CAPITOLO 2
Fix you
Nero. Nero ovunque. Galleggiavo nel buio totale, senza riuscire a distinguere né sopra né sotto, senza alcuna consapevolezza del mio corpo o dello spazio attorno a me. Ero morta? Probabile. Non riuscivo a ricordarmi come fosse successo, però. Forse, quando si è morti, scompare tutto. Si rimane soli con se stessi. Probabile. Ma allora la morte non è poi così male. Probabile anche questo. Nessuno è mai tornato dall'aldilà per dirci com'è.
Cominciai ad emergere, pian piano, da quell'oscurità. Non ero morta. Troppo facile.
Ero sdraiata su qualcosa di soffice e comodo, quasi sicuramente un letto. Percepii un paio di mani che spalmavano una miscela calda e molliccia su quella che doveva essere la mia schiena. I ricordi affluirono come un fiume che si getta in mare alla mia mente annebbiata.
La casa del vecchio Al, Thresh, la mia “piccola” protesta, i Pacificatori, le frustate, Rue, di nuovo Thresh. Rue. Dov'era finita? E i miei fratelli? E io, dove mi trovavo?
Ipotizzai che le mani che mi stavano medicando fossero quelle di Rue. Mano a mano che i miei sensi si acuivano capii però che non era così. Le dita di mia sorella erano sottili e delicate, troppo diverse da quel tocco deciso, forte e anche un po' rozzo. Allarmata, mi girai di scatto e mollai un pugno verso lo sconosciuto. Aprii gli occhi, pronta a continuare l'attacco. Con mio immenso stupore, trovai il viso di Thresh a pochi centimetri dal mio. Lo avevo colpito in pieno naso, che ora sanguinava copiosamente.
-Scu... Scusami! Credevo fossi un Pacificatore!- biascicai, imbarazzata e confusa. Lui si era girato verso un piccolo specchio appeso al muro e si stava esaminando la ferita. Provai ad alzarmi per aiutarlo, ma un dolore lancinante mi attraversò la schiena fustigata e cominciò a girarmi la testa. Ricaddi sui cuscini, impotente. -Scusami- ripetei. -Per fortuna non è rotto- replicò, freddo. Si bendò il naso, poi tornò da me e continuò a spalmare quell'intruglio sulle mie ferite. Doveva essere una specie di anestetizzante, perché smisero immediatamente di bruciare. -Dovresti toglierti questo brutto vizio di tirare pugni a destra e a manca mentre dormi.- aggiunse.
Mi resi conto in quel momento di indossare solo la biancheria intima, e avvampai. Cercai di ricompormi: da quando mi facevo intimidire da un ragazzo?
Presi un bel respiro e chiesi: -Dove sono?-
-Nella mia camera.- rispose. Mi guardai intorno: mi trovavo in una stanza semplice e spartana, ma indubbiamente una reggia rispetto a casa mia. Io e i miei fratelli dormivamo in un seminterrato coi muri scrostati e macchie di umidità. Il nostro arredamento consisteva in cinque giacigli di paglia e uno sgabello traballante, sul quale erano ordinatamente impilati tutti i nostri averi. Thresh possedeva invece una camera tutta per sé , con un armadio, un tavolino e addirittura un letto vero.
-Dove sono i miei fratelli?-
-Li ho portati a casa. Sono al sicuro, non preoccuparti.-
Mi si strinse il cuore. Ci conoscevamo appena, eppure aveva portato Rue e i bambini a casa, poi era tornato a prendermi quando ero svenuta a causa delle frustate ricevute e ora si stava prendendo cura di me. E il mio ringraziamento era stato un pugno nel naso.
-Grazie.- sussurrai, con le guance paonazze. -Grazie, davvero. Ti sei preoccupato tanto per me, anche se non eri tenuto a farlo, e io...-
-Sai, a volte le persone fanno certe cose anche se non ne hanno un tornaconto.- ribatté, tagliente. Ma perché era così cattivo nei miei confronti? Non gli avevo fatto nulla di male. E poi mica lo avevo obbligato a prendersi cura di me, poteva pure lasciarmi nelle grinfie dei Pacificatori, se gli stavo così antipatica.
-Stavo solo cercando...- balbettai.
-E comunque non l'ho fatto per te. L'ho fatto per tua sorella. È una ragazzina fantastica. Viene sempre a comprare la carne nel mio negozio.- precisò.
Sempre. Noi la carne la vedevamo si e no tre volte all'anno, nelle occasioni speciali.
Girai furtivamente la testa verso Thresh. Mi stava bendando le ferite. Notai che, nonostante il rossore non si potesse vedere dalla sua pelle scura, aveva un'espressione imbarazzata, come se la mia presenza lo mettesse a disagio. Mi richiesi per quale oscuro motivo si fosse fatto in quattro per me e i miei fratelli, se mi detestava così tanto. Ci aveva aiutati solo per Rue? E comunque non si potevano conoscere così bene. Mia sorella non mi aveva mai parlato di lui.
Quando finalmente ebbe finito, mi alzai di scatto dal suo letto e mi vestii in fretta e furia. Thresh mi stava osservando sbigottito. Prima di prendere la porta e andarmene, lo guardai negli occhi e gli dissi: -Grazie, anche se non lo hai fatto per me. L'importante è che tu lo abbia fatto. Ma ricordati che io non ho bisogno della carità di nessuno.- sbattei la porta e corsi via.
Un'ora dopo giacevo in un angolo della strada, coperta di polvere e con le ferite che cominciavano a riaprirsi. Avevo vagato per tutto il Distretto senza meta, cercando inutilmente qualcuno che potesse ospitarmi per la notte. A casa non ci potevo tornare: se mio padre avesse scoperto che mi ero fatta frustare, mettendo così in pericolo tutta la famiglia, mi avrebbe sicuramente riempita di botte, se non peggio. Sorrisi, isterica. Padre. Come potevo chiamare “padre” un uomo del genere? Quell'uomo cattivo, iracondo, il lupo nero delle favole. Ricordai con angoscia le notti squarciate dalle sue urla, dai pianti di mia madre e dal rumore secco, preciso dei suoi schiaffi. Quelle notti che io e Rue passavamo a tranquillizzare Blat e Timas, spiegando loro che non c'era niente di cui preoccuparsi, che era solo il cattivo della favola, e le favole finivano sempre bene, bastava non pensarci. Quelle notti impiegate a guardare Bud che dormiva nella sua culla, ignaro delle cattiverie e ingiustizie attorno a lui, pensando a quel bambino che, appena nato, aveva già il suo futuro scritto, e che non gli restava altro da fare se non crescere e morire impotente. Ogni tanto provavo pietà per mio “padre”. Pietà che svaniva quando picchiava selvaggiamente i miei fratelli, quando urlava e schiaffeggiava mia madre, quando mi umiliava e mi menava con quella crudeltà che lo contraddistingueva. A volte provavo a guardarlo negli occhi, cercando disperatamente qualcosa che mi appartenesse, una luce, seppur flebile, a cui aggrapparmi per pensare che forse non era davvero così, che poteva cambiare, col mio aiuto. Invece trovavo solo odio, crudeltà e disperazione, il tutto annaffiato da una buona dose di vino, il vino che era sempre stato la sua condanna.
Bruto Bluebottle, mio “padre”, era un giovane Pacificatore, mandato come suo primo incarico nel Distretto 11. Buona famiglia e portafoglio pieno, aveva un solo difetto: beveva. Tutte le sere se ne andava in un lurido bar e alzava un po' troppo il gomito. Un giorno, di ritorno da una delle sue solite serate, incontrò un suo collega. Si salutarono, ubriachi fradici tutti e due, e cominciarono, senza una precisa ragione, a insultarsi. Le parole si fecero sempre più pesanti, fino a che Bruto, che aveva la pistola sempre con sé, sparò al compare, uccidendolo. Quando i suoi superiori lo scoprirono, venne licenziato. I suoi familiari lo abbandonarono, gente troppo snob per avere un ubriacone assassino in casa, e il mio futuro “padre” non poté fare altro se non rimboccarsi le sue eleganti maniche e lavorare nei campi, come un qualunque abitante del Distretto.
A causa delle sue origini di Pacificatore, la gente lo isolava e lo trattava con diffidenza, facendolo sentire estraneo anche in quell'ambiente. E così si rifugiava nell'unico amico che aveva, il vino. Una sera, nel solito pub, incontrò mia madre, anche lei bracciante agricola. Era bella e senza carattere, la donna perfetta per lui. Così quella notte venni concepita io. E nonostante si sposarono e costruirono una famiglia, mio padre non cambiò di una virgola: iracondo, menefreghista e ubriacone, caratteristiche che lo avrebbero accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
Rimasi lì seduta per dieci minuti buoni, come se sperassi che un'astronave scendesse dal cielo e mi portasse via da quel posto orribile. Stavo per addormentarmi, quando una figura imponente entrò nel mio campo visivo. Thresh.
-Dandelion!- urlò. Era una sensazione strana sentire il mio nome uscire dalle sue labbra. Era come se stesse dando un significato preciso e ignoto a quell'accozzaglia di lettere che mi identificavano, come se mi stesse chiamando l'anima.
-Sei ancora più idiota di quanto pensassi.- disse, facendomi alzare in piedi.
-Lasciami.- ringhiai, sciogliendomi dalla sua stretta. -Mi sembra di averti già detto che non ho bisogno della pietà di nessuno.-
-Allora perché te ne stai rannicchiata qua a piangerti addosso?- ribatté, ironico.
-Non sono cazzi tuoi.- sbottai, frustrata.
-Ma che linguaggio forbito.- commentò. Lo odiavo. Faceva il suo ingresso da angelo custode con quella sfrontatezza insopportabile, e pretendeva che gli stendessi il tappeto rosso?
-Noi ragazze del popolo siamo abituate così.- replicai, sarcastica.
-Dai, sto solo cercando di aiutarti.-
-Ti ho già detto mille volte che non voglio il tuo aiuto. Ci arrivi da solo o hai bisogno di un disegnino?-
-Sembri una vecchia zitella inacidita. Sto provando a darti una mano, ecco tutto.-
-Ma si può sapere che cos'hai? Prima mi tratti come uno zerbino, poi mi corri dietro, adesso mi dai pure della zitella inacidita... fai pace col cervello, Thresh.-
Diede alle mie parole la stessa attenzione che avrebbe dedicato a una formica morta. Per tutta risposta, mi prese la mano e mi trascinò a forza verso casa sua, incurante delle mie proteste. Almeno ho un posto dove andare, pensai, rassegnata.
Lights will guide you home
and ignite your bones
and i will try to fix you.
Note dell'autrice
Hola!
Adesso non potete più dire che non si capisce cosa c'è scritto nelle note (?), quindi, che vogliate o no, siete costretti a leggerle! Muahahahahaha.
Mi scuso tanto per aver saltato l'aggiornamento di domenica scorsa, ma il mio computer si è voluto prendere una settimana di riflessione e mi ha costretta a portarlo in assistenza u.u.
Anyway, rieccomi. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito e messo la storia tra le seguite e le preferite. Dan mi ha detto di dirvi che vi manda un mazzo di denti di leone (?).
xxx
-Camy
CAPITOLO 2
Fix you
Nero. Nero ovunque. Galleggiavo nel buio totale, senza riuscire a distinguere né sopra né sotto, senza alcuna consapevolezza del mio corpo o dello spazio attorno a me. Ero morta? Probabile. Non riuscivo a ricordarmi come fosse successo, però. Forse, quando si è morti, scompare tutto. Si rimane soli con se stessi. Probabile. Ma allora la morte non è poi così male. Probabile anche questo. Nessuno è mai tornato dall'aldilà per dirci com'è.
Cominciai ad emergere, pian piano, da quell'oscurità. Non ero morta. Troppo facile.
Ero sdraiata su qualcosa di soffice e comodo, quasi sicuramente un letto. Percepii un paio di mani che spalmavano una miscela calda e molliccia su quella che doveva essere la mia schiena. I ricordi affluirono come un fiume che si getta in mare alla mia mente annebbiata.
La casa del vecchio Al, Thresh, la mia “piccola” protesta, i Pacificatori, le frustate, Rue, di nuovo Thresh. Rue. Dov'era finita? E i miei fratelli? E io, dove mi trovavo?
Ipotizzai che le mani che mi stavano medicando fossero quelle di Rue. Mano a mano che i miei sensi si acuivano capii però che non era così. Le dita di mia sorella erano sottili e delicate, troppo diverse da quel tocco deciso, forte e anche un po' rozzo. Allarmata, mi girai di scatto e mollai un pugno verso lo sconosciuto. Aprii gli occhi, pronta a continuare l'attacco. Con mio immenso stupore, trovai il viso di Thresh a pochi centimetri dal mio. Lo avevo colpito in pieno naso, che ora sanguinava copiosamente.
-Scu... Scusami! Credevo fossi un Pacificatore!- biascicai, imbarazzata e confusa. Lui si era girato verso un piccolo specchio appeso al muro e si stava esaminando la ferita. Provai ad alzarmi per aiutarlo, ma un dolore lancinante mi attraversò la schiena fustigata e cominciò a girarmi la testa. Ricaddi sui cuscini, impotente. -Scusami- ripetei. -Per fortuna non è rotto- replicò, freddo. Si bendò il naso, poi tornò da me e continuò a spalmare quell'intruglio sulle mie ferite. Doveva essere una specie di anestetizzante, perché smisero immediatamente di bruciare. -Dovresti toglierti questo brutto vizio di tirare pugni a destra e a manca mentre dormi.- aggiunse.
Mi resi conto in quel momento di indossare solo la biancheria intima, e avvampai. Cercai di ricompormi: da quando mi facevo intimidire da un ragazzo?
Presi un bel respiro e chiesi: -Dove sono?-
-Nella mia camera.- rispose. Mi guardai intorno: mi trovavo in una stanza semplice e spartana, ma indubbiamente una reggia rispetto a casa mia. Io e i miei fratelli dormivamo in un seminterrato coi muri scrostati e macchie di umidità. Il nostro arredamento consisteva in cinque giacigli di paglia e uno sgabello traballante, sul quale erano ordinatamente impilati tutti i nostri averi. Thresh possedeva invece una camera tutta per sé , con un armadio, un tavolino e addirittura un letto vero.
-Dove sono i miei fratelli?-
-Li ho portati a casa. Sono al sicuro, non preoccuparti.-
Mi si strinse il cuore. Ci conoscevamo appena, eppure aveva portato Rue e i bambini a casa, poi era tornato a prendermi quando ero svenuta a causa delle frustate ricevute e ora si stava prendendo cura di me. E il mio ringraziamento era stato un pugno nel naso.
-Grazie.- sussurrai, con le guance paonazze. -Grazie, davvero. Ti sei preoccupato tanto per me, anche se non eri tenuto a farlo, e io...-
-Sai, a volte le persone fanno certe cose anche se non ne hanno un tornaconto.- ribatté, tagliente. Ma perché era così cattivo nei miei confronti? Non gli avevo fatto nulla di male. E poi mica lo avevo obbligato a prendersi cura di me, poteva pure lasciarmi nelle grinfie dei Pacificatori, se gli stavo così antipatica.
-Stavo solo cercando...- balbettai.
-E comunque non l'ho fatto per te. L'ho fatto per tua sorella. È una ragazzina fantastica. Viene sempre a comprare la carne nel mio negozio.- precisò.
Sempre. Noi la carne la vedevamo si e no tre volte all'anno, nelle occasioni speciali.
Girai furtivamente la testa verso Thresh. Mi stava bendando le ferite. Notai che, nonostante il rossore non si potesse vedere dalla sua pelle scura, aveva un'espressione imbarazzata, come se la mia presenza lo mettesse a disagio. Mi richiesi per quale oscuro motivo si fosse fatto in quattro per me e i miei fratelli, se mi detestava così tanto. Ci aveva aiutati solo per Rue? E comunque non si potevano conoscere così bene. Mia sorella non mi aveva mai parlato di lui.
Quando finalmente ebbe finito, mi alzai di scatto dal suo letto e mi vestii in fretta e furia. Thresh mi stava osservando sbigottito. Prima di prendere la porta e andarmene, lo guardai negli occhi e gli dissi: -Grazie, anche se non lo hai fatto per me. L'importante è che tu lo abbia fatto. Ma ricordati che io non ho bisogno della carità di nessuno.- sbattei la porta e corsi via.
Un'ora dopo giacevo in un angolo della strada, coperta di polvere e con le ferite che cominciavano a riaprirsi. Avevo vagato per tutto il Distretto senza meta, cercando inutilmente qualcuno che potesse ospitarmi per la notte. A casa non ci potevo tornare: se mio padre avesse scoperto che mi ero fatta frustare, mettendo così in pericolo tutta la famiglia, mi avrebbe sicuramente riempita di botte, se non peggio. Sorrisi, isterica. Padre. Come potevo chiamare “padre” un uomo del genere? Quell'uomo cattivo, iracondo, il lupo nero delle favole. Ricordai con angoscia le notti squarciate dalle sue urla, dai pianti di mia madre e dal rumore secco, preciso dei suoi schiaffi. Quelle notti che io e Rue passavamo a tranquillizzare Blat e Timas, spiegando loro che non c'era niente di cui preoccuparsi, che era solo il cattivo della favola, e le favole finivano sempre bene, bastava non pensarci. Quelle notti impiegate a guardare Bud che dormiva nella sua culla, ignaro delle cattiverie e ingiustizie attorno a lui, pensando a quel bambino che, appena nato, aveva già il suo futuro scritto, e che non gli restava altro da fare se non crescere e morire impotente. Ogni tanto provavo pietà per mio “padre”. Pietà che svaniva quando picchiava selvaggiamente i miei fratelli, quando urlava e schiaffeggiava mia madre, quando mi umiliava e mi menava con quella crudeltà che lo contraddistingueva. A volte provavo a guardarlo negli occhi, cercando disperatamente qualcosa che mi appartenesse, una luce, seppur flebile, a cui aggrapparmi per pensare che forse non era davvero così, che poteva cambiare, col mio aiuto. Invece trovavo solo odio, crudeltà e disperazione, il tutto annaffiato da una buona dose di vino, il vino che era sempre stato la sua condanna.
Bruto Bluebottle, mio “padre”, era un giovane Pacificatore, mandato come suo primo incarico nel Distretto 11. Buona famiglia e portafoglio pieno, aveva un solo difetto: beveva. Tutte le sere se ne andava in un lurido bar e alzava un po' troppo il gomito. Un giorno, di ritorno da una delle sue solite serate, incontrò un suo collega. Si salutarono, ubriachi fradici tutti e due, e cominciarono, senza una precisa ragione, a insultarsi. Le parole si fecero sempre più pesanti, fino a che Bruto, che aveva la pistola sempre con sé, sparò al compare, uccidendolo. Quando i suoi superiori lo scoprirono, venne licenziato. I suoi familiari lo abbandonarono, gente troppo snob per avere un ubriacone assassino in casa, e il mio futuro “padre” non poté fare altro se non rimboccarsi le sue eleganti maniche e lavorare nei campi, come un qualunque abitante del Distretto.
A causa delle sue origini di Pacificatore, la gente lo isolava e lo trattava con diffidenza, facendolo sentire estraneo anche in quell'ambiente. E così si rifugiava nell'unico amico che aveva, il vino. Una sera, nel solito pub, incontrò mia madre, anche lei bracciante agricola. Era bella e senza carattere, la donna perfetta per lui. Così quella notte venni concepita io. E nonostante si sposarono e costruirono una famiglia, mio padre non cambiò di una virgola: iracondo, menefreghista e ubriacone, caratteristiche che lo avrebbero accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
Rimasi lì seduta per dieci minuti buoni, come se sperassi che un'astronave scendesse dal cielo e mi portasse via da quel posto orribile. Stavo per addormentarmi, quando una figura imponente entrò nel mio campo visivo. Thresh.
-Dandelion!- urlò. Era una sensazione strana sentire il mio nome uscire dalle sue labbra. Era come se stesse dando un significato preciso e ignoto a quell'accozzaglia di lettere che mi identificavano, come se mi stesse chiamando l'anima.
-Sei ancora più idiota di quanto pensassi.- disse, facendomi alzare in piedi.
-Lasciami.- ringhiai, sciogliendomi dalla sua stretta. -Mi sembra di averti già detto che non ho bisogno della pietà di nessuno.-
-Allora perché te ne stai rannicchiata qua a piangerti addosso?- ribatté, ironico.
-Non sono cazzi tuoi.- sbottai, frustrata.
-Ma che linguaggio forbito.- commentò. Lo odiavo. Faceva il suo ingresso da angelo custode con quella sfrontatezza insopportabile, e pretendeva che gli stendessi il tappeto rosso?
-Noi ragazze del popolo siamo abituate così.- replicai, sarcastica.
-Dai, sto solo cercando di aiutarti.-
-Ti ho già detto mille volte che non voglio il tuo aiuto. Ci arrivi da solo o hai bisogno di un disegnino?-
-Sembri una vecchia zitella inacidita. Sto provando a darti una mano, ecco tutto.-
-Ma si può sapere che cos'hai? Prima mi tratti come uno zerbino, poi mi corri dietro, adesso mi dai pure della zitella inacidita... fai pace col cervello, Thresh.-
Diede alle mie parole la stessa attenzione che avrebbe dedicato a una formica morta. Per tutta risposta, mi prese la mano e mi trascinò a forza verso casa sua, incurante delle mie proteste. Almeno ho un posto dove andare, pensai, rassegnata.
Lights will guide you home
and ignite your bones
and i will try to fix you.
Note dell'autrice
Hola!
Adesso non potete più dire che non si capisce cosa c'è scritto nelle note (?), quindi, che vogliate o no, siete costretti a leggerle! Muahahahahaha.
Mi scuso tanto per aver saltato l'aggiornamento di domenica scorsa, ma il mio computer si è voluto prendere una settimana di riflessione e mi ha costretta a portarlo in assistenza u.u.
Anyway, rieccomi. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito e messo la storia tra le seguite e le preferite. Dan mi ha detto di dirvi che vi manda un mazzo di denti di leone (?).
xxx
-Camy
CAPITOLO 2
Fix you
Nero. Nero ovunque. Galleggiavo nel buio totale, senza riuscire a distinguere né sopra né sotto, senza alcuna consapevolezza del mio corpo o dello spazio attorno a me. Ero morta? Probabile. Non riuscivo a ricordarmi come fosse successo, però. Forse, quando si è morti, scompare tutto. Si rimane soli con se stessi. Probabile. Ma allora la morte non è poi così male. Probabile anche questo. Nessuno è mai tornato dall'aldilà per dirci com'è.
Cominciai ad emergere, pian piano, da quell'oscurità. Non ero morta. Troppo facile.
Ero sdraiata su qualcosa di soffice e comodo, quasi sicuramente un letto. Percepii un paio di mani che spalmavano una miscela calda e molliccia su quella che doveva essere la mia schiena. I ricordi affluirono come un fiume che si getta in mare alla mia mente annebbiata.
La casa del vecchio Al, Thresh, la mia “piccola” protesta, i Pacificatori, le frustate, Rue, di nuovo Thresh. Rue. Dov'era finita? E i miei fratelli? E io, dove mi trovavo?
Ipotizzai che le mani che mi stavano medicando fossero quelle di Rue. Mano a mano che i miei sensi si acuivano capii però che non era così. Le dita di mia sorella erano sottili e delicate, troppo diverse da quel tocco deciso, forte e anche un po' rozzo. Allarmata, mi girai di scatto e mollai un pugno verso lo sconosciuto. Aprii gli occhi, pronta a continuare l'attacco. Con mio immenso stupore, trovai il viso di Thresh a pochi centimetri dal mio. Lo avevo colpito in pieno naso, che ora sanguinava copiosamente.
-Scu... Scusami! Credevo fossi un Pacificatore!- biascicai, imbarazzata e confusa. Lui si era girato verso un piccolo specchio appeso al muro e si stava esaminando la ferita. Provai ad alzarmi per aiutarlo, ma un dolore lancinante mi attraversò la schiena fustigata e cominciò a girarmi la testa. Ricaddi sui cuscini, impotente. -Scusami- ripetei. -Per fortuna non è rotto- replicò, freddo. Si bendò il naso, poi tornò da me e continuò a spalmare quell'intruglio sulle mie ferite. Doveva essere una specie di anestetizzante, perché smisero immediatamente di bruciare. -Dovresti toglierti questo brutto vizio di tirare pugni a destra e a manca mentre dormi.- aggiunse.
Mi resi conto in quel momento di indossare solo la biancheria intima, e avvampai. Cercai di ricompormi: da quando mi facevo intimidire da un ragazzo?
Presi un bel respiro e chiesi: -Dove sono?-
-Nella mia camera.- rispose. Mi guardai intorno: mi trovavo in una stanza semplice e spartana, ma indubbiamente una reggia rispetto a casa mia. Io e i miei fratelli dormivamo in un seminterrato coi muri scrostati e macchie di umidità. Il nostro arredamento consisteva in cinque giacigli di paglia e uno sgabello traballante, sul quale erano ordinatamente impilati tutti i nostri averi. Thresh possedeva invece una camera tutta per sé , con un armadio, un tavolino e addirittura un letto vero.
-Dove sono i miei fratelli?-
-Li ho portati a casa. Sono al sicuro, non preoccuparti.-
Mi si strinse il cuore. Ci conoscevamo appena, eppure aveva portato Rue e i bambini a casa, poi era tornato a prendermi quando ero svenuta a causa delle frustate ricevute e ora si stava prendendo cura di me. E il mio ringraziamento era stato un pugno nel naso.
-Grazie.- sussurrai, con le guance paonazze. -Grazie, davvero. Ti sei preoccupato tanto per me, anche se non eri tenuto a farlo, e io...-
-Sai, a volte le persone fanno certe cose anche se non ne hanno un tornaconto.- ribatté, tagliente. Ma perché era così cattivo nei miei confronti? Non gli avevo fatto nulla di male. E poi mica lo avevo obbligato a prendersi cura di me, poteva pure lasciarmi nelle grinfie dei Pacificatori, se gli stavo così antipatica.
-Stavo solo cercando...- balbettai.
-E comunque non l'ho fatto per te. L'ho fatto per tua sorella. È una ragazzina fantastica. Viene sempre a comprare la carne nel mio negozio.- precisò.
Sempre. Noi la carne la vedevamo si e no tre volte all'anno, nelle occasioni speciali.
Girai furtivamente la testa verso Thresh. Mi stava bendando le ferite. Notai che, nonostante il rossore non si potesse vedere dalla sua pelle scura, aveva un'espressione imbarazzata, come se la mia presenza lo mettesse a disagio. Mi richiesi per quale oscuro motivo si fosse fatto in quattro per me e i miei fratelli, se mi detestava così tanto. Ci aveva aiutati solo per Rue? E comunque non si potevano conoscere così bene. Mia sorella non mi aveva mai parlato di lui.
Quando finalmente ebbe finito, mi alzai di scatto dal suo letto e mi vestii in fretta e furia. Thresh mi stava osservando sbigottito. Prima di prendere la porta e andarmene, lo guardai negli occhi e gli dissi: -Grazie, anche se non lo hai fatto per me. L'importante è che tu lo abbia fatto. Ma ricordati che io non ho bisogno della carità di nessuno.- sbattei la porta e corsi via.
Un'ora dopo giacevo in un angolo della strada, coperta di polvere e con le ferite che cominciavano a riaprirsi. Avevo vagato per tutto il Distretto senza meta, cercando inutilmente qualcuno che potesse ospitarmi per la notte. A casa non ci potevo tornare: se mio padre avesse scoperto che mi ero fatta frustare, mettendo così in pericolo tutta la famiglia, mi avrebbe sicuramente riempita di botte, se non peggio. Sorrisi, isterica. Padre. Come potevo chiamare “padre” un uomo del genere? Quell'uomo cattivo, iracondo, il lupo nero delle favole. Ricordai con angoscia le notti squarciate dalle sue urla, dai pianti di mia madre e dal rumore secco, preciso dei suoi schiaffi. Quelle notti che io e Rue passavamo a tranquillizzare Blat e Timas, spiegando loro che non c'era niente di cui preoccuparsi, che era solo il cattivo della favola, e le favole finivano sempre bene, bastava non pensarci. Quelle notti impiegate a guardare Bud che dormiva nella sua culla, ignaro delle cattiverie e ingiustizie attorno a lui, pensando a quel bambino che, appena nato, aveva già il suo futuro scritto, e che non gli restava altro da fare se non crescere e morire impotente. Ogni tanto provavo pietà per mio “padre”. Pietà che svaniva quando picchiava selvaggiamente i miei fratelli, quando urlava e schiaffeggiava mia madre, quando mi umiliava e mi menava con quella crudeltà che lo contraddistingueva. A volte provavo a guardarlo negli occhi, cercando disperatamente qualcosa che mi appartenesse, una luce, seppur flebile, a cui aggrapparmi per pensare che forse non era davvero così, che poteva cambiare, col mio aiuto. Invece trovavo solo odio, crudeltà e disperazione, il tutto annaffiato da una buona dose di vino, il vino che era sempre stato la sua condanna.
Bruto Bluebottle, mio “padre”, era un giovane Pacificatore, mandato come suo primo incarico nel Distretto 11. Buona famiglia e portafoglio pieno, aveva un solo difetto: beveva. Tutte le sere se ne andava in un lurido bar e alzava un po' troppo il gomito. Un giorno, di ritorno da una delle sue solite serate, incontrò un suo collega. Si salutarono, ubriachi fradici tutti e due, e cominciarono, senza una precisa ragione, a insultarsi. Le parole si fecero sempre più pesanti, fino a che Bruto, che aveva la pistola sempre con sé, sparò al compare, uccidendolo. Quando i suoi superiori lo scoprirono, venne licenziato. I suoi familiari lo abbandonarono, gente troppo snob per avere un ubriacone assassino in casa, e il mio futuro “padre” non poté fare altro se non rimboccarsi le sue eleganti maniche e lavorare nei campi, come un qualunque abitante del Distretto.
A causa delle sue origini di Pacificatore, la gente lo isolava e lo trattava con diffidenza, facendolo sentire estraneo anche in quell'ambiente. E così si rifugiava nell'unico amico che aveva, il vino. Una sera, nel solito pub, incontrò mia madre, anche lei bracciante agricola. Era bella e senza carattere, la donna perfetta per lui. Così quella notte venni concepita io. E nonostante si sposarono e costruirono una famiglia, mio padre non cambiò di una virgola: iracondo, menefreghista e ubriacone, caratteristiche che lo avrebbero accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
Rimasi lì seduta per dieci minuti buoni, come se sperassi che un'astronave scendesse dal cielo e mi portasse via da quel posto orribile. Stavo per addormentarmi, quando una figura imponente entrò nel mio campo visivo. Thresh.
-Dandelion!- urlò. Era una sensazione strana sentire il mio nome uscire dalle sue labbra. Era come se stesse dando un significato preciso e ignoto a quell'accozzaglia di lettere che mi identificavano, come se mi stesse chiamando l'anima.
-Sei ancora più idiota di quanto pensassi.- disse, facendomi alzare in piedi.
-Lasciami.- ringhiai, sciogliendomi dalla sua stretta. -Mi sembra di averti già detto che non ho bisogno della pietà di nessuno.-
-Allora perché te ne stai rannicchiata qua a piangerti addosso?- ribatté, ironico.
-Non sono cazzi tuoi.- sbottai, frustrata.
-Ma che linguaggio forbito.- commentò. Lo odiavo. Faceva il suo ingresso da angelo custode con quella sfrontatezza insopportabile, e pretendeva che gli stendessi il tappeto rosso?
-Noi ragazze del popolo siamo abituate così.- replicai, sarcastica.
-Dai, sto solo cercando di aiutarti.-
-Ti ho già detto mille volte che non voglio il tuo aiuto. Ci arrivi da solo o hai bisogno di un disegnino?-
-Sembri una vecchia zitella inacidita. Sto provando a darti una mano, ecco tutto.-
-Ma si può sapere che cos'hai? Prima mi tratti come uno zerbino, poi mi corri dietro, adesso mi dai pure della zitella inacidita... fai pace col cervello, Thresh.-
Diede alle mie parole la stessa attenzione che avrebbe dedicato a una formica morta. Mi prese la mano e mi trascinò a forza verso casa sua, incurante delle mie proteste. Almeno ho un posto dove andare, pensai, rassegnata.
Lights will guide you home
and ignite your bones
and i will try to fix you.
Note dell'autrice
Hola!
Adesso non potete più dire che non si capisce cosa c'è scritto nelle note (?), quindi, che vogliate o no, siete costretti a leggerle! Muahahahahaha.
Mi scuso tanto per aver saltato l'aggiornamento di domenica scorsa, ma il mio computer si è voluto prendere una settimana di riflessione e mi ha costretta a portarlo in assistenza u.u.
Anyway, rieccomi. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito e messo la storia tra le seguite e le preferite. Dan mi ha detto di dirvi che vi manda un mazzo di denti di leone (?).
xxx
-Camy
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