È così bello vederti felice... spero che anch'io, un giorno, possa essere così felice con Seiya». Rea le sorrise ed anche l'amica ricambiò il gesto; l'abbracciò e le accarezzò i biondi capelli lisci respirandone il profumo di camomilla. Marta amava curarsi e farsi bella, le piaceva vestirsi bene e sistemarsi nel modo migliore possibile; era una ragazza splendida, una Venere, con i suoi capelli color oro ed i suoi occhi azzurri. Ma la vera bellezza della ragazza stava all'interno, era una persona molto sensibile e generosa, nonostante fosse precipitosa e talvolta pasticciona. «Non ti preoccupare, sono sicura che un giorno sarete inseparabili» le sussurrò Rea all'orecchio; poi prese la tela, la caricò in macchina e si diresse verso casa del suo ragazzo.


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Quando sono scesa dall'auto dopo aver parcheggiato, ho trovato casa di Nikki fin troppo tranquilla... ho pensato che, essendo un personaggio famoso, si sia dovuto contenere con i festeggiamenti per evitare di attirare l'attenzione del vicinato e anche dei giornalisti (maledetti avvoltoi). Ho aperto con il mazzo di chiavi che mi aveva lasciato lui ed ho trovato la casa incredibilmente silenziosa; l'unico rumore arrivava dallo stereo, stava ascoltando “Personality Crisis” dei New York Dolls, uno dei suoi gruppi preferiti, a basso volume. Non c'era nessuno e così ho pensato di essere arrivata fin troppo in anticipo; l'ho chiamato e lui è sbucato dalla cucina. Aveva una pipa di vetro in bocca. La mia voglia di saltargli in braccio per fargli gli auguri si è tramutata in un istante in un'ira cieca. Ho lasciato il pacchetto sul divano in pelle e gli ho urlato in faccia:


«FREEBASE? Vuoi morire il giorno del tuo compleanno?» parole taglienti e scottanti. Come un fulmine, Rea si avventò su Nikki, gli levò di bocca la pipa e la scaraventò per terra riducendola in minuscoli pezzettini; il ragazzo rimase imbambolato a guardarla con la bocca aperta. Rea sbottò: «Hai idea di quanto diavolo è pericolosa quella schifezza? Sai che rischi di saltare in aria mentre la prepari? Possibile che tu proprio non possa farne a meno, eh? Possibile che tu voglia sempre finire col farti del male? Se avevi intenzione di festeggiare insieme a tutti noi invitati fatto come un idiota, beh, ti sei sbagliato di grosso!». Nikki abbassò gli occhi e guardò tristemente la sua pipa di vetro ormai rotta, poi tornò a fissare la sua ragazza e le sbatté in faccia la realtà: «Non verrà nessuno stasera»; la ragazza era sbalordita: «Come sarebbe a dire nessuno?»

«Pensavi che qualcuno volesse venire alla festa di un... un...» Nikki non trovava la parola per definirsi; proseguì: «Beh, comunque, Tommy non viene perchè è con la sua Heather» e mentre pronunciava il nome della moglie del batterista fece una smorfia di disgusto «che devono fare gli acquisti di Natale. Vince non avevo voglia di invitarlo, avremmo concluso la serata con un litigio o, peggio, con una rissa. Mick si fa sempre i cazzi suoi... altra gente...». Rea lo interruppe bruscamente: «Ma allora perchè mi hai mentito? Perchè mi hai fatto credere che casa tua sarebbe stata un delirio disumano?». Rea era fuori di sé per ben due motivi: uno era che Nikki, nell'ultimo periodo, si stava facendo sempre di più ed il secondo era che lui le aveva raccontato una bugia; continuò, sempre più arrabbiata: «A questo punto nemmeno ti meriteresti il regalo che ti ho fatto». A questa affermazione, anche Nikki perse il controllo: «E tu per una bugia simile non vuoi darmi il regalo?»

«NON E' SOLO PER LA BUGIA, MALEDIZIONE!» gli ruggì in faccia Rea. Il disco finì, la puntina tornò al suo posto e nel salotto di quella casa tenebrosa calò il silenzio; la ragazza sospirò e riprese a parlare con un tono di voce più normale: «Io sono preoccupata per te, tu continui a drogarti come prima se non peggio... sai che, davvero, non mi stupirei del fatto di trovarti stecchito sul divano una mattina di queste?»

«Beh, avresti un problema in meno...» disse Nikki alzando le spalle

«No, brutto idiota, avrei un problema in più, peraltro irrisolvibile» Rea si interruppe un attimo per prenderlo per mano «Nessuno sarebbe in grado di restituirmi il mio ragazzo». Nikki alzò le sopracciglia nell'udire quelle parole premurose; nessuno gli aveva mai parlato così nell'arco di ventotto anni, nessun essere umano gli aveva mai dato così tante attenzioni. In quel momento avvertì una strana sensazione: “Sixx, oh no, cazzo Sixx, per Dio, non puoi farlo, non te lo puoi permettere, trattieniti, TRATTIENITI!” gli urlò il suo cervello, ma era troppo tardi; le sue guance si velarono di rosso. “Bravo coglione, hai fatto la figura del bambino troppo cresciuto!” lo applaudì sarcasticamente il suo ammasso di neuroni bruciati; ma Rea reagì diversamente. Gli sorrise e gli accarezzò con una mano una delle guance calde e leggermente velate di barba: «Sei sorprendente sai? Vuoi apparire duro, brutto e cattivo e invece guardati... sei di una tenerezza infinita». Nikki si girò di scatto sempre più vergognoso di quello che gli era appena successo e disse a voce bassa: «Sei tu che tiri fuori questa parte nascosta di me»

«Ed è un male?» domandò la ragazza posando la sua mano sinistra sull'incavo del gomito del braccio sinistro di lui. «Se sono solo con te no... ma non mi posso permettere certi atteggiamenti più “normali” in situazioni come lo studio di registrazione o i party post-concerto. Ne va della mia immagine» ammise lui guardandosi le punte dei piedi. Lei lo fece voltare e lo fece sedere sul divano, proprio di fianco al suo regalo: «Avanti, aprilo! Mi sono impegnata un sacco per farti un dono simile, spero che ti piaccia». Nikki fece un piccolo sorriso, poi slegò il nastro e strappò la carta.


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

E' rimasto per non so quanto tempo a fissare impietrito il quadro. In quel momento aveva gli stessi occhi che gli avevo dipinto.


Dopo circa un minuto di mutismo, Nikki riuscì ad articolare una frase: «Ma... l'hai fatto tu?»

«Solo per te» gli sorrise Rea; voleva concludere la frase con “amore mio” ma non le sembrava davvero il caso. Si sarebbe imbarazzata troppo e magari lui ci sarebbe pure rimasto male. Nikki alzò gli occhi dalla tela, posò il quadro sul divano ed andò ad abbracciarla: «Non mi aspettavo un regalo simile... un mio ritratto». La strinse forte a sé, quasi lasciandola senza fiato, sentendo il suo animo colmarsi di emozioni mai provate; erano così belle ed ignote che non sapeva nemmeno come si chiamavano. Sapeva solo che, in quel momento, voleva stringere Rea, voleva intrappolarla nelle sue braccia e poggiarla al suo petto per farle percepire quanto forte gli stava facendo battere il cuore. “Sixx, questa è meglio di una dose di coca, di un'iniezione di eroina... questa ragazza è la droga migliore che ti sia mai capitata; ed è esclusivamente tua. Senti come ti manda in botta, senti come ti fa bruciare... questa ti farebbe sballare per giorni interi senza effetti collaterali”. Rea, intanto, si era immersa in quell'abbraccio sperando di non riemergerne; quegli attimi di stretto contatto erano meravigliosi. “Come vorrei fermare il tempo” fu l'unica cosa che riuscì a pensare mentre cingeva la vita del suo ragazzo. Poi, così come tutto era iniziato senza preavviso, terminò bruscamente; Nikki si staccò dall'abbraccio, prese il quadro e chiese entusiasta: «Dove lo appendo?»

«Io l'ho immaginato sopra il tuo camino, secondo me quello è il posto ideale» gli sorrise la ragazza. Il bassista appoggiò provvisoriamente la tela sulla mensola vuota che sporgeva dalla canna fumaria e si fermò di nuovo a guardarsi: «Non credevo di avere degli occhi così... magnetici» commentò. Rea gli si avvicinò e gli disse sottovoce: «Quello è lo sguardo che hai quando non sei sotto; è il tuo sguardo sano. È quello che hai in questo momento... sai, quando ho dipinto il tuo ritratto, volevo darti qualcosa che ti invogliasse a smettere di drogarti. Per quello ti ho regalato i tuoi occhi vispi e veri... e quel fuoco che stringi in mano». Sulle ultime parole, il viso di Rea diventò color peperone; l'idea di essere il suo regalo di compleanno la faceva gioire in maniera smisurata. Nikki si girò a guardarla: «Posso anche immaginare chi è il fuoco» le disse facendole l'occhiolino; poi la fece accomodare sul divano e lui andò in cucina a prendere qualcosa da bere. Stappò le due Budweiser sul tavolino basso del salotto e si sedette poco distante da lei; fece tintinnare il collo della sua bottiglia contro quello della bottiglia della sua ragazza, bevve un lungo sorso e poi disse serio: «Comunque, ritornando al discorso del “Ho paura di trovarti stecchito sul divano”... sai che io sono già morto una volta?»

«Morto? Ma che cavolo stai dicendo?» lo prese in giro Rea, ma Nikki insistette: «Sul serio, sono già morto una volta».


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Il suo tono di voce era stabile. Non stava mentendo. Ero frastornata: com'è possibile che una persona possa tornare dal regno dei morti? E lui, avvertendo i miei dubbi, ha iniziato a raccontare.


«E' successo alla fine del tour europeo di quest'anno, quando noi eravamo di supporto ai Cheap Trick. Mi ero appena reso conto di essere un eroinomane e la cosa mi faceva e mi fa ancora incazzare parecchio; eppure, non potevo e non posso fare a meno di quella robaccia. Il giorno di San Valentino abbiamo concluso il tour all'Hammersmith di Londra ed i ragazzi degli Hanoi Rocks erano venuti a vedersi il concerto; però io ero davvero intrattabile quella sera, avevo fottutamente bisogno di una dose e non sapevo dove andare a prenderla. Così ho preso Andy per un braccio e l'ho trascinato in un taxi chiedendo di essere portato nei bassifondi in cerca di droga. Per fortuna, poco lontano dal luogo della gig, il tassista ci ha indicato uno spacciatore che, stando a ciò che ci ha detto, vendeva “roba esagerata”. Ci siamo avvicinati a questo ragazzo che sembrava o indiano o pakistano e gli ho chiesto se aveva dell'eroina; lui ha sorriso. Era davvero raccapricciante, aveva il viso pieno di cicatrici ed i denti marci; mi ha detto: “Amico, questa roba è potente”

Tranquillo, sono un professionista, la sopporto bene” gli ho risposto io fremendo. Tu nemmeno puoi immaginare come bramavo quella roba in quell'istante. Lo spacciatore mi ha guardato e mi ha detto: “Sei conciato una schifezza bello, vuoi che te la faccia io la dose?”

Va bene” gli ho risposto io tutto contento. Lui me l'ha iniettata e, come questa è entrata in circolo, mi sono reso conto di aver fatto la cazzata del secolo, ho pensato: “Merda, me ne sto andando... ma, non è il momento giusto, avevo così tante cose da fare ancora... cosa di preciso poi non so... beh, fanculo!”. Poi il buio. Quando ho riaperto gli occhi vedevo il mondo alla rovescia; ho pensato: “Bella merda che è l'aldilà... il mondo dell'aldiquà ribaltato. Il creatore ha avuto davvero poca fantasia”. Poi invece ho realizzato che non ero trasmigrato nell'altra dimensione perchè qualcuno mi stava portando in spalla e stava per gettarmi nel cassonetto dell'immondizia; in più mi faceva male dappertutto e non capivo perchè. Come il mefitico odore della carne in putrefazione mi è arrivato al naso, mi sono girato di lato cadendo dalla schiena dello spacciatore e gli ho vomitato sulle scarpe. Ero ancora vivo. In pratica lo spacciatore, vedendomi crollare a terra, si è allarmato ed ha usato una mazza da baseball per cercare di rianimarmi mentre il povero Andy si strappava i capelli dalla disperazione; ma, non essendo riuscito nel suo intento, stava cercando di liberarsi di me gettandomi nella spazzatura. Sai, non è per nulla confortevole avere una rockstar morta fra i piedi. Ed io proprio in quel momento ho riaperto gli occhi». Rea rimase stupefatta; era quasi comico quello che Nikki aveva descritto, eppure non c'era nulla da ridere. Quel ragazzo si era ritrovato faccia a faccia con la morte ed era riuscito a sfuggirle; la notizia sapeva di incredibile ma era più vera della vita stessa. La ragazza era scossa, quasi non sapeva come commentare ciò che il bassista le aveva appena raccontato; si limitò a dire: «Chissà che spavento che si saranno preso i tuoi genitori». Nikki non rispose, rimase in silenzio a fissare il vuoto davanti a sé stringendo il collo della bottiglia; la ragazza lo guardò con sguardo interrogativo: «Nikki, hai sentito quello che ti ho detto?». La sua risposta fu tagliente come la lama di una spada; il ragazzo strinse ancora di più la bottiglia facendosi diventare le nocche bianche: «Io non ho genitori». La risposta arrivò come una ventata di aria gelida; il ragazzo pronunciò quelle parole con freddezza estrema, quasi come se non fosse minimamente toccato dalla cosa. Il cuore di Rea si strinse e la sua mente volò alla madre che mai aveva conosciuto, morta nel darla alla luce; provò una profonda empatia nei confronti di Nikki. Un velo di lacrime le coprì le iridi scure: «Sono morti?» gli chiese con un filo di voce cercando di controllare i propri sentimenti. Lei lo guardava, aspettandosi da un momento all'altro una forte reazione emotiva da parte del ragazzo: un pianto isterico, un pugno sul tavolino basso, il lancio della bottiglia contro il muro seguito dal lungo racconto della storia dal finale tragico; invece Nikki rimase impassibile. Alzò le spalle e disse apatico: «Purtroppo no... forse sarei più tranquillo se fossero morti entrambi». Rea spalancò la bocca attonita; il bassista proseguì: «Una volta avevo una famiglia... i Crüe erano la mia famiglia; da quando ho lasciato la casa dei nonni, che si sono presi cura di me quando ero piccolo, Tommy, Vince e Mick sono stati la mia famiglia. Facevamo tutto insieme...» sospirò malinconico «ma da quando è successo il casino con Razzle, tutto si è disgregato. Ognuno ha iniziato ad andare per la propria strada ed io mi sono visto mettere in secondo piano perfino da Tommy, il mio quasi fratello». Quell'ultima frase la pronunciò con astio: Nikki odiava Heather, era geloso di lei e non la sopportava perchè gli aveva portato via l'unica persona con cui aveva un vero rapporto d'amicizia. Rea stava per fermarlo per dargli dei consigli ma Nikki continuò a vomitare incessantemente parole: «E come se non bastasse, faccio perfino fatica a comporre nell'ultimo periodo. La musica, che per anni è stata la mia amante, la mia musa ispiratrice, mi sta abbandonando, lasciandomi completamente allo sbaraglio». Lui si mise le mani nei capelli, disperato; la ragazza cercò di consolarlo: «Beh, non è proprio vero. Hai detto che in studio sta andando bene». Lui la guardò con gli occhi quasi lucidi, sentendosi dannatamente colpevole: «Ti ho detto una bugia... ma ti prego, per questa non avercela con me». Rea si sentì amareggiata ma, memore dell'episodio di Vanity, lasciò parlare Nikki; probabilmente avrebbe potuto trattarsi di una bugia a fin di bene. Il bassista confessò: «Non volevo allarmarti troppo. So che non è giusto mentire, ma so anche che tu hai già mille pensieri per la testa. La verità è che il gruppo è alla deriva, abbiamo perso la nostra alchimia ed è difficoltoso comporre in un clima simile... e come se non bastasse si è aggiunta anche l'eroina»

«Se tu smettessi, riusciresti a comporre di nuovo dei grandi pezzi» lo ammonì sottovoce Rea, sperando di smuovere così l'animo del bassista. Nikki chinò il capo e si appallottolò su se stesso, sentendosi sempre più colpevole ed impotente: «Lo so ma... non ci riesco. Proprio non ci riesco. Odio l'eroina... ma la amo ancor di più». Disse queste parole più piano che potè, quasi come se non volesse far trapelare il suo segreto al di fuori delle mura della casa.


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Quando ha detto: “La odio, ma la amo ancor di più” ho capito che io, da sola, non posso fare molto. Non ho la possibilità di curarlo davvero con dei medicinali; l'unica cosa che posso fare per aiutarlo è cercare di distogliere la sua attenzione da quell'universo e farlo concentrare su altre cose.


Rea era allarmata da quelle parole; sapeva che non poteva nulla contro il mostro Eroina e questo la disarmava. Doveva trovare un modo per far distrarre Nikki, un modo per tenerlo vivo senza che lui ricadesse nel baratro; doveva fare in modo che componesse qualcosa, così avrebbe migliorato leggermente i rapporti con i suoi compagni di gruppo e la cosa l'avrebbe tirato su un po' di morale. “Forse non è proprio il massimo, ma devo provarci” pensò fra sé; gli prese la mano sinistra e la strinse: «Scrivi una canzone sulla tua morte». Il ragazzò la guardò, quasi incapace di credere alle sue parole: «Pensi che possa essere interessante?»

«Spetta a te renderla tale» gli fece l'occhiolino Rea «tutte le tue canzoni hanno un tocco magico; e dovrà averlo anche questa». Nikki ritornò a sedersi composto, prese entrambe le mani della sua ragazza e le strinse nelle sue; poi si avvicinò al suo viso e le disse: «Va bene, lo faccio... ma tu mi darai una mano»

«Io?» la ragazza era incredula; il bassista continuò: «Avevi detto che volevi fare la cantante, questa è l'occasione buona per dimostrarmi quanto vali».


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Panico più totale. “Non vorrà mica che gli canti qualcosa proprio adesso?” mi sono chiesta “Non ce la posso fare...”


«Cantami qualcosa» le disse Nikki. “Ecco, lo sapevo” pensò Rea: «Non so se è una buona idea» gli disse cercando di girare intorno all'ostacolo che lui le aveva messo davanti; ma Nikki insistette: «Dai, siamo qui da soli, ci sono solo io... cantami quello che vuoi». Rea deglutì a fatica mentre mentalmente passava in rassegna tutto il repertorio di canzoni che conosceva; poi, senza che nemmeno si accorgesse, intonò questa strofa:


You say our love it's like dynamite

Open your eyes, it's like fire and ice

Well you're killing me, your love's a guilliotine

Why don't you just set me free


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Come ho concluso il sustain dell'ultima vocale, mi sono tappata la bocca con le mani. Scelta meno azzeccata non potevo fare; va bene che è un pezzo dei Crüe, va bene anche che è il MIO pezzo preferito dei Crüe, ma proprio “Too Young To Fall In Love” dovevo cantargli?


Quando Rea finì la sua piccola esibizione, Nikki si portò la mano destra sotto il mento: «Devo ammettere che hai una voce davvero interessante... mi ricordi un po' Lita Ford»; si interruppe un attimo e poi aggiunse: «Sinceramente, mi aspettavo un pezzo diverso, “Home Sweet Home” ad esempio... come mai hai scelto proprio “Too Young To Fall In Love”?». Rea esitò un attimo a rispondere; si sentiva dannatamente in imbarazzo per la scelta inconscia che aveva fatto. Rispose: «E' il pezzo del vostro repertorio che amo di più»; Nikki tirò un sospiro di sollievo: «Oh bene... pensavo fosse un messaggio rivolto a me»

«Oh no, ma che dici!» lo rassicurò Rea sentendosi immensamente più leggera: “Meno male, non se l'è presa”. Il ragazzo si alzò pigramente dal divano e andò a prendere la chitarra; nelle due ore successive improvvisò una miriade di riff finchè non trovò quello più aggressivo e sporco. A quel punto, Rea iniziò ad improvvisare mentre Nikki la seguiva facendo saltare il plettro da una corda all'altra; ogni tanto si fermava per scrivere le lyrics su un foglietto strappato da un vecchio quaderno ingiallito. Sul finale la ragazza lasciò uscire tutto il sentimento che quella canzone le generava, facendo volare la voce sulle note più alte; Nikki la guardava impressionato: “Sixx, è sorprendente. Non ho mai visto nessuna ragazza immergersi così in una canzone... mi è venuta un'idea. Ma forse non è questo il momento per dirtela; aspetta ancora qualche mese”. Si era creato un feeling unico fra i due, un legame che li univa sia sentimentalmente che musicalmente; all'alba delle due e mezza di notte, “Dancing On Glass” era stata ultimata. Rea si sedette sul divano sfinita: «Vedrai che con questa domani in studio farai faville»

«Secondo me i ragazzi rimarranno a bocca aperta» disse Nikki soddisfatto alzandosi dal divano per andare a riporre la chitarra sul cavalletto; quando si voltò guardò Rea e sorrise. La ragazza era talmente esausta che si era addormentata in pochissimo tempo sul suo divano; delicatamente la prese in braccio e, senza far rumore, la portò fin nella camera degli ospiti dove l'adagiò piano sul letto e la coprì con il piumone.


NOTE:

Big Brother di 1984: riferimento al Grande Fratello di Orwell del libro “1984”.

Si dipinge con il cervello e non con le mani: citazione di una frase di Michelangelo.

Personality Crisis: canzone dei New York Dolls contenuta nell'album omonimo di debutto del 1973.

New York Dolls: gruppo definito proto-punk o glam-punk nato a New York nel 1971; la prima formazione comprendeva David Johansen (voce), Johnny Thunders (chitarra solista), Sylvain Sylvain (chitarra ritmica), Arthur “Killer” Kane (basso) e Jerry Nolan (batteria).

Freebase: tecnica che permette di fumare la cocaina. La droga viene dapprima disciolta in acqua e successivamente viene aggiunta dell'ammoniaca; la soluzione così ottenuta non è però solubile in acqua quindi viene disciolta in etere etilico. Dopo l'evaporazione dell'etere etilico si ottiene così la freebase senza tagli pronta per essere fumata. La preparazione della base è estremamente pericolosa poiché si può incorrere in incendi o in esplosioni.

Cheap Trick: gruppo hard rock dell'Illinois formatosi nel 1974; la formazione originale prevedeva Robin Zander (voce), Rick Nielsen (chitarra), Bun E. Carlos (batteria) e Tom Petersson (basso).

Hanoi Rocks: band finlandese formatasi nel 1979; la formazione originale prevedeva Michael Monroe (voce), Andy McCoy (chitarra solista), Nasty Suicide (chitarra ritmica), Sam Yaffa (basso) e Gyp Casino (batteria); a partire dall'album “Back To Mystery City”, Gyp viene sostituito da Razzle Dingley.

Andy McCoy: chitarrista degli Hanoi Rocks.

Gig: (inglese) concerto.

Il casino con Razzle: Nikki si riferisce all'incidente d'auto di Vince Neil in seguito al quale Razzle è morto. Vince guidava in stato di ebbrezza ed ha avuto uno scontro frontale con un mezzo che arrivava dalla parte opposta della strada; Razzle ha subito dei danni gravissimi ed è morto in ospedale qualche ora dopo (rif. “The Dirt”).

La odio ma la amo ancor di più: citazione da “The Heroin Diaries”.

Sustain: in linguaggio musicale si usa questa espressione per indicare il prolungamento ed il mantenimento di una nota dopo che questa è stata prodotta.

Too Young To Fall In Love: canzone dei Mötley Crüe contenuta nell'album “Shout At The Devil” (1983).

Lita Ford: ex chitarrista delle Runaways che negli anni 80 intraprende la carriera solista come cantante e chitarrista.

Home Sweet Home: power ballad contenuta nell'album “Theater Of Pain” dei Mötley Crüe del 1985.

Riff: frase musicale che si ripete frequentemente all'interno di un brano e generalmente è utilizzato come accompagnamento.

Dancing On Glass: canzone contenuta nell'album “Girls, Girls, Girls” dei Mötley Crüe (1987).


Mi rendo conto che questo capitolo è veramente lunghissimo, ma dovevo tirar fuori un po' di cose; innanzitutto l'amore per l'arte della protagonista (e qui ringrazio tantissimo SailorMercury84 per le sue consulenze sui colori ad olio, le procedure per dipingere e tutto il resto che riguarda l'arte), poi il fatto che Nikki sia una persona sola ed isolata. La sua solitudine è sia causa che effetto della sua dipendenza da droghe. Si è visto che i rapporti con gli altri membri della band non vanno proprio benissimo ed anche che il nostro amico ha un rapporto a dir poco conflittuale con i suoi genitori; questa è una cosa che ha in comune con Rea, perchè anche lei non ha un bel rapporto con il padre. E per quanto riguarda la storia della morte... è vera; Nikki ne parla sia in “The Dirt” che in “The Heroin Diaries”. Spero di avervi messo le note e, se dovesse mancare qualcosa, non esitate a chiedere. Come sempre, ringrazio tutti quelli che mi seguono: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95, Cri cri, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars, marziolina86, Moon 91, pianistadellaluna e RocketQueen_. Ringrazio in anticipo tutti quelli che lasceranno una recensione, di qualsiasi sfumatura essa sia. A presto, Ellie.

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Capitolo 12
*** Pensieri Speculari ***


12 Pensieri Speculari

Nikki coprì Rea con il piumone, poi si voltò, tirò fuori l'accendino dalla sua tasca dei pantaloni ed accese il candelabro a cinque braccia che c'era appoggiato sul comò della stanza; lo afferrò e si girò verso la ragazza addormentata. Le fiamme ballavano creando ombre spettrali sui muri e la luce fioca rendeva ancora più sinistro l'ambiente. “Sixx, guardala... quanto è bella? Sembra quasi impossibile che esista una ragazza così; secondo me non è umana... voglio dire, hai conosciuto un sacco di donne in vita tua, ma nessuna si è mai comportata come questa qui. Quelle ti prendevano, ti sbattevano per benino e poi ti mollavano solo nel letto... con questa, ancora, non ci hai fatto nulla... e guarda come ti ricopre di attenzioni”. Niente di più vero. Tecnicamente stavano insieme, ma, stranamente, ancora non si erano né baciati né, tanto meno, conosciuti intimamente; solo strette di mano, sguardi complici e parole dolci. “Non smielate Sixx, quello no... le smielate fanno venire le carie e il diabete; lei non ti fa smielate. Semplicemente sa cosa dirti... ecco perchè ti ha colpito”. Il ragazzo si inginocchiò di fianco al letto e poggiò il candelabro sul comodino; i capelli di Rea erano sparpagliati in ciocche lisce su tutto il cuscino. Nikki, timidamente, le accarezzò il viso con il dorso della mano destra; quel nuovo contatto con la sua pelle innescò qualcosa di imprevisto dentro di lui: “Guardala Sixx... guarda la sua pelle chiara... guarda le sue guance rosee... guarda il suo collo bianco...”. Quel flusso di pensieri venne bruscamente interrotto dai rintocchi dell'orologio a pendolo ottocentesco che arrivavano dal corridoio: “Le tre... l'ora del diavolo. Ma... che cazzo dici Sixx! Tu non credi in Dio, nemmeno credi nel diavolo, non dire stronzate. Vattene a letto adesso”; ma lui non ce la faceva ad alzarsi. Il suo cervello lo spronò nuovamente: “Vattene a dormire, domani sei in sala”; niente da fare. Più guardava Rea e più sentiva che ne era attratto; le guardava le labbra, perfettamente sagomate e carnose. Le desiderava. Le voleva solo per lui. Poi il suo sguardo si spostò sul collo candido di lei; le mani di Nikki si allungarono e delicatamente scostarono il piumone scoprendo la ragazza. Il bassista iniziava a percepire dentro di sé una sensazione che non provava più da un sacco di tempo: un desiderio irrefrenabile. Il desiderio irrefrenabile di possedere lei, quella bellissima donna dai capelli corvini addormentata sul suo letto. “When you feel safe, when you feel warm, that's when I rise, that's when I crawl”. Rea nel sonno fu scossa da un leggero brivido; Nikki si mise a cavalcioni su di lei e si chinò sul suo viso. “Gliding on mist, hardly a sound, bring the kiss, evils abound”; le leccò le labbra cercando di non svegliarla, poi premette la sua bocca contro quella di Rea cercando quasi di toglierle il respiro e, mentre si staccava, le mordicchiò il labbro inferiore. “In the dead of night, love bites, love bites... in the dead of night, love bites”. Nikki ritornò con la schiena dritta e fissò la ragazza che giaceva addormentata sotto di lui; voleva farla sua e solo sua, non avrebbe voluto condividerla con nessuno. “Into your room, where in deep sleep, there you lie still, to you I creep”. Si chinò di nuovo, ancor più bramoso di prima e premette le labbra contro quelle della ragazza, infilando la lingua nella bocca semiaperta; il respiro di Nikki si faceva sempre più affannato, la pressione del suo sangue stava crescendo. La baciò di nuovo poi, disegnando una linea di saliva con la punta della lingua scese verso il collo di Rea ed iniziò a baciarlo e morderlo. “Then I descend, close to your lips, across you I bend, you smile as I sip”. Stava diventando sua, ne era certo; quando affondava delicatamente i denti nella pelle bianca del collo sentiva il suo respiro mozzarsi, quasi come se lei nel sonno stesse amando ciò che lui le stava facendo. Le mani di Nikki scesero verso il bordo del maglione della ragazza; il bassista si sentì percuotere da un brivido violento quando, con la punta delle dita, sfiorò l'ombelico di lei e cercò di insinuarsi all'interno dei suoi pantaloni. “Now you are mine, in my control, one taste of your life and I own your soul”. La ragazza gemette sottovoce nel sonno; il cuore di Nikki stava per esplodere. Si sentiva come se stesse per rifare sesso per la prima volta. “Softly you stir, gently you moan, lust's in the air, wake as I groan... in the dead of night, love bites”. Iniziò ad aprire i pantaloni di Rea, poi si sbottonò facilmente i suoi; fin troppo facilmente. C'era qualcosa che non andava; abbassò gli occhi e vide che il suo membro non era partecipe dell'avvenimento. “Che diavolo ha sto coso!” pensò il ragazzo allarmato “Cosa sta succedendo?”; richiuse i pantaloni di Rea e la ricoprì in un lampo e corse in bagno. Si calò i boxer e guardò le sue parti basse che parevano soccombere alla forza di gravità; sempre più in panico, Nikki iniziò a lavorare di polso, ma tutto quello che riuscì ad ottenere fu una timida erezione. “Oh, no!” pensò sconfitto e si lasciò cadere pesantemente contro il muro.


* * *


La mattina dopo Rea fu svegliata dal telefono che squillava incessantemente; aprì gli occhi a fatica e si guardò intorno: “Ma... questa non è camera mia”. Impaurita si mise a sedere e continuò a far rimbalzare gli occhi da un angolo all'altro della stanza: “Dannazione, ieri sera mi sono addormentata sul divano e Nikki deve avermi portata nella sua stanza; però lui non c'è”. Intanto il telefono non aveva intenzione di smettere di squillare; Rea si alzò e si diresse verso il salotto: «Nikki, il telefono!» ma il ragazzo non rispose. “So che non è mio diritto, però rispondo io” pensò lei esasperata; non vedeva l'ora di sentire un po' di silenzio. Rispose al telefono e dall'altro capo del filo si udì un urlo: «Ce ne hai messo di tempo per rispondere!»

«Amy? Ma... dove hai trovato il numero di Nikki?» chiese Rea rintronata

«L'hai segnato sull'agenda non te lo ricordi? Comunque, mi hai fatto preoccupare un sacco, stamattina quando ci siamo alzate non eri da nessuna parte. Poi, giustamente, Morea mi ha fatto notare che potevi essere da Nikki e così ho chiamato»

«Grandioso» sbadigliò la ragazza

«Beh, ad ogni modo, sappi che per colpa tua oggi Bunny e le altre hanno dovuto prendere i mezzi per andare in università» la rimproverò Amy. Rea rimase per un attimo in silenzio: “Colpa mia?”; poi domandò: «Scusa Amy, ma che ore sono?»

«Sono le dieci e venti»

«OH, NO! Che disastro!» si disperò la ragazza «Oggi avevo anche il seminario sulla Casa Sulla Cascata di Wright, volevo andarci!»

«Ma sì, non ti preoccupare, una volta ogni tanto saltare una lezione fa anche bene, ti rilassi un po'. Ad esempio, potresti sfruttare la giornata per gli acquisti di Natale»

«Ottima idea!» esclamò Rea; poi si salutarono e riattaccarono. La ragazza si diresse verso il frigorifero per cercare qualcosa con cui fare colazione; nel frattempo, anche Nikki era stato svegliato dallo squillare del telefono. Era ancora in bagno con le braghe abbassate: “Merda, che mal di schiena”; inarcò la colonna vertebrale ed una miriade di scricchiolii vibrarono nell'aria. “Che dolore... bravo deficiente, ottima idea quella di addormentarsi sul pavimento del bagno. Secondo me hai il culo a strisce, ti sarà rimasto il segno delle piastrelle sulle chiappe”; iniziava a sentirsi strano. Aveva bisogno di droga, era dalla sera prima che non si faceva di qualcosa: “Dove ho messo la coca?” si chiese frugando nell'armadietto delle medicine fin quando non trovò la bustina con la polverina bianca. Iniziò a prepararsi la striscia sul bordo del lavandino quando sentì qualcuno chiamarlo dalla cucina: «Nikki, ma tu non mangi la mattina?». “Cazzo, lei è ancora qui, non l'avevo considerato... fai in fretta ad incipriarti il naso, veloce!”; sentiva i suoi piedi sul pavimento del corridoio avvicinarsi sempre più. Si preparò una striscia al volo e “Sniff... ah, molto meglio”; come pensò quelle cose, Rea bussò alla porta del bagno: «Ehi, sei lì dentro?». Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: «Sì, sto per farmi una doccia»

«Allora ti aspetto così facciamo colazione insieme». Nikki si levò di dosso i vestiti ed iniziò a lavarsi: “Uuuh, quanto tempo era che non ti facevi una doccia? Quattro giorni? Cinque? Beh, poco importa... stamattina è così piacevole sentire l'acqua calda bagnarti la testa. Ma soprattutto Sixx, cosa offrirai alla tua ragazza per colazione? Un bicchiere di Jack e un po' di cocaina? O forse è rimasto qualche biscotto nella dispensa...”.


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Quando è arrivato in cucina con indosso solo l'accappatoio ed i capelli grondanti d'acqua sono rimasta a bocca aperta; dall'apertura si vedeva il tatuaggio che ha sul pettorale destro (che sinceramente non ho mai capito cos'è) ed era incredibilmente sexy. Ammetto di aver deglutito a fatica. Per un momento l'ho immaginato nudo e mi sono sentita avvolgere da un fuoco incandescente. Lui mi ha detto: «Scusa, ma io non faccio colazione quasi mai... ho solo un po' di succo d'arancia e qualche biscotto. Va bene lo stesso?»; gli ho sorriso e gli ho detto che era perfetto. Mi sono avvicinata a lui e ci siamo dati un bacio sulla guancia; non ti nascondo che vorrei baciarlo sulle labbra ma ho una paura matta di rimanerci male per tutta una serie di motivi: magari lui non vuole, magari lui fraintende, pensa che io sono la solita fan sfegatata che vuole scopare con lui solo perchè è Nikki Sixx quando invece io vorrei baciarlo perchè ho conosciuto il vero Nikki, quello che c'è sotto la maschera. E Nikki è una persona meravigliosa; deve solo sistemarsi con la droga perchè, per il resto, è fantastico. Credo che, però, anche lui provi qualcosa di molto simile... il fatto è che non ne abbiamo mai parlato apertamente, dunque prima o poi dovrò cercare di intavolare questo discorso.


Nikki poggiò le sue labbra sulla guancia sinistra della ragazza ed il ricordo del contatto della notte precedente ritornò alla sua mente più vivido che mai. “Sai che sei in un mare di merda se lei si è accorta che tu hai cercato di fare sesso con lei stanotte mentre dormiva? Però se si comporta così, magari, non se n'è resa conto... forse”; il ragazzo bloccò per un attimo Rea prendendola per la vita e, guardandola negli occhi, le chiese: «Ma tu stanotte, verso le tre circa, hai sentito qualcosa?»

«Perchè, cosa avrei dovuto sentire?» domandò lei. Nell'udire quelle parole Nikki si sentì infinitamente più leggero: «No perchè è scattato per un attimo l'allarme dato che qualcuno ha cercato di entrare in casa». “Scusa un po' traballante Sixx, però lei sembra averci creduto”; la ragazza sorrise, poi andò a prendere la scatola dei biscotti: «Oggi credo proprio che andrò a fare un po' di acquisti di Natale, sono un po' indietro sulla tabella di marcia». “Sì Sixx, non si è accorta” pensò di nuovo lui: «Forte. Hai già deciso cosa prendere?»

«Ancora no, però girando per negozi, di sicuro, qualche idea mi verrà» sorrise Rea. “Che bel sorriso...” pensò Nikki; si sentiva così indifeso di fronte a quegli occhi neri dalle venature indaco. Le disse: «Io vado a vestirmi, tu mangia pure tutto quello che vuoi»; poi si girò ed andò verso camera sua. “Allora Sixx, facciamo un po' di ordine mentale... se è possibile (cosa di cui dubito). Lei ti piace. Tanto. Così tanto che stanotte ti è pure venuta voglia di fartela; ora, cosa aspetti a baciarla? Ma non un bacino da bambino delle scuole elementari, un bacio serio, da adulto”; il suo cervello aveva pienamente ragione. “Il fatto è che tu hai una paura fottuta di perderla. La verità è che tu sai che se la baci, di sicuro, lei non si rifiuta perchè vi piacete a vicenda; e magari non vi fermate al bacio, andate ben oltre. Però, quando sarai in tour, lei non sarà con te e sarai obbligato (perchè è il cliché) a farti tutte le groupies che passano dal tuo camerino; ed è doloroso. Sia per lei ma anche per te... perchè lo so che, in fondo, vorresti qualcuno con cui condividere le tue giornate”. Vero. Per questo invidiava T-Bone da morire; “Dovrete parlare di questa cosa prima o poi... oppure ti inventi qualcosa”. Inventarsi qualcosa? “Sì caro... ti ricordi che stanotte, prima che tu cercassi di montarla, ti ho detto Mi è venuta un'idea ma te la dirò più avanti? Ecco, quando sarà il momento te la dirò”. Nikki si infilò i pantaloni in pelle ed una delle tante magliette nere che aveva nel cassetto: “Adesso vado di là e le parlo; devo farlo”.


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Ho finito di bere il succo d'arancia e ho posato il bicchiere nel lavandino; continuavo a pensare alla strana relazione che c'è fra di noi. Insomma, è davvero intricata... e c'è bisogno di un chiarimento. Ho lavato il bicchiere e mi sono detta: “Basta, adesso prendo il coraggio a due mani e gliene parlo”. Mi sono girata per andare verso la sua camera con il cuore in gola quando ho visto che stava entrando in cucina.


«Nikki, ascolta, vorrei parlarti un attimo» disse Rea cercando di apparire impassibile

«Rea, anch'io dovrei chiederti una cosa» ammise Nikki un po' meno deciso

«Dimmi pure» sospirò Rea pronta ad incassare il colpo; “Adesso mi dice che la situazione è insostenibile e che è meglio piantarla qui”.

Mitico Sixx, tocca a te parlare per primo... stai calmo, parla piano e sii chiaro...” «Uhm...» esitò il ragazzo per un attimo «ecco... senti, io... io non so cosa regalarti a Natale, cosa ti piacerebbe ricevere?». Rea rimase di stucco per la domanda: “Forse non è il momento di fare un discorso del genere. Tieni conto che è ancora parecchio incasinato con la droga; prima è meglio togliere di mezzo l'eroina e poi parlarne a mente lucida” pensò fra sé; poi gli rispose: «Ma Nikki, non ha importanza. Puoi anche regalarmi una cosa minuscola che tanto, per me, avrà un valore inestimabile». Nella testa del bassista partirono gli insulti: “Coglione che non sei altro, sei un fallimento unico! Possibile che tu non sia riuscito a dirle nulla? E poi lei che dice quelle parole così... VERE E DOLCI... guai a te se arrossisci di nuovo!”. Nikki riuscì a non arrossire ma sulla faccia gli comparve un sorriso da ebete: «Vedrò che posso fare». Alle undici e mezza i due uscirono insieme di casa, Nikki diretto verso lo studio di registrazione e Rea verso le sue “spese pazze”; «Pensi che “Dancing On Glass” piacerà ai ragazzi?» chiese il bassista

«Vedrai, farai un figurone con quella canzone!» gli sorrise la ragazza poi aggiunse: «Fammi sapere come va, ok?»

«Certo, ti chiamo appena ho un attimo libero»; detto questo, Nikki si chinò su di lei per baciarla timidamente sulla guancia.


* * *


Alle quattro Rea rientrò a casa carica di borse; Amy, che era sul divano a studiare fisica, nel vedere l'amica, le corse incontro e l'aiutò a sistemare gli acquisti. «Wow! Ne hai comprata di roba»

«Sì» sbuffò Rea tirandosi indietro i capelli «praticamente ho preso i regali per tutti. O quasi»

«Non dirmi nulla, sai che io sono curiosa!» esclamò l'amica tappandosi le orecchie

«Tranquilla, adesso nascondo tutto, così anche le altre non sapranno che ho già preso il regalo anche a loro» la rassicurò Rea andando in camera sua a nascondere i pacchetti. Quando ritornò in salotto, si sedette sul divano di fianco ad Amy e la ragazza dai capelli blu le chiese: «Cosa hai preso a tuo padre?»

«Una cravatta, come al solito; sai che lui le colleziona» sospirò Rea; pensare a suo padre le faceva sempre venire l'amaro in bocca. Aggiunse: «Ne ho trovata una bellissima: è blu scuro con su Topolino vestito da apprendista stregone»

«Deve essere meravigliosa. Poi tuo padre non è patito di Topolino?» disse Amy cercando di sollevare il morale dell'amica, ma Rea annuì distaccata. Ogni Natale era sempre la solita storia fra di loro: un asettico scambio di pacchetti, un ancor più sterile augurio di buon Natale ed una giornata passata insieme cercando di sopportarsi il più possibile a vicenda; “Il Natale che ogni figlia sogna di poter trascorrere con l'unico genitore che le è rimasto”. Scosse la testa rassegnata. Lo scricchiolare della porta d'ingresso interruppe il suo flusso di pensieri; erano tornate anche le altre: «Ehi, ciao Rea!» la salutò Bunny correndo ad abbracciarla

«Com'è andata da Nikki?» le domandò Morea con un sorrisino velato di malizia

«Bene» rispose la ragazza dai capelli corvini che poi aggiunse: «Se ti stai chiedendo se abbiamo combinato qualcosa insieme, la risposta è no; però l'ho aiutato a comporre una canzone». Marta le fece la linguaccia e l'occhiolino: «Quanto ci metterai ancora per far centro amica mia?»

«Dai!» le urlò Rea tirandole dietro uno dei cuscini del divano; la tenace bionda si mise a ridere. Amy riprese la parola: «Quali regali ti mancano ancora da comprare?»

«Solo quello di Nikki» rispose la bruna alzando le spalle «il fatto è che non ho veramente idee. Volevo comprargli qualcosa che possa aiutarlo a tenersi impegnato con cose differenti dalla droga»

«Io un'idea ce l'avrei» si intromise Marta mordendosi il labbro inferiore «un bel marmocchietto»

«MA LA VUOI FINIRE?» urlò Rea scattando in piedi pronta a saltare addosso all'amica ma Amy riprese in mano la situazione: «Calma ragazze! Regalare un bambino è impossibile per almeno tre motivi: il primo è che lui e Rea non hanno ancora avuto rapporti sessuali, il secondo è che, anche se li avessero avuti e Rea fosse incinta, per Natale il bambino non sarebbe ancora pronto e terzo... sinceramente non ce lo vedo Sixx che si prende cura di un pupo».


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Effettivamente il pensiero di Nikki che culla un bambino mentre gli dà da mangiare con il biberon fa ridere; ma fa ancora più ridere il pensiero di lui, vestito con i suoi pantaloni in pelle e la sua maglietta mezza ghepardata, che spinge la carrozzina dove il suo bambino dorme. Una rockstar a passeggio che sponsorizza la miglior marca di passeggini sul mercato.


Morea prese la parola: «Un bambino no... però il concetto è quello»

«Infatti Rea, perchè non gli compri un bel cagnolino?» le fece notare Bunny «Se vuoi domani pomeriggio vengo con te al canile e ti do una mano a sceglierlo»


* * *


Il pomeriggio successivo le due amiche varcarono la soglia del canile e furono immediatamente investite da una zaffata di odori sgradevoli: sporcizia, escrementi e cibo andato a male. Un uomo grassoccio e pallido le salutò annoiato: «Cosa posso fare per voi?»

«Vorremo comprare un cane» risposero in coro le ragazze. Il custode si alzò controvoglia dalla sua sedia e le condusse nella zona delle gabbie: «Tutti gli animali che abbiamo qui sono vaccinati e curati regolarmente dai nostri veterinari; dovete solo scegliere quello che vi piace di più» disse facendo girare l'anello delle chiavi intorno al dito indice della mano destra. Le due amiche lo seguivano lentamente soffermandosi a guardare oltre le grate di quelle gabbie non così grandi; occhi di cuccioli indifesi, abbandonati e bastonati le fissavano chiedendo loro di portarli via. «Santo cielo Bunny, io me li porterei a casa tutti. Guarda che occhietti che hanno!» sussurrò Rea nell'orecchio sinistro dell'amica

«Non dirlo a me... sono tutti così teneri». L'indecisione tormentò le due ragazze finchè non si trovarono di fronte ad una delle ultime gabbie: dentro c'era un bastardino di dimensioni modeste, tutto bianco ad eccezione delle orecchie che erano nere. Il cagnolino le guardò e si avvicinò timidamente e con le orecchie basse alle sbarre per farsi accarezzare; entrambe le ragazze si chinarono e Rea allungò la mano destra. Come iniziò a coccolare il cane, questo prese a scondinzolare e a saltellare felice: «Ma che carino sei!» gli disse la ragazza dai capelli corvini grattandogli la pancia; il cane pareva che ridesse. In quel momento Bunny richiamò l'attenzione dell'amica: «Rea, guarda questo pastore tedesco che carino!»; la ragazza si staccò dal bastardino per andare a vedere l'altro cane. Come gli diede le spalle, il cucciolo iniziò a piangere rumorosamente: «Iaiaaaaa! Iaiaaaaa!». Il custode chiese spazientito: «Allora avete scelto?»; Rea era in difficoltà perchè le interessavano entrambi gli animali, così si voltò verso Bunny per chiederle consiglio: «Prendi quello che ti piace di più» le disse l'amica. “Accidenti, adesso viene il difficile” pensò fra sé la bruna. Fece correre lo sguardo da una gabbia all'altra, fissando dapprima il bastardino che la guardava con occhi supplichevoli e poi il pastore tedesco che pareva quasi indifferente; alla fine si decise: «Voglio lui» disse indicando il bastardino. «Evviva!» esultò il cagnolino e, come il custode aprì la gabbia, l'animale si attaccò ai pantaloni di Rea: «Grazie bimba»

«Spank, fai il bravo e non rompere troppo le scatole» lo ammonì il custode

«Spank bravo, Spank felice» sorrise il cane mettendo in mostra due denti enormi. Rea guardava il cucciolo: lo trovava estremamente divertente; Bunny la toccò dentro con il gomito e le disse: «Sicura che possa piacere a Nikki? Non mi sembra il classico cane da rocker»

«Vedrai invece che gli piacerà» la rassicurò la ragazza «questo cagnolino mi sembra davvero forte. Hai visto quando lo accarezzavo? Pareva quasi che ridesse». Bunny guardò il cane allibita, cercando di vedere le caratteristiche umane che Rea aveva captato in quell'istante; Spank si girò verso la biondina e le sorrise: «Ciao».


* * *


Mick diede l'ultima pennata e poi fermò le corde appoggiandoci sopra la mano destra aperta fra i due pick up humbucker della sua Stratocaster: «Figo sto pezzo, mi piace»

«Sì bro, spacca!» gli fece eco Tommy. Nikki si girò realizzato verso Vince per raccogliere anche la sua impressione positiva; il cantante lo guardò con sufficienza: «Sì, non c'è male Sixx». Il bassista esplose: «Porca puttana Vince, possibile che non ti vada mai bene un cazzo?»

«Testa di cazzo» gli rispose a tono il cantante «non ho detto che non va bene, semplicemente ci vorrebbero degli arrangiamenti in più»

«E allora parla chiaro! Di' “Voglio qualche ricamo in più” invece di “Non c'è male”» lo rimproverò Nikki. Vince andò verso di lui e gli tirò uno spintone: «Bada a come parli, stronzo!»

«Buoni, cazzo! State fermi!» si intromise T-Bone mettendosi fra i due ed allontanandoli «Non è il momento di far rissa. Tu bro sbotti un po' troppo facilmente e tu Vince dovresti imparare ad esprimerti meglio». La voce di Nikki emerse da dietro le spalle del batterista: «E comunque, anche io sono cosciente del fatto che mancano alcuni “fronzoli” necessari all'abbellimento del pezzo. Secondo me una conclusione con un pianoforte picchiettato e qualcuno che ci canta sopra sarebbe il massimo»

«E allora vedi di farlo al più presto!» gli urlò in faccia Vince; poi prese la sua giacca ed uscì dallo studio dicendo che andava a mangiare qualcosa. «Va bene, me ne vado in pausa anch'io» disse Mick sedendosi su una delle tante poltroncine della sala ed iniziando a tracannare vodka. «Ehi bro, vado a farmi una canna, vieni anche tu?» lo invitò Tommy

«Vengo fra dieci minuti, prima devo fare una telefonata» rispose Nikki; il telefono privato era in una piccola stanza insonorizzata illuminata da una luce al neon abbagliante. Il bassista entrò, chiuse la porta dietro di sé e compose a memoria il numero di casa della sua ragazza.


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Erano le nove circa quando ho ricevuto la telefonata di Nikki. Le ragazze stavano giocando tutte con Spank; devo ammettere che il cagnolino è piaciuto molto a tutte, è troppo simpatico. Nel momento in cui il telefono ha iniziato a squillare, abbiamo dovuto zittire Spank riempiendogli la bocca di biscotti (sì, abbiamo scoperto che va matto per i dolci); non vorrei che Nikki sapesse qual è il suo regalo di Natale prima del tempo.


Ma quando la smetterai di agitarti? Le stai solo telefonando idiota, devi solo dirle come sono andate le prove, non devi farle una dichiarazione d'amore a distanza”; eppure Nikki faceva fatica a deglutire e a respirare, però non era colpa della dose di eroina che si era fatto nel bagno due ore prima. Era colpa di Rea se si sentiva tutto un fremito; stava picchiettando nervosamente il tallone del piede destro contro il muro quando la sua voce gli giunse all'orecchio: «Pronto?». Ed ecco che lui si sentiva bruciare per l'ennesima volta: «Ciao Fiamma»


Venerdì 12 dicembre 1986, 10 pm

Quando mi ha chiamata Fiamma non potevo credere alle mie orecchie; mi si è fermato il cuore.


«Ciao» sorrise la ragazza dall'altro capo del filo «allora, come sono andate le prove?»

«Fra un paio d'ore finiamo... e “Dancing On Glass” è piaciuta!» dichiarò il bassista alzando il pugno in segno di vittoria

«Sul serio?» esclamò la ragazza

«Giuro. A parte quella puttana di Vince che ha sempre qualcosa da ridire, però il pezzo è piaciuto anche a lui. Adesso devo solo pensare agli arrangiamenti, anche se quelli andranno fatti più in là» fece una pausa «E credo che tu mi servirai»

«Servire in che senso?» la curiosità di Rea stava iniziando a crescere

«Ti ricordi quando ieri l'abbiamo improvvisata a casa mia? Ecco, quelle belle cose che hai fatto con la voce sul finale vorrei inserirle anche nella versione del disco». Ci furono degli istanti di silenzio, poi Rea riuscì a dire: «Cioè, tu mi stai dicendo che dovrò venire con te in studio di registrazione e...»

«Precisamente» la interruppe il bassista

«Tu non hai idea di quanto io sia felice! Se questo è il tuo regalo di Natale, te ne sarò grata finchè campo» gli sussurrò Rea al culmine della felicità. Nikki disse: «Beh, diciamo che quella è solo la prima parte del tuo regalo di Natale... a proposito, cosa facciamo io e te il venticinque?». La ragazza esitò un attimo; il suo viso si rabbuiò e rispose: «Penso che il giorno di Natale non potremo vederci perchè viene mio padre a casa mia ed anche i genitori delle mie amiche festeggeranno insieme a noi. Non so, se vuoi aggregarti anche tu...»

«Non preoccuparti» la rassicurò il ragazzo «possiamo fare il giorno dopo. È giusto passare il giorno di Natale in famiglia. Ci vedremo il ventisei»

«Anche tu starai con i tuoi il giorno di Natale?» chiese timidamente Rea; Nikki rispose con un sospiro: «Questo proprio non lo so». I due si salutarono e Nikki raggiunse Tommy sul piccolo terrazzo della sala prove; quella sera l'aria non era troppo forte e tagliente e le luci delle macchine in corsa sulla freeway sembravano addobbi di un enorme albero di Natale che si accendevano ad intermittenza. T-Bone diete una boccata alla canna: «Certo che è una figata. È dicembre e ci sono dodici gradi... pensa se abitavamo a Oslo, bro. Meno venti gradi costanti in inverno» fece una risatina «mi sarebbe scappata la voglia di uscire a fumare». Tommy allungò la canna verso l'amico; Nikki la prese, tirò una boccata e la restituì. Si mise le mani nelle tasche dei pantaloni e si diresse verso la ringhiera del terrazzo dove si appoggiò con i gomiti e si mise un pugno sotto il mento; guardava nel vuoto, fissava la freeway, seguiva le auto che si rincorrevano sui lunghi viali ai suoi piedi. Cercava di concentrarsi su altro, perchè, se fosse stato per la sua mente, il suo pensiero sarebbe volato all'incidente della notte precedente e lui non voleva pensarci in alcun modo. Tommy spense il mozzicone e si avvicinò all'amico: «Che hai Nikki? Sei troppo zitto stasera»

«Bah, Tommy... sono come al solito» rispose il ragazzo voltandosi a guardare in faccia l'amico. Il batterista, chiaramente, quella scusa non l'aveva bevuta: «Tu non me la racconti giusta, bro. Sei rimasto male per quello che ti ha detto Vince?»

«Ma quella checca acida può anche andare a farsi fottere... tanto gli piace» rispose indifferente Nikki

«Se non è Vince, allora è Rea» incalzò l'amico. Il bassista abbassò lo sguardo ed iniziò a raccontare: «T-Bone... stanotte ho cercato di farci sesso»

«E com'è andata?» domandò Tommy curioso; Nikki fece spallucce: «Beh, diciamo che... non è andata. Ma non per colpa sua... T-Bone, ho combinato un casino» e si mise le mani nei capelli. Si voltò dando le spalle alla ringhiera ed al panorama ed incrociò le braccia al petto; Tommy seguì i suoi movimenti con attenzione rimanendo in silenzio. Il bassista continuò: «Per fartela breve: lei si è addormentata sul mio divano, l'ho portata nella stanza degli ospiti e lì, in quel frangente... mi è venuta voglia di possederla»

«Ma bro, scusa, lei stava dormendo?» chiese confuso il batterista. Nikki annuì in silenzio. Tommy lo riprese: «Ma queste cazzate non si fanno! E se lei si fosse svegliata ed avesse scoperto che tu eri su di lei? Sai che quello sarebbe stato uno stupro?»

«Lo so» rispose Nikki portandosi le mani al viso «il fatto è che non ho saputo resistere. Insomma, io vorrei farla mia... mi piace T-Bone, mi piace un mondo quella ragazza»

«Ho capito che ti piace bro, ma ciò non toglie che tu non debba fare stronzate. Anche perchè ti è andata bene che lei non si accorta, sennò addio Rea e chi la vede più? Altrochè poi “T-Bone, andiamo in università da lei che le devo parlare”»

«Va bene T-Bone, ho capito di aver fatto la cagata» rispose Nikki «comunque c'è un altro problema. Ed è mio»; il ragazzo abbassò lo sguardo verso le sue parti basse seguito da Tommy. Seguirono istanti di puro imbarazzo dopo i quali il batterista riuscì a dire: «Non si è alzato? Quindi non hai fatto nulla?»; il ragazzo scosse la testa: «Secondo te com'è successo? Insomma, mi sento menomato; io volevo farlo con lei e questo coso...»

«Bro, sai perchè non ti si è alzato? Sei troppo sotto ultimamente» gli disse Tommy mettendogli una mano sulla spalla.


NOTE:

Nella prima parte del capitolo le frasi in corsivo sono i versi della canzone “Love Bites” dei Judas Priest.

Spank: il cagnolino della serie “Hello Spank”; l'ho scelto perchè Nikki, in quel periodo, aveva un cane che aveva chiamato Whisky. Ho pensato di sostituirlo con Spank per cercare di dare un risvolto un po' più “leggero” a questa storia così intrisa di droga e dispiaceri.

Pick up: componente della chitarra elettrica o del basso elettrico; serve per trasformare le vibrazioni delle corde in impulsi elettrici. Essendo in ambito musicale, stiamo parlando di pick up magnetici. Generalmente posizionati sulla cassa dello strumento, sono di forma rettangolare e possono essere di due tipi: single coil oppure humbucker.

Humbucker: pick up in cui i fili di rame sono avvolti attorno a due bobine invece che intorno ad una sola come accade con il single coil; produce un ronzio minore rispetto al single coil. Questo tipo di pick up è largamente utilizzato dalla casa produttrice Gibson.

Stratocaster: modello di chitarra della Fender.

Freeway: autostrada.


Rieccomi con un capitolo a dir poco perfido. Abbiamo un Nikki “menomato” e confuso che cerca di confessare i suoi sentimenti ma combina un casino; ed anche Rea è più o meno sulla stessa lunghezza d'onda perchè non riesce ad esternare ciò che prova. In più, si sta avvicinando anche il Natale e si prevede una festa non proprio “felice” sia per lui che per lei; però avete visto che è comparso uno special guest, il mio adorato Spank, che porterà un po' di comicità per i capitoli a venire. Ho anche cercato di fare un piccolo spaccato sulla vita della sala prove mettendo in luce i rapporti conflittuali che c'erano ai tempi fra i membri del gruppo. Spero che questo capitolo non troppo movimentato vi sia piaciuto; se per caso non fosse di vostro gradimento non esitate a dirmelo, sapete che le vostre recensioni, per me, sono molto importanti. Un grazie di proporzioni enormi va a Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95, elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars, marziolina86, Deep Submerge85, Moon 91, pianistadellaluna, RocketQueen_, Sailor Crystal e Cri cri; grazie anche a tutti quelli che leggono e non recensiscono ed, infine, grazie anche al mio ragazzo per il supporto che mi sta dando :)

A presto, Ellie

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Capitolo 13
*** Xmas In Hell ***


13 Xmas In Hell

Quella mattina la sveglia suonò per tutte alle sette e mezza; Morea scattò in piedi, atletica come sempre, e corse giù a preparare una veloce colazione. Marta e Bunny aprirono gli occhi nel medesimo istante, uscirono dalle loro stanze che erano vicine, si fissarono l'una negli occhi blu dell'altra e si urlarono «Buon Natale!» a vicenda; Amy si mise seduta sul suo lettino, si stiracchiò e poi uscì in corridoio andando ad abbracciare le sue amiche bionde. L'unica che non esultò al trillo della sveglia fu Rea: “Oh no... non posso darmi malata? Solo per oggi” pensò fra sé. Non aveva voglia di festeggiare, soprattutto non aveva voglia di vedere suo padre; quella era la festa che odiava più di tutte perchè già sapeva che, all'interno di quella grande casa, sarebbe stata la sola persona che non avrebbe percepito alcun legame con l'unico genitore che le era rimasto. Si tirò su le coperte fino a scomparire completamente sotto il piumone: “Come vorrei avere quaranta di febbre in questo momento... ma non posso farla in barba ad Amy, lei si accorgerebbe subito che sto fingendo”. Infatti, due secondi dopo che fece questo pensiero, la porta si aprì e la ragazza dai capelli blu si sedette dolcemente sul suo letto scostando il piumone: «Buon Natale Fiamma» le disse con un sorriso

«Buon Natale a te tesoro» rispose Rea girandosi lentamente verso l'amica; Amy, intuendo il malessere della ragazza, le posò una mano sulla fronte, poi le prese il polso e fissò per qualche secondo l'orologio appeso alla parete. Le lasciò la mano sinistra sulle coperte e le disse: «Mi spiace, ma anche quest'anno non hai febbre ed i tuoi valori vitali sono nella norma»

«Magnifico» disse sarcasticamente la ragazza dai capelli corvini

«Ma scusa, non buttarti giù così!» la incoraggiò Bunny che era entrata nella stanza saltellando «Ci siamo qui noi, non sei sola con tuo padre»

«Infatti, non sei costretta a parlarci per forza» le disse Marta facendole l'occhiolino da dietro la spalla destra di Bunny. Rea sorrise commossa; era davvero fortunata ad avere delle amiche così speciali con le quali aveva un legame più indissolubile dell'acciaio. Si alzò e le strinse tutte in un grande abbraccio: «Buon Natale amiche mie, siete voi il più bel regalo che possa desiderare»; tutte si strinsero a vicenda e si baciarono le guance finchè Morea non urlò dalla cucina: «Ragazze, correte! Spank ha di nuovo mangiato quasi tutti i biscotti!». Le quattro amiche si precipitarono giù per le scale e, appena entrarono in cucina, trovarono Morea che puntava un dito contro il cagnolino che aveva ancora tutta la bocca sporca di briciole: «Quelli non erano per te, ingordo che non sei altro!» ma il cane non le prestò attenzione; come vide le altre quattro materializzarsi sulla soglia del locale corse loro incontro saltellando: «Bau, bau! Auguri, auguri!». Scoppiarono tutte a ridere, poi fecero a turno gli auguri alla cuoca di casa che era già all'opera, intenta a finire di preparare le cose per il pranzo; Rea, intanto che sorseggiava la sua tazza di latte, guardava Spank seduto vicino al forno che faceva il filo alle tartine di pasta sfoglia ripiene: “Non si può essere tristi con in casa un cane simile; mi dispiacerà un sacco portarlo da Nikki domani, in questi giorni con le sue burle ci ha fatte divertire un mondo. Però, sono convinta, che al mio ragazzo farà bene avere quella pallina di pelo che gli scorrazza in giro per la villa; è una miniera di buon umore. Spero tanto che lo aiuti con il suo problema”. Mentre pensava quelle cose, il bastardino si girò verso la ragazza, le sorrise e poi le corse incontro per farsi accarezzare: «Vieni con me di sopra che mi dici come vestirmi?» gli disse Rea divertita

«» le fece segno Spank

«Così la smetti di mangiare con gli occhi quello che c'è nel forno» gli disse la ragazza facendogli la linguaccia

«Uffa» il cagnolino mise il broncio. Morea guardava divertita la scena: «Dai, Spank, non abbatterti! Se fai il bravo a pranzo ti do cinque tartine solo per te»

«Sì, sì! Pappa, pappa!» iniziò a scodinzolare il cucciolo; poi seguì Rea che stava iniziando a salire le scale per andare a prepararsi.


* * *


I primi ad arrivare furono i genitori di Bunny: entrarono con le borse stracolme di regali e baciarono a turno tutte le ragazze. Erano una coppia straordinaria, sempre in perfetta simbiosi. Bunny corse incontro alla madre e l'abbracciò forte, poi ricoprì le guance del padre di baci: «Vedi tesoro mio, tu dici che Marzio è l'amore della tua vita ma, di' la verità: non lo baci con tutto questo impeto quando lo vedi. In fondo, IO sono l'amore della tua vita» scherzò il signor Adams facendo diventare la figlia rossa come gli addobbi dell'albero di Natale. La signora Adams, nel frattempo, era andata a posare i regali che aveva portato: «Ho preso qualcosa per tutte voi»; tutte le ragazze la ringraziarono in coro, poi la donna si avvicinò a Rea, le accarezzò il viso e le disse: «Sei una cara ragazza, Rea. Sei sempre così carina con Bunny». La ragazza dai capelli corvini ammirava Janet Adams: era sempre di una dolcezza infinita con lei e si era dimostrata disponibile in qualsiasi momento, perfino quando il nonno era in punto di morte; “Lei è la madre che non ho mai avuto” pensò fra sé Rea con gli occhi lucidi. Poco dopo giunsero anche i genitori di Amy: i signori Theodore Anderson e Catherine Smith. La figlia saltò in braccio al padre che faceva il pittore e poi diede un bacio alla madre medico; nonostante fossero una coppia separata, erano comunque in buoni rapporti e questo rallegrava tantissimo Amy che era attaccatissima ad entrambi. I due augurarono buon Natale a tutti, poi il padre del futuro medico andò a stringere Rea: «Auguri tesoro! Allora, come va all'università?»

«Molto bene, grazie» gli sorrise la ragazza

«Amy mi ha detto che hai appena fatto un ritratto, sarei molto curioso di vederlo! Sai, con ogni dipinto che realizzi migliori sempre di più» le disse l'uomo poggiandole una mano sulla spalla

«Purtroppo quel quadro non è più in casa perchè era un regalo, però Marta gli ha fatto una foto, se vuole dopo gliela faccio vedere» gli disse Rea piena di stima. Quell'uomo, al contrario di suo padre, si interessava per quello che stava facendo all'università e non perdeva occasione di lodarla; il papà di Amy era stato quello che, più di tutti, l'aveva spinta a continuare a coltivare la sua passione per la pittura. Circa dieci minuti dopo arrivarono insieme la madre di Morea ed i genitori di Marta; la signora Leslie Fisher faceva la cuoca su una nave da crociera ed erano veramente poche le occasioni in cui poteva incontrarsi con la figlia. Morea corse ad abbracciare la madre baciandole le guance paffute; la signora Fisher strinse la figlia a sé e le disse: «Tesoro mio, sono curiosa di vedere cos'hai preparato e se dovrò leccarmi i baffi come ogni anno»

«Ma io non sarò mai brava come te mamma» le rispose la figlia cercando di non toccarle i vestiti con le mani sporche di farina. Nel frattempo il signore e la signora Murray coccolavano la loro figlia e facevano gli auguri di Natale a tutti quelli che c'erano nel salotto; «Ragazze, io e mio marito Philip abbiamo pensato bene di fare un regalino a tutte voi; ho sistemato i pacchettini sotto l'albero, dopo pranzo apriamo tutto» disse Nicole Murray con un sorriso identico a quello della figlia Marta. Nella casa aleggiava l'allegria e dalla cucina arrivavano dei profumi veramente invitanti; tutti sorridevano e perfino Spank era partecipe di quell'atmosfera gioiosa. Il timer del forno scattò: «Sono pronte le lasagne» disse Morea

«Oh, che bello!» esultò Leslie «Tutti a tavola che si mangia!»; ma Rea fu costretta ad interrompere quell'idillio natalizio: «Aspettate... aspettate ancora dieci minuti. Mio padre arriverà a momenti». Disse quella frase con voce grave e gli occhi bassi, quasi come se si vergognasse del fatto che l'unico genitore che le era rimasto era in ritardo, come tutti gli anni; “Se sta cercando di farsi odiare, ci sta riuscendo benissimo” pensò fra sé la ragazza. Dopo cinque minuti di attesa, finalmente, suonarono il campanello; nell'udire quel trillo stridulo, Rea si portò una mano al petto. Iniziava a sentire che le mancava l'aria ed i respiri che faceva erano sempre più piccoli ed accompagnati da sibili spaventosi; Amy si rese subito conto che l'amica era in difficoltà, quindi la portò in bagno facendosi aiutare da sua madre. Intuendo la criticità della situazione, Marta andò ad aprire la porta e si trovò davanti il padre della sua amica vestito con un completo gessato e gli occhiali da sole. Quell'uomo non piaceva a nessuno, né alle ragazze, né ai genitori; si era sempre dimostrato fin troppo altezzoso e scorbutico in tutte le occasioni che avevano trascorso insieme. “Non è esattamente quello che si può definire come un tipo affabile” pensò fra sé la bionda “però è Natale, cerchiamo di essere buoni”; sfornò uno dei suoi migliori finti sorrisi e lo salutò con enfasi: «Buon Natale signor Dickinson

«Auguri» rispose lui in modo sterile varcando la soglia e lasciando la ragazza attaccata alla maniglia della porta.


Giovedì 25 dicembre 1986, 11 pm

Pensavo di resistere quest'anno, pensavo di essere più motivata a non farmi schiacciare da lui... invece, come sempre, sono finita in bagno con Amy e sua madre. La mia amica cercava di tranquillizzarmi a parole, dicendomi che non ero sola, mentre la dottoressa Smith mi ha somministrato il Lexotan; come ho deglutito quella medicina dolciastra mi sono sentita meglio. Certo, non potevo dire che ero pronta ad affrontare un esercito, ma mi sentivo leggermente più serena; sono uscita dal bagno tenendo Amy per mano cercando di barcollare il meno possibile.


Il signor Dickinson era dritto davanti a lei, alto come un grattacielo; Rea si sforzava di respirare nel modo più regolare possibile, non voleva fargli notare che aveva paura di lui. Lasciò la mano di Amy e si avvicinò al padre per abbracciarlo, come faceva tutti gli anni; ma, come sempre, Steven Dickinson bloccò la figlia per le spalle: «Dove diavolo eri?» le chiese con tono di rimprovero. La ragazza esitò un attimo e poi rispose con un sorriso appena abbozzato: «In bagno, mi stavo mettendo il profumo»; lo guardò, in quegli occhi d'ebano come i suoi, profondi come un buco nero, cercando di scorgere un piccolo barlume di luce senza trovarlo. Sentì una stretta allo stomaco, ma si sforzò comunque di contagiarlo con un po' di felicità: «Buon Natale papà»; aveva gli occhi lucidi ed il nodo alla gola. Lui rimase in silenzio, continuando a stringerle malamente le spalle; sul suo volto si disegnò un espressione di disgusto mista a rassegnazione. Voleva dirle qualcosa ma tenne la bocca chiusa. In un lampo la lasciò malamente ed andò a sedersi a capotavola dicendo in tono dittatoriale: «Beh, cosa stiamo aspettando? Mangiamo o no?»

«Era quello che stavo per dire» gli fece eco la madre di Morea con tono giocoso cercando di risollevare la situazione «ci sono delle lasagne favolose che ha appena finito di far cuocere mia figlia. Sono curiosa di vedere come sono venute». Rea si avviò con la cuoca di casa verso la cucina, non prima di aver sentito suo padre dirle alle spalle: «Bella la vita, eh Rea? Basta sbolognare i propri doveri alle altre persone che si vive meglio. Quando imparerai ad essere autonoma?»; quelle parole le arrivarono dritte in viso come una martellata sulle gengive. Morea la prese per mano e le sussurrò: «Dai Fiamma, non fare caso a quello che dice... sai che io adoro cucinare e lo faccio volentieri. Non ascoltarlo». Le due ragazze furono raggiunte da Bunny, Amy e Marta ed insieme portarono a tavola tutti i piatti da portata; mentre Morea serviva le lasagne, Rea versava il vino nei calici. Si sedettero tutte e la madre di Bunny alzò il suo bicchiere: «Un brindisi a tutti noi ed alle nostre splendide figlie, buon Natale a tutti!»; Rea si sentì sollevata nell'udire quelle parole e fece tintinnare il suo calice contro quelli degli altri. L'unico che non ricambiò il brindisi con nessuno fu suo padre che si scolò tutto d'un fiato il vino rosso. Per tutta la durata del pranzo Steven Dickinson non aprì bocca se non per mangiare, Rea invece cercava di essere partecipe il più possibile delle conversazioni che il padre di Amy intavolava; ogni tanto dava un'occhiata al posto dov'era seduto suo padre e pensava: “Perchè deve essere sempre così indisponente? Insomma, non ne ha il motivo... come vorrei che Nikki fosse qui a tenermi compagnia”. Cercava di sorridere, provava a ridere insieme agli altri ma il fatto che suo padre non volesse prendere parte alla festa le faceva male; gli occhi le si riempivano di lacrime e l'unico modo per riassorbirle era guardare Spank seduto davanti alla sua ciotola che ingurgitava tutto quello che Morea gli metteva dentro. Il cagnolino si tuffava a capofitto nel contenitore con tutto il muso e, quando si alzava, aveva sempre il pelo bianco sporco di quello che aveva appena finito di mangiare; Rea lo guardava sorridendo portandosi una mano alla bocca ed il bastardino ricambiava quello sguardo amichevole leccandosi i baffi: «Buona pappa».

«Allora, chi vuole la torta?» domandò Morea con un sorriso dopo aver finito di mangiare il contorno; tutti si voltarono a guardarla strabuzzando gli occhi e mettendosi una mano sullo stomaco ed il padre di Marta parlò per tutti: «Per l'amor di dio! Sono pieno!». La ragazza si portò una mano alla bocca scoppiando a ridere: «Va bene, vi do il tempo di digerire... però sappiate che il dolce è di là, quindi, quando volete mangiarlo, non dovete fare altro che chiedere». Spank si avvicinò alla bella mora e le tirò una gamba dei pantaloni: «Bimba, io torta»

«No, tu niente torta, hai già mangiato come un maialino. Poi ingrassi troppo e diventi una palla e per spostarti dovremo prenderti a calci» gli disse Morea scuotendo la testa. Il cagnolino abbassò le orecchie triste destando le risate di tutte le persone sedute al tavolo, eccetto il padre di Rea che disse con tono perentorio: «Mi auguro che voi ragazze non vorrete tenere quella bestia in casa a lungo». Spank, sentendosi chiamare così, si voltò e fissò con sguardo di sfida il signor Dickinson: «Vuoi botte eh?»; Rea intervenne per cercare di risollevare la situazione: «No papà, non preoccuparti... quello è un regalo per...»


Giovedì 25 dicembre 1986, 11 pm

Non potevo dirgli che sto uscendo con un musicista, mi avrebbe sfondato la faccia a pugni; già era infastidito per i fatti suoi, ci mancava solo che io gli dicessi “Papà, mi sto vedendo con un rocker, drogato fra l'altro”. Per fortuna che Marta è venuta in mio aiuto.


«Mamma, quello è il mio regalo di Natale per Seiya» intervenne prontamente la bionda guardando i genitori con occhi estasiati

«Che pensiero carino, tesoro!» le disse il signor Murray accarezzandole i folti capelli biondi legati con un fiocco blu che ben si abbinava al vestito che indossava.

«E a proposito di regali, che ne dite di aprire i vostri?» intervenne la signora Adams indicando i pacchetti ammucchiati sotto l'albero di Natale

«Evviva!» esclamò Bunny destando le risa di tutti

«Amore mio, quando si tratta di aprire i regali sei peggio di una bambina» disse il signor Adams portandosi una mano alla fronte e scuotendo il capo. Le ragazze si avvicinarono all'albero, si inginocchiarono ed iniziarono a scartare ognuna i propri regali; Rea ricevette dalle sue amiche degli stivali nuovi, dai genitori di Bunny una lampada a forma di stella rossa, i genitori di Amy le regalarono un nuovo set di pennelli per i colori ad olio, la madre di Morea le donò un libro sugli impressionisti ed i signori Murray le diedero un nuovo vestito confezionato su misura per lei. La ragazza abbracciò tutti e li ringraziò dal profondo del cuore; la madre di Bunny, dopo aver ricambiato il suo abbraccio, le chiese: «Cosa ti ha regalato tuo padre?». Rea arrossì, abbassò lo sguardo e poi iniziò a balbettare: «Lui mi paga le spese della casa... tutto l'anno. Quindi è... è giusto che non mi regali nulla; insomma, con tutto quello che spende...»; Theodore Anderson la interruppe: «Beh, non mi sembra una buona motivazione per non regalarti nulla» e poi si girò a fissare il padre della ragazza «o no, Dickinson?». Steven rimase impassibile, si accese una sigaretta e poi disse: «Ognuno fa ciò che ritiene più giusto, no? Piuttosto Rea, hai qualcosa da darmi?». La ragazza si sentì percorrere la schiena da un brivido, poi prese il pacchetto con la carta blu metallizzata da sotto l'albero e lo porse al padre con un sorriso appena abbozzato; calò il silenzio nel salotto, gli occhi di tutti erano puntati su Steven Dickinson che apriva il suo regalo senza lasciar trasparire il minimo entusiasmo. Gettò la carta a terra e si rigirò fra le mani la cravatta di Topolino. «Ti piace?» chiese la figlia dopo lunghi attimi d'esitazione con voce flebile; il padre alzò gli occhi colmi di disprezzo e gettò il dono a terra: «Un'altra cravatta? Dovresti avere un po' più di fantasia quando mi fai un regalo!». Rea si sentì completamente spiazzata; cercò di difendersi: «Pensavo ti avrebbe fatto piacere... so che le collezioni»

«Lo so anch'io che faccio la collezione! Ciò non implica che sia sempre un piacere riceverne» tuonò Steven alzandosi in piedi e puntandole l'indice contro. La ragazza si sentiva sempre più piccola di fronte a quel monumento d'ira che le si avvicinava sempre di più con fare minaccioso; era incapace di fare qualsiasi cosa, perfino di ribattere. Il padre continuò: «Tu sei esattamente come tuo nonno, prendi iniziativa senza chiedere niente a nessuno e poi finisci col fare cagate!»

«Papà, io...» due lacrime le rigarono le guance colorate con una leggera pennellata di fard magenta; quelle parole erano state violente come un coltello lanciato contro un bersaglio. Nell'aria si udì uno schiocco sordo: la mano destra di Steven si appoggiò violentemente sulla guancia sinistra della figlia; «Non ribattere, non ne hai il diritto! Specie da quando hai deciso di cambiare il cognome... tu non sei nemmeno più mia figlia». Un altro schiaffo, più violento del precedente, e Rea finì a terra sul tappeto; Bunny ed Amy si affrettarono a tirarla su mentre il resto degli invitati guardava la scena pietrificato. Steven continuò a sparare a zero insulti: «Hai voluto prendere lo stesso cognome di mio padre, quello che lui ha deciso di adottare dopo la seconda guerra mondiale; come hai potuto tradirmi, stronza!»


Giovedì 25 dicembre 1986, 11 pm

Aveva superato ogni limite ed io non avevo più intenzione di tenere la bocca chiusa. Se la regola fondamentale all'interno di una famiglia è che ci sia rispetto fra genitori e figli... beh, mio padre l'ha violata anche fin troppo oggi; sono stanca di continuare a mandar giù rospi in continuazione.


Rea strinse i denti sentendo le lacrime scivolarle lungo le guance calde per l'impatto con le mani del padre e come un drago gli sputò addosso tutto il fuoco che aveva in corpo: «Invece lo stronzo qui sei tu, sei l'unico che non si è mai preso cura di me! Fin da quando ero piccolina non hai fatto altro che lasciarmi con il nonno... certo, il nonno era sensazionale, ma io ho sempre sperato che tu tornassi prima o poi; era già abbastanza doloroso non avere la mamma, figuriamoci non avere il papà sapendo però che non era morto. Ecco perchè anch'io ho cambiato cognome... perchè ormai con te non ho più nulla da spartire! Non voglio essere Rea Dickinson e fare finta di essere tua figlia, voglio solo essere Rea Hino e ricordare così il nonno... tuo padre». Si alzò di scatto e corse su per le scale piangendo; Spank, percependo il malessere della ragazza, le corse dietro. Tutti gli invitati rimasero in silenzio a guardare Steven Dickinson che prendeva a calci la cravatta che aveva gettato a terra; fu Theodore Anderson a rompere la quiete: «Fossi in te uscirei da questa casa e non mi farei più vedere» gli disse facendosi scoccare le falangi. Stewart Adams aggiunse: «Già, concordo... altrimenti ti cacciamo fuori noi»; il signor Dickinson non si fece pregare ulteriormente, prese la sua giacca ed uscì senza salutare nessuno.


Giovedì 25 dicembre 1986, 11 pm

Mi sono rintanata nella mia stanza. Ho chiuso la porta violentemente e poi mi sono lasciata scivolare contro la parete adiacente sentendo le lacrime che mi scorrevano nei solchi bollenti lasciati dalle mani di mio padre; o meglio, di quell'uomo che biologicamente lo è ma che umanamente non hai mai svolto quella professione. Non riuscivo a piangere in silenzio, sentivo troppo male in me per poter tacere; nemmeno sono stata capace di frenare i singhiozzi che uscivano senza sosta dalle mie labbra. Mi sono coperta la bocca con le mani per sopprimerli ma senza successo. Le immagini viste da quelle lenti bagnate di lacrime erano offuscate, confuse e sovrapposte, macchiate di mascara nero che colava come colore non asciutto dai bordi di una tela ancora in verticale sul cavalletto e cadevano senza sosta sull'orlo del vestito rosso. In preda alla rabbia ho tirato un pugno allo stipite della porta ma il dolore dell'impatto non è servito a farmi dimenticare quello che mi stava consumando dall'interno. “Last Christmas, I gave you my heart, but the very next day, you gave it away, this year, to save me from tears, I'll give it to someone special”. George Michael cantava nella mia testa quelle parole come faceva ormai da due anni il giorno di Natale; tutti gli anni me l'ero ripromesso e fino a quel momento non avevo mantenuto. Tutti i Natale precedenti avevo pensato che avrei definitivamente chiuso con mio padre, ma quella cieca speranza di potermi riagganciare a lui mi aveva fatto dimenticare quel proposito; peccato che ogni volta ne rimanevo irrimediabilmente ustionata. Ma ho deciso fermamente adesso: d'ora in poi basta, dopo tutto quello che mi ha detto io mi sono stancata; non è stato capace di vedere tutto l'affetto che io gli ho sempre dimostrato gratuitamente. Non ho più intenzione di parlarci e di vederlo. Ancora singhiozzando ho preso lo Zippo e l'ho acceso: «Amore mio, ma non puoi piangere anche durante il giorno di Natale! Cos'è successo?» ha detto il nonno con un'espressione triste mentre guardava il mascara disegnarmi delle righe nere sugli zigomi. Mi sono passata il dorso della mano sinistra sul viso sbavando tutto il trucco e facendomi diventare la parte superiore delle guance scura; lui si è messo a ridere: «Mi sembri Nikki con la faccia così». Gli ho sorriso; solo lui riesce a farmi sorridere in una situazione simile. Gli ho raccontato la bella figura che ha fatto suo figlio durante e dopo il pranzo e lui, dopo avermi ascoltata, mi ha detto: «Non sentirti più vincolata a lui in alcun modo. Se hai bisogno di consiglio chiedi a me ed alle tue amiche ma non a lui; perchè non sa chi sei, non ti conosce. Non sa come sei fatta»

«Nonno, ha insultato anche te» gli ho detto io tirando su con il naso. Lui è stato per un attimo in silenzio, poi ha risposto: «Non c'è mai stato un buon rapporto fra di noi. Da quando poi ho cambiato cognome, lui dice che l'ho ripudiato e rifiutato. Ma secondo me il cognome non è nulla perchè ho sempre cercato di stare vicino a tuo padre; sicuramente anch'io avrò fatto i miei sbagli, i figli non nascono con il libretto delle istruzioni. Ma mai l'ho trascurato come lui ha fatto con te. Formalmente siamo dei Dickinson tutti e tre, cara Rea, ma se io e te ci chiamiamo Hino adesso, significa che fra me e te c'è un rapporto privilegiato; sii ciò che vuoi essere, Fuoco mio. Fallo per te e fallo anche per il tuo nonnino». Mi fece l'occhiolino e la linguaccia. Avrei voluto abbracciarlo... il mio nonnino. Come ho spento l'accendino, la porta della camera si è aperta lentamente e Spank ha fatto capolino; mi ha guardata con quegli occhietti tutti speciali e mi si è avvicinato. Pensavo volesse le coccole, invece mi ha allungato un fazzolettino per asciugarmi il viso: «To' iaia, non piangere»; quel gesto così normale fatto da un cane mi ha fatta sorridere. L'ho preso fra le mie braccia e l'ho stretto forte: «Caiiiiiiiiiii»

«Vedrai, piacerai un sacco a Nikki... sei come un bimbo, Spank». Ho finito di asciugarmi le lacrime, poi abbiamo preso la scatola di Monopoli e siamo scesi al piano di sotto; tutti hanno sorriso di sollievo quando mi hanno vista ritornare: «Vi va di giocare a Monopoli? Squadre miste... e Spank fa il banchiere».


* * *


Nikki era come ipnotizzato mentre guardava ribollire l'eroina nel cucchiaio riscaldata dalla fiamma dell'accendino. Aspirò con lo stantuffo il liquido a metà fra il giallo ed il marrone e se lo iniettò in una delle poche vene del braccio sinistro che ancora non avevano collassato; in pochi secondi sentì un gran sollievo pervadergli le membra e si accasciò con gli occhi ancora aperti ai piedi dell'albero di Natale. Fissava il cucchiaio su cui aveva appoggiato l'ago della siringa che aveva appena usato; il suo stesso sangue gocciolava ad intervalli regolari da quel finissimo pezzetto di metallo non più sterile e stava lentamente coagulandosi. “Guardati Sixx... quella è la fine che farai: ti asciugherai sempre di più con l'avanzare dei giorni finchè...”

«ZITTO!» gridò Nikki per far tacere le voci nella sua testa. Sapeva dove volevano andare a parare, ma non voleva sentirselo dire in quella circostanza; non il giorno di Natale. Teoricamente è il giorno in cui si è felici per forza, in cui si è in compagnia delle persone a cui si tiene di più... ed invece lui era rimasto dannatamente solo tutto il tempo. Ripensava al suo risveglio, solo nel letto matrimoniale della sua stanza, alla giornata trascorsa a guardare MTV, alla cena che aveva appena finito di consumare, ma non al tavolo di casa sua; si era sforzato di uscire, si era costretto a farlo dicendosi: “Vedrai, un po' d'aria natalizia ti farà bene”. Alla fine, dopo tanto girovagare a vuoto a cavallo della sua Harley, era finito in un McDonald's a mangiare delle schifezze preconfezionate seduto ad un tavolino completamente solo; in un'altra occasione, quel cheese burger sarebbe stato succulento, ma in quel frangente era vomitevole. La solitudine che gli pervadeva l'anima rendeva tutto quello che lo circondava una vera e propria merda. Aveva deglutito a fatica l'ultimo boccone ed era tornato a Van Nuys con la testa bassa; ed eccolo lì, di nuovo con l'eroina in circolo, sdraiato sotto l'albero di Natale. “Devi essere fortemente coglione per continuare con questa spazzatura... anzi, sai una cosa? Già lo sei”

«NON C'E' BISOGNO CHE ME LO FAI PRESENTE!» sbottò contro se stesso il ragazzo; eppure sentiva che doveva fare qualcosa per liberarsene. Insomma, Rea si stava sbattendo per lui e lui, ancora, non aveva fatto niente di decisivo, aveva solo subito passivamente tutte le sue attenzioni; fece ballare le palle degli occhi finchè non andarono a fermarsi su un blocco di fogli bianchi e la penna che c'era appoggiata sopra. Si alzò barcollando, cadde in ginocchio e si rialzò di nuovo; afferrò i fogli e si trascinò fino al tavolo della cucina. Per tutta la durata del giorno non aveva né parlato né fatto gli auguri a nessuno; nemmeno alla sua ragazza. “E' vero, viene domani, posso dirle “Buon Natale” fra ventiquattro ore ma sarei in ritardo... non hai nemmeno idea di quanto mi manchi” pensò Nikki rivolto al suo cervello; tolse il tappo alla penna ed iniziò a scrivere un nuovo diario. “Forse questo sarà l'ultimo capitolo della mia vita, date le condizioni in cui mi ritrovo... ma, perlomeno, potrò essere ricordato per quello che sono veramente: un drogato senza speranze. In questo momento siamo solo io e te diario... benvenuto nella mia vita”.


NOTE:

Adams: cognome dato a Bunny ed alla sua famiglia da me; è stata una scelta che ho dovuto intraprendere poiché, come esplicitato nel capitolo 8 nella nota relativa al cognome Anderson di Amy, siamo in un contesto nord americano e le nostre ragazze sono tutte americane ed anglofone. Il cognome in questione è stato scelto arbitrariamente perchè nella versione americana e canadese dell'anime tutte, ad eccezione di Amy, mantengono il cognome giapponese.

Dickinson: il padre di Rea porta questo cognome eppure lei ed il nonno (che era il papà di suo papà) fanno entrambi di cognome Hino, come nella versione originale di manga ed anime. Nel corso del capitolo la questione verrà spiegata parzialmente e, più avanti, ci sarà una parte di un capitolo che chiarificherà pienamente questa diversità.

Lexotan: medicinale a base di bromazepam usato per trattare gli stati d'ansia, i disturbi emotivi e anche all'occorrenza gli attacchi di panico.

Siamo solo io e te diario, benvenuto nella mia vita: frase con cui si conclude la prima pagina di “The Heroin Diaries” di Nikki Sixx.

Nel corso del capitolo c'è un rimando al ritornello di “Last Christmas” degli Wham! Ed il titolo del capitolo è ripreso dalla prima traccia del cd “The Heroin Diaries Soundtrack” dei Sixx:A.M.


Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare questo sudatissimo tredicesimo capitolo; è stato difficoltoso sia perchè tratta alcune tematiche un po' “pesanti”, sia perchè ho avuto la febbre alta in questi giorni e mettermi al computer era, a dir poco, impensabile. Però ce l'ho fatta. Non ho idea di come ho scritto, quindi non ci rimarrei male a trovare delle recensioni negative (e voi non abbiate paura di farmele se ritenete che questo capitolo non sia scritto bene); come sempre, mitici ringraziamenti a chi segue la mia storia come: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95, Cri cri, elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars, marziolina86, Moon91, Deep Submerge_85, pianistadellaluna, RocketQueen_, sailor crystal e diana89. Grazie anche a chi solo legge senza recensire (e grazie al mio ragazzo che si legge questa mia storia e inizia a darmi anche dei suggerimenti).

A presto, Ellie

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Capitolo 14
*** Minaccia All'Orizzonte ***


14 Minaccia All'Orizzonte

Spank era seduto sul sedile del passeggero della Ford di Rea intento a studiare un modo per levarsi dal collo il fiocco rosso che Marta, con tanta cura, gli aveva legato intorno; era uno dei fiocchi più belli che la ragazza avesse nel suo portagioie: «Un regalo carino come te deve avere una presentazione tutta speciale. Questo è il mio fiocco più bello... mi raccomando, trattalo bene» gli aveva detto la bionda chiudendo l'asola. Il cagnolino si era guardato allo specchio soddisfatto: «Bello io» ma già dopo cinque minuti quell'affare aveva iniziato a dargli un fastidio tremendo; gli prudeva da impazzire e voleva levarselo il prima possibile. «Vuoi star fermo con quelle zampe o ti devo legare?» lo aveva sgridato Rea, esasperata dai versi di sforzo dell'animale che si dimenava in macchina accanto a lei; ma Spank non l'ascoltava, continuava a far leva con le zampe anteriori per cercare di sfilarselo dal collo. La ragazza si portò una mano alla fronte: «Cerca di resistere, per la miseria! Siamo quasi arrivati, fra poco potrai toglierti di dosso quell'affare, sei contento?»; sentendo quelle parole il cane si tranquillizzò e si sedette composto. Arrivarono davanti a casa di Nikki dopo circa venti minuti, parcheggiarono e scesero dalla macchina; come la ragazza fece scattare la serratura della sua auto, la sua attenzione fu attirata da qualcosa di rosso intenso parcheggiato proprio all'imbocco del vialetto di casa del suo ragazzo. La ragazza fece due passi in avanti per mettere meglio a fuoco una Ferrari Testarossa appena uscita dalla concessionaria. Il rosso era così fiammante che quasi abbagliava; la ragazza si sporse per specchiarsi sul cofano: “Mio dio, incredibile”; i vani dei fari erano chiusi impedendo così di vedere le luci e la cappotta della macchina le arrivava alla vita talmente era bassa. Rea passò furtivamente le dita sul profilo sinistro dell'auto toccando lo specchietto posizionato a metà del montante e guardò fugacemente l'interno: pelle dei sedili color avorio e pomello del cambio nero; “Che bella” pensò fra sé la ragazza completamente rapita. Si accovacciò per un attimo per rimirare le prese d'aria per il motore posteriore e poi arrivò dietro, dove vide i caratteristici quattro tubi di scappamento, due per parte; era in estasi. “E' come vedere il più bel chopper che si è riusciti a produrre” pensava Rea portandosi una mano alla bocca e mordendosi il labbro inferiore: «Spank, guarda che forza questa macchina» sussurrò la ragazza in modo da farsi sentire solo dal cagnolino, ma quello non arrivò scodinzolando come al suo solito. La bruna lo chiamò di nuovo e riprese a girare intorno all'auto; lo trovò che stava facendo pipì sul cerchione anteriore destro: «Ma sei uno stupido!» lo sgridò Rea prendendolo per un orecchio e trascinandolo via

«Spank no piace» le fece intendere il bastardino guardando con sguardo torvo la macchina

«Sai che se il proprietario ci ha beccati siamo morti entrambi? Ti rendi conto del casino che hai fatto?»

«Scusa, dispiace me» Spank la guardò con occhietti dolci

«La cosa peggiore sarebbe venire a scoprire che questa è la macchina nuova di Nikki e tu, il suo nuovo cane, ci hai appena pisciato sopra. Ti immagini la sbottata del tuo nuovo padrone?». Il cane nascose la faccia dietro le gambe di Rea ed iniziò a tremare; la ragazza gli disse: «Spera solo che non sia sua... andiamo, dai» ed imboccò il vialetto. Arrivarono davanti alla porta in silenzio, facendo appena rumore sulle mattonelle del vialetto; Rea si chinò sul cagnolino, gli sistemò il fiocco e poi gli sussurrò: «Nasconditi dietro questo piccolo cespuglio, ti dico io quando uscire». Spank, diligente, cercò di mimetizzarsi con il piccolo arbusto; Rea prese fiato e, nervosa, suonò il campanello.


Venerdì 26 dicembre 1986, 11 pm

Perchè deve essere così devastante certe volte nella vita suonare un campanello? Non stai di certo premendo il tasto dell'autodistruzione oppure quello del seggiolino eiettabile su un aereo; però l'effetto è quello, se non peggiore. Le mani che ti tremano tanto da faticare a prendere la mira, il sudore ti imperla la fronte... e come ti decidi a farlo ed il tuo indice pigia il pulsante, subito uno scossone di adrenalina ti investe e tu rimani lì, cercando di stare il più ferma possibile, con il cuore in gola ad aspettare che la persona che tanto desideri appaia sull'uscio con un sorriso. Solo per te. Poi l'uscio scricchiola, si apre lentamente e...


Nikki fece capolino da dietro la porta; aveva una cera pessima: i capelli gli ricadevano in disordine sulla fronte, gli occhi erano spenti ed aveva un'espressione a metà fra l'insonnolito ed il malato. «Ciao» la salutò con un filo di voce rimanendo attaccato all'infisso ed alla maniglia, quasi avesse paura di cadere con la faccia sullo zerbino

«Che cavolo ti è successo?» furono le parole velate di disappunto che uscirono dalla bocca di Rea. Nikki non rispose, si limitò ad alzare le sopracciglia e a stropicciare le labbra, come se volesse dirle: “Sai benissimo cos'è successo, non mi va di parlarne”; la ragazza scosse la testa: «Beh, ad ogni modo, entriamo che fuori non fa caldo». Cercò di varcare la soglia, ma il suo ragazzo la bloccò sull'uscio: «Puoi aspettare un attimo prima di entrare?» le chiese timidamente; la ragazza pensò che Nikki, dalla sua altezza, era riuscito a vedere Spank nascosto dietro il cespuglio. «Non ti sfugge proprio niente, eh?» disse Rea facendogli la linguaccia, poi fece schioccare le dita ed il cagnolino arrivò sullo zerbino scodinzolando; il ragazzo aggrottò le sopracciglia per mettere meglio a fuoco quella pallina di pelo bianca con un enorme fiocco rosso. «Nikki, questo è il tuo regalo di Natale» gli sorrise la ragazza; lui si chinò verso il bastardino, lo scrutò e disse: «Questo animale con la faccia da toast è il mio regalo?». Il cane sentì come un masso cadergli sulla testa; Rea tirò un buffetto al suo ragazzo: «Non ha la faccia da toast... e si chiama Spank». Nikki poggiò le ginocchia a terra e giunse le mani; lui e il cane si scrutavano cercando di capire quale atteggiamento dovevano assumere, poi il ragazzo allungò titubante la mano destra verso il bastardino. Spank si fece accarezzare e sorrise: «Sì, bello»; Nikki scoppiò a ridere, alzò gli occhi verso la sua ragazza e le domandò: «Ma dove l'hai trovato?»

«Al canile; tu pensa che ero indecisa fra lui ed un pastore tedesco» rispose Rea sorridendo

«Meno male che hai scelto lui. Sai, non ho un buon rapporto con i pastori tedeschi» ammise il ragazzo; si rimise in piedi per avvicinarsi a Rea e Spank approfittò dello spazio creatosi per precipitarsi in casa. La ragazza lo seguì a ruota per andare a prenderlo per contenere qualche eventuale disastro; Nikki, nel frattempo, chiuse lentamente la porta ed iniziò a prepararsi psicologicamente al putiferio che stava per cominciare. Il cane era corso in cucina, probabilmente alla ricerca di qualche biscotto; Rea gli era stata alle calcagna e, come aveva varcato la soglia del locale, aveva notato un ragazzo magrissimo di spalle intento a trafficare con varie buste piene di polverina bianca ed altre invece colme di granuli marroncini. Quel fantasma si girò, mostrando il suo viso solcato da occhiaie nere profondissime che circondavano gli occhi vacui; Rea trattenne il fiato e, per qualche istante, nella stanza scese l'immobilità più assoluta, perfino Spank smise di cercare i biscotti. Poi, in una frazione di secondo, la mano destra della ragazza corse ad afferrare un coltello dalla lama grossa poggiato al lato del fornello, la sinistra invece afferrò lo sprovveduto per il bavero e lo bloccò contro il muro. Lo scheletro maschile iniziò a tremare violentemente di paura sentendo la fredda lama del coltello poggiarsi contro il suo collo: «Ti prego... non farmi male» sibilò il giovane con un alito che sapeva di trascuratezza; Rea premette ancora di più la lama sulla pelle facendolo irrigidire ancor di più: «Chi sei?»

«Mi... mi chiamo Jason» sussurrò il ragazzo stringendo le palpebre aspettandosi da un momento all'altro di sentire il calore riversarsi sulla sua maglietta ed abbandonare il suo corpo

«Sei uno spacciatore, vero?» incalzò Rea serrando ancora di più la mano intorno al manico facendosi venire le nocche bianche. Jason non rispose, si limitò ad annuire debolmente cercando di staccare il più possibile il collo dalla lama senza riuscirci; a Rea tremava il polso talmente tanta era la rabbia che le scorreva in corpo. I suoi occhi scrutavano in lungo ed in largo il viso scavato e sciupato di Jason: avrebbe potuto essere un bel ragazzo, con un bel fisico ed una bella espressione, ma la droga lo stava corrodendo dall'interno; la ragazza continuava a far correre gli occhi su quelle rughe premature finchè non le cadde lo sguardo su un portachiavi cromato che faceva capolino dalla tasca della giacca in pelle del ragazzo; Rea allungò la mano e si ritrovò a stringere un cavallino rampante ancora nuovo di zecca.


Venerdì 26 dicembre 1986, 11 pm

Non ci voleva Einstein per collegare il tutto; la Ferrari era di Jason, comprata con i soldi versati da Nikki a causa dei suoi “capricci da rockstar drogata”. Ciò significa che, ogni giorno, il mio ragazzo, è pronto a spendere anche migliaia di dollari pur di avere roba fresca a disposizione. E questo è veramente preoccupante... ci vorrà ben altro oltre alla mia buona volontà e a Spank per farlo smettere. Mi sento affranta e delusa... ma non mi arrendo.


«Tu adesso prendi quel cazzo di bolide e sparisci» gli intimò Rea con un tono di voce così basso da essere appena udibile «Sparisci e non ti fai più vedere». Jason fu più veloce di un fulmine: prese di mano le chiavi dell'auto a Rea e si dileguò uscendo dalla porta di servizio, lasciando sul tavolo tutta la mercanzia; dopo trenta secondi, il rombo sordo di un motore ed una sonora sgommata furono il segno che lo zombie se l'era squagliata del tutto. Rea, ritrovandosi nel giro di pochi secondi a stringere aria con la mano sinistra, gettò il coltello nel lavandino e sbuffò cercando di togliersi una ciocca di capelli corvini che le ricadeva morbidamente sulla fronte. Spank era rimasto con il naso all'insù, completamente pietrificato, a fissare la scena; la ragazza si voltò verso di lui ed il cane indicò timidamente la scatola dei biscotti: «Iaia, posso?»

«Uno solo» rispose Rea quasi sovrappensiero. Uscì dalla cucina con le braccia che le ricadevano stancamente lungo i fianchi, poi fece un passo indietro, guardò Spank con la bocca sporca di briciole e gli disse: «Sai una cosa? Hai fatto bene a fare pipì sul cerchione». Nel frattempo Nikki era strisciato fino all'albero di Natale e si era rannicchiato vicino ai pacchi rimasti intatti dal giorno prima: “Fantastico. Che fantastica coincidenza... puntuale come il treno di mezzogiorno. Lei che arriva giusto in tempo per beccare Jason che traffica con la merda in cucina... se fosse arrivata anche solo cinque minuti dopo, il casino che sta per succedere non accadrebbe. Giusto? Solo che tu Sixx sei coglione, sei un idiota... ma perchè cazzo non smetti? Perchè non ce la fai a smettere? Perchè fai in modo che si creino queste fottute situazioni imbarazzanti? Lei che si fa un culo così per tirarti fuori da questa spirale che ti sta risucchiando sempre più e tu che nemmeno allunghi la mano. La tua vita è diventata come i titoli di testa di “Vertigo” di Hitchcock: una nera spirale; e tu ci stai precipitando dentro a testa in giù. E non hai il paracadute. Quando toccherai il fondo ti farai un gran male, forse ti si appiattirà la testa come succede ai cartoni animati... diventerai una specie di Willy Il Coyote drogato con la testa piatta; ti piace il tuo destino Sixx? Ti piace la fine che farai, figlio di puttana che non sei altro?”. Nikki si coprì le orecchie e chiuse nervosamente gli occhi per evitare di sentire la filippica che la vocina del suo cervello gli stava facendo; poi una nuova voce si sovrappose a quella dei suoi neuroni fulminati. Era ferma e decisa: «Alzati in piedi»; Rea lo stava fissando con le sopracciglia corrugate, segno che era livida, come sempre accadeva quando lo beccava con la droga in giro. Nikki chiamò a raccolta le poche energie che gli erano rimaste in circolo e con uno sforzo sovrumano si alzò; il suo viso era a pochi centimetri da quello della sua ragazza. Poteva odorarne il profumo, dolce e determinato, che aveva solo lei; quello era l'aroma di Rea. Poteva perdersi nei suoi occhi neri dalle venature indaco, molto più invitanti della spirale in cui stava cadendo. Poteva guardare la sua carnagione così perfetta, così liscia ed opaca, quasi fosse la buccia di una pesca noce.


Venerdì 26 dicembre 1986, 11 pm

Ce l'avevo a pochi centimetri da me... è sempre così magnificamente distruttivo guardarlo in quegli occhioni verdi; quegli occhi che potrebbero essere i più belli del mondo ed invece sono dannatamente devastati dall'eroina e dalla cocaina. Mi si stringe il cuore solo a pensarci... mi sento avvampare quando ce l'ho così vicino, vorrei prendere il suo viso fra le mie mani e baciarlo per trasmettergli tutto l'amore che provo per lui. Ma in questo momento lui ha bisogno di essere educato e controllato; qui non servono baci, serve pugno di ferro ed atteggiamento da scuola militare (anche se è difficile da mantenere... mi fa tanta tenerezza).


«Tu mi devi delle spiegazioni» sentenziò la ragazza portandosi le mani ai fianchi. Lui abbassò la testa perdendo il contatto con quelle due perle nere; non aveva il coraggio di fissarle, si sentiva tremendamente in colpa. Aprì la bocca cercando di far fuoriuscire un qualsiasi suono, senza però riuscire nel suo intento; «Ebbene?» lo sollecitò Rea alzando la voce

«Non dirmi ebbene, non c'è nessun “ebbene”!» urlò Nikki portandosi le mani alle tempie e strabuzzando gli occhi mettendo in mostra i capillari rotti «Senti, sai meglio di me che non c'è nessuna cazzo di scusa che tenga. Ho creato una fottuta situazione incasinata come il mio solito e non ho scuse da presentare. Ti posso solo dire che...» il ragazzo abbassò la voce di botto «non ne posso fare davvero a meno». Cadde in ginocchio a pochi centimetri dal tavolino basso, si aggrappò ad una delle gambe e si trascinò fin sul divano in pelle nera, poco distante; Rea lo osservava strisciare, spaventata ed inorridita allo stesso tempo: “Sembra un lombrico, magro e spossato... un lombrico che esce dal prato e muore sul marciapiede a qualche centimetro da casa sua”. Andò sul divano a sedersi accanto a lui. Nikki si teneva la testa fra le mani ed aveva i gomiti appoggiati alle ginocchia; guardava a terra, con gli occhi spalancati ed i denti serrati e tremava: «Mi faccio schifo da solo... ho bisogno di lei... so che è sbagliato, ma ne ho bisogno». Rea fece per cingergli le spalle con il braccio sinistro ma si bloccò: doveva mostrarsi fredda ed autoritaria; deglutì a fatica, impostò la voce cercando di far trasparire il meno possibile la dolcezza e disse: «Una terapia di disintossicazione? Troppo difficile da intraprendere?»

«Non sono dell'umore adatto in questo periodo» ammise Nikki affondando le dita fra i capelli neri spettinati «Non sono motivato abbastanza». Quelle parole arrivarono alle orecchie di Rea come un treno in corsa: l'impatto fu violentissimo ed il male indescrivibile; la ragazza si girò a guardare le punte dei suoi stivali nuovi: “Cosa sto sbagliando?” fu la sola cosa che riuscì a pensare. Nikki, vedendo con la coda dell'occhio il disappunto materializzarsi sul viso della sua ragazza, si rese conto di essersi espresso male: “Coglione! Così sembra che lei non si sta prendendo abbastanza cura di te... ma la sai usare la tua lingua madre per comunicare oppure devi avvalerti del linguaggio dei sordomuti per farti capire?”. Respirò profondamente e la prese per mano; Rea fu colta alla sprovvista, non si aspettava un contatto simile dopo una frase così spiacevole.


Venerdì 26 dicembre 1986, 11 pm

Mi sentivo fredda dentro, quasi come se fossi stata immersa nelle acque dell'Antartide per ore, se non per giorni; con quella frase mi stava facendo sentire tremendamente in colpa. Poi lui, inaspettatamente, mi sfiora la mano con le dita e la stringe nella sua; io mi giro e lo vedo quasi con gli occhi lucidi che mi dice con un filo di voce: «Mi sono espresso male... non sei tu che non mi stai motivando, anzi. Tu sei la sola persona che mi fa venire voglia di abbandonare la droga, di lasciare questo mondo putrido... sei l'unica che si sta impegnando per me. E tu non hai idea di quanto io ti sia grato... ma sono io che devo ancora raccogliere tutte le forze necessarie per rimettermi in discussione e smettere definitivamente. Ho bisogno dell'aiuto anche di altre persone vicine per poter uscirne. Non volevo ferirti». Ovviamente mi si è rotta la maschera da caporale maggiore: ho sorriso sinceramente in quel momento.


Spank era arrivato davanti al divano in silenzio, leccandosi i baffi per assaporare fino in fondo anche le briciole più invisibili del biscotto; aveva assistito alla scena, aveva visto Rea rabbuiarsi dopo una frase di Nikki, lui che le prendeva la mano, le parlava e lei che sorrideva di nuovo. Ma il bassista, invece, continuava ad avere un'espressione cupa, proprio non ce la faceva a tirare in su gli angoli della bocca; il cagnolino, deciso a fare felice il suo nuovo padrone, gli si avvicinò e gli toccò con la zampina il braccio. Nikki si voltò verso di lui con fare interrogativo; Spank sguainò gli indici delle zampe anteriori e gli alzò gli angoli della bocca: «Ecco, ora bimbo felice». Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché Nikki scoppiò a ridere sinceramente, prese in braccio il cucciolo e gli disse: «Tu non sei un animale, tu sei come un bambino!»; poi si voltò verso la sua ragazza e le sussurrò: «Regalo più bello non potevi farmi... è come te». Rea gli fece l'occhiolino, contenta che il suo regalo avesse colpito nel segno; poi guardò l'albero di Natale e vide ancora tutti i pacchetti intatti dal giorno precedente: «Non hai ancora aperto i regali?»

«No, quelli... quelli sono pacchetti finti, puro arredamento natalizio» ammise Nikki arrossendo, segno che nessuno era passato da lui anche solo per fargli gli auguri. Il bassista si alzò a fatica dal divano, andò verso l'albero di Natale ed afferrò un piccolo pacchettino rettangolare: «Questo invece è vero ed è il mio regalo per te» disse allungando l'oggetto avvolto nella carta da pacco verso Rea

«Oh Nikki, non dovevi, sul serio» la ragazza sorrideva, leggermente rossa in viso. Emozionata scartò il piccolo pacchettino: era un nastro con sopra una piccola etichetta con scritto “GGG demo tape”. Rea esplose di gioia: «Oddio, tu mi hai regalato la vostra demo! Tu non sai quanto è importante per me un dono simile. Sei fenomenale, grazie Nikki!» e ancora stringendo in una mano la carta ormai stropicciata e nell'altra la cassetta corse ad abbracciare il ragazzo che era rimasto in piedi al di là del tavolino basso. Fu un abbraccio dolce, quasi timido, nessuno dei due osò guardare l'altro negli occhi; Nikki ancora si sentiva in colpa per la storia di Jason, mentre Rea cercava di mantenere un minimo di rigidità, anche se controvoglia. Il bassista strinse la ragazza a sé premendosela sul costato: «Lo ascoltiamo insieme?»; Rea si staccò da lui per poterlo guardare meglio negli occhi. Annuì ed aprì la custodia in plastica; dentro c'era un piccolo bigliettino con scritto:


Side A

Track #1: Girls, Girls, Girls

Track #2: Dancing On Glass


Side B

Track #1: Sumthin' For Nuthin'

Track #2: Rodeo


Porse il nastro a Nikki con occhi sognanti, il quale si recò verso lo stereo, accese le casse ed aprì il vano della piastra delle cassette; intanto Rea era tornata a sedersi sul divano e lo fissava felice. Il ragazzo, prima di premere play, la guardò negli occhi e le disse, quasi come se volesse discolparsi: «Sai, è meglio che alcune canzoni le ascolti dopo che io ti ho raccontato la loro genesi perchè potrebbero sembrarti insensate. E forse anche volgari. Ad esempio, il primo brano è la classica “canzone-cliché”; si parla di strip clubs e di donne. Tante donne. So che questo potrebbe infastidirti, dato che sei la mia ragazza... però fidati, ormai ho smesso di frequentare posti simili. Però il pezzo è una bomba, strumentalmente è il migliore che abbia mai composto, e confido nella tua “cultura artistica” per poter comprendere la validità della canzone». “Sembra l'arringa di un avvocato difensore” pensò la ragazza perplessa “ma io ho ben presente di come si comportava lui prima di isolarsi qui dentro, in questa casa degli orrori”; annuì in silenzio e Nikki potè finalmente premere play. Il nastro iniziava con un dialogo fra i componenti del gruppo; si sentiva la voce di Vince che chiedeva contrariato: “Ma non è che se tu porti il nastro fuori di qui, qualcuno ci può copiare i pezzi?” e Nikki rispondeva: “Fidati, non succederà”. A quel punto si intrometteva Tommy con tono euforico: “Bro, ma è per chi so io?” e Mick e Vince chiedevano in coro: “Chi so io, chi?”; Nikki perdeva la pazienza e sbottava: “Vogliamo iniziare? Il nastro non è infinito!”. Un attimo di silenzio, quattro colpi secchi di bacchette ed ecco che tutti gli strumenti iniziavano a suonare insieme la prima canzone. Nikki aveva ragione, era un pezzo al fulmicotone, una canzone che demoliva i coni delle casse; l'unico problema era che il testo era alquanto irritante per Rea.


Venerdì 26 dicembre 1986, 11 pm

Al termine del pezzo Nikki ha messo il nastro in pausa e mi ha chiesto cosa ne pensavo; ho sospirato, l'ho guardato negli occhi e sono stata il più diretta possibile: «So che queste lyrics esprimono una tua condizione passata e tipica della posizione che ricopri... però non posso certo dire che mi abbia fatto piacere ascoltarle. Anzi, mi ha dato fastidio. A livello strumentale non c'è davvero nulla da dire... ma le lyrics mi hanno fatto venire l'orticaria». Lui si è seduto di fianco a me sul divano, mi ha accarezzato la guancia e mi ha detto con un piccolo sorriso: «Sapevo che avresti reagito così... ma se io ti dicessi che, in questo momento, non mi interessa più quello stile di vita? Che non me ne frega più nulla di andare al Seventh Veil e sbattermi la prima pole dancer che mi capita a tiro?». A sentire quelle parole ho sentito il viso diventarmi bollente ed ho percepito caldo dentro di me... questo vuol dire che gli interesso sul serio. Avrei voluto stringerlo a me, trasmettergli tutto l'amore che provo ed invece, come al mio solito, sono stata piuttosto distaccata... dannazione!


«Belle parole le tue Nikki, mi fanno davvero piacere ma... possiamo andare avanti con la cassetta?». Il ragazzo stette per un attimo a guardarla, come paralizzato per quella finta freddezza uscita con quelle parole dalla bocca di Rea; poi, in silenzio, si alzò per andare allo stereo e far ripartire il nastro. “Dancing On Glass” spaccava sul serio, anche se Nikki diceva che mancava qualcosa al pezzo per essere davvero finito: «Stavo pensando» disse stoppando il nastro e girando la cassetta «che forse tu dovresti rifare quelle acrobazie con la voce che avevi fatto qui mentre componevamo la canzone». Rea aggrottò le sopracciglia, incuriosita da quella frase: «Cosa intendi?»

«Vuol dire che verso la fine di febbraio o l'inizio di marzo, quando rifiniremo tutti i pezzi prima di mandarli a New York per il master, tu verrai in studio una sera ed inciderai quelle belle cose che hai fatto quando io e te abbiamo ideato il pezzo». Sul viso della ragazza si dipinse un'espressione incredula: «Io in sala di registrazione?» fu solo capace di dire, puntandosi contro il dito indice; Nikki le fece l'occhiolino: «Avevi detto che volevi fare la cantante, questa è la tua occasione». A quel punto sbocciò sulla faccia di Rea un sorriso bello e sincero come un fiore; non riuscì a dire nulla, talmente era incontenibile la sua euforia, ma quella luce sul viso della ragazza bastò a Nikki per sentirsi investito dalla felicità. L'ascolto di “Sumthin' For Nuthin'” scivolò via senza particolari osservazioni, poi Nikki mise in pausa il nastro prima dell'ultima traccia: «“Rodeo” l'ho scritta durante il tour di “Theatre Of Pain” circa un anno fa; non c'è molto da dire, solo che è un po' come “Home Sweet Home”. Ti fa sentire quanto è bello ed insieme quanto è brutto essere in giro per il mondo» fece una pausa «Bello perchè fai il lavoro che hai sempre sognato, brutto perchè... ti accorgi che sei circondato da fantasmi; sei ricoperto di persone che sono solo spiriti per te».


Venerdì 26 dicembre 1986, 11 pm

Ogni parola che aveva detto pungeva come un ago delle sue siringhe sporche; un male atroce. Il tour... come avevo fatto a non pensarci prima? È normale che, ad ogni incisione di un album, segua un tour; questo significa che, verso maggio o giugno, lui partirà e per mesi non ci vedremo. Io inchiodata qui a Los Angeles e lui in giro per gli Stati Uniti, se non per il mondo intero. Mi sono sentita soffocare: sarà ricoperto di donne, tutte che vorranno farselo e lui, volente o nolente, dovrà accontentarle; non è possibile, non voglio pensarci... ma come faccio a non pensare a quel momento in cui ci staccheremo e non potremo più vederci per troppo tempo? Molti dicono che la lontananza rafforza l'amore... penso che nel mio caso verrà completamente distrutto, demolito da sesso, droga e rock'n'roll. Quando lui tornerà, probabilmente non vorrà più sentire parlare di me... ma perchè sono andata ad impantanarmi in questa storia? Perchè lui deve essere il mio ragazzo? … e io lo amo... e non posso farci niente.


Il nastro ripartì e dalle casse fuoriuscirono le note di una power ballad; trasudavano tristezza e solitudine, erano note dai colori foschi. Vince cantava di strade che scorrono sotto i tuoi piedi, di palchi diversi ogni sera, di letti mai tuoi condivisi con persone non del tutto gradite oppure vuoti perchè non si riesce a trovare l'amore, il richiamo dell'autostrada che si fa sentire prepotente e tu, musicista, la devi imboccare per recarti alla prossima location, svuotato completamente dei tuoi attributi umani, quasi fossi senza cuore; All that I know, is life on this road, long way from home, in this rodeo... not my home. Un battito di ciglia ed un sospiro, le lacrime rigarono le guance di Rea silenziosamente, solcando il fard magenta; faceva male quella canzone, bruciava come un'ustione. Faceva male a Nikki che si sentiva espropriato della sua umanità e faceva male a lei perchè già percepiva la distanza che si sarebbe creata fra di loro. Il ragazzo si accorse che lei stava piangendo, così le si avvicinò, si sedette e la cinse con le braccia: «Cosa fai, piangi?» le disse dolcemente all'orecchio; lei si asciugò frettolosamente quelle gocce salate con la manica del maglione e si affrettò a scusarsi. «Guarda che non è un reato perseguibile piangere quando si ascolta una canzone... significa invece che ho fatto un buon lavoro» le disse Nikki; Rea lo guardò negli occhi ed ammise: «Non voglio che tu vada in tour». Il bassista la strinse in silenzio e le baciò i morbidi capelli neri; con la mano destra le prese il capo e se lo portò sul petto. La ragazza gli strinse i fianchi appena poté udire i battiti del suo cuore, frettolosi ed irregolari: «Devo andarci, è il mio lavoro» sussurrò lui «però... non ti libererai di me tanto facilmente, credimi»

«Significa che potrò venire con te?» domandò speranzosa la bruna

«Le mogli e le fidanzate non possono accompagnare in tour i musicisti... eppure ci sarà un modo per farti salire sul tour bus senza far incazzare Doc» confessò Nikki. Rea si sentì leggermente meglio e strinse ancor di più i fianchi magri del ragazzo. “Inizia a pensarci già da ora a come portartela dietro Sixx... perchè sarà come fare un puzzle: tutti i pezzi dovranno incastrarsi perfettamente. Nessuno, a parte T-Bone, dovrà sapere che è la tua ragazza, sennò non la fanno partire... pensa e vedrai che qualche buona idea ti verrà”; la vocina aveva ragione. Nel frattempo Nikki aveva sollevato la ragazza dal suo petto e con un sorriso sincero le aveva chiesto: «Ti va di passare il Capodanno insieme?»

«Sì» rispose Rea tirando su con il naso «a patto che adesso io e te facciamo sparire tutta la droga che c'è in cucina». I due si alzarono e mezz'ora dopo tutto quello che Jason aveva venduto a Nikki era finito letteralmente nel cesso.


NOTE:

Non dirmi ebbene, non c'è nessun ebbene: citazione dal film “About A Boy”.

GGG: abbreviazione di “Girls, Girls, Girls”.

Seventh Veil: strip club di Los Angeles sul West Sunset Boulevard.

Home Sweet Home: prima power ballad della storia del Glam Metal e grande singolo di successo dei Mötley Crüe.

Power ballad: pezzo lento suonato con strumenti tipici dell'hard rock (chitarre elettriche, tastiere...).

All that I know, is life on this road, long way from home, in this rodeo, not my home: ritornello di “Rodeo”.

Doc McGhee: manager dei Mötley Crüe.


Rieccomi, con questo capitolo denso e pieno di avvenimenti; so di averci messo un po' a scriverlo, però sono impegnata con lo studio e la preparazione della tesi della laurea triennale... abbiate pietà. Secondo voi, cosa si inventerà Nikki per riuscire a portarsi dietro Rea in tour? Il banco delle scommesse è aperto, dunque fate la vostra puntata. Come sempre, grazie infinite alle mie mitiche lettrici: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95, elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars, marziolina86, sailor crystal, Moon 91, pianistadellaluna e RocketQueen_; grazie anche a chi passa e legge senza lasciare una recensione. E grazie infinite al mio ragazzo che per questo capitolo è stato essenziale (forse l'avrete capito leggendo la descrizione della Testarossa ad inizio capitolo). Come sempre, ogni vostra recensione, di qualunque sfumatura sia, è veramente molto gradita :)

A presto, Ellie

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Capitolo 15
*** Just Another Psycho ***


15 Just Another Psycho

Avviso: purtroppo, a causa di eventi di forza maggiore quali: lavoro, studio, esami e tesi da preparare, la pubblicazione dei capitoli di questa storia subirà un rallentamento. Chiedo scusa a tutti quelli che leggono e recensiscono... spero di liberarmi presto (anche se la vedo grigia, dato che l'ultimo esame della sessione estiva è il 4 luglio).

EllieMarsRose


Si sentiva semplicemente perfetta; il vestito rosso che i genitori di Marta le avevano regalato a Natale era sensazionale, confezionato con seta rossa pregiatissima. Aveva una spallina sola ed era molto aderente e sensuale, senza paillettes e decorazioni assurde; era semplice, proprio come piaceva a lei, era della sua tonalità di rosso preferita e della lunghezza giusta, quella lunghezza che arriva a metà coscia estremamente sexy. Quella sera voleva sentirsi così: sexy; non sapeva il perchè e nemmeno se l'era domandato. Desiderava ardentemente che Nikki avesse occhi solo per lei. Magari poi non avrebbero combinato nulla, magari si sarebbero solo tenuti per mano e sfiorati a malapena le guance, però voleva che lui la ricoprisse di attenzioni. Era ben consapevole del fatto che la loro era una relazione atipica, senza baci, senza sesso, eppure le dava una grande soddisfazione; sapeva che c'era un sentimento nascosto e tacitamente contraccambiato fra di loro che prima o poi sarebbe esploso. E per il momento quello le bastava; sapeva che la priorità era un'altra in quel periodo: Nikki doveva imparare di nuovo ad amare la vita e se stesso. Doveva liberarsi dalla cocaina e specialmente dall'eroina che lo tenevano costantemente imprigionato in una dimensione parallela irreale e senza senso. Lei doveva liberarlo da quel giogo ed educarlo, proprio come si fa come i bambini; educarlo nuovamente per fargli apprezzare il profumo del caffè la mattina appena svegli, il tamburellare della pioggia durante un temporale, lo spirare del vento attraverso le persiane, un fiore che apre i suoi petali appena sorge il sole, il sapore del cioccolato che ti si scioglie in bocca, il suono di una chitarra distorta che ti attorciglia le viscere, l'odore di salsedine che sale dall'oceano in estate. Nikki si stava perdendo tutte queste cose apparentemente insignificanti che però sono capaci di dare un senso anche alla giornata più storta di tutte. Rea si lisciò il vestito lungo i fianchi e sorrise in silenzio: “Anno nuovo, vita nuova... vedrai di quante belle cose ti farò innamorare di nuovo”. Chiuse gli occhi e respirò a fondo, quasi volesse rendersi conto di essere carica di energia positiva; si sentiva ardere di buone intenzioni, il tutto per quell'impiastro del suo ragazzo. “Una persona qualsiasi ti avrebbe lasciato perdere dopo poco tempo perchè sei davvero ingestibile; anche se sui tuoi documenti c'è scritto che ti chiami Nikki Sixx. Ma non io; ti ho guardato dentro, ho visto il tuo cuore sbriciolato, spaccato in mille pezzettini per chissà quante ragioni diverse. Ed io voglio ricomporlo, voglio che tu possa tornare a sorridere e a sentirti felice; perchè è per questo che tu ti fai... sei solo e distrutto, anche se tutti ti vogliono e penderebbero dalle tue labbra”. Si infilò le scarpe ed il soprabito ed uscì per dirigersi a casa del suo ragazzo. Quello sarebbe stato il primo capodanno festeggiato senza la compagnia delle sue amiche; le avevano chiesto se avrebbe voluto prendere parte alla festa privata che i Three Lights avevano organizzato a casa loro. I tre cloni dei Duran Duran ci tenevano molto alla sua presenza, ma Rea aveva rifiutato: «Vi ringrazio moltissimo, ma vorrei tanto stare con il mio ragazzo»; Nikki le aveva promesso che l'avrebbe portata fuori a cena e che forse sarebbero andati a casa di Robbin Crosby per stappare insieme lo champagne allo scoccare della mezzanotte. Ci sarebbero stati anche altri musicisti come Slash, Stephen Pearcy e forse anche Tommy.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Mi sentivo tesa come una corda di violino; un miscuglio di sensazioni scorrevano per le mie vene, mentre salivo in macchina per andare a casa di Nikki, inondando il mio corpo di agitazione, felicità, euforia ed anche un po' di timore. Ero davvero felice che il mio ragazzo mi avesse chiesto di condividere con lui l'arrivo del nuovo anno e non vedevo l'ora di abbracciarlo (già, per una sera non avrei tenuto propriamente conto dell'atteggiamento militare che mi ero precedentemente imposta); avremmo cenato insieme, chiacchierando di tutto quello che ci passava per la testa e poi saremmo andati a casa di Robbin. Lì sarebbero arrivati i “veri” problemi della serata: essere la ragazza di Nikki Sixx in mezzo a quella fiumana di gente famosa (Nikki mi ha menzionato solo due nomi, ma non credo proprio che saremo lì in quattro gatti) non è impresa facile. Non sai come comportarti nei suoi confronti, se essere particolarmente appiccicosa (cosa che odio) oppure se fare quella snob e bere lo champagne per i fatti propri seduta sul divano. La cosa più equilibrata da fare sarebbe stata rimanere nel raggio d'azione di Nikki in modo da tenerlo d'occhio e potergli rimanere accanto in maniera non troppo invasiva. Un piano perfetto.


Il traffico intasava il Beverly Glen Boulevard; le macchine erano incolonnate a poca distanza l'una dall'altra e la sinfonia dei clacson era così invadente che Rea non riusciva nemmeno ad ascoltare la radio ad un volume spaccatimpani. Esasperata da quel concerto in sol minore, girò la manopolina dello stereo spegnendolo e rimanendo sola nell'abitacolo con tutte quelle trombe che le facevano rimbalzare il cervello da una parte all'altra della scatola cranica. Appoggiò il gomito sinistro al vetro e con la mano iniziò a sorreggersi la testa; guardò l'orologio sul cruscotto che segnava le tre e un quarto del pomeriggio: “Avanti di questo passo arriverò a Van Nuys per le otto” pensò sbuffando. Era parecchio agitata, non faceva altro che tamburellare con le dita in modo ossessivo sul volante oppure sulla leva del freno a mano ed attorcigliarsi i capelli intorno alle dita. La coda avanzava di pochi metri alla volta, fermandosi in modo regolare; non c'era modo di ingranare la seconda, la velocità di avanzata era pari a quella di una tartaruga in catalessi. Dopo circa un'ora di coda il piede della frizione cominciava a dolere insieme con il polpaccio della gamba sinistra: “Già non è proprio confortevole guidare con questi tacchi... ci mancavano solo trecentomila miglia di coda”. Approfittando di un momento di stasi, Rea si tolse al volo le scarpe rosse rimanendo con le collant color carne che si appoggiavano ai pedali della Ford facendole sentire tutte le zigrinature sulla pianta del piede: “Vediamo se così va un pelino meglio”. Sbuffò nuovamente, spazientita dal lento moto del traffico; gli occhi le caddero nuovamente sull'orologio: “Le quattro meno un quarto... che palle”. In quel momento desiderò ardentemente di avere un F14 invece di quella vecchia Ford Granada del 1980.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Ci sono momenti nella vita in cui un bel paio di ali farebbero comodo: ad esempio per poter vedere il tramonto sul Pacifico dall'alto, per poter rimirare il perfetto reticolo delle strade di L.A., o anche semplicemente per saltare le code sul Beverly Glen Boulevard...


Poi, come se la divinità che governa l'intermittenza delle luci dei semafori avesse percepito le imprecazioni di Rea, il traffico iniziò a disciogliersi lentamente, divenendo sempre più fluido con l'avanzare delle miglia; finalmente la ragazza poté ingranare con soddisfazione la seconda, la terza ed anche la quarta e nel giro di circa trenta minuti riuscì ad arrivare sul Valley Vista Boulevard davanti a casa di Nikki. Girò la chiave per spegnere il motore sospirando per scacciare la fatica, poi si massaggiò il polpaccio sinistro che era rimasto leggermente indolenzito, si infilò nuovamente le scarpe ed afferrò il suo soprabito mentre un sorriso iniziava ad illuminarle il viso in quel pomeriggio leggermente uggioso. Chiuse la Ford guardando il suo riflesso nel finestrino del guidatore sentendo il cuore batterle sempre più forte per la felicità; arrivò al cancello di Nikki e, mentre sentiva scattare la serratura, si guardò per un attimo intorno fugacemente: “Se qualcuno mi vede sorridere in questo modo penserà sicuramente che sono pazza... chissà perchè la gente deve sempre azzardare giudizi sugli altri quando hanno qualcosa che sfora leggermente dal solito canone del comportamento o dell'estetica”. Camminò verso la porta d'ingresso sicura di sé, sentendo i suoi tacchi a spillo ticchettare ritmicamente contro le pietre grige e beige del vialetto.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Chissà come reagirà quando mi vedrà... spero che il vestito gli piaccia. Ma soprattutto, io come dovrò reagire quando mi perderò per l'ennesima volta nei suoi occhi verdi?”; pensavo proprio questo mentre mi avvicinavo sempre di più alla porta. Camminavo piano, apposta per avere più tempo per rimuginare; il problema era il mio comportamento: dopo svariati ragionamenti avvenuti all'incirca in una frazione di secondo, avevo deciso di mischiare ed amalgamare per benino dolcezza ed autorità. Sarei stata carina ma anche ferma e decisa; Nikki ha bisogno di me, e se io non sono forte, lui non smette.


Mentre il cervello di Rea iniziava a pianificare la frase di saluto a pochi centimetri dall'ingresso, Spank le corse incontro arrivando dal retro della casa: «Ciao bello!» lo salutò la ragazza chinandosi verso di lui; il cagnolino si fermò ed iniziò a gesticolare tutto trafelato: «Bimba, iaia... corri, corri!». Il bastardino le indicava la grande villa cercando di farle capire qualcosa: «Cosa c'è Spank? Vuoi giocare in casa?» gli chiese la ragazza sorridendo

«No gioco io... bimbo in casa, chiuso. Bimbo paura». Rea captò dagli atteggiamenti di Spank che qualcosa non andava: «Dov'è Nikki?» chiese semplicemente con una punta di rabbia mista a terrore

«Bimbo bagno... fucile, PUM! PUM!» il cagnolino cercò di mimare in qualche modo il ragazzo che stringeva la sua arma da fuoco

«Cazzo» fu l'unico bisbiglio che uscì dalla bocca della ragazza; fece segno con la mano a Spank di seguirla. Corse a perdifiato sentendo le scarpe affondarle nel terriccio umido in direzione della porta sul retro che aprì con il mazzo di chiavi che stringeva nella mano destra; stava iniziando a sudare freddo e sentiva odore di guai nell'aria. Si tolse malamente le scarpe rosse come il vestito, appoggiandole con i tacchi sudici di terriccio contro il muro. La cucina era stranamente in ordine, quasi come se fosse rimasta inviolata per giorni; l'unica cosa fuori posto era la ciotola di Spank, piena di croccantini. «Fortunatamente ti dà da mangiare» biascicò Rea guardando fugacemente l'animaletto ed entrando correndo nel soggiorno. La televisione era accesa su MTV, probabilmente stava andando in onda “Dial MTV”, e sul divano era appallottolata una coperta in lana; il telecomando era appoggiato sul tavolino basso vicino ad una ciotola di pop corn alla cui ombra c'era della finissima polverina bianca. Rea si avvicinò, sperando con tutto il cuore che fossero dei granelli di sale; si inginocchiò e pucciò il dito indice in quel pulviscolo. Guardò il polpastrello, infarinato di quella roba che aveva veramente poco del cloruro di sodio: “Non ci posso credere... non ci VOGLIO credere”; titubante si portò il dito alle labbra e succhiò. Il tutto si risolse con un'espressione schifata sul volto della ragazza.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Era fottutamente amara. Sono corsa in cucina a sciacquarmi la bocca immediatamente; non voglio e mai vorrei che quella merda inizi a circolare anche nelle mie vene. Ho chiuso il rubinetto e mi sono asciugata le labbra con un tovagliolo trovato per caso in uno dei tanti mobili, cercando il meno possibile di far sbavare il rossetto. Mi sono girata verso Spank che mi guardava con occhietti supplichevoli, quasi come se mi stesse dicendo “Per favore, aiutalo che è nei casini”. Sono stata solo capace di dirgli: «Portami da lui».


Spank camminava piano, quasi non volesse far rumore per evitare di spaventare ancora di più il suo padrone; Rea lo seguiva in punta di piedi, stringendo i pugni per i sentimenti che avevano preso forma dentro di lei in meno di un secondo: un'ira cieca perchè Nikki aveva ceduto nuovamente al suo viziaccio ed un terrore indescrivibile di trovarlo esanime in qualche angolo di quella casa che sembrava una cattedrale gotica ripiegata su se stessa. La paura di essere arrivata troppo tardi e non aver potuto fare nulla per salvargli la vita un'altra volta. La camminata lungo il corridoio sembrava infinita: il cagnolino procedeva quanto più silenziosamente possibile e Rea si ritrovava ogni cinquanta centimetri faccia a faccia con un gargoyle che la guardava mostrandole i denti aguzzi e gli artigli acuminati; quella casa trasudava malessere e solitudine e quelle statuette stile Notre-Dame ne erano la dimostrazione. Quelle facce distorte, non piacevoli, erano lo specchio dell'anima e dell'universo dove Nikki era solito rinchiudersi. Spank entrò nella camera da letto e si fermò proprio davanti alla porta del bagnetto privato: «Qui bimba» abbassò le orecchie triste; Rea chiuse per un attimo gli occhi e trasse un lungo sospiro, cercando di calmarsi il più possibile. Bussò sulla porta di legno ed appoggiò l'orecchio destro per cercare di sentire se Nikki respirava ancora; dall'interno dello stanzino la voce baritonale del bassista si alzò potente: «Vattene, chiunque tu sia!». La ragazza si sentì infinitamente più leggera: era vivo e questo era bellissimo; un po' meno bello era il fatto che lui si rifiutasse di aprire la porta. «Nikki, sono Rea, apri per piacere» quelle parole le uscirono dalla bocca come fumo sottile

«Non posso» tremò lui dall'interno dello stanzino

«Cosa significa “non posso”?» la ragazza stava già perdendo la pazienza. Trascorsero alcuni attimi di silenzio, poi finalmente Nikki rispose: «Mi stanno cercando... se mi trovano mi portano chissà dove... o, peggio, mi ammazzano»

«MA CHI? CHI?» urlò Rea cercando di aprire la porta abbassando la maniglia e spingendo con tutte le sue forze; era bloccata dall'interno: «Nikki, se non apri immediatamente giuro che quando esci ti gonfio come un rospo!». Dopo tre potenti spintoni la ragazza riuscì ad entrare nel piccolo bagno e si trovò di fronte ad uno spettacolo raccapricciante: Nikki le stava puntando addosso il fucile, era completamente nudo, sporco e seduto a terra, circondato da pozze di vomito verdastro.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Come ho aperto la porta è uscito un odore nauseabondo da quello stanzino di pochi metri quadrati; mi sono trattenuta a stento dal non vomitare. Un conato mi ha percosso la gola, ma io l'ho rispedito indietro, facendomi diventare gli occhi lucidi. Orripilata e schifata ho guardato il mio ragazzo circondato dai suoi stessi liquidi interni; mi stava puntando il fucile addosso. Ho cercato di abbassarglielo ma, come ho cercato di fargli posare le canne a terra, lui ha alzato il viso guardandomi negli occhi; mi sono spaventata per ciò che ho visto.


Nikki la guardava con il mascara che gli colava brutalmente dalle ciglia disegnandogli occhiaie irregolari su quella pelle quasi cadaverica; si era morso le labbra troppo violentemente dal momento in cui si era chiuso nel suo rifugio: grondavano sangue da tagli orizzontali che seguivano il contorno di quel lembo di pelle leggermente più scuro della sua carnagione. Aveva pianto; era stato un pianto di terrore puro e semplice, nero come l'asfalto appena gettato che sommerge e schiaccia tutto ciò che c'era prima. Rea rimase pietrificata davanti a quella visione apocalittica; se fosse stato un quadro l'avrebbe chiamato “Pure Delirium”. Nikki strinse i denti ed urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: «TI SUPPLICO, CHIUDI!»; a malincuore, Rea dovette recuperare la maschera d'acciaio: «No, tu dentro questa merda non ci stai»

«MA MI STANNO CERCANDO!» sbraitò Nikki abbracciandosi le ginocchia e nascondendo la testa dietro di esse

«Chi ti sta cercando?» domandò fermamente la ragazza cercando di ottenere una risposta. Il bassista iniziò a tremare violentemente e nuove lacrime gli scavarono le guance; cercò di ricomporsi ma gli risultò difficile: “Vai Sixx, rendila partecipe del tuo inferno” lo incoraggiarono le mille vocine che gli affollavano quei pochi neuroni che gli erano rimasti intatti. Sussurrò: «So che ci sono... ci sono dei messicani che si sono arrampicati sugli alberi che ci sono in giardino e mi stanno spiando. Hanno chiamato una squadra della SWAT e... sono fuori; si stanno preparando per assaltare la casa. Fra poco entreranno e per me sarà la fine» un singhiozzo gli mozzò il fiato «Entreranno come vapore, strisciando sotto le fessure dei serramenti, mi ammanetteranno e mi porteranno in galera e per me sarà la fine!». Pianse rumorosamente e singhiozzò convulsamente, ripiegato su se stesso e nascondendo il viso per la vergogna: “Tu sai che tutto questo è irreale... eppure c'è una parte del tuo cervello che stenta a crederci. Ogni volta ci ricaschi. Sei patetico e stupido, la cocaina ti rende patetico e stupido; l'unica cosa per farti passare l'effetto della cocaina è... la tua ragazza dagli occhi dorati”. DI NUOVO LEI? “Bravo scemo, hai capito: ci vuole un po' di eroina”. L'eroina... l'unico modo per levargli tutte le allucinazioni della cocaina; quel magico sedativo che come entrava in circolo lo spediva in una dimensione tranquilla e famigliare. Rea gli levò dalle mani con forza il fucile, lanciandolo sul letto: «Forza, alzati»; il suo tono di voce era quello di un generale che parla al suo battaglione: «E' ora di farsi una bella doccia, puzzi come un animale». Nikki si ritrasse ed iniziò a fissare una delle tante pozze verdi sul pavimento: «Dammi dell'eroina... ti prego»; lo disse con un filo di voce. Sapeva che era sbagliato, sapeva che era schifoso, eppure ne sentiva l'impellente necessità.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Mi aveva chiesto di dargli dell'eroina; anche poca, aveva aggiunto, giusto per tirarlo fuori da quell'inferno in cui si era infilato. Sarò sincera: il primo impulso è stato quello di guardare l'armadietto dove tiene tutto l'arsenale per farsi e cercare con gli occhi un pochino di quella merda; se quello schifo gli dà la possibilità di ricomporsi, perchè non darglielo? Ma poi ho pensato che non sarebbe stato minimamente coerente con quello che io sto facendo per lui: insomma, mi sto spaccando in quattro per evitare che lui si droghi e gli preparo la dose? No. Non mi abbasso a fare simili stronzate. Così, con tutta la forza che avevo nelle membra, mi sono chinata e gli ho mollato un sonoro ceffone sulla guancia sinistra; come le nostre pelli si sono toccate, ho sentito il mio cuore spaccarsi in due. Non volevo, giuro, non volevo picchiarlo... ma era davvero fuori controllo.


Nikki sbattè la testa contro il muro per la sberla ricevuta; Rea ritrasse la mano con un groppo alla gola e si fissò il palmo arrossato per l'impatto, sporco di nero proprio sotto l'indice. Strinse il pugno ributtando indietro l'amarezza che le stava colmando gli occhi ed afferrò il suo ragazzo per un polso; Nikki si alzò a rallentatore, faticosamente, sopprimendo l'impulso di vomitare di nuovo. Rea non lo guardava negli occhi, gli dava le spalle e lo trascinava lentamente verso il grande bagno stringendolo in modo saldo. Il ragazzo cercava di opporre resistenza senza molto successo: «Mollami, MOLLAMI! Se mi vedono sono fottuto, ti prego, fammi tornare là dentro!»; le lacrime gli colavano insieme al mascara dalle guance, dipingendogliele di nero. Nikki cercava di liberarsi dalla morsa che gli attanagliava il polso, ma Rea, più determinata, riuscì a sbatterlo dentro al box doccia; il ragazzo cadde rovinosamente, picchiando le ginocchia contro la ceramica della base. Si appallottolò su se stesso, continuando a singhiozzare senza controllo, nascondendosi la testa fra le mani; da lontano, Spank osservava la scena preoccupato: il suo padrone sembrava un bimbo smarrito che urlava nel tentativo di rintracciare qualcuno che potesse aiutarlo e la sua ragazza, imbarazzata, si toglieva il vestito rimanendo solo in biancheria intima ed entrava con lui nel box.


Giovedì 1 gennaio 1987, 8 pm

Ho chiuso il vetro ed ho aperto il rubinetto; il contatto con l'acqua dapprima gelata ha fatto sobbalzare Nikki, facendogli cacciar fuori un urlo acuto e tagliente. Poi, lentamente, l'acqua ha raggiunto la temperatura giusta; ma lui non era intenzionato ad uscire dal suo guscio. È giusto essere autoritari in questi momenti, è necessario fare capire certe cose, ma la vista di quell'essere umano così magro, dalla carnagione pallida, scosso da un pianto isterico mi ha provocato una tenerezza infinita. Mi sono chinata anch'io, bagnandomi tutti i capelli, e l'ho abbracciato da dietro sussurrandogli: «Basta piangere... è finito, non c'è niente Nikki... stai tranquillo»; ed in quel momento ho fatto una cosa che mai mi sarei aspettata di fare: l'ho baciato sul collo. Non so perchè l'ho fatto, semplicemente avevo voglia; voglia di sentire l'odore della sua pelle entrarmi prepotentemente nelle narici. Quel contatto un po' intimo l'ha fatto rilassare: ha alzato la testa e si è voltato; aveva gli occhi arrossati e gonfi ed un piccolo rivoletto di sangue gli scendeva dal labbro inferiore. Nessuna parola, nessun verso, nessun sospiro: bastava guardarlo in quegli smeraldi preziosi per capire di cosa avesse bisogno, così ho afferrato una spugna e, delicatamente, gli ho lavato via il trucco ed il sangue dal viso, mentre lui teneva le palpebre abbassate e lasciava che l'acqua gli scorresse lungo tutto il corpo, lavando via ogni scoria che la cocaina gli aveva impiantato dentro e fuori dal cuore. Quando ho allontanato la spugna dalla sua faccia ha aperto gli occhi, guardandomi quasi con l'innocenza tipica dei bambini; ecco la faccia di Nikki che nessuno riesce a vedere, quella fragile, quella ancora un po' infantile, quella che crede che tutto ciò che lo circonda sia buono. Si è avvicinato a me, al mio viso. Ho trattenuto il fiato, ho tremato, ho sentito il cuore esplodermi, ho sentito il fuoco avvampare su ogni centimetro della mia pelle senza che l'acqua della doccia fosse in grado di spegnerlo; ho chiuso gli occhi per assaporare meglio quell'istante. Sentire il suo naso che sfiorava la mia guancia, sentire le sue labbra bagnate poggiarsi sul mio zigomo e risucchiare lentamente un piccolo pezzettino di pelle; poi la sua guancia contro la mia e la sua voce che mi sussurrava: «Grazie» all'orecchio. Un abbraccio, sincero, semplice, primordiale; sembrava fosse la prima esperienza per entrambi. Un abbraccio casto ma stretto fra due persone tra cui vige un tacito “amore”.


L'acqua continuava a scorrere sulle chiome nere dei due; Nikki continuava a tenere la testa poggiata alla guancia di Rea: «Sai, è stato Robbin a portarmela... in questi giorni sono riuscito a farmi solo una volta al giorno; per me è stato un grande traguardo. Ma ritrovarmi oggi lì davanti ad una montonata così grande di cocaina... non ho saputo resistere. Lui era venuto qui per parlarmi di questa sera, ed invece ci siamo fatti entrambi; poi lui se n'è andato ed io sono rimasto solo. Così ho iniziato a delirare». La ragazza capì che da sola non avrebbe potuto fare nulla per lui, ci voleva l'aiuto di un suo amico per convincerlo a non farsi più sul serio. Ma non Tommy; era sporco anche lui, sarebbe stato inutile farlo parlare con il bassista. Usciti dalla doccia, Nikki le disse che non se la sentiva di andare fuori a cena, preferiva starsene in casa con lei a guardare un film oppure a discutere di qualsiasi cosa; non avrebbe voluto farsi vedere in quello stato da nessuno. Mentre diceva queste cose, Rea adocchiò la rubrica sistemata vicino al caricabatterie del telefono cordless; così, intanto che Nikki era in cucina a preparare lo champagne e qualche salatino, lei iniziò a sfogliarla sperando di trovare un nome potenzialmente utile. Dopo circa venti pagine vide il nome dell'uomo che faceva al caso suo: David Lee Roth.


* * *


Lunedì 12 gennaio 1987, 10 pm

Diamond Dave è riuscito a convincere Nikki; da oggi è di nuovo sotto metadone. È andato a parlargli venerdì sera (quando anch'io mi trovavo a casa con lui) e gli ha dato una bella lavata di testa: gli ha detto che non può andare avanti così, che ha un album da scrivere quindi non può avere il cervello infestato da qualsiasi tipo di droga e che se non la smette ha seri dubbi che ce la faccia ad andare in tour; mi auguro che quei dubbi si riferiscano alla debilitazione fisica e non a qualcosa di peggio. Quando è entrato dalla porta con la sua massa di capelli lunghi, biondi e mossi al vento e quell'espressione inconfondibile da rocker cafone mi sono ritornati in mente i pomeriggi passati con le mie amiche davanti a MTV a sbavare sui video di “You Really Got Me”, “Jump”, “Panama” e “Hot For Teacher”; indimenticabili i commenti di Marta: «Se quell'uomo sculetta così bene in un video, mi immagino a letto cosa combina!» e tutte noi che ridevamo mentre Amy urlava: «Marta! Ma che cavolo, tieni a freno gli ormoni!». Ad ogni modo, Nikki teneva la testa bassa come fa Spank quando non può mangiare i biscotti, ma alla fine si è deciso; trenta giorni di terapia e poi potrà darci dentro sul serio. Speriamo che duri...


NOTE:

Robbin Crosby: ex chitarrista dei RATT, morto per un'overdose di eroina nel 2002.

Slash: ex chitarrista dei Guns'n'Roses, attualmente milita nei Velvet Revolver.

Stephen Pearcy: cantante dei RATT.

Grumman F14 Tomcraft: aereo da combattimento supersonico bimotore a getto, biposto e con ala a geometria variabile, attivo nell'esercito statunitense a partire dal 1974 fino al 2006 (fonte Wikipedia).

Dial MTV: programma di MTV che mandava in onda la top 5 o la top 10 dei video più richiesti per telefono dagli spettatori (da qui il nome dial).

Ragazza dagli occhi dorati: riferimento al titolo della canzone “Girl With Golden Eyes” con cui si intende l'eroina.

David Lee Roth: detto anche Diamond Dave, cantante della formazione storica dei Van Halen. È lui che spinge in questo periodo Nikki ad iniziare la terapia al metadone.

You Really Got Me”, “Jump”, “Panama” e “Hot For Teacher”: singoli di Van Halen.

Il titolo del capitolo è ripreso dalla canzone dei Mötley Crüe “Just Another Psycho” contenuta nell'album “Saints Of Los Angeles” del 2008.


Perdonatemi per l'assenza prolungata, ma in questo periodo sto affogando nei miei impegni; il capitolo è stato scritto a singhiozzo, nelle pause fra una lezione e l'altra ma soprattutto anche nei tragitti casa-università sul mitico bus z301 (grazie infinite all'ATM). Per questo penso che la qualità di questa produzione sia scarsina, frettolosa ed assemblata in qualche modo; non abbiate paura di farmelo notare, sappiate che le vostre recensioni sono estremamente importanti, di qualunque sfumatura esse siano. Volevo lasciarvi un piccolo regalino per Pasqua (dato che da domani parto e me ne vado in trasferta per qualche giorno), quindi prendete questo capitolo come una specie di uovo di cioccolato. Come sempre, grazie alle mitiche seguaci Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95, elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars, marziolina86, sailor crystal, Moon 91, pianistadellaluna e RocketQueen_; grazie anche a chi si ferma a leggere 10 minuti quello che scrivo. Spero di non avervi deluso troppo, a presto (spero, se non muoio prima per il troppo studio),

Ellie

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Capitolo 16
*** Madness, Heart And Love = Wild Side ***


16 Madness, Heart And Love = Wild Side

Allora Sixx, il piano è questo: la mattina metadone e il tardo pomeriggio una piccola dose di eroina; piccola, non esagerata come quelle che ti sei fatto finora”; il cervello di Nikki macchinava questo mentre il Dolophine gli scendeva giù per l'esofago. Non si fidava minimamente dei medici che lo guardavano in quel momento: lui, nascosto dietro i suoi occhiali scuri ed il berretto in lana nero e loro, davanti a lui in fila come soldatini, con le braccia conserte che lo fissavano scuotendo il capo. “Metadone uguale a un'altra dipendenza che si aggiunge ad altre dipendenze. Tanto vale ingegnarsi in altro modo per uscirne; meglio convivere con la solita vecchia mistress in microscopiche dosi piuttosto che con un altro coso che tanto fa poco”. Al momento dell'iscrizione al programma di disintossicazione avevano tanto insistito perchè si sottoponesse ad una visita generale e completa; ovviamente, Nikki aveva rifiutato molto elegantemente: «Dammi la mia pastiglietta e risparmiami le tue analisi, medico del cazzo». Dal canto suo, il medico aveva aggrottato le sopracciglia, scritto qualcosa in maniera illeggibile sulla sua cartella, si era alzato e messo davanti a lui: «Lei è cosciente che il suo apparato cardiocircolatorio potrebbe essere seriamente compromesso a causa delle continue assunzioni di un eccitante e di un rilassante molto potente?»

«Finora ho sempre scopato e non ho mai avuto problemi del genere, non mi sono mai sentito esplodere le coronarie» aveva risposto Nikki altezzoso accavallando le gambe e tenendo le dita delle mani incrociate sul ginocchio sinistro. “Bugia Sixx, bugia. Sono millenni che non penetri una donna e l'unica volta che hai tentato di farlo hai fatto una cilecca da Guinness dei Primati; forse è meglio sottoporsi ad un test. Uno solo, così, tanto per far vedere che si è collaborativi”.

«Guardi che non è questione di sentirsi esplodere le coronarie, molte volte si va incontro a problemi di altro genere; se non si fa attenzione, queste sono spie silenziose che possono portare alla morte» aveva detto il medico calcando sulle ultime parole; Nikki si era toccato le palle: «Va bene, va bene, mi sottoporrò ad uno dei vostri dannati test, ma sia chiaro: uno solo e non di più, e se questo uno solo è una visita dall'andrologo scappo a gambe levate». L'idea di farsi infilare un dito su per il retto non era bella; avrebbe sopportato tutto, ma non quell'umiliazione. Fortunatamente il tutto si risolse con una puntigliosa visita cardiologica, che diede come esito un'elevata contrattilità del ventricolo sinistro del bassista: «Spero che questo la induca ancor di più a smettere» disse il medico poggiando lo stetoscopio sulla scrivania; Nikki non rispose, ma mentre si rivestiva pensò: “Tranquillo, smetterò di certo, ma non grazie ai tuoi metodi”. Appena rincasò, contattò Jason che arrivò con la sua Ferrari, non prima di essersi assicurato che la ragazza di Nikki non fosse nel raggio di cinquanta chilometri; i due prepararono trenta dosi, ognuna accompagnata da un ago pulito: la prima dose era quella più abbondante e man mano si andava diminuendo fino a quella del trentesimo giorno, quasi inesistente. «Ok, mi raccomando, cerca di rispettare tutte le dosi che abbiamo preparato, altrimenti sarà inutile» disse Jason lavandosi le mani nel lavandino della cucina «E dal trentunesimo giorno in avanti, dosi rare e scarse»

«Vedrai, ce la farò» rispose Nikki dando una boccata dalla sua sigaretta; guardò il fumo sgorgargli fuori dalla bocca, si inumidì le labbra ed aggiunse: «Oggi i medici hanno voluto farmi una visita prima di mettermi sotto metadone; mi hanno detto che ho un'elevata contrattilità al ventricolo sinistro. Tu hai la minima idea di che cazzo voglia dire?». Lo spacciatore si voltò a guardarlo con le sopracciglia aggrottate: «Non avrai paura delle stronzate che dicono i dottori, vero?»; Nikki si bloccò per un momento con la sigaretta stretta fra l'indice ed il medio della mano destra: “Risposta vera: beh, sì; insomma, se quell'involtino che ho nel petto si ferma sono cazzi amari, sai com'è! Risposta falsa: ma per chi mi hai preso? Volevo solo avere qualche informazione in più”. Ripetè a voce alta la risposta falsa; ci mancava solo che si faceva vedere pauroso da Jason. Lo spacciatore, dal canto suo, alzò le spalle e se ne andò, lasciandolo solo in quella sua casa spettrale. Strisciando silenziosamente le sue Chuck Taylor High Top nere sul parquet dopo aver chiuso l'ingresso, Nikki si ritrovò in piedi, davanti allo specchio incorniciato di ottone dell'anticamera; si guardò, si osservò con occhio quasi clinico: i capelli spenti, rovinati dalle cotonature e dalle tonnellate di lacca che non aveva mai lavato via del tutto; il viso scavato, con quella carnagione cadaverica; gli occhi verdi e vacui; la barba di due giorni; le braccia magre costellate di lividi e con le vene collassate e le mani quasi scheletriche. “Elevata contrattilità del ventricolo sinistro”; quelle parole continuavano a rimbombargli fra i neuroni. Era preoccupante, non poteva essere cardiopatico a ventotto anni; quella era roba per la gente anziana. “Nona...” per un attimo rivide il viso della donna che l'aveva cresciuto, la sua nonna, sentendo un grande vuoto dentro di sé: “Quel giorno ero talmente fatto che non ho avuto nemmeno il coraggio di venire a salutarti per l'ultima volta. Tutto quello che ho potuto fare è stato lasciarmi cadere sul divano con una chitarra in mano e fare in modo che fosse il mio cuore di nipote a parlare... un arpeggio e poche parole. Mi sono sentito come una mela fatta solo di buccia, come un uovo senza pulcino dentro... vuoto”. Si poggiò alla parete e si fece scivolare lentamente verso il pavimento; chiuse gli occhi, continuando a vedere sulle sue palpebre il viso di Nona che gli sorrideva, e si portò la mano destra al cuore. Lo sentiva battere sotto il suo palmo mentre i suoi polmoni si dilatavano e restringevano lentamente; erano pulsazioni regolari, una per ogni spostamento della lancetta dei secondi del suo orologio da polso. “Elevata contrattilità del ventricolo sinistro... ma vaffanculo” pensò il ragazzo mettendosi supino e continuando a tenere la mano sul petto “voi medici siete solo capaci di fermarvi alla superficie. Ma se tu oggi, uomo laureato con indosso un camice bianco, avessi auscultato i miei sentimenti invece che le mie valvole, quello che ti sarebbe rimbombato nei timpani sarebbe stato il suono di un cuore spezzato. Ed invece che darmi metadone, mi avresti fatto un'iniezione d'amore e affetto”. Si sentiva un debole mentre si raccontava quelle cose che tentava il più possibile di segregare dentro di sé, ma in quel momento la sua voce interiore era diventata potente e voleva farsi sentire a tutti i costi: “Chissà perchè all'uomo piace sentirsi vivo, percepire questa pallina di settecento grammi che rimbalza incontrollata nel petto... c'è qualcosa, o meglio, qualcuno che può farti questo effetto, buttarti in ginocchio e disarmarti completamente”. Lei, Rea. Aprì gli occhi sentendo il diaframma contrarsi ed il suo stomaco annodarsi; si guardò nello specchio, rosso in viso. “Per fortuna sono solo... non posso farmi vedere così da nessuno; ho una reputazione da salvaguardare”. Si girò sul lato sinistro, poggiando entrambe le mani a pugno sul pavimento; chiuse le palpebre e la sognò con il suo sorriso incorniciato da quella folta chioma corvina, quelle perle nere dai riflessi indaco e... tutto. La sua voce, il suo corpo, tutto di lei. La immaginò al suo fianco, stesa con gli occhi aperti, che allungava una mano sulla sua guancia; lui la prendeva e ne baciava il dorso. Poi, con un sorriso, si avvicinava al suo viso: un timido contatto con le sue labbra; poi un altro più passionale ed un altro ancor più focoso e le sue mani che scorrevano sulla pelle liscia della ragazza. Le lingue che si cercavano, che scorrevano avidamente leccando ogni centimetro di pelle scoperta; poi l'abbandono più completo e sincero: lei sotto di lui, chiusa fra le sue braccia, che gli cingeva il collo inarcando la schiena premendo contro di lui i suoi seni e che gli sussurrava all'orecchio quanto ci tenesse a lui e che voleva sentirlo completamente dentro di sé. E lui, sempre più ritmicamente, le faceva sentire che c'era, che era lì solo per lei, baciandole e mordendole le labbra e facendola sospirare e gemere; poi le contrazioni ritmiche e spasmodiche degli adduttori li facevano gemere più forte, nello stesso istante. Infine la quiete. La stringeva a sé e le baciava teneramente le labbra mentre lei sorrideva ansimando; sempre tenendola legata al suo corpo, lui si metteva supino e le carezzava il capo facendoglielo posare proprio lì, dove lui aveva tenuto la mano fino a pochi istanti prima. Ripensò a ciò che lei gli aveva detto tempo addietro, del fatto che, dopo lo stupro, non si sentiva in grado di fare l'amore con nessuno; lui voleva farle cambiare idea, lui voleva essere quello giusto. Sorrise segretamente, continuando a tenere le iridi smeraldo nascoste; sentiva il suo cuore corrergli nel petto. Non era la cocaina però a farlo impazzire; era Rea che lo faceva sentire così vivo: “Dio santo Sixx, quanto sei smielato!” lo ammonì una delle sue vocine “Mi hai fatto alzare la glicemia”

«Mi sarò anche fatto alzare la glicemia... ma, a quanto pare, si è alzato anche qualcos'altro» rispose il bassista aprendo gli occhi e guardandosi soddisfatto il membro che faticava a stargli dentro i pantaloni. “Allora, forse, questo metadone non è poi così malvagio... insomma, si è alzato! Altro che disfunzione erettile come mi aveva detto Amy! Continuerò per trenta giorni con il Dolophine la mattina ed una sola dose al giorno di eroina... e poi mi farò il meno possibile. Così sarà facile smettere, ritornerò ad essere normale e non più un pazzo furioso. Ce la farò. Per me, ed anche per lei”. Sospirò, cercando di far decelerare il cuore e far abbassare il suo amico; in quel momento sentì il gran bisogno di telefonarle, per chiederle se avesse voluto passare da lui, anche solo per bere un bicchierino di whisky: “Ma non il Jack, Sixx... quello non le piace, dice che sa di benzina. Preferisce whisky più vecchi come l'Oban; dai quattordici anni in su”. Compose il numero con i polpastrelli leggermente sudati ed aspettò, tremando per l'eccitazione.


Martedì 13 gennaio 1987, 9 pm

Ieri, verso mezzogiorno, Nikki ha telefonato qui a casa; ha risposto Amy che mi ha portato il cordless nello studio, dato che stavo dipingendo. Gli ho chiesto come era andata la terapia e lui mi ha risposto che si sentiva bene; la sua voce aveva una nuova venatura, assente fino a quel momento. Sembrava felice, sul serio. Mi ha chiesto se volevo andare da lui, ma purtroppo ho dovuto rifiutare: ho troppi esami da dare in questo periodo, finirò il 28 di questo mese; così gli ho promesso che il 29 andrò da lui. Mi spiace un mondo non essere così presente in questo suo momento importante di passaggio, ma gli ho promesso che lo chiamerò tutti i giorni; l'ho sentito sorridere sinceramente in quel momento: «Non vedo l'ora di vederti» mi ha detto. Anch'io non vedo l'ora di incontrarlo di nuovo... quando non c'è impazzisco; la mia arte ormai è influenzata dalla sua presenza, in qualsiasi cosa faccio, lui deve esserci, sempre. Nikki, sei come una malattia: ogni giorno, ti impossessi di un nuovo pezzettino della mia anima; mi togli il fiato e mi fai girare la testa. Strano come certe persone possano insaporirti così la vita.


Il ragazzo riattaccò soddisfatto, anche se era leggermente dispiaciuto dal fatto che lei non potesse passare subito: “Beh dai, ti troverai da fare in questi giorni: leggere, comporre, guardare MTV e terapia di riassestamento; ricordati: alle sette spaccate, prima dose diminuita”. Sorrise fiducioso, sicuro che quella volta ce l'avrebbe fatta a lasciare l'inferno.


* * *


Mancavano pochi minuti alle tre e Nikki era seduto su una seggiolina in legno nel giardino sul retro ad aspettare di udire il rombo del motore dell'auto della sua ragazza; era seriamente agitato quel giorno, era una miriade di tempo che non si sentiva così teso prima di incontrare una persona di sesso femminile che gli interessava. “Quando sarà stata l'ultima volta che ti sei sentito così Sixx? A Seattle quando ancora vivevi con tua madre?”; ma la risposta non era importante in quel momento, quello che davvero contava era il fatto che c'era qualcuno che lo faceva sentire bene. In quei giorni ce la stava mettendo tutta: Dolophine al mattino, colazione, pranzo, merenda, piccola dose di eroina (giusto per non andare in astinenza), cena, e nanna; sembrava che Sikki fosse sparito e che Nikki avesse il monopolio completo della sua psiche. Stava comportandosi così per se stesso ma soprattutto per Rea. Il sole splendeva in quel pomeriggio di fine gennaio e Nikki ne stava assorbendo il più possibile il calore per fare il pieno di energie; poi il rombo del suo motore arrivò sommesso alle sue orecchie e lo stomaco gli si annodò. Spank arrivò saltellando vicino alla sedia: «Bimbo, è arrivata iaia!»; il ragazzo gli fece l'occhiolino e gli disse di seguirlo dentro casa per andare insieme ad aprire la porta a Rea. Lisciandosi le maniche del maglione nero, il bassista iniziò a fare training autogeno: “Ok, Sixx cerca di stare il più rilassato possibile; non saltarle addosso, non fare gesti avventati, non atterrarla, non trombarla... insomma, non fare niente che possa farla incazzare ed allontanarla da te. Sii solo... gentile, disponibile, dolce, carino”; GENTILE? DOLCE? Quanto tempo era che non si ricopriva di quegli attributi? “Da quando avevi dieci anni... ma, dopotutto, non è difficile. Basta sorridere e guardarla negli occhi”. Ce la poteva fare, doveva riuscirci. Ormai era davanti alla porta d'ingresso ed aspettava con ansia che lei facesse scattare la serratura: “Tranquillo Sixx, stai tranquillo... ripeti insieme a me: il mio respiro è calmo e regolare, il mio respiro è calmo e...”; lo scatto che arrivò dalla porta lo fece sobbalzare vistosamente. Spank lo guardò con sguardo interrogativo: «Stai bene?»; il ragazzo sospirò pesantemente e strinse i pugni: “Perchè non riesco a tranquillizzarmi? Niente panico Sixx”. Rea fece capolino dalla porta d'ingresso, avvolta nel suo chiodo di pelle nera ed i suoi fuseaux zebrati: “Ok Sixx, panico!”; il viso gli diventò incandescente.


Giovedì 29 gennaio 1987, 10 pm

Appena ho aperto la porta, mi sono vista di fronte Nikki e Spank, immobili come due statue; li ho salutati entrambi con un sorriso ed il cagnolino, subito, mi è saltato in braccio per farmi le coccole. Nikki, invece, ha continuato a rimanere lì impalato, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta; ho rimesso Spank a terra e mi sono avvicinata a lui: «Ehi, ci sei?» gli ho chiesto sventolandogli davanti agli occhi la mano. Ha battuto le palpebre ed ha aperto le braccia per stringermi a lui; mai avuta un'accoglienza così calorosa da parte di Nikki. Per un attimo sono rimasta sbigottita, poi ho sentito il fuoco avvamparmi sulla pelle: mi sono fatta inebriare dal suo profumo così maschile ed anch'io gli ho stretto la vita. Ho sorriso in silenzio, assaporando ogni nota di quell'abbraccio, con lui che mi teneva il capo sul suo petto e mi accarezzava i capelli: «Ciao» mi ha detto semplicemente, ed io mi sono sciolta come un gelato il mese di luglio.


Un tonfo sordo li divise, accompagnato da un ululato di dolore che arrivava dalla cucina: «Che bottaaaaaaa!»

«Che palle» sbuffò il ragazzo «Spank si sarà tirato addosso di nuovo la scatola dei biscotti; meno male che è di alluminio. Mi stupisco che con tutti i biscotti che mangia non sia ancora diventato un dirigibile»; Nikki fece per dirigersi verso il luogo del delitto, ma Rea lo bloccò per un braccio: «Aspettami sul divano. Sarai debole, ci penso io ai disastri di Spank». Detto questo, la ragazza poggiò sul divano sia la sua giacca che la sua borsa e corse in cucina; Nikki si sedette vicino alle sue cose, guardando curioso quegli oggetti femminili: “Allora, regola numero uno per fare colpo su una ragazza: intavolare un discorso interessante”; ma come poteva sapere cos'era interessante per Rea? “Le piace la pittura... sì, però non ci sono mostre di quadri al momento da vedere...” mentre iniziava a sfogliare tutte le possibilità mentalmente, fece un movimento impercettibile ma comunque capace di far cadere la borsa della sua ragazza sul tappeto, riversandoci sopra ogni cosa che conteneva. «Merda!» esclamò il ragazzo sottovoce, chinandosi il più veloce che potè per iniziare a mettere a posto il casino che aveva creato: “Regola numero due per fare colpo su una ragazza: mai metterle le mani nella borsa. Ok Sixx, hai perso, hai combinato un'altra cagata. Vedo già sullo schermo del NIKKI SIXX ARCADE VIDEOGAME la scritta GAME OVER; come sputtanare tutto nel giro di cinque secondi”. Prese la borsa ed iniziò ad infilare dentro tutto alla rinfusa: rossetti, chiavi della macchina e di casa, un pacchetto di gomme da masticare, un pettine, assorbenti ed il portafogli. «Ma che diavolo hai combinato?» chiese la voce di Rea da dietro il divano; Nikki si girò verso di lei mentre stringeva fra le mani un assorbente: “Ecco che arriva la catastrofe!” «E'... è caduta». La ragazza sospirò scuotendo la testa: «Lascia stare, faccio io» si inginocchiò davanti a lui e cominciò a riordinare il contenuto della borsa; Nikki le passava le cose tenendo il capo chino, imbarazzatissimo, quando notò che le era scivolata fuori dal portafogli la carta d'identità: «Stai più attenta o perderai i documenti, signorina Rea...» battè le palpebre un paio di volte per mettere meglio a fuoco il cognome, convinto di aver letto male «... Hino?»

«Sì, Hino» gli fece eco lei in tono velatamente scocciato togliendogli da sotto gli occhi il documento; ogni volta che qualcuno leggeva il suo cognome partivano commenti di ogni genere e voleva evitare che anche Nikki lo facesse. Nel frattempo che lei posava la borsa sul tavolino basso, il ragazzo la guardava sospettoso: “Mi nasconde qualcosa; ha cambiato cognome come me, ci dev'essere sotto qualcosa di brutto. Devo riuscire a scoprirlo”; la sua bocca si aprì senza che nemmeno se ne accorgesse: «Hai voglia di un latte con il cioccolato?» “Bella mossa Sixx... forse proprio game over non era. Forse era più INSERT COIN” si complimentò con lui il suo cervello

«Sì, volentieri» sorrise lei seguendolo in cucina

«Bimbo, bimbo... Spank anche latte» il cagnolino fissava insistentemente il contenitore in tetrapack che il ragazzo aveva estratto dal frigo

«No Spank, diventi un botolo se continui a mangiare così. E poi il cioccolato ti fa male, ti fa venire la sciolta; vai in giardino a giocare con i legnetti» sentenziò Nikki. Triste, Spank uscì in giardino e si mise nella cuccia dove si addormentò. Dopo poco il bassista poggiò sul tavolo in noce della cucina i due bicchieri colmi di latte; mentre si sedeva sullo sgabello, Rea diede la prima sorsata, poi con un sorriso gli disse: «Ti trovo meglio sai?». Il ragazzo non rispose subito, poi timidamente disse: «Voglio smetterla; ho cose più belle e più importanti a cui dedicarmi».


Giovedì 29 gennaio 1987, 10 pm

Quando ha confessato di voler smettere per dedicarsi a cose più belle ed importanti il mio cuore è esploso di gioia; “Questa è la volta buona!” ho pensato speranzosa fra me e me.


«Allora qui bisogna brindare» sussurrò Rea facendo tintinnare l'orlo del suo bicchiere contro quello del bassista «Alla tua Nikki»; bevvero entrambi un gran sorso di quella bevanda dolce, poi posarono i bicchieri sul tavolo con un gran tonfo. Si guardarono intensamente negli occhi, poi Rea, improvvisamente, si mise a ridere; il ragazzo aggrottò le sopracciglia: «Che c'è?»

«Ti è rimasta la schiuma sul labbro» continuò a ridacchiare Rea «sei sporco come i bambini». Nikki arrossì violentemente e si affrettò a pulirsi con il dorso della mano, facendo ridere ancor di più la sua ragazza: “Un fuoco gioioso... dio, come sei bella” «La finisci di prendermi in giro?» si finse irritato il bassista

«Oh, ma come siamo permalosi oggi!» lo sbeffeggiò Rea

«Ripetilo se ne hai il coraggio... Rea Hino» sussurrò Nikki poggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi pericolosamente verso di lei; di tutta risposta, la ragazza gli puntò il dito sulla punta del naso schiacciandola: «Ti ho già detto di non chiamarmi con il mio cognome, chiaro?». Ci fu un attimo di stasi in cui il dito di Rea rimase appiccicato alla punta del naso di Nikki, poi il ragazzo domandò: «Scusa, ma i tuoi di dove sono?»; la ragazza si ritrasse come se avesse visto qualcosa di spiacevole. “Cazzo... forse ho azzardato troppo...” pensò Nikki fra sé aspettandosi da un momento all'altro che Rea gli staccasse la testa a morsi per averle fatto una domanda che non riteneva opportuna; invece lei rispose con la voce velata di tristezza: «Sia mio padre che mia madre sono nati qui a L.A.» fece una pausa per evitare che le emozioni prendessero il sopravvento «Quello era il cognome di mio nonno paterno»

«Beh, quindi quello di tuo padre» dedusse Nikki. Il volto di Rea si oscurò come il sole durante un'eclissi: «N-no... del nonno; aveva cambiato cognome dopo la seconda guerra mondiale, quando mio padre era già nato»

«Oh...» Nikki aggrottò le sopracciglia pensieroso «ma prima come si chiamava? Insomma, qual è il tuo vecchio cognome?». Rea deglutì a fatica; non voleva pronunciare quell'insieme di lettere, le faceva male ed aveva un sapore schifoso, ma non poteva nemmeno non rispondere al suo ragazzo. Fece un respiro profondo e deglutì a fatica come se stesse mandando giù una medicina indigesta (più fanno schifo, più fanno bene all'organismo diceva sempre Amy): «Finchè non ho compiuto diciotto anni mi chiamavo Rea Dickinson». Abbassò lo sguardo ed iniziò a fissare le punte dei suoi texani; Nikki, dal canto suo, si fece scappare una piccola pernacchia, segno che stava trattenendo una risata travolgente. La ragazza alzò gli occhi irritata: «Lo trovi divertente?»; Nikki si alzò, la prese per mano e la portò sul divano dicendole: «Dai Fiamma, sai che non mi piace quando ti spegni... adesso ti spiego perchè mi è venuto da ridere per il tuo vecchio cognome sperando di contagiarti un po'». Rea si mise in ginocchio di fianco a lui con un gomito appoggiato allo schienale mentre Nikki si schiariva la voce ed iniziava a raccontare: «Era il 1984, verso agosto, ed era la prima volta che facevamo un concerto in Europa e più precisamente in Inghilterra... puoi immaginarti l'euforia, soprattutto da parte mia, che andavo a suonare nel paese da cui arrivavano le mie band preferite. Dovevamo fare alcune date al Monsters Of Rock quindi eravamo tutti su di giri; beh, arriviamo in questo albergo dalle parti di Nottingham la sera verso le otto, mi chiudo in camera, mi scaravento sul letto ed accendo la TV immergendomi in quell'accento così musicale. Ad un certo punto inizio a sentire che stanno bussando contro il vetro della finestra del bagno, però avendo la stanza al secondo piano ho pensato che me lo stessi immaginando; invece quel picchiettare diventa più insistente, così mi alzo e vado a vedere cosa c'è, pensando che fosse un picchio a fare tutto quel casino. E cosa trovo? Una ragazza, nemmeno brutta fra l'altro: “Ciao amore” mi dice questa; io rimango lì un attimo e poi la saluto anch'io. Lei mi dice: “Ti dispiace se entro?”; ero senza parole e mi domandavo: “Chi cazzo è questa qui?”. Entra, si volta e con una disinvoltura disarmante mi chiede: “Ti dispiace se mi tolgo le culottes?”»

Rea lo interruppe per un secondo: «Che? Questa nemmeno ti conosce, ti entra in camera come una ladra dalla finestra e ti chiede se può togliersi le mutande?»


Giovedì 29 gennaio 1987, 10 pm

Dovrò iniziare a prepararmi psicologicamente per situazioni come questa quando sarà in tour, anche se ha detto che si ingegnerà per portarmi con sé. Andrei in escandescenza se lo vedessi con un'altra, anche se lui non ricambia. Quando mi ha raccontato di questa perfetta sconosciuta che gli è balzata in camera dalla finestra mi sono sentita male e mi è salita una rabbia allucinante; ho pensato: “Pensa che questa cosa sia divertente? Vorrebbe farmi ridere così”. Invece non voleva farmi ridere con quell'amplesso di cinque minuti ma con le sue conseguenze...


«Aspetta! So che per te questa parte non è piacevole da sentire, cercherò di renderla il più breve possibile. Comunque, la guardo e le dico: “Vai tranquilla!”. Se le leva, fa quello che deve fare con me e, terminato il tutto, si tira su le braghe e mi dice: “Grazie, è stato un onore” e si cala giù dalla finestra. Il giorno dopo siamo nel backstage della prima tappa del minitour del Monsters Of Rock che ci stiamo preparando per salire sul palco quando Doc bussa alla mia porta dicendomi: “Nikki, c'è qui Bruce Dickinson che vorrebbe parlare con te”; gli dico di entrare e Bruce mi dice: “Saremo molto onorati se voi voleste farci da spalla durante il tour europeo”. Ero al settimo cielo: “Sì, perfetto!”. Gli Iron Maiden non sono mai stati il mio gruppo preferito, però sono molto bravi; poi, improvvisamente, una biondina entra nel mio camerino fiondandosi addosso al cantante. La guardo bene e penso: “Oddio, è quella di ieri sera”; Bruce, dato che è un gentleman, le sorride, l'abbraccia e mi dice: “Nikki, lei è mia moglie”. In quel momento i miei testicoli hanno sentito la forza di gravità trascinarli a terra. Ogni volta che ricordo questo episodio mi viene da ridere, ecco perchè prima l'ho fatto; non volevo prenderti in giro, fuoco mio». Allungò la mano per accarezzarle la guancia sinistra; Rea vi si appoggiò e chiuse gli occhi per un istante sentendo le loro pelli scaldarsi a quel contatto. Il ragazzo disse: «Però ancora non mi è chiaro perchè hai cambiato cognome... puoi anche non rispondere, se non ti va»

«No» Rea scosse la testa «non preoccuparti. Diciamo che ho cambiato cognome per il tuo stesso motivo: volevo chiudere con il passato. Chiudere con mio padre e legarmi ad un'altra persona che per me è sempre stata più presente ed importante». A Nikki si gelò il sangue: “Incredibile... insomma, siete uguali! Lei cambia cognome per slegarsi dal padre come hai fatto tu e si lega ad un'altra persona; la differenza con te è che tu ti sei inventato il cognome, quindi non sei legato a nessuno”. La ragazza continuò a raccontare: «Mio padre è nato nel 1940, quando ancora mio nonno faceva Dickinson di cognome; poi è iniziata la guerra ed è stato fatto prigioniero dai giapponesi. Diciamo che la cosa non è stata del tutto negativa poiché il nonno è riuscito ad entrare in contatto con una cultura che lo ha affascinato fin nel profondo dell'animo ed ha deciso di mettere in pratica gli insegnamenti dello shintoismo, in particolare di venerare i kami del fuoco che, per lui, è sempre stato l'elemento naturale in cui si rispecchiava di più. Quando è tornato a casa si è affrettato a cambiare il cognome in Hino, che significa “di fuoco”. Nel momento in cui mio padre è cresciuto ed è venuto a conoscenza di questo cambio ci è rimasto male; dice che si sente ripudiato. Poi sono nata io e sono rimasta sola con mio padre perchè mia madre è morta di parto; purtroppo, con il lavoro che si ritrova a fare, mio padre non ha tempo per prendersi cura di me, quindi mi ha lasciata nelle mani del nonno. Lui mi ha educata e cresciuta... ecco perchè a diciotto anni ho cambiato cognome: sono più legata a lui che al mio vero padre. Vedevo papà solo la domenica quando mi trascinava a messa in quella chiesa battista» le scappò una risatina «Ci pensi? Durante la settimana pregavo gli spiriti del fuoco con il nonno mentre la domenica mi ritrovavo a recitare meccanicamente il padre nostro». Nikki aggrottò le sopracciglia grattandosi il mento: «Ma quindi, alla fine, tu in cosa credi?». Scese il silenzio nel salotto; era difficile trovare la risposta ad una domanda simile. Rea disse: «Non so se è per questioni psicologiche o altro, ma io non venero il dio cristiano; provo maggior conforto nell'interrogare il fuoco... lo sento più vicino a me. Poi, non so, mi pare troppo eccessivo questo continuo piangersi addosso nel cristianesimo dicendo: “Continuo a fare peccati, dio perdonami”. Perchè si deve sempre piangere, Nikki?»

«Chi lo sa... forse è un modo come un altro di fare soldi» il ragazzo fece spallucce

«O forse... è anche un modo per tenere la gente sottomessa. Fai credere alla massa che sono dei peccatori e verranno da te pastore strisciando per chiedere perdono; tu che sei l'unico intermediario diretto con dio» le pupille di Rea si dilatarono a dismisura

«Ecco come fanno a manipolare il cervello della gente» Nikki annuì con un sorrisino diabolico che gli percorreva il viso; si alzò di scatto e corse verso la libreria. Fece scivolare le dita sulle copertine di alcuni volumi impolverati finchè non trovò quello che stava cercando: la Bibbia. Un'oscura risatina gli uscì dalle labbra mentre apriva il librone sul tavolino basso davanti al divano; Rea lo guardava incuriosita mentre sfogliava freneticamente quella carta così sottile. «Vediamo se mi ricordo ancora dov'è...» biascicò Nikki mentre spostava blocchi interi di pagine finchè non urlò trionfante: «Trovata!». Girò il volume verso la sua ragazza dicendo: «Vangelo di Matteo, il discorso della montagna»; Rea fece scorrere gli occhi su quelle parole scritte così in piccolo finchè vide quello che Nikki le stava indicando. Lo lesse ad alta voce:


Our father, which art in heaven

hallowed be thy name;

thy kingdom come;

thy will be done

in earth as it is in heaven.

Give us this day our daily bread

and forgive us our trespasses,

as we forgive them that trespass against us.

And lead us not into temptation;

but deliver us from evil.


«Non trovi che l'uomo si sia discostato troppo, tramite la religione, dall'essenza primaria del cristianesimo?» domandò Nikki

«Scusa?» Rea era allibita: “Se inizia a scendere così nel filosofico, significa che il metadone gli sta facendo bene”

«Voglio dire che l'uomo, in quanto manipolatore, ci ha ricamato sopra troppo; se lasciavamo tutto com'era stato concepito inizialmente, sarebbe stato figo. Adesso capisci perchè sono io il mio dio?»

«Io aggiungerei che tu sei il tuo dio perchè talvolta hai un ego smisurato» disse la ragazza scuotendo il capo; si guardò l'orologio che portava al polso e scattò in piedi: «Cacchio, sono già le cinque e mezza! È tardissimo, devo tornare a casa... avevo promesso a Morea che l'avrei aiutata a cucinare stasera». La ragazza raccolse in fretta e furia le sue cose e salutò il bassista con un fugace bacio sulla guancia: «Mi sarei trattenuta ancora, ma devo andare... è stato piacevole parlare con te oggi. Dovremo farlo più spesso»; Nikki la prese fra le sue braccia e la strinse forte: «E' stato bello oggi... grazie della tua compagnia» anche lui le baciò la guancia leggermente arrossata dall'emozione. La guardò correre per il vialetto con i capelli che vibravano nel vento freddo e pensò: “Sono stato forte oggi... ho fatto dei passi avanti con lei; non devo avere fretta di farla mia subito o rovinerò tutto quello che ho fatto fino ad ora. Sei speciale Fiamma... mi sento ardere quando ci sei”. I suoi occhi caddero sull'acustica poggiata nell'angolo: «Mi è venuta un'idea geniale» sussurrò ghignando e ripensando alla conversazione che aveva appena concluso con lei; l'afferrò per il manico, prese carta e penna ed iniziò a comporre. Quella sera si dimenticò dell'eroina.


Sabato 31 gennaio 1987, 3 pm

Verso mezzogiorno Marta è tornata dal suo giro mattutino di shopping e mi ha detto che nella cassetta della posta c'era qualcosa per me; sono andata a vedere ed era un nastro. “Qui c'è lo zampino di Nikki” ho pensato con un sorriso; sono entrata in casa ed ho aperto la custodia dove dentro, su un piccolo foglietto bianco, c'era scritto con dell'inchiostro nero: “Se sono riuscito a scrivere un pezzo così bello e potente è solo merito tuo. La conversazione dell'altro giorno mi ha fatto capire che fra me e te c'è un feeling tutto particolare... è una canzone forte, irriverente, forse blasfema. Ma l'ho scritta perchè tu mi hai rimesso in moto il cervello; penso che rischierò la scomunica, ma l'ho fatto per una buona causa. Grazie per avermi ascoltato e grazie per avermi stimolato. Nessuno, mai, nella mia vita, mi ha dato così tanta spinta per scrivere un pezzo. Questa “Wild Side” è per te.

P.S. Ti porterò in studio all'inizio di marzo per registrare quegli arrangiamenti vocali su “Dancing On Glass”... sei contenta?

P.P.S. Mi è dispiaciuto un sacco non consegnartelo di persona questo nastro, ma quando sono passato davanti a casa tua erano le quattro del mattino ed ho immaginato che stessi dormendo. Ti voglio bene”. Ho sorriso come un'ebete guardando la cassetta sentendo il cuore salirmi in gola per l'emozione. Poi l'ho messa nello stereo, ho alzato la manopola del volume al massimo ed ho premuto play. Sì Nikki, quella canzone è uno dei pezzi più riusciti che tu abbia mai scritto.


NOTE:

Sikki: Nikki dice che la sua personalità, ai tempi, era formata da due entità: una è appunto Nikki (quello più sano) e l'altra è Sikki, malato e fuori di testa (ripreso dalla parola sick).

Niente panico Sixx […] Ok Sixx, panico: citazione rielaborata e ripresa dal film “L'aereo più pazzo del mondo”.

Monsters Of Rock: festival nato in Inghilterra (successivamente diffusosi anche in altri paesi europei) che si è tenuto al circuito di Donington dal 1980 al 1996.

Bruce Dickinson: cantante degli Iron Maiden dal 1982 al 1993 e dal 1999 fino ad oggi.

Iron Maiden: heavy metal band inglese fondata nel 1975 dal bassista Steve Harris; ai tempi (1984) la line-up era così composta: Bruce Dickinson alla voce, Steve Harris al basso, Dave Murray ed Adrian Smith alle chitarre e Nicko McBrain alla batteria.

Wild Side: canzone che apre l'album “Girls, Girls, Girls” ispirata dal padre nostro menzionato precedentemente nel corso del capitolo; per ulteriori chiarimenti, cercate le lyrics in google.


Eccomi qui, dopo una pausa un po' più lunga del solito; questo capitolo è quello più lungo che abbia mai scritto fino ad ora, quindi mi auguro che non risulti troppo pesante e troppo noioso. Mi sono resa conto di aver trattato degli argomenti un po' particolari, fra cui anche la religione; con questo capitolo non intendo offendere la sensibilità di nessun credente cristiano. Se l'ho fatto, per favore, avvisatemi. La canzone “Wild Side” nasce proprio, come viene descritto in “The Heroin Diaries”, dopo aver “analizzato” The Lord's Prayer. Spero di non avere turbato nessuno. Come sempre vi faccio la solita raccomandazione: se doveste notare che il capitolo non è scritto bene, fatemelo notare ;) E, come sempre, grazie a tutti quelli che leggono, recensiscono o anche solo che si fermano per dare un'occhiata. Grazie alle mie lettrici fedelissime... aspetto di sapere i vostri pareri. Un bacio e a presto, Ellie P.S. non chiedetemi perchè ogni tanto sto coso cambia carattere che mi passa dall'Arial al Times New Roman... boh

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Capitolo 17
*** Chi La Fa, L'Aspetti ***


17 Chi La Fa, L'Aspetti

Sabato 28 febbraio 1987, 11 pm

Sono accadute troppe cose in questo mese che non ho avuto nemmeno il tempo di scrivere un pochino qui dentro nel mio diario; o meglio, ho occupato il tempo in modo decisamente diverso rispetto a prima (ma, devo dire, che sono veramente soddisfatta di questa mia nuova organizzazione). All'inizio del mese, verso il 4 circa, Nikki mi ha confermato che per l'inizio di marzo mi avrebbe portata in studio per scrivere e registrare insieme a me gli ultimi arrangiamenti per “Girls, Girls, Girls”; inutile dire che ero al venticinquesimo cielo, perchè quello significava registrare i cori su “Dancing On Glass” più altro da mettere a punto. Quando l'ho detto alle ragazze ho letto nei loro occhi una grande felicità ma anche un pizzichino d'invidia, specialmente negli occhi blu di Marta; mi ha detto: «Sei fortunata Rea, potrai apparire nei crediti del disco... eh, piacerebbe tanto anche a me. Con tutti i provini che faccio ancora non mi ha chiamata nessuno e tu, con l'aggancio giusto, ti ritrovi ad incidere un pizzico della tua voce su un cd»; anche lei vorrebbe tanto farsi conoscere dal grande pubblico, però la mia amica preferirebbe fare la showgirl piuttosto che la cantante. Da parte mia, cerco di non farmi troppe illusioni; è vero, apparirò sui crediti di un disco dei Mötley Crüe, ma non è certo detto che qualcuno mi noti. Ad ogni modo, sono felicissima che Nikki abbia preso questa decisione; per tutti i tempi morti che mi si sono presentati durante queste giornate, ho fatto esercizi per la voce, canticchiato se c'erano in casa le altre e cantato con tutta la potenza che ho in corpo se ero sola in casa (sì, sono vergognosa, non voglio che le mie amiche mi sentano cantare). Voglio essere al top della forma quando entrerò in sala per registrare, voglio essere soddisfatta di ciò che finirà sul nastro. Ho visto Nikki circa un paio di volte ogni settimana: migliora a vista d'occhio e sta ricominciando a prendere un po' di peso; ma soprattutto è estremamente produttivo e stimolato. Un sabato di circa due settimane fa siamo andati insieme in un negozio di antiquariato per sbirciare fra le cianfrusaglie; siamo usciti dal negozio io con in mano una statuina di ferro battuto raffigurante un corvo e lui con dei libri vecchi ed impolverati ed uno di quei volumi gli ha ispirato una nuova canzone chiamata “Five Years Dead”. Dice che ha delle idee ben chiare riguardo gli arrangiamenti e, secondo lui, questo sarà il primo disco dei Crüe che finirà in vetta alle classifiche; glielo auguro con tutta me stessa, si sta impegnando e sarebbe veramente un premio meritato.


Le aveva telefonato all'inizio della settimana; era stata una chiacchierata breve perchè stava aiutando Mick a registrare le sue parti di chitarra, quindi era stato chiaro e diretto: «Ricordati bene: sabato 7 marzo 1987, alle nove di sera fuori dal numero 5100 su Melrose Avenue. Sono i Conway Recording Studios. Io sarò già su in sala. Scenderò a prenderti sul marciapiede e poi saliremo insieme; niente Vince, niente Mick, forse Tommy. Di sicuro ci saremo io, te e Werman». Rea prese velocemente appunti sul blocchetto di Bunny decorato con cuoricini e coniglietti; dopo aver scritto l'ultima lettera chiese: «E' proprio necessario che ci sia il produttore? Insomma... mi vergogno»

«Deve» rispose sbrigativo Nikki «tutto quello che finirà in quel dannato disco deve passare sotto la sua supervisione. Fiamma, io ora me ne devo tornare di là, ci sentiamo in settimana». Riattaccò senza che lei potesse almeno salutarlo, ma Nikki in studio era così: concentrato sul lavoro della band. Della sua band. L'aveva fondata lui dopo aver lasciato i London all'inizio del 1981 e ci aveva messo anima e corpo pur di portarla avanti egregiamente; tirava fuori le unghie e diventava una belva impazzita quando si trattava dei Crüe. Erano sopravvissuti a tutti gli alti e bassi che erano capitati: dalla gavetta nei club di L.A., alla fuga del primo manager, dalle risse, all'accusa di omicidio di Vince dopo l'incidente in cui Razzle aveva perso la vita. I Crüe erano la famiglia di Nikki e niente avrebbe potuto strappargliela dalle mani; dopo tanta fatica, il minimo che si meritava era che il nuovo album arrivasse in vetta a Billboard e facesse almeno disco d'oro. “Nel mio piccolo gli darò una mano... così potrà dire di essere pienamente soddisfatto del suo lavoro”.


* * *


Cena sbrigativa e veloce quella sera; Rea aveva raccomandato a Morea di non mettere aglio o cipolle in quello che stava cucinando e di non preparare cose troppo impegnative. Si sa, quando si canta il diaframma massaggia lo stomaco e, certe volte, invece che far uscire un vocalizzo ben riuscito, si rischia di ruttare pesantemente nel microfono; Rea arrossì al solo pensiero che una cosa del genere avrebbe potuto capitarle. Morea le preparò la cena e la mise in un piccolo cestino; la ragazza dai capelli corvini aveva intenzione di mangiare in macchina lungo la strada verso Melrose Avenue. Aveva preso la Ford verso le sette di sera e se n'era andata dicendo: «Non so quando torno» ed era sparita, sotto quella pioggia battente che cadeva ormai da ore da quel cielo plumbeo. “Pioggia a Los Angeles = strade intasate” pensava Rea mentre scendeva per Carcassonne Road; a intervalli regolari la pioggia sul parabrezza veniva scostata dai tergicristalli, permettendole così di vedere gli stop delle macchine incolonnate davanti a lei. Sospirò scuotendo il capo: “Va bene, vediamo di impiegare il tempo in modo costruttivo”; rovistò con le mani nel pacchettino della cena, ne estrasse un panino con salsa di funghi e prosciutto crudo e ci affondò i denti. Avanzava a non più di diciotto miglia orarie, quindi non le fu difficile mangiare: con la sinistra stringeva quella delizia preparata con cura dalla sua amica e con la destra teneva il volante e, se necessario, cambiava le marce. Riuscì a parcheggiare davanti al 5100 di Melrose Avenue dieci minuti prima dell'orario fissato con Nikki; scese dalla macchina stringendo il suo ombrello e scostando con la mano tutte le briciole che le erano rimaste incagliate nelle fibre dei jeans rossi e si diresse davanti all'entrata degli studios, aspettando che il suo ragazzo scendesse. La tensione iniziava a salirle addosso, come se migliaia di ragni le stessero camminando sulla pelle. Il pensiero che avrebbe dovuto cantare davanti ad un musicista esperto ed un produttore la intimoriva parecchio: “Non preoccuparti” cercava di rassicurarsi “è normale essere agitate in una situazione simile... ma vedrai che andrà tutto alla grande”; cercò di concentrarsi su altro per distendere i nervi. Incantata ed ammaliata dal concerto di luci che scorrevano sul grande viale davanti a lei, Rea non si accorse che qualcuno le si stava avvicinando da dietro; solo quando questa figura la chiamò per nome, lei si voltò rimanendo sconvolta.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Ho sentito che qualcuno mi ha chiamata per nome alle spalle. Ma non era la voce di Nikki... eppure era famigliare; non ho ricollegato subito di chi era, non mi sono accorta di quella cadenza slava, altrimenti non mi sarei girata. Invece, quasi ignara del pericolo che mi attendeva, ho voltato la testa ed ecco apparire nei suoi capelli crespi e la sua barba incolta Yuri. Mi sono paralizzata. In quel frangente ho rivissuto l'incubo di quattro anni prima.


Si aggrappò all'ombrello, quasi fosse la sua unica ancora di salvezza; si sentì la schiena gelida e le gambe pietrificate. Non riusciva a muoversi. Yuri sorrise mentre la frangia castana gli scendeva disordinata sugli occhi: «E' passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ci siamo visti»

Fortunatamente” pensò Rea; deglutì come se stesse per mandare giù un pezzo di gelatina viscida e schifosa: «Già» si limitò a dire. Abbassò gli occhi e vide le sue Chuck Taylor High Top nere come quelle di Nikki avvicinarsi sempre più pericolosamente a lei; il terrore più puro si stava impadronendo della ragazza: “Perchè quelle non sono le scarpe del mio ragazzo?”. Fece per indietreggiare, ma dopo soli pochi centimetri si ritrovò con la schiena appoggiata ad un palo della luce che con la sua lampadina giallastra illuminava la sagoma di Yuri conferendogli un'aura malsana; oltretutto l'ombrello stesso era poggiato al pilastro e la pioggia le stava inumidendo tutta la schiena. «Come stai?» domandò Yuri con una dolcezza allarmante

Non me l'ha mai chiesto per tutto il periodo che siamo stati insieme, ma che gli prende?” «Bene... sì, bene». Ormai le punte dei capelli erano fradice. Yuri incalzò: «Come mai da queste parti?»

Adesso sta davvero esagerando”; Rea prese il coraggio a due mani e gli rispose freddamente: «Queste non sono cose che ti riguardano»

«Oh, sul serio? E allora come mai sei davanti al mio posto di lavoro?». La ragazza sgranò gli occhi e l'ombrello le si inclinò, bagnandole metà testa; non riusciva a credere alle sue orecchie: «Hai... hai detto “posto di lavoro”?». Stava balbettando; aveva paura. Staccò la mano sinistra dal manico dell'ombrello e strinse lo Zippo nella tasca dei pantaloni: “Nonno, aiutami”; si sentiva tremare dentro il chiodo, sentiva i peli delle braccia premerle contro le maniche del maglioncino nero che tanto le piaceva. Si morse la lingua per soffocare un urlo pronto a sgorgarle fuori dalla bocca come acqua da una sorgente sotterranea; Yuri si faceva sempre più vicino e minaccioso: «Sono il tecnico delle chitarre qui in studio». Quello che probabilmente voleva essere un sorriso si allargò su quel viso di venticinquenne infestato dalla barba incolta di un paio di settimane; assomigliava terribilmente a James Hetfield ma aveva un che di sporco e terribile. Rea cercò di indietreggiare di nuovo sentendosi immediatamente sconfitta nell'avvertire il palo della luce che le tagliava la ritirata; strinse ancor più saldamente quella scatoletta metallica nel palmo per trarne il maggior conforto possibile mentre i suoi occhi vagavano dietro la capigliatura crespa del suo ex ragazzo alla ricerca di Nikki. «Sei sempre più bella» ormai Yuri era riuscito ad appoggiarsi a lei «e sempre più appetitosa»; la ragazza cercò di scappare da quella morsa in cui lui la stava stringendo, ma il ragazzo la prese per le spalle bloccandola. “E' la fine” pensò Rea con gli occhi che le si velavano di fobia mentre ogni muscolo del suo corpo si irrigidiva: “Nonno... Nikki... aiuto” urlò dentro di sé. L'avvoltoio non aveva intenzione di mollare: «Dopo vieni a casa mia e ci facciamo un...»; l'accendino diventò improvvisamente incandescente e si udì un colpo secco. Yuri finì con la schiena a terra sul marciapiede bagnato mentre incominciava a tossire violentemente; Nikki lo sovrastava con lo sguardo di un cane rabbioso. Gli sputò addosso colpendolo in pieno viso e poi con lo stivale destro iniziò a schiacciargli la trachea: «Bene, figlio di troia, che intenzioni hai?» disse fermo e deciso; Yuri prese a fatica una boccata di aria mista a pioggia: «Cosa cazzo vuoi, montato di merda? L'ho vista prima io»

«Tu, lei, non la tocchi, hai capito?» sentenziò Nikki pigiando ancora più a fondo con lo stivale e facendo annaspare Yuri: «Per... perchè?» riuscì a biascicare fra un sibilo e l'altro

«E' la mia ragazza, stronzo!». Il bassista gli tirò un calcio nelle costole e subito dopo si affrettò a prendere Rea per mano e a portarla dentro, lasciando Yuri riverso sul marciapiede intento a riprendere fiato fra un vaffanculo e l'altro.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Nikki mi ha trascinata dentro negli Studios come un uragano forza dieci e mi ha quasi scaraventata all'interno dell'ascensore; senza dire una parola ha schiacciato il pulsante per il quarto piano, ha aspettato cinque secondi e poi l'ha bloccato. Io ho alzato gli occhi che avevo tenuto fissi sull'ombrello fino a pochi secondi prima e l'ho visto esplodere: «Cosa cazzo voleva Mihailov da te, si può sapere?». Il cognome di Yuri mi rimbalzò nella testa ormai vuota; quell'essere aveva quell'effetto su di me: privarmi della ragione, annichilirmi completamente, rendermi un manichino facendo leva sul fatto che lui sapeva che io avevo terrore della sua presenza. Mi sono appallottolata ancor di più nel mio angolino incassando la testa nelle spalle; Nikki, furibondo, ha rincarato la dose: «Ah... vi conoscete quindi. E questo tuo silenzio mi fa pensare che tu e lui avete fatto chissà che cosa insieme, vero Rea?» ha iniziato a sbraitare «Dubito di sbagliarmi!».


Il bassista si avvicinò minaccioso alla ragazza che, portata allo stremo da così tante forti emozioni provate nel giro di poco tempo, si accasciò sulla moquette dell'ascensore ed iniziò a singhiozzare mentre con le unghie tentava di grattare via quel rivestimento in tessuto. Rea chiuse gli occhi per evitare di vedersi negli specchi di quella cabina mobile, per evitare di vedere la sua faccia deformata dalla fobia che Yuri le scaraventava addosso; grosse lacrime nere le scorrevano sulle guance velate di trucco mentre stringeva i denti così violentemente da consumarli lentamente, millimetro per millimetro. Il cuore di Nikki si strinse, quasi come volesse impiccarsi: “Che orso bruno che sei, avresti potuto porre la domanda diversamente invece di saltarle addosso, imbecille che non sei altro!”; il ragazzo si chinò lentamente verso Rea prendendole il viso fra le mani. Lei aprì gli occhi a quel contatto ma non lo guardò in viso: “Ok Sixx, ora è il momento di dire la formula magica: mi dispiace”; il bassista deglutì, aprì la bocca per un secondo senza riuscire a dire nulla. Una delle sue mille vocine lo aggredì: “Possibile che tu debba essere sempre così orgoglioso? Ecco perchè poi le cose vanno a puttane, chiedi scusa per una volta!”. Fece un respiro profondo e si concentrò: «Rea... io... scusami»; la sua ragazza lo fissò con gli occhi bagnati di lacrime. «Mi dispiace sul serio, non dovevo aggredirti in quel modo. È solo che...» in un istante Nikki si sentì avvampare il viso “Avanti Sixx, non sei un androide, sei un essere umano... ce li hai dei sentimenti, esternali!” «che... insomma, non voglio che altre persone tocchino la mia Fiamma».

Ecco, l'ho detto... posso andare a sotterrarmi da qualche parte ora?” domandò Nikki al suo cervello che prontamente rispose: “No scemo, hai fatto una delle azioni migliori della tua vita. Se non LA migliore”.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Possono sembrare parole insignificanti, però sapere che sono così importante per lui, tanto da non volere che nessun altro mi tocchi... non ho davvero parole per descrivere questa sensazione.


Rea sorrise ed accarezzò le mani del suo ragazzo che le contornavano il viso: «Io volevo che tu arrivassi, ti ho desiderato tanto in quel momento...»; uno scossone fece sobbalzare i due: l'ascensore aveva ripreso a muoversi. Nel giro di pochi secondi un campanellino segnalò l'arrivo al quarto piano dove Tommy attendeva impaziente l'amico giocherellando con le bacchette: «Bro! Ma dove cazzo eri finito? Pensavo che...»

«Un tè» lo bloccò Nikki alzando una mano

«Cosa?» chiese il batterista sbigottito, pensando di non aver recepito la richiesta; Nikki fece segno con il capo all'amico per indicare Rea che aveva ancora le guance rigate di nero. Tommy si limitò ad annuire e si diresse verso l'angolo bar mentre il suo gemello portava la ragazza in sala tenendola delicatamente per mano. Lo studio di registrazione era un'enorme stanza quadrata con le pareti ricoperte di pannelli di sughero e gommapiuma nera illuminata da luci al neon; niente finestre, solo un enorme doppio vetro che divideva quel piccolo luogo mistico dalla sala del mixer. Nella stanza non c'erano amplificatori o batteria, solo un microfono per le incisioni ed un pianoforte a coda laccato di nero. Mentre Rea si faceva sfilare da Nikki il chiodo ancora bagnato di pioggia, inspirò profondamente inebriandosi di quell'odore così unico che solo le sale prove avevano; era piacevole, sapeva di legno, sapeva di pelli trattate, sapeva di elettricità, sapeva di musica. Quell'aroma riuscì a distenderle un po' i nervi; Nikki prese due sgabelli ed invitò la ragazza a sedersi di fianco a lui: «Sicura di riuscire a cantare stasera?» sussurrò prendendo un fazzolettino per sistemarle il trucco

«Sì... dammi un po' di tempo, ho solo... bisogno di riprendermi un attimo» disse Rea sistemandosi i capelli. Il ragazzo annuì, poi riprese: «So che forse non è il momento adatto per farti una domanda del genere ma... come fai a conoscere Mihailov?». La ragazza sospirò debolmente, facendo uscire la paura dal suo corpo: «Ricordi quando ti ho parlato di quello Yuri, diverso tempo fa, che mi aveva fatta sua senza che io lo volessi?»; Nikki annuì in silenzio trattenendo il fiato. La verità gli arrivò in faccia con la violenza di una granata: «È lui. Yuri Sergeevič Mihailov». Nikki sgranò gli occhi incredulo e stava per replicare, quand'ecco che la porta dello studio si aprì e Tommy entrò con in mano una tazza di tè fumante: «Ecco qui Rea, vai piano che scotta»

«Ti ringrazio» gli sorrise lei

«T-Bone, al mixer» ordinò Nikki scattando in piedi

«Werman è appena uscito... ha detto che se ne stava per un'ora in pausa» cercò di replicare il batterista ma il gemello lo tirò per una manica della felpa: «Ti ho detto andiamo al mixer, ho bisogno di parlarti» sibilò fra gli incisivi

«Va bene bro, tranquillo» Tommy entrò nella stanza adiacente, seguito poco dopo da Nikki che, prima di lasciare sola la ragazza a finire il suo tè, l'aveva guardata e le aveva lasciato un bacio sulla guancia seguito dalle parole: “Non piangere più, me lo prometti?”.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Come ho sentito scattare il meccanismo di chiusura della porta, mi sono messa in un angolo della sala dove non fossi visibile dal vetro; ho acceso il mio Zippo ed ho chiamato il nonno: «Ho rivisto Yuri» sono stata capace di dirgli solo questo. Lui mi ha sorriso: «Però non ti ha fatto nulla, Fiamma mia; visto come ha reagito Nikki? Visto come tiene alla mia nipotina?». Le sue parole mi hanno scaldato il cuore, mi hanno fatto capire quanto, in tutto questo tempo, siamo riusciti a legarci e ad affezionarci l'un l'altro; «Tienitelo stretto tesoro mio, non fare in modo che si rovini con le sue mani; quello è un ragazzo che va seguito» mi ha raccomandato; poi, dopo una breve pausa di silenzio, ha aggiunto: «E digli anche di non fare cazzate stanotte». Stavo per chiedere informazioni in più ma il piccolo fuoco si è spento.


Tommy si sedette sulla poltrona girevole davanti al mixer, incrociò le braccia al petto e disse: «Non ho voglia di giocare al paziente e all'analista in questo momento bro, ma tu mi devi spiegare perchè, le uniche due volte che ho visto la tua ragazza, l'ho sempre vista con le lacrime agli occhi. Ma è mai possibile che tu sia così imbranato?»

«Non è colpa mia se lei stava piangendo!» gli sbraitò in faccia il bassista che aveva ancora i nervi a fior di pelle, ma Tommy, che ben conosceva l'amico, scosse la testa: «Tu non me la racconti giusta»

«Ok» sospirò Nikki passandosi una mano fra i capelli cotonati «ha pianto anche perchè io ho pensato male... per fartela breve, ti ricordi di quando ti avevo raccontato che lei era stata violentata? Beh, quando sono sceso a prenderla ho visto che Mihalov la stava schiacciando contro un palo e...»

«Aspetta un secondo» lo bloccò il batterista incredulo «Mihalov, il tecnico delle chitarre? Quel bruttone russo?»

«Sì. La stava schiacciando contro un palo ed io ho pensato a chissà cosa... invece, dopo aver fatto la figura del coglione ed averla fatta piangere, lei mi ha detto che...» fece un respiro profondo per far sbollire il sangue «è stato Mihalov a segnarla». Un freddo polare sembrò calare nella stanza dopo quelle parole così scottanti; Tommy aveva gli occhi spalancati per la sorpresa e Nikki la frangia calata sugli occhi, a nascondergli quei preziosi smeraldi iniettati di sangue. Dopo un silenzio che parve interminabile, il bassista parlò con voce profonda e decisa: «Ho bisogno del numero di Fred... tu ce l'hai, vero Tommy?»

«Quello di Fred Saunders? Certo, ce l'ho a casa»

«Anch'io l'ho segnato sulla rubrica a casa. Non lo ricordi a memoria?» strinse i denti il bassista mentre aggrottava le sopracciglia. Tommy scosse la testa aspettandosi che Nikki perdesse il controllo da un momento all'altro; al contrario, il bassista disse: «Senti, non mi va di lasciarla andare a casa da sola, quel fottuto avvoltoio potrebbe seguirla e fare di nuovo casino; direi che non è il caso. La porto a Van Nuys da me e la faccio dormire lì, così chiameremo Fred dal mio telefono»

«E il pezzo che stavamo terminando?» cercò di replicare Tommy, ma Nikki rispose: «A casa mia il piano c'è, quindi non avremo problemi di nessun tipo. Sarà Mihalov ad avere qualche problema». Ghignò malamente; era l'espressione che gli riusciva meglio in assoluto: alzare solo un angolo della bocca e socchiudere gli occhi mentre emetteva una risata spezzata e roca. Mentre si immaginava il destino della brutta copia del frontman dei Metallica, Rea bussò sul vetro dicendo: «Sono pronta». Tommy rientrò in sala lasciando Nikki solo dietro al mixer: «Ok» si udì dall'interfono «anche se Werman non c'è, possiamo iniziare ugualmente a registrare. Mettetevi le cuffie»; Rea si mise dietro il microfono mentre Tommy si sedette al pianoforte. La voce del suo ragazzo le arrivava dolce da dentro quelle conchiglie di plastica: «Ricordi la canzone vero?»

«Certo» disse lei facendogli l'occhiolino

«E allora lasciati andare» sussurrò lui da dietro il vetro premendo play.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Appena il nastro è partito ho chiuso gli occhi e sono entrata in un universo parallelo: mi sentivo bruciare dentro, era come se fossi una stella in mezzo allo spazio gelido ed avessi il compito di riscaldare tutto quello che mi stava intorno. Ho lasciato fuoriuscire il calore tutto insieme, ho iniziato a cantare quasi senza accorgermene; mi sentivo leggera e ardevo insieme. Ero una fenice che risorgeva dalle proprie ceneri. Qualcuno aveva provato a mettermi fuori combattimento, ci era quasi riuscito; ma con l'aiuto di una persona speciale e della sua musica, sono risorta, più forte di prima. La musica mi avvolgeva come un manto caldo ed io tenevo le mani sulle cuffie schiacciandomele contro il capo per immergermi dentro quell'armonia così graffiante come se dovessi tuffarmi nell'oceano, come se dovessi trapassare una nuvola da parte a parte. Cantavo come mai avevo cantato in vita mia; cantavo senza pensare che lo stavo facendo. Cantavo con l'anima e quasi non me ne accorgevo. La mia voce librava nell'aria come una farfalla che, agile, salta di fiore in fiore; ma allo stesso tempo era forte, piena come quella di una sirena. Cantavo con gli occhi chiusi, il mondo intorno non esisteva; c'era solo la mia anima che volteggiava nell'aria riempiendo lo studio.


Il pezzo finì; Rea aprì gli occhi lentamente lasciando che le pupille si adeguassero nuovamente alla luce e Tommy si tirò indietro la chioma ondulata che, a furia di picchiettare sul pianoforte, gli era finita tutta davanti al viso. Entrambi guardavano in direzione di Nikki che, trionfante e con un sorriso a trentadue denti, applaudiva da dietro il vetro senza che nessuno lo potesse sentire e alzava il pollice. La ragazza adagiò le cuffie mentre Tommy esclamava: «Dio, ma dove hai imparato a fare queste cose?»

«Sono andata bene?» chiese lei mentre la felicità le illuminava il viso. Il batterista si alzò dallo sgabello senza dire nulla per andare ad abbracciarla, cogliendola completamente di sorpresa; Nikki, vedendo che l'amico si era leggermente allargato, entrò in sala dicendo: «Ma che cavolo fai?». Di tutta risposta, Tommy, felice come una Pasqua, alzò la ragazza e la lanciò contro il gemello facendo cadere entrambi rovinosamente per terra: «Bro, non sei nemmeno capace di prendere le persone al volo. Ma una cosa è certa: la tua donna canta da dio!»; era contento come un bambino che ha ricevuto da Babbo Natale ciò che desiderava di più. Nel frattempo Nikki stringeva i denti, dolorante per la botta che il suo fondo schiena aveva appena dovuto sopportare: «Tua madre non ti ha mai detto che non si lancia la gente? Lei non è mica una palla!» sbraitò all'amico prima ancora di essersi reso conto che la sua ragazza gli era completamente sopra, dolorante almeno quanto lui. Rea gli si aggrappò alle spalle cercando di sedersi ma un dolore molto forte al ginocchio destro la bloccò; fu allora Nikki che la strinse fra le sue braccia e la fece sedere insieme a lui: «Fiamma, ti ha fatto male?»

«Il ginocchio... faccio fatica a piegarlo»

«Fammi vedere...» si preoccupò lui che subito dopo urlò: «T-Bone, brutta testa di cazzo, prendi del ghiaccio, veloce!». Nikki cercò di arrotolare in su i jeans della sua ragazza, senza purtroppo riuscire nell'impresa dato che erano troppo aderenti; scosse la testa rassegnato: «Mi spiace, volevo vedere se era tanto grave»

«Ma no» cercò di rassicurarlo lei allungando la mano per accarezzargli il polso «vedrai che sarà solo una botta». Nikki girò leggermente la testa verso di lei, con il viso che gli avvampava; cercò di nascondere le guance rosse dietro la frangia corvina anche se non era lunga abbastanza. Ogni contatto, anche leggerissimo, con la sua pelle lo faceva saltare in aria: era come se lui fosse fatto di erba secca e lei, con ogni piccolo sfioramento, era come se gli gettasse addosso un fiammifero che innescava un incendio nel suo cuore. Sentiva tutto il calore che lei gli donava e lui stesso voleva donare calore a lei, alla sua Rea; si avvicinò e la strinse al petto più forte che potè, chiudendo gli occhi e sentendo che tremava sempre più mentre il suo profumo forte ed inebriante gli penetrava nel corpo fino ad ipnotizzarlo. Non si credeva ancora capace di provare sensazioni simili, si sentiva catapultato indietro nel tempo, ai tempi della sua prima cotta; solo che fra le sue braccia non c'era la sorella di uno dei suoi amici, c'era quell'angelo dai capelli color della notte che aveva il potere di farlo sentire vivo. Non voleva smettere di respirarla, non voleva che il suo cuore rallentasse; desiderava solo che il tempo si fermasse per tenerla stretta a sé sempre, per baciarla senza conseguenze. “Sei la persona più preziosa che ho, non sopporterei mai l'idea che tu possa allontanarti da me. Io ti voglio, senza di te sono morto. Ecco perchè ho paura di donarmi a te; sarà da codardi, forse anche un po' da stronzi, ma l'idea che forse ci allontaneremo per mesi, oppure che tu sia in tour con me e dovrò farmi qualche groupie, ti giuro, mi spezza il cuore (almeno, ora come ora penso di averlo un cuore; tu me l'hai fatto scoprire). Eppure io ti guardo mentre ridi, mentre osservi ciò che ti circonda, mentre mi rimproveri o mentre piangi ed ogni volta, ogni momento vorrei fare la stessa cosa: chiuderti quelle labbra con un bacio. Voglio sentire il sapore della tua pelle, voglio che il sapore di Rea mi si attacchi alla lingua e diventi il mio nutrimento preferito. Eppure non ti bacio, soffrirei troppo. Ti farei soffrire troppo”.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Vorrei averlo per me, vorrei che fosse solo mio. Però so che non devo cedere a quel desiderio che, ogni giorno che passa, diventa sempre più forte; non posso baciarlo, non devo baciarlo. Se, in un primo momento, potevo avere il dubbio che lui stesse solo giocando con me, ora sono sicura che fra di noi c'è qualcosa di davvero unico e speciale; eppure non voglio baciarlo, non voglio che lui mi baci. Il tour, le groupies, la droga... troppe cose da sistemare, troppi fantasmi da cancellare. Ma solo io penso di sapere come sono su di giri quando lui mi stringe a sé e riesco a sentire il suo cuore palpitare.


Nikki allentò la presa nel sentire la porta della sala aprirsi e nel vedere l'amico entrare con un secchiello per il ghiaccio: «Dove hai la bua, Rea?» chiese il batterista con voce quasi infantile; il bassista gli levò di mano il contenitore e lo rimproverò sonoramente: «Era proprio necessario scaraventarla addosso a me? Che poi... che cazzo ce ne facciamo di un secchiello per il ghiaccio se non abbiamo nemmeno una merda di tovagliolo dove mettere i cubetti?»

«Stai calmo bro, porca puttana! Sembri mia madre in menopausa!» gli rispose Tommy che subito riprese con tono più basso: «Lo riporto indietro al bar?»

«Ovvio che sì, andiamo da me adesso» sentenziò il bassista

«Io dovrei tornare a casa...» cercò di ribattere Rea ma Nikki la interruppe: «Non mi fido a mandarti a casa da sola sapendo che Mihalov è in agguato. Lui sa ancora dove abiti e potrebbe venire a cercarti. È meglio che passi la notte da me»

«E come facciamo con Werman?» domandò la ragazza stringendo i denti dopo essersi massaggiata il ginocchio

«Gli lasciamo un bigliettino sul mixer dicendogli di ascoltarsi la traccia finita» disse Nikki facendo spallucce. Il ragazzo l'aiutò ad alzarsi da terra mentre lei mugolava per il dolore ed iniziarono a dirigersi verso l'ascensore; nel frattempo Tommy, che aveva riportato indietro il secchiello del ghiaccio, era riuscito ad estorcere al barista l'indirizzo di casa di Yuri. Mentre saltellava giù per i gradini per andare a prendere la moto, T-Bone bofonchiò fra sé: «Chissà cosa starà frullando nel cervello di Nikki».


* * *


Rea era crollata sul divano non appena Nikki l'aveva posata; era esausta. Troppe emozioni forti in un arco di tempo ristretto. Il bassista era poggiato alla coda del pianoforte che aveva nell'ampio salotto ed osservava da lontano la sua ragazza, il cui viso era flebilmente illuminato da una candela che aveva lasciato sul tavolino basso. Tommy, nel frattempo, aveva preso in mano il telefono e l'aveva allungato all'amico: «Avanti bro, hai tutto il mio sostegno». Senza proferire parola, il bassista compose il numero di Fred Saunders continuando a tenere lo sguardo fisso su Rea; in macchina, sulla strada del ritorno, lui le aveva detto che Yuri doveva pagare per la sua enorme cazzata. Lei non disse né sì né no, gli disse solo: «Ti prego Nikki, non fare stronzate». Ma quella non era una stronzata. Quella era una fottuta vendetta perchè nessuna ragazza, tanto meno Rea, doveva subire ciò che quel giorno le aveva fatto Mihalov. “Chi la fa l'aspetti, faccia di merda” pensò il bassista mentre premeva nervosamente i tasti; due squilli suonarono a vuoto, al terzo Fred rispose: «Chiunque tu sia, spero tu abbia una valida ragione per chiamarmi a mezzanotte passata»

«Fred, sono Sixx» disse grave il ragazzo

«Ehi! Come va, amico?» il tono di voce del motociclista cambiò radicalmente

«Devi farmi un favore» continuò Nikki non rispondendo alla domanda. Fred si zittì per un momento, poi sussurrò qualcosa tipo: «Dolcezza, torno subito», fece qualche passo e disse: «Di che si tratta?»

«Devi distruggere le rotule di una persona». Fred non reagì immediatamente alla richiesta, tant'è che Nikki pensò che fosse caduta la linea: «Fred ci sei?»

«Ma che è successo?» chiese il gorilla sommerso dai dubbi

«Te lo spiegherò domani o appena ci vediamo. Comunque questa persona rientra a casa verso le due, abita al 3225 sul South Beverly Glen Boulevard. Assomiglia a James Hetfield. Vai lì anche con qualche amico e, fammi un favore: massacratelo»

«Va bene, chiamo Hector e parto subito» ora anche la voce di Fred era grave. Nikki concluse con: «E digli, prima di iniziare a dargliele, che Nikki Sixx gli dice di dare un bacio d'addio alle sue ginocchia»

«Tranquillo, ci penso io». Riattaccò e di nuovo quel ghigno che tanto gli riusciva bene gli si dipinse in viso; poggiò il telefono e Tommy gli disse: «Suoniamo con la sordina, così non la svegliamo». Nikki annuì; l'amico riprese: «Come mai vuoi guardarla mentre componi?»

«Mi ispira». Si avvicinò a lei e le carezzò il viso sussurrandole all'orecchio: «E' finita, Mihalov la paga stanotte. Puoi smettere di soffrire, fuoco mio»; posò le labbra rabbrividendo sulla tempia sinistra di Rea. Si alzò, guardò T-Bone e disse: «Riscriviamo le lyrics dall'inizio»

«Perchè scusa?» domandò l'amico sbalordito

«Perchè ho un'idea migliore». Il batterista poggiò le lunghe dita sulla tastiera del pianoforte e suonò di nuovo la melodia che era nata quel pomeriggio in studio e che aveva continuato a suonare fino a quel momento; Nikki si sedette a terra con un blocco di fogli in mano ed iniziò a scrivere versi a raffica. La rabbia gli stava dettando il testo parola per parola; pensava a Mihalov che aveva stuprato Rea, pensava a lui che immaginava che lei lo avesse tradito (giustamente, come si fa a stare con una persona che è più simile ad un animale?) e che, in preda all'ira più cieca, la uccideva. Pensava che Mihalov aveva ucciso la sua ragazza due volte: la prima con quell'inutile violenza, la seconda metaforicamente nel testo della sua canzone: “Grazie a Dio, non potrai ucciderla la seconda volta, figlio di puttana che non sei altro”. E mentre “You're All I Need” veniva fermata su carta e canticchiata a bassa voce in quel salotto a Van Nuys dai due ragazzi, un'ambulanza percorreva a sirene spiegate il Sunset Boulevard in direzione dell'ospedale più vicino.


NOTE:

London: band in cui militava Nikki Sixx prima che fondasse i Mötley Crüe.

Razzle: ex batterista degli Hanoi Rocks che perse la vita in un incidente automobilistico per colpa di Vince Neil che guidava in stato d'ebbrezza.

Billboard: rivista americana che fornisce la classifica di dischi più dettagliata in assoluto.

James Hetfield: cantante e chitarrista ritmico dei Metallica.


Eccomi di ritorno con questo capitolo un po' violento: Yuri fa una breve comparsa che lo fa entrare subito nelle antipatie di Nikki che gliela fa pagare cara e salata; ovviamente, chi meglio del nostro Fred Saunders poteva prestarsi come esecutore di questo lavoro sporco? Poi siamo riusciti a scoprire perchè i due vorrebbero baciarsi ma non lo fanno... il dubbio è sempre quello: Rea andrà o no in tour con il suo ragazzo? Spero di non aver deluso nessuno di voi con questo capitolo che è stato scritto fra tre esami; aspetto le vostre recensioni, di qualunque sfumatura esse siano ;) Grazie mille a tutte le ragazze che mi seguono assiduamente: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, Mars from the stars, alemagica88, Alison_95, Cri cri, dudy, elliehudson, Kate_88, kay89, key17, LadyMars, marziolina86, sailor crystal, Moon 91, lulu85, pianistadellaluna, RocketQueen_ e Mipufstar. Grazie al mio ragazzo che sta leggendo la storia e grazie anche a chi si sofferma a leggere questo mio delirio. A presto (spero, esami permettendo), Ellie

P.S. Ho appena aperto su Facebok la mia pagina autore; chiunque voglia farci un salto, segua questo link



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Capitolo 18
*** Sure Feels Right ***


18 Sure Feels Right

Un timido raggio di sole filtrò da una fessura fra le pesanti tende di velluto cremisi ed andò ad accarezzare le palpebre di Rea; istintivamente la ragazza aggrottò le sopracciglia ed iniziò a svelare gli occhi scuri. Battè le palpebre ripetutamente mentre la stanza intorno a lei prendeva forma: un tavolino basso, un persiano, un blocco di fogli con una penna sopra; Nikki l'aveva adagiata sul divano con una coperta di lana e l'aveva lasciata lì a dormire. Si stiracchiò, poi scese dal divano dirigendosi verso la finestra aprendola leggermente; una sferzata di aria fresca ed ancora umida dalla notte precedente le accarezzò il viso mentre guardava Spank che giocherellava nel prato, intento probabilmente a fare amicizia con qualche lombrico. Sorrise nel vedere il cagnolino che, con le zampine sporche di fango, cercava di sollevare il “nuovo amico” da terra senza riuscirci; Spank, sconsolato, abbassava le orecchie tutte le volte che l'animaletto gli scivolava via: «Uffa». Rise sottovoce richiudendo le imposte ed iniziando a vagare con gli occhi per la stanza alla ricerca del suo ragazzo senza trovarlo; scostò così le tende per far entrare più luce nel locale e si diresse in cucina alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. L'orologio di plastica nera vicino al frigorifero segnava le nove e mezza del mattino: “Chissà se ha qualcosa da mangiare... o almeno una bustina di tè” rimuginava Rea aprendo le ante dei mobili, quasi tutti vuoti e con gli scaffali impolverati “Si vede proprio che in questa casa manca un tocco più... femminile”. A quel pensiero si bloccò per un momento mentre un'immagine tanto nitida quanto fugace le attraversava la mente come un flash: lei e Nikki nello stesso letto la mattina, in quella grande villa a Van Nuys; scosse la testa velocemente e si strofinò gli occhi quasi come se volesse cancellare quella fotografia mentale: “Oh, ti prego” si disse “ma che ti viene in mente...” anche se, in fondo, era cosciente del fatto che non le sarebbe dispiaciuto affatto. Anzi, forse, in quel momento, era il suo desiderio più grande. Alla fine trovò del succo d'arancia che bevve insieme ai biscotti che Nikki aveva comprato a Spank; paradossalmente, erano anche i biscotti preferiti di Rea, quelli al burro e alla vaniglia. La cosa la fece sorridere: “Forse, siamo più in sintonia di quanto pensiamo”; si sedette in solitudine al grande tavolo e, fra un boccone ed un bicchiere di succo, iniziò a farsi delle domande.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Forse l'atteggiamento che sto mantenendo nei suoi confronti non è così “giusto”. Voglio dire, siamo coscienti tutti e due del fatto che fra di noi c'è un'intesa particolare; perchè, allora, continuiamo a rincorrerci? Perchè tutta questa timidezza da parte di entrambi? Il motivo c'è (parlo per me stessa): ho paura di ferirlo, paura che se ci avvicinassimo, poi soffriremmo entrambi; lui in tour sarà costretto a farsi almeno toccare da altre donne mentre io starò in disparte a “godermi lo spettacolo” perchè non dovrà emergere PER NESSUN MOTIVO che io e lui stiamo insieme. Hai presente il putiferio che scoppierebbe? Non si possono portare mogli e compagne in tour... La cosa non mi va giù; penso che non andrebbe giù a chiunque. Ma già il fatto che lui mi ha detto che farà di tutto per portarmi dietro significa che ci tiene, significa che, molto probabilmente, prova lo stesso sentimento che provo io ed ha paura di farmi del male. Ora il punto è: dobbiamo continuare su questa lunghezza d'onda oppure è arrivato il momento di smuovere un po' le acque?


Masticava lentamente cercando inutilmente di trovare una risposta ai suoi interrogativi, ma tutto appariva così dannatamente ingarbugliato; sospirò pesantemente posando il bicchiere nel lavandino: “Va bene, mettiamola così: devo smetterla di torturarmi il cervello... cercherò di essere più come Bunny, mi farò guidare dall'istinto. Speriamo di non combinare disastri”. Si diresse verso la camera di Nikki strisciando i piedi sulle piastrelle per non infrangere il silenzio che avvolgeva la villa. Trovò la stanza con la porta socchiusa; un brivido le percorse la schiena facendola vibrare come la corda di una chitarra. Spinse la porta come se avesse dovuto spostare un macigno. Nella penombra della camera da letto, una figura giaceva sul matrimoniale con le braccia e le gambe aperte producendo suoni vibrati e profondi: Nikki si era addormentato supino con la bocca aperta, in quella posizione che tanto ricordava una stella marina; russava come un trattore. Rea si portò una mano alle labbra ridendo sottovoce e scuotendo leggermente la testa: era buffo e, nello stesso tempo, era anche bello e piacevole; i capelli spettinati che si adagiavano sul guanciale abbinati a quella strana posizione lo facevano sembrare quasi un cucciolo di qualche animale. Superata questa prima fase di intenerimento, Rea guardò il ragazzo con occhi diversi, gli occhi di una donna che osserva l'uomo che le interessa: Nikki in quel momento di completo relax era così... unico. Nessuna parola era in grado di spiegare cosa balenava per la testa di Rea in quell'istante ma il corpo rispose incendiandosi, scaldando la pelle, facendole mordere le labbra, annodandole lo stomaco. Si avvicinò in punta di piedi al letto e si sedette sul bordo senza staccare gli occhi dal viso del suo ragazzo; rimase per un attimo bloccata, in preda all'indecisione. Con i palmi si aggrappò nervosamente al materasso: “Dannazione, cosa faccio adesso?”. Strizzò le palpebre cercando in qualche modo di scaricare la tensione ed il dolce viso di Bunny le si dipinse su quella superficie scura: lei con il suo sorriso splendente, con i suoi odango colore dell'oro, con i suoi occhi colore del Pacifico, con la sua semplicità ed immediatezza. Quella figura le fece l'occhiolino e questo bastò alla bella bruna per farsi coraggio; fece un respiro profondo e decise di agire come se fosse la sua migliore amica, liberandosi così della rigidità che la contraddistingueva: allungò la sua mano destra ed accarezzò dolcemente il viso di lui, sfiorando la barba appena incolta con i polpastrelli. Nikki, da parte sua, russò più violentemente di prima e si girò su un lato continuando a dormire; la ragazza ritrasse la mano, come se avesse avuto paura: “Ma che sto facendo? Non posso farmi intimorire così io...” un brivido le scosse le membra ed il cuore le mancò un battito, quasi non poteva credere a quello che stava ammettendo: “Io voglio accarezzarlo”. La sua mano calò di nuovo sulla guancia leggermente ispida ed iniziò a disegnare motivi contorti; quel contatto era meraviglioso, sentire quei peletti duri sfregarle contro la sua pelle morbida la scuoteva dall'interno. Era così devastante ed insieme così magnifico; quasi le mancavano le forze, ma sentiva che, se avesse smesso di muovere le sue dita su quella guancia, non se lo sarebbe mai perdonato. Non si accorgeva, ma più carezzava quella pelle, più un sorriso scintillante le si disegnava in volto; ma non era un sorriso largo e forzato, era piccolo ma dannatamente intriso di emozione. Nikki arricciò il naso ed aprì gli occhi; quasi come fosse stata colta in flagrante a rubare la cioccolata, Rea levò subito la mano dal viso del ragazzo sentendosi avvampare le guance. Il bassista si rimise supino, sbadigliò e chiese con voce impastata: «Che ore sono?»

«Sono...» Rea faceva fatica a respirare.


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Il fuoco che mi avvolgeva in quel momento mi stava privando dell'ossigeno che avevo bisogno per respirare; davanti a me non vedevo che fiamme. Non c'era via di scampo. Eppure, sentirsi soffocare perchè Nikki era davanti a me e mi stava guardando con i suoi occhi profondi e percepire il cuore che correva nel petto perchè le scorte di gas vitale si stavano esaurendo... beh, quella era la morte più dolce che avessi potuto desiderare.


«Sono le dieci» la ragazza sorrise di nuovo con il fiato corto; poi, fece una cosa di cui lei stessa si stupì: la sua mano scivolò furtivamente verso quella di Nikki e, per la prima volta, gliela strinse mentre un sentimento particolare iniziava a farsi strada dentro di lei. Non appena incontrò la sua pelle calda, il viso le diventò del colore di una fragola, eppure, per la prima volta nella sua vita, non si rimproverò per quel gesto che, altrimenti, avrebbe ritenuto avventato o inutile; si sentiva bene, il contatto con lui la faceva sentire bene. Ed andava bene così. Nikki accolse le dita di Rea fra le sue, come se stesse aspettando quella sensazione da un tempo infinito; non le strinse con violenza, le accarezzò piano e con dolcezza, facendo scorrere i suoi polpastrelli callosi su quelle mani da artista così affusolate e perfette. Senza che se ne rendesse conto, si portò la mano della ragazza alle labbra per lasciarci sopra un piccolo marchio invisibile quanto indelebile: “Hey, Sixx...” lo chiamò una delle sue tante vocine, ma Nikki non rispose “Base terra chiama Sixx, ripeto, base terra chiama Sixx, rispondi cerebroleso di un cretino! Pronto? Ma che cazzo stai combinando?”

Zitto e non rompere” rispose il bassista mettendo a tacere il suo cervello. È vero, ciò che stava facendo non era da lui; ma non gliene importava un cazzo. Quel piccolo gesto lo aveva fatto perchè aveva voglia di farlo e non si era pentito. Ed andava bene così. Dopo aver assaporato quella pelle così morbida e dolce, il ragazzo disse con voce cavernosa: «Ho ancora sonno, vorrei dormire»

«A che ora sei andato a letto?» domandò lei; il bassista inarcò le labbra verso il basso ed alzò gli occhi: «Saranno state le quattro circa»

«E cosa hai fatto fino a quel momento?»

«Io e Tommy abbiamo finito una canzone e...» Nikki fu interrotto dallo squillare del telefono «Rispondi tu per favore? Se mi cercano di' che sono uscito e che non sai quando torno» disse girandosi su un lato e rimettendosi a dormire. Rea tornò nel salotto dove prese il cordless; dall'altro capo del filo, la voce di Morea urlò: «Ah, Fiamma, non crederai a quello che sto per dirti! Anzi, accendi la tele sulla NBC»

«Ma che diavolo sta succedendo?» domandò la ragazza aggrottando le sopracciglia ed afferrando il telecomando

«Tu fai veloce! Accendi e senti cosa stanno dicendo al notiziario». Le immagini attraverso il tubo catodico diventarono sempre più nitide e l'audio più comprensibile: “Scellerata aggressione nella notte a Los Angeles nei pressi del Beverly Glen Boulevard ai danni di un ragazzo di origine slava. Il poco più che venticinquenne è stato aggredito con spranghe e mazze da baseball da due uomini di cui non si conosce l'identità poiché avevano il viso coperto da un passamontagna; il giovane, Yuri Mihailov, è ricoverato all'Hollywood Community Hospital con entrambe le ginocchia gravemente lesionate”. Rea rimase pietrificata; Morea, dall'altro capo del filo, domandò: «Fiamma, sei ancora lì?»

«Qui, qualcuno mi deve delle spiegazioni» sibilò la ragazza. Chiuse la comunicazione e si fiondò nella stanza del bassista che aveva ripreso a russare beatamente: «Nikki!» lo chiamò a gran voce «Sicuro di essere rimasto qui ed aver composto tutta notte?». Il ragazzo alzò un sopracciglio e sbirciò dalla palpebra semiaperta: «Certo... perchè?»

«Come perchè!» il tono della voce trasudava inquietudine «Ho appena sentito al notiziario che Yuri stanotte è stato aggredito e che ora è in ospedale con le gambe fracassate». Nel sentire quelle parole, Nikki schizzò a sedere: «Oh...»

«Beh, allora? Sicuro di essere stato qui con Tommy tutta la notte a comporre? Oppure...»

«Diciamo che...» esitò il ragazzo «... ho i miei collaboratori e Fred Saunders, a cui tu hai rifatto la moto, è uno di quelli». Rea si lasciò cadere sul letto facendo ondeggiare le lenzuola: «Tu hai mandato delle persone a picchiare Yuri?»

«Certamente» sentenziò Nikki. La ragazza lo fissò con quei grandi occhi neri smarriti che esigevano spiegazioni; il bassista continuò: «Mi sembrava il minimo. Ha fatto una cagata colossale ed è giusto che abbia pagato; chi la fa, l'aspetti... non sei d'accordo?». Rea non rispose immediatamente, si sdraiò sul materasso di fianco a lui e sussurrò: «Nikki, io te l'avevo detto di non fare stronzate! Lui ha sbagliato, ma non è con la violenza che si risolvono le cose... con quel gesto rischi di passare tu dalla parte del torto». Nikki seguì Rea sul materasso; ritrovarsi a pochi centimetri da quel viso lo mandava in escandescenza. Lei era bella; dentro, fuori, ovunque. Iniziò a sentirsi piacevolmente teso e con una strana sensazione di claustrofobia; si tuffò dentro quel nero venato di indaco e disse, quasi come se stesse recitando una poesia: «Hai ragione, con la violenza non si risolve nulla, ma nemmeno con la passività si giunge al rispetto. Hai visto ieri sera come ti ha trattata? Di come si è permesso di approfittare di te? Bisognava fargli capire che non si trattano le persone come stracci...» e lì si bloccò, con una frase ancora ancorata alla punta della lingua. La ragazza era rimasta incantata nell'ascoltare quelle parole e quell'improvvisa interruzione le fece sbattere le palpebre velocemente un paio di volte, come se volesse dirgli “Ti prego, continua”; Nikki mosse a vuoto la mandibola per un secondo, poi con un filo di voce disse: «... insomma, tu non sei uno straccio... e se anche lo fossi, saresti... saresti uno straccio bellissimo». Resosi conto dell'insensatezza di quell'ultima frase, il ragazzo abbassò gli occhi ed iniziò a guardarsi i piedi mentre, dal suo cervello, il coro di vocine che lo popolavano scoppiò in una fragorosa risata: “Oddio, aspetta un po' Sixx, cos'è lei? UNO STRACCIO BELLISSIMO! Ha! Proprio un bel paragone, ogni ragazza vorrebbe sentirsi dire che è un straccio... ottimo lavoro idiota!”. Proprio mentre quell'ammasso di neuroni bruciati gli stava puntando contro il dito e gli sghignazzava apertamente in faccia facendolo sentire una merda, Rea iniziò a ridere sottovoce; Nikki la guardò con uno sguardo a metà fra la vergogna e la supplica di avere pietà di lui e della sua mente bacata. La ragazza disse: «Beh, non è esattamente la frase che ogni ragazza vorrebbe sentirsi dire però... capisco ciò che vuoi dire e... insomma...» in un attimo diventò paonazza «sei carino e dolce... grazie Nikki». Il ragazzo rimase senza parole e con gli occhi verdi sgranati: “Io carino e dolce? Era da quando avevo due anni che nessuno mi dice più queste cose... non so se è un bene o un male. Insomma, per la posizione lavorativa che ricopro è assolutamente un male! Sono un cazzone di prima categoria e non posso permettermi di essere carino e dolce, ne va della mia immagine di divoratore di donne. Che poi, sono mai stato divoratore di donne? Forse, tempo fa, ancora prima che mi buttassi a capofitto nella cocaina, lì sì che le ragazze me le sceglievo come dicevo io e trombavo con chi davvero mi andava. Poi è arrivata la coca, con la coca il delirio, con il delirio le feste, poi l'incidente, il dolore che non se ne va e, alla fine, l'eroina. Le ragazze chi le cagava più, era sempre meglio farsi una dose di coca, impazzire e poi spararsi in vena l'eroina per calmarsi, piuttosto che farsi una groupie indemoniata che non vede l'ora di infilarsi il tuo pistone in bocca per bere quelli che, in fondo, potrebbero essere tuoi figli, no? Le donne parlano; forse anche troppo. La coca no e nemmeno l'eroina. La droga sta zitta. Meglio qualcuno che non crei problemi con le parole. Poi arriva quest'angelo dai capelli neri e... chissà perchè con lei non riesco a fare l'idiota. E non voglio nemmeno farlo. Lei... è magia pura”. Il flusso di pensieri di Nikki fu interrotto dalla voce di Rea che lo riportò alla realtà: «Allora, se sei stato in casa tutta notte, perchè non mi fai sentire la canzone?»; il ragazzo esitò: non voleva farle sentire il pezzo, aveva paura che avesse frainteso. Temporeggiò un paio di secondi, poi rispose: «S-sì, va bene, però prima... c'è bisogno di una premessa». Nikki si alzò dal letto e si diresse spedito verso il salotto dove andò a sedersi al piano; si passò nervoso le mani sul viso e guardò Rea che, silenziosa, l'aveva seguito. Le fece cenno di sedersi di fianco a lui su quello sgabello rettangolare laccato di nero; come se la ritrovò di fianco si fece inebriare dal profumo della sua pelle e dei suoi capelli, sentendo che le membra gli tremavano, il cuore gli esplodeva e il suo amico non era più così comodo nei boxer. “Controllati, cazzo, self-control! Prendi fiato e vai”; inspirò profondamente, riempiendosi di quell'aroma femminile così deciso ed unico, ed iniziò a dire, guardando il leggio su cui era rimasto il foglio con la partitura e le lyrics: «Stanotte ero incazzato nero. Quindi, alimentato dalla rabbia, ho scritto questo pezzo immaginando il momento in cui Mihailov ti ha fatto del male e che tu, arrabbiata con lui, abbia cercato un ragazzo con cui tradirlo»

Di' la verità, scimmione: vorresti essere tu l'uomo con cui Rea tradisce quel russo con la falce e il martello tatuati sul braccio?” si intromise il suo cervello. Nikki scosse fulmineo il capo per zittirlo; la ragazza arrossì alle ultime parole dette. Il bassista si ricompose e continuò: «Quindi lui, alla fine impazzisce e... ti uccide»

«Come mi uccide?» Rea schizzò in piedi, pronta ad insultare e a prendere a pugni il ragazzo

«Aspetta, non fraintendere!» esclamò Nikki mettendosi le mani aperte davanti al viso mentre guardava Rea in escandescenza «L'omicidio è metafora dello stupro... lui con quello ti ha allontanata e tu, da quel momento, puoi ritenerti libera. Questa è la canzone della tua liberazione». La ragazza aggrottò le sopracciglia: «Temo di non capire». Si sedette nuovamente di fianco a lui guardandolo perplessa; il bassista si alzò e le fece segno di sedersi al centro dello sgabello. Poi, dopo che lei si sistemò, lui si sedette dietro di lei, appoggiando il suo busto contro la massa di capelli corvini della ragazza ed allungò le mani verso la tastiera dello strumento mentre con le braccia sfiorava il corpo di Rea. Un sussurro all'orecchio destro bastò a creare l'atmosfera giusta: «Chiudi gli occhi e ascolta».


Domenica 8 marzo 1987, 4 pm

Avevo il suo viso appoggiato al mio e lui che mi ha detto di chiudere gli occhi ed ascoltare; ha aggiunto che non è un dio al pianoforte, che forse farà pure degli errori mentre suonerà, però vuole che io lo senta con tutta me stessa. Ed io, che in quel frangente non riuscivo nemmeno a reagire, talmente ero emozionata, talmente mi sentivo tremare dall'emozione e le mie arterie pulsavano al ritmo di un metronomo impazzito, ho chiuso gli occhi. C'è stato silenzio per un attimo, sentivo solamente lui respirarmi sulla guancia mentre si attaccava sempre di più con il suo corpo alla mia schiena, poi ha calato le dita sui tasti in avorio suonando il primo accordo della canzone. Suonava lentamente per evitare di sbagliare melodia e cantava nel mio orecchio con la sua voce così scura e profonda... da brivido.


Suonò fino alla fine del secondo ritornello, prima dell'assolo previsto che Mick doveva ancora scrivere; di nuovo ci fu silenzio mentre Nikki ritraeva le mani dalla tastiera ma, invece di portarsele ai fianchi, le poggiò entrambe sulle mani di Rea facendola sobbalzare leggermente: «Che ne pensi?» domandò con un filo di voce. La ragazza aprì gli occhi, si girò di poco per poter affondare il viso nell'incavo del collo del suo ragazzo e per potergli cingere il corpo con le braccia: «E' la ballad più crudele che abbia mai ascoltato in vita mia... però... solo ora ho capito che significato volevi darle. E ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me». Nikki rimase di nuovo a bocca aperta: “Cos'ha detto? Ti ringrazio? Incredibile, impossibile! Nessuno, mai, mi ha mai detto grazie... ma come fa lei ad apprezzarmi? Io...”

«Vuoi portarla in sala agli altri?» Rea lo riportò alla realtà

«Credo proprio che apprezzeranno» rispose Nikki meccanicamente; in quel momento voleva solo stare in silenzio ed ascoltare Rea che, senza parlare, gli trasmetteva tutto il calore che aveva dentro la sua anima. Anche lui l'abbracciò premendosela contro il petto, non vergognandosi di farle ascoltare il cuore che rimbalzava nel suo petto di rocker inflessibile come la pallina di un flipper. E così rimasero, immobili per alcuni minuti, su quello sgabello per pianoforte, mentre fuori Spank giocava con i lombrichi ed abbaiava felice al sole che stava asciugando il terreno.


* * *


Lunedì 23 marzo 1987, 7 pm

Domani parte... va via per più di una settimana. Va a New York. Mi manca già ora che sto scrivendo queste parole. Il disco ormai è finito, bisogna solamente farne il master e poi è pronto per essere lanciato sul mercato; ecco perchè va a New York insieme a Tommy, vuole seguire puntigliosamente la fase finale di quello che, secondo lui, è il miglior album dei Crüe. Il lunedì dopo quella domenica in cui mi ha suonato “You're All I Need”, è andato in sala ed ha proposto il pezzo; i ragazzi ne sono rimasti entusiasti e subito sono iniziate le registrazioni delle diverse piste del pezzo. Il venerdì il pezzo era ultimato e gli arrangiamenti sono stati aggiunti durante il weekend ed il lunedì successivo. Martedì sono iniziate le discussioni perchè il gruppo si è ritrovato con due ballad fra le mani: «Sono troppe per un nostro album» mi ha detto Nikki al telefono che in questi giorni non sto vedendo a causa di impegni universitari «una è sufficiente»; così “Rodeo” è stata sacrificata per lasciare spazio a “You're All I Need”. Nikki ha detto che è meglio che sia andata così, forse quella ballad che parla di smarrimento e di ripetitività del lavoro della rockstar è un po' sconveniente; meglio un pezzo “cruento” ma di cui solo io e lui conosciamo il significato intrinseco. Ad ogni modo, le bobine con le registrazioni sono pronte per essere portate nella Grande Mela e lui partirà con loro; l'idea non mi entusiasma, a New York succede di tutto (non che Los Angeles sia una città esente da peccati o cose simili) e non vorrei mai che... beh, puoi immaginare. Lo studio, il Masterdisk, è a sud di Central Park, nel bel mezzo di Manhattan; ottima zona per trovare locali di ogni genere, specie strip clubs. Però al tempo stesso sono contenta per lui, in questo periodo si è ripreso di molto ed anche la sua creatività si è risollevata alla grande; quindi è meglio che parta e che porti a compimento il suo nuovo disco. Spero solo di non scoppiare in lacrime domani quando accompagnerò lui e T-Bone all'aeroporto... che figura ci farei?


Come previsto, Rea parcheggiò la sua Ford Granada davanti a casa di Nikki alle sette spaccate; spense il motore e sospirò cercando di scaricare la tensione che si stava accumulando sempre di più ogni secondo che passava. Non poteva farsi vedere in quello stato, specialmente da Tommy; chissà cosa avrebbe pensato. Magari, con la sua peculiare delicatezza, avrebbe sfornato una delle sue esclamazioni come: “Ehi, tesoro, guarda che il mio bro non parte mica per il Vietnam! Quando tornerà a casa fra dieci giorni potrai scopartelo quante volte vorrai”. Strizzò gli occhi e digrignò i denti immaginandosi la situazione: T-Bone, ormai, aveva capito tutto; sapeva che lei era persa per lui ma sapeva anche che la cosa era reciproca, quindi cercava di spingerli l'uno verso l'altra improvvisandosi cupido. Di certo non aveva cattive intenzioni, si vedeva lontano un miglio che lui teneva da morire al suo cosiddetto “bro”; il problema del batterista, però, era il modo di comunicare, particolarmente scarno e rozzo, dunque capace di mettere in imbarazzo in situazioni delicate come quella. “Ma non si può dire che sia una cattiva persona” rimuginò fra sé Rea; poi, tutto ad un tratto, la sua attenzione fu attirata da due voci che discutevano animatamente fra loro. Guardò attraverso il finestrino del passeggero e vide i due amici uscire dalla grande villa con le loro valigie che si tiravano sberle a vicenda; Rea scosse la testa e scese dalla macchina per aprir loro il bagagliaio: «Possibile che voi due dobbiate essere guardati a vista, altrimenti vi picchiate come due bambini dell'asilo nido?»

«Ha cominciato lui!» esclamarono i due in coro indicandosi a vicenda

«Non me ne frega di chi è stato ad iniziare, caricate i bagagli e salite, sennò arriverete tardi per il check-in e addio volo». I due abbassarono le orecchie, caricarono in silenzio i loro trolley e salirono in auto; Nikki stava per puntare il sedile di dietro quando fu placato da T-Bone: «Dove credi di andare? Il sedile grande lo voglio tutto per me, tu vai davanti»

«E perchè mai?» domandò il ragazzo fissando l'amico da dietro la frangia nera che gli copriva lo sguardo

«Perchè tu soffri l'auto e alla prima curva diventi un idrante! E poi scusa, sali sulla macchina della tua ragazza e vai dietro? Fai il bravo e mettiti sul sedile del passeggero» il batterista spinse nell'abitacolo l'amico facendogli sbattere il sedere sulla leva del freno a mano e si affrettò a chiudere la portiera. «Sei un fottuto bastardo, T-Bone! Sei uno stronzo!» ululò Nikki mentre l'amico si accomodava sul sedile posteriore con un sorrisino idiota stampato in volto; Rea esplose: «Smettila di urlare, che cavolo! Legati che dobbiamo partire». Il bassista chinò il capo e corrugò le sopracciglia, mugugnò qualcosa a metà fra «Uffa» e «Che cazzo» e fece scattare la cintura di sicurezza. Rea girò la chiave, alzò leggermente il piede dalla frizione ma la gamba sinistra le tremava talmente tanto che la scarpa le scivolò del tutto e spense il motore facendo sobbalzare tutti verso il parabrezza. «Merda» sbuffò; era troppo nervosa. «Tutto bene?» chiese T-Bone aggrappandosi al poggiatesta del guidatore; la ragazza annuì in silenzio con gli occhi chiusi, cercando di ritrovare la concentrazione necessaria. La voce di Nikki le giunse alle orecchie come una melodia armoniosa: «Vuoi che guidi io?»; la ragazza respirò appieno quelle parole, prendendo tutta la dolcezza di cui erano cariche e facendone tesoro. Quella semplice frase era bastata a distenderle i nervi; sorrise, leggermente rossa sugli zigomi, e guardandolo in quegli smeraldi profondi, sussurrò: «Non ti preoccupare... grazie». Il motore rombò deciso e la macchina iniziò la sua strada verso LAX. Mentre percorrevano la I-405 S, il sole stava nascendo, colorando le piccole nuvole a batuffolo di un rosa intenso; Tommy premette la fronte contro il finestrino per guardare attentamente lo spettacolo: «Che figata! Certo che, certe volte, la natura è davvero meravigliosa»

«Ed io aggiungerei che certe volte la 405 è impraticabile e sembra di essere a San Francisco, talmente non si riesce a mettere a fuoco a più di pochi metri, guarda che schifo!» gli rispose Rea. Nikki se ne stava in silenzio, con le braccia incrociate al petto, guardando davanti a sé: “Lo smog qui è talmente fitto che sembra una tela grigia... per guardarci attraverso bisognerebbe squarciarlo con un coltello”; d'un tratto, dei versi si materializzarono nitidi nella mente del bassista:


The traffic's backed up on the 405,
And the smog's so thick you can cut it with a knife,
But it gives me time,
To think about my life”


Rea continuava dritta per la sua strada, concentrata sui cartelli che si susseguivano nel traffico, mentre faceva scivolare la mano destra sullo stereo per trovare la frequenza di KLOS; Nikki si perse completamente nel rimirare quelle mani perfette, capaci di disegni incredibili, per poi risalire lungo il braccio ed arrivare a guardarle segretamente il viso, serio ed impassibile, intento a studiare le traiettorie delle macchine di fronte a lei.


I take the 10 to the 5 to the 101,
I got a song sitting here on the tip of my tongue,
And the more I drive,
The more I feel alive.”


Si sentiva strano, ma non voleva nemmeno che la sensazione gli sparisse di dosso tutto ad un tratto. Forse era l'insieme delle cose: quell'alba così perfetta che colorava di sfumature pastello quel cielo che era sempre grigiastro, la soddisfazione di aver finito un nuovo disco e lei, seduta accanto a lui, che lo stava portando in aeroporto, che sempre gli era stata vicino nei momenti di difficoltà. Si ritrovò con un sorriso sincero tatuato in volto mentre T-Bone era intento a guardare le nuvole e la sua ragazza fissava dritta davanti a sé:


Well I don't know what you're doing to me,
But it sure feels right,
Well I don't know what you're doing to me,
But let's do it all night,
When the sunlight breaks through the LA sky,
For some damn reason it makes me smile,
And I don't know what you're doing to me,
But it sure feels right.”


I Sex Pistols riempirono le casse di quella macchina un po' sgangherata con il loro punk scarno e tagliente; Rea fece una smorfia continuando a tenere le sue perle nere fisse sulla strada. Non le piacevano, voleva togliere l'audio per pochi minuti, aspettare che la canzone finisse per poi alzare nuovamente i decibel ed ascoltare qualcosa di meglio; allungò le unghie lucide verso la manopolina del volume, quando le dita di Nikki si incrociarono con le sue. Un brivido le percorse la schiena mentre girava leggermente il capo verso il suo ragazzo che stava lì, di fianco a lei, con uno dei suoi sorrisi migliori: «Non cambiare... a me piacciono». C'era qualcosa di nuovo in quel tono di voce ed anche nei suoi occhi verdi quella mattina; sembravano più splendenti, più sinceri. Il cuore di entrambi si fermò per un attimo a quel contatto così piccolo. Rea si limitò a sorridere, non avendo parole capaci di esprimere quello che le stava alimentando il fuoco che sempre di più bruciava alto dentro le sue membra. Tornò a fissare la strada; ormai erano quasi arrivati al terminal. Pochi minuti dopo, scesero dall'auto in silenzio, cercando di passare il più inosservati possibile, e si diressero tutti insieme verso il banco del check-in; i due ragazzi si calarono gli occhiali scuri sul volto per evitare di essere riconosciuti e si legarono i capelli in una coda di cavallo: «Queste sono le precauzioni per evitare l'assalto dei paparazzi» spiegò Nikki a Rea che lo guardava con interesse raccogliersi quel cespuglio di capelli tinti di nero

«Fottute sanguisughe» gli fece eco Tommy. Eppure, in quel momento, i fotografi erano l'ultimo pensiero nel cervello di Nikki: “Forse in questo momento sto così bene che non me ne frega davvero un cazzo se mi fotografassero e schiaffassero il mio primo piano su una rivista di gossip”; così afferrò l'elastico che gli legava i capelli e se li sciolse. «Vuoi che ti rifaccia la coda?» domandò Rea incantata dal moto di quei fili corvini che riprendevano la loro forma

«Tranquilla» disse il bassista chinandosi leggermente verso di lei e stringendole le spalle con un braccio «oggi non ce n'è bisogno». Tommy squadrò l'amico dall'alto del suo metro e novanta e scosse la testa: «Però dopo non venire a piangere da me se trovi una rivista con su il tuo bel faccino»

«Bel faccino lo dici a tua sorella, chiaro?» si indispettì il bassista

«E che cazzo, come sei permaloso! Non ti si può dire mai niente! Ti va bene che c'è qui lei, sennò ti avrei riempito di botte» lo canzonò T-Bone. Nikki stava per mollargli uno spintone, quando l'amico gli diede le spalle e disse: «Vado a prendere qualcosa da bere... va bene Pepsi?»

«Per me Dr. Pepper» disse il bassista alzando il dito medio; poi si girò verso la sua ragazza che era lì e che lo fissava con quei grandi occhi d'ebano. Nikki, per la prima volta in vita sua, si sentì davvero in imbarazzo: non riusciva a sostenere lo sguardo di lei; le sue pupille vagavano sui bordi delle piastrelle del pavimento. Un silenzio imbarazzante scese fra i due; sia l'uno che l'altra pensavano a cosa dirsi prima di congedarsi. Rea chiuse per un secondo gli occhi, fece un respiro profondo, e si avvicinò a lui, alzandosi in punta di piedi per schioccargli un bacio vicino all'angolo delle labbra: «Mi mancherai» disse semplicemente mentre alcune lacrime iniziavano ad offuscarle la vista. Il bassista, in quell'istante, riusciva solo a sentire il cuore che gli martellava nel petto; non era in grado di mettere insieme parole o fare qualsiasi tipo di gesto. Tommy tornò come un fulmine con in mano due bottiglie di plastica da mezzo litro ciascuna: «Bro, muoviamoci, hanno chiamato il volo, dobbiamo andare». Nikki sbuffò vistosamente e fece una piccola smorfia; nel frattempo Tommy si affrettò a salutare Rea dandole un veloce bacio sulla guancia e dicendole: «Non temere per noi, faremo i bravi e saremo di ritorno il 3 aprile»

«Va bene e, vi prego, non fate stronzate» gli sorrise la ragazza cercando di non dare a vedere le lacrime che le facevano scintillare le venature indaco delle sue iridi; spostò di nuovo i suoi occhi su Nikki che continuava a guardarsi le punte degli stivali. “Ti prego, guardami prima che tu salga su quel dannato aereo” lo implorava Rea mentalmente “potrei morire se tu non lo fai”; il ragazzo si avvicinò goffamente a lei e l'abbracciò timidamente senza dire nulla, poi prese T-Bone per la manica e lo trascinò verso l'imbarco. “Stupido, idiota, folle, cazzone!” lo insultò il suo cervello. Rea rimase pietrificata davanti alla freddezza del suo ragazzo; deglutì a fatica sentendo un enorme nodo alla gola, ma si promise di non piangere: “Forse è solo imbarazzato dalla presenza del suo amico” si disse fra sé mentre guardava la sua massa di capelli neri mischiarsi alle teste delle altre persone. Nel frattempo, Nikki continuava a tenere gli occhi bassi vergognandosi di come si era appena comportato; fu Tommy a fargli risollevare il capo: «Bro, ti senti bene?». Nikki si schiarì la voce per mandare giù i sentimenti che gli stavano comprimendo le corde vocali: «Sto bene»

«Allora tira fuori il biglietto e il passaporto» gli disse Tommy picchiandogli amichevolmente la mano sulla spalla, facendo finta di non notare il suo malessere per avere lasciato la sua ragazza qualche metro più indietro senza nemmeno un po' di calore. Nikki, mentre allungava i documenti all'hostess, iniziò a pensare a raffica: “No, cazzo, non va bene. Io voglio partire ma, allo stesso tempo, voglio stare qui. Io voglio lei, la voglio cazzo, la voglio! Sixx, sembri un bambino che piange perchè vuole la mamma... ma perchè per una buona volta nella vita non ascolti i tuoi sentimenti di uomo e te la vai a prendere?”. Chiamata per il volo diretto all'aeroporto centrale di New York City. L'istinto si impossessò del corpo di Nikki che iniziò a correre, prendendo a gomitate tutti quelli che gli ostruivano il passaggio; «Dove cazzo vai?» gli urlò Tommy vedendolo scattare come un ghepardo. Lui non rispose, non aveva il tempo per farlo; doveva cercare lei, trovarla e dirle che ci teneva, che non voleva perderla. Aveva paura che se ne fosse già andata, amareggiata da quel suo comportamento così impacciato che non gli aveva fatto spiccicare parola; invece era ancora lì. Era rimasta nello stesso posto dove l'aveva lasciata, immobile, a guardare la sua sagoma che si confondeva con quella di tutta la gente che popolava l'aeroporto; la chiamò a gran voce per nome per farle capire che lui c'era, che la voleva. Quando Rea lo vide correrle incontro, le si accese una scintilla negli occhi ed il sole spuntò sulle sue labbra. Nikki l'afferrò per la vita e la strinse a sé, chiudendo gli occhi e poggiando le sue labbra su quelle della sua ragazza. Un bacio improvviso, delicato ed impetuoso allo stesso tempo. Rea lo strinse più forte che potè al suo seno, premendo le sue dita contro la giacca in pelle di lui che le accarezzava la schiena mentre le loro lingue giocavano senza prepotenza. Respiravano la stessa aria e bruciavano insieme senza che il mondo circostante se ne accorgesse; la staticità di un bacio immersa nella frenesia di uno degli aeroporti più trafficati del mondo. Le loro labbra non accennavano a dividersi, le loro mani cercavano il contatto con il corpo dell'altro, i loro occhi chiusi guardavano l'uno nel cuore dell'altro, scoprendo un sentimento magnifico a lungo rimasto nascosto.


Well I don't know what you're doing to me,
But it sure feels right,
Well I don't know what you're doing to me,
But let's do it all night,
When the sunlight breaks through the LA sky,
For some damn reason it makes me smile,
And I don't know what you're doing to me,
But it sure feels right.”


Era la sensazione più bella del mondo per entrambi, e di certo andava bene. Fu l'altoparlante che annunciava l'ultima chiamata per il volo per New York a sciogliere il loro abbraccio; Nikki guardò negli occhi Rea per l'ultima volta prima di ritornare dall'hostess: «Ne riparliamo quando torno, Fiamma mia». Poi un ultimo bacio fugace e la corsa verso Tommy che gli urlava: «Sixx, per dio, muovi il culo!». Il cancello fu chiuso e, circa venti minuti dopo, quel volo dell'American Airlines si innalzò come un albatro al di sopra della testa di Rea per iniziare il suo viaggio verso est. Le lacrime erano sparite dai suoi occhi e, più il sole sorgeva, più il suo viso era luminoso. In un attimo si rese conto che la sua vita stava cambiando e che poteva finalmente ricominciare a progettare il suo futuro in compagnia di qualcuno; alzò per l'ultima volta le sue iridi nere verso il cielo vedendo l'aereo farsi sempre più piccolo: «Ti aspetto Nikki... torna presto».


NOTE:

Il titolo del capitolo è ripreso dalla canzone omonima dei Sixx:A.M.; parti del testo di “Sure Feels Right” possono essere ritrovate scritte in corsivo nel corso del capitolo.

LAX: sigla per l'aeroporto centrale internazionale di Los Angeles.


Lo so, vi ha fatto aspettare tanto, però ammetto che è stato davvero difficoltoso scrivere questo diciottesimo capitolo, essenzialmente per un motivo: non me la cavo molto bene con le scene romantiche (mettetemi a descrivere un'esecuzione alla ghigliottina, ma un bacio, per me, è davvero un ostacolo quasi insormontabile). Mi aspetto critiche aperte per questo capitolo e sono prontissima ad accettarle; mi rendo conto che sono molto carente in questo settore quindi... sotto con i consigli :p Ci tenevo a ringraziare, come sempre, tutte quelle che leggono e recensiscono: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, Mars From The Stars, alemagica88, Alison_95, dudy, elliehudson, Kate_88, kay89, key17, LadyMars, lulu85, marziolina86, Rei_Hino, sailor crystal, Moon 91, pianistadellaluna, RocketQueen_ e MipufStar. Un ringraziamento particolare va a BrianneSixx che si è sparata a cannone 17 capitoli; altro ringraziamento va al mio ragazzo che, piano piano, si mette in pari con questo delirio. Grazie anche a tutti i silent readers e a tutti quelli che, fino ad ora, hanno joinato la mia pagina autore su Facebook.

Un bacio,

Ellie

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Capitolo 19
*** Sleeping In The Fire ***


19 Sleeping In The Fire

Giovedì 2 aprile 1987, 3 pm

Da quando è partito continuo a guardare il cielo, a seguire con gli occhi le scie lasciate dagli aerei; mi manca, eppure sono felice. Ancora non riesco a credere che... dio, sì, mi ha baciata cogliendomi completamente alla sprovvista; forse è per quello che mi è piaciuto così tanto. Ha cercato di chiamarmi sempre, nonostante il fuso orario; cercava anche di farmi sentire qualcosa per telefono ma l'acustica non era delle migliori. È dolce e gentile... non sembra nemmeno il Nikki Sixx che ho conosciuto al Roxy alla fine dello scorso agosto; fa tanto il duro e lo spaccone, ma è una delle persone più sensibili che io abbia mai avuto modo di conoscere. Si è aperto lentamente a me, eppure sono felice di conoscerlo per ciò che realmente è... lui è bisognoso e desideroso di affetto e deve essere rassicurato perchè è più incerto di quello che si crede. Mi piace questa sua personalità demistificata dal ruolo della rockstar; se non deve ricoprire quel ruolo, Nikki è di una dolcezza infinita e non ha vergogna di mostrare il lato più debole e delicato del suo carattere. Sembra un uomo di acciaio inossidabile, impossibile da smontare... invece, scavando, ha un animo delicatissimo, un cuore da coccolare e trattare con cura; quel cuore che lui dona incondizionatamente alle persone di cui sa che può fidarsi e che lui ti permette di toccare con le dita, per trasmetterti con quei battiti convulsi l'amore che prova nei tuoi confronti. In questi giorni non ho fatto altro che ascoltare i nastri che mi ha lasciato nella casella della posta e fissavo con occhi sognanti i coni delle casse immaginando il suo viso. Amy è stata la prima ad accorgersi del fatto che ero su un altro pianeta; pensava che stessi male, che avessi preso una botta in testa. Quando mi ha toccato la fronte per vedere se avevo la febbre ci è rimasta male talmente ero in escandescenza; continuavo a dirle che stavo bene, ma la mia amica ha insistito perchè mi facessi vedere da lei: «Tu dici sempre che stai bene anche quando hai la broncopolmonite e la febbre a quaranta» mi ha sgridata portandomi su in camera ed infilandomi sotto le coperte. Ha detto a Marta di correre a prendere la tinozza con l'acqua fredda mentre lei iniziava a trafficare con i suoi aggeggi che tirava fuori dalla piccola borsa in cuoio; come prima cosa mi ha infilato prontamente il termometro sotto la lingua e mi ha afferrata con la mano destra per il polso mentre agitava la mano sinistra per mettere in sede l'orologio e poter calcolare la mia frequenza cardiaca. Ho alzato gli occhi al soffitto e, con la mano libera, mi sono levata il termometro di bocca ed ho scosso la testa ridacchiando: «Amy... non credo proprio che sia un virus a causarmi questa “assenza”». I suoi occhi blu mi hanno guardata increduli mentre allentava la stretta dal mio polso; ho continuato: «Credo di essere nello stesso stato di salute in cui ti ritrovi anche tu quando devi uscire con Taiki». La mia amica è rimasta allibita per un attimo, poi mi si è avvicinata e mi ha chiesto sottovoce: «Ma che è successo?». Non le ho risposto subito, prima ho chiamato le altre e le ho fatte entrare tutte nella stanza; mi sono messa a sedere, le ho guardate tutte negli occhi e ho detto, mentre arrossivo in viso: «Io e Nikki ci siamo baciati». C'è stato un attimo di immobilità, poi Marta è esplosa, gettando in aria la tinozza piena di acqua gelida e bagnando la povera Bunny che le stava accanto: «Che notizia meravigliosa!»

«Meraviglioso un tubo, Marta! Mi hai bagnata tutta!» ha guaito la mia amica toccandosi la manica del maglioncino rosa fradicia mentre gli occhi le diventavano lucidi «Adesso mi verrà il raffreddore, poi non potrò uscire con Marzio e non potrò nemmeno andare a vedere la discussione della sua tesi di laurea all'inizio del mese prossimo». Bunny è scoppiata a piangere stritolandosi gli odango per scaricare la tensione; Morea le ha cinto le spalle e le ha detto con una semplicità disarmante: «Ma perchè non vai a cambiarti il maglione? Così possiamo scongiurare la possibilità di ammalarci». La biondina ha smesso di piagnucolare all'istante e l'ha guardata come se la bella mora avesse fondato una nuova legge scientifica: «E' vero, hai ragione!» ha detto scuotendo il suo ditino davanti agli occhi verdi di Morea. Tutte noi abbiamo scosso la testa rassegnate e ridacchiato nel vedere Bunny saltellare verso la sua camera per andare ad infilarsi una felpa asciutta; lo ammetto, certe volte è infantile, ma ce ne sono altre in cui dimostra una maturità incredibile. Bunny è unica, non ce ne sono di ragazze come lei.


Più tardi, 11.30 pm

Ho appena finito di parlare al telefono con Nikki. Il disco è finito, ora è solo da distribuire; dire che era in brodo di giuggiole è riduttivo. Mi ha detto che stava per uscire a cena con Tommy e gli altri per festeggiare e che domani dovrebbe essere a casa qui ad L.A. per le sei del pomeriggio circa... inizio a contare i minuti. Non vedo l'ora. Vado a dormire, così il tempo passerà più in fretta.


L'orologio digitale sul mobile del salotto bippò nel silenzio di quella casa di Bel Air facendo voltare di scatto la testa a Rea: “Le sei precise”; la ragazza si irrigidì in ginocchio davanti al fuoco e subito uno stormo di farfalle le animò lo stomaco. Chiuse gli occhi immaginando Nikki rientrare nella sua villa trascinandosi dietro una valigia colma di vestiti piegati in qualche modo, con il viso nascosto dietro dei grandi occhiali da sole dalle lenti scure. “E' figo fare questo lavoro” le diceva sempre “ma è un po' meno figo non riuscire a girare in pace per le vie di una città senza essere riconosciuto e senza avere la gente incollata addosso che ti leva la carne dalle ossa solo per avere un tuo autografo”; ecco perchè aveva sempre con sé quegli occhialoni a maschera. Li aveva comprati un paio di anni prima, giusto pochi giorni prima di girare il video di “Home Sweet Home”; sapeva di avere una cera pessima in quel periodo, quindi stava girando disperato per tutti i negozi di Los Angeles alla ricerca di un paio di occhiali da sole con le lenti nere che gli nascondessero il viso almeno fino agli zigomi. Alcuni commessi l'avevano preso in giro dicendogli: «Occhiali di quel genere non ne fanno più, fossi in te andrei a rubarli dalla tomba di Janis Joplin» ma, proprio quando aveva perso le speranze entrando nel settimo negozio, il proprietario aveva sguainato da sotto il banco una custodia rigida in plastica bombata da cui era spuntata questa “maschera salvavita”. Neri come il buio più profondo, composti da una sola lente rettangolare sagomata per aderire meglio al naso con delle bacchette spessissime; erano “i suoi”, era ciò che stava cercando e da quel momento imparò a non separarsene. Occhiali neri e frangia calata sul viso. Andava in giro come un barboncino (così l'aveva definito Tommy), ma era il modo migliore per avere meno gente possibile alle calcagna. Rea si portò le mani al viso sentendo le sue gote roventi, non capendo se fosse colpa del fuoco o merito di Nikki, poi le ricongiunse di nuovo celando quelle iridi quasi indaco dietro le palpebre; voleva vederlo, voleva rivedere quel viso angelico deturpato dal trucco e quegli occhi verdi come un prato. Respirò profondamente l'aria che arrivava dal camino dove stava ardendo il fuoco: “Aspetta, pazienta ancora Rea. Fra poco chiamerà per dirti che è casa e che è tutto ok”. Cercò di distogliere i suoi pensieri da lui con la tecnica di meditazione che il nonno le aveva insegnato ma le era impossibile fare in modo che l'immagine di Nikki non invadesse la sua mente; sospirò pesantemente scuotendo la testa con un piccolo sorriso e l'occhio le cadde di nuovo sull'orologio digitale: le sette meno un quarto. In un lampo si sentì la schiena ghiacciata, come se qualcuno le avesse gettato addosso una calotta dell'Antartide: “Come mai non ha ancora telefonato?” si chiese sentendo la preoccupazione invadere il suo petto. Cercò di tranquillizzarsi dicendosi che forse l'aereo aveva fatto tardi o che magari sulla Freeway c'era più traffico del solito, quindi era rimasto imbottigliato; eppure l'ansia non diminuiva. Non poteva nemmeno scaricare la sua tensione su qualcuna delle sue amiche, quella sera erano tutte fuori con i rispettivi ragazzi. Rea si morse il labbro nervosamente, poi si alzò e puntò dritta verso il telefono, decisa a chiamare Nikki; compose il numero con i polpastrelli sudati per il nervosismo ed attese in linea, ma dopo dieci squilli a vuoto fu costretta a riagganciare. “Sono le sette e dieci” si disse passandosi nervosamente una mano lungo la lunghezza dei capelli “deve essere a casa per forza... ma allora perchè non risponde nessuno?”. Preoccupata si inginocchiò nuovamente davanti al fuoco: “Vediamo se riesco a capire cosa sta succedendo”. Chiuse gli occhi cercando di focalizzare tutta la sua attenzione sul ragazzo: “Nikki, tesoro, dove sei?” e mentre grosse gocce di sudore iniziavano ad imperlarle la fronte corrugata per la concentrazione, iniziò a recitare le nove magiche sillabe mentre intrecciava le dita fra loro ad una velocità impressionante: «Ryn, pyo, to, sha, kai, jin, retsu, zai, zen!». Il fuoco si spense improvvisamente come se qualcuno ci avesse gettato sopra una secchiata d'acqua o come se una finestra si fosse spalancata violentemente; ma Rea era in casa da sola e tutte le finestre erano chiuse. La ragazza si ritrovò a fissare il fondo del camino annerito dalla fuliggine con gli occhi sbarrati ed un espressione di terrore dipinta in volto: «Il fuoco si è spento... sta succedendo qualcosa di grave» sibilò con il fiato corto. Si alzò di scatto con la fronte madida di sudore e si affrettò a ricomporre il numero di casa del suo ragazzo; attese in linea per dieci secondi circa tremando come una foglia, poi, al quarto squillo, si udì dall'altro capo del filo una voce colma d'ira e nervosismo: «Chiunque tu sia, vai a fanculo!». Rea guardò stranita il ricevitore, poi se lo riportò lentamente all'orecchio: «Nikki?» chiese timidamente pensando di aver digitato il numero sbagliato

«Oh... Rea» rispose il ragazzo di rimando colmo d'imbarazzo

«Ti sembra questa la maniera di rispondere al telefono?» lo sgridò la bella mora alzando la voce

«N-no, io... io... scusa, scusa» ansimò Nikki «è che...» si interruppe lasciando la frase a metà

«Che cosa Nikki? Cosa c'è?» incalzò Rea stringendo il cordless fra le mani

«E' che siamo partiti in ritardo, le nostre valigie sono arrivate per ultime, poi c'è stato traffico... un inferno. Sono appena entrato in casa» cercò di scusarsi il bassista

«Nikki, ascolta» la voce della ragazza si ammorbidì «io ho voglia di vederti. Posso passare da te?». Seguirono alcuni attimi di silenzio assoluto; Rea riusciva a palpare la tensione che il ragazzo le stava trasmettendo dal telefono: «Nikki? Sei ancora lì?» chiese lei con un filo di dispiacere poiché la risposta che sperava di sentire non era arrivata immediatamente

«Va bene» rispose il ragazzo titubante «quando pensi di venire?»

«Beh, ora»

«Allora... a tra poco» il ragazzo riattaccò.


Venerdì 3 aprile 1987, 7,30 pm

Non è lui... la persona con cui ho parlato al telefono non è lui. Ho un brutto presentimento... ma spero solo di sbagliarmi. Non voglio nemmeno pensarci... magari ha trovato un'altra e mi dirà che non ne vuole più sapere di me. O peggio... è mai possibile che non sia capace di stare lontano dai guai? Perchè deve sempre farmi soffrire dopo avermi regalato un briciolo di felicità?


Rea schizzò su per le scale per infilarsi i primi vestiti che trovò sulla sedia in camera sua e poi corse nel garage per filare via con la sua Ford. C'era qualcosa che non andava; Nikki stava decisamente nascondendo qualcosa. Con il cuore che batteva all'impazzata per l'agitazione, uscì sgommando dal cancello di casa per imboccare Bellagio Road. Nel frattempo, a Van Nuys, il bassista era ancora in piedi immobilizzato davanti al telefono con gli occhi fuori dalle orbite: “Lei fra poco sarà qui... lei fra poco sarà qui...” continuava a ripetersi “Che faccio?”; una delle sue vocine lo spronò: “Amico, sai che c'è solo un modo per scendere più velocemente... dovrebbe essere in una delle tasche laterali della tua valigia”. Il ragazzo si precipitò in camera da letto ed iniziò a tirare fuori alla rinfusa tutti i suoi abiti, finchè non trovò quello che stava cercando: “Muoviti” lo ammonì la vocina “hai solo venti minuti”.


* * *


Stava guidando da ritiro della patente e ne era consapevole, ma non gliene fregava granchè; in quel momento si sentiva come Heles, la sua collega, che quando era sulla strada schiacciava più che poteva l'acceleratore perchè diceva di voler diventare un tutt'uno con il vento. Rea però non voleva fondersi con l'aria, voleva solo arrivare da Nikki il più in fretta possibile per scoprire cosa il ragazzo stesse celando dentro di sé. Dopo aver attraversato diversi incroci con il semaforo che minacciava di diventare rosso da un momento all'altro, la ragazza inchiodò proprio sotto il vialetto che portava alla grande villa spettrale; corse su per la stradina sentendo le gambe pesanti e guardò fugacemente il prato alla ricerca di Spank. Il cagnolino stava dormendo pacifico nella sua cuccia: “Mah, forse mi sto facendo troppe paranoie per nulla”; infilò la chiave nel cancello e la serratura scattò. Nello stesso istante, Nikki stava osservando la scena avvolto in una delle tende del soggiorno; gli occhi gli si stavano chiudendo e si sentiva come se avesse la testa immersa in un acquario: i suoni dell'ambiente circostante erano distanti ed ovattati. “Ti prego, cerca di comportarti normalmente” gli raccomandò una delle sue vocine “tira via quella faccia da pesce lesso che ti ritrovi e fai finta di essere arzillo e pimpante. Sai che succederebbe se lei scoprisse che... insomma, hai capito, no? Poi, io dico: ma era proprio necessario?”. Già, era proprio necessario? Nikki non era in grado di rispondere a quell'interrogativo: “Ad ogni modo, cerca di comportarti nel modo più normale possibile” sospirò affranta una delle sue coscienze, che si affrettò ad aggiungere: “Certo che però sei davvero idiota Sixx”. Voleva sbattere la testa contro il muro per mettere a tacere una volta per tutte il suo super-io, per non sentirlo più sospirargli all'orecchio la cruda verità. Lo scattare della serratura della porta d'ingresso lo fece sobbalzare e, sentendo il ticchettare dei tacchi degli stivali della sua ragazza sul parquet, si affrettò ad uscire dal suo nascondiglio; la massa di lunghi capelli corvini fece capolino nel soggiorno e gli occhi dalle venature indaco della ragazza si posarono sul viso di Nikki con atteggiamento interrogativo. «Ciao Rea» sorrise il bassista alzando solo un angolo della bocca e faticando a tenere le palpebre aperte «come stai?»

«Io sto bene» rispose lei cercando di mostrarsi calma mentre la paura le divorava l'anima «tu invece come stai?». Nikki fece per rispondere che si sentiva alla grande, quando uno strano malessere gli fece portare una mano alla bocca dello stomaco: nausea. “Oh, merda! Ci mancava giusto l'effettino collaterale” pensò fra sé insultandosi per la stupidaggine che aveva appena commesso; deglutì faticosamente un grumo di saliva, respirò profondamente per cercare di ristabilirsi e poi disse: «Abbastanza bene»

«Lo vedo» la voce di Rea si era abbassata accompagnata dal corrugarsi delle sopracciglia. La ragazza si avvicinò lentamente al bassista cercando di studiare attentamente l'espressione del suo viso; ad ogni centimetro che avanzava, Nikki si sentiva sempre più a disagio. Non sapeva come comportarsi ed in più si sentiva piacevolmente sedato; era praticamente un orso imbalsamato. “Oh, per l'amor di dio Sixx, apri quelle cazzo di braccia e stringila a te, coglione che non sei altro! Sei freddo come un merluzzo nel banco frigo del supermercato” sbraitò la solita vocina isterica; sfornando uno dei suoi sorrisi peggiori, il bassista fece un passo avanti allargando le braccia verso la sua ragazza, ma a pochi centimetri da lei, il suo corpo lo tradì: si portò le mani alla bocca ed iniziò a correre precipitosamente verso il bagno dove vomitò nella vasca tutto quello che aveva mangiato a pranzo. Rea lo chiamò per nome vedendolo scattare così, dopodiché lo raggiunse mentre ancora stava sputando gli ultimi rimasugli dell'hamburger di mezzogiorno: «Ma che ti succede?» sussurrò preoccupata chinandosi su di lui e scostandogli i capelli dal viso sudato e bianco; il ragazzo si girò e si mise a sedere ansimando, poggiando la schiena alla parete: «Credo proprio di essermi preso un virus a New York» e, mentre pronunciava quelle parole, si pulì malamente la bocca con la manica del maglioncino nero che indossava. Quel semplice movimento lo tradì, poiché le labbra rimasero appiccicate al tessuto svelando un pezzo di pelle del polso su cui si vedeva chiaramente la ferita fresca inferta da un ago.


Domenica 5 aprile 1987, 2 am

Dovevo aspettarmelo... o meglio, non dovevo aspettarmelo perchè lui aveva smesso, no? Ma, in un certo senso, avrei dovuto aspettarmelo conoscendo le sue pessime abitudini; basta lasciarlo incustodito per poco tempo ed ecco che combina i suoi soliti casini...


Alla vista di quelle vene collassate, un'ondata di delusione investì il cuore di Rea: quel bacio di una settimana prima sembrava lontano millenni e la possibilità di poter portare avanti con Nikki qualcosa di concreto si sbriciolò all'istante; un nodo grosso come una mela le si formò in gola impedendole di parlare e le lacrime le appannarono la vista. Ma non voleva mostrarsi debole, non doveva farlo: era Nikki quello che aveva bisogno di aiuto e sostegno, e piangere era l'ultima cosa da fare, senza contare che il pianto avrebbe fatto intendere a Nikki che Rea era dispiaciuta; lei non voleva dimostrarsi dispiaciuta in quel momento, l'aveva già fatto fin troppe volte. Voleva essere furente. Voleva fargli capire che quella volta aveva davvero oltrepassato ogni limite.


Domenica 5 aprile 1987, 2 am

Io lo amo, non riesco a detestarlo anche dopo quest'ennesima cagata. Però deve capire che non possiamo andare avanti così; che non può andare avanti così. Si fa solo del male. Non posso vederlo in quello stato, giuro, è come se avessi dentro un coltello che mi taglia in due lo stomaco. Quindi devo mostrarmi irremovibile e senza nessun tipo di ammorbidimento; non questa volta. Bisogna che si rimetta in pista al più presto, deve ritornare in clinica; l'unico problema è che non potrò seguirlo così da vicino come ho fatto precedentemente: la facoltà mi ha programmato un tirocinio per le prossime tre settimane e non posso tirarmi indietro.


«L'hai fatto di nuovo» disse il più freddamente possibile la ragazza fissando le piastrelle azzurrine del bagno

Cazzo Sixx... ti ha beccato”; Nikki cercò di allungare una mano verso il suo braccio, ma lei lo prese malamente per il polso bloccandolo. I loro occhi si incontrarono e Nikki quasi si spaventò nel vedere lo sguardo di Rea iniettato di sangue: «RISPONDI!»

Non puoi negare l'evidenza, cazzone; lei ti legge come un libro aperto”. Il mutismo del ragazzo e lo sguardo basso ed avvilito che ne seguì furono prove sufficientemente eloquenti per Rea; la ragazza serrò le palpebre cercando di dominare l'istinto di dargli una sberla sonora ed urlargli in faccia tutta la rabbia che si stava impossessando di lei. Lasciò andare il polso di Nikki, strinse i denti ed iniziò a parlargli con tono basso e minaccioso: «Ti rendi conto della cazzata che hai fatto? Ti rendi conto che ci sei ricaduto di nuovo? Io mi impegno per farti sentire meglio, per tirarti fuori da quel tunnel ma tu, nulla; vuoi continuare a rimanerci dentro»

«Io... io, ecco... volevo solo fare una tirata» cercò di giustificarsi lui, ma lei continuò inarrestabile: «Ah, solo una tirata? Che poi diventano due, tre, dieci, cento... lo sai che non sei in grado di resistere. Ti fai come un matto di cocaina e poi vai talmente fuori di testa che ti fai delle dosi massicce di eroina per tentare di ritornare normale il prima possibile. Ti rendi conto di quanto sia assurda la situazione?». Nikki non rispose alla domanda. Rea continuò a rincarare la dose alzando sempre di più la voce: «Ti rendi conto del fatto che tu fra un paio di mesi vai in tour e non puoi partire sbroccato? TI RENDI CONTO CHE IO ERO QUI A CASA AD ASPETTARTI PER INIZIARE QUALCOSA DI BELLO INSIEME A TE ED INVECE MI RITROVO CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO?». Quelle parole furono più violente di qualsiasi pugno o di qualsiasi schiaffo; Nikki le prese tutte in pieno viso, strizzando le palpebre per il dolore. Quando riaprì gli occhi, due lacrime scesero silenziosamente per le sue guance; il ragazzo allungò la mano verso il viso di Rea che era rimasta con il fiato sospeso: «Aiutami» fu l'unico sibilo che uscì da quelle labbra mentre tentava di sfiorarle le guance arrossate con i polpastrelli. La bella bruna fece un respiro profondo per concentrarsi al meglio, in modo da rendere le parole che stava dicendo il meno dolorose possibile: «Lo farò... credimi. Ma questa volta sarà diverso»; il ragazzo ritrasse la mano spaventato e rimase a fissarla con la bocca semiaperta. Lei continuò: «Non potrò seguirti come ho fatto con le terapie precedenti perchè... ho già programmato altri impegni». Nikki strinse le mani a pugno mandando giù l'amarezza che gli si stava formando in bocca: «E così... mi abbandoni?» disse mentre copiose lacrime gli rigavano il volto

«Non ho detto questo Nikki» Rea scosse la testa sconsolata ma come fece per aggiungere spiegazioni, il bassista si infuriò ed iniziò ad urlarle contro: «Non dire più nulla, basta, BASTA! Tu non mi vuoi più, vai via, vattene! VATTENE!». La ragazza strinse i denti e deglutì a fatica quelle parole che il suo ragazzo le stava lanciando contro come pietre; represse l'impulso di insultarlo, di dirgli che era un idiota e che avrebbe dovuto tapparsi la bocca per ascoltarla. Tenne invece la voce bassa e cercò di scaldarla con le sue buone intenzioni: «Nikki, non ho detto che ti lascio in balia di te stesso; sto solo dicendo che ti aiuterò in modo diverso... non potrò venire alle terapie con te tutti i giorni e...»

«Taci, TACI!» tuonò lui tappandosi le orecchie «Tu mi stai lasciando solo e non hai il coraggio di ammetterlo... vattene fuori di qui! Vederti mi fa solo soffrire di più! Esci, ESCI!». Rea si alzò in piedi fissando la chioma folta e nera di Nikki che lui si teneva disperato fra le mani; fissò il pavimento in silenzio mentre la vista diventava sempre più confusa e bagnata. Non doveva cedere, non in quel momento; la voce del nonno risuonò nella sua testa: “Sii forte, bambina mia”. Alzò lo sguardo e vide Nikki piangere a denti stretti: «Se vuoi che me ne vada... bene, io me ne andrò» sussurrò lei cercando di nascondere l'emozione «Voglio solo dirti che... insomma... telefonami quando ti sarai ripulito completamente».


Domenica 5 aprile 1987, 2 am

E così l'ho lasciato solo, credendo che un po' di silenzio avrebbe potuto farlo rinsavire, facendogli dimenticare il suo delirio. Se solo avessi saputo... non l'avrei mai lasciato incustodito.


Chiuse la porta dietro di sé sentendo un grande freddo dentro il petto; era come se il grande fuoco che portava con sé si fosse spento all'improvviso, proprio come era successo al camino poche ore prima. Amareggiata e delusa si incamminò verso la macchina che la stava aspettando appena fuori la casa del suo ragazzo quando udì il rombo di una Harley Davidson che aveva appena girato nel grande viale; alzò gli occhi e vide Tommy posteggiare il suo bolide proprio davanti alla sua auto: «Ehi, ciao Rea!» la salutò felice. Quel saluto gioioso le fece riversare tutta la rabbia che aveva in corpo sul batterista malcapitato: «Ciao Rea un cazzo! Togli quell'ammasso di bulloni da lì che devo uscire con la macchina»

«Uououo, baby, calma!» disse T-Bone facendole segno con le mani

«Calma? Come faccio a stare calma? Con Nikki è appena successo un casino e tu mi dici di stare calma? NON CE LA FACCIO!». Le lacrime le inondarono il viso, ormai erano diventate troppe ed era impossibile contenerle; abbassò la testa vergognosa ed iniziò a singhiozzare mentre camminava verso la portiera del guidatore. Tommy la bloccò per un braccio e la strinse a sé: «Cos'è successo?» le sussurrò mentre le accarezzava la testa

«Perchè non l'hai fermato in tempo?» disse lei fra un singhiozzo e l'altro «Lui... è di nuovo sotto». Tommy abbassò la testa, cupo in viso: «Fiamma, non sono di certo la sua babysitter, lui è grande abbastanza per sapere quello che fa»

«Lo so, però siete amici... cosa avete fatto a New York? Perchè lui è finito con il drogarsi di nuovo?» domandò Rea smarrita immergendo la testa nel giubbotto di pelle dell'amico. T-Bone chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, poi prese Rea per le spalle e guardandola dritta negli occhi arrossati le domandò: «Hai tempo per una birra?».


* * *


Il piccolo pub dove l'aveva portata Tommy era distante circa trecento metri dalla casa di Nikki; non era un posto molto frequentato, quindi era perfetto per poter scambiare due in tranquillità: musica blues in sottofondo, insegne al neon variopinte sparse per tutte le pareti in legno del locale e placche in metallo dipinte a mano che pubblicizzavano le diverse marche di birra servite al bancone. T-Bone fece segno a Rea di sedersi ad un tavolo isolato, lontano da orecchie ed occhi indiscreti, mentre lui andava a prendere un paio di Miller; il barista, un uomo stempiato sui cinquanta, lo servì senza nemmeno rendersi conto che aveva davanti una rockstar ed il batterista pagò il conto senza fare le solite scene per farsi riconoscere a tutti i costi. Tommy poggiò le birre sul tavolo mentre Rea stava sistemandosi il trucco: «Guarda che sei bella lo stesso, anche con il mascara sbavato» le disse cercando di strapparle un sorriso. La ragazza chiuse lo specchietto e lo guardò per un attimo negli occhi abbozzando uno sberleffo, poi si aggrappò al boccale ed iniziò a fissare le bollicine che salivano velocemente verso la schiuma spessa: «Cos'è successo a Nikki?» chiese di nuovo in attesa di una risposta «Mi ha sbattuta fuori di casa senza dirmi perchè ha ricominciato... sta per caso nascondendo qualcosa? Magari... un'altra donna». Le ultime parole le morirono sulle labbra e una lacrima le scivolò furtiva sulla guancia macchiandola di nero. «Fiamma, posso giurarti sulla mia vita che non c'è nessun'altra donna nella testa di Nikki»

«E allora perchè ha ripreso?» bisbigliò lei stringendo il bicchiere così forte da farsi diventare le unghie bianche. T-Bone sospirò, bevve alla goccia metà boccale ed iniziò a spiegarle cos'era accaduto a New York: «E' cominciato tutto ieri sera, quando siamo usciti a cena insieme. Il disco era venuto una meraviglia e quindi era giusto uscire a festeggiare. Lui, durante tutta la settimana, non ha fatto altro che parlare di te quando eravamo insieme... è innamorato perso»

«Allora perchè quel gesto sconsiderato?» lo interruppe la ragazza. Tommy alzò la mano per fermarla e riprese a raccontare: «Come ti dicevo, la situazione è degenerata ieri sera, quando siamo usciti a cena. Siamo andati a mangiare in un piccolo ristorante cinese dalle parti di Central Park e la serata era partita tranquilla; nessuno ci aveva fermati per strada, nessun giornalista, nessun fotografo... insomma, perfetto. Abbiamo parlato un po' del disco e poi Nikki ha parlato ancora di te, dicendo che gli mancavi e non vedeva l'ora di riabbracciarti; finchè una ragazza, chiaramente fatta come un animale, si avvicina al nostro tavolo ed inizia a strusciarsi addosso a Sixx». Rea ebbe un capogiro: «T-Bone, avevi detto che non aveva un'altra»

«Infatti è così» la rassicurò il batterista «la ragazza era una zoccola del locale che voleva che Sixx andasse a tutti i costi con lei nel bagno delle donne per farlo seduta sul lavandino. Nikki cercava di scansarla dicendole cose tipo “No, guarda che sono impegnato, non mi interessi, sei un cesso” e cose simili, ma questa non demordeva. Ad un certo punto, mentre cercava di saltargli addosso, le è caduta dalla tasca una bustina di coca; Sixx l'ha presa e le ha detto: “Se la compro ti levi dai coglioni?”. Lei ha detto di sì, lui le ha lasciato in mano mille dollari e l'ha buttata addosso a me: “T-Bone, vado a farmi una tirata in bagno” mi ha detto, allora io l'ho guardato e gli ho detto: “Bro, ma non avevi smesso?” così lui mi ha risposto: “Sì, ma è solo un tiro, così mi schiodo di dosso quella lì”. Si è alzato ed è andato in bagno e io sono rimasto con la sanguisuga al tavolo. Questa mi guarda e mi dice: “Ti va se scopiamo?” e io le faccio: “Perchè no?”»

«Ma... Tommy» lo interruppe la bella bruna «ma tu sei sposato! Come puoi andare insieme ad un'altra donna?»

«Attenta: quello è solo sesso; con Heather invece è amore. Puoi trombare con tutte le donne di questa terra ma dare il tuo cuore solamente ad una di loro». Rea, sconsolata, si portò una mano alla fronte, non del tutto pronta a sentire il resto del racconto. Tommy bevve un altro sorso di birra e continuò: «Insomma, le dico che ci posso anche stare alla sveltina e lei subito aggiunge: “Guarda che però ho il ciclo in questi giorni”. Chi se ne frega! C'è sempre l'altro buco»

«Oddio, sto per vomitare» bisbigliò Rea strabuzzando gli occhi e bevendo un sorso di Miller. Tommy continuò inarrestabile: «Insomma, mi ha trascinato nel bagno degli uomini, mi ha calato di botto i pantaloni, lei si è tolta la gonna e gli slip, si è messa con i gomiti appoggiati al lavandino, ha dato una sniffata al popper che teneva in tasca ed io ne ho approfittato per iniziare. Questa urlava come una pazza e io continuavo a dirle: “Cristo, chiudi la bocca”, quand'ecco che Sixx è uscito dalla zona cesso completamente svarionato e si è appoggiato alla parete mentre si stava pulendo il naso. La pazza furiosa ha approfittato del momentaneo intorpidimento di Nikki per calargli le braghe al volo e fargli un...»

«ZITTO! Ho sentito abbastanza» esclamò Rea picchiando il pugno sul tavolo in noce

«Comunque, immagino che ti farà piacere sentire che Nikki, dopo dieci secondi che questa si era appiccicata come una ventosa, le ha dato una sberla che l'ha fatta finire per terra ed io e lui siamo usciti dal bagno lasciandola riversa a terra con il tampax fuori sede». Tommy ridacchiò al ricordo di quel piccolo trionfo, ma Rea rimase impassibile davanti al boccale ancora quasi del tutto pieno; non le era andato giù il fatto che qualcun'altra si fosse appropriata dell'intimità del suo ragazzo, anche se questi non era d'accordo. Voleva essere lei a prendersi cura di lui, anche se un velo di paura ancora la bloccava, ma il pensiero che un'altra l'aveva toccato la mandava in bestia. «Ehi Rea, tutto bene?» domandò T-Bone riportandola alla realtà

«Non ce l'hai la domanda di riserva?» controbatté lei

«Beh... comunque, tornando al discorso di prima: dopo che siamo usciti dal locale, il mio bro non ha più aperto bocca. Siamo tornati in camera nostra e Sixx ha tirato fuori la coca che era avanzata dalla tasca dei pantaloni, mi ha guardato e mi ha detto: “T-Bone io... mi sento sporco. Mi sono fatto toccare da una che non è la mia ragazza ed ho fatto una cosa che non avrei più dovuto fare... sono un coglione”. Allora io gli ho risposto: “Sul fatto della sniffata hai perfettamente ragione, ma non eri consenziente con la zoccolona... dai bro, hai solo metà della colpa”. Lui si è spento in un istante, ha aperto il bar e ha tirato fuori il Jack, ha versato due bicchieri in silenzio e poi mi ha detto: “Vedi? Ne ho bisogno... non riesco a farne a meno... sono un tossico di merda” e mentre lo diceva ha preparato un'altra striscia e l'ha sniffata. “Basta bro, smettila” gli ho detto ma lui non mi ascoltava; si è messo a singhiozzare come un bambino e ha cominciato a dire: “Come farò a tornare da lei ora? Con che coraggio le dico che ci sono ricascato come un imbecille? Ovviamente lei lo scoprirà da sola e rimarrò di nuovo solo... sono destinato a rimanere solo, rimarrò solo tutta la vita... prima la mia famiglia, poi il gruppo e adesso lei... ma in fondo me lo merito se faccio queste cazzate... vaffanculo”» la voce di Tommy si alterò per un attimo, come se il pensare all'amico l'avesse fatto emozionare. Il batterista finì la birra in un sorso mentre Rea lo fissava frastornata con la fronte corrugata: «Nikki solo?» furono le uniche parole che riuscì ad articolare

«Non ti ha mai raccontato nulla lui?» esclamò incredulo T-Bone; la ragazza fece un cenno negativo con il capo. Tommy allungò la sua mano verso quella di lei e la strinse in una presa confortevole: «Non spetta a me raccontarti perchè Nikki è di natura così instabile... sarà lui a decidere quando parlartene in modo approfondito. Quello che posso accennarti è che la droga per lui è la medicina contro qualsiasi tipo di dolore, fisico o dell'anima che sia. Nikki arriva da una famiglia disastrata e distrutta, con un padre inesistente ed una madre assente la maggior parte del tempo. Nikki si è attaccato molto a te perchè tu sei stata l'unica a dimostrargli affetto sincero finora... o forse dovrei dire amore, ad ogni modo tu sei stata capace di guardare dentro di lui ed apprezzarlo per ciò che è in realtà. Non ti sei innamorata della sua immagine, ma di lui. Ecco perchè ha paura di essere abbandonato».


Domenica 5 aprile 1987, 2 am

Quando Tommy ha detto quelle parole mi si è gelato il sangue... ecco il perchè della sua violenta reazione; ma soprattutto, si è fatto largo in me l'orribile presentimento che gli stesse succedendo qualcosa di davvero grave.


* * *


Solo. Orribilmente e schifosamente solo. I passi che rimbombano per questo corridoio così terribilmente vuoto. Io sono vuoto; io sono il vuoto. Se butti un sasso dentro di me, sentirai un rimbombo sordo, talmente sono vuoto. Lei mi ha portato via, lei mi ha estirpato della mia anima; ecco perchè questi miei pensieri rimbombano dentro il mio corpo. Sento i battiti del mio cuore echeggiare nella mia testa. In me posseggo il nulla... ecco perchè ogni suono è amplificato. Che motivo ha questo cuore di battere ancora? Che motivo ho per vivere io ora? Sono solo... tanto vale mettere su della musica per cercare di riempire il vuoto prima di partire per un lungo viaggio senza ritorno; un biglietto di sola andata per la realizzazione di essere preso realmente in considerazione. Lei...

lei, l'unica che ha guardato dentro il mio cuore, che ha visto chi sono, che mi ha preso in considerazione per ciò che sono sul serio... lei non c'è più. Che motivo ha questo amore per ardere se lei non c'è più?


Touch, touch in the flame's desires
Feeling the pain's denial,
And your fingers in the fire”


Tanta. Ne ho bisogno tanta. Più della molta roba che mi faccio di solito. Per l'ultima volta la poserò sul cucchiaio, per l'ultima volta mi scotterò le dita nell'accendere la candela con l'accendino, per l'ultima volta riempirò la siringa di questo liquido ocra... poi l'ago nel braccio, lo stantuffo che scende, l'eroina che si mischia al sangue, il cuore che accelera e subito rallenta...


Look, look in the candle light
See in the flame of life
And my spell is our lie”


E mentre questa merdosa donna dagli occhi dorati scorre dentro me per portarmi sotto quella calda coperta per soffocarmici, penso a te, mia dolce Fiamma, ai tuoi occhi, ai tuoi capelli, alla tua voce, al tuo unico modo di essere... e vorrei fare l'amore con te, invece di bucarmi le poche vene che non sono ancora collassate.


Taste the love
The Lucifer's magic that makes you numb
The passion and all the pain are one
You're sleeping in the fire
Taste the love
The Lucifer's magic that makes you numb
You feel what it does and you're drunk on love
You're sleeping in the fire”


Ed ecco che la vista mi si annebbia, sento un sapore pessimo nella bocca e lo sputo fuori; mi fa schifo. Vorrei gustare per un'ultima volta le tue labbra, così dolci ed insieme calde... invece il sapore che mi accompagnerà al cimitero sarà quello del mio stesso vomito... e prima che si faccia buio intorno a me, lancio un'occhiata fugace alla candela ancora accesa ed urlo il tuo nome, sperando che tu possa sentirmi.


I gaze at the flame and fire burn
And cry out the name of which I yearn”


La ragazza si alzò di scatto ed afferrò Tommy per la giacca: «Corriamo da lui, presto»

«Eh?» bofonchiò il batterista

«Muoviti T-Bone, non abbiamo tempo da perdere!». I due uscirono a passo spedito dal locale mentre il cielo fuori iniziava a mostrare le prime stelle: «Si può sapere che c'è?» domandò curioso Tommy mentre attraversavano il viale ed arrivavano davanti a casa del bassista. Rea tirò fuori le chiavi dalla borsa e si affrettò ad aprire il cancello: «Gli ho detto che non potevo stargli vicino come ho fatto nelle terapie precedenti»

«Oh cazzo!» urlò il batterista «Come l'ha presa?»

«Ovviamente male, dato che mi ha cacciata via di casa... ma non mi ha dato modo di spiegargli che è per impegni universitari, non per altri futili motivi!» aggiunse lei nervosa. Aprì la porta d'ingresso ed iniziò ad urlare il nome del suo ragazzo, sperando di ricevere una qualsiasi risposta; «Ehi bro, dove sei?» le fece eco Tommy. Nikki non rispose a quelle chiamate, ma l'attenzione dei due ragazzi fu attratta dal guaire di Spank: «Bimbo? Bimbo? Perchè no risponde?»; i due amici corsero a perdifiato verso il bagno della stanza da letto. Quando giunsero dentro il piccolo stanzino, Rea cacciò un urlo agghiacciante e cadde in ginocchio coprendosi gli occhi per l'orrore: riverso supino sul pavimento c'era Nikki, con un ago ancora piantato nel braccio sinistro e la faccia piegata verso destra con i capelli immersi in una pozza del suo vomito. Aveva gli occhi spalancati ed inespressivi e la bocca semiaperta. «Oh Gesù! SIXX! PORCA PUTTANA, CI SEI?» urlò disperato Tommy gettandosi sull'amico che però rimase immobile

«E' incosciente...» bisbigliò Rea

«Oh, merda, non respira, MERDA!» sbraitò il batterista «Io corro a chiamare il 911, tu stai qui con lui!». T-Bone sparì in un lampo e Rea si ritrovò sola con il suo ragazzo che aveva già un piede nella fossa, se non entrambi; la paura l'aveva resa una statua e non riusciva a muovere un muscolo, poi, improvvisamente, la voce di Amy si fece largo nella sua testa: “Lezione numero uno di primo soccorso: verificare che il paziente sia cosciente”

Nikki non lo è” si rispose angosciata

Allora chiamare subito un'ambulanza” sentenziò Amy “Lezione numero due, eseguire la manovra GAS: verificare che il paziente respiri”

T-Bone dice che non lo fa”

In questo caso, verificare che ci sia battito”. Non c'era ulteriore tempo da perdere, ogni dannato secondo era prezioso: posò la testa sul petto del ragazzo e chiuse gli occhi; il cuore pulsava ancora, ma era bradicardico. “Effetti da overdose di eroina, forte depressivo delle funzioni vitali” disse Amy dentro la sua testa “C'è bisogno della respirazione artificiale”. Rea guardò fugacemente la faccia del suo ragazzo sporca dei suoi liquidi interiori e per un attimo ebbe il forte impulso di vomitare, ma si ammonì per questa sua reazione: “Coraggio, non c'è tempo da perdere! Fregatene del vomito e dell'odore schifoso e comincia”. Gli mise il capo dritto e lo reclinò all'indietro tenendogli la bocca aperta: “Ricorda che la lingua è un muscolo bastardo: si mette sempre nelle posizioni meno opportune” recitò Amy nella sua testa; prese più aria che potè dentro la sua bocca, poi si calò sul viso di lui, poggiando le labbra contro le sue ed insufflando l'aria all'interno dei suoi polmoni. Con una mano poggiata alla carotide e l'altra che gli tappava il naso, Rea cercava di mantenere in vita Nikki facendo del suo meglio.


* * *


Erano seduti nell'asettica sala d'aspetto del reparto di rianimazione del Valley Presbiterian Hospital, immersi nel silenzio dei loro pensieri; l'arrivo dei paramedici era stato quasi immediato, dopo circa sette minuti erano entrati nella villa e, date le critiche condizioni di Nikki, gli avevano somministrato subito il Narcan. Rea guardava le punte degli stivali mentre silenziose lacrime le corrodevano le guance; tutto ad un tratto, la sua paura venne a galla con una semplice frase: «T-Bone... è tutta colpa mia». Il ragazzo alzò il capo con gli occhi velati di lacrime e la strinse a sé, mentre lei iniziava a singhiozzare sempre più forte: «Non dirlo nemmeno per scherzo... non è vero». Rea si aggrappò alla sua giacca in pelle ed affondò il viso nell'incavo del collo del ragazzo, macchiandolo di trucco; piangeva così forte che non riusciva nemmeno a parlare. Nikki aveva rischiato di morire e lei se ne sentiva responsabile. Tommy sibilò sottovoce accarezzandole la chioma corvina: «Ssst... non piangere più ora. L'importante è che lui sia ancora vivo»

«Sì, ma è solo colpa mia se ha deciso di tentare il suicidio» disse lei con la voce rotta dalle lacrime

«No Fiamma, è lui il coglione che non fa finire di parlare la gente... e che quindi fraintende tutto. E poi sbaglia medicina... pretende di curarsi con le droghe»

«Signor Lee, signorina Hino» li interruppe il primario che era appena entrato nella stanza. Rea si staccò frettolosamente dall'amico e si asciugò il viso alla bene meglio mentre Tommy si alzò lentamente in piedi: «Dunque?» domandò impaziente

«Potete stare tranquilli ora, il vostro amico è fuori pericolo. I paramedici l'hanno preso per i capelli e gli hanno somministrato il Narcan in tempo. Appena è arrivato in pronto soccorso gli abbiamo fatto una dose di Vivitrol, così da poter iniziare a stabilizzarlo e scongiurare gli effetti depressivi dell'eroina. In questo momento è cosciente, ma pare essere in stato depressivo... sapete se sta prendendo qualche farmaco particolare?». I due scossero la testa in silenzio; il medico riprese: «Comunque, è stata un'overdose grave» e guardando Rea negli occhi aggiunse in tono perentorio «Signorina, fossi in lei lo spingerei ad iniziare una terapia di disintossicazione». La ragazza strinse i pugni e sibilò, colma d'ira nei confronti del medico: «Crede che non l'abbia già fatto, mi crede così sprovveduta?»; T-Bone le posò una mano sulla spalla nel tentativo di calmarla: «Stai tranquilla Fiamma, so che tu ci hai già provato molte volte»

«Se volete vederlo, potete farlo ora... ma si entra uno alla volta e con indosso camice, cuffia e copriscarpe per evitare esposizione a batteri e germi. Chi vuole essere il primo?». Rea stava per cedere il passo a Tommy, quando il ragazzo la spinse verso il medico: «Vai tu... credo che abbiate bisogno di parlarvi»; in silenzio Rea seguì il medico, indossò gli indumenti necessari e, con il cuore che batteva all'impazzata, varcò la soglia della stanza perfettamente sterilizzata. Alla vista di Nikki sdraiato sul letto ricoperto di cannule le si gelò il sangue: il bianco della carnagione era in violento contrasto con i suoi capelli tinti di nero, aveva gli occhi verdi socchiusi e vacui e tubicini gli entravano nel corpo dal naso e dalle braccia mentre uno spettrale bip del macchinario per il controllo dei valori vitali faceva da sottofondo a questo quadro spaventoso. «Nikki?» lo chiamò timidamente Rea con la voce appesantita da un nodo alla gola

«Che ci fai qui?» domandò lui sorpreso «Avevi detto che non ti saresti fatta più risentire»

«Sei quasi morto... ho temuto per te» sussurrò lei arrossendo. Lo guardò in viso sperando di vedere un piccolo sorriso, invece ci rimase male nel notare che il bassista stava guardando fuori dalla finestra: «Non voglio trattenerti ulteriormente... avrai i tuoi “impegni” da sbrigare. Va' pure». Rea sentì dentro di sé un tonfo secco all'altezza del petto; chiuse gli occhi cercando di imprigionare le lacrime dietro le palpebre e, mentre stava per uscire dalla stanza, gli disse: «Comunque Nikki... sappi che vorrei risentirti non appena ti sarai ripulito».


Domenica 5 aprile 1987, 2 am

Mi ha spezzato il cuore. Eppure non riesco ad odiarlo. Spero solo di risentirlo presto per telefono... mi manca. Lo voglio. Lo amo. Sono scappata via dall'ospedale senza nemmeno salutare Tommy. Troppa vergogna di farmi vedere di nuovo con il viso umido di lacrime.


Dopo pochi minuti che Rea aveva lasciato la stanza, il batterista fece il suo ingresso in quella grande stanza dalle pareti verde acqua; Nikki girò la testa svogliatamente e alla vista dell'amico gli si illuminarono gli occhi: «Tommy!». Di tutta risposta, T-Bone gli si avvicinò e gli mollò un sonoro ceffone in pieno volto: «Sei un coglione»; Nikki si portò una mano alla guancia intorpidita e rispose abbassando lo sguardo: «No, non lo sono»

«Invece sì!» tuonò l'amico «Bro, tu sei un fottuto cerebroleso! Ti rendi conto del macello che hai combinato? Stavi per mandare a puttane tutto! Te stesso, i Crüe, la tua storia con Rea»

«Beh, se fossi sparito dal mondo non sarebbe stata una grande perdita, se fossi morto voi avreste trovato un bassista più bravo di me e avreste continuato e lei... beh, lei ci avevo già pensato a New York a mandarla a puttane» disse Nikki sconsolato

«No, cazzone, vedi che non hai capito un cazzo di quello che ti sto dicendo? Tu sei mio amico e mi sarebbero girati parecchio i coglioni se ti avessi perso; i Crüe sono il tuo gruppo e noi, lo sai, non possiamo andare avanti senza di te... e poi lei, cazzo, lei non ti ha abbandonato, non ti vuole abbandonare, ficcatelo in quella zucca vuota!»

«Ha detto che non vuole seguirmi in terapia perchè ha già preso altri impegni...»

«Sono impegni universitari, stronzo! Deve fare il tirocinio! L'ha detto a me poco fa! Vedi che sei un coglione! E sai perchè? PERCHE' TU NON ASCOLTI LA GENTE!» disse Tommy tutto d'un fiato. Nikki spalancò gli occhi incredulo: «Dunque vuoi dire che... che lei tiene ancora a me»

«Più di quanto tu creda, cretino! È stata lei a tenerti in vita, lei ti stava facendo la respirazione bocca a bocca; se non fosse stato per Rea, tu ora saresti sotto piedi e piedi di terra!» tuonò T-Bone. Nikki chiuse gli occhi espirando profondamente e portandosi la mano destra alla tempia: «Merda... e adesso?»

«Non lo so bro... davvero non lo so».


NOTE:

La canzone utilizzata all'interno del capitolo e che dà anche il titolo è "Sleeping In The Fire" degli W.A.S.P. di cui non ho i diritti.

Ryn, pyo, to, sha, kai, jin, retsu, zai, zen: nove sillabe che vengono pronunciate da Rea nell'anime di Sailor Moon quando si trova davanti al fuoco a pregare; sono sillabe yin alternata a sillabe yang.

Popper: droga venduta spesso sottobanco nei sexy shop che consiste in un liquido a base di nitriti alchlici di cui si respirano i vapori; gli effetti sono di breve durata e consistono in aumento del ritmo cardiaco e rilassamento della muscolatura anale.

Manovra GAS: Guardo Ascolto Sento; manovra utilizzata nel primo soccorso per verificare che la vittima sia ancora in grado di respirare autonomamente.

Bradicardia: dicesi di frequenza cardiaca inferiore ai valori ritenuti normali (70/80 battiti al minuto).

Narcan: medicinale a base di Naloxone, utilizzato per inibire immediatamente gli effetti di crisi respiratoria su chi ha avuto overdose da oppiacei; ha effetti molto brevi.

Vivitrol: medicinale a base di Naltrexone, molecola simile al Naloxone, dagli effetti analoghi ma di maggior durata.


Lo so, vi ho fatto attendere, avete ragione, però come potete notare questo capitolo è lunghissimo... spero di aver scritto bene e in modo sensato. In caso contrario fatemelo sapere ;) Come sempre, grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono, grazie ai silent readers e grazie anche ai 50 likers della mia pagina autore di Facebook. :) Un bacio a tutti e grazie a chi leggerà,

Ellie

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Capitolo 20
*** Pistoni Caramellati ***


20 Pistoni Caramellati

La notte era scesa su Los Angeles in silenzio, le sue luci si erano accese senza dare nell'occhio e le auto sfrecciavano lungo i viali accompagnate solo dal ronzio del motore che girava a basso regime; e proprio il silenzio voleva farsi sentire in quel momento, in due case diverse, distanti e nella mente di due persone così vicine e così lontane allo stesso tempo.

Nikki vagava a piedi nudi per il suo castello a luci spente, facendosi guidare dal fioco bagliore delle poche stelle che riuscivano a fare capolino dal cielo della metropoli; il problema di Los Angeles era che, anche nelle ore più buie, non c'era verso di vedere più di un paio di costellazioni. Il baluginio che arrivava dai grattacieli e dalle mastodontiche insegne luminose della grande città colorava la parte bassa del cielo di una striscia vermiglione che camuffava la maggior parte degli astri. Strane ombre si stagliavano sulle pareti e sui mobili velati dell'arancio del crepuscolo mentre il bassista allungava le braccia per afferrare della carta, un bicchiere e la solita bottiglia di Jack; aveva freddo, aveva bisogno di bere alcool. Si sedette senza far rumore davanti al camino spento, poggiando la carta davanti a sé e riempendosi il bicchiere quasi fino all'orlo di quel liquido ambrato. “Alla goccia Sixx” gli ordinò una vocina, e così fece. Ma la soddisfazione ed il calore del whisky non arrivarono. “Avanti... perchè non lo ammetti? Perchè non lo fai?” una vocina cercò di scuoterlo e metterlo di fronte all'evidenza; stranamente non arrivava dal suo cervello malato, come di solito accadeva. Nikki alzò gli occhi e vide se stesso, intrappolato su quella tela che Lei aveva dipinto per il suo compleanno; il suo ritratto stava parlando con lui: “Cosa stai aspettando? Avanti... sai meglio di me che quella carta non l'hai presa per scrivere”. Abbassò lo sguardo; sapeva che era vero, era inutile mentire a se stessi. Preparò il camino con cura, prese il legno e la carta e li dispose con ordine al di sotto della canna fumaria; poi, quasi a rallentatore, si allungò per prendere i fiammiferi che teneva poggiati a lato del camino. Strofinò la punta di uno di quei magici bastoncini e poi lo gettò nel cumulo; in dieci secondi, il fuoco divampò, incenerendo la carta ed illuminando il salotto. Nikki incrociò le gambe e poggiò il mento sulla mano sinistra, incantandosi a guardare quell'entità né solida, né liquida, né gassosa che si ingrandiva sempre di più.

Fuoco... Rea... lei è il fuoco... fuoco che brucia...”

Rea era il fuoco, Rea era la sua Fiamma, Rea era il calore di un abbraccio, la passione di un bacio; lei era quella che lo scaldava dall'interno e, adesso che si era allontanata, lui si sentiva gelido. “Frena Sixx” lo interruppe una delle sue coscienze “non è andata esattamente così”. Era vero. Lui l'aveva allontanata; aveva capito male, non le aveva dato il tempo per dargli delle spiegazioni e così aveva combinato quel maledetto casino. E perfino T-Bone, che cercava di appoggiarlo in tutte le cazzate che faceva, gli aveva dato un sonoro sberlone accompagnato dalla parola “coglione”. Sospirò pesantemente, guardando l'ombra tremolante della bottiglia di Jack disegnata sul tappeto su cui sedeva: “Tommy aveva ragione e ce l'ha ancora. Dio, ma quando imparerò a tenere la bocca chiusa?”; improvvisamente, un dolore lancinante alla parte sinistra del petto gli fece strizzare gli occhi e contrarre la bocca in una smorfia di dolore: “Di nuovo quel fottuto vuoto... è come se il sangue sparisse improvvisamente dal cuore”

E' ovvio, deficiente!” lo ammonì una vocina “Stai sanguinando per una ferita che ti sei fatto da solo e nemmeno te ne accorgi”. Aprì gli occhi mentre una lacrima si aggrappava alle sue ciglia nel tentativo disperato di non cadere a terra; se stava male era solo ed esclusivamente colpa sua. Era stato lui a far iniziare quella girandola di sfighe: la droga comprata a New York, la dose che non doveva farsi e che aveva fatto arrabbiare lei... da morire; poi sempre lei, che cercava di dirgli qualcosa, e la sua interruzione.

Le lacrime nascoste di Rea... «Ti prego, chiamami quando ti sarai ripulito»...

Nikki picchiò violentemente il pugno a terra: “Sono stato un idiota... o meglio, un coglione. Era chiaro che lei non voleva piantarmi, sennò perchè mi avrebbe detto quelle parole? Come ho fatto a non afferrare subito?” si passò nervosamente le dita nei capelli annodati “Sembra un po' il casino che era successo con Vanity... ma questa volta è peggio. Se quella volta avevo qualche possibilità in più di riprenderla, adesso no... l'ho ferita, l'ho rifiutata per ben due volte. Le ho fatto male, troppo male”. Il bassista alzò di nuovo lo sguardo, ritrovandosi un'altra volta faccia a faccia con il fuoco; per un secondo, in quel gioco di fiamme che si incrociavano e dissolvevano, gli parve di rivedere il viso della sua ragazza. “O forse è già ora di iniziare a chiamarla ex-ragazza?” puntualizzò la solita vocina irritante; Nikki si irrigidì tutto d'un tratto: “No... no ti prego, non dirlo nemmeno per scherzo”. Eppure, c'erano tutti i requisiti perchè la loro storia potesse considerarsi conclusa. Di nuovo la mano al petto, di nuovo quell'orrenda sensazione di tuffo al cuore: «Merda» biascicò il ragazzo tenendo i denti stretti; mentre stringeva le palpebre, rivide lei uscire da casa sua trattenendo le lacrime e ostentando una finta durezza. Poi rivide se stesso, nel suo nascondiglio, che cercava di farla finita; un urlo di dolore gli uscì dalla bocca e rimbalzò sulle pareti di quella grande villa vuota. Non voleva pensare al dopo, non voleva rivedere se stesso rifiutarla così brutalmente all'ospedale; faceva troppo male, si sentiva troppo stupido. Riaprì gli occhi, cercando di fuggire da quelle memorie recenti che lo facevano stare da schifo, e fissò di nuovo il fuoco, cercando di immaginare i suoi capelli corvini, quegli occhi così profondi e scuri e quel sorriso che rivolgeva solo a lui...


You tell me that you're leaving, and I'm trying to understand
I had myself believing I should take it like a man
But if you gotta go, then you gotta know that it's killing me
And all the things I never seem to show, I gotta make you see


Era dal 4 aprile che Rea passava del tempo con le amiche solo durante i pasti; il resto della giornata lo trascorreva barricata nel suo studio, la stanza a nord, quella più buia e più fredda di tutta quella splendida casa. Le belle giornate iniziavano ad arrivare, il sole splendeva più a lungo e l'aria si stava scaldando, ma la voglia di uscire da quel piccolo bunker con una parete fatta interamente di vetro non l'aveva mai sfiorata; ogni invito rivoltole dalle amiche era stato gentilmente declinato con un «No, grazie, preferisco dipingere». La mattina del lunedì successivo, il 6 aprile, aveva iniziato il suo tirocinio presso la mostra stagionale organizzata dall'università e quello stesso pomeriggio aveva ripreso il suo lavoro in officina; doveva sentirsi realizzata, voleva sentirsi felice, invece c'era qualcosa che le impediva di sorridere. Forse era meglio dire qualcuno; qualcuno che le aveva dato le spalle così brutalmente e non le aveva dato nemmeno la possibilità di spiegare. Anche quella sera era nello studio, le luci soffuse ed il camino acceso; era inginocchiata davanti ad un grande pezzo di tela e, con lo sguardo spento, fissava i pennelli ed i tubetti di tempera acrilica. Ne aveva per ogni gradazione e colore ma, meccanicamente, decise di ripiegare sui toni del blu; non era da lei, decisamente quelle non erano le sfumature che riflettevano la sua personalità, impetuosa e calda, ma in quel momento sentiva che il fuoco dentro di lei era spento.

Blu... il colore dell'acqua, l'elemento avverso al fuoco... il colore della tristezza.

Rea abbozzò un mezzo sorriso pensando ad Amy: “Lei ama così tanto l'azzurro... e sorride, sempre”. Una lacrima scivolò furtiva lungo la guancia vellutata della ragazza e lei si affrettò ad asciugarla con il dorso della mano; anche lei voleva essere felice e fare progetti come le sue amiche. Prese un supporto in legno da uno scaffale e ci spruzzò sopra le tre tonalità di blu scelte, poi allungò pigramente la mano verso un pennello ed iniziò a distribuire il colore sulla tela; ormai il disegno era sempre quello, da giorni nella sua mente non vedeva nessun'altra immagine. Pennellate delicate e definite di blu fiordaliso per la pelle del volto, due cerchi di pervinca per quelli che, in realtà, erano due occhi meravigliosamente verdi e tratti più lunghi, tesi e densi di blu scuro per i capelli; eccolo lì, era di nuovo davanti a lei. Rea sentì la gola stringersi sempre di più e gli occhi prudere mentre posava il pennello; sospirò cercando di prendere più fiato possibile e sfregò con le dita le palpebre chiuse. Un brivido di freddo le corse lungo la schiena mentre le lacrime iniziavano a solcarle di nuovo il viso; guardò il fuoco cercando di trarne il maggior beneficio possibile, senza nessun risultato. Era come se quell'elemento non le appartenesse più.


Girl it's been so long, (tell me) tell me how could it be
One of us knows the two of us don't belong in each others company
It hurts so much inside, your telling me goodbye, you wanna be free
And knowin' that you're gone and leavin' me behind
I gotta make you see, I gotta make you see, I gotta make you see


Si abbracciò cercando di ricordare il calore che solo Nikki poteva donarle con un abbraccio; era addirittura più caldo del fuoco. “Perchè tutto non può tornare come prima? Perchè non mi hai fatto spiegare? Hai frainteso tutto come sempre... dovrei detestarti eppure non ci riesco”.


I still love you, I still love you
I really, I really love you, I still love you

Singhiozzi sempre più difficili da reprimere uscivano dalle labbra di Rea al ritmo di una triste ballata; teneva il mento il più possibile vicino al collo mentre si stringeva sempre più forte le spalle. Desiderava da impazzire quelle braccia forti, così virili, capaci di darle conforto e sostenerla; le desiderava così tanto che riusciva a sentire il profumo di Nikki aleggiare intorno a lei. Aprì gli occhi nella speranza che tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento fosse un terribile incubo ed invece la realtà la colpì in faccia brutalmente con quella tela spiegata davanti al camino.


Martedì 7 aprile 1987, 12.05 am

Forse avrei dovuto metterlo in conto, dovevo già saperlo dall'inizio; non avrei dovuto imbarcarmi in una storia simile. Dovevo rinunciare già dall'inizio, dovevo evitare di ringraziarlo quella sera dopo il concerto al Roxy per quello che aveva fatto fuori dal Whisky; anzi, quella sera non sarei dovuta nemmeno andare al Whisky, così non l'avrei mai visto. Invece ho insistito, ho voluto rintracciarlo per dirgli grazie per ciò che aveva fatto per me e guarda in che guaio mi sono messa... me ne sono innamorata. Come ci si può innamorare di una rockstar? Non è certo la relazione sicura che ogni ragazza cerca; se poi lui ha pure grossi problemi con la droga...

Ma andiamo, ma chi voglio prendere in giro? I mesi passati sono stati i più belli di sempre. Posso dire con certezza per la prima volta nella mia vita che mi sono innamorata sul serio, che ho provato sensazioni sconosciute che nessuno mi aveva mai fatto sperimentare prima. È vero, ci abbiamo messo un po' a baciarci, ma è stato il bacio più straordinario che qualcuno mi abbia mai donato... forse è stata anche l'attesa a renderlo così speciale. Credevo che lui poteva mettere da parte la droga con il mio aiuto, credevo davvero di poterlo convincere a smettere; è una persona bellissima quando non ha in circolo le sue schifezze... ed invece non mi ha capita. Ho un lavoro, ho un tirocinio da portare avanti, lo ammetto, ma mai e poi mai lo lascerei solo durante una terapia; lui invece ha capito tutt'altro...


People tell me I should win at any cost
But now I see as the smoke clears away, the battle has been lost

E così mi ha cacciata fuori da casa sua, ha tentato di farla finita e l'abbiamo ripreso per i capelli; il peggio, però, è stato che, oltre a sentirmi terribilmente colpevole per ciò che è successo, lui non mi ha nemmeno guardata in faccia quando sono entrata nella sua stanza d'ospedale. Ha fatto finta che non ci fossi... ha fatto in modo che sparissi dalla sua vita. Anche se non voglio crederci, lui non ha mai detto frasi tipo “Rea, fra di noi è finita”. Non ci voglio credere, no!


Rea scosse la testa cercando di convincersi sempre di più che Nikki non aveva mai detto una frase del genere; con le lacrime che scorrevano sempre più copiose giù per gli zigomi, allungò la mano verso il tubetto del bianco e lo spruzzò abbondantemente sulla sua tavolozza. Intinse l'indice in quella poltiglia fredda e scrisse sulla tela in caratteri eleganti “I still love you”, poi alzò gli occhi ormai rossi per il pianto e continuò a fissare il fuoco nella speranza di rivedere la sua immagine sotto la canna fumaria, proprio dove l'aveva vista per la prima volta.


I see it in your eyes, you never have to lie, I'm out of your life


Nikki afferrò la bottiglia del Jack e la mise in posizione verticale sopra il bicchiere, versandone dapprima il liquido dentro il contenitore per poi vederlo uscire in piccoli rigagnoli ed inondare il persiano; osservava la scena in modo assente, la sua mente era altrove. Stava di nuovo facendo quella fantasia, quella che, per la prima volta, aveva fatto nel corridoio di casa sua davanti allo specchio tempo prima. Sognava, proprio come aveva fatto quando aveva chiuso gli occhi ed ascoltato il suo cuore; “Tu che ascolti il cuore?” gracchiò la solita vocina rompiscatole “Ma se non sai nemmeno se ce l'hai o no, ha!”. Il ragazzo strinse nervosamente il collo della bottiglia cercando mentalmente di zittire la parte scocciatrice della sua coscienza: “Silenzio! Certo che ce l'ho un cuore, ovvio che ce l'ho! Altrimenti non sarei qui ad ammazzarmi di seghe mentali e a cercare un modo per riprenderla”; era sicuro di averlo, lo sentiva in quel momento pulsare nel petto prepotentemente sia per la rabbia, sia per il desiderio di riavere Rea. Era quello che desiderava di più in quell'istante. Già immaginava la scena: lui che in qualche modo la riavvicinava, lei che in un primo momento si rifiutava di ascoltarlo e lui che non demordeva; la prendeva per mano, stringeva quelle dita da artista in una presa forte e dolce allo stesso tempo, avvicinava il suo corpo a quello di lei e la baciava appassionatamente. Rea rispondeva con calore al suo amore e poi, non si sa per quale strano scherzo del destino, si ritrovavano nella sua camera inondata di petali di rose rosse, i vestiti ammucchiati ai piedi del letto e loro, perfettamente incastrati l'uno nell'altra, che ballavano la più bella danza del mondo.


Tonight I'll dream away and you can still be mine
But I'm dreamin' a lie, dreamin' a lie, makes me wanna die


Immaginava sospiri, gemiti, piccole urla e dolci sussurri all'orecchio mentre le faceva sentire che lui c'era, che era la sua metà esatta, che mai, per nessun altro motivo al mondo, l'avrebbe più allontanata; si vedeva mentre le accarezzava il viso leggermente sudato, mentre le baciava quelle labbra naturalmente tendenti al rosso e mentre si allungava verso il suo orecchio e spingendo ancor di più le svelava il segreto più grande della sua vita: «Ti amo»


Cause I still love you, I still love you
Baby, baby I love you, I still love you


In un momento di raptus, Nikki afferrò il bicchiere e lo gettò nel camino, provocando una fiammata più alta delle altre accompagnata dallo spaccarsi in mille pezzi del vetro. “Mi sono innamorato... ormai è ufficiale, ho perso completamente la testa per lei. È così strano ammetterlo... io, che dovrei avere un animo insensibile, faccio fatica a respirare se lei non c'è. Sento che il cuore mi esplode se lei non c'è... quante cose ancora ho da spiegarti, quante cose ancora non ti ho raccontato della mia vita e quante cose ancora tu mi devi dire...”


And when I think of all the things you'll never know
There's so much left to say
'Cos girl, now I see the price of losing you will be my half to pay
My half to pay, each and every day, hear what I say


Doveva assolutamente trovare un modo per rivederla e per parlarci; sarebbe morto se non l'avesse fatto. Magari lei non gliene avrebbe dato la possibilità, però almeno lui poteva dire di averci provato. Quella notte Nikki rimase sveglio tutto il tempo a ciondolare per casa ad escogitare un piano per rivedere il più presto possibile quegli occhi dalle venature indaco che lo facevano impazzire: “Lo specchio dell'anima più bello che si possa vedere”.


I still love you, I still love you
I really, I really love you, I still love you
Baby, baby, I love you, I love you, I really, I really love you.


* * *


Quella mattina avrebbe preferito non svegliarsi; se fosse stata in grado di farlo, avrebbe dormito fino al mattino seguente onde evitare di sentire quella orrenda sensazione che le opprimeva il petto. Ma Bunny e le altre erano andate nella sua camera, Morea le aveva scostato le tende ed aperto le finestre facendo entrare il sole tiepido e Marta aveva iniziato a cantarle “Tanti auguri” con la sua voce da usignolo; “Oh, no” era stato il suo primo pensiero mentre si copriva il capo con il lenzuolo. Non aveva per nulla voglia di festeggiare i suoi ventuno anni. «Pigrona» aveva detto dolcemente Amy poggiandole una mano sulla testa «non vuoi aprire il tuo regalo?».

Regalo...

Quella parola le rimbombò nella testa per un tempo infinito; l'unico regalo che desiderava avere in quel momento era Nikki, vestito con un paio di jeans, una maglia tagliata, i capelli cotonati ed un enorme fiocco rosso in testa. Faceva ridere, ma lo voleva indietro, tutto per sé. La gola le si serrò in una morsa mozzafiato e la vista le si annebbiò per le lacrime; Amy, in quel momento, scostò il lenzuolo e vide due goccioloni scorrere sulle guance dell'amica. Rea represse un singhiozzo, poi si voltò per guardare le sue quattro amiche e chiese: «Non mi avete portato lui, vero?». Gli sguardi bassi che seguirono parlarono da soli; Rea chiuse gli occhi e sospirò cercando di sciogliere il nodo che le attanagliava la gola mentre nuove gocce salate le rigavano il viso. Bunny si sedette sul letto vicino a lei e l'abbracciò: «Coraggio Rea... non piangere; almeno oggi che è il tuo compleanno. Cerca di non pensarci. Solo per oggi, ok? Non è bello soffrire il giorno più bello di tutto l'anno insieme a Natale»; le diede un piccolo bacio sulla guancia umida e poi la sollecitò: «Allora, lo vuoi aprire il nostro regalo o no?».


Venerdì 17 aprile 1987, 7.30 am

Se ognuna delle mie amiche fosse una stella, tutte sarebbero in grado di rendermi cieca a vita, talmente sono splendenti. Ho delle amiche meravigliose, anzi... forse meravigliose è troppo poco; mi hanno fatto un regalo a dir poco strepitoso. Quando ho aperto la piccola scatoletta di tessuto vellutato nero ed ho visto il ciondolo le ho abbracciate tutte una ad una; Morea mi ha circondata con le sue braccia forti e mi ha detto: «Tu non hai idea del casino che abbiamo fatto con l'orefice per farti fare quel ciondolino... sono felice che ti sia piaciuto». Marta mi ha aiutata a mettermelo al collo e, giuro, non lo toglierò mai. Il kanji giapponese del fuoco in oro rosso agganciato ad una sottile catenina in oro bianco. Il mio elemento modellato in uno dei metalli più duraturi; è come avere sempre addosso un pezzo delle mie stelle. Spero di trarre la forza necessaria da questo piccolo oggettino per poter continuare ad andare avanti nella mia vita; anche se... forse dovrei chiedere a qualcuno di scrivermi il nome di Nikki in giapponese e farmi fare un bracciale. Ma questa è una pazzia in piena regola.


* * *


Heles continuava a fissare Rea, che stava sfumando un motore, mentre era intenta ad avvitare i bulloni di un radiatore; quel giorno era leggermente più felice del solito, ma le mancava ormai da circa due settimane quella sua peculiare scintilla negli occhi. Non le piaceva farsi gli affari degli altri, non era il tipo che amava “gossippare”, però si era affezionata a quell'artista che ormai era diventata bravissima a colorare i serbatoi e a modellare i parafanghi delle Harley che entravano alla Burning Fire Choppers; se inizialmente c'era stata diffidenza fra di loro, ora potevano contare su un rapporto basato sulla complicità e sulla stima reciproca. Proprio qualche giorno prima, durante la verniciatura di un motore, Heles, il più discretamente possibile, aveva domandato alla bruna se era tutto ok; Rea, dopo aver scosso il capo con un sorriso amaro sul volto, aveva raccontato tutto con le lacrime agli occhi mentre la collega le accarezzava la coda nera: «Non disperarti, è solo un deficiente... tutti quelli come lui sono così» era stata la conclusione della bionda. Rea l'aveva guardata ed aveva sussurrato: «Non lo so... non credo» mentre due lacrimoni le scorrevano inesorabilmente sulle guance morbide; Heles aveva sorriso e scosso il capo: «Fiamma, sei ancora troppo innamorata di lui... quando si è innamorati si perdona tutto. Ma questa volta l'ha combinata grossa». La bionda sbuffò ripensando a quel viso tanto bello quanto trasandato che più volte aveva visto su Rolling Stone: “E' un idiota. Non capisco come lei abbia fatto ad innamorarsi di lui... magari quel Nikkia, Nikki, come si chiama lui, insomma, la stava pure prendendo in giro; però Rea, accecata dall'amore...”. L'acuto squillo del telefono la fece sobbalzare facendole cadere la brugola di mano; William andò a rispondere e, dopo aver mugolato qualche parola incomprensibile, chiamò Heles dicendo: «Tesoro, ti vogliono... è un certo Mister Black». La ragazza si alzò scattante infilandosi l'attrezzo nella tuta da lavoro e corse verso il piccolo telefono a parete, totalmente incurante del fatto che, dall'altro capo del filo, c'era la persona che odiava di più in quel momento: «Parla Heles». Ci fu un attimo di silenzio, poi qualcuno gracchiò: «Sei la collega di Rea?»

«Ma chi è?» chiese la bionda, completamente spiazzata dalla domanda precedente

«Sono...» un sospiro «Nikki Sixx». Senza pensarci due volte, Heles riappese mandando mentalmente a quel paese la rockstar che l'aveva interrotta nel bel mezzo di un lavoro molto impegnativo; ma come diede le spalle alla parete per tornare alla 883 che stava aggiustando, il telefono suonò di nuovo: «Pronto?» rispose arrogante, sicura che fosse Nikki a richiamare

«Senti un po', con che coraggio metti giù il telefono ad un cliente?» le urlò il bassista parecchio arrabbiato

«Cliente? Tu cliente?» lo sbeffeggiò il meccanico «Apri le orecchie deficiente, io sono qui a lavorare, non faccio come te che sei seduto a bordo piscina a scolarti una tequila oppure sdraiato sul divano a sniffare coca dal cuscino di fianco al tuo» poi abbassò di botto la voce «e anche Rea non è qui a girarsi i pollici, quindi smettila di chiamare e lasciaci in pace»

«No, aspetta, non riattaccare!» strillò Nikki. Heles guardò stupefatta il ricevitore, poi lo riavvicinò all'orecchio: «Cos'era quella voce da checca isterica?». Nikki digrignò i denti e si morse un labbro: voleva ruggire, se fosse stato capace avrebbe fatto uscire la sua mano dalla cornetta per poter tappare la bocca ad Heles così da poter parlare in pace; non la conosceva nemmeno di vista, ma la odiava profondamente per i suoi atteggiamenti. Però si trattenne; respirò profondamente e disse: «Senti, per quanto riguarda Rea...»

«Sta male, lo sai?» l'interruppe la bionda

«Certo che lo so» sbottò lui «ho telefonato perchè ho voglia di risentirla... di rivederla»

«Ed io devo crederti?» lo schernì per l'ennesima volta Heles

«Ho qui il regalo del suo compleanno». Nel sentire quelle parole, la bionda si pietrificò per un momento; quasi stentava a credere alle sue orecchie: «Tu le hai fatto un regalo?» chiese con un filo di voce

«Faccio regali solo alle persone a cui tengo» rispose Nikki irritato per poi aggiungere: «Tu non lo fai?». La bionda non aprì bocca, così Nikki incalzò: «Il tuo silenzio mi sembra sufficientemente eloquente. Adesso ascoltami bene... mi stai ascoltando?»

«Sì, ti seguo» sbuffò Heles sgranando gli occhi

«Ok... senti, oggi voglio darle il regalo, però sono impegnato; stasera devo girare un video sullo Strip»

«Quindi?» domandò la bionda sempre più confusa

«Quindi ho bisogno di un parere da meccanico...»

«Tu sei fuori di melone» Heles si lasciò sfuggire una mezza risata

«Vuoi chiudere quella latrina e farmi parlare?» sbraitò Nikki ormai al limite della pazienza «Tu mi devi solo dire un modo facile per manomettere il motore della mia Harley! Durante alcune riprese useremo le moto ed io devo trovare un modo perchè il mezzo smetta di funzionare e mi si fermi in mezzo alla strada, ma non immediatamente! HAI CAPITO?». Heles guardò la cornetta mentre nella sua mente si accavallavano incredulità e pietà per “Mister Black”; scosse la testa dopo aver deciso di assecondarlo: «Zucchero nel serbatoio»

«Solo?»

«Sostituire dei pistoni caramellati non è uno scherzo... senti “Mister Black”, mi sembra che tu sia sincero, è per questo che ti sto dando una mano. Mi auguro di aver fatto la scelta giusta»

«Perfetto, è facile» Nikki stava per riattaccare, quando la voce di Heles richiamò la sua attenzione: «Lo zucchero, però, mettilo nel serbatoio verso le fine delle riprese con la moto, entra in azione piuttosto in fretta. Una volta che ti si ferma il mezzo chiama qui, Will è sempre in negozio fino a dopo mezzanotte; chiedi che Rea ti faccia il pronto intervento inventandoti la scusa che è stata lei l'ultima volta a ripararti il mezzo e spara una cifra esorbitante come compenso. Tanto tu te lo puoi permettere, no?»

«Già...» sospirò il bassista; riattaccò soddisfatto e poi corse in bagno per prepararsi per le riprese del video di “Girls Girls Girls”.


* * *


Sabato 18 aprile 1987, 12.30 am

Sono contenta del regalo delle mie amiche, mi ha permesso di affrontare la giornata più serenamente del solito. Oggi alla mostra è stata una mattinata pressoché piatta ed in officina il pomeriggio è scivolato via senza imprevisti strani: riparazioni spicciole ed un motore da sfumare, nulla di più. Diciamo che questa quiete mi ha dato modo di riflettere parecchio... mi è tornato in mente il nonno. È quasi un anno che è morto, ma sembra che sia passato molto più tempo; sono successe una valanga di cose in questi 365 giorni. Alti, bassi, momenti divertenti e momenti di smarrimento... specie nell'ultimo periodo. Quando penso a lui, a quell'omino sempre allegro che mi ha cresciuta, mi viene sempre da sorridere; uscita dall'officina sono tornata a casa e mi sono rintanata nel mio studio perchè avevo voglia di parlare un po' con lui, di farmi dare qualche consiglio. Seduta a gambe incrociate davanti al camino spento, ho acceso lo Zippo e lui mi si è materializzato davanti con una trombetta in bocca e, mentre batteva le mani, mi ha cantato “Tanti auguri”. Anche da morto è un fuori di testa. «Buon compleanno fuoco mio!» mi ha detto «ti abbraccerei ma non ci riesco... allora? Com'è andata la giornata?». L'ho guardato di sottecchi, facendogli capire che so che lui è al corrente di come mi stanno andando le cose ultimamente, così il nonno ha sventolato il suo ditino tozzo sotto il mio naso: «Non riesco proprio a nasconderti niente, eh? Tesoro, è tutto merito mio se hai imparato ad affinare il tuo sesto senso». Mi sono portata una mano alla fronte ed ho sospirato: «Non ce la fai proprio a non pavoneggiarti, è più forte di te»

«Su, Fiamma, l'ho fatto per farti ridere un po'! Ho provato a contare le lacrime che hai versato in questi giorni, ma dopo essere arrivato a duecento ho perso il conto; iniziavano a diventare troppe» il mio nonnino ha arricciato le labbra «Raccontami un po' dal tuo punto di vista che è successo».


Bunny stava uscendo dal bagno quando aveva visto Rea fiondarsi nel suo studio; stranamente non aveva chiuso del tutto la porta. Forse era stata la fretta; o, perchè no, anche il fatto che non voleva più chiudersi a riccio come aveva fatto nei giorni precedenti. L'amica le aveva raccontato qualcosa di quello che era successo quel fatidico giorno, ma Bunny aveva preferito non insistere con le domande: Rea singhiozzava sempre più forte e vederla ridotta in quello stato le straziava il cuore. Non era lei; semplicemente non lo era. “Tutti stanno male, ma Rea non ha mai sofferto così tanto in vita sua. Di solito è sempre quella che sa come, quanto e quando tirare fuori gli artigli; ma questa volta sembra essere parecchio smarrita”. Si era guardata in giro con fare circospetto e poi, in punta di piedi, si era avvicinata alla porta in noce: Rea stava parlando con il nonno di quello che era successo; gesticolava disegnando eleganti volute davanti a sé, passandosi ogni tanto una mano nei folti capelli corvini. Per la prima volta stava raccontando i suoi problemi senza piangere. Bunny si accovacciò abbracciandosi le ginocchia e, respirando il più piano possibile, ascoltò il racconto della sua amica. Più Rea parlava, più la bocca della biondina faticava a rimanere chiusa per lo stupore: erano successe troppe cose nell'arco di troppo poco tempo, ecco perchè Rea aveva avuto quel... “Come lo chiama Amy?” si domandò nervosamente mordicchiandosi le unghie

«Un blocco psicologico?» le suggerì la voce del nonno da dentro la stanza

Ecco, quel coso lì” pensò la ragazza disegnando intorno a sé un semicerchio con il braccio e facendo schioccare le dita. Purtroppo, quel movimento le fece perdere l'equilibrio e Bunny si ritrovò a pancia in su dopo aver tirato una testata alla porta in noce, aprendola completamente. La ragazza dai capelli corvini si girò di scatto con gli occhi spalancati: «Ma... Bunny! Cosa stai facendo?»; l'amica non le rispose immediatamente, si limitò a massaggiarsi il capo con gli occhi lucidi: «Ahia, che male... è dura quella porta, lo sai?». Rea corrugò le sopracciglia sempre più sorpresa, mentre il nonno scoppiò in una fragorosa risata: «Ciao testina a pasticcino! La porta sarà anche dura ma la tua testa lo è ancor di più!»

«Nonno!» cercò di rimproverarlo imbarazzata la nipote, ma il vecchietto non la sentì nemmeno: «Siedi qui con noi, Bunny»

«Che gentile, grazie» sorrise la biondina mettendosi in ginocchio di fianco all'amica. Il nonno si schiarì la voce: «Dunque, immagino che tu abbia sentito tutto, tesoruccio»

«Stavi origliando?» il tono della voce di Rea era basso e minaccioso

«Beh, io... veramente» gli occhi di Bunny iniziarono a saltellare da una parete all'altra dello studio in cerca di un posto dove rifugiarsi «Ouch!»

«Immagino che la mamma ti abbia detto che è da maleducati origliare, vero Coniglietto?» la bella bruna le premette un pugno sul capo

«SMETTILAAAA!» Bunny iniziò a piangere «Ho già picchiato la testa contro la porta, non mi dare pugni!»

«Te lo do il pugno invece, così invece di due chignon in testa avrai due bernoccoli!» sbraitò Rea; la voce del nonno interruppe il litigio: «Adesso basta!». Le due ragazze fissarono quella testa tonda da cui spuntavano due occhietti iniettati di sangue: «Io stavo per fare un discorso serio! Comunque, vedo che già abbiamo trovato la soluzione»

«Eh?» lo sbigottimento si dipinse sui visi delle due ragazze

«Insomma Rea, hai superato la tua fase di scombussolamento emotivo. Tutto grazie a Bunny». La bruna si girò a guardare l'amica che la fissava con un sorriso a trentadue denti: «Visto?» ma subito si girò verso il nonno chiedendo come fosse stato possibile. Il vecchietto sospirò rassegnato ed iniziò a spiegare: «Il litigio è stato fondamentale per ritemprare nuovamente il carattere di Rea. Lo scombussolamento che c'era stato era perchè erano successi troppi avvenimenti di carattere contrastante in pochissimo tempo: un bacio, una delusione, un rifiuto, la paura, il sollievo ed infine un nuovo rifiuto. La vicinanza di un'amica importante come te ed un evento come un litigio ha potuto riequilibrare l'animo di mia nipote e farle capire come deve comportarsi d'ora in poi... giusto Fiamma?». Rea rimase in silenzio a fissare il nonno per qualche secondo, dopodiché chiese: «Non ho capito, puoi ripetere?»

«E meno male che quella stordita sono io!» esclamò Bunny tirando un buffetto alla guancia dell'amica «Insomma, litigare ti ha fatto bene perchè ti ha fatta ritornare in te, capisci? Proprio l'altro giorno, ricordi che io avevo mangiato da sola un sacchetto di marshmallow?»

«HAI MANGIATO LE MIE CARAMELLE?» ruggì la mora

«Ugh...» Bunny deglutì a fatica «appunto, nemmeno te n'eri accorta»

«E poi vieni a piagnucolare da me se ti vedi il pancino un po' più rotondo» Rea sbuffò su un ciuffo per toglierselo dalla fronte «Ma tu guarda...». Il nonno applaudì richiamando l'attenzione delle ragazze: «Perfetto fuoco mio, così ti voglio!» poi abbassò la voce e guardò teneramente la nipote «Voglio che tu sia tu, sempre e comunque». La ragazza avrebbe voluto abbracciarlo ed accarezzare quel capo tondo come ormai non faceva più da un anno a quella parte: «Nonno, ti voglio bene» fu l'unica cosa che poté dire per manifestare la sua gratitudine; il vecchietto le fece l'occhiolino e poi sparì. Rea rimase a fissare lo Zippo che teneva in mano con un lieve sorriso mentre Bunny le cinse le spalle con un braccio: «Come ti senti ora?». Rea avrebbe voluto dirle mille parole: dirle che sentiva nuovamente il fuoco dentro sé, dirle che si sentiva rinvigorita, dirle anche che era merito suo se aveva recuperato pienamente il controllo di sé; però solo due parole le scivolarono sulle labbra: «Grazie Bunny». Gli occhioni azzurri dell'amica si chiusero per un attimo mentre si portava gli indici alle guance rosee; sorrideva come solo lei sapeva fare: «Ma ti pare!». Rea stava per aggiungere qualcosa quando uno strano gorgoglio la bloccò; Bunny scoppiò a ridere: «Oh, ho una fame incredibile! Che ne dici se andiamo a prepararci qualcosa di là intanto che aspettiamo Marta?»

«E' vero, stasera tocca a me mettermi dietro i fornelli» si ricordò la bruna

«Già... Amy è da Taiki a studiare per l'esame di anatomia mentre Morea è a cena da Moran. Cosa cuciniamo?» disse Bunny saltellando per il corridoio. Proprio in quel momento, Marta rincasò con un'enorme scatola fra le mani: «Ragazze, ho una super notizia da darvi!» e mentre si toglieva la giacca raccontò alle amiche di essere stata scelta per un provino. L'atmosfera sembrava essere tornata quella di sempre, quando lo squillare del telefono interruppe per un attimo l'euforia di Marta che si precipitò a rispondere: «Pronto, Seiya, tesoro, ciao! Sai che... come? Oh...» sospirò allungando il ricevitore verso Rea: «E' per te, un certo William». La bruna aggrottò le sopracciglia con fare interrogativo: “Pensavo di non avere dimenticato nulla in officina”

«Ciao tesoro» la salutò il capo «senti... ti devo chiedere un favore»

«Che succede?»; era troppo strano che la chiamasse dopo l'orario di chiusura

«Ha appena telefonato un cliente dicendo di avere urgente bisogno di una tua riparazione» spiegò lui. Rea era perplessa: «Scusa, ma in questi casi non dovrebbe uscire il carro attrezzi?»

«Tecnicamente sì, però ha insistito dicendo che deve usare la moto per lavoro stasera». La ragazza sbuffò spazientita; in quel momento aveva una gran voglia di rimanere con le sue amiche. Stava per chiedere di girare il lavoro ad Heles quando William l'anticipò: «Ha chiesto espressamente che gli faccia tu il lavoro perchè con Heles si è trovato male. E paga. Molto profumatamente»

«Quanto profumatamente?» chiese Rea sottovoce coprendo il ricevitore con la mano. La risposta le arrivò chiara e nitida all'orecchio: «Cinquemila dollari»

«CHEEEE???» era una cifra incredibilmente alta «Ma chi è questo? Uno sceicco miliardario?»

«Non credo, dice di chiamarsi Mister Black» rispose William dall'altra parte del ricevitore «Comunque, prendi nota: ha detto di trovarsi al Seventh Veil e di andare là il prima possibile»

«Ok» sospirò Rea “Vado là solo per la lauta ricompensa, nulla di più”. Riattaccò e si infilò in fretta la sua giacca in pelle; Bunny le urlò dalla cucina: «Che succede? Dove vai?»

«Riparazione urgente... mi spiace, dovete farvi da mangiare da sole e...» Rea le fissò intensamente da dietro la porta «vedete di non dare fuoco alla casa. Se torno e trovo il prato flambé siete morte. Tutte e due». Bunny iniziò a mordicchiarsi le dita dalla preoccupazione ma Marta le fece l'occhiolino e le alzò il pollice: «Vai tranquilla». Corse in garage, afferrò la cassetta degli attrezzi che le aveva dato in dotazione William su cui c'era il logo dell'officina e si affrettò a raggiungere il Western Sunset Boulevard. Mentre i lampioni le coloravano di giallo la pelle del viso, Rea cercava di comporre mentalmente il viso ed il corpo di quel cliente così generoso; alla fine giunse alla conclusione che solo un motociclista sovrappeso, pelato, con indosso una bandana che raffigurava la bandiera sudista, un lurido giubbino in jeans senza maniche e dei pantaloni in pelle sformati e, quello che peggio, segaiolo da morire poteva averle chiesto un favore del genere: “Mi auguro solo che non faccia il pagliaccio quando mi presenterò davanti a lui”. Proprio in quel momento, dovette rallentare ed accostare poiché la polizia le sbarrò la strada: «Mi spiace, ma per questa sera questo tratto dello Strip è chiuso al traffico». Rea aggrottò le sopracciglia in cerca di spiegazioni: «Cosa vuol dire chiuso?»

«Stanno girando un videoclip» il poliziotto sputò a terra «le consiglio di fare inversione e...»

«Aspetti un secondo» la ragazza stava già perdendo le staffe «sono stata chiamata per andare a fare una riparazione urgente al Seventh Veil. Io DEVO passare». I due agenti si guardarono perplessi: «Adesso non prendono solo le ballerine, vogliono anche le donne che fanno le riparazioni...»

«Insomma, non sto scherzando!» sbottò la ragazza mettendo in mostra la cassetta degli attrezzi «Mi fate passare oppure vi devo investire?». Nel giro di pochi secondi era diventata una furia, paonazza in viso e con le mani che tremavano, pronte anche a sferrare un pugno ad uno di quei poliziotti; uno degli agenti spalancò gli occhi per la paura: «Va bene, ti facciamo passare, però devi posteggiare qui l'auto. Ci è stato espressamente detto di non fare transitare nessun veicolo». Rea li prese in parola e spense il motore, lasciando la macchina proprio davanti a loro ed iniziò a camminare con passo spedito verso lo strip club: «Ehi, guarda che non puoi lasciarla esattamente in questo punto! È in divieto di sosta, ti devo fare la multa!» urlò uno dei due poliziotti, ma lei fece finta di non sentire. Camminava veloce sul marciapiede illuminato dalle gigantesche insegne al neon di vari colori su cui poteva leggere i nomi dei diversi night club; era deserto, si sentiva solo il rumore dei suoi stivali sull'asfalto, e già in lontananza scorgeva quattro moto parcheggiate davanti a quello che, dall'esterno, sembrava essere un edificio orientaleggiante reso scintillante da grosse lampadine che correvano per i bordi dei muri esterni. Appena sotto, lesse l'insegna con un forte senso di nausea: SEVENTH VEIL, STRIP SHOW, TOTALLY NUDE GIRLS. Deglutì a fatica sentendo la bile salire; proprio in quel momento, un uomo grosso come un treno merci, con dei capelli lunghi, biondi e crespi ed una barba di sei settimane, le corse incontro con gli occhi che gli brillavano: «Dimmi che sei il meccanico». La bruna dischiuse leggermente la bocca per lo stupore ed annuì. Il biondone fece un salto di gioia ed esclamò: «Che bellezza, sono Wayne Isham, direttore di videoclip. Segui me... la moto di uno dei ragazzi non funziona più»; la prese per il polso e la trascinò davanti ad una Softail con i parafanghi vermiglione: «E' questa qui, spero si riesca a fare qualcosa... DIECI MINUTI DI PAUSA PER TUTTI!». Era euforico.

«Per cortesia» Rea strinse i pugni chiamando a raccolta tutta la poca pazienza che aveva in quel momento «può chiamarmi il proprietario, così mi faccio dire da lui che problema c'è?». L'uomo si limitò ad annuire freneticamente mentre correva all'interno del locale. La ragazza posò a terra la cassetta degli attrezzi e si accovacciò davanti al motore per studiarlo con una torcia: “Maledizione, con questa poca luce e l'insegna al neon gialla avrò diversi problemi a capire di che si tratta”. Sbuffò spazientita e si legò i capelli: “Dove diavolo è quell'imbecille del proprietario? Quel Mister Black. Se non viene con le chiavi ad accendermi il mezzo posso fare ben poco...”.


Coca + eroina = speedball; collaudato. Funziona che è una meraviglia.

Rea + eroina fatta due ore fa = disastro. Dovrei essere tranquillo, perfettamente a mio agio dentro questo involucro di pelle umana e invece... è come se il mio spirito volesse uscire dai miei pori. Quasi non ho il coraggio di varcare la soglia del locale. Sbuffo e sospiro come un padre che aspetta di sentir dire dall'infermiera che è nato suo figlio. Mi passo nervosamente le dita fra i capelli perfettamente cotonati che se mi vedesse la ragazza del trucco mi spaccherebbe le ossa, dato che ci ha messo tre quarti d'ora a farmi la pettinatura. Sudo freddo. Faccio fatica a respirare. Il cuore mi batte al ritmo di un pendolo impazzito; vuole uscirmi dal petto, devo incrociare le braccia per impedirgli di farlo. Stupido muscolo del cazzo. Senza di te, tutto sarebbe più semplice: nessun problema di alcun tipo. Niente sofferenza, niente simpatia, niente amore. Però che mondo di merda sarebbe? Allora forse è meglio che continui a sentirti che scalpiti come un dannato sotto le mie costole mentre Lei è di spalle che guarda la mia Harley. Mi fai male, e non capisco se è per amore o perchè soffro; o per entrambe. Chiudo gli occhi inspirando l'aria densa di fumo per cercare di attutire il suono di questa musica interiore nelle mie orecchie, ma è inutile; hai deciso di palpitare e non posso farci niente. Sei diventato immune a tutta la merda che mi sparo in vena, ma non a lei. E forse è un bene. Probabilmente è un modo per farmi capire che, in fondo, un motivo per vivere ce l'ho ancora...


Nikki infilò una mano tremante nella tasca interna della giacca dove custodiva il suo piccolo tesoro per assicurarsi che fosse ancora lì: “Cosa aspetti, la venuta del Messia? Vai!” lo esortò il suo cervello. Si sistemò il colletto della maglia ed uscì con passo felpato dal Seventh Veil. Più si avvicinava a lei e più poteva sentire il suo unico profumo, ammirare i suoi capelli così lucidi e lisci e quelle sue mani perfette che cercavano il problema del suo mezzo. Due settimane senza quelle sensazioni erano state infernali. Rea stava scrutando il motore con la sua piccola torcia quando un'ombra le rubò quella fioca luce artificiale che arrivava dall'insegna del night club; iniziò a voltarsi per vedere in faccia l'idiota che le aveva tolto il neon giallo: «Per favore, si può spos...» le si spalancarono gli occhi, la bocca si aprì leggermente per lo stupore, il respiro si mozzò, il cuore mancò un battito «Nikki?». Le venne a mancare tutto ad un tratto la voce, solo un flebile sibilo uscì dalle sue labbra carnose. Si alzò in piedi lentamente, puntandogli in faccia la luce della torcia per accertarsi che ciò che aveva visto fosse vero. Il ragazzo scostò delicatamente l'attrezzo afferrando per il polso la bruna; poi, fece un passo verso di lei, per guardare di nuovo quelle magiche iridi che non vedeva da più di due settimane: «Buon compleanno» disse semplicemente sentendo il cuore esplodergli per l'emozione.


Sabato 18 aprile 1987, 12.30 am

Lo ammetto, ero felicissima di vederlo; ma allo stesso tempo volevo spaccargli la faccia. Pensava di salvarsi con un misero “buon compleanno” dopo tutto quello che era successo. Il problema è che ho sopportato troppe volte le sue lune ed i suoi ripensamenti, quindi, a partire da adesso, inizierò a ripagarlo con la sua stessa moneta. Dovrà darsi da fare per riconquistarmi e, soprattutto, dovrà imparare a fare due cose: liberarsi della droga ed iniziare ad ascoltarmi; se vuole costruire qualcosa di duraturo con me, queste sono le misure che dovrà prendere. Non mi va di mostrarmi glaciale con lui... però è l'unico modo per fargli capire che non lo perdono tanto facilmente per quello che ha fatto.


Rimasero entrambi immobili per qualche istante a fissarsi negli occhi, finché Rea si liberò malamente della morbida stretta e gli mostrò un palmo della mano: «Le chiavi»

«Co-cosa?» Nikki aggrottò le sopracciglia incredulo

«Le chiavi della moto» ribadì lei secca squadrandogli il viso. Incredulo, il bassista estrasse dalla tasca un anellino con attaccate due chiavi; lei lo prese quasi senza guardarlo in viso e si voltò per accendere il mezzo. Nikki si grattò il capo: “Mi avrà sentito?”; così ribadì ancora più dolcemente il suo messaggio: «Tanti auguri Rea»

«Ho capito, grazie» lei lo fissò con gli occhi carichi di ira. Girò la chiave per accendere il mezzo, ma tutto quello che ottenne fu un cigolio metallico spettrale: «Ma che cavolo hai fatto a questa povera moto?»

Povera moto? Adesso è più interessata all'Harley che a te?” nella testa di Nikki rimbombò un campanello d'allarme; la fantasia che aveva fatto quella sera davanti al fuoco, sfumò in pochi secondi. A quanto pare rifarla sua sarebbe stato più difficile del previsto. Strinse i pugni raccogliendo tutta la determinazione che aveva e poi si portò la mano al taschino interno della giacca; afferrò quel pacchettino rosso con un fiocco nero che aveva confezionato lui stesso e lo allungò verso di lei. Si schiarì la voce per attirare la sua attenzione e le disse: «Spero che ti possa piacere... insomma, una parte del regalo sono sicuro che ti piacerà, per l'altra spero di avere azzeccato il colore e...»

«Non lo voglio il tuo regalo» quelle parole taglienti come coltelli uscirono dalla bocca di Rea ad una velocità incredibile; proprio una di quelle lame andò ad infilzarsi nel petto di Sixx: “Non... lo vuole?”. Rea gli rese le chiavi e con tono deciso gli disse: «Non basta un regalo ed una frasettina carina preconfezionata per farmi tornare da te. Dopo tutto quello che mi hai fatto, è già tanto se ti sto ancora guardando negli occhi e parlando, sai?». Nikki si fece scuro in viso; abbassò lo sguardo per incontrare la sua mano, ancora tesa verso di lei, che stringeva il pacchetto. Stranamente, i contorni dell'oggetto non erano ben definiti: “Ma come? Io da vicino ci ho sempre visto bene... SVEGLIATI IMBECILLE! Non hai bisogno di un paio di occhiali, tu hai bisogno di trattenere le lacrime perchè altrimenti farai doppiamente la figura dell'idiota!” lo ammonì una delle sue vocine. Si sentiva ferito; ma se lo meritava. Era consapevole di averle spezzato il cuore, quindi un simile atteggiamento da parte sua era più che comprensibile; però il regalo voleva darlelo a tutti i costi. «Hai ragione ad essere arrabbiata... anzi, livida. Però almeno questo prendilo» a stento riusciva a tener ferma la voce; Rea gli strappò la sorpresa dalle mani e la lasciò cadere nella cassetta degli attrezzi: «Sei contento adesso? Sappi che, però, molto probabilmente quel pacchetto finirà sul fondo del mio cassetto e non verrà mai aperto». La sua voce era bassa e lugubre; Nikki ripensò per un attimo a quando il suo timbro era caldo come il fuoco che custodiva dentro di lei. Ora, invece, ogni sua parola era paragonabile ad una vangata di neve in pieno viso. Rimase a guardarla impietrito, mentre ancora stentava a credere alle sue orecchie; Rea si sciolse i capelli e sentenziò: «Ottimo stratagemma quello di riempirsi il serbatoio di zucchero per farmi uscire, caro Mister Black. Da sola non posso fare molto, quindi chiama il carro attrezzi e fattela portare a riparare. E, per la cronaca: i tuoi soldi non li voglio». Sempre più freddo. C'erano venti gradi quella sera, ma Nikki ne percepiva tre: “Non può finire così, non deve andare così”; allungò una mano verso di lei e la prese per un braccio: «Senti Rea, io...» stentava a controllare le sue emozioni. Una lacrima scintillante come vetro gli rigò la guancia; alla vista di quella goccia di tristezza, Rea si bloccò e trattenne il fiato. Non doveva cedere. Lui doveva capire. «Smettila, o ti si rovinerà il trucco per il video» lo schernì la ragazza. Nikki respirò profondamente e disse: «Ti rivoglio... ti rivoglio per me». Un nodo iniziò a chiudere la gola della bella bruna; Rea serrò le palpebre e sospirò: «Non finchè ci sarà lei...»

«Lei chi?» domandò il bassista confuso

«Devi scegliere» la ragazza si morse un labbro per tentare di frenare il fremito del suo mento «o me, o l'eroina. Non si possono avere due donne contemporaneamente».


Sabato 18 aprile 1987, 12.30 am

Dopo avergli detto quella frase sono corsa via ed ho potuto finalmente sfogare tutte le emozioni che mi gonfiavano il petto: la felicità di averlo rivisto, la rabbia nei suoi confronti per avermi trattata male ed il dispiacere per essermi comportata così con lui. Non è giusto, non è carino, ma è l'unico modo per fargli capire le cose. Non mi piace questa strada che ho imboccato, però so che, se voglio riabbracciarlo di nuovo ed averlo tutto per me, dovrò comportarmi così. Perdonami Nikki; non credere che lo stia facendo con piacere. Anzi, forse quella che soffre di più in questo momento sono io; odio comportarmi così ed odio ferire te... però è l'unica maniera per farti capire quanto male mi hai fatto. Appena arrivata a casa, ho aperto il tuo regalo e non l'ho messo sul fondo del cassetto come, invece, ti avevo detto; mi è piaciuto tanto. Il cd di “Girls, Girls, Girls” autografato da voi quattro con il mio nome messo nei crediti. E quel bellissimo rossetto... ma la parte più bella del regalo è stato scoprire che, sul fondo della scatolina, c'era un tuo piccolo bigliettino con scritto: “Spero un giorno di poter vedere su quelle tue splendide labbra, questi petali di rose rosse; non nascondo anche, che mi piacerebbe coglierle con un mio bacio, quelle rose”. Conserverò con cura questo tuo regalo e lo userò solo quando sarò sicura di vederti... sperando che tu capisca presto i tuoi errori. Ti amo... ti prego, non deludermi.


Era rimasto solo sul marciapiede, imbambolato a guardare la moto. L'ultima frase che Rea gli aveva detto gli stava ancora echeggiando nella mente: “Non si possono avere due donne contemporaneamente”; si mise una mano in tasca e tirò fuori la solita bustina con dentro la solita persiana. Fissò la plastica con gli occhi lucidi: “E così... è giunto il momento di separarci”; si morse il labbro mentre chiudeva gli occhi per far cadere due lacrime sull'asfalto: “Ma stasera sanguino... ho tanto dolore dentro di me. Non posso tornare dentro con questa faccia. Permettimi di darti un ultimo bacio d'addio, così potrò dire che sono diventato capace di fare a meno di te. La donna che voglio è un'altra”. Tirò fuori l'accendino ed un tappino della Pepsi ed iniziò a prepararsi quella che avrebbe dovuto essere l'ultima dose di eroina della sua vita.


NOTE:

Il testo che compare all'inizio del capitolo è quello di “I Still Love You” dei Kiss di cui non posseggo i diritti.

Il colore della tristezza: Rea pronuncia questa frase in riferimento al modo di dire inglese “I'm blue” che si dice quando si è tristi.

Rolling Stone: rivista statunitense specializzata in ambito musicale.

883: modello di Harley Davidson.

Strip: si intende Sunset Strip, il nome con cui i losangelini chiamano il Sunset Boulevard.

Seventh Veil: strip club di Los Angeles in cui venne girato il video di “Girls Girls Girls”.

Wayne Isham: direttore di diversi videoclip.


Per la serie: “A volte ritornano”, rieccomi dopo più di un mese con il ventesimo capitolo di questa storia. Prima di tutto, vorrei chiedere scusa a tutte quelle persone alle cui recensioni non ho risposto; credetemi, sono impegnatissima con l'università ed è già tanto se riesco a buttare giù due righe della mia storia. Prometto che cercherò di rispondere il prima possibile a tutti i vostri messaggi. Venendo al capitolo: Rea è esplosa; va bene essere innamorati persi di qualcuno, ma quando è troppo è troppo. La troppa sofferenza accumulata nel capitolo precedente l'ha sballata completamente rendendola quasi un automa; per fortuna sono bastati il consiglio del nonno e la vicinanza di un'amica preziosa per farla ritornare in sé e farle capire come deve comportarsi con Nikki. Da questo momento in poi, Rea si mostrerà di roccia con lui finchè non noterà dei miglioramenti. Nikki stesso è scombussolato da ciò che è successo: sembra quasi cedere troppo facilmente al pianto; c'è comunque da tenere presente che, oltre al dolore per l'allontanamento di Rea, lui ha sempre la sua dannata droga che gli rovina le giornate. Cosa succederà poi? Non posso anticiparvi nulla, ma come avrete intuito: di smancerie varie fra i due non ne vedremo per un po' di tempo, anche se continueranno a stare vicini. I ringraziamenti, come sempre, vanno a: Miss Demy, SailorMercury84, Lau_McKagan, Mars from the stars, alemagica88, Alison_95, bunny 92, Cri cri, dudy, elliehudson, Kate_88, kay89, key17, Lady Mars, lulu85, marziolina86, Rei_Hino, sailor crystal, BrianneSixx, MipufStar e RocketQueen_. Grazie anche a tutti i silent readers che perdono tempo a leggere i miei deliri e grazie anche agli 81 likers su Facebook (siete forti ragazzi). Come sempre, sapete che tutte le vostre recensioni, belle o brutte che siano, sono sempre ben accette, quindi non esitate a farmi notare errori o a darmi consigli; grazie a tutti.

Ellie

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Capitolo 21
*** Cold Turkey ***


21 Cold Turkey

PREMESSA: questo capitolo sarà interamente dedicato a Nikki; di conseguenza, poiché Rea non compare minimamente in questo contesto, a lei dedicherò completamente il prossimo capitolo. Siete di fronte ad una forte dose di sesso, droga e rock and roll; consumatela con calma e cautela. Ci saranno dei passaggi piuttosto espliciti; siete avvisati. Detto questo: welcome to Van Nuys.


La mattina dopo, Nikki si svegliò con un mal di testa da Guinness dei Primati. Stentava a tenere gli occhi aperti, si sentiva due macigni al posto delle palpebre; in più, gli faceva male da morire il sedere, ma non ricordava bene il perchè: “Dio santo, non mi sembra di aver girato il video di Girls in sella ad un asino”. Ancora con gli occhi chiusi, scese con la mano a massaggiarsi i glutei: “Porca boia, che male”; grugnì nel sentirsi i muscoli indolenziti come se avesse fatto per due ore esercizi mirati per rassodarsi il fondo schiena: “Neanche fossi una top model”. Si stiracchiò lentamente, sbadigliando flemmatico; proprio mentre allungava il braccio sinistro, urtò qualcosa di duro e freddo di fianco a lui sul materasso. Incuriosito da quell'impatto, aprì un occhio per vedere di che cosa si trattasse: “Il fucile di nonno Tom?”; in quel preciso istante, i ricordi della sera precedente tornarono a galla come una miriade di cadaveri in uno stagno.


Dal diario di Nikki. Sabato 18 aprile 1987

Ero rimasto in fissa come un ebete sui suoi capelli che vibravano nell'aria mentre lei correva via da me; una felicità microscopica mi riempiva la mente ma il sentimento che la faceva da padrone era la consapevolezza. “Dovrò farmi un mazzo così per riprendermela; c'è qualcosa che mi fa capire che lei mi vuole ancora. Cosa di preciso non so, ma c'è. Però sarà più difficile di quello che avevo previsto”. Poi T-Bone mi aveva raggiunto correndo: «Bro, stiamo ricominciando... allora, sta moto funziona o no?»

«Ma va! Anzi, chiamo un carro attrezzi che la faccio portare in officina...»

«Ma che cosa è successo?» gli occhi vispi di Tommy fissavano i miei, spenti come due semafori su una strada non trafficata a mezzanotte. Dirgli che mi ero messo lo zucchero nel serbatoio pur di vederla? Assolutamente no, mi avrebbe ucciso e poi avrebbe spifferato tutto agli altri; non avevo voglia di scornarmi con nessuno: «Il meccanico dice che c'è stato un guasto all'impianto elettrico, che è partito il fusibile sbagliato e si è bucato il radiatore»

Certo che scusa peggiore non potevi inventare” mi ha fatto notare una delle mie amiche voci

«Cazzo, che sfiga» è stato l'unico commento del mio amico. Meglio così; non sarei stato in grado di sopportare un altra domanda e poi l'eroina mi stava pure entrando prepotentemente in circolo. Ho finito le riprese (non ce la facevo più a reggere le urla delle ballerine che premevano tutte per fare una ripresa ballandomi intorno... beh, purtroppo una ripresa simile con loro ho dovuto farla. Isham non capisce proprio un cazzo) e poi T-Bone si è offerto di portarmi a casa; ecco perchè ho un male del diavolo al culo: l'ammortizzatore dietro della Harley di Tommy è rigido, quindi a ogni tombino erano dolori. Quando sono arrivato gli ho chiesto se voleva farsi un paio di sniffate (lo so, sono un coglione, però con T-Bone il divertimento è coca + MTV); lui ha detto solo una. È entrato, abbiamo fatto quello che dovevamo fare e poi lui è uscito in tempo zero perchè doveva tornare a casa dalla sua adorabilmente fottuta mogliettina; fanculo, Heather si permette di togliermi il mio amico. Quella stronza è stata l'ultima persona ad entrare nella vita di Tommy e lo manovra come cazzo pare a lei. Gli dice pure di non vedermi perchè non si sente tranquilla e non sono un tipo affidabile. Beh, allora lei che cazzo si è scelta a fare Tommy come marito? Se non voleva impicci con il sottoscritto avrebbe dovuto sposare un cazzo di dottore di sta minchia laureato all'università di suo padre. Ero talmente furibondo con il mio amico (ma ancora di più furibondo con sua moglie) che non ho resistito e mi sono fatto un'altra sniffata (lo so, sono doppiamente coglione, ma è l'unico modo per dimenticarsi della rabbia). Poi ho cercato di mettermi a letto, giuro, ci ho provato, ma le voci nella mia testa si sono moltiplicate a dismisura e di nuovo ho iniziato a vedere sagome ovunque. Ero in trappola. Nella trappola che la mia testa mi stava tendendo ed io ci stavo cadendo dentro in pieno, con la faccia rivolta verso il fondo della fossa, verso il nero, verso il vuoto, verso il niente. Odio quella schifosa sensazione di vertigine. E poi rimbomba tutto in quel cazzo di tunnel, tutte le vocine si sdoppiano, diventano venti, cento, mille; e non capisco più nulla. Volevo silenzio, quiete, come quella che c'è nei boschi... perchè qui a L.A. non c'è un cazzo di bosco? Se ci fosse, andrei a farmi costruire una casa lì in mezzo, lontano da tutti e in pace con me stesso. Così, in preda alla disperazione (se lo sa Rea mi uccide... beh, diciamo che se io fossi lei mi prenderei a calci sulle gengive finchè non mi cadono tutti i denti per la cazzata che ho fatto) mi sono sparato in vena l'eroina. Lentamente mi sono calmato. Lentamente le voci sono diminuite. Lentamente ho ripreso il volo verso il bordo del precipizio in cui ero caduto. Ho imbracciato il fucile di Tom e me ne sono andato a letto con quello, sperando di sentirmi più al sicuro.


Seduto sul letto a gambe incrociate, Nikki si rigirava fra le mani quel fucile a pompa che, per anni, suo nonno aveva maneggiato tutte le volte che aveva provato a portarlo a caccia con lui. Faceva un frastuono infernale quando sparava; ti scuoteva dall'interno, sembrava quasi che il proiettile, invece di andare verso la vittima scelta, tornasse indietro e ti bucasse il torace. Tom gliel'aveva regalato quando lui aveva deciso di abbandonare la casa dove i nonni lo ospitavano in Idaho per partire per Los Angeles: «Mi raccomando, vacci piano» era stata l'unica raccomandazione; era salito sul Greyhound bus felice di andarsene da quel mondo ottuso e contadino ed aveva infilato l'arma nella sua sacca da viaggio, pensando di non averne mai bisogno in futuro. Invece... da quando la droga era diventata la sua migliore amica, quel fucile era uno dei pochissimi oggetti che potevano farlo sentire protetto quando sopraggiungeva il delirio. In un istante sentì gravare sopra di sé il peso della vergogna e, con un gesto rabbioso, Nikki gettò l'arma dietro di sé. Si alzò barcollando dal letto e trascinò i piedi fino ad arrivare nel piccolo bagnetto dove teneva tutto il suo arsenale. Aprì l'armadietto e si riempì le mani di tutto quello che c'era dentro, ma la roba era talmente tanta che occorsero più viaggi per portare bustine di plastica, siringhe e altre idiozie sul tavolo della cucina. Alla fine, guardò il mucchio che aveva creato: faceva paura, talmente era alto; in quel momento, un piccolo capogiro fece barcollare Nikki che si aggrappò alla maniglia del frigorifero per non finire a terra. Era debole, doveva mettere qualcosa sotto i denti. Si versò un bicchiere di latte freddo e tirò fuori dalla dispensa i biscotti alla vaniglia che era solito comprare per Spank; poggiò anche la colazione sul tavolo, proprio davanti alla montagnetta di schifezza che doveva – e voleva – fare sparire al più presto. Ridacchiò fra sé: “Se mi vedessero i giornalisti che mi mangio latte e biscotti come i bambini a colazione sarei rovinato”. Mentre addentava il primo biscotto, il cagnolino arrivò di soppiatto in cucina: «Ciao amico»

«E ti pareva se quell'ingordo del mio cane non doveva venire in cucina a fregarmi i biscotti» Nikki scosse la testa sputacchiando qualche briciola

«Spank pappa quella»

«Guarda che questi sono anche miei» il ragazzo gli sventolò davanti agli occhi il sacchetto «fino a prova contraria te li compro io con i miei soldi»

«»

«Quindi posso mangiarli anch'io» ecco che spuntava di nuovo quel sorriso sghembo che proponeva sempre agli obbiettivi delle macchine fotografiche

«No. Quello mio» Spank lo guardò offeso e cercò di sporgersi per portargli via il sacchetto

«Tieni» il bassista gli lanciò due biscotti «mangia questi e lasciami solo». Il bastardino guaì abbassando le orecchie e guardò la pappa che teneva fra le zampine; tirò su con il naso mentre faceva il broncio: «Tu cattivo...». Si mise in bocca il primo biscotto ed iniziò a masticarlo mentre usciva in giardino; Nikki lo guardò con la coda dell'occhio, esterrefatto per la reazione che aveva avuto. Difficilmente Spank si comportava così; anzi, ad essere sinceri, non si era mai comportato in quel modo. Era sempre pieno di energie, scodinzolava e mangiava voracemente. In quel momento lo guardava mentre strisciava le zampe e la coda verso la porta di servizio; masticava lentamente la sua pappa con gli occhi bassi. Prima di uscire in giardino, il cagnolino lanciò un'ultima occhiata al padrone: «Spank vuole Iaia». Nikki sospirò e si girò a guardare la droga ammontonata sul tavolo: «Sai Spank... anch'io voglio Iaia». Posò il bicchiere vuoto nel lavandino e si accese una sigaretta, per permettere al suo cervello di iniziare a cercare un modo per sbarazzarsi di quella roba: “Water? No, è talmente tanta che si ingolferebbe e poi devo chiamare l'idraulico... ti immagini la situazione? Che cos'è tutta questa roba bianca? Detersivo che non si è sciolto? Lasciamo perdere. Il camino? Uhm... troppo sospetto; non fa più così freddo da accendere il fuoco, probabilmente i vicini si accorgerebbero e chiamerebbero qualcuno. Allora un falò in giardino... che idiozia!”. Prese l'ultima boccata di fumo e la espirò disegnando dei cerchi davanti a sé; spense il mozzicone rassegnato, tornando a sedersi al tavolo e stringendosi la testa fra le mani. Tutta quella droga che giaceva sul tavolo poteva essere sufficiente per un reggimento: “Spaccio? Nah, lasciamo stare. Ci manca solo che mi mettano dentro per una cazzata simile e addio tour. Eppure ci deve essere un modo per farla sparire... TUTTA”.

«Buon sabato mezzogiorno Los Angeles! Sono le dodici e zero uno e con voi ci sono sempre io, Cynthia Fox con In Tune At Noon, pronta a tenervi compagnia per la prossima ora. Qui a KLOS il grande rock non manca mai, quindi cominciamo alla grande con la mitica “Rock And Roll All Nite” dei Kiss!». Nikki alzò la testa e fissò le casse dello stereo con gli occhi spalancati: “Come ho fatto a non pensarci prima?”


I wanna rock and roll all nite

and party everyday!”


La risposta gli era arrivata da Gene Simmons che cantava su quel vecchio disco del 1975: una grande festa; con quella grande festa avrebbe dovuto far sparire tutta la droga da casa sua e dalla sua vita. Perfetto. Si alzò dal tavolo e si affrettò a prendere la sua rubrica e un foglio con una penna. Il dito sinistro scorreva febbrile lungo la carta mentre la mano destra digitava sulla tastiera del cordless il numero di telefono della persona interessata; la spiegazione ad ogni chiamata era sempre la stessa: “Ciao bello, sono Nikki. Stavo pensando di organizzare, a partire da lunedì, una grande festa a casa mia. Alcool a fiumi e droga a volontà ovviamente. Si sta qui finchè non si finisce tutto. Che ne dici, vieni? Mi raccomando, non portare gente invasata”. Stringato ma convincente al massimo. Dopo qualche telefonata, sul foglio l'inchiostro nero aveva scritto:


Slash

Steven Adler

Pete

Duff McKagan

Fred Saunders


Ora il suo dito si era bloccato sopra il nome del suo migliore amico; sinceramente non sapeva che fare. “Lo chiamo o non lo chiamo?”; sembrava la classica domanda che ci si pone se si deve spennare una margherita. Tommy era sempre stato presente nei suoi party, era il suo compagno di cazzate per eccellenza; eppure qualcosa, in quel momento, lo stava frenando. Sapeva che il suo bro non avrebbe condiviso la sua decisione. Se si fosse presentato alla festa gli avrebbe rotto le palle tutto il tempo per la scelta che aveva deciso di prendere e, contemporaneamente, si sarebbe scolato litri di Jack e sniffato quantità incredibili di cocaina; nonsense. Gli avrebbe fatto la predica dicendo che avrebbe dovuto lasciar perdere la droga ed evitare feste simili se voleva riconquistarla, però lui, già sposato, poteva concedersi il lusso di sniffare come un animale e sbattersi la prima che capitava. E poi, quella doveva essere la sua festa d'addio per l'eroina; voleva un congedo in grande stile, quindi voleva sentirsi libero di farsi più che poteva. E Tommy non doveva partecipare al suo personale delirio, o avrebbe cercato in tutti i modi di mettergli dei paletti. Grandissima, enorme, macroscopica scocciatura. Chiuse la rubrica e poggiò il cordless nel caricabatterie. Non gli telefonò.


* * *


Aveva trascorso la giornata di lunedì a rendere la sua villa il più presentabile possibile: aveva passato l'aspirapolvere, sbattuto i tappeti ricoperti di mozziconi e riempito il frigorifero di tanto cibo commestibile, liberandosi dei vecchi würst andati a male ormai da settimane, così da scongiurare ogni attacco di fame chimica di Steven: “Quello è peggio dell'orso Yoghi quando si mette a fumare”. Aveva fatto una gran scorta di super alcolici di ogni genere e aveva anche chiamato Jason per un piccolo rifornimento d'emergenza. Intorno alle sette di sera era tutto pronto: il bar traboccante di bevande dalla gradazione non inferiore al quaranta per cento, il tavolo della sala da pranzo ricoperto di salatini e schifezze varie e, ovviamente, tutta la droga nel mobiletto sopra il lavandino in cucina. Nikki si sfregò le mani soddisfatto: «L'ultima pazzia. Poi correrò da te, Rea, e metterò la testa a posto. Ce la farò, da solo». Convinto ed irremovibile. Poco tempo dopo, il campanello suonò per la prima volta: era Fred; l'omone abbracciò il bassista e gli diede una sonora pacca sulla spalla. «Fai piano, che cazzo!» si lamentò Nikki massaggiandosi

«Hai ragione, scusa! Arriverà il giorno che...» il biker si immobilizzò per un istante con gli occhi spalancati «Ma quanto cazzo sei dimagrito?»

«Dici?» fingere di cadere dal pero era la tattica migliore «Non mi sembra»

Certo, come no. Come puoi nascondere che, da quando non vedi più lei, i pantaloni ti cascano, il tuo culo sente la forza di gravità, le maglie ti stanno larghe e hai una faccia che sembra quella di un cadavere, sia per il colore che per la carne che ci è attaccata? Te ne sei accorto anche tu che ti stai degradando... solo che fai finta di non vedere”.

«Sicuro di sentirti bene?» Fred si fece scuro in viso

Ovvio che non mi sento bene”. Nikki si morse la lingua per evitare di dire la verità: «Ma certo»

«E... la ragazza, quella che ti avevo portato al concerto? Ti vedi ancora con lei? Non ti dice niente per come sei combinato?». L'impulso di rompere sulla testa di Fred una bottiglia di gin era diventato irrefrenabile; fortunatamente, l'acuto suono del citofono frenò appena in tempo il nervosismo di Nikki. Pete, il suo vicino di casa, lo aspettava sulla porta in compagnia di due stangone bionde con i seni rifatti: «Ehi amico! Ho pensato che per il tuo festone due ballerine del Cathouse fossero indispensabili ad allietare l'atmosfera». Aveva un sorriso smagliante e guardava estasiato il corpo delle due ragazze non troppo vestite. “Questo si sta ammalando della Vince-Neil's Syndrome! Inizia a non poter più fare a meno del sesso”; Nikki lo salutò a denti stretti, non esattamente contento che quelle due entrassero in casa sua. Pete spinse in avanti le due ragazze: «Salutate il mio amico»

«Ciao dolcezza» sospirò una delle due poggiando le sue tette in silicone al petto del bassista «sono Melanie... che ne dici se dopo beviamo qualcosina insieme?». Nikki non fece in tempo a risponderle che non ne voleva sapere, quando l'altra bionda gli prese di forza il viso fra le mani e gli leccò avidamente le labbra. “Ma che cazzo!” con tutta la forza che aveva in corpo, spinse via schifato la ragazza che andò a sbattere contro lo stipite della porta d'ingresso: «Tu non mi rompere i coglioni, chiaro?» poi si girò a guardare l'altra che era rimasta pietrificata «E tu pure. Stuprate il mio amico, non me». Sputò a terra e si girò per andare verso il bar a prendere qualcosa da bere per levarsi dalla bocca il sapore di quella perversa lussuria, mentre le ragazze starnazzavano fra loro alle sue spalle che quello era uno stronzo; ma, stranamente, non gliene fregava un tubo di quei commenti. Fosse stato qualche anno prima avrebbe dato loro molto più peso, ma la sua visione delle cose era cambiata con il tempo; qualcuno, e sapeva benissimo chi, gli aveva fatto apprezzare quant'era bello essere amati per quello che si è realmente e non per il ruolo che si ricopre. Quel qualcuno gli aveva fatto capire che, molte volte, valeva di più una carezza fatta con la punta delle dita piuttosto che una palpata a mano aperta. Quel qualcuno gli aveva anche fatto realizzare che un bacio si dà perchè si vuole trasmettere amore; un bacio non va sprecato per fare iniziare una scopata. È un contatto troppo intimo. Mentre era intento a riempirsi un bicchiere con del Jack, Pete gli mise una mano sulla spalla: «Ehi, che ti succede? C'è qualcosa che non va?»

«Cosa te lo fa pensare?» Nikki si girò a fissarlo con occhi glaciali stringendo il bicchiere fino a farsi diventare le unghie bianche

«Insomma... ti ho portato due belle topolone... e le lasci completamente a me! Normalmente, la prima botta spetta sempre a te e...»

«Senti, non mi piacciono, ok?». Buttò giù tutto d'un fiato il whisky ed uscì in giardino per fumarsi una sigaretta. Il cielo iniziava a velarsi dei colori della notte, le nuvole erano rosa e la parte più bassa stava divenendo arancione; si portò la sigaretta alle labbra ed inspirò fino a riempirsi i polmoni di fumo. Poi chiuse gli occhi cercando di isolarsi dal mondo esterno ed espirò lentamente aprendo leggermente le labbra da cui uscì una nuvoletta grigia allungata. Ripensò a quello che aveva letto pochi giorni prima su una rivista riguardo “il rito della sigaretta”: l'atto di portare alle labbra il filtro e succhiare letteralmente il fumo da esso revocava pienamente la suzione dal seno materno. E, ironia della sorte, anche il bacio aveva la stessa funzione. Scosse con il pollice il filtro facendo cadere la cenere poco distante dai suoi piedi: “Dunque... baciare Rea è come fumare la sigaretta? E il tutto riconduce a quando io ciucciavo avidamente dalle tette di mia madre. Mia madre... chissà come sta... porca vacca, basta! Ho già abbastanza cazzi per la testa, ci manca solo lei”. Altra boccata ristoratrice di anidride carbonica mista a catrame: “In pratica, tecnicamente, fumare una sigaretta e baciare Rea dovrebbero portarmi allo stesso grado di soddisfazione”; il bassista fissò dubbioso la carta bruciare e la piccola bava grigia che si innalzava dritta come uno spaghetto dalla sigaretta. Scosse la testa e spense il mozzicone nel posacenere: “Che stronzata. Fumare una Marlboro è appagante come baciare. Ma chi è che scrive queste cagate?”. Rientrò nell'abitazione passando per la porta a vetri e fissò l'atmosfera che si stava creando: Fred si era comodamente sistemato sullo sgabello davanti al bar e stava sorseggiando lentamente del Martini, mentre Pete e le due sventole erano sul divano a ridacchiare fra di loro intanto che le mani dei tre scivolavano maliziosamente sui corpi altrui. Nikki sghignazzò sottovoce; dopotutto era quello l'ambiente che si doveva creare. Il campanello suonò di nuovo e sulla soglia apparvero Slash e Duff: «Ciao fratellone Sixx!»; il mulatto lo circondò con le sue braccia possenti mentre Nikki allungava la sua mano destra per stringere quella del biondo ossigenato: «Siete solo voi due?»

«Per adesso sì» Duff si sfilò gli Aviator neri infilandoseli nella tasca della camicia bianca che indossava sbottonata fino a metà petto

«Steven ha detto che ha avuto un mezzo casino» aggiunse Slash «comunque, tranquillo che arriva». I tre si diressero verso il soggiorno dove c'erano già gli altri ospiti; non appena entrarono nel locale, Slash picchiò i tacchi dei suoi stivali texani contro il pavimento: «Dico, amico: ma sei scemo?». Un silenzio agghiacciante calò nella stanza; tutti si immobilizzarono e si voltarono a fissare il riccio che, imbronciato, guardava il padrone di casa. Nikki inclinò la testa di lato: «Scemo... per cosa?»

«Ma... merda! Mi inviti a casa tua, dici che c'è un festone megagalattico, arrivo e... manca l'ingrediente principale per la buona riuscita di una festa del genere!». Duff guardava il compagno di band con la fronte corrugata: «Saul... stai bene? Sai che, per quanto riguarda la roba, non c'è da preoccuparsi»

«Lo so!» Slash, disperato, immerse i polpastrelli nei suoi vaporosi ricci «Ma... ma... Duff, dico, hai visto? Ci sono solo due donne... QUI MANCA LA PATATA, DOV'E' LA PATATA?». Nikki deglutì rumorosamente: “Bene, è ufficiale. Sono l'unico essere vivente qui dentro che non è sessualmente attivo. La cosa più assurda è che, però, non ne sento l'esigenza. Cioè, ne sentirei l'esigenza se avessi una persona in particolare, ma... non avevo proprio pensato al fatto che i miei ospiti avrebbero voluto sbizzarrirsi”

«Sixx, il barboncino ha ragione» Fred poggiò rumorosamente il bicchiere vuoto sul piano di legno «c'è bisogno di più donne»

«Ehi, a chi hai detto barboncino, King Kong dei poveri?» Slash fece per dirigersi minaccioso verso Fred ma Duff lo bloccò per la manica della giacca in jeans. In quel momento, Melissa scattò in piedi e squittì: «Nessun problema. Ora io e Kathy chiamiamo il Cathouse e invitiamo qui altre nostre amiche» poi si girò verso Nikki e, ancheggiando sensualmente, si avvicinò al suo orecchio per sussurrarci: «Possiamo, vero?». Di nuovo il senso di repulsione si impadronì delle membra del bassista; Melissa non era brutta, tutt'altro. Era estremamente avvenente e sexy, eppure c'era qualcosa che non andava in lei; era vuota. Nikki fece un cenno con il capo: «Il telefono è là dietro» e poi si sbrigò ad allontanarsi da lei «Ragazzi, chi vuole un po' di polverina magica?»

«Noi!» le mani dei due musicisti dei Guns N'Roses si alzarono nello stesso istante. Nikki sorrise; in quel momento preferiva di gran lunga la compagnia di un amico e della droga piuttosto che la vicinanza di una femmina. Fece per girarsi per entrare in cucina, quando la voce di Slash richiamò la sua attenzione: «Però mi devi prestare la tua carta di credito gold»

«E perchè mai?» il bassista lo guardò di sottecchi

«Perchè le strisce vengono meglio... e poi fa più figo tagliarla con una tesserina dorata»

«Non ascoltare le cazzate che dice» Duff tappò la bocca di Slash con una mano «tira fuori la roba e basta. Che il delirio abbia inizio».


* * *


La droga era entrata in circolo in tempo record ed altrettanto in fretta erano arrivati i “rinforzi” dal Cathouse; cinque pantere bionde dai seni in silicone avevano varcato la soglia della grande villa e si stavano dando da fare per risollevare gli animi e soddisfare gli appetiti di quegli uomini che, ormai, erano talmente fatti ed ubriachi da non saper distinguere la destra dalla sinistra. Slash, da bravo furbone, si era preso quella con il davanzale più prosperoso e, in tempo zero, si era buttato sul letto della stanza degli ospiti insieme a lei; anche Fred non aveva perso troppo tempo andando a rinchiudersi in un bagno con una spogliarellista che portava un assurdo taglio di capelli. Diceva che il capello corto alla Billy Idol su una donna gli faceva un sesso incredibile. Pete continuava a intrattenersi con Melissa e Kathy in maniera piuttosto spinta sul divano mentre Duff si era buttato a terra per farsi massaggiare la schiena dalla ballerina più giovane. Nikki era l'unico che era rimasto al tavolo, a fissare il piano ancora cosparso di piccole nuvolette di cocaina; si sentiva dannatamente nervoso: “A quante strisce siamo arrivati?” una vocina gli rimbombò nella testa. Stringendo i pugni, il bassista cercò di fare mente locale: “Dunque... una con Duff... la seconda con Slash... poi...” i ricordi iniziavano ad accavallarsi paurosamente; inspirò profondamente sentendo i muscoli tremare: “Dicevamo: la prima con Duff, poi Slash... dopo...” buio. Un pugno secco sul piano di teak; un porca puttana sibilato fra gli incisivi. “Duff, Slash... poi... poi...”

«Ehi amore» una mano gli accarezzò delicatamente il braccio; Nikki si voltò verso la ragazza con gli occhi iniettati di sangue e i denti stretti. La biondina arretrò di qualche centimetro impaurita: «Vuoi... vuoi da bere?»

«Lasciami stare». Diretto e chiaro. La ragazza nemmeno provò a ribattere; era stato così brusco nei modi che era meglio stare a distanza di sicurezza. Nikki si passò la mano destra nei capelli imbrattati di lacca: “Ce n'è stata anche una terza... lo so” ma proprio non riusciva a collegare la sniffata con il viso di qualcuno. E questo lo innervosiva parecchio; la situazione gli stava scappando di mano e non poteva davvero permetterselo. Forse era giunto il momento di iniziare con l'eroina; aveva preso troppa coca ed era eccessivamente su di giri. Si alzò barcollante ed afferrò una delle tante bustine di persiana riverse sul tavolo e si diresse verso la candela che troneggiava sul tavolo della sala da pranzo in mezzo alle ciotole di salatini ormai completamente svuotate. Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori la solita siringa e il solito cucchiaio e si mise a trafficare proprio sopra la fiamma; il polso gli tremava così forte che sembrava avesse il Parkinson: “Porca puttana, sono veramente fuori se non riesco nemmeno a governare i movimenti... se solo riuscissi a ricordarmi con chi mi sono fatto la terza striscia...”. L'acuto suono del campanello lo fece sobbalzare; il cucchiaio gli scivolò dalle dita e finì sulla tovaglia, riversando il liquido ocra senza che ci fosse possibilità di recuperarlo. Il bassista iniziò a vedere rosso: «Fanculo, fanculo, FANCULO!»; diede una spinta al tavolo verso il muro e si diresse verso la porta d'ingresso picchiando i piedi ad ogni passo e aprì la porta incurante di chi ci fosse lì ad aspettare: «Brutto stronzo, ti sembra il momento per suonare? Mi stavo preparando la dose, cazzo... ED E' FINITA SULLA TOVAGLIA!».

Steven Adler rimase tramortito da quelle urla allucinanti: «Ehi... calma amico» lo fissava con gli occhi fuori dalle orbite

«Maledetto Popcorn!» Nikki gli diede le spalle per un momento passandosi le mani sul viso sudato «Se avessi aspettato anche solo cinque minuti a suonare quel cazzo di campanello...»

«Easy Nikki, non ti preoccupare» il biondo gli fece l'occhiolino, poi gli si avvicinò all'orecchio «posso fartene provare un po' della mia». Sul viso del bassista comparve un sorriso ebete; stava per girarsi a dare una pacca sulla spalla all'amico quando una voce acuta arrivò dal fondo del vialetto che attraversava il giardino: «STEVEN! Vieni subito qui, non ho ancora finito»

«Porco cane... chiudi, chiudi!» il biondo si scaraventò sulla porta scatenando un boato incredibile

«Ehi, fai piano che mi distruggi la casa» Nikki era sbigottito. Nel frattempo dall'esterno continuavano ad arrivare urla al limite dell'isteria; Duff si avvicinò agli altri due strisciando i piedi: «Lo sapevo che avresti combinato qualche casino». Guardava il compagno di band con gli occhi carichi di disappunto.

«Non voleva farmi uscire» fu l'unica spiegazione che Steven diede

«Ma chi?» Nikki faticava a connettere

Apri, stronzo, APRIIIIIIII! Alle urla si erano anche aggiunti i pugni sulla porta. Duff arricciò le labbra e scosse la testa: «Dai, deficiente di un Popcorn, falla entrare»

«Ma chi?» ribadì Nikki che non riusciva a seguire il discorso

«La mia ragazza Sixx, svegliati!» Adler gli rispose in malo modo, poi si voltò per girare la maniglia. Come si creò un minuscolo spiraglio, una furia platinata fece irruzione nella casa e prese il povero batterista per i capelli, costringendolo a piegarsi in due: «Mi avevi promesso che saresti uscito con me stasera, infame!»

«Ahia, tesoro... lasciami. Posso spiegarti...» gli occhi di Steven lacrimavano per il dolore

«E allora, dai, sentiamo!» altro strattone della bionda.

Ehi Sixx... sbaglio o quella femmina ha un che di famigliare?” era fatto come non mai, eppure non aveva avuto difficoltà a capire che quello era un volto noto; assomigliava incredibilmente a qualcuno che frequentava di solito. Mentre cercava di metterne a fuoco meglio i lineamenti del viso, il suo cervello iniziò a passare in rassegna tutte le persone che era solito vedere in quei giorni: la ragazza della reception della sala prove... “no”

la barista della caffetteria di fronte a casa sua... “no”

la commessa del supermercato in fondo alla strada... “no”

«Il fatto è che tu sei un approfittatore e preferisci passare del tempo con i tuoi degni compari, ecco cosa!» la bionda alzò di scatto il viso e si soffermò a bruciare Nikki con le pupille. In quel momento capì: «Athena?» lo disse con il terrore che gli legava le viscere.

La ragazza mollò istantaneamente la presa dai capelli di Steven: «Nikki?».

Il bassista si sentì come se avesse appena ricevuto una secchiata di acqua gelida: “No, no, NO! Ecco a chi assomigliava, maledizione! Hanno la stessa faccia, le stesse espressioni... io non invito T-Bone qui a questa devastazione senza fine e chi mi si presenta alla porta? La sorella... sono fottuto, fottuto!”.

«Sei tu l'artefice di questa festa?» Athena Lee aveva le sopracciglia leggermente aggrottate e aspettava impaziente una risposta. Al bassista si impastò la bocca per il nervosismo: “Cerchiamo di stare tranquilli, eh Sixx?”

«Sì... sì, è casa mia e faccio la festa». Perfettamente logico.

Athena annuì appena: «E... mio fratello?»

Merda”. Nikki stava iniziando a sudare freddo; le domande cominciavano a farsi sempre più spinose. Ma proprio mentre stava per balbettare qualcosa di insensato, il grido di una delle ballerine del Cathouse attirò l'attenzione delle persone nell'ingresso: «Oh mio dio! Poverino! Tesoro!». I tre ragazzi fecero capolino dal muro dell'anticamera: Kathy aveva le mani nei capelli e osservava qualcosa di bianco a terra.

«Spank! Che cavolo hai combinato?» il bassista gridò isterico e corse verso l'animale che giaceva a terra a pancia in su. Lo prese in braccio e lo guardò tremante, un po' per lo spavento, un po' per la troppa coca in circolo; aveva gli occhi fissi al soffitto e le fauci spalancate. “Non sarà mica morto...”

«Che cazzo gli hai fatto?» Nikki fissò Kathy con gli occhi iniettati di sangue e le pupille troppo dilatate

«Niente, giuro!» la ballerina si passò le mani sul viso sudato, visibilmente preoccupata. In quel momento, il cervello del bassista continuava a ripetere un solo pensiero: “Se è morto, Rea mi uccide”

«Allora» la rabbia di Nikki aveva raggiunto livelli altissimi «mi volete dire che cazzo è successo al mio cane?». Urlò le ultime due parole, per enfatizzare ancor di più il concetto. Fu Fred a rispondere:

«Era sul tavolo in cucina; leccava di gusto il piano. Credo che abbia scambiato la cocaina per zucchero vanigliato»

Zucchero vanigliato?” il bassista si portò una mano alla fronte madida di sudore “Che cane rimbecillito”. Proprio in quel momento Spank si drizzò e diede una leccata al viso del padrone: «Bau! Bello bimbo!»

«Me l'hai fatta fare nei pantaloni, impiastro bianco!» Nikki, sempre più nervoso, si asciugò la guancia impiastrata della bava del proprio cane; era contento che Spank fosse vivo, però c'era qualcosa negli occhi del suo amichetto peloso che non andava. Guardavano in giro in modo troppo frenetico; poi qualcosa attirò l'attenzione del cane. Spank scattò con la furia di un levriero verso il bar per fiondarsi sopra alle due bottiglie di vodka ancora chiuse; ci sbattè contro ed il liquido trasparente si sparse sul pavimento con uno schianto incredibile. «Bau! Bau!» Spank continuava a correre intorno al mobile con le zampe fradice di alcol, rimbalzando contro gli sgabelli, quasi fosse una pallina di un flipper, abbaiando come non aveva mai fatto. Nikki si tappò le orecchie: «Smettila, smettila!» ma il cucciolo non lo stava ad ascoltare; fu Steven a salvare la situazione, afferrando il cagnolino per la coda e legandolo alla sua cuccia in giardino. Il bassista scosse la testa sbuffando: «Non avrei dovuto lasciare la porta di servizio aperta»

«Ti porto dell'acqua?» Melissa gli mise una mano sulla spalla mostrando i suoi occhioni da cerbiatta

Uau, l'unica buona idea che questa Barbie ha avuto da quando è entrata in casa tua” gli fece notare il cervello; «Sì, grazie». Si diresse fiaccamente e con il capo chino verso il bar, incurante del fatto che stava entrando con le suole degli stivali nella vodka e che avrebbe poi avuto le scarpe appiccicose: “Capirai che disastro”; poggiò il gomito destro al mobile e si sorresse il capo mentre abbassava leggermente le palpebre. La stasi che si era creata dopo il casino di Spank, lentamente, si dissolse; la gente riprese a muoversi per la casa, a bere alcol e a corteggiare le ballerine. Vide Pete alzarsi dal divano e barcollare in direzione dello stereo; il ragazzo si mise a pasticciare un po' con le manopole finchè non trovò un emittente che stava trasmettendo “Big In Japan” degli Alphaville. Nikki lo fissò perplesso mentre il ragazzo cominciava a muoversi in modo sincopato sul persiano ricoperto di mozziconi e Kathy si aggrappava a lui, seguendo il ritmo della drum machine, quasi fosse un palo per la pole dance; lo guardò in viso: sorrideva giulivo e urlava: «Melissa! Vieni a sculettare un po' con noi»

Melissa? Ah... deve portarmi l'acqua” gli occhi verdi di Nikki passarono in rassegna il locale, ma non c'era traccia della ballerina “Che strano... non ci vuole poi tanto a riempire un bicchiere”

«Dove cazzo è Steven?» la voce stridula di Athena lo distolse dai suoi pensieri

«E' fuori con il cane» ringhiò il bassista; non vedeva l'ora che la sorella del suo batterista se ne andasse da casa sua

«Sì, ma non ci vuole mezz'ora per portar fuori una palla da pelo e legarla alla cuccia».

Athena aveva tremendamente ragione; fu proprio in quel momento che Nikki iniziò ad annusare nell'aria l'odore di un disastro imminente: “Melissa non mi ha ancora portato l'acqua... Popcorn è sparito. Popcorn, per portare fuori Spank, deve passare dalla cucina... Melissa è andata a prendere l'acqua proprio in cucina. Popcorn fatica a tenere l'uccello nei pantaloni... Melissa fatica a nascondere la patata nelle mutande. Nove a dieci che quei due stanno combinando qualcosa. Merda”. Il moro voltò il capo verso Athena con l'intenzione di intavolarci un discorso per coprire il più possibile l'amico, ma la bionda era già partita spedita in direzione della cucina: “Ecco che inizia l'apocalisse”. Proprio mentre gli Alphaville scemavano dalle casse dello stereo, Athena levò un acuto che avrebbe potuto scheggiare un lampadario di cristallo: «Steven, sei un PORCO!»

Here we go!” ecco che si accendeva il neurone del sarcasmo. Melissa lanciava piccoli gridolini mentre Steven imprecava contro Athena perchè gli stava tirando nuovamente i capelli; poco dopo la spogliarellista uscì correndo dalla cucina sotto gli sguardi di tutti gli invitati intanto che si sistemava il perizoma. Nel frattempo, Athena assestò quello che sembrava uno schiaffo a mano aperta sulla guancia di Popcorn: «Sei la persona più inaffidabile dell'universo!»

«Finitela, cazzo!» Nikki aveva superato il limite massimo di sopportazione; tutti si voltarono a fissarlo con gli occhi sgranati mentre lui cominciava a camminare a passo spedito verso il suo bagno personale «Se fossimo rimasti noi uomini da soli, di certo, ci saremo risparmiati queste rotture di coglioni. Slash! SLASH! Come cazzo ti è venuto in mente di chiedere più figa? Vai a farti fottere, stronzo!». Sbattè la porta del bagno con forza: “Così sanno che non devono entrare qui dentro... non vedo l'ora di domani mattina, quando se ne saranno andati tutti”. Stava diventando esageratamente misantropo; tutta colpa della troppa cocaina, del troppo Jack, delle spogliarelliste, di Slash, di Steven e, soprattutto, di Athena. Il viso gli si deformò in una smorfia d'odio: amava tanto il suo amico T-Bone quanto odiava la sorella; l'uno era mitico, l'altra era insopportabile. Si appoggiò al bordo del lavandino e sfilò dalla tasca l'eroina che gli era avanzata e il suo accendino, poi prese una siringa nuova dal mobiletto con le ante a specchio ed un batuffolo di cotone; trasse un respiro profondo ed iniziò a cuocere un po' di china white: “Deve essere un addio in grande stile, no? Quindi ci vuole la miglior qualità di merda”. Sembrava un gioco di parole assurdo. L'eroina si sciolse in un batter d'occhio ed ancor più in fretta Nikki l'aspirò con lo stantuffo: “Un decimo della fatica che faccio di solito”. Sorrise fissando il liquido biancastro all'interno dell'ampolla; bisognava solo cercare la vena giusta dove inoculare il liquido dei desideri. Il bassista si guardò le braccia sconcertato: non c'era una vena in condizioni decenti, la maggior parte erano tutte collassate; sembrava che avesse la leucemia, talmente tanti erano i lividi che gli decoravano gli avambracci. “Nikki Sixx alla ricerca della vena perduta”; si guardò allo specchio e per poco non si spaventò del proprio riflesso: uno zombie sarebbe stato decisamente più affascinante di lui. Accese le piccole lampadine che circondavano lo specchio e lo spettacolo diventò ancor più raccapricciante: era bianco come un cadavere con delle profonde occhiaie scure che gli circondavano gli occhi verdi spenti e appannati; i capelli erano disordinati ed unti. “Quanto tempo è che non mi faccio la doccia?” non se lo ricordava nemmeno; fece spallucce al suo riflesso, inclinò il capo a sinistra e si iniettò la droga in una delle vene del collo. Come finì di abbassare lo stantuffo, tutto il corpo fu investito da un caldo terribile e la testa iniziò a girargli più veloce di un uragano; fece appena in tempo a voltarsi che vomitò tutto l'alcool che aveva trangugiato fino a quel momento nella vasca. Fu una rimessa dolorosa che lo costrinse ad urlare per il male allo stomaco; dopo tre conati aveva riversato nella vasca tutto quello che aveva bevuto nelle ore precedenti. Dopo aver guardato quella schifezza per alcuni secondi senza nemmeno aprire il rubinetto per farla defluire nello scarico, Nikki poggiò la fronte sul bordo della vasca sentendo tutto il corpo che iniziava ad intorpidirsi. Ogni suono era ovattato e lontano: il vociare delle persone nel soggiorno, Slash che scopava nella stanza degli ospiti... la porta che, aprendosi, scricchiolava lievemente.

«Santo cielo, che schifo!» una voce femminile arrivò a solleticargli le orecchie da un'altra dimensione

«Nikki, ma che cavolo hai combinato?» la ragazza gli aveva messo le mani intorno al costato e stava cercando di tirarlo su. Lui fece per ribattere, ma non riuscì a pronunciare nemmeno una parola. «Tirati su, collabora per la miseria» gli parlava quasi spazientita; il bassista fece per alzare la testa, ma l'eroina era così forte che l'unico movimento che riuscì a compiere fu una leggera rotazione del capo, però fu sufficiente per vedere Athena che si sforzava per rimetterlo in piedi, mentre lei si faceva passare il suo braccio intorno al collo. La ragazza fece uno sforzo immane, al termine del quale Nikki era attaccato precariamente alle sue spalle e barcollava vistosamente; si scostò una ciocca bionda dalla fronte: «Vieni che ti porto in camera»

Camera? No, io voglio stare qui, da solo”. Nikki cercò di riferire quel pensiero, ma era così fatto che biascicava paurosamente; nel frattempo, la sorella del suo batterista si impegnava per fargli mettere un piede davanti all'altro evitando che finisse con la faccia per terra. “Sono così fatto che non riesco nemmeno a opporre resistenza... cavolo, quant'è forte sta roba...”

«A... Athena...» parlava come se avesse avuto la bocca anestetizzata «p... porfami...»

Dillo! Portami indietro, che cazzo! Non ci vuole una laurea!” ma era già troppo tardi; ormai lei lo aveva già adagiato sul letto della sua stanza e gli stava togliendo gli stivali. Mugugnò e scosse la testa per disapprovare quello che la ragazza gli stava facendo, ma lei non si accorse, un po' perchè le luci erano soffuse, un po' perchè era intenta a fargli la predica: «Testa dura, era proprio necessario combinare un casino del genere?». Voleva risponderle che: “Sì, è necessario, perchè ho deciso di smettere. Perchè rivoglio indietro la mia ragazza. Perchè voglio smetterla di comportarmi come un bambino capriccioso. Per questo necessito di una festa d'addio in grande stile” però era così sedato che tutto quello che gli uscì di bocca fu: «Shi... voglio... ragassa». Fece per girarsi sul fianco e mettersi a dormire “tanto conciato come sono non posso fare un granché”, quando Athena si accomodò di fianco a lui poggiando il gomito sul guanciale: «Vuoi una ragazza Nikki?»; lo disse con tono suadente, velato di malizia. Il bassista bofonchiò qualcosa di indecifrabile: “Questa proprio non ha capito una mazza”, ma Athena si accoccolò ancora più stretta a lui: «Posso essere io la tua ragazza stanotte». A Nikki vennero i brividi: “Per carità, no! No! Ma chi ti vuole!”; con una mano si coprì il viso cadaverico e cercò di girarsi dalla parte opposta. Athena, però, fu più veloce di lui e lo bloccò, sedendosi a cavalcioni sul suo bacino: «Tanto... a Steven non dispiacerà se io mi diverto con te»; sorrise nella penombra facendogli l'occhiolino e poi si chinò per iniziare a slegargli i lacci dei pantaloni in pelle con i denti. Se fosse successo qualche anno prima, la cosa non gli sarebbe dispiaciuta affatto, anzi, non ci avrebbe impiegato molto per avere due orgasmi di fila, ma in quel momento non voleva farlo e tanto meno con lei: “A Steven non dispiacerà che ti diverti con il mio pisello, ma a me sì! E poi chi lo sente tuo fratello domani mattina? Già mi immagino che mi chiama isterico alle dieci sbraitando come un fagiano, incazzato come un puma, perchè tu sei stata a letto con me e, soprattutto, perchè non gli ho detto che facevo una festa. Che poi... i fagiani sbraitano? E i puma si incazzano?”. Non era quello il momento di porsi domande esistenziali come quelle; in quel frangente era più opportuno catapultare Athena giù dal letto e cadere addormentati in un nanosecondo, onde evitare complicazioni inutili. Ma, dal momento che l'eroina gli era entrata in circolo, Nikki non aveva più nemmeno la forza di alzare un braccio per cercare di spostarle la testa dal suo inguine: “Maledizione”. Nel frattempo che il suo cervello si disperava perchè, in quell'istante, la sua forza fisica era pari a quella di un canarino, Athena gli aveva tolto i pantaloni ed abbassato i boxer ed aveva cominciato a prendere in mano il suo membro cercando di renderlo il più turgido possibile; purtroppo per lei, dopo cinque minuti abbondanti di movimenti di polso e carezze con il labbro inferiore, quello era ancora ripiegato su se stesso: «Nikki...» la sua voce era venata di frustrazione «cos'hai?». Il bassista si sentiva come se avesse la testa nell'oblò di una lavatrice; guardò la ragazza con gli occhi leggermente incrociati e mugolò: «Uh?»

«Dico... che problema c'è?»

«Vedi... il problema...» il ragazzo deglutì facendo schioccare la lingua «è che tutta questa carestia nell'Africa sub sahariana... la fame nel mondo... insomma, io ci penso. E se ci penso... poi mi deprimo»

Ma... che diavolo hai detto imbecille? Certo che potevi dire la verità, no? Non sarebbe stato più semplice?”.

Nell'udire quelle sciocchezze, Athena si alzò indignata dal materasso ed uscì, senza proferire parola, sbattendo la porta. Nikki abbozzò un mezzo sorriso e si girò sul fianco per mettersi a dormire: “Nonostante l'idiozia... bravo Sixx”.


* * *


Quando la mattina dopo aprì gli occhi, Nikki si sentiva come se un'enorme mietitrebbia gli fosse passata addosso; ogni singolo muscolo gli doleva e si sentiva le ossa sbriciolate. Ci impiegò circa cinque minuti per mettersi seduto senza sentire conati di vomito scuotergli il diaframma. Alla fine si prese la testa fra le mani e rimase immobile, respirando lentamente e in modo regolare, concentrandosi su quello che doveva fare, anche se la frase che continuava a frullargli nel cervello era: “Da oggi basta”. In un lampo si alzò, incurante del calo di pressione che tentò di trascinarlo verso il pavimento, e si mosse più veloce che potè verso la porta della sua stanza; l'aprì deciso e si incamminò per il corridoio, diretto verso il soggiorno, dove la sera prima i suoi amici stavano festeggiando con il suo alcool e la sua droga. Li trovò svenuti, tutti accatastati l'uno sull'altro, alcuni completamente nudi, altri con indosso solo i pantaloni o la maglietta; le ragazze del Cathouse, invece, indossavano solo le autoreggenti: “E per fortuna, di Athena nessuna traccia”. Il fatto che la sorella del suo batterista se ne fosse andata subito dopo il suo rifiuto di fare sesso con lei lo distendeva incredibilmente. Nikki fece lo slalom fra i corpi stando attento a non schiacciare le dita delle mani a nessuno ed entrò in cucina per constatare che la droga era finita; sorrise soddisfatto: “Missione compiuta”. Si aprì la bottiglia del succo d'arancia e sgranocchiò qualche biscotto fissando il piano del tavolo sporco dei rimasugli della cocaina della sera prima: “Quella roba con un colpo di spugna viene via”; si sentiva realizzato. Aveva realizzato il proprio sogno: liberarsi completamente di quella mistress che lo teneva soggiogato a sé; chiuse la bottiglia del succo e la ripose nel frigorifero: “Ora sono pronto per Rea... tempo di sbattere fuori tutti questi stronzi da casa mia e mettermi a posto... poi corro da lei”. Avrebbe preso la sua Honda Shadow, sgasato sul Beverly Glen Boulevard infischiandosene delle pattuglie della stradale, pronte a fermarlo per l'eccesso di velocità, suonato il campanello di quella villa di Stone Canyon Road e sperato che lei gli avrebbe aperto almeno il cancello; se lei avesse rifiutato, sarebbe stato disposto a tutto pur di rivederla di nuovo negli occhi e dirle che, sul serio, aveva smesso e che era stato un idiota a trattarla come aveva fatto fino a quel momento. Si figurava mentalmente la scena nei minimi particolari, quasi come se fosse un film che aveva visto un milione di volte; riusciva a vedere perfettamente le iridi indaco di Rea, i suoi capelli neri che riflettevano il sole, le sue guance, i cespugli di fragole del suo giardino... probabilmente in quel periodo stavano spuntando i primi frutti. Sorrise quasi commosso ricordando la prima sera che erano usciti insieme a bere quella margarita alla fragola, ma i suoi neuroni lo riportarono prepotentemente nella sua cucina: “Non è il momento di perdersi in fantasie. Inizia a buttare fuori tutti queste persone da casa tua e poi ne riparliamo”. Si sfregò i palmi fischiettando allegramente, poi uscì un attimo nel giardino sul retro e rientrò stringendo fra le mani un grosso secchio di plastica; ridacchiando con la sua voce roca, lo riempì quasi fino all'orlo di acqua gelida e poi lo rovesciò violentemente su quella montagna di corpi stesi sul persiano del soggiorno. Urla acute e grugniti si levarono nell'aria; le ragazze si affrettarono a coprirsi i seni nudi intanto che i loro occhi vagavano per il salotto alla ricerca dei vestiti finiti chissà dove mentre i ragazzi si toglievano l'acqua dalle palpebre senza curarsi dei propri genitali scoperti. Fu Slash il primo a protestare: «Che grazia! Ma che cazzo, ti pare il modo di svegliarci?»

«Infatti! Io mi aspettavo un caffè, almeno» incalzò Fred tossicchiando; poi si girò con le sopracciglia aggrottate e grondanti d'acqua verso il mulatto: «Scusa, ma tu non eri nella camera degli ospiti?»

«Esatto, ero» Slash fece la linguaccia e si appiattì i ricci sulla testa.

A Nikki cadde il secchio di mano: «Non mi dire che l'hai fatto di nuovo!»

«Cos'è che hai fatto ancora?» chiese Duff con la bocca ancora impastata dal sonno. Slash si fissò i palmi delle mani per qualche secondo poi, sempre tenendo il capo chino, bofonchiò: «Sai che quando sono ubriaco perso poi...»

Steven lo interruppe nel bel mezzo della sua confessione scoppiando fragorosamente a ridere: «Hai pisciato ancora nel suo letto! Oddio, adesso dovremo andare a comprarti perfino i pannoloni» sghignazzava così forte che gli lacrimavano gli occhi «Slash è incontinente!».

Il chitarrista tentò di mollargli un pugno sulla testa, ma Nikki lo prese per i capelli e lo alzò di peso, facendolo irrigidire: «Sei una merda, Slash!»

«Dai amico, non ho fatto appost... ahi!» un altro strattone gli fece digrignare i denti

«Adesso tu vai di là e mi cambi le lenzuola... e se necessario mi lavi anche il materasso!»

«Ehi amico, non sono la tua domestica! Potresti almeno...» il mulatto cercò di contrattare un'attenuante della pena, ma lo sguardo iniettato di sangue del padrone di casa lo zittì istantaneamente. Abbassò la chioma riccioluta e strisciò i piedi fino alla stanza degli ospiti dove iniziò a disfare il letto. Nikki lo seguì con lo sguardo, per assicurarsi che quello non sgattaiolasse via pur di non fare il suo dovere, poi fissò con gli occhi sgranati gli altri che, ancora, sedevano a terra: «Fuori». Tutti rimasero a bocca aperta; fu Pete il primo a trovare il coraggio di ribattere: «E la colazione?»

«C'è una pasticceria ad un miglio da qui» il tono di voce di Nikki era ancor più glaciale dell'acqua che aveva versato su di loro. Fred capì istantaneamente che non era il caso di ribattere; conosceva fin troppo bene il bassista, ci aveva passato mesi interi in tour, e sapeva benissimo che quando parlava in quel modo bisognava solo eseguire. Con un cenno del capo fece segno a Duff, Pete e Steven di seguirlo verso l'ingresso, dopo aver raccattato tutti i loro vestiti in silenzio; lo salutarono con un “Ciao” corale al quale Nikki nemmeno rispose, perchè era intento a fissare in cagnesco Melissa che lo pregava di offrirle la colazione, dato che era uscita senza portafoglio. Dopo cinque minuti di piagnistei, il bassista esasperato allungò verso la ragazza una banconota da cinquanta dollari: «Senti, sparisci da casa mia, ti ho già sopportata abbastanza... e, già che ci sei, offri pure la colazione alle tue colleghe»; prese la ragazza per le spalle e la spinse verso il vialetto del giardino, rischiando di farla rotolare sulle mattonelle, poi chiuse la porta a chiave sbuffando scocciato. Si passò le mani sul viso, sentendosi ancora gli occhi impastati dal sonno: “Ora mi manca solo da buttar fuori Slash. Mi auguro che non mi abbia bagnato anche il materasso, sennò lo faccio giocare alla bella lavanderina”. Strisciò svogliatamente i piedi sul pavimento fino ad arrivare nell'anticamera, esattamente di fronte all'orologio a pendolo: “L'una e mezza del pomeriggio... altro che colazione, quelli devono pranzare”; fece spallucce e poi si appoggiò allo stipite della porta della stanza degli ospiti. Slash stava trafficando con le sue lenzuola e si stava disperando perchè aveva macchiato il materasso; Nikki si accese una sigaretta: «Devo ricordarmi di mettere un telo di plastica su quel dannato letto. O meglio, devo ricordarmi di farti dormire fuori ogni volta che vieni a casa mia a bere».

Il mulatto si voltò verso di lui, con il viso completamente coperto dai ricci neri: «Vero che ce l'hai la candeggina?»

«No che non ce l'ho, testa di cazzo» il bassista aspirò abbondantemente dalla sua Marlboro «però puoi sempre uscire a comprarmela. C'è un 24/7 appena girato l'angolo». Slash uscì dalla stanza con il capo chino e prese cinque dollari dalla tasca della sua giacca in pelle.

«Ma che fai? Esci senza maglia?» domandò Nikki facendo cadere un po' di cenere a terra

«Beh, è fine aprile, si sta bene» bofonchiò di risposta il mulatto; stava per uscire, quando fece capolino dall'ingresso: «Ovviamente dopo mi dai la mancia. Insomma, non sono la tua domestica». Sixx, con la sua peculiare nonchalance, gli alzò il dito medio.

«Ok, niente mancia». Slash chiuse la porta.


* * *


Il chitarrista ci aveva messo un po' a procurarsi la candeggina, fortunatamente però il lavaggio era stato piuttosto veloce; alle tre e mezza Slash se n'era andato da Van Nuys e Nikki era finalmente libero. Libero di prepararsi nel modo migliore. Libero di farsi una bella doccia per lavarsi via tutto quello sporco che si trascinava dietro da giorni. Libero di spazzolarsi quei capelli annodati. Libero di correre dalla sua Rea; “Sempre che tu ancora possa definirla 'tua', eh?”. Quel pensiero gli fece attorcigliare lo stomaco e gli mozzò il respiro; non era il momento di pensarci. Doveva solo spicciarsi, prepararsi al meglio e poi volare da lei. Si chiuse nel box doccia ed aprì il rubinetto dell'acqua calda che lo colpì dolcemente sulle spalle; buttò la testa all'indietro, lasciando che quei piccoli ruscelletti gli accarezzassero il viso, ancora incrostato del trucco delle riprese del video. Cominciò ad insaponarsi il più velocemente che potè, ma notò con disappunto che i suoi arti rispondevano in modo piuttosto ritardato agli ordini che impartiva; iniziò ad innervosirsi: “Proprio adesso che ho fretta... dai, cazzo!”. Il nervosismo aumentava esponenzialmente di minuto in minuto, anche perchè ai muscoli ritardati ed indolenziti si era aggiunto il naso che colava incessantemente; chiuse il rubinetto e si affrettò ad uscire dalla vasca per prendere un pezzo di carta igienica per pulirsi: “Neanche avessi il raffreddore o l'allergia...”. Proprio mentre pensava quello, un brivido di freddo gli scosse prepotentemente i muscoli delle spalle e della schiena; Nikki inarcò dubbioso un sopracciglio e si voltò a rallentatore verso lo specchio. “Che brutta faccia... ma nemmeno così brutta da pensare che mi sia preso l'influenza”; si avvicinò per spiare meglio il suo riflesso e notò con un certo disappunto di avere le pupille più dilatate del dovuto: “Ok... forse poi così bene non sto” si soffiò nuovamente il naso “mi conviene prendere un'aspirina”. Cercò di tamponarsi i capelli con l'asciugamano arrabbiandosi oltre misura per quei muscoli così stranamente indolenziti e poi si diresse debole e su tutte le furie verso l'armadietto delle medicine alla ricerca della mitica compressa effervescente che lo avrebbe fatto star meglio. Dopo due minuti di ricerca e di barattoli scaraventati a terra per il nervoso, Nikki fu costretto a ripiegare sul tylenol; ingoiò la compressa con una sorsata di acqua del rubinetto, poi si incamminò verso la sua camera per scegliere i vestiti migliori da indossare. Erano solo pochi metri, ma gli sembrò di percorrere miglia, per di più in salita; la testa stava iniziando a girargli ed aveva sempre più freddo: “Che cavolo mi sta succedendo?”. Quando arrivò poco distante dal letto, vi si sedette sopra e si prese la testa fra le mani; cercò di rimanere immobile, ma il suo corpo era scosso da brividi sempre più violenti. Qualcosa decisamente non andava. “Sixx, Athena ti ha attaccato l'influenza?” scosse immediatamente la testa “Nah, stava meglio di me”; uno spiacevole senso di nausea stava cominciando a riempirgli le guance. Il bassista diede un pugno al materasso: “Merda! Prima il naso che gocciola, poi i brividi di freddo, adesso la nausea... tutto così riavvicinato”; espirò pesantemente dal naso: “Questa non è influenza”. Un brivido più violento dei precedenti gli scosse le gambe e gli fece tirare un calcio alla cassettiera che aveva di fronte; Nikki strizzò le palpebre per il dolore mentre sentiva sempre di più il desiderio di vomitare. Kicking the habit. “Che coglione...”. Si sporse in avanti e vomitò il tylenol mentre stentava a tener fermi i muscoli, scossi da spasmi sempre più forti: “Questo è l'inizio del cold turkey”. Non l'aveva messo in conto; eppure era così ovvio che l'astinenza si sarebbe fatta sentire molto presto. Guardò la pozza verdastra a terra e, d'istinto, vomitò di nuovo; si sentiva l'addome contratto e dolorante e continuava a scalciare come un idiota, per quanto cercasse di rimanere il più immobile possibile. Si lasciò cadere di fianco al letto mentre strizzava le palpebre sentendo il dolore e lo sconforto che si impossessavano delle sue membra: “Avanti di questo passo può solo peggiorare”. C'era un solo modo per farsela passare; non era l'aspirina e nemmeno il tylenol. La soluzione sarebbe stata chiamare Jason e dirgli di portare un po' di eroina, anche quella di qualità più scadente: “Un bel buco e passa tutto”. Però aveva giurato a se stesso che non l'avrebbe più fatto; voleva rivedere Rea e doveva liberarsi della persiana. Non si possono avere due donne contemporaneamente. Lui aveva deciso; Nikki voleva la sua Fiamma. Iniziò a strisciare sui gomiti con l'intento di tornare in bagno e darsi una sistemata, ma un nuovo spasmo al ginocchio gli fece tirare un calcio allo spigolo del comò: «FANCULO!». Cercò di raggomitolarsi su se stesso per prendersi in mano il piede e massaggiarsi le dita, ma il cambio di posizione non fu una grande idea; il bassista constatò con disappunto che, se si piegava, l'addome prendeva a dolergli ancora di più. Tirò un pugno al pavimento in preda all'esasperazione: “Dannazione, ma perchè deve fare così male?”. Distese lentamente il piede e poi riprese a strisciare verso la porta della camera che sembrava distante miglia; Nikki era pienamente cosciente che la sua percezione dello spazio era alterata e che più si muoveva, più il senso di nausea cresceva. “Non va bene, non va bene!” scosse la testa sempre più nervoso, cercando di trovare un modo per rimettersi in piedi; cercò di fare leva sulle proprie braccia, ma quelle sembravano non reggere minimamente il peso del suo esile corpo. Si accasciò nuovamente sul pavimento, con il fiato corto ed il cuore che pulsava al ritmo di un martello pneumatico: “Ok, innervosirsi non serve a un cazzo... cerchiamo di fare un po' d'ordine mentale”. La nausea peggiorava di secondo in secondo e, se solo provava a muoversi, un nuovo conato di vomito gli faceva rigettare quel poco che gli era rimasto nello stomaco. Nikki decise di stare fermo dov'era arrivato e chiuse gli occhi portando tutta la sua attenzione sul suo diaframma che doveva cercare di far funzionare ad un ritmo più regolare; ma dopo cinque minuti di inutili tentativi decise di lasciare perdere: gli spasmi delle gambe lo distraevano e la testa sembrava una bomba pronta ad esplodere. Di tornare in bagno non se ne parlava, di presentarsi da Rea in quello stato meno che meno. Si sentiva sfinito. Si sentiva dannatamente stupido. Con la vista appannata guardò il suo comodino; il telefono sembrava lontano anni luce dalla sua portata. Allungò una mano nel vano tentativo di afferrare il ricevitore, ma tutto quello che toccò fu aria. Il bassista lasciò cadere la mano a terra in preda allo sconforto più puro mentre cominciava a singhiozzare: “Telefono... dai, cammina! Vienimi incontro, ti prego!”. Ma quell'apparecchio bianco lo fissava da lontano, continuando a starsene immobile, al suo posto. Nikki si portò frustrato le mani al viso mentre grosse e tossiche lacrime gli corrodevano le guance e gli spasmi iniziavano a prendergli anche le braccia: “Devo chiamare qualcuno... se sto qui così come un coglione muoio. Ne sono certo”. Chiamò a raccolta la poca energia che gli era rimasta in corpo e cominciò a strisciare lentamente verso il comodino, totalmente incurante delle pozze di vomito che giacevano sul pavimento; non gli importava se era appena uscito dalla doccia e si era già insudiciato con i propri liquidi interni. Quello che gli fregava di più in quell'istante era avere qualcuno al suo fianco che, sul serio, poteva capirlo. Con uno sforzo sovrumano si mise a sedere contro il muro e, mentre ancora la testa gli girava come un tornado, riuscì a prendere in mano il telefono; chiuse gli occhi per non vedere il mondo esterno centrifugare e compose a memoria il numero di casa di Tommy. Dopo soli due squilli la voce di Heather gli giunse all'orecchio: “Ma che cazzo! Sempre lei deve rispondere?”; cercò di sembrare il più calmo possibile: «Passami Tommy»

«Senti, se gli devi chiedere di venire da te per farvi come due tossici la risposta è no» Heather fece per abbassare il ricevitore ma Nikki si mise a strillare dall'altro capo del filo

«Passamelo e basta! Ho bisogno di lui! Lui non è solo tuo, hai capito? LUI NON E' SOLO TUO MARITO, E' ANCHE MIO AMICO!». Si sentirono fruscii e brusii, poi la voce di Tommy gli arrivò all'orecchio: «Che diavolo hai, bro?». Stava per aggiungere di non fargli perdere troppo tempo, dato che aveva a casa i suoceri per fare una grigliata ma la voce gli morì in gola; dall'altra parte della linea, Nikki stava piangendo come un bambino. Tommy rimase per un attimo a fissare il ricevitore, poi si ricompose: «Ehi bro, ma che succede?»

«Aiutami» Nikki sibilava, quasi non aveva la forza per parlare. Il batterista non capì cosa l'amico gli stesse dicendo, ma realizzò che aveva disperatamente bisogno di aiuto: «Senti, dammi al massimo trenta minuti e sono da te». Chiuse la comunicazione e si voltò verso Heather, che lo fissava alquanto contrariata; Tommy si passò una mano nei capelli mossi: «Devo correre da Nikki. È un'emergenza»

«Emergenza eh? Da quand'è che correre dagli amici per fare gli idioti si chiama emergenza?» lei non aveva creduto a nessuna delle sue parole. Tommy si infilò in silenzio gli stivali, poi fissò la moglie negli occhi azzurro cielo: «Sta male. Molto. E so anche perchè. Ha bisogno di me»

«Tesoro, tu non sei la sua babysitter!» Heather cercò di prenderlo per un polso, ma T-Bone era già schizzato verso la porta: «E' vero, non sono la sua babysitter... ma se non gli chiamo io un dottore, quello preferisce morire».


* * *


Al suo arrivo a Van Nuys trenta minuti dopo, Tommy aveva trovato Nikki riverso sul pavimento di camera sua in preda al delirio e a degli spasmi muscolari incontrollabili; appena l'aveva visto, il bassista si era aggrappato ai suoi polsi ed aveva preso a piangere più forte. Dopo ripetuti e faticosi sforzi, il batterista era riuscito a mettere a letto l'amico: «Ma che cazzo ti è saltato in mente, si può sapere?».

Nikki continuava a tremare, ma si sentiva leggermente meno teso da quando il suo “gemello” l'aveva raggiunto; si asciugò una lacrima con il dorso della mano: «Voglio smettere T-Bone... voglio smettere».

Tommy strabuzzò gli occhi: «Smettere? Tu che smetti?»

«Ma mi sa che...» Nikki affondò la faccia nel guanciale singhiozzando, poi urlò qualcosa di indecifrabile contro l'imbottitura. Tommy scosse la testa sconcertato: «Senti bro, io ti voglio bene e lo sai, ma magari se parli in modo chiaro forse riesco anche ad aiutarti»; allungò la mano sulla spalla dell'amico, cercando di infondergli conforto. Il bassista si voltò verso di lui, con gli occhi arrossati e i denti stretti per il nervosismo; disse solo due parole: «Dammene ancora»

«Ancora?» T-Bone era sconcertato «Ma se mi hai appena detto che vuoi smettere!».

Nikki si portò le mani al viso, cercando di nascondere invano il fiume in piena che gli stava esondando dagli occhi, e cominciò a parlare da dietro quella microscopica barriera: «Io voglio smettere, ok? Io lo so che voglio smettere. Lei mi ha detto che non si possono avere due donne contemporaneamente e ha ragione. Così io ho scelto Rea... ma non pensavo che potessi sentire così tanto la mancanza dell'altra». I singhiozzi bloccarono il suo discorso; Tommy gli toccò il braccio, cercando di fargli capire che lui era lì per fare l'amico, per ascoltarlo e per aiutarlo. Nikki continuò: «Ho paura di non farcela Tommy... io non ce la faccio... non ce la faccio a rinunciare. Mi manca troppo»; afferrò l'amico come se si stesse aggrappando ad una rupe per non cadere nel vuoto e poi lanciò la sua richiesta di aiuto: «Ti prego... chiama Jason. Digli di portarmi un po' di eroina. Qualsiasi qualità, non me ne frega. Basta che sia eroina». T-Bone fissò la mano dell'amico che affondava i propri polpastrelli nella sua carne; aveva le unghie bianche, talmente stringeva forte. Rimase per un momento immobile di fronte a quell'esigenza; da una parte avrebbe voluto dirgli di no, che avrebbe fatto un'enorme cazzata a bucarsi ancora perchè ci sarebbe ricascato e sarebbe stato ancora più difficile uscirne. Dall'altra, però, gli faceva una pena infinita; vederlo ridotto in quello stato gli faceva sanguinare il cuore e forse l'eroina era l'unico modo per avere un Nikki ancora presente per qualche momento. Tommy sospirò sconsolato: «Se è questo che vuoi...»; prese il telefono e chiamò Jason chiedendogli di portare “il solito”, raccomandandogli di fare il più in fretta possibile. Quando chiuse la conversazione, tornò a fissare l'amico con uno strano senso di colpa; forse non avrebbe dovuto dargli corda, forse avrebbe dovuto impuntarsi e dirgli: “No, cazzo, adesso te ne stai senza per davvero”. Ma quanto sarebbe stato produttivo?

«Bro» lo sussurrò dolcemente, togliendosi i capelli dalla fronte «ma sei sicuro di voler smettere davvero?».

Nikki si limitò ad annuire con gli occhi lucidi.

«E allora sai che io non posso fare niente?»

«Voglio solo che mi aiuti» il bassista parlò con un nodo gigantesco che gli chiudeva la gola

«Sì, ok bro... io ti sto vicino, però non posso fare nulla. Tu hai bisogno di un fottuto dottore» T-Bone gli diede una leggera pacca sulla spalla. Nikki si limitò a sbuffare; non gli andava per niente a genio di mettersi sotto metadone per l'ennesima volta. Tommy parlò come se gli avesse letto nel pensiero: «Guarda che è l'unico modo. Però stavolta devi farti il ciclo fino in fondo, non solo tre o quattro giorni come le volte precedenti»

«Sai perchè smetto prima? Perchè non fa niente, questa è la verità!» il bassista tentò di protestare, ma T-Bone lo zittì con un cenno della mano: «La verità è che tu non dai a quella roba il tempo materiale per agire. Guarda che non è una pozione magica, cazzo, non siamo nel mondo delle favole. Ci vuole tempo».

Tempo. Sempre lui. Il messaggio del suo bro era chiaro: doveva avere pazienza.


Don't give up, it takes a while
I have seen this look before


La cosa non gli piaceva affatto; lui voleva avere tutto. E subito. Non voleva sprecare minuti, ore e giorni preziosi a sorseggiare un sostituto della sua mistress; non voleva buttare nel cesso un mese ad abbeverarsi di quella schifezza senza vedere la sua Fiamma. Se fosse stato per lui si sarebbe presentato sotto casa sua anche in quello stato indecente, anche a costo di fare la figura dell'idiota davanti a lei e farsi sbattere definitivamente la porta in faccia. Ma non sarebbe stata una scelta saggia. Alzò lo sguardo e trovò gli occhi color nocciola di Tommy che lo fissavano; avevano uno strano luccichio, sembrava quasi che volesse piangere anche lui. Il bassista allungò la sua mano e strinse quella dell'amico; non disse nulla, si limitò ad abbozzare il miglior sorriso che poteva permettersi in quel frangente.


And it's alright
You're not alone
If you don't love this anymore
I hear that you've slipped again
I'm here 'cause i know you'll need a friend


Se c'era Tommy le cose assumevano una luce diversa; certo, se avesse affrontato la riabilitazione con Rea sarebbe stato diverso, però anche avere un amico al proprio fianco aveva dei vantaggi. Sapeva che con lui poteva parlare di qualsiasi cosa, sapeva che poteva chiamarlo a qualsiasi ora del giorno che lui avrebbe fatto del suo meglio per dargli un consiglio sensato. Non era la prima volta che commetteva un errore così stupido, ma se c'era il suo migliore amico pronto a supportarlo, forse sarebbe stato più facile saltare al di là dell'ostacolo.


And you know that accidents can happen
And it's okay,
We all fall off the wagon sometimes
It's not your whole life
It's only one day
You haven't thrown everything away.


Solo aveva bisogno di un mese. Un mese per ricominciare a capire come vivere senza la sua mistress. Un mese per realizzare cosa davvero poteva fare per riavvicinarsi a Rea, spiegarle tutto e farsi perdonare. Un mese per riscoprire cosa voleva dire sentirsi vivo.


Take some time and learn to breathe
And remember what it means
To feel alive
And to believe
Something more than what you see


Il prezzo da pagare era il metadone e la straziante attesa di rivedere quegli occhi dalle venature indaco. Ma se avesse superato quella prova, avrebbe potuto godere di quella visione per lunghissimo tempo.


I know there's a price for this
But some things in life you must resist


In quel momento, qualcuno suonò il campanello; di sicuro era Jason in compagnia di un po' di eroina. Tommy, senza dire una parola, si alzò dal materasso per dirigersi verso l'ingresso, ma la voce di Nikki lo fermò poco prima di uscire dalla stanza: «Ci sono aghi puliti nell'armadietto del bagno».

T-Bone annuì e poi sparì per qualche minuto. Quando tornò con tutta l'attrezzatura per la dose, il bassista lo fissò per qualche secondo prima di infilarsi l'ago in vena: «Sono un coglione, vero?»

Tommy fece spallucce: «Forse per chi non ti conosce»

Nikki sfornò il suo solito sorriso sghembo: «Ma non è una grande idea bucarsi ora...».

T-Bone guardò quel sottilissimo tubicino metallico infilarsi sotto la pelle di Sixx; rabbrividì: «Domani ti porto in clinica». L'amico annuì in silenzio mentre sentiva una piacevolissima sensazione impossessarsi dei suoi sensi. «E se fai storie ti ammazzo».

Il bassista rimase immobile per qualche secondo a studiare l'ago che aveva appena tirato fuori dalla vena, poi alzò lo sguardo verso l'amico e sussurrò: «Ti voglio bene»

«Sei uno stronzo» Tommy scosse il capo con un timido sorriso sulle labbra

«No, sul serio» Nikki si stese sul letto sentendo montare sempre più dentro di sé il benessere che quella sostanza gli dava «io voglio uscirne. E se domani faccio storie per andare in clinica prendimi a calci in culo».

Il batterista sorrise sinceramente, poi gli prese la mano fredda nella sua: «Anche io ti voglio bene, coglione».


NOTE:

Heather: si intende Heather Locklear, ai tempi moglie di Tommy Lee.

Greyhound bus: la compagnia di bus interurbani più grande del Nord America.

Gene Simmons: bassista dei Kiss.

Slash: nome d'arte di Saul Hudson, chitarrista storico dei Guns N'Roses.

Steven Adler: batterista storico dei Guns N'Roses.

Pete: vicino di casa, ai tempi dell'uscita di Girls, Girls, Girls, di Nikki.

Duff McKagan: bassista storico dei Guns N'Roses.

Cathouse: club losangelino, famoso per avere ospitato diverse band del movimento glam, a partire dal 1986 fino al 1993.

Aviator: modello di occhiali della Ray-Ban.

Billy Idol: cantante dallo stile punk famoso negli anni ottanta; portava i capelli platinati a spazzola.

Popcorn: soprannome dato a Steven Adler che, ai tempi, era solito mangiare tonnellate di popcorn.

Alphaville: gruppo tedesco di genere synth pop/rock con incursioni nella Neue Deutsche Welle, famosissimo negli anni 80.

Tylenol: medicinale a base di paracetamolo.

Cold turkey: letteralmente “tacchino freddo”, con questa espressione idiomatica si intende l'astinenza.

La canzone che compare a fine capitolo è “Accidents Can Happen” dei Sixx: A. M. di cui non posseggo i diritti.


Ragazzi, io vi chiedo in ginocchio perdono per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare. Ci sono stati diversi eventi che hanno rallentato da morire la produzione e l'uscita di questo capitolo, dallo studio, alla laurea imminente, fino al lavoro. Ammetto anche che il capitolo è di una lunghezza spropositata, quindi leggetelo a piccole dosi (come ho già raccomandato nella premessa) o vi tirerete un colpo. Garantito. Penso, senza ombra di dubbio, che questo sia il peggior capitolo che abbia mai scritto dall'inizio della storia; primo perchè è eccessivamente lungo e poi perchè è stato scritto nell'arco di troppo tempo e, probabilmente, ha perso di mordente ed intensità. È anche vero che la tematica di questo #21 è estremamente ostica: abbiamo a che fare con una crisi d'astinenza e i sentimenti contrastanti che l'accompagnano; per poter dare un'idea di ciò che questo comporta, mi sono letta pagine e pagine di testimonianze di chi ci è passato sul serio. È stata un'esperienza piuttosto angosciante e spero di aver trasmesso al meglio anche a voi quest'idea. Per quanto riguarda Rea non preoccupatevi: il prossimo capitolo sarà interamente dedicato a lei; se vi state chiedendo “Ma si rivedranno mai quei due lì?” la risposta è “Sì, si rivedranno... ma le cose cambieranno parecchio”. In che misura? Non ve lo dico. Ringrazio come sempre tutti quelli che mi supportano, che leggono, che recensiscono, che mi mettono i like alla pagina di facebook :) siete geniali. Come sempre aspetto i vostri commenti per questo capitolo e se avete dei consigli o delle critiche, mi raccomando, fatemelo sapere.

Un bacio, Ellie


P.S. A brevissimo sarà pronta anche la one-shot per il centesimo liker della pagina facebook. Stay tuned!

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Capitolo 22
*** Through The Fire... To the Unexpected ***


22 Through The Fire... To The Unexpected

Faceva un gran caldo quel 22 maggio ed in quell'aula della UCLA gremita di gente lo si pativa ancora di più. Marzio era fieramente in piedi davanti alla commissione intento a spiegare la dinamica del volo rovesciato; la sua voce ed il suo discorso avevano completamente ammaliato i professori che seguivano deliziati la discussione della sua tesi. Dietro di lui, Bunny lo fissava estasiata; pareva quasi che i suoi occhi azzurri si fossero trasformati in pietre preziose, talmente scintillavano. L'unica che non stava prestando attenzione ad una sola parola del ragazzo era Rea, intenta a fissare apatica il nulla davanti a sè. Amy, dopo averla scrutata a lungo, le sfiorò il braccio con un dito: «Fiamma, tutto bene?»; la bruna si voltò con un leggero sorriso in volto e le fece l'occhiolino. Amy si passò sconsolata una mano fra i capelli blu: "E' incredibile quanto riesca a sopportare il dolore". Stava in silenzio Rea, ma si capiva lontano un miglio che il fuoco dentro di lei si era quasi estinto. Lei, che adorava tutto ciò che era in grado di volare, non riusciva nemmeno ad interessarsi a quella tesi sul MIG 29. La sua mente era completamente concentrata su altro: "Dove sei? Come stai?". Quelle erano le uniche domande che da più di un mese continuavano a frullarle in testa; due domande che si riferivano alla stessa persona. Aveva ancora nitida nella propria testa l'immagine di lui che le porgeva quel pacchettino e la implorava di tornare con lui... quei meravigliosi occhi verdi che minacciavano di spegnersi del tutto da un momento all'altro. "Nikki..." quanto tempo era che non pronunciava quel nome ad alta voce? Abbassò gli occhi indaco sulle piastrelle socchiudendo le palpebre; aveva ormai esaurito tutte le lacrime che aveva in corpo, le aveva spese tutte per lui in quel mese ed in quel momento non ne aveva più a disposizione. Sospirò come se dovesse cercare di togliersi un peso enorme dallo stomaco: “Mi manchi...”; si sentiva scema a dire che le mancava dopo il trattamento che le aveva riservato in ospedale e dopo che lui aveva ammesso che ancora usava eroina. Però era la verità. Aprì la bocca cercando di articolare per se stessa chissà quale discorso, quando uno scroscio di applausi le fece alzare il capo di colpo; Marzio stava stringendo la mano di tutti i membri della commissione e Bunny si asciugava gli occhi commossa. Era finita. Rea vide tutte le sue amiche alzarsi e dirigersi verso il ragazzo per congratularsi con lui; le seguì per inerzia, come se ci fosse un magnete che la teneva attaccata a loro. Vide Amy abbracciarlo e mettergli una mano sulla spalla: «Il massimo dei voti... sei stato bravissimo»; lui sorrise soddisfatto senza dire una parola, poi si avvicinò a Rea seguito dai movimenti sinuosi della toga scura: «Allora? Che ne dici?»

«Che ne dico?» si sentì spiazzata a quella domanda, così cercò di montare su due piedi una risposta sensata «Grandioso come sempre. I miei complimenti». Allungò la mano destra verso di lui, mostrandogli il miglior sorriso che poteva permettersi in quel momento.

Marzio esitò: «Scommetto che non hai seguito nemmeno una parola».

Rea abbassò lo sguardo sentendo le guance avvampare per la vergogna: «Io... scusa». Il ragazzo ridacchiò e l'abbracciò: «Non preoccuparti. Se vorrai, ti presterò il mio elaborato da leggere quando avrai la mente un po' più libera». La bruna annuì in silenzio, poi si distaccò da lui per poterlo guardare negli occhi, ma mentre la sua bocca stava per aprirsi e dire “grazie”, Bunny arrivò con la furia di un tifone: «Ehi, voi due! Cosa state facendo?»

«Ma niente amore mio» cercò di rassicurarla Marzio. Bunny si agganciò al suo braccio e guardò piuttosto storto l'amica; Rea strinse i pugni e fulminò la biondina: «Come diavolo ti salta in mente?»

«Lui è mio» l'amica le fece una pernacchia

«E chi lo vuole» ribattè la bruna lapidariamente «tienitelo».

Morea fiutò che l'atmosfera si stava surriscaldando, così intervenne cercando di tenere a bada entrambe le ragazze: «Ehi, calma! Adesso ce ne andiamo a casa e mangiamo. Ho preparato delle tartine che sono la fine del mondo»

«Oh sì!» Bunny fece un saltino rimanendo ancorata al braccio di Marzio «Ho una fame che nemmeno vi immaginate»

«Beh, allora cosa aspettiamo? Andiamo, la principessa ha fame» rispose di rimando Rea facendo girare intorno all'indice le chiavi della macchina; poi, senza aggiungere altro, diede le spalle a tutti e si avviò verso l'uscita con un umore a cavallo fra la delusione, la rabbia e l'amarezza.


* * *


Per casa aleggiava un odore invitante e tutti discorrevano del più e del meno facendo tintinnare ad intervalli regolari i bordi dei calici colmi di Cristal. Solo Rea se ne stava sola, seduta a bordo piscina, intenta a fissare la fiamma di una candela immersa nei suoi pensieri: “Come ha potuto?”. Ci era rimasta davvero male; sapeva che Bunny era estremamente gelosa di Marzio, ma l'amica sapeva anche che, dal momento in cui lei aveva conosciuto Nikki, non aveva più avuto occhi per nessun altro. Non che Marzio le interessasse, anzi. Si soffermò a guardare le bollicine che salivano allegramente verso la superficie dello champagne e strinse il flûte più che potè, rischiando di mandarlo in frantumi; poi, di colpo, gettò nervosamente lo champagne nell'erba. Non riusciva ad articolare una parola; in quel momento era solo capace di stringere i denti per la rabbia e di sentire il proprio stomaco piccolo come una nocciolina, talmente tanto era il nervoso che aveva in corpo. Un tintinnio più acuto degli altri le fece girare la testa verso il tavolo dove le persone stavano mangiando tutte le leccornie preparate da Morea; Marzio picchiava con una forchetta sul proprio bicchiere chiedendo l'attenzione di tutti: «Scusate l'interruzione» parlava con la voce un po' tremante «ma come prima cosa vorrei ringraziare tutti voi per essere qui a festeggiare questo mio traguardo e un grazie speciale va a Rea, che ci sta ospitando tutti in casa sua». I presenti, battendo le mani, si voltarono tutti verso la piscina dove sedeva la bruna; Rea, di rimando, fissò la folla con sguardo indifferente e nemmeno si alzò. Marzio intese il disagio della ragazza e non insistette nemmeno con la sua richiesta di avvicinarsi; si schiarì la voce e continuò: «Ma ora ho bisogno della mia principessa». Sorrise in direzione di Bunny che, avvolta nel suo abitino rosa, si avvicinò a lui traballando sui tacchi. Rea da lontano scosse la testa: “E' incredibile. Non ha ancora imparato a camminare con quelle scarpe”. Intanto la biondina aveva raggiunto il proprio ragazzo e si era attaccata al suo braccio, un po' per amore, un po' per paura di prendere una storta; gli occhi blu oceano di Marzio si persero in quelli azzurro cielo di Bunny per qualche secondo, poi lui, alzando il suo bicchiere disse: «E' ormai tanto che stiamo insieme e volevo ringraziarti per il sostegno che mi hai sempre dimostrato».

Gli occhi di Bunny iniziarono a luccicare: «Ti amo, lo sai?».

Lui sorrise: «Proprio per questo volevo chiederti se ti piacerebbe venire a vivere con me». Ci fu un attimo di immobilità, poi la biondina saltò al collo del ragazzo piangendo lacrime di gioia: «Sì che vengo Marzio. Vengo con te». La folla esplose in un boato di felicità e, nel frastuono, si udì Marta urlare di gioia mentre stappava lo champagne. Rea, dal canto suo, fissava la scena da lontano, come se fra lei e tutto quel rumore ci fosse un vetro infrangibile; si studiò per un secondo le unghie smaltate di rosso ripetendosi, come se fosse una filastrocca, la frase “Bunny va via”. Le dispiaceva sapere che, a partire dal giorno dopo, lei avrebbe iniziato a fare gli scatoloni con dentro le sue cose, eppure in quel frangente la rabbia serpeggiava per l'animo della ragazza inibendo qualsiasi altro sentimento.

Dall'altra parte del giardino, Bunny si accorse che Rea non stava prendendo parte ai festeggiamenti; anzi, ad essere sinceri, non aveva fatto una piega dopo la proposta di Marzio, così si tolse le décolleté e si avventurò nell'erba, verso la piscina. Quando fu a pochi metri dall'amica la chiamo con voce flebile: «Rea?».

La bruna si girò e la squadrò con gli occhi che ardevano come due braci: «Cosa vuoi?».

Bunny si portò la mano alla bocca, sorpresa: «Qualcosa non va, amica mia?»; lentamente avvicinò la sua mano alla spalla della bruna, ma Rea si alzò di scatto e le scansò il braccio: «Risparmiati l'appellativo “amica mia”».

La biondina tremò nel sentire quel ruggito; Rea continuò: «Se tu davvero mi reputassi tua amica, sapresti benissimo che a me, di Marzio, non frega assolutamente nulla!».

Bunny tentò di giustificarsi: «Ma... sai come sono, no?»

«Certo che lo so come sei» l'indice di Rea puntava dritto contro il petto della ragazza «sei infantile e stupida!».

Gli occhi azzurri della biondina si colmarono di lacrime mentre tutti si immobilizzavano: «No, non è vero...»

«Se non fosse vero, allora perchè mi hai fatto l'ennesima ingiustificata scenata di gelosia?»

«Non...» la voce di Bunny tremava almeno quanto il suo mento

«Lo sai benissimo che a me importa solo di Lui e di nessun altro!» Rea urlò con tutta la forza che aveva in corpo mentre una lacrima le scendeva furtiva sulla guancia. Bunny scosse il capo: «Ma Marzio è solo mio... so che non gli faresti nulla, ma mi dà fastidio che lo abbracci».

Rea vide rosso per qualche secondo, poi la sua mano destra si schiantò così forte sulla guancia della biondina che quest'ultima perse l'equilibrio e cadde in acqua. «Ma quando crescerai? Quando la smetterai di ragionare come un infante?» la bruna le diede le spalle e fece due passi verso la casa, circondata dallo stupore e dal silenzio degli invitati; poi si voltò nuovamente verso Bunny che, con l'aiuto di Marzio, stava uscendo dall'acqua e disse in tono perentorio: «Sinceramente... non vedo l'ora che tu te ne vada».


* * *


Aveva guidato per circa venti minuti senza aprire bocca, facendo in modo che il silenzio fosse il suo unico compagno di viaggio. All'inizio, appena aveva acceso il motore, non aveva la benchè minima idea di dove andare; poi, senza che nemmeno se ne accorgesse, si era ritrovata di fronte al palazzo dove abitava Heles. Salì a grandi falcate le scale fino al terzo piano; proprio di fronte alle scale, una porta con la targhetta Mystic Wind plays with Holy Water l'attendeva a braccia aperte. Suonò il campanello tenendo la testa china, con i capelli corvini che le nascondevano il viso. Attese pochi secondi, poi la porta cigolò e da dietro la catenella apparve un viso dai lineamenti eleganti, incorniciato da capelli setosi: «Aspetta solo un attimo» fu la risposta, poi l'uscio si richiuse. Trenta secondi dopo, Heles riaprì, vestita con una tuta da ginnastica gialla e blu: «Ma cosa ci fai qui?»

«Scusami già da ora se ti ho disturbata» Rea alzò il capo per guardare negli occhi la collega.

La bionda spalancò gli occhi incredula: «Cavolo, che faccia che hai»; poi aggiunse: «Comunque stai tranquilla. Anzi, entra pure; Milena sta preparando il tè». Rea fece il suo ingresso nell'appartamento con la coda fra le gambe, quasi come se si fosse pentita di avere suonato; Heles la fece accomodare sul piccolo divano in tessuto azzurro intanto che Milena appoggiava il vassoio con sopra tre tazze colme di tè bollente. Fu proprio quella ragazza dai lineamenti quasi regali a rompere il silenzio: «Heles ha proprio ragione riguardo i tuoi capelli, sono fantastici»; Rea la guardò, leggermente rossa in volto, e la ringraziò.

Heles si intromise nel discorso: «Non mi hai ancora detto perchè sei qui. Insomma, non è da te piombare in casa della gente senza un minimo di preavviso».

Rea studiò la superficie del liquido ambrato: «Ho avuto un diverbio. Un acceso diverbio con Bunny».

Heles aggrottò le sopracciglia: «Beh, direi che è piuttosto normale per voi»

«Non questa volta» la bruna poggiò la tazza sul tavolino basso del salotto: «Le ho detto cose non vere e...» si vergognava come una ladra ad ammetterlo «le ho anche dato una sberla». Per qualche secondo fra le tre ragazze scese il silenzio, con Rea che si guardava le punte delle scarpe ed Heles che la fissava con gli occhi spalancati; fu Milena ad interrompere l'immobilità: «Non che la sberla non le abbia fatto male ma... le parole tagliano più della lama di una spada appena affilata. Che genere di cose non vere le hai detto?»

«A dire la verità» Rea si infossava sempre di più nei cuscini del divano «le ho detto solo una cosa non vera» e così cominciò a raccontare dell'episodio che si era appena concluso, senza tralasciare la premessa dell'aula universitaria.

Al termine del resoconto, Heles espirò pesantemente: «Forse sei stata un po' troppo dura»

«A dirle che non vedo l'ora che se ne vada? Beh, direi proprio di sì. Anche perchè...» la bruna deglutì a fatica, sentendo che in gola stava iniziando a formarsi un grosso nodo «non è vero. Io le voglio bene davvero, non voglio che vada via». Respirò profondamente e si passo nervosa una mano fra i capelli.

«Non solo» Milena prese tempo bevendo un sorso di tè, poi guardò la bruna negli occhi con sguardo penetrante, quasi volesse leggerle l'anima «Io avrei anche evitato di dirle che è stupida ed infantile. Tu la conosci da tanti anni e, credimi, non è bello sentirsi dare dalla propria amica appellativi del genere. Anche se lei, in fondo, è un po' infantile, non è carino farlelo notare»

«In sostanza» Heles fece tintinnare il bordo della propria tazza contro quella della compagna «le devi chiedere scusa. Lei sa benissimo che per te esiste solo Nikki e sa altrettanto bene che mai ci proveresti con il suo ragazzo; è solo un tantino gelosa, ma senza cattiveria». Rea si guardò la mano destra, quella che aveva vibrato con forza sulla guancia di Bunny circa un'ora prima; si sentì infinitamente stupida: “Con che coraggio le ho detto che è infantile se io stessa ho fatto una cosa che solo una bambina capricciosa poteva fare?”. Sorrise debolmente sentendo gli occhi divenire umidi e si alzò in piedi, sentendo che era giunto il momento di smetterla di intromettersi nella vita di quelle due ragazze: «Grazie per avermi ascoltata; ora, però, è meglio che me ne vada». Sentiva il bisogno impellente di correre a casa per chiedere scusa alla sua “coniglietta preferita”; non le importava come l'amica avrebbe reagito, la cosa più importante in quel frangente era dimostrare che le era dispiaciuto infinitamente. In silenzio, si avviò verso l'ingresso; appena prima di aprire la porta, però, si voltò verso le due ragazze in cerca di consiglio: «Cosa dite? Secondo voi... lo rivedrò mai?». Milena si alzò dal divano e le andò incontro prendendole la mano: «Ricorda che, nella vita, tutto torna»; le sorrise, come se fosse sua sorella maggiore, accarezzandole la guancia. Poi la spronò dolcemente: «Ora, però, corri dalla tua amica». Senza farselo ripetere due volte, corse giù per le scale, come se stesse fuggendo da un incendio, e salì in macchina infilando le chiavi al volo nella toppa; si rimise in carreggiata mandando il motore su di giri e cominciò a percorrere la strada a ritroso. Ben presto, però, fu costretta a fermarsi ad un semaforo che aveva deciso di diventare rosso giusto qualche metro prima che lei arrivasse alla riga segnaletica orizzontale. Sbuffò nervosamente fissando in cagnesco quelle tre lampadine colorate sospese sopra la sua testa: “Sembra che lo faccia apposta. Tutte le volte che sei di fretta...”

«Diventa rosso. È normale».

Rea voltò la testa di scatto: sul sedile del passeggero, il nonno la stava fissando divertito.

«Spione, non si legge nella mente delle persone!»

«Ho solo commentato la situazione, nulla di più» il vecchietto le fece l'occhiolino.

«Come hai fatto ad arrivare?» domandò la ragazza sbalordita

«Lo Zippo ti è rotolato fuori dalla borsa, così ho deciso di farti un salutino». Parlava come se quello che stesse dicendo fosse perfettamente normale.

«Allora fammi un favore: legati, che se ci becca la stradale siamo nei guai tutti e due»; scattò il verde e la ragazza ingranò la prima.

«L'unica che può andare nei guai sei tu, perchè sembra che tu stia parlando da sola. Mi vedi solo tu Fiamma... e le tue amiche. Appaio solo a queste persone. A proposito di amiche» il sorriso sul volto del vecchietto sparì in un secondo «che diavolo hai combinato?»

«Un disastro, lo so.» Rea si tolse una ciocca corvina dal viso «Ma sto correndo a casa per sistemare il tutto il prima possibile»

«Vedi di non oltrepassare i limiti allora» il nonno puntò l'indice contro il tachimetro «non è il momento giusto per farsi ritirare la patente». Rea scosse la testa, come per riprendersi da una botta, ed allentò la pressione sull'acceleratore. Il vecchietto sospirò: «Senti, ho assistito alla scena; ho visto tutto. Hai esagerato». La ragazza non disse nulla, si limitò ad abbassare il capo mortificata. «Sarò sincero con te: sarà davvero dura farsi perdonare»

«Lo so» biascicò Rea

«Non solo per quello che hai fatto a Bunny, ma anche perchè hai rovinato la festa di Marzio. Dovrai scusarti anche con lui».

Già, Marzio; Rea l'aveva quasi scordato che il tutto era successo durante la festa di laurea dell'amico. Ma, soprattutto, il tutto era partito proprio per un abbraccio che si erano dati lei e lui. La bruna si mordicchiò il labbro: “La situazione è molto più ostica di quanto pensassi. E lui che mi aveva pure ringraziata per avergli lasciato la casa”. Si sentì ancora più male dopo quella considerazione; doveva davvero mettercela tutta per sistemare al meglio le cose. Doveva accantonare il proprio orgoglio, lasciarlo in macchina appallottolato nel portaoggetti, ed andare in casa incontro alle proprie amiche, che l'avrebbero fissata con sguardo inquisitore, con il capo chino ed il petto oppresso dal senso di colpa. Soprattutto doveva trovare Bunny, prenderle il viso fra le mani ed accarezzarle la guancia che aveva percosso fino a non farle sentire più il dolore che le aveva provocato, aiutandosi anche con le parole, dicendole che, davvero, avrebbe preferito che fosse rimasta con lei in quella casa e che no, non era infantile e stupida. E naturalmente chiedere perdono a Marzio in qualsiasi modo. Ma più si avvicinava al cancello, più un tremendo presentimento che tutto sarebbe andato per il verso sbagliato si faceva sempre più nitido. Non rimise la macchina nel garage, la lasciò fuori a lato del marciapiede e spense il motore con il cuore che le batteva all'impazzata; guardò per l'ultima volta il nonno, cercando di trovare un minimo di supporto. Il vecchietto, dal canto suo, si fissò le mani per qualche istante e poi, giusto un attimo prima di vaporizzarsi, le disse: «Hai intenzione di rimanere ancora qui per molto? Guarda che certe cose si correggono solo in un momento preciso. Sbrigati». Rea guardò oltre il parabrezza il cono che gli anabbaglianti disegnavano sull'asfalto: “Non è il momento di farsi prendere dal panico”. Decisa spense le luci e poi si diresse verso l'ingresso, stringendo fra le mani le chiavi di casa; dopo aver esitato per un momento davanti alla toppa, ci infilò dentro la chiave più lunga ed aprì. Trovò l'ingresso sorprendentemente vuoto: “I bicchieri sono ancora sul tavolo... e ci sono i salatini in giro. Non deve essere molto che la gente se n'è andata”. Entrò in punta di piedi, come se fosse convinta che tutte le sue amiche stessero dormendo profondamente, e si appoggiò dolcemente con la schiena alla porta d'ingresso per chiuderla; come la serratura scattò, una voce arrivò da destra: «Ah, eccoti finalmente». Rea si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con una Marta dall'espressione inferocita; la bionda fece un passo verso di lei: «Di Bunny, proprio, non te ne frega nulla». Rea sgranò gli occhi perplessa; Marta continuò: «Ti sembra il modo di trattarla? Solo perchè tu hai le tue lune del cazzo?»

«Alt, ferma un secondo» la bruna mise le mani in avanti per fermare l'avanzata dell'amica «posso spiegarti tutto...»

«Cosa devi spiegarmi? Che sei invidiosa di Bunny perchè lei ha il fidanzato e tu no? Beh, fatti un paio di domande, no? Dopotutto, se agisci così, pensi davvero di meritartelo un ragazzo?»

«Non ho agito così per invidia, te l'assicuro» Rea fece un passo indietro

«Dove sei stata?» la voce di Morea le arrivò dalle spalle; la bruna si girò e trovò l'amica che riportava in casa dal giardino le bottiglie vuote.

Marta, sempre più irritata, incalzò: «Allora, se non era per invidia, perchè quello schiaffo? Perchè quella scenata?».

Rea fece un respiro profondo, chiamando a raccolta tutta la sua pazienza: “Non è davvero il caso che sbotti di nuovo. Marta è fatta così, quindi... cerchiamo di mantenere la calma”; si morse il labbro e cercò di spiegare: «Ascolta, tutto è partito da...»

«Cosa? Il fatto che Marzio abbia chiesto a Bunny di andare ad abitare con lui? Dimmi se questa non è invidia! O peggio, forse è egoismo! Egoismo perchè tu vuoi che lei rimanga sempre qui con te a sopportare le tue paturnie da single?» la bionda era talmente infuriata che urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Rea cercò di aprire bocca, ma si ritrovò ad annaspare come un pesce rosso fuori dall'acqua. Morea, da dietro le spalle dell'amica, scosse la testa: «Marta, smettila. Non le stai dando nemmeno la possibilità di spiegarsi»

«C'è veramente poco da spiegare» la bionda si scostò nervosamente una ciocca di capelli dal viso «e poi da come si è comportata non si meriterebbe nemmeno di spiegare». Rea, nell'udire quelle parole, si sentì come se avesse appena ricevuto un pugno alla bocca dello stomaco; si appoggiò al muro e si lasciò scivolare sul pavimento.

«Sono d'accordo con te nel pensare che abbia esagerato, ma non credi che se è arrivata a tanto, forse, un motivo ci deve essere. E non il motivo che pensi tu» Morea si mise davanti alla bruna, cercando di difenderla dall'ira di Marta «Falla parlare, falle spiegare!».

«Cosa sta succedendo?» Amy arrivò correndo in soggiorno, preoccupata che anche Marta e Morea stessero per arrivare alle mani; quando vide Rea ripiegata su se stessa, nascosta dietro le gambe della cuoca di casa, corse verso di lei e la prese per le spalle: «Mi hai fatta preoccupare, santo cielo! Dov'eri finita?».

Rea parlò con un filo di voce: «A sbollire... dov'è Bunny?».

Amy non rispose: «Non ti azzardare mai più a sparire così, chiaro? Ci siamo preoccupate tutte quante» ed alzò gli occhi in direzione della bionda «Marta compresa»

«Avrei detto il contrario» la bruna abbassò lo sguardo sentendo gravare su di se sempre più pesante il senso di colpa «Dimmi dov'è Bunny»

«Hai intenzione di complicare ancora di più le cose?» la sbeffeggiò Marta. Rea alzò gli occhi e si rimise in piedi, sempre tenendo le pupille fisse negli occhi blu della ragazza: «Smettila di dare aria alla bocca»; poi, sotto gli sguardi sbigottiti delle tre ragazze, si diresse su per le scale verso la stanza dell'amica. Dalla porta socchiusa sbucava un timido spiraglio di luce: “Deve avere acceso la lampada del comodino”; con le mani che tremavano, fece ruotare lentamente la porta sui cardini e fece capolino dallo stipite. Marzio e Bunny, incuriositi dallo scricchiolare dell'infisso, si erano voltati tutti e due a guardare nella sua direzione; Rea, presa dalla vergogna, fece per tirarsi indietro ma nel vedere l'amica con gli occhi gonfi per il pianto, prese il coraggio a due mani ed entrò nella stanza. Si mise al centro, con il viso illuminato per metà dalla lampada a forma di mezza luna e le gambe che volevano cedere da un momento all'altro; guardò i due sentendo la colpa gravare su di sé: «Ragazzi...» un nodo le chiuse la gola.

Marzio si alzò in piedi: «Io esco. Penso che voi due abbiate parecchie cose da dirvi»

«No» Rea lo bloccò per il polso «per favore, resta. Ho bisogno anche di te». Il ragazzo sgranò gli occhi e tornò a sedersi sul letto di fianco a Bunny.


23 maggio 1987, 3 am

Per venti secondi abbondanti c'è stato silenzio; un silenzio da cimitero. Avevo una paura folle, paura di sbagliare a dire qualcosa e complicare ulteriormente la situazione. L'unica cosa che faceva rumore in quel momento era il mio cuore, che premeva per uscirmi dal petto. Ho chiuso gli occhi, chiamando a raccolta tutte le mie forze e la mia volontà ed ho iniziato a parlare: «Ragazzi, mi dispiace...»

«E vorrei anche vedere» ha bisbigliato qualcuno alle mie spalle. Mi sono girata di scatto, giusto in tempo per vedere Morea ed Amy che tiravano un pizzicotto a Marta per quello che aveva appena detto. Non sapevo se ridere per quell'intermezzo comico o se arrabbiarmi perchè stavano origliando. Ad ogni modo, mi sono girata nuovamente verso Bunny e Marzio e ho ripreso a parlare: «Sono... sono mortificata per quello che è successo». Un nodo stava cominciando a chiudermi la gola, ma non sarebbe stato di certo quello a fermarmi: «Bunny, ti ho detto delle cose terribili. Cose che non pensavo. Non è vero che sei stupida, non è vero che sei infantile. Soprattutto non è vero che non vedo l'ora che tu te ne vada di casa».

A quel punto, la mia amica si è alzata in piedi e mi è saltata al collo: «Tu non sai come mi abbia risollevato questo» e ha iniziato a bagnare la spallina del mio vestito con le sue lacrime. Mi è scappata una risatina, poi anche a me le lacrime sono scappate fuori dagli occhi; l'ho presa per le spalle e l'ho guardata in viso: «Non volevo rovinare il tuo momento di felicità»

«No, sono io che non dovevo comportarmi così. In fondo, hai ragione a dirmi che faccio inutili scenate di gelosia... lo so che tu non sei interessata a Marzio. E so anche che stai ancora aspettando Nikki». Quando ha detto così ho abbassato gli occhi ed ho sentito il mio stomaco rimpicciolirsi a dismisura; poi qualcuno mi ha messo una mano sulla spalla. Ho girato la testa e mi sono stupita nel vedere Marzio che mi sorrideva; mi sono passata una mano sotto gli occhi per asciugarmi le lacrime: «Ho rovinato la tua festa».

Lui mi ha fatto l'occhiolino: «C'è ancora tempo per festeggiare. Morea ha preparato tanta di quella roba che si può sfamare l'intero esercito». Mi parlavano come se non fosse successo niente e io non potevo credere alle mie orecchie; così, senza sapere di preciso cosa fare, li ho abbracciati tutti e due piangendo come una bambina. Paradossalmente, è stata Bunny a consolarmi in quel momento: «Smetti di piangere ora. Ci sono delle tartine favolose che tu non hai ancora mangiato; e poi...» si è avvicinata al mio orecchio «finita la festa, vorrei che mi aiutassi a preparare i miei scatoloni».

Le ho fatto la pernacchia: «Puoi giurarci».


* * *


Quel lunedì primo giugno era stranamente tranquillo; o meglio, da quando, due giorni prima, Bunny aveva preso tutte le sue cose e le aveva portate nella sua nuova casa, la dimora sembrava decisamente più quieta. Niente più bisticci, niente più corse su e giù per le scale e niente più pacche sulle mani per le cose che sparivano dalla dispensa. Le ragazze crogiolavano a bordo piscina, mentre Rea era chiusa nel suo studio a preparare un esame, circondata dai visi dipinti sulle tele che la fissavano, quasi volessero costringerla a non alzare il capo dai fogli finchè non avesse finito. Verso le quattro del pomeriggio, la bruna alzò gli occhi al soffitto e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi grugnendo: «Aiuto, non ce la faccio più»; fissò la pila di fogli davanti a sé e si sentì infinitamente frustrata: “Quanta roba... solo a pensare che l'esame è il sedici e devo memorizzare ancora tutto quel malloppo... spero solo di farcela”. Proprio in quell'istante, dalla finestra leggermente aperta, entrò il rombo di una motocicletta: “Sembra una Harley” subito il cuore le mancò un battito “chissà se è la sua”; ma subito scosse la testa, pensando che, dopo tre ore di studio intenso, la sua mente stesse iniziando a giocarle brutti tiri. Strizzò le palpebre e si rimise composta, cercando di motivarsi nel modo migliore possibile per finire al più presto quella “pappardella di roba”, ma come riprese fra le mani la matita rossa per sottolineare le nozioni più importanti, qualcuno bussò alla sua porta; “Grazie al cielo, uno stacco di cinque minuti”. «Avanti».

Amy fece capolino: «Posso disturbarti un secondo?»

«Non hai idea del favore immenso che mi stai facendo» sorrise stancamente la bruna. Amy aprì piano la porta e le allungò un foglio fucsia senza dire una parola; Rea aggrottò le sopracciglia: «E' passato qualcuno in moto?».

La ragazza fece per annuire, quando Marta, con la furia di un uragano, entrò nello studio: «Era lui, LUI! Ha lasciato quella roba per te!».

Morea la prese per la coda: «Sempre molto delicata nel dire le cose tu, eh?». Rea guardò la stampa in tipico stile rock che addobbava il foglio: “The Crüe wants you! We are looking for sexy female background singers. Join us next thursday at Conway Recording Studios on Melrose Ave.!”. Veloce. Diretto. La bruna alzò gli occhi, sentendo la testa girare a mille.

Amy aggiunse: «Non è tutto. C'è anche qualcosa scarabocchiato sul retro».

Rea si sentì improvvisamente la mano tremante e madida di sudore; girò a rallentatore il foglio e trovò in basso a destra un breve messaggio scritto con dell'inchiostro nero: “Sono pulito. Nikki”. Pensando di aver letto male, i suoi occhi indaco rianalizzarono la successione di quelle lettere una seconda volta; “No, non mi ero sbagliata”. Il cuore prese a martellarle nel petto mentre la mente le si annebbiava ad una velocità impressionante, scaraventandola al limite della realtà: “E' vivo, è vivo. Non ci credo. Perchè non si è fatto sentire prima? Magari voleva farmi una sorpresa. Chissà se mi ha pensata almeno quanto io ho pensato a lui in questo periodo...”

«Allora, cos'hai intenzione di fare?» la voce di Morea la ripescò dal vortice in cui stava cadendo. Rea scosse la testa, quasi volesse cercare di riprendersi da quel trauma che quelle tre parole le avevano causato.

«Se posso permettermi» Amy parlò all'amica con voce grave «io non ci andrei. Insomma, non vorrei che ti prendesse nuovamente in giro, non sopporterei vederti soffrire così per altro tempo. Ma soprattutto fra due settimane tu hai un esame importante e...»

«Oh, Amy! Al diavolo l'esame!» Marta rubò dalle mani di Rea il leaflet e lo sventolò sotto il naso del futuro medico «Qui stiamo parlando del suo futuro! Oltre che del lavoro, stiamo parlando anche dell'amore! Questa è un'occasione imperdibile e irripetibile» poi si voltò verso la ragazza dai capelli corvini «e se anche non dovesse passare le selezioni, sarebbe comunque l'occasione per rivederlo e parlarci».

Rea guardò le due amiche che si scrutavano con aria di sfida; Amy che metteva lo studio davanti a tutto e Marta che poneva in prima posizione i sentimenti. Era divisa fra le due posizioni; se avesse ascoltato il suo senso del dovere, di sicuro avrebbe studiato per l'esame e sarebbe stata il più lontano possibile dagli studi (senza contare che quelli erano gli studi di registrazione dove lavorava Yuri). Eppure, in quel frangente, l'istinto premeva perchè lei, una buona volta, accantonasse le dispense e corresse a fare le audizioni. Si voltò verso Morea sperando di trovare un qualche genere di risposta, ma tutto quello che ottenne fu una timida alzata di spalle: «Fai quello che ritieni più giusto».

Dannazione”; aveva voglia di sbattere la testa contro il muro. Era davanti ad un bivio e non aveva la benchè minima idea di che strada scegliere. Guardò di nuovo le sue amiche in cerca di risposte: Morea arricciava le labbra, segno che era ancora più indecisa di lei, Amy la fissava con lo sguardo che sembrava dire: “Lo studio viene prima di tutto”, ed infine Marta che pareva spingerla a prendere la macchina e correre da lui. Sconsolata, Rea si prese la testa fra le mani: «Ragazze... io non lo so!».


Lunedì 1 giugno 1987, 5 pm

Poi, all'improvviso, il lampo di genio. Senza dire nulla, sono corsa verso il telefono e ho digitato il numero di casa di Marzio; Bunny era l'unica persona che non avevo ancora interpellato e, probabilmente, l'unica che sarebbe stata in grado di darmi una risposta. Stringevo fra le mani il ricevitore sperando con tutta me stessa che fosse in casa; dopo tre squilli, la sua voce giocosa mi ha solleticato l'orecchio. Le ho raccontato tutto d'un fiato quello che è successo e le ho chiesto cosa lei avrebbe fatto al posto mio; lei è stata per un po' in silenzio, poi mi ha detto: «Allora, conoscendomi, io lascerei perdere lo studio per l'esame e mi precipiterei immediatamente da lui senza pensarci due volte. Attenta però: io lo farei non solo per vederlo; lo farei anche per evitare di studiare. Sai benissimo che non sono una studentessa modello. Tu però non sei così; tu non sei negligente. Ora, tutto quello che devi fare è guardare dentro di te. Scruta, scava nel tuo cuore». D'istinto mi sono guardata il petto, sperando di intravedere qualcosa; poi lei ha aggiunto: «Anche se io... so già cosa farai». Ho riattaccato senza proferire parola e sono rimasta seduta sul divano, a fissare il nulla davanti a me. Dopo circa tre minuti di riflessione ho chiamato le altre.


«Vado» disse irremovibile. Sul viso di Amy comparve una smorfia di totale disappunto. Rea continuò: «E' troppo che aspetto di rivederlo. Voglio vedere come sta, voglio vedere com'è diventato. Per questa volta l'esame può aspettare. Non mi interessa se soffrirò, se lui non mi rivolgerà la parola o se nemmeno mi guarderà in faccia. Voglio rischiare». Le ragazze rimasero sbalordite davanti a tanta determinazione; era da un sacco di tempo che Rea non prendeva in mano le redini della sua vita e si comportava in quel modo.

Marta sorrise e fece un passo in avanti: «Ti accompagno io, se vuoi»

«Certo che voglio»

«D'altra parte, devo farmi perdonare per come ti ho aggredita la sera della festa di laurea di Marzio» la bionda le fece una timida linguaccia.

Rea le fece l'occhiolino: «Tranquilla, me n'ero già dimenticata».

Le due si abbracciarono ed Amy mise una mano sulla spalla di Rea: «A questo punto... posso solo dirti in bocca al lupo. Sono certa che darai il meglio di te, come sempre del resto».


* * *


Giovedì 4 giugno 1987, 1 am

Non riesco a dormire. Nikki, le audizioni... la possibilità di un tour con i Crüe... troppe cose insieme. Che poi... un tour con i Crüe. È meglio che non mi monti la testa; molto probabilmente domani a quelle selezioni ci saranno un sacco di ragazze molto più belle e capaci di me che io potrei anche essere scartata all'ingresso. Ma questo non deve assolutamente fermarmi; domani devo dare il meglio di me...


I will take it to the wire now”


L'ho promesso ad Amy


Until every race is run”

L'ho promesso anche a Bunny


I'll go straight into the fire now”


Perfino Morea che era scettica crede in me


Until every day is done”


E poi c'è Marta, che fin dall'inizio mi ha detto di andare, di non tirarmi indietro per nessun motivo


Voices say -- break away”


E anche se ho paura, vorrei che quel momento sia perfetto; vorrei che la mia voce sia al top. Vorrei non sbagliare nulla.


Live each night as if each moment
Was the only one”


Soprattutto vorrei che Nikki mi sorridesse; nulla di più.


Through the fire
To the wire
When the night out of control
Is breaking your heart
Through the fire
To the wire
When the flames are burning hot
They take you higher
Through the fire”


Anche se ho come la sensazione che tutto quello che io sto sognando, sia solo un immenso castello in aria; una bellissima fantasticheria di mezzanotte. Non nascondo che non vorrei sognare tutte queste belle cose...


There's a feeling that I can't ignore
Like a stranger at my door”


Eppure non riesco a fermarmi. Queste fantasie alimentano il mio ottimismo; mi permettono di sentirmi viva. Mi sembra quasi impossibile che, dopo tutto il malessere, io sia ancora in grado di respirare... di sentire il profumo dell'oceano che arriva in lontananza.


So revealing that I cannot hide
When you settle up the score
Voices say -- night and day
Live your life as if each second
Was the final one”


Sogno... sogno te con in mano il tuo Thunderbird, nascosto dietro la tua frangia folta, che mi spii dietro quella piccola barriera. Vorrei avvicinarmi a te...


I look for signs that you are here tonight
When the passion calls the pleasure to the flame”


Ti chiederei come stai... poi ti porterei in una sala vuota. Ti chiederei se ti sono mancata, se mi hai pensata. Prenderei la tua mano fra le mie dita, ne bacerei i polpastrelli segnati dalle corde del tuo basso... e ti chiederei se, sul serio, sei innamorato.


Then I ask you of the meaning when you talk of love
Would you take the leap of faith?
Would you throw it all away?”.


Ma è bene che mi fermi qui. Mi gira la testa così forte per tutto questo accavallarsi di pensieri. Cercherò di accoccolarmi vicino al camino e di addormentarmi lì, su quel tappeto... il posto dove per la prima volta ho visto il tuo viso nel fuoco.


NOTE:


MIG29: Mikoyan-Gurevich MiG-29, il caccia russo.

La canzone che compare a fine capitolo è “Through The Fire” di Larry Greene di cui non possiedo i diritti.


Dopo ben 6 mesi di silenzio... ecco che rispunto dal dimenticatoio con questo sudatissimo capitolo interamente incentrato sulla figura di Rea (come vi avevo promesso). A quanto pare, però, nel prossimo capitolo lei e Nikki si rivedranno dopo quasi due mesi; cosa succederà, ovviamente, non ve lo dico. Aspettatevi di tutto. Soprattutto: Rea passerà le selezioni? Saranno fondate le sue paure di non riuscire nemmeno ad entrare negli studios?

Come sempre, grazie a tutti voi che mi seguite, che mi leggete e che lasciate una vostra recensione; naturalmente un grazie tutto speciale va a Mars che mi assiste sempre nei miei deliri... thanx twin!

Da domani mi dedicherò al nuovo capitolo del mio originale “I Love To Hate You”; se ancora non avete letto nulla... magari dategli un'occhiata ;)

Ricordatevi che ogni vostro commento, positivo o negativo che sia, è sempre ben accetto. Alla prossima ;)

Kisses, Ellie

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Capitolo 23
*** The Crüe Wants You ***


23 The Crüe Wants You

Rea spense il motore della Ford Granada e si guardò nello specchietto retrovisore: «Ho un viso pessimo oggi. Non ho dormito niente stanotte e ho un'espressione veramente sconvolta».

Sbuffò alzandosi la frangia ed avvicinò i polpastrelli alle palpebre, ma Marta la bloccò per il polso sbraitando: «NON TI AZZARDARE A TOCCARTI GLI OCCHI!». La prese per il mento e la girò verso di sé: «Sei così bella, non rovinarti il trucco... e, fra parentesi, non hai il viso stanco». Rea la guardò scettica, ma l'amica le fece l'occhiolino: «Giuro. Sei stupenda».

La bruna le sorrise, più sicura, poi le fece un cenno con il capo ed entrambe scesero dalla macchina per entrare negli studi.


Giovedì 4 giugno 1987, 7 pm

Salivo le scale con le ginocchia che mi tremavano, fissando attentamente i gradini per evitare di inciampare e sperando di non incrociare Yuri sulle scale. Marta mi seguiva guardandosi intorno estasiata; non era mai stata in uno studio di registrazione. Tutte le pareti del corridoio erano tappezzate di gigantografie di quel leaflet che mi aveva fatto avere Nikki tre giorni prima e si udiva un gran vociferare provenire dalla porta in fondo all'edificio. Subito prima c'era una un bancone con dietro un ragazzo obeso e sudaticcio; ci ha guardate, studiandoci dalla testa ai piedi, e poi ci ha chiesto se eravamo lì per le audizioni, ruminandoci in faccia la gomma senza farsi troppi problemi. Abbiamo annuito entrambe, così ha preso i nostri nomi, ci ha dato due numeri e ci ha fatto varcare la soglia.


Come la porta tagliafuoco si aprì, subito una valanga di voci, capelli gonfi di lacca e fragranze femminili si riversarono addosso alle due ragazze, come un pentolone di olio bollente. Le due strizzarono le palpebre per poi riaprirle lentamente; Rea guardò sbalordita quel corridoio gremito di giovani donne: “Santo cielo, Barbie prodotte in serie!”. Tutte le altre, Marta compresa, avevano i capelli biondissimi, naturali od ossigenati che fossero, ed un davanzale più che prosperoso, originale oppure manipolato da qualche chirurgo di Beverly Hills; lei era l'unica con i capelli color carbone ed un seno di terza misura. Si sentì squadrata da capo a piedi da quell'esercito di bambole, mentre si appuntava il numero sull'orlo della canotta a spalline larghe; per un istante fissò la porta e provò l'impulso di darsela a gambe. Proprio in quel momento, Marta, sorridendo, la prese per il polso, quasi volesse preventivamente bloccarla: «Hai visto? A quanto pare qui dentro sei l'unica con un briciolo di personalità propria». Rea rimase piacevolmente colpita dalle parole dell'amica; a quello, proprio, non aveva pensato: sfruttare appieno la sua diversità per spiccare ancora di più e passare le selezioni. “Devo solo controllare le mie emozioni; se riesco a tenerle per i capelli, la voce non mi tremerà di sicuro”.

Lei e Marta si guardarono negli occhi e si scambiarono uno sguardo complice: «Hai ragione»

«Brava, così ti voglio. Combattiva come al tuo solito». Si sorrisero e si scambiarono un fragoroso cinque, facendo praticamente voltare tutte le ragazze che attendevano in fila di essere chiamate per entrare in sala e provare al gruppo che erano all'altezza del ruolo. Rea si appoggiò al muro e cominciò a fare esercizi di respirazione, mentre fissava la porta della sala dove stava provando la band; ad intervalli regolari, il maniglione antipanico si abbassava per far uscire o entrare le aspiranti coriste. Alcune ragazze uscivano gasate perchè pensavano di aver “spaccato”, altre se ne andavano a capo chino, versando lacrime amare poiché non ce l'avevano fatta ad aprire la bocca per l'emozione ed altre ancora che tornavano in corridoio esaltate perchè Vince aveva “largamente apprezzato la loro persona”. Rea si fissò le punte degli stivali: “Chissà se Nikki vorrà degnarmi di una sguardo...”; il suo diaframma si contrasse quasi dolorosamente nel ripensare a lui. Ormai aveva perso il conto dei giorni che erano passati senza vederlo; ma, anche senza contarli, erano decisamente troppi. Alzò nuovamente lo sguardo in direzione della porta: “Una cosa è certa: se Vince fa l'idiota, si prende uno sberlone sonoro”. D'improvviso si sentì chiamare per nome da un omone muscoloso e dall'aria losca: «Trentaquattro. Hino, dentro»; fu come essere bagnata da un getto di acqua gelida. Rea avanzò per quel corridoio fatto da ragazze bionde, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso come riflettori; per un attimo inciampò sulla moquette: “Oh, andiamo! Ho sempre camminato bene con questi stivali!”. Si voltò e fece in tempo a vedere una ragazza con i capelli color platino e le labbra fucsia che ridacchiava; strinse i denti ed abbassò lo sguardo vergognosa: “Cacchio, che figura”. Ma in quell'istante sentì qualcuno bisbigliare: «Ehi!»; subito guardò indietro e vide Marta che le faceva l'occhiolino. Rea sorrise, più forte che mai, e riprese a camminare decisa verso la porta imbottita di gommapiuma: “Devo passare queste selezioni. A qualsiasi costo. Rimarranno sbalorditi”. Si voltò un'ultima volta verso Marta per restituirle un sorriso, ma la guardia del corpo brontolò: «Vogliamo darci una mossa? Sennò chiamo qualcun'altra».

Rea lo fissò con occhi infuocati; subito, quell'omone immenso si fece piccolo piccolo di fronte a tanta decisione: «Entra, entra pure». Con passo sicuro e i pugni stretti passò attraverso una piccola anticamera con le pareti rivestite di gommapiuma grigia e poi entrò nella sala vera e propria, dove il gruppo la stava attendendo.


Giovedì 4 giugno 1987, 7 pm

Mi aspettavo che fosse uno stanzino soffocante e senza finestre, invece le pareti effettivamente insonorizzate e rivestite di sughero e gommapiuma erano solo due. Le rimanenti erano un'unica vetrata molto spessa di un'ampia forma semicircolare, che dava direttamente sul giardino interno degli studios. La luce del sole venata dal verde di quelle piante tropicali illuminava la sala, dandole un'aria quasi mistica e rilassante. Non ero pronta ad essere accolta da così tanto sole; di riflesso mi sono coperta gli occhi con una mano, poi le forme hanno iniziato a diventare più nitide.


La prima persona che vide fu Mick, che se ne stava solo nel suo angolino con il capo nero chino, le spalle curve appesantite dalla Kramer ed il viso rivolto alle manopoline del Marshall; si muoveva a rallentatore e teneva la bocca ermeticamente chiusa. Rea lo stava ancora scrutando, cercando di intravedere il colore dei suoi occhi, quando qualcuno la prese per mano: «Ciao dolcezza». La ragazza girò di colpo la testa e si trovò faccia a faccia con Vince Neil. La ragazza spalancò gli occhi, pietrificata dall'aspetto del cantante: “E questo sarebbe lo stallone biondo?”; il ragazzo aveva i capelli decolorati parecchio disordinati che gli cadevano scomposti sulle spalle, la barba di tre giorni, il viso sudaticcio e due occhi castani che parevano volerla divorare in un solo boccone. Il viso le si deformò spontaneamente in una smorfia schifata quando lui si portò il dorso della sua mano alle labbra inumidite di birra: «Che bella pupa mora che abbiamo qui»

«Ehi» Rea gli tolse lesta la mano dal viso e se la pulì sui pantaloni «non sono qui per uscire con te».

Vince rimase con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta a guardare quella massa di capelli corvini che lo fissava con espressione combattiva: “Sti cazzi, che peperino”; poi, nel silenzio della sala, una risata trattenuta lo fece voltare verso la batteria con i nervi a fior di pelle: «Cazzo ridi, stronzo!»

«Lascia perdere Neil, quella è troppo tosta anche per te» Tommy sedeva sullo sgabello con indosso una maglietta di Mighty Mouse e le gambe aperte, mentre giocherellava con le bacchette e masticava spensierato una gomma rosa confetto. Il viso di Rea si illuminò nel rivedere quel volto amico: il sole gli accarezzava i boccoli morbidi, disegnandogli strane volute ai lati del viso sorridente, mentre quegli occhi vispi la salutavano con sincera felicità.

Nel frattempo Vince aveva puntato il proprio indice contro il batterista, quasi fosse un mitragliatore: «Cos'è? Pensi allora di potertela scopare tu, signor “HoilPisellopiùlungodell'universo”?».

Di tutta risposta, T-Bone fece spallucce: «Sono sposato, troione ossigenato, te ne sei dimenticato?».

«Smettetela voi due» sentenziò una voce oscura proveniente da dietro l'amplificatore del basso; il cuore di Rea mancò un battito in quell'istante: “Eccolo”. Nikki riemerse da dietro il cono, accompagnato dalla sua immancabile chioma nerissima cotonata alla perfezione. Istintivamente Rea si portò una mano alla bocca: “Non ci posso credere”; i capelli erano più curati e lucenti, sembrava molto meno emaciato dell'ultima volta che l'aveva incontrato e, soprattutto, gli occhi verde smeraldo gli brillavano di luce propria. Si era ripulito sul serio; stava meglio e si vedeva. Senza che nemmeno avesse il tempo per accorgersi, gli occhi le si velarono di lacrime di gioia. Aveva voglia di saltargli al collo, di dirgli che era stato uno stupido, un pazzo, ma che, dopotutto, lo voleva ancora; “Sai perchè? Perchè ti...”. Quell'idilliaco dipinto mentale fu repentinamente squarciato proprio dal bassista, che la fissò con fare gelido: «Ciao. Hai portato qualche pezzo?». Le lacrime le si riassorbirono in un nanosecondo mentre le pupille le si dilatavano a dismisura; era stato gelido ed asettico.


Giovedì 4 giugno 1987, 7 pm

Diciamo che avrebbe parlato così con chiunque. Insomma, non poteva certo far vedere che mi conosceva o chissà che cosa. Doveva fare quello distaccato, quello professionale; è giusto così, dato che in quel momento lui ricopriva il ruolo del mio “potenziale nuovo datore di lavoro”. Però, nonostante sapessi tutte quelle cose, mi si è gelato il sangue; quello era lo stesso tono di voce che aveva usato con me per cacciarmi fuori dalla sua stanza d'ospedale. Non volevo si comportasse di nuovo così con me, non volevo mi trattasse di nuovo come aveva fatto in precedenza; quindi ho tirato fuori gli artigli.


L'aveva riconosciuta dall'andatura, dall'appoggiarsi ritmico dei tacchi dei suoi texani che aveva un suono inconfondibile; era stato come riconoscere una Harley Davidson a chilometri di distanza. Ed immediatamente gli era mancata la terra sotto i piedi. Si era accovacciato dietro l'amplificatore del basso, con la scusa di dover sistemare una valvola, per chiamare a raccolta tutte le sue forze ed il suo autocontrollo; la verità era che doveva nascondere il più velocemente possibile il rossore delle sue guance: “Sembri un bambinello delle medie alle prese con la sua prima cotta”. Respirò profondamente e girò il viso in direzione del condotto dell'aria condizionata con l'intento di raffreddarlo: “Tranquillo, stai tranquillo”; eppure sapeva che le cose non stavano così. Si prese il collo fra le mani per far schioccare un paio di vertebre e percepì la propria carotide pompare ad un ritmo spropositato; era agitatissimo e non aveva la benchè minima idea di come comportarsi. Poi sentì Vince salutarla con la sua solita voce suadente intrisa di ormoni; istintivamente si morse il labbro inferiore ed espirò violentemente: “Eh no, cazzo, NO! Se allunga le mani lo ammazzo”. Fece per alzarsi inviperito, ma si ricordò che, assolutamente, non doveva far sapere a nessuno che lei era speciale per lui; le cose si stavano complicando in maniera esponenziale nel giro di millesimi di secondo. Ma subito sentì Rea rifiutare Vince, Tommy scoppiare a ridere e sbeffeggiare apertamente il biondo che cercava di far dimenticare la sua figuraccia starnazzando come una gallina e potè tirare un flebile sospiro di sollievo; la guardò, sentendo il suo sguardo ammorbidirsi come burro che si scioglie sul fuoco lento ed il respiro mozzarsi: “E' sempre più meravigliosa”. Poi, puntuale come il treno di mezzogiorno, la solita vocina rompipalle emerse dalla sua coscienza: “Ehi, rimbambito, fai attenzione; fai molta attenzione. Tu la vuoi, vero? Vuoi che passi le selezioni e venga in tour con te?”. Naturalmente, che domande. “E allora guai a te se dai a vedere che la conosci, o peggio, che ti piace”; Nikki si sentì come se avesse ricevuto una roccia in testa. “Vero che non vuoi che lei venga scartata?” scosse la testa fra sé “E allora comportati da stronzo! Tanto sei capace; senza contare che ti riesce anche piuttosto bene”. E così aveva fatto; le aveva chiesto, con fare tagliente, se avesse preparato qualche pezzo in particolare. Rea lo aveva fissato dapprima smarrita, poi il suo sguardo si era indurito ed aveva risposto con il suo identico tono: «Sono preparata su qualsiasi brano».

Un brivido corse lungo la schiena di Nikki; faceva quasi paura sentirla parlare così, però in cuor suo sapeva che anche lei, in fondo, non voleva nemmeno rivolgersi a lui con quel tono. Il bassista aggrottò le sopracciglia e poi ghignò: “Fantastico, me l'ha servita su un piatto d'argento”

«Benissimo, quindi se ti chiedo “Dancing On Glass” non dovresti avere problemi»

«Ehi Sixx, quello è uno dei brani più difficili che abbiamo» Vince si intromise nella conversazione, mentre si appesantiva sull'asta del microfono e si scostava un ciuffo ribelle dal viso

«E chi se ne fotte» rispose di rimando il bassista, fissando dritto negli occhi Rea con aria di sfida «lei vuole essere messa in difficoltà, quindi... questo è il pezzo ideale».


Giovedì 4 giugno 1987, 7 pm

Ho visto una strana scintilla nei suoi occhi; il suo comportamento pareva volermi mettere nelle peggiori acque, però mi aveva proposto la MIA canzone. L'ho guardato stupita; voleva fare lo scostante pur rimanendo tacitamente mio complice. E questo mi ha fatta diventare ancor più sicura di me; nessuno, in quel frangente, avrebbe potuto mettermi al tappeto.


Cantò la canzone tutta d'un fiato, concentratissima e rilassata al tempo stesso; la conosceva come il palmo della sua mano e non si soffermò nemmeno troppo a pensare alle pause da rispettare ed alla quantità di fiato da inspirare. Dopo quasi quattro minuti di esibizione intensa, Vince la fissò con la bocca spalancata: «Porca puttana, impressionante»

«Grazie» Rea si ravvivò i capelli, contentissima della sua performance

«Bene» sentenziò Nikki glaciale «puoi accomodarti fuori, nel pomeriggio comunicheremo i risultati».

La bruna si limitò ad annuire, salutò la band con un veloce cenno della mano, mentre Tommy le faceva furtivo l'occhiolino, ed uscì svelta dalla sala, sentendosi forte ed irrefrenabile.


* * *


Marta la raggiunse nella tavola calda poco distante dagli studi, appena dopo l'una; si sedette trafelata al tavolino, mentre si sistemava velocemente il fiocco rosso specchiandosi nella vetrina che dava su Melrose Avenue. Le ragazze stettero per un attimo in silenzio, mentre una cameriera serviva loro due Pepsi e lasciava sul tavolo le liste, poi la bionda si appoggiò al tavolo con i gomiti e si protese verso l'amica, parlando quasi sottovoce: «Allora?».

Rea fece spallucce, attaccandosi alla cannuccia per sorseggiare un po' di bibita: «Non saprei...»

«Oh, su! Non fare la modesta» Marta scansò l'aria di fronte a sé, abbassando leggermente le palpebre «Guarda che ti ho sentita da fuori e sei stata spettacolare».

La bruna sorrise: «Dici sul serio?»

«Dico, dico!» Marta le fece l'occhiolino «Ci sono state delle ragazze che si sono quasi spaventate; dovevi vedere le loro facce, per la serie: “Siamo fregate, non ce la faremo mai”». Le due risero insieme, poi Rea chiese a Marta com'era andato il suo provino; la bionda guardò per qualche secondo le bollicine scalare allegramente la superficie del bicchiere e sospirò: «Non benissimo. Appena entrata mi sono fatta prendere dal panico; ti puoi immaginare come abbia cantato». La bruna si sentì quasi in colpa per averle fatto quella domanda, ma subito l'amica le strinse le mani: «Ma non importa. Quella che deve passare sei tu, non io».

«Però sarebbe stato bello andare insieme, non ti pare?» Rea sorrise e bevve un sorso di Pepsi «E poi non è detto che passi. Magari adesso è dentro in sala qualcuno di bravissimo e io mi sogno di partire». Abbassò lo sguardo sull'hamburger che era appena stato servito al tavolo, sentendo un peso crescente chiuderle lo stomaco; non aveva quasi più voglia di mangiare. Un sacco di domande iniziarono ad affollarle la mente: “Sarò stata sufficientemente convincente? Avranno apprezzato tutti la mia esibizione? E se... e se ci fosse qualcun'altra ancora più brava di me?”. D'improvviso gli occhi le si velarono di lacrime; tutta la forza e la decisione che aveva avuto fino a quel momento sembravano essere ormai un lontano ricordo. Marta si accorse del suo repentino cambio d'umore ed aumentò la stretta delle mani: «Ehi». Rea alzò timidamente lo sguardo, cercando di nascondere quelle inutili lenti a contatto dietro la frangia. Marta ridacchiò e le scostò i capelli dagli occhi: «Vedrai che andrà tutto bene, ne sono sicura»

«Io non lo sono per nulla» la bruna si mordicchiò il labbro inferiore sentendo lentamente la gola chiudersi

«Invece devi esserlo, altrimenti perchè mai ti avrebbe mandato quel leaflet con dietro quel messaggio così personale?».

Era vero, il ragionamento dell'amica non faceva una grinza; eppure Rea non riusciva ad avere piena fiducia in Nikki: “Beh, sai com'è. Dopo gli ultimi avvenimenti, mi risulta un po' difficile; spero solo che possa riscattarsi presto”.


* * *


Tommy bevve alla goccia la mezza bottiglia di birra che ormai stringeva fra le mani da circa dieci minuti: «Sono finite?»

«Per fortuna sì» Vince si grattò la testa studiando le miriade di fogli con sopra pinzate le foto di tutte le ragazze che si erano presentate quella mattina per le audizioni sparpagliate sul tavolo della sala uno dei Conway Studios.

«Bisogna che si inizi a scegliere» Mick tirò una lunga boccata dalla sua Marlboro seguito da un abbondante sorso di vodka pura «sono tantissime»

«Sì» Nikki allungò le mani e racimolò tutta la carta in una pila ordinata, poi guardò con sguardo corrosivo il resto della band «e, mi raccomando: scelta per doti canore, non di corpo e costituzione»

«Servono anche corpo e costituzione, coglione» Vince si sedette pesantemente sulla sedia di fronte al bassista «non voglio che dei cessi ambulanti cantino al fianco di un bel faccino come il mio»

«Vaffanculo “bel faccino”» in quell'istante il manager, Doc McGhee, un omone tozzo ed inzaccherato di dopobarba, con la pelata abbronzata tirata a lucido, si accomodò al tavolo con i ragazzi «impegnatevi a scegliere queste due ragazze. Devono essere bravissime e anche piacenti». Seguendo gli ordini del manager, le non idonee furono eliminate nel giro di un quarto d'ora e le candidate, da circa cinquanta che erano, si ridussero a sei.

«Dunque» Doc prese i fogli e cominciò a rigirarseli fra i palmi «siamo rimasti con: Emy Canyon, Tamara Kosovic, Donna McDaniel, Hannah Taylor, Rea Hino e Sarah Dwight»

«Oh, la mora resiste» constatò apatico Mick versandosi un altro bicchiere di vodka

«Già» Vince rubò malamente dalle mani di Doc il foglio con appiccicata la foto della ragazza; la fissò quasi con disprezzo: non aveva per nulla digerito che l'avesse rimbalzato così platealmente davanti al resto della band. “Io sono il cantante. Io sono il figo del gruppo. Io sono quello biondo. Io sono la sex machine e NESSUNA può osare rimbalzarmi”; proprio per questa lunga serie di motivi “Quella Hino” non meritava di passare le selezioni.

Intanto Nikki lo fissava in cagnesco dal lato opposto del tavolo; si vedeva lontano un chilometro che Rea non piaceva al biondo, ma sapeva anche che, musicalmente, Vince non era minimamente stimato da nessun altro componente del gruppo e tanto meno dal loro manager. “E poi sono certo che Tommy mi sosterrà al cento per cento. Ora resta solo da convincere Mick”. Doveva riuscire a tutti i costi a far passare la sua Rea; certo, non sarebbe stato per nulla facile riallacciare i rapporti con lei, ma il tour era l'occasione giusta per rimettersi in gioco e dimostrarle che era migliorato sul serio. Fu proprio il bassista a dare il via allo sfoltimento: «Sentite, Hannah non era niente male a cantare, però non era capace di muoversi»

«Effettivamente è vero» Tommy mise le gambe sul tavolo stiracchiandosi sulla sedia «l'ho trovata piuttosto legnosa»

«Senza contare che ha tirato una stecca non trascurabile» Mick parlò da dentro il suo bicchiere colmo di vodka, scatenando l'ira di Vince.

«Smetti di bere! Cazzo, dobbiamo prendere una decisione importante».

Il chitarrista, dal canto suo, fece spallucce e continuò indisturbato a sorseggiare il suo superalcolico: «Da che pulpito, sentilo il forzato astemio».

Nel sentire quelle parole, il cantante scattò in piedi, gonfiandosi come un piccione in calore: «Vai a morire, Mars!».

Mick fissò allibito il biondo per qualche secondo, poi sospirò: «Disse l'uomo che uccise Razzle».

A quel punto il manager si interpose fra i due, per scongiurare un qualsiasi attacco violento da parte di Vince nei confronti del chitarrista mingherlino; non era un bene che lo smontasse ancora prima che iniziasse il tour, sarebbe stato un casino cercare un turnista: «Piantatela, tutti e due. Tu, Mick, smetti di bere. E tu, “Bel Faccino Come Il Culo”, stai tranquillo e concentrati sulle tue partner vocali». Mars poggiò apatico il bicchiere sul tavolo, mentre Neil sbuffò pesantemente alzando gli occhi al cielo e posando malamente il proprio fondo schiena sulla sedia imbottita. Nikki lo fissò con sguardo perforante, quasi volesse estorcergli la risposta a lui più congeniale; alla fine il biondo cedette: «E va bene, Hannah no. Poi?».

YES!” Il primo neurone del bassista alzò il pugno in segno di vittoria “E' nelle mie mani come avevo previsto. Adesso devo solo guidarlo dritto al bersaglio; devo disporgli le esche perfettamente allineate, così finirà dritto nella mia trappola”. Sì, la trappola: farlo lavorare per i successivi dodici mesi con Rea. Già si gustava le scene prima ancora di averle viste: lei che riusciva a tener testa al biondino e che lo comandava a bacchetta; per uno che si comportava da primadonna non ci voleva altri che Fiamma. “Lei. E poi un'altra corista; una a caso, non mi importa chi. La cosa importante è che lei parta con me”.

Tommy fece segno al manager di passargli i fogli che aveva in mano e, da lì, estrasse il curriculum di Sarah Dwight; studiò la foto della ragazza per diversi secondi, poi scosse la testa: «E' brutta»

«Tu stai scherzando» Vince si alzò di scatto e gli strappò di mano la fotografia «insomma, è biondissima, con due pere incredibili...»

«Sì ma... Neil» Nikki cercò nuovamente di tirare acqua al proprio mulino «guardala bene in viso: ha il naso grosso e storto»

«Appunto» Tommy alzò il pollice al bassista; Nikki, da parte sua, gli fece l'occhiolino: il batterista lo stava appoggiando tacitamente in tutto e la cosa lo faceva sentire parecchio tranquillo.

Sfortunatamente Vince si accorse di quello sguardo d'intesa; stette per un attimo in silenzio a studiare chi sedeva con lui al tavolo: Mick che sembrava essere su un altro pianeta, Doc che leggiucchiava i profili delle ragazze e “quei due stronzi” che gli stavano nascondendo qualcosa. Poggiò rumorosamente i gomiti, congiungendo le mani: «Voi due state architettando qualcosa».

Tommy lo guardò con indifferenza: «Perchè mai dovremmo?»

«Esatto» gli fece eco Nikki, ma la voce gli uscì tremolante, come la fiamma di una candela che lotta contro il vento per rimanere accesa.

Vince realizzò cosa stava passando per il cervello dei due e puntò il suo indice dritto contro di loro: «Potete anche scordarvelo».

Porca puttana, e ora?” Nikki si maledisse per quella debolezza millimetrica; il piano stava lentamente compromettendosi: “Fanculo, mi ha appena beccato con le mani nel sacco”. Chinò il capo e si passò nervosamente le mani nei capelli appena tinti, espirando e stringendo i denti: “Si scoprirà tutto prima ancora di partire. Che coglione, coglione!”.

Tommy guardò l'amico con la coda dell'occhio e decise di partire con il contrattacco: «E c'è qualcosa di oggettivo che può farcelo scordare?»

«Sì» Vince ruggì come un leone rabbioso «mi ha trattato a pedate nel culo».

Nell'udire quelle parole, Nikki scoppiò in una risata isterica attirando su di sé l'attenzione di tutti; il bassista picchiò il pugno sul tavolo respirando a fatica: «E questo ti ha certamente tappato le orecchie quando cantava»

«Quella non ha cantato. Ha starnazzato come una gallina. Una fottuta gallina» Vince era sempre più paonazzo in viso e stava stringendo i pugni così forte che stava per tagliarsi i palmi delle mani con le poche unghie che si ritrovava.

Ecco, ora è il momento giusto per scoprire le carte”; Nikki aggrottò le sopracciglia mentre sul viso gli compariva un sorriso malefico: «E a te pare che scegliamo una gallina starnazzante per farti fare i controcanti su “Dancing On Glass”?».

Nella stanza scese un silenzio agghiacciante; Mick smise di guardare il fondo del bicchiere che teneva in mano, Doc alzò lo sguardo dalle foto mentre Vince allargò le pupille all'inverosimile, dischiudendo la bocca. “Non può essere lei, non è vero. Una stronza così non PUO' e non DEVE avere una voce simile. Quella in tour non ce la voglio!”.

«Ma veramente quella è la voce femminile del disco? Quella ragazza che non ho visto perchè quella sera ero a casa ammalato?» il manager poggiò i fogli sul tavolo, incuriosito dalla notizia; aveva sempre pensato che quella voce incredibile appartenesse ad una donna di colore, forse anche un po' sovrappeso, invece a cantare era una bella mora, con la pelle chiara e lo sguardo profondo. Riprese in mano la sua foto e la studiò attentamente per qualche secondo, giungendo alla conclusione che era davvero una splendida ragazza, una bella e capace presenza che sul palco avrebbe dato un supporto eccezionale a Vince; riguardò di sfuggita il nome: “Rea Hino” e subito prese in mano il vinile di “Girls Girls Girls” che giaceva al centro del tavolo e fece scorrere il dito sui crediti dell'album, ritrovando il nome della ragazza. Sorrise soddisfatto, guardando di sottecchi Nikki: “E' un cazzone, ma musicalmente è geniale”.

Tommy notò con la coda dell'occhio che lui e Sixx erano riusciti a tirare dalla loro parte il manager; ormai era fatta, erano tre contro due. Il batterista ridacchiò, tamburellando le dita sul tavolo: «Allora Neil? È ancora così incapace?».

Il cantante, di tutta risposta, si alzò violentemente dalla sedia ed andò ad alzare di peso il bassista per il bavero: «Apri bene le orecchie, bastardo, io quella in tournée non ce la voglio, CHIARO?»

«Uh» Nikki alzò per un secondo un angolo della bocca, fissando Vince con gli occhi iniettati di sangue «qualcosa mi dice che hai perso, brutta checca acida».

Il biondo non ci vide più per un millesimo di secondo, poi il suo destro si schiantò dritto contro lo zigomo del bassista con un tonfo secco. Subito Tommy alzò di peso Vince, lasciandolo sospeso in aria, a scalciare contro il nulla, mentre Doc si chinò a vedere come stava il bassista, che si copriva la faccia, grugnendo frasi incomprensibili nei confronti del cantante. Inaspettatamente, fu Mick a prendere in mano le redini della situazione: «Secondo me non è una buona idea portarla in tour. Insomma, magari i fan cercano qualcosa di nuovo e portar loro la ragazza che ha inciso con noi il disco come corista... forse non è la soluzione migliore. Meglio portare nomi non noti»

«Mars» Nikki stava urlando da dietro la mano con cui si premeva lo zigomo dolorante «smetti di bere, così magari inizi a dire qualcosa di sensato!»

«Sì, sì! Mick ha fottutamente ragione».

Tommy prese Vince per il mento, girandogli forzatamente la faccia verso di lui, e lo guardò con occhi schifati: «Ma falla finita!» e detto questo lo scaraventò a terra.

Doc scosse il capo, sospirò e si rialzò, sollevando con sé Nikki: «E allora sentiamo, cosa proponi?».

Mick spulciò un paio di fogli, poi trovò quello che gli interessava; nel silenzio della stanza si sentivano le sue dita scheletriche scorrere lungo la carta, poi l'omino porse due fogli a Doc: «Queste. Bionde, belle e brave».

Il manager prese in mano i curricula: «Emi Canyon e Donna McDaniel» sussurrò fra i denti, cercando invano di non farsi sentire.

«Grandissimo Mars, vedi che ogni tanto quella testa vuota che ti ritrovi funziona?» Vince si rialzò di scatto per correre incontro al chitarrista per abbracciarlo, ma il batterista lo bloccò di nuovo e lo incatenò ancora più forte a sé, impedendogli quasi di respirare. Nikki fulminò con lo sguardo Mick, digrignando i denti: “Ci mancavi giusto tu”; tolse malamente dalle mani di Doc i fogli e guardò le facce delle due, cercando di ricordare come avevano cantato. Ma più si sforzava, più il suo cervello assomigliava ad un campo a maggese; zero spaccato.

Eri così concentrato su Rea che non hai nemmeno cagato di striscio tutte le altre che sono entrate” i suoi neuroni scossero dissenzienti le loro testoline “Va bene che ti interessava lei (e ha pure fatto un ottimo lavoro), ma cerca di essere un po' più professionale, che cazzo!”. La soluzione migliore era far finta di chiedere a Tommy cosa ne pensava, così avrebbe semplicemente fatto la figura del “dubbioso”, quando invece scaricava completamente sull'amico la responsabilità della scelta della seconda corista, “Perchè la prima deve essere per forza Rea”: «T-Bone, tu cosa dici?».

«A me Emi è piaciuta molto»

«Sì, anche a mmm.....» Vince cercò di intromettersi nel discorso, ma Tommy lo schiacciò violentemente contro di se, mozzandogli il fiato

«Nessuno ha ancora chiesto il tuo parere» il batterista lo mise a tacere, poi riprese «si muove bene e ha una voce piuttosto potente. Per me è ok».

Nikki si limitò ad annuire, guardando negli occhi il manager e fidandosi ciecamente dell'amico.

«Va bene» Doc spuntò con un evidenziatore verde il curriculum «quindi Emi Canyon è stata scelta all'unanimità».

In quel preciso momento, Nikki sentì crescere la tensione dentro di sé: il tempo stringeva e le possibilità di fare entrare Rea nell'organico della band erano dimezzate. Doveva trovare assolutamente il modo per mettere a tacere Vince e far cambiare idea a quell'idiota di Mars, o si sarebbe ritrovato con il culo per terra e il cuore spezzato; due grandi dolori che non era in grado di sopportare contemporaneamente. Ma prima ancora che potesse cominciare la sua arringa in difesa di Rea, Vince partì all'attacco: «A questo punto, io prenderei la McDaniel. È bionda e bella. In questo modo si raggiungerebbe l'equilibrio»

«Equilibrio?» Tommy poggiò il cantante a terra e lo fissò stranito

«Certo: tre cessi mori contro tre figoni biondi. Non c'è storia»

«Tu devi proprio avere il cervello nel culo per dire una stronzata simile!» la rabbia fuoriuscì dal corpo di Nikki con la violenza di un'eruzione vulcanica «Non puoi basare la tua scelta sul colore dei capelli»

«Colore dei capelli?» T-Bone si portò una mano alla bocca, pensieroso.

«Beh, il fatto è che le bionde piacciono sempre di più delle more» Vince parlò con tono da sbeffeggio, quasi fosse un bambino dell'asilo che prende in giro il proprio amichetto perchè “io ho le scarpe rosse e tu no”.

«Ma chi se ne fotte se le bionde piacciono di più delle more! Che poi è sempre tutta da vedere; la verità è che a me la McDaniel non è piaciuta e chi merita di venire con noi è chi ha cantato sul disco e conosce già il nostro repertorio» il bassista parlava con gli occhi iniettati di sangue. Se c'era qualcuna che veramente meritava di passare era Rea: oltre ad avere la voce giusta, conosceva a menadito tutti i brani della band, a differenza della maggior parte delle ragazze che si erano presentate e che avevano candidamente ammesso di essere lì solo per riuscire a diventare famose. E la McDaniel era proprio stata una di quelle.

«A me invece fotte di avere una bella figa di fianco» Vince ribaltò una sedia, giusto per evidenziare il concetto «possibilmente, anzi, sicuramente bionda»

«Bionda?» il batterista era in preda alla confusione più totale; osservava la discussione fra i suoi due compagni di band, senza però capire cosa realmente stava succedendo. Era come se fosse stato rinchiuso in una bolla di sapone e guardasse la scena dipinta con colori gioiosi e zuccherosi. Forse aveva bevuto troppa birra durante le prove e stava iniziando a pagarne le conseguenze.

«Adesso mi hai proprio rotto le palle» Nikki, in preda alla rabbia più nera, alzò il cantante di peso prendendolo per il bavero «questo tuo ragionamento dimostra che non sai scegliere le colleghe. Si prende Hino e basta! Lei sa i pezzi, lei ha cantato sul disco. E sono requisiti più che soddisfacenti perchè diventi una nostra corista»

«Io quella non la voglio!» Vince si aggrappò isterico alla chioma corvina del bassista

«Solo perchè ti ha rifiutato, non significa che non sia capace. Io la trovo migliore di Donna»

«Una stronza che mi rifiuta non merita di lavorare con noi, perchè non ha capito nulla dell'essenza dei Mötley Crüe»

«Essenza?» questa volta non era stato Tommy a ripetere come un ebete l'ultima parola detta; era stato il tenebroso chitarrista ad aprire la bocca.

«Sì, Mars» rispose quasi seccato il biondo, puntandosi l'indice al petto «IO sono l'essenza dei Crüe».

Nell'udire quella frase, Nikki si scaraventò letteralmente su Vince, mettendolo a terra e alzando il pugno destro, pronto a calarlo sullo zigomo del cantante. Per sua fortuna, fu il batterista a bloccare la rissa sul nascere: «Ma piantala di dare aria alla bocca, Neil! Tu non metti mai mano sulla musica perchè strimpelli a malapena la chitarra e tanto meno sui testi perchè sei fottutamente dislessico. E a quanto pare il tuo cervello è in putrefazione, dato che non capisci che Rea è quella giusta»

«Il tuo è in putrefazione, alcolizzato di merda» ragliò il biondo, sotto il peso di Nikki, che immediatamente gli mollò un ceffone sonoro.

A quel punto, Doc si sentì in dovere di prendere in mano la situazione, o la band non sarebbe mai andata in tour, causa “rissa generale terminata con un plateale giro al pronto soccorso di tutto lo staff”; urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: «SEDETEVI TUTTI QUANTI AL TAVOLO E STATE ZITTI, CAZZO!». I ragazzi lo fissarono impauriti, come se fossero stati sgridati dal proprio padre; abbassarono tutti il capo e presero posto in silenzio, mantenendo gli sguardi fissi sulle loro scarpe. Il manager attese che fossero tutti composti, poi cominciò a parlare: «Vedo che la vostra maturità è alle stelle. Siete le persone più allucinanti con cui abbia avuto a che fare». Si rivolgeva a loro con tono schifato; così schifato che faceva venire i brividi.

Nikki nascose il proprio viso nei capelli gonfi, sentendo un terribile senso di oppressione a livello dello sterno: “So già come va a finire”.

«Dato che non siete in grado di prendere civilmente una decisione importante, mi vedo costretto a prendere in mano le redini della situazione. Che vi piaccia o no».

Quelle parole sembravano pugnali gelidi nella schiena del bassista: “Ho fallito miseramente. Fallito. Niente Rea in tour, niente recupero, niente spiegazioni. Niente di niente”. La stanza si fece incredibilmente silenziosa; sarebbe stata una tomba, se non si fosse sentito il regolare ticchettio del Rolex di Vince. Nikki respirò profondamente, percependo sempre più imponente sulla propria testa il peso di una spada immaginaria, pronta a trapassargli la materia grigia; alzò gli occhi da dietro il suo nascondiglio nero quel poco che bastava per scrutare gli altri e constatò che anche loro erano più o meno nel suo stesso stato: “Tranne Mick. A lui basta avere la sua bottiglia”.

«La Canyon passa a pieni voti e su questo siamo d'accordo tutti» gli occhi di Doc fissarono le teste dei quattro che, mute, annuivano nervosamente «Rimane il dubbio ora fra McDaniel e Hino».

Nel sentire quel cognome, Nikki ebbe un tuffo al cuore; senza farsi notare, si fissò le ginocchia ed incrociò le dita. Vince alzò timidamente la mano: «Se posso...»

«No» la risposta fu secca «tu taci e basta. TUTTI tacete e basta».

Calò nuovamente il silenzio. Il bassista chiuse gli occhi e cominciò a ripetere mentalmente: “Scegli Rea, ti prego” come se fosse una preghiera.

Il manager si appesantì sul tavolo, facendo scricchiolare l'unica robusta gamba centrale: «Ora, risponderete solo se interpellati».

Sembra di essere in caserma” Nikki strinse ancora più forte le dita.

«Vince» Doc si rivolse al cantante con tono autoritario «ti ricordi quanto era il cachet stabilito per entrambe le ragazze?»

«Dodicimila dollari netti in due per ogni serata»; gli tremava la voce come durante un'interrogazione.

«Bene. Significherebbe seimila dollari netti a testa» fece una pausa strategica, poi riprese «Ma nessuna delle ragazze sa che quella è la propria retribuzione, confermate?».

Tutti annuirono.

«Di conseguenza, se noi facciamo scendere il compenso a quattromila dollari netti pro capite, sono ugualmente contente. Quei soldi non li vedrebbero nemmeno alla fine di un normale mese di lavoro e non avrebbero nulla da ridire».

«Quattromila?» Nikki bisbigliò a se stesso la cifra a bassa voce; non poteva credere alle sue orecchie.

«Sì Sixx» il manager gli tirò una sonora pacca sulla spalla «quattromila è il nostro numero perfetto»

«Ehi Doc» Tommy si sporse verso il pelato, tamburellando con le dita «ma il numero perfetto non era tre?».

Doc gli fece l'occhiolino: «Hai fatto centro, stangone. Le prendiamo tutte e tre, così la finite di piagnucolare e bisticciare. Diciamo che la Canyon e la McDaniel sono due belle bionde che fanno la loro porca figura e non si muovono niente male, ma sarà Hino il nostro asso nella manica».

Asso nella manica?” Nikki si sentiva come se stesse per prendere il volo; aveva voglia di sorridere come un ebete, ma non poteva. Tutti si sarebbero accorti che c'era qualcosa di strano, quindi era meglio continuare ad avere quell'espressione imbronciata.

«La Canyon e la McDaniel sono le nostre due Barbie» sul retro di uno dei curricula scartati, Doc fece uno schizzo del palco «e le faremo salire su due pedane laterali esattamente dietro Sixx e Mars. Ma Hino, che è quella che conosce meglio il repertorio e ha cantato sul disco, la mettiamo sulla pedana centrale». Alzò gli occhi e vide Vince inorridire: «Proprio così biondino, Hino ti farà i cori su quasi tutte le canzoni. La si fa entrare sul secondo pezzo, le si garantisce un momento di stacco per un fulmineo cambio d'abito, magari durante il solo di batteria, e ti sorreggerà fino a che non stramazzi a terra bisognoso di ossigeno. Fattene una ragione».

Nel sentire il discorso, Nikki slegò le dita e strinse i pugni sotto il tavolo in segno di vittoria. Ce l'aveva fatta. Rea era stata notata per il suo talento oggettivo ed era riuscita a passare le selezioni. Si sentiva agitato, con il cuore che gli batteva a mille e lo stomaco ribaltato; non vedeva l'ora di comunicarlo a lei, voleva vedere la sua reazione. Ma ancor di più, non vedeva l'ora di stare con lei tutto il giorno per i successivi undici mesi; voleva farsi perdonare a tutti i costi. Sarebbe stato il cammino più arduo che aveva mai intrapreso fino a quel momento nella propria vita, ma era ben intenzionato a portarlo a termine.


* * *


Dal diario di Nikki. Giovedì 4 giugno 1987.

Ormai è prassi, sono io quello che fa gli annunci. Quando sono uscito dalla sala mi sono ritrovato di fronte ad una massa di teste bionde; la cercavo impaurito, mi sentivo un po' come quando mi veniva a prendere Nona fuori da scuola ed io non riuscivo a vederla. Tremavo come una foglia. Poi l'ho vista: era quasi alla fine del corridoio, vicina ad una ragazza con i capelli biondi ed un fiocco rosso. Il suo viso non mi è del tutto nuovo, forse deve essere una di quelle che abita in casa con lei. Per un istante i nostri sguardi si sono incrociati e mi sono sentito rinvigorire; è incredibile l'effetto che quegli occhi dalle venature indaco hanno su di me. Ho ringraziato tutte senza troppi giri di parole e poi ho fatto l'annuncio: «Passano: la numero 3, Emi Canyon». Primo starnazzo da gallina; già la odio. «La numero 15, Donna McDaniel». Secondo starnazzo da gallina; odio anche lei. Ho preso fiato e ho detto senza fermarmi: «E la numero 34, Rea Hino». Lei non ha starnazzato; è umile e non fa queste uscite. Ha spalancato gli occhi incredula e si è puntata contro l'indice; mi ha guardato e ha mimato: “Io?”. Non ho potuto fare altro che annuire. Lei ha sorriso, il sorriso più bello che abbia mai visto. Ha abbracciato la sua amica bionda e ha alzato il pugno; mi sono venuti gli occhi lucidi, quasi non ci credevo nemmeno io. Poi Doc le ha invitate ad entrare in sala con noi per spiegare loro il lavoro che devono fare: tre prove con noi per stabilire le parti e poi partenza il 16 giugno. Prima serata in Arizona, a Tucson, il 19 giugno; segue tour americano e poi in autunno si va in Giappone. All'inizio del 1988 si comincia con l'Europa. «Sarà faticoso, ma vi divertirete come matte» ha promesso; ho seri dubbi sul divertirsi. Ha detto anche che avranno dei costumi molto sexy per andare in scena e che le sarte prenderanno loro le misure nei minuti successivi. In quel momento ho visto Vince avanzare di nuovo, pericolosamente, verso Rea; le ha bisbigliato qualcosa all'orecchio, ma non sono riuscito a leggere il labiale. Quello di sicuro vuole provarci di nuovo, non gli è bastato il rifiuto di prima; così sono intervenuto: «Prima che si proceda con la presa delle misure dei vestiti delle ragazze, vorrei mettere in chiaro la regola fondamentale del tour».


Tutti si voltarono verso il bassista con sguardo interrogativo. Nikki rimase in silenzio per qualche secondo, convincendosi che quello che stava facendo era per il bene non solo di Rea, ma di tutti, e poi sentenziò: «Nessuno tromba con nessuno. Ragazzi, nessuno tocca le coriste. E le coriste non si fanno toccare da nessuno, né da noi, né dal manager, né dalla security e tanto meno dai roadie».

Emi e Donna batterono le palpebre spaesate e biascicarono un “Ok” appena comprensibile.

«Non vi sta bene?» Nikki arricciò le labbra “Lo sapevo che queste due erano venute solo per succhiarcelo”

«Nessun problema». Tutti si voltarono verso Rea, che aveva parlato in modo deciso. «Mi sembra più che corretto. Siamo colleghi ed è giusto che, fra noi, ci si comporti così».

Nikki le sorrise: «Questo è lo spirito giusto».


* * *


Era uscito dallo studio quasi correndo, subito dopo che la sarta si era portata via le tre ragazze per prender loro le misure per confezionare i vestiti di scena. Aveva chiesto a Tommy di coprirlo, mettendo in giro la voce che se n'era andato a casa prima a causa di un mal di testa perforante come un martello pneumatico, ed aveva inforcato i suoi occhialoni neri. Era sceso per le scale rischiando di scivolare innumerevoli volte per colpa delle suole lisce degli stivali e lì l'aveva vista di sfuggita. Il problema era fermarla senza dare troppo nell'occhio; si fissò per qualche istante nella porta a vetri degli studios: “Gilet leopardato, niente sotto, pantaloni di pelle e texani di pitone. Ti vedrebbe anche un cieco”. Decise di fregarsene e di continuare a seguire a passo spedito quel fiocco rosso; prima o poi l'avrebbe raggiunta sicuramente. Si accese nervoso una sigaretta e ampliò il movimento delle proprie falcate; fortunatamente la bionda camminava lentamente, guardando spensierata il cielo. Quando le fu ad un paio di metri, la chiamò: «Scusa?».

Marta si girò curiosa: «Ci conosciamo?».

Nikki abbassò le lenti nere e fece un passo verso di lei: «Eri anche tu alle audizioni. Sei amica di Rea, vero?».

La ragazza rimase per un attimo spaesata, poi allungò verso di lui la mano destra: «Sì... mi chiamo Marta, piacere».

Il bassista non fece nemmeno caso al suo gesto: «Senti Marta, ti dispiace se ti pago un taxi per tornare a casa?»

«Taxi?»

«Sei venuta in macchina con Rea oggi, immagino» Nikki le fece l'occhiolino e sorrise.

Marta arrossì di colpo; congiunse le mani e se le portò al petto: «Senti, io... io...».

Questa non ha capito proprio niente” il bassista le mise una mano sulla spalla e cercò di tranquillizzarla: «Ascolta Marta, io non ti sto chiedendo di uscire con me stasera o di trovarci da qualche parte. Ti sto chiedendo molto gentilmente di lasciare soli me e la tua amica. Devo parlarle assolutamente».

La ragazza sospirò sentendosi meglio, prese le due banconote da cinquanta dollari che Nikki le stava porgendo e salì sulla prima Ford gialla che accostò. Il bassista guardò gli stop del taxi mischiarsi al traffico del boulevard, poi fece cadere a terra il mozzicone della sua Marlboro: “Quella Ford Granada... dev'essere qui da qualche parte”.

Camminò lungo il marciapiede per cinque minuti abbondanti, poi la scorse, incastrata fra una Chevrolet e una Mustang sgangherata; sorrise, soddisfatto della propria ricerca, e si accesa una seconda sigaretta. Chiuse gli occhi ed aspirò più che potè dal filtro, riempendosi i polmoni di quel denso fumo grigio, ma non fece in tempo ad espirare che una voce gli arrivò da dietro le spalle: «Cosa fai qui?».

Nikki si girò di scatto, iniziando a tossire per lo spavento; gli occhi presero a lacrimargli e fu costretto a gettare sull'asfalto la sigaretta appena iniziata.

Rea incrociò le braccia al petto e scosse il capo: «Quando la smetterai di fumare?»

Eccola. Lei e le sue ramanzine” il bassista sorrise, tossicchiando ed asciugandosi il viso con il dorso della mano. La guardò negli occhi e le sorrise; la mente gli si riempì in un istante di cose. Cose che voleva dirle. Segreti che voleva confessarle. Gesti che voleva fare. Ma tutto quello che riuscì ad articolare fu un timido: «Ciao».

«Ciao» ripetè seccamente Rea. La ragazza lo guardò nella luce del pomeriggio: non era mai stato così bello. Il primo impulso fu quello di buttargli le braccia al collo e baciarlo con ardore; fece per alzarsi in punta di piedi per arrivare meglio alle sue labbra ma subito si bloccò: “No, ti prego. Trattieniti”. «Cosa ci fai davanti alla mia macchina?».

Nikki abbassò gli occhi, imbarazzato: “Avanti... non è difficile! Chiedilelo! Di sicuro non ti saprà dire di no”.

«Ti avverto, non ho tempo da perdere» la ragazza fece volteggiare intorno all'indice le chiavi della vettura.

«Sarò veloce» promise timidamente lui

«E devo anche capire dov'è finita Marta»

«Le ho pagato il taxi per tornare a casa».

Rea rimase con la bocca semiaperta a fissare il bassista; benchè non potesse esternare nessun sentimento nei suoi confronti, quel suo essere timido ed impacciato e, nello stesso tempo, essere vestito come una rockstar lo rendeva ai suoi occhi incredibilmente irresistibile. Lo studiò mentre si passava nervoso la mano aperta nei capelli neri e si sfilava del tutto gli occhiali da sole; uno sciame di farfalle le riempì lo stomaco quando rivide quegli occhi verdi così spettacolari.

«Senti Rea» Nikki le sfiorò le dita della mano; la ragazza chiuse gli occhi per concentrarsi su quel minimo contatto. Lui percepì il suo desiderio e lo fece di nuovo, continuando a parlare: «Volevo chiederti, dato che staremo via per parecchio tempo» e mentre le diceva quelle parole le strinse l'indice nel suo palmo caldo «se potevo lasciare a casa con le tue amiche Spank». Rea aprì gli occhi e guardò Nikki, in cerca di spiegazioni; lui le sorrise e fece un passo verso di lei, accorciando le distanze: «Non mi va di portarlo al canile. Penso che starà meglio con persone che già conosce».

La bruna annuì in silenzio, avvicinando il viso alla spalla di Nikki; emanava un odore buono. Era caldo e virile; le dava i brividi. Ma subito si scansò e riprese a parlare in modo distaccato: «Per Spank nessun problema. Solo ti chiedo di non fare più queste cose; ormai siamo colleghi, te ne sei già dimenticato? La regola l'hai imposta tu».

Già” il bassista abbassò lo sguardo, vergognoso.

Rea lo fissò per l'ultima volta con il cuore in gola, poi si avviò veloce verso la portiera del guidatore: «Portami Spank alle prossime prove, così non dovrai scomodarti per venire fino a casa mia» e senza dargli il tempo di rispondere, accese il motore e scappò verso casa, con la mente affollata dalla confusione e dalla felicità.


NOTE:


Kramer: marca di chitarre.

Mighty Mouse: cartone animato della Terrytoons; è uno dei cartoni preferiti di Tommy Lee.

Forzato astemio: Vince Neil, durante il tour di “Girls, Girls, Girls”, a causa della sua condanna per l'omicidio di Razzle (batterista degli Hanoi Rocks), dovuto a guida in stato di ebbrezza, non poteva assolutamente toccare alcolici.


Dopo un'eternità, finalmente, eccomi qui con questo nuovo papiro, sperando che possa essere di vostro gradimento. Innanzitutto mi scuso con voi per i tempi, ormai veramente dilatati, con cui riesco a pubblicare; sfortunatamente il lavoro mi porta via un sacco di tempo e non ho nemmeno abbastanza ritagli per poter scrivere ogni tanto. Ringrazio come sempre tutte quelle che mi seguono e che mi lasciano recensioni; prometto che, appena potrò, risponderò ad ognuna di voi, come facevo i primi tempi. Ve lo devo, siete sempre molto gentili con me. Come avete potuto vedere, tutto è andato secondo i piani di Nikki; Rea partirà proprio il giorno dell'esame che aveva fissato (chissà come la prenderà Amy, dato che le aveva detto che lo studio era molto importante) ed inizierà una vita a dir poco sfrenata e oltre ogni limite. Preparatevi alle situazioni più assurde, questo tour sarà una cosa a dir poco sconvolgente; sono previste gag, triangoli, quadrilateri e momenti molto “heartbreaking”. Spero solo di non lasciar passare così tanto tempo fra una pubblicazione e l'altra. Fatemi sapere quello che pensate, sono sempre ben accette le vostre recensioni.

Un bacio,

Ellie

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